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Studia Moralia

Biannual Review published by the Alphonsian Academy Revista semestral publicada por la Academia Alfonsiana Rivista semestrale pubblicata dallAccademia Alfonsiana

48/2 2010

EDITIONES ACADEMIAE ALFONSIANAE

Studia Moralia 48/2 Luglio-Dicembre 2010

CONTENTS / NDICE / INDICE

Articles / Artculos / Articoli


La venuta del Figlio di Dio nellEucaristia. Il dono della nuova alleanza per un giusto comportamento morale . . . . . . . . . . . Gabriel Witaszek Il dono come principio dellagire morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . Aristide Gnada Predicare il vangelo in modo nuovo Alcuni ipotetici percorsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Serafino Fiore The Resurrection and the foundations of Moral Theology . . . . Anthony J. Kelly Work in progress on Tradition in Moral Theology . . . . . . . . Terence Kennedy Experience as a Source of Moral Theology Notes from a clinical ethicist . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mark Miller Amartya Kumar Sen e la povert globale. Analisi etica e linee essenziali di confronto con la Caritas in veritate . . . . . . . . . . . Domenico Santangelo
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Reviews / Recensiones / Recensioni


FANTON ALBERTO, Metodologia per lo studio della teologia. Desidero intelligere veritatem tuam (lvaro Crdoba Chaves) . . . . . . . . GARCA MAESTRO JUAN PABLO, La Teologa del Siglo XXI. Hacia una teologa en dilogo (J. Silvio Botero G.) . . . . . . . . . . . . . . .
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CONTENTS / NDICE / INDICE

GROCHOLEWSKI ZENON Cardinal, Universitatea Azi Universitt Heute (Martin McKeever) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KOWALSKI EDMUND, Osoba i bioetyka. Zagadnienia biomedyczne dla duszpasterzy i katechetw [Persona e bioetica. Questioni biomediche per i pastori e catecheti] (Andrzej Zwoli nski) . . . . . MACHINEK MARIAN, Spr o status ludzkiego embrionu [Controversia sullo status dellembrione umano] (Edmund Kowalski) . . TREMBLAY RAL, Franois-Xavier Durrwell teologo della Pasqua di Cristo (Vincenzo Viva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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International Conference / Congreso Internacional Congresso Internazionale


Le fonti classiche e contemporanee di teologia morale Resoconto del VII Congresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale (Cadine -Trento [Tn], 21-24 luglio 2010) Enrique Lpez Gabriel Witaszek Ordo caritatis e fragilit umana Cronaca del XXIII Congresso dellAssociazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM) (Pietralba - Nova Ponente [Bz], 22-24 luglio 2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giovanni Del Missier

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Chronicle / Crnica / Cronaca


Cronaca dellAccademia Alfonsiana relativa allAnno Accademico 2009-2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Danielle Gros
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Books Received / Libros recibidos / Libri ricevuti . . . . . . . . . . . . Index of volume 48 (2010) / ndice del volumen 48 (2010) Indice del volume 48 (2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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LA VENUTA DEL FIGLIO DI DIO NELLEUCARISTIA Il dono della nuova alleanza per un giusto comportamento morale
Gabriel Witaszek, C.Ss.R.*

Il documento della Pontificia Commissione Biblica Bibbia e morale. Radici bibliche dellagire cristiano pone laccento sulla morale rivelata come dono di Dio1. Lespressione morale rivelata2 relaziona tre principali doni di Dio: la creazione; lalleanza con il popolo dIsraele e la nuova alleanza3 con la venuta e lopera del Suo Figlio nel-

* The author is an extraordinary professor of biblical theology at the Alphonsian * Academy. * El autor es profesor extraordinario de teologa bblica en la Academia Alfonsiana. Bibbia e morale. Radici bibliche dellagire cristiano (= Collana Documenti Vaticani), Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2008 (dora e poi DPCB). 2 Cfr. Intervista Di Mirko Testa a padre Klemens Stock, Segretario della Pontificia Commissione Biblica, il 27 aprile 2007, cfr. http://www.zenit.org/article; I. SCHINELLA, Morale rivelata o Morale incarnata? A proposito di un recente documento della Pontificia Commissione Biblica, in Asprenas 56 (2009) 113-130. 3 Luso del termine nuova alleanza, caratterizzata dal dono dello Spirito, risale a San Paolo che la contrappone lalleanza antica, strutturata dalla legge di Mos (2Cor 3, 4-6). Il tema della nuova alleanza ripreso nel Nuovo Testamento per descrivere il rapporto di continuit e di novit tra lelezione dIsraele da parte di Dio e leconomia cristiana. Come scrive A. WNIN [Alleanza, in Temi teologici della Bibbia, a cura di R. PENNA, G. PEREGO, G. RAVASI, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2010, 30]: Per il NT la nuova alleanza definitivamente suggellata in Cristo (Eb 9, 15). Infatti, se lalleanza al Sinai stata conclusa nel sangue degli animali (Es 24, 8), quella nuova si compie nel sangue di Ges.
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la Persona di Ges di Nazaret. Nel giorno della Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, riuniti nel cenacolo di Gerusalemme assieme a Maria e alla prima comunit dei discepoli di Cristo, ha avuto luogo la solenne manifestazione della nuova alleanza tra Dio e luomo nel sangue di Cristo (1Cor 11, 25)4. Questa nuova alleanza simboleggiata dallEucaristia (Lc 22, 20), inaugurata con il dono che Ges fa della propria vita (Mt 26, 28). Cristo il nuovo dono di Dio allumanit e allo stesso tempo lesempio pi alto per un giusto comportamento morale. Ges, istituendo lEucaristia, don alla Chiesa il sacramento, che, sotto le specie del pane e del vino, contiene il suo corpo e il suo sangue, offerti in sacrificio per la salvezza degli uomini. NellEucaristia egli ha dato allumanit lo strumento per poter adempiere al dovere fondamentale di riconoscenza e di amore verso Dio. La Chiesa, come scrive Giovanni Paolo II, ha ricevuto lEucaristia da Cristo suo Signore come dono per eccellenza, perch dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanit, nonch della sua opera di salvezza (Ecclesia de Eucharistia, 11). Alla base del dono c la reciproca relazione di amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Nella dinamica damore del dono del Padre nello Spirito il Figlio rappresenta la luce finale. Cristo, infatti, colui che riceve, come uomo, il dono di Dio ossia, che un uomo sia il Figlio. La filiazione divina lautentica rivelazione di Dio come Padre, che si compie soltanto in colui al quale, il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11, 27). una rivelazione che comprende la realizzazione di una storia damore con il Figlio per saper vivere come figlio, per il Padre. Laspetto dinamico e attivo di questa filiazione acquista un valore specifico nelle azioni delluomo e nel suo modo di agire5. La dinami-

Dio non si rende pi presente nel tempio, come veniva nella prima alleanza, ma nel corpo morto e risorto di Cristo (Gv 2, 13-22). Si tratta di unalleanza definitiva ed eterna, preparata dalle precedenti alleanze, di cui parla la Sacra Scrittura. 5 L. MELINA J. NORIEGA J. J. PREZ-SOBA, Camminare nella Luce dellAmore. I fondamenti della morale cristiana, Edizioni Cantagalli, Siena 2008, 493 nota 62: F. OCRIZ BRAA, Hijos de Dios en Cristo. Introduccin a una teologia de la participacin sobranatural, Ed. Universidad de Navarra, Pamplona 1972.

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ca del dono comprende sempre lintenzione di una reciprocit e presuppone necessariamente unapertura radicale delluomo a una dinamica che lo precede. Essa imprescindibile per comprendere lintenzionalit propria della conoscenza umana6.

1. Alleanze esteriori ed interiori a) Lalleanza mosaica esteriore


NellAntico Testamento si trovano diversi esempi di alleanza umana e dellalleanza che Dio ha voluto stringere con gli uomini. Essa strettamente legata con lidea dellelezione dIsraele e di conseguenza con la fuga dallEgitto, momento fondamentale comunitario e salvifico per Israele e per le future generazioni7. La liberazione dallE-

L. MELINA J. NORIEGA J. J. PREZ-SOBA, Camminare nella Luce dellAmore. I fondamenti della morale cristiana, 485. 7 Lalleanza un concetto centrale nella Bibbia e designa il legame in virt del quale sono uniti in generale Dio e lumanit e, in particolare, il popolo dIsraele. Per Israele il concetto dalleanza non era una novit assoluta. Sul piano umano egli gi la conosceva, come vincolo di mutua solidariet, che univa due o pi persone in virt di un patto sacro, che veniva sancito da giuramento concluso con un sacrificio e una cena alla quale partecipavano i contraenti, diventati ormai fratelli. Mangiando le carni dello stesso animale, formavano da quel momento una sola unit solidale, una eventuale violazione avrebbe costituito uno spergiuro e attirato la vendetta divina. Nel libri di Genesi ci sono molti esempi di alleanze stipulate a livello umano tra un patriarca e un altro uomo (Abramo e Abimlech in 21, 22-23; Isacco e Abimlech in 26, 26-30; Giacobbe e Lbano 31, 43-54). Altrettanto significativa quella tra i Gabaoniti e gli Israeliti, per assicurare la loro sopravvivenza durante lo sterminio dei popoli di Canaan (Gs 9). Cfr. GIOVANNI PAOLO II, La Pentecoste: compimento della nuova alleanza, in Udienza Generale il 2 agosto 1989; DPCB, 26; A. MISTRORIGO, Giuda alfabetica alla Bibbia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1995; P. BEAUCHAMP, Proposition sur lalliance de lAncien Testament comme structure, in ID., Pages exgtiques, Cerf, Paris 2005, 55-86; S. HAHN, Covenant in the Old and New Testaments (1994-2004), in CBiR 3 (2005) 263-292; R. RENTDORFF, La formula dellalleanza, Ricerca esegetica e teologica, Paideia, Brescia 2001.

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gitto viene intesa come la vocazione dIsraele ad aprirsi alla rivelazione del vero Dio (Es 3, 13-15) e ad adorare lui solo (Es 3, 12. 15. 18: 4, 23: 5, 1. 3. 8: 7, 16: 8, 4). Essa serviva da introduzione a quella liberazione che sarebbe stata realizzata in modo perfetto, nella pienezza dei tempi, da Cristo. Questa esperienza di Dio sar talmente basilare da diventare forma relazionale di vita8. Tale atto salvifico stato poi coronato con la stipulazione dellalleanza con la quale Dio si impegnato ad essere il Dio dIsraele, e questi ad essere il popolo del Signore9. Prima dellalleanza del Sinai, stabilita tra Dio e il popolo di Israele tramite Mos, vi erano gi state, lalleanza di Dio col patriarca No e con Abramo. Dopo il diluvio, Dio aveva stretto unalleanza con No, rappresentante della nuova umanit e di tutta la creazione che circonda luomo nel mondo visibile: (...) ecco, io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che con voi (...) (Gen 9, 9-10). Questa alleanza ha preso la forma di un impegno solenne di Dio, unilaterale e dunque eterno, a non distruggere pi la terra a causa degli uomini, anche se il loro cuore da sempre incline al male. Lalleanza di Dio con Abramo aveva un altro significato. Essa era accompagnata dalla solenne promessa di concedergli numerosa posterit e la terra di Canaan (Gen 15 e 17), promessa poi rinnovata con Isacco (Gen 26) e con Giacobbe (Gen 28, 12-17). Dio scelse un uomo e con lui stabil unalleanza a motivo della sua discendenza: Stabilir la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te (Gen 17, 7). Dio si impegn con Abramo e i suoi discendenti, gli offr la sua amicizia, lo associ allattuazione del suo disegno salvifico. Abramo rispose con fede alla pro-

La rivelazione di Dio accompagnata dalla promessa del dono di una terra (Gen 12, 7) e della conoscenza sempre pi profonda di Dio (Es 6, 3; Is 48, 12-17). 9 G. WITASZEK, Lalleanza dimenticata. Richiamo etico dei profeti, in StMor 47/1 (2008) 11-12.

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posta di Dio, cosa che lo giustifica (Gen 15, 6; Gal 3, 6). Lalleanza con Abramo era lintroduzione allalleanza con un intero popolo, Israele, in considerazione del Messia che doveva provenire proprio da quel popolo, eletto da Dio a tale scopo. Lalleanza del Sinai si presenta come un prolungamento e un perfezionamento di quella di Abramo (Es 19-24) ed il momento centrale e unificante degli eventi fondamentali: la liberazione della schiavit e lentrata nella terra promessa. Il raggiungimento della terra promessa non automatico: legato alla condizione che Israele accetti il vincolo con Jahve (alleanza), e losservanza della legge. Perch la liberazione dallEgitto si compia con larrivo nella terra promessa era necessario la libera risposta di Israele alliniziativa del suo Dio. E la fedelt allalleanza (osservanza della legge) rimane la condizione, perch Israele possa godere del permanere nella terra promessa. La terra non mai raggiunta una volta per tutte. Lalleanza sinaitica il caposaldo della rivelazione vetero-testamentaria, che da la vita a tutta la storia dIsraele. Essa ha rivelato in modo definitivo un aspetto essenziale del disegno di salvezza: Dio vuole unire a s gli uomini, facendone una comunit cultuale votata al suo servizio, governata dalla sua legge, depositaria delle sue promesse. Lalleanza del Sinai comportava impegni espressi nel codice che Dio don al popolo tramite Mos10. La legge era segno del dialogo tra Jahve e il suo popolo e attraverso di essa Mos custod il popolo. Mos che fu custode di questo dialogo, rammentava con forza al popolo il legame con Dio e il suo impegno (Es 32, 32). Dio scelse Israele come sua particolare propriet: Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es 19, 6), ma a con-

Tra i luoghi dove Dio ha dato la legge a Israele durante il suo peregrinare, primeggia il monte Sinai, sul quale Mos ricevette da Dio le tavole della legge (Es 24, 12: 31, 18; Dt 4, 13: 5, 22) e alle cui pendici stata ratificata la prima e fondamentale alleanza dIsraele con Dio (Es 24, 1-11) dalla quale dipendono tutte le altre e ne sono conferma. Alcune norme date a No (Gen 9, 1-7) e ad Abramo (Gen 17, 10-14) fanno parte dellalleanza, detta alleanza mosaica, stabilita da Dio con il popolo dIsraele attraverso Mos. Cfr. Alleanza, in Dizionario di Teologia Biblica, XAVIER LEON-DUFOUR e altri collaboratori, Marietti, Torino 51978, 27-34.

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dizione che il popolo osservasse la legge che egli avrebbe dato col decalogo (Es 20, 1-21), le altre prescrizioni e norme. Da parte sua Israele si impegnato a questa osservanza: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo! (Es 19, 8). Dio accordando la sua alleanza ad Israele e facendogli delle promesse, gli impone anche delle condizioni da osservare fedelmente. Lo descrive accuratamente L. Melina: I comandamenti esprimono il modo con cui il popolo pu rimanere dentro lAlleanza e cos entrare in possesso di quanto finora solo promesso: lingresso nella terra promessa. I precetti dellAlleanza si pongono cos come regola per il cammino tra un beneficio gi gratuitamente ricevuto e una promessa ancora sperata e attesa11. I comandamenti di Dio formano una totalit inscindibile attraverso cui il popolo chiamato a esprimere la sua fedelt allalleanza12. La legge nellAntico Patto quella dellalleanza tra Dio e il suo popolo: dunque lalleanza che d il vero significato ai comandamenti. Essa d origine al popolo consacrato al Signore, e gli offre anche i comandamenti come regole di vita, unistruzione data per il tempo del cammino13. La legge non lespressione della divina volont che viene imposta alluomo, ma innanzitutto un insegnamento, in cui lo stesso Dio (Dt 4, 5-6). Il Decalogo, nel libro di Esodo (20, 1-17) stato inserito allinterno di una sezione che narra della stipulazione dellalleanza ai piedi del monte Sinai. Ci che Israele deve fare legato a ci che Dio e ha fatto per Israele. Il codice, contenuto nella Legge, non si presenta per come il fine della condotta, ma piuttosto come unin11 L. MELLINA J. NORIEGA J. J. PREZ-SOBA, Camminare nella luce dellamore. I fondamenti della morale cristiana, 216; cfr. J. LHOUR, La Morale de lAlliance, Cerf, Paris 1985; P. BEAUCHAMP, La legge di Dio, Piemme, Casale Monferrato 2000. 12 R. FISICHELLA, Ges di Nazaret profezia del Padre, Paoline, Milano 2000, 48-51. 13 G. LIEDKE C. PETERSEN, Tra h, in E. JENNI C. WESTERMANN (Hrsg.), Theologisches Handwrterbuch zum Alten Testament II, 1032-1043 (traduzione italiana: tra h istruzione, in Dizionario Teologico dellAntico Testamento II, 931-941); G. ANGELLINI, Teologia morale fondamentale, Glossa, Milano 1999, 254-294. Il termine legge (tra h) talvolta viene inteso come legge prescrittiva, ma esprime invece lidea pi ampia del carattere istruttivo della storia della salvezza.

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sieme di indicazioni affinch luomo non perda il cammino che lo conduce verso il bene ultimo, la comunione con Dio. I precetti dellalleanza si pongono quindi come regole per il cammino tra un beneficio gi gratuitamente ricevuto e una promessa sperata e ancora attesa14. Solo imitando il modo di agire di Dio nei suoi interventi gratuiti di liberazione verso luomo, lazione umana pu entrare in alleanza con lui e offrire il contributo necessario per il compimento del disegno salvifico15. Il libro del Deuteronomio (5-11) che riporta il secondo discorso di Mos, propone in maniera sintetica il complesso di comandi, leggi e norme che il Signore ha ordinato di insegnare, sottolineando latteggiamento fondamentale, che precede lobbedienza alle singole prescrizioni: lappartenenza totale di Israele a Dio, in cui la vita e da cui solo si pu sperare la realizzazione della promessa. Le tante leggi diventano una sola parola come esprime in maniera eccellente il brano di Dt 32, 46-47: Ponete nella vostra mente tutte le parole che io oggi uso come testimonianza contro di voi. Le prescriverete ai vostri figli, perch cerchino di eseguire tutte le parole di questa legge. Essa infatti non una parola senza valore per voi; anzi la vostra vita; per questa parola passerete lunghi giorni sulla terra di cui state per prendere il possesso, passando il Giordano. Per osservare le singole norme, leggi e comandi, occorre per conoscere e amare il legislatore. La legge non diventa un idolo solo nel contesto dellalleanza16. I comandamenti dati dal Signore nellalleanza sono espressione di legge intelligente e giusta che verr riconosciuta anche dai popoli circostanti (Dt 4, 6-8). Il Dio dellalleanza lo stesso Dio creatore che guida tutti i popoli della terra. La legge morale donata ad Israele nellal-

L. MELLINA J. NORIEGA J. J. PREZ-SOBA, Camminare nella luce dellamore. I fondamenti della morale cristiana, 216. 15 Il libro del Deuteronomio d le motivazioni per giustificare losservanza della legge. Esse sono due tipi: il primo tipo rimanda a un perch che fa memoria del dono di liberazione di Dio realizzato nel passato Dt 5, 15; e il secondo tipo rimanda a un affinch, che prospetta il futuro compimento della promessa Dt 6, 13. 16 P. BEAUCHAMP, La legge di Dio, 109.

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leanza ha carattere universale, scritta nel cuore espressione della sapienza del Creatore, che ha disposto ordinatamente tutte le cose per il bene (Sap 10, 1-4). Le parole della legge forniscono lunica base autentica per la vita degli individui, delle societ e delle nazioni; oggi come sempre, esse sono lunico futuro della famiglia umana. Salvano luomo dalla forza distruttiva dellegoismo, dellodio e della menzogna. Evidenziano tutte le false divinit che lo riducono in schiavit.

b) La novit dellalleanza secondo i profeti


La storia dellantica alleanza attesta che limpegno della fedelt verso Dio molte volte non stato mantenuto. I profeti Geremia17, Ezechiele ed Isaia rimproverano Israele per le sue infedelt e guardano al futuro in cui promessa una nuova alleanza (Ger 31, 31-34)18: Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali con la casa di Israele

Il profeta Geremia sin dallinizio della sua attivit profetica denuncia i peccati del popolo di Giuda che consistono nellabbandono di Dio, nel tradimento e nellapostasia (Ger 2, 13. 20: 3, 13: 11, 10). La depravazione del popolo cos grave che ha prodotto una profonda corruzione dellanimo (Ger 1, 18: 10, 21: 23, 11-13), ha determinato nellintimo del popolo una disposizione perversa, ostinata (Ger 33, 3: 6, 10. 15-17) e inveterata verso il male (Ger 2, 5: 16, 11-12). Con la frase lapidaria: Essi hanno violato la mia alleanza (Ger 31, 32) Geremia denunciava la rottura definitiva del rapporto fra Dio e il popolo eletto. Gli inizi del ministero di Ezechiele erano contemporanei con lultima parte dellattivit profetica di Geremia, e con ogni probabilit il giovane Ezechiele avr visto e ascoltato il suo predecessore a Gerusalemme. Non dovrebbe sorprendere dunque di trovare varie somiglianze a livello tematico fra questi due libri, ci nonostante, il libro di Ezechiele parla con una voce ben propria. 18 DPCB, 56-58; A. WNIN, Alleanza, in Temi Teologici della Bibbia, 30. Nonostante le colpe della presente generazione alle quali si aggiungono quelle dei padri, il Signore che ha concluso un patto con Israele, non abbandona completamente la sua nazione e la citt prediletta Gerusalemme. Il castigo e la rovina del popolo dIsraele non sono lultima parola di Dio, perch egli per natura un Dio compassionevole e misericordioso (Ger 31, 34: 50, 20). Cfr. B. MARCONCINI, Luomo nuovo secondo Geremia ed Ezechiele, in AA.VV. e COLLABORATORI, Profeti e Apocalittici (= LOGOS, Corso di Studi Biblici 3), ELLE DI CI, Leumann (Torino) 2007, 435-436.

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e con la casa di Giuda io concluder una alleanza nuova. Non come lalleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese dEgitto, una alleanza che essi hanno violato, bench io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sar lalleanza che io concluder con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porr la mia legge nel loro animo, la scriver sul loro cuore. Allora io sar il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno pi istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perch tutti mi conosceranno, dal pi piccolo al pi grande, dice il Signore; poich io perdoner la loro iniquit e non mi ricorder pi del loro peccato. Come giustamente scrive Benito Marroncini: Il testo di Geremia non intende proporre una nuova volont di Dio, una nuova tr che fondamentalmente resta quella dellEsodo, ma una modalit nuova che costituisce un dono, una grazia farla conoscere e praticare, imprimendola nelluomo. Questi cio per conoscere la divina volont (...), non dovr guardare allesterno di s, come alle due tavole di pietra, ma invitato ad ascoltare il proprio cuore, capace ora di fargli sentire la volont divina conforme al vero interesse delluomo19. La novit dellalleanza consiste nel doppio contrasto con il passato. Secondo Geremia, il patto viene stipulato tra Dio che perdona e luomo perdonato, una specie di nuovo patto sancito con la formula: Essi mi avranno per loro Dio ed io li avr per mio popolo (Ger 31, 33) e sfociante sempre in un atto di condono generale: Perdoner la loro iniquit e non ricorder pi il loro peccato (Ger 31, 34: 50, 20). La nuova alleanza verr accolta dal popolo in modo ben diverso dalla precedente (Ger 31, 32). La prima alleanza non stata osservata dalla gente di allora ne dai loro discendenti, ma al contrario la nuova alleanza verr osservata e vissuta. La novit sta nel come questa nuova obbedienza si realizzer di fronte alla disobbedienza del passato20. La novit radicale dellalleanza annunciata in Ger 31, 31-34 sta nellazio-

B. MARCONCINI, Luomo nuovo secondo Geremia ed Ezechiele, in AA.VV. e COLLABORATORI, Profeti e Apocalittici, 438. 20 Negli altri testi, Geremia (6, 10: 13, 23: 17, 1. 9) sembra dire che praticamente impossibile per il popolo vivere secondo le parole di Dio.

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ne di Dio che interiorizzer la sua legge, scrivendola nel cuore21, centro della vita personale, del popolo. Interiorit in contrasto con esteriorit cio con la legge scritta sulle tavole di pietra e forse anche con la legge imposta esteriormente con autorit regale da Giosia nella sua riforma. Se la legge verr scritta nel cuore, allora limpulso di agire secondo le istruzioni di Dio verr dal di dentro, liberamente. Solo cos un uomo sar capace di vivere la legge, in quanto, essendo peccatore, con le proprie forze non pu vivere i precetti del Decalogo. Tale forza scaturisce da unappartenenza reciproca fra Jahve e il suo popolo (Ger 31, 33). Gli israeliti non avranno pi bisogno di istruzione per poter conoscere Jahve, per poter vivere questa relazione. Conoscere connota la sintonia di mente e di cuore. Essa include anche il superamento della barriera tra luomo e Dio. Se la legge verr scritta nel cuore, allora tutti, dal pi piccolo al pi grande, potranno sentire dentro di s come comportarsi. Ci sar una connaturalit con la volont di Dio e non ci sar nessun bisogno di maestri. Questo intervento di Dio, secondo Ezechiele, si concretizza in una specie di trapianto di cuore umano (Ez 36, 26. 27-38)22, perch quello di pietra, sede del peccato, non pi atto a coltivare pensieri di fedelt e di comunione con il Dio dellalleanza. Ezechiele, insieme con gli esiliati, condivide la fatica di capire la situazione dellesilio, di riconoscere le colpe e di sperare per un futuro migliore23. Egli si
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Ger 31, 31 lunico testo nellintero dellAntico Testamento dove si trova il sintagma nuova bert; alleanza nuova o di alleanza rinnovata. 22 Negli oracoli Ez 36, 16-38 annunciato la purificazione di Israele in termini antropologici: nuovo cuore e nuovo spirito (Ez 36, 26-27), nuova fertilit anche per la terra, e tutto come segno della santit di Jahv e come testimonianza della sua potenza sulle altre nazioni (Ez 36, 20-21: 22-23: 36). 23 Ezechiele si trov a profetizzare nel periodo in cui Israele perse definitivamente la sua libert. Nel 593 a. C., Gerusalemme cadde in mano ai Babilonesi, e molti ebrei furono deportati come prigionieri. In questa situazione Ezechiele si sente inviato in mezzo agli esuli a sostenere la speranza, a indicare un senso ancora positivo della vita, pur in mezzo a una spaventosa tragedia. Egli fa lanalisi della situazione religiosa del popolo e arriva alla conclusione che la storia finita male perch mancata la seriet nella fedelt da parte dei capi civili e religiosi che hanno usato male il loro potere e non sono stati capaci di garan-

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impegnato a dare certezza in una situazione difficile. In tale contesto Ezechiele sogna con entusiasmo un cambiamento radicale della situazione del popolo vissuto nellesilio babilonese. Secondo Ezechiele, Dio intende rinnovare alla radice i rapporti con il suo popolo proponendogli ancora unalleanza di reciproca fiducia, di fedelt che inizier con il dono della pace e della sicurezza da parte di Dio. Nel proclamare il rinnovo dellalleanza il Signore non pone condizioni, ma lui stesso dona pace e sicurezza, benedizione e protezione. Ci sar un nuovo pastore, che sar in continuazione con Davide. Nella nuova lalleanza ci sar una nuova riconciliazione con la terra e gli elementi cosmici. Dio ratificher la nuova alleanza con Israele ripetendo i segni dellesodo. Egli condurr di nuovo il suo popolo come un gregge verso la terra promessa partecipando questa volta a ricostruire le fondamenta della vera religione e del culto coerente. La critica al formalismo cultuale diventa importante per creare una mentalit pi cosciente alla trasformazione del cuore. Tutto questo sar accompagnato dal dono gratuito e radicale di un cuore nuovo, uno spirito nuovo (Ez 36, 26- 38). Nel cuore nuovo, Dio stesso pone la sua legge, segno della sua volont salvifica e amorosa e gli offre in dono la possibilit di rispondere e di aprire un dialogo. In forza di questa alleanza, anche se il peccato lo ha allontanato da Dio, Israele non morir, ma rester in vita grazie allamore misericordioso di Dio24.
tire la giustizia e il diritto. Alla violenza dei capi, si accompagnata cos la violenza interiore dello sradicamento e della mancanza dei punti di riferimento della diaspora. Il caos di valori e soprattutto la sensazione di una catastrofe ha favorito uno sbando collettivo. Dalla vita pubblica sono spariti il senso della responsabilit e della solidariet reciproca (Ez 34, 8. 10). 24 Lannuncio della speranza e della gloria per Israele arriva anche dal profeta Trito Isaia (56-66) nel post esilio. Egli esprime la certezza dellagire divino che ha ormai liberato il popolo dalla schiavit (Is 60, 1. 4-5. 15. 19-22: 62, 3-5). Segno definitivo della ripresa del rapporto con Dio sar il dono della profezia che verr fatto per tutto il popolo. Questo sar la dimostrazione dellelezione di Israele a popolo scelto da Dio. Lo Spirito del Signore rimarr come segno della speranza di un incontro definitivo quando Dio abiter per sempre con il popolo. Lelemento conclusivo nel rinnovamento dellalleanza e la promessa a cui guardare per verificare la fedelt di Dio loracolo di Gioele (3, 12), Cfr. R. FISICHELLA, Ges di Nazaret profezia del Padre, 62.

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Secondo il profeta Isaia la legge che costituisce la nuova alleanza verr impressa nello spirito umano per mezzo dello Spirito di Dio. Infatti lo Spirito del Signore si poser su un virgulto che spunter dal tronco di Iesse (Is 11, 2), cio sul Messia. In lui si realizzeranno le parole del profeta Isaia: Lo Spirito del Signore (...) mi ha consacrato con lunzione (Is 61, 1). Il Messia, guidato dallo Spirito di Dio, realizzer lalleanza e la render nuova ed eterna. E ci che preannuncia lo stesso Isaia con parole profetiche sospese sulloscurit della storia: Quanto a me, ecco la mia alleanza con essi, dice il Signore: il mio spirito che sopra di te e le parole che ti ho messo in bocca non si allontaneranno dalla tua bocca n dalla bocca della tua discendenza n dalla bocca dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre (Is 59, 21). Le parole di Isaia trovano il pieno compimento in Cristo (Gv 5, 37) e nel suo Vangelo, che rinnova, completa e vivifica la legge e nello Spirito Santo, che viene mandato in virt della redenzione operata da Cristo mediante la sua croce e la sua risurrezione, a piena conferma di ci che Dio aveva annunziato per mezzo dei profeti gi nellantica alleanza.

2. Eucaristia, dinamica pasquale della nuova alleanza a) La nuova cena dellesodo


LEucaristia istituita durante la pasqua ebraica evoca la cena pasquale dellesodo, che si consumava in memoria dellalleanza del Signore con il popolo eletto quando lo condusse nella terra promessa liberandolo dalla schiavit dEgitto (Es 12, 13: 24, 8)25. Essa rievoca il rito sacro dellimmolazione di un agnello e del pasto di comunione, consumato dagli Ebrei per essere risparmiati dalla morte al passaggio dellangelo sterminatore nella notte in cui fuggirono dallEgitto (Dt 26, 5-9).

Sullesperienza religiosa dellesodo si sarebbe fondata la coscienza di unalleanza eterna stabilita da Dio con il suo popolo e, per mezzo di essa, con tutti gli uomini.

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Ges, celebrando lultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, ha dato alla Pasqua ebraica un significato nuovo e definitivo e nella sua persona ha attuato il piano divino di salvezza (Lc 2, 11; Gv 4, 42; At 5, 31; Ef 5, 23; 2Tm 1, 10)26. Lantica alleanza sul monte Sinai, tra il popolo di Israele e Dio, fu sancita con il sangue di un sacrificio; cos anche lalleanza definitiva del nuovo Israele convalidata dal sacrificio di Cristo, vero Agnello. La nuova alleanza portata da Ges non cancella la precedente, perch Dio rimane fedele alle sue parole e alle sue azioni (Rm 9-11). Confrontando la nuova alleanza con lantica si nota linfinita superiorit della seconda sulla prima. Lantica era scritta sulla pietra, la seconda invece nello spirito e nel profondo del cuore (2Cor 3, 6-7). Con la nuova alleanza sono rimessi i peccati (Rm 11, 27), Dio abita in mezzo agli uomini (2Cor 6, 16), muta il loro cuore e pone il suo spirito in essi (Rm 5, 5). Essa tocca lintimo delluomo (2Cor 3, 6), dona a tutti la libert dei figli di Dio (Gal 4, 24) e riguarda ogni tempo e luogo, ogni popolo e nazione, perch il sangue di Cristo ha stabilito lunit del genere umano (Ef 2, 12ss.). Nella persona di Ges, il Figlio di Dio e luomo, Ges di Nazaret, sono uniti intimamente e in modo immutabile e definivo; Dio si vincolato in modo inscindibile allumanit. Per mezzo di lui lintera umanit entrata in quella liberazione e salvezza che Dio dalleternit aveva pensato e voluto, per amore verso gli uomini. Cristo viene quale capo del nuovo Israele, per realizzare nel suo sangue la nuova ed eterna alleanza per la salvezza di tutto il mondo. Listituzione dellEucaristia era cos importante che Ges ha sentito il bisogno di preparare per tempo i suoi discepoli con la moltiplicazione dei pani, con lacqua trasformata in vino a Cana di Galilea e con il discorso sul pane della vita, tenuto nella sinagoga di Cafarnao. La moltiplicazione dei pani operata da Ges (Mt 14, 13-21: 15, 3239; Mc 6, 31-44; Lc 9, 10-17; Gv 6, 1-15) costituisce un momento cul-

RAL TREMBLAY, Escatologia e protologia alla luce del Cristo pasquale, in R. TREMBLAY, Franois Durrwell teologo della Pasqua di Cristo. Con bibliografia di Durrwell a cura di JULES MIMEAULT, (Memoria 7), Lateran University Press, Citt del Vaticano, 2010, 189-210.

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minante della sua manifestazione divina. Il testo sinottico fa riferimento a Ges che con soli cinque pani e due pesci riesce a sfamare una moltitudine di cinquemila persone. I gesti di Ges che prende i pani, alza gli occhi al cielo, ringrazia Dio, spezza i pani e li d alla gente dimostrano una solennit rituale che richiama al rito eucaristico (Mt 26, 26). Il racconto evidenzia anche la presenza significativa dei discepoli, che svolgono un compito di mediazione tra Ges e la folla. Essi capiscono perfettamente le intenzioni del maestro, anche se sono dubbiosi sulla reale possibilit di sfamare tanta gente. I dodici, presenti e attivi nella moltiplicazione dei pani, alludono ai ministri della Chiesa che distribuiscono lEucaristia e linsegnamento di Ges ai credenti. Il nuovo popolo di Dio si nutre alla tavola eucaristica del corpo e del sangue di Cristo. Nella Chiesa gli Apostoli e i ministri spezzano il pane eucaristico e la parola del Signore. Ges trasformando lacqua in vino a Cana di Galilea (Gv 2, 11) annunzia lora della sua glorificazione e manifesta il compimento del banchetto delle nozze, nel regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo (Mc 14, 25) divenuto il Sangue di Cristo. Ges nel discorso sul pane di vita, tenuto nella sinagoga di Cafrnao (Gv 6, 22-59) spiega che la moltiplicazione dei pani un segno premonitore di qualche cosa di pi grande e pi importante che succeder: Il pane che io dar la mia carne (Gv 6, 51). Egli si riferisce anche al dono della manna, che perisce presto (Gv 6, 32. 48-50). Definita nei salmi pane del cielo (Sal 78, 24: 105, 40), la manna fu donata da Dio al popolo dIsraele come nutrimento durante i quaranta anni di peregrinazione nel deserto, prima di giungere nella terra promessa. Ges afferma che non stato Mos a dare il pane del cielo agli Israeliti, ma che Suo Padre d il vero pane, e lui stesso il pane vivo, disceso dal cielo (Gv 6, 41) e aggiunge: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna ed io lo risusciter nellultimo giorno. Perch la mia carne vero cibo e il mio sangue vera bevanda. (...) Questo il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono. Chi mangia questo pane vivr in eterno (Gv 6, 54-55. 58). LEucaristia dunque pegno dimmortalit, e sacramento di comunione con Cristo. Nel Vangelo di Giovanni la parola vita lespressione privilegiata per indicare la salvezza.

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b) Ges lartefice del nuovo esodo


Ges il grande pastore del gregge (Eb 13, 20) ossia del popolo eletto, del nuovo Israele e lartefice del nuovo esodo. Egli pone il nuovo Israele in una nuova pasqua e in una nuova alleanza, passando lui stesso da questo mondo al Padre, come sacerdote, vittima e sacrificio. Per lasciare un pegno di questo amore, per non allontanarsi mai dai suoi discepoli e renderli partecipi della sua pasqua, istitu lEucaristia come memoriale della sua morte e della sua risurrezione, e ordin ai suoi Apostoli di celebrarla fino al suo ritorno. Il momento solenne dellistituzione viene descritto con parole molto sobrie e concise dai tre Vangeli sinottici (Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 19-20) e da san Paolo (1Cor 11, 23-26). Giovanni evangelista riferisce le parole di Ges nella sinagoga di Cafarnao, che preparano listituzione dellEucaristia: Cristo si definisce come il pane di vita, disceso dal cielo (Gv 6). Secondo i sinottici, mentre la cena continuava, Ges comp un atto alquanto insolito nel rito pasquale. Prese del pane e dopo aver pronunziato la preghiera di benedizione, lo spezz e dandolo ai discepoli disse: Prendete e mangiate (Mt 26, 26; Mc 13, 22),Questo il mio corpo che dato per voi; fate questo in memoria di me (Lc 22, 19). Poco dopo prese un calice colmo di vino e dopo averlo benedetto allo stesso modo disse: Bevetene tutti, perch questo il mio sangue dellalleanza, versato per molti, in remissione dei peccati (Mt 26, 27-28; Mc 13, 24; Lc 22, 20). Ges ordinando di ripetere i suoi gesti e le sue parole fino al suo ritorno (1Cor 11, 26), non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ci che ha fatto. Egli chiede la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione e della sua intercessione presso il Padre. Il termine memoriale (anamnesi) nel contesto biblico, indica azioni rituali riferite ad un evento salvifico passato in grado tuttavia di attualizzarlo, rendendolo presente ai celebranti nelle sue stesse dimensioni salvifiche, e proiettandolo anche verso il futuro. Memoriale indica, nella liturgia ebraica e cristiana, latto liturgico di far memoria di un avvenimento importante della storia della salvezza (Es 12, 14). Tale memoria ritenuta attualizzante: il fatto ricordato

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reso presente, e i suoi frutti resi disponibili ai partecipanti. Quando la Chiesa celebra lEucaristia, fa memoria della pasqua di Cristo, e questa diventa presente: il sacrificio che Cristo ha offerto sulla croce, rimane sempre attuale (Eb 7, 25-27). LEucaristia il memoriale di Ges crocifisso e risorto, segno vivo ed efficace del suo sacrificio, compiuto una volta per tutte sulla croce e ancora operante a favore di tutta lumanit (1Cor 11, 24). Lintera celebrazione eucaristica (liturgia della parola e liturgia eucaristica) il memoriale di tutto il mistero di Ges, centrato nella sua morte e risurrezione e costituisce il culto di Dio per la salvezza del mondo. La preghiera eucaristica , in modo particolare, pervasa dal tema del memoriale.

c) I segni del pane e del vino


Al centro della celebrazione Eucaristica troviamo il pane e il vino che, per le parole di Cristo e linvocazione dello Spirito Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo27. Il pane e il vino, le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore, costituivano nellantica alleanza le offerte per due sacrifici incruenti: quello del cibo e quello della bevanda (Lv 7, 11-14; Nm 15, 1-12)28. Nel contesto dellEsodo essi assumono un nuovo significato. I pani azzimi che Israele mangiava ogni anno a Pasqua, commemoravano la fretta della partenza liberatrice dallEgitto e la manna del deserto ricordava sempre ad Israele che egli viveva del pane della Parola di Dio (Dt 8, 3). Grande importanza avevano nellAT i pani delle offerte, posti sopra un tavolo speciale nel Tempio, davanti al Santo dei Santi, in nu-

Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 1992, 1333. 28 Pane e vino sono usati nella celebrazione dellEucaristia perch Ges stesso li ha usati nellultima cena per esprimere lofferta di s. Tra il popolo di Israele, pane e vino erano il cibo e la bevanda basilari, e spezzare il pane e benedire il calice di vino erano riti importanti e ricchi di significato durante i convitti festivi. Ci che Ges ha fatto nellultima cena era dunque legato alle tradizioni esistenti.

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mero di dodici rappresentavano lAlleanza di Dio con Israele (Lv 24, 5-9; 1Re 7, 48; 2Cr 13, 11), e la comunione di vita di Dio con il suo popolo. Molto importante era il pane ottenuto delle primizie dei raccolti e, in particolare, dal grano offerto a Dio nella festa delle Settimane, perch era lespressione di riconoscenza al Signore per tutti i suoi doni (Es 23, 17). Il pane quotidiano, infine, era il frutto della terra promessa, pegno della fedelt di Dio alle sue promesse. Ges ha istituito la sua Eucaristia conferendo un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del vino. Per la vita delluomo il pane sempre stato un elemento nutritivo indispensabile, e la sua mancanza significava privazione del necessario per vivere (Am 4, 6). La quotidiana dipendenza dal pane, come cibo, creava il quotidiano vincolo con Dio. Era considerato uno dei ponti che conducevano luomo a Dio e Dio alluomo. In tale luce acquistano splendido significato le moltiplicazioni dei pani sia nellAntico Testamento (2Re 4, 42-44) che nel Nuovo Testamento (Mt 14, 20: 15, 37), il dono prefigurato dai pasti di Ges con i discepoli (Mt 11, 19) e soprattutto il pane eucaristico (Gv 6). Nel Padre nostro, insegnato da Cristo, la richiesta di pane sembra riassumere tutti i doni che sono necessari per lanima e per il corpo (Mt 6, 9-13; Lc 11, 2-4). Nei sacrifici dellAntico Testamento il vino aveva un posto speciale. La legge prescriveva che nellolocausto quotidiano ci fosse anche lofferta di vino (Es 29, 40; Nm 15, 5. 10; 1Sam 1, 24; Os 9, 4). Il vino era pure una delle primizie che spettavano ai sacerdoti (Dt 18, 4; Nm 18, 12; 2Cr 31, 5). Ges, a Cana di Galilea, compie il suo primo miracolo: trasforma lacqua in vino, un gesto che racchiude un significato messianico sottolineato dallabbondanza del vino e della sua ottima qualit (Gv 2, 1-12). Il vino che sostituisce lacqua preparata per le abluzioni, fa capire che Egli il Messia venuto a sostituire lantica alleanza con la nuova e a superarla. Ges riserva inoltre luso del vino per listituzione dellEucaristia. Il vino viene cos elevato alla massima dignit ed espressione. Il sangue nella Bibbia viene considerato come principio vitale che appartiene a Dio, autore della vita. Era elemento e simbolo di unione con Dio. Un vincolo di stretta Alleanza era confermato con laspersio-

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ne del sangue delle vittime offerte in sacrificio (Es 24, 4-8). Nei sacrifici perci il sangue aveva una funzione primaria, perch esprimeva la vita che, veniva offerta a Dio con virt espiatoria (Dt 12, 20-25; Lv 17, 11-14). Il sangue di Cristo, vittima perfetta, ha sigillato la nuova Alleanza tra Dio e gli uomini come i profeti avevano annunziato (Ger 31, 31-34) e come Cristo stesso ha proclamato nellultima Cena dicendo: Questo il sangue mio della nuova Alleanza, sparso (...) in remissione dei peccati (Mt 26, 28), e di cui gli Apostoli annunziarono poi il compimento (2Cor 3, 6; Rm 11, 27; Eb 8, 6-13: 9, 15). Il sangue versato in sacrificio la nostra bevanda di salvezza con la quale entriamo in comunione di vita con Dio (Gv 6, 55-56). Lo conferma san Paolo dicendo: Il calice con il quale noi ringraziamo Dio, quando lo beviamo, ci mette in comunione con il sangue di Cristo (1Cor 10, 16). Lassemblea liturgica celebra ci che secondo il racconto del Nuovo Testamento Ges fece nellultima cena, la sera prima della sua passione: egli pronunci la preghiera di ringraziamento e di benedizione sul pane e sul vino, offrendo se stesso ai suoi discepoli nel pane spezzato e nel vino versato29. Nei doni consacrati del pane e del vino Ges ci dona se stesso, si offre affinch gli uomini possano essere redenti e liberati dal peccato e dalla colpa. Ogniqualvolta lassemblea cristiana si riunisce per la celebrazione dellEucaristia (ringraziamento), celebra il memoriale di questofferta o sacrificio, confidando nella fede che Ges presente e che laddove la preghiera di ringraziamento e di benedizione siano pronunciate sopra il pane e il vino egli si dona ai fedeli nel santo sacramento. Coloro che celebrano questo memoriale e ricevono Ges sono introdotti da Cristo nella sua stessa fiduciosa relazione con Dio Padre e nel suo offrirsi per gli uomini. In questo modo coloro che celebrano insieme lEucaristia sono trasformati e assunti nel Corpo di Cristo.
Restando fedele alle sue origini storiche anche la Chiesa usa il pane e il vino nella celebrazione dellEucaristia. Ci sono stati alcuni cambiamenti per quanto riguarda i dettagli del rituale e delle pratiche eucaristiche. Cos, invece del pane che veniva spezzato e distribuito nel banchetto festivo, ad un certo momento stato introdotto luso di ostie che potevano essere spezzate in parti pi piccole; queste per non assomigliavano quasi per nulla al pane.
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Nella celebrazione eucaristica, il pane ed il vino restano inalterati nella loro concreta realt materiale e fisica; la forma (il termine tecnico latino species) del pane e del vino preservata interamente. Ma pane e vino vengono assunti in un nuovo contesto in cui acquisiscono un nuovo significato: in essi Ges Cristo, vivo in Dio, dona se stesso. Pane e vino, dunque, assumono un significato completamente nuovo, dato da Ges Cristo stesso e fondato in Dio stesso. Ma poich la realt ci che al cospetto di Dio, occorre dire che nellEucaristia pane e vino sono trasformati nella loro realt pi profonda: essi comunicano la presenza di Ges Cristo. La loro pi profonda realt non pi quella di nutrimento o di piacere per la vita terrena degli uomini, bens quella di comunicare la presenza di Ges come cibo per la vita eterna (Gv 6). Nel loro aspetto fisico, pane e vino restano inalterati; Ges non diviene pane e vino nella loro realt fisica. Per questo Ges non masticato quando il pane mangiato; non limitato nello spazio del pane; non soffre quando il pane spezzato.

3. Lalleanza nuova e limpegno nuovo a) Dimensione sacramentale dellEucaristia


Levento della morte e risurrezione di Ges, non rimasto isolato in coordinate spazio-temporali, ma istituendo il dono dellEucaristia egli si dato salvificamente a ciascuno e alla Chiesa30. Il dono dellEucaristia richiede come specificazione della sua forma di svilupparsi fino alla sua realizzazione piena. Il dinamismo della ricezione del dono si realizza nella misura in cui luomo capace di dare agli altri e di donare se stesso. LEucaristia fonte e culmine di tutta la vi. GARCA IBEZ, Leucaristia, dono e mistero. Trattato storico-dogmatico sul mistero eucaristico, Universit della Santa Croce, Roma 2006, 23-35; W. KASPER, Sacramento dellunit. Eucaristia e Chiesa, Queriniana, Brescia 2004, 45-56; D. MOSSO, Riscoprire lEucaristia. Le dimensioni teologiche dellultima cena, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 123-149.
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ta cristiana (LG, 11) ed il centro e vertice di tutta la vita sacramentale. Attraverso lEucaristia riceviamo la forza salvifica della redenzione. In questo sacramento si rinnova continuamente, per volere di Cristo, il mistero del suo sacrificio sulla croce, sacrificio che il Padre accett, ricambiandolo con il dono della vita immortale nella risurrezione. Attraverso lo Spirito Santo, la vita divina viene comunicata a tutti gli uomini che sono uniti a Cristo (Gv 5, 21. 26; 1Gv 5, 11). Di questa unione con Cristo, lEucaristia il sacramento pi perfetto. Partecipando ad essa, noi ci uniamo a Cristo, che intercede per noi presso il Padre (Eb 9, 24; 1Gv 2, 1), perch egli ci ha redenti e comprati a caro prezzo (1Cor 6, 20), dimostrando cos il valore che noi abbiamo presso Dio, la nostra dignit di figli di Dio (Gv 1, 12) e la nostra compartecipazione al sacerdozio regale (1Pt 2, 9; Ap 5, 10), mediante il quale, uniti a Cristo, possiamo pure noi, restituire luomo e il mondo al Padre. Nel Figlio incarnato, il dono divino si realizza in modo umano anche nelle azioni, cosa di importanza decisiva per luomo, che riceve questo dono solo sviluppando una relazione personale con Ges Eucaristico. La sinergia tra lazione di Dio e quella delluomo deve seguire la forma storica che Dio ha scelto nel suo piano di salvezza e, attraverso la scelta libera, tale storia diventa un mezzo per raggiungere il dono che Dio fa di se stesso.

b) Dimensione comunitaria dellEucaristia


Gli Atti degli Apostoli riferiscono che, dopo lAscensione di Ges al cielo e la Pentecoste, i primi cristiani (...) erano assidui nellascoltare linsegnamento degli Apostoli, nellunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere (At 2, 42). Soprattutto il primo giorno della settimana, la domenica, giorno della risurrezione di Ges, i cristiani si riunivano per spezzare il pane (At 20, 7). Il rito di frazionare il pane, tipico della cena ebraica, consiste nel dividerlo in tante parti quanti sono i fedeli presenti. Questo rituale stato utilizzato da Ges quando benediceva e distribuiva il pane come capo della mensa (Mt 14, 19: 15, 36; Mc 8, 6. 19) in particolar modo nellUltima Cena (Mt 26, 26; 1Cor 11, 24). Da allora, la celebrazione dellEucaristia si perpetuata con la stessa struttura fondamentale, fino ai nostri gior-

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ni e la ritroviamo nella Chiesa. Fra tutti i gesti compiuti nellUltima Cena, quello dello spezzare il pane sembra avere per la Chiesa primitiva un valore particolare. I discepoli di Emmaus riconoscono Ges nel gesto dello spezzare il pane (Lc 24, 13-35) sia perch il Maestro ha avuto un modo particolare e personale di eseguire questa azione (Mc 6, 41: 8, 6. 19), ma soprattutto perch essi lhanno collegata alla cena di pochi giorni prima. Il rito dello spezzare il pane, ereditato dai Giudei che lo facevano durante i pasti, ora riguarda il rito eucaristico, e sottolinea il carattere sociale e comunitario dellEucaristia: un solo pane, un solo corpo. Ne deriva che, tutti coloro che mangiano dellunico pane spezzato, Cristo, entrano in comunione con lui e formano in lui un solo corpo (1Cor 10, 16-17). Affinch tutti possano riceverne, il pane deve essere spezzato, diviso, come avviene normalmente a tavola fra i membri di una stessa famiglia. Costruire la fraternit che la frazione del pane richiede, significa impegnarsi nellessere costruttori di unit. La prima comunit era aperta a tutti; ci che contava era la fedelt al progetto di Ges di accogliere tutti senza distinzione. La frazione del pane sopprime le barriere discriminatorie tra gli uomini. La comunione con Cristo profondamente legata alla comunione con i fratelli. Lassemblea eucaristica domenicale un evento di fraternit, che la celebrazione deve mettere bene in evidenza, pur nel rispetto dello stile proprio dellazione liturgica (Mt 5, 23-24). Ricevendo il Pane di vita, i discepoli di Cristo si dispongono ad affrontare, con la forza del Risorto e del suo Spirito, i compiti che li attendono nella loro vita quotidiana. In effetti, per il fedele, la celebrazione eucaristica non pu esaurirsi allinterno del tempio. Come i primi testimoni della risurrezione, i cristiani convocati ogni domenica per vivere e professare la presenza del Risorto sono chiamati a diventare evangelizzatori e testimoni. In tal modo lEucaristia costruisce la Chiesa come autentica comunit di popolo di Dio e come vera assemblea di fedeli, e la rigenera sulla base del sacrificio di Cristo stesso, perch celebra il memoriale della sua morte sulla croce, per mezzo della quale siamo stati redenti. La Chiesa fin dalla sua origine, celebra latto sacramentale dellEucaristia come uno degli impegni che Ges, suo Dio, salvatore e

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fondatore, le ha lasciato. LEucaristia lazione sacrificale durante la quale, il Sacerdote offre il pane e il vino a Dio, che, per opera dello Spirito Santo, diventano realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, lo stesso Corpo e lo stesso Sangue offerti da Ges stesso sulla croce. NellEucaristia si vive il mistero stesso del corpo e del sangue del Signore, come testimoniano le parole dellistituzione pronunciate da Cristo, le stesse, ripetute dal sacerdote durante la celebrazione. Ne consegue che la Chiesa vive dellEucaristia nella quale Cristo veramente presente. Egli ricevuto come cibo, lanima ricolma di grazia e le viene dato il pegno della gloria futura (Sacrosanctum Concilium, 47; Redemptor hominis, 20). Sin dalle origini, lEucaristia costituisce il cuore del culto della Chiesa. In essa si celebra il memoriale della vita, morte e resurrezione di Ges Cristo. Per la nostra fede Ges Cristo, risorto dai morti da Dio Padre, vivo e rimane per sempre presente nella Chiesa: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28, 20). Nella celebrazione dellEucaristia lassemblea cristiana si riunisce consapevole della presenza di Cristo secondo le parole stesse di Ges che ci sono state tramandate: Perch dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18, 20). Lassemblea prega ed ascolta la parola di Dio, cos come stata trasmessa nella Scrittura; in essa presente anche Cristo, che Parola di Dio. In ogni Eucaristia si rinnova il sacrificio di Cristo per il mondo, nuova alleanza di Dio con luomo: il Signore d nuovo nutrimento alluomo e nuova forza alla Chiesa perch gli sia fedele, pronto a seguire con la propria vita la sua vita, donata nel servizio a tutti. Per questo la Chiesa invita i cristiani a partecipare alla Messa ogni domenica e ad accostarsi alla comunione sacramentale almeno a Pasqua: la completa partecipazione allEucaristia non pu tralasciare questo suo fondamento ossia la comunione al corpo di Cristo, che Cristo stesso ha lasciato ai cristiani, anche come responsabilit. Il sangue di Ges offerto per gli uomini si fa comandamento nuovo. Nel racconto dellistituzione eucaristica fatto, da Paolo, Ges aggiunge: Fate questo in memoria di me (1Cor 11, 25). Non solo il comandamento di ricordare ritualmente il suo gesto ma anche linvito sottinteso ad agire come egli ha agito, con la sua stessa disponibi-

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lit al sacrificio e alla rinuncia di s per amore degli altri. Lo dice esplicitamente Pietro, ricordando che Cristo pat per voi, lasciandovi un esempio, perch ne seguiate le orme (1Pt 2, 21). Ges esprime questo concetto formulando il comandamento fondamentale di tutta letica cristiana, nellampio e conclusivo discorso tenuto agli apostoli durante lultima cena, per commentare il senso di quelleucaristia che lEvangelista Giovanni d per presupposta. In questo discorso Ges riassume tutto il suo insegnamento in un unico comandamento: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, cos amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13, 34). Il modo con cui Ges ha amato e insegna ai discepoli ad amarsi precisato poco dopo: Nessuno ha amore pi grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13). Come scrive R. Robuschi: In tutto il vangelo, questo lunico comandamento di Ges a essere citato da Giovanni. Per levangelista questo , infatti, lunico comandamento proprio di Ges: Questo il mio comandamento (Gv 15, 12), ed il suo unico comandamento nuovo. Esso costituisce infatti la novit sostanziale ed essenziale di quella che possiamo chiamare la legge di Ges, ovvero del suo insegnamento etico, rispetto alla legge o Trah di Mos. Allamare il prossimo come se stessi qui sostituito lamare il prossimo come Ges ha amato, fino a dare la propria vita per gli altri31. La rivelazione fatta da Ges e lesempio dato da Ges hanno un valore morale permanente in tutti i tempi32. E infine al dono della presenza di Ges collegata la norma globale, per cui chi vuole en31 R. ROBUSCHI, La legge nuova e antica di Ges. Linee di teologia morale e biblica nel Vangelo di Matteo, (= Interpretare la Bibbia oggi 2.4 a cura di Carlo Ghidelli), Editrice Queriniana, Brescia 2006, 167-168; SINODO DEI VESCOVI, LEucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2005; G. MARCHESI, Il sinodo dei vescovi sullEucaristia, in La Civilt Cattolica 156 (2005) IV, 57-65. 32 R. TREMBLAY, Leucaristia e il fondamento della vita morale secondo Sacramentum caritatis di Benedetto XVI, in NARDIN, R.TANGORRE, G., Sacramentum caristatis. Studi e Commenti sullEsortazione Apostolica postsinodale di Benedettto XVI (Dibattito per il Millennio, 11), Lateran University Press, Citt del Vaticano 2008, 541-549; ID., Eucaristia e morale: Pane di vita per il mondo, in LOsservatore Romano 21.10.2005, 6.

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trare nella comunione di vita offerta da Ges deve seguirne lesempio. Non possibile desiderare la comunione di vita con Ges e poi comportarsi in modo egoistico, non corrispondente al modo di vivere di Ges. La persona umana prima creatura a cui Dio ha donato la stessa vita, poi membro del popolo eletto con cui Dio ha stipulato una particolare alleanza. Questo dono esprime la comunione profonda che Dio instaura con Israele, frutto della sua libera iniziativa damore. Esso richiede senso di responsabilit da parte delluomo, che si concretizza nellosservanza dei comandamenti divini attraverso i quali Dio manifesta la sua volont. Le disposizioni morali, i comandamenti, le prescrizioni e le proibizioni non sono fine a se stesse, non ci sono prescrizioni a se stanti, c sempre un dono di Dio che precede e implica un modo giusto di accoglierlo e amministrarlo33.

Conclusione
Lalleanza il patto che Dio, di sua propria iniziativa, ha voluto stringere in ordine alla salvezza, nelle varie epoche della storia del mondo. Dopo il diluvio, Dio aveva stretto unalleanza con No, rappresentante della nuova umanit (Gen 9). Nella memoria rimane soprattutto lalleanza divina con Abramo, accompagnata dalla solenne promessa di concedergli numerosa posterit e la terra di Canaan (Gen 15: 17), rinnovata poi con Isacco (Gen 26) e con Giacobbe (Gen 28, 10-22). Lalleanza del Sinai (Es 19-24) si presentava come un prolungamento e un perfezionamento di quella di Abramo. Con lalleanza stretta sul Sinai, Dio si impegnato ad essere il Dio dIsraele, e questi ad essere il popolo del Signore (Es 19, 5; Lv 26, 12). Si trattava di una libera iniziativa di Dio, con la quale egli si impegnava a essere
R. TREMBLAY, La voie christique daccs la loi naturelle la lumire de lcriture. En marge du rcent document de la Commission Thologique Internationale sur la loi naturalle, in StMor 48/1 (2010) 64-66; P. CARLOTTI, Il dono come ermeneutica e rivelazione della persona. La prospettiva teologicomorale, in A. AMATO e G. MAFFEI (a cura di), Super fundamentum apostolorum, LAS, Roma 1997, 557-575.
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presente e a camminare con il popolo dIsraele (Es 25, 8); a garantirgli la sua protezione e il suo aiuto (Es 23, 22); a dargli una legge, che lo guidasse nella vita religiosa, morale, civile, individuale, familiare e comunitaria (Es 20-23) e a garantirgli il possesso di una terra (Es 23, 31-33). A Israele, Dio ha chiesto limpegno esplicito e formale di osservare la sua legge, condizione indispensabile per vivere nella vera libert, che egli ha concesso. La legge del Sinai doveva entrare nel cuore di ciascun Israelita ed essere un continuo richiamo alla presenza di Dio e uno stimolo incessante a servire lui solo (Dt 6, 6-9). Israele accetta Jahve come suo unico Dio, perch riconosce che egli intervenuto nella sua storia con gesti prodigiosi, a lui si affida totalmente e per sempre e promette di rispettare la sua legge. Israele, diventando popolo di Dio diventato anche un popolo di fratelli, i cui membri dovevano sentirsi uniti con vincoli di amore reciproco, di giustizia, di rispetto e di pace. Per il popolo dIsraele lalleanza era un vincolo di mutua solidariet, che univa due o pi persone in virt di un patto sacro, che creava diritti e doveri reciproci, che veniva sancito da giuramento e concluso con un sacrificio e una cena tra i contraenti, diventati fratelli. I Giudei mangiando le carni dello stesso animale, formavano cos una sola unit solidale e credevano di unirsi alla divinit (1Cor 10, 18). Solo cos Israele poteva testimoniare nel suo cammino di libert la salvezza operata da Dio. Ges, celebrando lultima Cena con i suoi Apostoli durante il banchetto pasquale della nuova alleanza, ha dato alla Pasqua ebraica un significato nuovo e definitivo e nella sua persona ha attuato il piano divino di salvezza (Lc 2, 11; Gv 4, 42; At 5, 31; Ef 5, 23; 2Tm 1, 10). La cena pasquale dellesodo, che si consumava in memoria dellalleanza del Signore con il popolo eletto quando lo condusse nella terra promessa liberandolo dalla schiavit dEgitto (Es 12, 13: 24, 8) evoca lEucaristia. Essa rievoca il rito sacro dellimmolazione di un agnello e del pasto di comunione, consumato dagli Ebrei per essere risparmiati dalla morte al passaggio dellangelo sterminatore nella notte in cui fuggirono dallEgitto (Dt 26, 5-9). Lantica alleanza sul monte Sinai, tra il popolo di Israele e Dio, fu sancita con il sangue di un sacrificio; cos anche lalleanza definitiva del nuovo Israele convalidata dal sacrificio di Cristo, vero Agnello. La nuova alleanza portata

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da Ges non cancella la precedente, perch Dio rimane fedele alle sue parole e alle sue azioni (Rm 9-11). Confrontando la nuova alleanza con lantica si nota linfinita superiorit della prima sulla seconda. Lantica era scritta sulla pietra, la seconda invece nello spirito e nel profondo del cuore (2Cor 3, 6-7). Con la nuova alleanza sono rimessi i peccati (Rm 11, 27), Dio abita in mezzo agli uomini (2Cor 6, 16), muta il loro cuore e pone il suo spirito in essi (Rm 5, 5). Essa tocca lintimo delluomo (2Cor 3, 6), dona a tutti la libert dei figli di Dio (Gal 4, 24) e riguarda ogni tempo e luogo, ogni popolo e nazione, perch il sangue di Cristo ha stabilito lunit del genere umano (Ef 2, 11-22). Nella persona di Ges, il Figlio di Dio e luomo, Ges di Nazaret, sono uniti intimamente e in modo immutabile e definivo; Dio si vincolato in modo inscindibile allumanit. Per mezzo di lui lintera umanit entrata in quella liberazione e salvezza che Dio dalleternit aveva pensato e voluto, per amore verso gli uomini. Cristo viene quale capo del nuovo Israele, per realizzare nel suo sangue la nuova ed eterna alleanza per la salvezza di tutto il mondo.

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SUMMARIES
The Covenant of Sinai, based on its commandments of the Law contained in a book, is replaced by the way of life of Jesusin which are realised and concretised not only the commandments of the Law, but also the very teachings of the Covenant. The New Covenant, founded in the blood of Jesus, renews us completely, and places us in a deep relationship with God through Christ. In his Incarnation there arises a whole sacramental dynamism which is intrinsic to the human mode of reception of the divine gifts lived out in the mediation of the Church. One of the special sacramental signs is the Eucharist, which directly transforms the results of human activity, the bread and wine, into the essence of this sacrament. Men respond to the gift of the Son of God in the Eucharist, in the bread and wine they have previously received by participating in the offering which Christ makes of himself in love. This is an internal reality of the action, which is realised by means of a efficacious sign: the dimension of gift, proper to the human action. *** La alianza del Sina basada en los mandamientos de la ley, contenidos en un libro, es sustituida por la forma de actuar de Jess, en el cual se realizan y concretizan no slo los mandamientos de la ley, sino tambin sus mismas enseanzas. La nueva alianza, basada en la sangre de Jess, nos renueva totalmente y nos pone en profunda relacin con Dios por medio de Cristo. En su encarnacin, se origina toda una dinmica sacramental, intrnseca a la forma humana de recibir los dones divinos, vivida en la mediacin de la Iglesia. La Eucarista es uno de los sacramentos especiales, que transforma directamente el fruto de las obras del hombre, el pan y el vino, en la esencia de este sacramento. Los hombres responden al don del Hijo de Dios en la Eucarista, en el pan y en el vino que antes han recibido participando del ofrecimiento que Cristo hace de s mismo por amor. Es una realidad interna de la accin que se cumple por medio de un signo eficaz: la dimensin del don, propia de la accin humana. *** Allalleanza del Sinai fondata sui comandamenti della legge, contenuti in un libro, si sostituisce il modo di agire di Ges, nel quale si realizzano e si concretizzano non solo i comandamenti della legge, ma anche i suoi stessi insegnamenti. La nuova alleanza, fondata sul sangue di Ges ci rinnova completamente e ci mette in relazione profonda con Dio attraverso Cristo. Nella sua incarnazione, nasce tutta una dinamica sacramentale, intrinseca al modo umano di ricevere i doni divini, vissuto nella mediazione della Chiesa. Uno dei speciali sacramenti lEucaristia, che trasforma direttamente il frutto delle opere delluomo, il pane e il vino nellessenza di questo sacramento. Gli uomini rispondono al dono del Figlio di Dio nellEucaristia, nel pane e nel vino che hanno precedentemente ricevuta partecipando allofferta che Cristo fa di se stesso per amore. una realt interna dellazione, che si realizza per mezzo di un segno efficace: la dimensione del dono, propria dellazione umana.

IL DONO COME PRINCIPIO DELLAGIRE MORALE


Aristide Gnada, C.Ss.R.*

Introduzione
Il concetto del dono , oggigiorno, oggetto di varie interpretazioni non solo nel campo della sociologia e dellantropologia1, ma anche nella filosofia contemporanea a partire dai contributi di Jacques Derrida (1930-2004) e di Jean-Luc Marion2. Nel discorso socio-antropologico che riguarda il dono, si convinti che il triplice obbligo di donare, ricevere e rendere costituisce la base delle relazioni sociali. Derrida e Marion chiamano in causa tuttavia questa concezione del

* The author is an invited professor at the Alphonsian Academy. * El autor es professor invitado en la Academia Alfonsiana. Il presente articolo riprende la relazione svolta durante il VII Congresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale Le fonti classiche e contemporanee di teologia morale (Cadine-Trento, 21-24 luglio 2010). 1 Cfr. MAUSS MARCEL, Sociologie et anthropologie. Introduction luvre de Marcel Mauss, = Bibliothque de sociologie contemporaine, Presses Universitaires de France, Paris 1950, pp. 143-279; GODBOUT Jacques, Lesprit du don, Editions La Dcouverte, Paris 1992; ID., Le langage du don, Editions Fides, Qubec 1996; ID., Ce qui circule entre nous. Donner, recevoir, rendre, Les Editions du Seuil, Paris 2007; CAILL ALAIN, Anthropologie du don. Le tiers paradigme, ditions Descle De Brouwer, Paris 2000. 2 DERRIDA JACQUES, Donner le temps, I. La fausse monnaie, Editions Galile, Paris 1991; ID., Donner la mort, in RABAT JEAN-MICHEL WETZEL MICHAEL, Lthique du don. Derrida et la pense du don, Editions Transition, Paris 1992, pp. 11-108; Marion Jean-Luc, Esquisse dun concept phnomnologique du don, in Archivio di filosofia 1-3 (1994) 75-94. (1994); ID., tant donn. Essai dune phnomnologie de la donation, Presses Universitaires de France, Paris 1997.
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dono, perch, secondo loro, il donatore, loggetto donato e colui che riceve il dono rendono ciascuno a modo proprio il dono impossibile, trasformandolo in un sistema di scambio e di economia, mentre il dono deve essere gratuito. Per se per Derrida il vero dono rimane assolutamente impossibile, pur essendo pensabile, desiderabile e dicibile a causa del suo legame con letica, per Marion, esso impossibile solo nellorizzonte delleconomia e dello scambio, ma non dal punto di vista del dono ridotto alla donazione e irriducibile allo scambio e/o alleconomia3. Accanto alla decostruzione derridiana del concetto del dono e alla fenomenologia di Marion della donazione, abbiamo lontologia del dono di Bruaire che lo considera come lessere nel suo modo spirituale di essere4. Per Bruaire, lessere umano, in quanto essere di spirito, un dono di essere a se stesso, il cui destino quello di essere dono nella sua origine e per gli altri. Come tale non pu affermarsi nella negazione della sua origine che il Dono assoluto, n nel rifiuto della sua realt ontologica che lessere-dono, n nella negligenza del suo modo di esistere che di essere dono. Lontologia del dono in Bruaire, pu essere avvicinata alla teologia del dono in Giovanni Paolo II che afferma che luomo pu realizzarsi solo nel dono di s allaltro, luogo della sua vocazione e fonte della sua felicit. Per Giovanni Paolo II, il dono la via di passaggio dallindividuo ripiegato su di s alla persona aperta a Dio per essere sostenuta nel suo donarsi agli altri, e la libert umana significa, nella prospettiva della libert evangelica, dono di s e disciplina del dono, libera iniziativa e dovere personale5. Lermeneutica del dono nelle varie discipline ci rivela che con il dono siamo di fronte ad un termine polisemico ed ambivalente, ad
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Cfr. CAPUTO D. JOHN, Aptres de limpossible: sur Dieu et le don chez Derrida et Marion, in Philosophie 78 (2003) 33-51. 4 Cfr. BRUAIRE CLAUDE, Pour la mtaphysique, Librairie Arthme Fayard, Paris 1980, pp. 258-266; ID., Ltre et lesprit, Presses Universitaires de France, Paris 1983. 5 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso allassemblea parlamentare del consiglio europeo, n. 4; ID., Lettera alle famiglie (2 febbraio 1994), n. 14.

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una realt complessa e misteriosa. Il dono simboleggia laffetto, la simpatia, lamore, appare come un legame sociale, ontologico ed etico, funziona come un sistema di benevolenza, di solidariet o, comunque, come un sistema fondamentale dazione6. Il dono un fatto sociale che impegna le dimensioni economica, ecologica, culturale, politica, sociale, etica e spirituale delluomo, per cui, la teologia morale, che ha luomo e il suo agire come oggetto prossimo, non pu essere indifferente al fenomeno del dono. Gi A. Mattheeuws, partendo dalla costatazione della presenza del dono nelluniverso, mostra che il dono il fondamento della morale familiare, ma, come lo dice Jean-Louis Brugus, veramente linsieme stesso della teologia, e quindi la teologia morale anche, che trarrebbe sicuro vantaggio dallessere rivisitato da questo concetto7. In questa prospettiva ed ispirandomi a G. Richard8, cercher di mostrare, a partire dal dono come esperienza fondamentale dellessere umano nella prima parte, che la vita morale in fondo come un donarsi allaltro in analogia del donarsi divino allumanit nella seconda parte, e che il dono stesso come il principio dellagire morale nella terza parte.

1. Il dono come esperienza fondamentale dellessere umano


Se consideriamo lesperienza come tutto ci che afferrato dai sensi e costituisce la materia della conoscenza umana, come un insie-

Cfr. DUMONT JEAN-NOL, Le Don. Thologie, philosophie, psychologie, sociologie, Editions de lEmmanuel, Lyon 2001; BENVENISTE MILE, Problmes de linguistique gnrale, ditions Gallimard, Paris 1966, pp. 316-323; COMITO ANGELO, Dire dono oggi: tra linguaggio e significato, in PANIZZA GIACOMO, Il dono. Iniziatore di senso, di relazioni e di polis, Rubbettino Editore, Soneria Mannelli 2003, pp. 27-28; ZANARDO SUSY, Il legame del dono, Edizioni Vita e Pensiero, Milano 2007, 6-62 e 535-603. GODBOUT J., Ce qui circule entre nous, pp. 277-288 e 122-157. 7 Cfr. MATTHEEUWS ALAIN, Les dons du mariage. Recherche de thologie morale et sacramentelle, ditions Culture et Vrit, Bruxelles 1996; ID., Amarsi per donarsi. Il sacramento del matrimonio, Marcianum Press, Venezia 2008. 8 MATTHEEUWS A., Amarsi per donarsi, p. 11.

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me di fenomeni conosciuti e conoscibili, quindi come ci che si applica a tutto ci che collegato o stato esperito dallessere umano mediante il ricevere da un altro o il comunicare ad un altro, possiamo chiederci: quale lesperienza fondamentale della persona? Meditando su questa domanda ci accorgiamo che, prima di essere capace di discernere, la persona umana stata in contatto con la realt del dono, con il dono della possibilit di essere, e che, al risveglio della coscienza, esperimenta la verit del dono almeno sotto tre forme: la forma ontica o il dono di qualcosa di determinato, la forma non ontica o il dono educativo, e la forma ontologica o il dono dellessere personale. Nelle due prime forme, che possiamo chiamare dono umano, sperimentiamo la nostra capacit di dono nel ricevere e nel donare, mentre nella terza forma, sperimentiamo limpossibilit di un tale dono per noi e, quindi, la dipendenza del nostro essere da una origine donatrice, chiamata Dio nelle diverse religioni. Nella forma ontica del dono, facciamo lesperienza di tre categorie di dono che sono destinati ad offrire delle possibilit al donatario: i doni che permettono al donatario di essere semplicemente o di vivere, per esempio la generazione9 o il dono della vita, le cure mediche ed ogni attivit che assicura la sopravvivenza dellaltro; i doni che permettono al donatario di essere una persona capace di fissare e di tendere verso uno scopo, per esempio tutto quello che riguarda listruzione10; e i doni che permettono al donatario di considerarsi come un essere fine in s nella sua dignit personale e non come un mezzo, per esempio gli affetti e le premure, certe opere darte e dottrine filosofiche o teologiche11. Dalla nostra esperienza deducazione possiamo dire che pi che trasferire una cosa determinata come listruzione, educare fare
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Cfr. RICHARD GILDAS, Nature et formes du don, Editions LHarmattan, Paris 2000. 10 necessario distinguere il senso della generazione da quello della creazione: la generazione o dono della vita consiste nel donare la possibilit di essere, di vivere, mentre la creazione o dono ontologico consiste nel donare lessere stesso. 11 Imparare a parlare, scrivere, leggere, la formazione tecnica, scientifica.

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uscire laltro da ci che non veramente egli stesso, e sviluppare in lui ci che rimane irriducibile ad un condizionante conglomerato di realt materiali. Leducazione consiste cos in una conversione dellaltro alla verit del suo essere, per cui essa prende sempre la forma di una spoliazione, appare sempre alleducando come qualcosa dindesiderabile, dinaspettato, dimprevisto, e, di conseguenza, possibile solo nello spirito di gratuit di un dono che simpone allaltro per aiutarlo a scoprire ed a vivere, secondo la verit del suo essere, ad accogliere una realt che lo precede e si offre a lui12. Da queste due forme del fenomeno, possibile ricavare alcune caratteristiche del dono nel suo concetto puro: lassenza di contropartita che troviamo nella definizione corrente del dono come trasferimento di qualcosa che gratuita; la costituzione ternaria del dono in donatore, donatario e oggetto donato; la centralit e la principialit del donatario quando si tratta del dono; limpossibilit di essere chiesto come prova e criterio di ci che esige al massimo grado di essere donato; il riconoscimento dellaltro nella sua dignit di essere fine in s e nella situazione di penuria e di bisogno; il donatore ideale come colui che appare non solo come un non-fornitore, ma che si impone come uno che fa scoprire allaltro la verit del suo essere; il disinteresse, nel senso della gratuit o di un atto motivato dalla preoccupazione per laltro, come qualit naturale del dono. Lesperienza umana ci fa scoprire la verit reale del dono che, in virt della sua radicalit e della sua fondamentalit, effettivamente solido, stabile e sicuro nelle sue manifestazioni, ed atto a suscitare nellessere umano fiducia e fedelt, facendo di s un essere in atto costante di dono, cio donatario e donatore. La carit nella verit, scrive Benedetto XVI, pone luomo davanti alla stupefacente esperienza del dono13. Infatti, da sempre e dappertutto si tessono legami sociali, si entra in relazione interpersonale e si manifesta la reciprocit mediante il dono. Lessere umano posto e configurato dalla verit del dono, in modo che la sua esperienza esistenziale essenzialmente una

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Cfr. RICHARD GILDAS, Nature et formes du don, pp. 110-115. Ivi, pp. 136-170.

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esperienza di dono, una esperienza che universale nello spazio e permanente nel tempo. Lesistenza della persona umana inseparabile dal dono e la sua storia una storia di doni a cominciare dal dono ontologico che egli . Che la persona umana sia dono ontologico, lo possiamo dedurre dallesperienza stessa del dono che ci fa scoprire la figura essenziale delluomo come quella non solo del donatore, ma ugualmente del donatario. Essere donatore nel senso sia del dono ontico che del dono educativo presuppone un capacit fondamentale al donare, e donare allaltro presuppone nellaltro una capacit fondamentale di ricevere. Ora la duplice capacit umana al donare e al ricevere presuppone, a sua volta, un donatore diverso dalluomo ed una forma di dono diversa dal dono umano: Dio e la creazione. La creazione un dono fondamentale ed originario, perch in essa appare luomo che, come immagine di Dio, capace di comprendere il senso del dono nella chiamata dal nulla allesistenza14. Lesperienza del dono ci fa scoprire cos il dono come il concetto adeguato per dire ci che lessere personale veramente e essenzialmente: La persona umana donata a se stessa, un essere-dono, la cui identit rinvia allatto creatore che un atto di dono libero e gratuito. La persona umana ha dunque una origine donatrice che sidentifica con il dono assoluto: Dio. Perch non la propria origine, la persona umana non pu che essere donata, e perch donata a se stessa, essa non pu che essere libera. La persona umana un essere donato a se stesso, un essere libero a immagine della sua origine donatrice: Dio-Creatore. Il dono, come lorigine, manifesta la persona e il suo agire nella libert. Secondo Tommaso dAquino, dovr appartenere a una Persona divina di essere data e di essere Dono e da tutta leternit una Persona divina si dice Dono15. E quando san Giovanni afferma che

BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate sullo sviluppo umano integrale (29 giugno 2009), n. 34, in http://www.vatican.va. 15 GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo cre. Catechesi sullamore umano, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2003, p. 73.

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Dio Amore (1Gv 4, 16), non fa altro che indicarci che lamore, il dono di s, lessenza stessa di Dio, Uno e Trino. Dio linfinita potenza di essere nellunit damore, il cui contenuto si esprime mediante la generazione paterna, la resa filiale e la conferma spirituale16. Nella sua vita intima, insegna Giovanni Paolo II, Dio amore, amore essenziale, comune alle tre Persone divine: amore personale lo Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio17. Nonostante la sua pluralit formale ontica, educativa, ontologica , il dono, in forza del suo scopo che la pienezza dellaltro, un concetto univoco che possiamo comprendere come modo di relazione di una persona ad unaltra che pienamente destinata a s, ma incapace di giungervi da sola. Infatti, il dono ontico la forma dellunico concetto di dono che preserva lintegrit fisica dellaltro. Il dono educativo la forma dellunico concetto di dono che aiuta laltro a scoprire la verit del suo essere umano. Il dono ontologico la forma dellunico concetto di dono che istaura lessere umano come un essere donato a se stesso, al mondo ed a Dio. Eppure lesperienza ci rivela che questo essere, fondamentalmente fatto per il dono, non sempre riconosciuto come tale a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dellesistenza18. Infatti, la persona umana un essere che viene dal dono, vive nelluniverso del dono, un essere aperto al dono, un essere impregnato dalla verit del dono e diretto dalla logica del dono, in modo che per negarlo basta negare questa verit e questa logica nella sua esistenza. Il male morale delle origini di cui ci parla il libro della Genesi (Gen 3, 1-13) non entrato nel cuore delluomo per via di un falso dono o, comunque, di una falsa promessa? Il fratricidio commesso da Caino (Gen 4, 1-16) non stato forse la conseguenza di un rifiuto, da parte dello stesso Caino, della logica del dono che implica la libert
Cfr. TOMMASO DAQUINO, Somma Teologica, I, q. 38, a 1, risp. e sol. 4; a. 2, risp. 17 Cfr. BRUAIRE C., Ltre et lesprit, pp. 190-193. 18 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Dominum et vivificantem sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo (18 maggio 1986), n. 10, in http://www.vatican.va.
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del donatario? In ogni caso, la cattiveria o la malizia di un atto umano risiede sempre nella negazione del dono, sotto forma dantidono19 che consiste nellagire in senso contrario al dono e sotto forma dabbandono20 che consiste nel rifiutare semplicemente di rispondere allappello dellaltro. Nel primo caso, laltro considerato come centro assoluto ma negativo di un atto che cerca di distruggere la sua alterit e la sua dignit ontologica come essere fine in s. Cos le diverse forme domicidio e qualsiasi modo di nuocere allintegrit fisica dellaltro si oppongono al dono della possibilit di essere e di vivere. La privazione dellistruzione si oppone al dono della possibilit di realizzarsi come una persona responsabile di se stessa e degli altri. Lodio, il disprezzo, lindifferenza si oppongono al dono della possibilit di considerarsi nella propria dignit di persona. Nel secondo caso, si tratta di abbandonare laltro alla sua miseria, alla sua sofferenza e, perfino, alla morte. La negazione del dono, allora, sotto forma dabbandono si presenta come il contradditorio stesso del dono. Laltro considerato come un semplice elemento della realt ontica. Anche se , talvolta, oggetto di interesse o di affaccendamento apparentemente generoso, ma di fatto possessivo, cade sempre nellessere considerato come una realt ontica, come cosa tuttal pi, con lo statuto di un centro relativo e momentaneo. La possibilit di negazione del dono nellaltro e in se stesso attesta che la persona umana, in quanto essere donato a se stesso, quindi libero, si trova, secondo la logica stessa del dono che esprime la fraternit, nellesigenza di donare ma sempre nella libert potenziale di accettare o rifiutare, di affermare o negare il dono. Donato a se stesso, luomo logicamente libero dalla logica del dono, a rischio di esaurirsi nellisolamento del rifiuto e della negazione dellaltro mediante certe forme di violenza e dindifferenza, fondate su una concezione utilitaristica e egocentrica dellessere umano, come losserviamo nella violazione dei diritti fondamentali degli uomini. Tutte le

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Caritas in veritate n. 34. Cfr. RICHARD G., Nature et formes du don, pp. 117-119.

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argomentazioni o giustificazioni che possiamo avanzare a favore di una violazione dei diritti umani, per esempio la violazione del diritto alla vita, riconducono incontestabilmente allegoismo come tendenza a preoccuparsi esclusivamente del proprio piacere e del proprio interesse senza curarsi di quello degli altri. Ora una vita moralmente buona, quella che permette alluomo, che nel pieno possesso delle proprie facolt di camminare liberamente verso un profondo compimento di s, liberandosi da una vera alienazione, consiste nellaccettare di essere dono e di vivere secondo la logica del dono che lo definisce essenzialmente. Si tratta qui di una vita morale che possiamo, nella prospettiva delletica cristiana, comprendere come una vita damore o un donarsi allaltro in analogia con il mistero dellIncarnazione: il donarsi divino alluomo o lamore divino ad extra.

2. Vita morale come un donarsi allaltro in analogia 2. con il donarsi divino alluomo
Alla luce del mistero dellIncarnazione, compreso come mistero del donarsi di Dio allumanit (cfr. Lc 1, 26-38), lamore pu essere definito come un duplice desiderio del bene dellaltro e di essere unito allaltro: mancando luna o laltra forma di desiderio, cio il bene dellaltro o quello di essere unito allaltro, non c, per lesattezza, lamore nel senso pieno, ma un amore in senso analogico. Nellamore come desiderio del bene dellaltro e desiderio di unione con laltro, la persona che ama presuppone necessariamente che il bene dellaltro inseparabile da questa unione e consiste nellessere unito allaltro. Il bene dellaltro e lunione con laltro sidentificano, come lo rivela il mistero dellIncarnazione, in cui Dio si donato considerandosi come il supremo desiderabile che colma luomo e desiderando solo il bene delluomo21. Dal mistero dellIncarnazione, cio da quellamore proprio di un totale e irrevocabile dono di s da parte di Dio alluomo in Cri-

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Cfr. RICHARD G., Nature et formes du don, pp. 119-120.

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sto22, possiamo ricavare tre condizioni che fondano la legittimit dellamore come dono di s o come persona che si dona. La prima condizione che la persona che si dona deve essere capace di essere via per un fine, pur rimanendo perfettamente fine in s. Infatti Dio, nel Figlio, ha donato se stesso come fine in s e come via adeguata alla soddisfazione del desiderio delluomo. La seconda condizione che la persona, che riceve laltro che si dona, deve essere mantenuta nella sua identit di fine in se stessa. Infatti, in quanto fine in s che luomo riceve Dio. La terza condizione che il bene della persona che riceve deve consistere nellunione stessa con la persona che si dona. Infatti, il bene delluomo consiste sempre nellunione con Dio. Quindi, Dio stato capace di donarsi come bene alluomo senza confusione didentit, senza sfigurarsi e senza fare violenza alluomo, per cui, Ges Cristo, Figlio di Dio incarnato, vero uomo e vero Dio, secondo la confessione della fede cristiana. Lamore, nel suo senso autentico di una persona che desidera il bene dellaltro e si unisce allaltro, stato nei confronti delluomo vissuto perfettamente da Dio, e soltanto partecipato da Dio stesso nella comunione intratrinitaria delle Persone. Dio solo, perch amore e supremo desiderabile, stato capace di esercitare perfettamente e legittimamente lamore come dono di s o della sua persona allaltro e per il bene dellaltro. Alla luce del mistero dellIncarnazione, necessario confessare lincapacit delluomo di vivere lamore nel suo senso autentico, il cui scopo di colmare lessere umano nel desiderio infinito. In realt, se luomo vuole assolutamente essere ci che colma il desiderio infinito dellaltro, lo sar sia sfigurandosi sia facendo violenza allaltro. Infatti, se luomo, pur riconoscendo linfinitezza del desiderio dellaltro, si presenta come ci che lo colma, significa che si dimentica di essere creatura, cio oblia la propria finitezza per potersi considerare come il supremo oggetto desiderabile dellaltro, e in questo caso si sfigura. Ma se invece luomo, pur riconoscendo la propria finitezza, si presenta come ci che colma il desiderio dellaltro, significa che colmer solo un

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Cfr. RICHARD G., Nature et formes du don, pp. 303-304.

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desiderio finito e impoverito, vale a dire un desiderio di cui avr provocato o, comunque, accettato limpoverimento, un desiderio di cui impedir lallargamento infinito, e in questo caso fa violenza allaltro23. Il dono di s allaltro ha senso e realt solo se il s da donare ci di cui laltro come tale ha bisogno, solo se il s contemporaneamente ci che desidera infinitamente e colma infinitamente ogni desiderio. Ora quando parliamo dellamore come dono di s stesso, nel caso delluomo, il s si riferisce ad uno o molti aspetti certo significativi, ma non allintero essere come nel caso di Dio. Infatti, il dono di s umano pu avere il senso di dare la propria vita e si realizza nellaccettare le sofferenze o anche la morte per laltro o in nome dellaltro. Il dono di s umano pu avere il senso di consacrare la propria vita a qualcuno e si realizza nellimpiegare completamente e definitivamente le proprie capacit, le proprie energie, le proprie risorse, il proprio tempo, il corpo personale e sessuato, a favore dellaltro. Il dono di s umano pu avere il senso dellamore coniugale tra uomo e donna e si realizza nellunirsi, corpo e spirito, allaltro. Quindi il dono di s a livello umano si manifesta realmente come dono di qualcosa che non , per lesattezza, il s, anche se c lintenzione o il desiderio di donare se stesso. Lamore umano, cio il dono di s umano, si traduce concretamente nel dono di qualcosa e nel dono educativo, che sono in realt delle forme imperfette dellautentico amore come dono di s espresso nel mistero dellIncarnazione. Nondimeno queste forme rimangono delle forme perfette che manifestano lessere-dono della persona umana e la sua partecipazione allamore divino, e mediante cui sempre possibile condurre laltro ad una comunione con il dono assoluto che , in verit, il Dio trinitario che si dona in quanto supremo bene desiderabile. Infatti, il dono umano, nelle sue diverse forme, riflette lamore divino, perch lamore divino rivela una parte del suo mistero attraverso ogni forma del dono umano. Lanalogia del donarsi umano permette di penetrare in certo modo nel mistero dellamore divino, fonte e fine della vita morale.

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Udienza Generale (29 settembre 1982), in http://www.vatican.va.

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Lessere umano riflette il dono attraverso il linguaggio, il corpo, il desiderio e la libert, in modo da lasciare scoprire in lui e da lui il dono stesso come il principio del suo agire morale, cio come una realt che unitariamente fonte, norma e finalit dellagire morale.

3. Il dono come principio dellagire morale


Una considerazione pi attenta sullagire umano rivela che lagire morale non diverso dal dono umano: dono di qualcosa e dono educativo. Dono umano ed agire morale sidentificano, perch esprimono lumanit e si traducono in atti concreti per permettere allaltro di essere semplicemente, di essere capace di fissare e tendere verso uno scopo, di considerarsi come fine in s, e di scoprire e vivere in conformit con la verit del proprio essere. Comprendere lagire morale come dono indicare non soltanto lessere in relazione, ma la fonte stessa della responsabilit delluomo verso gli altri rispetto ai loro diritti e doveri fondamentali, e comprendere il dono umano come atto morale significa che la bont di un atto umano risiede nellessere un atto di dono determinato a partire dallaltro come centro, principio e fine in s, in vista di rispondere adeguatamente al suo bisogno vero, necessario ed universale. Riconoscere la persona umana come un essere donato a se stesso riconoscere che, non solo, essa libera causa di ci che fa del proprio essere, ma anche un essere fine in s che chiede nei suoi confronti latteggiamento del dono, perch a un tale essere, non si pu che donare liberamente e gratuitamente. Inoltre, perch la persona umana gratuitamente donata a se stessa, essa infinitamente in debito del proprio essere24 e, perci, in stato originario di resa di se stessa allorigine25. Ma questa resa di s, o conversione ontologica, che sar compiuta so-

Cfr. RICHARD G., Nature et formes du don, pp. 307-308. Il debito non che un fatto sociale o economico, neppure un fatto morale, ma una realt ontologica che situa lessere umano come un essere in dipendenza e, quindi, definisce il suo rapporto con lalterit originaria.
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lo nellinterfaccia con lorigine donatrice alloccasione della morte26, si manifesta gi nel mondo come una conversione morale in forma dapertura agli altri e attraverso la duplice forma del dono ontico ed educativo (cfr. Mt 25, 32). La persona umana, perch donata a se stessa, in debito del suo essere, e perch in debito del suo essere, in obbligo morale, anche se decide, grazie alla sua libert, di rifiutarlo. Letica umana, per lesattezza, non pu essere diversa da una etica del dono come agire morale, ed ogni persona, che segue la logica del dono, pu condurre veramente una vita moralmente buona, perch si tratta di una logica che, simultaneamente, include tutto il bene possibile e esclude il male: donare fare il bene ed evitare il male. La morale obbligo di fronte al dono che ciascuno rappresenta per il fatto stesso di esistere. Profusione e gratuit costituiscono la trama di tutta loggettivit morale27. Lagire umano moralmente buono quando un agire di dono, un agire che, nella prospettiva cristiana, permette alluomo di rimanere sempre pi immagine di Dio-Amore e partecipe della vita damore di Dio. Il fedele in Cristo infatti chiamato ad essere testimone della generosit di Dio in Cristo lasciandosi motivare dallo spirito del dono come principio animatore della sua vita morale che si concretizza negli atti di dono come risposta al bisogno vero, necessario ed universale dellaltro (Mt 25, 31-46; Gc 2, 14-26; 1Gv 2, 7-11; 3, 11-24). Il dono il luogo naturale della carit. solo nella logica del dono che i cristiani possono manifestare la grandezza della loro vocazione in Cristo e il loro obbligo di portare frutto nella carit per la vita del mondo. Ed questa logica che il teologo moralista chiamato a trasmettere sulla scia di Ges Cristo stesso il cui comandamento : Che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati (Gv 15, 12). La carit con cui Cristo ci ha amato superava tanto quelle esigenze giuridiche
Cfr. BRUAIRE C., Ltre et lesprit, pp. 60-61; La force de lesprit, p. 27. Il dono, perch gratuito, apre sempre ad una reazione sotto forma di gratitudine o di conferma del dono ricevuto. 27 Nel reciproco dono di se stesso a Dio, luomo concentrer ed esprimer tutte le energie della propria soggettivit personale ed insieme psicosomatica, cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo cre, pp. 270-271.
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e morali che nessuno poteva rivendicarla. La carit ingloba tutti gli atti moralmente buoni, compresi i castighi, le sanzioni o le punizioni, che possiamo legittimamente porre in virt dei diritti e doveri delluomo, della giustizia. Quindi pi che lo spirito di giustizia, necessario augurare lo spirito di dono per un mondo vivibile, un mondo dove gli uomini si preoccupano e rispondono ai bisogni necessari, veri ed universali degli esseri umani secondo la logica del dono e del perdono, che non nega la giustizia ma la supera e la completa. La citt delluomo non promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor pi e ancor prima da relazioni di gratuit, di misericordia e di comunione28. Una societ umana, a cominciare dalla famiglia, non pu vivere soltanto dei beni della giustizia, vale a dire dei beni che derivano dal dovere. Sono necessari anche i beni della gratuit, cio i beni che derivano dalla coscienza di essere legati agli altri che, in un certo qual modo, fanno parte della mia esistenza. Il dono si rivela non solo come agire morale ma anche come principio dagire morale, cio come ci che lo fonda, lo comanda e lorienta in tutte le sue dimensioni: antropologica, sociale, economica, politica, ecologica. Il dono principio perch non una realt inventata dalluomo, ma una realt che luomo scopre come tale nella sua esistenza e vive nella forma di dono di qualcosa e deducazione. Infatti, nellesistenza umana, la persona, dal suo concepimento alla sua morte, riceve dagli altri la possibilit di vivere, di tendere verso uno scopo, di considerarsi come un essere portatore di dignit, e di scoprire la verit del suo essere come quello di spirito irriducibile alla sua dimensione corporea. Il dono , per lesattezza, un atto di vita che fa vivere lessere umano, una legge che, naturalmente, orienta la finalit dellessere umano, ne esprime i diritti e i doveri, e risponde alle inclinazioni naturali: vita, fecondit e socievolezza, conoscenza. La legge del dono struttura talmente lesistenza umana che nessuno pu prescindere assolutamente da essa29.

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MATTHEEUWS A., Amarsi per donarsi, p. 334. Caritas in veritate, 6.

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La regola fondamentale del dono come principio dellagire morale pu essere formulata cos: latto morale deve essere assolutamente determinato a partire dallaltro. Questa regola significa che le determinazioni delle circostanze di ogni atto morale sono dedotte dalla situazione particolare e determinata, universale e fondamentale dellaltro come fine in s. Laltro si presenta, alla luce del principio dono, come colui a partire dal quale si deve pensare latto morale da porre. Questo non significa per sottomettersi servilmente ai capricci dellaltro. Proprio al contrario, determinare latto morale da porre a partire dallaltro come centro e principio esige di deludere o di contrariare talvolta le sue attese o desideri, per esempio nel caso di un desiderio che chiede leutanasia30, e come lo richiede il dono educativo. In questo dono, leducando soprattutto considerato, nella sua identit di fine in s, come un essere irriducibile ai suoi bisogni contingenti e particolari che mascherano talvolta i suoi desideri essenziali e veri, ed da questa situazione particolare che leducatore laiuter a scoprire la verit del suo essere. Lapplicazione della regola fondamentale dellagire morale come dono richiede dunque un criterio morale da seguire. Questo criterio si basa sul contenuto dellatto da porre come dono di una cosa che esige assolutamente di essere donata: per essere donata, la cosa deve corrispondere al bisogno necessario, vero ed universale dellaltro. Secondo questo criterio, lesigenza assoluta di essere donata risiede nel suo duplice carattere di essere fine in s e mezzo: la cosa da donare deve contemporaneamente essere e non essere un fine in s, cio un essere-fine ed un essere-per (per esempio, un organo umano). Rispetto al primo carattere, la cosa da dare non ha prezzo n contropartita, perch lesigenza di essere donata intrinseca ad essa. Rispetto al secondo carattere, la cosa da dare si riferisce alla dignit della persona e, per questa ragione, non pu che essere donata allaltro quando risponde al suo bisogno necessario, vero ed universale.31 In altre paroCfr. SAGNE JEAN-CLAUDE, La loi du don. Les figures de lAlliance, Presses Universitaires de Lyon, Lyon 1997, pp. 5-8. 31 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sulleutanasia (5 maggio 1980), in http://www.vatican.va: Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di
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le, senza il carattere del fine in s, la cosa non esige assolutamente di essere donata, ma con il carattere assoluto del fine in s, la cosa esige assolutamente di non essere donata, a fortiori di essere venduta o scambiata32. Nel dono come modo di relazione, laltro sempre in una situazione di mancanza del necessario per essere, sempre in penuria di un avere da essere e, dunque, in attesa di essere colmato. Ma ci che colmer laltro sar veramente un dono se gli si richiede meno di riempire luna o laltra condizione, per esempio manifestare il suo bisogno, o se le condizioni della sua realizzazione sono state a carico del donatore: pi il dono veramente dono, meno si impone allaltro di riempire luna o laltra condizione per poter essere donatario33. Secondo questo criterio, possiamo fare tre osservazioni: il dono ontologico il pi grande dono perch in esso ci che riceve e ci che ricevuto sidentificano, e quindi non c nessuna condizione da riempire in anticipo dal lato del donatario; il dono educativo dono maggiore rispetto al dono ontico, non solo perch lo suppone, ma perch tutte le sue esigenze, le sue condizioni sono a carico delleducatore; lembrione umano il donatario per eccellenza della forma ontica del dono, perch le condizioni richieste da parte sua si riducono alla sua semplice presenza di persona umana che non chiede nientaltro che le cure affettive, nutrizionali e mediche per poter vivere e crescere. Di fronte ad una certa discriminazione etico-medicale dellembrione umano con la scusa di evitare la nascita di bambini anormali, lantropologia del dono e la teologia del dono non possono che confermare che lembrione umano, come ogni persona umana, sia un es-

una vera volont di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto. Oltre le cure mediche, ci di cui lammalato ha bisogno, lamore, il calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri. 32 Cfr. RICHARD G., Nature et formes du don, pp. 106-109. Una macchina pu, per esempio, essere venduta o scambiata in quanto assolutamente uno strumento o un mezzo, mentre lessere umano, in quanto assolutamente un fine in s, non pu essere donato da un altro. 33 Cfr. RICHARD G., Nature et formes du don, pp. 154-155.

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sere-dono, un essere che, nella sua debolezza, povert e fragilit, ha necessariamente bisogno dei doni adeguati per esistere34. Si tratta qui di una sfida morale lanciata alluomo che nel pieno possesso delle proprie esistenziali facolt e a cui si applica la legge del dono come legge morale naturale. Solo la razionalit del dono sembra poter raccogliere una tale sfida. Lessere umano, a seconda dellet e delle circostanze, tende a conservare la sua vita, a preservare la sua specie, a vivere insieme agli altri e a conoscere la verit, ma lesperienza fondamentale del dono ci rivela che la realizzazione di queste tendenze possibile solo attraverso il dono e, di conseguenza, inscindibile e dipendente da un agire di dono. Riconoscere il dono come principio dellagire morale appunto riconoscerlo non solo come origine e fine dellessere umano, ma anche come listanza unificatrice ed universale degli atti umani e, quindi, come la norma per eccellenza che orienta luomo sulla via di una vita moralmente buona, in cui si cerca di rispettare lessere umano nella sua identit di essere-dono, considerando la sua alterit secondo la logica del dono e, nello spirito damore.

Conclusione
Se il dono ci permette di spiegare lagire morale nella sua fonte, norma e finalit, allora esso si rivela anche come principio della teologia morale che possiamo comprendere come una scienza teologica che riflette sullagire umano alla luce della rivelazione divina dellamore e dellesperienza umana del dono. Comprendere cos la teologia morale con la chiave del dono permette di riaffermare, di fronte al relativismo etico, lesistenza di una etica universale fondata sul dono. Il concetto di dono, che trascende ogni cultura, giustifica non solo luniversalit della teologia morale, ma anche la sua specificit teologica, che consiste nellaccogliere e nellinterrogare la rivelazione divina per poter rispondere alluomo sempre in cerca delle ragioni

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Cfr. MATTHEEUWS A., Amarsi per donarsi, pp. 281-292.

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del suo agire. La teologia morale una riflessione che riguarda la moralit, ossia il bene e il male degli atti umani e della persona che li compie, e in tal senso aperta a tutti gli uomini35. Con il dono, la morale unitariamente radicata nellantropologia e nella teologia, perch si tratta di un concetto che assicura il legame tra lethos, lantropologico e il teologico, per cui riconoscere nella verit del dono il principio fondante, normativo ed orientativo della teologia morale pu aiutare per giungere ad un discorso morale molto pi razionale e forse pi accettabile per luomo contemporaneo. La categoria del dono apre la porta ad una vera argomentazione teologico-morale, non solo perch traduce la connessione tra verit morale e verit ontologica delluomo, ma anche perch esprime con chiarezza il modo di realizzare il precetto fondamentale della legge morale naturale: fare il bene ed evitare il male, donando. Nella prospettiva delletica universale e nella stretta fedelt alletica cristiana, che essenzialmente una etica damore, il dono non solo pu servire da criterio per un discorso teologico-morale, ma anche aiutare il teologo moralista ad abbandonare il quadro troppo arido, perfino troppo rigido, del dovere e dellobbligo, per fissarsi nelle leggi del perdono e della carit36. La logica del dono come principio dellagire morale quella di instaurare la promozione integrale dellessere umano nella sua identit ed alterit di essere-dono. Luomo, per, la cui libert ontologica suppone, a seconda dellet e delle circostanze, la libert di scelta e dazione, pu confermare o infirmare questa logica. Tuttavia se accade alluomo dinfirmare questa logica, agendo nel senso contrario del dono o contrariando il dono, se dunque gli accade di agire in modo alogico, non si pu pi parlare del bene morale, ma del male morale con le sue conseguenze non soltanto sulla vittima ma anche sullo stesso autore. Infatti, in ogni azione contro la logica del dono si ne-

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Veritatis splendor circa alcune questioni fondamentali dellinsegnamento morale della Chiesa (6 agosto 1993), n. 29, in http://www.vatican.va. 36 Cfr. MATTHEEUWS A., Amarsi per donarsi, p. 11.

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ga linfinita alterit dellaltro, pur ferendo la propria dignit come essere di dono37. Tuttavia il dono, nella sua solidit e sicurezza, ci ricorda che, con il perdono, sempre possibile ristabilire ci che stato negato e ferito. Perdonare, cio rinunciare a punire una mancanza o a vendicarsi di una offesa, non serbare rancore verso qualcuno per la sua cattiveria, manifestare la sopravvivenza della propria alterit infinita e, contemporaneamente, affermare la dignit dellaltro al di l del suo atteggiamento di violenza o dindifferenza. Il dono mostra la sua onnipotenza, vittoria e sovrabbondanza attraverso colui in cui stato negato sia nella violenza che nellindifferenza, facendo di lui un donatore: una persona che perdona, e attraverso colui che ha negato facendo di lui un donatario: una persona perdonata.

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale (20 luglio 1983), n. 3, in http://www.vatican.va: Il male morale precisamente il male delluomo come tale; il bene morale il bene delluomo come tale.

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SUMMARIES
What is the principle, that is the origin, norm and purpose of moral action? In light of a gift like the fundamental experience of the human person, the moral life can be understood as the giving of oneself to the other in analogy with the divine self-giving to humanity and it is the same gift as that principle of moral action. Moral action, identifies itself with the gift in its twofold form, ontic and educational, rooting itself in the ontological gift, or of the being given to oneself, whose origin is God-Love. In its conceptual and formal reality, the gift reveals itself as an ethical norm that orientates man in his action and expresses the fundamental precept of the natural moral law: giving, while doing good and avoiding evil. The gift, as well as that which is communicated, is presented as an anthropological and theological truth that gives sense to the actions of man called to realize himself according to his own gifted being. The gift, because it explains moral action in its source, norm and purpose, can serve as a criterion for a theological-moral dialogue within the perspective of universal ethics and in strict fidelity to Christian ethics, which is essentially an ethics of love based on the example of Jesus Christ and in the image of the One and Triune God. *** Cul es el principio, o sea el origen, la norma y la finalidad del obrar moral? A la luz del don como experiencia fundamental de la persona humana, la vida moral puede ser comprendida como un donarse al otro en analoga con el donarse divino a la humanidad y el don mismo como aquel principio del obrar moral. El obrar moral, que se identifica con el don en su doble forma ontica y educativa, se funda en el don ontolgico, o del ser que se dona a s mismo, cuyo origen es Dios-Amor. Desde su realidad conceptual y formal, el don se revela como una norma tica que orienta al hombre en su obrar y expresa el precepto fundamental de la ley moral natural: hacer el bien y evitar el mal, donando. El don, en cuanto bien que se comunica, se presenta como una realidad antropolgica y teolgica que da sentido al obrar del hombre llamado a realizarse segn su propio ser como don. El don, en la medida que explica el obrar moral en su origen, norma y finalidad, puede servir de criterio para un discurso teolgico-moral en la perspectiva de la tica universal y en estrecha fidelidad a la tica cristiana, que es esencialmente una tica del amor basada en el ejemplo de Jesucristo a imagen del Dios Uno y Trino.

IL DONO COME PRINCIPIO DELLAGIRE MORALE

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*** Quale il principio, cio lorigine, la norma e la finalit dellagire morale? Alla luce del dono come esperienza fondamentale della persona umana, la vita morale pu essere compresa come un donarsi allaltro in analogia con il donarsi divino allumanit e il dono stesso come quel principio dellagire morale. Lagire morale, che si identifica con il dono nella sua duplice forma ontica ed educativa, si radica nel dono ontologico, o dellessere donato a se stesso, la cui origine Dio-Amore. Nella sua realt concettuale e formale, il dono si rivela come una norma etica che orienta luomo nel suo agire ed esprime il precetto fondamentale della legge morale naturale: fare il bene ed evitare il male, donando. Il dono, in quanto bene che si comunica, si presenta come una realt antropologica e teologica che d senso allagire delluomo chiamato a realizzarsi secondo il proprio essere di dono. Il dono, poich spiega lagire morale nella sua fonte, norma e finalit, pu servire da criterio per un discorso teologico-morale nella prospettiva delletica universale e nella stretta fedelt alletica cristiana, che essenzialmente una etica damore sullesempio di Ges Cristo e ad immagine di Dio Uno e Trino.

PREDICARE IL VANGELO IN MODO NUOVO Alcuni ipotetici percorsi


Serafino Fiore, C.Ss.R.*

Ci sono espressioni che simpongono allattenzione pubblica, fino a diventare un refrain per un certo tempo, salvo poi finire nel dimenticatoio. O ripresentarsi di tanto in tanto, giusto per assicurarci di non essere scomparse del tutto. Ritrovare le proprie radici, riscoprire una carica profetica, incarnarsi tra i poveri, priorit pastorali, rileggere il carisma, rifondarsi, e pi recentemente ristrutturarsi sono esempi che potremmo citare, per limitarci al solo ambito della vita consacrata. Ma il ricorso allo slogan affiora anche in un orizzonte di Chiesa pi ampio: si pensi alluso spesso disinvolto che si fa dei nuovi areopaghi per la missione e al Duc in altum! di Giovanni Paolo II, o allatrio dei gentili caro a Benedetto XVI. Tra queste e altre espressioni, nuova evangelizzazione quella che le ingloba tutte. Sia perch ottimo contenitore in cui deporre ogni conato di adattamento ad un mondo troppo sfuggente, sia perch meno di altre accusa il peso degli anni: se fu Giovanni Paolo II a renderla celebre negli anni 80, solo recentemente per la cronaca il 28 giugno 2010 stato costituito il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Va da s che di questo dicastero non si sa molto, se non che ha il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove gi risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della societ e una sorta di eclissi del senso

* The author is the former Vicar General of the Redemptorist Congregation. * El autor fue Vicario General de la Congregacin Redentorista.
StMor 48/2 (2010) 331-348

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di Dio, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verit del Vangelo di Cristo1. Certo questo neonato organismo non potr prescindere da alcune indicazioni di principio fatte proprie dal magistero: che cio la nuova evangelizzazione sia nuova nel suo ardore, nuova nei suoi metodi, nuova nella sua espressione2. N potr ignorare le magnifiche esperienze e metodologie gi esperite in questi anni3. Resta la coscienza di una sfida immane. Se si guardasse al mondo come da un satellite, ci sarebbe da avvilirsi, vedendo terre ancora non raggiunte dal vangelo, altre sempre pi secolarizzate, per finire alle religioni con cui il dialogo si rivela faticoso. Il bisogno dindicazioni magisteriali concrete ed organiche si impone. E sin da ora si sa che esse non saranno la soluzione, se mancher un coinvolgimento ecclesiale da parte di tutti coloro che hanno a cuore il vangelo. Se una nuova evangelizzazione ci sar, essa sar il risultato di un effettivo scendere in campo di operatori pastorali, teologi, moralisti, vescovi, che decidano di studiare, sperimentare, verificare, proporre e riproporre nuovi sentieri. Queste pagine hanno una ragion dessere solo in questa prospettiva, allinterno di quel gigantesco laboratorio della fede4 ecco unaltra espressione fortunata degli ultimi anni che non dovrebbe

BENEDETTO XVI, Omelia del 28 giugno 2010. GIOVANNI PAOLO II, Discorso allAssemblea del Celam, Port-au-Prince (Haiti), 9 marzo 1983. 3 Non rientra assolutamente tra i nostri obiettivi un censimento dei tanti tentativi gi sperimentati. Ma non si pu dimenticare la Scuola di evangelizzazione di santAndrea, i Gruppi Alpha, lintento di annunciare il vangelo attraverso larte, la musica, lo spettacolo, il moltiplicarsi di radio e TV di carattere religioso, i consistenti passi fatti nel cammino ecumenico, i sempre pi numerosi testimoni digitali (siti internet a carattere religioso), le Sentinelle del mattino, i Festival biblici, la Chiesa gonfiabile (missione giovanile sui litorali) ecc. Penso infine al mondo della pastorale giovanile e dei ragazzi, dove gli animatori si distinguono per creativit e inventivit, oltre che per gratuit, in un lavoro che apparentemente non d risultati immediati. 4 GIOVANNI PAOLO II, XV Giornata Mondiale della Giovent. Veglia di preghiera, Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000.
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PREDICARE IL VANGELO IN MODO NUOVO. ALCUNI IPOTETICI PERCORSI

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ridursi ad un cammino ecclesiale particolare, ma diventare un modo di pensare oggi la pastorale. Oltretutto non pretendo di affrontare qui il vasto ambito della nuova evangelizzazione. Pi sommessamente parlo di modo nuovo di predicare il vangelo5: unespressione che evidenzia una serie di attenzioni pastorali, incluso il modo di porsi del pastore e di una comunit, piuttosto che un progetto ad ampio respiro, che solo il magistero potr organizzare. Le stesse proposte operative accennate in seguito non pretendono di essere inedite. Forse il nuovo andrebbe cercato proprio nel fatto di metterle in atto e sperimentarle. La teologia morale non pu che trarre giovamento da una pastorale rinnovata, capace di mettere in discussione i suoi metodi e di porsi in ascolto del grido di salvezza che continua a provenire dal mondo.

1. Uno sguardo di fiducia


Anche ai nostri giorni, decisivo per lapproccio alla realt ecclesiale il modo con cui la guardiamo. Se il tuo occhio chiaro, tutto il tuo corpo sar nella luce (Mt 6, 22). Vediamo, e rischiamo di smarrirci. Nella rivelazione, nostra prima fonte di luce, fatichiamo a individuare una situazione analoga alla nostra. La Bibbia non ci d punti di riferimento: oggi non viviamo in esilio, n allombra del Tempio, n attendiamo un messia. Se i profeti sembrano latitare, pare che a
5 Nella storia dei Missionari Redentoristi questa espressione diventata famosa perch adottata da san Clemente Maria Hofbauer (1751-1820): nel modo nuovo di predicare il vangelo egli ravvisava unurgenza di fronte alle sfide del giuseppinismo, alle derive dellilluminismo e alle politiche di soppressione vigenti in Europa. Ultimamente tale espressione stata ripresa e adottata come tema del sessennio per i Redentoristi dal loro XXIV Capitolo Generale (ottobre-novembre 2009). Ma evidentemente una preoccupazione dei nostri giorni, se Benedetto XVI vi ha fatto cenno in varie occasioni, ad esempio rivolgendosi al Capitolo Generale dei Rogazionisti (La grande sfida dellinculturazione vi chiede oggi di annunciare la Buona Novella con linguaggi e modi comprensibili agli uomini del nostro tempo, coinvolti in processi sociali e culturali in rapida trasformazione, vd. Osservatore Romano 8 luglio 2010, 7).

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molti vada bene anche cos, in linea con la rassegnata constatazione del salmista: non vediamo pi le nostre insegne, non ci sono pi profeti, e tra di noi nessuno sa fino a quando (Sal 73, 9). Non mancano sensazioni di diaspora e di esilio, ma quelle pi gravi sono dentro di noi. Linvio missionario, a cominciare da quello ad gentes, sembra sospeso nellaria, in attesa di chi se ne faccia carico. Altro rischio lo scoraggiamento. Basta che i nostri occhi si soffermino su certe impietose statistiche, sullesigua percentuale dei partecipanti alle liturgie, sul galoppante analfabetismo religioso, sulle attitudini sempre pi secolarizzate con cui si discute della vita e si affronta la morte. O, se si preferisce, sulla distanza che separa le concrete e quotidiane scelte etiche dei credenti dalle norme morali dettate dal magistero. Simbolo pur non esaustivo del malessere della missione, di fronte al mondo doggi, pu essere ritenuta la citt, con tutto ci che essa significa e comporta, a partire dalla sindrome di Giona, che fece preferire allinviato di Dio le turbolenze del mare alle insidie di Ninive. Furono le citt a partire da Gerusalemme e Antiochia i primi snodi dellevangelizzazione. Sono le citt oggi, ad ogni latitudine, il grande punto di domanda per il futuro del cristianesimo: quelle dei paesi pi poveri le cui periferie sono erose dallinvasione di nuovi movimenti religiosi, e quelle del primo mondo dove Dio sembra il grande assente. Se tutto questo pu indurre al pessimismo, va detto anche che il nostro occhio pu spaziare altrove: ad esempio sul misterioso, lento ma evidente avanzare del Regno, in questi pur contraddittori versanti dei nostri giorni. Forse la nostra interpretazione della storia sar meno catastrofica se penseremo come ci invita a fare la liturgia ai miliardi di persone come a esseri di cui solo Dio conosce la fede6. Fuor di metafora: le nostre chiese sono meno frequentate che nel passato, ma nel frattempo il seme del vangelo ha prodotto vita dove non ce nera. Negli ultimi secoli, proprio le guerre e le devastazioni di ogni genere hanno portato quel grano a marcire e germogliare. Oggi

Preghiera eucaristica IV.

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lumanit si pensa come corpo unico, alla ricerca non solo di benessere, ma anche di pace, di libert, di solidariet, di servizio. La salvaguardia del creato e la giustizia, la sacralit della vita adulta e la diffidenza verso corruzione e dittatura diventano motivi per cui lottare e militare. La FAO, stando ai dati di settembre 2010, ci informa che per la prima volta in quindici anni la popolazione di chi soffre la fame scesa al di sotto del miliardo (attestandosi sui 925 milioni), pur rimanendo il loro numero inaccettabilmente alto. E se la fede corrosa dal di dentro da una serie infinita di ismi dal relativismo al soggettivismo essa rimane pur sempre, per i pi, luogo di domanda e di ricerca. Di autenticit e dinvestimento di energia, se non di verit. Lo stesso confronto con altre religioni, in qualche modo imposto dai movimenti di popoli, chiama in causa una geografia della salvezza tutta ancora da decifrare prima che il riferimento acritico ad una storia della salvezza. Il convivere fianco a fianco di tradizioni diverse consolida il denominatore comune che soggiace a tutte le religioni: il principio che luomo non Dio e che, al contrario, solo nella relazione con lassoluto egli pu definire la sua esistenza7. Sempre pi ci si rende conto che Il tentativo di emarginazione del fatto religioso alla sola sfera privata, a cui oggi si assiste, non aiuta nella costruzione di unumanit adulta e consapevole delle proprie responsabilit8. Da parte sua, nonostante mille fatiche e incidenti di percorso, la Chiesa vede in modo sempre pi chiaro lo specifico della sua missione, dove niente e nessuno pu prendere il suo posto: quello di ridare unanima a questa societ, altrimenti destinata allinvoluzione verso abbrutimento e solitudine. Uno sguardo fiducioso e chiaro sulla storia non attutisce la gravit della sfida, anzi aiuta a coglierla meglio, con limmane lavoro che rimane da fare per rispondervi. Intanto percepisce meglio certi errori di partenza: ad esempio quello di far consistere levangelizzazione in un indottrinamento, quando in gioco c una posta ben pi alta, la digni-

Cfr. H.U. VON BALTHASAR, citato da R. FISICHELLA, La responsabilit dei credenti in un mondo sempre pi umano, in StMor, 41/1 (2003) 18. 8 Ibidem.

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t delluomo e quel salto di qualit che coincide con la redenzione. Altro errore pu essere ridurre il vangelo ad una serie di valori, su cui tutti sono daccordo, mettendo sotto il moggio (Mt 5, 15) il potere sovversivo della fede che Cristo ha descritto come luce, linfa, sale. La fede. Ecco la prima di tutte le sfide. Un obiettivo esigente e difficile, se con essa intendiamo non semplicemente una visione della vita, ma affidamento senza calcolo, gratuito abbandono a Dio, roccia su cui costruire e lievito dellesistenza. E pur tuttavia un orizzonte che interpella tutti, credenti e non credenti. I primi, perch riconoscano Cristo dove abitualmente non lo colgono: nelle cose, negli eventi, in ogni palpito di vita, nel vagito del lattante e nel sospiro del moribondo, l dove la persona vive e prega. I secondi, perch intuiscano che Cristo d e non toglie, libera e non obbliga. Fu forse presagendo la terribile complessit di questa fede, che il Cristo dovette esporsi al dubbio: ma il Figlio delluomo, quando verr, trover la fede sulla terra? (Lc 18, 8). comunque dellesperienza di fede, della sua bellezza e del suo potere di avvincere e illuminare, che ha bisogno molta parte della pastorale di oggi. Devitalizzata di questa forza, la Chiesa, locale o universale che sia, diventa mera distribuzione di servizi. E il prete un funzionario qualunque, fosse pure di Dio (E. Drewermann).

2. In dialogo con la laicit


Se in gioco c la salvezza delluomo ancor prima che lalfabetizzazione religiosa, un modo nuovo di predicare il vangelo non pu che partire da un ascolto ampio e sereno del mondo laico. Ancor prima: un investimento di attenzione va fatto per la disamina umile e indifesa dello stesso anticlericalismo, nelle cui critiche pur a volte velenose e ottuse c sempre qualche lezione da cogliere, un motivo di ravvedimento per gerarchia e semplici credenti. E poi il dialogo. C da sviluppare un sesto senso, alla ricerca di persone, intellettualmente oneste, che a prescindere da appartenenze e riti abbiano a cuore il nocciolo del vangelo, che comunque buona notizia sul vivere. Persone rispettose del sacro e ancor

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prima del mistero di cui impregnata lesistenza. Persone che ammettano la centralit della questione senso, e che rispettino chi arrivato a percepirvi una risposta, pur non essendoci pervenute esse. Per Albert Camus esisteva un unico problema: se si potesse essere santi senza Dio. E non riusciva a darsi una risposta, avendo intuito il salto di qualit rappresentato dalla fede. E Norberto Bobbio era costretto a malincuore ad ammettere la necessit della religione, a meno che non esista unaltra forza capace di toccare le motivazioni interiori allazione9. Laici di questo tipo incarnano un fermento che lievita nel nostro mondo, rimandano a persone con cui poter dialogare, e che purtroppo vengono abitualmente escluse dalle nostre attenzioni. Un dialogo simile chiamato a diventare prassi e non eccezione, modo dessere e non concessione, perch dalluna e dallaltra parte c da buttare manciate di terra per colmare un baratro secolare. Se infatti la storia della Chiesa stata spesso attraversata dalla tentazione di parlare di Dio mettendo tra parentesi luomo, da pi di un secolo c la tendenza opposta, quella di parlare delluomo relegando Dio tra le anticaglie. Da entrambe le sponde bisogna superare la tentazione della barricata, programmare incontri, al cui centro dattenzione siano posti gli interrogativi essenziali: cosa fondi la dignit della persona, cosa sia la vita e la morte, cosa il bene e cosa il male, la posta in gioco della libert.

3. La proposta del Redentore


Uno stile di dialogo sereno e costante col mondo laico pu meglio mettere in luce lo specifico cristiano: la salutare tensione tra Regno e Chiesa, tra gi e non ancora, il significato unico tra tutte le religioni dellincarnazione e della pasqua, il fascino discreto del vangelo, il significato eucaristico della vita messo a confronto con la manipolazione tecnologica.

Cit. da V. PAGLIA F. SCAGLIA, In cerca dellanima, Piemme, Milano 2010, 175.

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Ma la proposta di tutto questo va fatta sommessamente, con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza (1Pt 3, 15-16): attitudini che non sono semplice soluzione di cortesia, ma perpetuazione della logica del vangelo. Collocandosi nello strato di fermentazione continua tra mondo e Regno, il credente non solo si sintonizza con ogni uomo e donna di buona volont, ma allena il suo occhio a percepire ci che veramente conta: la rivelazione progressiva della persona e della sua libert, limpegno a lottare con gli altri per la giustizia e la condivisione. Lo specifico cristiano viene fuori innanzitutto nella relazione vitale col Cristo. E se in teoria questa fuori discussione, nella pratica ecclesiale bisogna inventare e soprattutto praticare percorsi che rendano vitale quella relazione, a disposizione di tutti e non solo di una certa lite, che si tratti di gruppi o di movimenti. La liturgia e deve continuare ad essere la palestra comune, ma a quasi cinquanta anni dalla Sacrosanctum Concilium sembra che molta creativit attenda ancora di essere messa in opera. A sua volta la frequentazione abituale del pensiero di Cristo (1Cor 2, 16) e solo essa permette di cogliere meglio le manifestazioni del male, che continuano ad essere inquietanti e pervasive. Essa rende possibile la parresa, prima condizione di una profezia che sembra latitare in tanti ambiti di vita, a tutte le latitudini. Se una nuova evangelizzazione ci sar, non potr mettere tra parentesi questo impegno: che comincia dallo studiare i mille meccanismi della manipolazione mass mediatica, dallo stanare il virus che alligna nella corruzione a tutti i livelli, non solo politico. Essa dovr rimettere al centro dellattenzione globale il problema dei poveri, e con essi il baratro sempre pi profondo che li separa dai ricchi. Dovr ridestare in modo sistematico e diffuso la coscienza che sopravvive a tutti gli 11 settembre della storia, dimenticandone puntualmente le lezioni. In questo senso, niente e nessuno come la Chiesa cattolica ha delle chance da giocarsi. Proprio in quanto segno e strumento dellunit di tutto il genere umano10, essa dovrebbe navigare in acque ad essa congeniali, in un tempo in cui le nazioni si ritrovano vicine, come

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CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Lumen gentium, 1.

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mai prima nella storia, e scoprono il loro destino strettamente connesso con quello delle altre. Per di pi quando ci si accorge che lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia11.

4. Accompagnare alla vita piena


C una sorta dinterferenza che vanifica dallinizio un discorso sul credere: oggi molti ritengono che la fede non sia necessaria per vivere bene12. Un rimedio pu essere, ancor prima di educare la fede, quello di suscitarla. Con il primo annuncio dobbiamo far ardere il cuore delle persone, confidando nella potenza del vangelo, che chiama ogni uomo alla conversione e ne accompagna tutte le fasi della vita13. Ma perch questo accada, i nostri tempi chiedono a tutti, studiosi e operatori pastorali, una conversione mentale tuttora in fieri, di cui a volte si sperimenta difficolt e lentezza, con gravi ripercussioni sul pi ampio processo di nuova evangelizzazione. Si tratta di passare dalloggetto al soggetto. C da trovare la chiave daccesso a quel soggetto che da almeno tre secoli ma in modo pi parossistico ai nostri tempi metro e in qualche modo condizione della realt, nostro malgrado, ovviamente: quel soggetto oggi cos arroccato sulle sue posizioni da rivelarsi in qualche modo inattaccabile, pur dalla indiscutibile potenza del vangelo. Ci sono ancora incalcolabili conseguenze da ricavare, dallassioma per cui luomo via della Chiesa 14. Ed tutto da dimostrare, rapportandolo alle mutate esigenze dei tempi, laltro principio per cui la Chiesa esperta in umanit15.
11 12

BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 53. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Annuncio e catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunit, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di base Il rinnovamento della catechesi, 2010, 10. 13 Ibidem. 14 GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 14. 15 PAOLO VI, Discorso allONU, 4.10.1965.

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A chi pretende di annunciare il vangelo oggi, tocca entrare al pari di una sonda diagnostica nel corpo e nellanima delluomo e della donna contemporanei, e osservare: innanzitutto, cercare di capire come per nulla sia facile credere, oggi meno che mai, molto meno scontato di quanto si dia a millantare. Soprattutto se sintende per fede un cammino che duri una vita, chiamato ad attraversare i deserti dellassenza di Dio e le svolte rappresentate dalle diverse fasi esistenziali. Non facile credere, in un mondo dove la popolazione mondiale che vive in citt ha superato quella delle campagne, dove la selva di cemento e di vetrine soffoca sul nascere uno dei primi atti di fede, quello che scaturisce dallelevare la mente a Dio guardando le stelle o ascoltando il gorgoglio di un torrente. Bisogna almeno intuire cosa finisca con liniettare nella vita della gente pari a unimmensa flebo la serie incalcolabile di ore trascorse di fronte alla TV16. C da immedesimarsi in un soggetto preda di condizionamenti massmediatici, di cui egli stesso fatica a rendersi conto. Soprattutto ai nostri giorni, il clima dominante quello dellassenza di certezze, dove il soggetto trascinato da un assurdo caratterizzato pi dalla moltiplicazione dei sensi che dal non senso17. Tutto questo lo si sa, e da tempo, ma il saperlo non ha aiutato finora a maturare conseguenze sulla prassi pastorale. Il primo passo dovrebbe essere fare del soggetto una risorsa, e non una palla al piede di chi annuncia il vangelo. La diffidenza delluomo e della donna di oggi verso il no, pi o meno moralistico, verso un divieto scritto sulla pietra e non sintonizzato col cuore, ha solide motivazioni bibliche, e daltra parte stata allorigine del crollo delle ideologie. C da partire dalla vita, da ci che la rende bella: amare ed essere amati, il desiderio di un figlio e lo stupore che assale di fronte alla natura, lestasi dellinnamoramento, la grazia di poter respirare e il sapore della buona tavola condivisa con gli amici pi cari. C da
In effetti un calcolo stato fatto, pare che al raggiungere ventanni un giovane abbia gi assorbito in media 20.000 ore di TV. Cfr. AA.VV. La sfida educativa, a cura del Comitato per il progetto culturale della CEI, Laterza 2009, 169. 17 E. BIANCHI, Lettere ad un amico sulla vita spirituale, Qiqajon, Magnano 2010, 20.
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guardare anche proprio per essere fedeli al soggetto a ci che pi da vicino minaccia la bellezza dellesistere: legoismo che si cela dietro lamore, le paure connesse al compito educativo, lo spauracchio del non senso di fronte alla morte, lagguato subdolo e tentacolare delle mille droghe quotidiane18. Il semplice tentativo di entrare nel corpo e nellanima di chi guarda cos alla vita, ci offrir il codice necessario per parlargli. A livello di linguaggio, ad esempio, suggerendoci di adottare quello della vita di tutti i giorni, il vocabolario delle passioni e dei sogni. Ci motiver a preparare con cura unomelia, non dando a questa semplicemente le briciole del proprio tempo. Ci far imparare dai figli di questo mondo (Lc 16, 8) e dalla loro capacit di avvincere con la poesia, la musica classica e quella moderna, le immagini, i simboli, le emozioni. In fondo, perpetuando nel tempo il linguaggio di Ges di Nazareth. Prendere sul serio il soggetto implica avere a cuore una fondamentale distinzione in campo morale, soprattutto a favore delle nuove generazioni. C una verit morale, dove il male appare evidente al soggetto stesso, che al riguardo non necessita pi di tanto dopera di convincimento, si pensi al rispetto della propriet altrui, alla qualit delle relazioni interpersonali dentro e fuori la famiglia, al senso di verit, o alla dinamica del perdono. Ma c un altro ambito della stessa verit, quello dove il soggetto attende di essere accompagnato con pazienza e gradualit pedagogica, e dove suo malgrado egli non vede chiara la colpa: il campo della morale sessuale, con tutte le mistificazioni e i condizionamenti a cui esposto, forse il caso pi

In questa linea si colloca il Documento di base per la catechesi in Italia (1970), 77: chiunque voglia fare alluomo di oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nellesporre il messaggio. Altrettanto fa la Nota della CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004), 9: ladulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di formazione e in un cambiamento di vita soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo. Questa raccomandazione a mio parere dovrebbe inglobare anche il positivo della vita, e non solo i suoi aspetti problematici.

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lampante. Ma pensiamo anche alluso responsabile del tempo e dei talenti, alla gestione delle stagioni della vita, con il loro prendere e lasciare. O pi in generale ai peccati di omissione. Altrettanta fantasia va messa allopera per rispondere, oltre che alla domanda sul cosa fare, anche quella sul come farlo. Al pari della tecnologia, anche la vita spirituale e morale ha il suo know how. La tradizione cristiana ha prodotto infinite risposte a quella domanda. Quali di esse sono ancora eloquenti? Cosa pu essere ripreso, cosa superato? Anche qui, proporre e sperimentare, a costo di sbagliare, preferibile al lasciare tutto in deposito: scelta, questultima, che perpetua il gesto del servo fannullone, che per timore fa una buca nel terreno (Mt 25, 18.30) e nasconde quanto ricevuto.

5. Ritrovare la passione pastorale


Il vangelo di Ges Cristo non smette di essere il codice per eccellenza, allo scopo di decifrare e redimere il mondo, questo mondo. Ma la posta in gioco riuscire a dimostrare e non dare per scontato il di pi che solo il vangelo sa dare, a chi vuole amare la vita e vedere giorni felici (1Pt 3, 10). Perch questo accada, urgente deporre ogni presupponenza clericale e ritrovare lautentica passione per la gente, o semplicemente la pi evangelica misericordia. Occorre avere a cuore una delle dimensioni costitutive della rivelazione, quella della tenerezza19, riscattandola dalla marginalit a cui la si da sempre destinata, ritenendola una sdolcinatura dellamore. E facendo tesoro di un rimprovero formulato dallo scrittore tedesco Heinrich Bll (1917-1985): ci che fino ad oggi mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni provenienza la tenerezza20.

TIRANI,

Cfr. C. ROCCHETTA, Teologia della tenerezza, EDB, Bologna 2005; G. MARLa civilt della tenerezza. Nuovi stili di vita per il terzo millennio, Paoline, Milano 1997. 20 H. BLL, Lettera ad un giovane cattolico, La Locusta, Vicenza 19862, 54.

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Ad essere interpellata la vita stessa delloperatore pastorale, in primo luogo delle cosiddette vocazioni di speciale consacrazione: presbiteri, diaconi permanenti, religiosi e religiose, missionari e membri di istituti secolari. In causa chiamata non solo la profonda coerenza tra ci che si predica e ci che si vive, ma ancor pi lorigine di ci che si annuncia: c davvero da auspicare che esso provenga da sorgenti profonde. A titolo di esempio, la passione di un parroco per la sua gente non pu avere una fonte pi vigorosa di quella del suo stesso celibato. E il servizio pastorale di religiosi e religiose sarebbe, quanto meno, falso e inautentico se non scaturisse, anzi non fosse in qualche modo testato da rapporti umani profondi e veri con confratelli e consorelle; e se lansia missionaria non fosse accreditata dalla condivisione di beni spirituali allinterno della stessa comunit. Per gli uni e gli altri, rimane imprescindibile quanto implacabile dal punto di vista dellefficacia pastorale una misura a cui tendere: quella di vivere una vita bella, radiosa, alla pari di quella di Ges Cristo.

6. Fare delle scelte


Il divorzio mortale che alla base della crisi del nostro tempo, quello che separa conoscenza e amore 21. Oggi pi che mai disponiamo di strumenti per conoscere e di contenuti facilmente accessibili, ma lamore per natura sua non segue la logica dellaccumulo. E se lo fa, cade nel circolo vizioso del consumismo erotico. O in quello dellisolamento figlio del nihilismo, che rode come un tarlo le nuove generazioni. Fare che sia lamore a dettare i tempi della conoscenza, e pi in generale dellagenda pastorale, significa compiere delle scelte e metterle in rigorosa gerarchia. Quellopera di snellimento che Giovanni XXIII avvi col Concilio richiede ulteriori concretizzazioni. Gioco-

R. PANIKKAR, Mistica e spiritualit. Vol. 1/1: Mistica pienezza di vita, Jaca Book, Milano 2008, 209.

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forza bisogner rinunciare al di pi, soprattutto a ci che appesantisce tuttora la dimensione istituzionale della Chiesa. Se si ha a cuore linteresse delle persone e soprattutto delle giovani generazioni, si far un taglio anche su qualche pratica di piet portata avanti per accontentare le pie donne, e si inventer qualche strategia per chi non ha avuto la buona sorte di nascere in un contesto tradizionale pi immune da dubbi. E il taglio si far non perch le pratiche di piet siano indegne di essere portate avanti, ma semplicemente perch la rigorosa gerarchia di cui sopra non sempre permette di fare tutto. Lo stesso interesse delle persone e delle giovani generazioni, sempre nella linea del citato snellimento, richiede fantasia anche nel progettare un servizio: ad esempio bypassando i confini della propria parrocchia, se le proprie risorse non bastano, e cercando sinergia con quelle vicine, pur di offrire uno standard almeno accettabile. Si pensi a esperienze di volontariato, a laboratori di fede e di preghiera, a centri di accoglienza. Laccoglienza unaltra scelta obbligata per le nostre Chiese, intendendo con essa uno stile di vita, e non una delega fatta al classico comitato. Forse non tutti si sentono chiamati in causa da una sorta di delusione sperimentata al riguardo dai Vescovi italiani, a quaranta anni dal Documento di base per la Catechesi22. Rimane pur tuttavia unopzione di fondo di cui tener conto: necessario educare la coscienza missionaria della comunit tutta intera, stimolandola a diventare attraente, accogliente, educante: una comunit che accoglie le persone come sono e fa vivere esperienze significative di vita cristiana: una comunit in cui i praticanti accostano gli indifferenti e i non credenti, stabiliscono con loro rapporti di amicizia e narrano la propria esperienza di fede, sullesempio di quanto proposto nella Lettera ai cercatori di Dio23.
La fondamentale indicazione pastorale sul ruolo e coinvolgimento della Chiesa locale nei confronti della catechesi sembra non sia stata recepita dalle nostre comunit: CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Annuncio e catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunit, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di base Il rinnovamento della catechesi, 2010, 12. 23 Ibidem.
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Creativit e fantasia aiuteranno a inventare qualcosa per chi totalmente a digiuno, suo malgrado, in materia di fede. Mi sembra pertinente unosservazione fatta a proposito di quella che in Italia stata chiamata la prima generazione incredula: se oggi entrasse in una delle parrocchie dItalia una persona qualsiasi che non sapesse che cosa la fede, non troverebbe alcuno spazio ove elaborare e auspicabilmente superare tale ignoranza. Se vi entrasse una persona qualsiasi che non sapesse cosa pregare, difficilmente troverebbe qualcuno disposto a insegnargli come si prega24. Altrettanta creativit va impiegata per riprendere tra le mani la Parola, cercare forme nuove di pregarla e di conoscerla. Dopo i decenni in cui lesperienza della Lectio contagi diocesi e gruppi ecclesiali, oggi si assiste ad una fase di stanca che sarebbe bene sottoporre a verifica: e cercare di superare. In ogni caso, ancor prima di esperire soluzioni concrete, decisivo porsi il problema, quello di annunciare il vangelo in modo nuovo. Una mente creativa che si ponga la questione non mancher di idee se vorr rispondere alla sfida, idee che si possono pescare a piene mani anche tra quei semina Verbi, che Dio si divertito a spargere qui e l, n che in culture e religioni altre, a cominciare da quel Gn%qi seauto marcava il tempio delloracolo di Delfi, per finire a tecniche di controllo di pensiero e respiro, di consapevolezza personale e di presenza al proprio corpo, metodologie che pure sono propedeutiche alla preghiera cristiana e allo stesso Cristo. Altrettanto si dica di una saggia valorizzazione del linguaggio dei simboli, e pi specificamente di rituali non liturgici, sia nellannuncio del vangelo che nella vita cristiana in genere 25. Per non dimenticare un pi serio investimento da fare per il sacramento della penitenza, che per molti oggi lunico, vero momento di spiritualit, se con esso si intende lopportunit di rientrare in s, riflettere sulla propria vita, e pregarla. E linvestimento andrebbe fatto sia assicurando uneffettiva presenza nel confessionale,

A. MATTEO, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, 34. 25 Cfr. A. GRN, Cinquanta rituali per la vita, Queriniana, Brescia 2010.

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sia facendo che il sacramento sia vera celebrazione della misericordia di Dio in Ges Cristo. Ancora una volta, se si assume come criterio di lettura del vangelo la tenerezza che ha portato Dio alla knosis estrema del Figlio, non sar un senso positivo del ministero a mancare, n il lavoro. E se il rifiuto altrui costringer a scuotere la polvere dai propri piedi (Mt 10, 14), avremo sempre con noi i poveri (Gv 12, 8). Saranno loro i sempiterni fuori schema, non allineati, si chiamino ROM, anziani soli, malati gravi, i senza speranza. Se tanta creativit e tanto lavoro sono richiesti da parte delloperatore pastorale, da auspicare anche uno stile di maggiore sinodalit da parte del magistero. A cominciare da una sempre pi diffusa capacit di ascolto e di dialogo, che si pu concretizzare in tanti modi, ad esempio con quellattitudine umile, sobria, disposta allautocritica, non onnipresente, ovvero capace di valorizzare il principio di sussidiariet nei confronti di istituzioni ecclesiali di ricerca e insegnamento morale26. Oppure in quella consultazione delle Chiese locali che ebbe luogo nella stesura dimportanti testi del passato, come il Documento di base Il rinnovamento della catechesi in Italia, ma che non diventata una prassi abituale in seguito27. I tanti strumenti che si hanno a disposizione per comunicare e incontrarsi, dovrebbero favorire questo stile di sinodalit, che pur deve tenere conto di una sorta di allergia maturata in tanti operatori pastorali al proliferare di convegni e conferenze, in questi ultimi decenni. Certamente bisogner ritrovare un equilibrio nuovo. Bisogner rianimarsi di entusiasmo, che essenzialmente dono dello Spirito.

B. PETR, Quale teologia morale per il XXI secolo?, in StMor 42/2 (2004), supplemento, 220. 27 Nella fase della sua stesura (del Documento di base) ogni diocesi fu chiamata a esprimersi nello stile del dialogo, della ricerca e del confronto dinamico per contribuire alla ricezione condivisa dellinsegnamento del Concilio Vaticano II: CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Annuncio e catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunit, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di base Il rinnovamento della catechesi, 2010, 1.

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SUMMARIES

Moral theology is affelted, for better or for worse, by the way the Church places itself before the world, and in particular from what has been called the new evangelization. Pending organized and precise indications from the Magisterium on this, some hypotheses of the path to journey are proposed here, inspired above all by a new way of preaching the gospel. In the ecclesial reality of today, many of these ferments of pastoral innovation are already very active, and yet they have witnessed uncertainties, difficulties and no lack of contradictions. A new way to preach the gospel, while allowing for the gratuitousness and inefficiency of the useless servants (Lk 17:10), must have points of reference so that one may begin with a positive look on history and the Reign of God that is a leaven within it. It takes form in a serene dialogue with the laity, and in the love for life, that by its nature suggests a more effective language in order to communicate with the men and the women of our time. It finds its spirit in the redeeming passion, and still more in the style of tenderness incarnated in Jesus of Nazareth. It becomes a courageous and possibly creative pastoral project, in order to respond to the times and decidedly new demands. *** La teologa moral se ve afectada, para bien y para mal, por la postura con la cual la Iglesia se pone frente al mundo, y en modo particular por aquella que ha sido llamada nueva evangelizacin. A la espera de indicaciones orgnicas y precisas de parte del magisterio sobre la misma, aqu se proponen algunas hiptesis, principalmente inspiradas en un nuevo modo de predicar el evangelio. En la realidad eclesial de hoy, se encuentran muchos de estos fermentos de novedad pastoral, pero an hay incertidumbres, desgastes, sin que falten contradicciones. Un nuevo modo de predicar el evangelio, no obstante la gratuidad y la aparente ineficacia de los siervos intiles (Lc 17, 10), debe tener puntos de referencia, comenzando por una mirada positiva de la historia y del reino de Dios que en ella emerge. Esto se concreta en un dilogo sereno con la laicidad, y en el amor a la vida, que por su naturaleza sugiere el lenguaje ms eficaz para comunicarse con los hombres y las mujeres de nuestro tiempo. Encuentra su alma en la pasin redentora, y ms an en el estilo de ternura encarnado por Jess de Nazaret. Llega a ser un proyecto pastoral valiente y posiblemente creativo, para responder a los nuevos tiempos y a las nuevas exigencias.

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*** La teologia morale risente, nel bene e nel male, del modo di porsi della Chiesa di fronte al mondo, e in particolare di quella che stata chiamata la nuova evangelizzazione. In attesa di indicazioni organiche e precise da parte del magistero su di essa, qui vengono proposte alcune ipotesi di percorso, ispirate soprattutto a un modo nuovo di predicare il vangelo. Nella realt ecclesiale di oggi sono gi attivi molti di questi fermenti di novit pastorale, e pur tuttavia si assiste a incertezze, fatiche, n mancano contraddizioni. Un modo nuovo di predicare il vangelo, pur mettendo in preventivo la gratuit e lapparente inefficacia dei servi inutili (Lc 17, 10), deve avere comunque dei punti di riferimento, a cominciare da uno sguardo positivo sulla storia e sul Regno di Dio che in essa lievita. Esso prende forma in un dialogo sereno con la laicit, e nellamore alla vita, che per sua natura suggerisce il linguaggio pi efficace per comunicare con gli uomini e le donne del nostro tempo. Trova la sua anima nella passione redentrice, e ancor pi nello stile di tenerezza incarnato da Ges di Nazareth. Diventa progetto pastorale coraggioso e possibilmente creativo, per rispondere a tempi ed esigenze decisamente nuovi.

THE RESURRECTION AND THE FOUNDATIONS OF MORAL THEOLOGY


Anthony J. Kelly, C.Ss.R.*

This is a brief reflection on the resurrection of the crucified Jesus and its relation to moral theology and Christian ethics. We argue that faith in the resurrection continues to be of revolutionary significance. The more it is appreciated as the world-transforming event it is, the more evils of the world are unmasked, and the greater is the demand for a critical, hopeful praxis in confronting them. In what follows, I will present my remarks under four headings: 1) Theological Systems and Christs Indefinable Resurrection; 2)The Realism of Moral Theology; 3)The Resurrection Effect; 4) A Paschal Hermeneutics.

1. Theological systems and Christs indefinable resurrection


It is often observed that religions are reborn with each new day. Unless there is a continuing refreshment of religious experience, any religious phenomenon would vanish from history. Needless to say, this is true of Christian faith and of the vitality and imagination of theology, especially of moral theology in its concern to re-shape the world in accord with the Kingdom of God and the New Creation that is already begun. In some radical way, the resurrection of the Crucified One permeates the whole phenomenon of the Church its
* The author is an ordinary professor of the Australian Catholic University. * El autor es profesor ordinario en la Universidad Catlica de Australia. Il presente articolo riprende la relazione svolta durante il VII Congresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale Le fonti classiche e contemporanee di teologia morale (Cadine -Trento, 21-24 luglio 2010).
StMor 48/2 (2010) 349-369

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proclamation, liturgy, sacraments, scriptures, its theologies, and its communal life and mission. Admittedly, the resurrection of the crucified Jesus is, in effect, so embedded in Christian tradition that it has never neededa definition in the way that the mysteries of the incarnation and the Trinity eventually needed to be defined. Even if not defined and even if inherently indefinable on this side of the eschaton the resurrection of the crucified Jesus is the transformative event affecting all Christian existence. However, theology seems to suffer a certain embarrassment compared to its assurance in regard to the supposedly meatier and more relevant doctrinal themes and moral concerns. Note that in the history of Christian doctrines, the incarnation, from the third century on, attracted a major part of the Churchs concern. The incarnation was more adaptable to systematic presentation than the resurrection even if, for both doctrine and theology, it is only in the light of the resurrection that the incarnation is appreciated as a mystery, or encountered as a problem. Christian morality, too, finds in the life, teaching and death of Jesus a clear point of departure and ethical inspiration. The Word incarnate, God-with-us in Jesus of Nazareth (Mt 1:23) not Christ apart from us in the resurrection anchors theology more firmly in the world of human experience.1 Yet it is seldom stressed that the Word was made flesh, not only in being born, living, speaking and acting, suffering and dying as a human being, but also in his rising from the tomb, in his ascension to Gods right hand in heaven, in his presence in the life of the Church, and in the eschatological recapitulation of all things in him.2

ascribing to a thoroughly incarnational theology in the tradition of Chalcedon, I cannot but notice that its classic Christological doctrine does not mention the resurrection. Yet the confession of the one and the same, our Lord Jesus Christ, acknowledged in two natures, without confusion, change, division or separation (DS 301), would have presented no problems and required no doctrinal definition if Jesus had not risen from the tomb. 2 In the West, at least, the piety of the faithful accorded Christmas more importance than Easter. The Word and Son of God was born of Mary two thousand years ago in the stable at Bethlehem. His rising from the tomb did not have

1 While

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Decades ago, Karl Rahner lamented the dwindling theology of the resurrection.3 Before him, F-X. Durrwell expressed a similar lament over the resurrection being demoted to mostly apologetic significance.4 To a lesser extent, this is the case with N. T. Wrights monumental study, The Resurrection of the Son of God;5 it is largely a document of historical explanation with an explicit apologetic intent. Brian Johnstone, CSsR has already pointed out the strange absence of the resurrection in moral theology and Christian ethics.6 When Pauls speaks of the new creation and conformity to Christ crucified and risen, or when John elaborates on the life that has been revealed (1 Jn 1:2), it can appear that moral theology is most busy speaking of the natural law in a shared world in which the resurrection has made little difference. Likewise, in treatises on the sacraments, though sophisticated and helpful connections are made with the anthropology of ritual, symbols and signs, the resurrection-effect can be oddly muted. The resurrection is simply taken for granted. It

the same affective impact. The resurrection was intrinsically a far more awkward consideration. It was an event of another order; and imagination, in its efforts to depict it, could easily veer in the direction of fantasy. Despite the imaginative and affective importance loaded onto the birth of Jesus in the flesh, we need to recognise that, unless Christ had been raised, Christmas would lose its significance. There would be no theology of the incarnation, and no merry Christmas. 3 KARL RAHNER, Dogmatic Questions on Easter, Theological Investigations IV, trans. Kevin Smyth, (Baltimore MD: Helicon Press, 1966), 121-133. 4 FRANOIS-XAVIER DURRWELL, F.-X., The Resurrection: A Biblical Study. Trans. Rosemary Sheed (London and New York: Sheed and Ward, 1960), xxiii. F. X. Durrwells The Resurrection appeared fifty years ago in its original French edition. It stands out as a bracing attempt to recall theology to its focal point. Yet it came, and went; possibly because it was lost in the no-mans land of biblical theology too biblical for theology, and too theological for the historicalcritical styles of exegesis that were then developing. 5 N.T. WRIGHT, The Resurrection of the Son of God (Minneapolis, MN: Fortress Press, 2003). 6 BRIAN V. JOHNSTONE, CSSR, Transformation Ethics: The Moral Implications of the Resurrection, in STEPHEN T. DAVIS, DANIEL KENDALL, SJ AND GERALD OCOLLINS, SJ (eds), The Resurrection. An Interdisciplinary Symposium on the Resurrection of Jesus, (New York: Oxford University Press, 1997), 339-360.

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is not appreciated as granted, as given within the inmost dynamics of Gods self-giving love, to saturate every aspect of the life and mission of the Church. For the Church itself, there are inevitable preoccupations occasioned by defending its rights to exist, especially in non-Christian or post-Christian societies. However urgent such concerns are, the energies of the Churchs mission would be sapped if it sees itself merely as the guardian of ethical values, or as the promoter of human dignity, and, inevitably, as the defender of its own institutional freedoms and so forth. Of more radical importance is the sense of the resurrection-effect pervading every aspect of the Churchs communal life and mission.7 The resurrection sounds, perhaps, as a base chord in the larger symphonic arrangement of theology, but it is never particularly intrusive. Indeed, theology seems to observe a strange silence. When it comes to speaking of what made all the difference, it is not only the women in Marks Gospel who said nothing for they were afraid (Mk 16:8). Theologians in every age can sympathise with the quandary felt by the provincial governor, Porcius Festus, puzzled by the possible subversive effect of Paul preaching the resurrection of Jesus (Ac 25:19). Yet Paul was intimately convinced of the reality that had been revealed to him, understanding it to be central to the tradition he knew and handed on. In addressing a situation of confusion in the Christian community of Corinth, he expressed a vigorous logic: if Christ has not been raised, your faith is futile, and you are still in your sins (1 Cor 15:17). Paul presumes a knowledge of the life, death and words of Jesus, and even cites a saying of Jesus not recorded in the Gospels, It is more blessed to give than to receive (Ac 20:35). It remains, however, that the resurrection of the crucified One is for him the event that made all the difference. At this point, later theology inherits both the clarity of Pauls conviction and the complexity he experienced in trying to communicate it. When theol-

See ANTHONY J. KELLY, CSSR, The Resurrection Effect: Transforming Christian Life and Thought (Maryknoll, NY: Orbis, 2008).

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ogy is busy about finding a hearing in the intellectual world in which it operates, it can seem oddly mythological to speak of the resurrection in a world in which the dead do not rise. Paul knew this then, and theology knows it now. Pauls experience of the mockery of the Areopagus when he attempted to tell his learned audience of the good news about Jesus and the resurrection (Ac 17:18) is nothing new. If the cross is a stumbling block to the Jews and foolishness to the Gentiles (1 Cor 1:23), to say nothing of a subversive impact on Roman imperial claims, the resurrection certainly intensifies the problem of scandal, foolishness and suspicion of subversion.

2. The realism of Moral Theology


As they explore the foundations of their discipline, moral theologians feel the force of two Pauline declarations. The first serves as an inspiration to incarnationally founded dialogue in terms of global natural law: Whatever is true, whatever is honourable, whatever is just, whatever is pure, whatever is pleasing, whatever is commendable, if there is any excellence and if there is anything worthy of praise, think about these things (Phil 4:8). The second quotation expresses Pauls all-but stark insistence on the central role of Christ: I regard everything as loss because of the surpassing value of knowing Christ Jesus my Lord. For his sake I have suffered the loss of all things, and I regard them as rubbish, in order that I might gain Christ... (Phil 3:8). Such words might require that moral theologians discreetly shield their prospective dialogue partners of other religious or philosophical persuasions from such intense, starkly expressed, Christian conviction if any kind of conversation is to ensue. The incarnation has not ceased; it continues as an expanding event through Christs life, death, resurrection and ascension. How, then, does its very excess open outward to dialogue with all human beings in a global search for moral values and in hope for the transformation of our one world? Though moral theology cannot be imagined without ways of incorporating the natural law tradition, it must never allow itself to

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presuppose an idealized, innocent moral situation without any acknowledgement of the evils that infect human history and affect the capacities of culture and society to promote consistently the common good. Natural law is an exalted notion, but it does not permit us to be unaware of unnatural laws that have structured the history of human societies. This is evident in the victimization of the other, in social dynamics of envy and in the totalitarian uses of violence. But a problem remains in the human experience of moral impotence and the spiralling frustration that results throughout history. So much of life is clearly undecided; so much sacrifice goes unrewarded; so many of the once strongly flowing currents of renewal end up in arid sands to no calculable effect. The directionless life favours a culture of being law unto oneself , no matter how the suffering other or the common good might be affected. When this cultural self-understanding is bent away from the source of transcendent meaning and value, the profound existential significance of the biblical description of sin as harmartia and anomia begins to resonate loudly in our cultural consciousness. There is a twisted, self-referential, directionless impotence in the air we breathe. In that atmosphere, the uncovering of one evil occasions further evils in response further dishonesty, vengeance, violence, and in the end, further hopelessness. Little wonder the reality of evil is trivialised: an anodyne listing of sins is submitted to the figure of a kindly divine judge to wipe away, so that the mercy of the Father is reduced to a tolerance of the banal naughtiness of the children. But the more we are exposed to Christ, the Light of the world, the more the driven, grotesque absurdity of the human situation stands out as that from which we need to be saved. It can happen, then, that the event that represents Christs victory over death, and over the evils that we have caused or suffered, is little appreciated because the energies of hope are being overwhelmed in a world groaning with menace, despair and absurdity. While current interest in a global ethic may be greeted as a secular grace in critical times, it cannot pretend that secular and dehumanizing forms of original sin are simplely part of our sorry inheritance. Indeed, a renewed commitment to a global ethic or to a

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universal natural law seems increasingly like an expression of hope protesting against all totalitarian attempts, political, economic or cultural, to diminish the human community by undermining human rights and disregarding any transcendent values. There is a summons to move beyond forms of isolated security or short-term gain in order to develop a more inclusively moral humanity. Such a global ethic would promote co-responsibility in contesting particular cultural forms of untroubled self-love with their implicit contempt for the other. In other words, natural law does not underwrite the status quo. It is revolutionary, in its way, as it provokes an examination of the possible new, especially through the recognition of the hitherto disowned other, and those voices of suffering hitherto inaudible in the routine worlds of political discourse. All have suffered similar kinds of defeat, and each has felt the scandal of evil working in the history of hitherto irreconcilable conflicts. Still, out of the depths of the darkness, death and defeat, the Crucified One has risen. He is present to the Church with the words, Do not be afraid: I am the first and the last, and the living one. I was dead, and see, I am alive forever and ever; and I have the keys of death and the underworld (Rev 1:17-18). Does this make a difference to the way we see the world, and the way we present the Christian moral life? The New Testament does not seem to envisage a world of urbanely conducted dialogue. The figure of the enemy and the persecutor is never far away. The Gospels presume that the world that God loves, and that Christ comes to save, will be in neuralgic reaction against the Risen One who disturbs the human condition with his summons to love, to forgive, and to renounce oneself (Lk 6:2731; Jn 16:1-4). The world, even in its religions, is the milieu in which the crucified Jesus is a multi-dimensional scandal (1 Cor 1:22-25). Admittedly, Christian realism can never foreclose on the limitless range of Gods mercy, nor turn from the possibilities of reconciliation even in adverse situations, nor, for that matter, place any limits on our hope for the salvation of all (1 Tim 2:3-4). How such an eschatological hope will be realized is not given to the mortal mind or imagination to conceive (Rom 11:33-34). What must remain clear is that any Christian conception of the fulfillment of life must not give

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way to defeat, or limit itself to the present dimensions of the fearlocked room in which the community of disciples gathered: the crucified and risen Jesus appears among them, and sends them forth in the power of his Spirit (Jn 20:19-23).

3. The resurrection effect


Theology plays its part by drawing on the energies that flow from the risen Christ. Moral Theology/ Christian ethics is understandably intent on serving the cultures of humanity by elucidating universal values and ethical norms in the contemporary pluralistic world. But how does the all-transforming event of Christs rising from the tomb make any difference to moral discourse? Any attempt to answer that question might find unexpected resources, for instance, in St Thomas traditional theology of the Gifts of the Spirit. There, Aquinas allows for a certain deconstruction of his own systematic synthesis in the light of the economy of grace. He treats of qualities of moral consciousness when mind and heart experience a movement of Gods action taking the graced agent beyond the rational scope of human reason. True, the gifts of the Spirit are not usually connected with the moral impact of the resurrection on Christian consciousness, but it would be worth exploring how wisdom, understanding, counsel, fortitude, knowledge, piety and fear of the Lord can be interpreted as a register of the resurrection in human experience, or as Aquinas would say, the resurrection of the soul.8 Faith experiences the Spirit of God moving within a supra-rational mode of consciousness with consequences in the moral life in terms of individual vocations, charisms, and inspired action. The gift of the Spirit does not replace the risen Christ, but rather manifests his presence and conforms the faithful to him in whom the gifts of the Spirit are present in the most excellent manner.9

8 9

STh III, q. 56, a. 2. STh III, q. 7. a. 5.

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Aquinas treatment of the gifts is one indication of how the immense interconnected system of his theology makes way for the singularity of Gods action, either in moving Christians to act, or in raising the Crucified from the tomb. It easily happens that generalised, rationalistic abstractions push the uniqueness of the Resurrection-event out of play. And yet its effect continues in the witness of the early disciples, in the formation of the New Testament itself, in the very existence of the Church and in the faith, hope and love informing Christian consciousness at this moment. Christs rising from the dead saturates the Christian and moral life with meaning. It opens the horizon of faith in which everything body, mind, heart, history, and the universe itself is seen differently. How might this new awareness be articulated? The answer would need to encompass the whole of Christian experience and that is never going to be possible. But there are some particular matters to consider. For example, there is a sense in which the secular world is showing a new, largely inexplicable moral awareness of responsibility to the victims of history. Remarking on this unprecedented contemporary phenomenon, Ren Girard observes, No historical period, no society we know, has ever spoken of victims... you will not find anything anywhere that even remotely resembles our modern concern for victims... It is the secular face of Christian love.10 Our world is giving a new hearing to voices from the underside of history, hitherto drowned out by the success stories of the powerful. We may lament the nihilistic relativism and moral confusions of the age, but there is obviously something else at work. And it is a powerful factor in contemporary social and political awareness. A new sense of solidarity with victims means that Christian faith in the Risen Victim precludes any retreat from the secular, public world, but calls for a more wholehearted involvement in it. It does not distract from social responsibilities, but remains the inspiration for what a socially and politically concerned morality most needs.

REN GIRARD, I See Satan Fall Like Lightening (Maryknoll, NY: Orbis, 2001), 161.

10

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All recognize that United Nations Universal Declaration on Human Rights (UDHR) in 1948 is among the most noble carriers of this revolutionary awareness. Recognition of the dispossession suffered by indigenous peoples in the colonial period, the claims of poor countries for cancellation of debts, and even the present awakening to ecological values, are all part of the developing picture. In the face of resistance and all manner of setbacks, especially as documented in L. C. Keiths recent study11, somehow hidden in this new awareness is a stirring of conscience. Despite the waning of what was once termed Christian civilisation, there is an indication of how the paschal mystery of Christs death and resurrection has in fact been penetrating human history in a surprising way. In this historical field of mustard seeds, the Gospel is slowly permeating the world, sprouting even in the stony ground of the violence and selfishness inherent in any human culture. The kingdom of God does not lack its signs even though language is lacking to articulate the moral and philosophical foundation of human rights, and even if there is a strange cultural amnesia in regard to the historical sources of social meaning and values. Nonetheless, there is a hope, however inarticulate and inexpressible, that, in the end, the proud are scattered in the conceit of their hearts, the mighty are toppled from their thrones, and the lowly, from the underside of history, are lifted up (Lk 1:52-53). The situation is undoubtedly morally precariouse. For that reason it provokes in Christian believers and theologians a fresh receptiveness to the radical significance of the resurrection in human history, as the focal disclosure of the truth that will make you free (Jn 8:32). This is the stone rejected by the builders of fortresses designed to keep out the threatening other. Yet it has been made the chief corner-stone of a home open to all (1 Pt 2:4-8// Mt 21:42; Mk 12:11; Ac 4:11. Cf. Ps 117: 22). A pacific humanity is in-the-making. Pauls words have a striking modern relevance: Bless those who persecute you; bless and

L. C. KEITH, The United Nations Covenant on Civil and Political Rights: Does it Make a Difference in Human Rights Behavior? Journal for Peace Research 36, no. 1 (1999): 95-118.

11

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do not curse them... do not repay anyone evil for evil, but take thought for what is noble in the sight of all. If it is possible, so far as depends on you, live peaceably with all (Rom 12:17-19; cf. 14:13).

3.1. A Refreshed Sense of the Resurrection?


There is a gap between UDHRs powerful proclamation of human rights, on the one hand, and, on the other, the responsibility of all parties to make such rights a social reality. But this is the door inviting Christian theology to enter. Jesus freely exposed himself to the violence of cultural forces in order to disrupt, once and for all, the old world order based on the victimisation of others. His resurrection is not a new thought, but an erupting and expanding event, unmasking the victimising dynamics latent in all societies, and revealing a new and final way of co-existing. It has both a disturbing and liberating effect. Those who have suffered as victims and martyrs, and those who have caused such suffering as oppressors and persecutors, are alike enfolded in the boundless compassion and forgiveness embodied in the risen One. In the self-disclosures of the risen Victim, his disciples receive their mission. They are sent out to work for transformation of the world in the light and in the power of what has already been anticipated in Christs rising from the dead: As the Father sent me, so I send you (Jn 20:21). The dynamism of this sending makes Jesus rising from the dead an ever-expanding event. At the origin and end of Gods saving action, the first and last word is peace and reconciliation. There is no question of an original and essential dialectic of conflict between good and evil. The other, however malevolent, death-dealing, indifferent or simply different is not a terminal threat to Christian integrity. All are destined to belong in Christ and to find their reconciliation in him. The other can never be sacrificed for the sake of me or us; for we, in the most comprehensive sense, belong together. The Gospel is clearly quite aware of the contrary point of view: Caiphas is prepared to sacrifice Jesus for the stability of the political and religious order (Jn 11:50), while Pilate consigns him to death for reasons of the imperial pax Romana. Political accommodations of this

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type presume a certain conception of peace. But it is ever fragile and elusive, achievable only through calculations of a balance of power. There is, however, a basic irony in this position: for when is power ever content with a balance? Rivals must remain a threat; and if a threat, there is really no place for them in any desirable future. In the end, they do not belong with us in what is coming to be. In contrast, the resurrection of the crucified Jesus embodies peace as the reconciliatory event which has already occurred.12 God has acted by vindicating the Victim. For the sake of an all-inclusive salvation, Jesus had chosen the way of powerlessness, in contrast to the way of power and domination of others. In the vulnerability of love, he has surrendered to the peace that only God can give. Such love and such peace are the radical subversion of an untroubled establishment, and ever a threat to the authority in possession. The inviolable, religiously-sanctioned, social and political order thus has reason to fear. The kind of future that Jesus embodies inspires the conviction that the mighty are to be toppled from their thrones and the lowly and despised raised up (Lk 1:52-53). His rising from the tomb changed the meaning of hope. No longer could it be dismissed as a nave and impractical longing with him as its chief casualty. His resurrection was the ultimate vindication of his way of seeing and imagining the world.

4. A paschal hermeneutics
In this perspective, the empty tomb becomes a troubling space at the heart of any order and peace founded on the domination of the poor and the powerless. The kind of politics intent merely on restoring the balance of entitlements in a radically diseased and violent world is called into question. Once the resurrection has occurred, that world is passing away (1 Jn 2:17). In the new aeon al-

See WILLIAM BOLE, DREW ANDERSON SJ, AND ROBERT HENNEMEYER, Forgiveness in International Politics (Washington, DC: United States Conference of Catholic Bishops, 2004).

12

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ready begun, justice is newly defined through the vindication of the crucified Victim. Justice, in such a light, must become the expression of the moral imagination of love. It promotes solidarity with all victims. It realises that reconciliation of enemies is the only way forward. It dares to see forgiveness as a practical option and, indeed, the only final solution. Problems, of course, abound, but it is good that they emerge for the right reasons. The political and social seductions of the death penalty are perennial. New issues arise related to torturing enemies for the sake of national security. The conditions legitimating war in defense of national or regional interests are the subject of endless deliberation. Is there a point at which all such options appear as counsels of desperation in a world where nothing has really changed, and no real change is possible? And is that point found precisely in the resurrection of the crucified Jesus? Whatever the complexity, moral discernment recognizes in the instances just named that the judgments of prudence are questionable if they are used to guide human conduct in the world without any recognition of how God has decisively acted within it and for it. The prudence appropriate to a postresurrectional world is a practical anticipation of eschatological peace. It guides a vision of human community in which the victimisation of some is not the precondition of lasting life for others. The divinely-given victim has unmasked the assumption that making victims is the prelude to peace. His resurrection reveals the ultimate fruitfulness of sharing in his self-giving love.13 In the face of disillusionment and impotence, all the passionate energies of liberation, all the courageous critique of the way things are, do not finally rely on some mythic symbol or on an ever-deferred future. That future is already inscribed into the reality of history.14 It

Transformation Ethics, 355, notes that for Aquinas war is treated in the context of charity, not justice! (cf. STh II-II, q. 39). 14 DENIS EDWARDS, Resurrection and the Costs of Evolution: A Dialogue with Rahner on Non-Interventionist Theology, Theological Studies 67 (2006): 816-833 especially 827-833.

13 JOHNSTONE,

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is the source of an impetus to something more, something more worthy of Gods transformative judgment on human and cosmic history. The enormous excess of evil, increasingly apparent in its global proportions, is met by another excess, that of love, stronger than any death we know. It has already raised up the Crucified, and made him the source of life to the full (Jn 10:10).15 This is to say that appealing to the natural law built on a communication of global moral values need not be continually mocked by the excess of evil. It is a way of hopeful moral thinking within a history in which the ultimate vindication of human values has occurred in Christ. In a singularly evocative passage, Vatican IIs Gaudium et Spes points theology in the right direction:
When we have spread on earth the fruits of our nature and our enterprise human dignity, fraternal communion, and freedom according to the command of the Lord and in his Spirit, we will find them once again, cleansed this time from stain of sin, illuminated and transfigured, when Christ presents to his Father an eternal and universal kingdom... Here on earth the kingdom is mysteriously present; when the Lord comes, it will enter into its perfection.16

Understandably, moral theologians and Christian ethicists may well observe a certain reserve in the conduct of conversations in many areas of ethics today. But this does not mean, nor must it mean, a methodological exclusion of the significance of Gods victory over evil in raising Jesus from the tomb. At the price of its authenticity, Christian theology cannot pretend that the resurrection has not happened. A rationalistic hermeneutic of suspicion can be countered by a hermeneutic of receptivity and gratitude more typical of a phenomThomas considers that the Risen Jesus is already the cause of our spiritual resurrection, even if the resurrection of our mortal bodies must wait until the end of time. See STh 3, q. 56, a. 2. 16 Gaudium et Spes, The Pastoral Constitution on the Church in the Modern World, par. 39, in Austin P. Flannery OP (ed.), Documents of Vatican II. New Revised Edition (Grand Rapids, Michigan: Eerdmans, 1984), 938.
15 St.

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enological attitude. Then, things begin to look different. Open-ness to the given, thankfulness for it, participation in it all stand in contrast to an ideological suspicion of the phenomena. The data, the givens, of love and life, of union with Christ in his transformed bodiliness, are a new point of departure. The intimations of wonder and astonishment in the face of the uncanny gift of existence in all its forms call forth another kind of disciplined awareness. It is not a matter of taking everything naively for granted. There is, however, a more critically nuanced receptivity appropriate to the unobjectifiable particularity of persons, things and events. It means, not taking them for granted, but as granted as being given into consciousness in their originality.17 This disciplined receptivity is not preceded or subsumed by a prior ontology which would pretend to establish the limits of the possible. Newman, in a general remark, contrasts the phenomenon of mystery with its opposite:
Instead of looking out of ourselves... throwing ourselves forward upon Him and waiting for Him, we sit at home bringing everything to ourselves... Nothing is considered to have an existence so far forth as our minds discern it... in a word, the idea of Mystery is discarded.18

As Newman saw, what is at stake is our sense of the infinite originality of the divine mystery. From one point of view, the resurrection represents the most intense point of a positive theology. From another perspective, it inspires a demanding negative theology, for the resurrection, even though it means the world to Christian faith, it is out of the world in terms of any analogies, concepts or symbols that pretend to depict it. Positivity and negativity are inter-

Cf. WILLIAM DESMOND, Is There Metaphysics after Critique?, International Philosophical Quarterly (2004): 221-241. 18 J. H. NEWMAN, On the Introduction of Rationalistic Principles into Revealed Religion, Essays, Critical and Historical 1 (London: Longmans and Green, 1890, 34-35.

17

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twined. Each aspect impels toward the other, and both look beyond themselves to the singularity of the resurrection-phenomenon itself. Aquinas, for all his systematic coherence and precision of expression, suggests the indefinable character of the resurrection in what reads as a disconcertingly modest and open-ended description: Christ in his rising has not returned to life as it is perceived in common human experience, but to a kind of deathless life which is conformed to God.19 Thus, the resurrection occupies a point beyond human perception, beyond the limits of death, ultimately definable only by the form or character of the mystery of God itself. If the phenomenality of the experience of faith is not appreciated, the philosophical categories and systems supporting doctrinal positions cannot but appear as ice-sculptures needing the controlled atmosphere of a protective metaphysical system. But that is what is now being threatened by the hot winds and the changing seasons of historical experience. Phenomenological vigilance is needed if what is given is to be received on its own terms. Without such receptivity, theology tends to be confined defensively within the atmosphere of a locked room of firm floors and ceilings. It may allow for a certain number of doors and windows, but, all along, what is at stake is letting in the light and atmosphere of a new creation. Just as the risen Jesus entered the locked rooms to the surprise of his fearful disciples, a more phenomenological receptivity makes any theological space more hospitable to the light of Christ and the fresh air of his Spirit. The conclusion of Johns Gospel remains a healthy reminder: the risen Jesus is not contained within the linear print of any book or of all the books of the world (Jn 21:25). That is to say that the phenomenon exceeds all efforts to express it. In a more contemporary vein, theology is not engaged in a video replay of the highlights of the game, passively assured of the outcome, once ones team has won. For beyond the play of images, theological faith must risk an openness to the given on its own terms. It is not a matter of reproduc-

autem resurgens non rediit ad vitam communiter hominbus notam, sed ad vitam quandan immortalem et Deo conformem (STh 3, q. 55, a. 2).

19 Christus

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ing impressions or trying to capture a dwindling after-effect. The challenge is otherwise: to enter into an involvement with what causes everything to be seen anew the light of the risen One. By attending to the resurrection as the original datum of faith, theology is invited to re-focus its attention precisely on what originally collapsed all categories, and left tongue-tied the original disciples who witnessed it, namely, the resurrection of the crucified One. It is this which, quite literally, must be allowed to shock theology to its foundations, and dazzle the spurious clarity of its rational systems. The strong wind of the Spirit shakes the whole house of our thinking. The no-longer controlled atmosphere makes the ice sculptures melt. The freedom of the living One interrupts the linear format of our books and disturbs the locked doors of our previous security: something else is in play, involving believers in a way that no replay of highlights can satisfy. In the following intriguing remark, the philosopher Wittgenstein ponders on what inclined him to believe in the resurrection:
What inclines even me to believe in Christs Resurrection? ... If he did not rise from the dead, then he decomposed in the grave like another man... but if I am to be REALLY saved what I need is certainty not wisdom, dreams or speculation and this certainty is faith. And faith is faith in what is needed by my heart, my soul, not my speculative intelligence. For it is my soul with its passions, as it were with its flesh and blood, that has to be saved, not my abstract mind. Perhaps we can say: only love can believe in the Resurrection. [Emphasis original]20

The philosopher is here undoubtedly pointing in the direction of what Paul hymned as the unending love that bears all things, beL. WITTGENSTEIN, Culture and Value. Trans. Peter Winch (Chicago: Chicago University Press, 1980), 83. Sarah Coakley, Not With the Eye Only: The Resurrection Epistemology and Gender, Reflections 5 (2001): 1-15, connects Wittgensteins to the premodern theological tradition of spiritual senses, as an alternative to the modern extremes of Lockean empiricism and the history-transcendent emphasis of the early Barth.
20

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lieves all things, hopes all things, endures all things (1 Cor 13:7-8). The all inclusiveness of loves object correlates with the unreserved self-surrender of the subject, the one who loves with all your heart, and with all your soul, and with all your mind, and with all your strength (Mk 12:29-30). When the resurrection event is the truth on which the unreserved and unconditional love is based, and the point from which a horizon of love for God and the world opens out, its moral significance cannot be minimised. On the transformative effects of love, Lonergan writes,
Being in love with God, as experienced, is being in love in an unrestricted fashion. All love is self-surrender, but being in love with God is being in love without limits or qualifications or conditions or reservations. Just as unrestricted questioning is our capacity for selftranscendence, so being in love in an unrestricted fashion is the proper fulfillment of that capacity. That fulfillment is not the product of our knowledge and choice. On the contrary, it dismantles and abolishes the horizon in which our knowing and choosing check this and sets up a new horizon in which the love of God will transvalue our values and the eyes of love will transform our knowing.21

Lonergan is not speaking of the resurrection, that is true. However, he is referring to that divine gift of love which is disclosed, communicated, sustained and focused in the culminating event of the resurrection of the Crucified. Christian moral theology can be more specific: when it speaks of love as the charity informing all the virtues of the moral life it connotes the resurrection as the transformation that Gods love has already brought about and will bring about in all the members of Christ. Conversely, the theological meaning of the resurrection is focused in the divine transformation of the crucified Jesus, and finds its effect in the transformed lives of his disciples

LONERGAN, SJ, Method in Theology (London: Darton, Longman and Todd, 1972), 105-106.

21 BERNARD

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(Rom 8:11). If, in the words of Wittgenstein, only love can believe in the resurrection, it can also be argued that only the resurrection of the crucified Jesus inspires unconditional love to have confidence in its ultimately transformative power. The love of God reaches into our humanity and transforms it in Christ, and in all who, through faith, hope and love, live in him. How then does Christs resurrection figure in moral theology? This brief sketch of a possible answer suggests that the resurrection is the revelation of Gods love and our participation in it, whereas, the more love takes possession of us in mind and heart, the more the resurrection is understood as its source, form and end.

Conclusion
In concluding these remarks on the fundamental significance of the Resurrection for moral theology we can appeal to the four dimensions of its meaning.22 Cognitively, in terms of the objectivity of Christian revelatory events, we have been emphasising the incarnational significance of the Resurrection: the Word is made flesh climactically as the resurrection and the life (Jn 11:25). This is to say that a Christian moral theology needs to play all the notes on the scale of the incarnation, especially the completing highest note. In the constitutive dimension of its meaning, the resurrection informs and indwells the consciousness of faith, through the ultimate registers of faith, hope and love, as Wittgenstein insightfully suggested. The believer hears the first words of the Word in Johns Gospel, and answer the question they pose: What are you looking for?(Jn 1:38). The moral agent acts as a new self, a new creation, conformed to the crucified and risen One, and transformed by his Spirit. The deep narrative shaping that identity finds its ultimate

See LONERGAN, Method in Theology for the whole chapter on Meaning, 57-100, and especially The Functions of Meaning, 76-80.

22

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meaning in the resurrection: if the Spirit of him who raised Jesus from the dead dwells in you, he who raised Christ from the dead will give life to your mortal bodies also through his Spirit who dwells in you (Rom 8:11). In terms of its communicative effect, the resurrection of the Crucified not only stands at the centre of the Churchs community and mission, but also inspires a hope-filled solidarity with the victims of violence and injustice. The risen Victim is the foundation of a hope that the reign of God will not be defeated, and that life to the full is promised to all in a new heaven and a new earth (cf. Rev 21:1-7). These three dimensions of the meaning of the resurrection feed into its effective or world-transforming praxis. This is the special area of moral theology as it promotes the natural law governing relations to the neighbour and the global neighbourhood. But it also brings an excess of conviction and expectation into moral activity in terms of the vocations, charisms and the cloud of witnesses alive with the assurance that the best in the human condition will not be forever subject to the violence of the worst, but that the future will be one in which justice will be done, peace will reign and a healing mercy poured out. Even in apologetic terms, it seems wiser for theology to risk rejection of Christian claims for the right reason, namely, the overbrimming significance of the unique event of the resurrection. Even moral theology will communicate more tellingly when it clearly focuses on the singularity of the love that has been revealed, and what is at stake for human history.

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SUMMARIES
This article reflects on the relationship of Christs resurrection to the methodological foundations of Moral Theology. The indefinable character of the resurrection event has often meant that it is overlooked in theological systems, even when theologians treat of the positive values and the destructive evils affecting the human condition. Yet the resurrection continues to have its effect, especially in inspiring hope for the victims of history, and in inspiring and expressing the transformative value of our participation in the love of God. *** Este artculo reflexiona sobre la relacin entre la resurreccin de Cristo y los fundamentos metodolgicos de la Teologa Moral. El acontecimiento de la resurreccin no ha recibido a menudo la atencin que merece en los sistemas teolgicos, debido a su carcter indefinible, incluso cuando los telogos tratan los valores positivos y los males destructivos que afectan a la condicin humana. Pero la resurreccin contina teniendo su efecto, especialmente como esperanza que inspira a las vctimas de la historia, e inspirando y expresando el valor transformativo de nuestra participacin en el amor de Dios. *** Questo articolo riflette sul rapporto della risurrezione del Cristo ai fondamenti metodologici della teologia morale. Il carattere indefinibile del avvenimento di risurrezione ha significato spesso che trascurato nei sistemi teologici, anche quando teologi trattano dei valori positivi ed i mali distruttivi che toccano la condizione umana. Tuttavia la risurrezione prosegue avere un effetto, specialmente nella ispirazione di speranza per le vittime della storia e nellispirazione e nellespressione dei valori trasformativi della nostra partecipazione nellamore del Dio.

WORK IN PROGRESS ON TRADITION IN MORAL THEOLOGY


Terence Kennedy, C.Ss.R.*

For the last five centuries the notion of tradition has been at the eye of the storm, first in theology since the Reformation and then in culture and philosophy since the Enlightenment. The fact that this Congress on the sources of moral theology is meeting in this city of Trent highlights the continuing importance of the Tridentine Councils teaching on tradition. However, tradition is rarely discussed as a source of moral theology1 although two experts on the theme, Fathers Brian Johnstone and Marciano Vidal, are participants at this conference. Tradition has also assumed a more secular aspect. For the argument that divided modernity was formulated as: reason verses tradition, a tension inevitably associated with the status of religion in society. In the end doubting the rationality of traditions only brought about more critical insights into its necessity for the transmission of truth and its justification. From the work of J. H. Newman, J. A. Mhler, J. Pieper and others it has emerged that tradition forms the horizon in which we think and act for we cannot avoid being situated in

* The author is an ordinary professor at the Alphonsian Academy. * El autor es profesor ordinario en la Academia Alfonsiana. Il presente articolo riprende la relazione svolta durante il VII Congresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale Le fonti classiche e contemporanee di teologia morale (Cadine -Trento, 21-24 luglio 2010). 1 The notion of source should be defined as locus and not as fons so as to carefully distinguish the present discussion from that on the fontes moralitatis, which primarily has to do with the human act and how it is constituted from object, intention and circumstances, today often emphasising the aspect of human experience.
StMor 48/2 (2010) 371-393

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history. Sociologists have studied the mechanism of its working, its constitutive and communicative value for both civil and religious society. A. McIntyre, S. Hauerwas and the German philosophers who rehabilitated Aristotles account of practical reason found it was necessary to have recourse to intellectual traditions in order to verify their ethical theories. The fierce barrage of criticism launched by rationalism against any adequate examination of tradition has long since been silenced, and its bastions breached since the Romantic period. The atmosphere has changed from the defensive apologetics of yester year to a sincere desire to grasp the meaning of tradition as a present reality. We begin by examining the fate of this concept, first in philosophy, and then in theology with closer reference to the Second Vatican Council. Its teaching on revelation changed the way the sources or fontes of theology are conceived. Their use in moral theology raises some serious questions about that disciplines constitution especially in regard to ethics. It is also importance to inquire into its relevance for the Alphonsian inheritance in moral theology today.

1. Tradition in Culture and Philosophy


Around 1970 when the sociologist Edward Shills decided to write a book on tradition he found to his amazement that there was any number of studies on precise traditions but no analysis of tradition as such in the social sciences. He concluded that societies do not come from nowhere carried in by the stalk as it were. They do not exist just in one moment but over time. Societies are historical in as far as they are born of, exist in and project themselves into the future as traditions. Shills argued that tradition is a necessary means for charting our world and culture, for without it our world lacks meaning and we humans become demoralized. Society cannot chart its law, institutions, religion and ways of relating in marriage, home and workplace ab ovo on every occasion anew. And it is equally impossible to be constantly innovating or restoring. For Shills, Reason and tradition are the two main means of struggling with societys problems. Without the authority of tradition critical reason cannot be re-

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strained from consuming society even in its need for reform. Human beings need the help of their ancestors; they need the help which is provided by their own biological ancestors and they need the help of the ancestors of their communities and institutions. He discerns a paradoxical dialectic at work in the modern-postmodern period. The Enlightenment was antithetical to tradition, but it owed its success to the fact of its becoming a tradition. Living on a soil of substantial traditionality, the ideas of the Enlightenment advanced without undoing themselves, the Enlightenment ideal of emancipation through the exercise of reason went forward. It did not ravage society as it would have done had society lost all legitimacy.2 Society itself can be endangered by such rationalism and by the rationalizing economic activity that discredits religious and neighbourly communities, shaking them to their very foundations. Michael Polanyi illustrates the power of this line of thought for what is acknowledged as the epitome of modernity, the scientific community at the cutting edge of Western civilization. He found, contrary to what is commonly presumed, that it links present and past in a spontaneous coherence. This applies either for a particular discipline or even over the whole ambit of science on certain issues despite conflicts and divisions among scientists because they have a common tradition. They are speaking with the one voice because they are informed by the same tradition. The whole system of scientific life [is] rooted in a scientific tradition. The premises of science are embedded in a tradition, the tradition of science. The tradition of science is external to any particular scientist; it is a social fact that is upheld by scientists, as an unconditional demand if it is to be upheld at all... it is a spiritual reality that stands over them and compels their alliance.3 Tradition is the result of the repeated affirmations that go into its making. It is transmitted most tangibly from teacher to pupil, the teacher discriminately selecting the appropriate material from the stock of knowledge he possesses while inculcating and
Citations are taken from the Conclusion of EDWARD SHILLs, Tradition, University of Chicago Press, Chicago 1981. 3 Science, Faith and Society, University of Chicago Press, Chicago 1947, 38.
2

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arousing in the pupil a sensibility that allows him to grasp the problematic aspects of the tradition. Polanyi speaks of a spontaneous selfcorrecting process of transmission so that a tradition grows in appreciation of its inner strength and resources as it advances. There is thus a sequence or succession of experts that the scientific community honours for their outstanding contributions that have enriched and made the tradition progress into the future. The Polanyi type of investigation has been repeated for many other social institutions including philosophy, and its basic findings have been confirmed so often that we cannot avoid concluding that tradition is inextricably bound up with the history and understanding of rationality itself. The crisis of modernity shows where the hard nucleus of the problem can be identified. Once modernity became accustomed to attacking the idea of tradition the very notion of revelation and with it the constitution of theology were called into doubt. This essay touches upon but a few crucial turning-points in this conflict, drawing insights from them to show that theology cannot be rightly understood apart from tradition. For philosophers, in as far as tradition has rational content, it has come to mean i). the body of beliefs shared with past generations and handed on to the succeeding ones, and ii). the process by which such beliefs are transmitted. This conception changes radically when it is extended from such a body of beliefs to the practices by which they are socially transmitted from the past. Conflicts in the interpretation of tradition are not just over abstract ideas but about the forces, the powers that actually govern, form and shape society. Here we find deep tensions, e.g., the deep cleavage dividing rationalism from traditionalism in modern culture, particularly progressive from conservative in politics. For Karl Popper a prevalent modern attitude is, I am not interested in tradition. I want to judge everything on its own merits... quite independently of any tradition...with my own brain and not with the brains of people who lived long ago.4 Descartes and Locke were re-

Conjectures and Refutations, Routledge Kegan and Paul, 1973, 120-121.

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ligious believers convinced that as philosophers they had to rely on reason and experience alone. In reaction to dogmatism they sought to establish their theories on unshakably certain epistemological foundations so as to overcome the obscurantism associated with religious enthusiasm. The emphasis on reason, common to both the critics and defenders of religion in the Enlightenment period, led to a powerful concept that militated strongly against any appeal to tradition, namely autonomy. This found its classical formulation in Immanuel Kant who held that every individual bore responsibility for his or her beliefs. It was incompatible with ones integrity as a rational being to defer to any kind of authority. Hence to align oneself with a tradition was deliberately to abdicate from the status of a rational agent. We must remember that Kant did not want to close off the path to God who could be approached only by an historic faith that was hermetically sealed off from reason so as to go utterly beyond it. Intellectuals have now began to realize that reason is so immersed in history that it cannot escape it, but at the same time that it can be transcended by discovering its universal intent. Faith and religion once again fall within the range of reason as legitimate subjects of intellectual inquiry without being bound down within the restricted confines set by Kantian pure reason. Under the influence of Romanticism, however, the claims of reason had to be modified or abandoned, and the demand for autonomy was, in fact, reinforced. For the modern hero is free, independent and lonely. Autonomy is the hallmark of modernity so that to identify with an inherited tradition is to be caught out in bad faith. Charles Taylor emphasizes that standing up against all claims of heteronymous morality is a deliberate act of courage.5 Tradition became the target of autonomous reason when it declared itself to be the one and only source of morality. What was to be done with traditional beliefs becomes a perplexing moral issue, the call to take a critical adult attitude

CHARLES TAYLOR cites this as a crucial step in the development of secularisation in his A Secular Age, Harvard University Press, Harvard MA 2007.

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to authority by standing on ones own feet. The strife surrounding accepting or rejecting tradition pushed many wavering believers into skepticism or outright unbelief in the last few centuries. The source of morality is now found in the self-legislating moral self rather that in an appeal to God as the legislator of the moral law for humanity. Up till the seventeenth century tradition was largely unquestioned as a source of insight and so called for no defence. Since the Enlightenment it has been defended by traditionalist such as Burke and more recently in economics by von Hayek. Burke argues that we should cherish the latent wisdom contained in our prejudices simply because they are old. Tradition has authority in the present simply because it comes from the past, and encapsulates the wisdom and experience of the past. This is how he expounded traditionalism in 1790: We are afraid to put men to live and trade each on his own private stock of reason; because we suggest that this stock in each man is small, and that individuals would do better to avail themselves of the general bank and capital of nations and of ages.6 Upon inspection, however, traditionalism, if not indefensively irrational, turns out to be the demonstration of the overlooked rationality contained in traditions. Many philosophers would now argue that any explicit judgment is made against the background of unspoken and largely traditionally based agreement. John Henry Newman was the English thinker primarily responsible for vindicating the role of tradition. Although he was a theologian his approach was mostly philosophical. His primary target was Locke whom he criticized for failing to realize the role of antecedent assumptions in our reasoning. Locke held that beliefs could only be valid when established on self-evident principles or on experience. This evidence has to be able to be specified and to be able to be produced on demand before the bar of reason. Newman saw that this account was in contradiction with the way people actually think. All of us, and not only religious thinkers, are influenced by antecedent assumptions derived from some tradition of thought or practice which

Reflections on the Revolution in France, Dent, London 1967, 84.

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we are depending on whether we acknowledge it or not. Now antecedent assumptions cover a vast range of things: theories or systems of thought we take for granted and the language in which they are expressed. Newman also insisted that our convictions in matters of great importance are based on arguments that are informal and cumulative. It is not a straightforward matter to set out the evidence to which we appeal or to articulate the inferences we employ. Newmans principles illustrate the flexibility and so the continuity throughout discontinuity in any long standing tradition. His 1845 Essay on the Development of Christian Doctrine defended the role of tradition in society and particularly in Catholic doctrine and teaching against philosophical criticism. Its criteria for discerning the authenticity of tradition are still in use. Newman restored the emphasis on the Church as a knowing, conscious subject whose mission was the transmitting of its faith inheritance. In Germany the Tbingen school performed a similar task in the early eighteenth century regarding the Hegelian concept of tradition as the spirit in time. It conceived truth as history, as consciousness in its self-evolution and so as a product of history. Truth had no objective hold outside the coils of the self as it progressively unfolded as an historical subject. Johann Adam Mhler highlighted how tradition was a fact, the Churchs progressive penetration and depthing of its growing awareness of the truth. Johannes E. Kuhn carried this proposition further by insisting that tradition should not be abandoned into the power of subjective consciousness, but had to discover what was objective and normative in this history.7 The knowledge of truth is not to be confounded with the truth itself. The issue of consciousness and historicity came to a head with modernism. With the introduction of new critical methods into the study of history scholars became aware how normative texts in a tra-

WALTER KASPER has paid close attention to the influence of German idealism in the nineteenth century discussion on tradition. See His Tradizione come principio di conoscenza teologica, in Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1989, in particolar 87-90.

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dition were influenced by social, political and historical conditions. They readily accepted tradition but were forced to ask if such texts, including the Bible, could be as consistent and normative as the ahistorical claims made for them pretended. Were they not relative to the history that generated them? They were always interpreted and so subject to the circumstances and worldview in which they were understood. Finally how does one access the claims of a tradition against rival traditions or interpretations? Such considerations lead the modernists not to deny tradition but give it a symbolic meaning whereby its foundations had to be constantly reinterpreted. This could of course be applied even to the magisterium and in this way modernism became a major challenge to Church authority. Tradition seemed to be disappearing with the advance of historical research. Blondel argues there is an irreducible element in tradition which always escapes when we put tradition in writing. What happens then that, as the active sense of the word would suggest, tradition conveys in a literal, not a metaphorical sense more than ideas which can be given a logical form: it embodies a life which includes at one and the same time feelings, thoughts beliefs, hopes and actions.8 In Polanyis short formula: We know more than we can tell.9 Blondel held for identity in continuity within history thus avoiding the extrincisism of some Catholic apologists who saw everything in terms of ahistoric dogmatic formulae, and a historicist exegesis that made everything relative to historical circumstances. Exegesis cannot simply be reduced to the application of the critical-historical method but had to take account of history by studying its Formgeschichte. Scripture itself as scholars came to realize was a product of traditions and grew out of the life of the Church. Thus some part of the church is beyond the power of science to check. Without dispensing with the data of exegesis and history..[it] checks them all, since it has in the very same Tradition that constitutes it, other means of know-

Quoted by Y. CONGAR, Tradition and Traditions, Burns and Oates, London 1966, 360. 9 The Tacit Dimension, Doubleday, New York 1966, 4.

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ing its author, sharing in his life, relating facts to dogmas and justifying ecclesiastical teaching root and branch.10 He goes on to describe its transmission, by a kind of fertilizing contact that successive generations have to interiorize and make their own, and must in turn be bequeathed as a permanent condition for life, to be continually and inexhaustibly shared by individuals. It is a principle of progress that implies the spiritual communion of souls that feel, think and will within the unity of the same patriotic or religious idea. What is passed on seems small, like a gold speck glistening in the sun on the earths surface revealing the immense quantity of precious metal yet to be mined beneath. It allows the gold of truth concealed in life to rise to the surface and be explicitly known. But it is quite impossible for the whole deposit to be turned into common currency. Blondel asserts that tradition has tacit and hidden dimensions for, as a principle of unity, continuity and fecundity which is initial, anticipatory and final, [it] precedes all reconstructive synthesis and likewise survives all reflexive analysis.11 Exactly these qualities have recently returned to prominence in virtue ethics. Alasdair MacIntyre in his 1981 ground-breaking study of ethical theory After Virtue has brought out how virtue is properly understood from the perspective of tradition and makes it clear that his insight applies beyond ethics. By assembling material from the social sciences, cultural history, ethics and literary theory he demonstrated that virtue can only be properly comprehended against a three dimensional background; tradition, practice and the unity of a life. Here the moral agent exists, as it were, surrounded by these three concentric circles, one overlapping the other. By communicating goods over time a community lives from tradition and participates in these goods by putting them into practice. Each tradition subscribes to normative standards which support it as a way of protecting its so-

Also quoted by Y. CONGAR in Tradition and Traditions, Burns and Oates, London 1966 from Blondels Histoire et Dogme. 11 See his Letter on Apologetics and History and Dogma, edited and translated by Alexander Dru and Illtyd Trethowan, Harvil Press 1964.

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cial inheritance. It is necessary to identify such goods, e.g. life, health, work, wealth, study and knowledge, recreation, public order, etc., and the institutions in which they are embedded so that societys members may strive to flourish and find fulfilment as human persons. Tradition can be analysed as a process that is a teleological cultural reality with its own internal rules and structures. It may grow and decline over time, somewhat like a language. The truth of a tradition would then be measured by fidelity to its origin, the source from which it flows, and the goods that draw it on in hope of its future achievement. The subject of tradition maintains its identity by acting with consistency in continuity within the flux of history. Tradition is the inner principle of life and activity of a community or society. A living tradition then is an historically extended, socially embodied argument, and an argument precisely in part about the goods which constitute the tradition.12 Kathryn Tanner goes further and proposes in a post-modern vein that instead of a process of transmission, tradition amounts to a process of argument.13 Despite her postmodern credentials she appears to have fallen into the rationalist trap by collapsing the rhetoric of communication into the dialectics of purely speculative and abstract argumentation. MacIntyre maintains that, when a tradition is in good order, it is always partially constituted by an argument about the goods the pursuit of which gives to that tradition its particular point and purpose.14 The hermeneutic movement broke through the accumulated prejudices of the past to perceive tradition as a mode of determining historical consciousness. The hermeneutic circle, the prejudgment or anticipation of meaning, the sense of distance from historical phenomena and the principle of application all point to tradition and authority as constitutive moments in science and society. This implies a certain ontology which is a coincidence between knowing and be-

After Virtue, 2nd ed. University of Notre Dame Press, Notre Dame Ind. 1984, 222. 13 Postmodern Challenges to Tradition, in Louvain Studies 28(2003) 183. 14 MACINTYRE, op. cit. 222.

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ing in history. In is in this direction that Gadamer and Ricoeur inspired by Heidegger but in a somewhat different key see tradition as the truth of historicity.15 Tradition was thus recognised as a source of moral knowledge that was constitutive not only of the life-style and biography for the individual but was also the carrier of a societys customs, values and institutions.

2. Theology and Tradition: 2. Vatican II, Revelation and Tradition


Twentieth century philosophy restored traditions respectability in intellectual conversation and this facilitated Vatican II rethinking the vexed question of the relationship of Scripture and Tradition as sources of revelation. This debate marked the turning-point or crisis in the Councils proceedings that reversed the terms of this argument so that revelation was recognized as the one unique source of both Scripture and Tradition.16 The question of the material sufficiency of Scripture i.e., whether Scripture contains all the resources of revelation that the Church can call upon was not settled. Scripture, Tradition and Magisterium are inseparably linked. The Councils teaching on Tradition in Dei Verbum no. 8 asserts:
The Tradition that comes from the Apostles makes progress in the Church, with the help of the Holy Spirit. There is a growth in insight into the realities and words that are being handed on. This comes about in various ways. It comes about through the contemplation and

See the relevant sections in MATTHIAS JUNG, Hermeneutik. Zur Einfhrung, Junius, Dresden 2001. 16 See JOSEPH RATZINGER, The Question of the Concept of Tradition, in Gods Word, IgnatiusPress, San Francisco 2008, 41-67. See also the commentaries on Die Verbum, e.g., OTTO SEMELROTH AND MAXIMILIAN ZERWICK, Vatikan II ber das Wort Gottes, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1966, and FRANCESCO TESTAFERRI, La Parola Viva, Cittadella, Assisi 2009.

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study of believers who ponder these things in their hearts (cf. Lk 2:19 and 51). It comes from the intimate sense of spiritual realities which they experience. And it comes from the preaching of those who have received, along with the right of succession in the episcopate, the sure charism of truth. Thus as centuries go by, the Church is always advancing toward the plenitude of divine truth, until eventually the words of God are fulfilled in her.

Our problem is then nicely put: How do we get from the overwhelming richness of revelation to moral theology as we know it today? Here are a few pointers to the framework within which such a question about tradition might be answered. 1. The first need is for a basic framework in which tradition can be understood. For Yves Congar17 the origin of Tradition as distinct from individual traditions lies in the Fathers handing over of the Son and in the Sons subsequent acceptance of betrayal (which in Latin is traditio meaning handing over) at the hands of sinful men. This two fold act is productive. Aidan Nichols says that it is linked to a masculine divine symbolism, is received and transmitted in the Churchs tradition whose ultimate subject is the Holy Spirit and which Congar conceives in essentially feminine terms.18 The Church is the realization in time of the self-communication of the triune God. The entire Church, in its lay and clerical components, is the mediating subject of Tradition which she passes on not just as teaching but as a reality, the reality of Christianity itself. Congar insists that Tradition constitutes, the permanence of a past in a present is whose heart the future is being prepared. It transcends the limits of a fixed conser17

The relevant references are from his classic La Tradition et les Traditions, Cerf, Paris, Part I 1960 and Part II 1963. Also to be consulted is Yves Congar. Theologian of the Church, G. Flynn (ed.), Peeters, Louvain 2005, and in particular JOHN WEBSTERS Purity and Plenitude. Evangelical Reflections on Congars Tradition and Traditions, 43-65. 18 See his chapter on Congar in From Newman to Congar, T&T Clark, Edinburgh 1990, 253.

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vatism or falsely radical disregard for continuity. In each age, the Churchs Tradition puts forth new buds, new movements, from a liturgical text to a work of art, from a theological classic to a saint. Tradition is a theological reality affirms Congar, which supposes an action of the Holy Spirit in a living subject, and this subject is the Church, the People of God and the Body of Christ. As an ecclesial reality it has a sacramental structure, disclosed through created signs.19 What was hidden in God is manifested in time. This manifestation, as knowledge, is revelation and tradition; as a present mystery, it is the Church, salvation and again Tradition, paradosis being the content of saving knowledge and practice which the Church transmits and by which it lives.20 It involves human cooperation with Gods graceful initiative and so occurs in the time of the Church, the time of those responses that are stirred up in us, in the order of truth and love, by the divine missions or visitations. 2. Tradition is a synthetic reality. It has active and passive, objective and subjective aspects. The Church under the action of the Spirit transmits revelation in history and so Tradition cannot be separated either from Sacred Scripture which is normative for it, nor from the Churchs Magisterium which is entrusted with its authentic interpretation. Tradition has a dual aspect: the depositum which is handed into the Churchs keeping, and the act of communication that transmits it. This accounts for the logical structure of tradition as an argument (depositum) that is continued over time in the actual transmission. This means that the formula faith and morals can be said to sum up the essential content of what is handed on by the Church and so in a broad sense concerns the fields of dogma and morals. This transmission implies a making, a production, a carrying forward through time of a spiritual and cultural witness. Such activity creates or produces history (a proesis) that as a truly human activity or act (as praxis or practice) follows normative moral criteria. Tradition has to

19 20

Y. CONGAR, Tradition and Traditions, Burns and Oates, London 1966, 238. Ibidem, 25.

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respect the logic both of its content and of the carrier responsible for its communication. Rhetoric bridges these two fields so that preaching the Kerygma means making the Gospel real and effective in new cultures and social contexts over the centuries.

3. Monuments of Tradition and Melchoir Canos Loci Theologici


1. The notion of Tradition therefore extends to the active presence of revelation in a living subject.21 This makes the distinction between Tradition and traditions not only possible but necessary in what are rightly called the monuments or witnesses of tradition. Congar sums it up this way: the monuments of tradition are objective historical realities; but Tradition is a theological reality that supposes an action of the Holy Spirit so that Tradition is prior to its monuments, since they are only expressions of it.22 2. It is in this context that the loci theologici need to be studied. Melchior Cano propounds ten loci where the monuments to revelation are to be found.23 1. Auctoritas Sacrae Scripturae. 2. Auctoritas Traditionum Christi et Apostolorum. 3. Auctoritas Ecclesiae Catholicae. 4. Auctoritas Conciliorum. 5. Auctoritas Ecclesiae Romanae. 6. Auctoritas sanctorum Veterum. 7. Auctoritas Theologorum scholasticorum. 8. Ratio naturalis. 9. Autoritas Philosophorum. 10. Humanae Auctoritas Historiae.24 These are not a preset series of categories for draughting and sorting historical material. They are really the overarching categories or

Ibidem, 401. Ibidem, 435. 23 It should not be forgotten that Cano is in fact continuing St. Thomas Aquinass discussion in the Summa Theologiae, I. Q.1, a.8, in particular in the lengthy response ad tertium. 24 The term Authoritas does not here refer to a power to bind or impose an obligation, but follows the original Latin meaning of capacity to generate life and make it flourish.
22

21

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better the horizons that make sense of the matter bequeathed by history and that can be discovered through the process of rhetorical inventio. The distinction between core and supporting sources (loci alieni) should be obvious and does not detract from the fact that both testify to Gods self-manifestation in the Church and in the world.25 Although philosophy, history, the natural and social sciences do not consider revelation as normative in their scientific elaboration today, for Cano they constitute sources constituting strictly theological understanding. The Councils platform of viewing these autonomous disciplines, in the light of the Gospel and of human experience, (GS no. 46) draws them into theologys orbit. 3. Over a century ago Ambrose Gardeil in his La notion du lieu thologique,26 interpreted Cano as providing the essentials for a treatise on theological methodology. This became the canonical way of seeing the sources of theology, i.e., reductively in a wholly epistemological key. His research showed that the notion of locus is drawn from Aristotles Analytics where dialect is the logic employed by reason in contingent matters. This was reflected in his Rhetoric as the method for establishing the reservoir or reserve of arguments that an orator could call upon in disputes within the polis. Gardeils main finding was that revelation is the criterion for the validity of a locus theologicus. In the subjective sense this means what the eyes of faith discerns the rational structure of the depositum and this is the starting point for all arguments in theology. Theologians are accustomed to give lists of such sources. Recently this has led to a retrieval of Canos thought as foundational not in an epistemological perspective but as communication channels whereby revelation reaches us. They are the paths that Gods action
See BERNHARD KRNER, Welche Rolle spielen die loci theologici in der Fundamentaltheologie? in J. M. ZU SCHLOCHTERN UND R. A. SIEBENROCK (HRSG.), Wozu Fundamentaltheologie? Ferdinand Schrnigh, Paderborn 2010, 15-37. 26 His study involves a series of three articles in Revue des Sciences Philosophique et Thologique, 1908.
25

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follows when revealing himself in his communicative action with us. In other words the various loci theologici are ways the Churchs faith recognises or perceives Gods action in history in this witness or in this monument of revelation. They provide the field, horizon or dwelling where the God of revelation communicates with us. The titles in the list are therefore not hermeneutically sealed categories without contact with each other. They overlap and interpenetrate so as to provide a multi-dimensional vision or converging view on particular theological realities. The order of their formulation has more to do with priorities of importance rather than with exclusivity. The one determining criterion is always how they relate to revelation in its organic unity. Max Seckler conceives of theology as an ecclesial science and the loci theologici as ways in which the Church discovers within herself, her history and her Tradition the resources and principles from which she builds up theology. The order of the loci therefore sketch and fashion the Churchs basic structure. They express Gods communication with us in terms of the ecclesial realities that form the communio between God and humanity.27 4. Congars list28 of the sources embraced by Tradition within the horizon the Churchs life is informative. Sacred Scripture must come first because it is a source, an inspired witness to revelation. It is authenticated by the Spirit as a normative source of divine truth for the Church that endures through history. Second is the liturgy which contains the whole of revelation as it forms the life of the Church from age to age. Then the Fathers follow because of their unique

Two significant articles of his that illustrate this paradigm change are Il significato del sistema dei loci theologici in Teologia, Scienza, Chiesa, a cura di G. Coffele, Morcelliana, Brescia 1988, 171-206, and Lecclesiologia della communion. Il metodo teologico e la dottrina dei loci theologici di MELCHIOR CANO, in Il metodo teologico, a cura di Manilio Sodi, Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2008, 163-189. See also JRGEN WERBICK, Den Glauben verantworten, Herder, Freiburg 2005, 847-866, especially 863-866. 28 See chapter IV of his Tradition and the Life of the Church, Burns and Oates, London 1964.

27

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place in Church history as generators of its life, as communicators of the Tradition. Next are the forms of Christian life that communicate Gods sanctity in the human soul, the purity of doctrine, and witness to the fullness of charity toward God and ones neighbour especially the most needy or abandoned. Great Saints and Doctors are leading exemplars, heroes radiating light from the values incarnate in revelation which can guide humanity on its way to God. Popular piety, art, literature, drama, architecture etc. can witness to how God is moving to draw different ages to himself. In this sense, Peter Hnermann remarks,29 the list is not closed for God may provide other ways of seeing his presence in history that issue in other monuments to Tradition and so theology is renewed with new loci theologici.

4. Implications for Moral Theology


1. Given that revelation accepted in faith determines the source and shape of all theology it follows that moral theology has to observe the basic order and structure laid out by revelation in salvation history. This raises the question of the constitution of moral theology as a science and what should be its starting-point. Vatican II called for the discipline to be nourished from Sacred Scripture with the figure of Christ as its focus point (cf. OT no. 16). Thus the christocentric perspective was introduced to correct the rationalism of the moral manuals. Many interpreted this as putting Christ not just at the centre but at the starting-point of all moral considerations. This approach subsequently enjoyed immense popularity because it could relate morals to dogmatic themes and spiritual values. But it generally failed to demonstrate a capacity to generate the more detailed conclusions needed in judgments on concrete behaviour.30 Even
See note 36 for further information. The weakness seems to be a lack of space for deliberation and so for rational decision making. This short-circuiting of reasons role in moral deliberation is evident in Barth. See JOHN WEBSTER, Barth, Continuum, London 2004, especially at 129 and 160-161.
30 29

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when the sequela Christi was propounded as a way of explaining how the moral life grew and developed, the specifically ethical element seemed to be sadly missing from this formulation of the science. 2. An alternative would be a comprehensive conception of theology beginning with the Trinity, God revealing and communicating himself in history through the missions of the divine persons. The Father constitutes the origin without origin, source without source. He sets up the real starting-point both for salvation history as the progressive manifestation of the living God, and as the cognitive origin from which to form a theological synthesis. The Father sends the Word and Spirit on mission to transform history invisibly and interiorly through grace, and visibly through the Incarnation and Pentecost. The birth of the Church includes and embraces the loci theologici which the apostolic mission ensures will endure through time as Tradition. What conception of the human person and of human activity fits into such an integrated theological synthesis? In Scriptural terms it can only be the imago Dei whereby the human person as a partner of the Trinity cooperates with its action in history. The acts of faith and love empower the human person to know and love the divine persons as such. These acts in turn assimilate human existence and with it all our human moral capacities, gifts and talents into the divine life. This means a progressive conformity to Gods inner Trinitarian life, that is, with the very processions of the Word as knowledge and the Spirit as love in God. This is the basis for Aquinass brilliant exposition of a Trinitarian morality.31 3. Historically this participation in Trinitarian life is made visible and reaches its fullness in Christ. This presupposes that human morality has been assimilated into the mystery of Christ by the Word assuming human nature. Salvation history respects the fact that human morality with its norms, virtues, charismatic gifts and its search

See his treatise on the Trinity in the Summa Theologiae as well as I. 93, and the prologue to the Prima Secundae.

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for happiness preceded Christs coming in history, but only achieved its completion when drawn into him. A Trinitarian view is necessary to explain how salvation history unfolds in a way that takes the autonomy of morality seriously. It corresponds with the way God acts by making morality an integral part of his salvific action. Christocentrism has a unique role in drawing everything into unity around Christ who stands at the centre of history as Lord of Church and world. All reality and all theology can then be arranged concentrically around Christ without losing their God given consistency and autonomy in creation. This consistency was expressed in salvation history prior to Christ (in natural law, in the law of peoples and nations and in Old Testament revelation) and after his coming by the Churchs transmitting the fullness of revelation in Tradition (through the law of the Spirit). Each of these circles represents a different human condition in salvation history, each with its own characteristic type of morality because of the way it shares in the gratia Capitis32, Christ as the head of the Church and of all humanity. The light of the Christus risurgens33 is progressively penetrating all humanity till it comes to eternal glory. 4. We might conclude that moral theology needs a clearer systematic treatment of how it is based in salvation history and of how the role played by reason is to be integrated into this vision. This raises the question of how adequately moral theology has received, welcomed and elaborated the teaching of Dei Verbum on revelation and particularly on Tradition. How far has it succeeded in conceiving its own history in terms of Tradition? This in turn indicates the need to recover its sources from the past using the scientific methods employed in historical research. But more important still is the task of judging such results precisely by the criteria of revelation. Probatur ex traditione asks how does this monument point to and so form part of salvation history? What value does it carry for the Tradition? This

32 33

See ST. THOMAS AQUINAS, Summa Theologiae, III. 8, especially a. 3. ST. THOMAS, S.T.- III. 51 for the efficacy of the Resurrection.

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is how theology is done and opens the door to inquire into what is missing in our account of moral life and moral theology as presently constituted. 5. Beginning with revelation shows up the absence of a systematic treatise on grace in moral theology. This is a notable theological deficit and implies the need for a theological explanation of Gods action in history and more precisely of how the Holy Spirit acts on the human heart converting it to God. Of course no moralist denies the necessity of grace but because of how the theological disciplines were historically distinguished after the Council of Trent the grace tract ceded its place in moral theology to dogmatics. Hence grace has been overlooked as a specific theme in fundamental moral theology. Moral tradition, however, cannot be explained without it, that is, without the gift of the Spirit creating a new humanity. The Augustinian tradition with its fluctuating historical fortunes has been acutely sensitive to divine transcendence but its approach has been somewhat eclipsed in recent centuries. Nor have the theologal virtues of faith, hope and charity been given their rightful place. Rooted in grace they ground the dynamism of moral life. Should fundamental moral theology be articulated more as dialogue with modern culture and philosophy as in the transcendental-anthropological approach, or as fundamentally grounding Christian morality in revelation? Can these approaches be reconciled? 6. Since the Council of Trent moral theology has presented itself as an autonomous discipline along with dogmatic, aesthetic and later practical or pastoral theology. Its sources or loci, as in fact taken over from Melchior Canos classification, were intended for dogmatic theology. This means that Canos loci are the common sources for both dogmatic and moral theology. Seckler argues that all branches of theology share the inseparable unity of Tradition, Scripture and magisterium as obligatory points of reference as well as the other loci sketched by Cano. Each theological community, dogmaticians, moralists, liturgists, pastoralists, etc., constitutes a distinct ecclesial subject that determines how this discipline can incorporate these

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sources. And so theology diversifies into different intellectual traditions, each with its own characteristic methodology.

5. The Alphonsian Tradition


The third to the sixth edition of St. Alphonsuss Theologia Moralis (this was probably not from Alphonsuss pen but from Francesco Zaccaria S.J.) reflects and reproduces Canos pattern. The rigorists with the Jansenists not only firmly established Sacred Scripture followed by Tradition at the head of this list: they in fact considered them the only true founts of an authentic Gospel morality. Canos loci alieni were systematically excluded. However, St. Alphonsus along with the best casuists confirmed Canos insight that the sources of moral theology cannot be limited to Scripture, the Fathers and the magisterium.34 They realised that it must pay close attentive to societys real state so as to do its work. Moral theology concerns how Tradition touches and is assimilated into culture through peoples decisions taken in conscience here and now. It helps form conscience, personally and socially, not in the abstract but according to the claims made by Tradition at this historic moment. That means taking the signs of the times seriously not only as sources of moral knowledge but as generating new loci that enrich moral theology in its service to Tradition.35 On one side moral theology has to actualise Tradition in new historical situations. On the other it enriches Tradition from what it learns by faiths insight into these situations. The critical criterion is one of discernment: how far do the proposed loci witness to the actuality of revelation as transmitted by Tradition? The system of
34

See HEINRICH KLOPS, Tradition als Fortschritt der Moraltheologie, Bachem, Kln 1963. 35 See PAOLO PRODI, La storia umana come luogo teologico, in Il Regno Attualit, 20(2008), 706-716. Prodi identifies what appears to be the underlying problem in discussions on Tradition, the overlooking of history, even its supression, as a locus theologicus necessary to make theology the science of salvation history.

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the loci is radically open to the invention of new sources36 and so to the development of moral doctrine. In this way it serves the Gospel, the source of the Churchs evangelising mission.

Conclusion
The above considerations show that moral theology needs to undertake a more widely ranging dialogue with fundamental theology and to ensure a better and deeper reception of the Council, especially of Dei Verbum and its awareness of Gods action in history.37 This should help clarify many outstanding questions about its status as a theological science.

See PETER HNERMANN, Neue Loci teologici. Ein Beitrag zur methodologischen Erneuerung der Theologie, in Cristianesimo nella Storia, 24(2003), 1-21. 37 See RALPH HUNING SVD, Mehr Bibel in der Pastoral, in Bibel und Kirche, 4(2009) especially 198 for how this question has developed in the magisterium.

36

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SUMMARIES
This essay explores Work in Progress on Tradition. It was eclipsed by enlightenment rationalism but returned strongly with hermeneutics. Dei Verbum proposes a new paradigm for revelation that transforms the relationship of Tradition and Scripture, uncovers theological deficits and requires theology and Canos loci to be redefined. These insights are applied to moral theology, pointing out how St. Alphonsus took history and current events seriously as loci for his Theologia Moralis. *** El presente articolo analiza el trabajo en marcha sobre la Tradicin. Este concepto fue empaado por el razionalismo iluminista, pero la hermenutica lo retom con firmeza. La Dei Verbum propone un neuvo paradigma para la revelacin que transforma la relacin entre Tradicin y Escritura, descubre los vacos teolgicos y pide que se definan de nuevo la teologa y los lugares teolgicos de Cano. Estas intuiciones se aplican a la teologa moral y muestran cmo San Alfonso entendi seriamente la historia y los acontecimientos del momento como lugares para su Theologia Moralis. *** Questo saggio analizza I lavori in corso sulla tradizione. Questo concetto fu oscurato dal razionalismo dellIlluminismo, ma ritorn con vigore con lermeneutica. La Dei Verbum propone un nuovo paradigma per la rivelazione che trasforma il rapporto tra Tradizione e Scrittura, scopre le carenze teologiche e chiede che la teologia e i loci di Cano siano ridefiniti. Questi discernimenti sono applicati alla teologia morale, indicando come SantAlfonso prese la storia e gli eventi attuali e contemporanei seriamente come loci per la sua Teologia Moralis.

EXPERIENCE AS A SOURCE OF MORAL THEOLOGY Notes from a clinical ethicist


Mark Miller, C.Ss.R.*

Introduction
It is always a challenge to present a relatively short paper on an enormous topic such as Experience as a Source for Moral Theology. One must begin by ensuring that there is some clarity about the very words we are using experience, source, and even moral theology. My personal temptation, stemming from my years studying German theologians, would be to call this paper an Introduction to the Prolegomena for a start on the topic of Experience as a Foundation for Moral Theology. Then I could spend the rest of my academic career writing the 30 or so books that would continue the journey and assuredly still not reach the Summa status the topic deserves. Hence, I am going to do something that is at once somewhat presumptuous and probably overly ambitious. And I will do this on the basis of my experience as a clinical bioethicist, that is, as one who has been involved in many clinical decisions that had to be made, in accord with a clear time limit, by patients, their families and their medical teams.

* The author is a clinical ethicist at the Centre for Clinical Ethics, Toronto, Ontario, * Canada. * El autor trabaja como consejero de tica en el Centro de tica Clnica, en Toronto, * Ontario, Canad. Il presente articolo riprende la relazione svolta durante il VII Congresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale Le fonti classiche e contemporanee di teologia morale (Cadine -Trento, 21-24 luglio 2010).
StMor 48/2 (2010) 395-413

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Rather than outline a moral theory that would be useful for making specific moral decisions, I would rather present something like a phenomenology of moral decision making. Phenomenology is not the right word because it suggests a kind of descriptive approach to reality. Nonetheless I am using this word because I want to focus our attention on the act of making moral decisions in a self-reflective and self-substantiating process of analysis. Forgive the jargon, but what I am asking of you is to pay attention to the way in which you make actual moral choices as I have been privileged to do in my work as a clinical bioethicist and from this self-reflection we may perhaps be able to acknowledge both the fundamental role of human experience in moral choices as well as the irreducibility of this experience to formulaic moral rules. After I have sketched my understanding of the formal structure of moral decision making, I will spend a few moments examining the meaning and place of experts in various realms of human endeavour, as well as their limitations in the face of individual human subjects. I will do this using examples from my field, which will accompany my invitation to your own personal experience.

1. A Self-Reflective Look at Moral Decision Making


Introductions within books on ethics or moral theology generally begin with a lengthy discussion on the meaning and scope of ethics, followed by another lengthy section on ethical theories. To me ethics and moral reasoning are an integral part of human decision making. When one chooses, one is seeking the good or choosing the better. The notion of a value-free choice is inherently incoherent when one speaks of human decision making, although there is a critical place for an unbiased pursuit of truth as far as that is possible. Accordingly, I would like to approach this topic from my appropriation of the epistemology of Bernard Lonergan, whose seminal work Insight grew into a self-reflective method for knowing and knowing our knowing. I realize that I am making a huge claim here (with Lonergan), but he is not offering a theory of knowing; rather he

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is uncovering the underlying structure of all knowing. And this can give us a solid ground for understanding something about ethics.1 To oversimplify, Lonergan invites his readers to appropriate their own knowing by paying attention to what they do when they come to know something. They will discover four clearly differentiable aspects within the act of knowing and deciding. All knowledge for human beings begins with experience2 (this is the sensory data that comes to us, not the richer meaning of learning from ones history and experiences). Such experiential data must then be ordered into insights and this is the task of what Lonergan calls understanding. Insights may be correct or distorted and need to move to the next step for verification. This step Lonergan calls judgement by which he means the answering of all relevant questions about the particular insight in order to ascertain, in a never-ending quest for complete knowledge, the truth of a particular insight or act of understanding. Judgements, however, may never leave our heads unless we move to the fourth level which is decision and involves what I will maintain is the key component limiting the reach of ethics or moral theology. This component is the evaluating of all the factors that go into a de-

See the various works by BERNARD LONERGAN: Insight: A Study of Human Understanding (London: Longmans, Green and Co.& the Philadelphia Library,Inc., 1957); Method in Theology (New York: Herder and Herder, 1972); Collection: Papers by Bernard Lonergan, S.J., edited by Frederick E. Crowe (Montreal: Palm Publishers, 1967); A Second Collection: Papers by Bernard J.F. Lonergan, S.J., edited by William J.F. Ryan and Bernard J. Tyrrell. (London: Darton, Longman & Todd, 1974); A Third Collection: Papers by Bernard J.F. Lonergan, S.J., edited by Frederick E. Crowe (New York/Mahwah: Paulist Press; London: Geoffrey Chapman, 1985). 2 There will be some confusion in the English text around this word experience. In Lonergans sense, it is the first stage of knowing and, as such, is associated primarily with sense data. In most other places in this paper, experience will refer to the broad range of what a person has gone through and/or grappled with intellectually in his/her personal history and memory. When I use the word in Lonergans sense, I will either make clear the sensory component or include it in the four-fold, dynamic structure of knowing: experience, understanding, judgment and decision.

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cision the weighing and adjudicating of the importance accruing to each component that goes into a decision and its subsequent implementation. An example might help. And please be aware that none of us goes through these four steps in some neat and tidy, one-step-at-a-time process of experience followed by understanding, then judgement and decision. Our minds are so active that a constant stream of experiences is being sorted through our already culturally conditioned processes of understanding and judgement such that decisions are complex results which, in Lonergans terms cry out for ever-increasing authenticity. But, to the example. I would like you to think for a moment of a patient who has just been given the news that she has, lets say, ovarian cancer, a very serious cancer with poor possibilities of successful treatment. She is hardly aware of the experiences through which this knowledge comes she has received words, she senses the unease of the oncologist, she feels her own reactions. Her understanding seeks not just the diagnosis but the facts about this cancer, the treatment options, the length of the rest of her life, how this will affect her family and countless other elements. Her judgement is relatively uncomplex she has heard from a specialist who speaks from a vast scientific and experiential background about cancer. Her initial decision is relatively simple; she can accept the truth of the diagnosis or live in denial or seek further information/confirmation in a second opinion. But now watch the next decision she has to make when the oncologist begins to outline treatment options. Lets say that this doctor first suggests surgery to remove the ovaries and thus lessen the chance of the cancer spreading. The doctor then offers two different kinds of chemotherapy, one very aggressive with potentially serious side effects but a 15% success rate (meaning she has a 15% chance to still be alive in 5 years). Or the doctor can prescribe a gentler chemotherapy which is less effective (6-8%) and would include some prophylactic surgery to remove lymph nodes plus radiation for specific cancer tumours. Notice that the same process for coming to a decision is at work in this woman. She is getting insight into treatment possibilities and

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trying to judge their accuracy (truth) knowing that she will have to make a decision. However, it is at this point that many patients turn to the doctor and say, What would you do? And the wise doctor says, I cannot answer that because I cannot weigh exactly what each of these possibilities will mean for you and your life. The art of weighing an aggressive treatment, with its often very difficult side effects, compared to a less successful and less harmful treatment is an art rather than an exercise in quantifiable and therefore verifiable exactitude. In reality, one woman will choose the harsh treatment, another the easier, and a third no treatment at all.3 They may justify their choices to their family by listing all the factors that they have been thinking about. And inherent to that process is the weight and value that is given to each particular dimension. One can see the inherently personal side to such choices when a spouse with his own attitudes and feelings often demands the potentially most successful treatment, not because he can (or cannot) weigh the factors but because he does not want his wife to die. His weighing and evaluating of factors must of necessity be personal for him, even though he may be trying to put himself in his wifes shoes.

2. Practical Reason
There is an insight here on the meaning of practical reason and its role in ethical decision making. Traditionally speculative reason has

A most interesting reflection can follow by asking one of two questions: First, which one is right? And, second, can they all be right? The first presupposes an ability to analyze all the individual circumstances in some objective manner and draw a morally certain conclusion. The second suggests that the individual, subjective side is indispensable to the decision making and there is NO right answer other than the individual patients. Ethicists or some such specialist might be able to support one option over another or even question a particular decision being made by a particular person. But unless there is some ironclad determination about right and wrong, then the personal decision must be respected in its unique, individual circumstances.

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been seen as the logical inter-connections of concepts such that knowledge derived from deductive reasoning was considered certain. Practical reason, on the other hand, has been understood over the centuries to involve itself in the manifold complexities of even relatively simple decisions for human beings. Hence, a traditional analysis of a moral action distinguishes the end or purpose of the action from the intention of the actor and then depends upon an analysis of the pertinent circumstances before any moral adjudication can be made. Libraries have been filled with writings on intention; and circumstances are as infinite as human situations. Consequently, there is more and more being written about the virtuous human being, the one who has not only good insight into the morally correct things to do in particular circumstances but who also has the dispositions or habits that accompany his/her ability to weigh and evaluate the many, many factors affecting a particular decision. I have been blessed to have seen this exercise of practical reason in a very particular way in the field of health care. For example, when a confrere in my town is diagnosed with something requiring surgery, I would seek out and ask the surgical nurses two questions: Who is the most skilled surgeon? and Who would you recommend as the most caring doctor? The answers to the two questions are not always identical, but there is usually a pool of names weighted by these experienced nurses in one direction or the other.

3. Why Practical Reason is Often Denigrated 3. in Academic Ethics


A comment in Thodule Rey-Mermets excellent little book caught my attention in the context of this talk. In speaking of the acceptance of St. Alphonsus moral theology in the two hundred years after the ninth and last edition, Rey-Mermet comments on the strong objection Ignaz von Dllinger raised against St. Alphonsus method. Even before 1870, says Rey-Mermet, he had fought for a German theology free of all foreign influences and which could thus lay claim

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to the status of a science.4 The context for this quote is the battle in Catholic moral theology during the 18th century between laxists and rigorists, which included such systems as probabilism, tutiorism, proabiliorism, equiprobabilism, etc. Alphonsus was attacked from both sides, but especially from the rigorists who emphasized the horror of sin and the difficulty of true confession and repentance and therefore forgiveness. Rey-Mermets book is a brilliant study of Alphonsus compassion for ordinary folk that did not degenerate into a laxist position. Rather Alphonsus demanded moral rules and the exercise of the confessional based upon the best arguments AND he learned the harm that rigorism did in the confessional, a practice he experienced as a young priest. From his work among the urban poor and then with the rural abandoned, he became both a rigorous thinker AND a confessor sensitive to the realities of human beings in their daily affairs, both of which flowed from his deep and devoted relationship with God whose mercy knows no bounds. Now the point of this digression is that word science in von Dllingers criticism. The effort to try and find scientific we might read: timeless, universal, always valid principles for moral theology reflects the view that such a moral theology would provide real knowledge or be an authentic morality which even modern ethicists tend to aim for in a Kantian framework. It is almost as if anything less than absolute norms or absolute certainty would be a betrayal of true morality. The temptation to abandon practical reason for the greater certainty of speculative or deductive reason seems to me to be a constant threat to the reality of human decision making.5 A second problem with practical reason stems more or less from the same source it is the positivist idea of science which suggests
4

THODULE REY-MERMET, C.SS.R., Moral Choices: The Moral Theology of Saint Alphonsus, Liguori. Trans. By Paul Laverdure. Liguori Publications, 1998, p. 134. 5 One of the very striking claims made by Rey-Mermet in the above-mentioned book is that Saint Alphonsus recognized that academic ethicists, tempted by the need to be clear (and certain?), often seemed to resolve moral issues in ways that did not take into account the realities of daily life. See the example of cursing the dead, pp. 40-42.

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that everything can be measured or quantified and is therefore verifiable in a multitude of situations. I saw this attitude played out often in health care where surgeons, specialists, physiotherapists, pharmacists, etc. were constantly providing data on exactly what was accomplished, whereas spiritual care providers, social workers, music and recreation therapists were always scrambling to figure out ways to justify their existence. The so-called soft sciences like sociology and anthropology and even theology often end up scrambling to prove that they are evidence-based, like the hard sciences.6 While I do not have time to argue the case in this paper, I believe that this quantifiablity exercise as seen in such moral systems as utilitarianism is a result of the same conscious or unconscious need for certainty which confuses speculative and practice knowledge. Third, I would suggest that because practical knowledge or wisdom contains an inescapable element of subjective knowledge based upon the weighing and valuing of particular aspects of a particular choice our modern flight to the objective tends to dismiss this as less than knowledge precisely because it cannot be verified in any public, communal way. As a result this aspect of moral decision making must be inherently suspicious because it can so easily become subjective in the totally negative sense of the word i.e., peculiar to an individual person and based upon his/her own will, rather than some out-there, verifiable piece of knowledge open to the scrutiny of all. An example of this suspicion was and is clear to me in the treatment of pain by modern medicine. Because pain is subjective in the sense that little more than public manifestations of it (such as grimaces, grunts, screams, etc. all of which can be imitated by good actors) can be verified, many, many patients have often been left in horrible pain because there is no way to prove (i.e., independently verify independent of the subjects testimony) the reality of the pain. Hence, to prevent potential drug abuse, subjective states and their reporting are generally banished from the realm of knowledge and its consequences.
Lonergans epistemology is extremely helpful here in understanding the methodologies particular to each branch of knowledge. See, especially, his book Insight.
6

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A fourth issue arises when we consider practical knowledge in the face of ethics or moral theology as a Fach (G.) or a discipline or, as von Dllinger wanted to claim, a science, is the reality of power and control in the discipline of an area of expertise such as moral theology. To be somewhat callous about this, I would suggest that many people who would claim to be experts in ethics are making a greater claim to some objective knowledge than practical wisdom, correctly understood, would allow. An example of this in the field of medicine occurred for centuries, but was especially pronounced in the dramatic increase of medical interventions available by the 1960s. Now the doctor was an expert in all these possible treatments; the patient knew nothing about them. Hence, the doctor would not discuss options with a patient but would simply prescribe the treatment(s). This became known as paternalistic medicine. It was fought in the courts and by ethicists who recognized that being an expert in, say, surgery did not give a surgeon any insight into what that surgeon would do to the totality of the life of the patient. Gradually, the right of patients to demand various treatment options and to weigh potential benefits and burdens won the ethical day. Subjective knowledge meaning, the knowledge of the subject about him/herself came to be recognized as a key component of good health care! The simple truth here for moral theologians (or ethicists) goes back to what Rey-Mermet pointed out: What academics understand by moral situations is not necessarily the reality lived and experienced by people in their daily choices and actions. (See p. 66) The hearts, the awareness, even the language of ordinary people in their ordinary circumstances may be far removed from what an expert ethicist can supposedly identify. Hence, I would like to outline my own methodology in conversing with patients and family members about difficult moral decisions that they had to make.7 There is an art to an ethics consultation which in-

I would like to point out that throughout this paper (and often in North American bioethics) the patient-as-decision-maker is generally portrayed as an indepent, rational, autonomous person. In reality, i.e., in hospitals and doctors

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cludes such things as listening properly, paying attention to body language and tone of voice, repeating as necessary, bringing in other voices from other points of view, clarifying where something has been misspoken or misunderstood. Nonetheless, there is a specific methodology that I have tried to follow in these processes of discernment. First, I get as many of the facts about the situation as I can some from the patients chart and/or the medical caregivers, some from whoever has asked for the consultation, and some from the patient or family/substitute decision makers. Obviously, one cannot get all the facts and then move on. Facts will surface as the conversation unfolds and sometimes there are big surprises well into a conversation. For example, I recall once a conversation about proper end-of-life care for an ICU stroke patient. Almost 45 minutes into the conversation, I found out that the patient had a number of major co-morbid conditions, including congestive heart failure, diabetes, very poor circulation to the extremities, and the beginnings of dementia. Suddenly what seemed a straight-forward case involving a man likely to recover became a palliative or end-of-life case. In short, one must be prepared to adjust the overall picture in accord with the facts (the circumstances) which may change dramatically in the re-telling of the story or, indeed, while re-telling the story. Second, since decisions are driven by feelings, it is important to allow feelings to be acknowledged and expressed. I recall one incident where a large family was gathered in the ICU waiting room because the ICU physician had come to terms with the wife and daugh-

offices, patients are often frightened, overwhelmed, vulnerable, and dependent. Hence, when I speak of the patient-as-decision-maker, I use the legal fiction of this individual in the abstract sense (because then we know who the decisionmaker ought to be). However, the reality is that he/she may make the final decision but he/she always does so in the light of conversations with spouses, family members, friends, spiritual counselors, medical personnel, etc. Hence, the decision may look focused in the abstract, but the key is what the patient chooses out of the context of his/her own life. For example, a patient may say, Ask my wife. That would be an autonomous decision, after which the wife makes all the decisions!

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ter of a patient for whom no further treatment would ever provide an improvement. However, when the other family members were asked what they felt about the in-depth discussion that had just taken place, several of them reacted to the proposed removal of the ventilator with the statement, I think you are trying to kill him! The depth of feeling behind those words had to be pursued before we could even begin to explain the difference between withdrawing treatment to allow a patient to die and actually killing the patient. (Of interest here, too, was the realization that the family was from a group who felt discriminated against in society and therefore assumed that the doctor was just trying to free up a bed.) I need not remind you at this point that feelings or emotions have their own power and underlying reasons. Discerning feelings is not easy; being honest about them, even with oneself, is not easy; and ensuring that they point in the direction of good decision-making can be profoundly challenging. However, to ignore them is to assume that they are not important or perhaps that there is some rational and unemotional way to make such decisions, which is an assumption I sometimes find in academic discussions. Third, I make sure that the two extremes are clear for the decision makers. On the one hand, there are some things that are simply morally demanded. Healthcare teams have to provide good, responsible care for their patients, according to the often-changing circumstances. A physician cannot leave a patient in pain because a family member wants to punish him/her for all the bad things he/she did before. At the other extreme, there are some things that are simply wrong and cannot be done, like killing a patient to relieve suffering. The reason it is important to clarify both sides of the care picture is that there are now a number of options that are available to the patient/family which may or may not be the best choice for this patient but which can be weighed and judged in the light of the large picture as to their appropriateness for this patient. Let us say, for example, that there are three reasonable options: 1.) Sustain the patient in the present condition until more certainty can be gained; 2.) Remove the present treatment that is prolonging the dying process and care for the patient while dying; and 3.) Try a different treatment

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that probably has very little chance of success but that might give the patient/family one last option. This is the fourth stage in my outline of the decision making process, the careful description of available options.8 Now each of these options has some possible benefits and some significant burdens/side effects/negatives but they are all choosable options, i.e, ethically justifiable. They are not intrinsically evil; nor are they demanded by the situation. The particular benefits and burdens must be weighed by the decision makers. The role of the healthcare team is to give the best possible explanation for and insight into the potential benefits and expected burdens of each option. Sometimes people who have been through a similar experience are contacted to give their insight into what will be experienced. Often when the patient or family member, as noted above, asks the physician to make the decision, they are gently reminded that they cannot. All the feelings, family relationships, personal history, individual patient wishes (even when no longer able to make a decision), personal weighing of what the doctor has said, discussions among affected persons all of this gets poured into the mix until an individual, responsible person (or persons) makes the best decision he or she can make, following their own conscience. To me, this is the most interesting part of the decision making process, watching people gather information, weigh options, ask for clarifications, struggle with the relative importance of each factor, tell stories, remember, converse among themselves or with the professionals, decide/change their minds, and often reflect back on how they got to this point. What I find interesting from an academic point of view is how ethicists can map out what they would do in these situations and circumstances and then defend their choices with the best of arguments. They tend to assume, however, that their weighing of each factor is clearly supported by their arguments and is (probably)

For a thorough decision process there are, of course, further steps such as actually deciding, then implementing the decision and, perhaps, evaluating the decision. However, they are not important for the points I am making in this paper.

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unbiased. Thus, some ethicists would be prepared to give the answer (the best? the right? The most appropriate?) and would be prepared to make rules for such cases. What I am arguing is that such an exercise is inherently misguided, even though it might be helpful as an insightful process to those who have to make the decision. The role of case studies in teaching ethics to medical students (and medical professionals) is instructive here. Sometimes students rush to answers based upon their perspective; they might be surprised when they find out that the decision is not theirs to make (the principle of autonomy). They are often surprised when they grasp the legal aspects of a decision, only to stumble on the ethical aspects.9 The most interesting (and usual) comment then is that there is no answer. People who are used to having a rule (or a diagnostic test or a logarithm or the like) by which a clear decision can be made must learn that some choices are made by individuals who do the best they can. (And, then, if the decision is one that is ethically choosable i.e., a moral option the role of the health care team is to provide good care in accord with the consequences of the decision.) In short, the instinct to look for what I call a blueprint answer runs very deeply in human beings. We want clear answers that are correct and easily justified, especially by a rule. Furthermore, the effort of much of modern Enlightenment thought to quantify for measurable results and/or embrace various forms of positivism in order to dismiss values, evaluation, knowledge obtained from other than scientific method, and anything not rigorously scientific has impoverished human thought in everything from history to theology to human emotions. These philosophies confuse

An example of this distinction arose for me not long ago when I was asked to give an ethical opinion regarding the re-organizing of an entire unit in a long term care facility. The staff simply re-assigned the residents without their prior knowledge and without any contact with their families who were often the legal substitute decision makers. A lawyer was consulted and suggested that the original contract signed by the residents allowed such changes. An ethical assessment recognized that the staff were ignoring a fundamental ethical right for these residents, namely, to be involved in the key decisions about treatment and how they live their lives in an institution.

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scientific method, which they suggest is the only way to obtain valid knowledge, with the underlying structure of all human knowing, an essential part of which is the work of weighing, evaluating, judging and applying principles to specific cases.

4. Drawing Some Conclusions


One of the most challenging aspects of my work as a clinical bioethicist was to listen to the advice that good, faithful Catholics often received when they sought out the advice of their priests. I begin with a disclaimer that this is what these people heard; I cannot be sure that the priests actually said these things, but I also have little reason to doubt the veracity. The following are examples that have made me cringe (and just for claritys sake, I have added the correction in brackets): 1. Baptism was refused to a family who had brought their child, conceived through in vitro fertilization, to the parish church. The priests statement was that ... this was not a child of God. (While in vitro fertilization as presently practiced is ethically unacceptable in the official Church teaching of Donum vitae, the encyclical of John Paul II, Evangelium vitae, made it abundantly clear that every child is a child of God, regardless of the failures of the parents.) 2. Feeding tubes are a particular concern in North America, especially in lieu of the Terri Schiavo case in Florida and the absolutist stand taken on EWTN TV. Some priests are telling their parishioners that a feeding tube must be used for anybody in a coma, particularly in a persistent vegetative state, because not to do so is to starve the person to death. (This is a controversial issue within the Catholic community. However, the Papal Allocution of 2005, followed by the CDF confirmation of the position taken, is very limited and does not speak to the issue of an individual weighing the benefits and burdens of a feeding tube for himself or herself which is the moral tradition for the Church regarding medical treatments.)

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3. A while back I received an email from a woman who refused to have her child vaccinated for measles because someone in her parish told her that the vaccine was said to have been developed from tissue taken from an aborted fetus. It turns out that she was correctly informed; but she did not know about the Vatican statement that saw her cooperation with this evil as remote and material and, hence, acceptable. I did not cringe over this case but it reminded me that in the not-too-distant future there will almost certainly be treatments and possibly dramatic cures which make use of embryonic stem cells. What advice might a moral theologian then give to a desperately sick person in such circumstances? The instinct to provide answers to every situation runs deep in the Catholic tradition wherein we sought to make sure that sins were clearly delineated and laws were made ever clearer and more certain.10 However, there is a stronger tradition, I believe, which respects the right of an individual to discern and choose between a number of good options, realizing the burdens or down side that accompanies any choice. I presume that no moral theologian would say that there are no absolute moral norms; hopefully, the opposite extreme would also not surface, namely, that absolute moral norms must be clearly presented and followed. Where one draws the line, however, between these extremes depends upon our understanding of moral reasoning. Hence, I would like to draw the following conclusions, to which I have pointed rather than tried to prove.

Conclusions
1. Practical reason is not speculative reason and it is inherently dependent upon the experience of individual decision makers and ac-

See the magisterial work by Servais Pinckaers, O/P. The Sources of Christian Ethics. Trans. by Sr. Mary Thomas Noble from the 3rd edition (Les sources de la morale chrtienne, c. 1985, 1990, 1993). Washington, DC: Catholic University of America Press, 1995.

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tors. Experience, as I have tried to show, is the process of weighing, judging and evaluating factors intrinsic to a moral situation out of ones personal history, understanding, values, and collaboration. 2. Hence, respect for conscience must continue to be one of the cornerstones of Catholic moral thought11. By conscience, I do not mean that the individual can choose whatever he/she wishes. Rather, I follow the Churchs teaching that conscience seeks the true and the good and is morally bound to be as informed as possible under the circumstances. That the true and the good are not always perfectly clear, nor pure, should remind us that conscience may not only make some messy choices but may in fact be mistaken (as we all know). But if our fundamental way of imagining moral choosing is through discernment rather than following absolute moral rules, then moral theology as an academic endeavour must embrace a certain amount of humility in the objective discernment of a situation. 3. Are there moral absolutes (meaning, moral rules that do not admit of exceptions)? Or is there really a relativity to morality that does not allow any fundamental, universally valid moral system or set of principles/rules to be drawn up? Lonergan would stress that the only absolute for human beings is the authentic use of our invariant cognitional structure to pursue continually the answers to the pertinent questions that human beings can raise about anything. To the extent that a person (or a community) has answered all the pertinent questions, one can approach absolutes but the word Lonergan uses for this is Truth! Hence, if ethicists or anybody else can establish solid grounds for a moral absolute then clearly it is something we
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Pinkaers makes a most interesting point about conscience in his reflections upon the role of nominalism in moving us away from the traditional categories of practical reason and its accompanying virtue of prudence. Conscience, he says, receives great emphasis today because of the corresponding shift to law for moral guidance. Hence, if I understand him correctly, what I am arguing for in this point is a return to prudence within the context of a respect for practical reason. See p. 268.

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need to follow absolutely. To my way of thinking in the moral realm, I would hearken back to Aquinas understanding of moral principles whereby clearly the First Principle of Practical Reason Do good and avoid evil is absolute (at least until one begins to question the meaning of words like good I am thinking of Michael Jacksons famous song Im bad meaning Im really good!). However, as moral principles become more specific, their absoluteness tends to diminish in the face of the many circumstances and even unknowns that affect a moral decision or action.12 4. Several years ago, at our Redemptorist Moral Theologians Conference in Mater Domini, I presented a paper called The Uses of Morality. I tried to show how morality or moral systems or moral teaching is not like mathematics where 2 + 2 = 4. Moral rules are often used for many different purposes for example, the need for personal or communal control and order, or the psychological need for security and certainty. When one looks historically at the search for true and certain knowledge, one can also raise a question about our own attitudes towards ourselves as human beings. Can we trust the incredible diversity of human beings to make incredibly diverse decisions? Even more importantly, perhaps, we might ask the question, can we discover enough confidence in our intellectual endeavours and processes to pursue common wisdom about the values that are important and, indeed, indispensable to human beings, such that absolute (or almost absolute) rules can be put in place? I would give an example here of the euthanasia debate because I am more and more convinced that the idea of killing an innocent human being even for supposedly compassionate reasons is intrinsically wrong not because I wish to quote God as the absolute Lawgiver, nor because I can find some exceptionless or Kantian way of proving it, but because
I would also point out that Aquinas, in his Summa Theologia concentrates his moral teaching first on virtue ethics and only then sees principle or rule ethics as complementary to the good person trying to make good decisions. I think the wisdom of this approach is supported by St. Pauls insight that the Law (however one wishes to specify it) cannot motivate to implementation. Something deeper is necessary.
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all the evidence (all the answers to the questions I can raise) point to the necessity to protect vulnerable people at the end of life. Without going into the details and the usual arguments pro and con, I think that the efforts to prove this position in accord with some logical deduction following the logic of speculative reason is not possible, whereas trusting in the reasonableness of wise people to care for and protect the dying may leave the door open for those one or two exceptions that can become thousands of exceptions. So, do we absolutize the prohibition in order to be sure? 5. My final conclusion is probably not a surprise to those of you who have worked as moral theologians. What I am proposing has long been recognized as the model of discernment in our spiritual tradition. I am not suggesting that rules can be jettisoned or that rulefollowing cannot be a very, very helpful pattern of living a moral life. What I am saying is that discernment of the good is where we distinguish ourselves as human beings. The discerning Christian will discern also when and how to follow rules, to recognize which rules are more stringent than others, and to respect the discernment process of others. This model of discernment is the challenge to be an adult Christian and to take the consequences. It is to be inspired by the life of and unity with Jesus Christ, who is a model and teacher in the Gospels and whose followers have given us a Tradition and countless examples for living the life of Truth. It is a demanding model for it implies that individual Christians and communities will live out of a conviction in, an understanding of, and a union with God in Jesus Christ. And, frankly, these very Christians will humbly learn how much depends upon their own authenticity empowered by the Holy Spirit. In my title I asked two questions: What makes for expertise? & Who is an expert? I hope that by this point I can confidently say that we are all experts in our own experience or, perhaps, better said, even if we are not experts in our own experience (for that depends upon attentiveness and self-knowledge, each of which has its own history) nobody is better placed to adjudicate it. Raise questions-yes. But even the ethicist must be first and foremost a listener in order to access, in part, the inner life of others.

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SUMMARIES
This article attempts to speak to the reality of practical knowledge and decision making in the reality of bed-side ethics. The article attempts to demonstrate that while ethicists can do an abstract and often excellent sketch of all the known factors going into a particular decision, they cannot ever enter the skin of the person who has to make the decision and live with the consequences. Hence, this article is a plea for ethicists to get their principles correct, to recognize when they provide guidance, and when they ought to back off and let the patient make his/her personal decision. It is also a plea to ethicists to avoid making more and more specific rules or laws because the circumstances of peoples lives are infinitely complex and people are quite capable of making their own decisions when the ethical options are clearly presented. *** Este artculo trata sobre el conocimiento prctico y la toma de decisiones en la realidad de la tica a pie de cama. Intenta demostrar que, aunque los moralistas pueden plantear un esquema abstracto, a menudo excelente, de todos los factores que entran en una decisin particular, no pueden nunca ponerse en la piel de la persona que tiene que tomar la decisin y vivir con las consecuencias. Este artculo es un ruego dirigido a los moralistas para la correccin de sus principios, para reconocer cundo su consejo es til, y cuando deben retirarse y dejar que el paciente tome su propia decisin. Es tambin una peticin dirigida a los moralistas para que eviten crear cada vez un mayor nmero de reglas especficas o leyes, porque las circunstancias de las vidas de las personas son infinitamente ms complejas, y las personas son capaces de tomar sus propias decisiones, cuando las opciones ticas se han presentado con claridad. *** Questo articolo tenta di rispondere alla realt del sapere pratico e del processo decisionale nella situazione particolare delletica del capezzale. Lintento dellarticolo di dimostrare che gli eticisti, mentre possono presentare un abbozzo talvolta eccellente dei fattori inerenti in una decisione particolare, non possono mai entrare nei panni della persona che deve prendere la decisione e sopravvivere con le conseguenze di una tale decisione. Dunque, larticolo fa un appello agli eticisti di formulare correttamente i loro principi, di prenderne coscienza quando offrono una guida, e di osservare la dovuta distanza quando tocca al paziente prendere la propria decisione. Larticolo fa anche un appello agli eticisti di evitare laccumulo di regole o leggi sempre pi specifiche, perch le circostanze delle vite umane sono infinitamente complesse: le persone sono sufficientemente capaci di prendere le loro decisioni quando le opzioni etiche sono presentate in modo chiaro.

AMARTYA KUMAR SEN E LA POVERT GLOBALE Analisi etica e linee essenziali di confronto con la Caritas in veritate
Domenico Santangelo*

Il tema della povert nel contesto della crescente globalizzazione si presenta intrinsecamente complesso e non facile da affrontare, in particolare, per lurgenza e la dinamicit delle questioni che esso pone al vivere degli uomini in societ con il rischio [...] che allinterdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda linterazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano1. Il dibattito interdisciplinare in tema di povert stato negli ultimi decenni assai vivace, la letteratura ha raggiunto dimensioni considerevoli, molteplici sono stati gli studi che hanno dato origine ad una diversit di approcci, ad ognuno dei quali corrisposta una attenta definizione e concettualizzazione2. Tra questi, per la seriet della

* The author is an economist and an assistant of theological ethics at the Pontifical * Urbaniana University in Rome. * El autor es economista y auxiliar de tica teolgica en la Pontificia Universidad * Urbaniana de Roma. BENEDETTO XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate (29.06.2009), Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2009, n. 9. 2 Si segnala in maniera specifica il contributo di area anglofona, su cui, per una rassegna significativa, cf. M. RAVALLION, Poverty Lines in Theory and Practice, Livings Standards Working Paper 133, World Bank, Washington DC, 1998; A.B. ATKINSON F. BOURGUIGNON (eds) Handbook of Income Distribution, NorthHolland, Amsterdam 2000; S. CHEN M. RAVALLION, How Did the Worlds Poorest Fare in the 1990s?, in Review of Income and Wealth 47 (2001) 283-300; WORLD BANK, Globalization, Growth and Poverty, World Bank, Washington (DC)
StMor 48/2 (2010) 415-440
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competenza scientifica e per la ricchezza di analisi che ha saputo tracciare nuove strade verso cui indirizzare la comprensione e la valutazione del tema qui in discussione, si segnala lopera delleconomista indiano Amartya Kumar Sen, sul cui contributo vorremmo soffermarci in questo articolo. In particolare, sono tre gli elementi sui quali intendiamo concentrarci: 1. presentare il pensiero dellAutore e la sua concezione di globalizzazione; 2. esplicitare le linee principali della sua teoria per uscire dalla crescente povert globale, una volta individuati e contestualizzati gli ambiti di riferimento delle scienze economiche che ne affrontano lo studio; 3. evidenziare le principali implicazioni etiche del pensiero qui esposto ed individuare qualche elemento generale per un confronto con lidea di sviluppo umano contenuta nellultimo testo di dottrina sociale della Chiesa (= dsC), lenciclica di papa Benedetto XVI, Caritas in veritate (= Cv) del 29 giugno 2009. Sullo sfondo della presentazione qui articolata, vorremmo fosse chiara la pertinenza morale del legittimo interrogarsi sulla globalizzazione, e della povert nella globalizzazione: uninterrogazione che la teologia morale riempie di contenuto etico, rileggendo e interpretando dallinterno con gli strumenti e le categorie ermeneutiche sue proprie i dati offerti dalle scienze sociali3.

2002; D. DOLLAR A. KRAAY, Growth is Good for the Poor, in Journal of Economic Growth 7 (2002/3) 195-225. 3 quanto, pur in forma di tentativo, abbiamo cercato di rileggere in chiave etico-teologica la proposta seniana sulla globalizzazione alla luce della dsC, su cui cf., D. SANTANGELO, Elementi di un progetto inclusivo per una globalizzazione pi umana alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Rilettura etico-teologica della proposta di Amartya Kumar Sen, Tesi di licenza in Teologia Morale, Accademia Alfonsiana, Roma 2005. Sulla necessit di una proposta di maturazione in questo senso per la teologia morale in contesto di globalizzazione, cf. ID., La globalizzazione: un segno dei tempi per il terzo millennio? Un tentativo di analisi etico-teologico, in Studia Moralia 42 (2004) 225-235.

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1. Amartya K. Sen: un economista etico


Chi Amartya K. Sen?4 A. K. Sen indiano (il nome Amartya in hindu significa: colui che impossibile uccidere). nato nel 1933 a Santiniketan (altrimenti detta, casa della pace), nel Bengala dellOvest. DellIndia non solo mantiene orgogliosamente la cittadinanza, ma ha anche assorbito il metodo pragmatico di analisi dei problemi e la matrice culturale5. Si formato alla scuola di Tagore (premio Nobel per la poesia nel 1913), ma si poi laureato in Economics a Cambridge (Gran Bretagna). Del contesto anglofono ha sviluppato il rigore analitico che ha implementato nel percorso che lo ha condotto attraverso alcune delle pi famose Universit del mondo (anche da questo punto di vista, il suo contributo si situa bene nel contesto della globalizzazione): dalla London School of Economics alla Delhi University, da Oxford a Berkeley, da Stanford alla Cornell University, dal M.I.T. di Cambridge (Usa) ad Harvard (dove tornato ad insegnare Economics e Filosofia dopo essere stato Rettore al Trinity College della Cambridge inglese). Tra i riconoscimenti e i premi internazionali ricevuti, merita rilevare la sua attribuzione del Premio Nobel per leconomia nel 1998 nella cui motivazione, e per quanto interessa anche questa presentazione, si fa notare laiuto che Sen ha offerto nello spiegare con una rilevanza etica i meccanismi economici sottostanti il tema della fame, la diseguaglianza e la povert6, aggiungendo tra le ragioni che ne
Non essendoci testi cartacei che si soffermano con la stessa precisione, rimandiamo per approfondimenti allauto-biografia preparata dallo stesso Autore e disponibile allindirizzo: http://www.nobelprize.org/economics/laureates/ 1998/sen-autobio.html. Come indicazione metodologica precisiamo che, quando disponibili, ci riferiremo alla traduzione italiana degli scritti dellAutore. 5 Su questo aspetto in particolare, cf. A. SEN, Laicismo indiano, a cura di A. Massarenti, Feltrinelli, Milano 19992. 6 Classico il suo contributo sullo studio della povert e delle carestie, su cui, cf. ID., Povert e carestie, Edizioni di Comunit, Milano 1997. Segnaliamo anche i pregiati studi in collaborazione con leconomista indiano di origine belga, Jean Drze, su cui, in particolare, cf. J. DRZE A. SEN, The Political Economy of Hunger, vol. 2: Famine Prevention, Clarendon Press, Oxford 2000. Sulla diseguaglianza, cf. A. SEN, La diseguaglianza. Un riesame critico, Il Mulino, Bologna 20003.
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spiegano la consegna il fatto che (come si legge nel testo di attribuzione del meritato riconoscimento) il prof. Sen has restored an ethical dimension to the discussion of vital economic problems7. Un economista etico, quindi, dove lunione dei due termini economista ed etico (affatto estrinseca) si presta bene ad inquadrare il suo pensiero, che sa comprendere oltre alleconomia, la filosofia, la politica e letica8. Di Sen senzaltro arduo sintetizzare la sua estesa produzione scientifica nel tentativo di ricondurla ad un unico filo conduttore, che pure crediamo si possa individuare. Ci che ci sembra emerga con chiarezza dalla lettura dellopera seniana (dove si intrecciano piani di analisi, chiavi di lettura, strumenti e linguaggi diversi e complementari tra di loro, tra cui frequente il ricorso a pensatori del passato come Aristotele, Adam Smith, Confucio o Tagore, talvolta Tommaso dAquino), anche nel confronto con altri pensatori, linclusivit del suo pensiero, e questo secondo chi scrive lo rende interessante ed attuale proprio nello studio di problemi globali: Sen non credente, si pone quindi in unottica extra-religiosa e non confessionale, ma al medesimo tempo aperto al confronto con il mondo religioso9. Non solo, ma siamo del parere che forse proprio la sua concreta attenzione alluomo, colto nella sua intrinseca e complessa identit oltre alla sua sostanziale diversit (per caratteristiche personali e circostanze esterne) pu consentire di individuare quel filo conduttore che potrebbe essere espli-

Per il testo completo, cf. http://www.nd.edu/~kmukhopa/cal300/sen/amartya InNewsMedia.htm. Per un esame della motivazione del Premio Nobel, cf. J.J. SPILLANE, Amartya Sen: premio Nobel per leconomia, in La Civilt Cattolica 150 (1999) II, 362-371. 8 In particolare, cf. A. SEN, Etica ed economia, Economica Laterza, Roma-Bari 2002. 9 In questo senso condividiamo la critica fatta da T. M. Reali e rivolta al curatore italiano del testo Laicismo indiano, a cui ci siamo gi richiamati, in particolare, perch forse non rende ragione della pi ampia prospettiva di pensiero in cui leggere lopera seniana. Su questo aspetto, cf. M.T. REALI, Elementi di morale economica. Latto umano e la libert nel pensiero di Amartya Kumar Sen e nella prospettiva cristiana, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2004, 27.

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citato e messo a fuoco nella dimensione etica fondamentale con cui Egli si richiama ai principali valori della libert individuale e della giustizia globale, nel rispetto della pluralit delle identit culturali di ognuno a qualunque gruppo sociale appartenga10. Questa caratterizzazione del contributo seniano emerge e pu ben applicarsi allambito di ricerca dedicato dallAutore ai temi della povert, dello sviluppo globale e alla connessa crescente diseguaglianza, di cui cercheremo ora di mostrare loriginale impostazione e il suo personale merito scientifico.

2. La globalizzazione secondo lAutore


Opulenze e agonie. Una miseria degradante e una prosperit senza precedenti interrogano la globalizzazione11: ma quale concezione di globalizzazione ha Sen? Nel parlare di globalizzazione, intesa come crescente integrazione ed interdipendenza, lAutore ne offre una valutazione positiva, in quanto opportunit di sviluppo, perch favorisce un maggiore movimento di beni e di persone, di tecnologia e di conoscenza, precisando per che ci che si richiede una visione pi nitida della globalizzazione che non un male assoluto n un ideale senza rischio12. In particolare nel testo Globalizzazione e libert, lAutore evidenzia che la globalizzazione non un fatto nuovo e non pu essere ridot-

Questi aspetti emergono, in specie, alla luce della sua ultima produzione scientifica, su cui, cf. A. SEN, La democrazia degli altri. Perch la libert non uninvenzione dellOccidente, Mondadori, Milano 2004; ID., Laltra India. La tradizione razionalista e scettica alle radici della cultura indiana, Mondadori, Milano 2005; ID., Razionalit e libert, a cura di L. Zarri, Il Mulino, Bologna 2005; ID., Identit e violenza, Laterza, Roma-Bari 2006; P. FASSINO S. MAFFETTONE A. SEN, Giustizia globale, Il Saggiatore, Milano 2006. Da ultimo, A. SEN, The Idea of Justice, Allen Lane, Harvard University Press & London 2009. 11 ID., Globalizzazione e libert, Mondadori, Milano 2002, 3. 12 ID., in La Croix, 29 giugno 2000, cit. in J. VILLAGRASA, Globalizzazione. Un mondo migliore?, Logos Press, Roma 2003, 70.

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ta a occidentalizzazione13, ed inoltre, la globalizzazione di per s non una follia14, o un fenomeno solo negativo, ma al contrario un fenomeno razionale molto complesso, con una molteplicit di aspetti, alcuni positivi, altri negativi. In ogni caso un processo pressoch irreversibile, ma non ineluttabilmente proteso alla moltiplicazione dei profitti dei pochi ricchi a danno dei tanti non ricchi. Per il nostro Autore, il tema centrale, direttamente o indirettamente, la diseguaglianza15, le diseguaglianze inter/intra-nazionali di ricchezza, le notevoli asimmetrie del potere politico, sociale ed economico, e quindi la condivisione dei potenziali benefici della globalizzazione tra Paesi ricchi e poveri e tra i diversi gruppi allinterno di uno stesso Paese. Non basta convenire sul fatto che i poveri del mondo hanno bisogno della globalizzazione almeno quanto i ricchi, bisogna anche assicurarsi che ottengano ci di cui hanno bisogno. Bloccare la globalizzazione significherebbe fare un grosso danno alla/e civilt. Gli esatti opposti della globalizzazione sarebbero il separatismo persistente e linesorabile anarchia16. In causa sono chiamate le istituzioni politiche, economiche, sociali e giuridiche per facilitare limpiego giusto ed equo delle risorse: ci potrebbe richiedere una profonda riforma istituzionale, da affrontare nel momento stesso in cui si assumono le difese della globalizzazione; si garantirebbe cos quello sviluppo umano da perseguire attraverso lampliamento delle diverse libert coinvolte (temi tutti sotto i nostri occhi e in agenda nel dibattito internazionale). Centrale per comprendere la posizione di Sen la sua convinzione che bench vi siano sufficienti motivi per sostenere la globalizzazione, nel senso migliore del termine, necessario al contempo affrontare i temi etici e pratici di cruciale importanza che ne derivano17. In altri termini, si comprende come la globalizzazione sia da
A. SEN, Globalizzazione e libert, 4. Ibidem, 4. 15 Ibidem, 5. 16 Cf. Ibidem, 17. 17 Ibidem, 9. Inoltre: Non facile, infatti, dissipare i dubbi senza aver seriamente discusso le preoccupazioni che li motivano.
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giudicare per le questioni che solleva, in particolare, per i molti dubbi che problematizzano le questioni globali. Tra queste assume prioritaria rilevanza proprio la povert, su cui ora ci soffermiamo.

3. La povert: concetti e approcci delle scienze economiche


Contestualizziamo in primo luogo il discorso come impostato nelle scienze economiche, per comprendere poi la posizione del Nostro Autore. Unanalisi scientificamente corretta della povert dovrebbe interrogarsi almeno su questi aspetti18: concettualizzazione: cos la povert? misurazione: quanti sono i poveri e quanto grave la loro condizione? poverty profile: chi sono i poveri? determinanti della povert: perch sono poveri? public action: quali strategie per alleviare o risolvere la povert? Limitandoci solo al primo aspetto, chiediamoci: cos la povert? Non semplice fornire una definizione compiuta di tale concetto19.

Per sviluppi, cf. J. SACHS P. LARRAIN, Macroeconomia e Politica Economica, Il Mulino, Bologna 1995; F.C. BAGLIANO G. BERTOLA, Models for Dynamic Macroeconomics, Oxford University Press, Oxford 2004; G. QUARANTA G. QUINTI, Esclusione sociale e povert, Cerfe, Roma 2005; D. ROMER, Advanced Macroeconomics, McGraw-Hill, New York 2006; M. WIKENS, Macroeconomic Theory: A Dynamic General Equilibrium Approach, Princeton University Press, OxfordPrinceton 2008. 19 Cf. R. HAVEMAN A. BERSHADKER, Self-Reliance as a Poverty Criterion: Trends in Earnings-Capacity Poverty 1975-1992, in The American Economic Review 88 (1998) 342-347; E.J. OBOYLE, Toward an Improved Definition of Poverty, in Review of Social Economy 57 (1999) 281-301; M. RAVALLION, Growth, Inequality and Poverty: looking beyond averages, in World Development 29 (2001) 1803-1815. Tra gli studi pi recenti che prendono in considerazione le diverse teorie esistenti in tema di povert e le sue definizioni e concettualizzazioni, cf. R. KANBUR L. SQUIRE, The Evolution of Thinking about

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Pensando alla povert, viene alla mente, innanzitutto, la scarsit dei mezzi di sussistenza, limpossibilit di soddisfare i bisogni primari. La povert , senzaltro, la mancanza di qualcosa di importante e, talvolta, di fondamentale nella vita di una persona. Povero chi non ha, o non ha abbastanza, o ha meno rispetto ad altri, ma la controversia oltre al soggetto, anche sulloggetto stesso dellavere (chi non ha che cosa). Qui si gioca la differenza tra due metodi di rilevazione e misurazione, da cui la conseguente valutazione della povert20: a) il metodo pi tradizionale lapproccio unidimensionale. Esso basato essenzialmente sulla definizione e misurazione della povert a partire da ununica variabile, sia essa il reddito o la spesa. Da qui deriva lidentificazione della povert come mancanza di benessere economico, ossia come la caduta di un indicatore monetario al di sotto di una soglia oggettiva: la linea di povert (poverty line). In questo contesto, insomma, i numerosi concetti di povert formulati sono tutti riconducibili alla tradizionale distinzione tra povert assoluta e relativa21: il primo concetto legato al livello di vita minimo accettabile ed , quindi, indipendente dal contesto sociale e temporale22; il se-

Poverty, in G. MEIER J. STIGLITZ (eds), Frontiers of Development Economics, Oxford University Press, Oxford 2000; S. AMINUL ISLAM, Sociology of Poverty: Quest for a new Orizon, in Bangladesh e-Journal of Sociology 2 (2005/1) 1-8. 20 Cf. C.F. CITRO R.T. MICHAEL (eds), Measuring Poverty: a New Approach, National Academy Press, Washington DC 1995; D. JOLLIFFE, Measuring Absolute and Relative Poverty: the Sensitivity of Estimated Household Consumption to Survey Design, in Journal of Economic and Social Measurement 27 (2001) 1-23. 21 Cf. J.E. FOSTER, What is Poverty and who are the Poor? Redefinition for the United States in the 1990s: Absolute versus Relative Poverty, in AEA Papers and Proceedings 88 (1998) 335-341; D. MADDEN, Relative or Absolute Poverty Lines: a New Approach, in Review of Income and Wealth 46 (2000) 181199. Per una dettagliata bibliografia sugli studi in tema di povert assoluta e povert relativa, cf. M. RAVALLION, Growth, Inequality and Poverty. 22 Tra i contributi pi noti sulla povert assoluta rimane quello pionieristico di B. Seebohm Rowntree, su cui cf. B. SEEBOHM ROWNTREE, Poverty: a Study of Town Life, MacMillian & Co., London 1901, a cui seguirono altre due indagini rispettivamente nel 1941 e nel 1951.

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condo si basa, invece, sullassunzione che la condizione sociale di un individuo non pu essere definita se non a partire dallambiente nel quale vive, per cui persone, famiglie, gruppi di popolazione possono essere considerati poveri quando mancano di risorse per raggiungere quei tipi di alimentazione, partecipare a quelle attivit ed avere quelle condizioni di vita e comodit che sono abituali o almeno largamente incoraggiati ed approvati nella societ alle quali appartengono23; b) il metodo pi recente lapproccio multidimensionale. Esso estende il numero di dimensioni definendo e misurando la povert su una molteplicit di variabili24. Il reddito, dunque, solo una delle dimensioni della povert. Questo approccio focalizza lattenzione sulla qualit della vita pi che sulla ricchezza posseduta, permettendo, oltre ad una descrizione pi attenta del fenomeno, una spiegazione pi appropriata delle cause. In questo approccio si distinguono molte analisi e modelli multivariati: lapproccio dellesclusione sociale di Ren Lenoir (1974)25, lIndice sulla povert umana del Rapporto sullo Sviluppo Umano delle Nazioni Unite26, le teorie fuzzy applicate

Circa i classici lavori in materia, cf. P. TOWENSEND, Poverty in the United Kingdom, Penguin Books, London 1979; T. CALLAN B. NOLAN, Concepts of Poverty and the Poverty Line, in Journal of Economic Surveys 5 (1991) 243-261; S. SALLILA H. HIILAMO R. SUND, Rethinking Relative Measures of Poverty, in Journal of European Social Policy 16 (2006/2) 107-120. 24 Sui pi qualificati, cf. J. FRIEDMAN, Rethinking Poverty: Empowerment and Citizen Rights, in International Social Science Journal 148 (1996) 161-172; M. COSTA, A Multidimensional Approach to the Measurement of Poverty, IRISS Working Paper Series, 2002; A. FUSCO, On the Definition and Measurement of Poverty: the Contribution of Multidimensional Analysis, CEMAFI, Universit Nice-Sofia Antipolis, 2003; M. SZELES, Multidimensional Poverty comparison within Europe-evidence from the European Community Household Panel, IRISS Working Paper Series, 2004. 25 Cf. R. LENOIR, Les exclus: un franais sur dix, ditions du Seuil, Paris 1974, 19892. 26 Cf. UNDP, Human Development Report 1990, New York 1990, e le relazioni degli anni successivi, soprattutto degli anni 1996 e 1997. Tra gli ultimi Rapporti globali che si soffermano in maniera dettagliata su aspetti connessi al

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alla povert27 e lapproccio dei functionings e delle capabilities di cui lAutore, A. K. Sen, ne parla per la prima volta in un saggio del 1980 intitolato: Equality of what?28.

4. Functionings e capabilities
Nel suo interesse per leconomia dello sviluppo (welfare economics), A. K. Sen mette a punto una serie di indicatori economici che si riferiscono allo stato di povert e di benessere di un sistema sociale: il suo pensiero che non i beni in quanto tali creano benessere (la sua concezione di bene-essere pi ampia del puro benessere economico: si parla di stare-bene: well-being), ma lattivit in forza della quale essi sono acquisiti, cos come le opportunit (meglio da lui chiamate capacit, o capabilities) che le risorse economiche creano29. I suoi studi sui fenomeni della povert ed in particolare le carestie30 co-

le problematiche della povert, cf. ID., Human Development Report 2006. Beyond Scarcity: Power, Poverty and the Global Water Crisis, New York 2006; ID., Human Development Report 2007/2008. Fighting Climate Change: Human Solidarity in a Divided World, New York 2007. 27 Cf. E. CHIAPPERO MARTINETTI, A New Approach to Evaluation of WellBeing and Poverty by Fuzzy Set Theory, in Giornale degli Economisti e Annali di Economia 53 (1994) 367-388; B. CHELI A. LEMMI, A Totally Fuzzy and Relative Approach to the Multidimensional Analysis of Poverty, in Economic Notes 24 (1995) 115-134 ; E. CHIAPPERO MARTINETTI, A Multidimensional Assessment of Well-Being based on Sens Functioning Approach, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali (2000/2) 207-239. 28 A. SEN, Equality of What?, in S. MCMURRIN (ed.) Tanner Lectures on Human Values, vol. I, Cambridge University Press, Cambridge 1980, 195-220; ristampato in A. SEN, Choice, Welfare and Measurement, Blackwell-MIT Press, Oxford-Cambridge (MA) 1982, 353-372. 29 Essenzialmente, cf. ID., Capability and Well-Being, in M.C. NUSSBAUM A. SEN (eds), The Quality of Life, Clarendon Press, Oxford 1993, 30-53. Per approfondimenti, cf. nota 32 di questo articolo. 30 Le analisi di Sen sulle carestie hanno indotto una vera e propria svolta, non solo nella interpretazione di questo fenomeno, ma anche nella scelta delle politiche per contrastarle. Per sviluppi, cf. A. SEN, Povert e carestie, dove Egli

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stituiscono un passo obbligato per chi si occupa di economia del benessere: Sen stato, infatti, il primo a mostrare, dati alla mano, che non la scarsit di cibo (o altri fattori puramente quantitativi), ma vincoli formali al suo accesso sono pi spesso stati causa di morte per migliaia di persone, nonch a suggerire linadeguatezza della variabile reddito quale unico indicatore del livello di sviluppo di un Paese o del grado di povert della popolazione31. Per comprendere questi aspetti soffermiamoci sullapproccio multidimensionale elaborato da Sen32, per poi applicarlo al tema della povert qui dibattuto.

si sforzato di comprendere questo problema in termini ampi: ad esempio, su come le persone si procurano il cibo, o altrimenti hanno titolo per acquisirlo, piuttosto che in termini di fornire un quadro indifferenziato dellofferta di cibo per tutto il sistema economico. 31 Questo emerge, in particolare, dai suoi studi sulle catastrofi in India, Bangladesh, Etiopia e Africa Sahariana. Cf. ID., Ingredients of Famine Analysis: Availability and Entitlements, in The Quarterly Journal of Economics 96 (1981) 433-464; ID., Risorse, valori e sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino 1992; ID., Il tenore di vita. Tra benessere e libert, a cura di L. Piatti, Marsilio, Venezia 1993; ID., Alcuni problemi sociali ed economici contemporanei, in PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Aspetti sociali ed etici delleconomia, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 1994, 111-119; ID., Food, Economics and Entitlements, in J. DRZE A. SEN A. HUSSAIN (eds), The Political Economy of Hunger Selected Essays, Clarendon Press, Oxford 1995; J. DRZE A. SEN, India. Economic Development and Social Opportunity, Clarendon Press, Oxford 1995; A. SEN, Cibo e azione pubblica, in Politica Internazionale 24 (1996/6) 15-22; ID., Lo sviluppo libert. Perch non c crescita senza democrazia, Oscar Saggi Mondadori, Milano 2001, 163-191; J. DRZE A. SEN, India. Development and Participation, Clarendon Press, Oxford 20022. Il nostro Autore, insieme alleconomista pakistano Mahbub ul Haq, ha contribuito a formulare dapprima il noto Indice dello Sviluppo Umano (ISU), che alla base dei Rapporti sullo Sviluppo Umano pubblicati a cominciare dal 1990 dallAgenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), e al quale dal 1998 si aggiunto un Indice della Povert Umana (IPU). Sul contributo di Sen alla formulazione di questi indici, cf. S. BALDI, Lindice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. Vantaggi e limiti della misurazione sintetica dello sviluppo, in Affari Sociali Internazionali 26 (1998/3) 109-123. 32 Principalmente, cf. A. SEN, La diseguaglianza. Pi estensivamente, cf. ID., Commodities and Capabilities, North-Holland, Amsterdam 1985; ID., Justice:

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LAutore parte dallidea che la vita umana possa essere letta come un insieme di funzionamenti (functionings) interrelati, consistenti nelle diverse possibilit che un individuo riesce ad essere e a fare (beings and doings)33. Essere adeguatamente nutriti, godere di buona salute, evitare la morte prematura, essere felici, lavere e prestare rispetto, partecipare alla vita della comunit, sono tutti esempi di funzionamenti. Essi sono distinti dai beni: questi ultimi sono oggetti che gli individui possono utilizzare, mentre i primi sono aspetti della vita34. In sostanza, Sen distingue tra: beni; caratteristiche; funzionamenti; utilit. Per illustrare sinteticamente le relazioni che intercorrono tra un bene ed un individuo, Egli prende come esempio una bicicletta: si pu distinguere il bene (la bicicletta), dalla sua caratteristica (il trasporto). Il funzionamento, che collegato allutilizzo personale della caratteristica, diventa la possibilit di spostarsi, mentre infine lutilit collegata al piacere o desiderio di farlo35. La ricchezza dellapproccio di Sen (appellabile anche come economista della povert) sta nellaver focalizzato lattenzione sulla categoria dei funzionamenti, ossia sulla libert effettivamente goduta di scegliere la vita che si ha motivo di apprezzare36 (e la possibilit di fare le pi svariate attivit, sul desiderare di essere o di fare ci

Means versus Freedom, in Philosophy and Public Affairs 19 (1990/2) 11-121; ID., Well-being, Capability and Public Policy, in Giornale degli Economisti e Annali di Economia 53 (1994) 333-348; ID., Freedom, Capabilities and Public Action: a Response, in A. BALESTRINO I. CARTER (eds), Functionings and Capabilities: Normative and Policy Issues, in Notizie di Politeia 12 (1996/2) 107-125. 33 Cf. A. SEN, La diseguaglianza, 39. 34 Un funzionamento un conseguimento [...]. I funzionamenti sono, in un certo senso, pi direttamente collegati alle condizioni di vita, dal momento che essi costituiscono diversi aspetti delle condizioni di vita (ID., Il tenore di vita, 86). 35 Cf. ID., Scelta, benessere, equit, Mondadori, Milano 2006, 29. 36 ID., La diseguaglianza, 117.

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che sviluppa lindividuo). Linsieme delle combinazioni alternative dei funzionamenti la capability di un individuo. Pi che analizzare tutti i funzionamenti possibili, lEconomista si sofferma principalmente sulla capability di un individuo di funzionare in un certo modo, anche se questultimo dovesse poi scegliere di non farlo. La capability diventa una sorta di libert sostanziale di realizzare tutte le combinazioni possibili di funzionamenti. Potremmo tradurre il termine capabilities come un mettere in grado di essere capace: cap abilities, scindendo la parola in due, e dove quellability si pu intendere come la libert di acquisire in generale e la capacit di funzionare in particolare37, una sorta di libert di agency, ossia di dar forma a obiettivi, impegni e valori.

5. Capabilities e povert
Avendo definito il concetto di capability, Sen intende la povert come mancanza di capability (incapacit di funzionare), vale a dire, assenza della capacit di appagare le libert di base, da cui lattenzione nei suoi studi alla diseguaglianza nella genesi e nellincidenza della deprivazione, come alla conseguente adeguatezza di distribuzione del reddito e degli altri indicatori sociali e nella diseguaglianza fra i poveri, ed in specie, ai pi poveri fra di essi38. La povert , dunque, legata allaccesso delle risorse, non alla loro esistenza o meno, alla capacit e possibilit di poter disporre di beni necessari, piuttosto che alla semplice disponibilit di risorse di un Paese39. La

Ibidem, 182. In termini simili: ... una capacit labilit di conseguire [...]. Le capacit invece sono nozioni di libert, nel senso positivo del termine: quali opportunit reali si hanno per quanto riguarda la vita che si pu condurre (ID., Il tenore di vita, 87). 38 Su questi aspetti, in particolare, cf. ID., Lo sviluppo libert, in specie, 92-115. 39 Riferendosi a questi ambiti essenziali del vivere umano, negli scritti del professore di Harvard ricorrono espressioni come primary capabilities (ID., Capability and Well-Being, 40-41) e capacit fondamentali (ID., Scelta, benessere, equit, 356-359).

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mancanza di capability di base pu, infatti, dar luogo a mortalit prematura, denutrizione, condizioni di salute carenti, analfabetismo, mancanza di alloggio, ma anche altri mali tipici delle societ pi opulente come disoccupazione, criminalit e terrorismo, violenza, insicurezza per il futuro, esclusione sociale, relazioni familiari negative, ecc.40. Seguendo tale impostazione, leconomista indiano sfida la visione comune secondo cui la crescita economica generando ricchezza, conduce inevitabilmente alla riduzione della povert41. Da qui anche lapproccio umano del progetto di Sen: non basta la crescita economica, o lo sviluppo economico anche globale; necessario un approccio integrato di crescita umana sui pi vari fronti: spostando il concetto dallo spazio del reddito a quello delle capacit, i poveri per Sen non si sentono tali perch confrontati con i redditi delle clas-

LAutore (in particolare, cf. ID., Commodities and Capabilities) ha dimostrato che nonostante il Pil pro-capite di Brasile e Messico sia pi di sette volte il Pil pro-capite di India, Cina e Sri Lanka, gli indicatori di speranza di vita e di mortalit infantile sono i migliori proprio nello Sri Lanka, e sono pi elevati in Cina che in India, e in Messico piuttosto che in Brasile. Inoltre, se si esaminano le discriminazioni di genere in India, si giunge alla conclusione che le donne raggiungono livelli pi bassi degli uomini per quanto riguarda alcuni funzionamenti, quali i tassi di mortalit per classe di et, la morbilit e la malnutrizione. Lapproccio seniano, anche nel caso in cui si basi su un limitato numero di funzionamenti, mostra senza ambiguit come il Pil pro-capite sia un indicatore non adeguato di sviluppo umano, fornendo un ordinamento degli stati di benessere decisamente meno preferibile rispetto a quello condotto sulla base degli indici di sviluppo. Su questi aspetti, essenzialmente, cf. R. TARGETTI LENTI, Dallo sviluppo economico allo sviluppo umano. Misurazione della povert e politiche di intervento, in Aggiornamenti sociali 47 (1997) 787-792. 41 Cf. A. SEN, Rational Fools: a Critique of the Behavioural Foundations of Economic Theory, in Philosophy and Public Affairs 6 (1977) 317-344; A.K. GIRI, Rethinking Human Well-Being: a Dialogue with Amartya Sen, in Journal of International Development 12 (2000) 1003-1018; D. GASPER, Development as Freedom: Moving Economics Beyond Commodities The Cautious Boldness of Amartya Sen, in Journal of International Development 12 (2000) 9891001; M. DESAI, Amartya Sens Contribution to Development Economics, in Oxford Development Studies 29 (2001/3) 213-223.

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si pi opulente, ma sono oggettivamente poveri in quanto hanno limitate capacit. Pi nello specifico, limpostazione in questione prevede unanalisi della povert condotta secondo tre direttrici42: 1) un elenco non esaustivo dei funzionamenti basilari43; 2) una definizione della relazione tra risorse disponibili e mezzi necessari a soddisfare i bisogni; 3) una definizione dei modi alternativi per soddisfare tali bisogni. Il terzo punto lelemento caratterizzante lapproccio basato sulle capacit44. La povert consiste, pertanto, nellimpossibilit del soddisfacimento dei bisogni umani perch situati nellincapacit di realizzarli: nel senso seniano, ci si verifica quando le persone sono private o

Cf. S. ALKIRE, Operationalizing Amartya Sens Capability Approach to Human Development, Oxford University Press, Oxford 1999. Altres, cf. ID., Valuing Freedoms. Sens Capability Approach and Poverty Reduction, Oxford University Press, Oxford 2002; D. BANIK, Starvation and Indias Democracy, Routledge, London-New York 2007; N. KAKWANI J. SILBER (eds), The Many Dimensions of Poverty, Palgrave Macmillan, New York 2007. 43 In particolare su questo punto si colloca la differenza con lapproccio delle capabilities della filosofa statunitense Martha C. Nussbaum, su cui, in lingua italiana, cf. M.C. NUSSBAUM, Diventare persone. Donne e universalit dei diritti, Il Mulino, Bologna 2001; ID., Giustizia sociale e dignit umana. Da individui a persone, Il Mulino, Bologna 2002; ID., Le nuove frontiere della giustizia. Disabilit, nazionalit, appartenenza di specie, a cura di C. Faralli, Il Mulino, Bologna 2007. 44 In sintesi, per una pregevole ricostruzione e valutazione dellapproccio seniano alle capabilities, cf. S. PRESSMAN G. SUMMERFIELD, Sen and Capabilities, in Review of Political Economy 14 (2002) 429-434; D. GASPER, Is Sens Capability Approach an Adequate Basis for Considering Human Development?, in Review of Political Economy 14 (2002) 435-461. Pi ampiamente, oltre a quanto riportato nella nota n. 42, cf. A. KAUFMAN (ed. by), Capabilities Equality: Basic Issues and Problems, Routledge, London-New York 2005; S. ALKIRE M. QIZILBASH F. COMIM (eds), The Capability Approach: Concepts, Measures and Applications, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 2008. In lingua italiana, si segnalano: F. BIONDO, Benessere, giustizia e diritti umani nel pensiero di Amartya Sen, Giappichelli, Torino 2003; M.T. REALI, Elementi di morale economica; F. CASAZZA, Sviluppo e libert in Amartya Sen. Provocazioni per la teologia morale, Editrice Pontificia Universit Gregoriana, Roma 2007.

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hanno comunque minori possibilit di percepire il titolo/entitlement di acquisizione45. Da qui, minori possibilit di essere. In effetti, la conseguente irrealizzazione dipende dalla mancanza delle capacit di base nel raggiungere quei funzionamenti che rispetto alle condizioni economiche, politiche, giuridiche e sociali di una societ sono considerati imprescindibili. Esiste, allora, un insieme di funzionamenti che pu essere ritenuto la soglia minima al di sotto della quale lindividuo versa in stato di indigenza46. Questa soglia una linea di povert multidimensionale, non caratterizzata esclusivamente dal reddito, ma appunto da un insieme di dimensioni proprie di ciascuna societ, il cui non perseguimento impedisce allindividuo di pervenire a situazioni accettabili di well-being47. Sen stesso, poi, suggerisce
Cf. A. SEN, Povert e carestie; ID., Risorse, valori e sviluppo; J. DRZE A. SEN, The Political Economy; A. SEN, Food security and entitlement, in Politica Internazionale 29 (2001/3-4) 19-25; ID., La libert individuale come impegno sociale, Laterza, Roma-Bari 20035. Per un giudizio su questi aspetti del pensiero seniano, cf. M. LEACH R. MEARNS I. SCOONES, Environmental Entitlements: Dynamics and Institutions in Community-Based Natural Resource Management, in World Development 27 (1999) 225-247; J. CAMERON, Amartya Sen on Economic Inequality: the Need for an Explicit Critique of Opulence, in Journal of International Development 12 (2000) 1031-1045; S. DEVEREUX, Sens Entitlement Approach: Critiques and Counter-Critiques, in Oxford Development Studies 29 (2001/3) 244-263. 46 una concezione che troviamo anche in scritti pi lontani nel tempo, ma molto validi anche oggi, cf. A. SEN, Poverty: An Ordinal Approach to Measurement, in Econometrica 44 (1976) 219-231; ID., Poor, Relatively Speaking, in Oxford Economic Papers 35 (1983) 153-169. Tra gli ultimi, cf. A. SEN S. ANAND, Concepts of Human Development and Poverty: A Multidimensional Perspective, in UNDP, Poverty and Human Development: Human Development Papers 1997, United Nations Development Programme, New York l997, 1-20; A. SEN, Conceptualizing and Measuring Poverty, in D.B. GRUSKY R. KANBUR (eds), Poverty and Inequality, Stanford University Press, Stanford (CA) 2006, 30-46. 47 Oltre agli scritti di Sen di cui alla nota che precede, ci riferiamo ad alcuni autori che si ispirano al pensiero seniano: ad esempio, cf. A.J. BEBBINGTON, Capitals and Capabilities: a Framework for Analyzing Peasant Viability, Rural Livelihoods and Poverty, in World Development 27 (1999) 2021-2044; A. BRANDOLINI G. DALESSIO, Measuring Well-Being in the Functioning Space, Banca dItalia Reseach Department, Roma 2000; J. CAMERON D. GASPER, Amartya
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che lapproccio delle libert di acquisire e raggiungere determinate capacit rappresenta la base pi appropriata per la definizione di una adeguata teoria della giustizia. In particolare, Egli fa notare che pi proficuo pensare alla giustizia in termini di capacit degli individui, che in termini dutilit che sperimentano o di risorse di cui dispongono48.

6. Alcune implicazioni etiche del criterio seniano 6. e confronto con la Cv


Per mostrare la rilevanza etica delle questioni qui tematizzate e come lapproccio del Premio Nobel indiano aiuti ad affrontare queste problematiche globali basta domandarsi: le persone nel caso di specie, i poveri hanno la/le capacit di eliminare le principali fonti di illibert, tipo lanalfabetismo e la malattia, lesclusione sociale, linsicurezza economica e la negazione di libert politiche49? Hanno la capacit di istruirsi? Si comprende come ci dipende non soltanto dallaspetto monetario degli ambiti implicati, ma anche da variabili pi propriamente globali, quali il sistema sociale, la cultura, i sistemi politici e ordinamentali, quelli economici. Ancora: le persone i poveri hanno la possibilit di accedere facilmente alle strutture sanitarie? Anche in riferimento a ci, la globalizzazione ed il modo in cui essa condotta rileva direttamente50: ci non solo a motivo dellesiSen on Inequality, Human Well-Being, and Development as Freedom, in Journal of International Development 12 (2000) 985-1045. 48 In particolare, cf. A. SEN, Justice: Means versus Freedoms, in Philosophy and Public Affairs 19 (1990) 111-121; ID., Social Justice and the Distribution of Income, in A.B. ATKINSON AND F. BOURGUIGNON (eds), Handbook of Income Distribution, 59-85. Tra gli ultimi scritti, cf. ID., What Do We Want from a Theory of Justice?, in Journal of Philosophy, 103 (2006/5) 215-238; ID., The Idea of Justice. 49 A. SEN, Globalizzazione e libert, 20; cf. ID., Lo sviluppo libert, 21-23. 50 Tra i pi interessanti testi di riferimento circa i vantaggi e gli svantaggi della globalizzazione, soprattutto per i delicati rapporti in termini di inclusione ed esclusione, cf. L. ALLODI, Globalizzazione e relativismo culturale, Studium, Roma 2003; E. ORSENNA, Voyage aux Pays du coton. Petit prcis de mondialisation, Fayard, Paris 2006; D. DEL PISTOIA, Globalizzazione, neorazzismo e scontri cultu-

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stenza di presdi e ambiti organizzativi necessari ai pi diversi fini, ma in termini pi generali per la necessaria influenza che i governi, le economie e i sistemi finanziari, le societ e i loro livelli istituzionali (e non) nei vari continenti hanno sulle questioni di cui sopra, interessando la vita di tutti i popoli, proprio partendo dai pi poveri (pensiamo, ad esempio, ai prezzi dei farmaci o alle politiche agricole non eque rispetto ai Paesi ricchi)51. Nei termini di Sen, possiamo chiederci: qual il titolo valido (entitlement) per mettere in grado di essere capace, ossia, ci che favorisce la libert di star bene/facolt di agire e, quindi, di uscire dalla povert? In altre parole, qual linsieme di tutti i panieri di stati di vita che lindividuo in grado di ottenere avvalendosi delle opportunit legali, economiche, sociali e politiche di cui dispone? Ancora, quali

rali. Quando la cultura divide, Armando, Roma 2007. Pi in generale e limitandoci solo ai libri, sul rapporto globalizzazione-povert, essenzialmente cf. M. CHOSSUDOVSKY, La globalizzazione della povert: limpatto delle riforme del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, Gruppo Abele, Torino 1998; D. DEMICHELIS (ed.), No Global: gli inganni della globalizzazione sulla povert, sullambiente e sul debito, Zelig, Milano 2002; P. COLLIER D. DOLLAR, Globalizzazione, crescita economica e povert. Rapporto della Banca mondiale, Il Mulino, Bologna 2003; R. KAPLINSKY, Globalization, Poverty and Inequality, Polity Press, Cambridge (UK) 2005; K.S. JOMO J. BAUDOT (eds), Flat World, Big Gaps: Economic Liberalization, Globalization, Poverty and Inequality, Zed Books Ltd., London 2007. 51 La vera partita per una globalizzazione dal volto pi umano si giocher innanzitutto sul campo delle politiche commerciali e, in secondo luogo, su quello dei movimenti di capitale (per tanti motivi il capitale e il mercato dei capitali sono divenuti nella globalizzazione pi intensi e prevalenti della stessa economia reale), sia quelli di breve periodo sui mercati finanziari, sia quelli di lungo, legati a progetti dinvestimento che possono aumentare le capacit produttive e di creazione di impiego delle economie dei Paesi poveri. Tra gli altri, cf. N. CHOMSKY S. VANDANA J.E. STIGLITZ, La debolezza del pi forte. Globalizzazione e diritti umani, Mondadori, Milano 2004; E. SANTARELLI P. FIGINI, Does Globalization Reduce Poverty? Some Empirical Evidence for the Developing Countries, in E. LEE M. VIVARELLI (eds), Understanding Globalization, Employment and Poverty Reduction, International Labour Office, Geneva 2004; H. DISNEY, No al protezionismo! Ide per una globalizzazione migliore, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2004.

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sono i fattori che determinano linsieme attribuzione o entitlement? Sicuramente sono da comprendere e valutare le diverse caratteristiche e identit personali ed insieme le diverse condizioni a livello globale del mercato del lavoro (ad esempio, le opportunit di occupazione, il saggio di salario), il sistema dei prezzi, le possibilit di produzione-distribuzione e scambio, la struttura politico-sociale, la presenza o meno di sistemi di sicurezza sociale, ecc. Da quanto siamo venuti dicendo, la chiave della proposta seniana per uscire dalla povert nel contesto della globalizzazione individuata dallAutore nella libert52, una libert che chiameremmo globale: development as freedom reca il titolo originale di un suo libro53, vale a dire, lo sviluppo globale richiede una libert globale, libert di acquisire, scegliere e ottenere ci cui si attribuisce valore, una libert intesa sia come fine che come principale mezzo di sviluppo nel senso che questultimo si pu promuovere solo attraverso il rispetto e la tutela interconnessa delle libert fondamentali degli esseri umani: politiche, economiche, culturali, le opportunit sociali predisposte dallo Stato e dalle societ pubbliche e private. Solo attraverso queste reali ed effettive libert una societ, per di pi se globale, pu intraprendere con successo la strada dello sviluppo e questo dopo aver garantito leguaglianza in termini di capacit, ossia di possibilit concrete da parte degli individui di perseguire i loro scopi: caratteristiche intrinseche della persona, come let, il sesso, le condizioni fisiche e psichiche, le abilit e i talenti, i desideri e

Si liberi nella misura in cui si dotati della capacit di fare una certa cosa (reali opportunit), dotati del potere effettivo di acquisire ci che si sceglierebbe (A. SEN, La diseguaglianza, 101). Riprendendo la divisione proposta da I. Berlin, Sen insiste molto sulla concezione positiva di libert, come libert di, la quale riguarda ci che, tenuto conto di tutto, una persona pu o meno conseguire (ID., La libert individuale come impegno sociale, 8). Il futuro del mondo, ritengo, intimamente connesso al futuro della libert nel mondo (ID., Globalizzazione e libert, 133). 53 Cf. nella traduzione italiana, ID., Lo sviluppo libert. Sulle ambiguit del traduttore italiano nel titolo (as con ), cf. F. CASAZZA, Sviluppo e libert in Amartya Sen, 25.

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le aspettative, insieme al contesto sociale ed economico, lambiente naturale, la famiglia, le norme sociali, gli assetti istituzionali, i fattori culturali e molto altro ancora concorrono a delineare gli spazi di capacit e condizionano le evidenti possibilit di compiere scelte libere, e perci, fautrici di well-being. Da tutto ci emerge chiaramente come nellopera seniana la dimensione etica fondativa pu costituire unopportuna e valida mediazione nella progressiva ricerca condotta secondo la specifica sapienzialit di un superiore punto di incontro tra i diversi ambiti scientifici coinvolti nella ricerca promotrice di autentico sviluppo globale. Se questa lottica ermeneutica di riferimento (e lAutore di cui abbiamo presentato il pensiero ne esempio significativo) chi ha una diversa impostazione (per formazione, per convinzione ideologica, per strumenti usati, finanche per obiettivi conseguiti) pu ritrovarsi e richiamarsi per individuare pi elevate ed inclusive sintesi sullo stesso tema allimportanza dei valori umani, alla qualit di vita delle persone, al loro bene-essere (o conseguentemente alla loro privazione), al diritto che ogni essere umano ha di godere di rispetto e di disporre di reali opportunit nel poter vivere una vita degna di essere vissuta. In questo senso, la dsC si propone come un valido strumento di dialogo con i diversi saperi che riguardano luomo e, in particolare, con le scienze sociali, economiche, politiche, filosofiche e teologiche54. Di in54

A questo riguardo, lEnciclica di Giovanni Paolo II Centesimus annus (13.05.1991) afferma che la dottrina sociale [...] ha unimportante dimensione interdisciplinare. Per incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e continuamente cangianti lunica verit delluomo, tale dottrina entra in dialogo con le varie discipline che si occupano delluomo, ne integra in s gli apporti e le aiuta ad aprirsi verso un orizzonte pi ampio al servizio della singola persona, conosciuta ed amata nella pienezza della sua vocazione (n. 59). A queste parole fa eco il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (su cui, cf. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2004), ricordando che La dottrina sociale della Chiesa si giova di tutti i contributi conoscitivi, da qualunque sapere provengano, e possiede unimportante dimensione interdisciplinare (n. 76 il corsivo del testo). Un momento importante di tale dialogo interdisciplinare stato rappresentato, tra laltro, da un Seminario organizzato dal

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dubbio valore qui il riferimento allultima enciclica sociale di Benedetto XVI, la Cv55, che rileva (proprio per una comprensione ed un confronto interdisciplinare sulle principali questioni del vivere umano) come la dsC sia una sapienza ricca di molteplice sapere (teologico, filosofico, scientifico) a servizio delluomo: esercizio di un amore ricco di intelligenza e di intelligenza piena di amore, sollecitando a tal fine una interdisciplinarit ordinata (n. 30) tra la ricerca scientifica e le valutazioni morali fatta di unit e di distinzione (n. 31). Nello specifico, in confronto a Sen (sollecitati anche dalla felice comunanza del tema oggetto dellenciclica, lo sviluppo umano integrale)56, degno di nota quel passaggio nel testo papale dove si afferma riprendendo il documento di cui vuole essere un approfondimento ed una attualizzazione, pi che solo una commemorazione, la Populorum progressio (26.03.1967): la Populorum progressio merita di essere considerata come la Rerum novarum dellepoca contemporanea, che illumina il cammino dellumanit in via di unificazione (n. 8). Almeno due riferimenti densi di significato mostrano la stretta atPontificio Consiglio della Giustizia e della Pace il 5 novembre 1990 in occasione del centenario dellEnciclica leonina Rerum novarum (13.05.1891), a cui lo stesso prof. A.K. Sen ha offerto il suo prezioso contributo, su cui cf. A. SEN, Alcuni problemi sociali. Sullimportanza di questi aspetti, cf. linteressante studio di G. CREPALDI S. FONTANA, La dimensione interdisciplinare della Dottrina sociale della Chiesa. Uno studio sul magistero, Cantagalli, Siena 2006. 55 Per sviluppi, cf. BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, intr. di G. Crepaldi, Cantagalli, Siena 2009; S. BERETTA ET AL., Amore e verit. Commento e guida alla lettura dellEnciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, Paoline, Milano 2009; F.G. BRAMBILLA et AL., Carit globale. Commento alla Caritas in Veritate. Con il testo integrale di Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana Ave, Roma 2009; M. COZZOLI, Caritas in veritate. Il nesso tra carit e verit, in Studia Moralia 47 (2009) 459-472; Forum Caritas in Veritate. La speranza di un mondo giusto, solidale e fraterno, in Rivista di Teologia Morale 41 (2009) 509-563; Numero monografico sullenciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, in Bollettino di Dottrina Sociale della Chiesa 5 (2009/3); M. TOSO, La speranza dei popoli. Lo sviluppo nella carit e nella verit, Las, Roma 2009. 56 Per una trattazione pi ampia del tema oggetto del testo magisteriale, cf. D. SANTANGELO, I diversi aspetti dello sviluppo umano integrale, in Rivista di Teologia Morale 41 (2009) 521-526.

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tinenza e convergenza della dsC col pensiero di Amartya Sen sulla povert e lo sviluppo umano, prima di evidenziare un limite importante che caratterizza questultima impostazione, come ci sembra emerga alla luce della concezione qui presentata, riletta in ottica magisteriale. Ecco i due richiami nella Cv: 1. riferendosi alla libert necessaria per conseguire lo sviluppo, al n. 17 si legge:
La vocazione un appello che richiede una risposta libera e responsabile. Lo sviluppo umano integrale suppone la libert responsabile della persona e dei popoli: nessuna struttura pu garantire tale sviluppo al di fuori e al di sopra della responsabilit umana.

Di seguito aggiunge: ...i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dellopulenza57 e continua:
Anche questo vocazione, un appello rivolto da uomini liberi a uomini liberi per una comune assunzione di responsabilit. Fu viva in Paolo VI la percezione dellimportanza delle strutture economiche e delle istituzioni, ma altrettanto chiara fu in lui la percezione della loro natura di strumenti della libert umana. Solo se libero, lo sviluppo pu essere integralmente umano; solo in un regime di libert responsabile esso pu crescere in maniera adeguata.

2. Laltro riferimento, da cui emerge una intensa convergenza con leconomista indiano al n. 21, dove si afferma:
Paolo VI [come Sen, ci permettiamo di aggiungere] aveva una visione articolata dello sviluppo. Con il termine sviluppo voleva indicare lobiettivo di far uscire i popoli anzitutto dalla fame, dalla miseria, dalQui Benedetto XVI riprende il n. 3 dellenciclica paolina, non riportando in aggiunta per quella bellissima espressione di Paolo VI: La chiesa trasale davanti a questo grido dangoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello. Evidente il riferimento al classico studio dellAutore indiano, su cui, cf. A. SEN, Povert e carestie.
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le malattie endemiche e dallanalfabetismo. Dal punto di vista economico, ci significava la loro partecipazione attiva e in condizioni di parit al processo economico internazionale; dal punto di vista sociale, la loro evoluzione verso societ istruite e solidali; dal punto di vista politico, il consolidamento di regimi democratici in grado di assicurare libert e pace.

Dopo aver annotato queste convergenze, vorremmo riferirci ad almeno una lacuna esistente nella concezione del professore di Harvard, che emerge dalla lettura di Cv al n. 18, quando oltre al punto debole si evidenzia anche la possibile soluzione, precisando che:
Oltre a richiedere la libert, lo sviluppo umano integrale come vocazione esige anche che se ne rispetti la verit. La vocazione al progresso spinge gli uomini a fare, conoscere e avere di pi, per essere di pi. Ma ecco il problema: che cosa significa essere di pi? Alla domanda Paolo VI risponde indicando la connotazione essenziale dellautentico sviluppo: esso deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto luomo. [...] La fede cristiana [...] conta [...] solo su Cristo, al Quale va riferita ogni autentica vocazione allo sviluppo umano integrale. Il Vangelo elemento fondamentale dello sviluppo, perch in esso Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente luomo alluomo. Ammaestrata dal suo Signore, la Chiesa scruta i segni dei tempi e li interpreta ed offre al mondo ci che possiede in proprio: una visione globale delluomo e dellumanit. Proprio perch Dio pronuncia il pi grande s alluomo, luomo non pu fare a meno di aprirsi alla vocazione divina per realizzare il proprio sviluppo. La verit dello sviluppo consiste nella sua integralit: se non di tutto luomo [qui il punto debole di Sen] e di ogni uomo, lo sviluppo non vero sviluppo. Questo il messaggio centrale della Populorum progressio, valido oggi e sempre. Lo sviluppo umano integrale sul piano naturale, risposta a una vocazione di Dio creatore, domanda il proprio inveramento in un umanesimo trascendente, che [...] conferisce [alluomo] la sua pi grande pienezza: questa la finalit suprema dello sviluppo personale. La vocazione cristiana a tale sviluppo riguarda dunque

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sia il piano naturale sia quello soprannaturale; motivo per cui, quando Dio viene eclissato, la nostra capacit di riconoscere lordine naturale, lo scopo e il bene comincia a svanire.

In Sen manca questo riferimento ad una piena integralit dellhumanum e del suo bene oggettivo, quella verit che non solo delluomo, ma anche di Dio, ribadisce il n. 79 della Cv, quando ancora nota che lo sviluppo:
... delluomo, perch luomo soggetto della propria esistenza; ed insieme di Dio, perch Dio al principio e alla fine di tutto ci che vale e redime: Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo di Dio (1 Cor 3, 22-23).

Inoltre, Non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e corpo (n. 76). In conclusione, lapproccio qui presentato, pur trattandosi di una concezione laica che si mostra aperta al contributo delle religioni, in realt, lascia poco spazio al Trascendente, vero e autentico principio e telos ultimo di significato58 (ed, in effetti Sen, da non credente, se non lo esclude apriori, neanche lo ammette in maniera esplicita). Ciononostante, il pensiero del professore indiano merita di essere conosciuto per il suo apprezzato e meritorio sforzo di riflessione culturale finalizzata soprattutto a un discernimento che ha favorito negli ultimi decenni una proposta di ripensamento degli stessi attuali modelli e categorie di sviluppo economico e sociale, oltre allo stesso significato delleconomia e dei suoi fini.

In questo senso, cf. M. TOSO, Democrazia e libert. Laicit oltre il neoilluminismo postmoderno, Las, Roma 2006, 59-66, 96-97.

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SUMMARIES
In dealing with questions that touch the lives of people today, there is always the risk of not paying adequate attention to their points of view, their actual real-life conditions and their personal well-being together with that of their family members. This calls for an authentic discernment. This manner of speaking is more especially called for when one is dealing with growing poverty in the context of present-day globalization. We are dealing with a question today regarding which there is no lack of ideological stands; and they are not fully attentive to considerations of a moral nature that, properly understood, can contribute to a true development of the whole man, embracing the entire human family. The contribution offered here aims to focus on some of the principal nuclear themes relating to global human poverty with reference to approaches commonly employed in the economic sciences. From here, in particular, the presentation proposes to clarify and to articulate what a richness of contribution can be brought to the theme under discussion by those conceptual tools that allow themselves to be recaptured from the approach of capacities and of functionings worked out in the original version of the Indian economist Amartya K. Sen, Nobel Prize Laureate for Economics in 1998. The truth will be evident in that way of how, for a more correct approach to the questions mentioned above, it is fitting to join scientific research with moral evaluations, by putting to full use for that purpose the fruitfulness of interdisciplinary dialogue and this is precisely what the Social Doctrine of the Church promotes. A comparison between the two perspectives in their essential lines of thought will bring the presentation to an end by re-reading the thought of A. K. Sen in the light provided by the latest social encyclical Caritas in veritate of Benedict XVI. *** En los asuntos que conciernen a la vida de los hombres en la sociedad, est siempre presente el riesgo de no tener debidamente en cuenta los aspectos, las condiciones y directrices que puedan favorecer un autntico discernimiento, orientado al bienestar de cada uno y todos los miembros que a ella pertenecen. Este discurso es especialmente cierto si se lo refiere a la creciente pobreza en el contexto de la globalizacin, tema de actualidad en torno al cual no faltan posiciones ideolgicas no totalmente atentas a las consideraciones morales que, bien entendidas, pueden llevar a un verdadero desarrollo de todo el hombre hasta de toda la familia humana. El aporte que se presenta aqu se centrar en algunos de los principales ncleos temticos relacionados con el tema de la pobreza humana global, refirindose a los plan-

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teamientos de uso comn en las ciencias econmicas. Para ello, de modo particular, se buscar destacar y articular el significativo aporte que puede resultar de introducir en el tema en discusin aquellas herramientas conceptuales que nos remiten al enfoque de las capacidades y de los funcionamientos elaboradas en versin original por el economista indio Amartya K. Sen, premio Nobel de Economa en el 1998. Para un enfoque ms correcto de las cuestiones mencionadas anteriormente, se mostrar cun conveniente sea combinar las investigaciones cientficas y las valoraciones morales, valorando para este fin la fecundidad del dilogo interdisciplinar promovido por la Doctrina Social de la Iglesia. Una confrontacin entre las dos perspectivas, en sus lneas esenciales, concluir la presentacin, releyendo el pensamiento seniano a la luz de la ltima Encclica social de Benedicto XVI, Caritas in veritate, sobre en el desarrollo humano integral. *** Nelle questioni che riguardano il vivere degli uomini in societ sempre presente il rischio di non tener conto adeguatamente di aspetti, condizioni e orientamenti che ne possono favorire un pi autentico discernimento orientato al vivere bene di ciascuno e di tutti i membri che ne fanno parte. Questo discorso tanto pi vero se lo si riferisce alla crescente povert nel contesto dellattuale globalizzazione, questione attuale attorno a cui non mancano posizioni ideologiche e non pienamente attente a quelle considerazioni di natura morale che, adeguatamente comprese, possono favorire un vero sviluppo di tutto luomo fino allintera famiglia umana. Il contributo qui presentato intende mettere a fuoco alcuni dei principali nuclei tematici relativi al tema della povert umana globale, riferendosi agli approcci comunemente usati nelle scienze economiche. Da qui, in particolare, si propone di evidenziare ed articolare quale ricchezza di contributo possono apportare al tema in discussione quegli strumenti concettuali che si fanno risalire allapproccio delle capacit e dei funzionamenti elaborati nella versione originale dalleconomista indiano Amartya K. Sen, Premio Nobel per leconomia nel 1998. Si verificher in tal modo quanto, per un pi corretto approccio alle questioni di cui sopra, sia opportuno unire ricerca scientifica e valutazioni morali, valorizzando a tal fine la fecondit di dialogo interdisciplinare promossa dalla Dottrina sociale della Chiesa. Un confronto tra le due prospettive nelle sue linee essenziali concluder la presentazione, rileggendo il pensiero seniano alla luce dellultima enciclica sociale sullo sviluppo umano integrale, la Caritas in veritate di Benedetto XVI.

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FANTON ALBERTO, Metodologia per lo studio della teologia. Desidero intelligere veritatem tuam, (= Sophia Didach / Manuali 4), Edizioni Messaggero Padova e Facolt Teologica del Triveneto, Messaggero di SantAntonio Editrice, Padova 2009, 154 p. Preceduta da una breve introduzione, lopera del professore Fanton viene disposta in sette capitoli e due appendici. Avendo il genere letterario di un manuale, viene destinata specialmente agli studenti di teologia. Nel primo capitolo, intitolato Lo studio della teologia, lautore indica la fede, la tradizione ecclesiale e la scienza come i tre architravi che costruiscono limpianto teologico (p. 8). Poi aggiunge i quattro aspetti che guidarono il teologo svizzero Karl Barth e che ancora possono stimolare coloro che insegnano o ricercano in ambito teologico: a) il luogo della teologia; b) lesistenza teologica; c) i pericoli della teologia, e d) il lavoro teologico. Questo capitolo breve, ma ben articolato, costituisce una buona motivazione per gli studiosi della teologia, nella quale sono consigliate quattro virt: preghiera, studio, servizio e amore (p. 16-17). Riguardo lo studio, scrive Fanton: Lo studio in teologia non finalizzato unicamente al conseguimento di un voto desame o di un grado accademico, n il dazio dovuto per accedere agli ordini sacri. il momento in cui si amplifica lorizzonte della propria identit, rendendola pi libera e pi attenta allagire di Dio (p. 16). E sul servizio, afferma: Il lavoro del teologo un ministerium, un servizio reso a favore della comunit cristiana e di Dio. Difficilmente una corretta teologia pu rimanere rinchiusa in una gnosi astratta e ricevere forma solo per un piacere intellettuale ed estetico del teologo (17). Dal secondo al settimo capitolo e nei due appendici, lautore affronta temi scelti di metodologia: Studiare con metodo (cap. II), saper usa-

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re Le fonti del sapere teologico (cap. III), La raccolta del materiale di ricerca (cap. IV), Documentare le proprie fonti: le citazioni (cap. V), La stesura di un testo: criteri generali e tipologie di lavoro scritto (cap. VI), la teologia in biblioteca (cap. VII); appendice I: tavole di esempi; appendice II: abbreviazioni. Accompagnato da molti esempi, il manuale procede dalle pratiche che sembrano pi ovvie (saper leggere, studiare in gruppo, prendere appunti, consultare on-line...), a quelle pi complesse ed esigenti (accedere alle fonti, documentare le proprie fonti, fare le note a pi di pagina e le bibliografie, comporre tesi...). particolarmente illustrativo il capitolo sulle fonti del sapere teologico: la Sacra Scrittura, la Tradizione, e il Magistero. Oltre alla definizione di fonte, lautore dedica ben 50 pagine (p. 27-77) a elencare diverse fonti e sussidi con delle opportune spiegazioni. In riferimento al CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 24 ricorda agli studiosi che la teologia si basa sul fondamento perenne della parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verit racchiusa nel mistero di Cristo. Le Sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perch ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come lanima della sacra teologia (p. 28, nota 4). Nel parlare delle citazioni (capitolo V), Fanton ricorda che la coerenza, la chiarezza e la completezza sono i tre criteri fondamentali nella metodologia e aggiunge esempi ed indicazioni precise su come citare. C un opportuno collegamento col capitolo VI, nel quale presenta i criteri per la stesura di un testo. Siccome lo studente, quando arriva a questo livello trova grandi difficolt sulla forma di procedere, lautore gli indica lapplicazione metodologica come passo essenziale, se ne vuole ottenere ottimi frutti. Il lavoro preparatorio, le indicazioni tipografiche, i diversi tipi di elaborati scritti e la composizione dei testi sono i punti principali offerti allo studioso, perch possa comporre i testi in maniera scientifica. Anche gli appendici orientano in questo senso. Il volume, nonostante sia indirizzato agli studenti di teologia, raccomandato ai professori e studenti di qualsiasi altra facolt. LVARO CRDOBA CHAVES, C.SS.R.

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GARCA MAESTRO JUAN PABLO, La Teologa del Siglo XXI. Hacia una teologa en dilogo, PPC, Madrid 2009, 319 p. El autor de La Teologa del Siglo XXI es Sacerdote Trinitario, de nacionalidad espaola, con ttulos universitarios en Filosofa y Teologa por la Universidad Gregoriana y de Sto. Toms, de Roma; es profesor en el Instituto Superior de Pastoral de la Pontificia Universidad de Salamanca en Madrid; autor, adems, de numerosas obras y artculos. La obra que se intenta presentar en esta recensin est compuesta de cuatro partes, precedidas por el prlogo y la introduccin; se cierra con la conclusin y la bibliografa en 4 pginas. Cada una de las partes propone un tema especfico: 1. la teologa fundamental en dilogo con la increencia; 2. el dilogo ecumnico e interreligioso; 3. el pluralismo teolgico y 4. la iglesia en el umbral del siglo XXI. El prlogo a esta obra, escrito por Heleno Saa, adems de estimular a una lectura atenta del libro, afirma que ste contiene una exposicin a fondo de las principales corrientes teolgicas del siglo XXI, desde las europeas y estadounidenses a las latinoamericanas, Asia y frica. Lejos de reproducir mecnica e impersonalmente las ideas de los dems, el autor toma partido sobre ellas, sea en un sentido positivo o negativo, lo que a veces hace hablando por su cuenta y otras por medio de telogos afines a l. No se trata de un simple tratado erudito o acadmico, sino de una obra en la que en cada lnea vibran sentimientos y emociones personales del autor, uno de cuyos rasgos esenciales es el saber armonizar su alto nivel cultural e intelectual y sus vastos conocimientos con un lenguaje directo y sencillo y un aparato conceptual capaz de ser comprendido por el ms humilde de los lectores (p. 11). Queriendo hacer un juicio sencillo, no exhaustivo, de cada una de ellas, Garca Maestro, a propsito de la primera parte, relieva que la reflexin teolgica debe ser crtica y no simplemente dogmtica (p. 21), que est dispuesta a dar razn de nuestra esperanza, pero con dulzura y respeto. El cometido de la primera parte versa sobre el desafo de la increencia a la teologa, es decir, cmo ser creyente en una sociedad increyente.

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Es posible preguntarse como lo hace el autor: si la teodicea se cuestiona ante tanto mal si existe Dios (como ya lo haca Epicuro), ahora desde la antropodicea, hay que preguntarse si existe de verdad la especie humana ante tanta barbarie (p. 35). A esto responde con el pensamiento de M. Horkheimer: teologa (y religin) significa la conciencia de que este mundo es un fenmeno, que no es la verdad absoluta, que no es lo ltimo. En la segunda parte se propone afrontar el desafo del pluralismo religioso y cultural a la teologa cristiana; en esta parte incluye el tema del Ecumenismo intracristiano, pero sin olvidar que el pluralismo religioso est exigiendo que se atienda al deseo de Jess de Nazareth: Que todos sean uno, como T y Yo somos uno, para que el mundo crea. Al desarrollar el tema del Ecumenismo y del dilogo interreligioso, afirma que entre estas dos lneas de reflexin hay una diferencia: la metodologa en el dilogo interreligioso no puede partir, como en el dilogo ecumnico, de una visin comn de lo divino-humano centrada en Cristo, sino que tendr que recurrir al horizonte teocntrico que reagrupa a los creyentes en la trascendencia (p. 48). Respecto del Ecumenismo, el autor se limita a exponer la apertura de la iglesia catlica al Ecumenismo a partir de Juan XXIII y del decreto conciliar Unitatis redintegratio. En cuanto al dilogo interreligioso, centra la reflexin en torno a algunos temas claves como son la relacin entre la Biblia y las dems religiones, el concepto de salvacin, la sentencia controvertida fuera de la iglesia no hay salvacin, el dilogo con el Islam y la postura de Juan Pablo II y de Benedicto XVI de cara a este tipo de dilogo. La tercera parte, ms extensa que las otras, afronta la pregunta: qu significa hacer teologa desde la otra espalda del mundo, desde el reverso de la historia? Hoy ya no se puede seguir haciendo teologa desde un contexto meramente eurocntrico. Por lo que respecta a la tercera parte, el autor asume el quehacer de la teologa con la teologa de la liberacin en Amrica Latina, en frica y acerca de los desafos de la teologa asitica a la teologa universal. En la ltima parte, la ms breve de todas, el autor subraya la dimensin eclesiolgica: la iglesia, a pesar de no ser bien vista hoy, puede ser signo de credibilidad en nuestro siglo si de verdad se hace sa-

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maritana, especialmente de las vctimas de nuestro mundo. En cuanto a esta cuarta parte, Garca Maestro acenta un aspecto novedoso: el principio misericordia a partir de la parbola evanglica del Buen Samaritano; desde esta perspectiva una iglesia verdadera es una iglesia que se parece a Jess. Parecerse a Jess es reproducir la estructura de su vida segn los evangelios; esto significa encarnarse y llegar a ser carne real en la historia real (...) El principio misericordia apunta a una apuesta por el valor de la persona y no tanto de las normas y leyes religiosas que acaban asfixiando el verdadero sentido de la religin (p. 288). Si se trata de evaluar la obra de Garca Maestro, hay que anotar dos aspectos: uno un poco negativo, pues al lector le habra complacido encontrar un desarrollo ms amplio de la tercera y cuarta partes que hacen relacin a dimensiones muy actuales de la teologia; igualmente, en la segunda parte al tema del Ecumenismo le falta una mayor actualizacin. En cuanto al aspecto positivo, se debe reconfirmar la valoracin que de ella ha hecho Heleno Saa en el prlogo: convencido de la necesidad de recuperar la humildad de los orgenes, su defensa del cristianismo no es apologtica sino interrogativa, como se apresura a sealar en la introduccin: la reflexin teolgica debe ser crtica, no simplemente dogmtica (p. 9). La postura de Garca Maestro en este libro es la de apertura audaz, decidida, de frente al futuro, y no tanto con una mirada al pasado; como afirmaba otro autor espaol, se trata de hacer la verdad, no slo decir la verdad. La lectura del libro se hace con la expectativa de encontrar a cada momento una nota sugestiva que lleva a pensar en la riqueza de la teologa del siglo XXI cuando apenas est comenzando. J. SILVIO BOTERO G., C.SS.R. GROCHOLEWSKI ZENON Cardinal, Universitatea Azi Universitt Heute, Editura Fundatiei Pentru Studii Europene, Cluj-Napoca 2010, p. 181. This book is the fruit of a number of visits by Cardinal Grocholewski to various universities in Rumania. Lectures given either in

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French or German, are published here with a Rumanian translation. The book includes a brief Preface in English by Andrei Marga and is edited by Fr. Friedrich Bechina and Monica Merutiu. The unifying theme, as the title suggests, is the role of the university today. Accordingly, some of the pieces focus more specifically on the university as a structure while others focus on the relationship between the university and the broader social setting, both local and global. Given the Cardinals position as Prefect of the Congregation for Catholic Education, it is not surprising that the role of theology within universities is particularly prominent. Few academic structures, in fact, have insipired and continue to inspire so much reflection as that of the university. Perhaps because the term itself is so much used in contemporary culture, we tend to forget just what an ambitious project it is to found and run a university. Within the contemporary European context, the so-called Process of Bologna has put this theme not just on the academic but also on the political agenda. This work can be understood as an authorative explanation of the self-understanding of Roman Catholic Theology within the university setting. As is to be expected, it touches on a wide range of specific themes of a cultural, philosophical and theological nature. Among these, three receive particular attention: the idea of a university, the role of theology within the university and the relationship between a theology faculty and its broader cultural setting. On various occasions in the course of these different lectures the Cardinal returns to the underlying question concerning the very nature of the university. Alongside many interesting historical considerations concerning the origins of the universities in Europe, this central theme is handled most fully in the 2009 conference entitled Welche Universitt braucht Europa heute? (What kind of university does Europa need today?). Here the Cardinal insists that the very term university, from the Latin adjective universus, brings out its central function: to be a centre where forms of knowledge can be brought together (137). Clearly, what this meant in 13th Century Paris and what it means in the modern metropolis is a complicated question, but the fundamental aspiration of this institution does not

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change. This is put more strongly in the following pages where the author explains that the university can best be understood as an expression of the aspiration of the human spirit toward order and wholeness (141). Only if this key point is clearly understood is it possible to appreciate the importance of the other two central themes concerning the place of theology within the university and the relationship of the theology faculty to broader society. As regards the role of theology within the university, the Cardinal delivered a conference at the University of Bucharest in 2006 on the occasion of receiving a doctorate honoris causa. He finds this setting particularly suited to the theme because the University has no less that three theology faculties: Orthodox, Roman Catholic and Baptist. Drawing on the thinking of the Apostolic Constitution of John Paul II, Sapientia Christiana, 1979, the piece draws out the implications of the fundamentally ecclesial nature of theology as a discipline. Perhaps the key thesis of this lecture and the whole book could be summarized in the following terms: if the contemporary university is to remain faithful to its vocation to bring together all forms of knowledge, then theology cannot be excluded from this undertaking. Put negatively, a university which programmatically excludes theological reflection risks falling into self-contradiction in that it is not open to a key form of knowledge. The Cardinal is fully aware of the different kinds of methods appropriate to different disciplines, but repeatedly insists that the human spirit is in deep need of the kinds of knowledge which theology alone can supply. If all of this is accepted then particular problems arise in the relationship between the theology faculty within the university and the broader social and cultural setting. In many places this setting is characterized by a secularised culture which for historical and ideological reasons is fundamentally closed to the insights of faith. There is a marked tendency, particularly in globalized society, to limit university education to technical preparation. In the various lectures the Cardinal insists that such an approach is reductive and ultimately damaging to the human person and to human society. He places a particular emphasis on the responsibility of theology faculties to promote the moral education of their own members and of the societies

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in which they are located. It is a paradox of contemporary culture that, while the need for ethics is keenly felt, theology is not recognised as one of the key sources of this kind of reflection in the course of European history. Taken together, these lectures cover the main intellectual, cultural and political themes which arise when one considers theology within the university. Delivered during specific visits to existing universities, it is most opportune that these reflections be made available in a single volume to a wider public. MARTIN MCKEEVER, C.SS.R.

KOWALSKI EDMUND, Osoba i bioetyka. Zagadnienia biomedyczne dla duszpasterzy i katechetw [Persona e bioetica. Questioni biomediche per i pastori e catecheti], Prefazione di Card. Z. Grocholewski (Con CD: 19 Programmi Audio-Visuali), Homo Dei, Krakw 2009, 438 p. Tutti i temi delle encicliche sociali di Giovanni Paolo II, e la maggior parte dei suoi insegnamenti, hanno come oggetto la riflessione sulluomo come persona e sul suo destino. Giovanni Paolo II con forza ha ricordato che quelle scienze ed ideologie che sviluppano una dottrina di alienazione delluomo, commettono unerrore antropologico e sono in contempo invitate a cercare la verit sulluomo. Questa espressione stata usata per la prima volta nel 1991 nellenciclica Centesimus annus (n. 37), in relazione allanalisi della cosiddetta questione ecologica. Di fatti per, anche se non espressa in precedenza in questi termini, essa come concetto basico presente in tutte le sue encicliche antecedenti. Il filo conduttore dellinsegnamento del Papa polacco potremmo dire che stata la frase: luomo la via della Chiesa. Luomo cio nella tutta sua concretezza come lindividuo. Il Papa ricordava che il cristianesimo lo stupore sulluomo letto alla luce di Cristo. Grazie a questa fondamentale verit egli preparava il terreno per la nuova riscoperta dei fondamenti culturali dellidentit europea perduta a cau-

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sa delle diversi correnti del pensiero moderno. Di conseguenza, egli ha confermato lunit, logica e conseguente, tra lantropologia cristiana e la contemporaneit. Il crollo del sistema comunista era non solo labolizione di uno degli sistemi totalitari pi duri e duraturi, ma ha avuto anche il carattere universale di lezione dellumano. Le domande sulluomo si sono mostrate importanti. Esse si sono mostrate come domande senza le quali la controversia sulluomo resterebbe una questione non risolta (cfr. Laborem Exercens, 26). Nella corrente del pensiero di Giovanni Paolo II si inscrive leccellente studio e in qualche modo il pionieristico lavoro del padre Edmund Kowalski, redentorista e professore dellAccademia Alfonsiana, pubblicato da Homo Dei (Casa Editrice dei Redentoristi della Provincia di Varsavia). Esso una proposta di manuale per chi lavora nella pastorale e nella catechesi dove si riscontra unottima analisi e delle concrete riflessione sulle questioni biomediche. LAutore unisce la ricca e professionale interdisciplinarit scientifica dal punto di vista della biologia, della medicina, della genetica e soprattutto della bioetica con il personalismo cristiano. Il punto di partenza per la costruzione e dellelaborazione del manuale in questione la risposta alla domanda iniziale: di quale uomo sta parlando la bioetica? E la risposta a questa domanda, alla luce del personalismo cristiano, lindicazione per una metabioetica, una pi profonda base filosofica antropologica dalla quale risultano altre, pi dettagliate indicazioni ed implicazioni bioetiche. La corretta lettura di questa base teoretica decide di cosa si intende con il concetto di bioetica. Come termine stato usato per la prima volta nel 1927 da Fritz Jahr, ma il significato attuale stato coniato da parte di V. R. Potter, solamente negli anni 70 del XX secolo. Il breve periodo dello sviluppo della bioetica come scienza, esposto dallAutore in modo preciso, la quale nella sua complessit fa riferimento anche alle sorgenti etiche, mediche e filosofiche antiche, rinascimentali, medievali o moderni (ad esempio letica medica di Pio XII), giustifica il porsi queste domande fondamentali. In un certo senso nel nostro oggi noi siamo i testimoni del pionieristico periodo dello sviluppo della bioetica in quanto rispetto al passato con riflessioni pi articolate poniamo domande fondamentali a cui rispondere.

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La bioetica degli inizi della vita e poi di fronte ai problemi della salute, della malattia, della sofferenza, della dipendenza e anche al morire e alla morte delluomo, presentata conseguentemente nella versione della bioetica religiosa, cio dalla posizione della visione integrale e cristiana delluomo. In questottica la bioetica una proposta per trovare soluzioni a questioni difficilissimi della vita umana, in accordo con la coscienza morale retta, cio con la natura razionale umana. Limportanza di questa proposta per i pastori, i catechisti, gli insegnanti e le comunit dei credenti, che nel loro servizio professionale o nella loro esperienza esistenziale, affrontano problemi bioetici come difficile dovere da compiere, stata menzionata da parte del cardinale Zenon Grocholewski nella Prefazione. Persona e bioetica (...) lelaborazione delle fondamentali questioni bioetiche in base alla fondazione della concezione personalistica delletica e dellantropologia (Prefazione, p. 5). Il contenuto dellelaborazione del prof. E. Kowalski divisa in modo chiaro tale da poter essere usato anche come testo di studio a livello didattico in tre parti, le quali richiamano rispettivamente le tre fasi della vita umana: gli inizi della vita umana, la sua duratura e la sua fine. LAutore tratta anche uninteressante questione, spesso evitata nelle pubblicazioni dei temi ecologici, cio la differenza tra letica biocentrica, essendo letica antiantropologica, e letica antropocentrica che manifesta la faccia opposta, cio pi umana. Questo tema uno dei contributi pi importanti nellattuale panoramica del dibattito sulla postmoderna come visione del mondo e delluomo. Un altro contributo della presente pubblicazione, che aumenta il suo valore come sussidio nel processo didattico, lelaborazione di due dizionari pratici: uno con termini biologico-medici e il secondo con termini filosofici-teologici. Essi mettono in ordine le tappe dellindagine dellAutore e del Lettore indicando il contenuto e limportanza delle concezioni pi notevoli utilizzati nella pubblicazione. Anche un prezioso aiuto nel faticoso lavoro pedagogico didattico dato dallaggiunta del CD contenente i programmi audio-visuali preparati per eventuali presentazioni durante la catechesi o lincontro formativo-pastorale. Il libro, al di l dellaiuto che pu offrire a livello pastorale, utile anzitutto come sussidio didattico, in quanto aiu-

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ta a formare il lettore o lo studioso circa lattuale ruolo delluomo nelletica contemporanea, concepita alla luce delle pi importanti questioni biomediche. Il libro anche una importante voce nella discussione sullerrore antropologico nel pensiero sociale contemporaneo riletto alla luce dellinsegnamento di Giovanni Paolo II. SKI ANDRZEJ ZWOLIN

MACHINEK MARIAN, Spr o status ludzkiego embrionu [Controversia sullo status dellembrione umano], Wydawnictwo Uniwersytetu Warminsko-Mazurskiego (UWM), Olsztyn 2007, 401 p. LAutore, nato nel 1960 in Polonia, sacerdote della Congregazione dei Missionari della Santa Famiglia (MSF) dal 1986. Ha studiato in Polonia, Austria (Vienna) e Germania (Augsburg). Attualmente oltre ad essere professore e decano della Facolt di Teologia Morale nellUniversit statale a Olsztyn in Polonia ricopre anche lincarico di redattore capo della rivista Forum Teologiczne della stessa facolt. Nella sua ricerca scientifica si occupa dei temi salienti nel campo della bioetica, dellethos matrimoniale e familiare. Ha pubblicato numerosi libri ed articoli in polacco, tedesco e inglese. Il presente libro una sintesi completa dei diversi approcci allo status dellembrione umano strutturato in cinque capitoli. Nel primo capitolo presentato lAspetto storico della controversia sullo status embrionale a partire dal pensiero classico greco-romano, per poi esaminare il dato biblico e patristico, per poi continuare attraverso la riflessione teologica sviluppatasi dal medioevo fino allepoca contemporanea. Il secondo capitolo riassume tutte le fasi dello sviluppo embrionale alla luce dei pi recenti ricerche scientifiche. In questo capitolo lAutore mette laccento sullimpiego degli embrioni umani allinterno della procreazione assistita e sul suo aspetto eticamente rilevante. La Discussione etica contemporanea sullo status dellembrione il tema centrale del terzo capitolo e risulta essere la parte pi importante del libro. LAutore prende in considerazione le antiche e nuove concezioni della dignit della persona per esaminare le argomentazioni

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pro e contro dello statuto dellembrione umano. Alla luce di questa ricerca molto approfondita risulta che gli argomenti di tipo pragmatico, persuasivo e politico come dissertazione pre o postetica ed anche gli argomenti che utilizzano i valori indebitati non costituiscono unadeguata trattazione da cui possiamo constatare ed indicare il valore unico e proprio dellembrione umano come valore-bene in se stesso. La discussione vera e propria sullo status dellembrione deve concentrarsi dunque sugli argomenti che partono dallembrione stesso, che parlano direttamente di lui e costituiscono la sua propria portata e forza argomentativa. Secondo lAutore si tratta di quattro tipi di argomentazione (SCIP): lappartenenza alla specie umana (Species), la continuit dello sviluppo (Continuity), lidentit individuale (Individuality) e la capacit-potenzialit dello sviluppo (Potentiality). Il capitolo quattro presenta gli Aspetti teologici della controversia sullo status dellembrione umano. LAutore sostiene che gli argomenti provenienti da una confessione religiosa non possono essere esclusi dal dibattito pubblico in quanto la maggior parte della popolazione europea confessa la propria fede in Ges Cristo. Allo stesso tempo fa notare come la maggior parte dellargomentazione utilizzata nel dibattito pubblico di tipo pragmatico, persuasivo e politico. Dopo aver indicato i fondamenti teologici dello statuto dellembrione umano come la creazione delluomo ad immagine di Dio, la redenzione delluomo da parte di Ges Cristo e la predestinazione delluomo alla vita eterna argomentazioni sulle quali si fonda linnata e inalienabile dignit delluomo come persona e il suo irrinunciabile diritto alla vita , lAutore presenta la posizione della Chiesa cattolica e delle altre Chiese cristiane (ortodossa e protestante) ed anche le posizioni delle pi grande religioni del mondo. Il quinto ed ultimo capitolo compendia la legislazione dellUnione Europea e di altri paesi europei non appartenenti allunione circa lembrione umano. Grazie allo studio sulla legislazione dei vari Stati si comprende come paradossalmente la maggior parte della giurisprudenza europea si occupa soprattutto della regolazione delle procedure della procreazione umana assistita e per conseguenza sottomette lo statuto dellembrione umano agli scopi scientifici (ricerche, sperimenti), ai cosiddetti scopi terapeutici o procreativi (tecniche in vitro, crioconservazione).

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La grande diversit degli approcci e dei livelli della riflessione, presentati dal prof. M. Machinek nella sua ben curata ricerca scientifica, non soltanto introducono il lettore nella problematica molto complessa dello statuto dellembrione umano, permette particolarmente un approccio multidimensionale dei fatti, delle opinioni e delle diverse posizioni. Accanto allinformazioni e alle riflessioni molto dettagliate dal punto di vista medico, filosofico, storico, teologico e giuridico, la lettura del testo permette di investigare criticamente lampiezza degli argomenti sia di coloro che aderiscono allo status ridotto dellembrione umano sia dei propagatori del suo pieno statuto come essere umano individuale, in continuo sviluppo delle sue capacit, potenzialit e facolt tipicamente e che partecipa allinalienabile dignit della persona umana. EDMUND KOWALSKI, C.SS.R.

TREMBLAY RAL, Franois-Xavier Durrwell teologo della Pasqua di Cristo (= Memoria viva, volume 7), Lateran University Press, Citt del Vaticano 2010, 271 p. [con Bibliografia durrwelliana a cura di J. Mimeault]. La teologia morale postconciliare si impegnata a mettere in evidenza il volto propriamente teologico della propria disciplina, secondo il noto auspicio del Concilio Vaticano II (OT, n. 16). Listanza della teologicit rimane per anche oggi un compito fondamentale per il teologo morale che non pu essere svolto, se non attraverso una continua frequentazione delle altre discipline teologiche, specialmente della teologia biblica e di quella dogmatica. Trovare dei validi interlocutori in questi campi, anzi dei veri e propri maestri dai quali attingere contenuti e prospettive per la propria riflessione, un grande dono, specialmente in un tempo nel quale le diverse discipline teologiche tendono a specializzarsi in modo esagerato, facendo perdere facilmente la visione dinsieme e i nessi tra i diversi saperi. In questo senso il volume di Ral Tremblay, pubblicato in occasione del quinto anniversario della morte del teologo redentorista Franois-

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Xavier Durrwell (1912-2005), rappresenta un invito per la teologia morale ad incontrare e conoscere un vero maestro di teologia, come Durrwell, che sa trasportare i suoi lettori in modo sicuro e coinvolgente al centro di ogni riflessione teologica, il mistero vivente del Cristo crocifisso e risorto. Il libro un omaggio del prof. Tremblay al grande teologo del mistero pasquale (p. 7) e non ovviamente diretto in modo esclusivo alla comunit dei teologi morali, quanto piuttosto a quanti hanno interesse per limponente opera del P. Durrwell e la volessero studiare pi a fondo, grazie anche ad una minuziosa e molto utile bibliografia durrwelliana (pp. 212-266), a cura del prof. Jules Mimeault e che raccoglie non solo i suoi numerosi scritti, ma anche le recensioni e la letteratura prodotta sul suo pensiero. Coloro che coltivano per la teologia morale possono trovare nelle pagine del volume particolare profitto, perch esso si presenta come un percorso attraverso gli studi che Tremblay ha dedicato per un arco di quasi tre decenni al pensiero di Durrwell. lo stesso periodo, infatti, in cui lAutore si impegnato ad elaborare una fondazione cristologica della teologia morale, nella quale diverse intuizioni dellopera durrwelliana sono state messe a frutto. Diviso in sette capitoli, il volume raccoglie altrettanti saggi che lAutore ha pubblicato tra il 1987 e il 2009, in francese, su alcune riviste scientifiche e opere collettive, presentandoli qui in ordine cronologico e tradotti in italiano, con qualche aggiunta di novit bibliografiche e piccole correzioni stilistiche. Vengono cos presentati i temi pi rilevanti di Durrwell, sia nellinsieme del suo pensiero, che alla luce pi dettagliata di alcune sue opere maggiori, come avviene in alcuni capitoli. Si tratta di argomenti centrali non solo del suo pensiero, ma anche della riflessione teologica in s: la teologia della croce e della morte di Cristo (capp. 1 e 2); il mistero del Padre e della nostra filiazione (cap. 3 e 6); leucaristia (cap. 4); la cristologia pasquale e il suo impatto sullantropologia (cap. 5), come anche sullescatologia e sulla protologia (cap. 7). Laccostamento al teologo francese non semplicemente illustrativo, ma anche critico: Tremblay offre lesempio di un confronto intellettuale, sincero e appassionato, per chiedere ragione, chiarimento e precisazione come scrive nellintroduzione per proporre altri punti di

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vista, per edificare e approfondire (p. 8). Anche laddove emergono certe riserve (p. 64) o perplessit (p. 207) rispetto alla visione durrwelliana, nonch difficolt gi segnalate nelle sue stesse opere (pp. 44-46), Tremblay non nasconde la sua ammirazione per un teologo della statura di Durrwell (p. 163), un grande maestro (p. 160) che ha voluto ricostruire la bellezza del mistero rivelato come una cattedrale, a cui era stata strappata nel passato per usare la stessa immagine di Durrwell la chiave di volta, il Cristo risuscitato nella sua morte. Di questo progetto di ricostruzione, largamente realizzato (p. 159), lAutore si lascia rapire dalla sua coerenza e dal suo splendore, e soprattutto dal senso che riveste la vera teologia sempre al servizio della vita per lesistenza cristiana (p. 159). Le domande che Tremblay rivolge con acutezza, come ad esempio circa lunit-differenza tra lordine della redenzione e quello della creazione (pp. 207-210), o il confronto a cui sottopone il pensiero durrwelliano con i testi patristici e del Magistero circa la concezione delleucaristia come presenza sacrificale del Risorto e luogo del nostro s al Padre (cap. 4), divengono cos occasione per interloquire con il suo confratello e amico (p. 8), precisando aspetti della sua opera e mettendone in risalto la sua peculiarit. Inoltre, lAutore mostra di conoscere lormai ampia letteratura secondaria riguardo agli scritti di Durrwell, dialogando criticamente con quanti hanno approfondito il suo pensiero (come ad esempio G. Remy e J. Mimeault), ne hanno intuito il suo grande valore (H.U. von Balthasar o H. de Lubac) oppure lo hanno criticato in modo ingiustificato (J.-H. Nicolas, pp. 106-111). In una prospettiva teologico-morale sono diverse le pagine di questo volume che spingono ad ulteriori riflessioni. In ogni capitolo, lAutore trova il ponte tra il pensiero di Durrwell e la concezione della vita cristiana, sotto il profilo morale e antropologico. Cos ad esempio viene sviscerata nella sue implicazioni spirituali ed etiche lidea della nostra filiazione-generazione in Dio Padre, attraverso il realismo dellessere impiantati in Cristo (pp. 78-86). Anche nel capitolo dedicato allopera-sintesi di Durrwell, Cristo nostra Pasqua, Tremblay fa emergere quale tipo di morale risulta dallo scritto esaminato: una morale di natura escatologica, animata dallo Spirito Santo che spinge, chiama alla comunione finale con il Figlio morto e risorto (p. 147) e con-

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ferisce alla vita cristiana il dinamismo delle virt teologali. La teologia del Padre suscita poi considerazioni eticamente dense sulla paternit umana che nei nostri giorni vive una sua evidente crisi (pp. 186187). Lo stesso arricchimento teologico-morale si pu ravvisare nella proposta durrwelliana di superare definitivamente in teologia la separazione tra ordine della creazione e quello della redenzione per una concezione della persona umana non come una realt statica, ma come una realt in movimento, presa in una forza di attrazione che la spinge (p. 207), il mistero vivente del Cristo pasquale. Una particolare attenzione della teologia morale merita il tema della morte redentiva di Cristo, che ritorna continuamente in tutto il volume, specialmente per nei primi due capitoli. Qui lAutore ricostruisce il pensiero di Durrwell, ne coglie limpatto per la vita morale e lo confronta anche con le sue domande critiche. Infatti, il capitolo secondo, La morte di Cristo, una nascita filiale, riproduce linizio di un dibattito tra Tremblay e Durrwell che i lettori di Studia Moralia possono ricordare, svoltosi sulla rivista tra il 1988 e il 1989. Durrwell stato impegnato a superare un concetto della morte espiatrice di Ges che ancora oggi non appare del tutto sconfitto, falsificando limmagine della paternit di Dio: lidea che Cristo avrebbe pagato a Dio Padre il prezzo della riconciliazione con gli uomini, attraverso il suo sangue. Ne risulterebbe unimmagine malvagia del Padre, un Dio che reclama da Ges un pagamento cruente per colpe non sue. Con la Scrittura, Durrwell corregge questa distorsione, facendo capire che un grande prezzo stato effettivamente pagato per la nostra redenzione, un sangue prezioso, quello dellAgnello (1Pt 1, 18), ma nellordine dellamore e del dono di s non solo del Figlio, ma anche del Padre: la passione dunque vissuta nella relazione di Ges con suo Padre. In compenso, essa si integra nel mistero del Padre che genera suo Figlio (p. 58). Morte e risurrezione non sono giustapposti n due momenti contrapposti, ma in stretta relazione, anzi si deve constatare che c coincidenza della morte e della gloria (pp. 36-37), in quanto la morte come espressione compiuta del Figlio incarnato che si dona non esiste che nella risurrezione mediante cui il Padre lo genera di nuovo (pp. 41-42). Nellunico evento di morte-risurrezione, il Padre pu abbracciare il Figlio

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con lo Spirito Santo, facendo di Cristo morto-risorto la sua immagine perfetta: tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato (Sal 2, 7; At 13, 33). Superando la concezione giuridico-espiatrice della morte di Cristo e affermando lunit del mistero della morte-risurrezione del Figlio di Dio, Durrwell preferisce sottolineare laspetto della solidariet della croce e ricorda come la morte di Cristo resta eternizzata nella gloria (p. 30). Nella morte sulla croce, Ges fa dono di s a Dio Padre, dono che porta a compimento umanamente il suo essere-Figlio: il suo morire per noi significa che egli vive totalmente per noi, a nostro vantaggio, in piena solidariet con gli uomini, non in sostituzione nostra o per pagare una semplice somma che rimarrebbe una realt estrinseca al Figlio (p. 66), quindi fuori dallorizzonte dellamore trinitario. Tale concezione della morte di Cristo, fa emergere lobiezione di Tremblay: Durrwell non riesce ad introdurre nella morte di Cristo la morte-separazione di Dio che connessa al peccato del mondo come al suo frutto e che Cristo porta in s in virt di una misteriosa solidariet chiaramente affermata dalla Scrittura e recepita dalla grande Tradizione della Chiesa (p. 64). Il teologo francese conosce la morte-separazione da Dio come conseguenza del peccato, ricorda Tremblay, ma sembra non riuscire ad applicarla a Ges per paura che Cristo appaia come colui che rigettato dal Padre (p. 66). La morte-rottura pu per trovare accoglienza nella concezione durrwelliana della croce, annota Tremblay, senza che limpronta originale e positiva del suo pensiero sia modificata (p. 66): Ges non muore certamente separato dal Padre, ma in comunione assoluta con lui. Tuttavia Dio ha dato a suo Figlio [...] di sperimentare la terrificante conseguenza del peccato (p. 66), che rimane sempre esperienza di rottura del rapporto tra luomo e Dio, affinch Cristo potesse raggiungere veramente la conseguenza di questa rottura e distruggere il peccato per sempre con il suo s filiale. La morte non quindi pi la punizione, ma il luogo in cui si dispiega la piena verit filiale di Ges (p. 41) e dove la sua gloria si eternizza : ne consegue che il Risorto non al di l o al di fuori dellumanit, ma in comunione con essa (p. 46). La teologia morale che chiamata a riflettere teologicamente le esperienze-limite come la morte, pu trovare in questa concezione non poche chiavi di lettura. Lo riconosce anche lAutore quando scrive che linclusione del-

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la morte nella risurrezione ha infinite conseguenze capitali sulla costituzione della vita morale dei cristiani (p. 48): legati sacramentalmente a Cristo, anche i cristiani hanno la possibilit di divenire nellora della morte ci che gi sono, figli di Dio nel suo Figlio, vivendo il pieno dono di s, raggiungendo con la propria morte Ges nella sua morte-gloria e concependo la morte non pi come maledizione, ma come luogo della piena filiazione, dove si accetta pienamente la condizione di creatura filiale che si riceve da Dio (p. 206). VINCENZO VIVA

Le fonti classiche e contemporanee di teologia morale


Resoconto del VII Congresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale Cadine -Trento (Tn), 21-24 luglio 2010
Enrique Lpez, C.Ss.R. Gabriel Witaszek, C.Ss.R.

Nei giorni dal 21 al 24 luglio 2010 si tenuto a Cadine (Tn) presso il Centro Mariapoli Parola di Vita, un importante Congresso redentorista: Le fonti classiche e contemporanee della teologia morale, organizzato dal Governo Generale dei Redentoristi. Per quattro giorni, i redentoristi provenienti da ogni parte del mondo si sono scambiati informazioni e riflessioni su questo tema veramente attuale e talvolta controverso. Le sette relazioni che sono state tenute nellarco del Congresso, hanno consentito di individuare, anche attraverso la partecipazione diretta dei congressisti e lesposizione di esempi concreti, il significato delle fonti della teologia morale e gli orientamenti che possono essere riscoperti e valorizzati per una vita evangelica. Il Congresso si aperto con lintroduzione di Enrique Lpez, Vicario Generale, e nello stesso tempo, organizzatore del Congresso assieme a Raymondo Douziech. Egli ha brevemente tracciato la storia dei congressi redentoristi precisando che a seguito dei suggerimenti emersi durante il Sesto Congresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale svoltosi a Bogot in Colombia nel 2006, il Consiglio Generale ha costituito una Commissione di Teologia Morale. La Commissione nellorganizzare VII Congresso Internazionale ha proposto come tema Le fonti classiche e contemporanee della teologia morale. Padre Lpez ha sottolineato che lo scopo di questo Congresso di evidenziare le pietre miliari della teologia morale fondamentale per poter avviare, a livello redentorista, un dibattito sul piano scientifico e pastorale. Tale dibattito sembra essere necessario e quanto mai attuale, addirittura sollecitato dallodierna situazione pa-

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storale. In questo Congresso, con laiuto di relatori, si cercato di riscoprire, alla luce delle fonti classiche e contemporanee, la ricchezza teologica della morale fondamentale. La prima sessione moderata dal Prof. Martin McKeever (Accademia Alfonsiana, Roma) stata aperta dal Prof. Anthony Kelly (Universit Cattolica, Australia) con il tema The resurrection of the Crucified: what differences does it make? Oggetto della riflessione era il rapporto della risurrezione di Cristo ai fondamenti metodologici della teologia morale. Per il carattere indefinibile lavvenimento della risurrezione spesso trascurato nei metodi teologici, anche quando i teologi analizzano i valori positivi e negativi che riguardano la condizione umana. La risurrezione ha un effetto di speranza specialmente per le vittime della storia e nellispirare ed esprimere i valori trasformativi della nostra partecipazione nellamore del Dio. La relazione Una moral ms nutrida de la doctrina de la Sagrada Escritura stata affidata al Prof. Alberto de Mingo (Istituto Superiore delle Scienze Morali, Madrid) che ha analizzato il tema della Bibbia quale fonte della teologia morale di ieri, di oggi e del futuro. Allinizio, il relatore ha spiegato come questo tema fosse visto nel passato, riferendosi al decreto del Concilio Vaticano II, sulla formazione sacerdotale Optatam Totius 16 che ha anche indicato la direzione da seguire nel rinnovamento della teologia morale. Il Concilio Vaticano II ha riorientato pienamente questa disciplina facendo rincontrare la morale con la Bibbia, pilastro di tale cambiamento. La redazione del testo di OT 16, che definisce la teologia morale nello spirito del Vaticano II, si deve anche a Bernhard Hring che ha posto teologia morale nella nuova luce. Al rinnovamento della teologia morale ha fortemente contribuito anche il movimento biblico dopo la pubblicazione dellEnciclica Divino Afflante Spiritus nel 1943. Dopo tali iniziative, nei moralisti nato linteresse per una morale della rivelazione, concentrata soprattutto sulla storia della salvezza e sulla persona umano. Dopo il Vaticano II, in contatto con la Bibbia, la teologia morale stata ripensata. Lavvicinamento alla Bibbia e la nuova comprensione della rivelazione hanno gettato le nuove fondamenta per comprendere la vita e la missione dei cristiani nella Chiesa. Letica cristiana, come auspica il Concilio Vaticano II (OT 16), si ap-

VII CONGRESSO INTERNAZIONALE REDENTORISTA DI TEOLOGIA MORALE

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poggia da un lato sulla rivelazione di Dio, realt teandrica perenne, ma in continuo divenire quanto alla comprensione e allespressione da parte degli esseri umani, dallaltro lato sullantropologia e le scienze umane in genere, che giustamente sono in continua evoluzione, anche sotto la spinta di fatti storici non prevedibili. Il materiale normativo offerto dalla Scrittura appare spesso inadatto, troppo condizionato culturalmente, inapplicabile in una situazione profondamente mutata; in ogni caso insufficiente, visto che molti ambiti della riflessione etica oggi per noi fondamentali (politica, lavoro, economia, amore e sessualit, etica biomedica e ricerca scientifica), nella Scrittura semplicemente non compaiono. Possono derivarne due conseguenze quasi opposte, ugualmente errate e cariche di rischi: quella di ritenere la Bibbia ininfluente o quasi, ai fini della vita morale o, al contrario, di ritenere immediatamente e universalmente valido il contenuto etico che affermato nei vari libri biblici o che da essi sembra deducibile. In realt anche nei libri della Bibbia, che in apparenza non hanno nulla di prescrittivo, c una portata etica; ma certo essa non pu essere affrontata come una raccolta di indicazioni per lagire, universalmente valide e pronte alluso. Tali norme non sono mai isolate, a s stanti, bens si riferiscono sempre a un determinato contesto. Nellantropologia biblica ci che primario e fondamentale lagire di Dio, che previene quello delluomo, i suoi doni di grazia, il suo invito alla comunione. Il complesso normativo una conseguenza per indicare alluomo quale sia il modo adeguato di accogliere il dono di Dio e di viverlo. Nella prospettiva biblica un discorso sulle norme morali non pu essere ristretto ad esse, analizzate in maniera isolata, ma deve essere sempre inserito nel contesto della visione biblica dellesistenza umana. Alla base di questa concezione biblica c la visione della persona umana cos come stata creata da Dio: essa non mai un essere isolato, autonomo, svincolato da tutto e da tutti, ma si trova in un rapporto radicale e essenziale con Dio e con la comunit dei fratelli. Dio ha creato luomo secondo la propria immagine: la stessa esistenza delluomo il primo e fondamentale dono che egli ha ricevuto da Dio. Un nuovo impulso al rinnovamento della teologia morale si avuto con LEnciclica Dei Verbum. Gi nel primo capitolo (DV 2) si dice:

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Dio ha rivelato se stesso e ha dato conoscere il mistero della sua volont. Da quel momento e in poi, nella teologia in generale, prevale una determinata concezione della rivelazione. Il Concilio di Trento e il Vaticano I intendevano la rivelazione, soprattutto, come iniziativa di Dio, che ha dato alla Chiesa il deposito delle verit dogmatiche e morali. La Chiesa come custode di tali verit e norme doveva proteggerle e assicurarsi che nessun errore dellepoca le distruggesse. I fedeli non erano costretti a conoscerle teoreticamente, ma erano soltanto obbligati a comportarsi nella vita concreta secondo tali norme. Il precedente modello della rivelazione di carattere normativo stato sostituito dal Vaticano II con il modello di carattere personalista. Secondo Dei Verbum, Dio non si limitato a rivelare le verit della fede, ma ha rivelato se stesso. Dunque la Sacra Scrittura non soltanto presenta la prospettiva teologico fondamentale, ma luogo dove si pu incontrare Dio. Essa riporta tutta la viva storia delle relazioni fra Dio e il suo popolo ed strumento per unincontro con la Trinit. Questa nuova impostazione della Rivelazione determina anche un nuovo modo di vedere la morale. Se oggetto della rivelazione Dio che rivela se stesso e che vuole installare una relazione personale con ogni uomo, nel centro dellattenzione della Teologia Morale deve esserci ogni persona nel suo dinamismo storico e nella sua relazionalit. De Mingo parlando della relazione fra Bibbia e morale, si riferito anche al Documento della Pontificia Commissione Biblica: Bibbia e morale. Radici bibliche dellagire cristiano1. Il documento si articola attorno a unintuizione fondamentale: lattivit morale del cristiano la risposta al dono di Dio che prende liniziativa offrendo la salvezza. Il cristiano, da parte sua, risponde non soltanto con una fede teoretica, ma con tutta la vita. La base del documento si sviluppa attorno allidea che il comportamento morale cristiano si esprime tramite la re-

Il documento della Pontificia Commissione Biblica stato pubblicato l11 maggio 2008 nella solennit di Pentecoste. La Pontificia Commissione Biblica (PCB) gi nel 2002, ha voluto affrontare il rapporto Bibbia e morale, ponendosi di fronte alla seguente domanda: Qual il valore e il significato del testo ispirato per la morale nel nostro tempo?.

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lazione attiva chiamata risposta. Si pu dire che la morale il desiderio di agire secondo la volont di Dio, che gratuitamente dona delle norme che impegnano e chiamano in causa la libert dellessere umano. Per i cristiani la Sacra Scrittura non soltanto la fonte della rivelazione, la base della fede, ma anche limprescindibile punto di riferimento della morale. I cristiani sono convinti che, nella Bibbia, si possono trovare indicazioni e norme per agire rettamente e per raggiungere la vita piena. Possiamo dire ancora una volta che la Bibbia un luogo valido e utile di dialogo con luomo contemporaneo sulle questioni che toccano la morale. Il terzo relatore della prima giornata del Congresso stato il Prof. Terence Kennedy (Accademia Alfonsiana, Roma) che ha parlato sul tema Lavori in corso sulla tradizione in Teologia Morale. Egli ha illustrato la storia della formazione della tradizione e il suo significato per la teologia morale. La tradizione, ha detto il relatore, un concetto che ha avuto un periodo estremamente burrascoso nel corso degli ultimi anni, e continuando la sua introduzione ha aggiunto: I termini della discussione che hanno diviso la cultura della modernit sono stati: ragione contro tradizione. Alla fine il fatto che la razionalit delle tradizioni fosse contestata porta solo ad un discernimento critico sulla loro necessit nella trasmissione della verit e della sua giustificazione. Kennedy ha esaminato il concetto di tradizione nella filosofia e nella teologia con un riferimento al Concilio Vaticano II. Il Concilio dichiar che la Sacra Scrittura, la Tradizione ed il Magistero della Chiesa sono inscindibilmente legati (DV 8): La Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con lassistenza dello Spirito Santo. Cresce la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano, sia attraverso la predicazione di coloro che con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verit. Cos la Chiesa nel corso dei secoli tende alla pienezza della verit divina, perch in essa vengano a compimento le parole di Dio. Inoltre, la nuova impostazione del Concilio in materia della rivelazione cambi il modo di concepire le fonti della teologia. Il relatore ha strutturato lanalisi del concetto di tradizione nella cultura e nella filosofia riferendosi a di-

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versi autori come Edward Shills, Michael Polany, Karl Popper, Immanuel Kant, Hayek e Burke, Newman, Blondel e tanti altri. Per i filosofi, la tradizione nella misura in cui ha un contenuto razionale, da una parte significa un insieme di credenze condivise con le generazioni passate e tramandate a quelle successive e dallaltra parte essa il processo attraverso cui vengono trasmesse queste credenze. La seconda sessione del Congresso, presieduta dal Prof. Gabriel Witaszek (Accademia Alfonsiana, Roma) stata arricchita con quattro relazioni. Marciano Vidal (Istituto Superiore delle Scienze Morali, Madrid) ha parlato sul tema Las dificultades y las oportunitades de una etica mundial. Da molti decenni viene posta la domanda sullesistenza delletica universale, ma nello stesso tempo non si nascondono delle difficolt legate a tale concetto. Come ha accennato il relatore, numerose persone e tanti gruppi di ricerca sono daccordo con la necessit di elaborare i valori etici universali. Luniversalismo della qualit del pensiero nel campo morale uno dei problemi attuali sia nellambito etico che sociale. A tal proposito ci sono state molte proposte provenienti dalle correnti filosofiche (Kant) come pure da altre religioni. Vidal nel suo discorso, si concentrato sul supporto teologico nellelaborazione della proposta delletica globale. Per essere pi comprensibile egli si riferito a certe prospettive prese dalla tradizione biblica e dalla storia della teologia, prospettive che giustificano il ruolo dei singoli progetti salvifici, anche nel campo della teologia morale. Il relatore come sommario al suo intervento ha citato il testo di Paolo dalla lettera ai Filippesi 4, 8: In conclusione, fratelli, tutto quello che vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che virt e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Nella sua riflessione sulla fondazione delletica globale Vidal ha illustrato alcuni punti chiave riferendosi al Medioevo che ha integrato insieme ordine della natura con ordine della grazia. Essenzialmente fu San Tommaso ad offrire anali molto accurate sulla questione. Si riferito poi allEnciclica Veritatis Splendor e alcuni discorsi di Giovanni Paolo II, come pure ai documenti della Commissione Teologica Internazionale. Nella mattinata ha anche preso la parola Mark Miller (Consigliere bioetico ospedaliero, Canada) che ha parlato dellesperienza come

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fonte della teologia morale, riferendosi alla sua esperienza di lavoro in veste di consigliere bioetico ospedaliero. La sua relazione intitolata Experience as a Source of Moral Theology. What makes for Expertise? Who is an Expert? Notes from a Clinical Bioethicist ha riportato nel contesto fortemente accademico del Congresso, laspetto pratico. Egli ha scelto un metodo fenomenologico per descrivere la decisione morale centrando lattenzione sullatto della decisone come proprio atto riflessivo. Miller ha sottolineato la necessit di fare attenzione alla situazione nella quale viene presa la decisione morale. Dallauto-riflessione siamo in grado di conoscere il ruolo fondamentale dellesperienza umana nella scelta morale. Il Prof. Aristide Gnada (Accademia Alfonsiana, Roma) nella sua relazione Il dono come principio dellagire morale ha inizialmente posto la domanda: Quale il principio, cio lorigine, la norma e la finalit dellagire morale?. Come risposta ha presentato i risultati della riflessione in tema del dono come principio dellagire morale. Alla luce del dono come esperienza fondamentale della persona umana, la vita morale pu essere compresa come un donarsi allaltro in analogia con il donarsi divino allumanit e il dono stesso come quel principio dellagire morale. Lagire morale, che si identifica con il dono nella sua duplice forma ontica ed educativa, si radica nel dono ontologico, o dellessere donato a se stesso, la cui origine Dio-Amore. Nella sua realt concettuale e formale, il dono si rivela come una norma etica che orienta luomo nel suo agire ed esprime il precetto fondamentale della legge morale naturale: fare il bene ed evitare il male, donando. Il dono, in quanto bene che si comunica, si presenta come una realt antropologica e teologica che d senso allagire delluomo chiamato a realizzarsi secondo il proprio essere dono. Il dono, poich spiega lagire morale nella sua fonte, norma e finalit, pu servire da criterio per un discorso teologico-morale nella prospettiva delletica universale e nella stretta fedelt alletica cristiana, che essenzialmente unetica damore sullesempio di Ges Cristo e ad immagine di Dio Uno e Trino. Lultima relazione della seconda sessione stata aperta da Brian Dolan (Dottorando dellAccademia Alfonsiana) con il tema In the light of our teaching and pastoral experiences, what future do we see for the

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concept of Natural Law? Egli ha illustrato le difficolt nel definire la legge naturale e il suo ruolo nella riflessione teologico-morale. La terza, e ultima, sessione moderata da Brian Dolan ha cercato di offrire una panoramica riguardante le fonti classiche e contemporanee di teologia morale di cui si parlato e discusso assai durante il Congresso.

Ordo caritatis e fragilit umana


Cronaca del XXIII Congresso dellAssociazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM) Pietralba - Nova Ponente (Bz), 22-24 luglio 2010
Giovanni Del Missier

Dal 22 al 24 luglio si tenuto, presso il Santuario di Pietralba Nova Ponente (Bz), il XXIII congresso nazionale dellAssociazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM) intitolato Ordo caritatis e fragilit umana e dedicato allapprofondimento delle differenti forme di fragilit emergenti nellattuale contesto socio-culturale, nei vissuti personali e inter-soggettivi.1 La prima sessione si aperta con la relazione Lincerto volere. La fragilit dei processi decisionali personali, nella quale Sergio Bastianel (Pontificia Universit Gregoriana Roma) ha inquadrato le attuali evidenti difficolt nel maturare, prendere e mantenere scelte di vita e decisioni impegnative allinterno del limite creaturale dellumano e dellesercizio colpevole della libert responsabile. stato messo in evidenza che la capacit di maturazione morale della coscienza risulta influenzata inevitabilmente dai criteri di giudizio e dalle interpretazioni della realt veicolati dalla cultura, ed limitata dal peccato presente nella storia che ostacola e rende difficile lattuazione di un vivere umano sensato e compiuto. Ci nonostante si sottolineato con forza come ogni persona goda di uno spazio effettivo di libert che rende possibile il riconoscimento di ci che fa vivere e di ci che mortifica, che abilita a scegliere il bene attraverso decisioni persona-

Sede, data e durata del congresso ATISM sono state scelte opportunamente per favorire la partecipazione dei soci anche allevento internazionale Catholic Theological Ethics in the World Church In the Currents of History: from Trento to the Future, tenutosi a Trento dal 24 al 27 luglio.

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li e che permette di dilatare le possibilit positive in senso liberante per noi e per gli altri. In questo risiedono la fragilit e la grandezza dellistanza etica: infatti, la sincera ricerca del bene possibile e la sua attuazione non garantiscono nulla, tranne lonest e il senso della vita, ma rappresentano la via per trascendere il limite e il male, il nucleo stesso della dignit propria del soggetto morale. Essa si concretizza in una reale solidariet nel bene che vive nella storia e che ci raggiunge attraverso la comunit credente che, senza essere esentata dal limite, porta in s il dono esplicito di una speranza fondata in Cristo, per portare frutti di umanit redenta.2 La seconda sessione del convegno ha approfondito il tema Lincerto patire. La fragilit personale nel tempo della malattia, attraverso unampia relazione di Maurizio Chiodi (Facolt Teologica dellItalia Settentrionale Milano) nella quale si cercato di dimostrare che la fragilit vissuta nel tempo difficile della malattia una categoria sintetica dellumano. Al fine di evitare interpretazioni riduttive e ingenue della fragilit del soggetto provato dalla malattia e dalla sofferenza, si abbozzata una fenomenologia ermeneutica delle esperienze fondamentali del vivere che sempre risulterebbero legate a una promessa, e dunque a un dono, che si origina in una relazione e che annuncia un compimento al quale luomo non accede per se non grazie alla sua libera decisione, nella quale egli chiamato ad auto-disporsi, in forma responsiva. Il tempo della malattia si configura come una prova paradigmatica per lesperienza umana tutta: essa abitata da un desiderio che suscita la decisione e lagire, e che al tempo stesso rivela la radice ultima della fragilit umana nella sproporzione tra laspirazione infinita e il suo compimento limitato. La malattia costringe il soggetto a prendere coscienza di questo scarto e lo spinge ad avviare un processo di reinterpretazione di s e del senso complessivo della sua esistenza. Posto di fronte alla propria radicale vulnerabilit lesseIn qualit di discussant sono intervenuti Carla Corbella (Torino) e Pietro Cognato (Palermo). Ci sembra di dover mettere in evidenza il primo contributo su Opzione irrevocabile di vita tra opportunit e scacco che ha riproposto in modo efficace e sintetico i contenuti della pubblicazione CORBELLA C., Resistere o andarsene? Teologia e psicologia di fronte alla fedelt nelle scelte di vita, EDB, Bologna 2009.
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re umano scopre che la questione sottesa alla malattia non tanto e solo quella della guarigione, ma quella ancor pi radicale della salvezza, e cio di una vita compiuta, felice, piena. Se, da un lato, tale processo di coscientizzazione pu risultare ostacolato dallattuale clima culturale in cui si colloca lagire medico fortemente segnato da riduzionismo e tecnicismo esasperato, da attitudini individualistiche, da relazioni contrattualiste e da ingenti interessi economici , dallaltro esso pone in questione la totalit dellesperienza umana: il rapporto con s (la pazienza come ricerca di senso nella sofferenza), con gli altri (lalleanza di cura come primo dovere etico), con Dio (la speranza come affidamento religioso al di l dellapparente fallimento della promessa della vita). Ed su questa dimensione antropologica universale che si innesta lesperienza cristiana e, in particolare, lattitudine di Ges nei confronti dei malati. In essa si svela il rapporto complesso che intercorre tra recupero immanente della salute e dono divino della Salvezza (come anche tra colpa morale e condizione patologica cfr. Gv 9, 2-5) che sempre implica lappello alla libera decisione dellinterlocutore che attende, invoca, spera, crede e si affida Il miracolo non produce la fede, quasi determinando la necessit di credere, ma la suppone, perch possa accadere ed essere riconosciuto (cfr. Mc 10, 46-52). In tal modo appare evidente che nel tempo della prova, il malato chiamato a decidere di s, e cio a credere che la promessa della vita non stata vana, anche grazie alla presenza di coloro che si prendono cura di lui, testimoni efficaci della sua incommensurabile dignit e annunciatori di una Speranza che coincide con labbandono fiducioso in Dio.3

In qualit di discussant sono intervenuti Andrea Vicini (Napoli) e Giovanni Del Missier (Roma Udine). Ci sembra di dover mettere in evidenza il primo contributo Per una lettura teologico-morale nella malattia: fragilit e vulnerabilit nel quale stata offerta una riflessione concreta e pratica sulla fragilit nella malattia, con un approccio attento al vissuto delle persone sofferenti, mettendo in luce la vulnerabilit intrinseca alla condizione umana (che implica sempre un appello alla responsabilit morale), quella drammatica prodotta dalla malattia (che richiede una ricerca personale del senso e una solidariet interpersonale e globale) e quella propria di Ges di Nazareth e dei suoi discepoli (che chiede di

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La terza sessione stata inaugurata dalla relazione Lincerto legame. La fragilit affettiva e delle relazioni interpersonali, nella quale Salvatore Cipressa (Istituto Superiore di Scienze Religiose Lecce) ha tratteggiato un quadro piuttosto fosco della cultura contemporanea, profondamente segnata da inquietudine, ambiguit e nichilismo, generatori di un disagio pervasivo che coinvolge la vita affettiva e relazionale, distrugge prospettive ed orizzonti, confonde i pensieri, intristisce le passioni, riconduce il comportamento umano alle sue basi istintuali, destituendolo della sua specificit umana, e dunque della sua valenza propriamente morale. Come rimedio stata prospettata una visione integrale della persona che, attraverso la formulazione di una antropologia relazionale e dialogica, recuperi il senso autentico delle relazioni interpersonali e attribuisca valore morale adeguato alla vita affettiva. In tal modo, lincontro con laltro diventa epifania e traccia dellInfinito, appello alla responsabilit nellamore e impegno etico nella fedelt. Su questo sfondo si auspicata lelaborazione di percorsi educativi capaci di unificare la persona nonostante le sue fragilit e di abilitarla al dono di s, integrando positivamente relazioni e corporeit, affettivit e sessualit in vista di una sempre maggiore maturit nei rapporti interpersonali.4

improntare lazione alla logica evangelica che fragile e vulnerabile, non potente, non aggressiva e violenta, pura negli intenti e povera nei mezzi). 4 In qualit di discussant sono intervenuti Giampaolo Dianin (Padova) e Tiziana Giuffr (Lecce). Ci sembra di dover mettere in evidenza il primo contributo che, attraverso una serie di domande radicali che non si possono eludere nella riflessione teologico-morale, ha cercato di offrire piste di approfondimento sulla prassi affettiva e relazionale. Dianin si chiesto: come riproporre il nesso tra sessualit, amore e procreazione, il cui significato messo radicalmente in discussione dalla cultura contemporanea? Come le grandi aspettative riposte oggi nellesperienza affettiva possono strutturarsi in una donazione personale e in un impegno duraturo, allinterno di un legame forte che le sottragga allinstabilit delle semplici emozioni? Come superare il narcisismo che tende a porre laccento sulla libera espressione di s e sullautorealizzazione, relegando in secondo piano il bene comune della coppia-famiglia, superiore alla somma aritmetica degli interessi individuali? come superare il paradosso contenuto nellopinione dominante riguardo allindifferenza pubblica delle scelte private, quando le loro

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Nella quarta e ultima sessione Francesco Compagnoni (Pontificia Universit San Tommaso Roma) ha tenuto la relazione intitolata Lincerto potere. La fragilit del sistema democratico. In prima istanza ha espresso una preoccupazione metodologica riguardo alla peculiare prospettiva delletica sociale, distinta dalla politologia, dalla storiografia e dalla sociologia, e lha identificata nella valutazione delle esistenti forme di convivenza alla luce dei diritti umani,5 per rispondere alle domande morali fondamentali sulla capacit reale della democrazia di umanizzare i rapporti sociali, di incrementare i valori morali dei singoli e di farsi carico dei cittadini pi svantaggiati. A tal fine ha offerto come criteri di verifica di una vera democrazia: luguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la possibilit di concorrere liberamente al governo della cosa pubblica; la garanzia effettiva delle libert fondamentali; la sussistenza di un sistema giudiziario equo e indipendente basato sulla leggi stabilite a maggioranza, insieme alla effettiva esistenza di un pubblico dibattito libero e di istituzioni capaci di assicurare lo svolgimento di tale confronto. Allopposto, come pericoli del sistema democratico attuale, sono stati messi in luce e analizzati: la dipendenza dal sistema di informazione mass-mediale e digitale; il ruolo dei centri di potere industriale, economico, finanziario, ideologico e malavitoso; la disaffezione dei cittadini nei confronti della partecipazione e la capacit di comprensione sostanziale delle questioni in gioco; linflusso di teorie circa le lites governanti;
conseguenze ricadono pesantemente sulla vita sociale, come nel caso delle separazioni coniugali, della sofferenza arrecata a figli, della violenza di genere, della denatalit? Come tematizzare adeguatamente la continuit e la rilevanza che caratterizza levento cristiano di sposarsi nel Signore rispetto allesperienza umana del matrimonio? 5 ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, Dichiarazione Universale dei Diritti dellUomo, 10 dicembre 1948, art. 21: 1. Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti. 2. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio Paese. 3. La volont popolare il fondamento dellautorit del governo; tale volont deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione.

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il fondamentalismo, il terrorismo, il populismo e la tendenza innata delluomo ad essere gregario, lasciandosi facilmente comandare da un capo carismatico. Infine, sono state solo menzionate alcune problematiche riguardanti la presenza dei cristiani nella societ e in politica dopo la stagione delle democrazie cristiane; la posizione della Chiesa nelle societ pluraliste e democratiche; la tensione tra globalizzazione e particolarismi locali; i reciproci rapporti tra partecipazione, potere e bene comune.6 Nellambito del convegno ha avuto luogo anche lassemblea elettiva dei soci con il rinnovo delle cariche per il quadriennio 20102014. Il nuovo Consiglio di Presidenza risulta composto da: Sergio Bastianel s.j. (presidente); Pierdavide Guenzi (vicepresidente); Salvino Leone (segretario); Renzo Pegoraro (delegato per la sezione settentrionale); Paolo Carlotti s.d.b. (delegato per la sezione centrale); Vincenzo Viva (delegato per la sezione meridionale); Alessandro Rovello (delegato per la sezione siciliana). stata inoltre confermata la nomina di Andrea Gaino a delegato presso il CATI.

In qualit di discussant intervenuto Giulio Parnofiello (Napoli). Egli ha amplificato la questione delleffettivit della democrazia in riferimento alla fragilit che si introduce nel sistema attraverso le manipolazioni del consenso, le proclamazioni solo formali dei diritti umani, le reazioni discriminanti collegate allimmigrazione, indicando nelluniversalit dellesperienza cristiana un apporto originale per una equilibrata gestione del potere e per la stabilizzazione delle relazioni sociali in contesti ad elevata pluralit etnico-culturale.

Chronicle / Crnica / Cronaca


ACCADEMIA ALFONSIANA Cronaca relativa allanno accademico 2009-2010
Danielle Gros*

1. Eventi principali 1.1. Inaugurazione dellanno accademico


Il 9 ottobre 2009 stato inaugurato lanno accademico. La concelebrazione eucaristica, celebrata nella Chiesa di S. Alfonso, stata presieduta dal Rev.mo Padre Serafino Fiore, Vicario Generale della Congregazione del Santissimo Redentore, che ha tenuto anche lomelia (cf. Inaugurazione dellanno accademico 2009-2010, Roma, Edacalf, 2009, pp. 5-8). La messa solenne stata concelebrata anche dal Preside, Prof. Martin McKeever, dal Vicepreside, Prof. Bruno Hidber, dal Rettore della Comunit Redentorista, R. P. Luciano Panella e da numerosi professori e studenti. Al termine della celebrazione, nellaula magna dellAccademia si svolto latto inaugurale articolato in due momenti: il primo, sostanziatosi nella Relazione del Preside sullanno accademico 2008-2009 (cf. ibidem, pp. 9-20), durante il quale sono stati richiamati gli avvenimenti pi significativi avvenuti durante lo scorso anno accademico; il secondo, marcato dalla prolusione Questo il momento di agire. La priorit della Chiesa nella tutela dei minori, tenuta dal Prof.

* Segretaria Generale dellAccademia Alfonsiana.

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Sen Cannon, Professore dellAccademia Alfonsiana (cf. ibidem, pp. 21-45). Come ogni anno, latto accademico, conclusosi con un rinfresco, stato occasione per uno scambio di idee tra professori, ufficiali e studenti. Per la prima volta, la Concelebrazione della Santa Messa per linizio dellanno accademico 2009-2010 dei Pontifici Atenei Romani stata sostituita da una Udienza particolare con il Santo Padre Benedetto XVI, tenutasi gioved 19 novembre 2009 alle ore 12.00 nellAula Paolo VI in Vaticano, alla quale hanno partecipato il Preside dellAccademia, Prof. Martin McKeever, nonch alcuni docenti e numerosi studenti dellAccademia.

1.2. Nomine
Questanno accademico ha fatto registrare alcune nuove nomine da parte: del Gran Cancelliere della Pontificia Universit Lateranense, Em.mo e Rev.mo Sig. Card. Agostino Vallini, che con decreti del 22 ottobre 2009 ha nominato rispettivamente come professori ordinario e consociato dellAccademia Alfonsiana il Professor Martin McKeever e il Professor Sebastiano Viotti; del XXIV Capitolo Generale della Congregazione del Santissimo Redentore che, riunitosi a Roma, il 4 novembre 2009 ha eletto il Rev.mo P. John Michael Brehl, gi Superiore Provinciale della Provincia di Edmonton-Toronto, come 17 Superiore Generale della Congregazione del Santissimo Redentore. Secondo gli Statuti dellAccademia Alfonsiana, il Rev.mo P. Brehl diventa automaticamente anche il nuovo Moderatore Generale della stessa; del Moderatore Generale dellAccademia Alfonsiana, Rev.mo P. Michale Brehl, che il 3 febbraio 2010, su designazione del Consiglio dei Professori, ha rinnovato per un ulteriore triennio il mandato al R.P. Alfeo Prandel, C.Ss.R., quale Economo dellAccademia; del Rettore Magnifico della Pontificia Universit Lateranense, S.E.R. Mons. Rino Fisichella, che in data 15 febbraio 2010 ha

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nominato tre nuovi professori invitati per lanno accademico 2010-2011: il Prof. Nestor Basunga, C.Ss.R., per la sezione di teologia morale sistematica speciale, il Prof. Antonio Gerardo Fidalgo, C.Ss.R., per la sezione di antropologia sistematica e il Prof. Stefano Zamboni, S.C.J., per la sezione di teologia morale fondamentale; ancora del Gran Cancelliere della Pontificia Universit Lateranense, Em.mo e Rev.mo Sig. Card. Agostino Vallini, che con decreto del 25 maggio 2010 ha confermato il Professor Martin McKeever quale Preside dellAccademia Alfonsiana per il triennio 2010-2013; del Santo Padre Benedetto XVI, che il 30 giugno 2010 ha nominato Presidente del neo Pontificio Consiglio per la promozione della nuova Evangelizzazione S.E.R. Mons. Rino Fisichella, allora Rettore Magnifico della Pontificia Universit Lateranense. stato chiamato a succedergli alla guida dellUniversit il Rev.mo Don Enrico dal Covolo, S.D.B.

1.3. Attivit accademiche, avvenimenti ed incontri 1.3.1. Incontro Preside/studenti


Il mercoled 7 ottobre 2009, durante il consueto incontro dinizio anno tra il Preside, la Segretaria Generale ed i nuovi studenti, questi ultimi sono stati informati su diversi aspetti riguardanti la struttura dellAccademia e la vita accademica in generale. Al termine dellincontro, i Consulenti accademici hanno ricevuto i nuovi studenti appartenenti ai rispettivi gruppi linguistici, per poterli orientare verso una programmazione sistematica dei corsi e seminari del biennio per la licenza.

1.3.2. Presentazione del libro Psicologia e formazione. Principi 1.3.2. psicologici utilizzati nella formazione per il Sacerdozio 1.3.2. e la Vita consacrata, del Prof. Jos Rafael Prada Ramrez
Il libro stato presentato il 29 ottobre 2009 nellaula magna dellAccademia Alfonsiana. Lautore del libro, attuale Superiore Provin-

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ciale della Provincia di Bogot, stato professore invitato allAccademia Alfonsiana dal 2000 al 2008. Relatori: i Professori Jos Silvio Botero Giraldo e Stephen Rehrauer, entrambi professori dellAccademia Alfonsiana.

1.3.3. Elezione dei Rappresentanti degli studenti


Il 16 novembre 2009 lassemblea degli studenti, presieduta dal Preside, Prof. Martin McKeever, ha eletto, quali propri rappresentanti, Sr. Hwa Soon Kim, f.s.p., Coreana, e P. Wilfredo Corniel Castellanos, s.c.j., Venezuelano, entrambi studenti del primo anno di licenza. Questi rappresentanti, con la loro elezione, diventano membri del Consiglio Accademico, e fungono da portavoce degli studenti presso le autorit accademiche ed amministrative dellAccademia.

1.3.4. Inaugurazione dellanno accademico alla Pontificia 1.3.4. Universit Lateranense


Il 2 dicembre 2009, il Preside ha rappresentato lAccademia allatto dinaugurazione dellanno accademico della Pontificia Universit Lateranense, svoltosi, come ogni anno, alla presenza di numerose autorit ecclesiali e civili.

1.3.5. Festa degli studenti


I Rappresentanti degli studenti hanno organizzato, mercoled 16 dicembre 2009, una festa per celebrare il Natale. Alla celebrazione eucaristica ha fatto seguito un momento di festa con canti tipici dei diversi paesi di appartenenza.

1.3.6. Assemblea degli studenti


Gli studenti si sono riuniti in assemblea ordinaria il 18 febbraio 2010, nellaula magna dellAccademia. Lincontro stato presieduto dai loro Rappresentanti, ed ha permesso ai partecipanti di formulare alcune proposte da sottoporre al Consiglio Accademico.

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1.3.7. Convegno La crisi economica globale. I cristiani hanno qualcosa da 1.3.7. dire?
Nei giorni 22 e 23 marzo 2010 si tenuto nellaula magna dellAccademia il Convegno in titolo al quale hanno partecipato, in qualit di relatori, il Professor Stefano Zamagni, dellUniversit di Bologna, il Dottor Lucio Lamberti, Capoufficio nellIstituto per le Opere di Religione, la Professoressa Helen Alford, Decana della Facolt di Scienze sociali della Pontificia Universit San Tommaso, nonch i Professori Raphael Gallagher, Martin McKeever, Sebastiano Viotti e Andrzej Wodka dellAccademia Alfonsiana. Hanno moderato i Professori Alfonso Amarante, Sen Cannon, Bruno Hidber e Stephen Rehrauer. Gli atti del Convegno saranno pubblicati come supplemento alla rivista Studia Moralia.

1.3.8. Festa di S. Alfonso e gita degli studenti


Come ogni anno, il Preside ha invitato le autorit della Pontificia Universit Lateranense, dellAccademia Alfonsiana ed i Rettori dei collegi, seminari e convitti che affidano i loro studenti al nostro Istituto, ad un pranzo festivo che si tenuto il 21 aprile 2010. In questo giorno, in segno di ringraziamento, lAccademia invita tutti coloro che, in vari modi, le sono vicino condividendo limpegno per la formazione teologico-morale dei giovani. Nel medesimo giorno, gli studenti dellAccademia hanno organizzato una gita al santuario di Pompei e a Pagani.

1.3.9. Riunione annuale dellATISM


Il 27 aprile 2010 si tenuta, nei locali dellAccademia, la riunione annuale dellATISM (Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale), sezione centro. Argomento dellincontro: Fragilit e passioni delluomo del terzo millennio. Relatore: Prof. Tonino Cantelmi, dirigente psichiatra per il Servizio Sanitario Nazionale, fondatore della Prima Scuola di Spe-

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cializzazione in Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Interpersonale in Italia.

1.3.10. Tavola Rotonda


Il 30 aprile 2010, nellaula magna dellAccademia, gli studenti hanno organizzato una tavola rotonda sul tema Come insegnare la teologia morale a livello istituzionale? I relatori hanno trattato i seguenti temi: Come scegliere il contenuto che essenziale per strutturare un corso programmatico di teologia morale fondamentale? (Prof. Livio Melina, Preside dellIstituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia); Alla luce del pensiero di S. Alfonso, come insegnare la teologia morale oggi? (Prof. Sabatino Majorano, c.ss.r., professore dellAccademia Alfonsiana); Come strutturare oggi un corso base di bioetica? (Prof. Maurizio Faggioni, o.f.m., professore dellAccademia Alfonsiana). La tavola rotonda ha visto la partecipazione di numerosi studenti sia dellAccademia che dellIstituto Giovanni Paolo II.

1.3.11. Workshop didattico


Nei giorni 8 e 15 maggio 2010 si sono svolti due workshop didattici riservati agli studenti dellAccademia Alfonsiana. I titoli: Come insegnare la teologia morale fondamentale a livello istituzionale? e Come insegnare la bioetica a livello istituzionale? I workshop, diretti rispettivamente dal Prof. Vincenzo Viva (il primo) e dai Proff. Martin McKeever, Maurizio Faggioni e Edmund Kowalski (il secondo), hanno riscosso molto successo tra gli studenti.

1.3.12. Celebrazione in suffragio di S.E.R. Mons. Luigi Padovese


Venerd 18 giugno il Preside e altri membri dellAccademia Alfonsiana hanno partecipato alla solenne celebrazione in suffragio di S.E.R. Mons. Luigi Padovese, o.f.m.cap.. La cerimonia, tenutasi a

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Roma, presso la Basilica di SantAntonio, era presieduta da S.E.R. Mons. Rino Fisichella, Rettore Magnifico della Pontificia Universit Lateranense (Cfr. 5.2.).

2. Consiglio dei Professori


I professori invitati si sono riuniti l8 ottobre 2009 per eleggere i loro Rappresentanti per il Consiglio dei Professori e per il Consiglio Accademico. Sono stati eletti: i Professori lvaro Crdoba e Raphael Gallagher, per il Consiglio dei Professori, e i Professori Giovanni Del Missier e Vincenzo Viva, per il Consiglio Accademico. Durante lanno accademico 2009-2010, il Preside ha convocato 5 volte il Consiglio dei Professori, che ha potuto cos deliberare su numerosi temi attinenti alla vita dellAccademia: preventivo, varie questioni accademiche, programmazione per il biennio 2010-2012, promozione dei docenti, relazioni annuali delle commissioni permanenti, valutazione dellanno accademico, ecc.

3. Consiglio Accademico
Il Preside ha convocato il Consiglio Accademico tenutosi il 25 febbraio 2010. Tema principale: la discussione sulla programmazione accademica e la designazione dei tre candidati per lufficio di Preside.

4. Assemblea annuale
Il Preside ha convocato per il 5 novembre 2009 lassemblea annuale di tutti i professori e ufficiali maggiori dellAccademia Alfonsiana. Temi principali dellincontro: levoluzione delle iscrizioni nellultimo anno e alcune problematiche didattiche.

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5. Corpo docente 5.1. Stato attuale


In questo anno accademico, lAccademia Alfonsiana si avvalsa della collaborazione di 31 professori, di cui 6 ordinari, 5 straordinari, 3 associati, 16 abitualmente invitati, ed 1 emerito. Tra questi, 30 hanno svolto 33 corsi e diretto 18 seminari e numerose tesi di licenza e di dottorato. Altri ancora, in qualit di professori invitati, hanno anche insegnato presso diversi centri ecclesiastici romani e partecipato a numerosi convegni e congressi.

5.2. In memoriam
Il 3 giugno 2010 stato barbaramente ucciso a Iskenderun (est dellAnatolia) S.E.R. Mons. Luigi Padovese, o.f.m.cap., Vicario Apostolico dellAnatolia e Presidente della Conferenza Episcopale Turca, gi professore invitato dellAccademia Alfonsiana. Il Prof. Padovese era nato a Milano il 31 marzo 1947 e ha insegnato presso lAccademia Alfonsiana dal 1995 allanno della sua nomina episcopale avvenuta l11 ottobre 2004, nel campo della morale patristica.

5.3. Pubblicazioni dei Professori


Da evidenziare che molti docenti, oltre alla loro principale attivit didattica e di assistenza agli studenti, hanno anche pubblicato diverse opere, offrendo in tal modo un utile contributo alla ricerca scientifica (Cfr. Inaugurazione dellanno accademico 2010-2011, Roma, Edacalf, 2010).

5.4. Collegialit accademica


Durante lanno accademico, al fine di promuovere la collegialit tra i professori dellAccademia, sono stati organizzati dal Preside diversi incontri per discutere temi attinenti alle diverse discipline dellIstituto. Tema principale di questanno: la legge naturale.

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6. Studia Moralia
Limpegno della Commissione per Studia Moralia e la collaborazione dei Professori interni ed esterni, hanno permesso la regolare pubblicazione dei due fascicoli della rivista Studia Moralia, per lanno 2009. Da segnalare che con il primo volume uscito anche il quarto supplemento dedicato agli atti della Giornata di Studio Parola di Dio e Morale, tenutasi allAccademia Alfonsiana il 20 novembre 2008.

7. Studenti
Nellanno accademico 2009-2010, gli studenti sono stati 303 (276 uomini e 27 donne), di cui 281 ordinari (108 del secondo ciclo e 173 del terzo ciclo) che si sono preparati per conseguire i gradi accademici, 14 straordinari e 8 ospiti. La provenienza degli studenti riferita a tutti i continenti: 129 dallEuropa, 54 dallAsia, 79 dallAmerica, 40 dallAfrica, ed 1 dallAustralia. Divisi per appartenenza religiosa, 175 sono del clero secolare, 110 tra religiosi e religiose appartengono a 60 diversi ordini, mentre 18 sono i laici. Durante lanno accademico 2009-2010 sono state difese con successo 18 tesi di dottorato e 18 studenti, dopo la pubblicazione delle loro rispettive tesi, sono stati proclamati dottori in teologia della Pontificia Universit Lateranense, con specializzazione in teologia morale. Inoltre, 50 studenti hanno conseguito la licenza in teologia morale. Da segnalare i numerosi incontri avvenuti tra il Preside e i Rappresentanti degli studenti, che hanno consentito di deliberare su varie questioni riguardanti gli studenti stessi.

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8. Informazioni sugli ex-studenti 8.1. In memoriam


Durante lanno accademico 2009-2010 sono deceduti 4 ex-studenti dellAccademia Alfonsiana: Patrick Carroll, o.s.m, deceduto allet di 58 anni. P. Carroll era iscritto allAccademia negli anni accademici 1979-1980 e 19801981 al programma di licenza; Anthony Joseph Smith, deceduto allet di 55 anni. stato studente dellAccademia dal 1994 al 2000, conseguendo la licenza nel 1996 e il dottorato nel 2000; Joannes (Michael Dana) Sweetser, o.f.m., deceduto il 22 settembre 2009 dopo una lunga malattia, allet di 43 anni. P. Sweetser era iscritto allAccademia negli anni accademici 20042005 e 2005-2006 al programma di licenza; Octavio Vilches Landin, s.j., deceduto allet di 45 anni. P. Vilches Landin era iscritto allAccademia negli anni accademici 1995-1996 e 1996-1997 al programma di licenza.

8.2. Nomine
Durante lanno accademico 2009-2010, 11 ex-studenti dellAccademia Alfonsiana sono stati elevati alla dignit episcopale (o, se gi Vescovi, hanno ottenuto incarichi superiori): S.E.R. Mons. Eliseo Antonio Ariotti, finora Nunzio Apostolico in Camerun e in Guinea Equatoriale, nominato Arcivescovo titolare di Vibiana. stato studente dellAccademia dal 1972 al 1974 e dal 1982 al 1984; S.E.R. Mons. Francisco Antonio Ceballos Escobar, c.ss.r., finora Pro-Vicario di Puerto Carreo (Colombia), nominato Vicario Apostolico della medesima circoscrizione ecclesiastica. stato studente dellAccademia dal 1996 al 1998; S.E.R. Mons. Giovanni DErcole, finora Capo Ufficio della Prima Sezione della Segreteria di Stato, nominato Vescovo Ausiliare dellarcidiocesi di LAquila (Italia). stato studente dellAccademia dal 1974 al 1976 e dal 1984 al 1986;

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S.E.R. Mons. Mrio Antnio da Silva, finora Cancelliere e Parroco nella Diocesi di Jacarezinho (Brasile), nominato Vescovo Ausiliare dellarcidiocesi di Manaus (Brasile). stato studente dellAccademia dal 1996 al 1998; S.E.R. Mons. Gianfranco Agostino Gardin, o.f.m.conv., finora Arcivescovo titolare di Torcello e Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Societ di Vita apostolica, nominato Arcivescovo-Vescovo di Treviso (Italia). stato studente dellAccademia dal 1970 al 1972 e dal 1976 al 1978; S.E.R. Mons. Ral Gmez Gonzlez, finora Vicario Generale della diocesi di San Juan de Los Lagos (Messico), nominato primo Vescovo di Tenancingo (Messico). stato studente dellAccademia dal 1987 al 1989; S.E.R. Mons. Magnus Henrique Lopes, o.f.m.cap., finora Vicario conventuale ed Economo del Convento Santo Antnio a Natal (Brasile), nominato primo Vescovo della diocesi di Salgueiro (Brasile). stato studente dellAccademia dal 2007 al 2009; S.E.R. Mons. Carlos Germn Mesa Ruiz, finora Vescovo di Arauca, nominato Vescovo di Socorro y San Gil (Colombia). stato studente dellAccademia dal 1974 al 1976; S.E.R. Mons. Constancio Miranda Weckman, finora Vescovo di Atlacomulco, nominato Arcivescovo Metropolita di Chihuahua (Messico). stato studente dellAccademia dal 1987 al 1989; S.E.R. Mons. Luigi Moretti, finora Arcivescovo titolare di Mopta e Vicegerente del Vicariato di Roma, nominato Arcivescovo Metropolita di Salerno-Campagna-Acerno (Italia). stato studente dellAccademia dal 1973 al 1976; S.E.R. Mons. Stephen Thottathil, finora professore di teologia morale e decano di teologia al Malankara Seminary, nominato Vescovo Ausiliare dellArcieparchia di Tiruvalla (India). stato studente dellAccademia dal 1985 al 1990.

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9. Gradi accademici conferiti 9.1. Dottori designati


Nel corso dellanno accademico 2009-2010, 18 studenti hanno difeso pubblicamente la loro dissertazione dottorale: AROCKIA DASS, Mangalam David (India diocesi di Vellore-Tamilnadu): The Compatibility of Development in the Writings of Amartya Sen and in the Social Teachings of the Church 16 ottobre 2009; Moderatore: Prof. Vimal Tirimanna. There are solid reasons to explore Sens approach to development from the perspective of moral theology, particularly in relation to the Catholic social teaching on development. Sens approach is very much compatible with the churchs social teaching. Sen promotes a view of development that is not concentrated exclusively on material or economic factors but rather increasing the capabilities or the freedoms of individuals as the basic building blocks of development. Thus he proposes that development policy has to be focused on the expansion of the capabilities of persons to lead the kind of lives they value or have reason to value. In the same way the Catholic church plays an important role in the development of the human person. Pope John Paul II asserts that human development should stress the priority of persons over things, of the spirit over matter, and above all, of ethics over technology. He stresses that development should respect and promote all the dimensions of human persons. So there are striking convergences between Sen and Catholic social teaching. These two approaches have something to learn from each other. I am impressed by Sens approach to see development as human freedom and in the same way I admire the churchs teaching on authentic human development.

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CUNEO, Mara Martha (Argentina h.m.r.): Limitacin del esfuerzo teraputico en Terapia Intensiva Neonatal. El caso de los extremadamente prematuros 30 giugno 2010; Moderatore: Prof. Giovanni Del Missier. Esta investigacin busca aportar e integrar, desde la Teologa Moral, criterios de resolucin en el caso de los prematuros en Terapia Intensiva Neonatal. Parte de un estudio comprensivo de la prctica mdica-tica actual, tratando de dilucidar cules han sido y cules son los criterios de decisin ms utilizados en la limitacin del esfuerzo teraputico. Luego confronta esta prctica con los criterios enunciados por la Teologa Moral, articulados en una propuesta procedimental adaptable al caso de la neonatologa que permita tomar decisiones desde el respeto de la persona del prematuro. Propone, finalmente, algunos elementos para que la prctica se conforme cada vez ms con un perfil tico cristiano. A este fin, a partir de tres casos concretos, se pone en acto el mtodo de discernimiento que expresa la propuesta. IMMIG, Claudio Vicente (Brasile diocesi di Novo Hamburgo): A presena proftica das pessoas com deficincia no atual contexto cultural. Questes antropolgicas, ticas e sociais 24 febbraio 2010; Moderatore: Prof. Giovanni Del Missier. A presena proftica das pessoas com deficincia no atual contexto cultural exige uma antropologia de fundo que ultrapasse os conceitos utilitaristas e contratualistas, colocando srias questes ticas e questionando conceitos como qualidade de vida e o uso de meios cientficos e tecnolgicos quando os mesmos abrem as portas para a morte. Requer uma postura concreta da sociedade que deve interagir com os verdadeiros interlocutores que vivem este drama existencial na carne. Desafia o homem a repensar o seu ser e estar no mundo. Esta presena proftica abre perspectivas para uma significativa reflexo tico-moral em diferentes campos das cincias: filosficas, teolgicas, antropolgicas, sociolgicas e bioticas na descoberta de novas dimenses do homem e da pessoa, como detentor a pleno ttulo de direitos garantidos pela sua dignidade intrnseca.

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LE, Ngoc Dung (Vietnam diocesi di Nha Trang): Latto coniugale, unitivo e procreativo nel matrimonio. Una visuale storica, dottrinale e pastorale 25 maggio 2010; Moderatore: Prof. Jos Silvio Botero Giraldo. La ricerca investiga il significato profondo dellatto coniugale come unitivo e procreativo. La tradizione agostiniana dal V secolo sottolinea il significato procreativo e vede il matrimonio come rimedio della concupiscenza. Levoluzione della dottrina del XX secolo, particolarmente nella Gaudium et spes, sviluppa la visione personalistica, sottolineando che lunione damore coniugale unione totale delle persone. In risposta allinsegnamento della Humanae vitae sulla paternit responsabile, i vescovi nel mondo offrono le direttive pastorali che rispettino linscindibilit fra significato unitivo e procreativo dellatto coniugale. LPEZ CERDN, Francisco Javier (Spagna o.f.m.): Hacia una nueva comprensin del noviazgo en la sociedad postmoderna. Retos ticos y pastorales 8 febbraio 2010; Moderatore: Prof. Jos Silvio Botero Giraldo. La comprensin del noviazgo hoy se ve afectada por el Postmodernismo que ha propiciado un cambio profundo en la manera de entender la relacin amorosa en los jvenes. Por esta razn, en nuestro estudio, dividido en cuatro captulos, pretendemos responder a los retos ticos y pastorales ms urgentes que plantea a la Iglesia el pensamiento postmoderno respecto al noviazgo. Urge, por un lado, un nuevo discurso tico-teolgico centrado en el amor-gape como experiencia humana que se abre al designio divino sobre la pareja; y, por otra parte, debemos ofrecer a los novios un acompaamiento pastoral con itinerarios de fe que propicie un status eclesial propio y que garantice la fe cristiana del futuro matrimonio.

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LOREFICE, Corrado (Italia diocesi di Noto): La Chiesa e il mistero di Cristo nei poveri. G. Dossetti e la formazione del discorso sulla povert tenuto al Concilio Vaticano II dal Card. Giacomo Lercaro 9 dicembre 2009; Moderatore: Prof. Sabatino Majorano. Il tema dei poveri nella Chiesa e della povert della Chiesa, nel circuito di ripensamento e di rinnovamento ecclesiale avviato dal Vaticano II, ha avuto un posto di sicuro non secondario nonostante la scarna ma comunque vincolante recezione dei documenti finali e questo grazie anche alla riflessione e allopera del card. Giacomo Lercaro supportate da don Giuseppe Dossetti. La ricerca riporta alla luce tale angolazione conciliare (cfr. LG 8,3). Il Cristo, vocazione dei cristiani, il Servo obbediente che si abbassato per condividere la finitudine della condizione umana, venuto nel mondo come suggerisce GS 3 a rendere testimonianza alla verit, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito. E se il Cristo povero rivela il mistero di Dio, se egli il luogo teologico per eccellenza, i poveri diventano, teologicamente, un luogo etico originario e la povert dei singoli discepoli e dellintera fraternit cristiana assurge a qualit teologale. ernivMISTERMAN, Volodymyr (Ucraina diocesi di Kolomyja-C ci): Il fenomeno dellabuso di sostanze psicotrope in Ucraina. Valutazioni bioetiche, proposte educative e interventi di prevenzione 28 ottobre 2009; Moderatore: Prof. Giovanni Del Missier. Lo scopo di questa dissertazione stato quello di andare alla radice del motivo per cui molte persone in Ucraina ricorrono alluso di sostanze psicotrope. La divisione della tesi in quattro parti ci ha permesso di fare del lavoro uno studio multidisciplinare. La prima parte stata dedicata alle spiegazioni e chiarificazioni terminologiche. Nella seconda parte sono state analizzate le reazioni a livello internazionale ed europeo, nonch dello Stato ucraino e della Chiesa alle conseguenze che derivano dallabuso di diverse sostanze psicotrope. Nella terza parte stata fatta la valutazione etica del fenomeno dellabuso (ubriachezza) nel percorso storico e sono state fatte alcune riflessioni bioetiche. Nella parte conclusiva si cercato di andare alla

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ricerca della radice e della prima causa del problema, proponendo i giusti criteri di risoluzione, puntando, cos, a un risanamento alla radice del problema della tossicodipendenza. NICOLOSI, Vincenzo Savio (Italia diocesi di Catania): La carit pastorale come comunione presbiterale. Lidentit presbiterale in risposta alle sfide attuali 24 maggio 2010; Moderatore: Prof. Sabatino Majorano. Largomento della tesi ha riguardato la carit pastorale allinterno di unottica di comunione (nel significato di koinonia). Concretamente la carit pastorale va vissuta dal presbitero allinterno del proprio presbiterio, pertanto, la comunione presbiterale la condicio sine qua non per unautentica carit pastorale. In concreto si potrebbe dire che la preoccupazione primaria di un presbiterio non deve essere lorganizzazione pastorale, ma la cura delle relazioni umane ed ecclesiali. Infatti, le relazioni di comunione presbiterali non sono solo il contesto dellesercizio della carit pastorale, ma ne costituiscono una concretizzazione essenziale e inalienabile. Occorre pertanto, per uneffettiva e fruttuosa carit pastorale, porre segni tangibili e credibili di comunione ad intra del presbiterio e solo poi ad extra. Certamente la comunione presbiterale non pu essere solo comunione di affetti e dintenzioni, legata alla disposizione danimo e alla volont dei singoli, ma prima di tutto comunione fondata sul sacramento dellordine e, in quanto tale, una dimensione dellesistenza del presbitero che non si data da se stesso, per questo, quindi, deve avere la responsabilit di accoglierla, custodirla, viverla. PAULA DE MORAES, Carlos (Brasile o.s.m.): Movimento extrativista do alto Acre e Purus. Uma proposta de biotica ambiental personalista 12 aprile 2010; Moderatore: Prof. Edmund Kowalski. O movimento extrativista, nascido da unio entre ndios e seringueiros, do Alto Acre e Purus (Amaznia) na dcada de 70 possua um carter ambiental e social, que ligava a defesa dos povos da floresta com a defesa da prpria floresta. A Igreja, por meio dos missionrios Servos de Maria, foi decisiva para o nascimento desse movimento. A partir dessa realidade apresentada uma leitura dos princ-

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pios de defesa da vida fsica, totalidade ou teraputico, liberdade e responsabilidade, sociabilidade e subsidiariedade, como proposta de uma biotica ambiental numa perspectiva personalista, onde seja assegurado ao ser humano o sujeito moral, mas se reconhea o valor intrnseco dos outros seres. POLISETTI, Innaiah (India o.f.m.cap.): The Ironic Imagination: A Source for Christian Moral Life. Contribution of William F. Lynch, s.j. 29 maggio 2010; Moderatore: Prof. Stephen Rehrauer. William F. Lynch, S.J. takes into account the individuals awareness of the combination of divine grace and human nature as an ironic condition of human existence. As humanity is gifted with the unique capacity of imagining, man/woman reflects the imagination of God when s/he tries to be co-creator in the plan of God. The term Ironic, according to Lynch means, besides the Greek nuance (saying one thing but meaning the opposite), holding of the opposites together. The thesis focuses on the five significant hinges of human life: God, Self (human being), Love, Spirit and the ironic imagination at the center, the basis for the interrelatedness among these multi-dimensional centers. The thesis investigates the role of the ironic imagination in living the three theological virtues of love, faith, and hope. Key words: Faith, God-experience, Hope, Image, Images of God, Imagination, Irony, Language, Love, Moral discernment, Prayer, Self-image, Self-esteem, Spirituality. POOVAMNILKUMTHOTTIYIL, Joseph (India h.g.n.): Fundamentalism and Freedom of Religion in the Secular State of India: A Study of the Hindutva Movement in the Light of Dignitatis Humanae 27 ottobre 2009; Moderatore: Prof. Raphael Gallagher. This dissertation illustrates how the Hindutva Movement in India is a threat to and violation of the right to religious freedom affirmed, defended and promoted by the teachings of Dignitatis Humanae. The Catholic Churchs notion of religious freedom in Dignitatis Humanae and the legal provisions for the exercise of this right in the Constitution of India are presented in the first two chapters.

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The Hindutva Movement is studied and the moral challenges to religious freedom are exposed in the third chapter. The concluding chapter reflects on the moral theological perspectives in support of religious freedom as a human right, criticising it in the light of Dignitatis Humanae, and proposes certain areas of the Churchs involvement for the fulfilment of the ethical task of living, defending, and promoting religious freedom. QUINTERO MONCADA, Ever Manolo (Venezuela diocesi di San Cristobal): Entre ensaamiento teraputico y eutanasia. Los cuidados paliativos una alternativa 7 aprile 2010; Moderatore: Prof. Edmund Kowalski. Esta tesis tiene lugar en el marco del anlisis de la situacin moderna del mundo y la sociedad acerca de las perspectivas humanas y morales planteadas en relacin con los fenmenos de la eutanasia y del ensaamiento teraputico o clnico, y sobre lo que muchos insisten en llamar calidad de vida y autonoma personal, pero que atendiendo a los distintos enfoques genera igualmente el mismo resultado de vulneracin flagrante al valor de la vida, vulneracin representada en los mecanismos de reanimacin artificial y tecnologa teraputica. Este primer escenario genera la necesidad de un segundo, constituido por mecanismos dignificantes de acompaamiento y estimulacin de vida en los momentos finales (cuidados paliativos), como un imperativo naturalmente impreso en el ser humano y como una buena prctica mdica, social, humana y espiritual, presentndolos bajo una perspectiva humana de respeto a la vida y a la muerte estrictamente natural. RAFFERTY, James (U.S.A. diocesi di Scranton): Moral Epiclesis A Liturgical Hermeneutic for Moral Theology: A Study of the Pneumatological Aspects of Yves Congar, Jean Corbon, and Edward Kilmartin 28 aprile 2010; Moderatore: Prof. Bruno Hidber. The Eastern patristic sources offer moral theology a rich description of the role of the Holy Spirit in the moral life through the paradigm of liturgy. Jean Corbon provides a Trinitarian theology of liturgy that eloquently indicates that the goal of the economy of sal-

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vation is the divinization of human persons. Emphasizing the essential unity of liturgical celebration and daily life, Corbon gives the foundations for a view of the Holy Spirit as moral agent in synergy with the human person. Yves Congar shows that the Eastern patristic vocabulary still serves Western theology, while Edward Kilmartin adds a personal dimension in the Spirits action to unite the believer to Christ through memory and imagination. SNCHEZ PREZ, Jos Alexis (Venezuela diocesi di Ormil): Humanizacin de la sexualidad como lenguaje del amor. Una perspectiva educadora para el Joven de Hoy 4 giugno 2010; Moderatore: Prof. Jos Silvio Botero Giraldo. La situazione che vive la societ attuale nella quotidianit non pone dubbi che la sessualit una realt poco studiata e poco compresa. Esiste unevidente contraddizione tra il senso originale della sessualit umana e ci che si vive e si pratica nella realt concreta. per questo motivo che diventa urgente unumanizzazione della sessualit; cio, riconoscere che lamore la base fondamentale della sessualit; che necessario dare al pudore ed al dominio di s il valore fondamentale che essi hanno nellesercizio della sessualit. La realizzazione di questo delicato lavoro dipende dallimpegno e dalla presa di coscienza che assumono i responsabili della formazione dei giovani. SESAY, Francis M. Sehdu (Sierra Leone diocesi di Makeni): The Vice of Greed in the Ethical Vision of Ambrose of Milan 26 maggio 2010; Moderatore: Prof. Martin McKeever. The problem of greed, we can say, is as old as humanity. Far back in the history of the early church to be precise during the time of Ambrose of Milan the church experienced similar ungodly attitudes in the lives of her members. Ambrose confronted the problem in his De officiis, a special treatise directed to the clergy of his time. In this text, his message can be deduced perfectly well: Pagan onlookers and Christians are to appreciate that Christian charity is interested in gentlemanly behaviour, but that it consciously pursues far higher goals besides, for it knows that its duty is owed in the first instance

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to God. This dissertation reads the address of Ambrose to the clergy and other listeners of his time and examines how this teaching can be interpreted in a manner appropriate to the life-style of all believers today. It intends breaking the silence and rather than concur with those who extol greed as good for everyone in the world tries to show that Ambrose considered it a vice, not a virtue. TELLIS, Ronald (India diocesi di Jhansi): Interreligious Dialogue: A Possible Response to Ram Janmabhumi Mandir-Babri Masjid Issue 1 febbraio 2010; Moderatore: Prof. Vimal Tirimanna. The most conspicuous bone of contention between the Hindus and the Muslims in India for the past three decades has been a mosque-structure, Babri masjid in Ayodhya; a town traditionally considered the birthplace of one of the Hindu gods, Ram. The Hindus claim that the Muslim emperor Babar demolished a pre-existing Ram-temple to build a mosque; thus, the Hindus demand it be rebuilt. Communal harmony between the Hindus and the Muslims has dropped to its lowest level since the demolition of the disputed mosque by Hindu activists in December 1992. The Muslims deny all Hindu claims and want the mosque rebuilt. This complex and serious cause of disagreement has resulted in much communal antagonism and violence. Because only one side can be victorious, any archaeological, historical or judicial solution to this problem will undoubtedly result in bitterness and frustration to large segments of either the Hindu or the Muslim communities. Consequently, resolution of this controversy will not guarantee an end to the Hindu-Muslim communal conflict in India. Therefore, interreligious dialogue emerges as the best possible response to this controversial issue. UNAEZE, Charles Chukwuka (Nigeria diocesi di Orlu): The Problem of Access to Health Care Services in Nigeria: Solutions Based on the Catholic Principles of Common Good and Distributive Justice 22 aprile 2010; Moderatore: Prof. Vimal Tirimanna. A new understanding of health care as a common good and its distribution according to the principle of distributive justice is advoca-

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ted as a panacea to the perennial problem of health care in Nigeria. Nigeria is one of the countries in the world that has poor access to health care services. In Nigeria, access to health care services is available to some people, and overtly or covertly denied to others. There is the belief that health care is a private affair as promoted by the libertarian philosophy that sees it as any other commodity in the market, obtainable to whoever can afford it. Under this arrangement, the rich who can conveniently pay (hospital bills, buy drugs/medicines, health insurance) live while the poor, the rural dwellers, and the geographically cut-offs who cannot, suffer the debilitating consequences of disease and illness. This thesis argues that ability to pay or privilege of place and position should not be the standards of access to health care services. It rather considers health care as a common good, and based on the principle of the common good, every person in the society should have equal access to it. It calls for improved stewardship role of the government in health care and in all aspects of its social obligation. , Marijo (Croazia diocesi di Split-Makarska): NuoVOLAREVIC vo femminismo secondo Giovanni Paolo II: la donna nella costruzione di una nuova etica per un nuovo mondo 21 maggio 2010; Moderatore: Prof. Edmund Kowalski. Obiettivo di questo studio sono i concetti del nuovo femminismo e di una nuova etica al femminile, nella visione di Giovanni Paolo II. Giovanni Paolo II, infatti, rivolgendosi alle donne affinch si rendano promotrici di un nuovo femminismo non ha fatto nientaltro che invitarle a riscoprire la propria originalit come esseri umani creati a immagine e somiglianza di Dio. Cos descritto, il nuovo femminismo ha anche la sua esigenza etica come conseguenza diretta della vocazione antropologica della donna. Il nuovo femminismo proposto da Giovanni Paolo II il risultato della sua lettura dei segni dei tempi, da cui trae la visione di una femminilit come ricchezza universale e che, pertanto, dovrebbe trasformarsi in dono per lintera umanit.

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9.2. Dottori proclamati


Durante lanno accademico 2009-2010, 18 studenti, ai quali stato conferito il titolo di dottore in teologia con specializzazione in teologia morale, hanno pubblicato, alcuni in versione integrale, la loro tesi dottorale: AROCKIA DASS, Mangalam David, The Compatibility of Development in the Writings of Amartya Sen and in the Social Teachings of the Church. Roma 2009, 201 pp. CARLIN, Paolo, Etica e informazione giornalistica nel telegiornale. Excerpta. Roma 2009, 233 pp. IKPENWA, Albert, Economic Emancipation: The Crisis of a Christian Value System and the Alienation of the Human Person in a Globalised Economy. Excerpta. Roma 2009, 179 pp. IMMIG, Claudio Vicente, A presena proftica das pessoas com deficincia no atual contexto cultural. Questes antropolgicas, ticas e sociais. Excerpta. Roma 2010, 113 pp. KHONDE, Godefroid, Inculturation chrtienne du mariage au Congo. Problmes et perspectives. Excerpta. Roma 2010, 150 pp. LE, Ngoc Dung, Latto coniugale, unitivo e procreativo nel matrimonio. Una visuale storica, dottrinale e pastorale. Excerpta. Roma 2010, 131 pp. LPEZ CERDN, Francisco Javier, Hacia una nueva comprensin del noviazgo en la sociedad postmoderna. Retos ticos y pastorales. Murcia 2010, 332 pp. LOREFICE, Corrado, La Chiesa e il mistero di Cristo nei poveri. G. Dossetti e la formazione del discorso sulla povert tenuto al Concilio Vaticano II dal Card. Giacomo Lercaro. Excerpta. Roma 2010, 125 pp.

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MISTERMAN, Volodymyr, Il fenomeno dellabuso di sostanze psicotrope in Ucraina. Valutazioni bioetiche, proposte educative e interventi di prevenzione. Excerpta. Roma 2009, 122 pp. OFODUM, Anselm Ifeanyichukwu, The Hermeneutics of Human Freedom as the Basic Attribute of Moral Responsibility. Moral Responsibility as the Ethical Implication of an Adequate Concept of Human Freedom. Excerpta. Roma 2009, 123 pp. PAULA DE MORAES, Carlos, Movimento extrativista do alto Acre e Purus. Uma proposta de biotica ambiental personalista. Excerpta. Roma 2010, 112 pp. QUINTERO MONCADA, Ever Manolo, Entre ensaamiento teraputico y eutanasia. Los cuidados paliativos una alternativa. Excerpta. Roma 2010, 121 pp. RAFFERTY, James, Moral Epiclesis A Liturgical Hermeneutic for Moral Theology: A Study of the Pneumatological Aspects of Yves Congar, Jean Corbon, and Edward Kilmartin. Roma 2010, 335 pp. SESAY, Francis, The Vice of Greed in the Ethical Vision of Ambrose of Milan. Excerpta. Roma 2010, 159 pp. TELLIS, Ronald, Interreligious Dialogue: A Possible Response to Ram Janmabhumi Mandir-Babri Masjid Issue. Excerpta. Roma 2010, 104 pp. TENG, Woon Pheng, Be Merciful: The Tragedy and Productive Power of Suffering Humanum in E. Schillebeeckx and the Analects of Confucius. An Ethical Analysis of Themes on Being Human. Excerpta. Roma 2009, 242 pp. , Marijo, Nuovo femminismo secondo Giovanni Paolo VOLAREVIC II: la donna nella costruzione di una nuova etica per un nuovo mondo. Roma 2010, 201 pp.

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, Suzana, La sfida della salute e il personalismo medico con VULETIC particolare riferimento alla situazione croata. Excerpta. DiakovoOsijek, 2009, 137 pp.

9.3. Licenziati in teologia morale


Durante lanno accademico 2009-2010, 50 studenti hanno ottenuto la licenza in teologia morale: AGUILAR SERRATO, J. Rosario (Messico o.s.a.): El cuerpo humano en la postmodernidad. La valorizacin de la corporeidad. AHOHAKO, Soane Pelenisi (Tonga s.m.): Generating Human Life: Marriage and the New Reproductive Technologies, a Catholic Perspective. ALMAZAN ESTEVEZ, Leobardo (Messico o.p.): A comparison of the Operational Concept of Justice in Rerum Novarum and Centesimus Annus: An Analysis Based on MacIntyres idea of Rationality of Traditions. AMANDU, John Avua (Uganda a.j.): The War in Northern Uganda in the Light of the Social Doctrine of the Church. AMBROZ, David (Repubblica Ceca diocesi di Brno): Forza della Parola di Dio nel dinamismo della morale cristiana. ANTONISAMY, Selvaraj (India s.a.c.): Morality of a Canonical Engagement and the Culture of Prenuptial Cohabitation in the Catholic Church. CINQUEMANI, Mariano Daniel (Argentina diocesi di Mendoza): La corresponsabilidad presbiteral en la formacin de la conciencia. DA SILVA, Reginaldo Albuquerque (Brasile diocesi di Palmas): A educaao familiar como prevenao das situaoes de risco na adolescncia.

CHRONICLE / CRNICA / CRONACA

497

DE OLIVEIRA, Adenis Roberto (Brasile s.d.p.): O debate tico-jurdico sobre o embrio humano no contexto brasileiro. DONATO, Antonio (Italia c.ss.r.): La vocazione: chiave interpretativa della ricerca di senso nel catechismo dei giovani. DUEAS PREZ, Mauricio (Colombia diocesi di Bogot): Las uniones consensuales hoy. Acompaamiento pastoral. EKOUEREMBAHE, Roch (Congo o.f.m.): Vers la communaut sponsale fonde sur lamour fidle et le don rciproque. Perspectives pour un agir thico-conjugal au Congo. FORSTER, Magnus (Germania diocesi di Regensburg): Die Notluge als moraltheologisches Problem. GUNCAGA, Jozef (Slovacchia diocesi di Mosca): Aborto in Russia. HAN, Jianfu (Cina diocesi di Handan): La responsabilit educativa della famiglia nella cultura in Cina alla luce del documento Familiaris consortio. HENZL, David (Repubblica Ceca diocesi di Ceske Budejovice): Lingegneria genetica pu cambiare la vita? HOUNLIHO, Magloire D. O. (Bnin m.i.): Fede e carit nel rinnovamento della teologia morale alla luce di Veritatis Splendor, di Deus Caritas Est e di Caritas in Veritate. IANNO, Antonino (Italia diocesi di Reggio Calabria-Bova): Lazione della Chiesa calabrese nella formazione della coscienza in un contesto mafioso. Lopera e la figura di don Italo Calabr. INGUSCIO, Giorgio (Italia diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca): Se il chicco di grano muore, produce molto frutto. Sequela e gioia. Analisi esegetica e teologico-morale di Gv 12,25-26.

498

DANIELLE GROS

JOHN, Shiny (India s.v.m.): Self-Esteem of Women: Its Relationship to the Moral Development of Women in the Indian Environment. KABWANSONGO, Nkwar-Mur Alexis (Repubblica Democratica del Congo diocesi di Roma): Le SIDA: une question de biothique sociale en Afrique Centrale. Cas de la Rpublique Dmocratique du Congo. Analyse politico-sociale et thico-morale. KOSMANN, Jochen (Germania diocesi di Munster): Kritische Theorie und Theologie des Rechts. Darstellung und Diskussion des rechtsethischen Beitrags von Wolfgang Huber. KRAVTSIV, Volodymyr (Ucraina diocesi di Sambir-Drohobych): Lomosessualit. Approccio antropologico, etico, psicologico e pastorale. LACERENZA, Gianpaolo (Italia o.f.m.cap.): Il recupero della persona che delinque nel contesto attuale: una lettura teologico morale. LIZANO CARMEN, Lzaro Elas (Per diocesi di Chulucanas): Humanizacin del medio ambiente, un desafo al sentido cristiano de la vida. MARTYNYUK, Yuriy (Ucraina diocesi di Sambir-Drogobych): La terapia embrio-fetale in Ucraina. Approccio antropologico, giuridico ed etico. MBESSA MBOUI, Marie Madeleine (Camerun a.v.): Ha guardato lumilt della sua serva (Lc 1, 48). MUPA, Raymond Tapiwa (Zimbabwe c.ss.r.): Redressing an Old Injustice by Creating a New Injustice? A case study of Zimbabwes land reform programme. NGUYEN, Huu Quang (Vietnam c.ss.r.): The Moral Foundation of Democracy in Jacques Maritain.

CHRONICLE / CRNICA / CRONACA

499

NIMENYA, Lopold (Burundi diocesi di Civitavecchia/Tarquinia): Binomio giustizia-carit per una proposta morale della speranza in Burundi alla luce delle encicliche di Benedetto XVI. OMAHONY, Colm (Irlanda o.s.a.): Pastoral Care for Long Term Patients in a Hospital Setting. ORDEZ MRQUEZ, Antonio Jos (Spagna s.j.): Jvenes en riesgo social: aproximacin sociolgica, moral y educativa. ORREGO MOSCOSO, Jorge Weimar (Colombia diocesi di Apartad): La caridad, virtud primordial del sacerdote en su relacin con la familia, el presbiterio y la comunidad confiada. PEDDIS, Alberto (Italia diocesi di Cagliari): Solidariet, un percorso storico. Limporsi del principio di solidariet nella Dottrina sociale della Chiesa. PEDROZA SORIA, Jorge Humberto (Messico diocesi di Aguascalientes): La Pastoral Matrimonial, iluminacin doctrinal y pastoral de las parejas infrtiles. PISCITELLI, Antonio (Italia diocesi di Crotone): Il transessualismo. Aspetti etici, antropologici e giuridici. PULLATTU CHACKO, Roy (India m.s.t.): Ecology in the Indian Context: The Moral Challenge of Development and Population. REYNA FLIX, Hctor Manuel (Messico diocesi di Zacatecas): La conversin moral en Mtodo en teologa de Bernard Lonergan. RIGGIO, Barbara (Italia diocesi di Pescara): La coscienza coniugale: fondamento e criteri alla luce della Gaudium et spes. ROMO VZQUEZ, Jos Efran (Messico diocesi di Guadalajara): Cambio de paradigma en la tica sexual. En bsqueda de una nueva postura.

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DANIELLE GROS

SALDAA MRQUEZ, Rolando Javier (Messico diocesi di Valle de Chalco): El cnyuge inocentemente abandonado. Un problema que no ha merecido una justa atencin. SANTORO, Chiara (Italia diocesi di Roma): Il corpo in adolescenza: interpretazioni, rilievi etici e prospettive educative. SARANIERO, Enzo (Italia diocesi di Roma): Dalla rivelazione allannuncio della carit. SERRONE, Giuseppe (Italia diocesi di Civit Castellana): Linsegnamento istituzionale della teologia morale oggi: Analisi critica di Liberi e fedeli in Cristo di Bernard Hring. STALNIK, Peter (Slovacchia diocesi di Nitra): Linsegnamento del Magistero postconciliare sulla penitenza. THOMAS, Seena (India m.s.m.i.): The Moral Dignity of Marriage and Marital Fidelity among Married Christians: With special Reference to Indian Families. TREVISAN, Maurizio (Italia diocesi di Modena): La formazione della coscienza dei giovani in Italia alla vita matrimoniale. VICENTE ORELLANA, Julio Adinel (U.S.A. diocesi di Boise): Euthanasia, a Compassionate Death or the Death of Compassion. YOUKHANNA, Amer Najman (Irak diocesi di Mosul): La dottrina della guerra giusta cattolica e la gihad islamica. ZANOM, Eduardo Augusto (Brasile diocesi di Palmas): O Espirito Santo e a proposta moral luz de Veritatis splendor e Deus caritas est.

Books Received / Libros recibidos Libri ricevuti

ABB GIUSEPPE, Costituzione espistemica della filosofia morale, (=Ricerche di filosofia morale 2), LAS, Roma 2009, 367 p. ANTONINO ROMANO, Madagascar. Autenticit in transizione tra cultura e inculturazione della fede, (=Convegni Ricerche Atti 21), Coop. S. Tom, a. r. l. Messina 2010, 278 p. BODS RICHARD, La filosofia politica di Aristotele, (=Collana Saggi 2), EDUSC, Roma 2010, 204 p. BRESCIANI CARLO EUSEBI LUCIANO (a cura di), Ha ancora senso parlare di guerra giusta? Le recenti elaborazioni della teologia morale, EDB, Bologna 2010, 153 p. CACCIAPUOTI PIERLUIGI, Roma e Lutero. Cristologia e ontologie a confronto, (=Letture Teologiche Napoletane, Nuova Serie 4), Pontificia Facolt Teologica dellItalia Meridionale. Sezione S. Tommaso dAquino Napoli, Campania Notizie Srl, Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 2010, 152 p. CHIMIRRI GIOVANNI, Psicologia della nudit: letica del pudore fra esibizionismi e intimit, (=Biblioteca di filosofia e scienze umane 12), Bonomi Editore, Pavia 2010, 125 p. CIPRESSA SALVATORE, Bioetica per amare la vita, EDB, Bologna 2010, 183 p. CORSATO CELESTINO E DIANIN GIAMPAOLO (a cura di), Fede cristiana e ricerche morali. Studi in onore di Giuseppe Trentin nel 70 compleanno, (=Studia Patavina LVII 2010, Gennaio Aprile), Padova 2010, 424 p.

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BOOKS RECEIVED / LIBROS RECIBIDOS / LIBRI RICEVUTI

In nome di Dio, in Convivium Assisiense XII (2010) 1, 144 p. DI PALMA GAETANO (a cura di), Deum et animam scire cupio. Agostino alla ricerca del vero su Dio e luomo, (=Biblioteca Teologica Napolitana 30), Pontificia Facolt Teologica DellItalia Meridionale. Sezione S. Tommaso dAquino Napoli, Campania Notizie Srl, Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 2010, 270 p. FRATTALLONE RAIMONDO, Il dono del perdono. Prospettiva pastorale celebrativa. Sono perdonati i suoi molti peccati, perch ha molto amato (Lc 7, 47), Coop. S. Tom, a. r. l. Messina 2010, ELLEDICI Leumann (Torino) 2010, 282 p. GIUSTINIANI PASQUALE (a cura di), Discussioni di bioetica, (=Quaderni di Filosofia. Nuova Serie 9), Pontificia Facolt Teologica DellItalia Meridionale. Sezione S. Tommaso dAquino Napoli, Campania Notizie Srl, Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 2009, 200 p. GOERTZ STEPHAN, KLCKER KATHARINA (a cura di), Teologia e bioetica. Cinque conversazioni con Antonio Autiero, (=Scienze religiose. Nuova serie 23), EDB, Bologna 2010, 111 p. MACINTYRE ALASDAIR, Edith Stein. Un prologo filosofico: 1913-1922. Introduzione di Marco DAvenia, (=Collana Saggi 1), EDUSC, Roma 2010, 330 p. MALO ANTONIO, Io e gli altri. Dallidentit alla relazione, (=Collana Saggi 3), EDUSC, Roma 2010, 376 p. ORLANDO LUIGI, La prima Lettera di Pietro. Tradizioni inniche, liturgiche, midrashiche, Ecumenica Editrice, Bari 2009, 207 p. ORLANDO PASQUALE, Lio di Ges Cristo. Diagramma divino-umano, parte I: Nella filosofia dellessere, (=Quaderni di Filosofia. Nuova Serie 8), Pontificia Facolt Teologica DellItalia Meridionale. Sezione S. Tommaso dAquino Napoli, Campania Notizie Srl, Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 2009, 86 p.

BOOKS RECEIVED / LIBROS RECIBIDOS / LIBRI RICEVUTI

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RHONHEIMER MARTIN, Ethics of procreation and the defense of human life. Contraception, Artificial Fertilization, and Aabortion, Edited by William F. Murphy Jr., The Catholic University of America Press, Washington, D.C. 2010, 309 p. TRIANI PIERPAOLO, VALENTINI NATALINO (a cura di), Larte di educare nella fede. Le sfide culturali del presente, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2008, 190 p. SCOLA ANGELO, Buone ragioni per la vita in comune. Religione, politica, economia, Mondadori 2010, 108 p. STOBBE HEINZ-GNTER, Religion, Gewalt und Krieg. Eine Einfhrung, (=Theologie und Frieden 40), W. Kohlhammer GmbH, Stuttgart 2010, 342 p.

INDEX OF VOLUME 48 (2010) NDICE DEL VOLUMEN 48 (2010) INDICE DEL VOLUME 48 (2010)

Articles / Artculos / Articoli


BILLY DENNIS J., The Way of Discernment. Living the Gospel in the Present Moment . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . BOTERO J. SILVIO G., Hacia la recepcin del ethos de la misericordia. Una tarea por realizar? . . . . . . . . . . . . . . . . . FAGGIONI MAURIZIO P., Il peccato segreto. La masturbazione fra storia e morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . FIORE SERAFINO, Predicare il vangelo in modo nuovo. Alcuni ipotetici percorsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GNADA ARISTIDE, Il dono come principio dellagire morale . . JOHNSTONE BRIAN, What does it mean to be a person? . . . . . KELLY ANTHONY J., The Resurrection and the foundations of Moral Theology . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KENNEDY TERENCE, Work in progress on Tradition in Moral Theology . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MACHINEK MARIAN, Die menschliche Leiblichkeit als Gegenstand bioethischer Kontroverse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MILLER MARK, Experience as a Source of Moral Theology Notes from a clinical ethicist . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . OREILLY KEVIN E., Medieval voluntarism and the culture of death . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . PARISI FAUSTINO, Dal valore di finalit alla fondazione cristologica della morale. Litinerario di Domenico Capone . . . SANTANGELO DOMENICO, Amartya Kumar Sen e la povert globale. Analisi etica e linee essenziali di confronto con la Caritas in veritate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TREMBLAY RAL, La voie christique daccs la loi naturelle la lumire de lcriture. En marge du rcent document de la Commission Thologique Internationale sur la loi naturelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
31-53 101-123 143-193 331-348 309-329 125-141 349-389 371-393 213-231 395-413 195-212 71-100

415-440

55-69

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INDEX OF VOLUME 48 (2010)

WITASZEK GABRIEL, La creazione ad immagine. Ermeneutica del dono divino e dellimpegno umano nella prospettiva profetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5-29 WITASZEK GABRIEL, La venuta del Figlio di Dio nellEucaristia. Il dono della nuova alleanza per un giusto comportamento morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281-307

Reviews / Recensiones / Recensioni


BORRIELLO LUIGI, Esperienza mistica e Teologia mistica (Sabatino Majorano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DE VIRGILIO GIUSEPPE, La teologia della solidariet in Paolo Contesti e forme della prassi caritativa nelle lettere ai Corinzi (Gabriel Witaszek) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . FANTON ALBERTO, Metodologia per lo studio della teologia Desidero intelligere veritatem tuam (lvaro Crdoba Chaves) FASTIGGI ROBERT L., What the Church Teaches about Sex. Gods Plan for Human Happiness (Dennis J. Billy) . . . . . . . . . . . . . GARCA MAESTRO JUAN PABLO, La Teologa del Siglo XXI. Hacia una teologa en dilogo (J. Silvio Botero G.) . . . . . . . . . . . GAZIAUX RIC (ed.), Responsabilit et tches du thologien. Confrences de lcole doctorale en thologie (2004-2006) (Martin McKeever) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GERARDI RENZO, La gioia dellAmore. Riflessioni sullordo amoris per una teologia della vita cristiana (Michele Perchinunno) . . GROCHOLEWSKI ZENON Cardinal, Universitatea Azi Universitt Heute (Martin McKeever) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KOWALSKI EDMUND, Osoba i bioetyka. Zagadnienia biomedyczne dla duszpasterzy i katechetw (Andrzej Zwolin ski) . . . . . . . . LZARO PULIDO MANUEL (ed.), Cristianismo e Islam. Gnesis y actualidad (J. Silvio Botero G.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MACHINEK MARIAN, Spr o status ludzkiego embrionu (Edmund Kowalski) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TREMBLAY RAL, Franois-Xavier Durrwell teologo della Pasqua di Cristo (Vincenzo Viva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
233-236

237-239 441-442 240-242 443-445

242-246 246-249 445-448 448-451 249-251 451-453 453-458

INDEX OF VOLUME 48 (2010)

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Book Presentation / Presentacon del libro Presentazione del libro


PRADA RAMREZ JOS RAFAEL, Psicologia e formazione. Principi psicologici utilizzati nella formazione per il Sacerdozio e la Vita Consacrata. J. SILVIO BOTERO G., Un nuevo libro al servicio de la formacin sacerdotal y religiosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253-258 STEPHEN T. REHRAUER, Effective Religious Formation A Psychological Guide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259-264 JOS RAFAEL PRADA RAMREZ, Psicologia e formazione . . . 265-267 LORENZO ROSSETTI CARLO, La civilt dellamore e il senso della 268-273 storia. Presentazione del libro, Ral Tremblay . . . . . . . . . .

International Conference / Congreso Internacional Congresso Internazionale


LPEZ ENRIQUE WITASZEK GABRIEL, Le fonti classiche e contemporanee di teologia morale. Resoconto del VII Con- 459-466 gresso Internazionale Redentorista di Teologia Morale DEL MISSIER GIOVANNI, Ordo caritatis e fragilit umana 467-472 Cronaca del XXIII Congresso dellAssociazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM) . . . . . . . . . . . . . . .

Chronicle / Crnica / Cronaca


473-500

GROS DANIELLE, Cronaca dellAccademia Alfonsiana relativa allAnno Accademico 2009-2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501-503

Books Received / Libros recibidos / Libri ricevuti


505-507

Index of volume 48 (2010) / ndice del volumen 48 (2010) / Indice del volume 48 (2010) . . . . . . . . . .

Realizzazione editoriale

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Stampa Tipografia Mancini s.a.s. - 2010

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