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Benoit Standaert

LE TRE COLONNE DEL MONDO Vademecum per il pellegrino del XXI secolo
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COME RICOMINCIARE? Il terzo millennio ormai alle porte. Gi siamo entrati nellultimo decennio che ci separa dal secolo venturo. La coscienza del tempo nelluomo di oggi ne subisce irresistibilmente unaccelerazione, ma nello stesso tempo si notano dei rifiuti istintivi, una resistenza a varcare la soglia. Timori e speranze, utopia e deflagrazione apocalittica, guerra e pace: tutti gli estremi emergono con forza e ridiventano pensabili. Il Concilio Vaticano II, che risale a poco pi di venticinque anni fa e che stato definito la pi grande grazia del secolo (Giovanni Paolo II), diventato a sua volta un segno dei tempi e come tale un punto di riferimento. E propria della coscienza postconciliare la convinzione che siamo appena agli inizi e che il processo di integrazione potrebbe benissimo protrarsi per una decina di generazioni. Il Sinodo straordinario del 1975 stato un momento di valutazione e di riorientamento realistico, dopo gli anni pi euforici del concilio. La problematica si specifica a seconda dei diversi continenti, ma il Sinodo si sforza di presentare come concernente la chiesa intera ci che caratterizza come dominante un continente in particolare. Linculturazione non si limita dunque alle chiese dellAfrica n lopzione preferenziale per i poveri allAmerica latina. Resta tuttavia il fatto che per loccidente, e soprattutto per lEuropa, il compito primario, dicono i padri sinodali, consiste nel guardare in faccia lateismo pratico che vi regna e nellinventare nuovi modi di evangelizzazione. Si soliti citare la parola profetica di Andr Malraux: Le vingt-etunime sicle sera religieux, ou il ne sera pas (Il ventesimo secolo sar religioso o non sar). Per la prima volta nella storia dellumanit si assistito alla riunione delle guide di tutte le grandi religioni del mondo. Questo avveniva ad Assisi, la citt del Poverello, il 27 ottobre 1986. Erano l unicamente per fare ci che pi specifico della loro funzione: pregare. E pregare per la pace. In questo contesto, che prende oggi una dimensione

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planetaria, siamo posti dinanzi allurgenza di ritornare allessenziale. Lavvenire ci costringe a proseguire il cammino solo con il bagaglio ridotto al minimo indispensabile. Cos essenziale, e cosa invece accessorio? Cosa non pu essere in alcun caso tralasciato? Cosa merita una priorit assoluta? Come ricominciare? E su quale base, con quale trama, attorno a quale nucleo, secondo quale grammatica fondamentale? Ecco, dovremo fare in modo che lessenziale emerga dalla Legge e i Profeti, dalla Bibbia e dalla Tradizione, dal Nuovo e dallAntico. Quale non il nostro bisogno, oggi, di vedute chiare, semplici, ma solidamente fondate! Abbiamo bisogno di segnali luminosi sulla strada che si snoda davanti ai nostri passi e che non ha altra meta se non la pace, non solo planetaria ma cosmica. Inizieremo la nostra esposizione con un apoftegma che commenteremo e che servir da canovaccio per linsieme del libro. Piccola regola fondamentale, questa parola di un sapiente sulle tre colonne del mondo compendia tutta la tradizione biblica con il suo dinamismo dialettico interno. Ma contiene in s anche tutta leredit giudaico-cristiana con gli accenti che le sono propri. Nel suo progetto linsieme di queste pagine potrebbe servire da vademecum per un pellegrino del XXI secolo. Se rapportato alle migliaia di millenni di umanit, il cristianesimo incredibilmente giovane. Possa questo pensiero dar vigore ai nostri passi nel cammino verso lavvenire. Siamo appena allinizio! Tutto ancora fragile, scoppiettante di novit, e la spinta interiore verso unumanit qualitativamente altra rende lavventura affascinate, vibrante di tensione. Possiamo del resto, sul piano dello spirito, vivere altrimenti che in un continuo ricominciare, con inizi che non hanno fine (Gregorio di Nissa)?

Capitolo I IL MONDO POGGIA SU TRE COLONNE


5 A. Il detto di Simeone il Giusto 10 Quando, dopo la caduta di Gerusalemme, nellanno 70 della nostra era, il giudaismo rabbinico si riorganizza a Jamnia, a sud dellattuale Tel Aviv, tutti i maestri, vecchi e nuovi, si ritrovano in sinodo. Lo sforzo principale consister nel radunare insieme le molteplici tradizioni, sovente contraddittorie, senza cedere allo spirito di parte e nel contempo vigilando a che nessuna posizione essenziale resti esclusa. Antico e nuovo, sinistra e destra, Hillel e Shammai, giustizia e amore, tutto deve trovar posto in quella che diventer pi tardi, anzi diversi secoli pi tardi, la tradizione scritta della Mishn e del Talmud. Fra le raccolte che hanno visto la luce a partire da quella riforma c il celebre trattato dei Pirq Avot (Detti dei Padri), che riunisce un centinaio di apoftegmi attribuiti a maestri che risalgono fino a Esdra. Una di queste venerabili sentenze, posta tra le prime della raccolta, e precisamente in seconda posizione, attribuita a Simeone il Giusto, che fu sommo sacerdote a Gerusalemme, nel terzo (o, secondo certuni, nel secondo) secolo prima della nostra era. Il detto suona cos: Il mondo poggia su tre colonne:lo studio della Tore la avod [cio il culto, la preghiera]e le opere di misericordia (Pirq Avot 1,2). un detto che orienter e ispirer la tradizione ebraica attraverso i secoli 1. La vera portata di questo loghion lho potuta cogliere solo dopo aver ascoltato Armand Abcassis commentare il primo trattato del Talmud babilonese, le Berakhot. La prima questione che viene dibattuta in quel trattato riguarda lora in cui si deve recitare lo Shema (Ascolta, Israele: cf. Dt 6,4 s.). E tuttaltro che una questione secondaria: la vita e il senso che le si d sono strettamente legati a questo primo gesto compiuto dal credente che fa la sua professione di fede. Le pagine del Talmud riportano a questo riguardo le pi svariate opinioni: il tal rabbino afferma questo; il talaltro, a nome di un altro ancora, propone uninterpretazione diversa basandosi su unaltra citazione scritturistica, e talora esattamente sulla stessa Di volta 1 R. Dreyfus, al tempo in cui era gran rabbino del Belgio, cos si esprimeva in unintervista pubblicata da
W.Zuidema (Gods partner. Ontmoeting met het jodendom, Ten Bave Baarn 1977, pp. 58-60): Secondo la nostra tradizione religiosa il mondo poggia su tre principi: 1) Tor, cio lo studio della rivelazione divina; 2) avod, il culto religioso; 3) ghemilut chassidim, la solidariet sociale e umana sotto tutte le sue forme. - Anche Abraham Heschel, nel suo trattato di filosofia dellebraismo intitolato Dio alla ricerca delluomo (Roma 1983) suddivide la sua esposizione in tre parti: Tre vie che conducono a Dio. La prima quella di intuire la presenza di Dio nel mondo, nelle cose; la seconda via di intuire la sua presenza nella Bibbia; la terza di intuire la sua presenza negli atti sacri Queste tre vie corrispondono nella nostra tradizione ai pi importanti aspetti dellesistenza religiosa: culto, studio e azione. Le tre vie sono in realt una sola, e dobbiamo percorrerle tutte e tre per giungere allunica destinazione. Perch questo quanto Israele ha scoperto: che il Dio della natura il Dio della storia, e per conoscerlo bisogna compiere la sua volont (pp. 49-50).

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in volta il lettore inesperto si chiede: di che si tratta? Dove vogliono arrivare? Senza un maestro, impossibile venirne a capo Come risultato di una prima decodificazione, Armand Abcassis ci mise in grado di distinguere tre grandi correnti e di situare ciascuna nel rispettivo contesto. 1. Ci sono i rabbini che dicono: Quando luomo della strada termina il suo lavoro e rientra a casa, segno che il giorno giunto al termine e si pu dar inizio alla recita dello Shema. Questi rabbini rappresentano la tradizione farisaica, che si preoccupa di stare accanto al popolo e di prendere come principio halakico, cio come norma di condotta, la gente comune. 2. Altri rabbini dicono: Quando il povero alla porta della citt o il mendicante del suk raccoglie il proprio mantello e se ne va, allora il segno che terminato il giorno ed sopraggiunta la sera: questa lora di recitare lo Shema. Questi rabbini rappresentano la tradizione essena: per costoro il povero che diventa il criterio normativo di ogni condotta giusta, di ogni halakh. Qui si sente risuonare anche la voce dei profeti (Elia, Amos, il libro del Deuteronomio). 3. Vi sono infine i rabbini che dicono: Quando il sacerdote esce per prendere la sua porzione e avviene il cambio del servizio - mentre sono distinguibili in cielo le prime stelle - questo il segno che venuta la sera e ha inizio il nuovo giorno: dunque il momento di recitare lo Shema . Qui lambiente sacerdotale che parla, la tradizione sadducea. Ora la Mishn, che stabilisce la condotta concreta (halakh) da seguire, assume questultima posizione quale criterio normativo. significativo, faceva notare Abcassis, che nella pratica i rabbini abbiano privilegiato la posizione sadducea: in definitiva, per essi luomo chiamato a essere innanzitutto un sacerdote, uno che riconcilia cielo e terra, che in tutto sa distinguere il sacro dal profano. Ma se sul piano pratico, a livello della condotta halakica ci si attiene a una ben precisa tradizione, con esclusione delle altre, sul piano della riflessione-ruminazione si tende a dare ascolto a tutte tre le posizioni, pur cosi diverse tra loro, e a tenerle presenti tutte insieme. Ma ritorniamo al detto di Simeone il Giusto. Vi ritroviamo unanaloga articolazione in tre principi: 1. lo studio della Tor 2. il culto 3. le opere di misericordia. A uno sguardo pi attento, non ci difficile scoprire per ognuna di queste colonne una tradizione, un ambiente, una visione del mondo ben distinti. 1. Gli esseni si definivano una comunit di poveri ( anawim) e avevano al centro della loro vita il principio: tutto condividere con tutti. Essi incarnavano la sensibilit profetica, in cui aveva il primato letica, lattenzione al povero. E in primo luogo a loro che si deve far risalire la colonna delle opere di misericordia. 2. I sadducei, di estrazione sacerdotale, si erano concentrati sul tempio, il culto, la avod, la preghiera in senso lato. E a loro principalmente che risale la colonna di mezzo. 3. I farisei, dal canto loro, si definivano sapienti e riconoscevano allo studio della Tor il

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vero primato nella vita di alleanza con Dio. Ciascuno di questi tre ambienti incarna una propria visione del mondo e un particolare tipo di uomo. Le radici di questa tipologia affondano direttamente nellinsieme delleredit biblica: luomo biblico ora sacerdote, ora profeta, ora sapiente. 1. Il sacerdote votato alla santit, alla trascendenza, al Nome santissimo di Dio, alla sua dimora, al suo culto. 2. Il profeta fa udire la voce di Dio nella storia, nei rapporti tra uomo e uomo, smascherando loppressione e denunciando la violenza. E laraldo della solidariet con il povero e lemarginato. Egli [il Signore] sta alla destra del povero (Sal 109,31). 3. Il sapiente attento a s e alluniverso, allimmanenza segreta di Dio in ogni cosa, alluniversale nel particolare. Tutta la Tanakh (Tor, Neviim e Khetuvim, le tre parti distinte della Bibbia ebraica) si vede ricapitolata in questa massima composta di tre membri. La Tor di Mos non forse per due terzi, se non di pi, legislazione sacerdotale? I libri profetici ( Neviim) contengono la storia del popolo e gli oracoli trasmessi dai figli dei profeti, secondo la visione della tradizione profetica. Gli Scritti ( Khetuvim), infine, sono innanzitutto opera di sapienti, redatta per i discepoli dei sapienti. Grazie a queste rapide coordinate possibile percepire in quale misura lapoftegma di Simeone riesca a cogliere le linee portanti della tradizione sia giudaica sia propriamente biblica. Questa visione a tre dimensioni ben difficilmente pu essere ridotta a due o addirittura a una sola dimensione: la differenza fra le tre linee portanti essenziale, e lo quanto la coscienza che esse formano insieme un tutto coerente. Quando il popolo attraversava il deserto, Dio aveva vigilato a che nessuna delle tre dimensioni mancasse. Cera Aronne, il sacerdote, e il suo simbolo era la nube, che evocava la trascendenza del Santo. Mos incarnava la profezia, e la manna - comune a tutti e sufficiente a ciascuno secondo i propri bisogni - illustrava il dono della profezia nella comunit. Cera infine Miriam, sorella dei due fratelli della trib di Levi. Il suo simbolo era lacqua della roccia - sapienza che percepisce limmanenza della Presenza divina -. Quando lei muore, c un problema di acqua Alla morte di Aronne, non c pi la nube E, morto Mos, non ci sar pi manna
colonna studio della Tor avod culto preghiera Opere di misericordia ambiente Farisei Sadducei tipo umano Sapiente Sacerdote Parte della Bibbia Scritti (Khetuvim) Pentateuco (Tor) Profeti (Neviim) Immagine di Dio (cf. Ef 4-6) Immanenza Dio in tutti Trascendenza Dio al di sopra di tutti Solidariet Dio con tutti Relazione dominante Con il cosmo Con se stessi Con Dio

esseni

profeta

Con gli altri

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Due annotazioni, infine, per sottolineare ancora una volta tutta la forza della parola riportata sotto il nome di Simeone il Giusto. A. Non il giudaismo che poggia su tre colonne, bens il mondo. Luniversale poggia sul particolare, un particolare vissuto e pensato in tutta la sua coerenza. Per comprendere ognuna di queste tre colonne mi sar necessario accettare la particolarit di una tradizione concreta, ma questa non vista come fine a se stessa: essa mira alla pace del mondo intero. Solo se ciascuno fino in fondo ci che , con tutto il rigore necessario, il mondo resta saldo. Il giusto cio colui che va fino in fondo con il

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massimo rigore il fondamento (jesod) del mondo, dice un proverbio di Salomone (Pr 10,25; sar una delle chiavi dellalbero sefirotico della Cabala; cf. gi Chaghig 12b). B. Altro punto da evidenziare lordine delle tre colonne: prima lo studio, poi la avod, infine le opere di misericordia. I tre elementi sono concatenati, come per deduzione (notare i due waw che collegano la seconda proposizione alla prima e la terza alla seconda). Questordine trasmesso come punto tuttaltro che bizzarro o arbitrario. A volerlo modificare, si rischia di sconvolgere le cose: ne va di mezzo, in fin dei conti, la stabilit dellordine - anche dinamico - del mondo! Due esempi, presi dalla tradizione ebraica stessa, mostreranno a sufficienza come essa consideri questo punto dellordine come essenziale. Un giorno Rabbi Aqiva e Rabbi Tarfon si trovano coinvolti in una discussione molto animata. Rabbi Tarfon, di famiglia sacerdotale, ritiene che non v nulla di pi importante sotto il sole che la avod, cio il culto, la preghiera. Luomo, immagine di Dio, posto al cuore di tutto luniverso creato, non forse innanzitutto sacerdote, chiamato a riconciliare Dio e luomo, a distinguere il sacro dal profano, e stabilire cos la pace nelluniverso creato? Rabbi Aqiva, dal canto suo, afferma: Nulla pi importante dello studio della Tor. In essa c la luce per i tuoi passi, la gioia del tuo cuore, la vita delle tue ossa, la pace sulluniverso intero. A questo riguardo i rabbini, riuniti in sinodo, giungono alla seguente conclusione: Entrambi hanno certamente ottime ragioni per sostenere ciascuno la propria tesi. Quanto a noi, seguiremo Rabbi Aqiva, poich lo studio della Tor ti insegner che non vi nulla di pi importante della avod!. E la storia (quella ebraica come quella cristiana) illustra a sufficienza che linverso non si verifica allo stesso modo Quando ha luogo questa discussione, il tempio appena stato distrutto e i sacrifici quotidiani sono stati interrotti. Altro esempio: uno dei dibattiti pi vivaci che hanno percorso la tradizione ebraica nei secoli quello che, riguarda la nascita del movimento chassidico. E stato fatto notare2 come il punto di partenza di questa nuova corrente sia consistito proprio nello spostare lordine delle colonne, facendo diventare prima la seconda. Per i chassidim, infatti, la preghiera, lesperienza pi immediata possibile del divino che viene a soppiantare il primato dello studio. Una tale opzione, lo sappiano bene, stata fino ai nostri giorni oggetto di virulente contestazioni da parte dei maestri dello studio, gli assidui del Talmud. Tutto ci mostra ancora una volta come lantica massima di Simeone il Giusto non abbia perduto nulla della sua attualit per una tradizione che cerca di comprendere e narrare se stessa. B. La tradizione cristiana

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Chi tenta di presentare dei modelli ebraici a un pubblico cristiano si trova ben presto ad affrontare la questione: Ma tutto questo cristiano? E come?. Ora, poich questa suddivisione tripartita si radica nella Bibbia e riproduce una delle sue strutture basilari, possiamo affermare senza incertezze: Nulla di pi cristiano di un pensiero cos profondamente biblico!. Troppo spesso il cristiano resta ancora tentato di guardare con occhio alquanto sospettoso ci che richiama lAntico Testamento. Implicitamente convinto che questa prima parte della Bibbia contenga meno di quanto egli, nella sua 2 Introduzione di A. Green a B.W. HOLTZ, Your Word is Fire. The Hassidic Masters on Contemplative
Prayer, New York 1977.

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qualit di cristiano, gi sa a partire dal Nuovo Testamento. Ben altra era la considerazione che avevano Ges e i suoi discepoli, ma anche Paolo e gli altri autori del Nuovo Testamento, nei confronti del Libro: per essi non vi era altro Testamento se non il primo, e se volevano verificare alla luce della parola di Dio questa o questaltra loro esperienza, facevano ricorso a Mos, a Isaia, a Geremia, a David, a Salomone. Come appare chiaramente sia da Luca che da Matteo, essi si rifacevano abitualmente alla Legge e ai Profeti, oppure a Mos, ai Profeti e agli Scritti . Abbiamo dunque una presentazione di volta in volta sintetica della rivelazione, colta nella sua dimensione dialettica che comprende un duplice o un triplice polo (cf. Mt 7,12; 22,40; Lc 16,29; 24,27.44-45; At 26,22; 28,23). Quando dunque un cristiano medita una parola del Primo Testamento e vi attinge un dato messaggio, non deve squalificare quanto vi emerge: Dio vi si comunica interamente. Per ci che riguarda le nostre tre colonne, questo trova ampia conferma nel Nuovo Testamento. Eccone tre esempi. 1. Atti 2,42 La tradizione cristiana non ha mancato di cogliere a sua volta la propria identit e la propria via a partire da un triplice principio strutturante. Lo si pu osservare gi fin dallinizio del libro degli Atti, quando Luca cerca di qualificare la prima comunit dei fratelli a Gerusalemme. Prendiamo in considerazione At 2,42: si tratta di una massima assolutamente analoga a quella formulata da Simeone il Giusto alcune generazioni prima. Ma analizziamo pi da vicino la formula lucana: Perseveravano 1. nellinsegnamento (didach) degli apostoli 2. e nella comunione (koinonia), 3. nella frazione del pane 4. e nelle preghiere. Il modo di scrivere riguardo a questa prima comunit non di ordine puramente informativo o descrittivo. E neppure idealizzante. Qui si riporta in modo esemplare, il che nellantichit equivale a dire normativo. Invece i cinque versetti che seguono (At 2,43-47) vengono a illustrare concretamente il realizzarsi di ciascuno dei quattro punti indicati. Se si confronta questo passo di Luca con lapoftegma di Simeone, si resta subito colpiti da una serie di corrispondenze. Ma saltano allocchio anche alcune divergenze. 1. In primo luogo si nota unidentica priorit: quella dello studio, dellinsegnamento, della dottrina. Daltra parte da notare che non pi la Tor a essere menzionata bens la dottrina degli apostoli, una dottrina che risale ai discepoli immediati di Ges, un insegnamento dato con autorit, distinto pertanto da quello degli scribi (cf. Mc 1,22; Lc 4,32.36). Lefficacia o lautorit di questo insegnamento illustrata subito dopo, in At 2,43, mediante i segni e prodigi operati dagli apostoli. Nella sua estrema concisione lespressione insegnamento degli apostoli coglie tutta loriginalit della dottrina e dellautorit che caratterizzano la comunit cristiana: un tale insegnamento non risale a questo o a quello scriba che deve la propria autorit alla tradizione, la quale, a sua volta, risalirebbe a Esdra, e da Esdra fino a Mos al Sinai. Teniamo presente che proprio il primo apoftegma dei Pirq Avot stabiliva questa catena, fondamento della tradizione rabbinica: Mos ricevette la Tor al Sinai e la trasmise a Giosu, Giosu la trasmise

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agli anziani, gli anziani ai profeti, i profeti agli uomini della grande Sinagoga [la generazione di Esdra] (Pirq Avot 1,1). Linsegnamento cristiano deve la propria autorit agli apostoli e gli apostoli a Cristo, il quale a sua volta riceve la propria autorit dallunzione dello Spirito santo, disceso su di lui nel momento in cui si strappano i cieli (cf. Mc 1,8.10-11; Lc 4,14.18-22; 6,12-19). 2. In seconda posizione troviamo la koinonia. Luca intende qui la pratica consistente nel condividere tutto e nel possedere le cose unicamente in comune, in modo tale che non vi siano, secondo lideale del Deuteronomio (Dt 15,11), n poveri n ricchi nella comunit. Ciascuno riceve invece ci di cui ha bisogno e secondo le sue necessit (cf. At 2,44-45; 4,32-35). In questa nozione chiave di koinonia ritroviamo il contenuto della tradizione essena, con tutta la risonanza profetica che la contrassegna. Qui compare dunque la terza colonna della visione rabbinica: le opere di misericordia. Se il contenuto riscontrato in questo punto non molto diverso nellambiente cristiano rispetto allambiente rabbinico, bisogna tuttavia rilevare lo spostamento delle colonne. Ci che presso i maestri della Sinagoga viene in terza posizione, qui passato al secondo posto. E indubbiamente troppo presto per misurare gi tutte le conseguenze di questo slittamento. Basti notare che ben presto in ambiente cristiano si preannuncia un ordine differente da quello finora di regola nella tradizione rabbinica. Certe difficolt nella pratica del dialogo ebraico-cristiano potrebbero benissimo essere in relazione con questo spostamento. Una cosa certa: il posto assegnato alla dimensione profetica dellesistenza non assolutamente lo stesso nelle due tradizioni. 3. In terza posizione troviamo la klasis tou artou, la frazione del pane3. A prima vista lespressione sorprende: al contrario delle altre tre espressioni, che sono astratte e riguardano un principio di portata generale, la frazione del pane possiede un carattere eminentemente concreto. Essa concerne un gesto particolare, una pratica ben precisa che si tentati di subordinare alluno o allaltro dei due principi che la affiancano: o allespressione della koinonia (come fa la Vulgata; cf. la nota appena sopra), o allultimo punto, quello della preghiera (come vediamo fare dallautore degli Atti in At 2,46-47 a). Proprio per il posto che occupa al cuore della sentenza di At 2,42, il gesto dello spezzare il pane si vede normato dalle ultime due colonne: impossibile porre questo gesto senza che la koinonia sia realizzata (cf. Ges in Mt 5,23-24: Se presenti la tua offerta sullaltare e l ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te); invece chi compie il gesto della frazione, lo fa in preghiera, tutto rivolto verso Dio. Cos questa frazione indica a un tempo la condivisione fraterna nella solidariet e nella responsabilit etica, ma anche il gesto di abbandono libero dellofferta a Dio. In tal modo, sin da questo testo cos antico, si vede leucaristia implicare sia la dimensione orizzontale in cui si tratta di un pasto fraterno (tenuto a tavola), sia la dimensione verticale in cui tutto portato dalla preghiera, rivolta allAltissimo come unofferta (presentata sullaltare). 4. Allultimo posto troviamo dunque la preghiera. Bench in ultima posizione, la preghiera ha per Luca unimportanza enorme: ogni giorno che si prega, notte e giorno anzi, incessantemente, perseverando unanimi in questa pratica, in casa come nel tempio (cf. At 1,14; 2,46-47; 10,2; Lc 2,36-37; 18,1-7; 21,36). 3 Nel testo greco lespressione klasis to artou non separata da ci che precede da nessuna
congiunzione, il che ha indotto i traduttori latini (la cosiddetta Vulgata) a legare il terzo elemento al secondo: et communicatione fractionis panis. Se si guarda al seguito del testo, Luca stesso associa la pratica della frazione del pane a quella di pregare e di frequentare il tempio (cf. At 2,46-47a). Per lui il terzo e il quarto punto hanno chiaramente uno stretto legame.

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Lo spostamento dellordine delle colonne riflette indubbiamente anche la qualit dei rapporti che i primi cristiani intrattenevano con i differenti ambienti. Se ogni colonna corrisponde infatti pi particolarmente a un determinato ambiente, si pu dedurre dal nostro testo che le prime comunit si situavano pi in prossimit dei farisei (lo studio) e degli esseni (la koinonia) che non dellambiente sadduceo (il culto). Questa supposizione ha non poche probabilit di essere fedele alla storia, se si considera la vita di Ges e dei suoi primi discepoli. Ma nel Nuovo Testamento riscontriamo anche altre testimonianze che si servono di questa dinamica a tre poli. Ci limiteremo a due esempi. Uno tratto dallevangelo secondo Matteo e si rivolge a una comunit che intende affermare un legame di solida continuit con la tradizione giudaica (cf. Mt 5,20: Non sono venuto ad abolire ); laltro proviene da un documento indirizzato a una comunit di pagano-cristiani a Colossi, in Asia Minore. Si tratta di un testo a cui assolutamente estranea qualsiasi tendenza giudaizzante (cf. Col 2,16-23). 2. Matteo 22,34-40
I farisei, udito che Ges aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrog per metterlo alla prova: Maestro, qual il pi grande comandamento della Legge?. Gli rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo il pi grande e il primo dei comandamenti. E il secondo simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.

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Tutta la forza di questo passo in Matteo (cf. Mc 12,28-31 o Lc 10,25-28) sta nella maniera in cui levangelista articola la relazione fra i due comandamenti. l che appare la sapienza: essa medita il rapporto fra la dimensione sacerdotale e quella profetica, fra letico e il religioso. in tal modo che si introduce la terza dimensione in questo enunciato peraltro di struttura chiaramente binaria. Ora, la soluzione proposta assolutamente paradossale: da una parte detto: Ecco il pi importante e il primo comandamento, poi subito dopo si aggiunge: Un secondo gli simile! Dicendo questo si abolisce la gerarchia che si appena stabilita, e addirittura la possibile distinzione tra i comandamenti. E quanto emerge, del resto, quando si legge Mt 7,12 o 25,40.45. Ci nonostante, lultima parola ricorda che si tratta indiscutibilmente di due comandamenti! La priorit delluno - la relazione con Dio a servizio del carattere assoluto dellaltro la relazione con il prossimo -; il carattere uguale e simile tra i comandamenti non abolisce interamente la loro sostanziale differenza. Solo dei sapienti, nel senso biblico del termine, si ritrovano in un modo di pensare cos paradossale. In ogni caso il testo, con molta sapienza, attento a impedire ogni possibile forma di riduzione di un ordine allaltro. 3. Colossesi 3,12-17

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Non stato Paolo a fondare la comunit di Colossi, bens un suo discepolo, Epafra, e questo in una terra prettamente pagana, senza il minimo nucleo giudaico. In nessun modo qui lapostolo potrebbe fare appello a qualche costume o usanza della tradizione giudaica: i destinatari non capirebbero. La lettera del resto attesta un rigetto esplicito di un tale quadro di riferimento (cf. Col 2,8.16-18.20-23). Nondimeno, il cristiano non

vive senza norme! Un modello di condotta, una halakh, indispensabile tanto a lui quanto al fratello giudeo. Ecco perch questo esempio estremamente interessante. Il problema ben noto, e vale la pena di vedere come lautore della lettera riesca a risolverlo: mantiene s le tre colonne, ma vi opera una trasposizione, servendosi di un vocabolario e di categorie debitamente cristiani. Ecco il testo in questione:
Rivestitevi, quali eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umilt, di mitezza e di pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, cos fate anche voi. Al di sopra di tutto poi rivestitevi della carit: il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perch ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti! La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente: ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio e rendendogli grazie di cuore, con salmi, inni e cantici ispirati dallo Spirito. E tutto ci che fate in parole o opere, tutto fate nel Nome del Signore Ges, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui.

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C qui il susseguirsi delle tre colonne, ognuna dotata di unespressione chiave, puramente cristologica: 1) la pace di Cristo evoca la colonna delle opere di misericordia; 2) la parola di Cristo esprime il polo dello studio e dellinsegnamento; 3) il Nome del Signore Ges concerne lambito della preghiera. Lordine delle colonne diverso sia da quello dei rabbini sia da quello che abbiamo incontrato in At 2,42: ci che nel detto di Simeone si trovava allultimo posto e negli Atti in seconda posizione, qui passa in testa. Il motivo di questo spostamento non immediatamente evidente. Una prima possibile spiegazione ci offerta senzaltro dal genere letterario del contesto: il passo tratto dalla parte esortativa dellepistola. Ma questo indubbiamente non spiega tutto. Ci sarebbe anzi da stupirsi che qui compaiano le altre due colonne4 Questi pochi esempi tratti dal Nuovo Testamento attestano per lo meno che in ambiente cristiano, nel primo secolo, si continuava ad articolare la vita e le sue forme concrete secondo lo schema delle tre coordinate: lo studio, la preghiera e il servizio fraterno nella carit. C. E al giorno doggi? Luomo della strada

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Se in ambiente cristiano - occidentale! - si pone oggi la domanda: Che significa per te essere cristiano?, la risposta spesso : Essere buono nei confronti del prossimo. Eventualmente con laggiunta: Andare a messa la domenica. Compaiono cos, seppure in forma molto concisa, due delle tre colonne di cui parlava 4 Segnaliamo un caso analogo in Lc 10,25-11,13. Allinterno della pi ampia unit formata dallinsieme
dei cc. 10 e 11 si possono isolare tre pericopi (per ulteriori dettagli sullorganizzazione di questa sezione nellevangelo di Luca, cf. il nostro articolo Lart de composer dans loeuvre de Luc, in A cause de lEvangile. Mlanges offerts dom Jacques Dupont , Paris 1985, pp. 336-337): 1) Lc 10,25-37: domanda di uno scriba, seguita da una catechesi sulla carit (con lesempio del buon samaritano); 2) Lc 10,38-42: racconto e dialogo con Marta e Maria; primato dell ascolto della Parola praticato da Maria; 3) Lc 11,113: domanda di un discepolo, seguita da una catechesi sulla preghiera (con lesempio dellamico importuno). Lordine qui non certamente dettato dal genere letterario del contesto.

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Simeone. Ed la dimensione profetica che va al primo posto: innanzitutto la sensibilit etica e limpegno verso gli altri. Viene poi la dimensione cultuale-sacerdotale, sotto la forma del rispetto del dovere domenicale. Ma dov la terza colonna, terza in questa caso, ma prima nellordine ricevuto dalla tradizione? Al giorno doggi prendiamo sempre pi coscienza della dimenticanza di questa dimensione e delle sue conseguenze. La cultura che ci circonda e ci penetra, i mezzi di comunicazione che ci permettono di abitare questo mondo sembrano cancellare a tal punto sia la dimensione etica sia lapertura alla trascendenza, che non vediamo pi come trasmettere questo tesoro alla generazione che viene. Diventa urgente sviluppare un senso cosciente e critico nei confronti della cultura, dei mass media e della trasmissione della fede. Bisogna cristianizzare la cultura (Paolo VI), ma la cosa non va da s. Ce ne vuole di sapienza per non precipitare in mezzo a un conflitto apocalittico fra le Bestie voraci, da una parte, che non risparmiano nulla e nessuno, e i profeti dallaltra, che in nome della giustizia per gli oppressi tentano invano di ribaltare il corso delle cose e poi, delusi, presi dallo scoraggiamento, finiscono per esacerbar,e il clima e accrescere la violenza imperante E necessario prender tempo e riflettere, se non si vuole soccombere alla polarizzazione violenta che questa nostra societ tecnologica secerne spontaneamente, e che si ritrova fin nella chiesa. S, ce ne vuole di sapienza per non rifugiarsi in circoli chiusi di calda, unanimit, ma anche per non perdere ogni identit sotto londata di un nuovo paganesimo che ci accerchia Fraternit, movimenti, gruppi nuovi e il Sinodo del 1985

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Dinanzi al crollo delle facili evidenze, ecco spuntare ogni sorta di gruppi che si ritrovano e ricentrano la propria vita attorno alla prima colonna. Case di studio, gruppi biblici, messali, agende per la lettura quotidiana della Scrittura Tutto questo testimonia una nuova presa di coscienza: senza la colonna dello studio non si fa strada. Quando nellottobre del 1985 lepiscopato mondiale si riun a Roma in sinodo straordinario per tentare di dare una valutazione del Concilio Vaticano II e di precisare la direzione di marcia verso lanno 2000, emersa la seguente formula conclusiva: 1. Nella parola di Dio 2. la chiesa celebra i misteri di Cristo 3. per la salvezza del mondo.

35 Questa formula integra i quattro documenti fondamentali del Concilio Vaticano II, le cosiddette costituzioni, che trattano i seguenti temi: 1. la parola di Dio ( Dei Verbum); 2. la chiesa (Lumen Gentium); 3. la liturgia (Sacrosanctum Concilium); 4. la chiesa nel mondo (Gaudium et Spes). solamente alla fine del sinodo che la formula ha assunto la struttura appena citata. Fino a quel momento si era sempre parlato della chiesa (al primo posto) che, mettendosi allascolto della Parola, celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mondo. intuitivamente o coscientemente, i padri hanno finito per invertire lordine e lasciare che la Parola precedesse la chiesa, e questo nonostante il carattere eminentemente ecclesiologico dellultimo concilio. Questo fatto gi di per se stesso un segno dei tempi, un messaggio e un punto di riferimento per ogni credente oggi. Possa ciascuno, sia come individuo sia come comunit, comprendere, accogliere ed esprimere la propria identit a partire dallascolto della parola di Dio!

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La nuova evangelizzazione A seguito della visita del papa Giovanni Paolo II in Belgio (nel maggio del 1985) e poi del sinodo dello stesso anno, i vescovi belgi - come numerosi altri episcopati, soprattutto europei hanno lanciato il programma pastorale di una seconda o nuova evangelizzazione. La formula di cui si sono serviti tripartita: conoscere la fede, celebrare la fede, e vivere la fede. facile riconoscervi le tre coordinate: lo studio, implicato nel verbo conoscere; la preghiera, evocata nel verbo celebrare, e le opere di carit, viste nella fede vissuta. Due anni pi tardi, nella primavera del 1987 , lepiscopato belga pubblicher Il libro della fede. Esso presenta una struttura tripartita: 1. Conoscere la fede diventa ora confessare la fede. Una prima parte si limita a presentare il Credo, ossia i dodici articoli della fede, e a commentarli punto per punto. Il commento innanzitutto di andamento biblico e liturgico. 2. Per celebrare la fede il libro offre una catechesi dei sette sacramenti, con unintroduzione generale sulla liturgia. 3. Infine vivere la fede diventa un piccolo trattato di morale a partire dalle Dieci parole del Sinai, ossia i Dieci comandamenti del catechismo di un tempo. In tutto questo progetto di animazione pastorale - non dimentichiamolo! - non siamo parte in causa solo noi o la chiesa come tale. Come dicevano i rabbini, ricordiamoci che ne va di mezzo il mondo. Si tratta di salvare questo mondo, sempre minacciato di andare alla deriva verso labisso del disumano e del caos. Se vigiliamo a che ciascuna di queste tre colonne trovi il suo spazio nel nostro ambiente specifico, secondo lordine trasmesso - vale a dire: prima lo studio, la luce dellintelligenza e del discernimento; poi la preghiera, la giusta priorit data alla trascendenza; e infine limpegno etico attraverso gesti di amore -, allora noi anzich distruggere costruiamo, allora la nostra storia resta permeata di fermento messianico, allora noi diamo sapore al mondo con il sale indispensabile dello Spirito. Allora il mondo potr stare saldo. Allora vedremo la pace biblica farsi prossima, vicinissima. Lattualit di un esempio storico: la Regola di Benedetto
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Un anziano disse: Cominciamo col riflettere; quindi: preghiamo! Poi passiamo alle azioni, per trovare infine la nostra gloria in Dio! (Apoftegma siro, Budge II,302).

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Se volgiamo lo sguardo a quanti ci hanno preceduti nel cammino della fede, troviamo per esempio un uomo come Benedetto da N orci a il quale, senza tante pretese, ha saputo gettare le basi di un mondo duraturo al cuore di unepoca tormentata e instabile. Nella Regola, che rappresenta il testamento del padre dei monaci, non manca nessuna delle tre colonne di cui parlava Simeone il Giusto. Molto noto, indubbiamente, il detto benedettino: Non anteporre nulla allufficio divino (RB 43,3). Per Benedetto come per i suoi padri, la preghiera aveva un primato assoluto nella vita del monaco. Essa era il suo respiro, il suo specchio, la sua compagna di vita. Non meno nota limportanza data alla sollecitudine dei monaci per gli ospiti. La Regola di Benedetto piena di raccomandazioni riguardo ai poveri, ai pellegrini, ai monaci di passaggio, ma anche riguardo alla vita interna della comunit: lattenzione

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costante che deve avere labate o leconomo per i malati, gli anziani, i bambini. La parola di Ges: Ci che hai fatto a uno solo di questi miei fratelli pi piccoli, lhai fatto a me (cf. Mt 25,40) ritorna a pi riprese sotto la penna del legislatore monastico. Le opere di misericordia costituiscono dunque ugualmente una priorit ben concreta nella visione di Benedetto. E lo studio? Anchesso essenziale, nella Regola: a seconda delle stagioni, Benedetto privilegia le ore migliori del giorno per questo esercizio. Il monaco veramente monaco solo se la luce della Parola lo illumina gi a partire dallaurora e fino nelle notti pi disperate. Sin dal prologo della Regola cos ce lo raffigura: Gli occhi interamente rivolti verso la luce divina . Quotidianamente il monaco si applicher alla lectio divina - la lettura della Scrittura - e incessantemente ruminer un versetto dei Salmi o una parola dellEvangelo. Questo ci porta a una conclusione paradossale: al monaco benedettino sono presentate tre priorit, tutte e tre contrassegnate dallo stesso carattere assoluto! Ma cosa logicamente, e soprattutto psicologicamente, sostenibile? Ecco, sul piano della vita spirituale ci non appare per nulla impossibile: a ogni istante e in ogni cosa il monaco ha a che fare con Dio, e se deve tralasciare una priorit per rispettarne unaltra che si impone con pi urgenza, non far altro che seguire il consiglio di san Vincenzo dePaoli alle sue Figlie della carit: Lasciare Dio per Dio. Tutte le priorit in Benedetto si riconciliano nella scelta primaria e pi radicale: Non anteporre nulla allamore di Cristo (RB 4,21). Che questa sapienza secolare ci accompagni nelle nostre relazioni con il mondo contemporaneo! La pace - prima parola che si pu leggere impressa allingresso di tante abbazie - sar allora il frutto che questa nostra terra dar e che noi potremo consegnare umilmente alla generazione futura. L va tutta la nostra preghiera e la nostra speranza. Risoluzioni da prendere ora dunque di prendere qualche buona risoluzione che ci impegni. Non possibile eludere le domande pi dirette: - Che intendo fare per orientare dora innanzi la mia vita secondo la triplice priorit: ascolto della Parola, vita di preghiera e gesti di amore fraterno? - Che cosa possiamo fare a livello familiare, tra sposi, insieme con i figli? Che cosa pu concretizzarsi nellambito della mia vita professionale e sociale? Come rivedere la nostra vita di comunit sotto ognuna di queste tre angolature? - Non dimentichiamo di prendere risoluzioni a breve termine: stendere per ogni mese un programma chiaro, un insieme ben definito di testi biblici da leggere in gruppo e da meditare. Non andiamo a cercare tanto lontano: ci sono gi il messale quotidiano o il lezionario festivo. Un salmo; un cero, unicona, un podi silenzio, una preghiera della tavola, un ringraziamento al termine del giorno o allalzata: queste piccole cose sono in grado di modificare totalmente la vita quotidiana, la relazione tra genitori e figli, latmosfera nella stanza di un malato. Alla luce della Parola e sotto il fuoco di una supplica ardente si vedono anche le giornate pi pesanti e i lavori pi insopportabili cedere dinanzi a una sorta di brezza, leggera come la freschezza di una nuova primavera. Pure lhandicappato o il malato isolato nella stanza dospedale percepisce di contribuire anche lui a edificare il mondo e a impedire che crolli. Il pensiero secondo verit, la preghiera sincera, il servizio compiuto nel segreto: ecco le tre autentiche colonne del mondo, i veri operatori di pace di cui il nostro pianeta non pu fare a meno.

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Capitolo II PRIMA COLONNA: LO STUDIO DELLA TOR


5 Introduzione: la priorit della sapienza
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Rabbi Aqiva e Rabbi Tarfon [vissuti nel primo secolo della nostra era] entrarono in un conflitto di opinione. Cosa prioritario: lo studio o il culto, la conoscenza o la piet? Cos pi importante: la luce della sapienza o il servizio sacerdotale che riconcilia cielo e terra? La discussione non cessava. Rabbi Tarfon era sacerdote e malgrado la distruzione del Tempio, continuava a lodare la posizione dei sacerdoti dichiarando che tutta la dignit delluomo risiede nel sacerdozio, nella santificazione del Nome, nella mediazione tra Dio e luomo e nella riconciliazione del Creatore con la creatura. Rabbi Aqiva era conoscitore delle Scritture, indubbiamente il sommo tra gli esegeti. Difendeva la grandezza delluomo che studia la Tor, raggiunge ed raggiunto dalla luce originale e scopre larte di camminare a questa luce, giorno e notte. I rabbini, riuniti in sinodo, decisero quanto segue: Entrambi possono aver ragione, ma noi seguiremo Rabbi Aqiva, poich lo studio della Tor ti insegner che non c nulla di pi importante del culto.

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Il mondo poggia su tre colonne, ma la prima lintelligenza, la sapienza, la luce della Parola. Chi attribuisce un altro ordine a queste tre colonne finisce presto o tardi per smarrirsi. Lintelligenza della Parola ti insegner limportanza che bisogna dare alla preghiera e alle opere. La sapienza ti ispira quando e dove dare la priorit al sacerdozio rispetto al profetismo e quando invece relegarlo in secondo piano: solo i sapienti evitano la polarizzazione tra le dimensioni verticale e orizzontale della vita; solo i sapienti accolgono le numerose contraddizioni dellesistenza in una feconda tensione e permettono cos che il mondo - il macrocosmo come il microcosmo - non vada perduto. Il sapiente biblico ripensa in modo universale la particolarit dellElezione e consente che ogni universalismo trovi il proprio radicamento nel modello unico della fede jahwista. La sapienza biblica integra in Israele tesori del pensiero provenienti dallEgitto e da Babilonia, da Edom come dai greci; testimonia che ogni sapienza viene dal Signore, il Dio dIsraele, e nel contempo dimora presso di lui in modo inalienabile (cf. Sir 1,1). Molta religiosit, animata dalle migliori intenzioni e da una grande generosit, pu indurre in errore una moltitudine di persone; molti sacrifici eroici ma privi di intelligenza possono far sprofondare nellabisso. I rabbini optano saggiamente per la tesi di Rabbi Aqiva: lo studio della Tor ti insegner che spazio dare al culto. Lordine inverso, invece, non offre la stessa garanzia. La storia ha conosciuto molti casi di movimenti religiosi cos entusiasti e cos devoti che, in seguito a certe esagerazioni, si sono distrutti da soli. Ogni iniziazione alla tradizione giudaico-cristiana contiene una parte di insegnamento grazie al quale viene comunicata in modo fondato una Verit da conoscere. Il Libro che ebrei e cristiani, ma anche i musulmani, collocano solennemente al cuore delle loro assemblee per leggerlo simbolizza questa dimensione indispensabile della loro tradizione. Vivere sotto la Parola

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In principio era il Verbo. A fondamento di unesistenza di fede c la percezione che la vita e il senso che le diamo ci vengono da altrove, noi li accogliamo: un altro ha in noi la parola, a lui spetta il primo passo. Questa percezione di per s non troppo difficile da ammettere e da accettare - riceve nella tradizione giudaico-cristiana la propria forma in un rito preciso, in un uso stabilito: la lettura della Scrittura. Quando degli ebrei o dei cristiani si riuniscono in assemblea, iniziano con il collocarsi sotto la Parola, con laccogliere il significato che danno alle loro azioni o alloro silenzio. Tutto il loro comportamento e il loro stesso pensiero professa che la Parola primaria e precede i loro progetti: lei che li ha fatti e formati, illuminati e riuniti in assemblea di popolo convocato. Ogni mattina mi desta con una parola (Is 50,4). La Parola di Dio aurora, lora mattutina lora della Parola, e questo nel senso pi concreto come nella mistica pi sublime. Tradizionalmente i monaci ripropongono il consiglio di san Girolamo: Il sole che si leva ti trovi sempre con il Libro in mano. La giornata comincia con la luce della Parola, cos come la Bibbia e tutta la prima settimana della creazione cominciano con: E Dio disse: Sia la luce (Gen 1,3). La prima cosa che la Bibbia dice dellagire di Dio che parla e che pronuncia questa parola primordiale : Luce! Stare sotto la Parola suppone una cultura della lettura e dellascolto. Come pu questo realizzarsi ancora ai nostri giorni in modo felice? A. Larte di leggere: un mezzo di comunicazione minacciato

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La Parola di Cristo dimori tra voi in tutta la sua ricchezza (Col 3,16). Questa inabitazione fa molta difficolt ai nostri contemporanei: la Parola ancora ascoltata, ancora letta, e in modo che possa effettivamente mettere radici e trasmettere la vita? Se il ventesimo secolo il secolo delle edizioni e delle traduzioni della Bibbia, questo non significa ancora che sia il secolo della lettura biblica. Larte della lettura si trova oggi in grave crisi in mezzo a tanti nuovi media: litaliano medio passa dodici ore alla settimana davanti alla televisione; quante ore dedica alla lettura? Un tedesco su tre non legge mai un libro intero in vita sua (dato fornito alla Buchmesse 1985 di Francoforte). In base a sondaggi pare che un buon numero di religiosi non abbia mai letto un libro da cima a fondo prima di entrare in monastero: lascolto della lettura in refettorio o in coro li avrebbe spinti per la prima volta ad affrontare per intero la lettura dei libri. A Boston (U.S.A.) il 40% della popolazione adulta analfabeta; l80% degli adolescenti, se legge, lo fa sempre con la radio o la televisione accesa. Alcune forme di lettura, di cui il silenzio la condizione, sono perci sistematicamente escluse e diventeranno presto inesistenti. Altro svantaggio: luomo moderno ha poca memoria. Chi non ne possiede assolutamente pi, non riesce pi nemmeno a leggere: pi la memoria lacunosa, pi diventa faticosa la capacit di leggere. Al contrario la lettura sensata, creatrice, non fondamentalista prende forma grazie al gioco delle allusioni, dei ricordi, delle associazioni di idee in altri termini: grazie a una memoria allenata e ben attrezzata. Secondo George Steiner, !intuizione di Adorno che non esiste musica da camera senza una camera adeguata vale anche per la lettura. Non ha nessun senso raccomandare la lettura della Bibbia se nel contempo non si vuole tener conto della difficolt di leggere esistente in seno alla nostra cultura. Leggere unarte, una pratica ben precisa: senza una certa nozione delle possibilit e delle

difficolt proprie alla lettura in generale, neanche quella della Bibbia potr prendere slancio. Partiamo da esempi concreti di uomini e donne nellatto di leggere: considerando attentamente latteggiamento del loro corpo, possiamo prendere coscienza di ci che dovremo osservare noi stessi se vogliamo che la grande lettura abbia ancora qualche possibilit di fiorire nella nostra vita quotidiana. . Come ogni arte, la lettura si basa sul prendere in considerazione alcuni principi spesso puramente esteriori ma in realt indispensabili: per esempio, chiedersi se si seduti correttamente, nella posizione giusta, non assolutamente superfluo. B. Il leggere considerato dallesterno verso linterno Esempi

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Un lettore attento suscita impressione. Pittori e scultori sono stati spesso ispirati da quella forza intima che emana da una persona seduta in un angolo con un libro in mano. Quant avvincente e limpida la raffigurazione di san Domenico nel convento di San Marco a Firenze ad opera del Beato Angelico! Seduto tranquillo e rilassato, con il libro aperto sulle ginocchia, con due dita che toccano il mento nella meditazione e una stella rossa sospesa appena sopra laureola, a indicare la presenza unica dello Spirito che lo abita. Pensiamo anche ai quadri cos intensi di Vermeer: la lettura di una lettera appena arrivata. Conosciamo tutti esperienze analoghe in cui avvertiamo perfino nel nostro corpo la grazia che ci visita: ci fermiamo e per un istante tutto silenzio. Devo sedermi, ci viene da pensare. Conosco persone che aprono la loro posta in un angolo riservato alla preghiera. Momenti simili sono preziosi: se li prendiamo in considerazione per analizzarli, scopriremo che hanno molto da dirci sulla grande lettura, questarte di dimorare nel dialogo damore con Dio. Ambrogio e Benedetto

30 Quando Agostino prima della conversione arriva a Milano e cerca di incontrare il grande Ambrogio, non crede ai propri occhi. Ecco quello che lui stesso riferisce:
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Non mi era possibile interrogarlo su ci che volevo e come volevo. Caterve di gente indaffarata, che soccorreva nellangustia, si frapponevano tra me e le sue orecchie, tra me e la sua bocca. I pochi istanti in cui non era occupato con costoro, li impiegava a ristorare il corpo con lalimento indispensabile, o lanima con la lettura. Nel leggere, i suoi occhi correvano sulle pagine e il cuore ne penetrava il concetto, mentre la voce e la lingua riposavano. Sovente, entrando, poich a nessuno era vietato lingresso e non si usava preannunziargli larrivo di chicchessia, lo vedemmo leggere tacito, e mai diversamente. Ci sedevamo in un lungo silenzio: e chi avrebbe osato turbare una concentrazione cos intensa? Poi ci allontanavamo, supponendo che avesse piacere di non essere distratto durante il poco tempo che trovava per ricreare il proprio spirito libero dagli affari tumultuosi degli altri. Pu darsi che evitasse di leggere ad alta voce per non essere costretto da un uditore curioso e attento a spiegare qualche passaggio eventualmente oscuro dellautore che leggeva, o a discutere qualche questione troppo complessa: impiegando il tempo a quel modo avrebbe potuto scorrere un numero di volumi inferiore ai suoi desideri. Ma anche la preoccupazione di risparmiare la voce, che gli cadeva con estrema facilit, poteva costituire un motivo pi che legittimo per eseguire una lettura mentale. Ad ogni modo, qualunque fosse la sua intenzione nel comportarsi cos, non poteva non essere buona in un uomo come quello (Confessioni VI,3,3).

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Osserviamo innanzi tutto che Agostino sorpreso da questa lettura in silenzio. Nellantichit si leggeva solitamente ad alta voce, sovente aiutandosi anche con lespressione corporale. Clemente Alessandrino consiglia di distendersi fisicamente per la lettura: voleva indicare concretamente un genere di ginnastica leggera. A quellepoca la lettura consisteva in un esercizio che coinvolgeva il corpo intero: da qui la reazione di Agostino. Ma il suo stupore indice anche di altro: egli resta comunque in silenzio davanti alla tensione interiore di un lettore cos attento e alla forza che ne emana. Lui stesso si fa silenzioso, va a sedersi, aspetta e, alla fine, se ne va. Non resta deluso per non aver potuto dialogare con lui, al contrario, molto pi colpito. Continuer a lungo ad arrovellarsi lo spirito riguardo alle possibili motivazioni di questa lettura silenziosa anche quando metter per iscritto le sue Confessioni, questo silenzio sembra continuare a parlargli: a tal punto lo aveva impressionato latteggiamento raccolto del pastore milanese! La Vita di Benedetto, scritta da papa Gregorio Magno, rivela anchessa un momento unico di lettura concentrata. Al capitolo 31 del II libro dei Dialoghi vediamo Benedetto solo, davanti alla porta, intento alla lettura. Allimprovviso sopraggiunge a cavallo un certo Zalla che spinge davanti a s un povero contadino, saldamente legato. Zalla era un goto intenzionato a confiscare i beni del contadino, che aveva dichiarato di aver affidato al servo di Dio Benedetto tutti i suoi averi. Arrivati presso il monastero, il contadino dice a Zalla che non cessava di maltrattarlo:
Eccolo, questo qui quel padre Benedetto di cui ti ho parlato. Il goto, furioso, con folle e perversa intenzione, prima lo squadr da capo a piedi, poi pensando di incutergli quello spavento che usava con gli altri, cominci a urlare a gran voce: Su, su, senza tante storie, alzati in piedi e tira fuori la roba di questo villano, che hai in consegna!. A quelle grida, luomo di Dio alz subito con calma gli occhi dalla lettura, volse uno sguardo al goto e poi gir locchio anche sul povero contadino legato. Proprio nellistante in cui volgeva gli occhi sulle braccia di lui, avvenne un prodigio: le funi cominciarono a sciogliersi con tanta sveltezza come nessun uomo vi sarebbe riuscito. Alla vista del contadino che, prima legato, allimprovviso gli stava l davanti libero dai legami, Zalla si spavent per tanta potenza; precipit a terra e piegando fino ai piedi del santo la dura e crudele cervice, si raccomand alle sue orazioni. Il santo non si lev dalla lettura, ma chiamati alcuni monaci, comand di farlo accomodare dentro e di imbandirgli la tavola benedetta. Quando lo ricondussero fuori, lo ammolli che la smettesse con tante crudelt. Ed egli se ne and via umiliato e non os chiedere mai pi nulla a quel poveretto che luomo di Dio, non con le armi, ma con il semplice sguardo, aveva liberato (Dialoghi II,31).

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Nel corso della sua vita, Benedetto non appare mai veramente sorpreso di quanto accade allinterno o allesterno del monastero. Lo troviamo sempre attento e concentrato, sia in preghiera, sia - come qui - immerso nella lettura. Il dato impressionante di questo episodio consiste nellunico sguardo di Benedetto: leggendo, i suoi occhi lhanno fissato sulla comunicazione liberatrice di Dio e quando li distoglie, non si soffermano sul goto urlante, ma lo sguardo cade come automaticamente sul povero contadino vessato. E sembra sufficiente che i suoi occhi, ancora colmi della lettura, si fissino sul disgraziato perch si realizzi la liberazione: in quel medesimo istante i legami che tenevano avvinto il contadino si sciolgono e questi completamente libero. quello che possiamo chiamare un racconto forte: ci rivela con insolita energia quello che avviene in una lettura in profondit. Il lettore si riempie di ci che legge e ne a tal punto animato da diventare veramente un altro. Questo cambiamento diventa visibile, anche fisicamente, a quanti lo attorniano.

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Tre pittori Se c un pittore che stato attirato dai volti di persone che leggono, questi senza dubbio Rembrandt. La sua attenzione per tutte le esperienze di luce e di oscurit lo rendevano spontaneamente sensibile allirradiamento tipico e intimo che emana da ogni lettore.

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Prendiamo Tito (vedi riproduzione). Seduto comodamente e libero da ogni preoccupazione, avvinto dalla sua lettura e ne prova piacere. La felicit illumina il suo volto. Pensiamo allantica espressione latina: vacare lectioni. Per poter leggere bisogna rendersi liberi, leggere costituisce un tempo di vacanza perch bisogna mettere da parte qualunque altra occupazione. In questo senso, leggere sfugge allambito dellobbligatorio: nella lettura optiamo per lestrema libert. Gli scrittori monastici latini parlavano di vacare lectioni (dedicarsi alla lettura) come di vacare Deo (dedicarsi a Dio). Osserviamo anche latteggiamento fisico di Tito: la testa leggermente reclinata, con la posizione gioviale e un podistratta del suo cappello, i gomiti in piena libert, mentre sembra trattenere il respiro, talmente appassionato da quello che sta leggendo. Completamente diverso il San Girolamo di Caravaggio conservato a Villa Borghese (vedi riproduzione). A prima vista, il santo vi rappresentato in modo piuttosto convenzionale: subito riconoscibile lasceta, immerso nello studio della Scrittura. La penna in mano e i libri sovrapposti rimandano ai suoi numerosi scritti e alla traduzione e ai commenti della Bibbia. Il teschio e il mantello cardinalizio sono anchessi attributi tradizionali del grande padre della chiesa.

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Ma questi segni caratteristici e cos facilmente riconoscibili sono orchestrati in modo assolutamente unico. La tela, dipinta in larghezza, sembra divisa in due zone di luce separate da una sottile striscia di ombra che cade sulla mano destra. Sulla destra c Girolamo che sta leggendo, interamente immerso nella meditazione della Scrittura. Il mantello aperto, lombra sul braccio sinistro e soprattutto la luce che cade sulla fronte, delimitata dai capelli, ampia e rugosa, il naso, la barba, il petto fin nel profondo del seno, ci inducono a soffermarci in questa luce calorosa. Vorremmo leggere come lui e fare anche noi questesperienza spirituale letteralmente risplendente (si noti la luce che si staglia dietro di lui, al posto della macchia dombra che ci si sarebbe aspettato). Spontaneamente il nostro sguardo avvinto dal movimento espresso dal braccio destro disteso: dalla prima zona di luce siamo rinviati alla seconda, passando per la striscia dombra. Innanzitutto ci colpisce la mano che sembra separata dal Girolamo vivo: sorprendente che la mano non stia scrivendo e che nelle vicinanze non ci sia alcun foglio per scrivere; insolito anche il modo in cui la penna riceve una luce cos cruda. Proprio davanti alla mano destra c un libro aperto con sopra un cranio voltato verso di noi, in contrasto simmetrico con la testa calva del santo che, assorto, non ha alcuno sguardo per lo spettatore. Sotto il libro aperto, un altro libro, ora chiuso e posato sopra un panno bianco che riceve molta luce, fredda, senza il minimo irradiamento. Cosa significa tutto ci? Un fatto certo: coscientemente o meno, siamo turbati dalla lugubre composizione della parte sinistra del quadro. Distogliamo lo sguardo e torniamo verso il santo assorto in meditazione; passiamo dal teschio di morte (sul quale non percepiamo forse un leggero sogghigno?) alla fronte estremamente viva, calva ma ornata di rughe, di un podi capelli e dellaureola; abbandoniamo il libro aperto e cerchiamo la Parola di vita che, invisibile, nutre di ardore il cuore di Girolamo; lasciamo il panno bianco e freddo per farci avvolgere dalla calda luce del mantello purpureo. In questo andirivieni da un lato allaltro, scopriamo un messaggio segreto: Girolamo attraverso la lettura diventato interamente vita, fuoco, Spirito, luce. I libri e tutto ci che concerne la Scrittura non sono altro che spoglie mortali. Affiora alla memoria una frase celebre, conservata al cuore delle lettere paoline: La lettera uccide, lo Spirito d vita (2Cor 3,6). Il panno bianco non assomiglia allora a nientaltro che a un sudario, mentre la pila di libri sotto il teschio rappresenta il mondo della lettera e dellerudizione. Dallaltro lato, mentre non vediamo nulla del testo che Girolamo sta leggendo, siamo affascinati e colpiti al cuore dallardore che la Parola di Dio ha acceso in colui che la rumina.

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Se effettivamente questo quadro ha per scopo lesaltazione del santo biblista, notiamo allora come il Caravaggio ci mostra che la grandezza di san Girolamo risiede pi nella meditazione solitaria della Parola di Dio che non nei suoi numerosi scritti, di cui il teschio rivolto verso di noi sottolinea la vanit e la fragilit mortale. Ma c indubbiamente ancora di pi nellinterpretazione originale del Caravaggio: probabile che il contrasto tra lo Spirito e la lettera, tra la Parola e gli scritti di Girolamo coincida con ci che contraddistingue il pittore come spirito creatore dalle sue opere, oggetto di critica da parte dei suoi contemporanei Costoro possono allora contemplare lo sguardo spento del teschio che sta di fronte a loro: gesto sarcastico perfettamente in sintonia con il Caravaggio, spirito inafferrabile e risolutamente indipendente. Comunque sia, il monaco ripiegato su se stesso e pienamente illuminato dal di dentro rappresenta con efficacia latteggiamento adatto alla grande lettura. Accanto al vacare c anche lo studere lectioni, che non significa innanzitutto studiare, bens piuttosto applicarsi, dedicarsi alla lettura. Il limite raggiunto quando il mondo della lettera scompare e in noi resta solo, come dice Gezelle, il Verbo profondamente nascosto e cos dolce . Il terzo quadro che pu aiutarci a vedere come atteggiarsi correttamente per leggere un dettaglio del retablo di Hans Memling, Le nozze mistiche di santa Caterina . La disposizione del pannello centrale assomiglia a una solenne liturgia: Maria segue levento leggendo un libro che le viene presentato da un angelo accolito; sulla destra del dipinto si scorge santa Barbara, raffigurata accanto al suo simbolo pi noto, la torre. Sta leggendo, e lespressione del suo portamento impressiona: pura attenzione, ma in assoluta distensione (non vi increspatura n segno di sforzo nelle spalle). Sa concentrarsi su quello che i buddisti chiamano hara, cio la zona addominale tra lombelico e il coccige. I gomiti sono aperti (come quelli di Tito) e lo spazio tra il libro e il corpo ampio, tale da consentire un respiro profondo e agevole. La pettinatura, graziosamente intrecciata e annodata alla sommit del capo, contribuisce allimpressione di forte concentrazione. Le raffigurazioni di personaggi in meditazione che ci vengono dallOriente (statue di Budda o simili) contengono sovente un punto di luce situato appena oltre la fronte: pi di una volta si ritrova una cuffia appuntita che si erge sormontata da una perla. Nel Beato Angelico, il giovane Domenico appare regolarmente sormontato da una stella rossa sopra la fronte scoperta.

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Latteggiamento di santa Barbara nel Memling illustra unaltra espressione latina in rapporto alla lettura: insistere lectioni, come dicevano un tempo i monaci. Perseverare nella lettura, analogamente a quanto si dice della perseveranza nella preghiera (cf. At 1,14). Leggere richiede una certa durata nella quale si insiste con pazienza, prima di poterne ottenere qualche frutto. Lespressione latina insistere;inoltre, contiene uneco della posizione seduta, cos caratteristica nella sua fermezza per la santa Barbara del retablo di Bruges. Questo profondo raccoglimento contrasta con latteggiamento di san Girolamo descritto sopra. Non esiste quindi una posizione che sarebbe la sola adeguata alla lettura, cos come non esiste ununica posizione per la preghiera e la meditazione. Si possono delineare dei tipi: Girolamo richiama Elia sul Carmelo (cf. 1Re 18,42) il quale, raggomitolato su se stesso, tiene la testa tra le ginocchia. Alcuni monaci della tradizione orientale riprenderanno questo atteggiamento e lo analizzeranno dettagliatamente, come possiamo leggere in Niceforo Aghiorita o nel trattato dello Pseudo Simeone, entrambi ripresi nella Filocalia. Quanto allatteggiamento di santa Barbara, pu far pensare a Mos che, seduto in cima al colle, stende le braccia al cielo, mentre Giosu nella valle combatte contro Amalek (cf. Es 17,8-12). Si pu pensare anche ai monaci zen, alla cosiddetta posizione carmelitana (seduti sui talloni, con il resto del corpo diritto), o anche allatteggiamento dellorante cos spesso raffigurato negli affreschi delle catacombe. Siamo di fronte a due tipi assolutamente distinti ma entrambi istruttivi. Conclusione

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Lattenta osservazione di queste tre raffigurazioni di persone in atteggiamento di lettura ci insegna molte cose su questa pratica particolare. Quello che ammiriamo come esemplare negli altri diventa indirettamente un interrogativo sul nostro modo di fare. Sono anchio libero e capace di rallegrarmi quando mi dedico a questo esercizio della lettura? Assomiglio un poa Tito, disteso e radioso? Oppure ho dei crampi al collo e alle spalle, ai gomiti o alle braccia? Lascio che il mio desiderio pi segreto affiori quando mi applico a leggere? Mi sento appassionatamente implicato, fino al punto da essere consumato da un fuoco interiore, come abbiamo potuto osservare nel caso di san Girolamo? O sono invece rimasto aggrappato alla lettera, alla grammatica, alla logica e a tutta quellerudizione che mi trascina verso lesterno del testo? Ho vissuto la lettura come un evento, una Parola eminentemente personale che interpella me - e noi tutti - in questo preciso momento: Parola insostituibile, irrevocabile, assolutamente unica e santa? Leggere per me una porta che d accesso al mio intimo pi recondito, a quelle profondit in cui Dio pu essere Dio e risorgere dal sonno mortifero della routine e delle distrazioni continue? Sono concentrato, come santa Barbara, e in grado di perseverare con tranquillit in questo silenzio raccolto? Alla fine, quando si raggiunto il giusto atteggiamento spirituale (cf. Lc 11,40), non esiste pi interiore ed esteriore. Una cosa certa: chi vigila nel restare sulla falsariga di questi esempi non tarder a sperimentare quanto anche il semplice fatto di sedersi correttamente produce una liberazione che contagia tutto luomo. C. La lettura biblica: come iniziare?

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Nel leggere la Bibbia ci si trova costantemente di fronte a un paradosso: praticamente nessuno un autentico principiante e, nel contempo, iniziamo ogni volta da capo. Mai infatti giungeremo realmente al termine del libro. Oppure, se ci arriviamo, significa che labbiamo ridotto a quello che non : un libro di studio, un pezzo di storia, una serie di racconti, unopera di riferimento Per chi lo considera come un luogo di incontro con Qualcuno non come gli altri, si tratta invece di un libro che non si mai finito di leggere: ogni mattino il testo, pur gi noto, offre nuove sfaccettature. Il libro cresce stranamente a misura della nostra et e delle mutevoli circostanze dellesistenza. Solo chi accetta per s questa condizione di eterno principiante maturo per il Libro. 1. Le quattro et della lettura biblica Possiamo distinguere quattro fasi nella lettura biblica: presto o tardi ci veniamo tutti a confrontare con queste quattro et della lettura.

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a. Linfanzia e la Bibbia fantastica. La prima Bibbia fantastica dellinfanzia: immagini grandiose, quadri indimenticabili, racconti favolosi trasmessi con il genere letterario di una grande Storia sacra. Ricco di colori, terribile e divertente pi che semplicemente esemplare, questo affresco storico della Bibbia non va assolutamente disprezzato: tesse il fondale della nostra lettura adulta e forma il paesaggio familiare che ci permette di diventare contemporanei di Mos e di David, di Ges e di Paolo. Anche film recenti contribuiscono non poco a nutrire questo primordiale immaginario biblico: basti pensare a I dieci comandamenti di trentanni or sono, a Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, oppure a Jesus Christ Superstar. Atlanti ed enciclopedie,

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ma anche viaggi e pellegrinaggi in Israele, in Giordania o in Egitto consolidano in noi, spesso a nostra insaputa, questo primo livello di lettura biblica. Prendiamo, per esempio, la recentissima edizione della Bibbia in dieci volumi (A. Chouraqui, La Bible de lunivers): grazie alle sue foto affascinanti, scelte peraltro con rigore assolutamente scientifico, la Bibbia dellinfanzia non cessa di crescere in noi. A questo livello, parola e immagine vanno di pari passo. Era cos gi ai tempi delle cattedrali, grazie alle vetrate e alla scultura. In Oriente, le icone, con tutta la parete delliconostasi e gli affreschi sui muri e sulle volte, narravano la Bibbia intera e iniziavano il popolo ai misteri visibili e invisibili. Oggi vediamo giovani coppie che riscoprono la Bibbia attraverso i loro figli: i racconti riferiti da scuola coinvolgono anche i genitori e la Bibbia-per-bambini diventa, accanto alle favole classiche, il gran libro che si legge tutti insieme prima di coricarsi. b. Ladolescenza e la Bibbia scientifica. La seconda fase corrisponde alladolescenza: let del risveglio della curiosit, del desiderio di sapere, di paragonare e di verificare mediante tutte le risorse scientifiche disponibili. Archeologia e linguistica, sociologia, storia delle religioni e statistica: tutto aiuta. Brama ardente di ci che storico, vero o verosimile, distinto da ci che mitico; dubbi metodologici, ipotesi, interdisciplinariet. Fino a che punto la sapienza biblica egiziana? Quanti Isaia ci sono? E quanti strati redazionali solo nel Proto- Isaia? Ges parlava greco? Interrogativi simili possono appassionare un uomo per una vita intera. E a questo livello che lesegesi moderna trova in massima parte il proprio ambito di lavoro: non cerca forse, per quanto possibile, di soddisfare questa curiosit? Chiunque abbia per la prima volta in mano il testo integrale della Bibbia conosce questa infatuazione: vuole leggere tutto, sapere tutto, divorare tutto. Sono molti quelli che scoprono laccesso alle Scritture proprio attraverso questa porta della curiosit erudita: desiderosi di imparare, restano giovani, anche in et da pensione! c. Luomo maturo e la Bibbia, parola di vita. In questa terza fase, la lettura a servizio della vita: si legge per vivere. Veniamo a porci sotto la Parola che ci illumina: lampada ai nostri passi, come canta il salmo, luce nella nostra notte (Sal 119,105.130). Nella tua luce vediamo la luce (Sal 36,10). A questo livello sono sufficienti alcune pagine chiave: finiamo per rileggere pi che leggere. Basta riascoltare un solo brano e tutto riprende a vivere: una parte del discorso della montagna, il capitolo 13 della 1 Corinti, unora di lettura sul Deuteronomio e il fuoco si riaccende, in una vampata di gioia e di speranza. Il Libro diventa una vita nella nostra vita, sorgente segreta nel nostro intimo. Libro dispirazione, con indicazioni per lazione, prospettive che fanno riflettere, che invitano a sperare, a modificare un mondo rinchiuso nelle sue strutture pi o meno rigide. Libro di sapienza, inesauribile e quindi libro del quale non ci si stanca mai. Libro celebrato infine a pi voci. d. Il Libro al di l del libro. Arriva il momento in cui si fa a meno dei testi e della loro decodifica pi o meno laboriosa. La Parola interiorizzata sufficiente: si tratta di vivere, nientaltro, senza testo, senza biblioteca. Con let, si legge meno: la lettura si concentra. Solo pochi libri, qualche pagina lo merita ancora. Il pianista Rubinstein aveva pi di novantanni quando osservava: Ormai suono solo alcuni pezzi. Ma sappiate che li suono sempre meglio, anche dal punto di vista tecnico!. Unintensa concentrazione su alcune pagine che bastano a dire tutto e a garantire la piena libert interiore: ecco la caratteristica di una lettura fattasi matura. Alcuni non leggono neanche

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pi: Non potrei nemmeno farlo - mi confidava un confratello di 97 anni -, la vista me lo vieta. Ma ho letto tutta la vita, adesso il momento che questo produca frutto. Non aveva pi bisogno di uscire dalla citt per andare ad attingere lacqua: la fontana era allinterno della sua cinta. Cos ad alcuni la lettura non si addice pi: vivono della Parola, punto e basta! Sono evangelo e fanno a meno di testi scritti. La vedova con la sua offerta, per quanto abbia potuto essere illetterata, attraversa la storia con una libert che sfida i pi appassionati lettori del Libro. Dobbiamo metterci tutti alla sua scuola: imparando a vivere con il Libro al di l di qualsiasi libro, ci prepariamo a guardare in faccia la morte, nel modo pi sereno possibile5. Quale che sia la sua et, ciascuno di noi ha gi potuto conoscere le quattro fasi indicate. Da giovane posso scoprire il versetto che mi basta per vivere e morire; vediamo persone adulte che restano affascinate dalla Bibbia fantastica dellinfanzia, cos come ci sono pensionati che scrutano con passione le liste delle genealogie o il problema delle fonti del Pentateuco. Non esiste unet fissa per ogni fase. Daltronde nella liturgia vediamo che le quattro fasi si mischiano senza confondersi: limmaginario si affianca alla riflessione storico-critica, il libro diventa parola di vita e un semplice versetto cantato ci permette di fare a meno di qualunque testo. In questo senso nessuno privo di appoggi quando si accosta per la prima volta alla Bibbia: il giardino delle Scritture ha aperture in tutte le direzioni. Ognuno potr trovarvi la sua entrata, mettervi radici e a suo tempo fiorire e dare frutti. La Scrittura, libro per principianti, lascia sperare. 2. Tre misure

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La chiesa conosce tre schemi per la lettura della Scrittura, come se offrisse un triplice menu. 1. Un primo schema consiste nel prendere la Bibbia ogni settimana e nel cercare di meditare le tre letture della liturgia della domenica, assieme al salmo del giorno. Questa la pratica attualmente pi diffusa per leggere la Bibbia, un poovunque nel mondo. Anche le comunit anglicane tendono ad adottare le stesse letture; uno dei poli di incontro delle comunit ecclesiali di base consiste proprio nellascolto settimanale della Parola di Dio. Le regioni nord-occidentali dellEuropa sono forse, rispetto agli altri continenti, quelle maggiormente in ritardo nellaccettare questa pratica6. Lattuale suddivisione delle letture festive recente: risale agli anni successivi al Concilio Vaticano II. Quindi significa per tutti - grandi e piccoli, vescovi e catecumeni un nuovo incontro con la Parola di Dio, pieno di ricchezze ancora da scoprire. Questa ripartizione settimanale consente di accedere a quasi tutti i libri della Bibbia, in particolare a quelli del Nuovo Testamento. Su un ciclo triennale (A,B,C) si percorrono gli evangeli secondo Matteo, Marco e Luca nelle domeniche dellordinario, mentre quello secondo Giovanni passa ogni anno nelle ultime tre settimane di quaresima e durante lintero periodo pasquale7. 5 Queste et si ritrovano con molte analogie nella storia dellesegesi: linfanzia e let dei padri
(ingenua e sintetica); ladolescenza e il periodo scolastico e filologico (analitico e costruttivista); let adulta e lo spirito post-critico, con la scoperta della grandi sintesi bibliche. Cf. G.M. OURY, Cherchez Dieu dans sa Parole. La lectio divina, Paris 1982, pp. 45-73, in cui lautore traccia una rapida storia della lettura biblica. 6 In Centrafrica c un lavoro sistematico, settimana dopo settimana, su queste pericopi, dallalto (esegeti e responsabili della catechesi) al basso (conversazioni nei quartieri) della scala. 7 Nellannata A c la lettura continua di Matteo, di tre lettere di Paolo (Rm, 1Cor e 1 Ts) e della 1 Pietro. Nellannata B, oltre a Marco e a Giovanni 6, si leggono in modo cursivo 2 Corinti, Efesini, Ebrei,

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Con le tre letture e il salmo antifonato dopo la prima lettura, il messale della domenica costituisce settimana dopo settimana una piccola sintesi in cui vengono offerti insieme lantico e il nuovo, la profezia e il compimento, il ricordo storico e il vissuto attuale. La Scrittura una corda, la tradizione costituisce larpa sulla quale bisogna tendere la corda per poter suonare. Questo detto rabbinico, applicato alla liturgia della domenica, ci fa intravedere come, attraverso la scelta di tre letture e di un salmo, dobbiamo ogni volta ascoltare un accordo maturo. Il messale la prima Bibbia dei cristiani, cos come la Bibbia a sua volta era allorigine innanzitutto un lezionario, previsto per le letture sinagogali del sabato. Luso regolare del messale della domenica in tutti gli ambienti possibili (scuola, incontri, catechesi per adulti) pu solo stimolare una pi ampia memoria liturgica e porta indubbiamente allintegrazione di una prima cultura biblica. Poco alla volta dovremo tutti - come gi avviene in Italia e in Spagna, in Zaire, in Ruanda e in Brasile - prepararci per la domenica. Questo significa prendere il tempo necessario per collocarci insieme sotto la Parola e farne una nuova abitudine, solidamente radicata nella vita familiare come in quella delle comunit. Solo allora vedremo arrivare fino alla base uno dei rinnovamenti pi potenti introdotti dalla riforma liturgica del Vaticano II. 2. Il secondo schema consiste in un contatto quotidiano con la Scrittura. Diverse inchieste regionali condotte tra laici, religiosi e preti, ci indicano che la maggior parte si nutre quotidianamente della Bibbia a partire dalle due letture offerte dal messale feriale. Questa pratica, diffusasi molto spontaneamente, si realizza di solito in modo cos individuale che i membri di una stessa comunit non sospettano nemmeno chi accanto a loro possa essersi familiarizzato con questa abitudine. Chi si applica personalmente a questo ritmo quotidiano sappia che non certo isolato: nellimpossibilit di celebrare quotidianamente leucarestia, molti preti e religiosi meditano anchessi - al mattino presto o alla sera prima di coricarsi sui due brani della Scrittura di quel giorno. Dobbiamo di nuovo costatare come questuso strettamente individuale comporti un innegabile legame comunitario: grazie alla liturgia - in cui le stesse letture risuonano nello stesso giorno in tutto il mondo - che questa lettura della Bibbia assume un solido carattere ecclesiale, e nella pratica possiamo esserne coscienti e grati. Nel messale feriale ci si accosta ogni anno ai quattro evangeli suddivisi in pericopi. La prima lettura invece alternata in anni pari e dispari: la chiesa percorre cos ogni due anni i libri dellAntico e del Nuovo Testamento, seguendo generalmente lo schema della storia di salvezza. Nella stessa settimana si leggono per esempio Amos e Osea, oppure Isaia e il suo contemporaneo Miche a; Zaccaria affiancato non solo ad Aggeo e Malachia, ma anche alla lettura di Esdra e di Neemia, che coprono lo stesso periodo. Le letture bibliche del breviario romano si collegano a questo schema su due anni. La liturgia quotidiana ci educa cos a fare una lettura continua della Bibbia, e questo nella prospettiva della storia della salvezza. 3. Un antico schema, trasmesso in particolare negli ambienti monastici, percorreva la Bibbia in un anno. Gi al tempo di Ges, la Tor(i cinque libri di Mos o Pentateuco) era letta in modo ciclico: secondo alcuni calendari in un anno, secondo altri in tre. Ad ogni parte della Tor corrispondeva un brano dei Profeti 8. Nellufficio tradizionale dei monasteri veniva proclamato giorno dopo giorno !inizio di un brano biblico: il seguito
Giacomo e 1 Giovanni. Lannata C dedicata allEvangelo di Luca e a brani delle lettere a Galati, Colossesi, 2 Tessalonicesi, 1 e 2 Timoteo, Filemone e allApocalisse. Nel corso della liturgia domenicale solo tre scritti sui ventisette del Nuovo Testamento non vengono mai citati, e si tratta di opere minori: 2 e 3 Giovanni e Giuda. Cos ogni tre anni la liturgia domenicale ci guida attraverso lintero Nuovo Testamento.

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si presumeva venisse letto personalmente come esercizio di lettura spirituale ( lectio divina). Alcuni si ricorderanno ancora come al mattutino di Settuagesima - la prima domenica della lunga salita verso Pasqua - si leggesse Genesi 1, il primo racconto della creazione. Era il punto di partenza della lettura continua delle Scritture, secondo lantica prassi ecclesiale. Laspetto interessante di questa antica tradizione che ci fornisce unimmagine di tutti i libri della Bibbia, ciascuno collocato in un periodo preciso dellanno liturgico, Non si legge un determinato libro in un periodo qualsiasi dellanno: pi concretamente, ci sono libri di primavera, libri dautunno, cos come c una letteratura estiva e dei racconti per linverno, tutto questo in una stessa Bibbia. Probabilmente non riusciremo mai a leggere tutta la Bibbia in un anno solo, ciononostante pu essere utile sapere quando leggere un libro piuttosto che un altro, oppure quale testo privilegiare in Quaresima o a Pentecoste. Il rispetto per questa ripartizione mi rimanda inevitabilmente, ancora una volta, alla grande comunit dei lettori della Bibbia, e non solo a quelli dei nostri tempi, ma anche a quelli che hanno attraversato i secoli. Visione dinsieme

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possibile una duplice presentazione delle cose: o si parte dalla Bibbia stessa e si indica per ogni parte il posto che pi o meno tradizionalmente occupa nella liturgia, oppure si prende come quadro il ciclo dellanno liturgico e si fissano i testi che meglio corrispondono alluno o allaltro tempo. Entrambe le prospettive hanno la loro utilit. a. I libri nella liturgia

25 1. La Tor o cinque libri di Mos (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) nel suo complesso indicata per i primi quattro mesi dellanno, con i quaranta giorni di Quaresima come vertice. Il racconto della creazione veniva un tempo letto nella prima domenica della lunga preparazione a Pasqua (chiamata Settuagesima). 2. I Profeti anteriori o libri storici (da Giosu fino al secondo libro dei Re) vengono letti preferibilmente durante i mesi estivi. 3. I Profeti posteriori (da Isaia fino a Malachia) sono distribuiti nei tempi forti dellAvvento e della Quaresima, oppure anche in autunno. Per esempio, si legge il Proto-Isaia (cc. 1-39) durante lAvvento e Geremia nelle ultime settimane di Quaresima, mentre Ezechiele trova adeguata collocazione in settembre. 4. Gli Scritti o libri sapienziali sono letti soprattutto attorno e dopo Pentecoste. 5. Il Nuovo Testamento di per s una piccola biblioteca con numerose suddivisioni. Alcune parti trovano da sole una collocazione nel ciclo liturgico annuale. Cos gli Atti degli Apostoli vengono letti di preferenza nel periodo delle sette settimane tra Pasqua e Pentecoste. Le Lettere cattoliche possono essere consigliate, assieme alla letteratura sapienziale, durante il periodo attorno a Pentecoste. Alcune lettere sono gi alla loro origine lettere pasquali (1 Corinti, 1 Pietro, Colossesi) e possono trovare il loro posto durante il tempo pasquale. Il corpus paolino pu essere letto come un insieme organico; sono necessarie circa sette settimane per esaurirlo: si pu scegliere per questo uno dei diversi periodi di 40 o 50 giorni che scandiscono lanno liturgico. Per esempio: i 40 8 Cf. gli studi di Charles Perrot, in particolare La lecture de la Bible dans la Synagogue , Hildsheim 1973.
Nella sua tesi sostenuta in Olanda ( Markus en de Torah) D. Monshouwer fornisce uno status quaestionis aggiornato.

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giorni dal 25 dicembre al2 febbraio; dal mercoled delle Ceneri alla domenica di Pasqua; da Pasqua fino allAscensione o a Pentecoste; dal 6 agosto al 14 settembre; dall11 novembre al 25 dicembre. Per gli evangeli non c nulla di particolare da osservare, se non che Marco e Giovanni sono entrambi testi tipicamente pasquali. La ripartizione liturgica attuale continua a sottolineare questa caratteristica del quarto evangelo: Giovanni viene letto ogni anno nelle ultime tre settimane di Quaresima e per tutto il tempo di Pasqua. Anticamente nella chiesa copta si leggeva lintero evangelo di Giovanni nel corso della notte pasquale! b. Lanno liturgico e la Bibbia In Avvento: Isaia (soprattutto i cc. 1-39; a volte anche il Deutero-Isaia, cc. 40-55); alcuni profeti minori come Michea, Sofonia, Malachia, Zaccaria 1-9.Nel Tempo di Natale: Isaia 56-66, Aggeo, Zaccaria, Ruth, Baruch, 1 Giovanni, Colossesi, Cantico dei Cantici. II 1 gennaio: Qoelet; tra Epifania e mercoled delle Ceneri: Paolo.Durante la Quaresima: la Tor, Geremia, Lamentazioni, Isaia 40-55, Ebrei.Nel Tempo di Pasqua: Cantico dei Cantici (domenica di Pasqua), 1 Giovanni (nellottava: cf. il commento di Agostino), Atti, Apocalisse, 1 Corinti, 1 Pietro (fino a Pentecoste).All Ascensione: Efesini, Colossesi.A Pentecoste: Gioele, Sapienza, Ruth.In maggio: Libri sapienziali (Proverbi, Siracide), Giacomo.In giugno-luglio: Libri storici (Giosu, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, 1 e 2 Cronache).In agosto-settembre: Ezechiele, Giuditta, Ester, Tobia, 1 e 2.Maccabei, Giobbe.In ottobre-novembre: Daniele, i dodici Profeti minori, le Lettere pastorali, 1 e 2 Tessalonicesi, Apocalisse. Questo rapido sommario si basa su un certo numero di tradizioni della chiesa e della sinagoga. Qui e l, nuove acquisizioni dellesegesi moderna o del rinnovamento liturgico hanno orientato la ripartizione. In un solo caso abbiamo segnalato la prassi estremamente personale di un confratello che rilegge il libro di Qoelet a ogni capodanno. Il tutto costituisce uno schema pi propositivo che normativo, che ha lunica intenzione di stimolare la lettura. Questi sono tre schemi in uso oggi nella chiesa: mettiamoci allopera, l dove siamo. Per iniziare indispensabile una fermezza risoluta: se siamo in gruppo, tutto si avvier pi facilmente; ma anche se sono solo mi devo sentire portato dagli altri: abbiamo visto che ogni schema ha la sua portata ecclesiale. Un detto rabbinico afferma che anche se qualcuno medita da solo le parole della Tor, sar benedetto dalla Presenza, perch sta scritto: In ogni luogo dove io vorr ricordare il mio Nome, verr a te e ti benedir (Es 20,24) (Mishn, Pirq Avot 3,7; cf. 3,3). Allinizio possibile che si fatichi a trovare il proprio ritmo, ma progressivamente si vedr svilupparsi la capacit di lettura: ci si abitua alla quantit e si diventa addirittura affamati, se non si ricevuta la propria razione quotidiana. Si impazienti di conoscere il seguito, si avverte una tensione che aumenta fino al momento in cui si pu riprendere la lettura sospesa il giorno prima. Libri come il Deuteronomio o Geremia vi avvincono per settimane intere: la vita diventa deuteronomica (amare con tutto il cuore, con tutta lanima, con tutte le forze); oppure il profeta finisce per impossessarsi di voi: pensa con voi, compatisce le vostre pene, intercede nellimpeto stesso delle vostre preghiere. Si realizza unosmosi tra luniverso della Bibbia e quello nel quale viviamo. Pi tardi scopriamo brani di letture che coprono come un arco periodi di quaranta o cinquanta giorni: ogni autunno partecipiamo alla sfilata dei grandi profeti degli ultimi

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tempi (Ezechiele, Daniele, Apocalisse, Matteo 24-25, Luca 21). Ogni mese di maggio il tempo in cui lo Spirito, la Parola e la Sapienza celebrano in noi una grande festa comune. David diventa il nostro eroe al cuore dellestate; Isaia ci infiamma con la sua visione di santit allinizio del mese di dicembre. Leffetto si produce anche in senso inverso: leggere i capitoli dal 6 al 9 della Sapienza significa ritrovare il clima di maggio e la festa di Pentecoste, e cos via. In ogni caso il ciclo della natura trova un primo riflesso nel ciclo dellanno liturgico, che assume a sua volta la Bibbia in un identico movimento. Con il procedere degli anni si percepir sempre pi profondamente questa successione di movimenti ciclici come gli anelli nel tronco di un albero: solo alla morte, una volta abbattuto lalbero, se ne scoprir tutta la forza segreta. 3. Il gruppo biblico

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Uno dei modi pi frequenti di leggere oggi la Bibbia quello di farlo insieme ad altri. Ogni gruppo biblico ha la sua storia, le sue esperienze, le sue abitudini. Per quanti sono gi in cammino o per quelli che volessero iniziare, spero che le riflessioni che seguono possano essere utili: non pretendono di essere normative, vogliono solo far riflettere. In ogni caso, nascono da una pratica. La scelta del testo. Questo primo momento autonomo e quindi in genere non pone problemi: si sceglie, per esempio, il brano della liturgia domenicale o eucaristica successiva. Quello che capita meno di frequente e che richiede una particolare raccomandazione che un gruppo legga nel suo insieme un testo abbastanza ampio, come per esempio la Lettera agli Efesini o addirittura un intero evangelo. Bisogna naturalmente dedicarvi un tempo pi lungo del solito. Cos si possono consacrare cinque giorni per un evangelo in occasione di un ritiro presbiterale a partire da Giovanni o da Luca; si pu anche programmare un fine settimana attorno a un testo (il discorso della montagna, oppure il racconto di Emmaus). Vale veramente la pena di rischiare in gruppo di prendere ununit di testo pi lunga dei soliti dieci versetti. Le tre tappe. La Parola prima di tutto proclamata, poi ci si prende il tempo di meditarla in silenzio e, infine, di condividerla. 1. La lettura. Tutti i testi antichi sono stati scritti per essere recitati ad alta voce. Chi legge, deve proclamare la Parola: non basta che qualcuno legga semplicemente il testo mentre gli altri seguono il racconto sulla loro Bibbia, senza prestare molta attenzione a chi borbotta il testo. E preferibile che chi ascolta chiuda il libro, per tornare a essere ascoltatore della Parola: proprio per questo chi legge, deve veramente proclamare il testo. Se il testo lungo, ci si pu alternare nella lettura: ciascuno legge una decina di versetti, che di solito corrispondono alla lunghezza di un racconto o di unallocuzione. Nessuno obbligato a leggere, importante sottolineare questa libert. Alcuni brani pi densi possono essere suddivisi per ruoli: un narratore, chi recita la parte di Ges, i discepoli, gli avversari, il popolo. E cos che viene tradizionalmente recitata la Passione nel corso della settimana santa nella chiesa latina. Lascolto in comune di una stessa Parola unisce gli ascoltatori tra loro in modo unico, perci non bisogna assolutamente farne a meno, ma anzi si deve prestare molta cura a questo momento, evitando di accontentarsi - magari per mancanza di tempo - di fornire a ciascuno il testo per la lettura individuale in silenzio. La durata della lettura, quando si tratta di testi lunghi - come per esempio un evangelo

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intero - pu benissimo superare il quarto dora, ma se si legge per pi di mezzora, la maggior parte degli ascoltatori faticher molto a restare attentao. 2. La meditazione. La Parola ascoltata chiede di essere ruminata e digerita lentamente. Questo procedimento essenziale: data la facilit e la rapidit con cui leggiamo oggi, dobbiamo reimparare a soffermarci su quello che ci ha colpito. Un primo modo di vegliare sulla Parola quello di memorizzarne una frase: la nostra memoria si trover arricchita e una parola pu accompagnarci e ispirarci per tutta la giornata. E una pratica che utilizziamo troppo raramente; Girolamo invece la consigliava vivamente: di notte - diceva - ci si pu alzare e continuare a leggere ricordandosi delle parole imparate a memoria durante il giorno 9. Molti inni e antifone della liturgia costituiscono una pausa su di un determinato testo e unoccasione per memorizzarlo meglio. Se il testo ascoltato troppo lungo, abbiamo limpressione di annegare in un mare di parole e di racconti. Di per s questo non dovrebbe sorprenderci: la Parola sembra sempre troppo grande o troppo ricca rispetto alla quantit che siamo capaci di riceverne. Pu allora essere utile fornire dei punti di riferimento dopo la lettura e proporre al gruppo un certo numero di piste mediante le quali ripercorrere con profitto il testo. Per esempio: - Quali sono, allinterno dei capitoli letti, i luoghi in cui Ges ama dimorare? So riconoscere questi luoghi nella mia vita? - Chi fa parte della cerchia o della compagnia di Ges? E io ne faccio parte? - Quali sono i verbi di cui Ges il soggetto? Cosa mi insegnano di lui? Mi ci riconosco? - Soffermiamoci sui gesti di Ges e sulle immagini che egli usa nel suo linguaggio. Cosa mi insegnano riguardo a ci che vive in lui? Allinizio, il silenzio del tempo di meditazione sembra strano, soprattutto per quei giovani che vi si trovano a confronto per la prima volta. A poco a poco si scopre che questo secondo momento il pi prezioso: a questo punto pu accadere qualcosa di nuovo e di grande. La durata della meditazione dipende dalla lunghezza del testo letto: per venti minuti di lettura si pu tranquillamente calcolare unora di silenzio. E preferibile trascorrere questo tempo silenzioso in un ambiente chiuso, possibilmente da soli, presso il Padre che vede nel segreto. 3. La condivisione. Lo scambio deve avvenire il pi liberamente possibile: se necessario, un animatore di gruppo vigiler a che il clima resti spiritualmente libero e nessuno monopolizzi lo scambio o impedisca ad altri di prendere la parola. Non ci sono interrogativi inopportuni n domande stupide; cos come nessuno deve sentirsi obbligato a intervenire. Pi si abituati a guidare simili scambi, pi si impara a distinguere facilmente le domande, a raggruppare le osservazioni e a percepire i problemi di lettura come eventuali problemi di vita. In un primo giro si pu ascoltare ci che la Parola ha rivelato a ciascuno; in un secondo o Pu essere utile sapere che sono necessari 5 o 6 minuti per 30 versetti (l= 5-6 vv.). Leggere per 20
minuti corrisponde quindi a circa 120 versetti di testo. Brani molto drammatici - come il racconto della passione o il dramma retorico del libro di Giobbe - sono in genere pi facili da seguire e psicologicamente sembrano meno lunghi. Chi legge in modo affrettato innervosisce e fa apparire pi lungo un brano. Pi si legge in modo pacato e tranquillo, meno si noter che il tempo passa. 9 Cf. D. GORCE, La lectio divina. Des origines du Cnobitisme St.Benot et Casisodore. I. Saint Jrome et la lecture sacre dans le milieu asctique romain, Paris 1925.

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momento si condivide ci che ha colpito nella testimonianza dellaltro sullevangelo. Limportante in questo ambito che il gruppo impari a rendersi conto che levangelo non scritto unicamente da Matteo o Marco, ma che risuona anche nella testimonianza di chi cerca di esprimersi con le proprie parole riguardo a quel Ges. Lanimatore pu anche attirare lattenzione su quanto si vive nel gruppo come tale, indipendentemente dagli accenti personali. Ogni gruppo ha la sua propria dinamica, il suo linguaggio particolare, i suoi problemi specifici. Senza esserne troppo cosciente, percorre un cammino in una determinata direzione: spetta allanimatore consentire al gruppo di prenderne coscienza, di notare le costanti degli scambi e di cercare di abbozzare unimmagine fedele di quanto si sta vivendo in quel momento. La sua prudenza consister nel non dimenticare mai che pu trarre delle conclusioni solo in base a ci che stato detto. Durante il tempo di silenzio pu darsi che siano successe anche cose pi importanti: in ogni caso, non tutto deve necessariamente essere espresso verbalmente. Questa prassi, pur essendo unarte difficile, affascina non appena la si attua e ogni vita comunitaria, per quanto piccola, ne viene come rigenerata. A partire dalla base qui descritta, ognuno potr anche avanzare, a condizione di tener conto della composizione del gruppo, della sua storia e degli sviluppi possibili quanto a motivazioni. Laspetto comunque primario quello di accordare la stessa attenzione allo Spirito e alla Parola. Questo concretamente significa che bisogna sempre inquadrare e accompagnare la condivisione con la preghiera. Dio ha due mani - scrive Ireneo -, il Figlio e lo Spirito, e con entrambe plasma la nostra argilla fino a formare la statura perfetta del nuovo Adamo. In queste condivisioni bibliche dobbiamo assolutamente vigilare sulla presenza di entrambi: dove assente lo Spirito, si cade subito in discussioni vuote e oziose; mentre dove la Parola non presa sul serio, si apre la porta a ogni sorta di fanatismo. Lasciamo che le due mani ci plasmino insieme finch non appaia la piena statura dellUomo perfetto di cui parla la Lettera agli Efesini e noi non giungiamo insieme alla pienezza di Cristo (Ef 4,12-16.24). Conclusione: per leggere di tutto cuore, cinque chiavi di lettura - Nella Scrittura tutto carit o figura di carit (Blaise Pasca!). Non vi devo cercare altro. Se cerco la carit, ne trover pi di quanto potessi sperare. Come un innamorato legge una lettera dellamata, cos devi metterti a leggere la Scrittura (Soren Kierkegaard). Tutto in attesa the rest is silence. - Il senso letterale delle Scritture Cristo (Martin Lutero). Nel pieno delle controversie sui diversi sensi - letterale, spirituale, morale, anagogico - Lutero taglia corto: tutto nella Scrittura ha direttamente a che fare con lunico Cristo Ges. Egli il senso delle Scritture (cf. Lc 24,26-27.44). A una signora che gli chiedeva: Come bisogna leggere e interpretare quel verso?, Arthur Rimbaud rispose: Letteralmente e in tutti i sensi!. - Chi nella tradizione, pu fare con un testo ci che vuole (principio rabbinico). Libert e sottomissione. Libert in piena sottomissione: paradosso che non vuole paralizzare nessuno ma che, al contrario, garantisce lautentica libert. Come cristiano, sei nella tradizione nella misura in cui realizzi il tuo battesimo: immerso nella morte di Cristo, vivi del suo Spirito, sei incorporato a lui, membro a parte intera del suo corpo ecclesiale, e ogni cosa ti destina alla gloria di Dio Padre. Cos

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radicato, ricevi lo spazio di una libert che ti consente di fare con il testo quello che vuoi (cf. la massima agostiniana: ama et fac quod vis, ama e faci che vuoi). - La Scrittura la corda, la tradizione larpa (immagine rabbinica). Tendi la corda sullarpa - la tua tradizione - e suona! Daltronde le Scritture di per se stesse illuminano bene le Scritture: Dio parla bene di Dio (Blaise Pascal). - Le Scritture sono come cinquanta porte. Se riesci ad aprirne una, ne troverai ancora una cinquantina di chiuse. Vaavanti: ad ogni porta aperta, ti troverai di fronte ad altre cinquanta chiuse (un rabbino a Origene). C qualcosa di inesauribile nella ricerca del senso delle Scritture. Cinquanta il numero della Pentecoste: c bisogno di unesperienza nobilitata dallo Spirito. Non se ne viene mai a capo: tutto sempre nuovo, apertura continua, sovrabbondante ricchezza di un Amore che ci colma al di l dei nostri pi grandi desideri. - Padre, nelle tue mani affido il mio spirito (Lc 23,46 = Sal 31,6). Ges, Parola di Dio diventata carne e lettera, morto su una parola della Scrittura. Tutti e quattro gli evangeli gli mettono sulle labbra il versetto di un salmo (Sal 22,1 in Mc e Mt; Sal 31,6 in Lc; Sal 22,16 in Gv). Leggere e morire. Leggere perfino nella morte. Qual il versetto della Scrittura nel quale ci apprestiamo a morire? La nostra vita forse altro che un allenamento a leggere con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima, con tutta la nostra mente e con tutte le nostre forze? Ogni tentativo di lettura gi una morte nella quale il Cristo immortale viene a nascere. Questa la nostra unica speranza (cf. Rm 8,24; 15,23).

Capitolo III SECONDA COLONNA: IL DONO DELLA PREGHIERA


5 Introduzione: la dimensione sacerdotale 10 La seconda colonna che sostiene il mondo ci fa volgere verso Dio, verso il santo e il trascendente, sviluppando cos la dimensione sacerdotale dellesistenza. Il sacerdote biblico luomo della preghiera, del culto, del servizio divino (avod), del tempio. Spetta alla sua sapienza distinguere le cose mondane da ci che sacro e ordinare cos una vita su Dio (cf. Lv 11,47, e anche i vv. 44-46). Il sacerdote maestro nellarte di dividere e separare. Nella versione sacerdotale del racconto della creazione Dio crea separando (cf. Gen 1,1-2,4): separa la luce dalle tenebre, lalto dal basso, il giorno dalla notte, ogni cosa secondo la sua specie, ed cos che esse diventano ci che sono. Pi grande la separazione, pi sar importante la creazione. un dato da tener presente nelleducazione: come un bambino riceve un nome e un volto dal momento in cui separato dalla madre, cos un figlio sar tanto pi grande quanto pi sar stato esposto a una profonda separazione dal padre. Lordine sacerdotale viene a situarsi in mezzo alle altre due colonne, fra la luce dellintelligenza e loperativit dellazione, fra la rivelazione divina e la messa in opera politica. Nella Tor, o Pentateuco, il libro del Levitico occupa il posto centrale: i rabbini dicono che compie la transizione tra la rivelazione al Sinai e la conquista della terra promessa. Con troppa facilit il lettore contemporaneo tentato di saltare queste pagine legislative poste al cuore della Tor, cos come nel vissuto si tentati di passare senza transizione dallintelligenza delle cose allatto. Queste pagine sono indispensabili, ci dicono i commentatori ebrei, per entrare in un rapporto giusto con la terra. Lesperienza conferma che ogni precipitosit di questo genere ha effetti deleteri, mentre colui che predispone in ogni cosa un tempo intermedio, e sa fare silenzio e adorazione, si rivela ben pi. creativo ed efficace nella vita pratica. La figura simbolica della dimensione sacerdotale nella tradizione ebraica Aronne, luomo della pace. Infatti la sua funzione consiste nel mediare nientemeno che la pace. Cos come la finalit di ogni preghiera in ambito ebraico sempre quella grande pace, dono di Dio, che colma tutte le nostre speranze e ogni nostro desiderio. Basti ricordare lantichissima benedizione sacerdotale di Nm 6,22-26: al termine dellazione sacrificale i sacerdoti, figli di Aronne, benedicono il popolo invocando per tre volte il Nome di Dio e concludendo tutto con lultima invocazione: Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace. Chi accoglie Aronne e gli d lo spazio necessario al cuore della propria vita, porta la pace sulla terra; chi invece si costruisce il proprio universo senza Aronne, assomiglia, n pi n meno, a un terrorista, fosse pure con le migliori intenzioni di questo mondo! Leremita e il cenobita 45 Sempre la tradizione monastica ha saputo riconoscere la preghiera come un carisma a lei affidato: la preghiera il suo primo dovere, il suo respiro. Il monaco vive in essa come un pesce nellacqua; egli lha sposata - cos i testi antichi tentano di suggerire il

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posto che occupa la preghiera nella vita di un monaco -. Ora, la tradizione ci ha consegnato due tipi di monaci che, proprio per il loro contrasto, sono un esempio per ogni tipo di preghiera. Da una parte vi leremita, che si sa chiamato a compiere tutto da solo, nellassoluto isolamento; dallaltra c il cenobita che, come indica il nome greco, conduce la sua vita (bios) in comunit (koinos, koinonia): mangia, lavora, dorme e prega praticamente sempre in comunit, con un minimo di vita privata. Nellambito della preghiera leremita ha una sola regola: pregare incessantemente. Qualunque cosa faccia, mangi o dorma, la sua preghiera non deve conoscere interruzione. Nessuna regola canonica per lui, nessun breviario imposto: egli non ha che da ascoltare il suo cuore. Il cuore gli insegna a inserirsi nello Spirito, docile alle sue sollecitazioni, modificando attivit e occupazioni in vista della vigilanza, continua, ancorato come vuol essere in una perenne supplica e azione di grazie. Leremita vive senza obblighi: egli pu fare di tutto, in tutto cerca il suo compiacimento, che il compiacimento dello Spirito di Dio in lui. Tutto il contrario, invece, per il cenobita: questi non fa nulla che non sia previsto! Una regola e un superiore determinano tutti i suoi atti, fino alla preghiera: prega a ore fisse, seguendo uno schema ben preciso, secondo una misura da non infrangere. Egli vi si deve attenere sette volte al giorno, anche la notte, allora indicata. Segue un calendario, e i suoi tempi di preghiera si piegano alle stagioni: questo lo mette in contatto con la creazione intera, con la chiesa universale, perch ovunque questi momenti si ritmano sul sole e la luna. In tal modo i cenobiti rivivono tutta la storia della salvezza (dallAvvento alla Pentecoste, e fino alla Parusia), di anno in anno. In ciascuno di noi abitano un eremita e un cenobita. Di pi, in ogni cenobita vive un eremita e in ogni eremita batte un cuore di cenobita. Luno e laltro ci dicono qualcosa di essenziale sulla preghiera. 1. Leremita ci insegna a pregare incessantemente. In definitiva la preghiera sgorga ininterrottamente. Ges, Paolo, Luca, tutti ce lo imprimono nel cuore: Pregate senza stancarvi, costantemente, senza interruzione (cf. Lc 18,1; 21,36; At 10,2; 1 Ts 5,17). Non si pu sapere cosa sia la preghiera se essa si arresta in noi. La preghiera continua va di pari passo con lazione dello Spirito santo in noi, come dice in maniera incomparabile Paolo in Rm 8,26, e come dice anche Isacco il Siro:
Chi porta in s lo Spirito di Dio e gli offre ospitalit nel proprio cuore e nel proprio spirito diviene tempio dello Spirito santo. Mangi, dorma o vegli, la preghiera gli aderisce allanima. I semplici movimenti del suo spirito purificato sono altrettante voci silenziose che nel segreto fanno salire verso lInvisibile la loro salmodia.

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2. Il cenobita, dal canto suo, ci insegna a pregare giorno dopo giorno a ore fisse. cos che lorante si integra nella comunione universale, il popolo radunato dalla parola di Dio, lunico corpo di Cristo. Molte tradizioni ritengono che la forza di questa preghiera comunitaria sia di gran lunga superiore a quella di ogni preghiera individuale. E questo in sintonia con un antico detto ebraico: Dove prega la comunit, l si trova la Shekin - cio labitazione ,divina -, allo stesso modo in cui si ritiene sia presente nel Santo dei Santi. Invece: Chi si sottrae alla preghiera comunitaria si sottrae alla Shekin. I monaci copti ci trasmettono lo stesso insegnamento nel racconto di una visione:
Cera una volta un monaco che vegliava pregando incessantemente ma non assisteva agli uffici comunitari. Una notte gli apparve una colonna luminosa che si elevava sino al cielo e brillava al

di sopra del luogo dove erano riuniti i fratelli. Vide anche un lumicino che tracciava dei cerchi attorno alla colonna; talora fiammeggiava vividamente, poi si spegneva quasi del tutto. E poich il monaco era stupito da tale visione, ricevette da Dio la spiegazione: La colonna che vedi, sono le preghiere dei molti fratelli: esse si innalzano fino a Dio e il Signore le gradisce. Il lumicino la preghiera di coloro che vivono in comunit sottraendosi agli uffici prescritti. Prendi dunque parte alla preghiera comunitaria. Dopo, se lo vuoi e lo puoi, dirai la tua preghiera personale (dal Libro del Paradiso).

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E noi a che punto siamo? Sono pi numerosi di quanto non pensiamo coloro che sanno cosa vuol dire la preghiera continua. Mi ricordo di un giovane che conduceva una vita molto attiva: infaticabile, vendeva vetture giapponesi a soldati americani in Germania Ebbene, un giorno disse queste parole: Sai, Dio sempre accanto a me, in tutto ci che faccio. Certe infermiere piene di dedizione sanno come nel loro andirivieni, attraverso tutto, non devono lasciare il loro cuore. Esse vivono in Dio e di Dio, semplicemente. A tali persone pu essere utile ricordare il cammino del cenobita. Accettando di pregare in certi momenti stabiliti dalla comunit dei credenti, esse scopriranno una nuova dimensione: il legame vissuto con il corpo di Cristo in cui trova unit dinanzi a Dio, giorno dopo giorno, tutto luniverso creato. Daltra parte, molta gente prega fedelmente a ore fisse. Certuni si alzano presto, quand ancora notte, certi altri vegliano ancora unora alla sera, altri ancora riservano un tempo per Dio nel cuore della giornata. A costoro pu essere utile presentare la via delleremita: Cerca e scopri da te stesso che cosa vuol dire per te pregare incessantemente. Penetra nello Spirito che abita in te, e che dallinterno sostiene la tua preghiera .
Il beato Epifanio, vescovo di Cipro, aveva in Palestina un monastero. Il suo abate un giorno gli mand a dire: Grazie alle tue preghiere non abbiamo trascurato la nostra regola, ma con zelo celebriamo lora prima, terza, sesta, nona, e lufficio del lucernario . Ma egli li rimprover con queste parole: Evidentemente trascurate le altre ore del giorno astenendovi dalla preghiera. Il vero monaco deve avere incessantemente nel cuore la preghiera e la salmodia (Epifanio 3, in Vita e detti I, pp. 184-185)10.

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I fratelli che sono al lavoro veramente lontano e che non possono accorrere in oratorio allora fissata - e se labate verifica che realmente cos - celebrino lopera di Dio l dove sono impegnati, piegando le ginocchia con divino tremore. Analogamente, coloro che son mandati in viaggio non vadano oltre le ore stabilite, ma le celebrino come possono e non trascurino di offrire la prestazione del loro servizio (RB 50,1-4). A. Pregare nello Spirito La preghiera cristiana si compie nello Spirito. lo Spirito che libera in noi la preghiera e la nutre. Alla base di ogni preghiera specificamente cristiana c questa fede e questa coscienza che lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perch nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili (Rm 8,26). Perci pregare non altro che lasciare che lo Spirito, ricevuto nel battesimo, raggiunga tutta la nostra vita profonda, i nostri desideri, le nostre aspirazioni primarie. Si tratta di permettere al Consolatore, allo Spirito santo di abitare le nostre parole, i nostri lamenti, i nostri sospiri. Si tratta di 10 Vita e detti dei padri del deserto, a cura di L.Mortari, voll. I-II, Roma 1986.

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scoprire come egli pu liberarci al cuore stesso dei nostri dolori del parto e concederci la libert del Figlio, fino a farci gridare: Abb! Padre! (cf. Rm 8,15.19-23). Tocchiamo qui il nucleo essenziale della preghiera vissuta. Questi accenti possono sorprendere, apparire strani, nuovi, assolutamente inauditi. Eppure, nulla pi tradizionale, pi antico, pi prossimo alle origini. Noi siamo preghiera. Lo siamo a partire dallincarnazione e dal mistero del nostro battesimo. Siamo preghiera in virt dello Spirito che ci stato conferito al momento della nostra immersione nella morte e resurrezione di Ges. Sarebbe quindi vano voler misurare la nostra vita di preghiera, volerla valutare in base a questo o a quel sentimento che noi possiamo provare durante o dopo un momento di preghiera. Ancora prima di provare qualcosa, io so, per fede, che lo Spirito di Dio abita in me e che gli effetti della sua presenza sono: intercessione, liberazione, trasformazione nellobbedienza del Figlio, glorificazione. La sola cosa che conta ripartire ogni volta da questunica base: spezzare il nostro cuore, frantumarlo, se necessario (cf. Sal 51!), fino a raggiungere questo fondamento saldo come una roccia. Lo Spirito padre dei poveri (Veni, pater pauperum: linvocazione di Pentecoste); povero, impotente da me stesso, sprovvisto di tutto e ignorante, io sprofondo nella mia debolezza e grido: Signore, abbi piet!. A ragione i sapienti hanno potuto dire: non si pu assolutamente imparare a pregare con maestri diversi dal profondo stesso del nostro cuore. Giovanni Climaco dice apertamente: Come nessuno pu aprirti gli occhi per guardare e vedere, cos nessuno ti insegner ad assaporare la bellezza della preghiera. La preghiera possiede in se stessa il suo maestro. Prima o poi, talora in giovanissima et, o tutta un tratto nel pieno della maturit, impariamo a riconoscere in noi ci che affonda le proprie radici in Dio. Hadewych scrive in una lettera: Non so come, ma ci che era Dio in me era umano, e ci che era umano era Dio. In ciascuno di noi c un luogo dincontro, uno spazio aperto, un posto di accesso in cui lo Spirito tocca il nostro spirito con tutto il suo tatto, in cui Dio e luomo si trovano e non arrivano pi a distinguere flusso e riflusso. Lacqua che io vi dar diventer in voi sorgente che zampilla per la vita eterna (cf. Gv 4,14). La parola di Ges alla samaritana presso il pozzo di Giacobbe esprime questa meraviglia: lacqua versata in una bacinella o in un serbatoio non diventa mai una sorgente, ma colui che accoglie lo Spirito di Ges riceve una sorgente zampillante per la vita eterna. Pregare non quindi innanzitutto una questione di volont, di sforzi di riflessione o di posizioni adeguate del corpo. Paradossalmente, ci che conta quando preghiamo che la nostra attenzione, la nostra volont e il nostro atteggiamento fisico ci permettano di sfuggire a noi stessi, elevando ci al di sopra di noi. Chi ancora cosciente di pregare non veramente in preghiera (Antonio). Dove si situa in noi questo luogo in cui Dio e luomo si trovano lun laltro? La ricerca di questo luogo impegna tutta una vita: ogni uomo, ogni donna di preghiera lo deve scoprire in se stesso, in se stessa, in maniera personalissima. Nella tradizione ci sono quelli che lhanno trovato alla sorgente della loro respirazione, al punto zero dellinspirazione e dellespirazione, quasi inafferrabile, ogni volta sfuggente. Altri lhanno trovato al vertice, al punto estremo delle loro conoscenze intellettuali e spirituali, l dove lo spirito puro e libero vinto dallamore, fuori di s. Altri ancora sono arrivati a discernere alla radice della loro volont un momento verginale: e hanno riconosciuto che l Dio nascosto in loro.

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Talora nella profondit del cuore che lo si trova, nellabisso delle viscere di misericordia , luogo biblico delle emozioni sconvolgenti, di umanit senza limiti e di scambio damore. Nessuna potenza dellanima o dello spirito ha il monopolio in questo campo. Ognuno dovr cercare nel proprio cuore e nella propria vita questo punto fecondo e vulnerabile, incomparabilmente unico. Nessuno lo scopre, tuttavia, se non si assume il rischio di consegnare senza difesa, allapprossimarsi di Dio, la parte pi debole che c in lui, il suo lato pi tenero. La porta della preghiera per tutti la povert umana, la miseria pi intima e pi cocente, lesperienza dellimpotenza, dellabbandono, dellangoscia esistenziale. Beato luomo che conosce la propria debolezza: questo per Isacco il Siro il punto di partenza di una vita di preghiera sovrabbondante. Beato chi, perduto e sofferente, grida, supplica, sospira e si ostina a chiedere sempre. Pregare allora ricevere nella fede nuda e oscura la forza di Dio, la sua piet, la sua parola stessa. stata lesperienza di Paolo e di chiss quanti oranti dopo di lui: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza (2Cor 12,9). Con Agostino qui si tocca e si toccati da questAltro in me, pi me stesso di me. QuestAltro, pi me stesso di me, come ridir Paul Claudel, colui che pregando, sospirando, intercedendo, mi libera, mi rapisce, mi offre in pienezza la dignit e la maturit del Figlio libero, Ges. Sotto molti aspetti, ecco lessenziale: ci che dobbiamo sempre custodire davanti agli occhi e far crescere interiormente questa confidente vulnerabilit per unaltra libert nella nostra intimit, per una forza e una bont compassionevole nella nostra debolezza e profonda impotenza, per uno slancio divino e unispirazione spirituale quando siamo arrivati alla fine delle nostre migliori intenzioni. L sgorga la vera preghiera, linizio di una vita spirituale, povera e resa libera.
Lo Spirito in noi Lo Spirito si rivolge al nostro spirito per attestarci interiormente che siamo figli di Dio. E lui che grida in noi: Abb, Padre! Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza. Noi infatti nemmeno sappiamo come bisogna pregare; ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inenarrabili, e Colui che scruta i cuori sa qual laspirazione dello Spirito, poich egli intercede per i santi secondo i desideri di Dio (cf. Rm 8,15-16.26-27). Colui che giunto alla preghiera ininterrotta giunto al vertice della virt. diventato la dimora dello Spirito santo, poich lo Spirito non cessa di pregare in lui. Mangi, dorma o vegli, la preghiera gli aderisce allanima. I semplici movimenti del suo spirito purificato sono altrettante voci silenziose che nel segreto fanno salire verso lInvisibile la loro salmodia (Isacco il Siro). Colui che ha trovato il Signore non ha altro scopo nella sua preghiera, poich allora lo Spirito stesso parla nel migliore dei modi nel suo cuore con gemiti inenarrabili (Giovanni Climaco). Dalla debolezza allazione di grazie

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Beato luomo che conosce la propria debolezza, poich questa conoscenza in lui il fondamento, la radice, il principio di ogni bont. Quando un uomo ha appreso e sperimentato la propria debolezza, concentra la propria anima fuori della vanit che ottenebra la conoscenza, e custodisce in s come un tesoro la vigilanza. Ma nessuno pu sperimentare la propria debolezza se non gli stato concesso, per quanto poco, di essere provato dalle sofferenze del corpo o da quelle dellanima. Confrontando allora la propria debolezza con laiuto di Dio, conoscer la grandezza di questo aiuto. detto che solamente laiuto di Dio salva. Quando un uomo sa di essere sprovvisto dellaiuto divino, prega in abbondanza, e pi prega pi il suo cuore si fa umile.

Un cuore spezzato e umiliato, Dio non lo disprezzer (cf. Sal 51,19). Fin tanto che il cuore non si fatto umile, gli impossibile in realt sfuggire alla distrazione. Infatti lumilt raccoglie il cuore. Appena un cuore si fatto umile, lo avvolge la compassione, e allora il cuore sente il soccorso divino. Scopre che cresce in lui una forza, la forza della fiducia. Quando luomo sperimenta cos il soccorso di Dio, quando sente che egli l e viene in suo aiuto, subito il suo cuore ricolmo di fede. Comprende allora che la preghiera il rifugio del soccorso, la sorgente della salvezza, il tesoro della fiducia, il porto al riparo dalla tempesta, la luce di coloro che sono nelle tenebre, il sostegno dei deboli, il rifugio nel tempo delle prove, laiuto quando pi forte la malattia, lo scudo che libera nei combattimenti, la freccia lanciata al nemico. In una parola, la moltitudine dei beni entra in lui mediante la preghiera. Egli trova la sua delizia ormai nella preghiera della fede. Il suo cuore risplende di fiducia. Non si accontenta pi del semplice calore di un tempo n del semplice linguaggio della bocca. Quando ha compreso tutto questo, egli possiede la preghiera nella sua anima come un tesoro. E tanto grande la sua gioia, che egli fa della sua preghiera unazione di grazie. Ecco, l c davvero ci che ha detto Colui che ha dato a ogni cosa la sua forma: la preghiera gioia, esprime lazione di grazie, la gratitudine. Una tale preghiera cos quella che si compie nella conoscenza di Dio, cio quella che viene da Dio. Luomo infatti prega ormai senza la minima fatica. Nulla forzato o costretto come avveniva in precedenza, prima che egli avesse sperimentato questa grazia. Ma nella gioia e nello stupore del cuore, con gemiti inenarrabili, fa sgorgare ininterrottamente le azioni di grazie. Cos, portato dalla conoscenza e meravigliato dinanzi alla grazia di Dio, egli dice la sua gratitudine e parla al colmo dello stupore. Tutti questi beni sono dati alluomo a partire dal momento in cui egli conosce la propria debolezza (Isacco il Siro).

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B. Pregare con parole per mezzo del Figlio 1. Pregare vuol dire far nostre le parole

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Pregare vuol dire recitare delle preghiere, far nostre le parole ripetute nelle formule. Nella tradizione giudaico-cristiana il primo elemento della preghiera sono le parole. Sono il tramite per eccellenza della preghiera. Non tutte le culture passano necessariamente attraverso la parola per accedere alla preghiera. Alcuni meditano avendo come unico mezzo un determinato suono, altri negano sistematicamente ogni parola o immagine o oggetto e si elevano per questa via drastica verso una coscienza dilatata e verso lilluminazione. Il cristiano, seguendo i passi delluomo biblico, prega servendosi di parole. Possiamo restarne stupiti. Si pu constatare nelluomo biblico una fiducia nelle parole: egli addirittura un innamorato della parola. Di pi: Dio Parola. interamente comunicazione, personale quanto il colloquio dellamico con lamico. In principio era la Parola, il Verbo. La primissima cosa che si dice di Dio nelle Scritture non che egli esiste, bens che egli parla. Ora la sua prima parola : luce. Dio disse: Sia la luce! (Gen 1,3). Luomo biblico si ricorda sempre con gioia di questa forza illuminante che la Parola possiede. Dice il Sal 119,130: Quando la tua parola si apre, tutto si illumina; essa d discernimento ai semplici; oppure, secondo una versione pi iconica ma non meno fedele: Le tue parole sono le porte verso la luce. Luniverso biblico privilegia la Parola quale mediazione tra Dio e luomo, e per quanto dipende da Dio, questo Verbo luce, ogni volta e sempre di pi. Una seconda ragione per i cristiani di aderire alle parole, con piena fiducia, che la Parola si fatta carne. In una meditazione sullincarnazione Paul Ricoeur scrive: La Parole est devenue mot (La Parola diventata parola). La Parola originaria letteralmente diventata una parola di tutti i giorni. Dio fatto uomo, lincarnazione, che cosaltro significa, dora innanzi, se non che ogni parola assunta dalla Parola di Dio?

Credere allincarnazione significa credere che ogni parola in potenza una preghiera. Come non far uso allora, con rispetto e passione, della lingua imparata sin dalla prima infanzia, per entrare in relazione con Dio nella preghiera? In forza dellincarnazione, infatti, il nostro linguaggio umano pi quotidiano porta in s la possibilit di un dialogo da Dio a Dio.
In principio, quando Dio cre il cielo e la terra, la terra era deserta e vuota, e la tenebra sopra labisso; e lo Spirito di Dio aleggiava sopra la superficie delle acque. E Dio disse: Sia la luce!. E la luce fu. Dio vide che la luce era buona. Dio separ la luce dalla tenebra. Dio chiam la luce giorno e la tenebra la chiam notte. Ci fu una sera, ci fu un mattino: primo giorno (Gen 1,1-5). In principio era il Verbo e il Verbo era rivolto verso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio rivolto verso Dio. Tutto fu fatto per mezzo di lui e nulla di ci che fu fatto fu fatto senza di lui. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini e la luce brilla nella tenebra e la tenebra non lha compresa (Gv 1,1-5). Quando la tua parola si apre, tutto diventa luce; essa d discernimento ai semplici (Sal 119,130).

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Nelloscurit spunta una luce per i giusti, Egli buono, misericordioso e giusto (Sal 112,4). Quando lanima in ascoltotutto ha lingua ci che vive,il pi dolce mormorioporta un segno, ha un linguaggio:foglie ed alberi fra lorosi sussurrano parole,alto parlano con gioiasvelte acque di torrente,venti, prati e nubi in cielomessaggeri del Dio santotrasmettono discretiil misterioso Verbo quando lanima in ascolto (Guido Gezelle).

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2. La memoria genera la preghiera 45 Tanto in oriente quanto in occidente ogni momento di preghiera inizia con la recita di preghiere conosciute. La liturgia bizantina esemplare da questo punto di vista: una liturgia ordinaria ha inizio con la recita sottovoce del Padre nostro, del Credo o professione di fede, del Gloria Sono le preghiere ordinarie, che si ritiene siano conosciute a memoria da tutti. Un solista le intona e ciascuno le dice in silenzio per conto proprio. Queste preghiere non hanno altra funzione che quella di aiutarmi a concentrarmi: mi distaccano da tutto il resto e mi fanno convergere sullessenziale. Mi riportano al mio cuore profondo, fino a render mi nientaltro che attenzione alla sola

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presenza di Dio, al suo nome, al suo volto. Ogni cultura della preghiera inizia dal prendere familiarit con una serie di preghiere a cui si pu attingere in qualsiasi momento. Molti nostri contemporanei non arrivano pi a pregare perch mai nessuna preghiera si impressa in loro. La memoria il grembo della preghiera personale. Pi preghiere noi conosciamo a memoria, o parole di Ges o passi della Scrittura, maggiori sono le possibilit che un giorno o laltro questa o quella parola sussulti in noi, come il bambino nel seno della madre, e che si riveli a noi stessi, spezzando la morsa dei nostri imprigionamenti. La maggior parte delle parole che dicono davvero qualcosa non possono essere colte al primo impatto. Bisogna affidarle alla nostra memoria profonda, vegliare accanto ad esse, cullarle nel nostro cuore con pazienza, finch non venga il tempo della maturit. Impariamo a memoria, dunque! Non esiste via migliore per imparare dal di dentro le cose essenziali. Insegniamo ai nostri figli e ai giovani a declamare grandi testi. Tra dieci o ventanni, tutta un tratto, capiranno un verso dal di dentro, e allora mondi si apriranno per loro. Quali sono le preghiere che conosco a memoria? Con quali formule a me familiari posso iniziare e concludere la giornata, il mio lavoro, il mio pasto? Quali sono i testi che porto dentro di me come punti fermi, i testi con cui voglio vivere e morire?
Custodire la parola Gilles, diciassette anni, stava morendo di un cancro alla gola. Dopo alcune settimane di coma profondo, eccolo rientrare in s, sorprendente mente lucido. Un giorno, alcune settimane prima della morte - ci racconta sua madre - si mette a gridare: Bossuet! Dammi Bossuet!. La madre scorre lo scaffale dei libri e individua il manuale di letteratura francese. Si mette a sfogliare e trova le pagine dedicate a Bossuet. San Paolo! San Paolo!, precisa Gilles, con la sua voce roca. E infatti, ecco tutta una pagina di un panegirico di Bossuet per la festa dellapostolo Paolo. E il malato, ritrovata la pagina, tutto felice di rileggere lespressione che lo ossessionava. Il sermone di Bossuet era continuamente scandito dalla frase latina: Cum infirmor, tunc potens sum (Quando sono debole, allora che sono forte!: 2Cor 12,10). Quella pagina Gilles laveva dovuta imparare a memoria in collegio lanno prima. Ma solo ora, sul letto di morte, la parola di Paolo si apriva a lui in tutto il suo significato. Chiese che gli si copiasse quel versetto, a grandi lettere, per parlo bene in vista allaltro capo del letto. entrato nella morte illuminato da quella parola custodita (Gilles M.). Maria custodiva tutte queste parole e le meditava nel suo cuore (Lc 2,19). Il giovane Antonio era cos attento alla lettura delle Scritture che nulla di quanto vi era scritto cadeva a terra, ma ricordava tutto e la memoria stava al posto dei libri (Atanasio, Vita di Antonio 3, p. 103)11. Un fratello chiese ad abba Filemone: Perch, padre, ti riempi di dolcezza col salterio pi che con tutta la divina Scrittura, e perch salmeggiando pronunci le parole come se dialogassi con qualcuno?. Ed egli a lui: Ti dico, figlio, che Dio ha impresso, nella mia umile anima, il significato dei salmi, come al profeta David, e io non posso separarmi dalla dolcezza delle mistiche visioni dogni genere che sono in essi. Essi, infatti, comprendono in s tutta la Scrittura divina. Forzato da molte richieste, narrava queste cose per utilit a chi lo interrogava, e con molta umilt (Filocalia II, p. 360)12.

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11 ATANASIO, Vita di Antonio, Apoftegmi, Lettere, a cura di L. Cremaschi, Roma 1984. 12 La Filocalia, a cura di Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto. Traduzione, introduzione e note di
M.B. Artioli e M.P. Lovato, voll. I-IV, Torino 1982-1987.

3. Dalla supplica alla lode 5 Pregare consiste nel compiere un dato movimento. Le parole che facciamo nostre quando preghiamo si concatenano seguendo un movimento che importante percepire bene per aderirvi nella maniera pi lucida possibile. A questo scopo prenderemo in considerazione pi da vicino il salterio, che costituisce il modello per eccellenza della preghiera vocale. I centocinquanta salmi formano il libro di preghiera essenziale non solo al cuore della Bibbia ebraica ma anche nella pratica della chiesa. Ogni ebreo nasce con questo libro nelle viscere, dir Andr Chouraqui. E ogni monaco cristiano riceve il salterio fin dalla culla della sua avventura monastica. Lo impara a memoria prima di comprendere tutto ci che vi detto. Ci si potrebbe chiedere se ogni credente non debba, almeno una volta nel corso della vita, avere loccasione di familiarizzarsi in maniera profonda con i salmi I salmi rivelano un movimento unitario: passano dalla supplica alla lode. Questo appare evidente quando si studia (con Claus Westermann, per esempio) la struttura dellinsieme della raccolta. I salmi di lamento o di supplica sono tutti riuniti nella prima met del salterio; i salmi di azione di grazie e di lode sono tutti nella seconda met. Chi percorre in ordine progressivo i cinque libri del salterio invitato a passare dalla supplica allazione di grazie, dal lamento alla lode. Ma anche allinterno di uno stesso salmo, se lo si esamina attentamente, si pu osservare la medesima dinamica: il salmista prega, geme, supplica, per finire nella dossologia riconoscente. Da tutto ci emerge in modo netto che ci sono in fondo al cuore delluomo formato dalla Bibbia due forme essenziali di preghiera: la supplica e la lode. Sono i due polmoni della preghiera vocale. Nella salmodia queste due fonti non cessano di succedersi e di alternarsi. lo supplico fino a poter di nuovo lodare. Numerosi studi hanno inoltre mostrato che la supplica generalmente preceduta da una lode. Essa si radica infatti nellesperienza dellalleanza e trova il suo fondamento nel vissuto passato in cui il salmista ha conosciuto la festa e le lodi. Egli supplica perch ha potuto lodare e fino a poter lodare di nuovo. Tanta gente del nostro tempo non pi capace di gemere alla maniera biblica. La supplica si smorza in gola, soffocata. Conosciamo, s, la lamentela, lo scontento, la rivendicazione, riusciamo in qualche modo a brontolare; ma per lo pi ci induriamo di fronte al tragico, ci chiudiamo in un orgoglioso mutismo, e abbiamo vergogna a gridare, a gemere, a supplicare con tutto il nostro cuore. Non abbiamo imparato a lodare e a rendere grazie, e non sappiamo verso chi potremmo gridare. Il grido di Ges in croce, troppo spesso presentato come unesclamazione disperata, in realt un perfetto esempio di preghiera biblica: Eloi, Eloi, lama sabachtani? (Dio mio, Dio mio, perch mi hai abbandonato?: Mc 15,34). E cos che si apre il grande Sal 22: colui che grida comincia col lodare. A due riprese riconosce, fin nel suo abbandono, colui a cui si sa, malgrado tutto, unito: Dio mio, Dio mio. Il possessivo indica il legame, la ripetizione parla di amore. Egli chiama per nome lAmato, nella maniera pi personale. Chiunque supplica in tal modo, finir per lodare di nuovo. Chiunque grida cos, grida fino a poter ancora lodare. E infatti il seguito del salmo non rinvia solamente alla lode di prima, al tempo passato (vv. 4-6), ma porta lorante fino a lodare di fatto il suo Dio in mezzo allassemblea: Ridir il tuo Nome ai miei fratelli. Da te viene la mia lode! Nella grande assemblea sciolgo i miei voti (cf. vv. 23-26). Il cerchio si allarga: la terra intera, tutte le famiglie delle genti e persino le generazioni future si

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associano alla dossologia del Signore unico. Nulla di sorprendente, dunque, se fin dalla prima generazione i cristiani hanno riletto questo salmo come la preghiera pasquale di Ges, cominciata sulla croce e portata a compimento con la vittoria della risurrezione e la missione a tutte le genti. Pregare dunque supplicare e lodare: supplicare fino a poter di nuovo lodare Dio con tutto il cuore; supplicare perch si potuto un giorno lodare Dio e si imparato a rendergli grazie. A ciascuno il compito di ritrovare questo movimento unificante nel profondo delle proprie viscere, quando prega.
Lazione di grazie, ultimo grado delle forme di preghiera Gloria a Dio nellalto dei cielie pace in terra agli uomini che Egli ama.Noi ti lodiamoti benediciamoti adoriamoti glorifichiamoti rendiamo grazie per la tua gloria immensa( inizio del Gloria). Poi vengono, al quarto posto, le azioni di grazie (cf. 1Tm 2,1 e Fil4,6). Quando lanima considera mentalmente i favori passati del Signore e quelli di cui vien ricolmata al presente, oppure spinge il suo sguardo nel futuro, verso linfinita ricompensa che Dio prepara a coloro che lo amano, invitata a ringraziare con indicibile slancio. Questa considerazione sospinge talvolta a pregare pi diffusamente, perch - contemplando i premi preparati ai santi nella vita futura - lanima si sente portata a effondere davanti a Dio le sue fervide azioni di grazie con immensa consolazione spirituale (Cassiano, Conl. IX,14, in Conferenze spirituali, p. 384)13.

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4. La preghiera: il cuore si accorda con la voce 30 Pregare con parole, con formule trasmesse, unarte che simpara lentamente. La parola che ci sale alle labbra non sempre viene dal cuore; ma vero anche linverso: ci che ci rode il cuore non sempre trova la sua espressione in una preghiera mormorata con le labbra. Facendo veramente nostre le parole, noi ci apriamo una strada fino alle profondit di noi stessi. Il nostro tumulto interiore, questi grandi brandelli di sofferenza respinta, il disordine dei sentimenti che ci fanno vergogna, tutto, attraverso la preghiera dei salmi, sfocia in uno squarcio di luce. Lasciati vincere, e non peccare pi, dice il salmista, e lesperienza ci insegna che il campo della fede in questa vittoria si dilata con gli anni, fino a che il Signore e lui solo non ci invade totalmente con la sua misericordia. lattenzione a ogni parola, nello stupore, nellabbandono, che fa emergere dal profondo del cuore laccordo fra il detto e lesperito. Possiamo pregare con passione, con desiderio ardente: si tratta sempre di inserirci nel desiderio che impregna il salmo o la formula di preghiera. Pi si apriranno in noi questi spazi profondi, ogni volta che pregheremo, meno saremo distratti. Anche le formule pi semplici, ripetute instancabilmente, non restano pi in superficie. Lostacolo, come alcuni talora affermano, di una preghiera memorizzata e recitata a memoria senza soffermarsi su di essa, cade da solo, allora. Non soltanto si arricchisce la memoria con ogni sorta di preghiere familiari, ma si impara anche a captare immediatamente, in un cuore diventato vulnerabile, ogni parola che ci raggiunge dallinterno o dallesterno. Agostino ha scritto il racconto della propria vita dandogli come titolo: Confessiones. In quanto convertito, si era dato alla preghiera della chiesa, i salmi, e dalle sue righe non 13 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze spirituali, a cura di O. Lari, voll. I-IlI, Alba 1965.

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solamente affiora la lingua dei salmisti, ma tutta la confessione del suo peccato diventa essa stessa salmodia, lode e azione di grazie per tutto ci che Dio ha compiuto in lui. Noi riconosciamo qui chiaramente lazione dei salmi: essi raggiungono lessere umano nelle pieghe pi tortuose di un cuore che resiste, e vi irradiano una tale luce che questo cuore frantumato e vinto non pu pi esprimersi se non con la lode.
La bocca e il cuore Insegna alla tua bocca a dire ci che il tuo cuore racchiude (Poemen 164, in Vita e detti II, p. 122). Insegna al tuo cuore a custodire ci che insegna la tua lingua (Poemen 188, in Vita e detti II, p. 128).

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Nel salmodiare stiamo in modo tale che la nostra mente si accordi con la nostra voce (RB 19,7). Crea in me, o Dio, un cuore purorinnova in me uno spirito saldo.Signore, apri le mie labbrae la mia bocca proclamer la tua lode (Sal 51,12.17).

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Il desiderio prega sempre,anche se la lingua tace.Se desideri sempre, sempre pregherai.Quando si assopisce la nostra preghiera?Quando si raffredda il nostro desiderio. Non preghiamo con parole, ma con ci che portiamo nel cuore: con lattenzione della nostra mente, con un amore puro e un desiderio semplice e unificato (Agostino).

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Duro come la pietra, tenero come lacqua La natura dellacqua molle, quella della pietra, dura. Ma un vaso appeso sopra la pietra gocciola gocciola e fora la pietra. Cos anche la Parola di Dio tenera ma il nostro cuore duro. Tuttavia, se luomo ascolta spesso la Parola di Dio, il suo cuore si apre a temere il Signore (Poemen 183, in Vita e detti II, p. 127). Con tutto il cuore
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Avveniva talora che larchimandrita Macarios durante gli uffici passasse da un fedele allaltro. Il prete Ostromyslensky pot osservare un giorno il fatto seguente: vide che coloro ai quali si rivolgeva il padre Macarios si animavano tutta un tratto e si mettevano a pregare con grande fervore. Uno di essi ha raccontato pi tardi come quel santo padre procedeva: Si avvicin e mi disse: Come preghi? Su, preghiamo insieme. Didopo di me: Padre nostro, che sei nei cieli. No, no esclam - dillo con pi ardore, con tutto il cuore: Padre nostro, che sei nei cieli!. E io ripetei: Padre nostro, che sei nei cieli, questa volta con pi intensit, con profondo sentimento. Ma egli mi riprese: No, no, dillo con fervore e con forza: Padre nostro, che sei ,nei cieli! . Il mio cuore si mise a battere con violenza, alzai allora la voce e mi misi a gridare dal pi profondo dellanima: Padre nostro, che sei nei cieli!. Ecco - mi disse cos che devi pregare!. E si rec da un altro (Testimonianza russa del XIX secolo).

5. Dalle tante parole alla parola unica 50 bene cominciare lasciando fluire per un pole parole. Uno, due, tre salmi di seguito ci introducono nel clima, ci aprono, ci liberano a poco a poco dagli ormeggi che ci tengono ancorati a noi stessi. Molti hanno labitudine di pregare ancora un pola sera, dopo il carico di una giornata, individualmente o in comunit. E spesso si sente dire: Dio, questi salmi! Non va proprio! Non ci riesco. No, non fa per me . E non di rado

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si lascia perdere. Ecco, avviene nella preghiera come per una pompa dacqua in una fattoria: allinizio si pompa, si pompa Ne esce un gemito, ma lacqua non viene. Solo dopo che si pompata via laria - e a volte ci vuol tempo, quando il pozzo profondo -, lacqua sale, da s. Non c pi bisogno allora di pompare con forza: non c che da assecondare il movimento dellacqua che sgorga. Ebbene, i primi salmi di un tempo di preghiera sono come questa fase di avvio in cui viene pompata laria. Ecco perch i testi pi antichi parlano di perseveranza nella preghiera. Il piccolo io che si prende sul serio, ben calato nel ruolo impartitogli dalla societ, laria che bisogna far uscire dalla pompa. Lio deve distaccarsi dalla persona, in modo che lAltro in me, pi me stesso di me, possa raggiungermi. Dopodich si pompa tranquillamente fino a essere effettivamente raggiunti, aperti dal di dentro, in una fatica beata, nella pace dellabbandono, amati nella nostra stessa impotenza. Ai giovani monaci che desiderano pregare una giornata o una parte della notte si consiglia di pregare tre, sei, dodici salmi di seguito, o tutto il primo libro (Sal 1-41), per iniziare fino a che non si cade su un versetto che ricolma. Un versetto che riduce al silenzio e d un senso di pienezza. Bisogna ruminarlo, questo versetto, fino a che una sola parola baster. Come per Ges sulla croce. La preghiera vocale, soprattutto nella salmodia solitaria, cresce da s verso la parola unica, verso il Nome che salva, verso Ges. Il movimento nascosto nella preghiera vocale sfocia in un silenzio santo in cui solo il Nome santificato di Dio irradia, salva, attira (cf. Gv 12,32) e riconcilia. Pregare significa essere attenti a questo movimento: non forzarlo, no, ma prenderne lentamente coscienza, permettergli di portarci allaltra riva del flusso di parole, fino al greto silenzioso che santifica il Nome Unico. Unantica catechesi del deserto egiziano dice tutto questo con forza in poche parole:
Alcuni chiesero ad abba Macario: Come dobbiamo pregare? . Lanziano rispose: Non c bisogno di vane parole (cf. Mt 6,7), ma di tendere le mani e dire: Signore, come vuoi e come sai, abbi piet di me. Quando sopraggiunge una tentazione, basta dire: Signore, aiutami. Poich egli sa che cosa bene per noi e ci fa misericordia (Macario lEgiziano 19, in Vita e detti II, p. 19).

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Da questo detto possiamo trarre alcuni insegnamenti: 1. Si prega anzitutto con il proprio corpo, in un atteggiamento non solo di offerta, ma anche di unione con lofferta di Ges sulla croce. 2. Si prega con poche parole, come ha insegnato Ges, e anzi sempre con meno parole: la preghiera si concentra e sfocia in un grido di tutto lessere. 3. Il monaco riprende le parole del Signore al Getsemani e vive dunque la lotta della preghiera in unione con lagonia del suo maestro. 4. Il monaco si aggrappa alla parola di Ges e alla fede: Dio sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo (cf. Mt 6,8). 5. Infine il monaco esprime la propria fiducia che si fonda sullesperienza: Egli ci fa misericordia.
Il servizio divino del santo anziano [Filemone] era questo: nella notte cantava tutto il salterio e i cantici tranquillamente, e diceva una pericope del vangelo. Poi si sedeva, da solo, e diceva: Signore, piet cos intensamente e a lungo da non poter pi emettere la voce. Dopo, prendeva sonno e poi, di nuovo, intorno allalba cantava lora Prima, e sedeva al suo posto, rivolto verso oriente, salmeggiando successivamente per le seguenti Ore e, di nuovo, recitando a memoria

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dallapostolo e dal vangelo. Cos ogni giorno perseverava incessantemente nella salmodia e nella preghiera e cibandosi della contemplazione delle realt celesti; cos che spesso il suo intelletto era portato in alto nella contemplazione, ed egli non sapeva pi se era sulla terra (Abba Filemone, Discorso utilissimo, in Filocalia II, pp. 359-360).

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Perseverare nella preghiera con una sola parola Una sera, mentre Simeone stava pregando e ripeteva interiormente: O Dio, abbi piet di me, peccatore, ecco sgorgare allimprovviso sopra di lui una forte luce che veniva da Dio. Tutta la cella ne fu inondata. Il giovane monaco non sapeva pi se era allinterno della sua cella oppure fuori sotto una tettoia. Tuttintorno a lui non cera che luce. Non sapeva neppure pi se era ancora in questo mondo. Non aveva pi paura di inciampare, non aveva pi nessuna preoccupazione mondana. Gli sembrava di essere diventato una cosa sola con quella luce divina. Pensava di essere diventato lui stesso luce e come sottratto alla terra. Lacrime di una gioia ineffabile gli sgorgarono dagli occhi Non aveva ancora avuto lesperienza di una tale rivelazione, e nel suo stupore non cessava di gridare ad alta voce: Signore, abbi piet di me!. Ma di ci si rese conto solo una volta che fu tornato in s Molto pi tardi, quando la luce a poco a poco era andata diminuendo ed egli si ritrov per davvero con il corpo nella sua cella, il suo cuore era ancora ricolmo di una gioia inesprimibile, e si rese conto che stava ancora gridando ad alta voce: Signore, piet di me! (Niceta Stethatos, Vita di san Simeone il Nuovo Teologo). Il beato padre Francesco, ogni giorno pi ricolmo della grazia dello Spirito santo, si adoperava a formare con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando loro, con principi nuovi, a camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa povert e della beata semplicit. Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritir, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: O Dio, sii propizio a me, peccatore ! (Lc 18,13). A poco a poco si sent inondare nellintimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominci come a uscire di s: langoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nellanimo per timore del peccato, scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato da tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di s e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente, pot contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza si dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro (Tommaso da Celano, Vita prima 26, in Fonti francescane, p. 432)14. Ogni parola diventa Nome

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Quando qualcuno prega semplicemente, le parole della sua preghiera non hanno in s ancora nessuna vitalit. E solo il Nome di Dio, quando compare in mezzo ad esse, a conferir loro una vita nuova. Quando tu dunque pronunci le parole: Baruk attaAdonai (Benedetto tu, Signore), la vita entra in ci che dici solo a partire dal momento in cui pronunci la parola Signore. Ma il vero maestro della preghiera ti insegner che ogni parola che tu pronunci un Nome di Dio: Baruk dice il suo Nome, Atta un Nome, Adonai il Nome (Insegnamento chassidico).

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C. Pregare il Padre senza parole Al di l delle molte parole

14 Fonti francescane, voI. I, Assisi 1977.

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La preghiera perseverante, inizialmente ricca di tante parole, ci porta a un limite che sconfina in un silenzio nuovo, sconosciuto. Tutti gli antichi trattati sulla preghiera ci parlano di questo limite con un linguaggio fatto di sapidi paradossi e immagini piene di contrasti. Ecco allora lantico adagio che risale ai padri greci ma che il medioevo latino ha trasmesso e ritradotto nelle pi svariate forme: La misura della preghiera senza misura; Il limite della preghiera di essere illimitata; La definizione della preghiera indefinita; Il modo o la forma di pregare sine modo (san Bernardo), wieseloos (Ruusbroec e i mistici renani), cio senza modo e senza forma. C nella preghiera un al-di-l senza limiti, indeterminato, senza nessuna forma. Meglio parlarne il meno possibile, per evitare illusioni e fantasmi, perfettamente inutili per ogni vita spirituale. Lorizzonte ultimo della preghiera consiste proprio nel non offrire alcun orizzonte. E per di basilare importanza che colui che prega sappia che c questo limite al di l di ogni limite, e che ci dato sin dallinizio dellesperienza orante. La preghiera perseverante cela sempre unesperienza di nudit, di solitudine e di estraneit rispetto a tutto ci che ci familiare e comparabile, al punto che noi siamo continuamente inclini a prendere la fuga. Al fondo della preghiera perdurante - che sempre un procedere di fede in fede, e nullaltro! - si nasconde un momento abramico. Abramo per eccellenza luomo solo. La sua fede monoteistica unica, senza modelli: egli non pu guardare n avanti n indietro. Non ha nulla e nessuno in cui specchiarsi. Suo padre era idolatra, giocava nella tenda con statuette di di , ricorda il Midrash. Abramo, arameo errante, non ha dinanzi a s che queste due immagini spaventose di solitudine: il cielo stellato sopra di s e la sabbia sotto i piedi sulla riva del mare Ora Abramo, forte della sua fede pura e libera, fa alleanza con lUno, con questo Dio che fa alleanza. E il Signore glielo accredit come giustizia (Gen 15,6). Egli rilegge la sua strana solitudine cosmica come un linguaggio di fertilit che gli assicura una posterit, una storia, una crescita nel tempo. Germe, fin dora, della vera speranza messianica. Chiunque sottoscrive lavventura di una vita di preghiera dovr passare per la cruna dellago abramico, se vuole restar saldo, se vuol divenire come Abramo benedizione e aver parte al mistero del suo nome: padre di moltitudini di popoli . Lal-di-l o laltra riva della preghiera vocale il silenzio. Un giorno un eremita mi consegn questa parola unica, piena della sua esperienza vissuta, come una perla nel cavo della mano: Il silenzio la preghiera perfetta. V un silenzio al di qua delle parole, allorch la nostra povert o addirittura la nostra angoscia ci impedisce di articolare il minimo suono. Silenzio freddo, lugubre, che incute terrore. Ma v anche un silenzio pieno di calore, straripante di vita: al di l di ogni parola. L tutto fuoco, ardore su ardore, incommensurabilmente. La soglia che d accesso a questa preghiera di fuoco, come lhanno chiamata i padri monastici, lazione di grazie. Si tratta della forma pi alta della preghiera vocale. Come tale, lazione di grazie non concerne solamente i benefici ricevuti nel passato o quelli vissuti nel presente: si estende anche a ci che occhio non vide, n orecchio ud, n mai entr in un cuore di uomo, ma che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Cor 2,9). Pregare e ringraziare gi fin dora per la festa che viene up esercizio molto conosciuto dalla tradizione. E applicandovisi, ci dicono i padri, che il cuore si mette ad ardere e la preghiera diventa fiamma. In Isacco il Siro lo stupore a costituire il luogo di una tale trasformazione di tutto lessere. Il cuore rapito da ci che non pi in grado di cogliere n di comprendere della Bellezza e dellabissale Bont: pu solo accoglierle, nello stupore, mentre gli si

fanno incontro. Alcune testimonianze, riportate a modi punteggiato, vogliono per lo meno segnalare che questaltra riva esiste e che questo al-di-l in grado di riempire il cuore umano di timore e di gioia, di felicit e di una povert che giunge allestremo della spoliazione, di una misericordia, infine, che si estende a tutta la creazione, a cominciare da ci che vi di pi miserabile. Isacco il Siro scrive:
Che cos un cuore misericordioso? un cuore che brucia per tutta la creazione: per gli uomini, per gli uccelli, per le bestie, per i diavoli, per ogni creatura. Basta che pensi ad essi o li guardi perch i suoi occhi si mettano a versare lacrime. Cos forte e cos intensa la sua compassione, cos grande la sua costanza, che il suo cuore si spezza, ed egli non pu sopportare di udire la minima sofferenza o la pi piccola tristezza sulla terra. Perci egli prega ogni istante per gli animali senza intelligenza, per i nemici della verit e per tutti coloro che gli fanno del male, perch siano preservati e sia loro perdonato. Nellinfinita misericordia che sale dal suo cuore egli prega, a immagine di Dio, anche per i serpenti. Silenzio Di Goethe il detto: Se sai fare silenzio, allora sarai aiutato!. Meister Eckhart insegna: in silenzio che Dio pronuncia la sua Parola eterna nellanima. Del grande cercatore che era Kierkegaard detto: Via via che la sua preghiera si faceva pi intensa, egli aveva sempre meno da dire. Infine divenne completamente silenzioso. Divenne silenzioso e - cosa che in pi grande contraddizione ancora con la parola - divenne ascoltatore. Dapprima credette che pregare volesse dire parlare. Dovette imparare che pregare non solo tacere ma ascoltare. E cos infatti: pregare non vuol dire ascoltarsi parlare. Pregare significa: divenire silenzioso, essere e rimanere in silenzio fino a che colui che prega non oda Dio (von Drckheim). Il giubilo o il necessario al-di-l delle parole

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Cantate a lui come si conviene, nel giubilo (Sal 32[33],3 Vulgata). Infatti cantare nel giubilo cantare come conviene a Dio. Che significa cantare nel giubilo? Significa comprendere che le parole non potrebbero esprimere ci che il cuore canta. Infatti coloro che cantano, sia durante la mietitura sia durante la vendemmia sia durante un altro lavoro che li appassiona, dopo aver cominciato col far esplodere la loro gioia nelle parole dei canti, tutta un tratto, come ricolmi a tal punto di gioia da non poterla pi esprimere a parole, non pronunciano pi le sillabe delle parole e si abbandonano a gridi inarticolati di giubilo. Quei suoni di giubilo significano che il cuore produce sentimenti che la parola non pu esprimere. E a chi conviene questo giubilo se non al Dio ineffabile? Dio ineffabile, infatti, poich le parole non possono esprimere ci che egli . E se non puoi parlare, e tuttavia non puoi nemmeno tacere, che ti resta se non il trasporto del giubilo? Che ti resta se non che il tuo cuore rimanga muto nella gioia e la tua allegrezza si dilati allimmenso senza lasciarsi rinchiudere nei limiti di qualche sillaba? Cantate a lui come si conviene, nel giubilo (Agostino, Enarr. in Ps XXXII,8). La preghiera di fuoco

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Pu accadere che unanima, giunta a questo stato di vera purezza e in esso gi inizialmente radicata, assommi in un medesimo tempo tutte le forme di preghiera. Allora essa vola da una allaltra forma come una fiamma viva e insaziabile ed effonde davanti a Dio preghiere purissime e vigorose, preghiere che lo Spirito santo in persona formula - a nostra insaputa - con gemiti inenarrabili. In quel momento lanima concepisce e diffonde ineffabilmente nella preghiera unabbondanza di sentimenti che in altro tempo non sarebbe capace di esprimere a parole e neppure di trattenere nella mente. quella preghiera di fuoco che pochissimi conoscono per scienza e per esperienza un grado di preghiera che chiameremo ineffabile. Questa sorpassa ogni sentimento umano. Non c pi suono della voce, non pi movimento della lingua, non articolazione di parole. Lanima -

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avvolta nei profluvi della luce celeste - non usa pi le piccole parole del linguaggio umano. Somigliante a fonte ricchissima, lascia uscire in gran copia i suoi sentimenti e li sospinge a Dio con impulsi potenti. In un solo istante dice tante e tante cose che poi, quando ritorna in s, non saprebbe n ridire n ricordare. Nostro Signore, presentandosi a noi come modello dellorante, ci ha dato anche un saggio di questo stato. Ci fu quando si ritir nella solitudine della montagna e quando, nella sua agonia con un esempio inimitabile di ardore - sparse per tutta la terra gocce di sangue (Cassiano, Conl. IX,15.25, in Conferenze spirituali, pp. 386,398).

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D. Leucaristia Prima di passare alla terza colonna, soffermiamoci un istante ancora sulleucaristia, la frazione del pane, come erano soliti chiamarla i primi cristiani (cf. At 2,42; v. 46: spezzavano il pane in questa o quella casa; Lc 24,30.35). Lespressione, in tutta la sua concisione e concretezza, ha assunto valore tecnico di parola chiave per la prima identit cristiana. Nella sua qualit di quarto elemento della catechesi di base della comunit di Gerusalemme (cf. At 2,42), la frazione del pane non costituisce semplicemente una colonna minore in mezzo alle altre tre: leucaristia non piuttosto il compendio e la celebrazione degli altri tre elementi, e in quanto momento-sintesi non precisamente lespressione essenziale della nostra esistenza cristiana? In essa noi ritroviamo la Parola, la preghiera e latto di amore radunati in unit, con unintensit che a un tempo ancora attesa e insieme realizzazione. 1. Fra la koinonia e la preghiera Il posto che lautore degli Atti d alla frazione del pane nel sommario (At 2,42) situa questo gesto fra il polo della vita comune e quello della preghiera. I credenti erano assidui a:

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30 - linsegnamento degli apostoli - la koinonia (o vita comune) - la frazione del pane - la preghiera. 35 Questa successione rivela una tensione sensibile gi sin dalla prima generazione, ma che dato di sperimentare anche ai nostri giorni, dopo venti secoli di trasmissione cristiana. Concretamente significa: che leucaristia un pasto, condivisione fraterna, e che azione sacrificale, offerta, preghiera, culto. Nella misura in cui la celebrazione eucaristica fa corpo con la vita della comunit, laccento sar posto sullaspetto di pasto: noi non possiamo condividere il pane tra di noi se non a condizione di vivere realmente la koinonia, dando dunque a ciascuno secondo i suoi bisogni, e questo sia sul piano etico sia su quello politico. Nella misura, invece, in cui leucaristia vissuta sotto lo sguardo di Dio, nella preghiera, sar accentuata la dimensione cultuale: celebrare leucaristia una grande preghiera di lode e di azione di grazie compiuta in assemblea cultuale. Nellatto eucaristico si riconoscer sempre una tensione fra laspetto profetico e quello sacerdotale, fta letica e il culto, fra il pasto e lofferta . E buona cosa coltivare questa tensione anzich eliminarla, per esempio ostinandosi in maniera esclusiva su uno solo di questi due poli. Ges nellevangelo (Mt 5,23 s.), Paolo ai

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cristiani di Corinto (1Cor 11,17-34), Evagrio nel deserto di Egitto, tutti sottolineano il legame indissolubile tra lautenticit di un momento di preghiera e lesigenza di vivere fraternamente in pace.
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Lascia la tua offerta - detto - davanti allaltare e prima vaa riconciliarti con il tuo fratello, e allora verrai e pregherai senza turbamento. Infatti il risentimento acceca la suprema potenza dellanima di chi prega e oscura le sue preghiere. (Evagrio, Discorso sulla preghiera 21, in Filocalia I, p. 275 [sotto il nome di Nilo Asceta]). Non c preghiera in un cuore pieno di rancore (Giovanni Climaco).

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Nellespressione stessa di rompere si avverte chiaramente la duplice dimensione: rompere condividere, dunque assumere le conseguenze etiche allinterno della comunit; rompere anche offrire, donare se stesso, abbandonarsi fino alla morte, come ha fatto Ges la vigilia della sua passione e morte. Nella sua valenza pi profonda latto eucaristico conserva sempre qualcosa di questo significato cos ricco della frazione: noi rompiamo con noi stessi e abbiamo cos parte con gli altri, e rompiamo in noi per poter accogliere la libert di Ges che si offerto e aver parte alla sua offerta. Questi due movimenti non si susseguono, ma si compiono insieme nellapertura del dono veramente vissuto. Celebrare leucaristia dunque anche, in profondit, un atto festivo di rompere, in tutti i sensi, in vista della riconciliazione del mondo intero. 2. Leucaristia nella vita di Ges

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Fate questo in memoria di me (1Cor 11,24; Lc 22,19). a) Il gesto di Ges di cui noi facciamo memoria fu un gesto compiuto a tavola. Sullo sfondo dellintera sua vita, vediamo limportanza che Ges attribuiva alla tavola: si faceva invitare e invitava egli stesso. Al punto da essere trattato come mangio ne e beone da parte di certuni che non apprezzavano per nulla il suo atteggiamento (cf. Lc 7,34.). Tutto il suo comportamento aveva un che di festivo: Possono forse digiunare gli amici dello sposo mentre lo sposo con loro? (Mc 2,19). Secondo levangelo di Giovanni, la sua prima manifestazione pubblica fu di cambiare nientemeno che duecento litri di acqua in vino: e sia festa! Colpisce la sua libert: egli non esclude nessuno. Peccatori, pubblicani, prostitute: lungi dallevitare la loro compagnia, come si sarebbe potuto attendere da unautorit religiosa, egli li cerca, fa tavola comune, si lega ad essi, li riconcilia con la vita, con se stessi, con Dio. Bisogna far festa e rallegrarsi - dice in una parabola - perch tuo fratello era morto ed tornato in vita, era perduto ed stato ritrovato (Lc 15,32). Quel bisogna puramente divino: la tavola, nella vita di Ges, diventa lo spazio rivelativo dellintenzione di Dio sugli uomini. In Ges il reietto diventa leletto. Ecco come il regno dei cieli entra nella storia. b) Lultima manifestazione nella cerchia dei suoi avviene ancora una volta a tavola. Ges si congeda in piena coscienza. Quale presagio di tutto il dramma che sta per giungere, gli evangelisti ci raccontano come a Betania Ges sia ancora assiso a tavola in casa di Simone il lebbroso e come una donna anonima venga a ungerlo con un vasetto di nardo molto costoso. S, quel gesto sar oggetto di critiche, ma Ges vede ormai tutto alla luce della sua morte prossima. Secondo Giovanni, Ges laver i piedi ai discepoli: gesto sconvolgente che si imprime in loro come un ricordo indimenticabile. Con la morte davanti agli occhi Ges incide nei discepoli, con pochi tratti significativi,

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lessenza del suo messaggio. E allinterno di questo quadro che bisogna intendere il suo gesto di prendere il pane rendendo grazie e di spezzarlo dicendo queste semplici parole che tolgono il respiro: Questo il mio corpo per voi. E mentre fa passare il calice dalluno allaltro dice: Questo il mio sangue dellalleanza, versato per voi. In verit vi dico che non berr pi del frutto della vite fino al giorno in cui lo berr nuovo nel regno di Dio (Mc 14,25). Qui dunque annuncia un digiuno (non berr pi) che simbolizza la sua morte; ma c, sullaltra riva, la festa paradisiaca della fine dei tempi a cui continua a credere anche in questora. Un teologo americano ha potuto dire che ci sono soltanto due maniere di mangiare: to feast or to fast, festeggiare o digiunare. nella linea del Ges degli evangeli. Leucaristia, in quanto memoriale dellultimo pasto di Ges, riceve il suo significato da tutta la serie di pasti e di conversazioni a tavola nel corso dellintera vita di Ges. Questo ampio ventaglio di incontri trova la sua sintesi nellultimo pasto. Ogni volta con i poveri, i peccatori, i reietti che Ges viene a mettersi a tavola, per riconciliarli con Dio, oltre la morte, lui che non teme la propria morte ma ha saputo innestarla nella nuova alleanza conclusa da Dio con gli uomini. 3. Lazione

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Nella forma corrente delleucaristia si attribuisce una tale importanza alla comunicazione verbale, che si perde di vista tutta la forza del non-verbale. Ora leucaristia un dramma (dal verbo greco dro: agire), un processo che noi tutti dobbiamo subire nel nostro corpo, prima ancora di coglierne il senso mediante le parole che ci risuonano allorecchio. Lasciare le proprie occupazioni per venire in chiesa, far silenzio per ascoltare la parola di un Altro, e abbandonarsi al gesto dellofferta, poi, una volta compiuta lazione, potersi nutrire con lo stesso pane e bere al calice fatto passare dalluno allaltro, tutto ci ben pi che un messaggio: l noi veniamo profondamente trasformati. Per chi ha partecipato alla cerimonia del t secondo la tradizione zen (il cha-no-ju) questo significato chiaro. L infatti non si pronuncia nessuna parola. Si mescola acqua calda a foglie di t polverizzate, per poi offrirle nel modo pi semplice allospite del giorno. In questa manifestazione cielo e terra si aprono, cuori in sospeso Chi si radicato una volta per tutte in questo mistero eucaristico manifester in ogni suo gesto come tutto partecipi a questa offerta festiva che Ges ha vissuto nella vita e nella morte. Tutto diventer espressione di questo amore kenotico che spoliazione di se stessi. Allora prendere diventer ricevere, perdere sar dono, tutto si impregner nel contempo di gravit e di gioia, di morte e di vita. Chi presiede leucaristia prende de facto la responsabilit di esprimere questo con tutto il proprio corpo, affinch per ogni credente si imponga la verit che il Verbo si fatto carne e che a tutti dato ogni volta di aver parte a questa gioia. 4. Divenire eucaristia: limite estremo delleremita

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Sulleucaristia leremita ha ancora una cosa importante da dirci. Un eremita, anche se prete, non tenuto alleucaristia settimanale. La chiesa lo dispensa. Ci non impedisce alla maggior parte degli eremiti di celebrare con molta regolarit la messa o di ricevere la comunione. Ma in linea di principio non un obbligo. Perch? Che significa questa

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dispensa? Significa che leremita chiamato a diventare eucaristia con tutta la sua esistenza orante. Non deve pi compiere la celebrazione per s o fuori di s: tutto in lui diventato eucaristico. a questo limite estremo che siamo tutti chiamati, eremiti e non eremiti. Non perdiamo di vista questa prospettiva concreta in noi: ogni movimento interiore o esteriore, ogni comprensione della realt, noi possiamo viverli alla luce di un senso pi profondo a cui latto eucaristico ci permette di aver parte e che anzi esige da noi. Tutto diviene offerta, intercessione, comunione. Luomo eucaristico (Olivier Clment) prende corpo. Le tre colonne del mondo - la luce della Parola, il dono della preghiera, la carit operosa - sono assunte dallo Spirito ricevuto nel battesimo e trasformate in eucaristia continua. State sempre lieti! Pregate incessantemente! In ogni cosa fate eucaristia! Questa la volont di Dio per voi in Cristo Ges (1Ts 5,16-18).

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Capitolo IV TERZA COLONNA: LARTE DI AMARE


Introduzione: la dimensione profetica dellesistenza La terza colonna, nella visione dei rabbini, concerne le cosiddette opere di misericordia (ghemilut chassidim), ossia la solidariet sotto tutte le forme. Si entra qui nellambito immenso di tutto ci che ha a che fare con la dimensione etica e profetica dellesistenza e della rivelazione. Il profeta d voce al povero, alloppresso, a colui il cui diritto calpestato. Egli accusa, smaschera, svela: strutture e persone, ogni strategia condotta sotto la copertura della religione o della ragione di stato si vedono denunciate non appena lingiustizia sia manifesta. Ci che importa lautentica responsabilit delluno nei confronti dellaltro e leffettiva solidariet nei rapporti di tutti verso tutti. Dal punto di vista biblico gli appelli alla conversione, a una maggior giustizia e solidariet risuonano innanzitutto nel regno del Nord e nelle tradizioni che affondano le loro radici nel Nord (soprattutto Amos, il Deuteronomio, Geremia) 15. Prendere in mano la causa dellumiliato e del povero: non questo conoscere me? Oracolo del Signore (Ger 22,16). Assolutamente tipico per la sensibilit profetica !intervento di Elia presso Achab, il re di Israele, che si era lasciatb indurre da Gezabele, sua moglie, originaria di Sidone, a impadronirsi ingiustamente della vigna di Nabot (cf. 1Re 21). I diritti dei poveri, del forestiero, della vedova e dellorfano, sono i profeti e gli ambienti levitici provenienti dal Nord che li hanno inculcati nei cuori e fissati nella legislazione. Anche i testi strettamente sacerdotali, come la legge di santit nel Levitico, ne subiranno linflusso (cf. Dt 10,16-19; 14,29; 16,11-14; 24,17-22; 26,11-13; 27,19; Lv 19,9-10.13-18). Mos e la manna

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La profezia, nella riflessione rabbinica, incarnata dalla figura di Mos, che ha come attributo la manna. Il miracolo della manna non consiste tanto nel fatto che essa sia l, tutte le mattine, in forma di granelli di rugiada dal gusto di miele. Il vero miracolo, ci dicono i rabbini, consiste in questo: ogni mattina ciascuno trova quanto basta, secondo i suoi bisogni. N troppo n troppo poco, una misura piena che non d la stessa cosa a tutti ma a ciascuno quanto basta (Es 16,18; cf. 2Cor 8,14). Allo stesso modo il dono della profezia consiste nel fatto che chi parla tocca ciascuno degli uditori secondo il suo 15 Lo scisma politico che separ il Nord dal Sud, dopo la morte del re Salomone, riflette una differenza
molto pi decisiva di quanto non appaia a prima vista. Sia dal punto di vista economico sia da quello sociale, ma anche per quanto concerne la rispettiva storia e le loro etnie, i due regni si differenziavano profondamente. Attraverso tutta la storia biblica - ivi compresa la generazione di Ges di Nazaret - ci possibile discernere una certa tipologia fra il Nord e il Sud: si pu qualificare il regno del Nord come profetico, cio ispirato soprattutto dai profeti, e quello del Sud come sacerdotale, contrassegnato dalla visione del mondo dei sacerdoti.

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cuore. Ciascuno dice a se stesso: E per me che dice questo! Come pu conoscere ci che porto in me? (cf. At 2,7-12.37). Profezia e manna hanno questo in comune: esse risolvono il problema dellunit e della diversit nella vita comunitaria. Lo fanno senza far ricorso a maniere totalitarie e uniformanti, ma anche senza incoraggiare un certo pluralismo disimpegnato. Il modello comunitario cui mirano la profezia e il simbolo della manna conserva a tuttoggi la sua forza di interpellazione e di ispirazione per qualsiasi ordine sociale esistente. In base a questo modello ciascuno riceve in base ai propri bisogni e, bench non si tratti della medesima cosa per tutti, si vede linstaurarsi di un grande rispetto per le differenze. A partire da questo rispetto si crea una profonda solidariet, anzich una concorrenza senza freno per un egalitarismo alla fin fine superficiale. Il profeta in tutto questo lapostolo della solidariet. La ripresa cristiana

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La ripresa cristiana di questa terza colonna fu sin dal Nuovo Testamento e lungo tutta la storia della chiesa molto attenta e molto intensa. Resta per vero che ogni generazione invitata a reinventare la carit a proprie spese (Et.Cornlis). Oggi non mancano i profeti, ciascuno con il suo carisma specifico: si pensi a Madre Teresa, a Jean Vanier, a Roger Schutz, a Sr.Emmanuelle del Cairo, allabb Pierre Lamore in ambito cristiano stato identificato con il Nome stesso di Dio (cf. 1Gv 4,8.16). Come esperienza, si tratta di un evento che sorprende, sempre nuovo e altro. Amare e vivere cos lamore vuol dire entrare fino a, ma anche essere invasi da una larghezza e unaltezza, una lunghezza e una profondit la cui dismisura sorpassa ogni conoscenza (Ef 3,18-19). La nostra riflessione su questa dimensione dellesistenza vuole partire dalla ricchezza che levento di amore che fu Ges ha messo in movimento nella prima letteratura cristiana. Senza aver la pretesa di essere esaurienti, vorremmo tentare di scrutare qui e l nel Nuovo Testamento questa larghezza e lunghezza , questa altezza e profondit. Alla fine non sar troppo difficile cogliere lunit nella diversit dei testi. Che la preghiera dellapostolo nella Lettera agli Efesini sostenga la nostra ricerca e ci disponga a ricevere tutti i tesori di sapienza e di bont che sono in Cristo Ges:
Piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia prende nome nei cieli e sulla terra, perch si degni secondo la ricchezza della sua gloria di munirvi di potenza, mediante il suo Spirito, affinch si rafforzi in voi luomo interiore e faccia abitare per la fede il Cristo nei vostri cuori; radicati e fondati nellamore, voi avrete cos la forza di comprendere, con tutti i santi, che cos la larghezza, la lunghezza, laltezza, la profondit, e di conoscere lamore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, affinch siate colmati fino a ricevere tutta la pienezza di Dio. A colui che pu fare,per la sua potenza che agisce in noi,infinitamente pi di quanto domandiamoo concepiamo,a lui la gloria nella chiesa e in Cristo Gesper tutte le generazioni, nei secoli dei secoli.Amen (Ef 3,14-21).

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A. La larghezza: la koinonia (Luca) Amicizia

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Una delle caratteristiche della comunit cristiana degli inizi fu il fatto di vivere lamore reciproco condividendo i beni (cf. At 2,42). La nozione di koinonia di cui Luca si serve

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in questo contesto un termine chiave della teoria dellamicizia quale era trasmessa da secoli in ambiente greco e poi romano. Molti gruppi ascetici e filosofici, sia pagani che giudei (vedi certi scritti di Filone e di Qumran), organizzavano la loro vita su questa base di condivisione fra amici. Gli amici hanno tutto in comune (massima di origine pitagorica, ripresa da Platone e da tanti altri dopo di lui). Lamicizia : unanima in due corpi. Lamico laltra met della mia anima. Lamicizia consiste nel volere e nel rifiutare le medesime cose: idem velle, idem nolle. Gli amici hanno un solo cuore, una sola anima. Ecco alcune delle espressioni care alle cerchie che hanno fatto dellamicizia il nucleo portante del loro vivere in societ. I passi del libro degli Atti che descrivono la vita in comunit dei primi cristiani si servono abbondantemente di espressioni di questo tipo per caratterizzare la loro condotta (cf. At 2,42-47; 4,32-37; cf. anche 1,14). Quando, nel corso del terzo e quarto secolo, le forme di vita comunitaria saranno maggiormente sistematizzate, si vedranno i legislatori (Pacomio, Basilio, Agostino) riprendere spontaneamente queste testimonianze degli Atti, ben coscienti di trovarvi anche il meglio della tradizione filosofica degli antichi quanto allideale di vita sociale. Studi recenti su Agostino hanno mostrato, per esempio, quanto il suo pensiero fosse debitore su questo punto alleredit pitagorica. Proviamo a rileggere il primo capitolo della sua celebre Regola - senza dubbio il testo pi autorevole per la storia della vita religiosa in occidente-:
1. Questi sono i precetti che diamo a voi stabiliti nel monastero affinch li osserviate. 2. Lo scopo essenziale per cui vi siete raccolti in unit di abitare unanimi nella casa e di avere unanima sola e un cuore solo tesi verso Dio (cf. Sal 68,7; At 4,32). 3. E nulla dite vostro; ma ogni cosa sia tra voi comune, e cibo e vestiario sia distribuito a ciascuno di voi dal vostro preposito. Non per in misura uguale per tutti (non sono uguali in tutti le forze fisiche), ma piuttosto a ciascuno secondo il bisogno. Cos infatti leggete negli Atti degli Apostoli: che ogni cosa era fra loro comune e veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno (cf. At 4,32.35). 4. Quanti possedevano qualcosa nel secolo, una volta entrati in monastero acconsentano gioiosamente a che questo venga messo in comune. 5. Quanti invece non possedevano, non cerchino in monastero ci che fuori non potevano avere. Si venga incontro tuttavia ai bisogni derivanti dalla loro debolezza, anche nel caso che la povert di cui soffrivano quanderano fuori non potesse neppur trovare il necessario. Solo, essi non si ritengano appagati perch hanno trovato cibo e vestiario che fuori non avevano potuto trovare. 8. Vivete dunque tutti unanimi e concordi, e onorate a vicenda in voi stessi quel Dio di cui siete stati fatti templi (cf. At 4,32; 2Cor 6,16) (RA 1,1-5.8)16.

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Povert 40 Questa teoria dellamicizia appare molto affascinante. Ma essa altrettanto esigente, e la storia della spiritualit lo conferma abbondantemente. Senza alcun dubbio essa realizzabile unicamente in uno spirito ben specifico di povert. La prima povert di cui parlano le Regole e Istituzioni dei primi secoli consiste nel non possedere nulla. Chi entra in comunit cerca di regolare una volta per tutte questa tendenza ad appropriarsi di qualcosa, non importa quale. Da quel giorno non avr facolt di disporre nemmeno del proprio corpo (RB 58,25). Un simile enunciato indica 16 Cf. L. VERHEIJEN, Nouvelle approche de la Rgle de saint Augustin, Bellefontaine 1980, pp. 75-105;
201-242; 243-247. In questa sua raccolta di articoli si trova un vero commento a questo primo capitolo. Lautore mostra sia il radicamento biblico e specificamente cristiano del pensiero di Agostino, sia tutta leredit della filosofia morale dellantichit che egli porta in s (soprattutto Pitagora, Cicerone e Seneca).

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un punto estremo: si misura la sua esigenza e insieme la libert che ne costituisce lobiettivo. Ma c una seconda forma di povert che raggiunge pi direttamente lideale della koinonia degli amici: consiste nel tenere continuamente conto dei bisogni gli uni degli altri. La vita in comune organizzata in modo tale che ci si ascolti reciprocamente, cercando di individuare i bisogni dellaltro e anzi di prevenirli. In questo ascolto, nessuno arriva a pretendere per s ci di cui laltro dice di aver bisogno. In questo tipo di approccio rispettoso delle differenze tra i bisogni di ciascuno si pu rilevare un duplice riconoscimento: noi siamo tutti profondamente poveri e nel bisogno (e come costa a certuni riconoscersi tali!); per essere salvati abbiamo bisogno gli uni degli altri: s, siamo incessantemente rinviati a questo preoccuparci e farci carico tutti nei confronti di tutti. Oltre a Luca, soprattutto Paolo che approfondir questo ideale della koinonia in modo specificamente cristiano. Paolo stato fortemente colpito dal grande gesto di amore con cui Cristo si fatto solidale con noi: Da ricco che era, si fatto povero per voi, perch voi diventaste ricchi della sua povert (2Cor 8,9). A tal punto giunta la sua koinonia, il suo mettere in comune i beni. Da allora noi siamo diventati membra gli uni degli altri, compaginati insieme nel suo corpo. Egli ci ha ricolmati della sua knosis - latto libero di svuotarsi per gli altri (cf. Fil 2, 7!) - ; come potremmo ancora vivere se non per lui e per coloro che egli ha riconciliato divinamente a s mediante il dono della propria vita? E la cristologia a costituire la base per ogni forma di solidariet fra cristiani! Infatti, dov che Paolo a quellepoca, ancora Saulo - ha scoperto lamore di Cristo? E stato riconoscendo che in realt era Lui che egli persegui!ava nei cristiani trascinati dinanzi ai tribunali. E al cuore di questa conversione che si inscrive la percezione originale: ogni volto rivela il volto del Risorto. Come sottrarsi ancora alla responsabilit (cf. At 9,4-5; 1Cor 12,12-27; Rm 14,1-15; 2Cor 5,14-21)? Storicamente si vede come la maggior parte dei riformatori di ordini o di tradizioni religiose intraprenda risolutamente qualcosa di nuovo solamente a partire dal momento in cui pone la questione della koinonia in tutta la sua radicalit. Nulla pi liberante, nulla provoca in maniera cos pura la gioia. E il mondo non pu che trarne giovamento. C quanto basta per i bisogni di ciascuno, ma non ci sar mai abbastanza per la cupidigia di tutti (Gandhi). Solo i poveri sanno che cos la condivisione. I ricchi danno della loro abbondanza, del loro superfluo. Si fa appello a loro perch non dimentichino di fare lelemosina. Invece alla scuola dei poveri impariamo a dare ci che non abbiamo. E cos che Ges si presentato in mezzo a noi, lui che ha voluto arricchirci della sua povert (cf. 2Cor 8,9). Si pu mai parlare di nuova evangelizzazione come programma pastorale delle chiese doccidente senza che ci implichi concretamente una solidariet su scala mondiale? Chi vive accanto ai poveri arriva ben presto a scoprire un legame planetario impressionante. Per contro, non si vede forse il mondo dei ricchi rinchiudersi tristemente su se stesso malgrado disponga di strabi-lianti mezzi di comunicazione? Le piccole sorelle di Charles de Foucauld con la loro corrispondenza che circola da un capo allaltro del pianeta e il mappamondo in ognuna delle loro cappelle o capanne, le missionarie della carit di Madre Teresa, i foyers fondati dallArche di Jean Vanier sono altrettanti segni dei tempi che testimoniano unautentica solidariet universale. Nel XXI secolo, lamore in tutta la sua larghezza si orienter certamente secondo tali esempi. Non si d una nuova evangelizzazione effettiva se non insieme con e mediante il popolo dei poveri, gli anawim secondo il cuore di Dio, come ama chiamarli la Bibbia (cf. Sof 2,3; 3,12; Is

57,15; 66,1-2). B. La profondit: pazienza e passione (Paolo) 5 Che cos lamore? Noi non lo sappiamo. Ne abbiamo le pi svariate rappresentazioni e proiezioni e fantasmi, ma il suo segreto non ci viene consegnato cos facilmente. Paolo un maestro quanto allamore - doctor caritatis -, uno dei pi grandi, anzi, di tutta la tradizione cristiana. Alla sua scuola deve essere possibile rinvenire che cosa voglia realmente dire la parola amore. Se si leggono le sue lettere, sorprendente constatare che mai in Paolo lamore - lagape significa fare qualcosa per gli altri. Generosit, altruismo, impegno per gli altri, ecco cosa si spontaneamente portati a pensare quando, in ambito cristiano, si parla di carit. Ora in Paolo questo non avviene mai. La carit come la intende lui non mai in primo luogo caritativa! Prendiamo una delle sue pagine, tra le pi conosciute del Nuovo Testamento: linno allagape di 1Cor 13. Nel bel mezzo della sua esposizione sui carismi (1Cor 12-14), questi doni dello Spirito di cui i cristiani di Corinto sono cos desiderosi, Paolo apre la prospettiva su una via che supera tutte le altre. La comunit entusiasta era avida di esperienze di ogni genere, di estasi, e soprattutto del dono o della capacit di parlare in lingue, chiamata glossolalia. Paolo non vuole assolutamente spegnere lo Spirito, ma non vuole neppure lasciare che le cose si sviluppino anarchicamente. Il paragone del corpo, al c. 12, comincia a mettere un podi ordine: ogni forma di monopolio praticata da un dono sugli altri viene cos prudentemente esclusa. I doni hanno bisogno gli uni degli altri, si completano a vicenda, e anzi devono rispettarsi reciprocamente secondo una gerarchia ben precisa (cf. soprattutto la fine del capitolo: in primo luogo gli apostoli, in secondo luogo i profeti, in terzo luogo i dottori : 12,29-30). Il dono di parlare in lingue viene in ultima posizione Il c. 14 riprender questo tema, scendendo al livello pratico, con alcune misure concrete per le riunioni comunitarie, in attesa della venuta dellapostolo. Posto tra queste due ante, il c. 13 si presenta come una pausa e nel contempo come un momento di approfondimento in cui lapostolo Paolo cerca di cogliere la problematica nella sua struttura fondamentale: il cuore del giusto atteggiamento spirituale. Cos, a modo suo, questo capitolo viene ad appoggiare largomentazione sui carismi o doni spirituali allinterno della vita della comunit. Paolo comincia con lesortare i corinzi, tutti pieni di entusiasmo, ad avanzare, a mostrare ancora pi zelo nella loro ricerca di esperienze spirituali. Nello stesso tempo, per, li provoca a non accontentarsi se non di ci che migliore, pi sublime:
Aspirate ai carismi pi grandi! E io vi mostrer una via migliore di tutte (1 Cor 12,31; cf. 13,1314,1).

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40 Quindi in tre strofe, disposte in modo concentrico, dispiega il suo celebre inno allamore:
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I.Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non ho lamore sono un bronzo che risuona, un cembalo che fa rumore. E se avessi il dono della profezia e la conoscenza di tutti i misteri e di tutta la scienza e avessi la pienezza della fede tanto da trasportare le montagne ma non ho lamore non sono nulla. E se distribuissi tutti i miei beni ai poveri e consegnassi il mio corpo alle fiamme ma non ho lamore nulla mi giova.

II.Lamore pazienta, lamore fa il bene lamore non invidia, non si vanta non si gonfia, non fa nulla di sconveniente non cerca il proprio interesse, non si adira non tiene conto del male, non si rallegra dellingiustizia ma mette la sua gioia nella verit. Tutto copre, tutto crede tutto spera, tutto sopporta.

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III.Lamore non viene mai meno. Le profezie? Scompariranno. Le lingue? Cesseranno. La conoscenza? Sar abolita. Infatti la nostra conoscenza limitata e limitata la nostra profezia. Ma quando verr la perfezione ci che limitato sar abolito. Quando ero bambino, parlavo da bambino pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Diventato uomo, ho abbandonato ci che era da bambino. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa ma allora, faccia a faccia. Ora la mia conoscenza limitata allora conoscer cos come anchio sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre realt: la fede, la speranza e lamore. Ma di queste la pi grande lamore (1Cor 13,1-13).

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15 La prima strofa (13,1-3) sottolinea leccellenza dellagape: essa supera tutti gli altri doni o prestazioni spirituali. Senza di essa nulla sembra avere un qualche valore. La forma di questa strofa richiama certi proverbi sapienziali: Se anche uno fosse il pi perfetto fra gli uomini, senza la sapienza che viene da te sarebbe stimato un nulla (Sap 9,6; cf. Ct 8,6-7). Glossolalia, fede estatica potente, generosit eroica che tutto condivide e si spinge sino a consegnare il proprio corpo alle fiamme, tutto ci non vale nulla se manca quel non so che chiamato qui agape (amore). Grazie alla ripetizione della breve proposizione centrale se non ho lamore e al parallelismo delle conclusioni, questa prima strofa riceve la forma di una sciarada, dove si vede lagape funzionare da cifra non identificata (si pu fare un confronto con il poema sapienziale in Gb 28). Ancora oggi si resta stupiti di fronte allultima frase: come posso distribuire tutti i miei beni ai poveri e addirittura consegnare il mio corpo alle fiamme senza avere in qualche modo parte alla carit? Leffetto durto certamente intenzionale qui. Una cosa chiara: per Paolo lamore non coincide semplicemente con laltruismo o la filantropia. E del resto, unanalisi pi attenta permette di discernere che molto spesso laltruismo nasconde una forma sottile di egoismo, dove si vede laltro strumentalizzato per permettere a uno di arrivare ai propri fini. Il povero diventa allora il luogo in cui io posso esercitare le mie opere di carit e conquistarmi dei meriti Certuni hanno potuto dire, soprattutto il secolo scorso, che cos ha voluto Dio. Il povero diventa cos il mezzo di salvezza per coloro che si applicano a fare la carit. Che questa carit un potroppo paternalistica non sia cos pura, evidente. Ma al giorno doggi c in agguato il pericolo che, per evitare lo scoglio di un amore troppo condiscendente o interessato, non si sappia pi che farsene dellamore del prossimo e che il cuore si mostri diffidente ogniqualvolta ci porta a provare simpatia oppure compassione. Pu essere utile ascoltare a questo riguardo linsegnamento plurisecolare di abba Poemen:
Un fratello disse ad abba Poemen: Se do a mio fratello un podi pane o qualche altra cosa, i demoni macchiano questa azione come se fosse fatta per piacere agli uomini. Gli disse lanziano: Anche se fatta per piacere agli uomini, avremo tuttavia dato al fratello ci di cui ha bisogno. E gli raccont questa parabola: Vi erano due agricoltori che vivevano nella stessa citt. Luno, dopo aver seminato, ricav un podi raccolto non puro. Laltro, che non si era dato cura di seminare, non ricav assolutamente nulla. Se sopraggiunge una carestia, chi dei due avr da vivere?. Quello che ha avuto il raccolto scarso e non puro, rispose il fratello. Dice lanziano: Seminiamo dunque anche noi un poco anche se impuro, per non morire di fame

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(Poemen 51, in Vita e detti II, pp. 95-96)17.

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Nella seconda strofa (13,4-7) si vede comparire lagape in persona, trionfante, come una gran dama, che nulla pu trattenere, splendente nella gloria. Ci che si dice di lei allinizio e alla fine la sua pazienza, la sua longanimit, la sua capacit di portare e di sopportare: lamore pazienta, tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Per otto volte si nega che lamore possa adirarsi per qualcosa o scandalizzarsi o innervosirsi. Nessuna vanit, nessun vanto, non il minimo ripiegamento su se stesso, nessun interesse per la propria sussistenza. In forma positiva detto che lamore gioisce in accordo con la verit e che nullaltro se non bont che si fa servizio (vv. 4-6)18. La prima e la seconda strofa si contrappongono: ci che manca nelluna, regna nellaltra; ci che domina la prima - questo io onnipresente, tutto assetato di esperienze e di prestazioni - totalmente assente nella seconda strofa, dove detto in maniera netta: lagape non cerca il proprio interesse. Ogni ripiegamento su di s, ogni movimento riflessivo di natura narcisistica le diventato totalmente estraneo. E questo un concetto caro allapostolo (cf. Fil2,4.21; 1Cor 10,24.33). Di fronte al soggetto impegnato attivamente in ogni sorta di prestazioni nella prima strofa, ecco apparire nella seconda lo splendore tutto particolare di una soggettivit passiva. Questa passivit consiste nel saper portare, soffrire, subire, pazientare, credere, sperare con una gioiosa fiducia, con unamabilit radiosa. Lamore qui passione in tutti i sensi del termine: capacit di soffrire (pati), di essere paziente, ma anche ardore appassionato. La terza strofa spinge la riflessione sullagape fino al limite della fine dei tempi. Allora appare tutto il contrasto con i doni segnalati: la profezia, la conoscenza e soprattutto last but not least, agli occhi dei corinzi! - il dono di parlare le lingue. Ebbene, lagape non potr scomparire, mentre tutto il resto, glossolalia compresa, segnato da una fragilit inerente. Ognuno dei tre doni cos tanto valorizzati (cf. la prima strofa e il contesto) sar abolito e cesser. Solo lagape chiamata a perdurare19. E cos che i nostri corinzi - e noi con loro! vengono educati. Assolutamente degno di nota in questo capitolo il fatto che mai venga nominato Dio, o Cristo, o la chiesa, corpo di Cristo, o lo Spirito santo! Paolo parla dellessenziale, di ci che pi sublime, evitando come di nominarlo. Canta il suo inno di lode servendosi di una lingua velata. Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti. Senza dubbio la prospettiva pi sublime ha assolutamente a che vedere con la struttura fondamentale della vita secondo lo Spirito. Ora, altrove nelle sue lettere Paolo comunica con grande rigore e con forza come 17 Il punto di vista di Paolo, per quanto concerne lo zelo buono della carit, si manifesta con la massima
chiarezza in occasione della celebre colletta da lui organizzata a favore dei poveri di Gerusalemme: in tutte le comunit cristiane di origine pagana da lui fondate egli raccomanda lattenzione per i santi di Gerusalemme (cf. 1Cor 16,1-4 e soprattutto 2Cor 8-9). 18 Il verbo chresteuetai (v. 4) non compare nella letteratura greca antica. La traduzione latina (Vulgata) ha: benigna est; lAmbrosiaster: iucunda est. Lidea quella di bont, con una sfumatura di gioia: gentile, kindly si direbbe in inglese, ricordando il testo poetico di Newman: O kindly Light (Luce gentile). Probabilmente a determinare la creazione di questo verbo stata la volont di riferirsi a Cristo senza tuttavia nominarlo espressamente. Infatti, pronunciato secondo litacismo corrente, il verbo in questione si legge christeuetai Ma si tratta di un argomento tanto difficile da provare quanto da confutare. 19 da notare che ai vv. 11 e 12 lapplicazione dei paragoni (il bambino che balbetta e lo specchio dallimmagine confusa) concerne rispettivamente il dono di parlare in lingue e quello della visione profetica (cf. Nm 12,6-8). Il dono della conoscenza compare invece nellultimo membro (v. 12a). Cos la triade del v. 8 viene ripresa e come argomentata dai vv. 11 e 12. La terza strofa ha quindi una forma analoga alla prima: leccellenza dellagape si manifesta attraverso un triplice confronto.

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situarsi esattamente:
Non sono pi io che vivo, Cristo che vive in me (Gal 2,20).
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Tutto possoin colui che mi d forza (Fil 4,13). Per grazia di Dio sono quello che sono, ho faticato pi di tutti loro, non io per,ma la grazia di Dio che con me. (1Cor 15,10-11).

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Attraverso queste poche affermazioni, per quanto concise, ci possibile accedere al pensiero di Paolo sullamore in 1Cor 13. Perch dunque la sua visione passiva piuttosto che attiva? Perch Paolo non vede lagape nella realizzazione delle nostre migliori intenzioni e delle nostre imprese pi grandiose? Lamore per Paolo Qualcuno. Non n una virt, n un dono, n una qualit morale, n una caratteristica, per quanto sublime, dellanima. Paolo ha conosciuto lamore di Ges, il Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). Chi mi separer dallamore di Dio manifestato in Ges Cristo (cf. Rm 8,35-39)? Sulla via di Damasco si visto afferrare dallamore che lha toccato, sconvolto, letteralmente invaso. Egli infatti si lasciato conquistare. Poich la prima cosa richiesta per conoscere lamore e per manifestarlo la vulnerabilit, laccoglienza, la disponibilit a lasciarsi toccare. Allora emerge lidentit, liberata da ogni ripiegamento su se stessa, senza boria alcuna, vuota di s e ricca dellAltro che ci ama. La passivit consiste dunque nel non fare in nessuna maniera schermo, n esteriormente n soprattutto interiormente, allAmore manifestato in Ges. Lasciati amare e faci che vuoi. Ecco perch tutte le esortazioni dellapostolo appaiono ogni volta come delle varianti alla celebre espressione di Fil 2,5: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Ges (Fil2, 1-4 illustra mirabilmente come lapostolo stesso si sia spostato nelle viscere di Cristo e parli ormai unicamente a partire da quel luogo). Lamore in profondit, al quale Paolo ci apre laccesso, si scopre a partire da una vulnerabilit che accoglie lamore personale di Dio come un Altro in me, pi me stesso di me, secondo la gi citata espressione di Paul Claudel. Cos il buon samaritano che Ges introduce nella sua catechesi dellamore in primo luogo un uomo vulnerabile, che ha viscere, capace di subire nel profondo e di compatire. Letteralmente sta scritto: Fu preso alle viscere e facendosi vicino gli fasci le ferite versandovi olio e vino (Lc 10,33-34). La misericordia biblica (in ebraico: rachamim) linguisticamente imparentata con matrice (rachem), e secondo lanalisi che ne fanno i rabbini, la matrice qualcosa che esiste unicamente in vista dellaltro da s 20. Chi misericordioso non agisce secondo un codice di prescrizioni morali ma, toccato nel pi profondo di s, non pu far altro che accorrere e compiere tutto ci di cui capace per aiutare laltro. Lamore-in-profondit: chi ha riconosciuto questo amore appare, secondo lapostolo, pi forte di ogni resistenza, pi forte delle delusioni, delle umiliazioni e anche delle 20 Cf. E. LVINAS, Du sacr au saint. Cinq nouvelles lectures talmudiques, Paris 1977, p. 158: Che
significa innanzitutto il termine Misericordioso, Rachmana, che ricorre costantemente in questo testo? Significa la Tor stessa o lEterno, lEterno che si definisce attraverso la Misericordia. Tuttavia questa traduzione del tutto insufficiente. Rachamim - Misericordia, evocata dal termine aramaico Rachmana viene da rachem, che vuol dire utero. Rachamim il rapporto dellutero con laltro di cui in lui avviene la gestazione. Rachamim dunque la maternit stessa. Dio misericordioso: Dio definito dalla maternit. C il commuoversi di un elemento femminile in fondo a questa misericordia.

persecuzioni. Siamo fieri delle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la perseveranza, la perseveranza la fedelt provata, e la fedelt provata la speranza. Ora, la speranza non delude, poich lamore di Dio stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci stato dato N la morte n la vita n alcunaltra creatura potr separarci dallamore di Dio, manifestato in Cristo Ges, nostro Signore (Rm 5,35; 8,31-39). C. La lunghezza: reciprocit nella disuguaglianza (Matteo)

10 Nellevangelo secondo Matteo ci viene inculcato con forza come tutte le prescrizioni della Legge e i Profeti trovino la loro radicalit e la loro pienezza nel duplice comandamento dellamore: Amerai il Signore tuo Dio e: Amerai il tuo prossimo come te stesso (cf. Dt 6,4 e Lv 19,7) 21. Alla fine dei tempi, nel giudizio, conter unicamente ci che avremo o non avremo fatto, e riguarder essenzialmente le opere di misericordia, chiamate anche le opere del Cristo (cf. Mt 16,27; 25,35-40; 11,2.5.19). Al margine e al centro 20 Nel raccomandare lamore del prossimo Matteo pone accenti e introduce sfumature che rivelano una nuova dimensione nella dinamica dellamore. Al c. 18, chiamato da alcuni il discorso comunitario, ci mostra Ges che pone up bambino in mezzo ai discepoli che discutono. E la sua risposta alla domanda su chi sia il pi grande nel Regno. Ecco il vero punto di riferimento e il polo strutturante della comunit matteana. Poco oltre, sempre allinterno di quel discorso, e pi esattamente alla conclusione della parte centrale, Ges dir: L dove due o tre sono riuniti nel mio Nome, io sono in mezzo a loro. Comera per il bambino, cos per Ges con la sua parola: l, nel mezzo, ugualmente disarmante e conciliante. Quando lescluso diventa leletto per eccellenza La dinamica della comunit matteana riceve la sua forza esplosiva dal fatto che a ogni istante il marginale si vede scelto come centro, sullesempio del bambino che Ges prende e pone in mezzo ai discepoli. Nessuno pu trovarsi a tal punto al margine della comunit da non divenire immediatamente, in virt della parola di Ges, il suo nuovo centro. Una tale concezione e pratica della vita comunitaria provoca uno spostamento costante dei margini del gruppo esistente. La leva di questa dinamica di gruppo esplosiva la risurrezione di Cristo stesso. Lui, la pietra che i costruttori hanno scartato, diventato pietra angolare, pietra scelta, come dir Pietro (cf. 1Pt 2,6-11). Rigettato dalla comunit degli uomini, il giorno di Pasqua egli lEletto per eccellenza, e si canta per lui il salmo Osanna: Ecco lopera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi (Sal 118,23; cf. Mt 21,9.40-43). Ormai i peccatori, i pagani, e chiunque stato proscritto dalla comunit religiosa per qualche impurit, si vedono scelti, eletti, e diventano i destinatari privilegiati della buona 21 I testi, appartenenti esclusivamente a Matteo, abbondano: oltre alla discussione in Mt 22,34-40 (che
costituisce una ripresa originale di Mc 12,28-34), cf. Mt 5,17.21-48; 7,12; 9,13; (misericordia io voglio e non sacrificio, citazione di Os 6,6, ripresa in Mt 12,7); 19,18 (dove alle parole del decalogo viene aggiunto Lv 19,17 sullamore del prossimo); 25,35-36.40.

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novella. Il pubblicano Matteo si vedr non solo chiamato alla sequela di Ges, ma a far parte del collegio dei Dodici, conservando il proprio epiteto, in origine assai poco rilucente, ma portato ormai come un titolo di nobilt (cf. Mt 9,9; 10,3) 22. Lamore non un privilegio, se non quello di renderci responsabili di riconoscere negli altri il volto nascosto del Messia che non cessa di dire: lo ero forestiero, malato, carcerato, assetato, nudo, e mi hai accolto, visitato, consolato (cf. Mt 25,35-40). Disuguaglianza e reciprocit

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Ma siamo noi in grado di discernere i tratti del Messia nellultimo della nostra comunit o societ? Siamo in grado di continuare a offrire la reciprocit messianica come hanno fatto Giovanni e Ges nel loro incontrarsi nelle acque del Giordano? Nellevangelo di Matteo, infatti, si vede il maestro e precursore riconoscere nel discepolo che viene dietro a lui, colui che pi grande: Colui che viene dietro a me pi potente di me (Mt 3,1). E poi: Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni a me? (Mt 3,14; Quando Elia verr, aveva detto Malachia - ed lultimo versetto delle Scritture profetiche - convertir il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri: Ml 3,23). Tuttavia Ges si sottomette a quel battesimo di acqua conferito da Giovanni e spinge il suo precursore a entrare con lui nei disegni di Dio: E cos che ci conviene adempiere lintera giustizia (Mt 3,15). Nel medesimo atto il maestro e il discepolo si accettano con la loro differenza e, aboliscono nel con tempo la loro distinzione. E cos che il messianismo entra nella storia, secondo le Scritture (cf. in particolare Ml 3,1.23). Luomo moderno vuole s sperimentare la reciprocit, ma su una base di uguaglianza! Come si pu offrire e ricevere in reciprocit se si vive una cocente disuguaglianza? Ecco, la visione cristiana in grado di celebrare questo paradosso al cuore delle relazioni umane, e questo in nome di Ges, il quale a sua volta offr in nome di Dio unalleanza con il peccatore, quale che fosse, e ci gratuitamente. Nella pi incommensurabile disuguaglianza - quella che situa Dio e luomo luno di fronte allaltro - noi confessiamo la pi intima e la pi libera delle reciprocit. Come non trasporla in tutte le nostre relazioni? Chi fa lelemosina, la faccia come se fosse lui a riceverla, dice un padre del deserto. In definitiva, quando tu dai, a Cristo che dai, cos com in nome di Cristo che tu lo fai. Cos Benedetto nella sua Regola vede nel malato il Cristo in persona, che visitato e curato dal Cristo in persona. Il fratello infermiere e chi va a far visita al malato devono discernere in lui Cristo, ma il malato deve discernere, nelle cure e nellattenzione che riceve, la vicinanza stessa di Cristo (cf. RB 36). Vincenzo dePaoli, questaltro maestro della carit, scrive in una lettera:
Giovanna, vedrai ben presto che la carit pesante da portare. Pi della terrina di minestra e del cesto pieno di pane Ma tu conserverai la tua dolcezza e il tuo sorriso. Dare la minestra e il pane non tutto. Lo possono fare benissimo i ricchi. Tu sei la piccola serva dei poveri, la figlia della carit, sempre sorridente e di buon umore. Sono essi i tuoi maestri, dei maestri terribilmente suscettibili ed esigenti, vedrai. Allora, pi saranno brutti e sporchi, pi saranno

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22 La genealogia di Ges (Mt 1,1-17) contiene diversi esempi di tali inversioni. Inserendovi per esempio
il nome di Tamar accanto a Giuda o la moglie di Uria come madre di Salomone, levangelista ricorda certe pagine penose e umilianti tanto per Giuda quanto per David, ma quegli episodi fanno ormai parte del compimento messianico delle 3x14 generazioni! Ci che un tempo poteva costituire motivo di vergogna ora assunto tale e quale dalla pienezza del Messia.

ingiusti e volgari, pi tu dovrai dar loro del tuo amore! Sar unicamente per il tuo amore, per il tuo amore soltanto che i poveri ti perdoneranno il pane che dai loro.

Che noi dobbiamo essere perdonati nellesercizio stesso della carit, e che solo un amore estremo e assolutamente disinteressato possa meritare questo perdono: ecco, questo solamente un santo poteva insegnarcelo. Non giudicare

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Fin dove giunge il nostro amore, fino a poter di fatto adottare come membro della comunit chi proscritto, escluso o senza nessuna considerazione? Della comunit di Matteo si potuto dire che era la pi ampia e la pi numerosa di tutto il Nuovo Testamento. La si descritta come corpus mixtum: un insieme assortito che radunava giusti e peccatori, deboli e forti, giudei e numerosi pagani, buoni e cattivi (Mt 22,10; cf. 5,44) mescolati insieme Nessuno si sente rifiutato. Solo un atteggiamento messo al bando: quello di condannare i deboli. A pi riprese levangelista ritorna su questo punto: al di sopra di ogni altra cosa, non giudicare, non strappare la zizzania prima del tempo! La mano che vorrebbe intervenire cos, ecco bisogna tagliarla! Giudicare e operare la cernita tra buoni e cattivi non un compito riservato agli uomini. Spetta agli angeli svolgere questo lavoro, nellultimo giorno, al tempo della mietitura, oppure una volta che la rete stata tirata a riva (cf. Mt 7,1-6; 13,24-30.36-43.47-50; 18,6-11). La storia il tempo della misericordia, della pazienza, del perdono e della riconciliazione (cf. Mt 5,25; 6,14; 18,35); poi, alla fine dei tempi, verr lora irrimediabile del giudizio: uno sar preso e laltro lasciato (Mt 24,40). Lolio di cui ciascuno deve provvedersi per tempo sono le opere di misericordia; se no ti troverai davanti a una porta chiusa, senza essere riconosciuto, senza la minima reciprocit (cf. Mt 25,1-12; 7,23)! Lamore dei nemici

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La visione, lo sguardo largo di Matteo si estende sino ai nemici. Nellultima sezione della prima parte del discorso della montagna, come ultimo gradino di una scala dellamore, il Ges di Matteo dichiara:
Ebbene, io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano, perch siate figli del Padre vostro che nei cieli; egli infatti fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,44-45).

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Anche Benedetto nella sua Regola conosce questo genere di imperativi. Egli scrive: In Christi amore pro inimicis orare (Nellamore di Cristo pregare per i nemici: RB 4,72). Ges, mentre veniva inchiodato alla croce, ha pregato per i propri persecutori: Padre, perdonali, perch non sanno quello che fanno (Lc 23,34). E cos per Paolo: lamore dei nemici fu per lui un punto cruciale, fu la rivelazione decisiva della sua vita. Quando pot sperimentarlo, tutto croll, per lasciare il posto a una sola realt: siamo amati. La prova che Dio ci ama che Cristo morto per noi mentre noi eravamo peccatori quando eravamo nemici che siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte di suo Figlio (Rm 5,8.10). Questo tuttavia un linguaggio che fa difficolt a molti. Non lo comprendono. Nemici? Certuni fanno fatica a riconoscere che possono essere oggetto di inimicizia. Non hanno nemici, essi dicono. Come potrebbero allora amarli? Per loro questo

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linguaggio di Ges non dice un gran che. Per chi abituato a identificarsi solamente con le proprie buone intenzioni, con il proprio lato luminoso, senza rendersi minimamente conto dellombra che in lui, difficile riconoscere di avere un nemico. Se c un problema nella vita relazionale, la palla viene rinviata nel campo dellaltro. Lui, dal canto suo, si sente a posto. Mai arriva a percepire ci che potrebbe pesare, dar fastidio o essere semplicemente odioso in lui, suo malgrado. Perci una relazione positiva che giunge fino ad amare e a pregare per questo possibile nemico, non ha molto senso per colui che unicamente abbagliato dal proprio lato luminoso. Ma chi arriva comunque a rendersi conto che altri possono odiarlo, non sa come venire a capo della parola di Ges: Ama il tuo nemico. Deve ben presto riconoscere che un tale amore non va da s. La sua buona volont, la sua naturale bont danimo, ogni risorsa spontanea di benevolenza e di positivit finiscono per esaurirsi in brevissimo tempo. Come, allora, pregare per e amare, come continuare a offrire una reciprocit a chi rifiuta apertamente ogni contatto, a chi vi denigra in pubblico, a chi vi distrugge volutamente?.. E innegabile, ci si imbatte qui in un limite estremo. Ci che Ges ci propone, a prima vista non ha alcun senso. Chi intende le sue parole imperative come semplici ingiunzioni morali dovr ben presto constatare che esse non funzionano e che come tali non possono far, altro che rendere un uomo pi disperato bene allora toccare il fondo, il punto zero: a questo punto le ultime risorse di buona volont sono esaurite. Il pericolo che diventiamo amari, aggressivi, o addirittura che ricorriamo a mezzi violenti per ribattere, non pi immaginario. Finalmente dobbiamo ammettere di non essere meglio degli altri, nonostante il senso, coltivato per tanti anni, di una buona coscienza. Anche questultima roccaforte a malapena difendibile ormai. S, si pu tentare di rifugiarvisi ancora e ancora, ma questo significa non capire proprio nulla della parola di Ges, pur sapendo bene che per colpa nostra. Benedetto scriveva ai suoi monaci: In Christi amore pro inimicis orare. Prega per i tuoi nemici, ma fallo nellamore di Cristo. Non riusciresti a farlo con le tue forze. Non unopera umana, questa. Da noi stessi siamo assolutamente incapaci di amare cos un nemico: lesperienza vissuta, se siamo sinceri, ce lo insegna. Ma in Christi amore, nel sacramento di questo amore che ci pervade, devessere possibile farlo. Se lascio che mi raggiunga fin nel pi profondo della mia impotenza, allora sar capace di qualsiasi cosa, come diceva Paolo: Tutto posso in colui che mi d forza (Fil 4,13). Quando egli riempie del suo amore estremo tutto lo spazio, allora posso davvero sostenere anche le relazioni pi impossibili. Nella tradizione monastica Monaci di ogni tempo si sono applicati con rigore a questo aspetto della loro vita di relazione riguardante il giusto rapporto con il nemico. Ma anche monaci non cristiani hanno scoperto questo punto-limite e hanno fatto lesperienza di un al-di-l in cui tutto amore e pace. Alcuni anni fa stato pubblicato un colloquio con il Dalai Lama, la pi alta autorit religiosa del Tibet. Ecco cosa dice tra laltro:
La compassione di cui ci parla il buddhismo Mahayana non lamore ordinario che possiamo provare verso coloro che ci sono cari e vicini; questamore pu coesistere con legoismo e lignoranza. Noi dobbiamo amare anche i nostri nemici. Se ho aiutato qualcuno come meglio non potevo e questa persona mi oltraggia nel modo pi ignobile, possa io considerare questa persona come il mio pi grande maestro.

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Davvero una frase impressionante: metterei alla scuola e considerare come nostro maestro colui che ci ha oltraggiati! E il Dalai Lama sa bene di che cosa parla: egli dovuto fuggire dal suo paese, tuttora occupato da un regime comunista straniero, e quanti monasteri con i loro tesori sono stati distrutti! I nostri nemici: sono i nostri maestri
Quando i nostri amici sono in buoni rapporti con noi e ci sono vicini, nulla ci pu rendere coscienti dei pensieri negativi che ci sono in noi. Solamente quando qualcuno ci osteggia e ci critica possiamo avere accesso alla conoscenza di noi stessi e possiamo giudicare la qualit del nostro amore. Perci sono i nostri nemici i nostri pi grandi maestri: ci consentono di mettere alla prova la nostra forza, la nostra tolleranza, il nostro rispetto per gli altri. Se anzich provare odio verso i nostri nemici li amiamo di pi, allora non siamo lontani dal raggiungere lo stato di Buddha, la coscienza illuminata che il punto cui tendono tutte le religioni23.

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Per quanto riguarda la tradizione cristiana ci limitiamo a prendere in considerazione la testimonianza dello starez Silvano, monaco russo morto al Monte Athos nel 1938. I suoi scritti, pubblicati dal discepolo Sofronio24, ritornano con grande frequenza sul tema dellamore per i nemici e della preghiera per i persecutori. S, anche sulla santa montagna dellAthos si pu fare lesperienza di avere dei nemici, e pi ancora scoprire come amarli in verit. Silvano non parla solamente a nome proprio, ma fa continuamente riferimento a chi lha preceduto, soprattutto a Serafino di Sarov e al proprio maestro Giovanni di Cronstadt. Di questultimo dice:
Ci ricordiamo bene come, dopo la liturgia, quando gli si condusse la vettura e il cavallo ed egli vi ebbe preso posto, il popolo lo circondasse domandandogli la benedizione. Anche in una tale ressa la sua anima dimorava incessantemente in Dio; pur in mezzo a una folla simile, la sua attenzione non era dispersa ed egli non perdeva la pace. Come dunque vi perveniva? E ci che ci chiediamo. Vi perveniva perch amava gli uomini e non cessava di pregare per loro: Signore, dona la tua pace al tuo popolo. Signore, dona il tuo Spirito santo ai tuoi servi, perch riscaldi il 10ro cuore con il tuo amore, insegni loro ogni verit e li guidi sulla via del bene. Signore, voglio che la tua pace riposi su tutto il tuo popolo. Tu lo hai amato senza riserve e gli hai dato il tuo Figlio unico perch il mondo sia salvato. Mentre cos pregava per il popolo, egli custodiva la pace dellanima. Noi invece la perdiamo, perch non abbiamo amore per gli uomini. I santi apostoli e tutti i santi desideravano la salvezza del mondo intero e dimorando in mezzo agli uomini pregavano ardentemente per loro. Era lo Spirito santo a dar loro la forza di amare gli uomini. Quanto a noi, se non amiamo il nostro fratello, non potremo avere la pace. Lo Spirito santo insegna allanima un profondo amore per gli uomini e la compassione per tutti gli smarriti. Il Signore ha avuto piet di coloro che si erano perduti e ha mandato il suo Figlio unico per salvarli. Lo Spirito santo insegna questa stessa compassione verso coloro che vanno allinferno. Ma chi non ha ricevuto lo Spirito santo non desidera pregare per i propri nemici. Abba Paissios pregava per un suo discepolo che aveva rinnegato Cristo. E mentre pregava gli apparve il Signore e gli disse: Paissios, per chi preghi? Non sai che mi ha rinnegato?. Ma il santo continuava ad aver compassione per il suo discepolo, e allora il Signore gli disse: Paissios, grazie al tuo amore ti sei fatto simile a me. cos che troviamo la pace. Non c altra via. Se un uomo prega e digiuna molto, ma non ha amore per i nemici, non pu possedere la pace dellanima. E io non potrei parlarne se lo Spirito santo non mi avesse insegnato questo amore. Luomo che porta in s la pace dello Spirito santo diffonde questa pace sugli altri; chi invece porta in s lo spirito del male diffonde questo male anche sugli altri. Il Signore ci ha detto: Amate i vostri nemici. Ora, chi ama i propri nemici simile al Signore.

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23 J.-Y. LELOUP, Un maitre spirituel: le Dalai Lama, in La vie spirituelle 134 (1980), p. 638. 24 ARCHIMANDRITA SOFRONIO, Silvano del monte Athos (1866-1938). Vita, dottrina, scritti, Torino 1978.

Ma solo per la grazia dello Spirito santo che si possono amare i nemici.

Fin dove si estende il nostro amore? Qual la sua lunghezza? Alla scuola di Matteo noi impariamo a fare di colui che al margine un nuovo centro di gravit, a prediligere nel nome di Ges colui che escluso, ad accogliere il forestiero, il peccatore e persino il nemico nellamore di Cristo, nella grazia dello Spirito santo. Unultima testimonianza pu confermare i nostri passi su questa medesima via di amore e di pace. E la testimonianza di un santo monaco del IV secolo:
Coloro che sono fatti degni di diventare figli di Dio (cf. Mt 5,44 s.) e di rinascere dallalto, da Spirito santo (cf. Gv 3,5) piangono e gemono sul genere umano e, mentre pregano per lAdamo totale, infiammati damore per lumanit, sono presi da afflizione e pianto. A volte, per azione dello Spirito, sono infiammati da tale gioia e amore che, se fosse possibile, prenderebbero ogni uomo nelle proprie viscere, senza distinguere tra malvagio e buono. Altre volte nellumilt dello Spirito si abbassano talmente al di sotto di ogni uomo da considerarsi ultimi di tutti e inferiori a tutti (Pseudo-Macario, Omelie spirituali 18,7-8).

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D. Laltezza: la glorificazione (Giovanni) 20 La dimensione dellaltezza d le vertigini ai nostri contemporanei. Da quando luomo ha messo piede sulla luna, si sente meno a suo agio se gli si parla di ci che lo supera. Agostino invitava i suoi contemporanei a riconoscere Dio non solamente nel pi intimo della loro soggettivit: Deus intimior intimo meo (Dio pi intimo della mia stessa intimit), ma anche al di l di ci che essi hanno di pi elevato: Deus superior summo meo (Dio pi elevato di ci che in me pi sublime). Una cultura pu essere pi o meno sensibile e ricettiva ora nei confronti delluna, ora nei confronti dellaltra dimensione; ecco, la nostra oggi si mostra non poco recalcitrante nei confronti della dimensione dellAltezza. Ma le culture evolvono, subiscono ogni sorta di influssi, talora dal loro stesso passato. Ci che era ancora possibile ieri e oggi non trova se non difficilmente eco potr, chiss, rifiorire domani, nella misura in cui non ci si irrigidisce troppo nellimmagine culturale delloggi e si resta disponibili ad accogliere le esperienze di altre epoche e di altri luoghi. Giovanni, lui, unaquila: ogni paura dellaltezza gli estranea. Anchegli, come gli altri primi testimoni, stato segnato dallamore manifestato nellevento Ges. Ne ha ricevuto su di s limpronta, e questo sigillo damore ha creato sotto la sua penna nuove formule ed espressioni indimenticabili:
Dio amore (1Gv 4,8).
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Nessuno ha amore pi grande di chi d la vita per coloro che ama (Gv 15,13). Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio, il suo Unico (Gv 3,16). Ges, sapendo che era giunta la sua ora, lora di passare da questo mondo al Padre, lui che aveva amato i suoi nel mondo, li am sino allestremo (Gv 13,1). Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita perch amiamo i fratelli (1Gv 3,14). Non c timore nellamore, ma il perfetto amore scaccia il timore (1Gv 4,18).

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Chi non ama il proprio fratello che vede non pu amare Dio che non vede (1Gv 4,20).

Chiunque ama nato da Dio (1Gv 4,7).

Il linguaggio damore, manifestato in Ges, sfocia in una storia damore che non solamente ricollega luomo con Dio, ma si gioca ormai in Dio stesso e si svolge come divina nelluomo. Dio amore, e luomo che vive di questo amore vive di Dio ed in Dio, come Dio in lui. Questo mistero di Amore trova la sua massima espressione nei discorsi di addio che Ges rivolge ai discepoli (Gv 13-17).
Se uno mi ama custodir la mia parola. li Padre mio lo amer e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23).

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Lamore lascia entrare la vita damore di Dio stesso e d nel contempo accesso allo scambio damore tra il Figlio e il Padre. Nella cosiddetta preghiera sacerdotale (c. 17) il Ges di Giovanni fissa con forza questo processo che interamente portato da unobbedienza e un abbandono damore. Ges sta l, nellora della sua Pasqua, tra il cielo e la terra, sul punto di lasciare questo mondo per raggiungere il Padre. Nella preghiera egli esprime unultima volta attraverso la parola il senso della propria vita e della propria morte, ed esplicita il permanere di ci che sta per compiersi una volta per tutte nel tempo. Linizio molto noto:
Padre, giunta lora: glorifica tuo Figlio perch il Figlio glorifichi te (Gv 17,1).

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Bench questora coincida con la sua morte ignominiosa, su una forca per condannati pubblici, Ges parla di gloria e di glorificazione. In questora egli glorificher il Padre con la sua consacrazione e il suo abbandono estremo, mentre il Padre glorificher il Figlio lasciandogli innanzitutto esercitare fino in fondo la propria libert, ma anche elevando Ges in e attraverso questa morte. E ora glorificami tu, Padre, presso di te con quella gloria che avevo prima che il mondo fosse (Gv 17,5). Questa glorificazione reciproca viene chiamata, ai vv. 17 e 19, consacrazione e santificazione. Tutta la preghiera, con il movimento trasfigurante che la abita, trova infatti il suo punto di gravit nella consacrazione assoluta dellorante. Tutto in questa preghiera di consacrazione dono, oblazione, una maniera incondizionata di consegnarsi (da notare il costante ricorrere del verbo dare) 25. Nellultima strofa di questa grande composizione si pu vedere come glorificazione, unificazione, santificazione e consacrazione non sono in definitiva nientaltro che amore:
La gloria che tu hai dato a me, io lho data a loro perch siano uno come noi siamo uno, io in loro come tu in me, perch giungano allunit perfetta e cos il mondo possa conoscere che sei tu che mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me (Gv 17,22-23).

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La gloria comunicata si radica nella gloria ricevuta divinamente. Essa crea lunit tra gli uomini cos come costituisce in modo assoluto lunit in Dio. Lunit e la gloria tra i discepoli e tra i credenti formano una testimonianza vivente per il mondo che Dio, 25 Nel testo greco appaiono frequentemente insieme i termini dxa (gloria) e (d)doka(s) (aver
dato): cf. vv. 1-10 e 22-24. Vi si pu riconoscere un gioco di parole, particolarmente caro alla sensibilit semitica. Vorrebbe dire che la glorificazione sarebbe letteralmente portata e abitata dallatto di dare: la gloria avviene come un dono, un regalo, in e mediante un puro abbandono.

amore in se stesso, ormai amore al cuore della storia degli uomini.


Padre, coloro che mi hai dato voglio che siano anchessi con me l dove sono io, perch contemplino la mia gloria, che tu mi hai dato, poich tu mi hai amato fin da prima della fondazione del mondo (Gv 17,24).

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La gloria di Ges ha il suo fondamento nella gloria stessa del Padre. Questa gloria e questo amore vengono ora comunicati, come i doni pi puri fin da prima di tutti i secoli, in e mediante questa preghiera di Ges in mezzo ai suoi. La meditazione giovannea sullamore attira i lettori e gli ascoltatori dellevangelo verso unaltezza in cui ci rivelato uno scambio damore glorificante che da tutta leternit. Ogni parola di Giovanni sullamore penetrata dalla luce contemplata e rivelata in questo istante della Pasqua di Ges. Ormai ogni attenzione concreta di amicizia, ogni pi piccolo servizio fraterno, fino allumile gesto di lavarsi i piedi lun laltro, tutto confluisce in questunico processo di glorificazione. Niente cos disprezzabile, niente cos umiliante da non poter essere portato e abitato dal bagliore luminoso di colui che ha dato la propria vita per amore, fino allestremo (Gv 13,1). Quando sar stato innalzato da terra, attirer tutti a me (Gv 12,32). Innalzato, in alto sulla croce, come innalzato nella gloria del Padre. Un unico movimento. Un unico amore, che unisce il Padre e il Figlio fin nella morte sul Golgota, attira ormai tutta lumanit verso questo glorioso e sublime abisso damore. Nel vissuto dellesperienza cristiana possiamo riconoscere che questa forza che glorifica e santifica, che crea lunit e abita ogni consacrazione lo Spirito santo in persona. Bench il suo nome non compaia nemmeno una volta nel corso di questo c. 17, in realt lo possiamo rintracciare dietro a ogni verbo di cui si serve Ges. Ges infatti prega nello Spirito santo, e lo Spirito si identifica con questo processo di glorificazione reciproca tra il Padre e il Figlio. Di pi, quando Ges muore e glorifica il Padre, consegna lo Spirito - ci dice Giovanni - come il Dono e il gesto di abbandono per eccellenza; allo stesso modo lo Spirito che glorifica Ges comunicando a tutti la sua pienezza di vita (cf. Gv 7,39; 19,30; 20,22). Egli mi glorificher, afferma Ges per esplicitare lazione dello Spirito al cuore dei discepoli (Gv 16,14). Amiamo, dunque! Lamore glorifica. Glorifichiamo a nostra volta: lo Spirito dentro di noi non si cura daltro se non di glorificare amando e di amare generando un processo di santificazione e di gloria. Il padre Massimiliano Kolbe non era ormai nientaltro che amore in mezzo ai suoi coprigionieri di guerra ad Auschwitz. Ci che contava erano gli altri: condivideva la sua razione con loro, infondeva coraggio a quelli pi malati, sosteneva i feriti, accomodava di notte la coperta dei vicini, non perdeva un istante per aiutare e consolare ognuno di quelli che gli vivevano accanto. Lo faceva con gioia, anche se il suo corpo, estenuato e malato, soffriva dolori atroci. I suoi compagni di prigione che pi tardi testimoniarono su di lui si ricordavano della sua figura slanciata, gracile e tutta di luce: un principe. Lamore in tutta la sua altezza sa discendere fino al punto pi basso e giunge a glorificare anche linferno pi disumano della nostra storia di uomini. S, esso rinnova la faccia della terra. Conclusione: la croce Che cos lamore? al di sopra di ogni conoscenza (cf. Ef 3,19).

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In lui si apre lo spazio pi infinito, tanto in larghezza quanto in lunghezza, in altezza come in profondit. In lui vediamo ergersi unimmensa croce cosmica che abbraccia tutto luniverso. Al cuore di questa croce si distingue uno Sguardo, un Volto: lui, Ges, il Nazareno, le braccia distese, vulnerabile e incredibilmente libero. Le mani e i piedi trafitti e il fianco aperto formano il grande vuoto da cui zampilla leterna sorgente dellamore. Chi vuol restare nascosto nelle sue piaghe, dice Bernardo, vedr la Gloria (cf. Es 33,21 e Gv 20,25-29). Giuliana di Norwich contempl la ferita del suo fianco e le fu dato di vedere in quello spazio piccolissimo tutto luniverso raccolto. Nellamore di questo Messia povero, luniversale e il particolare cessano di escludersi. Attorno a lui si raduna una comunit di poveri. La speranza sostiene il loro cammino verso un Corpus Domini cosmico.

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