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PREMESSA

Ges ha insegnato ai discepoli a rivolgersi a Dio come al Padre, e la Chiesa a sua volta ci ha trasmesso il Padre Nostro, preghiera che ci fa entrare nella preghiera stessa di Ges. In essa raccolta tutta la ricchezza liturgica della Chiesa, l'intero suo patrimonio ascetico e spirituale, segno del nostro incontro con Cristo e della nostra vita in Lui. Olivier Clment nato in un ambiente scristianizzato del Sud della Francia e ha ricevuto il battesimo in et adulta nella Chiesa Ortodossa dopo una lunga ricerca attraverso l'ateismo. autore di numerose opere consacrate alla storia e al pensiero della Chiesa Ortodossa, alle fonti della Chiesa indivisa, e alla testimonianza dell'Evangelo nella cultura contemporanea. Benoit Standaert, monaco benedettino di St. Andr di Bruges, attualmente uno dei pi preparati esegeti di Nuovo Testamento. A una profonda conoscenza delle lingue e degli ambienti biblici unisce un acume spirituale e una fede nel Cristo risorto che trasformano i suoi commenti esegetici in eco fedeli dell'unica Parola di vita. A questi due uomini di preghiera, animati dal medesimo Spirito, ci siamo affidati perch ci introducessero a una lettura orante del Padre Nostro, attraverso due itinerari avvincenti per la loro forza interiore e per l'apertura del cuore che producono. Il Padre Nostro cessa di essere una semplice formula di preghiera e diventa il gemito dello Spirito in noi, la chiave di lettura dell'intera vicenda umana alla luce della volont di Dio.

Il Padre Nostro la preghiera che Ges ha trasmesso ai suoi discepoli, e che la chiesa, a sua volta, ci trasmette. Abbiamo cos accesso alla preghiera di Ges, che ne costituiva l'essere stesso. Bisogna infatti rendersi conto che tutta la ricchezza liturgica della chiesa, l'intero suo patrimonio ascetico e spirituale, non sono altro che il simbolo del nostro incontro con Cristo e della nostra vita in Cristo. La chiesa non ci trattiene per s, ci conduce a Cristo. E Cristo non ci trattiene per s, ci conduce al Padre. Benoit Standaert

LA PREGHIERA AL PADRE
INTRODUZIONE Prima di sottoporre a un' analisi critica il testo pi antico conservatoci per il Padre Nostro, bene presentare brevemente un modello di lettura giudaico. Il modello stato elaborato nel medioevo ma molto probabilmente di stampo ancora pi antico (1). Nella lettura vengono distinti quattro livelli, seguendo le quattro consonanti della parola PaRaDiSo - in ebraico: PaRDeS -. "Pardes" un antico termine persiano che significa "giardino" (cf. Qo 2.5). Chi oltrepassa i quattro livelli arriva in paradiso! Si trova nel giardino dove fiorisce "l'albero della conoscenza"! Riceve quindi la vera conoscenza,

quella dei primordio I quattro livelli si strutturano pertanto come una scala che d accesso a una comprensione pi alta, pi profonda, pi vasta, tanto del senso delle Scritture quanto del senso dell'esistenza e dell'intera creazione. Pshat: il livello del senso letterale, chiamato anche il senso storico. Qui si cercano i referenti fattuali del testo. La loro verit situata all' esterno del testo ed questa che si cerca di cogliere: come un fatto oggettivo, un dato. O c' o non c'. Vero o falso, s o no; o anche, nel linguaggio estremamente ridotto di un computer: 0 o 1. Remez: significa accenno, allusione, rimando. Un testo ne evoca un altro, una parola un' altra citazione. La memoria si arricchisce, le associazioni hanno libero corso, e il campo evocato da un testo viene in tal modo a formare un tutto coerente. Qui hanno il loro posto le letture strutturaliste. Figure, strutture, patterns e il gioco di relazioni reciproche appartengono a questo livello di lettura. Darash: significa letteralmente: cercare. Qui compare per la prima volta un soggetto, un cercante che interrogando incalza il testo, e si lascia interrogare dal testo. Il vero livello di questo tipo di cercare - chiamato anche midrash - etico. L'interrogare in funzione del corretto agire all'interno della reciproca relazione tra i due. Sod poi il quarto e ultimo livello: il mistero. Qui entriamo in un rovesciamento di prospettive: il cercante riconosce di essere un cercato; un altro Soggetto sembra essere gi prima il soggetto cercante. Il conoscere un essere conosciuto nel profondo. Pshat, Remez, Darash e Sod sono quattro diverse forme di libert e un massimo di controllo. Nel Sod il rapporto inverso: un massimo di libert senza il minimo controllo. Si narra di Rabbi Akiba che tre dei suoi scolari riuscirono ad arrivare fin dentro il Sod: il primo per - rapito in estasi vi perse la vita; il secondo divenne pazzo - perse la ragione ; il terzo divent un eretico - perse la retta fede -. Il primo usc dalla comunit dei vivi; il secondo lasci la compagnia della sana ragione e il terzo oltrepass i limiti della comunit dell'ortodossia. Questo per illustrare che il Sod un livello particolare, dove il pericolo di perdere ogni controllo reale! Solo R. Akiba entr nel Pardes e ne torn indietro vivo, con le sue facolt intellettuali e in conformit con la retta fede! Resta la domanda: come gli riusc? Nello Pshat ci si trova per lo pi dinanzi a un'alternativa: ci che cos non pu essere diversamente: bianco o nero. Si deve essere rigorosi e alla fine arrivare a un "tutto o niente". Una cosa accaduta o non accaduta. Nel Sod non c' nulla che sia solo ci che . C' sempre molto di pi di tutto ci che si possa pensare o immaginare (cf. Ef 3.20). Luca il maestro del Remez. Bench in lui si trovino anche gli altri tre livelli, egli brilla soprattutto l dove comunica allusivamente il suo messaggio. Il discorso di Stefano in Atti 7 raggiunge forse una vetta in questo genere: egli non dice nulla di suo, le sue parole sono tutte prese a prestito. Chi ha orecchi, intenda! Matteo esercita come nessun altro il livello del Darash. Ci evidente in particolare nel racconto dell'infanzia; ma soprattutto dove egli unisce al suo racconto citazioni scritturistiche c' spazio per un

midrash penetrante. In Giovanni tutto guidato da un Sod comunicato nel prologo: "La Parola divenuta carne" . Senza questa chiave, molto di ci che Giovanni ha da dire suona in qualche modo vuoto, estraneo, astratto. Illuminato dall'interno da questa unica intuizione, ogni mezzo versetto un intero annunzio. E Marco? il rabbino che ci propose queste prime tre identificazioni esit un attimo. Marco sembra essere puro Pshat e a prima vista unicamente fattualit storica, ma la diretta percezione di un grande mistero Sod - attraversa il suo racconto e precede ogni comunicazione. In ogni tratto l'evangelista ci annunzia la pienezza dell'irruzione messianica. Questo modello ebraico di lettura prezioso ogniqualvolta si legge un testo o ci si pone un problema. Ora che vogliamo studiare criticamente il Padre Nostro, ed eserciteremo piuttosto largamente lo Pshat, non dobbiamo perdere d'occhio la ricca sensibilit per gli altri livelli. C' verit a ogni livello, per in maniera ogni volta diversa! I CINQUE PADRE NOSTRO Intendiamo innanzitutto risalire, nella misura del possibile, all' origine di questa preghiera. Per continuare a dire questa preghiera, dobbiamo avere un'idea precisa della funzione che aveva quando fu composta e delle modifiche nelle funzioni cui ha potuto andare soggetta nella sua trasmissione. La ricerca dell' origine qui rivolta in primo luogo all' atto stesso del pregare. Come dobbiamo pregare queste parole: come un salmo? come un inno? come una preghiera liturgica introduttiva? come una giaculatoria per uso privato? La questione della situazione linguistica iniziale e del relativo genere letterario d'importanza capitale per poter continuare a pronunziare oggi questa preghiera con autenticit e fedelt. Matteo e Luca Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo Nome venga il tuo Regno sia fatta la tua volont come in cielo cos anche in terra il nostro pane, l'epiousion, da' a noi oggi e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e non farci entrare nella Prova ma liberaci dal Maligno. Padre sia santificato il tuo Nome venga il tuo Regno il nostro pane, l'epiousion, continua a darci ogni giorno di nuovo e rimetti a noi i nostri peccati anche noi infatti sempre li rimettiamo a chiunque ci debitore e non farci entrare nella Prova.

Ogni analisi storico-critica del Padre Nostro comincia con la comparazione delle due versioni: quella di Matteo (6.9-13) e quella di Luca (11.2-4).

* Dove Matteo scrive: "Padre nostro che sei nei cieli", Luca ha solo: "Padre". * La prima e la seconda richiesta si presentano in entrambi rigorosamente identiche: "Sia santificato il tuo Nome, venga il tuo Regno (2). * La terza richiesta: "Sia fatta la tua volont, come in cielo cos anche in terra" non ha parallelo in Luca. * La quarta e quinta richiesta matteana presentano alcune leggere differenze tra i due. "Il pane nostro, 1'epiousion, dacci oggi", scrive Matteo, dove il verbo ("da' "), all' aoristo, esprime in certo qual modo un pressante appello: dacci immediatamente, "oggi". In Luca la stessa parola si trova nella forma greca del presente ("continua a darci"), il che esprime una sfumatura di estensione nel tempo; e qui Luca non reca "oggi", ma "ogni giorno di nuovo". La forma del presente conviene bene a questa espressione temporale distributiva (cf. Lc 19.47; At 17.11). Per il resto entrambe le versioni hanno gli stessi termini, tra cui anche il misterioso "epiousion" che provvisoriamente non tentiamo ancora di tradurre. Nella preghiera successiva Matteo parla di "debiti", laddove Luca reca "peccati". "Debito" una metafora; "peccato" un termine puramente religioso. Il secondo membro di questa preghiera viene elaborato sintatticamente dalle due versioni in maniera abbastanza diversa. In Matteo la costruzione sintattica pi spedita: "come anche noi li rimettiamo...". In Luca questa diventa una frase subordinata, causale: "perch anche noi li rimettiamo...". L'idea di debito fa la sua comparsa anche in Luca in questa parte di frase, ma in una forma stilistica alquanto diversa: "a chiunque ci debitore (di qualcosa)", laddove Matteo pi semplicemente scrive: "ai nostri debitori". * La sesta richiesta rigorosamente parallela nelle due tradizioni: "e non farci entrare nella Prova" * La settima invece attestata solo in Matteo: "ma liberaci dal Maligno". * In molti, ma recenti manoscritti del vangelo di Matteo si trova a conclusione del Padre Nostro la nota dossologia: "perch Tuo il Regno e la potenza e la gloria nei secoli. Amen" (cf. 1Cr 29.11-12; Sal 22.28-29) (3). Ci che pi colpisce nella comparazione certo il fatto che tre elementi compaiono nell'uno e non nell' altro: "sia fatta la tua volont come in cielo cos anche in terra"; "e liberaci dal Maligno"; e nell'invocazione: "(Padre) nostro che sei nei cieli". La differenza fa del Padre Nostro una preghiera costituita nell'uno da sette invocazioni, mentre l'altro ne conta solo cinque. In entrambi i casi il numero forma una cifra "tonda": cinque come le cinque dita di una mano (i cinque libri della T 0rah; le cinque parti del salterio; i cinque rotoli delle feste (pi tardivi); ecc.); sette come i sette giorni della settimana (i sette doni dello Spirito in Is 11.1 ss.; i sette spiriti dell'Apocalisse, Ap 4.5; 5.6; il candelabro a sette bracci per la preghiera nel T empio, ecc.). D'altra parte la struttura e il movimento del tutto non vengono fondamentalmente

modificati dalle omissioni o dalle aggiunte. Tanto in Matteo che in Luca incontriamo quattro elementi: a. l'invocazione b. richieste nella forma di desideri che concernono in primo luogo la natura e l'azione proprie di Dio (tre in Matteo; due in Luca) c. richieste nella forma di una preghiera di domanda che stanno direttamente in connessione con la vita degli oranti stessi (due in Matteo; due in Luca) d. appello finale come un grido di estrema miseria (in forma doppia in Matteo; semplice in Luca). Le relativamente numerose piccole differenze tra le due versioni e la struttura fondamentale comune permettono di concludere che entrambi i testi attuali in uno stadio anteriore devono essere derivati da una formula comune. Della versione matteana possediamo un parallelo da non trascurare nel Padre Nostro quale lo ha trasmesso la Didach (cf. n. 3). Con la dossologia conclusiva questa versione costituisce un formulario costruito in maniera equilibrata e matura, adatto per una preghiera delle ore, tre volte al giorno. La versione di Luca non sembra essere una forma consapevolmente abbreviata di una composizione pi lunga come quella trasmessa da Matteo. Con le sue cinque richieste si presenta anch'essa come un tutto equilibrato, ma sorprendentemente conciso e diretto. Dal punto di vista del contenuto, trovano indubbiamente espressione alcuni dei tratti pi essenziali della predicazione di Ges e dell'identit cristiana: il nome Padre, il Regno, il pane e il perdono, la liberazione escatologica. L'ultima richiesta resta in qualche modo sorprendente: la preghiera non viene conclusa da una lode o da un ringraziamento, ma resta sospesa in un pressante grido di miseria. A questo punto dell'analisi - un'impresa orientata essenzialmente allo Pshat! - si pu porre la domanda: chi ha composto il testo originario che sta alla base delle due versioni? Abbiamo qui a che fare con una ben ponderata composizione di alcune richieste essenziali, realizzata dai primi cristiani stessi, mediante la quale cercavano appoggio in Ges per la predicazione e la preghiera? O veramente una formula di preghiera consegnata da Ges ai suoi discepoli, organicamente composta da lui stesso? Rileviamo ancora tre punti. 1. La libert con cui la tradizione rappresentata dal vangelo di Matteo tratta il modello originario fa riflettere. La formula tramandata appariva suscettibile di completamento e miglioramento, il che lascia intravedere che la sua riconosciuta autorit non dev'essere stata assoluta. 2. La parola epiousion che le due versioni hanno in comune in greco un termine estremamente ricercato. Viste le molte differenze tra i due testi, difficile supporre che Luca abbia conosciuto Matteo o viceversa. Se si suppone che le due versioni fossero reciprocamente indipendenti, allora il testo base comune dev'essere stato anch'esso in greco. Il testo solo una traduzione di una preghiera ebraico-aramaica? Oppure una comunit di lingua greca responsabile di questo antichissimo formulario per la preghiera in cinque richieste? 3. Le dichiarazioni introduttive al Padre Nostro tanto in Luca che in Matteo (e cos pure nella Didach!) indicano che la formula di preghiera che viene trasmessa deve

distinguere i discepoli da altri raggruppamenti religiosi. In Matteo la contrapposizione riguarda in particolare i pagani e il giudaismo farisaico. Nel contesto siriaco per il quale stato scritto il vangelo di Matteo, questa duplice distinzione oltremodo pertinente. In Luca si accenna all'ambiente dei discepoli di Giovanni Battista. In entrambi i casi, alla formula presa in s viene pertanto riconosciuta una funzione sociologica. Quando diventato d'importanza vitale questo bisogno di distinguersi da altri gruppi giudaici? Gi al tempo di Ges, oppure nelle prime generazioni in cui si formarono le comunit cristiane? Ges, preoccupato di riunire tutte le trib d'Israele - ne testimone l'istituzione dei Dodici durante la sua vita non pare raffigurarsi i suoi discepoli come un nuovo gruppo all'interno d'Israele. Anche nel primo gruppo giudeo-cristiano una tendenza del genere non riconoscibile. Questa non orienta nella direzione dei primi credenti "ellenisti" e della loro organizzazione in qualche modo appartata (cf. soprattutto At 6.1 ss.)? Su questa questione di Pshat vogliamo ora fare dei passi avanti esercitando un po' di Remez. Il confronto con una serie di passi paralleli in Marco e Giovanni e l'analisi dell'invocazione "Abba" nell'epistolario di Paolo possono aiutarci a mettere ulteriormente a fuoco la questione. Marco In nessun passo del vangelo di Marco Ges d ai discepoli qualcosa di simile a una formula esemplare di preghiera. Tuttavia il noto Padre Nostro di Matteo e Luca echeggia anche nel testo di Marco. Oppure l'eco che dobbiamo percepire va proprio nel senso contrario? Comunque sia, almeno due passi sono qui degni di nota: a. Nell'orto degli Olivi - il podere che porta il nome di Gethsemani (Mc 14.32) - Ges esorta espressamente i discepoli alla preghiera, cos come pure annunzia di andare anche lui a pregare (v. 32; vv. 34,38,39). Questa comune veglia di preghiera corrisponde alla tradizionale veglia notturna dei giudei, la haburah con alcuni amici nella notte di Pasqua, la veglia che racchiude in s tutte le altre veglie. In Marco questa evocazione svolge un ruolo tutto particolare, come testimonia tra l'altro il grande c. 13, le cui ultime parole costituiscono pure un'esortazione a vegliare (vv. 33-37). Vegliando, il credente vede da vicino l'evento liberatore escatologico: il ritorno trionfale del Figlio dell'uomo (13.24-27; cf. 8.38-9.1; 14.61 s.). Questa ora di liberazione immediatamente preceduta da un'opprimente ora di "dolori del parto" (13.8), di paura e tremore, di terrore mortale (14.34,35). In questo contesto udiamo Ges "pregare che, se possibile, quest'Ora passasse via da lui" (v. 35): "Abba, Padre, tutto possibile per Te allontana da me questo calice ma non ci che io voglio ma ci che (vuoi) Tu" (Mc 14.36). Inoltre vediamo Ges visitare ripetutamente i suoi discepoli ed esortarli alla veglia e alla preghiera: "Vegliate e pregate, per non entrare nella Prova" (v. 38). Diversi elementi di questa pagina colpiscono per la loro coincidenza con il Padre Nostro

tradizionale. 1. Innanzitutto l'invocazione: "Abba, Padre" (cf. Lc 11.2). Molto verosimilmente la pi antica tradizione aramaica aveva trasmesso l'invocazione ripetuta - "abba, abba" - e i primi cristiani ellenisti hanno tramandato l'espressione in parte in aramaico, in parte in greco (4). 2. Il terzo desiderio nella versione matteana "sia fatta la tua volont come in cielo cos anche in terra" - coincide con le parole di Ges al Gethsemani: "non ci che io voglio, ma ci che (vuoi) Tu". In Matteo la coincidenza diviene ancor pi notevole per il fatto che nel ripetere la preghiera nell' orto degli Olivi l'evangelista usa la stessa formulazione del Padre Nostro: "sia fatta la tua volont" (Mt 26.42). 3. Alla fine viene poi l'esortazione: "... pregate per non entrare nella Prova". Queste parole ci portano immediatamente dentro la richiesta finale del Padre Nostro: "e non farci entrare nella Prova". La metafora identica nei due casi: la tentazione rappresentata come uno spazio dinanzi al quale si arretra con la paura di dovervi entrare. 4. Si pu inoltre notare che l'invocazione in Marco viene immediatamente arricchita da una professione dell'onnipotenza del Padre (cf. in Mc: 10.27; anche 9.23 e 11.23; inoltre nella Scrittura: Gen 18.14; Gb 42.2; Zc 8.6 (LXX)). Qualcosa di simile presente anche nel Padre Nostro, in parte nell'espressione" che sei nei cieli" , in parte nei primi tre desideri concernenti il Nome, il Regno e la Volont. 5. Un'ultima coincidenza tra il testo di Marco e l'elaborato Padre Nostro secondo Matteo si trova nella struttura. Gli elementi che si corrispondono si trovano nella stessa successione e compiono un movimento analogo. Tutto questo fa pensare. Questa antichissima presentazione esemplare del Ges orante nella sua agonia costituisce la remota origine del Padre Nostro nella sua forma in cinque parti, oppure viceversa il Padre Nostro esistente ha influenzato questa scena in modo che i cristiani, pregando con questa formula, si ricordassero come Ges preg nella sua Pasqua ed esort gli apostoli a pregare con Lui? Da questa analisi risulta in ogni caso una reciproca forza di attrazione, e questo arricchisce l'orizzonte entro il quale i primi cristiani solevano pregare le parole del Padre Nostro. b. Un secondo passo nel vangelo di Marco che presenta un contatto inequivocabile con il Padre Nostro tramandato il versetto 11.25: "E quando state in preghiera, perdonate se avete qualcosa contro qualcuno, affinch anche il Padre vostro che nei cieli perdoni a voi le vostre trasgressioni". Ci che nel Padre Nostro viene espresso direttamente in forma di preghiera, lo ritroviamo qui nella forma di una catechesi sulla preghiera. L'intuizione del legame indissolubile tra l'essere perdonati da Dio e il donare il perdono ad altri comune a entrambi i testi (cf. anche Mt 18.23-34; Lc 6.36-38; Sir 28.2; ecc.). Le "trasgressioni" non sono n i "debiti" di Mt 6.12, n i "peccati" di Lc 11.4, ma compaiono come tali anche in Matteo, proprio nel passo argomentativo che segue il Padre Nostro: Mt 6.14-15! Anche l'espressione "il Padre vostro che nei cieli" ci porta in prossimit del discorso

della montagna matteano. La questione rimane: questa dottrina sul perdono e la catechesi sulla preghiera, che la segue, ad aver dato forma alle cinque richieste del Padre Nostro, oppure la formula di preghiera sta all' origine di questi logia catechetici? La questione dovr essere risolta in un contesto pi ampio. Giovanni Come in Marco, cos anche in Giovanni non troviamo nulla che assomigli a una formula di preghiera trasmessa da Ges ai suoi discepoli. Tuttavia il Padre Nostro sembra avere lasciato tracce addirittura pi profonde che in Marco. Non c' nessuno, del resto, che si sia occupato del concetto di "Padre" e del rapporto tra "cielo" e "terra" quanto Giovanni. * "Salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro" (20.17). Sono le parole del Risorto a Maria Maddalena, che ella deve trasmettere ai discepoli. Grazie alla resurrezione, ci dice l'evangelista, d'ora in poi possiamo pregare all'unisono con il Ges risorto: "Padre nostro", e in Lui siamo anzi "fratelli" l'uno dell' altro: "va' a dire ai miei fratelli..." (Gv 20.17; cf. Mt 28.10, dove pure ricorre il termine "fratelli". Giovanni ha reinterpretato il passo a modo suo). * "Dacci oggi il nostro pane 'quotidiano' o 'necessario per vivere' ", cos preghiamo con le comunit di Matteo e Luca. Anche Giovanni medita sul pane - "il vero", che viene "dal cielo", che stato "dato" non da Mos ma dal Padre. "Dacci sempre di questo pane" (6.34) l'invocazione degli ascoltatori di Ges durante la sua spiegazione. Giovanni conosce dunque apparentemente la quarta richiesta e radicalizza a suo modo la domanda di pane (o anche della manna - il modello biblico per eccellenza del pane donato quotidianamente!). Fa dire a Ges in tutta immediatezza: "lo sono il pane della vita" (6.35). * Ma soprattutto nel c. 12 il Ges orante arriva vicinissimo a ci che abbiamo trovato sia in Marco che negli altri due sinottici. L'autentica agonia o lotta mortale di Ges, quale i sinottici ce la narrano nel Gethsemani, in Giovanni trasferita nel c. 12 e combinata con ricordi della Trasfigurazione (cf. Mc 9.2 ss.). Ges parla dell'Ora che adesso finalmente giunta (Gv 12.23; cf. Mc 14.35,41). Ammette il suo turbamento (cf. Mc 14.34!) e prega: "Ora per la mia anima agitata, e che cosa dir? Padre, risparmiami quest'ora? ma proprio per questo sono giunto a quest'ora. Padre, glorifica il tuo Nome". Allora venne una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificher" (12.27 s.). I rapporti tanto con la scena del Gethsemani in Marco quanto con il Padre Nostro sono molteplici. La situazione analoga: la preghiera ci trasmessa al momento della Pasqua

di Ges - "l'Ora di tornare da questo mondo al Padre" (cf. 13.1 ss.). Egli invoca Dio due volte con l'espressione "Padre". Conosce anche la paura del dover entrare nella Prova qui raffigurata come "l'Ora" - e prega: "risparmiami quest'Ora", ci che equivale alla formulazione sinottica: "non farmi entrare nella Prova" (cf. anche Mc 14.35: "pregava che quell'Ora passasse via da lui"). Ma questo momento viene superato, ed Egli prega ora apertamente: "Padre, glorifica il tuo Nome". Qui siamo inequivocabilmente richiamati alla prima richiesta del Padre Nostro. Cos in questa breve scena di Gv 12 ritroviamo la prima e l'ultima richiesta del Padre Nostro in cinque parti, con l'invocazione lucana "Padre". Almeno altri tre passi dello stesso vangelo vengono evocati da questi versetti di Gv 12.27-28. a. In primo luogo il confronto con Lazzaro sepolto da quattro giorni in 11.32-44. Vi ritroviamo il turbamento, seguito da una preghiera liberatrice. Ges "volge intorno gli occhi e dice": "Padre, Ti ringrazio perch mi hai ascoltato. Sapevo che sempre mi ascolti, ma l'ho detto per via del popolo presente, affinch possano credere che Tu mi hai mandato" (vv. 41-42). Si confronti con Mc 14.36: "Tutto possibile a ,Te", e Mc 11.24. b. Nel giardino, sull' altra riva del torrente Cedron (Gv 18.1), Ges dice a Pietro al momento dell' arresto: "Il calice che il Padre mi ha dato, non lo berr?" (18.11). Qui siamo di nuovo vicinissimi a Marco (" Allontana da me questo calice, ma non ci che io voglio ma ci che (vuoi) Tu"), e anche alle parole di 12.27 s.: "Risparmiami quest'Ora, ma proprio per questo sono giunto a quest'Ora". c. Infine c' ancora la grande preghiera di Gv 17. Qui Giovanni riprende l'ultima espressione della preghiera del c. 12 e la sviluppa in una grande intercessione con cinque strofi elaborate. "Padre, glorifica il tuo Nome" diviene ora: "Padre, glorifica il tuo Figlio affinch il Figlio ti glorifichi" (17.1 ss.). La glorificazione del Nome del Padre ha luogo nella e attraverso la glorificazione del Figlio. Del resto il nome stesso di "padre" implica la relazione essenziale con un "figlio". Il Figlio stesso glorifica il Nome del Padre nella e attraverso la sua estrema dedizione d'amore fino al legno della croce. La strofe centrale di questa grande preghiera approfondisce ancora la tradizionale espressione "santificare il Nome": "Santificali nella verit. (...) Per loro io santifico me stesso affinch siano anch'essi santificati nella verit" (17.17-19). Nella stessa strofe si parla inoltre anche del Maligno: "Non ti chiedo che Tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal Maligno" (17.15). In base a tutto ci possiamo supporre che le richieste tradizionali del Padre Nostro non siano ignote a Giovanni, e che egli le rispecchi e interpreti a suo modo. Il contesto in cui

egli per eccellenza fa pregare Ges lo stesso che in Marco: la Pasqua, l'ora del passaggio da questo mondo al Padre. La lettera agli Ebrei Che nel ricordo dei primi cristiani la Pasqua di Ges e in particolare l'ultima veglia debba essere stata un particolare momento di preghiera, appare anche da un breve passo della lettera agli Ebrei. "Egli che nei giorni della sua esistenza mortale (lett.: della sua carne) con alte grida e con lacrime ha rivolto preghiere e suppliche a Colui che aveva potere di salvarlo dalla morte, e che per la sua devozione stato esaudito, egli ha - bench fosse il Figlio imparato a ubbidire alla scuola della sofferenza..." (Eb 5.7-8). L'agonia di Ges, quale ce l'hanno tramandata tanto Marco (c. 14) che Giovanni (c. 12), sembra da questo testo essere stata innanzitutto una lotta di preghiera, indirizzata a Colui "che tutto pu" e in particolare pu "salvare dalla morte" (cf. Mc 14.36; Gv 12.27), un processo di sofferenza in cui stata determinante la resa della volont, la libert nell' obbedienza. La lettera agli Ebrei sottolinea qui inoltre che la qualit di Figlio propria di Ges mai forse stata messa tanto alla prova come in quest'Ora, ma anche mai si espressa con tanta purezza come nella libera invocazione: "Abba, Padre" . Paolo Nel suo epistolario Paolo menziona due volte di passaggio l'invocazione di Dio come Padre "Abba" . Nella lettera ai Galati l'apostolo si sofferma sulla fili azione che con la venuta di Ges entrata nella storia, per liberare tutti coloro che stanno sotto la schiavit della Legge. Egli argomenta: "E la dimostrazione che siete figli, che Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abba, Padre. Cos non siete pi schiavi, ma figli" (GaI 4.6-7). Nella lettera ai Romani Paolo analizza la nuova esistenza nello Spirito - un' esistenza di giustizia e pace, di riconciliazione e libert. "Quanti sono condotti dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. Non avete infatti ricevuto di nuovo uno spirito di schiavit che vi infonde timore, ma avete ricevuto lo spirito della filiazione, nel quale gridiamo: Abba, Padre. Lo Spirito stesso testimonia insieme con il nostro spirito - cio conferma nella nostra propria coscienza - che siamo figli di Dio" (8.14-16). Colpisce in questi due testi che Paolo abbia conservato l'antica espressione aramaica: "Abba", raddoppiata mediante la traduzione greca. Qualcosa di simile abbiamo incontrato anche in Marco nel racconto della Passione. Qui ci troviamo chiaramente in presenza di una tradizione la quale consapevolmente vuol trasmettere, senza segnalarlo, una parola di Ges. Che prima di essa venga usato ogni volta il forte verbo krazo ("gridare"), molto notevole. Anche Ges ha pi volte ripetuto il nome di suo Padre durante la sua agonia "con alte grida e lacrime" (cf. Eb 5.7 e Mc 14.35 ss.). L'invocazione del Nome viene presentata in entrambi i testi come il frutto dell' attivit dello Spirito. "Abba" non dunque solamente un termine cifrato trasmesso di generazione in generazione , ma il grido d'invocazione comunicatoci dallo Spirito riversato nei nostri cuori. Al ricevimento dello Spirito viene donato anche di pronunziare

l'invocazione "Abba", e questo implica la coscienza e la consapevolezza che partecipiamo alla filiazione di Ges. Dall' ampio contesto dell' epistolario di Paolo appare che in noi questo Spirito costantemente prega, supplica, "geme", vale a dire perora e parla in nostro favore (cf. soprattutto Rm 8.26-27; cf. anche 2Cor 3.18). Ci che Paolo interpreta cos concisamente corrisponde indiscutibilmente a un' esperienza quanto mai precisa. Per via del termine "ricevere" (Rm 8.15), possiamo situare questa esperienza nell'iniziazione o rito battesimale. Dal punto di vista catechetico, il battesimo consisteva nel fatto che nella e attraverso l'acqua si compiva insieme con Ges la sua Pasqua e il suo passaggio dalla morte alla vita. Cos facendo si riceveva anche, sull' altra riva del processo della morte, lo Spirito della Figliolanza. In questo momento viene anche trasmessa la preghiera "Abba" di Ges, con la spiegazione che d'ora in poi lo Spirito che ha animato Ges e lo ha fatto risuscitare dai morti ha preso dimora in noi (cf. Rm 8.9-11!). Ci che troviamo attestato in Paolo in maniera netta ma estremamente concisa rimarr custodito per secoli nella pratica dei primi cristiani. Il Padre Nostro appartiene alla chiesa battesimale. Pu essere pregato solo da chi, grazie al rito battesimale, ha ricevuto lo Spirito della Figliolanza. significativo che gi la Didach collochi il Padre Nostro proprio dopo le norme sull' amministrazione del battesimo e prima delle osservazioni sulla prassi della preghiera nell' eucaristia. Per quanto breve, la testimonianza di Paolo ci fornisce l'accesso al livello del Sod nel Padre N 0stro. Lo Spirito che in noi prega e bramoso grida: "Abba, Padre" raggiunge il livello pi profondo di ci che pu verificarsi recitando la preghiera tramandata. Alcune considerazioni Dallo Pshat al Remez siamo infine giunti nel Sodo Partendo dalla comparazione di Matteo e Luca, attraverso Marco e Giovanni siamo finiti a Paolo. Il campo si allargato in tutte le direzioni. Qua e l, soprattutto in Giovanni, si affacciato anche il livello Darash, come nell'analisi del purissimo abbandono nella preghiera: "Padre, glorifica il tuo Nome". Ora dobbiamo anche poter tornare indietro al livello Pshat e alle questioni storico-critiche dell'inizio. Partendo da ci che siamo riusciti a scoprire al termine della via percorsa, possiamo supporre che tra i primi cristiani esistesse una tradizione relativa al pregare Dio come Padre la quale si riallacciava direttamente al ricordo dell'ultima veglia di Ges e della sua agonia nel Gethsemani. L'invocazione "Abba" da parte dei cristiani , secondo questa tradizione, una diretta partecipazione al suo Spirito -lo Spirito di Colui che ha compiuto la Pasqua ed risorto dai morti. Questo Spirito ci viene accordato nel e mediante il rito battesimale e ci autorizza a essere figli in Cristo, cos che noi, liberati in Lui, possiamo indirizzare a Dio in maniera pienamente degna la sua preghiera ancora conservata in aramaico: "Abba! Padre!" Paolo e Marco, ma anche Giovanni e la lettera agli Ebrei, e perfino Matteo e Luca nel loro racconto parallelo su Ges nell' orto degli Olivi, testimoniano tutti di questo esemplare momento di preghiera nella vita di Ges. Fin nell' esordio della forma lucana del Padre Nostro riconoscibile questa tradizione. In Luca si trova semplicemente: "Padre" (11.2). Tutto il vangelo di Giovanni a sua volta una testimonianza che l'invocazione di Dio come Padre per Ges non fu mai cos

esplicita come nell'evento di Pasqua, e per noi, grazie a Pasqua, diventata realt. Accanto a questa linea di sviluppo se ne pu distinguere un' altra che si accresciuta fino a produrre una formula ben definita di cui il Padre Nostro di Matteo e quello di Luca costituiscono due differenti versioni. La situazione linguistica e il relativo genere letterario di questa formula possono essere abbozzati solo per approssimazione. Il materiale disponibile non consente una chiara soluzione Pshat, che noi per cos dire possiamo toccare con mano. Possiamo al massimo, sulla base del Remez esercitato in tutte le direzioni, delineare un quadro il pi possibile coerente. La formazione del pi antico Padre Nostro sembra corrispondere a uno stadio ben definito della comunit protocristiana. Si pu congetturare la ricerca di una preghiera concisa ma specificamente cristiana, che, accanto a tutte le tradizionali preghiere bibliche e sinagogali, esprima l'identit dei cristiani nel loro rapporto con Dio. La formula trasmessa da Luca sicuramente, in lunghezza e contenuto, la pi prossima alla versione originaria. Questa sembra consistere di espressioni che si ricollegano tutte direttamente alla preghiera propria di Ges o alla sua catechesi sulla preghiera. sorprendente che troviamo gi cinque sostanziali corrispondenze tra le parole di Ges nel Gethsemani e il Padre Nostro matteano. Si deve sempre tenere conto di un' azione reciproca, nelle due direzioni, tra la formula tramandata e le preghiere che la tradizione evangelica mette in bocca a Ges. Gli esempi che abbiamo potuto studiare nel vangelo di Giovanni illustrano perfettamente la reciproca influenza. Perci rimane difficile pronunziarsi chiaramente sulla forma pi originaria del Padre Nostro: le cinque richieste che si sviluppano l'una dall'altra risalgono a Ges stesso? o sono una formula accuratamente composta da una comunit che nelle sue nuove sofferenze voleva imparare a pregare come pregava Ges? Al livello Pshat la questione dovrebbe essere decisa in un "bianco o nero", s o no, Ges o la comunit cristiana. Al livello Remez notiamo che l'alternativa non ha tanto peso: anche se la preghiera come formula non provenisse da Ges, tutto ci che essa contiene o attinto alla sua propria preghiera o la trasmissione, in forma di preghiera, del suo insegnamento. Al livello Darash la questione perde molta della sua urgenza: comunque ci atteggiamo nel pregare, preghiamo per sempre nello spazio che queste parole aprono, perfino nel caso che scegliamo, alloro posto, tutt' altre parole, per esempio salmi... E per quanto concerne il Sod, nessuna singola formula, per quanto fedelmente tramandata, surroga le ispirazioni dello Spirito, che ammette benissimo tutte le parole ma ci conduce molto pi in l, "in gemiti inesprimibili" (Rm 8.26). Tuttavia fa certo qualche differenza - al livello Pshat! - se la preghiera stata consegnata da Ges ai suoi discepoli come formula conclusa, o se stata composta da cristiani. Sembra che siano stati i cristiani, pi che il Ges storico, a preoccuparsi di costituirsi in gruppo separato con una propria preghiera in contrapposizione con altri gruppi esistenti. Possiamo anzi dire che non tutti i primi cristiani erano preoccupati di costituirsi in comunit separata. Vediamo gli apostoli a Gerusalemme dopo la resurrezione e ascensione di Ges recarsi a pregare al tempio alle ore consuete della preghiera. Si pu porre la questione se non siano stati i cristiani ellenisti all' origine della formula, che allora di fatto sin dall'inizio sarebbe stata composta e trasmessa in greco. Tutti gli sforzi infruttuosi di tradurre il Padre Nostro in ebraico o in aramaico e in particolare di ritrovare un substrato semitico per la singolare parola epiousion, sono allora - da un punto di vista rigorosamente Pshat - superflui. Possiamo immaginarci benissimo questo

dinamico gruppo di primi cristiani comunicare ai loro seguaci di lingua greca, tanto giudei che proseliti, una breve formula in cui ritrovare, sotto forma di preghiera, tutti i pi importanti temi della predicazione e del modo di vita di Ges. La preghiera ha allora anche la funzione di symbolon, un piccolo "Credo", una sintesi di ci che importante nella "via" cristiana. Recitare il Padre Nostro ha allora anche la funzione di consolidare l'identit del gruppo. Cos come composto, viene pregato con una sorprendente attesa escatologica. Quasi ogni richiesta implica una tensione piena della speranza che il compimento escatologico giunga in fretta. Cos la particolare spiritualit della notte pasquale percorre anche questa antichissima formula: "Padre, sia santificato il tuo Nome, venga il tuo Regno, il pane, quello essenziale, daccelo oggi! Rimetti a noi il nostro debito come anche noi rimettiamo ai nostri debitori e non farei entrare nella Prova". L'ultima richiesta, cos tipica della lotta mortale di Ges nel Gethsemani, difficilmente pu aver fatto parte di ci che Egli stesso avrebbe insegnato in precedenza ai suoi discepoli... Al livello Pshat si deve scegliere, e, per quanto possiamo vedere, la formula pi antica sembra essere il frutto di una situazione didattico-catechetica nella comunit cristiana di lingua greca in Palestina, probabilmente proprio in Gerusalemme, dove furono composte e conservate anche le pi antiche tradizioni sulla storia della Passione. . Questo antichissimo formulario andato sviluppandosi gi nel N.T. e soprattutto Matteo ne testimone. Il suo testo pi ricco, anche pi completo, ma soprattutto pi pieno dal punto di vista poetico-liturgico e quindi pi adatto per la preghiera. Nel discutere a parte il suo Padre Nostro ne analizzeremo la struttura e il movimento di preghiera che sostiene il tutto. Qui si pu constatare un leggero slittamento rispetto al Padre Nostro in cinque parti delle origini. In Matteo il Padre Nostro un po' pi preghiera che symbolon, bench i due aspetti siano presenti sin dall'inizio della tradizione. Il carattere liturgico del Padre Nostro trova un' espressione ancora un po' pi forte nella versione conservataci dalla Didach. Qui il Padre Nostro concluso da una dossologia, e concepito come una preghiera che si recita tre volte al giorno, come la preghiera delle ore giudaica. L'integrazione del Padre Nostro nella preghiera eucaristica, un fatto attestato chiaramente solo a partire dal quarto secolo, prosegue ulteriormente questa linea. Cos ci troviamo in presenza di una doppia linea di sviluppo che corre pi o meno parallelamente dallo Pshat al Sod e dal Sod allo Pshat! Le forme che la preghiera ha assunto possono essere descritte come un movimento pendolare tra due estremi: dalla pi marcata esteriorit alla pi intima interiorit. Da un lato il Padre Nostro si riduce a una formula che si pronunzia per affermare pubblicamente la propria identit in quanto distinta da altri gruppi; dall' altro lato si afferrati dallo Spirito che ci spinge a gridare dall'interno, dove l'abbandono di Ges al Padre viene compiuto insieme con lui, al di l di tutte le parole e formule. Tra i due estremi si trovano forme miste di ogni genere, ora pi liturgico-ufficiali, ora intime e personali. Proprio al centro del movimento pendolare

si pu situare la tradizione che nel corso del secondo secolo era diffusa dovunque, cio l'uso di battezzare i nuovi discepoli nella notte di Pasqua e di consegnare loro e far loro proclamare il Padre Nostro, quando uscivano dall'acqua. Il mistico e l'istituzionale si compenetrano qui nel medesimo atto. Il rapporto con il Padre (il mistico) e il rapporto con la Madre (l'istituzione) vengono pienamente realizzati insieme. Possiamo benissimo appoggiarci una volta a un polo e un'altra all'altro, a condizione di compiere il movimento in entrambe le direzioni e di non perdere mai d'occhio il centro. Conseguenze pratiche Da tutto ci impariamo almeno tre preziosi insegnamenti per la nostra concreta vita di preghiera. 1. Recitare il Padre Nostro aveva nel cristianesimo primitivo una dimensione che noi da molto tempo abbiamo perduto. Nel modo pi profondo, pronunziare il nome di Dio come Padre un'ispirazione dello Spirito. L'esordio di questa preghiera , secondo la pi antica tradizione, possibile solo in un' apertura ricettiva allo Spirito che agisce in noi. Questo Spirito lo Spirito del Cristo risorto, lo Spirito trionfante di Pasqua, ricevuto al battesimo. Questo linguaggio sorprendentemente forte, rappresentato nel N.T. da Paolo ma confermato dai primi commenti patristici al Padre Nostro, abbraccia un' esperienza molto specifica di cui stato fatto tesoro anche per noi, cristiani del ventesimo secolo, nella misura appunto della nostra fede. Nulla oggi pu rinnovare tanto la nostra preghiera quanto proprio la continua attenzione a questo Spirito di Dio che si comunica in noi. Ogni catechesi per bambini sulla preghiera non dovrebbe mai perdere completamente d'occhio questa esperienza. 2. Nel N.T. incontriamo almeno cinque Padre Nostro. Questo pu stupirci, ma non deve creare turbamento in nessuno. Le analisi ci mostrano quanto aperto il Padre Nostro. Aperto verso il pi e verso il meno. a. La preghiera pi breve quella di Paolo: "Abba, Padre". E anche la pi essenziale. Comprende il grido dello Spirito nel e attraverso il nostro cuore: "Abba"! b. In Marco troviamo la stessa espressione, per arricchita in un' esemplare preghiera tripla. Partecipiamo all'intima preghiera pasquale di Ges e impariamo a vegliare con Lui nella notte che abbraccia tutte le notti. c. La versione lucana comprende ancor sempre lo stesso esordio che in Paolo e Marco, per senza l'espressione aramaica. Per brevi che siano, le cinque richieste comprendono tutti i desideri e le aspirazioni essenziali che un seguace di Ges nutre in s. d. In Matteo (cf. anche la Didach) ci troviamo in presenza di una preghiera matura e sintetica, molto adatta, nella sua ricchezza e completezza, per tutte le celebrazioni comunitarie, le preghiere familiari, o anche come preghiera del mattino e della sera. e. Infine c' ancora Giovanni. La preghiera sacerdotale del c. 17 approfondisce e allarga la formula nota e introduce la comunit orante nella sublime intercessione del Figlio. 3. N ella preghiera personale si pu sulla base di questa differenziazione di formule, pregare ora ampiamente (con Matteo e Giovanni), ora con la semplicit e profondit di Paolo o di Marco. Bench il tradizionale Padre Nostro sia relativamente breve, il suo contenuto cos ricco che nella preghiera personale spesso ci si pu accontentare di una o due richieste sulle quali soffermarsi a lungo. Perci bene imparare a memoria anche le versioni pi brevi di Luca, Marco o Paolo. La cosa pi importante indubbiamente

rispettare la dinamica pasquale che sostiene dall'interno ogni preghiera a Dio come Padre, e soprattutto preoccuparsi di lasciar pregare in noi lo Spirito di Dio attraverso le parole di cui si fatto tesoro. IL PADRE NOSTRO MATTEANO Struttura Contesto Matteo include il Padre Nostro nel suo primo grande discorso, il cosiddetto "discorso della montagna" (Mt 5-7). Il Padre Nostro occupa esattamente il centro della composizione complessiva. Il discorso della montagna consiste infatti di cinque parti: un'introduzione con un prologo e una frase conclusiva con un epilogo delimitano il corpo vero e proprio, che ripartito in tre grandi unit. 1. introduzione + prologo 5.3-16 + 17-20 2. parte I: contro la giustizia degli scribi 5.21-48 3. parte II: contro la giustizia dei fari sei 6.1-18 4. parte III: la superiore giustizia del Regno 6.19-7.11 5. frase conclusiva + epilogo 7.12 + 13-27 Il Padre Nostro incluso nella parte centrale (6.1-18) che a sua volta tripartita. Ges vi tratta tre diverse pratiche: fare 1'elemosina, pregare e digiunare (6.2,5,16). Nella discussione centrale inserito come ampliamento il Padre Nostro. Strutturalmente quindi in Matteo il Padre Nostro occupa il cuore del discorso della montagna. Questo , in confronto con le altre grandi allocuzioni di Ges nel vangelo di Matteo, il discorso programmatico per eccellenza. A un livello pi profondo la giustizia del "Padre che nei cieli" e "che vede nel segreto" il vero fulcro dell'intera argomentazione. Non a caso dunque questa catechesi sulla preghiera e questa preghiera esemplare stanno al centro dell'intera trattazione. Quando Tertulliano (verso il 200) chiama il Padre Nostro breviarium totius evangelii (compendio di tutto il vangelo), ci sicuramente vero alla luce della forma matteana. Struttura interna Il Padre Nostro in Matteo consiste in un'invocazione (v. 9a) e sette richieste, concluse nella tradizione posteriore da una dossologia (cf. gi in Didach 8.2: "perch tua la potenza e la gloria nei secoli") . L'esordio chiarisce immediatamente che abbiamo a che fare con una preghiera della comunit: "Padre Nostro...". Le quattro ultime richieste lo sottolineano ancora una volta: nostro pane, nostri peccati", "non farci entrare", "liberaci". "Chi professa Dio come Padre, professa anche il Figlio. Ma chi professa il Padre e il Figlio, annuncia anche la Madre, la Chiesa. Senza di essa non vi Figlio e non vi Padre. In questa parola 'Padre' adoriamo Lui con tutti i suoi, obbediamo alla sua Parola e ci distinguiamo da chiunque non vuole riconoscer Lo" (Tertulliano, seguito in ci dalla maggior parte dei padri

latini). Le sette richieste si possono ripartire in due gruppi. Le prime tre concernono Dio stesso. Solo alla quarta 1'attenzione viene rivolta alla comunit e alle sue necessit. L'attenzione rivolta prima al Donatore di tutti i beni, e le suppliche collocate solo al secondo posto, costituiscono una struttura riconosciuta di ogni pregare, tanto presso i rabbi che presso i padri della chiesa. I rabbi spiegano questa struttura nei loro commenti alle tradizionali preghiere giudaiche, in particolare alla grande preghiera delle Diciotto benedizioni, che veniva pronunziata nella sinagoga gi al tempo di Ges e degli apostoli. La struttura fondamentale delle Diciotto benedizioni prevede le suppliche al centro, dopo tre lodi, mentre le ultime tre vengono intese come ringraziamenti. Le dodici benedizioni centrali possono del resto essere abbreviate o sostituite in occasione di determinate solennit. Nel Talmud babilonese si legge: Rabbi Simlai spiegava: Sempre si deve prima lodare il Santo, benedetto Egli sia, e solo dopo pregare (vale a dire chiedere ci di cui si ha bisogno). Come lo sappiamo? Da Mos. Sta scritto infatti (che Mos disse): "E allora Lo supplicai" (Dt 3.23). E sta scritto (vale a dire Mos introduce cos la sua preghiera): "Signore Dio, tu hai cominciato a far vedere al Tuo servo la Tua grandezza e la Tua forte mano: quale Dio vi in cielo che compia tali potenti atti?" (Dt 3.24). E solo allora sta scritto (Dt 3.25): "Permettimi per di passare all' altra riva per vedere la buona terra" (b.Berachot 32a). Inoltre leggiamo: Rav Jehuda diceva: Uno non deve mai chiedere cose personali nelle prime tre (delle diciotto benedizioni) e neppure nelle ultime tre, ma in quelle centrali. R.Chanina diceva: le prime fanno pensare a un servo che proclama la lode del suo padrone; quelle di mezzo a un servo che chiede favori al suo padrone; le ultime a un servo che ha ricevuto un favore dal suo padrone e ora prende nuovamente commiato (b.Berachot 34a). Agostino, con altri padri della chiesa, ha chiaramente riconosciuto questa struttura nella preghiera del Signore: "Ogniqualvolta chiediamo qualche cosa, dobbiamo prima cercare di guadagnare la benevolenza di colui al quale ci rivolgiamo (ad captandam benevolentiam, dicevano i manuali di retorica!). Poi gli si presenta l'oggetto della propria richiesta. Ora, la benevolenza di qualcuno si ottiene lodandolo, e questa lode si pone normalmente all'inizio della supplica. Perci il Signore ci prescrive di dire semplicemente: Padre nostro che sei nei cieli" (Sermo 2,4; PL 34, 1275). La preghiera biblica, e in particolare la salmodia, ci nutre per aiutarci a raggiungere una preghiera che sia cos pienamente degna. Come hanno mostrato Cl. Westermann e altri

esegeti moderni, la preghiera biblica di lamentazione sempre preceduta dalla preghiera di lode ed intrinsecamente orientata alla preghiera di lode e di ringraziamento. lo mi lamento per poter tornare presto a lodare Dio; e posso lamentarmi solo perch ho potuto lodare Dio una volta, ma ora non posso pi (cf. in particolare Sal 22.2a,4-6,23-32). Un cuore formato dalla preghiera dei salmi biblici mira nel modo pi profondo a lodare Dio in tutto e proprio per questo a indirizzargli tanto pi liberamente il proprio lamento. L'uomo moderno spesso non sa pi lamentarsi perch non ha mai imparato a lodare n a ringraziare. Il ritmo di lode, lamento o supplica e ringraziamento proprio di chi ha imparato a stare nel Patto con il Dio vivente. Il numero sette ha affascinato molti commentatori. In una ricca pagina del suo commento al discorso della montagna, Agostino ha sviluppato largamente il rapporto con i sette doni dello Spirito e con le sette beatitudini (5). Pubblicazioni recenti fanno delle sette richieste del Padre Nostro una metafora, per via del candelabro a sette bracci del T empio (presente anche nel T empio celeste, secondo Ap 4.5). Il numero non certamente casuale in un evangelista come Matteo, sviluppatosi alla scuola rabbinica: vi sentiamo l'idea di completezza - come, alle origini, la settimana completa della creazione. Per il nostro cuore orante, ci non privo d'importanza: il Padre Nostro una preghiera completa che recitiamo di quando in quando nella sua completezza, come un piccolo "Credo", e che altre volte dobbiamo meditare nel nostro cuore in una forma pi limitata, costituita da una o due richieste. Solo chi impara a pregare alternativamente secondo queste due misure non viene mai schiacciato dalla corrente troppo densa di richieste ricche di contenuto e neppure distolto, in un biascicare meccanico, dal profondo significato. Un'ultima osservazione. Le due ultime richieste hanno comunque qualcosa di strano. Il Padre Nostro non finisce con un ringraziamento, e neppure con ci che molto tradizionale nella struttura della preghiera ebraica ufficiale, cio una richiesta di pace. Tanto la versione lucana che quella matteana del Padre Nostro hanno conservato l'insolita forma in cui la preghiera finisce con un grido di miseria. La tradizione liturgica ha composto molto presto un' aggiunta (il cosiddetto "embolismo") in cui l'ultima parola viene ripresa e ulteriormente sviluppata in una preghiera per la pace, e conclusa con la nota dossologia: "Perch tuo il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli. Amen" . Come movimento, il Padre Nostro sfocia quindi in un pressante grido di miseria. Qui possiamo ancora percepire qualcosa del rapporto originario tra il Padre Nostro e la preghiera di Ges nel Gethsemani. Pregare il Padre Nostro orienta nel modo pi profondo verso l'agonia messianica attraverso la quale passato Ges. Sull' altra riva della Prova e della lotta con il Maligno c' la vittoria della Resurrezione, del Risorto in persona che dice: "lo ho vinto il mondo" (Gv 16.33). La dossologia che noi Roi siamo soliti proclamare, annunzia la vittoria. bene tornare a pregare ogni tanto il Padre Nostro con questa finalit. Ci d alla nostra preghiera una maggiore intensit messianica, completa con un' autentica speranza messianica lo spessore di ci che noi individualmente e collettivamente contribuiamo a realizzare nella storia e affretta di fatto il tempo prossimo del compimento. Cos pregava anche Paolo, quando accoglieva appieno nel suo corpo mortale lo Spirito anelante alla libert dei figli di Dio (Rm 8.1830). In una delle pi antiche catechesi sulla preghiera tramandateci dai padri del deserto (IV-V sec.), vediamo quanto liberamente un padre - uno dei pi grandi che il deserto abbia prodotto - fornisse risposta a una domanda classica:

"Una volta vennero alcune persone dall' abba Macario e chiesero: 'Come dobbiamo pregare?' L'anziano disse loro: 'Non c' bisogno di molte chiacchiere (cf. Mt 6.7), ma stendete le mani e dite: Signore, come Tu vuoi, e come Tu sai, abbi piet di me! E quando la tentazione infuria: Signore, aiutami! Egli sa che cosa ci necessario (cf. Mt 6.8) e perci ci dimostra misericordia' " ben sorprendente che abba Macario non proponga il Padre Nostro come formula per pregare! Pi ancora, si richiama proprio all'introduzione evangelica al Padre Nostro per pregare diversamente! Nel fare ci, rimanda inequivocabilmente a Ges nella sua agonia, non solo nel Gethsemani ("come Tu vuoi", cf. Mc 14.36), ma anche sulla croce ("stendete le mani"). Nel "come Tu sai" l'abbandono si apre la via fino al livello percepibile della preghiera, il che qui non irrilevante, perch la preghiera stessa era di tipo percepibile. Inoltre, questo tratto viene ancora rinforzato alla fine dalle parole: "Egli sa bene che cosa ci necessario ancor prima che gliela chiediamo" (di nuovo Mt 6.8, l'introduzione al Padre Nostro)! Qui impariamo come la preghiera, ogni preghiera, dunque anche il Padre Nostro, a poco a poco si semplifica finch si compie in una parola, in un grido (cf. Gv 19.28,30). La struttura del Padre Nostro, e soprattutto il modo in cui termina con questo doppio grido di miseria, corrisponde allo stesso movimento e resta in ci un forte modello di come dobbiamo pregare. Come nella storia del Padre Nostro abbiamo potuto tracciare una linea di sviluppo da una parola a una preghiera liturgica completa, cos vediamo qui una tendenza nella direzione opposta, da molte parole a una sola e infine a un grido. Il nostro cuore arante ha bisogno alternativamente di entrambe le cose. Parola per parola "Padre nostro che sei nei cieli" Questa invocazione contiene un paradosso innegabile. Simone Weil, ebrea, vi percepiva una certa ironia. In quanto "Padre", egli Vicinanza. Con le parole "che sei nei cieli" Egli ci sovrasta in una sublimit inavvicinabile. Dal punto di vista ebraico, "padre nostro" senza l'aggiunta "nei cieli" rimanderebbe semplicemente ad Abramo (cf. Is 51.2; 63.16; Gv 8.390. Un'antica preghiera ebraica, che risale almeno a R. Akiba (+ 135), invoca Dio come "nostro Padre, nostro Re" (avinu malkenu). In Giovanni si trova l'espressione "Padre santo" (17.11). Il Te Deum romano formula lo stesso paradosso con queste parole: Pater immensae majestatis. In Ges, l'invocazione di Dio come Padre implica una reciprocit unica ed esclusiva. "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio" (Mt 11.27). Grazie allo Spirito, anche noi possiamo partecipare a questa reciprocit. Ci che Ges dice qui si compie in ciascuno di noi nella misura del nostro abbandono allo Spirito. Questa reciprocit non mai perfetta, non mai conseguita e raggiunta una volta per tutte. Chi, guidato dallo Spirito di Dio, entra nello spazio libero dell' abbandono e dello scambio con Dio improntati all' amore (' 'tutto ci che mio tuo"), non conosce pi pausa. Se la reciprocit perfetta, come Ges testimonia per se stesso, allora la metafora Padre-Figlio naturalmente e intrinsecamente superata. E anche per questo che ad alcuni oranti pu bastare la sola invocazione.

Chiunque dice: "Padre Nostro", si lega a Ges (il Padre suo d'ora in poi anche il nostro) e alla vasta comunit di tutti coloro che, alla sua sequela, hanno in qualunque tempo pregato Dio cos. A ragione i padri della chiesa vedono qui tematizzata al tempo stesso anche la chiesa come "madre". "Sia santificato il tuo Nome" Nulla cos biblico come questa prima richiesta. Maria la grida nel suo Magnificat "perch santo il suo Nome", e in ci si accorda con le parole del primo salmo dell'Hallel: "Benedetto il Nome del Signore" (Sal 113.1-3, per tre volte!). Cos anche Daniele benedice il Dio del cielo (Dn 2.20, inizio del suo ringraziamento). Questo versetto di Daniele e del salmo 113 considerato dalla tradizione rabbinica come "uno dei pilastri sui quali si regge il mondo" (Sotah 49a). L'antica preghiera del Kaddish conosciuta gi al tempo di Ges - ruota intorno a quell'unico riconoscimento: santo il suo Nome (cf. anche l'esordio del salmo 103: "Voglio chiamarlo con il suo Nome il Dio santo, com' vero che vivo", secondo la suggestiva traduzione di Oosterhuis e altri). In questa preghiera si chiede che Dio stesso santifichi il suo Nome. Possa Egli manifestare il suo Nome, cio la sua Persona che si comunica, con tutti i suoi attributi. Vieni in mezzo a noi, santifica te stesso e facci partecipi della tua santit fino in fondo al nostro essere (cf. Ezechiele, il sacerdote e profeta della santit di Dio, soprattutto in 36.20-38). Ci implica anche che chi prega cos si lascia afferrare fino all'estremo da questo Nome santificante. Nulla tanto aperto al livello Darash quanto questa richiesta. Perch noi non possiamo santificare il Nome se non lasciandolo entrare nella nostra vita con la sua azione santificante. Il Nome santifica ed santificato in un medesimo processo. Nel N.T. ci non mai formulato con tanta forza come nel vangelo di Giovanni. "Padre, glorifica il tuo Nome" diviene nella preghiera sacerdotale: "Padre, glorifica il Figlio tuo affinch il Figlio glorifichi te". Il Nome del Padre implica il Figlio. La glorificazione del Nome paterno contiene in s la glorificazione effettiva del Figlio stesso. Ges, secondo Giovanni, glorifica il Nome nella morte, come il Padre ha glorificato il Figlio suo nell' esaltazione, al di l della morte in croce, nella gloria divina. Per Giovanni, questo processo di glorificazione reciproca semplicemente amore. I martiri ebrei vengono designati ancora oggi con l'espressione "santificare il Nome". Il caso pi alto di una tale morte impregnata d'amore si conserva nella memoria di tutti: il martirio dello straordinario Rabbi Akiba. Torturato dai Romani, recita ciononostante, alla sera, la preghiera prescritta. Cos si collega con il sacrificio serale nel Tempio di Gerusalemme. I suoi discepoli vogliono risparmiargli quell'ultimo sforzo: "Maestro, ora per sei dispensato!". Ma egli risponde: "Tutta la vita ho bramato di poter davvero recitare lo Shema ("Ascolta...", prima parola di Dt 6.4 che introduce la preghiera) con il mio ultimo respiro (Dt 6.5, "Amerai il Signore tuo Dio con tutta la tua anima" = respiro). Mi chiedevo: Quando verr quell'ora? E ora che venuta, come non dovrei compiere ci che ho sempre desiderato?" E riprende la preghiera: "Shema Israel, Adonai Elohenu Adonai Ehad. Ascolta Israele, il Signore nostro Dio Uno". E proprio nel dire il Nome "Uno" esala l'ultimo respiro. "Venga il tuo Regno"

Con questo Regno atteso s'intende nientemeno che il Re in persona, Dio in quanto sovrano del nostro mondo (cf. Is 52.7: "la buona notizia: il nostro Dio Re!"). Con questa richiesta traduciamo in forma di preghiera il cuore della predicazione di Ges. Egli stesso era - come si esprime Origene - "il Regno in persona" (autobasileia). La sua comparsa rendeva il Regno immediatamente presente. La giustizia, la pace, la riconciliazione e il perdono dei peccati che la sua venuta nel mondo portava, vengono nuovamente attualizzati in una sola parola mediante questa richiesta. I padri della chiesa conoscevano una variante di questa seconda richiesta: "il tuo santo Spirito venga su di noi e ci purifichi". Vieni dunque con il tuo Spirito, soffia sulla tua creazione, "soffia dai quattro venti su queste nostre ossa" (Ez 37.9). Rinnova la faccia della terra (Sal 104.30). Lo Spirito sempre il pi immediato inizio del Regno che viene nella storia. Massimo il Confessore (VII secolo) comprendeva la sequenza di "Padre" ,"Nome" e "Regno" come un movimento trinitario: il Padre santifica il suo Nome nella glorificazione del Figlio e fa venire il suo Regno effondendo lo Spirito nei nostri cuori. "Sia fatta la tua volont come in cielo cos in terra" La volont di Dio viene fatta in cielo e l compiuta dagli angeli. Lo ricordano sia i rabbi che i padri della chiesa (cf. tra l'altro Sal 103.21). Possa ora questa volont essere compiuta anche sulla terra da noi uomini. Ci corrisponde a una visione tipicamente matteana della chiesa e della storia. La chiesa , d'ora in poi, il luogo dove cielo e terra sono una sola cosa nel Cristo risorto (cf. 28.18: "Mi stato dato ogni potere nel cielo e sulla terra"; 9.6,8; 16.19; 18.18). Gli attributi divini relativi al portare perdono, misericordia, pace sono d'ora in avanti i segni distintivi della comunit cristiana (cf. tra l'altro le beatitudini e la successiva pericope sulla luce del mondo e il sale della terra, 5.3-16). Il versetto finale della preghiera del Kaddish sopra menzionata pu benissimo avere influenzato qui la formulazione matteana: "Colui che crea la pace nel suo alto cielo, crei pace per noi e per tutto Israele. E di': Amen!". Che cosa la volont di Dio? Il suo misterioso decreto, il suo beneplacito, il suo impenetrabile piano di creazione e rigenerazione? Il N. T. e in particolare anche il vangelo di Matteo esplicitano regolarmente questa "volont". Nel contesto della preghiera, si deve citare innanzitutto il grande testo catechetico sulla preghiera di 1 Tm 2.1-8, dove detto espressamente: "E la volont di Dio nostro Salvatore che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verit" (vv. 3-4). Tutti i padri della chiesa si richiamano spontaneamente a questa testimonianza (6). Altrettanto importante come formula circoscritta il rinvio alla preghiera di Ges nel Gethsemani (Mt 26.39,42). In tal modo, la richiesta finale della prima sezione del Padre Nostro si avvicina moltissimo alla fine della seconda e ultima sezione: "e non farci entrare nella Prova". Le prime tre richieste formano un'unit. I grandi concetti di Nome, Regno e Volont coincidono e si completano (7). La preghiera pu ripeterli e recitarli, in libera associazione, in senso inverso. Il movimento si compie per certamente in un moto discendente continuo, dal cielo verso la terra, o anche dal Padre verso il Figlio, dallo Spirito ("il Regno") verso gli angeli ("nel cielo") e gli uomini ("sulla terra"), e anche dalla gloria verso il momento della lotta, evocato nell'ultima espressione che coincide

con le parole di Ges nell' orto degli Olivi. A.Hamman vi ha ravvisato una sequenza storico-salvifica: forse che il Nome non stato fatto conoscere a Mos, il Regno dato con David, che diviene il modello del Messia venturo, e la volont a Esdra e ai pii conoscitori della Torah (8)? significativo che non meno della met del Padre Nostro si soffermi su Dio. Ma cos fa anche Ges quando riconduce tutti i precetti della T 0rah a due cose: il primo comandamento concerne parimenti ed espressamente l'onore di Dio; l'amore del prossimo viene, anche l, al secondo posto. I due sono simili tra loro, precisa Ges nel vangelo di Matteo (22.39). Sembra che questo sia il caso anche nella preghiera. Comunque, pregare che il Nome sia santificato, il Regno venga o la volont sia fatta cosa che non pu essere realizzata senza che gi si partecipi effettivamente, con il cuore e con l'anima, a questo Regno di giustizia e amore, alla volont di Pace. Senza conversione e impegno per il prossimo neanche una delle richieste pu essere pronunziata correttamente (cf. Mt 18.14). "Dacci oggi il nostro pane 'quotidiano' " Alla quarta richiesta, ogni traduttore inciampa nell' aggettivo che viene a qualificare il pane richiesto. In greco c' epiousion. Questo termine quasi mai attestato altrove ha costituito un bel rompicapo per tutte le generazioni di esegeti. Non per questo la preghiera diviene totalmente incomprensibile! Un primo dettaglio che merita attenzione concerne la struttura sintattica e in particolare la ripetizione dell'articolo determinativo. Letteralmente, si ha: "il pane di noi, l'epiousion, dacci..." . Formulando cos la preghiera, si chiede chiaramente un pane ben determinato, che si distingue da un altro pane. Qualunque significato possiamo dare al misterioso epiousion, si dovr riconoscere una contrapposizione a un altro "pane". Ora, ci sembra che la migliore spiegazione di questo ricercato aggettivo consista nel considerarlo derivato dal sostantivo ousia (in greco il prefisso epi necessario per la formazione di un aggettivo, senza avere per questo una grande valenza semantica). Ora, ousia significa: natura, essenza, realt, anche potere e possesso. Tradotto, l'aggettivo significa allora: essenziale. Se lo ricollochiamo nel contesto, il senso suona allora: "il nostro pane, l'essenziale, il sostanziale, il necessario alla vita, daccelo oggi" (9). Che cosa intendevano, ora, i primi cristiani quando insegnavano ai loro discepoli a pregare per il pane "sostanziale", "essenziale"? Secondo lo Pshat, essenziale o necessario alla vita significa tanto ci di cui abbiamo bisogno per restare in vita quanto ci che realmente ci nutre nel tempo e nell'eternit. Al riguardo possiamo pensare alla preghiera del saggio Agur il quale non chiede n pin meno che la sua razione quotidiana: "non darmi povert n ricchezza; fammi godere del pane che la mia razione" (Pr 30.8). Nell'orizzonte biblico (Remez!) un pane del genere evoca in primo luogo l'episodio della manna nel deserto (cf. Es 16). L viene donato a ciascuno, precisamente "ogni giorno", il necessario secondo i suoi bisogni. Vista l'importanza dell'atto dello "spezzare il pane" nelle prime comunit, non da escludere che questo pane qualificato come epiousion alludesse sin dall'inizio al rito della comunione. In questo spezzare si viveva tanto la comunione reciproca quanto l'intimo legame con il Signore risorto. Luca formula questa richiesta in un modo che fa pensare ancor pi fortemente al gesto della comunione ripetuto quotidianamente: "continua a darcelo ogni

giorno di nuovo". Quest'ultima espressione (to kath'hemeran) ritorna precisamente due volte in At 2.46 e 47, dove si riferiscono le abitudini quotidiane dei primi fratelli (e tra l'altro "lo spezzare il pane"). In questo contesto, lo scelto e ricercato termine epiousion pu avere, entro la cerchia dei primi cristiani di lingua greca, la funzione di una parola in codice: per gli estranei, il significato vago fino all'incomprensibile; per i membri della comunit rinvia inequivocabilmente a tutto ci che viene esperito con l'intensa presenza allo "spezzare il pane" in Nome di Ges. Non da escludere che anche al tempo di Ges circolasse tra i discepoli un analogo modello di preghiera. Ogni giorno, Ges e i suoi dipendevano, per il loro nutrimento, dall' ospitalit altrui. In Palestina, questa ospitalit fraterna era considerata un dovere (d'altronde, non sempre spontaneamente offerta: cf. Lc 11.5!). Questa preghiera, soprattutto nella versione di Matteo ("da' ", "oggi"), insegna ai discepoli ad accogliere con gratitudine, come dalle mani di Dio, l'ospitalit offerta o ricevuta, senza preoccuparsi ulteriormente del domani (Mt 6.34; anche 6.25-32) (10). tipico del modo ebraico di trattare tutta la creazione, e in particolare il cibo quotidiano, il benedire sempre il Nome prima di fruirne. Nella struttura di questa preghiera si esprime una preziosa percezione, tipicamente ebraica: anche ci che ci si procacciato con le proprie mani un dono. Nel momento in cui si sta per appropriarsene, s'impari a riconoscerlo per quello che realmente , a riceverlo in gratitudine e a condividerlo in fraternit (11) . I padri della chiesa hanno riferito spontaneamente questa richiesta al dono per eccellenza, "il vero cibo" , come Ges spiega nel vangelo di Giovanni (cf. Gv 6.34). Per loro, questo pane Cristo stesso (cf. Mc 8.14, dove l'enfaticamente sottolineato "solo un pane" non senza significato cristologico). O ancora: la Parola di cui vogliono nutrirsi quotidianamente (cf. Dt 8.3 e Mt 4.4: "l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che viene dalla bocca di Dio"). Solo in terzo luogo essi interpretano questo pane "quotidiano" o "soprasostanziale" come quello consumato nell' eucaristia. Un padre ha anche questa osservazione riguardo al pane: "Il povero ti chiede un pezzo di pane, e tu chiedi a Dio la vita eterna. Da' al povero, per diventare degno di partecipare a Cristo. Ascolta come dice: Da' e ti sar dato (Lc 6.38). lo non riesco a capire come puoi pretendere di ricevere ci che rifiuti di dare" (Cesario di Arles, VI sec.). Il termine stesso "pane quotidiano" su di un pianeta dove milioni di persone soffrono la fame quotidiana qualcosa che oggigiorno colpisce al cuore. Chi oggi prega il Padre Nostro, ha per lo pi la tavola apparecchiata, e chi nel nostro mondo soffre la fame non ha ancora udito nulla delle parole di Ges... Non si tratta allora solo di benedire Dio con cuore grato prima di fruire dei cibi. "Ho fame", cos grida "uno di questi piccoli, mio fratello" proprio in questo giorno di oggi. Colui nel cui nome gridiamo: "Padre Nostro" lo stesso che dall' altra parte del pianeta invoca pane. Non si deve ascoltare Dio prima che Egli possa ascoltarci? "E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori"

Il perdono sta al cuore del lieto annunzio di Ges e non c' testo del N.T. che non annunzi a chiare lettere il "perdono dei peccati"! La seconda parte della frase, introdotta da "come anche noi..." ha meravigliato molti commentatori, sia dal punto di vista letterario che da quello teologico-spirituale. La preghiera a Dio non viene condizionata da una promessa dell'uomo? E non viene qui in qualche modo interrotto il movimento che attraversa il tutto? In Luca di fatto ci si avverte in modo particolare. Una vera argomentazione (' 'infatti") viene qui a sostenere la supplica: "Infatti anche noi perdoniamo a chi ci deve qualcosa". Certi esegeti hanno poi anche sostenuto il carattere secondario di questa seconda met del versetto. Se si guarda al contesto pi ampio della predicazione di Ges (Remez!), la formulazione di questa preghiera per il perdono non cos sorprendente. Ges precisa regolarmente la correlazione tra perdono di Dio e perdono fraterno. Indubbiamente l'iniziativa sua: Dio ti ha perdonato tutto: com' possibile allora che anche tu non condoni gli insignificanti" debiti" di tuo fratello? Si veda soprattutto la grande parabola dei due debitori in Mt 18.23-34; o in senso inverso, circa il pronunziare sentenze, Mt 7.1 ss. Che viceversa Dio non possa perdonarci se noi a nostra volta non vogliamo condonare spontaneamente i debiti di altri, una conclusione che pure si segnala qua e l nel vangelo, tra l'altro alla luce del Giudizio finale (cf. soprattutto Mt 18.35; 6.14-15 proprio dopo il Padre Nostro; 5.25; cf. anche Mc 11.25 e Lc 6.37-38; nell'A.T. cf. Sir 28.2). La preghiera quindi formulata in rigoroso accordo con una tradizione dottrinale sul perdono. Qui l'elemento etico resta la norma intima dell' elemento cultuale (cf. Mt 5.24: "quando vai all'altare... va' prima a riconciliarti..."). La reciprocit (Darash!) dell'essere perdonato e del perdonare non pu essere eliminata dalla preghiera. La seriet dell' esigenza etica imprime il suo marchio fin nella franchezza della preghiera. Quanto mai sintomatico ci che apprendiamo sul modo in cui gli abitanti dell' Africa settentrionale al tempo di Agostino reagivano a questa esigente richiesta. In una delle sue prediche, Agostino fa chiaramente risultare che i suoi contemporanei alla prima met di questa quinta richiesta si battevano rumorosamente il petto, mentre preferivano tacere completamente le ultime parole! Il vescovo deve ammonirli a pronunziare insieme tutta la preghiera a voce alta e di conseguenza a perdonarsi scambievolmente di cuore! Da' e perdona. La quarta e la quinta richiesta sono strettamente connesse. Il dono di Dio per eccellenza, che noi riceviamo anche nel pane comune, lo Spirito di santit, la Parola che libera e riconcilia, il Consolatore nel quale ci sappiamo perdonati. In questa grazia ricevuta non siamo solo riempiti o saziati, ma anche e soprattutto resi liberi per la solidariet e la responsabilit fraterna in una comunit senza confini. "E non farci entrare nella Prova, ma libera ci dal Maligno" Anche queste ultime due richieste sono connesse: la seconda viene a completare la prima, ad aggiungerle forza e ad arrotondare l'insieme di sette richieste. La tentazione o prova vista come uno spazio nel quale si teme di dover entrare. La preghiera allora un pressante appello: non condurci dentro la fornace di fuoco! Questa preghiera e la sua formulazione ricordano la preghiera notturna di Ges nel Gethsemani (Mc 14.34-37 par.). Dietro questa espressione sta l'idea che l'era messianica non pu giungere a compimento senza doglie, grandi sofferenze, violenti conflitti e una prova estrema. La preghiera cristiana, imitando l'agonia di Ges, discende fin dentro questa

fornace di fuoco e continua a gridare: "Signore, salvaci!". A certi santi dato di dovere esperire la loro esistenza come "nell'inferno", mentre ottengono come unica parola da udire: "Sta' saldo e non disperare!". Il nostro mondo continua a durare grazie ad alcuni che partecipano direttamente alla grande sofferenza messianica (cf. Paolo in Col 1.24) e senza disperare perseverano nella preghiera. "Perch tuo il Regno, la potenza e la gloria nei secoli. Amen." Prestissimo, nella tradizione cristiana del Padre Nostro, si avvertita la difficolt di una preghiera che termina con "il Maligno". La tradizionale preghiera ebraica particolarmente istruttiva da questo punto di vista: "tutte le preghiere hanno come scopo la Pace, e non c' preghiera che non si concluda con una richiesta di pace". Perci gi nella versione della Didach, e anche in alcuni antichi manoscritti di Matteo, ma soprattutto nei libri liturgici si concluso il Padre Nostro con una dossologia. In questa dossologia - che non priva di paralleli nella bibbia e nelle liturgie ebraiche la preghiera sfocia in lode e compie in tal modo il movimento: da lode a lode, da Regno a Regno, da speranza e attesa a vittoria e gloria. CONCLUSIONE In che modo Rabbi Akiba riuscito a entrare nel PaRDeS, nel PaRaDiSo, attraverso Pshat, Remez, Darash e infine Sod, e a tornarne sano e salvo, con il suo intelletto e senza rinnegare la fede ortodossa? La questione resta aperta! Il maestro ebreo che mi raccont questa storia "paradisiaca", Armand Abcassis, vive ora a Strasburgo, ma di origine marocchina. dunque ci che si chiama un Sepharad o ebreo "occidentale". Il suo maestro, completamente immerso nell' ebraismo marocchino, risolveva l'enigma nel modo seguente. "Rabbi Akiba tornato illeso dal PaRaDiSo perch era un SePaRaD!" Un Sepharad, come puoi ben notare, qualcuno che prima dello Pshat mette un Sod! Legge quindi dal Sod allo Pshat e finisce con il Darash! SPRD! Abbiamo analizzato il Padre Nostro, tendendo l'orecchio, su tutti e quattro i livelli. Forse alla fine di questa ricerca Rabbi Akiba, il SePaRaD ante litteram, pu prestarci ancora un ultimo servizio. Se vogliamo pregare in modo nuovo il Padre Nostro, l'approccio che situa il Sod - il mistero - prima dello Pshat - Remez - Darash pu essere estremamente fecondo. Al livello del Sod infatti in primo luogo lo Spirito che prega in noi. Se gli concediamo la priorit nel nostro cercare con la preghiera, le antiche parole diventano di nuovo fuoco sulle nostre labbra e Dio si ritrova sulla nostra terra, cos come noi sperimentiamo qui e ora il suo cielo. Benedetto (VI secolo) prescrive nella sua Regola che l'abate preghi il Padre Nostro a voce alta due volte al giorno, nella preghiera del mattino e in quella della sera. Inoltre, si prega il Padre Nostro alla fine delle ore minori, ma allora in silenzio. Chi presiede dice semplicemente: "Padre Nostro" e ciascuno continua a pregare nel suo cuore, finch chi presiede riprende a voce alta: "E non ci indurre in tentazione", al che tutti rispondono: "Ma liberaci dal male". Non vi qui, in questa doppia maniera di pregare il Padre Nostro, un pratico specchio per la nostra prassi di preghiera, ai nostri giorni? Il Padre Nostro una preghiera della

comunit che dev'essere regolarmente recitata in forma pubblica. Contiene il nucleo della nostra fede cristiana, della nostra speranza e del nostro amore fraterno. Riunisce i temi pi essenziali della predicazione di Ges ed esprime con forza e concisione la nostra identit come suoi seguaci. Ogni commento al Padre Nostro non anche una catechesi su ci che specificamente cristiano? Ma il Padre Nostro anche l'intima preghiera del cuore, ispirataci dallo Spirito. Questa preghiera non conosce confini; divampa con molte parole o con una parola soltanto. Penetra pi a fondo di tutte le formule prese insieme e in un ardore senza parole divampa pura davanti a Dio in Dio. Quotidianamente e anche pi volte al giorno possiamo riprendere le antiche parole, e in un' espressione, in una sola supplica, effondere tutto il nostro cuore davanti a Dio. Forse dobbiamo per un certo tempo imparare di nuovo a regolare il ritmo del nostro sussurro interiore con questa ben nota preghiera orale che muove dalle ispirazioni comunicateci dallo Spirito, e soprattutto a fare attenzione alla sua azione, inabitazione, vicinanza, piuttosto che alla ripetizione esteriore di formule imposte. Quanto pi grande la nostra fede in Colui che lasciamo entrare in noi attraverso queste poche parole, tanto pi semplice e spontanea pu scorrere la preghiera. "Lo Spirito stesso viene a confermarci nel cuore che siamo figli di Dio. E lo siamo realmente, insieme con Cristo. Ma ci che saremo non ancora manifesto. Ora viviamo nella Speranza" (Rm 8; 1Gv 3.1 ss.). NOTE
1) Cf. A.Van Der Heide, "Pardes", in Amsterdamse Cahiers 3 (1982) pp. 118-165 e A. Abcassis, "L'aventure des quatre rabbis dans le Pards" in Cahiers de l'Universit de Saint-Jean de Jrusalem n 10 (1984) pp. 1130. 2) In certi antichi manoscritti e in alcuni Padri greci (per es. Gregorio di Nissa, IV secolo) si trova per la versione di Luca (11.2c) al posto di Venga il tuo Regno la seguente espressione: Venga il tuo santo Spirito su di noi e ci purifichi. Tertulliano, nel suo commento al Padre Nostro matteano, situa la terza richiesta (sulla volont) prima di quella sul Regno. L'ordine delle prime tre richieste non sembra dunque essere dappertutto lo stesso verso il 200. 3) La Didach, che ricevette forma definitiva verso la fine del primo secolo o l'inizio del secondo, ma che raccoglie tradizioni antichissime, comprende anch'essa un Padre Nostro dal tenore strettamente parallelo a quello di Matteo, con l'aggiunta di una dossologia finale. Qua e l si possono notare anche alcune piccole divergenze. "Padre nostro che sei nel cielo (sing.!) sia santificato il tuo Nome, venga il tuo Regno (eltheto invece di elthato di Matteo e Luca), sia fatta la tua volont, come in cielo cos in terra. Il nostro pane, l'epiousion, dacci oggi e rimetti a noi il nostro debito (sing.!) come anche noi rimettiamo (aphiemen invece di aphekamen di Matteo e aphiomen di Luca) ai nostri debitori, e non farci entrare nella Prova ma liberaci dal Maligno, perch Tua la potenza e la gloria (niente "Regno"!) nei secoli. (Didach 8.2, senza Amen alla fine; la stessa dossologia ricorre al" tre due volte: 9.4 e 10.5). L'introduzione al Padre Nostro ricorda direttamente il contesto matteano nel discorso della montagna ("pregare come Ges ha insegnato nel suo Vangelo", "non come gli ipocriti"). Il Padre Nostro viene poi visto come una preghiera regolare che si recita tre volte al giorno. Proprio come i giudei osservano il digiuno due volte la settimana, cos

i discepoli di Ges in questo documento fanno lo stesso ma in giorni diversi (il mercoled e il venerd, in contrapposizione all'uso farisaico del luned e del gioved!). La stessa cosa dunque sottintesa per la preghiera: entrambi pregano tre volte al giorno. 4) S.Dockx, "La gense du Notre Pre" in Chronologies 19842, p. 301. 5) Cf. A.Hamman, Le Pater expliqu par les Pres, Paris 1962, pp. 168-170. 6) Altre definizioni dell'unica volont di Dio si trovano tra l'altro in Paolo: 1Ts 4.3,7; 5.16-18; Rm 12.1-2; Ef 1-3; in Matteo: 11.25; 16.17 ss.; 18.10,14; 26.39,42; in Giovanni: 4.34; 5.30; 6.39; 17.4; 19.30. 7) Si veda la strofe d'apertura del Kaddish: "Magnificato e santificato sia il suo Nome nel mondo che Egli cre secondo la sua Volont ed Egli stabilisca il suo Regno nella nostra vita e nei nostri giorni e nella vita della santa casa d'Israele, presto e in fretta". 8) Op. cit., pp. 15-16. 9) Origene nel suo commento svilupp spontaneamente, meno da filologo ma tuttavia con una conoscenza del greco superiore alla media, la sua interpretazione sulla base del sostantivo ousia. Girolama tradusse sulle orme del suo predecessore greco: supersubstantialis (il pi essenziale); la traduzione che la Vulgata d dello stesso termine in Lc 11.3 per (come l'antica Itala), panem quotidianum - il pane quotidiano. 10) In questo contesto si cita spesso un detto di R. Eleazar di Modiim (ca. 90 d.C.): "Chi ha pane nel suo cesto e dice: 'Che cosa manger domani?', appartiene agli uomini di poca fede" (b.Sotah 48b). 11) Esemplare analoga alla nostra quarta richiesta nel Padre Nostro la preghiera per la guarigione nella Amida delle Diciotto benedizioni. Si benedice Dio per il fatto che ci guarisce. Anche se non siamo malati, tuttavia lo benediciamo. Perch la nostra salute attuale gi un segno che Egli ci guarisce: sia che ci abbia salvato in passato, sia che ci protegga ora contro tutti i mali possibili. Inoltre il pio ebreo prega le Diciotto benedizioni al plurale: prega quindi con i malati d'Israele e a loro nome. Del resto, "se un membro malato, tutto il corpo ne affetto.,," (1Cor 12).

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