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Sistemi di supporto alla vita

1. Introduzione I sistemi di supporto alla vita sono anche chiamati organi artificiali. Questi si interfacciano con il sistema fisiologico e richiedono quindi una cura particolare nella scelta dei materiali e della morfologia, nelle interazioni (dispositivi paracorporei), nei tipi di accesso, nel rispetto delle dimensioni anatomiche e nella biocompatibilit morfologica e funzionale (dispositivi impiantabili). I dispositivi si dividono, in base alla loro collocazione, in: paracorporei, dispositivi che giacciono allinterno dellorganismo, ma che comunicano con lesterno (ventricolo di assistenza); extracorporei, dispositivi che non sono impiantabili (CEC); impiantabili, dispositivi che restano allinterno del corpo (pace maker). temporanei (contropulsatore); permanenti (pacemaker); intermittenti (dialisi);

A loro volta esiste una classificazione in base al tempo di impiego:

ovviamente i dispositivi impiantabili non possono essere intermittenti. Gli obiettivi primari da perseguire nella progettazione di uno di questi dispositivi sono: biocompatibilit; o affidabilit, o dimensioni, economicit; recupero sociale del paziente.

Rispetto allaffidabilit e alle dimensioni, passa in secondo piano il problema economico che, per, non pu essere completamente dimenticato in fase di progettazione: un dispositivo funzionante, ma eccessivamente costoso non attirerebbe linteresse dellindustria e richiederebbe uno spostamento di risorse economiche a discapito di tecnologie piu consolidate nel tempo. Le dimensioni dei sistemi artificiali impiantabili devono rispettare la compatibilit anatomica (volume a disposizione), mentre quelli extracorporei devono possedere volumi tali da non compromettere le funzioni fisiologiche (un eccessivo volume di sangue prelevato porta al collasso e alla morte). In generale, la biocompatibilit non problema che riguarda solo i materiali, ma anche la forma e le dimensioni. Il materiale biocompatibile vero e proprio, oggigiorno, non esiste; di contro si sono sviluppati

tecnologie di rivestimento superficiali e particolari finiture che evitano una risposta infiammatoria da parte dellorganismo. In sede di progettazione utile valutare i tempi di impiego e il fine del dispositivo in modo da poter trovare il giusto compromesso tra costi e tecnologie impiegate nella costruzione. Ad esempio, se un device ad uso intermittente, come un dializzatore, avesse i tubi rivestiti di carbonio turbostratico, il costo di una dialisi sarebbe accessibile solo a pochi facoltosi; basta invece che queste cannule siano in PVC per evitare fenomeni indesiderati per le 3-4 ore di trattamento previste. Nello stesso modo inutile usare materiali e tecnologie che garantiscano una durata del dispositivo di alcuni anni anche se limpiego previsto solo di qualche ora dal momento che ci rappresenterebbe soltanto uno spreco di risorse senza un reale guadagno in termini applicativi. Problematiche pi specifiche si incontrano nel caso di organi artificiali che si interfacciano con il sangue. Dal momento che non esiste un materiale completamente emocompatibile, risulta necessario somministrare al paziente degli anticoagulanti (eparina) o antiaggreganti con tutti gli effetti collaterali conseguenti. Ad esempio, leparina tossica, quindi risulta improponibile somministrarla per tutta la durata di un dispositivo impiantabile permanentemente (si usano antiaggreganti, meno forti); inoltre, un paziente non pu risultare completamente scoperto della funzione coagulante delle piastrine a causa di un eccessivo rischio emorragico in caso di lesione accidentale. Al di l della scelta del materiale, la biocompatibilit (fig.1) deve coprire vari ambiti del progetto: le forme e le dimensioni devono essere simili allorgano; il disegno del dispositivo deve garantire al sangue un percorso omogeneo in modo da prevenire lemolisi. La maggior causa di emolisi dovuta dallazione meccanica legata alla geometria del sistema; non ci devono essere zone di ristagno per il sangue; non devono esistere punti che inducano accelerazioni; bisogna evitare la presenza di variazioni brusche di sezione.

Un altro caso rappresentato dai dispositivi per respirazione. Qui lobiettivo limitare le resistenze di inspirazione e espirazione come avviene per i pazienti in terapia intensiva e per quelli che invece usano permanentemente tubicini nel naso. A volte le metodiche di ventilazione con il gas possono essere nocive; per questo motivo si usano metodologie a ventilazione liquida: la maggiore biocompatibilit viene garantita, in questo caso, da un sistema apparentemente antifisiologico.

biocompatibilit
fisiologia fluidodinamica durata

interfaccia

materiali Tipo di impianto

Figura 1: aspetti della biocompatibilit.

Laffidabilit consiste nel garantire la durata del dispositivo soprattutto per funzionamento di ogni elemento dellimpianto durante il periodo previsto; serve affidabilit nel tempo e nella prestazione. Strettamente connesso allaffidabilit il problema della regolabilit del dispositivo che deve essere in grado di adattarsi a diverse situazione fisiologiche grazie alla possibilit di un controllo esterno o di uno automatico. Esempio tipico la pompa per il cuore che deve garantire il flusso sia a riposo, sia durante la camminata o mentre si corre. 1.1 Supporti per il sistema cardiocircolatorio

Figura 2: confronto di portata e di pressione erogate da una pompa contnua rispetto a quelle fisiologiche.

Questi sistemi sono legati al ripristino della funzione cardiaca (contropulsatori e tutti gli altri sistemi pompanti sia a livello extracorporeo sia a quello intracorporeo). Il sistema pi completo la CEC; questa garantisce una portata di sangue costante con una pressione compresa tra 70 e 90 mmHg. Dallimmagine (fig.2) si pu vedere come la curva fisiologica (linea tratteggiata) si discosti molto da quella del dispositivo (tratto pieno) sia in termini di portata (a sinistra) sia in quelli di pressione (a destra); questo comporta poca biocompatibilit che pu provocare scompensi ematici fino alledema. Esistono inoltre anche problemi di emolisi provocati dalla ridotta sezione di accesso che comporta ulteriori scompensi. Il vantaggio risiede nel fatto che la CEC utilizzata nel range delle 2 ore (tempo di operazione) e, in questo ambito, ampiamente tollerata dallorganismo. Tempi di

impieghi pi lunghi potrebbero causare danni o, in alcuni casi, fenomeni di adattamento fisiologico anche se utile non dimenticare che sempre il sistema a doversi adattare allorganismo e non viceversa. I sistemi di supporto alla vita che interagiscono con il sangue sono costituiti da sottoelementi che, in ciascuno strumento, si interfacciano in maniera differente. Questi sono: pompe tuberia scambiatori di massa scambiatori di calore filtri.

2. Le pompe continue La funzione di una pompa quella di fornire una certa pressione ad un liquido in modo da farlo circolare allinterno di un circuito. Nel caso del cuore, che rappresenta il target progettuale di queste pompe, la pressione fornita serve per far arrivare il sangue nei siti di scambio metabolico. Le pompe usate per bypassare la funzione cardiaca possono essere: continue o a pistone o rotativi pulsatili o organi meccanici o pneumatici. Un'altra divisione riguarda linterfaccia con il sangue; esistono pompe con elementi mobili di due tipi: a diretto contatto con il sangue a contatto indiretto mediato da uninterfaccia con il sangue.

Le caratteristiche fondamentali di una pompa riguardano la non emoliticit, la riduzione dei volumi di ingombro esterni e la limitazione per quelli di riempimento interni. Lemolisi uno dei fattori pi gravi da evitare, in quanto lemoglobina libera tossica sopra certe quantit; la riduzione dei volumi esterni consente una maggiore impiantabilit, mentre volumi di riempimento non eccessivi evitano il collasso del paziente per la brusca diminuzione di pressione indotta dal prelievo del volume iniziale. Ovviamente, per il funzionamento di una pompa serve conoscere la portata da erogare che funzione delle caratteristiche del paziente. In particolare si calcola la superficie corporea in base al peso, allaltezza e al sesso; sapendo sperimentalmente che il cardiac index vale 2,4-2,5 l/(min m2) si risale facilmente alla portata da erogare. 2.1 Sistemi a pistone Questi sistemi rientrano nelle pompe che erogano una portata continua. A ragion del vero, facilmente intuibile che un pistone di lunghezza finita non pu, per sua natura, continuare ad erogare flusso per un tempo infinito in maniera costante, in quanto necessita di un certo periodo di ricarica. Il termine continua riferito alla portata serve per distinguere questi sistemi da quelli pulsatili, concetto che non va frainteso con quello di intermittenti. La differenza risiede nella

forma donda della portata: nel caso di sistemi continui, Q si mantiene costante durante lerogazione e il trise estremamente ridotto, mentre nei sistemi pulsatili la forma donda parabolica. Questa differenza sussiste anche se tra unonda e la sua successiva trascorre un certo tempo T (di ricarico nel caso del pistone) che genera il fenomeno dellintermittenza (fig. 3). Un modo per evitare lintermittenza intrinseca dei sistemi a pistone, consiste nel porre due pompe sincronizzate in parallelo.
Questi due sistemi sono entrambi intermittenti, ma quello di sinistra a portata continua, quello di destra pulsatile

t
Figura 3: confronto tra portata "continua", "intermittente" e "pulsatile".

2.3 Pompe rotative Le pompe rotative si basano sulla rotazione di parti meccaniche a contatto diretto o indiretto con il sangue. Il cuore del sistema il motore elettrico che muove le parti meccaniche preposte alla spinta del liquido. Esistono due tipi di pompe rotative: volumetriche turbopompe.

Le pompe volumetriche sono quelle maggiormente impiegate in vari settori biomedicali in quanto garantiscono una portata di fluido e un rendimento costante al variare delle condizioni di carico; in questo modo lenergia fornita al liquido fissa e facilmente regolabile. Tuttavia le soluzioni tecniche per una pompa volumetrica sono molteplici, ma solo alcune possono essere sfruttate nel campo biomedicale. Ad esempio, i sistemi ad ingranaggio, che spingono il fluido attraverso una luce di aspirazione ed una di mandata, non possono essere impiegati per il sangue a causa deleccessivo effetto emolitico provocato dallinterferenza delle ruote dentate (vengono impiegate con altri liquidi, come, ad esempio, i fluidi dializzanti) . Per limpiego ematico, risultano migliori le viti senza fine a diretto contatto con il sangue, anche se la soluzione usata maggiormente, soprattutto nella CEC, la pompa roller. Questa costituita da un piano con bordi rialzati rigidi in grado di ancorare saldamente una parte del tubo flessibile che costituisce la linea di collegamento con il paziente. Sul piano della pompa, collegate ad un motore elettrico, sono disposte alcune palette

meccaniche alla cui estremit vi sono dei rulli. Dimensionando accuratamente i bracci delle palette, durante la rotazione i rulli schiacciano il tubo flessibile creando un moto di avanzamento continuo del liquido senza avere un contatto diretto con esso. La pompa genera una certa differenza di pressione tra il liquido in uscita e quello in entrata, che prende il nome di prevalenza: H=Pout-Pin La portata della pompa dipende dalla sua prevalenza e dal carico applicato; entro un certo range di carico applicato la pompa eroga sempre la stessa portata variando il punto di lavoro a fronte di una differente spesa energetica. Quantitativamente Q pari a: Q=ngiri Vintrapp Nrulli Dove rappresenta il rendimento volumetrico. Il discorso di idealit, riferito alla portata costante al variare del carico, deve subire una modifica concettuale se si pensa alleffetto della pressione a valle quando uno dei rulli abbandona la sede ed il successivo si fa totalmente carico del lavoro di spinta del fluido. Ovviamente la Pout agisce solo sul rullo rimasto generando un riflusso che discosta il funzionamento dallidealit. Inoltre, bisogna pensare che leffetto di schiacciamento totale del tubo genera inevitabilmente emolisi; per evitare il fenomeno si costruiscono bracci meccanici telescopici che lasciano un doppio lume di passaggio allestremit della sezione di tubo compressa, in modo da costituire una via di fuga per i globuli rossi. Queste minuscole sezioni di passaggio sono origine di vie di flusso retrogrado e costituiscono una non-idealit (fig. 4).

Vista dallalto

Vista in sezione

Condizione di non idealit con fori di riflusso per evitare lemolisi

Figura 4: pompe roller, principio di funzionamento e non-idealit.

In questo tipo di pompe facile capire come si possa generare una certa intermittenza del flusso, senza, per questo, creare pulsatilit. Le pompe roller sono impiegate per lo pi nelle applicazioni dove si richiede di inviare il sangue a degli scambiatori di massa dopo averlo prelevato dal paziente attraverso accessi vascolari debitamente creati. A causa del loro ingombro, non possono essere impiantabili, ma grazie alla loro facilit di regolazione (attraverso il numero di giri) vengono impiegati nel bypassare parzialmente o completamente il cuore durante gli interventi di cardiochirurgia. Altri tipi di pompe che si discostano dal concetto di pompa volumetrica non garantiscono una portata costante e necessitano quindi di flussimetri per la misura del flusso erogato. Questo comporta svantaggi in termini di ingombro e di costo rispetto alle pompe roller. 2.3 Pompe a vite Le pompe volumetriche, sebbene garantiscano sicurezza, affidabilit e controllo delleventuale cavitazione
mandata aspirazione

(tubi

trasparenti),

presentano un basso rendimento pari a 0,5 (dovuto alle non idealit, come, ad esempio, la

Viti con filettature opposte motore

presenza di meati) e non risultano impiantabili. Si ricorre per questo ad altre

Figura 5: pompe a vite.

pompe, sempre di tipo volumetrico-rotative, come quelle a vite senza fine. Queste sono costituite da una vite centrale posta in rotazione da un motore elettrico che ne trascina con s altre due, dimensionalmente uguali e con filettatura opposta, disposte parallelamente a quella principale e inserite allinterno di un contenitore (fig. 5). Il moto rotativo aspira il sangue dallesterno, imponendogli un moto a spirale, e lo spinge fino alla camera di mandata. Al contrario di quanto si possa pensare (anche in analogia per quanto avviene nelle pompe ad ingranaggi), il moto delle viti non genera emolisi perch il sangue non viene compresso tra le due filettature poste a contatto, ma ne segue solo il moto avvolgente. I limiti di questi sistemi sono legati allelevato volume di priming richiesto per erogare 5-6 litri di fluido al minuto (dato fisiologico) e alle eventuali perdite di sangue sulla superficie dei componenti metallici che, oltre a rappresentare un problema fisiologico, potrebbero generare anche alterazioni del funzionamento meccanico dovute al sovradeposito di materiale che ostacola il corretto contatto tra le viti. 2.4 Turbopompe Le turbopompe o pompe centrifughe (fig. 6) risultano radicalmente diverse dalle pompe volumetriche sia per aspetti meccanici sia per quelli concettuali. Gli elementi distintivi di questo tipo di pompe sono: il rotore; lo statore. Il rotore lelemento che, attraverso un motore elettrico,
Direzione del flusso rotore v w u=r

posto in moto grazie ad un albero di collegamento o ad una sospensione magnetica. La possibilit di avere la sospensione magnetica consente di avvicinare la pompa al paziente eliminando i tubi di connessione per il sangue e sostituendo lalbero di collegamento motore-rotore con un filo elettrico. Lo statore invece la cassa rigida comprendente i cuscinetti e

statore

il diffusore. Il funzionamento si basa sulla forza di aspirazione della pompa che aumenta la quantit di moto del fluido; successivamente

Figura 6: pompa centrifuga e triangolo delle velocit.

questo entra nel diffusore (elemento a sezione variabile divergente) rallentando la sua velocit e aumentando la pressione (principio di Bernoulli). Come si pu vedere dallimmagine la curva caratteristica delle pompe centrifughe nettamente diversa da quelle volumetriche viste in precedenza (che erogano sempre la stessa portata indipendentemente dal carico) (fig. 7). Nel caso di

pompe centrifughe, un aumento di resistenza a valle fa sensibilmente variare la portata per un egual numero di giri del motore. Le elevatissime velocit di rotazione (12000-18000 rpm per le centrifughe; 50-80 rpm per le volumetriche, con un tubo da 3/8 di pollice e una portata di 5-6 l) non incrementano in alcun modo gli effetti emolitici che dipendono esclusivamente da urti e sforzi di taglio innescati dalle accelerazioni e dal percorso seguito dal sangue in movimento. quindi importante che, soprattutto nelle pompe di piccole R H
Caratteristica delle pompe volumetriche

dimensioni che presentano le velocit pi elevate per il mantenimento dellasse fisso, le palettature divergenti, poste sul rotore per imprimere pressione al fluido, siano disegnate secondo principi fluidodinamici che minimizzino gli urti fra particelle in ogni punto della rotazione.
Caratteristica delle turbopompe

A tale scopo si calcolano i triangoli delle velocit in funzione della portata di progetto. Componendo Q in ogni punto la velocit V di ingresso del fluido con quella di rotazione delle pale r, si ottiene un vettore velocit W che, senza palettatura,

Q Q

Figura 7: curva caratteristica della pompa centrifuga posta a confronto con quella della pompa volumetrica.

modificherebbe la sua direzione al variare della posizione della particella di fluido rispetto al centro del rotore. La forma delle pale (che partono dal centro e arrivano alla periferia) deve garantire in ogni punto la minima variazione direzionale del vettore W calcolato rispetto al bordo della paletta stessa; in questo modo si sicuri di evitare turbolenze e urti delle particelle del sangue. Il profilo di queste palette assomiglia a quello di unala di un aereo e la loro disposizione ottimale risulta essere divergente e svergolata a partire dal centro (punto di ingresso del fluido). Il calcolo viene effettuato partendo da un numero di palette imposto e da una portata fissa di ingresso (funzione del diametro del tubo) che vengono impiegate nel calcolo del lavoro euleriano (funzione della velocit) in maniera iterativa; dopo un certo numero di cicli, si converge ad un risultato dal quale si ottiene la forma ideale della paletta. 2.5 Ultimi cenni sulle turbopompe Nel progetto di una pompa centrifuga i dati di partenza sono le velocit di ingresso e di uscita in funzione del numero di giri del rotore; in base a questi si calcola la velocit di trascinamento del sangue tra le palette mediante operazioni iterative. Il risultato finale deve garantire unequivalenza

di portata tra quella in ingresso e quella in uscita e deve risultare pari alla somma della portata di sangue di ogni paletta. La forma svergolata della paletta ottimale per una certa portata fissa o variabile, entro un ristretto range di circa 1l/min. Il valore massimo di variazione di portata rappresenta ovviamente un limite per questo tipo di pompe in quanto non risultano in grado di adattarsi alle ampie variazioni richieste dallorganismo in condizioni fisiologiche. Anche la soluzione teorica di rendere le palette mobili, in modo tale che il profilo possa adattarsi alle variazioni di portata, non pu progettualmente essere presa in considerazione dal momento che la creazione di cerniere genererebbe delle discontinuit geometriche e quindi dei punti di possibile aggregazione sanguigna. Bisogna quindi limitare limpiego clinico delle pompe centrifughe (anche quelle impiantabili) perch risultano valide soltanto per pazienti in condizioni fisiologiche stabili (ad esempio quelli sedati), ovvero soggetti che non richiedono continui adattamenti di portata. anche necessario ridurre il tempo di impiego dal momento che questi sistemi generano fenomeni emolitici quando operano fuori dal loro range di portata progettale. Per pazienti operati a livello toracico, ad esempio, si prevede un periodo di svezzamento della respirazione e uno di riabilitazione durante i quali, le resistenze e le compliance dellorganismo variano e, di conseguenza, serve un continuo adattamento del ritmo cardiaco. In questi casi le pompe centrifughe impiantabili rappresentano solamente un accomodamento dal punto di vista funzionale. In aggiunta al problema della flessibilit di portata, per questi sistemi impiantabili sorgono anche problematiche nuove rispetto alle pompe centrifughe usate nella CEC: miniaturizzazione, affidabilit (usura dovuta allelevata velocit di rotazione) e approvvigionamento dellenergia. Reperire lenergia necessaria, per mettere in moto la girante di una pompa centrifuga o di una qualsiasi pompa assiale per recovery, richiede un accesso diretto trans-corporeo mediante un filo elettrico collegato ad una batteria esterna. Il problema dellalimentazione molto discusso dal momento che riguarda tutti i pazienti che utilizzano sistemi di recovery (maggiormente in USA rispetta allUE) e quelli di bridge al trapianto (molto usati anche in UE). I pazienti in attesa di un cuore da donatore rimangono infatti nelle liste dattesa anche 2 o 3 anni durante i quali la loro funzione cardiaca necessita di un supporto. Un periodo di tempo cosi lungo inficia lipotesi di un ricovero permanente con assistenza mediante pompe pneumatiche e vincola la scelta allapplicazione di pompe assiali con batteria esterna in modo da poter dimettere il paziente e garantirgli una vita sociale agevole.

2.6 Pompe assiali Nellanno 2004 il volume di sistemi di assistenza ventricolare usati come ponte al trapianto pari a circa 250 esemplari allanno in Europa. Il loro costo si aggira attorno ai 50000 euro. Questi dati sono ovviamente medi e sono riferiti sia alle pompe centrifughe impiantabili (rare) sia a quelle assiali (pi usate). I modelli di pompe pi usati in campo di assistenza ventricolare sono quelle assiali a vite. Ne esistono numerosi design, ma tutte si basano sulleffetto di aspirazione generato da una vite rotante allinterno di un cilindretto. Il modello Debakey (dal nome del fisiologo che ha prestato la sua esperienza nella realizzazione) formata da un cilindretto lungo 5 cm e con diametro pari a 2 cm per un peso complessivo di 115g. E importante notare che la maggiore difficolt progettuale consiste nel disegno della filettatura della vite che segue le medesime regole progettistiche delle palette della pompa centrifuga: lo sviluppo dei filetti che minimizzi gli urti delle particelle del sangue durante laspirazione rende minimo leffetto emolitico. Sullo statore delle pompe assiali sono presenti anche delle contro-filettature che trasformano il moto elicoidale del fluido generato dalla vite in moto assiale. Queste pompe non necessitano di valvole per garantire lunidirezionalit del fluido e lavorano in parallelo con il ventricolo assistito (parzialmente attivo). Il ventricolo malato conserva parte della capacit sistolica, mentre la pompa interviene recuperando il sangue rimasto a livello apicale a causa della sistole parziale ed immettendolo di continuo nellaorta. Per limpianto di questi sistemi bastano quindi due sole anastomosi: una allapice del ventricolo e una in aorta dove convive parte di flusso anterogrado e retrogrado (fig. 8).
Aorta e seconda anastomosi

Lassistenza ventricolare generalmente applicata al ventricolo sinistro, mentre risulta pi rara lassistenza destra. A ragion del vero, da sottolineare il fatto che un cattivo funzionamento del ventricolo destro

connessione Pompa e prima anastomosi

dovuto di solito ad uno spostamento del setto causato dallinefficienza di quello sinistro; in questo caso il recupero del ventricolo sinistro garantisce anche la

Figura 8: collegamenti delle pompe assiali con apice ventricolare sinistra e aorta.

ripresa del destro. Nei casi in cui si necessita di una doppia assistenza si impiegano pompe differenti per i

due ventricoli (spesso una centrifuga per il destro e una pulsatile per il sinistro). Come si vedr nel capitolo dedicato alle pompe pulsatili, a causa del loro ingombro sterico e del rumore generato dalle valvole e dal colpo del solenoide non possibile impiantarne due nello stesso paziente.

Le pompe assiali hanno lalimentazione elettrica esterna che viene fornita allattuatore mediante un filo passante nella cute del paziente (problemi di infezione). Unalternativa a questo sistema rappresentato dallaccoppiamento induttivo con un alimentatore esterno posto parallelamente allattuatore interno. In questo caso si avrebbe un trasferimento di energia attraverso la cute senza fori passanti; alcuni esprimenti hanno dimostrato che non vi necrosi tessutale nella zona di impianto anche se lunica applicazione clinica tentata ha dato risultati opposti facendo attualmente abbandonare lidea. In futuro si aspettano altre prove di questa tecnica in modo da ovviare al problema delle infezioni dovute al foro transcutaneo del filo elettrico, migliorando, di conseguenza, anche la vita del paziente, oggi costretto ad una continua disinfezione. Bisogna inoltre ricordare che i soggetti impiantati vengono continuamente trattati con antiaggreganti (non sono eparinizzati) per evitare il problema della formazione di trombi.

Come avviene il trapianto? Il meccanismo della destinazione degli organi da trapiantare si fonda sulla presenza di due centri italiani preposti alla gestione delle liste di attesa. Ciascuno dei due centri possiede ed aggiorna continuamente le liste dei pazienti in attesa di un organo da trapiantare e li ordina in un database in funzione dellet, del tempo di malattia, delle condizioni, dellarea geografica, delle caratteristiche immunologiche e di quelle biometriche. I pazienti in attesa di trapianto in condizioni fisiologiche estremamente gravi non entrano immediatamente in lista, ma si prevede per questi un iter terapeutico preliminare con lobbiettivo di migliorare le funzionalit epatiche, polmonari e renali (durante questo periodo di recupero si utilizzano i sistemi di ponte al trapianto). Una volta raggiunte le condizioni accettabili il paziente entra nei primi posti della lista in modo tale da minimizzare il tempo di impiego del dispositivo di assistenza e da limitare il consumo di risorse ospedaliere. Una volta giunta la disponibilit di un organo, il centro seleziona subito il paziente pi adatto e invia immediatamente lequipe medica preposta al trapianto a prelevare lorgano. importante che i medici che prelevano e che impiantano lorgano siano gli stessi dal momento che ogni equipe segue procedure proprie e conosce le tecniche di impianto usate. Nel caso di trapianto cardiaco di solito il paziente ricevente conserva la propria cuffia dellatrio sinistro per evitare di anastomizzare le polmonari. Per latrio destro si lascia invece libera scelta al chirurgo. Il fascio di Hiss viene tagliato al momento dellimpianto per cui la variazione di frequenza avviene grazie alla barocezione, alla chemocezione e alla legge di Starling.

3. Assistenza ventricolare pulsatile I sistemi di assistenza ventricolare pulsatili nascono per ovviare ai problemi fisiologici connessi allirrorazione dei distretti corporei con flusso sanguigno continuo. Tale flusso di fatto superiore alla media tra la pressione fisiologica sistolica e quella diastolica in modo da garantire lirrorazione dei distretti capillari pi distanti dal cuore. Questo causa un aumento medio della pressione idraulica che non viene pi sufficientemente bilanciata da quella di richiamo. Da questo fenomeno consegue un flusso medio di liquidi sbilanciato tra il distretto sanguigno e quello interstiziale che provoca un fenomeno edematoso simile a quello che avviene per i pazienti in CEC, per i quali prevista la somministrazione di farmaci per arginare il fenomeno. Dalla formula sotto riportata si pu notare che se il valore di P aumenta oltre quello di (vale a dire che si lavora ad una P media continua superiore ai 100mmHg) si innesca un flusso di liquido in uscita dai vasi sanguigni ed, inoltre, alcuni distretti capillari rimangono continuamente pervi e perfusi mentre altri si chiudono definitamene a causa dellassenza della pulsatilit. J=k(P-) Per ovviare a questo fenomeno si costruiscono pompe idrauliche pulsatili di due tipi: Pneumetiche (o idrauliche) elettromeccaniche.

Per le prime si prevede una grossa pompa al limite dellimpiantabilit che genera pulsatilit grazie allimmissione di aria compressa mediante un tubo transcutaneo di 6-7 mm di diametro. Questo collegamento con lesterno rappresenta un grosso ostacolo per il rischio di infezione, ma fornisce il vantaggio di essere in grado di gestire la funzione donda del flusso modulando P/T dellaria compressa. Il sistema complessivamente ingombrante sia per quanto riguarda la parte interna (3-4 Kg) che deve essere inserita in una sacca addominale preparata ad hoc dal chirurgo sia per quanto concerne il compressore esterno che deve essere trasportato dal paziente in uno zaino. Il sistema elettromeccanico garantisce invece un accesso transcutaneo molto pi sicuro dal momento che necessita solo del filo elettrico per attuare il movimento del solenoide, ma la forma donda del flusso prodotto a scalino e, per questo, pi distante dallidealit (fig. 9).
Pompa elettromeccanica Pompa pneumatica

Figura 9: confronto tra l'erogazione di portata di una pompa elettromeccanica con quella pneumatica.

Per entrambi i sistemi sono previste due anastomosi di collegamento: una a livello dellapice ventricolare e laltra direttamente in aorta. La prima avviene mediante la foratura del ventricolo con il bisturi, seguita dallinserimento di parte del tubo di dacron e conclusa con la sutura finale mediante un collarino di tessuto. La seconda si realizza direttamente tra il vaso sanguigno e il condotto di dacron tagliato a becco di fluato. La portata viene regolata attraverso il controllo della frequenza di pulsazione. Lincannulazione avviene a livello apicale solo nel caso di ventricolo sinistro, mentre nel destro si incannula latrio perch risulta pi facile rimettere il sangue nella polmonare dal momento che larteria ed il cuore sono molto vicini. Il meccanismo di pompaggio in un ventricolo pneumatico si basa sullimmissione di aria compressa in un intercapedine formata tra la struttura rigida della pompa e la sacca flessibile contenete il sangue. La sistole e la diastole vengono regolate da un sensore ad effetto Hall che segnala il rigonfiamento della sacca e innesta automaticamente la sistole. Finita questa fase di eiezione, il compressore genera il vuoto nellintercapedine iniziando la fase diastolica. Non possibile sapere con certezza se la sistole avviene in maniera completa o se rimane un residuo sanguigno allinterno della sacca a causa delle elevate resistenze del circuito fisiologico. Per questo motivo si ritiene necessario monitorare il paziente nelle ore successive allimpianto. Leffetto di vuoto diastolico pari a 3-5 mmHg che la pompa crea nella fase di diastole sufficiente solo se lincannulazione si trova a livello apicale perch esiste una pressione interna ventricolare pi elevata di quella che si avrebbe se lanastomosi fosse eseguita a livello atriale (3-5 mmHg); in questo secondo caso servirebbe quindi una P di aspirazione pari a 20-30 mmHg che genererebbe un forte rischio di emolisi durante il passaggio dei globuli rossi attraverso le valvole. Per garantire un buon riempimento della pompa necessario avere una buona pressione di precarico. Il problema di questi pazienti che hanno una cattiva perfusione degli organi e risultano quindi edematosi, spesso anche a livello polmonare. Per ovviare al problema si somministrano farmaci diuretici che smaltiscono i liquidi in eccesso ma, di conseguenza, fanno diminuire anche il volume di sangue a disposizione. Per questo serve raggiungere un compromesso tra la diminuzione dei liquidi in esubero e la garanzia di pressioni sufficienti a garantire un buon precarico della pompa. Tuttavia sia i sistemi pneumatici sia quelli elettromeccanici non garantiscono un recupero agevole del paziente dal momento che lo vincolano ad essere collegato o al compressore o alla batteria che costituiscono una limitazione notevole per la vita sociale dellindividuo.

4. Il cuore artificiale Un vero e proprio cuore artificiale non esiste ancora dal momento che non si riesce ad ovviare al problema dellapprovvigionamento dellenergia escludendo unalimentazione esterna. Lottimo consisterebbe nellavere lenergia allinterno dellorganismo con una fonte inesauribile senza alimentarla dallesterno. Si pensato di sfruttare lenergia muscolare, ma i dati in letteratura scoraggiano la ricerca in tal senso. Per dimensionare il cuore artificiale dal punto di vista energetico bisogna partire dai suoi dati targa: P=2W (fino a 6-7 W sotto sforzo); Q=5l/min (fino a 12-13 l/min sotto sforzo); = 10% almeno (il 90% dellenergia pu essere dissipata senza problemi dal corpo). Una volta ottenute le specifiche bisogna pensare a : una sorgente di energia un convertitore di energia (con un certo ) un ventricolo (attuatore) un accumulatore.

Questultimo elemento quello che garantisce la regolabilit del sistema perch in grado di conservare lenergia proveniente da una fonte continua ed inesauribile e di cederla nei momenti di elevata richiesta. La sua collocazione allinterno del sistema meccanico pu avvenire tra la sorgente ed il convertitore oppure a monte del ventricolo. La scelta di posizionamento dipende dal tipo di energia accumulata (elettrica, termica o meccanica). Di solito si preferisce la posizione a valle del convertitore per gli accumulatori elettrici mentre si sceglie laltra soluzione per quelli termici. Le fonti energetiche fino ad ora individuate sono: laccoppiamento induttivo gli isotopi radioattivi.

Per questultima categoria si ritengono interessanti le caratteristiche del plutonio 238 e dellossido di plutonio che sarebbero in grado di fornire energia sufficiente al funzionamento dellimpianto con la possibilit di essere facilmente schermati, senza cos procurare grossi danni al paziente. Il tempo di dimezzamento del
238

Pu di 86 anni e pastiglie di circa 40 g sono sufficienti per fornire tutta

lenergia necessaria ad un cuore artificiale. Bisogna tenere conto del fatto che costruire un cuore artificiale basato su sistemi energetici di questo tipo necessita della conoscenza dello stile di vita di ogni singolo paziente per cui ogni impianto deve essere tarato ad hoc. Alcuni studi hanno monitorato pazienti americani mostrando grafici P(Watt) vs t(ore) dai quali si evince che la richiesta media di potenza cardiaca circa 3W; a

partire da questo dato, tenendo conto del rendimento del sistema pari a circa il 10%, la fonte di energia deve essere almeno di 30W in continuo. Questo implica la necessit di un accumulatore in grado di conservare lenergia prodotta in eccesso dalla pila durante i periodi di calma nei quali richiesta un potenza inferiore alla media. 4.1 Fonti di energia impiantabili ed inesauribili Uno dei problemi principali delle pompe impiantabili il collegamento con lesterno per garantire lapprovvigionamento di energia. Per eliminare il foro transcutaneo si pensa ad una sorgente di energia posta sopra o sotto la cute, senza collegamento diretto. Nel primo caso si utilizza un accoppiamento induttivo che fornisce energia elettrica allaccumulatore per poi essere trasformata in energia meccanica da un convertitore. Nel secondo caso la sorgente di energia pu essere costituita da una pastiglia di radioisotopo, in particolare si sceglie il plutonio 238 perch garantisce una fornitura di energia costante durante la vita media di un impianto grazie al suo tempo di dimezzamento pari a circa 86 anni. Oltre alle gi citate caratteristiche, il
238

Pu il materiale delezione per questo tipo di impianti perch la sua

instabilit lo rende radioattivo a qualsiasi temperatura fino al limite dei 650C (punto di fusione che non deve essere raggiunto nellimpianto), ha un basso rapporto peso/resa e garantisce quindi la potenza necessaria con una massa di materiale molto ridotta. Le radiazioni emesse sono: radiazioni radiazioni raggi raggi

Per garantire la salute del paziente serve unapposita schermatura che ripari i tessuti dalle radiazioni emesse. Il livello di radiazioni che non procura danni biologici nel 100% dei casi stato calcolato a 5-7 Rem/anno (3 Rem in 13 settimane); nel caso di un cuore artificiale si pensa che la radiazione assorbita dallorganismo sia pari a circa 8 rem/anno che, su un arco di circa 20 anni, un quantitativo ampiamente tollerabile. Bisogna inoltre tener presente che esistono organi pi soggetti di altri a subire danni da radiazione come la milza, i reni e le gonadi; serve quindi posizionare la sorgente radioattiva il pi distante possibile da questi tessuti. stato calcolato che il quantitativo di radioisotopo necessario per far funzionare il dispositivo di soli circa 40g, anche se necessita di una schermatura metallica molto pi pesante (fig.10).

Radioisotopo Liquido accumulatore

Metallo schermante

Figura 10: schema del posizionamento della pastiglia di radioisotopo rispetto alla barriera schermante ed al liquido accumulatore.

La pastiglia emette sempre energia anche quando non richiesta; quindi serve un accumulatore o un dissipatore. Scegliere di usare un dissipatore poco utile dal momento che gran parte dellenergia prodotta andrebbe persa e non risulterebbe disponibile nei momenti di richiesta massima. La sorgente di energia infatti tarata per fornire unenergia media costante per il fabbisogno cardiaco; quando ne viene richiesta meno (ad esempio durante il sonno) lenergia prodotta in eccesso pu essere accumulata e restituita nel momento in cui il fabbisogno superiore alla potenza fornita dal radioisotopo. Serve dunque una sostanza in grado di accumulare calore senza variare le proprie caratteristiche chimico-fisiche. Gran parte delle sostanze note come il legno, il metallo, lacqua ecc. sono in grado di storare calore in transizione di fase, ma ben pochi materiali hanno la caratteristica di non produrre vapore, di non dilatarsi e di mantenere la temperatura della pastiglia del radioisotopo sotto il suo punto di fusione. Per questi motivi si pensa di porre lidruro di litio intorno alla pastiglia radiottaiva in modo da rispondere alle specifiche energetiche richieste e da costituire una seconda schermatura per le radiazioni permettendo il sottodimensionamento della bariera schermante. Per dimensionare correttamente laccumulatore serve sapere landamento della richiesta di potenza da parte del paziente durante tutta la giornata. Se la potenza media richiesta di circa 3W e se quella massima di 6W, un accumulatore di circa 20W conserva lenergia quando la richiesta inferiore alla soglia dei 3W e la cede quando superiore. Ovviamente pi marcata loscillazione di richiesta energetica pi grande deve essere laccumulatore. da sottolineare il fatto che se alla fine della giornata lenergia spesa maggiore o minore di quella prodotta, il livello di riempimento

dellaccumulatore subir uno shift verso lalto o verso il basso portando, nel primo caso, al surriscaldamento della pastiglia, nel secondo, allinsufficienza di energia durante gli sforzi. Un buon accumulatore deve essere costituito da un materiale che abbia un punto di fusione ed un calore latente elevati per garantire una buon livello di conversione energetica da quella termica a quella meccanica (550 C) in transizione di fase. La massa della miscela eutettica necessaria si calcola dal rapporto Emax/fus. 4.2 La conversione dellenergia I metodi per la conversione dellenergia si dividono in diretti ed indiretti. Nel primo caso si hanno: termocoppie per effetto Peltier; conversione termoionica per effetto Seebek.

Qui si ottiene la conversione dellenergia termica in elettrica per la trasformazione successiva in quella meccanica. Per i sistemi di conversione elettrica per le applicazioni nellambito dei cuori artificiali sono richieste le seguenti caratteristiche: peso ridotto ingombro limitato bassa rumorosit e vibrazioni alto rendimento elevata affidabilit e durata

Nel secondo caso invece si hanno: cicli Rankine; cicli Stirling; cicli Joule.

In tutti questi sistemi si ha la trasformazione diretta del calore in lavoro mediante cicli a gas che agiscono a due temperature diverse. Nel caso dellapplicazione per il cuore artificiale il pozzo freddo rappresentato dalla temperatura corporea, mentre quello caldo si trova a circa 550C ed alimentato dalla pila radioattiva. La massima resa di questi cicli espressa dal rendimento del ciclo di Carnot che si calcola come: =Lu/Qe= (Qe-Qu)/Qe=1-Qu/Qe

che nel caso specifico pari a: =1-Tf/Tc=1-310/823= 62% ci rappresenta il massimo rendimento teorico ottenibile; gi a questo livello c una perdita energetica pari al 38%.
4.2.1 I METODI DIRETTI-LA CONVERSIONE TERMOELETTRICA

Nella conversione termoelettrica si sfrutta il principio di Peltier per produrre corrente avendo a disposizione una sorgente fredda e una calda. Si utilizza un circuito elettrico costituito da due materiali metallici differenti immersi rispettivamente nelle due sorgenti di calore; a causa dellelevato T si genera un flusso di corrente. Il sistema, costituito da termocoppie, risponde ottimamente alle caratteristiche di peso e di ingombro ridotti, garantisce unalta affidabilit e un riduzione di rumore e di vibrazioni. Il grosso inconveniente risiede per nel rendimento che risulta pari solo ad una frazione di quello ottimale di Carnot: = T/T1 con = (1+ZAB TM)1/2 -1 / (1+ ZAB TM)1/2 -T1/T2 < 1 con ZAB TM=cost dove ZAB rappresenta la cifra di merito che caratterizza il materiale e TM la temperatura media a cui avviene la trasformazione. Oltre ad una riduzione dovuta solo ad fattore puramente numerico, il rendimento di questi sistemi presenta un altro problema derivato dal suo andamento rispetto al carico applicato. La forma del grafico vs R a campana rende massimo il valore di solo in un ristretto range di carico applicato; a livello fisiologico questo fattore rappresenta una grossa limitazione dal momento che le resistenze sono molto variabili in funzione dello stile di vita del paziente. Se il rendimento diminuisce accade che lintero sistema scarica un quantitativo maggiore di calore allinterno del sangue che non viene completamente dissipato. Ci porta a tre conseguenze molto negative: linnalzamento della temperatura sanguigna con i relativi problemi di emolisi; lulteriore diminuzione del rendimento (la Tf aumenta);

linsufficienza di energia fornita al cuore durante gli sforzi a causa delle eccessive perdite di energia.

Per ovviare a questo problema si potrebbe montare allinterno dellintero complesso del cuore artificiale un accumulatore elettrico a valle del convertitore in modo da sfruttare al meglio il suo elevato rendimento di picco pari a circa il 30%. In realt questa opzione poco praticabile dal momento che un accumulatore elettrico rappresenterebbe un elemento aggiuntivo rispetto a quelli tradizionalmente previsti per questo tipo di applicazioni ed inoltre non si oggigiorno in grado di ottenere batterie che possono di rado essere sostituite perch sottoposte ad unelevata frequenza di cicli di carica e scarica.
4.2.2 I SISTEMI DIRETTI-LA CONVERSIONE TERMOIONICA

Un altro metodo diretto per la trasformazione dellenergia termica in elettrica la conversione termoionica. In questo caso si sfrutta leffetto Seebeck secondo il quale un catodo riscaldato emette elettroni che vengono violentemente attratti da un anodo; da qui la corrente passa attraverso un carico resistivo e ritorna al catodo. Tutte le considerazione energetiche valide per i sistemi termoelettrici lo sono anche per quelli termoionici; in questo secondo caso vi inoltre un problema di durata dovuto al consumo di anodo e catodo.
4.2.3 I SISTEMI INDIRETTI- IL CICLO RANKINE

Tutti i sistemi indiretti si basano su cicli termodinamici e possiedono lenorme vantaggio di essere miniaturizzati (alcune turbine hanno un diametro inferiore a 1 cm). I cicli termodinamici possono essere a vapore (Rankine) o a gas (Joule e Stirling); unulteriore classificazione pu essere effettuata in funzione del tipo di movimento dei pezzi meccanici: macchine rotative (Rankine e Joule) e macchine volumetriche (Stearling). T
Tc 3 2 5 1 5 5 4

gas

Il ciclo Rankine (fig.11) si basa sulla trasformazione di fase liquido-vapore di un fluido posto in un vapore sistema.

Figura 111: ciclo Rankine.

liquido

Si effettuano una serie di trasformazioni che sfruttano le propriet fisiche del fluido usato nel circuito per ottenere una conversione tra energia termica ed elettrica. Dal grafico si evidenziano i seguenti passaggi: Oppure 4-4 isobara; aumento di T 4-5 espansione in turbina 5-5 isobara 5-1 condensazione; P e T costanti. 1-2 aumento di pressione 2-3 isobara, aumento di temperatura 3-4 isotermobarica 4-5 espansione in turbina con diminuzione di P e T 5-1 condensazione; P e T costanti

Il circuito si basa su una pompa che comprime il fluido e lo spinge nello scambiatore di calore; qui gli viene fornita lenergia necessaria per scaldarsi attraverso una trasformazione isobara. Una volta ottenuto il vapore, questo si espande facendo girare una turbina e termina il suo ciclo allinterno di un altro scambiatore di calore che lo condensa. Il rendimento del ciclo Rankine funzione del tipo di curva limite del fluido e della posizione del suo punto critico rispetto alla temperatura massima che si ha a disposizione. Nel caso di un cuore artificiale il pozzo caldo a 550C mentre quello freddo fissato alla temperatura corporea di 37C. Usare liquidi con una temperatura critica troppo distante da quella della sorgente calda farebbe diminuire eccessivamente il rendimento dal momento che il ciclo non sfrutterebbe tutta lenergia a disposizione. Elementi come lacqua vanno scartati per questo tipo di applicazione dal momento che Tc si attesta a 374C; si preferiscono i fluidi come gli alcalini e il mercurio, anche se il loro costo elevato e la loro tossicit richiede una buona schermatura. Nella determinazione del di questo ciclo intervengono poi altre considerazioni riguardanti il rendimento massimo teorico (Carnot) e la pressione di condensazione. In linea di principio, la miglior resa ottenibile del 62% se si considera costante il T durante il ciclo. Ci non avviene nel caso di Rankine dove la distanza tra Tf e Tc varia durante le trasformazioni: lobbiettivo quello di massimizzare la parte di trasformazione che sottende la curva limite in modo da approssimare al meglio il rendimento di Carnot. Un altro problema, che riguarda maggiormente il mercurio, rappresentato dal fatto che durante la condensazione, una volta fissata la temperatura (37C), risulta determinata anche la pressione di lavoro (trasformazione isotermobarica). Nel caso del Hg a 40 C la pressione pari ad

un millesimo di quella atmosferica e questo minaccia il fallimento strutturale dellintero dispositivo oltre che richiedere una serie di pompe e dei booster per lavorare a pressioni cosi basse. da far notare che esistono due strade da percorre durante un ciclo Rankine: una prevede una fine di espansione con una miscela vapore-fluido, mentre laltra richiede un ulteriore postriscaldamento con una terminazione di espansione con solo vapore. Nellapplicazione di questo ciclo per cuori artificiali, la turbina ha un diametro di circa 1 cm e le palette potrebbero essere erose dallurto violento con particelle di fluido che si trovano eventualmente immerse nel vapore durante lespansione. Per ovviare a questo inconveniente o si procede al post-riscaldamento (4-4) oppure si usano fluidi che hanno una curva limite inclinata in modo da essere sicuri che dopo lespansione esso si trovi ancora in uno stato di solo vapore e a temperatura maggiore di quella del pozzo freddo, senza la necessit di una postcombusione. Proprio per questultimo motivo si rende possibile anche la rigenerazione mediante uno scambio di calore tra il vapore direttamente in uscita dalla turbina ed il liquido in entrata nello scambiatore di pressione. In altri casi non sarebbe possibile rigenerare a causa della difficolt di effettuare uno spillamento da una turbina miniaturizzata mediante dei capillari che genererebbero delleccessive resistenze. Fluidi che hanno la curva limite inclinata sono generalmente quelli organici come lesafluorobenzene e lottofluorociclobutano che hanno per il difetto di degradarsi nel tempo variando le loro caratteristiche fisiche. Unultima problematica riguarda linfluenza della forza di gravit sullintero sistema ed in particolare sul condensatore nel quale le gocce di liquido potrebbero trovarsi in posizione non ideale al funzionamento della macchina nel momento in cui il paziente si venga a trovare per un certo lasso di tempo a testa in gi. Per aggirare questa limitazione si sono progettati dei sistemi, chiamati
550C

jet condenser, nei quali si condensa il vapore mediante limmissione in pressione di un flusso di liquido freddo che trascina con se le particelle aeriformi. La condensazione

Topper Hg
condensatore

avviene ad una temperatura superiore ai 37C e perci necessita di un pozzo caldo a temperatura pi elevata dei 550 C, per evitare una diminuzione di rendimento. Si sta studiando di accoppiare una macchina a ciclo Rankine con una termocoppia oppure con unaltra macchina Rankine con liquidi diversi in modo da innalzare il rendimento *=1+2+12. Nel primo caso si pensa di utilizzare come sistema topper la termocoppia e come bottomer un ciclo a vapore con acqua. Nel secondo caso (fig. 12) una macchina pu utilizzare un ciclo di fase a vapore con del mercurio,

Combustore ciclo H2O

Bottomer H2O
condensatore

Figura 112: cicli Rakine combinati

37C

condensante ben al di sopra dei 37C in modo da eliminare il problema della prepompa. Il calore di condensazione viene fornito allacqua presente nel secondo impianto che cicla tra due temperature pi basse.
4.2.4 I SISTEMI INDIRETTI-I CICLI A GAS (JOULE E STIRLING)

Per ovviare al problema della condensazione si possono utilizzare cicli a gas (Joule) (fig. 13). Nel piano S-T il ciclo si compone come segue: T
3 4 2 1

1-2: compressione; 2-3: riscaldamento isobaro; 3-4: espansione; 4-1: raffreddamento isobaro. Il rendimento si aggira attorno al 15%, pi basso del ciclo Rankine, ma pi rapido negli adattamenti alle variazioni di

Figura 113: ciclo Joule.

richiesta energetica. Se il punto 4 si trova a temperatura maggiore del punto 2, si pu procedere alla rigenerazione; in questo caso per bisogna tenere presente che il coefficiente di scambio termico tra i gas basso e bisogna quindi garantire una vasta area di scambio (ingombro). Le macchine per la trasformazione dellenergia termica in energia elettrica possono essere rotative o alternative. Nel primo caso i sistemi devono essere miniaturizzati (1cm di diametro) e devono garantire elevate velocit di rotazione (300000 rpm a vapore, 500000-650000 rpm a gas) e comportano la progettazione di sistemi di lubrificazione a olio o a gas che sostituiscano i pi tradizionali cuscinetti a sfera. Serve inoltre una meccanica molto precisa ed equilibrata per evitare il disassamento, la rumorosit e le vibrazioni. Nel secondo caso i sistemi sono difficili da equilibrare evitando lusura delle parti meccaniche in moto relativo; si sfruttano i cicli di Stirling (fig. 14) quasi totalmente rigenerativi (2-3, 4-1): 1-2: compressione isoterma (cedimento di calore); T
3 4

2-3: riscaldamento isoscoro;; 3-4: espansione isoterma (acquisizione di calore); 4-1: raffredamento isocoro.

Il ciclo tecnicamente difficile da realizzare soprattutto a S causa delle due trasformazioni isoterme che, nella realt,

Figura 114: ciclo Stirling

non sono lineari, ma a dente di sega e lintero ciclo assume una forma ovoidale. Il vantaggio quello di avere un rendimento elevato (gi testato sui vitelli), ma le ridotte dimensioni dellimpianto non rendono tecnicamente possibile superare i rendimenti di altre macchine meccanicamente meno complesse.

5. La dialisi In Italia, decine di migliaia di pazienti sono costretti a ricorrere alla dialisi per problemi di insufficienza renale. La riduzione dellattivit dei reni al di sotto della soglia del 5% comporta che i cataboliti prodotti nei processi di sintesi e lacqua che si ottiene dalla respirazione cellulare si accumulano nel sangue e negli spazi interstiziali, alterando pesantemente e velocemente gli equilibri biochimici. necessario quindi che si intervenga artificialmente ogni 48h ore per prelevare ed eliminare queste sostanze in eccesso. Finora la dialisi rappresenta lunica speranza di sopravvivenza per questa categoria di pazienti, che sono obbligati a recarsi 3 volte a settimana presso i centri specializzati e a sottoporsi a trattamenti emodialitici per circa 4h ore a seduta. La vita di queste persone rimane fortemente condizionata dalla loro patologia e il recupero sociale risulta difficile. Ad oggi, non esiste un vero e proprio rene artificiale, vale a dire un dispositivo interamente impiantabile che garantisca loro una filtrazione sanguigna continua simile al processo fisiologico e li svincoli dalla presenza di una macchina esterna. Il principio su cui si basano i filtri per dialisi quello di sfruttare una membrana microporosa per favorire il passaggio dei soluti per diffusione e quello dellacqua per ultrafiltrazione. Questi due processi agiscono contemporaneamente e si influenzano a vicenda. Ai fini dei calcoli possibile considerarli separatamente (fig. 15).

Q1Csi JcA Jsoluti

scarto

700-800ml/min

Jinterstizio 300-400ml/min Qultra filtrazione

Q2Csu Riserva liquido dializzante

Figura 15: schema del circuito dialitico.

Per sapere il quantitativo di soluti che passa attraverso la membrana necessario scrivere un bilancio di massa: Q1Csi-JcA=Q2Csu Dove Q1 e Q2 sono le portate di sangue entranti e uscenti dal dializzatore, Cs1 e Cs2 rappresentano le concentrazioni di soluti, J il flusso di cataboliti e A larea di scambio della membrana (circa 1m2). Sapendo che oltre ai soluti viene filtrata dellacqua, risulta che Q1 maggiore di Q2, per cui le concentrazioni di sali dal lato del sangue variano in funzione sia della diffusione sia dellultrafiltrazione. tuttavia possibile considerare il flusso molare M di soluti attraverso la membrana, supponendo unultrafiltrazione nulla. In questo caso si ha: Muf=0=Qs(Csi-Csu)=Qd(Cdu-Cdi) Dove Qd la portata di liquido dializzante, mentre Cdu e Cdi sono rispettivamente la concentrazione di soluti allingresso e alluscita dal dializzatore dal lato della soluzione. Il passaggio dei cataboliti dipende dal coefficiente di diffusione D del sangue, della membrana e della soluzione dializzante oltre che dal loro gradiente di concentrazione; di seguito riportata la legge di Fick: J=D C/x anche possibile definire un altro utile parametro (Clearance) per descrivere la capacit di eliminazione dei soluti caratteristica di un particolare filtro per la dialisi: CL=M/Csi=(QsiCsi-QsuCsu)/Csi =Qs(Csi-Csu)/Csi=Qs(1-Csu/Csi) se Quf=0 Dove Quf la portata di ultrafiltrazione. La curva CL vs Qs un dato della macchina. Se si considera solo il passaggio di acqua dal sangue al liquido dializzante si ottiene invece:

Quf=Lp(P-) Dove Lp il coefficiente di filtrazione, mentre P e sono rispettivamente la differenza di pressione idraulica e di quella oncotica tra sangue e liquido dializzante. Bisogna inevitabilmente calcolare i corretti tempi di dialisi per evitare che, lo spillamento di liquido dal sangue verso la soluzione, non segua una dinamica pi elevata di quella necessaria al fine di evitare lo svenimento del a causa delleccessivo calo di pressione. Q La curva caratteristica di Quf vs P (fig. 16) ha uno shift iniziale pari a 25 mmHg, che rappresenta il salto pressorio minimo da imporre al sangue per vincere la pressione di richiamo oncotico, ed un plateaux,
25mmHg

che

testimonianza

delleffetto

di

impaccamento delle proteine sulla membrana che ostacolano il flusso.

Figura 16: Quf vs P

Regolare il P di ultrafiltrazione importante dal momento che si deve assolutamente evitare che la pressione oncotica generi un flusso retrogrado di liquido dal dializzatore al sangue e garantire contemporaneamente una non eccessiva Pdu sottrazione di liquido. Per fare questo basta porre una valvola a valle del dializzatore sulla linea del
P

Psi

Chiusura valvola

Apertura valvola

Psu Pdi

Figura 17: P tra i due compartimenti fluidi e sangue, in modo che si possa gestire il P funzionamento della valvola dal lato de sangue.

semplicemente aprendola o chiudendola, in modo da far variare P e Q, che dipendono solo dalle resistenze del circuito (fig. 17). Su questo tipo di circuiti si usano pompe roller in configurazione completamente occlusiva dal momento che si deve fornire una portata costante al variare del carico e senza creare problemi di emoliticit a causa delle portate ridotte (300-400ml/min). La pompa peristaltica deve garantire una differenza di pressione tra sangue e liquido dializzante maggiore di , sufficiente a vincere le perdite di carico che si generano nei pori di 50 di diametro ed abbastanza alta da creare un flusso di liquido verso il compartimento dialitico. La pompa dal lato sangue, posta a monte del filtro, viene coadiuvata nella sua azione dalla pompa roller dal lato del liquido dializzante, situata a valle della cartuccia, in modo da garantire comunque un P che non faccia refluire lacqua nel sangue.

Il filtro per dialisi realizzato con circa 15000 tubicini di silicone (o di polisulfone o di poliacrilonitrile) posti in parallelo e sigillati agli estremi mediante centrifugazione con una resina che ne garantisce lisolamento e la tenuta meccanica. Lo scambio diffusivo avviene attraverso la parete polimerica, mentre quello ultrafiltrativo sfrutta la presenza dei pori creati nella parete attraverso levaporazione del solvente in fase di fabbricazione. Il liquido dializzante deve dunque essere sterile perch entra a diretto contatto con il sangue. Le fibre siliconiche garantiscono una ridotta risposta infiammatoria e possono essere estruse ottenendo un elevato rapporto spessore/diametro in modo da garantire rigidezza e non collassabilit senza per questo gravare sulla difficolt di ottenimento industriale. Le dimensioni tipiche sono quelle riportate in figura 18.

25m 100m

cartuccia

Singola fibra

Figura 18: dimensioni della fibra di silicone.

Spessori troppo elevati possono ostacolare il processo diffusivo; per questo lobbiettivo progettuale quello di ottenere le fibre con la sezione di passaggio molto ridotta (lattenzione va posta comunque alle perdite di carico e agli sforzi di taglio) e il pi possibile omogenee tra loro in modo da garantire un flusso di soluti uniforme in tutto il filtro. Linvolucro costituito da un contenitore di policarbonato. Un altro target progettuale, che riguarda la cartuccia nel suo insieme, la limitazione del volume di priming e la garanzia di un flusso laminare di sangue allinterno dei capillari in modo da evitare il fenomeno dellemolisi. Un grosso problema legato alla dialisi laccesso
Shunt artero venoso laterolaterale

vascolare che deve essere effettuato tre volte alla


Shunt artero venosotermino terminale con graft artificiale

settimana solitamente a livello dellarteria radiale e della vena cefalica. Le soluzioni adottate (fig.19) sono diverse a seconda della filosofia di approccio al

Figura 19: differenti soluzioni a livello di shunt arterovenoso.

problema, anche se lobiettivo quello di raggiungere il minimo livello possibile di invasivit. Negli USA si adotta spesso uno shunt arterovenoso termino-terminale mediante un graft artificiale. Questo garantisce una buona funzionalit cardiaca a fronte per dellutilizzo di un materiale sintetico. In Europa si tende invece ad effettuare uno shunt arterovenoso latero-laterale in modo da incrementare la portata venosa di sangue fino ad 1,5 l/min e da lasciare parzialmente libera la circolazione della mano, a discapito per di problemi al tunnel carpale. A livello dello shunt avviene la puntura con aghi di grosso diametro (14-16 Gauge pari a circa 2mm) per prelevare la portata richiesta. Lago rappresenta il punto pi critico a livello di emoliticit. Il trattamento dialitico procura uno spostamento della curva P vs V del cuore in quanto questo deve pompare un quantitativo di sangue maggiore per compensare la portata sottratta dalla macchina. Oltre a ci, solo lo shunt arterovenoso provoca un riarrangiamento delle portate che influisce pesantemente sul lavoro fornito dal cuore che pu provocare problemi collaterali come lipertrofia o la cardiomiapatia dilatativa. I costi legati alla dialisi sono molto elevati e per questo motivo gli sforzi sono rivolti alla ricerca di nuove tecnologie meno dispendiose. Solo in Italia i pazienti dializzati sono circa 40000, i quali subiscono 155 dialisi allanno. I costi sono di circa 30 per il filtro, 10-15 per i liquidi dializzanti, 3 per i tubi e 1 per gli aghi. Considerando anche le spese del personale e della struttura ospedaliera che fornisce il servizio, si arriva ad una spesa annua nazionale pari a circa 900 mln/anno. Per diminuire queste spese si tenta oggi di trasferire le cure dialitiche a domicilio con tutti i problemi connessi al grado di preparazione tecnica del paziente che deve essere in gradi di far funzionare limpianto, o di riutilizzare i filtri per pi sedute per il medesimo paziente. Questultimo processo, oltre a costituire un risparmio economico, ha mostrato vantaggi dal punto di vista della minore risposta infiammatoria ottenuta mediante il rivestimento proteico depositato progressivamente sulle fibre siliconiche. Lalternativa alla dialisi tradizionale rappresentata dalla dialisi peritoneale che attualmente riguarda solo il 10% dei dializzati italiani. In questo caso si sfrutta la propria membrana peritoneale nativa come elemento filtrante e si inietta del liquido dializzante nelladdome del paziente mediante un accesso transcutaneo permanente. La dialisi si ottiene per differenza di concentrazione tra la soluzione ed il compartimento ematico. Attraverso un secondo accesso si scarica la soluzione salina.

6.Gli ossigenatori Lassistenza respiratoria viene richiesta da quei pazienti le cui funzioni meccaniche o diffusive dei polmoni sono compromesse a causa di una patologia o di un evento traumatico. In tutti questi casi si pu intervenire con un assistenza pneumatica sui polmoni, dilatandoli artificialmente con limmissione forzata di gas attraverso i bronchi, oppure agendo direttamente sul sangue fino ad instaurare un rapporto di scambio gassoso che porta allossigenazione. La trattazione seguente rivolta solo ai sistemi di supporto alla vita che garantiscono gli scambi gassosi dal lato del sangue. Per i pazienti fortemente traumatizzati a livello toracico nei quali la struttura polmonare completamente compromessa o per i bambini che nascono con dei ritardi nella formazione del parenchima polmonare o, ancora, per lassistenza dei pazienti in CEC con un by-pass completo e sotto effetto di curaro, lunica via percorribile, al fine di ossigenare il sangue, quella di creare uninterfaccia di scambio gassoso mediante membrane (fig. 20) o attraverso il gorgogliamento del gas nel fluido.

Gas membrana Sangue

Figura 20: ossigenatori a membrana.

I metodi pi usati prevedono la presenza di una membrana polimerica (di solito si tratta di silicone o polipropilene) che funge da parete di scambio puramente diffusivo (membrana semipermeabile) o da interfaccia per la convezione e la diffusione del gas nel sangue (membrana microporosa). Nel primo caso si creano due compartimenti nettamente separati nei quali il sangue ed il gas scorrono in controcorrente senza entrare in contatto diretto e lo scambio di ossigeno e di anidride carbonica avviene seguendo solo la legge della diffusivit di Fick: J=D C/x

dove J il flusso della specie chimica considerata, D il coefficiente di diffusivit e C/x il gradiente di concentrazione. Se si introducono le pressioni parziali al posto delle concentrazioni, grazie alla legge di Henry si pu scrivere: J=D P/x dove la solubilit della sostanza in gioco. Per passare dalle pressioni parziali di ossigeno alle sue concentrazioni, si sfrutta un doppio grafico in cui nellascissa di destra sono riportati i valori di PO2, in quella di sinistra le concentrazione di O2 e in ordinata la saturazione dellemoglobina. Nel quadrante di destra riportata la curva di saturazione dellemoglobina in funzione del pH, della temperatura e della PCO2, mentre in quello sinistra le relazioni Sat vs [O2] sono poste in funzione dellematocrito che, in questo caso, rappresenta il coefficiente della formula di Henry (fig.21).
Saturazione pH

Ht T [CO2]

[O2]ml/dL

PO2 mmHg

Figura 21: abaco con PO2, [O2] e saturazione dell Hb.

Nel secondo caso, la membrana micropororsa per cui, allinterno delle aperture, il sangue e il gas entrano in contatto. Nei pori di piccole dimensioni il sangue penetra per capillarit e vi rimane adeso istaurando un regime di scambio puramente diffusivo con il gas; nei pori di grandi dimensioni il sangue fluisce invece in continuit e favorisce uno scambio convettivo contemporaneamente a quello diffusivo. In questultima configurazione la membrana aumenta il rischio di formazione di un embolo nel lato del sangue o leccessiva trasudazione di plasma nel lato del gas che comprometterebbe la funzione della macchina. utile sottolineare che la tecnica di fabbricazione di una membrana microporosa di polipropilene, che avviene per evaporazione di solvente, comporta la

formazione di pori di grosse dimensioni rispetto a quelle dellossigeno e dellanidride carbonica (700 contro i 35 circa di O2 e di CO2). In aggiunta a questo le aperture risultano di forma irregolare e con sezione passante non rettilinea e a volte non completa (fig. 22). Produrre membrane per ossigenatori con porosit regolare di circa 50 come nel caso dei dializzatori richiederebbe uno sforzo economico troppo ingente che andrebbe a sottrarre utili risorse in altri campi applicativi di maggior interesse sanitario. Proprio per questo tipo di valutazioni si tende oggi ad usare le membrane siliconiche semipermeabili.

Tipi di foro passante in una membrana di polipropilene

Effetto della capillarit dei fori piccoli (sx) nei quali c solo diffusione; effetto di convezione nei fori grandi (dx)

Figura 22: schema del comportamento dei pori rispetto al flusso di sangue

Il campo di applicazione degli ossigenatori per il sangue non rappresentato solo dalla CEC, ma anche dalla tecnica ECMO (extra corporal membrane oxigenation). Con questo sistema si vuole sopperire alla mancata funzione dei polmoni derivata dalle pi svariate patologie, sostituendola interamente o parzialmente con un circuito extracorporeo che preleva il sangue dalla vena femorale e lo rimette controcorrente nellarteria femorale. Queste apparecchiature lavorano solitamente con una portata di sangue pari a circa 80% (circa 4l/min) del totale, il che comporta una serie di problematiche: si procura uno sforzo strutturale non indifferente aspirando da una vena che non supporta 4 litri di sangue al minuto in condizioni fisiologiche; si generano in aorta alcuni flussi ematici contrastanti e numerosi problemi renali come conseguenza della cattiva irrorazione dei rami di arterie renali che si dipartono dallaorta discendente (il naturale design delle biforcazioni ottimizzato per flussi discendenti eliminando la turbolenza e gli sforzi di taglio); si aumentano notevolmente gli sforzi di taglio sul sangue con i relativi problemi di emolisi; si rischia leccessivo abbassamento dellematocrito perch la macchina prevede volumi di riempimento di circa litro che devono essere colmati con soluzione salina.

Un campo di applicazione di questa tecnica si riscontra a livello neonatale, per quei bambini che nascono con un cattivo sviluppo del parenchima polmonare. Per questi, una ventilazione forzata servirebbe a poco dal momento che il problema risiede nei tessuti di scambio e non nella funzione meccanica; forzare laria allinterno dei bronchi non migliora (anzi a volte peggiora) lo sviluppo delle membrane alveolari che, specialmente in et precoce, sono estremamente delicate. Per tale motivo si utilizza lossigenazione extracorporea per garantire un periodo di cura farmacologia al tessuto polmonare fino al raggiungimento dello svezzamento respiratorio. Le macchine per i neonati sono opportunamente dimensionate, ma il volume di priming risulta proporzionalmente pi elevato di quello di un adulto dal momento che non si riesce a scendere sotto i 100ml a fronte di una volemia di pari entit. Per cui il rischio di trattamento elevatissimo perch bisogna prevedere o una trasfusione totale o un dimezzamento del valore di ematocrito. Un miglioramento della tecnica si pu ottenere cambiando il punto di accesso e prelevando il sangue dallatrio destro per immetterlo in aorta; in questo modo si minimizzano gli sforzi sui vasi sanguigni (fig 23).

Atrio Dx

4l/min

1l/min

AORTA

ossigenatore

Pompa

Figura 23: schema di funzionamento dell'ECMO,

5.1 La regolazione della FiO2 Per poter effettuare la regolazione dellossigenatore si agisce sulla composizione percentuale di ossigeno nella miscela di gas. Si riporta di seguito un esempio di calcolo: su una portata di sangue pari a 5l/min se ne prelevano 4l/min (pari all80%) per essere ossigenati nellECMO. Il sangue prelevato ha le seguenti caratteristiche: PO2=40mmHg

PCO2=46mmHg T=37C Ht=45% non a regime che risultano uguali a quelle del sangue che non entra nel circolo artificiale (1l/min). Il sangue ossigenato presenta invece i seguenti valori fisiologici: PO2=100mmHg PCO2=40mmHg T=37C Ht= <45% a regime Per quanto riguarda il valore dellematocrito risulta facile capire che il volume di soluzione fisiologica che riempie limpianto per il priming far diminuire il valore di Ht iniziale; per cui considerando un paziente di 70 Kg (volemia pari al 10% del BW) si ottiene un valore di Ht a regime pari a: Vpriming=Vox+t*Lt=300cc+0,00962/4**1,3=394cc Htf= (Hti*Vol+Htp*Vpriming) /Vtot= (0,45*7+0*0,394)/7,394=0,42=42,6% Dove Vpriming il volume di priming della macchina, Vox il volume dellossigenatore, t e Lt sono il diametro e la lunghezza del tubo di connessione macchina-paziente, Hti e Htf rappresentano lematocrito prima e durante il trattamento, Vol la volemia del paziente, Htp lematocrito della soluzione fisiologica (pari a zero) e Vtot la somma della volemia e del volume di priming. Una volta ottenuto il dato sullematocrito che si instaura durante il trattamento possibile stabilire quale sia la pressione parziale di ossigeno presente nel sangue considerando che l80% di esso ossigenato, mentre il 20% rimane venoso. Per eseguire questo calcolo si parte dai dati di PO2 del sangue arterioso (100mmHg) e di quello venoso (40mmHg) e si inseriscono nel grafico relativo alla curva di saturazione. In funzione dellematocrito si legge il valore di [O2] e si esegue la somma pesata. Con questo dato a disposizione si legge nuovamente il valore di PO2 dopo la miscelazione delle due componenti sanguigne. Nel caso in esame si conosce la [O2] arteriosa (20ml/dL) e venosa (15mL/dl) al 45% di Ht. Con una semplice proporzione si perviene ai valori di concentrazione di ossigeno corrispondenti al 42,6% di Ht: 19,9 ml/dL arteriosi e 14,2 ml/dL venosi. Si esegue la somma pesata sulle portate e si ottiene un valore di [O2] finale pari a 19,96 ml/dL. Dal grafico si legge una corrispondenza di questo valore di concentrazione con una pressione parziale di 90mmHg che risulta pi bassa di quella fisiologica.

A questo punto bisogna modificare un parametro nellossigenazione artificiale al fine di raggiungere il target dei 100mmHg come pressione di O2 totale. Bisogna considerare che il gas ossigenante una miscela di aria (21% di O2) e O2 puro. Per questo motivo la pressione parziale di ossigeno nella miscela, in funzione della sua percentuale di immissione nellaria (FiO2,) risulta pari a: PO2=FiO2 *760mmHg+(1-FiO2) * 0,21 *760 mmHg o, in forma pi semplificata, PO2= FiO2 *760mmHg. Quindi, un modo facile per regolare lossigenazione modificare la FiO2. Nel caso in esame i 90 mmHg calcolati sono insufficienti e per questo serve giungere ad una concentrazione di ossigeno finale che garantisca una PO2 pari a 100mmmHg; questo valore pari a circa 19ml/dL come si evince dal grafico della saturazione dellHb. Da questo dato si risale a ritroso al quantitativo di ossigeno che deve essere presente nel solo sangue ossigenato (80%) per garantire i livelli di PO2 imposti: (4*X+1*14,2)/5=19ml/dL X=20,2 ml/dL Per cui il P che si instaura tra sangue arterioso e venoso si calcola come: Pi=18,9-14,2=4,7 mmHg Pf=20,2-14,2= 6 mmHg dove il Pi il salto pressorio tra il compartimento ematico e quello gassoso nelle condizioni non ideali che garantiscono solo 90mmHg di PO2 finale, mentre il Pf la differenza di pressione da raggiungere per arrivare ai 100mmHg di PO2 imposti. Supponendo che i 90 mmHg di PO2 si ottengano con una FiO2 pari al 50%, si deve calcolare la nuova FiO2 per innalzare tale valore a 100mmHg. Nel caso si ottengano 90 mmHg (situazione 1) si ha: P1=4,7mmHg FiO2=50% PO2gas1=380mmHg (formula semplice) PO2sven=40mmHg

PFick1=340mmHg Nel caso si vogliano ottenere 100mmHg di PO2 finale si ha: P2=6mmHg FiO2=??? PO2sven=40mmHg Si imposta una proporzione: 340:4,7=X:6 X=452,1=PFick2=PO2gas2-PO2sven=PO2gas2-40mmHg PO2gas2=492,1 mmHg Che corrispondono a una FiO2 del 65%. Per quanto riguarda la regolazione dello scambio di CO2 i calcoli sono molto diversi dal momento che nella miscela gassosa la PCO2 pari a 0. Non
46 mmHg P 40 mmHg

potendo ulteriormente diminuire questo valore per aumentare gli scambi, lunico modo che resta per regolare il quantitativo di CO2 prelevata al sangue quello di variare la portata di gas. Pi Q elevata pi si garantisce un prelievo maggiore

Figura 24: scambio di CO2 a flussi incrociati.

dal momento che si ha a disposizione meno tempo per riempire di anidride carbonica la miscela (viene mantenuto costante il P dei flussi incrociati) (fig.24).

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