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Il pi odiato dai fascisti. Conversazione su Furio Jesi, il mito, la destra e la sinistra


Posted By Wu Ming On 15/01/2013 @ 12:09 pm In Appunti,Personaggi | Comments Disabled

Furio Jesi durante la lavorazione dellEnciclopedia Europea Garzanti, 1976


un brutto indizio che si regredisca ai feroci e cupi anni Settanta con un trattato di criminologia culturale. (Marcello Veneziani, commento alla riedizione 2011 di Cultura di destra di Furio Jesi) Furio Jesi, il germanista dottissimo ma completamente paranoico, i cui deliri godono ancora di gran credito a sinistra (A. Scianca, responsabile cultura di Casapound, in una recensione a Un Grillo qualunque di Giuliano Santoro) Non conosco la biografia del personaggio, ma sono pronto a giurare che sia stato affetto da turbe psichiatriche serie. (Discussione su Furio Jesi dal forum neofascista Vivamafarka) Furio Jesi, lintellettuale ebreo morto prematuramente a causa di una fuga di gas del suo scaldabagno (Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola) [Quella che segue una conversazione a tre voci su Furio Jesi (1941 - 1980), archeologo, filologo, studioso di mitologia e cultura tedesca, scrittore e militante della "nuova sinistra". L'occasione la recentissima uscita della monografia di Enrico Manera Furio Jesi. Mito, violenza, memoria (Carocci, 2012). Per molti giapster, Manera una vecchia conoscenza: su Giap, a fine 2010, discutemmo della sua precedente uscita "jesiana", ovvero il n. 31 della rivista Riga, curato da lui e da Marco Belpoliti, interamente dedicato allo studioso torinese. Numero che resta il miglior "punto d'ingresso" in un labirinto di pensiero e in un'elaborazione radicale purtroppo troncata da un banale incidente domestico. Il libro appena uscito vuole essere un "compagno di viaggio", un vademecum da tenere accanto una volta deciso di intraprendere la lettura di Jesi. La conversazione si svolge tra Manera, Wu Ming 1 e un'altra conoscenza dei giapster, Giuliano Santoro, recentemente criticato da un fascista per aver usato Jesi nel suo libro Un Grillo qualunque. Approfittiamo dell'occasione per aggiungere che le edizioni Nottetempo stanno per ripubblicare il testo di Jesi Il tempo della festa, a cura di Andrea Cavalletti. Buone letture. P.S. Ricordiamo che in calce a ogni post di Giap ci sono due link: uno apre l'impaginazione ottimizzata per la stampa (o per il pdf), l'altro salva il post in formato ePub.] -

Wu Ming 1 Jesi sembra essere lunico intellettuale di sinistra del Novecento italiano che metta davvero a disagio il neofascismo (classico e postmoderno) e le destre pi o meno nuove e riciclanti. Nel calderone del loro discorso confusionista, queste ultime possono citare pi o meno chiunque, da Pasolini a Rino Gaetano agli Area, da Guevara a Debord a chiss chi altro, ma di fronte a Jesi si fermano inquieti e sudaticci. A pi di trentanni dalla sua morte continuano a praticare esorcismi ingiuriandolo, dandogli del paranoico, qualificando le sue riflessioni come deliri, irridendolo e tirando in ballo in modo allusivo il suo essere di famiglia ebraica e le modalit della sua morte (un ebreo ucciso dal gas, che risate!), cercando in tutti i modi di tenerlo a distanza. In effetti, pensiamo allapproccio di Jesi e alle conclusioni a cui giunge: 1. Non c Mito ma solo materiali mitologici variamente manipolati e tecnicizzati (cio usati per scopi contingenti). 2. Lorigine un momento sempre inventato ex post e comunque poco significativo. 3. Sulle idee senza parole della destra concetti dati in partenza per indicibili e indibattibili come Spirito, Patria, Italianit o Tradizione non pu fondarsi alcun pensiero critico (quindi, aggiungo, lespressione intellettuale di destra il pi delle volte una contraddizione in termini). 4. Certi pensatori della tradizione di destra non meritano alcuna patente di rispettabilit culturale. Per esempio, Evola era in buona sostanza un rimasticatore da strapaese, uno che in Italia era tenuto in conto perch vendeva ai piccoli borghesi frustrati una versione casereccia e dozzinale di idee che altrove, pur discutibili, erano esposte con maggiore seriet (es. da parte di Ren Gunon). Qualche giorno fa, ho definito Evola un mago Otelma con pi pretese. 5. Il continuo evocare lAlto, lAntico, il Puro, il Nobile solo kitsch, affastellamento di cianfrusaglie per ottenere un effetto di lusso spirituale. Ebbene, niente di tutto questo integrabile in alcun modo nel bric--brac di destra alla Casapound o chi altri. Non pu proprio far parte dellassemblaggio, della macchina mitologica fascista o fascistoide. Ciascuna di queste conclusioni sarebbe ossidante o corrosiva per le giunture e guarnizioni di quel precario marchingegno. Questo fa di Jesi il pi odiato dai fascisti. Lo abbiamo visto anche di recente, da parte di tale Scianca, che indicato come responsabile cultura di Casapound (quindi quello che mescola la minestrina). Recensendo sul Secolo dItalia il libro di Giuliano Un Grillo qualunque dove larsenale teorico di Jesi utilizzato in modo intelligente e non scontato costui non ha rinunciato a insultare il mitologo e germanista torinese, definendolo completamente paranoico. Enrico Manera La tua sintesi pienamente corretta: riprendo la definizione di cultura di destra che Jesi diede nel 1979 a Lespresso in occasione delluscita di Cultura di destra, un libro che ebbe una certa notoriet. E la cultura in cui il passato una sorta di pappa omogeneizzata che si pu modellare [...] nel modo pi utile, [...] in cui prevale una religione della morte o anche una religione dei morti esemplari, in cui esistono valori non discutibili, indicati da parole con liniziale maiuscola. Di destra ogni discorso che abbia forma assertiva indiscutibile, cio autoritaria e quindi mitica: soprattutto il linguaggio di parole spiritualizzate elaborato dalla destra tradizionale, fascista e neofascista, con le iniziali maiuscole (Tradizione, Razza, Patria, Famiglia, Sangue, Terra) ma anche il linguaggio del sinistrese [...] pi dinamitardo dei comunicati delle Brigate Rosse o la celebrazione del Risorgimento e della Resistenza quando si fa discorso basato sulla mistica del sacrificio e del martirio. Tutto questo sono le idee senza parole: retoriche del sublime, monumentali e celebrative che legittimano la sfera politica riferendosi al passato e imitando il linguaggio del sacro. Alludono e non spiegano nulla. Sono forme verbali dellazione, gestuali e rituali per le quali in termini di filosofia del linguaggio Austin ha parlato di funzione perlocutiva, producono effetti pragmatici in chi le condivide. Per Jesi, la maggior parte del patrimonio culturale [...] residuo culturale di destra. La destra non che lestrema propaggine di un linguaggio aristocratico e alto-borghese che ha trovato la propria codificazione a partire dal tardo Settecento, nel momento in cui gli elementi delle culture nazionali sono emersi con forza e hanno elaborato una metafisica che trovava nel mito una voce dellessere. Di qui il mito dellorigine e il mito come qualcosa di originario. Luso del mito, un uso metafisico del mito che serva a fondare uno stato di cose considerandolo natura, ci che fattivamente distingue il pensiero reazionario da quello emancipativo: se le parole di sinistra diventano mitiche smettono di essere emancipative. Questo riguarda a sinistra, per farla molto veloce, tanto lo stalinismo, come mito totalitario del potere, quanto le magliette di Che Guevara, per dire una mitologia che ricicla simboli e luoghi comuni dellimmaginario di sinistra in modo kitsch e anche commerciale, quali che siano le buone intenzioni. Un discorso molto simile quello del romanziere rumeno, esule negli Stati Uniti, Norman Manea (Clown. Il dittatore e lartista, 1992, ed. it. 1995 e 2005), che ha parlato di mitologie comunitarie che forniscono risposte facilitate per societ in crisi. Fascismo, socialismo reale, fondamentalismo religioso, democrazie post-moderne, pur con gradi diversi di intensit e su contenuti di segno anche molto diverso, dal punto di vista della teoria della cultura operano allo stesso modo nel plasmare modelli cristallizzati di identit. I fasci di Casapau, quando pensano a un Eroe, il primo esempio che gli viene in mente Bruce Willis. Forse per il crapone pelato che ricorda Lui. Ma non erano contro lamericanismo? Forse gli va bene qualunque energumeno che faccia pum pum? (Purch bianco e occidentale, naturalmente) Ogni mito politico, da Georges Sorel in poi, dunque di destra e si rivolter contro chi voglia cavalcarlo anche per fini di emancipazione: non si possono, dice Jesi a ogni rivoluzionario, muovere le forze inconsce del potere simbolico e poi sperare di controllarle razionalmente. Da questo punto di vista mi sembra che Jesi parli soprattutto ai suoi compagni di lotta, una Nuova sinistra libertaria e luxemburghiana, mettendoli in guardia da errori e fallimenti, come avviene con Spartakus (1967-1969) che una riflessione sulla simbolica del potere, sulle ipoteche escatologiche della filosofia della storia marxista, ma anche una critica del mito sacrificale e suicida della rivolta. Questa imposizione rende impossibile utilizzare Jesi a destra, perch il suo pensiero quella di una sinistra post-strutturalista e post-metafisica, semiotica, antropologica e letteraria difficilmente maneggiabile. La forza teorica di Jesi la sua profondit, mentre la cultura di destra italiana, soprattutto a causa del fascismo, stata provinciale e priva di personalit intellettuali: il fatto che Jesi lo abbia espresso duramente uno dei motivi del livore nei suoi confronti. Mi colpisce come Veneziani o Scianca, leggibili nei recenti commenti a Cultura di destra, non abbiano argomenti che non siano vaghe insinuazioni: si parla sempre di odio, delirio e paranoia e alla fine si ha limpressione che non conoscano il discorso, non ne comprendano la portata o non sappiano come controbattere. Sono soprattutto risentiti perch Evola, che dovrebbe essere il loro Marcuse, viene smascherato come un divulgatore di cose altrui, ed Eliade, un grande studioso antimoderno e primitivista, viene inchiodato al suo fondale ideologico filofascista. Colpisce piuttosto che anche Cacciari abbia criticato duramente il libro, forse si sente chiamato in causa perch in passato leggeva Schmitt da sinistra poi stato impegnato in uno schieramento moderato e post-ideologico. Giuliano Santoro Aggiungerei questo: il fatto che Furio Jesi venga scambiato per un paranoico dimostra che i fascisti non solo non possono utilizzare i suoi lavori, magari recuperandolo: non possono neppure capirli. I fascisti, si sa, non si trovano a loro agio con meccanismi concettuali che non costituiscano strutture rigide, schemi predeterminati o che non consistano in format (non uso a caso questa parola) culturali da applicare di volta in volta. Ci troviamo davanti a uno di quegli autori che ti costringono continuamente a sollevare lo sguardo dalla pagina, riassumere la questione e mettere a verifica il percorso mentale che hai compiuto fino a quel punto. Enrico spiega bene nel suo libro che ci avviene perch negli scritti di Jesi la relazione tra il soggetto e loggetto di un discorso non solo non negata, continuamente messa in scena, dichiarata: i due poli di una questione (chi osserva e chi viene osservato) si influenzano costantemente. Non vorrei forzare troppo il nostro ragionamento, ma aggiungerei che questo stile, questa attitudine alla complessit, ci aiuta a evitare che si tracci una linea netta tra un noi e un loro, tra chi parla e chi viene parlato o semplicemente tra chi scrive e chi destinato a leggere. Questa caratteristica della lezione di Furio Jesi utilissima anche decifrare il linguaggio che ci bombarda ogni giorno. Wu Ming 1 E verissimo che la destra, prima ancora di rigettarla, fraintende completamente limpostazione di Jesi, e proprio per il motivo che dice Giuliano. Questo riverbera sul modo in cui i commentatori di destra leggono chiunque usi le sue intuizioni, i concetti che negli ultimi anni di vita (ma nessuno, men che meno lui poteva sapere che erano gli ultimi!) aveva iniziato a far lavorare. Mi rifaccio ancora alla recensione di Un Grillo qualunque scritta da Scianca, non perch abbia qualche rilievo, ma proprio perch tipica, del tutto conforme alle aspettative, quindi funziona bene come esempio. Lintellettuale fascista del terzo millennio rivolge a Giuliano unaccusa che suoner bizzarra a chiunque abbia letto il libro: per lautore solo la destra si esprime attraverso frame, mentre si d a intendere che la sinistra parli un linguaggio perfettamente trasparente a se stesso e consapevole. Innanzitutto segnalo, perch significativa, la totale incomprensione del concetto linguistico-cognitivo di frame, che in italiano si pu tradurre con cornice concettuale, o inquadratura concettuale. Ogni essere umano dotato delluso del linguaggio si esprime attraverso frame, cio quadri di riferimento, insiemi di immagini e relazioni tra concetti che strutturano il nostro pensiero, alcuni sin dalla primissima infanzia. Giuliano (come George Lakoff prima di lui) non stigmatizza affatto luso di frame da parte di Grillo o della destra: sarebbe come stigmatizzare luso della grammatica e della sintassi. Giuliano invita a riconoscere, decodificare e disinnescare luso strumentale (tecnicizzato, direbbe Jesi) e la diffusione di certi frame. Nella comunicazione politica non c parola o frase che non inquadri un dato problema secondo la prospettiva ideologica di chi la usa. Ogni vocabolo porta con s un mondo. Per esempio, imporre luso di centrodestra e centrosinistra al posto di destra e sinistra stata unoperazione di framing che ha avuto conseguenze devastanti: a destra leufemismo servito a legittimare soggetti lercissimi e fascisti nemmeno ripuliti; a sinistra ha imposto la credenza nella necessit di spostarsi al centro altrimenti non si vince. Solo che, nella realt concreta, il centro non esiste. Chi si dice di centro in realt di destra e fa cose di destra, vedi Casini, Monti, Montezemolo, adesso addirittura il postfascista Fini E poi: chi vince? Per fare cosa? Spostandosi al centro non si fa altro che andare a destra (in cerca dei fantomatici moderati) e di certo non si faranno politiche di sinistra. Un altro esempio il discorso sulla sicurezza: se, come accade ogni giorno, un politico usa nella stessa frase le parole sicurezza e immigrazione, sta evocando nella mente di chi ascolta una comunit omogenea minacciata da una differenza proveniente dallesterno, e questo il quintessenziale framing di tutte le destre, in primis di quella fascista. Infatti (e non sono certo il primo a farlo notare), la distinzione primaria tra sinistra e destra proprio questa: George Lakoff - per la sinistra ogni societ costitutivamente divisa al proprio interno, perch ci sono interessi contrapposti e contraddizioni intrinseche. I conflitti principali avvengono lungo le linee di queste contraddizioni, che sono principalmente di classe e di genere, e derivano dai rapporti di propriet (se ci sono i poveri perch ci sono i ricchi), di produzione (gli sfruttatori non fanno gli interessi degli sfruttati), di biopotere (esistono dispositivi che favoriscono i maschi a scapito delle femmine) etc. Da questa premessa generale, che vale per tutta la sinistra, derivano numerose visioni macrostrategiche: socialdemocratica, comunista, anarchica Tutte si basano sulla convinzione che la societ sia in partenza divisa e diseguale e le cause della diseguaglianza siano endogene. - per la destra, invece, la nostra societ era un tempo armoniosa e concorde, ma oggi non lo pi per colpa di agenti esterni, intrusi, nemici che si sono infilati e confusi in mezzo a noi e ora vanno ri-isolati ed espulsi. A seconda dei momenti, corrispondono allidentikit il musulmano, lebreo, il negro, lo slavo, lo zingaro, il terrone, il comunista che tifa per potenze straniere, il pervertito (da dove saltano fuori tutti sti froci? Una volta mica cerano!), la Casta intesa come altro da noi, la finanza ridotta ai complotti di speculatori stranieri, Roma etc. Non vi dubbio che nellItalia di oggi il discorso egemone, anche presso gente che si pensa e dichiara di sinistra, sia quello di destra.

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Ovviamente, lidea che una volta (quando?) la societ fosse armoniosa il non plus ultra del mito tecnicizzato, idealizzazione di un passato mai esistito, un passato che viene evocato allo scopo di prendersela col diverso di turno. Diverso perch arrivato dopo. Solo che tutti noi siamo arrivati dopo, perch il Roger Scruton tempo del mito precede tutto. [Qualche giorno fa, su Twitter, ho riassunto in questo modo il pensiero del filosofo tory Roger Scruton (in Italia lo ha molto citato e promosso Giuliano Ferrara dopo la svolta teo-con): Quand'ero piccolo, postini e lattai fischiettavano per la strada, poi la sinistra ha distrutto quel mondo.] Qui torna a bomba il discorso jesiano: Jesi non stigmatizza il ricorso a mitologie, perch tutti quanti vi ricorriamo ogni giorno, non potremmo comunicare senza condividere elementi di alcune narrazioni di fondo. Jesi invitava a riconoscere che non c Mito o Tradizione, ma un continuo riassemblaggio di materiali mitologici. La destra crede o finge che pi in alto e prima di questo bricolage vi sia qualcosaltro, qualcosa di astorico e sovrumano, un significato eterno e ineffabile, diretta espressione dello Spirito. Per non dire di fantomatici caratteri innati nella stirpe che corrisponderebbero a valori trascendenti impossibili da definire. Sono le famose idee senza parole (Spengler), i simboli riposanti in se stessi (Bachofen). Jesi anticip il dibattito sulla invenzione della tradizione, che alcuni storici anglosassoni avviarono pochissimi anni dopo la sua morte. Anche in quel caso, si prov che molti simboli ritenuti antichissimi, ancestrali (es. il tartan dei clan scozzesi e luso del kilt), erano invenzioni molto recenti, tecnicizzazioni funzionali a politiche nazionalistiche, come del resto la celticit. Tutto bricolage ottocentesco. Uscite a destra dal leghismo: la Comunit Antagonista Padana. Il tizio nelle foto in bianco e nero Augustin Cochin (1876-1916), storico ultrareazionario e complottista, autore di saggi contro la Rivoluzione Francese. In uno dei manifesti sul muro si legge: Ancien Rgime, un modello contro la modernit? La foto del 2009 e la prima volta che labbiamo vista abbiamo commentato: se non licenziano il grafico, non vanno da nessuna parte. AllUniversit Cattolica hanno intitolato unaula a Robert Brasillach, scrittore francese collaborazionista coi nazi. Sul loro sito scrivono di essere contro i pericoli immigrazionistici, il multiculturalismo estremo e il mescolazionismo religioso. Si vantano anche della loro ampia produzione cartellonistica, vera e propria offerta formativa muraria. Un caso di pittoreschismo cialtroncellistico, senzaltro, ma il loro assemblaggio di materiali mitologici tutto fuorch estraneo alla fase che attraversa lEuropa. Nel parlamento ungherese non si odono cazzatismi molto diversi, e c poco da ridere. Una versione ritenuta (non da noi) pi presentabile di questi discorsi si ritrova nella produzione di Massimo Fini, che infatti la CAP cita con simpatia. Detto ci, quello che lintellettuale di destra non riesce a capire, poveretto, che Giuliano ricorre a Lakoff e Jesi per criticare innanzitutto la sinistra, le sue manchevolezze, il suo comunicare opaco, inconsapevole, ideologicamente subordinato. E colpa della sinistra cio nostra se esistono fenomeni come il grillismo (o, appena ieri, il leghismo), come sempre colpa della sinistra (dei suoi residui culturali di destra) se spadroneggiano narrazioni di destra. Questa la premessa tanto delle riflessioni di un linguista cognitivista americano e liberal come Lakoff, quanto di un filologo sui generis europeo e marxista come Jesi. Sono riflessioni in larga parte autocritiche. Enrico Manera Dico qualcosa sul grillismo: ho seguito su Giap il dibattito e anchio credo che ci sia una forte analogia tra le retoriche del grillismo e quelle del fascismo delle origini. Luso della cassetta degli attrezzi jesiani da parte di Giuliano pienamente condivisibile. Grillo riuscito a mettere insieme una serie di parole magiche, che indubbiamente intercettano un disagio reale ma che diventano parole-bandiera, in questo caso producendo una visione tecnocratica del futuro con la rete al centro. Mix di politica, spot pubblicitari e sentimenti mi sembra una descrizione pienamente calzante. Ma questo futuro semplicemente unaltra modalit del passato idealizzato e mai esistito usato dai fascisti. Ne una controprova luso autoritario della rete nel Movimento 5 Stelle, un tema su cui ad esempio il Partito Pirata pi avanti, con la discussione sul software e sulle modalit di partecipazione decisionale. In ogni caso mi sembra che Grillo sia un esempio particolarmente evidente di dinamiche diffuse. La retorica contro la casta, oramai insopportabile, qualcosa di pi del qualunquismo, diventata una formula magica cos come la rottamazione: slogan fortunati che diventano conoscenza presunta dei fatti da chi ne fa uso grazie alla loro circolazione pervasiva. Laltro dato su cui vale la pena di riflettere il personalismo, la componente carismatica e idolatra della mitologia, in base alla quale ogni idea tende a coincidere con un leader che non mai il terminale di un meccanismo di rappresentanza, ma invece un idolo, un busto, un monumento, un simbolo che deve avere qualcosa di vistoso, roboante e kitsch per funzionare. Mi sembra che limmaginario politico italiano sia malato di mitologia cattiva e sia imbonificabile: probabilmente il male peggiore che si possa imputare a Berlusconi di aver stabilizzato con la sua discesa in campo questa situazione dettando gli standard e dando vita a unescalation. E stato lui a iniziare, come dire, la pesca con le bombe a mano Giuliano Santoro Quando abbiamo cominciato questo dialogo, non era ancora successo che Beppe Grillo dichiarasse al candidato alla presidenza della Regione Lazio di CasaPound (e dunque allo scafato dirigente di quel partitino, non a un ragazzotto, come ha scritto qualcuno) che Gianluca Casseri, un bianco che ha fatto pum pum e lantifascismo non gli compete. che troppi fingono di non aver mai conosciuto. Nella Successivamente, il CapoComico ha pensato di rettificare, fornendoci ulteriori elementi danalisi: ha scritto sul suo blog che siccome il foto, mostra orgoglioso la bandiera di Casapau. tempo delle ideologie finito, allora il Movimento 5 Stelle non fascista, tenendoci a ribadire che allo stesso tempo questo non n di destra n di sinistra. Dunque, registriamo la difficolt da parte di Grillo a definirsi antifascista: si dichiara semplicemente non fascista in quanto agnostico rispetto alla faccenda. Evidentemente, essere antifascisti implica che si riconosca una storia passata, uneredit culturale, uno schieramento. Ma se ci avvenisse, in qualche misura il passato smetterebbe di essere la pappa omogeneizzata da modellare a proprio uso e consumo di cui parlava prima Enrico citando lintervista a Jesi del 1979, per costruire una narrazione del tutto estranea a ogni dimensione concreta della storia della quale si parla in Cultura di destra. Qualcuno ha avuto lefficace idea di mettere insieme alcune delle definizioni che il primo Mussolini dava del fascismo per scoprire che alcune assomigliano pericolosamente agli umori che ruotano attorno al grillismo e che questa somiglianza pi che negli elementi programmatici si trova in questa esaltazione ingenua di elementi in fin dei conti irrazionali. Il fascismo, scrive ad esempio il futuro Duce sul Popolo dItalia nellottobre del 1919, una mentalit speciale fatta di inquietudini, di insofferenze, di audacie, di misoneismi, anche avventurosi, che guarda poco al passato e si serve del presente come di una pedana di slancio verso lavvenire. Altrove, ragionando su analogie e differenze tra Grillo e il fascismo, ho fatto riferimento alla capacit di Grillo di parlare a persone spesso rimaste senza parole, ammutolite dallorrore della precariet e dalla negazione del futuro, incantandole con formule magiche. Sono parole, quelle di Grillo che, come avviene per il linguaggio pubblicitario e pi in generale con quello televisivo, non hanno bisogno di essere considerate vere. Discutendo, de visu e on line, con molti seguaci di Grillo mi sono accorto che questo processo andato pi avanti di quanto noi che pure in tempi non sospetti avevamo colto nel grillismo qualcosa di anomalo immaginiamo. A conferma del fatto che la razionalit non lelemento centrale per spiegare questo fenomeno, mi sono accorto che la maggior parte dei miei interlocutori, pur essendo in perfetta buona fede, viveva le mie critiche al Movimento 5 Stelle con sofferenza e fastidio, come se stessi impicciandomi della loro intimit, come se parlando della relazione con il Capo stessi entrando nella loro sfera sentimentale ed emotiva. Come se fossi colpevole di un atto di violenza, impicciandomi in questioni che non mi competono. Wu Ming 1 Sempre in tema di cultura e spettacoli: sia Lakoff sia Jesi, tra le altre cose, invitano a indagare la popular culture, perch l nelle fiction televisive, nelle riviste di gossip etc. che si afferma il residuo culturale di destra (Jesi) o si consolidano i frame della narrazione conservatrice (Lakoff). E pensa cosa avrebbe pensato dei social network! Appena mezzora fa ho visto su Rai Storia unorribile intervista a quel deprecando personaggio che era Liala, una roba svenevole girata e trasmessa dalla Rai negli anni Settanta, super-concentrato di kitsch e lusso spirituale reazionario, e ho pensato che forse Jesi scrisse la parte di Cultura di destra dedicata a Liala dopo aver visto quellintervista. Era davvero emetica. Ho anche pensato: Liala stata la pi abile e influente spacciatrice di cultura di destra nellItalia del Novecento, e Jesi lo aveva intuito. Altro che Corradini, Bottai, Preziosi, Evola, Rauti, Freda, Romualdi Quelli erano dei poveracci, al confronto. La giustapposizione di Evola e Liala pu sembrare strana (e alla destra sembra blasfema), ma a me pare perfetta, Jesi ci vide davvero giusto affrontando entrambi nello stesso libro. In quel libro, va ricordato, Jesi metteva anche in guardia da un giovane marchesino dei bolidi, cio Luca Cordero di Montezemolo, e anche qui aveva visto giusto, perch poi quel tizio ce lo siamo sorbiti per trentanni e ancora ce lo sorbiamo. Montezemolo una specie di Lialo dellindustria e della politica. Enrico Manera Parlando di Jesi, diversi insistono sulla sua natura ideologica e fanno di lui un vetero-marxista, ma questo un equivoco, nella misura in cui Jesi un post-marxista che riconosce linevitabilit di ogni posizione ideologica, in quanto situazionalit e postura esistenziale, a partire dalla propria. Dunque Jesi prima di tutto uno studioso, un antropologo delle idee con una metodologia raffinata e articolata: c lo studio dellideologia come sfondo intellettuale comune a pi ambiti della cultura di una societ o di unepoca ma anche la consapevolezza della propria visione ideologica come insieme di interessi, bisogni e aspirazioni; consapevolezza di s, come individuo e come appartenente a un vasto e articolato movimento politico, in contrasto con il gruppo sociale degli intellettuali accademici, per non dire di quello borghese di provenienza. Jesi considerava il suo lavoro come un continuo romanzo e una autobiografia cifrata e lo ha fatto a mio avviso nei termini di unauto-socio-analisi metasociologica, per usare le parole di Pierre Bourdieu, in cui il s un agente in azione nel campo delloggetto studiato. Dunque, la coscienza vissuta della macchina mitologica come modello di conoscenza che rende ragione dei livelli, logicamente successivi, di ideologia e di tecnicizzazione. La teoria della macchina mitologica un modello trascendentale e metodologico al tempo stesso. In altri termini, lio servendosi di una macchina mitologica (i suoi processi mentali) produce una macchina mitologica-teoria (la macchina mitologica come modo di conoscere). Con questa si possono conoscere le diverse macchine mitologiche (i processi mitopoietici) in atto nella storia della scienza del mito, della letteratura, della politica (la macchina mitologica come oggetto di conoscenza). Nellanalisi delle varie forme della mitopoiesi il soggetto risale cos a una teoria della ricezione e delluso che mentre spiega il suo oggetto descrive anche le sue modalit di pensare, conoscere e agire. Per tornare alla inservibilit di Jesi se non in senso critico, un simile discorso implica pi livelli di analisi, non immediato n facilmente comprensibile; in pi Jesi ha una scrittura a volte molto tortuosa, che testimonia il suo corpo a corpo con la teoria della macchina mitologica per tutti i primi anni settanta. Poi, dal 1975-1976 in poi i testi risplendono di una stato di grazia e di una scrittura felicemente risolta. Per quanto riguarda la sinistra il problema non stato tanto quello di perdere legemonia culturale lasciando agli altri la narrazione: intendo dire, questo vero ma pi un problema nostro, ci che vediamo trentanni dopo, negli anni Settanta i problemi riguardavano la modalit con cui erano condivisi e diffusi i miti del comunismo mainstreamo della socialdemocrazia, entrambi per Jesi residuo culturale di destra. Nel 1978 su lOra di Palermo Jesi viene intervistato sulle ragioni della nuova edizione de Il tramonto delloccidente di Spengler, un monumento della cultura reazionaria tradotto da Evola. Tra laltro: Longanesi lo ha nuovamente riedito rimuovendo lintroduzione di Jesi e sostituendola con quella di Stefano Zecchi che si legge ancora oggi. Alla domanda: la cultura di destra quindi la palude squisita nella quale, per eccellenza, prosperano i miti, Jesi risponde: La macchina mitologica funziona, l, molto bene, ma non meglio che in altre zone paludose se la qualit palustre implica un giudizio politico-morale come quelle della cultura di sinistra. La macchina mitologica funziona ovunque altrettanto bene e con il medesimo ritmo. [...] La cosiddetta cultura di destra probabilmente si meno autocensurata della cosiddetta cultura di sinistra per quanto riguarda i compiacimenti verso le proprie componenti mitologiche. Per fare un esempio concreto di cultura di destra dentro la sinistra, Jesi nel 1979 sostenne Franco Fortini nella polemica sul Doppio diario di Giaime Pintor: in un noto articolo di Quaderni piacentini Fortini accusava Pintor (per i pi giovani e meno informati, un martire della sinistra morto giovanissimo da resistente, fratello maggiore di Luigi Pintor de Il manifesto) di essere inconsciamente attratto da un mondo di eroismo politico-estetico e da autori come Drieu La Rochelle, Juenger, Salomon, per motivi di ceto e cultura principalmente. Per Jesi, professore ordinario non ancora quarantenne, proveniente da una famiglia colta e benestante, si trattava anche di una questione privata: criticare i residui culturali di destra era anche un modo per fare i conti con la propria provenienza borghese e con i suoi codici che intendeva rifiutare; Jesi era cresciuto nella cultura classica pi raffinata, poi, com noto, aveva abbandonato la scuola per una formazione irregolare e da autodidatta allestero, aveva lavorato nelleditoria e solo dopo, e per vie traverse, in universit. E una storia di rottura con il mondo dei padri, negli anni sessanta, nei cruciali 67 e 68, fino al 77 quando da docente sostiene le occupazioni delle universit, anche personalmente nellateneo palermitano. La sua produzione rientra in una controcultura militante. Escludendo le tecnicizzazioni pi grossolane, il marxismo standard si costruito dal punto di vista espistemologico come una dogmatica, irrigidendo i propri contenuti come una mitologia che si fa dogma. Le sue strutture logiche di fondo sono hegeliane, idealiste e sostanzialiste, e i suoi teorici sono sempre stati poco disposti a riconoscerlo come un sistema semiotico, immaginativo-concettuale di rappresentazione di massa. Per quanto riguarda la cultura popolare Jesi ha fatto proprio il discorso della critica francofortese allindustria culturale, in Italia del Gruppo 63 o di intellettuali come il gi citato Fortini. Non c una teoria sviluppata ma una serie di intuizioni folgoranti. Leggendo unintervista a Liala nel 1974 su Grazia si sofferma sul linguaggio che capiscono tutti e sulla lettera di una lettrice che parla di parole come acqua sorgiva che lava tutto. In Liala, in Cultura di destra, vede il linguaggio reificato della codificazione quotidiana, stereotipato e veicolato dai mezzi di comunicazione di massa come feticcio che serve a dare il piacere che deriva dalla riduzione della fatica di pensare; Liala lo specchio di un pubblico appartenente al proletariato o alla piccolo borghesia [...] esposto allurto contro il prossimo e contro le cose a cui offerta loccasione di un linguaggio degli affetti normalmente negato. Il suo linguaggio, dice Jesi, il linguaggio della vacanza organizzata, da chi ha il potere per chi non lo ha, il linguaggio dellalienazione in quel momento in cui si compie la trasformazione antropologica denunciata da Pasolini. C anche tenerezza quando immagina una lettrice che segue con il dito le parole su un libro di Liala, parole che fanno sognare un mondo diverso di riscatto attraverso un buon matrimonio, amore, lusso e avventura, denaro e prestigio. Il passaggio chiave quello dellarchitettura logica che unisce lusso materiale e spirituale in una stessa

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forma mentis capace di cancellare la questione della giustizia sociale. Quel linguaggio dellintrattenimento e del disimpegno, che non deve essere capito ma solo ripetuto, ha la stessa funzione sociale che aveva la lettura di Rilke per lalta borghesia, che non lo poteva capire ma lo venerava come simbolo di distinzione e cultura. In un passo molto divertente su Rilke, si prende gioco del cosiddetto rilking, larte di citare Rilke nei salotti buoni per fare bella figura Ancora una volta, luso lussuoso della cultura un tratto di destra. Jesi raccoglieva riviste e ritagli, era un lettore onnivoro, con grande senso dellironia; un sociologo della cultura capace di trarre spunto dai titoli dei giornali come da un necrologio (a casa sua, tra mille materiali di lusso spirituale ho trovato quello di Badoglio!). Da torinese aveva una predilezione per irridere la La Stampa, perbenista e liberalissima, di fatto un bollettino della Fiat negli anni caldi dello scontro sociale e della migrazione dal sud: opportuno ricordare che Jesi era attento nella sua militanza a seguire il settore metalmeccanico, con cui aveva reali contatti. Il marchesino dei bolidi e il suo role model. Notare lorologio sul polsino. Incontro redentore tra lusso spirituale pass e lusso materiale attualissimo. Lessenza del lusso spirituale si conserva sempre attuale grazie al lusso materiale che circonda il granduomo profano ed essoterico. Nella rivista Resistenza. Giustizia e libert, tra 1967 e 1970, era stato tra i giovani marxisti e libertari che criticavano il riformismo dei padri nobili dellazionismo come Bobbio, Agosti e Galante Garrone: Jesi scriveva di storia e antropologia, ma seguiva i dibattiti sindacali, con una certa durezza nel criticare i confederali. Nel 1969 poi usc dalla Cgil su posizioni di sinistra, dopo essere stato lui stesso sindacalista in Utet e poi essersi licenziato. E in questo contesto che compare lallora astro nascente Luca Cordero di Montezemolo, che sempre su Grazia nel 1975 era vezzeggiato come esponente del bel mondo, benedetto dal mondo industriale legato alla Fiat e alla famiglia Agnelli, che a Torino, ma non solo, era sostanzialmente una dinastia di regnanti. Lattualit di Jesi sta nellaver colto il legame tra destra liberale e mercato, come nelle mitologie di Barthes, un libro del 1958 che diviene un modello per cogliere i nuovi miti del consumo: molti, come De Luna o Agamben, sostengono la profeticit di Jesi nellaver individuato la macchina mitologica del narcisismo di massa e dellinvidia sociale, caratteristiche della destra populista berlusconiana. In qualche modo davvero il Drive In era gi un programma di governo, era chiaro ad esempio per un lettore-tipo di Cuore nel 1994 di fronte alla nascita di Forza Italia Ricordiamoci per che Jesi muore nel 1980: lItalia del dopo-Moro, del riflusso ideologico, della Marcia dei Quarantamila e della strage di Bologna. Gli osservatori pi attenti avevano intuito il trionfo del pensiero economico, la cancellazione dallimmaginario collettivo di decenni di storia dellemancipazione delle classi subalterne e la fine della coscienza di classe come visione del mondo capace di mutarlo. E Jesi non conosceva lesplosione delle televisioni private, cos come non scrive di cinema Metodologicamente per, riflessioni analoghe sono state portate avanti dalla semiotica, pensa a Eco, non solo il semiologo e intellettuale pubblico ma anche lo scrittore. Ne La misteriosa fiamma della regina Loana Wu Ming 1 Pensa che io lo ritengo il suo romanzo migliore Enrico Manera Beh, l c un lavoro raffinatissimo di decostruzione della cultura di massa fascista: lideologia non era solo nei discorsi del duce o negli scritti della Scuola di mistica fascista e di Gentile, ma anche nel profluvio di biografie di Mussolini, romanzi di evasione, avventura, fumetti, letteratura di consumo. Unanalisi insomma micrologica della cultura secondo lindicazione di Benjamin, che su quella generazione ha avuto grande influenza e oggi gode di una buona fortuna. Il Pendolo di Foucault poi a mio avviso un libro che concentra molti temi tipici di Jesi, coestensivo alla critica illuminista che Eco nelle lezioni di Interpretazione e sovrainterpretazione muove allesoterismo e a certa ermeneutica gnostica, alla ricezione americana di Derrida, che si regge sulleffetto di segretezza e sullaura di mitologicit. Ma tornando allattualit sono molti gli spunti per una critica delloggi. Se dovessi scegliere oggi un equivalente di Liala, anche in virt del suo potenziale pedagogico negativo, e lo dico da insegnante di scuola superiore, sceglierei Federico Moccia che con il suo linguaggio semplificato ha stregato gli adolescenti e un contromondo fatto di moto, marche, scuola, palestra e discoteca. Nessuna fatica, identificazione immediata, costruzione di un immaginario perfetto per mantenere gli assetti di potere. Oppure indicherei un nuovo uso lussuoso e ossequioso della cultura a sinistra nelle interviste di Fabio Fazio, che contando su un livello medio televisivo spaventoso per pochezza porta in studio ospiti anche di un certo valore (non sempre). Del resto diventata una vetrina promozionale eccezionale per lindustria del libro o cinematografica. Ma gli aspetti conflittuali e i problemi reali non emergono mai, non ci sono mai domande scomode e il pubblico di tifosi pronto a applaudire per la battuta edificante di turno mentre il presentatore e lospite gongolano di fronte alla propria superiore distinzione e intelligenza. Giuliano Santoro Il fatto che lutilizzo di miti tecnicizzati, di parole magiche e il ricorso a idee senza parole in qualche modo il metro di quanto siamo immersi dentro una crisi. Tutto questo ha a che fare con la profondit delle fratture che vanno aprendosi, degli smottamenti, lincapacit delle logiche dominanti di spiegare quanto accade e di stabilire relazioni di causa ed effetto. La funzione del mito quella di cercare di dare un senso al mutamento, di rendere accettabile lignoto, di spiegare come una situazione si sia trasformata in unaltra. In Cultura di destra Jesi cita le parole illuminanti della lettrice che scrive a Liala per dichiararle la sua ammirazione e per spiegare parole come acqua sorgiva che lavano tutto, in relazione alla loro capacit di costruire un mondo. Da questo punto di vista, oggi si comprende bene quanto rischiamo di trovarci in mezzo a parole che hanno lo scopo di ridisegnare la realt che ci circonda e offrire una sponda di fronte ai cambiamenti in cui siamo immersi. Da cronista, per quanto anomalo, mi accorgo di come molti discorsi siano infarciti di parole spiritualizzate. Mi spiego meglio partendo da un esempio. Sono stato per anni un lettore appassionato di Cronaca Vera. una pubblicazione costruita su pi livelli. Da una parte strizza cinicamente locchio al lettore consapevole, dallaltra traffica con parole e immagini pensate apposta per rapire lattenzione di decine di migliaia di lettori che ogni settimana vanno in edicola per comprare un giornale che non parla di televisione o di divi della musica e raccoglie unicamente storie pruriginose, curiose o semplicemente cruente di gente comune. Insomma, si tratta di una vera miniera di indicazioni sulluniverso della maggioranza silenziosa, sulle parole che la affascinano e i codici che la ipnotizzano: i titoli urlati (Lalieno stava resuscitando e cos gli ho tagliato la testa, un cult), gli occhielli schietti (tipo Cervello in briciole, con riferimento alle gesta di qualche squilibrato) e la media di quasi ventimila lettere ricevute allanno (stiamo parlando di lettere di carta, con busta e francobollo, come usava una volta) . In uno dei suoi ritrovati sprazzi di brillantezza, Michele Serra ha ricordato che uno dei titoli emblematici di Cronaca Vera Violentata sei ore dallo zio su un tappeto di gran pregio. La notizia dello stupro viene infiocchettata per i lettori aggiungendo un elemento che solo allapparenza non aggiunge nulla (il tappeto di gran pregio) ma che contribuisce a rendere il titolo pi evocativo, a conferirgli un elemento di realismo, a disegnare un mondo. Addirittura, larredamento del salotto occupa la scena terribile descritta dal titolo: lo scandalo non consiste nellorribile violenza sessuale, sta nel fatto che questa si sia consumata in una casa borghese. Su un tappeto di gran pregio. I discorsi che ci circondano quotidianamente, le notizie che vengono selezionate dai mass media, le storie che leggiamo e i fatti che compongono il paesaggio comunicativo che attraversiamo sono pieni di trucchetti di questo tipo, magari meno grossolani ma altrettanto pericolosi. Corriamo continuamente il rischio di rimanere incantati e inciampare camminando sui tappeti di gran pregio. Jesi aveva colto benissimo questo rischio descrivendo la relazione e il passaggio dal tesoro dei miti antichi al moderno bene di consumo che d prestigio. Il suo lavoro di scavo nel linguaggio e nelle strutture logiche, si pensi al caso dei romanzetti rosa di Liala o alle citazioni del linguaggio pubblicitario, arrivato fino al punto di dimostrare come la macchina mitologica sia allopera quotidianamente e abbia tracimato il campo della cultura reazionaria classica per contaminare il linguaggio e la cultura di massa. Peraltro, pensarci bene, pare strano che si parli di massa. Ma andata proprio cos: la cultura elitaria della destra borghese e di certo esoterismo fascista, che faceva vanto del suo essere destinata a pochi eletti, ha avuto il destino di mutare forma e contagiare parole che esprimono il lusso spirituale e che lo diffondono collegandolo alla mistica del possesso dei beni di consumo, che non il provocatorio diritto al lusso rivendicato dai movimenti contro lausterit ma lesaltazione feticistica degli oggetti, considerati tanto pi preziosi quanto pi inarrivabili. Ma non si tratta soltanto di oggetti materiali: il mito in tempo di crisi prospera in virt della sua capacit di costruire una parvenza di ordine della realt e di spiegare quello che ci circonda. I concetti di Furio Jesi, le sue indicazioni utili a decostruire le parole dordine sono fondamentali per districarsi nellinfo-sfera internettiana. Di fronte al fiume in piena di post, notifiche Facebook, tweet, breaking news e informazioni che travalicano in ogni modo la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, viene quasi spontaneo aggrapparsi a qualche ramo apparentemente solido, trovare il filo conduttore di unimmagine-meme capace di condensare il nostro stato danimo e illuderci di ritrovare un qualche criterio. Ma lordine che andiamo cercando, con ogni evidenza, non c. Infine, e mi ricollego a quello che dicevo allinizio e a quanto sottolineate giustamente voi, lefficacia di questo ragionamento sta proprio nel fatto che non esaurisce la sua funzione tracciando un confine invalicabile per la cultura di destra, ma al contrario riesce a metterci in guardia anche di fronte a certi tic retorici e schemi politico-culturali che riguardano la sinistra in senso lato. Ad esempio, la storiella di una societ armoniosa, di cui parlava Wu Ming 1 prima, il cui ordine naturale stato sconquassato da un qualche evento venuto dallesterno inconsapevolmente riprodotta in alcuni miti tecnicizzati che alcune volte circolano nel mondo ecologista: come se la fine dello sfruttamento (delluomo e della natura) fosse situata nel ristabilimento di un qualche equilibrio originario o, peggio ancora, nella difesa di una qualche purezza. O ancora, per fare un esempio di questi giorni, alluso e allabuso elettorale della parola passepartout societ civile, che rimanda ad una sfera incantata fatta di civismo e competenze dal quale rimpinguare le forze esanimi della politica. Wu Ming 1 Una domanda per Enrico: hai dedicato anni e sinapsi a ricostruire la biografia intellettuale di Jesi, in un corpo-a-corpo col suo pensiero, cercando di prolungarne la gittata fino a oggi, come si vede anche da questa conversazione. Un pensiero purtroppo interruptus e forse troncato sul pi bello, ma che Il filosofo Andrea Cavalletti, uno dei aveva fatto in tempo a seminare concetti e suggerimenti importanti. Questo tuo lavoro si inserito in una sorta di piccola Jesi renaissance che era appena principali artefici della Jesi iniziata, grazie allimpegno di David Bidussa e Andrea Cavalletti. A questultimo dobbiamo ledizione di Spartakus, gi alla fine degli anni Novanta. Renaissance a partire dalla fine Lanno scorso, insieme a Belpoliti, hai curato un bellissimo numero monografico di Riga, che forse il miglior punto dingresso a Jesi. Questo libro degli anni Novanta. unoperazione diversa, vuole essere una sorta di vademecum, di sintesi da avere accanto mentre ci si avventura nelle opere del mitologo torinese. Vorrei che ci raccontassi di questo tuo rapporto ormai intimo con questo concittadino, visto che anche in te la torinesit, un certo retaggio etico, politico e culturale, pulsa con forza. Quando hai sentito nominare Jesi per la prima volta? Come sei arrivato a conoscerne lormai anzianissima madre, e la vedova, e a consultare larchivio? Cosha significato per te? E non ti senti ormai preso da una sorta di Jesi fatigue? Ti stiamo coinvolgendo in una conversazione che lennesimo tour de force, qualche scrupolo di coscienza ce labbiamo Enrico Manera Come per molti un interesse privato diventato una tesi di dottorato e poi, forse questo pi raro, dei libri: Riga, curata insieme a un vero maestro come Marco Belpoliti, di cui sono molto felice perch visivamente bellissima e per nulla accademica e ora questo, che si candida a essere unintroduzione e una La copertina di Riga n. 31, prima sistemazione teorica complessiva. Jesi interessa gli ambiti della filologia pi raffinata come quelli militanti pi ragionanti: Riga stato presentata in interamente dedicato a Furio Jesi luoghi e con pubblici differenti, dalla Biblioteca Ariostea di Ferrara al Bartleby di Bologna e ogni volta non si era fuori posto. (ed. Marcos y Marcos) Sono entrato in contatto con quasi tutti quelli che hanno scritto su lui, con chi lo ha conosciuto personalmente e con chi lo ha scoperto anni dopo la sua scomparsa. Penso che sia un potente catalizzatore di intelligenze e mi colpisce, anche in diverse generazioni, laffinit e la somiglianza dei percorsi in cui la dimensione politica, teorica e umana sono strettamente connesse. Tutti quelli che ho conosciuto hanno mondi intellettuali vastissimi, complessi e ramificati. Effettivamente da molto che lavoro sul tema e forse nasce tutto dal classico senso di inadeguatezza dello studente: nel 2000 avevo appena concluso un corso di specializzazione post-laurea, studiavo il dibattito sul mito e Hans Blumenberg in particolare. In Jesi mi ero gi imbattuto, lavevo trovato mostruosamente complesso e inarrivabile, lavevo messo da parte come si fa con le cose belle e preziose, pi belle di noi e che ci superano; la bellissima postfazione all Accusa del sangue fatta da Bidussa mi ha aperto la possibilit di poterlo leggere e incominciare a padroneggiarlo e da l in poi, ho sfruttato ogni possibile occasione di studio per lavorarci sopra fino al dottorato, fatto mentre gi insegnavo, durante il quale non nascondo che ho passato anche giorni difficili, a sbattere contro un muro per poi scavarlo con un cucchiaino Detto questo in Jesi ho trovato un caleidoscopio di quello che mi interessa e che non puoi affrontare in una volta sola: lantico, la mitologia, il sacro, la letteratura e la politica. unautore cerniera tra la cultura novecentesca di Mann, Kernyi e Cassirer e quella di Benjamin, Foucault e Derrida, e ci trovi dentro Rousseau, Pavese, Rilke, i vampiri, Pascal, la preistoria, la psicanalisi, lo strutturalismo, Spartaco, Mann, il nazismo, John Dee e Liala Man mano che mettevo insieme i pezzi cercando di costruire un quadro unitario mi sono accorto di stare anche scrivendo una pagina di storia della cultura italiana degli anni settanta e per di pi di Torino. Sono nato lo stesso anno in cui Jesi pubblicava il suo libro pi importante, Mito, in un quartiere della stessa citt, che la citt di di Gobetti, di Gramsci, di Primo e Carlo Levi, di una grande universit e di importanti scuole filosofiche; ma anche della Fiat, di una grande militanza politica, delle migrazioni interne e poi internazionali e Jesi stato un modo per ragionare di tutto questo. Che nel mio lavoro si avverta questa tradizione un meraviglioso complimento e un impegno che spero di non tradire. Se pensi che studio il mito seriamente dal 1998, stato il mio modo di fare i conti con vecchie inquietudini religiose, interessi politici, lessere studente prima e il lavoro di insegnante poi. Oltre che di leggere libri meravigliosi. Il fattore umano centrale comunque. In modo molto semplice ho contattato la famiglia Jesi. Grazie alla moglie Marta, che mi ha accolto con grande gentilezza e disponibilit, ho avuto accesso allarchivio domestico, sono stato diverse volte a casa sua con uno scanner ed stata una esperienza molto intensa: ho voluto ricostruire una trama dei suoi lavori leggendo insieme opere, appunti, le sue letture e le sue lettere, incrociandole con testimonianze e interpretazioni. Ho cercato di essere il pi delicato possibile nei confronti della memoria dolorosa di famiglia, in punta di piedi e ritagliando solo quello che riguardava luomo pubblico. La madre di Jesi invece vive a Torino ed ultranovantenne, stata un insegnante di arte nei licei di Torino e una studiosa. Sono arrivato a lei anche grazie un professore dellUniversit che era stato suo allievo, ovviamente non senza essermi assicurato che le avrei fatto piacere. Da lei ho trovato scritti introvabili ma soprattutto un grande affetto per il lavoro che stavo facendo. Vado a trovarla portandole libri e articoli di giornale, dolci e foto di mia figlia e ascolto racconti di un mondo ormai lontano e di una vita densamente vissuta. Credo che il fine di ogni lavoro intellettuale sia incontrare persone e scambiare esperienze e penso che linterpretazione sia una sorta di dialogo con i morti e un rituale di rammemorazione. Sarebbe interessante studiare ancora lepistolario di Jesi, detto questo non mi stanco di rileggerne i libri. Adesso lavoro a un libro sulla filosofia del mito del novecento, per seguire tracce aperte in questi anni, in ogni caso la mia vita privata e la scuola mi hanno evitato di farmi divorare dallossessione monotematica, un rischio serio. Per finire, come sai bene, un libro comincia a vivere se altri lo leggono e si ha la fortuna e il privilegio di poterne parlare. Wu Ming 1 Una prima sistemazione teorica complessiva mi sembra lespressione perfetta per descrivere il tuo libro. Non sistematizzazione, impresa che con Jesi impossibile e direi anche inauspicabile, ma sistemazione, anche nel senso di dare una sistemata, un riassetto, mettere un po dordine dentro scatoloni e faldoni che sembrano riempiti alla rinfusa, documenti in parte rovinati

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dallumidit etc. Riga metteva gi in fila parecchi frammenti, componendo un itinerario finalmente percorribile, arricchito da immagini e testimonianze esterne compreso un mio bizzarro racconto ispirato a Spartakus :-) In fin dei conti, anche in quel numero di Riga si perseguiva la famosa, jesiana/benjaminiana conoscenza per composizione. Qui invece cerchi una sintesi, asciughi anni di lavoro e permetti di seguire i fili delle varie tematiche affrontate da Jesi. In particolare, vorrei che ci parlassi del rapporto tra Jesi e la letteratura stricto sensu, perch leggendo il tuo libro lo vediamo chiaramente mutare il suo approccio: il Furio Jesi degli anni Settanta si occupa di letteratura con una postura diversa da quella del decennio precedente (quello pre-Spartakus, diciamo). Tagliando con laccetta, e riprendendo quanto abbiamo detto pocanzi, direi che si passa da Kerenyi al post-strutturalismo francese, dallumanesimo a un approccio ironico, decostruttivo e ricombinante. Si passa da uno Jesi intento a cercare e interrogare nella letteratura sopravvivenze di mito che consentano epifanie e facciano esperire almeno in parte la dimensione genuina del mito, a uno Jesi che compie scorribande pi libere nella tradizione letteraria, isolando certe figure ricorrenti, rintracciando i discorsi (nel senso foucaultiano) sul mito, smontando le ideologie veicolate, senza credere in una possibile epifania. Correggimi se sbaglio: quando Jesi critica lanelito al lusso spirituale come residuo culturale di destra, e come ricordavi irride la pratica di citare Rilke senza capirlo, tra le righe sta anche criticando il se stesso di qualche anno prima, quello Jesi ancora troppo umanista, ancora troppo influenzato dallidea che nei misteri della letteratura (alta, naturalmente) risiedesse la potenziale esperienza di un mito ancora in parte genuino. Non intendo dire che esiste una cesura netta tra i due Jesi, come Althusser quando separava in modo rigidissimo il giovane Marx (umanista e dialettico) dal Marx maturo (scientifico e senza grilli per la testa) salvo poi ammettere, in tarda et, che di Marx sapeva poco o niente e aveva millantato letture e conoscenza tanto del giovane quanto del vecchio. Il confine sfumato: gi lo Jesi degli anni Sessanta era arrivato ad alcune conclusioni quando critic Kerenyi (il famoso diverbio sulla parola mascheratura). Ma sicuramente c un momento in cui Jesi scopre Foucault, il primo Derrida e altri francesi, e questa scoperta si innesta su una base marxista e sulla precedente conoscenza di Benjamin (anchegli un marxista sui generis), permettendogli di superare alcune aporie del suo pensiero precedente. Soprattutto, gli consente di guardarsi da fuori: il mitologo che si credeva gi sufficientemente disincantato si scopre parte della macchina mitologica che sta criticando, e allora cerca strategie testuali (e unetica della lettura) che gli permettano di descriverla senza farsi irretire. Tu sicuramente puoi dirlo in un modo meno confuso: che cos la letteratura per lo Jesi decostruttivo degli anni Settanta? Appunto manoscritto di Jesi, da T. Mann, s.d. Enrico Manera Con Belpoliti e Paola Lenarduzzi, che ha curato la grafica di Riga, lidea stata quella di ricreare un tavolo di lavoro da cui emergesse per frammenti, testi, foto, ritagli e appunti, lofficina di montaggio di Jesi, che operava praticamente in epoca pre-computer mettendo insieme citazioni dai libri che schedava e che rimontava con la macchina da scrivere. Questo un aspetto fondamentale di Jesi, che fa coincidere la pratica della scrittura con la teoria della letteratura: mette in pratica le sue convinzioni sulla ricombinazione e sulla reazione reciproca tra testi anche molto diversi: per chi scrive, questi convivono in modo anacronico, a dispetto della differenza. Questo libro invece nasce anche da una precisa richiesta delleditore di scrivere una Introduzione a, una pratica pedagogica nobile per come la vedo io, che permette laccesso ai pi giovani e ai meno attrezzati, utile per autori che chiedono requisiti di ingresso molto alti. Inoltre mi piaceva lidea di un libretto come le monografie del Castoro-La Nuova Italia degli anni settanta, lo stesso Jesi ne aveva fatte su Rilke, Mann, Brecht. Sono libretti che trovi ancora sulle bancarelle o nelle biblioteche scolastiche, perle dimenticate. Quindi ho cercato di semplificare la sintassi e ridurre allo stretto indispensabile gli elementi di informazione, rinunciando alle molte citazioni della tesi di dottorato (oltre 1700 in 300 pagine) e cercando la chiarezza: non si rende un buon servizio a un autore se ne si mima lo stile, si tratta di riconoscere la sua voce e di raccontarla parafransandola. Ho riservato gli aspetti pi spericolati della mia tesi al blog Tracciatore di cerchi o agli angoli oscuri del mio hard-disc, in attesa di capire cosa volessi dire quando ho scritto certi passaggi Hai colto comunque perfettamente: Jesi cresce nel mito del genio creatore di Rilke, venera Pettazzoni, Kernyi, Jung, Mann come grandi maestri, sogna di essere studioso, scrittore e poeta. Ho avuto tra le mani una sua copia delle Lettere di un giovane poeta, fittamente glossata e sottolineata con molta probabilit nel 1958 e ho visto molta della sua produzione lirica e delle prove generali di romanzo che lui stesso censur. In parallelo ha una concezione della storia delle religioni con una forte base metafisica; poi Jesi si avvicina allo strutturalismo alla semiologia e alla teoria critica della cultura, abbandona lumanesimo, perch coinvolto con il sostanzialismo conservatore e fascista della teoria mitologica che pensa il mito come unessenza che si manifesta nella realt, di cui Eliade pu essere considerato lesponente tipico. Ma lesito maturo di Jesi, tristemente lultimo, una scrittura folgorante che, oltre a essere legata al suo ruolo di docente di Lingua e letteratura tedesca anche una meta-riflessione sulla letteratura, e non un caso che la letteratura di Jesi sia il tema attorno a cui si muove la sua ricezione pi recente : Riga, Cavalletti, ma anche Riccardo Ferrari ( Nuova Corrente 143, 2009) e Carlo Tenuta (Intersezioni 3, 2010). Schematicamente: per Jesi la mitologia nasce nel sacro, sopravvive nel politico e si trasfigura in letteratura. Una volta che dispone di uno strumento epistemologico come la teoria della macchina mitologica riesce a liberarsi delle aporie precedenti, come la diade genuino/tecnicizzato. La macchina mitologica produce il fatto mitologico, concentra in un sol punto, extra temporale, extraspaziale, le luci che provengono dal passato e dal futuro, scrive Jesi ne Laccusa del sangue. Ovvero, decostruito, neutralizzato e messo a distanza il mito-sacro e il mito-politica, questa sospensione della temporalit o anacrona, la capacit di giocare tra i diversi strati del tempo, lo specifico della produzione di immaginario e di ogni narrazione, del raccontare storie. C in Jesi coincidenza tra saggistica, critica e narrativa e la lisi della distinzione tra filosofia e letteratura: in una introduzione inedita a Materiali mitologici scrive che il suo lavoro di natura paradossale, scientifica e artistica e che alla domanda Non le viene voglia di scrivere un romanzo? pu solo rispondere: non smetto mai di scriverlo. Condivido la felice definizione che Belpoliti ha dato di Jesi come straordinario scrittore di idee e problemi, con una forte componente di invenzione. Ogni scrivere riflette la propria soggettivit, che non mai isolamento, parla simultaneamente degli oggetti altri della propria ricerca e di s. Da qui la serendipit che caratterizza Jesi, e la sua ironia, lapproccio parodistico alla tradizione come Il linguaggio delle pietre, La casa incantata o Lultima notte. Letteratura come pratica sovversiva linguistico-letteraria che mostri le contraddizioni del presente e come scrive Barthes utopia del linguaggio che apre mondi nuovi. La mitologia-letteratura continua ad avere valore collettivo e istituivo di comunit e affinch non diventi oggetto di una nuova idolatria opportuno che sia alleggerita, nel senso questo tema caro a Wu Ming venuto fuori negli incontri che abbiamo fatto assieme che deve essere umanizzata: ogni racconto dal respiro epico deve mostrare i segni del lavoro dellautore, attraverso il montaggio e la citazione, essere un mito umanizzato. Il racconto, ha scritto Lacoue-Labarthe, viene dal luogo in cui appaiono i fenomeni alla coscienza: praticarlo significa fare un funambolismo metafisico senza parapetto metafisico, esperienza metafisica svuotata, pura esposizione al nulla. Questo retroterra anti-metafisico, derridiano, libero dalle ipoteche idealiste, alla base della coincidenza tra mitologia e letteratura. Nei Materiali mitologiciemerge a pi riprese come la letteratura sia il prodotto della mitopoiesi, attivit essenzialmente linguistica che sorge spontaneamente dal modo umano di pensare, di concepire la realt, di costruirla e condividerla. I libri sono i miti incarnati, vivono nei libri. Calvino, con analoga sensibilit post-strutturalista, scrive che ognuno una combinazione desperienze, dinformazioni, di letture e di immaginazioni: ogni vita unenciclopedia, una biblioteca, un inventario doggetti, un campionario di stili, dove tutto pu essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. In altri termini, ognuno una macchina mitologica. Giuliano Santoro Se tocca a me concludere, vorrei farlo citando un film. Quando Enrico spiegava che per Jesi la cultura di destra di fatto ancora egemone e che questa ripropone, in un altro contesto il linguaggio aristocratico e alto-borghese che ha trovato la propria codificazione a partire dal tardo Settecento, a me venuto in mente Gosford Park, il film di Robert Altman del 2001. Nel contesto del declino dellimpero britannico, negli anni Trenta del Novecento, un gruppo di aristocratici si incontra in una grande villa della campagna inglese. Ogni aristocratico ha il suo doppio costituito dal suo valletto o dalla sua cameriera. I servi, secondo gli usi dei padroni di casa, nei giorni di permanenza nella villa assumono, con imbarazzo e senso di inadeguatezza, il cognome del loro superiore. Ogni personaggio, dunque, si muove ai piani alti, mentre il suo doppio di basso lignaggio familiarizza con gli altri suoi simili: i lavoratori. Questi ultimi, tuttavia, non trovano le loro parole: parlano quasi esclusivamente dei loro padroni, agiscono come se fossero loro agenti nei bassifondi, scambiano informazioni coi loro parigrado agendo per rendere la loro villeggiatura il pi confortevole possibile. Un meccanismo perfetto, parrebbe: in cucina o nel lavatoio risuonano le parole e i ritmi scanditi dai ricchi in sala da pranzo o durante la battuta di caccia. Questo ingranaggio, una messa in scena corale e claustrofobica che coinvolge ventisei attori e che viene gestita magistralmente da Altman, viene inceppato da due eventi: dallomicidio del padrone di casa ad opera di un figlio non riconosciuto e una madre abbandonata e dal corto circuito operato da un attore venuto dallAmerica che, spacciatosi servo per studiare una parte, attraversa i piani nobili e quelli servili mettendoli in relazione e svelandone le finzioni e le inutili consuetudini. Gli elementi deflagranti, insomma, sono due: lirruzione della storia, quella vera, che fa precipitare le contraddizioni e le colpe sullaristocratico e lentrata in scena di un artista, un uomo che ha il solo scopo di raccontare quel mondo per metterlo a nudo. Mi pare che questo possa esprimere due delle principali attitudini di Furio Jesi: la storia e la narrazione. Il suo essere filologo, archeologo dei saperi e delle strutture di potere e la sua attenzione ai meccanismi narrativi e letterari. *** Furio Jesi, Sul mito di Europa, in Luomo europeo, vol. 8, 1978, di Folco Quilici. In questo raro documento video Jesi compare in qualit di esperto allinterno di un documentario sullidentit europea, nei primi minuti del film. Ne LUomo europeo (1976/1980) Quilici si avvalso della collaborazione di Fernand Braudel, Claude Lvi Strauss, Andr Leroi-Gourhan, oltre che di Jesi. Limmagine poco definita e irreale: lo studioso cammina (La scheda a cura di Enrico Manera prosegue in calce al video su YouTube) LINKOGRAFIA RAGIONATA MACCHINE MITOLOGICHE E CULTURA DI DESTRA: IL RITORNO DI FURIO JESI MACCHINE MITOLOGICHE E CULTURA DI DESTRA: IL RITORNO DI FURIO JESI- 1h 32 58 Audio della presentazione di Riga 31. Con Enrico Manera (curatore del volume insieme a Marco Belpoliti) e Wu Ming 1. Bartleby, Bologna, 18 febbraio 2011. La registrazione dura unora e trentadue minuti. Lintervento introduttivo di WM1 patisce alcuni problemi di microfono, poi laudio si stabilizza. Come WM4 ha utilizzato Cultura di destra di Jesi per liberare J.R.R. Tolkien dalla cattura ideologica italofascista Andrea Cavalletti Tecniche di produzione del vuoto (sulla recensione di Marcello Veneziani a Cultura di destra) Speciale Riga 31 su Furio Jesi (nel menu in basso, segnaliamo in particolare Extra) Audio della conferenza su Jesi tenuta da Sergio Givone al Festival della Filosofia 2007 Cultura di destra, neofascismi e populismi digitali. Giuliano Santoro e Wu Ming 2, live Altri testi che potrebbero interessarti:

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Comments Disabled To "Il pi odiato dai fascisti. Conversazione su Furio Jesi, il mito, la destra e la sinistra"
#1 Comment By Ekerot On 15/01/2013 @ 1:27 pm De Turris un vero gentleman. Ma la Bompiani le conosce queste sortite? #2 Comment By Wu Ming 4 On 15/01/2013 @ 1:59 pm

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Be, sono sortite pubbliche, nero su bianco, quindi nessuno legittimato a ignorarle. Mai espressione fu pi adatta al caso di fare orecchie da mercante Ad ogni modo c gente che lavora alla diffusione della conoscenza delle suddette sortite anche Oltremanica, affinch certi avvocati di uno studio di Oxford e un signore che lavora alla Tolkien Estate e porta lo stesso cognome siano tratti fuori dallignoranza. #3 Comment By Dr.Gonzo On 15/01/2013 @ 2:30 pm De Turris anche il titolare delle rubriche di recensioni librarie di Radio Uno Rai, sia allinterno dei GR che con un suo programma la domenica http://www.largonauta.rai.it/dl/radio1 /2010/programmi/Page-53544148-4c78-4e4a-8f13-2f9333848f68.html vale la pena ascoltare qualche podcast #4 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 2:32 pm Giustissimo, per adesso non concentriamoci su De Turris, la sua frase era solo uno degli esempi dellintenso fastidio che a destra (nelle destre) si prova per Jesi. #5 Comment By Little Commie Craig On 15/01/2013 @ 3:29 pm A proposito di frame oggi particolarmente popolari a sinistra che meriterebbero di essere sottoposti ad una critica stringente: Escludendo le tecnicizzazioni pi grossolane, il marxismo standard si costruito dal punto di vista espistemologico come una dogmatica, irrigidendo i propri contenuti come una mitologia che si fa dogma. Le sue strutture logiche di fondo sono hegeliane, idealiste e sostanzialiste, e i suoi teorici sono sempre stati poco disposti a riconoscerlo come un sistema semiotico, immaginativoconcettuale di rappresentazione di massa. E pi o meno il secondo frame oggi pi popolare dopo quello che afferma la necessit di spostarsi al centro altrimenti non si vince. A dirla tutta, secondo me ne costituisce una delle pi insidiose legittimazioni teoriche, diffusa soprattutto negli ambienti intellettuali di sinistra (ma non solo). E questo sia che lidea del marxismo come sistema semiotico sia utilizzata per sminuirne il significato politico, sia che sia utilizzata per valorizzarne il presunto potenziale emancipativo in termini puramente rappresentativi o narrativi. Ad essere disconosciuti, in entrambi i casi, sono il significato e il valore della base materialistica e dialettica del pensiero marxista. Se la deriva dogmatica (che c stata eccome!) ha fatto i suoi bei danni, anche lo schiacciamento dellintero sviluppo del pensiero marxista su questa deriva (come se la cosa dipendesse dalle sue stesse basi filosofiche!) non che faccia sto gran favore al potenziale critico ed emancipativo che si ritrova in quel pensiero; il rischio non forse quello di alimentare involontariamente proprio le peggiori mitologie revisioniste? #6 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 3:37 pm Per, per Nellespressione usata da Enrico e che io ho inteso come sarcastica marxismo standard, non c gi un riconoscimento che marxismo (inteso come termine-valigia che nel corso del Novecento stato usato a ogni sproposito) non solo quello, e ci sono marxismi che non si sono conformati a quello standard? Io leggendo marxismo standard ho pensato al dia-mat e altre dogmatiche a noi note. Fermo restando che un conto sono questi marxismi, un conto il pensiero di Marx. #7 Comment By carolingus On 15/01/2013 @ 3:51 pm Bella discussione. Ho chiesto lumi a gente pi anziana di me che frequentava luniversit di Palermo in quegli anni, e appena pronunciato il nome di Furio Jesi ho visto i loro occhi illuminarsi. Chi segu le sue lezioni (cattedra di germanistica, credo) ancora si ricorda con entusiasmo un suo mirabolante ciclo di lezioni sul tema del vampirismo Un genio vero, ben venga questo revival. A Palermo in quel periodo alla facolt di Filosofia regnava Armando Plebe, un professorone verso il quale, mi dicono, Jesi non nutriva grossa stima. saluti. #8 Comment By Wu Ming 4 On 15/01/2013 @ 3:58 pm Ogni volta che si muove una critica a una teoria filosofica che ha interagito grandemente con il corso della storia si rischia di alimentare involontariamente le mitologie revisioniste. A meno di non accettare acriticamente e dogmaticamente, appunto, la suddetta teoria, bisogna rassegnarsi a muovere le critiche assumendosi il rischio, e cercare sempre di fare tutti i distinguo del caso. #9 Comment By Little Commie Craig On 15/01/2013 @ 4:04 pm Uhm se lasciata nellambiguit (ossia se non si fanno, per cos dire, nomi e cognomi), unespressione come marxismo standard diventa del tutto inservibile. Il fatto che, nelle parole di Enrico, io non vedo particolari ambiguit; mi sembra che il problema lui lo individui senza troppi giri di parole precisamente nellimpianto filosofico del marxismo; sicch marxisti standard sarebbero tutti quelli che, in fasi storiche diverse, si sono riconosciuti (e si riconoscono) nel materialismo dialettico. Poi capisco sempre meno questa insistenza nel distinguere i marxismi dal pensiero di Marx. Perch se da un lato gli sviluppi della teoria vanno sempre colti storicamente, contestualizzati, evitando di appiattirli in un pastone omogeneizzato (la dottrina stalinista del marxismo-leninismo per intenderci), dallaltro va anche rifuggito il desiderio di vedere in un presunto marxismo di Marx, puro ed originario, qualcosa che contraddirrebbe tutto quello che venuto dopo, appiattendolo indistintamente in un non meglio definito marxismo standard dal quale si sarebbero distaccate poche virtuose eccezioni. Insomma: prima di vedere dogmatismi ovunque, o di accomunare cose molto diverse sotto il marchio dinfamia del dogmatismo, secondo me bisognerebbe individuare con precisione quali sono i terreni di contesa (la filosofia materialista? la critica delleconomia politica? linterpretazione della storia come storia dello scontro di classe? ecc.) dove un sano atteggiamento critico pu contribuire a tenere a bada certe inevitabili tendenze dogmatiche. Altrimenti e lo dico a partire da una preoccupazione sulle conseguenze *politiche* di tutto questo anche loperazione critica, demistificante, de-mitologizzante rischia di diventare a sua volta unoperazione mitologica. #10 Comment By Dr.Gonzo On 15/01/2013 @ 4:10 pm hai perfettamente ragione, che mi capita di ascoltare quella porcheria di trasmissione e quando ho letto il suo nome mi venuto il voltastomaco e ho dovuto dirlo. me ne scuso. #11 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 4:29 pm Non vorrei aprire una digressione in punta di dottrina filologica marxiana, voglio solo precisare che per pensiero di Marx espressione che va sempre usata problematicamente, sia chiaro intendo un insieme di scritti che, quando si formarono le principali versioni del marxismo, erano in gran parte ancora sconosciuti. Volevo dire proprio il contrario di quello che hai letto nella mia frase. Nel corso della sua vita Marx lasci incompiuto un gran numero di testi, alcuni dei quali cruciali (a cominciare dal Capitale). La militanza e il giornalismo alimentare direbbe Jesi lo portavano a continue digressioni, lo distoglievano dallopus magnum, che infatti non riusc a terminare. I libri del Capitale successivi al primo li fin Engels cercando di colmare i buchi. Di alcuni testi marxiani molto importanti abbiamo diverse stesure, continuano a emergere false partenze, varianti, riproblematizzazioni di cose che prima aveva asserito con grande sicurezza Insomma, qualunque marxismo, anche il meno dogmatico, non pu che compiere delle scelte, decidere su quale Marx (e su quanti Marx) costruire un edificio concettuale, e quale e quanti Marx lasciar cadere. Per fare un esempio, c un Marx convinto che per costruire il socialismo e poi il comunismo sia necessario passare per il capitalismo, ed il pi conosciuto; poi c il Marx degli ultimi anni, meno convinto del fatto che quel passaggio sia indispensabile. E il Marx delle tre stesure della risposta alla socialista russa Vera Zasulich (lettera che mi sono trovato a citare spesso), molto interessato direi quasi preveggentemente alla Russia e alle sue istituzioni comunitarie rurali, sulle quali azzarda si potrebbe puntare per costruire il socialismo anche in condizioni di forte arretratezza capitalistica. E pi o meno lo stesso Marx dei Taccuini etnologici, cronologicamente parlando. Quando Lenin perfezion la versione del marxismo gi semi-elaborata da Plekhanov e altri, questi testi non esistevano. Il corpus marxiano si limitava a un pugno di testi gi editi. Non si conoscevano nemmeno i Grundrisse. E anche per questo, non solo per le losche manovre di pravi deviazionisti, che esistono pi marxismi: perch ogni volta che si sono scoperti testi nuovi, qualcuno li ha usati per cambiare prospettiva sul proprio marxismo. Quando sono emersi i testi del giovane Marx (su tutti i Manoscritti economico-filosofici del 1844), dal phylum principale si sono diramati marxismi umanisti e libertari. Quando si sono scoperti i Grundrisse, hanno fornito loccasione di un ripensamento che ha generato il filone operaista/post-operaista. I Taccuini etnologici e la lettera a Vera Zasulich sono alla base di riflessioni di carattere ecomarxista. E cos via. E un dato di fatto che bisogna accettare serenamente. Non ci si pu proprio far nulla: Marx ha scritto tantissimo, i suoi scritti sono una miniera, ma una miniera di metalli diversi, e probabilmente tutti ha una loro utilit, ma non per le stesse cose. Poi ci sono i marxismi cialtroneschi, basati su giochi di prestigio, truffe ideologiche, letture intenzionalmente distorte Ma quelli non piacciono a nessuno dei presenti :-) #12 Comment By Little Commie Craig On 15/01/2013 @ 4:35 pm Per intenderci (e per precisare meglio quello che intendo dire). Il potenziale emancipativo e critico del marxismo secondo me va salvato da due possibili derive. Da un lato c, naturalmente, il dogmatismo, la mitologizzazione, la trasformazione delladesione politica in liturgia (esemplare, a questo proposito, il culto di Lenin avviato dallo stalinismo e che trova una delle sue manifestazioni pi graphic nellinvereconda imbalsamazione della salma del povero Vladimir Illic, manco fosse un santo della chiesa ortodossa). Dallaltro c, invece, la tendenza a spostare il dibattito dalla teoria alla meta-teoria, come se fosse possibile staccare il dibattito teorico dagli sviluppi storici concreti che lo hanno animato, spingendolo in vicoli ciechi, diatribe, scontri aperti. Mi sembra che sulla prima deriva ci si concentri, oggi, anche troppo, lasciando il fianco scoperto sul secondo aspetto. Con le conseguenze politiche che vediamo: la trasformazione di Marx da rivoluzionario a filosofo, le continue reviviscenze del revisionismo in varie forme, la progressiva scomparsa dellanalisi marxista dal dibattito e dalla lotta politica. La storia delle idee, secondo me, diventa un vacuo esercizio accademico se non viene continuamente riportata al contesto concreto, storico, materiale che funge da terreno per il suo sviluppo. E, per non essere tacciato di cadere in una petizione di principio (ossia per non essere tacciato di essere a mia volta dogmatico), questa attenzione non appartiene soltanto alla critica marxista (materialista per vocazione), ma si ritrova anche in molte espressioni del pensiero borghese. Penso solo alle brillanti de-mistificazioni dellanarchico Feyerabend rispetto alla storia della scienza

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e del metodo scientifico! Detto questo, secondo me lunico modo per far vivere una tradizione di pensiero ricca di conseguenze a livello emancipativo e critico, lunico modo per evitarne limbalsamazione, consiste nel riportarla costantemente nel vivo della societ e delle sue contraddizioni, nel metterla alla prova nella pratica. La teoria tale solo in un rapporto organico (e dialettico) con la pratica; altrimenti rischia di diventare meta-teoria sterilizzata, buona per larchiviazione museale e sempre disponibile al fraintendimento e alla strumentalizzazione. #13 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 4:49 pm Sul nocciolo della questione, daccordissimo, come potrei non esserlo? Anche in questo post si parla di discorsi che sono sempre legati a prassi. Se quello che individui un rischio (il fare metateoria), giusto segnalare i rischi, ma se dici che qui si sta gi facendo meta-teoria, allora non sono daccordo, mi sembra una discussione che tocca il reale eccome, e verte su questioni brutalmente concrete! Infatti, ci tengo a precisare che semiotico (nellaccezione usata nel post: inerente ai segni) e materialistico (nellaccezione a cui ti riferisci) non si elidono a vicenda ma per come la vedo io vanno assieme. [Tra l'altro, le neuroscienze mostrano che i frame che utilizziamo nella nostra comunicazione sono *incorporati*, hanno precise collocazioni neurofisiologiche.] Non dimentichiamo che Jesi scriveva quel che scriveva avendo sempre come quadro concettuale la lotta di classe. #14 Comment By Little Commie Craig On 15/01/2013 @ 5:00 pm Queste digressioni non sono inutili. Anzi. Non si tratta neppure di digressioni, perch secondo me linvito, pi volte ribadito nel testo, a fare pulizia in casa propria (ossia a liberare anche la cultura di sinistra dalle mitologie dogmatizzanti come dalle contro-mitologie revisioniste) rappresenta forse il migliore tributo che si pu fare oggi alle analisi di Jesi. E, soprattutto, il miglior contributo *intellettuale* che possiamo dare alla lotta delle classi oppresse per un mondo migliore :-) #15 Comment By Little Commie Craig On 15/01/2013 @ 5:45 pm Sul rapporto fra semiosi e materia da un lato sfondi una porta aperta, dallaltro temo che unintepretazione materialistica della semiosi (anche se non necessariamente nel senso del materialismo marxista) si scontri parecchio duramente con quello che la teoria semiotica (o quel poco che ne rimane) oggi a livello accademico, soprattutto in Italia e in Francia (scontro di cui ho fatto diretta esperienza ormai qualche secolo fa da laureando contestatore :-P). Il rischio non lo vedo certamente in Jesi e neppure nelle tue risposte; lo vedo invece, purtroppo, nella frase di Enrico Manera che ho citato nel primo commento. E mi sembra un rischio particolarmente insidioso. Perch la critica di Enrico Manera mira proprio alle basi filosofiche del marxismo standard; basi che secondo me non possono essere scisse dalla lettura generale della storia e delleconomia, e quindi neppure dalle loro conseguenze sullintervento politico. Per questo, spero che lo stesso Enrico abbia occasione di intervenire nella discussione; pi che altro, vorrei capire meglio a cosa faceva riferimento. Al materialismo dialettico in quanto tale? Alla dottrina marxista-leninista? A qualsiasi marxismo che non sia quello (tuttaltro che coerente e unitario) di Marx? :-) #16 Comment By maurovanetti On 15/01/2013 @ 6:06 pm Oggi ho sentito Giorgia Meloni alla radio. Diceva che lei aveva portato nel PdL la storia della destra identitaria. Portare storie a Berlusconi, come una dote di nozze? Sembra quasi una confessione: ci siamo inventati una storia e labbiamo usata per i nostri scopi. Questo il pattume con cui si fa elaborazione politica in Italia, e il materiale da costruzione della destra: storie che vengono assemblate a cazzo di cane, raccolte di miti inventati a tavolino. Il Polo delle Libert del 94 era un mostro tricipite con 3 storie inventate: il mito del self-made man Berlusconi, il mito celto-padano di Bossi, il mito della Destra Nazionale di Fini. Ciascuno di questi miti era a sua volta composizione eclettica di storie che non centravano un tubo una con laltra, Craxi e De Gasperi e Iva Zanicchi, e poi i celti e i longobardi e la Lega Lombarda e Carlo Cattaneo, e poi il pantheon di Fiuggi con Evita e De Gaulle insieme a Gramsci (?!?) e i busti del duce tenuti nascosti fino alla fine del congresso. E purtroppo non solo a destra che si fanno operazioni di questo tipo, il maggiore partito italiano, il PD, frutto di una mitopoiesi altrettanto artificiosa e sterile. Ma soprattutto: cosa vuol dire destra identitaria? Parole che rimandano solo ad altre parole, parole magiche che non significano nulla. Lidentit un concetto neutro, dellidentit *di chi* stiamo parlando? Lidentit di destra? Quindi la destra identitaria la destra di destra? Sotto sotto vuol dire fascista (in origine pure quella era una parola senza definizione), ma senza neanche il coraggio, ma soprattutto senza neanche il *bisogno* di dirlo. In fondo ci che distingue la Meloni da Berlusconi che la Meloni parla pi spesso delle foibe (come fa Vicky di CasaPound quando si trova in crisi didentit). Si allude a una identit metastorica che si definisce da sola. Sono destri di destra, con unidentit identitaria. Una volta alcuni miei amici e conoscenti sono comparsi su Cronaca Vera. No, non avevano decapitato un alieno. Avevano aiutato una famiglia sfrattata ad occupare una piccola stazione ferroviaria abbandonata in un paesino di provincia. Quelli di Cronaca Vera hanno fatto un articolo che ne parlava, mostrando gli occupanti come dei disperati ma tutto sommato raccontando abbastanza fedelmente la vicenda; cera una foto, con occupanti e compagni che tenevano uno striscione con scritto Stazione Occupata. In fondo allo striscione avevamo dipinto una falce e martello, ma quelli della rivista hanno fatto un fotomontaggio e hanno cancellato il simbolo. Vorr dire qualcosa? (Dicesi commento senza capo n coda.) #17 Comment By arrigo malera On 15/01/2013 @ 6:22 pm chiamato in causa, eccomi, stavo rileggendo per cercare di essere il pi chiaro possibile. Premetto che pi che voler insegnare qualcosa a qualcuno intendo interpretare Jesi. In ogni caso:nella mia frase molto veloce, intendevo indicare innanzitutto la teoria marxista-leninista che si trasformata in dottrina di stato, con la deriva stalinista e il socialismo reale che sono tecnicizzazioni grossolane; ma effettivamente il discorso potrebbe essere fatto in genere per ogni successivo atteggiamento dogmatico che nelle varie correnti degli anni settanta si poi ipostatizzato (trotzkismo, maoismo etc) per il modo in cui sono stati vissuti da molti militanti. Con questo non intendo delegittimare lazione politica del marxismo, ma penso che se il marxismo non si contamina con la semiotica, con le neuroscienze e con il post-strutturalismo, indebolendo le sue strutture metafisiche limpianto logico del materialismo rischi di condurre alla dogmatizzazione. Intendo dire allaccettazione acritica di esso da parte dei soggetti che ne fanno portatori. Il marxismo condannato a riprodurre uno schema metafisico e secolarizzante? Nel Novecento andata cos. Per Foucault era nella sinistra radicale, cos Barthes, eppure il loro insistere sulle pratiche e sui discorsi mi sembra abbia aggiunto piuttosto che distrutto. Derrida pensava che fosse impossibile uscire dalla metafisica, effettivamente si pu provare a indebolire il dogmatismo: pensare un marxismo come sistema semiotico, immaginativoconcettuale di rappresentazione di massa significa per me pensare un discorso critico che preluda ad unazione critica. #18 Comment By maurovanetti On 15/01/2013 @ 7:12 pm Sono qui per imparare, ma da quel che so della storia dei pensatori marxisti, non mi pare che infilarci dentro la semiotica e le neuroscienze significherebbe contaminare il marxismo. La riflessione di Marx su coscienza e ideologia mi pare anche una riflessione di semiotica. Il punto di vista difeso da Marx sicuramente non rappresenta uno studio completo sullargomento ma non mi sembra alieno a riflessioni molto pi recenti. Questa parte del pensiero marxiano era sconosciuta a Lenin (Lideologia tedesca venne pubblicata 8 anni dopo la sua morte), ma questo non gli ha impedito di fare ragionamenti simili partendo dalle stesse basi. In particolare Lenin fa unoperazione assolutamente rivoluzionaria in Materialismo ed empiriocriticismo e cio parla di filosofia basandosi sulle neuroscienze (che allepoca avevano ottenuto ben pochi risultati rispetto ad oggi!). Del tutto immeritatamente quel testo ha fama di essere dogmatico e meccanicista, forse addirittura metafisico, solo perch va gi pesante contro i suoi avversari si confonde cio lo stile dellesposizione con il suo contenuto. Quel che dice Lenin che il mondo esterno esiste a prescindere dal soggetto che lo esperisce; questo evidentemente una premessa fondamentale per pensare che le neuroscienze (il cervello del singolo essere umano) e la semiotica (la societ ovvero gli altri esseri umani) possano avere unimportanza filosofica decisiva. Il soggetto autosufficiente contro cui si scaglia Lenin non avrebbe niente da imparare n dal funzionamento dei suoi neuroni n dai segni usati dagli altri. Credo che lincomprensione di queste caratteristiche del pensiero filosofico di Marx e di Lenin abbia avuto un ruolo molto nefasto, perch ha messo gradualisti, stalinisti e maoisti nellindegno ruolo di ortodossi (quando in realt erano artefici di una evidente distorsione metafisica e meccanicistica) e ha spinto molti pensatori marxisti a considerarsi degli eretici a tutti i costi, fissandosi sullidea balorda (e forse anche un po seducente) che bisognasse salvare il marxismo da s stesso per via filosofica, quando molti strumenti concettuali in realt stavano gi dentro la sua storia ed era per ragioni molto diverse (e molto terra terra) che si erano persi per strada o che qualcuno aveva fatto in modo che venissero persi per strada. Leggere per credere: http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/index.htm (in italiano) http://www.marxists.org/archive/lenin/works/1908/mec/index.htm (in inglese) Tutto questo per dire che questa roba non avrebbe dovuto e non dovrebbe interessare solo a dei marxisti inquieti, ma anche a quelli soddisfatti. :-) #19 Comment By Little Commie Craig On 15/01/2013 @ 7:30 pm Intanto grazie per la risposta! :-) Lidea di una contaminazione del marxismo con la semiotica, le neuro-scienze e il post-strutturalismo davvero stimolante sul piano intellettuale. Per la cronaca, mi tocca molto sul personale :-D perch oggi mi trovo spesso, da marxista, a ripensare ai miei studi universitari di filosofia e semiotica; purtroppo il tempo e le energie che ci posso dedicare sono davvero poche, ma la questione non lho mai mollata del tutto. La butto in battuta: la cosa che mi lascia pi perplesso nella tua risposta proprio la triade malefica :-P semiotica/neuroscienze/post-strutturalismo, che immagino non sia frutto di una semplice giustapposizione, ma sia legata ad un tentativo di sintesi organica fra le tre cose. E proprio su questa sintesi che non mi ritrovo ora, come non mi sono ritrovato da studente; e questo proprio perch le prospettive che nascono da quella sintesi (quelle con cui mi sono confrontato direttamente, almeno) mi sembrano escludere in modo piuttosto radicale la possibilit di mantenere un approccio realmente materialista oltre che capace di dialogare proficuamente con un pensiero *rivoluzionario* orientato non solo alla comprensione, ma anche alla trasformazione del mondo. Allepoca, quando scrissi la tesi (pare passata una vita!), non ero ancora marxista. Ero gi materialista, per; di quel genere di materialismo che i marxisti definirebbero materialismo volgare. Alla base del mio tentativo (maldestro) di critica dei paradigmi classici della semiotica da un punto di vista materialista ci stavano la biologia teorica (la cosiddetta biologia semantica, in particolare), la cibernetica e la teoria dei sistemi. Per me, allepoca, fu un sano bagno ristoratore rispetto alla confusione che avevo in testa, aggravata dalle miriadi di lezioni e seminari in cui sentivo professori e ricercatori utilizzare paroloni (concetti senza parole?) come trasduzione, autopoiesi, significazione ecc. citando i vari Deleuze, Eco, Peirce, Blanchot, Baudrillard, Maturana e Varela ecc. pi o meno come tanti principia auctoritatis. Studiando Ashby, Wiener, von Bertalanffy, von Foerster, Prigogine, Barbieri, S.J. Gould, Jablonka e Lamb ecc. mi si apr letteralmente un mondo nuovo un mondo che mi pareva molto pi preciso, empirico e ben segmentato rispetto a quello che conoscevo prima. Per venire al punto: secondo me cambia parecchio, in termini di prospettiva generale, se si vedono i processi di significazione come qualcosa che nasce a parte naturae, come frutto di una stratificazione di complessit che parte dalla singola cellula e arriva alla mente, alla cultura, alla societ; oppure se si vedono i processi di significazione come qualcosa che, a prescindere, restano intrappolati nella semiosfera culturale. Mi sembra che, complice soprattutto la pesante eredit dello strutturalismo, la semiotica accademica non si sia mai liberata del secondo tipo di approccio, neppure quando, alla ricerca di

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sponde nelle scienze empiriche, ha aperto agli studi di scienze cognitive e neuroscienze; e neppure quando si rivolta alla filosofia post-strutturalista (Deleuze soprattutto) per svecchiare un po il suo apparato analitico, messo alla prova dal fatto che lanalisi strutturale era ormai diventata una moda intellettuale daltri tempi :-) Argomentare questa posizione sarebbe lungo e in pi penso che avrei qualche difficolt a farlo, non essendo pi fresco di universit. Resta per il fatto che quando, pi recentemente, mi sono confrontato vis-a-vis con il materialismo dialettico, i circuiti neurali che credevo di aver messo definitivamente in pensione dopo la laurea si sono improvvisamente riattivati e nel materialismo dialettico mi sembrato di trovare una conferma delle convinzioni che avevo maturato scrivendo la tesi! Ovviamente il materialismo dialettico di Marx ed Engels risente ancora molto, (anche solo a livello sintattico-lessicale) dellhegelismo; per gi solo lidea di rovesciare la dialettica, riportando lanalisi sui suoi piedi per scoprirne il nocciolo razionale entro la scorza mistica, rappresenta una rottura radicale, dalla quale non si torna indietro. Per cui ci si pu tranquillamente spiegare la continuit con Hegel con il fatto semplice e banale che molti degli sviluppi scientifici e filosofici (ma scientifici soprattutto) che avrebbero potuto alimentare ulteriormente il materialismo marxista erano ancora di l da venire; ed era inoltre difficile, per degli intellettuali ottocenteschi, sottrarsi alla forza gravitazionale di un gigante come il sistema filosofico hegeliano, che allepoca forniva la migliore esposizione disponibile del *metodo* (la dialettica) di cui Marx ed Engels avevano bisogno per demistificare i concetti delleconomia, della storia e della sociologia borghesi. In questo senso, secondo me (ma magari questa provocazione intellettuale una cazzata che sar immediatamente censurata :-)), il materialismo marx-engelsiano ha molto pi in comune la teoria dei sistemi complessi, di quanto non abbia in comune con lidealismo hegeliano. Mentre, al contrario, la semiotica contemporanea (penso ad esempio al Trattato di semiotica generale di Eco), ha molto pi in comune con lidealismo hegeliano di quanto non abbia in comune con gli sviluppi pi interessanti e pi stimolanti della fisica e della biologia tardo-novecentesche. La dialettica di Marx ed Engels, in altri termini, mi sembra parecchio pi sistemica ed empirica dellidealismo implicito nelle semiotiche generali dei vari Hjelmslev, Pierce, Greimas, Eco, Lotman ecc. #20 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 8:07 pm Io dico solo di stare attenti a usare il termine post-strutturalismo, che un altro termine-valigia dentro cui si sempre messo un po di tutto, anche riflessioni inconciliabili e teorici che non avevano quasi nulla in comune (es. Baudrillard e Foucault). A rigore, post-strutturalismo vorrebbe dire semplicemente filosofia francese che, in qualche modo, prende le mosse dallo strutturalismo per poi giungere a esiti diversi. Dentro ci troviamo filosofi che amavano Marx e addirittura si sono in pi occasioni magari pi provocatoriamente che altro ma comunque una scelta di campo definiti marxisti (lo stesso Deleuze disse io e Guattari siamo forse gli ultimi marxisti!), oppure si sono ritrovati *molto vicini* al marxismo (il Foucault del confronto televisivo con Chomsky suona pi marxista-leninista dei marxistileninisti!), e altri che invece dal marxismo restarono lontanissimi. In ogni caso, va fatto notare che nelleterogeneo novero post-strutturalista si trova la pi alta percentuale di filosofi compagni di strada dei movimenti, praticanti di strada e di piazza, animatori di inchieste sociali (quella promossa da Foucault sul sistema carcerario francese) etc. Lo stereotipo dei pensatori francesi ineluttabilmente astratti, meta-teorici e tetrapilectomani stato diffuso a partire dagli USA e da una ricezione iper-accademica di quelle teorie (ricezione che comunque, come facevi notare, non mancata nemmeno da noi) e poi dalla reazione di destra a tale ricezione, vedi appunto uno come Scruton, che odia molto di pi i post-strutturalisti dei comunisti (e figurarsi cosa pensa dei comunisti post-strutturalisti! :-)) Ma finch erano rimaste in Francia erano ben pi materialiste :-) #21 Comment By franzecke On 15/01/2013 @ 8:15 pm I deliri identitari della Meloni e di Alemanno sono solo la punta delliceberg. Basta fare una ricerchina su qualcuno dei nomi citati nellarticolo et voil una bella pappetta tossica preconfezionata ad uso e consumo delle nuove generazioni. incarnando il proprio mito e il proprio destino che si fa la storia .. so che non dovrei, ma non riesco a smettere di ridere. #22 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 8:16 pm Ad ogni modo, io propongo di tornare a bomba sulle riflessioni al centro del post: Jesi, parole magiche e mitologie comunitarie da Grillo ai fasci der terzo millennio, framing di destra, differenza tra destra e sinistra, come disinnescare certe narrazioni etc. #23 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 9:03 pm La colonna destra con le gnocche e la scritta Fans dellAvgvsto fa pensare a un autentico disperato. #24 Comment By jimmyjazz On 15/01/2013 @ 9:19 pm Provo ad aggiungere carne al fuco. Ieri ero assieme a @zeropregi, fiancheggiando Tabula Rasa, la trasmissione libresca di Radio Onda Rossa (qui il podcast http://www.ondarossa.info/node/8943/Superzelda%20e%20Limonov). Abbiamo intervistato Guido Caldiron sulla figura di Limonov, il capo dei nazionalbolscevichi russi con trascorsi nella scena sottoculturale parigina e newiyorchese protagonista del bestseller di Emmanuel Carrre. Guido ha fatto una descrizione dei nazionalbolscevichi che tira in ballo i temi jesiani: questi hanno ricostruito la storia russo-sovietica mettendo insieme, in nome della nostalgia dei bei tempi andati e del nazionalismo, Hitler e Stalin. E soprattutto aggregano i giovani delle periferie e della Russia profonda che arrivano a Mosca in cerca di identit: la trovano in questo partito carismatico che fa del cameratismo, della solidariet maschile e del culto del capo in nome di un passato pappa omogeneizzata. #25 Comment By dovic On 15/01/2013 @ 10:50 pm Larticolo piuttosto lungo e tuttavia pi lo leggo pi mi sorgono domande. Devessere un buon segno. Provo a ricapitolarle: 1) Manera, citando Jesi, dice: la maggior parte del patrimonio culturale [...] residuo culturale di destra. Sguardo perso e verdoniano verso il cielo nche senso? Io ho sempre sentito parlare di egemonia culturale della sinistra, che significato ha codesta frase? Posso supporre che patrimonio culturale in questo contesto sia da considerarsi in senso lato, come il complesso delle strutture di organizzazione sociale, dei modi di vita, delle attivit spirituali, delle conoscenze, delle concezioni, dei valori che si ritrovano, in forma e a livelli diversissimi, in ogni societ e in ogni periodo storico (citazione da puro lusso spirituale) e non come cultura tout court (Dante, Petrarca, Boccaccio, Bach, Mozart, Beethoven, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Big Jim ecc.). Anche se pure nella cultura tout court certe cornici intellettuali di destra sono stati attivate non poco. Mi viene in mente su tutti quel trombone di Harold Bloom. 2) Massimo Fini fa discorsi destrorsi? Non conosco la sua produzione o la sua storia politica (se ne ha una) nel dettaglio, ma ricordo alcuni suoi interventi allepoca del guerrafondaio Bush Jr., contro limperialismo culturale, che mi sembrarono tutto fuorch omologanti. 3) Nella discussione viene affermato che Jesi non stigmatizza il mito per se stesso, perch permea tutta la nostra vita sociale ed necessario, ma allo stesso tempo non si possono () muovere le forze inconsce del potere simbolico e poi sperare di controllarle razionalmente. So che voi Wu Ming avete pi volte espresso la necessit di fondare nuovi miti (tornare a immaginare il futuro ecc.) per uscire dal pantano ideologico in cui ci siamo cacciati, e ci avete anche provato in passato (G8 di Genova), ma se poi questi miti sono intrinsecamente incontrollabili e inclini alla manipolazione, come se ne esce? Manera allude a un mito umanizzato, ma non mi chiaro che caratteristiche dovrebbe avere e con quali modalit dovrebbe diffondersi nella comunit mitopoietica. Insomma, mi sembra un equilibrio molto precario, quasi impossibile da raggiungere. Infine, un paio di riflessioni, di cui almeno una di totale disinteresse per chiunque non sia il sottoscritto. decostruito, neutralizzato e messo a distanza il mito-sacro e il mito-politica, questa sospensione della temporalit o anacrona, la capacit di giocare tra i diversi strati del tempo, lo specifico della produzione di immaginario e di ogni narrazione, del raccontare storie. Leggendo questo passaggio mi venuta in mente una cosa che ho letto su un testo in preparazione di un esame. Analizzando e interpretando i testi medievali si nota la ricorrenza della figura retorica detta tipologia, secondo la quale unimmagine o un evento assumono non soltanto il loro significato letterale, ma anche un ulteriore significato allegorico con in pi, rispetto alla tradizionale allegoria, una traslazione nel tempo. Questo permetteva ad esempio di leggere lAntico Testamento in funzione del messaggio evangelico della venuta di Cristo o della redenzione. Siamo di fronte quindi a una tecnicizzazione mitologica in piena regola. Questa era la riflessione che non interessa a nessuno. La seconda riguarda lattivazione di alcuni frame attraverso le parole, in questo caso in campo politico. Sono rimasto molto colpito, e irritato, nellapprendere il nome che Ingroia ha dato alla propria lista elettorale: Rivoluzione Civile. Non so voi, ma a me un nome del genere sembrato quasi un insulto al buon senso. Quellaggettivo messo l a destra (non a caso) della parola rivoluzione mi sembra la solita strizzatina docchio ai soliti fantomatici moderati piccolo borghesi. Rivoluzione, s, ma civile, ovvero educata, leggermente frizzante, edulcorata, pastorizzata, omogeneizzata, disinfettata, derattizzata, per piacere, per cortesia, mi scusi eh, con permesso, prima lei, non sia mai, ma si figuri. La rivoluzione un pranzo di gala? #26 Comment By Little Commie Craig On 15/01/2013 @ 10:54 pm Come vuoi. Per penso che, al netto della deriva forse troppo filosofica che sta prendendo questo segmento di discussione, le due cose non siano affatto scollegate e infatti nel vostro dialogo a tre voci siete tornati pi volte sullargomento. Daltronde, se vogliamo dare corpo a quello che ci distingue dal pensiero di destra (ed evitare di cadere in trappole analoghe) certi nodi teorici li possiamo evitare o aggirare fino a un certo punto. #27 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 11:22 pm La risposta pi semplice da dare quella su Massimo Fini, fondatore di Movimento Zero, che si definisce anti-illuminista, anti-modernista, anti-progressista, anti-materialista. Un movimento dichiaratamente n n ma inequivocabilmente di destra, di quella destra che sta torcendo come fili bagnati i discorsi sulla decrescita, rivelandone le contraddizioni che sottolineava anche Giuliano nel post. Massimo Fini e il suo movimento propongono il ritorno a una societ organica preindustriale, rivalutano i bei tempi del feudalesimo, hanno come cavalli di battaglia la lotta al signoraggio, allusura, alle lobby internazionali etc. I discorsi di Massimo Fini contro limperialismo culturale sono apparentemente antiimperialisti ma in realt improntati al razzismo culturale differenzialista tipico di molte estreme destre contemporanee: per Fini le culture sono ferme nel tempo, ontologicamente diverse e al fondo incomunicanti, blocchi dai confini ben definiti che dovrebbero stare ciascuno al loro posto, e quindi ognuno a casa sua, nella sua comunit omogenea. Da qui, per dirne una, lapologia dei talebani e della loro difesa delle tradizioni (in realt in larga parte inventate, a loro volta miti tecnicizzati). I talebani lottano per la loro comunit omogenea come dovremmo fare noi europei. Sulla egemonia culturale della sinistra: in Italia non c mai stata. Anche prima del berlusconismo, il senso comune di massa lo hanno sempre prodotto tuttaltri agenti: la RAI democristiana, la chiesa, rotocalchi ad altissima tiratura come Oggi e Gente, la divulgazione pseudo-storica di Montanelli e Petacco Per questi ultimi viatici passata la strisciante riabilitazione del fascismo, come spiega molto bene Mimmo Franzinelli qui: http://www.mimmofranzinelli.it/tool/home.php?l=it&s=0,1,55,57,102 (Grazie a Salvatore Talia per la segnalazione) Per quanto riguarda la provocazione di Jesi sul patrimonio culturale che residuo culturale di destra, ti dico come lho interpretata io ( una frase presa da unintervista a un quotidiano, quindi

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tagliata con laccetta, ma in Cultura di destra viene sviluppata). Jesi intendeva dire che il modo di rapportarsi al patrimonio culturale restava improntato a una retorica del sublime che faceva del consumo di Cultura materia di lusso spirituale. In parole povere: residuo culturale di destra il considerare la Cultura (borghese) come qualcosa di Alto, di Puro, roba che fa sentire intelligenti e mette soggezione e quindi porsi in modalit ossequiosa e contemplativa nei confronti di chi fa Cultura con la C maiuscola, il Genio di turno, lArtista, lIntellettuale, come parla bene! E residuo culturale di destra il culto superficiale per leloquio vacuo di certi scrittori, il pendere dalle labbra dello scrittore-opinionista di turno che riempie lenzuolate di pagina di quotidiano con pensieri al vuoto pneumatico ma che fanno tanto fico. Per questo viatico di sudditanza psicologica, en passant, veniva reso rispettabile uno come Evola, perch in fondo si muoveva in una dimensione culturale (Jesi molto tranchant su questo tipo di atteggiamento). Il lusso spirituale chiaramente illusorio, ma si cerca di evocarlo tramite immagini di lusso materiale, accumulazione di ciarpame kitsch come al Vittoriale di DAnnunzio ( uno degli esempi che fa Jesi) o come nei romanzi di Liala. C molto residuo culturale di destra anche nei discorsi della sinistra. Per fare un esempio, stata una manifestazione di residuo culturale di destra anche la Resistenza ridotta a martirologio edificante e privo di asperit, storia eroica consolatoria da chiudere in un mausoleo. Di questo parlo diffusamente nellmp3 linkato in calce al post, Macchine mitologiche e cultura di destra. Sul fondare nuovi miti, quello era appunto il nostro errore di impostazione del periodo 2000 2001, quando pensavamo che la mitopoiesi si potesse fare a tavolino, a condizione di lasciare aperta lofficina. Dei tecnicizzatori consapevoli e open source. Ci abbiamo sbattuto il grugno, e abbiamo fatto autocritica in Spettri di Muntzer allalba: http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap6_IXa.htm #28 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 11:38 pm Ti sembra che qualcuno abbia evitato o aggirato qualcosa? Riassumo quel che appena successo qui sopra: Si creato subito un sotto-thread lungo sulle implicazioni di *una* frase di Manera detta en passant. Una volta spiegata meglio la frase, si capito che significava semplicemente che marxismo e neuroscienze, marxismo e post-strutturalismo, marxismo e semiotica dovrebbero integrarsi e produrre un marxismo che corra meno rischi di diventare una metafisica. A quel punto Mauro ha fatto notare che il marxismo gi potenzialmente integrato con tutte quelle cose l, e se non lo sembra per via di certi fraintendimenti e distorsioni. Quindi, arguisco, Manera non ha detto niente di particolarmente eretico o pericoloso, anzi, si posto nel solco di una tradizione. Mauro ha fatto notare che c stato uno scambio di caselle tra eretici e ortodossi (uso la parola in senso buono, come la usava Bordiga), con gli ortodossi che si sono creduti eretici e gli eretici che si sono creduti ortodossi. Se questo vero, Manera il vero marxista ortodosso, proprio perch eretico, aperto alla semiotica e alle neuroscienze come dovrebbe essere un buon marxista. E quindi non capisco: 1) chi avrebbe aggirato cosa, dal momento che lequivoco stato sviscerato; 2) giunti a questo punto, dove altro potremmo andare a parare. 3) perch ritieni utile soffermarsi ancora su una frase en passant che gi stata non solo chiarita ma addirittura rovesciata e resa paradosso fecondo, quando il post voleva stimolare soprattutto su altre questioni. Non meglio far tesoro di quanto emerso nello scambio, rifletterci sopra e parlarne in un altro momento? #29 Comment By Wu Ming 1 On 15/01/2013 @ 11:47 pm Carne al fuco :-) #30 Comment By franzecke On 16/01/2013 @ 11:09 am LAugusto per chi non lo sapesse un liceo romano (tradizionalmente di destra), e anche limpostazione del blog che ho linkato mi fa chiaramente pensare allopera di un pischello. Disperato, sicuro, ma pur sempre pischello. Il fatto che i deliri riguardo ai miti che si incarnano di questo Scianca finiscano nelle mani di ragazzini di 15 anni mi sembra il punto su cui focalizzare lattenzione con pi urgenza #31 Comment By franzecke On 16/01/2013 @ 11:31 am @ dovic Lutilizzo della lettura allegorica dellAntico Testamento affonda le sue radici nel sostrato pi antico della tradizione cristiana, e in un certo senso hai perfettamente ragione a definirla come una vera e propria tecnicizzazione del mito. Vorrei sottolineare per che questo tipo di lettura allegorica ha avuto origine in ambiente giudaico, con Filone di Alessandria che tentava di coniugare le storie e le leggende della tradizione biblica con la grande tradizione filosofica greca, in particolare platonica. Riflettendo su questo punto e per tentare di ricollegarsi allargomento principale del post mi piacerebbe domandare ad Enrico Manera qualche informazione sui rapporti intrattenuti da Furio Jesi con la tradizione ebraica rapporti di cui non so molto, e su cui non riesco a trovare quasi nulla. Le similitudini tra certi aspetti del pensiero e della biografia di Jesi con quelli di Walter Benjamin mi continuano infatti a riportare con la mente verso Filone e il giudaismo alessandrino magari si tratta solo di suggestioni, magari no. Un saluto #32 Comment By Cesare On 16/01/2013 @ 11:36 am Dibattito molto interessante, peccato che i tre interpreti Ming1, Manera e Santoro non facciano che ripetere la medesima tesi a voci diverse, creando cos, pi che una dialettica, un ben compatto coro polifonico. Quella di Jesi una figura di studioso interessantissima che non pu essere liquidata da nessuna battuta. Ma qui sembra che si cerchi di instaurare un impianto ermeneutico per il quale giusto e necessario condannare a priori il pensiero di un Evola e di uno Schmitt, e quindi la medesima condanna non pu essere perpetrata nei confronti di chi (Jesi) condannerebbe il loro pensiero. E una tautologia vacua, lo si vede. Pi fecondo sarebbe restare filosoficamente sul pezzo, per cercare la verit: esiste una dimensione oltre-umana a partire dalla quale comprendere il soggetto umano? Le nozioni di origine, tradizione, razza, idea si fondano tutte a partire da qui. E a ben vedere si tratta di capire se e in che misura valido limpianto della filosofia platonica; ovvero, se (e soprattutto) lontologia che non riduce lessere umano a semplice presenza (la heideggeriana Vorhandenheit) sia pi vera, pi valida e pi bella dellipotesi secondo cui lente sia espressione di un essere trascendente. Jesi lo strenuo paladino della prima delle due possibilit, ma a validit di questa posizione qui parrebbe celebrata, pi che discussa. Anche Roger Scruton (che nellarticolo viene banalizzato non diversamente da come Scianca fa con Jesi) ha affermato recentemente che il tema Conservatorismo vs Modernismo vada affrontato a partire da una problematica ontologica di ordine platonico. A me sembra (ma posso ovviamente sbagliare) che il lungo articolo eluda la sostanza del problema, ricadendo, nei confronti della filosofia della Destra, nella medesima metodologia ermeneutica che si vorrebbe (giustamente) criticare nel suo utilizzo contro Jesi. #33 Comment By Little Commie Craig On 16/01/2013 @ 11:53 am Messa cos, per, sembra quasi che stessimo facendo a gara a chi pi ortodosso :-D Non cos, ovviamente. Come ho cercato di argomentare, in maniera abbastanza confusa, libridazione fra marxismo e semiotica, per quanto stimolante, tutto salvo che scontata (un punto sul quale Mauro ha espresso la sua posizione, che pu essere condivisa o meno, senza per che questa posizione diventi il metro per misurare il grado di adesione allortodossia o allortodossia eretica di questo o quel partecipante alla discussione). A maggior ragione, libridazione diventa molto meno scontata se per semiotica si intende quello che *oggi* la semiotica soprattutto in Italia e in Francia, e sia nelle sue varianti pi ortodosse (generativa, interpretativa, culturale), sia in quelle che cercano sponde nel post-strutturalismo (pi precisamente: in Deleuze) o nelle scienze cognitive. Non era mia intenzione utilizzare quella frase en passant contro Enrico o contro chicchessia, ma come spunto per riflettere (un po pi a fondo, magari) sui limiti e sulle possibilit di unoperazione di ibridazione come quella proposta. E questa riflessione importante (per me almeno), perch, oltre che interessante dal punto di vista intellettuale, mi sembra avere anche delle implicazioni pratiche da non sottovalutare. Quando parlo di aggirare, non mi riferisco allatteggiamento tenuto da qualcuno in questa discussione, e mi spiace che la cosa sia stata intesa cos. Il senso era: *in generale*, in un qualsiasi dibattito su ci che distingue il pensiero di sinistra da quello di destra, e in un ragionamento che miri a valorizzare il potenziale critico ed emancipativo del marxismo, prima o poi nodi teorici del genere saltano fuori, e vanno affrontati. In questo pezzo di discussione si cercato di farlo, con tutti i limiti logistici del caso (stiamo discutendo a distanza su un blog, dopo tutto), e sono daccordo con te sul fatto che non abbia senso continuare. Dopo di che, spero che la discussione non decada qui e che ci siano altre occasioni, magari pi propizie, per riprenderla :-) #34 Comment By Wu Ming 1 On 16/01/2013 @ 11:56 am Eh, gi. Ti ricordi la didascalia in romanaccio che abbiamo messo sotto il manifesto di Casapau sui due mar? #35 Comment By franzecke On 16/01/2013 @ 12:14 pm Se ne potrebbe parlare a lungo. Ricordo una volta in cui mi capitata sotto mano una fanzine del Blocco Studentesco nome che, per inciso, mi ha sempre fatto pensare ad unocclusione intestinale che tra i vari articoli sulla mistica della giovinezza e sulla lirica di Ezra Pound presentava nelle due pagine centrali un bel cruciverba, tipo quelli grazie ai quali generazioni di italiani hanno trascorso lintero ammontare della propria esistenza in termini di tempo libero ad anestetizzare in maniera irreversibile le proprie facolt intellettive. Che devi fa, s sfigati, per una mano toccherebbe dajela, che poi questi crescono e fanno i danni #36 Comment By arrigo malera On 16/01/2013 @ 12:33 pm un po di risposte per queste domande, dove non rispondo si intende che Wu Ming 1 ha gi risposto e condivido. @dovic

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sul mito umanizzato e sulla comunit mitopoietica. davvero un equilibrio precario, qui c pi una problematizzazione che non una soluzione. Yves Citton ha recentemente scritto un libro, che Alegre dovrebbe tradurre in cui si affronta la questione: http://www.fabula.org/actualites/y-citton-mythocratie-storytelling-et-imaginaire-de-gauche_35261.php la narrazione e larte sono il vettore mitologico che pu supportare una comunit che si stringe nei suoi simboli, in quali continuo a ribadire, sono indispensabili ma se rimandano a un fondale metafisico determinano quella cultura che Jesi chiama di destra. Sono racconti che hanno autori, e che non si fanno da s, in cui citazione, parodia e ironia sono le strategie per evitare di creare approccio fanatico e idolatra. laddove parlo di sospensione della temporalit o anacrona, la capacit di giocare tra i diversi strati del tempo intendo dire che per Jesi questa caratteristica della cultura di destra se rimanda a un essere fuori delluomo; di sinistra se rimanda alluomo che genera miti su di s e su di essi affida: lautoaffermazione dellumano che crea cultura ed antropologicamente determinato. i miti sono il risultato della produzione di immaginario che luomo da s fa su di s: questa la concezione del mito-letteratura e della mitologia poetica. Per chi pensa metafisicamente questo significa che la vita cessa di avere senso se non fondata sullessere, per chi pensa in termini naturalistici e materialisti questo non fa che far risplendere la vita umana di tragica bellezza. Espressione di Telmo Pievani, filosofo della biologia e allievo di Gould e Cavalli Sforza, curatore del bellissimo numero di Aut Aut dedicato allevoluzione. @cesare esiste una dimensione oltre-umana a partire dalla quale comprendere il soggetto umano? sar brutale: da Kant in poi impossibile dimostrarlo e non ha alcun senso farlo. Puoi sperarlo. In una prospettiva antropologica rigorosamente immanente questo crea pi problemi di quanti ne risolva: smette di essere scienza e diventa teologia, questo pi meno ci che Clifford Geertz pensava di Eliade. Platone, per come lo vedo io, un geniale mitologo, il padre della teologia politica e della tecnicizzazione del mito. Non mi piace linterpretazione di Reale, mi interessa quella di Vegetti. @franzecke Jesi influenzato dalla tradizione ebraica filtrata da Scholem, Buber, Benjamin. Ne ho scritto io, e pi diffusamente Giulio Schiavoni su Nuova Corrente 2009 e Carlo Tenuta, in rete trovi un articolo. Cosa ti posso dire io qui: Jesi studia la cabala, che interpreta non in chiave mistica ma in chiave ermeneutica e laica: Limmaginazione simbolica di una comunit passa attraverso linterpretazione dei testi perch la realt pensata sulla base di strutture ideative trasmesse dalla tradizione, innanzitutto scritta: il mito dunque diventa necessariamente una stratificazione complicata, inestricabile dalla sua storia esegetica. Ogni indagine sul mito dunque interpretazione delle interpretazioni delle mitologie. Questo chiaro nella tradizione ebraica ( la religione del libro!) ma valido nellambito del mito greco e della mitologia comparata in generale. Nota: per Benjamin linterpretazione talmudica paradigma della comprensione di tutta la modernit; per Derrida e per Blumenberg il rapporto con il mito dellebraismo il paradigma di ogni rapporto con il mito. Stiamo parlando di ebrei della diaspora non credenti. Se una posizione metafisica usa lermeneutica per cogliere la voce dellessere come avviene con il romanticismo e lidealismo viene occultata la mediazione testuale (lumanizzazione): il mito diventa il cavallo di Troia per un approccio metafisico. #37 Comment By arrigo malera On 16/01/2013 @ 12:44 pm poich qui pi che pontificare intendo condividere e smistare argomenti segnalo un libro, con relativa recensione, del libro di Zagrebelsky che affronta il potere dei simboli politici e il discorso Simbolo/diabolo, come qualcosa che unisce/separa. http://www.filosofia.it/recensioni/gustavo-zagrebelsky-simboli-al-potere-politica-fiducia-speranza laltro libro secondo importante quello di Chiara Bottici,, scusate se mi autocito linkando una mia recensione. http://www.doppiozero.com/materiali/contemporanea/il-mito-politico-limmaginario-sociale-tra-ideologia-e-utopia #38 Comment By Little Commie Craig On 16/01/2013 @ 1:27 pm Per la determinatezza antropologica dellessere umano come andrebbe declinata secondo te? E il risultato de la bava e i detriti che la semiosi precedente si trascina dietro (per dirla con Eco) o il frutto del suo posto nel mondo per come stabilito dai processi evolutivi (naturali e culturali), dallo sviluppo dei mezzi di produzione e dei rapporti sociali che lo inviluppano, dalla divisione sociale del lavoro ecc.? Non puoi rispondermi di entrambi, perch le due prospettive non si muovono su terreni diversi, ma sono due paradigmi che inquadrano lo stesso terreno dindagine ;-) Perch e questo secondo me un punto fondamentale se lumanizzazione dello sviluppo culturale non viene condotta in riferimento alle sue *basi materiali*, si ricade solo in unaltra forma di idealismo. Lidealismo implicito nella presupposizione di un terzo livello di realt, puramente simbolico-semiotico, che sta alla base di tante teorizzazioni della semiotica contemporanea e che rappresenta, a conti fatti, un tentativo di recupero in extremis (magari ibridato con Peirce e Deleuze) dello strutturalismo. #39 Comment By Anna Luisa On 16/01/2013 @ 1:44 pm Beh, dopo il *Partito della bistecca* e visto landazzo generale, *Carne al fuco* suona come uno slogan elettorale quasi credibile :-) #40 Comment By arrigo malera On 16/01/2013 @ 1:48 pm senza indugio, mi sembrava sottinteso, tu lhai detto: processi evolutivi (naturali e culturali), tra i quali figura lo sviluppo dei mezzi di produzione e dei rapporti sociali che lo inviluppano, dalla divisione sociale del lavoro. i miei punti di riferimento sono nellantropologia filosofia, non credo alla sola cultura che sarebbe effettivamente il mondo divenuto favola. detto questo qualsiasi raffinata analisi del soft power non pu sostituire quellhard power: lideologia ccos come la controcultura presuppongono le pratiche materiali di autorit/violenza/potere. Quando Jesi critica Canetti (in Materiali mitologici) dice che lalienazione e il plusvalore non possono essere sostituite da qualsivoglia spiegazione psicologica. #41 Comment By diserzione On 16/01/2013 @ 1:56 pm Ho letto Cultura di destra non molto tempo fa, proprio in seguito a un post su Giap. Lho trovato interessantissimo ma certo non facile, anche perch conosco poco o nulla gli oggetti di studio di Jesi (non ho mai letto niente di Evola, per esempio, non tanto per ostracismo, che troverei stupido -bisogna conoscere il nemico- ma per semplice pigrizia. La stessa che mi port ad esempio a snobbare gli inviti al cineforum virtuale proposto da WM1 tempo fa sui film fascisti: sono letture/visioni per me poco gradevoli e per quanto utili difficile trovarvi anche un dilettevole.) Ora magari ci riprover con laiuto di questo libro. Prima di allora, avevo avuto un incontro direi inconsapevolecon Furio Jesi, che tuttavia si rivel provvidenziale: parlo dellintroduzione a Lisola del Tonal di Castaneda, autore che stavo divorando in ordine (avevo appena finito Viaggio a Ixtlan, che mi aveva davvero catturato) e, allora poco pi che adolescente solitario, ero completamente affascinato da questo percorso esoterico-lisergico :D Furio Jesi ag da potente anti-allucinatorio. Lisola del Tonal mi prese molto meno (la mia lettura di Castaneda, come avrete capito, era tutta mistica: non era un interesse etnografico, volevo proprio diventare un apprendista stregone) e persi poi coi libri successivi la disposizione del discepolo e con essa anche linteresse per Castaneda. Anche allora non capii del tutto il discorso di Furio Jesi, ma aveva efficacemente trasmesso una distanza incolmabile con quelle poche ma dense pagine di introduzione, non soltanto aveva fornito un contesto storico-sociale a qualcosa che ne sembrava ontologicamente privo, ma aveva anche spiegato la funzione di questa mancanza e i suoi portati alteranti nella dottrina castanediana, svelandone lapologia del potere personale e della sua asocialit sottese al mito del Potere. #42 Comment By franzecke On 16/01/2013 @ 2:01 pm @ Arrigo Manera Limmaginazione simbolica di una comunit passa attraverso linterpretazione dei testi perch la realt pensata sulla base di strutture ideative trasmesse dalla tradizione, innanzitutto scritta Ahia, m ricominciamo a litigare come lanno scorso ;) se ben ricordi infatti sono un fervente seguace delloralit e della sfera rituale come chiave di interpretazione della realt mitica, anche se non posso che essere daccordo con te se parliamo di cultura ebraica (in particolare di tradizione talmudica), e di mitologia comparata un po meno per quanto concerne il mito greco, ma lasciamo perdere Il rapporto tra Jesi e Benjamin mi pare strutturarsi intorno al loro essere ebrei della diaspora non credenti, senza dubbio, ma secondo me anche dal fatto di provenire entrambi da famiglie ebree assimilate: un aspetto questo che per quanto riguarda Benjamin viene affrontato in maniera piuttosto virulenta da Scholem nel suo libro in cui ricostruisce la storia del rapporto tra lui, sionista della prima ora, e il suo pi caro amico, ebreo marxista scettico. Credo sia in questo senso che mi viene in mente il giudaismo alessandrino, considerato in una prospettiva sincretistica, ma forse sbaglio. In ogni caso, ti ringrazio molto per la risposta e per il link dellarticolo, che legger con molto interesse. Un saluto #43 Comment By Little Commie Craig On 16/01/2013 @ 2:14 pm Quindi siamo daccordo! Non era sottinteso, perch la semiotica ufficiale (a Bologna almeno, dove come filone di ricerca sopravvive anche in forma istituzionalizzata c un corso di laurea specialistica dedicato, per capirci) non viene a capo di questa ambiguit. E lortodossia accademica, purtroppo, una rogna ben pi grossa dellortodossia marxista di un dato gruppo politico ;-) Altre due cose. Per antropologia filosofica si possono intendere un sacco di cose, fra loro molto diverse. Incluse le teorie di Scheler, Gehlen e Plessner, recuperate ad esempio da Galimberti e ripensate alla luce dellesistenzialismo heideggeriano nei suoi imperdibili tomi taglia&incolla (Psiche e Techne su tutti). Rompere con certo culturalismo retrivo (che flirta proprio con il peggiore pensiero di destra), secondo me vuol dire anche rompere con le vecchie etichette, laddove queste lascino margini di ambiguit cos pesanti. Poi. Le pratiche di autorit, violenza e potere restano, secondo me, formazioni sovrastrutturali. Quando parlo di base materiale intendo, nello specifico, proprio i buoni, vecchi rapporti di produzione e la loro evoluzione storica legata alle vicissitudini della specie umana. Autorit, violenza e potere, in altri termini, hanno come condizione la divisione della societ in classi e il monopolio dei mezzi di produzione da parte di una classe; al punto che non possono sparire se non nel momento in cui la societ umana diventa una societ senza classi. Ossia con il pieno e maturo raggiungimento del comunismo.

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Poi, chiaro, la sfera culturale ha una sua relativa autonomia, e a tratti evolve anche in maniera indipendente (pur seguendo, secondo me, la stessa logica di fondo dellevoluzione biologica e materiale). Il punto essenziale per chiarire secondo me questo: le idee diventano una forza materiale nel momento in cui si trasformano in strumenti al servizio delle rivendicazioni politiche di una determinata classe sociale; nel momento in cui, cio, diventano un ingrediente dei rapporti di forza fra le classi. A titolo di esempio, e per restare nellambito del pensiero di destra, valga lanalisi straordinaria di Mosse sulle origini culturali del nazionalsocialismo. #44 Comment By ldtxv On 16/01/2013 @ 4:05 pm Microscopico appunto sulla citazione un pochino facilona su Sorel: il mito Soreliano solidamente marxista, anche se nel sentito dire viene automatico associarlo al fascismo. Ma solidamente marxista: non una commemorazione vitalistica della violenza, ma una tattica politica atta a rimettere in moto il sistema capitalistico, il cui pieno sviluppo precondizione del socialismo. #45 Comment By arrigo malera On 16/01/2013 @ 5:49 pm Credo che non sia affatto facilona, anzi questo il punto: Sorel il padre del mito politico, viene letto da Mussolini e da Lenin. Quanto scrive le Riflessioni sulla violenza (1907) nella fase anarco-sindacalista. I marxisti devono credere nello sciopero generale come i cristiani allapocalisse, da qui viene la loro forza. Non una chiara ipoteca escatologica e metafisica? La storia poi non finisce bene: Sorel entra nellAction Francaise nel 1913: la nazione deve sostituire la classe dei proletari in cui lui non crede pi. Cio entra nel primo importante movimento nazionalista europeo, di quella Terza repubblica francese che secondo Sternhell crea la destra moderna. Mussolini fa lo stesso (sostituisci la classe con la nazione come soggetto rivoluzionario) da massimalista del Psi con lo scoppio della guerra; molti anarco-sindacalisti diventano futuristi e poi fascisti alla fine della guerra. #46 Comment By ldtxv On 16/01/2013 @ 6:32 pm Non proprio cosi Mussolini dichiara di aver letto Sorel (verosimile) ad un rotocalco francese, poco dopo la marcia su Roma. Lenin cita Sorel una volta sola, e lo cita dandogli del esprit-brouillon, del confuso, in Materialismo ed Empirocriticismo. I marxisti devono credere nello sciopero generale come i cristiani allapocalisse, da qui viene la loro forza. Questo dice Sorel? No, questo il Sorel per sentito dire. Sorel riflette sullattualit del Marxismo in tempo di contrazione capitalistica, ed arriva a suggerire che solo cercando lo scontro di classe si pu riportare la borghesia al suo ruolo storico, e dunque creare le condizioni del socialismo. Il mito Soreliano una variante sul tema della coscienza di classe: determinazione di una volont collettiva, espressione della classe operaia. C ZERO escatologia nelle Riflessioni, e nel pensiero Soreliano in generale. Sorel non mai entrato nellAction Franaise. Ha scritto una recensione allamico Pguy sul loro giornale nel 1910, ed una lettera a seguire nello stesso anno. Alcuni anni prima aveva ripubblicato in una rivista vicina ad ambienti Maurrassiani un suo vecchio articolo italiano: comme ils citent continuellement mes livres, je ne pouvais leur nier une collaboration de ce genre scrive a Croce. Per il resto, ci sono tentativi di riviste falliti con gente de lAF, e qualche simpatia reciproca. Culture di destra e di sinistra che si opponevano alla III Repubblica. Nel clima avvelenato post-Dreyfus, questo ed altro era possibile. la nazione deve sostituire la classe dei proletari in cui lui non crede pi. Quando sarebbe che Sorel parla di comunit nazionale come soggetto rivoluzionario? Confondi Sorel con alcuni suoi discepoli, che effettivamente tentarono quella strada, aprendo la poco fortunata rivista Cahiers du Cercle Proudhon, nella quale si tenta la sintesi di cui tu parli. Ma intellettualmente poco pi che un rancore semi-articolato contro la terza Repubblica, sul quale c molto da dire. Ma soprattutto, non una strada tentata da Sorel. Che, anzi, dedica gli anni finali della sua vita ad una raccolta dei suoi scritti socialisti (il cui emblematico titolo Materiali per una teoria del proletariato ) ed al progetto di un libro su Proudhon. I danni che ha fatto Sternhell al povero Sorel sono grandi. Ma un pensatore da leggere, per andare oltre la leggenda ed il sentito dire. #47 Comment By arrigo malera On 16/01/2013 @ 6:58 pm vediamo, le mie fonti sono H. Stuart Hughes, Coscienza e societ e Sternhell, prometto di approfondire e di raddrizzare eventualmente il tiro sulla biografia di Sorel, adesso non ho strumenti precisi; possibile anche che non conosca bene Sorel e che abbia confuso lui e suoi discepoli. Il testo di Sorel per dice: noi sappiamo che lo sciopero generale , per lappunto, il mito in cui viene a compendiarsi il socialismo, nella sua interezza. un organismo di immagini capaci di evocare, con la forza dellistinto, tutti i sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra, impegnata nel socialismo contro la societ moderna. Gli scioperi hanno fatto fiorire nel proletariato i sentimenti pi nobili, pi profondi, pi fattivi, chesso possegga. Lo sciopero generale li unisce tutti, in un quadro dinsieme; d a ciascuno di essi, riunendoli insieme, la massima intensit. () Noi otteniamo cos quella intuizione del socialismo che il linguaggio non poteva fornirci in modo perfettamente chiaro e lotteniamo, in un insieme percepito istantaneamente. ancora: le costruzioni di un avvenire indeterminato nel tempo possono avere una grande efficacia quando [...] si tratta di miti che racchiudano le tendenze pi spiccate di un popolo, di un partito o di una classe; che, con la tenacia propria degli istinti, si presentano allo spirito in tutte le circostanze della vita; che infine diano un aspetto di piena realt alle speranze di prossima azione su cui si fonda la riforma della volont. G. Sorel, Le riflessioni sulla violenza, Laterza, 1974, p. 183-184; p. 180. Per me questa cripto-escatologia. La mia opinione peraltro pu essere irrilevante. Per Jesi questa cultura di destra. Scrive che una coscienza di classe degna di questo nome non si pu fondare sul mito, troppo pericoloso. se Sorel pensava di scrivere per il socialismo e i suoi allievi diventano nazionalisti mi sembra una conferma. #48 Comment By ldtxv On 16/01/2013 @ 7:17 pm Stuart Hughes buono, Sternhell molto meno. Il discorso lungo e non fattibile qui. Ci sono molti elementi da tirare in ballo, contesti filosofici, contesti politici ed anche elementi biografici. Ma non c nessuna escatologia in Sorel, il cui pensiero dominato dallidea della contingenza fondamentale del processo storico. Questo il vero Sorel, il Sorel che non ha mai pensato alla comunit nazionale come soggetto rivoluzionario, che non si mai iscritto allaction franaise, e soprattutto il Sorel che ha pubblicato centinaia di testi oltre le Riflessioni. Poi c il Sorel per sentito dire che resiste, anche perch latitano gli studi seri. A questo proposito: Georges Goriely, Le Pluralisme Dramatique de Georges Sorel, Paris, 1962. #49 Comment By Wu Ming 1 On 16/01/2013 @ 7:23 pm @ ldtxv, alcune cose: nei primi anni Novanta, incuriosito dal capitolo su Georges Sorel nel libro Il marxismo introvabile di Daniel Linderberg (capitolo intitolato Un sole nero o lazione), lessi le Riflessioni sulla violenza. Pensa che le trovai in unedizione inglese, su una bancarella. Negli anni successivi, rimuginai sulle intuizioni di Sorel e, insieme ad altri compagni, cercai velleitariamente di rimetterle in gioco. Pensavo si potesse riprendere il nocciolo di quella proposta mitopoietica, in un diverso contesto storico, con una diversa composizione dei movimenti e, ovviamente, con alcune cautele di fondo. Il Furio Jesi di Letteratura e mito mi/ci aveva messi in guardia, dicendo che era pericoloso, ma non lo ascoltammo, o meglio: lo ascoltammo, ma pensavamo di potercela cavare. Tracce di quella lettura di Sorel si ritrova in una mia conferenza (abortita) del 2001: Tute bianche: la prassi della mitopoiesi in tempi di catastrofe Eravamo gi (poco) dopo Genova e non credevo fino in fondo a quel che stavo dicendo, avevamo gi fatto esperienza delle conseguenze nefaste della convocazione mitica. Ma in pubblico ero ancora restio a trarne tutte le conseguenze. Gi in quel testo prendevo Sorel con le pinze, ma in buona sostanza pensavo (con meno convinzione di prima, ma ancora lo pensavo) che si potesse usare la sua cassetta dei martelli (non cerano altri strumenti: niente viti o cacciaviti, solo chiodi e martelli, era uno che inchiodava e smartellava, non uno che smontava, oliava i pezzi, rimontava: diceva che andava prodotta UNimmagine dello scontro) La nostra posizione del 2002 precisamente quella che poi abbiamo criticato con durezza nel 2009. E labbiamo criticata anche ricordando la frase con cui Jesi, ai tempi, ci aveva messi in guardia. Non si pu mobilitare qualcuno facendo affidamento sulla sola tecnicizzazione di un mito di lotta e poi sperare che i soggetti mobilitati siano in grado di criticare il loro movente mitico; non si possono evocare potenze irrazionali e poi sperare che il movimento sia abbastanza maturo da controllarle. - Io credo che il mito soreliano sarebbe di destra anche se Sorel fosse stato il pi sperticato elogiatore del marxismo, e anche senza gli ambigui pencolamenti del suo propagandista. Ambigui, s, perch anche se non ader allAF, comunque ne frequent gli esponenti e la pubblicistica, contribuendo a creare quella interzona tra estrema destra ed estrema sinistra che poi si sarebbe popolata di discorsi protofascisti, spesso fatti da suoi allievi o ammiratori. Si form uno spazio di convergenza dove gli enunciati erano in continua, pericolosa oscillazione da un polo allaltro. Il mito soreliano sarebbe comunque di destra, perch in nuce manipolatorio e autoritario, pavloviano, uno stimolo inteso a sollecitare *una* risposta e non altre. La classe descritta come protagonista dello scontro, ma in realt un ricettore di enunciati preparati altrove, sono al lavoro intellettuali tecnicizzatori, facitori di mito. - Avrei unaltra cosa da dire, ma per poterla dire devo farti una richiesta di fonti: potresti citarmi il testo dove Sorel dice che il mito dello sciopero generale serve a far ripartire il capitalismo e assicurarne il pieno sviluppo? Grazie. #50 Comment By ldtxv On 16/01/2013 @ 7:40 pm Il mito soreliano sarebbe comunque di destra, perch in nuce manipolatorio e autoritario, pavloviano, uno stimolo inteso a sollecitare *una* risposta e non altre. La classe descritta come protagonista dello scontro, ma in realt un ricettore di enunciati preparati altrove, sono al lavoro intellettuali tecnicizzatori, facitori di mito. No, no, no, proprio il contrario. Lastio nei confronti di una classe intellettuale manipolatrice (giacobinismo nel vocabolario di Sorel) un tratto fondamentale di tutti i suoi scritti socialisti.

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Nelle stesse Riflessioni centrale la differenza tra mito (espressione della volont collettiva di una realt sociale) ed utopia (prodotto intellettuale e modello di societ). Sorel insiste lungamente sul fatto che solo lutopia pericolosa, precisamente in quanto contenente istruzioni precise sullorganizzazione della futura societ socialista. Ma cio 1-assurdo (perch il futuro non conoscibile) e 2-pericoloso, perch svuota la specificit di classe della rivoluzione. Sulla tua richiesta di fonti, io penso che questo sia quello che emerga da una lettura comparata delle Riflessioni e del libro che lo precede, gli Insegnamenti sociali delleconomia contemporanea, un testo del, se non sbaglio, 1907. Il sottotitolo del libro : decadenza capitalista e decadenza socialista, e li argomenta che laissez-faire e marxismo sono ideologie proprie ad un sistema capitalista in espansione, mentre socialdemocrazia e protezionismo caratterizzano un sistema economico in crisi. E questa crisi, questa contrazione delle forze produttive, che determina la decadenza capitalista e la decadenza socialista. PS: Il saggio di Lindenberg scritto bene, ma nelledizione Francese il titolo del capitolo su Sorel il brutto anatroccolo (le villain petit canard). Di quale edizione parli? Di quella del 75 o del 79? Curiosa, comunque, come traduzione. #51 Comment By girolamo On 16/01/2013 @ 7:44 pm Credo che la rivista a cui fa riferimento @ldtxv sia LIllustration, nel 1932. Non ho a mano quellintervista, ma se Mussolini dice di aver letto le Riflessioni sulla violenza solo dopo la marcia su Roma mente: nel 1909 Mussolini lo recens, subito dopo aver recensito La teoria sindacalista di Prezzolini. A mia memoria (ma non ricordo la fonte), Mussolini ha ri-letto le Considerazioni nei giorni della detenzione, assieme a Pietro Nenni, per il boicottaggio dei treni che portavano i soldati alla guerra di Libia. Lasciando da parte le molte ambiguit del Sorel degli anni Dieci e Venti, e le letture strumentali della destra francese, che il mito di Sorel sia solidamente marxista difficile da sostenere. Sorel allarga linterpretazione dellXI tesi su Feuerbach (influenzato certo da Bergson e Le Bon (ahi ahi ahi ), spostandone il significato tutto sul momento dellazione che cambia il mondo, sino a negare valore alla conoscenza del mondo. Per Sorel la realt dominata da forze irrazionali ed quindi inconoscibile tanto dalla scienza storica, quanto dalla scienza vera e propria: non vi nessun procedimento che ci permetta di prevedere lavvenire in modo scientifico, o di discutere della superiorit che certe ipotesi possono avere rispetto ad altre (pp. 215-16 delled. UTET, cap. IV). Questo non solo non conciliabile col materialismo scientifico di Marx, che crede che nella storia ci agiscano leggi razionali, che queste leggi siano conoscibili, e che la loro conoscenza possa migliorare lazione di modifica dello stato di cose esistenti. Ma molto vicina, nel suo irrazionalismo, a un filone ben preciso del pensiero reazionario italiano (e non solo) che fa dellinconoscibilit del reale, e quindi della natura irrazionale della realt, un canone che sfocia nellaccettazione dello stato di cose esistente, o nellesaltazione dei pochi che sono capaci di compiere il salto nel buoi e guidare lazione: da Guicciardini a Mussolini, per intenderci. Non per caso uno dei pi raffinati intellettuali fascisti, Nello Quilici, scrive negli anni Trenta saggi anti-machiavelliani in cui esalta Guicciardini proprio sul tema dellinconoscibilit e dellirrazionalit della vita. Su questo sfondo, il mito in Sorel un mito tecnicizzato: lo stesso Sorel afferma pi volte che lunico criterio dirimente quello funzionale, non la pretesa aderenza del mito alla realt. Banalizzando, Sorel ritiene che non sia importante che il contenuto del mito sia vero: importante solo che funzioni. E fa del mito una sorta di trascendentale storico, in cui non fanno differenza le condizioni materiali del mito stesso, n i diversi soggetti cui afferisce: lesperienza ci prova che le costruzioni di un avvenire indeterminato nel tempo possono possedere una grande efficacia presentando ben pochi inconvenienti, allorch tali costruzioni siano di una certa natura; ci che si verifica quando si tratta di miti nei quali si ritrovano le pi forti tendenze di un popolo, di un partito o di una classe (sic) (p. 216). Il che non toglie che ci siano aspetti di Sorel che possono essere letti a sinistra (la sua critica al revisionismo e alla deriva parlamentaristica, ad es.): ma che lo sfondo su cui si muove la teoria del mito possa altres essere assimilato da una lettura reazionaria mi pare difficile da negare. #52 Comment By girolamo On 16/01/2013 @ 7:48 pm @ ldtvx, WM1, Malera Il mio commento qui sopra riferito allintera discussione che segue il commento di @ ldtvx delle 4:05pm. Purtroppo ho sbagliato a cliccare (in realt non capisco come funzioni questo sistema di commenti). Gli ultimi due commenti, quello di @WM1 e lultimo di @ ldtvx, sono stati pubblicati mentre scrivevo, e quindi non li avevo letti. #53 Comment By ldtxv On 16/01/2013 @ 7:50 pm Ed invece lo nego ;) Questo non solo non conciliabile col materialismo scientifico di Marx, che crede che nella storia ci agiscano leggi razionali, che queste leggi siano conoscibili, e che la loro conoscenza possa migliorare lazione di modifica dello stato di cose esistenti. E proprio contro ci che si muove il Marxismo Soreliano, influenzato da fonti nostrane (Labriola, Croce e Vico). La prassi rivoluzionaria anche un modo conoscitivo, poich le uniche realt sociali che si possono conoscere sono quelle create dagli uomini stessi: verum ipsum factum. Non c da stupirsi che Lenin non abbia gradito: col suo materialismo brutale, tutto questo doveva essere solo filosofumo. Ma questa la base idealistica del Marxismo soreliano. La stessa base idealistica di Gramsci oserei dire, che infatti stronca il Lenin di Materialismo ed Empirocriticismo. PS: Era proprio lillustration. E mi ero confuso fra 1932 e 1922. #54 Comment By Wu Ming 1 On 16/01/2013 @ 8:01 pm Intanto segnalo la risposta di Girolamo, che secondo me dice meglio cose che ho detto male io. Su Lindenberg, ce lho qui davanti: edizione Nuovo Politecnico 98 Einaudi 1978, traduzione delledizione Calmann-Lvy del 1975, capitolo secondo: Un sole nero o lazione: Georges Sorel. Sul fatto che Sorel contestasse le lites del movimento operaio e socialista e il giacobinismo, vero, ma almeno nelle Riflessioni mi sembra alludere continuamente a unaltra lite, unlite invisibile e informale. Sono costoro che devono impugnare il mito dello sciopero generale e sventolarlo davanti alla classe come fa il toreador col suo drappo rosso. Pu darsi, naturalmente, che la mia sia una lettura influenzata da anni di militanza nei movimenti e di innumerevoli assemblee orizzontali, senza leader, dove si diceva che lassemblea era lunico sovrano, si contestava la presenza di realt organizzate, si esprimeva una critica della prassi di votare e decidere per maggioranza perch sarebbe stata una modalit autoritaria e para-parlamentare etc., Dentro quelle assemblee non si prendeva una sola decisione, per il semplice motivo che erano gi state prese prima. Listituzione sovrana era in realt il corridoio, o una stanzetta dove si era riunito il gruppo ristretto. Erano in azione lites e correnti informali e strategie invisibili di condizionamento della discussione, tramite la disposizione delle persone nella sala, il volume della voce, gli interventi che si confermavano a batteria, il linguaggio del corpo, la disponibilit a rimanere pi a lungo di altri che la mattina dopo dovevano alzarsi per andare a lavorare etc. etc. Sai quante assemblee ho visto vincere in modo sottilmente autoritario da pretesi libertari? Tutte quelle che ho visto. E a volte, shame on me, tra quei pretesi libertari cero anchio. La condanna a parole (anche molto energica) di caste burocratiche, dirigenze codine, lites prevaricanti, autoritarismi, spesso accompagnata dallapologia tra-le-righe di unlite diversa. Fossanche llite che impedisce lazione di altre lites, comunque un corpo separato. E se un corpo separato che ricombina in modo strumentale e incanala materiali mitologici che devono sollecitare nella classe una precisa risposta, llite pi pericolosa. #55 Comment By Wu Ming 1 On 16/01/2013 @ 8:03 pm Devi cliccare sul bottone Reply che sta sotto lo specifico commento al quale vuoi rispondere. Se non c, perch sono finiti i livelli, e allora basta che risali fino al primo bottone utile, e clicchi quello. #56 Comment By girolamo On 16/01/2013 @ 8:05 pm Che facciamo, @ldtxv? Ci rivolgiamo a un trascendente oltre-umano pseudoplatonico dal cui punto di vista commisurare le nostre tesi, o ci accontentiamo di aver fornito argomenti a supporto delle rispettive tesi? ;-) #57 Comment By girolamo On 16/01/2013 @ 8:05 pm Ok, chiss se lo imparo. Nel frattempo mi scappato un altro commento fuori posto,vabb #58 Comment By Wu Ming 1 On 16/01/2013 @ 8:15 pm Devo dire che, finora, questa discussione non mi sta piacendo granch. Evidentemente dobbiamo avere sbagliato qualcosa nel post Pensavamo di averlo impostato in modo anche molto *politico*. Abbiamo suggerito possibili usi della cassetta degli attrezzi di Jesi nel presente, per leggere fenomeni (e pericoli) di adesso, e speravamo che un po di spunti che abbiamo gettato sulla differenza destra-sinistra e la cultura di destra che c a sinistra, il mito politico, il M5S, gli odierni neofascismi, la cultura di massa reazionaria, i miti dei bei tempi etc. potessero interessare, incuriosire e sollecitare risposte anche, al limite, tra quelli che Jesi non lo avevano mai sentito nominare. Pensavamo che questa fosse la miglior introduzione possibile a Jesi, nonch il miglior omaggio. Spiegare come mai i fascisti lo odiano e spiegare perch le sue riflessioni sono utili nel presente erano per noi *la stessa cosa*. Per dobbiamo avere sbagliato qualcosa, perch la discussione molto, molto teoretica, filosofica nellaccezione pi autoaggrovigliante, con un sacco di teorie e letture date per scontate, un sacco di nomi di filosofi e semiologi (davvero un sacco di name dropping!). Una discussione che rischia di far sentire inadeguati molti lettori, e dunque di essere respingente, ottenendo quindi leffetto contrario che ci eravamo proposti. Jesi non certo un autore facile, ma come ha scritto Diserzione nel suo commento: anche non capendo tutto subito, quel che si capisce mette in moto sinapsi, fosse solo perch Jesi afferra cose che stanno in cielo, trascendenti, e le porta a terra, nellimmanenza, nella storia. Scusate lo sfogo, ma volevo condividere questo disagio. #59 Comment By ldtxv On 16/01/2013 @ 8:42 pm Vada per la seconda, gi una soddisfazione in se. :) PS: Ci si pu tenere in contatto? #60 Comment By ldtxv On 16/01/2013 @ 8:58 pm Ammazza che riflessione amara posso solo aggiungere che te hai quello che a Sorel mancava, e cio lesperienza concreta della politica.

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#61 Comment By dovic On 16/01/2013 @ 9:40 pm Ringrazio tutti per le ottime risposte. Dopo aver pubblicato il mio intervento mi sono defilato a causa di impegni di studio e ora anche per malattia (sigh), ma mi riprometto di approfondire gli argomenti e i link che mi avete segnalato. #62 Comment By punto_fra On 16/01/2013 @ 9:58 pm Io ne so poco ma non per questo mi sento *respinta*, anzi trovo la discussione molto interessante; certo non che abbia granch da aggiungere ma in una discussione a volte si partecipa in modo intenso anche solo ascoltando. Secondo me nel post non c niente di sbagliato, per c da dire che molto lungo e denso e quindi se uno parte da zero o poco pi (io so di Jesi solo quello che ho letto qua sopra anche in altre occasioni) leggere, metabolizzare, sintetizzare e sviluppare un discorso autonomo richiede un certo tempo e impegno. #63 Comment By VecioBaeordo On 16/01/2013 @ 10:00 pm interessare, incuriosire e sollecitare risposte anche, al limite, tra quelli che Jesi non lo avevano mai sentito nominare spiegare come mai i fascisti lo odiano e spiegare perch le sue riflessioni sono utili nel presente Una discussione che rischia di far sentire inadeguati molti lettori, e dunque di essere respingente, ottenendo quindi leffetto contrario che ci eravamo proposti ma quindi la voce delle masse ignoranti quella che vi preme? Stai dicendo che non era tra voi, ma era per noi? E questo il senso della metafora della cassetta degli attrezzi? #64 Comment By franzecke On 16/01/2013 @ 10:01 pm Stento a crederlo, ma per una volta sono totalmente daccordo con te ;) sembra una gara a chi ce lha pi lungo. Peccato, anche perch credo che molti degli autori che sono stati citati finora funzionino molto meglio fuori dallaccademia Jesi in primis. #65 Comment By punto_fra On 16/01/2013 @ 10:23 pm sembra una gara a chi ce lha pi lungo io invece PER UNA VOLTA ;-)) non ho avuto questa impressione. Leggo pi entusiasmo che esibizionismo #66 Comment By dovic On 16/01/2013 @ 10:36 pm Sottoscrivo. E una cosa che qualche volta capita, da queste parti. E anche uno dei motivi che mi fanno continuare a leggervi, perch meno ci capisco un cazzo pi voglio capirci, ma non so se sia per tutti cos. Non ho trovato da nessunaltra parte una situazione in cui gli utenti di un blog sono altrettanto, se non pi, preparati degli autori, e su uninfinit di argomenti. Da un lato una grandissima opportunit di confronto o, almeno nel mio caso, di crescita e apprendimento, ma quando succede, come in questo caso, che si prenda il volo verso paradisi interstellari della filosofia politica, il mio complesso di inferiorit mi dice che nel mio corpo non c pi spazio per tutti e due. E io sono il primo a irritarmi quando sento molte persone dire di non fare lintellettuale, come se questepiteto fosse ormai diventato un insulto. Per se facciamo cos stiamo per primi porgendo le terga a questo genere di discorsi (da residuo culturale di destra, ma senza lusso spirituale stavolta). Peace. #67 Comment By arrigo malera On 16/01/2013 @ 10:44 pm io abbasso subito il tiro con due cose, una di attualit e una di riflessione, ho trovato due cose che mi incuriosiscono sul tema culture di destra: i nazionalbolscevichi (su cui vorrei sapere di pi) che mi sembrano simili agli ungheresi di Jobbik luso che sul sito di casapound (che stato linkato) si fa delle modelle tricolore, una versione aggiornata delle copertine di fausto papetti, delle copertine di panorama o comunque delluso berlusconiano del corpo femminile. machismo classico o qualcosa di pi? #68 Comment By Filippo On 16/01/2013 @ 11:30 pm Pensavamo di averlo impostato in modo anche molto *politico*. Abbiamo suggerito possibili usi della cassetta degli attrezzi di Jesi nel presente, per leggere fenomeni (e pericoli) di adesso [...] Una discussione che rischia di far sentire inadeguati molti lettori, e dunque di essere respingente, ottenendo quindi leffetto contrario che ci eravamo proposti Sebbene condivida lopinione di alcuni giapster, ovvero che spesso trovo piacevole anche solo ascoltare, in questo caso leggere, discussioni dal livello cos alto e che altrettanto bello constatare come in questo blog autori e commentatori sono in tutto e per tutto allo stesso livello, il senso di inadeguatezza da me provato evidente. Larticolo in s un bel malloppo e per me non tanto semplice, tra impegni vari ci ho messo tre giorni a leggerlo per intero, ma mi sono intestardito nel farlo dal momento che la figura di Jesi stata pi volte ripresa in questo blog. Insomma desideravo farmi unidea di questo personaggio, conoscerlo, sapere cosha fatto, cosa pensava. La volont di innescare una discussione politica attuale espressa dallo sfogo da WM1 lho colta, tanto che finita la lettura mi sono precipitato sui commenti alla ricerca di qualche spunto del genere, ma niente. Per quanto mi riguarda i miei possibili spunti e domande sono stati completamente annullati dallo sforzo di capire almeno un venti per cento dellargomento =) Al momento mi sento tanto una voce della massa ignorante citata da @VecioBaeordo. Ma se posso fare una piccola critica il mio senso di inadeguatezza deriva tutto dallimpostazione molto filosofica (molto evidente nei singoli termini, nelle parole usate) dellintervento a tre. Speravo di leggere una spiegazione per principianti, una semplificazione del pensiero di Jesi, anche se da quel che ho capito questa molto difficile, o impossibile, da fare. #69 Comment By franzecke On 16/01/2013 @ 11:33 pm @ Manera Non credo sia machismo in senso classico: secondo me piuttosto la versione Terzo Millennio del lusso spirituale di cui sopra. Evidente funzione decorativa, kitsch in senso stretto, e poco altro.. #70 Comment By franzecke On 16/01/2013 @ 11:40 pm @ Filippo Speravo di leggere una spiegazione per principianti, una semplificazione del pensiero di Jesi, anche se da quel che ho capito questa molto difficile, o impossibile, da fare. Secondo me non affatto impossibile, io sono privo di qualsiasi formazione filosofica eppure Jesi lho letto, (credo) di averci anche capito qualcosa, e lo utilizzo sempre con grandissima, direi quasi inestimabile, utilit. In questo senso, il lavoro di *divulgazione* operato dai nostri ospiti aiuta parecchio. #71 Comment By franzecke On 17/01/2013 @ 12:03 am E a proposito visto che si parla di Jesi, e che di conseguenza lombra lunga di Kernyi si allunga inesorabile sulla nostra discussione, credo che un buon omaggio nei confronti di tale maestro potrebbe essere tirare un po in ballo quanto sta avvenendo in Ungheria io ne so davvero poco, ma *per quel poco che ne so* sembra proprio una storiaccia. #72 Comment By arrigo malera On 17/01/2013 @ 9:47 am nel frattempo ho ancora pensato che cosa mi incuriosisce: la possibilit di capire quale lo stile estetico e visuale della cultura di destra e come muta nel tempo, il kitsch ad esempio, lo per noi, ma non percepito tale da chi lo usa e piene mani e ci vince le elezioni ad esempio, o ci conquista le periferie. iconografia, ma anche tratto grafico, editing, immaginario, stile di quel kitsch spirituale e oggi erotico che probabilmente vuole essere vitalista e edonista. un sito filo-fascista lo vedi dai colori e dai font. per quanto riguarda laspetto teorico del forum, molto dipende dalla mia impostazione, credo, che riflette la complessit delluomo-Jesi: chi conosce la letteratura sa che questo davvero uno sforzo di urbanizzare Jesi. Uno sforzo di non essere esoterici o autoreferenziali, credo davvero che Giap sia una eccezionale palestra dellardimento (quella del gruppo Tnt ovviamente) in cui discutere alla pari e condividere: abbiamo voluto molto, soprattutto Roberto di partire da l per dire sulloggi. Limpressione che ho avuto io che essendo tutti abbastanza daccordo sugli esiti pratici in termini politici ci sia un forte bisogno di chiarire ed esplicitare i fondamenti di quello che si pensa, che comunque una sana forma di riflessione. Suona lintervallo ed entro in classe, un abbraccio, #73 Comment By Little Commie Craig On 17/01/2013 @ 10:46 am Il vostro dialogo a tre mette sul piatto un sacco di questioni, e secondo me anche normale che alcuni rami della discussione finiscano per impantanarsi in un dibattito pi filosofico o storicofilologico. Mi dispiace aver contribuito a questa deriva respingente, per la tentazione in questo caso stata troppo forte: per la prima volta mi capitato di trovare un contesto, al di fuori della palude accademica, in cui riprendere e rimettere in gioco alcune idee e suggestioni che avevo lasciato per anni a prendere polvere in un cassetto. Se ho esagerato con il name dropping mi scuso; potevo sicuramente esprimerle con meno enfasi. Poi devo anche dire che non mi sembravano troppo OT, visto che voi per primi riconoscete che un utilizzo appunto *politico* di Jesi va fatto anche rispetto ai residui culturali di destra nel pensiero di sinistra; un utilizzo che spinge certamente su un crinale difficile e pericoloso, sul quale per bisogna prima o poi incamminarsi, consapevoli del fatto che si pu scivolare nel burrone

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da un momento allaltro e che qualche parete un po ostica va comunque scalata (senza un ragionamento approfondito sul significato del materialismo dialettico, ad esempio, diventa difficile secondo me valorizzare fino in fondo il potenziale critico ed emancipativo del marxismo). Ho letto avidamente gli interventi su Sorel, del quale conosco quasi nulla, e che mi hanno invogliato ad approfondirlo, magari in futuro. E non la prima volta che discussioni pi specialistiche qui su Giap mi aiutano a incrociare qualcosa di nuovo. Penso che le discussioni servano anche a questo, dopo tutto :-) Pi che altro, in ogni discussione anime diverse e registri diversi forse possono anche convivere. Fermo restando che, laddove si genera uno squilibrio cos forte, diventa necessario riequilibrare. #74 Comment By Zimisce On 17/01/2013 @ 11:26 am Azzardo una risposta sui nazionalbolscevichi russi. Per quanto riguarda le loro imitazioni italiane c il sempre verde articolo di Evangelisti per Carmilla sui rossobruni: http://www.carmillaonline.com/archives/2010/07/003561.html Il libro di Carrere su Limonov ha dato ai nazionalbolscevichi unimprovvisa popolarit fuori dalla Russia, ma per approfondire la questione al di l delle chiacchiere alla moda basta buttare un occhio ai vecchi testi di Limonov (in inglese) su exiledonline (non lo linko, c Google): si tratta di una riproposizione da manuale del polpettone ideologico a l Jesi. Tento una sintesi storica: i nazbol nascono contestualmente alla caduta dellUnione sovietica dallincontro fra Limonov e Aleksandr Dugin, rispettivamente leader carismatico e ideologo. Ne esce un partitino che si allea di volta in volta ai nazionalisti o ai comunisti. Per farla breve, ad un certo punto Limonov e Dugin litigano. Oggigiorno Limonov sta cercando di darsi una patente di rispettabilit: si era alleato con i liberali di Kasparov e ha dovuto cambiare nome al partito (ora si chiama Russia unita). Di recente ha anche affermato il carattere antifascista del nazionalbolscevismo. Si tratta di unescamotage, probabilmente, ma interessante perch il modo pi efficace per sgamare i nn nostrani proprio chieder loro cosa pensano dellantifascismo (vedi Grillo e casaclown). Pi inquietante la parabola di Dugin: dopo la separazione da Limonov ha fondato un centro di studi eurasiatici con i soldi del Cremlino e sta tentando, con non molto successo, di diventare il Ras-putin di Zar Putin. La sua corrente nazionalbolscevica pone laccento in modo pi netto sul nazi: Dugin vagheggia unimpero eurasiatico che unisca la Russia allEuropa e si allei con la Cina e il mondo musulmano (percepito ovviamente come un blocco monolitico) contro gli Usa. Nel nome de che? Ma della TTTTradizione, ovviamente. E qui veniamo al punto: uno dei pi importanti riferimenti ideologici di Dugin (forse il principale) Julius Evola. Linfluenza del vecchio cialtrone arrivata a farsi sentire fino in Russia, dove alle sue idee si ispira un movimento piccolo ma certo non insignificante. Dugin a sua volta un tipo pericoloso: in Italia in diretto contatto con la rivista Eurasia (di cui fanno parte anche autori italiani non immediatamente riconducibili allestrema destra, buttate un occhio). Anche in Turchia sembra che Dugin fosse in contatto con le parti pi golpiste dellesercito, e fino a qualche tempo fa cera anche un partitino eurasiatista a lui ispirato. Quanto alla somiglianza dei nazionalbolscevichi con Jobbik non saprei: mi sembra che gli ungheresi abbiano un approccio pi retr. Un po la differenza che passa in Italia fra forza nuova e casaclown, per intenderci. #75 Comment By Zimisce On 17/01/2013 @ 11:27 am Uffa, voleva essere una risposta ad Arrigo Malera ma nemmeno io riesco ad agganciare il commento ai precedenti, scusate! #76 Comment By Wu Ming 1 On 17/01/2013 @ 11:33 am Ma che vi succede a tutti allimprovviso? :-D *Dentro* la finestrella di ogni singolo commento, in basso a destra, c scritto Log in to reply (se non si ancora fatto il login) o semplicemente reply. Quello serve per rispondere al commento specifico e avviare o proseguire una sottodiscussione. Invece, *in fondo* allintera conversazione, in mezzo alla colonna centrale, c la finestrella per scrivere un commento che non risponde a nessuno in particolare, o genericamente a tutti, o propone unosservazione ex novo. Se altri vorranno replicare, anche quella diventer una sottodiscussione. #77 Comment By Zimisce On 17/01/2013 @ 12:06 pm Errata corrige: il partito di Limonov si chiama Altra Russia, Russia unita quello di Putin. (C lho fatta a ramificare!) #78 Comment By Zimisce On 17/01/2013 @ 12:07 pm Dio, ce lho fatta, non c. (davvero, cosa mi succede? :)) #79 Comment By girolamo On 17/01/2013 @ 12:43 pm @ ldtxv Certo che ci si pu tenere in contatto :-) #80 Comment By Anna Luisa On 17/01/2013 @ 1:15 pm leggere, metabolizzare, sintetizzare e sviluppare un discorso autonomo richiede un certo tempo e impegno. E di sicuro questa configurazione a commenti nidificati non aiuta: tutto un apri/chiudi, leggi su e leggi gi, avanti e indietro s, s lo so per quelli che twittano la lettura pi semplice, ma posso per due secondi fare la conservatrice? Sogno il ritorno a quellet delloro in cui su Giap i commenti erano a struttura lineare e ci si rivolgeva direttamente a Tizio o Caio usando la @. Quando i commenti al post sono lunghi e affrontano tematiche complesse (come questo) per me molto faticoso seguire (ma forse un limite mio). Perdonate lOT reazionario. #81 Comment By Wu Ming 1 On 17/01/2013 @ 1:26 pm In realt quello un vantaggio: quando ci sono digressioni ultratecnicofilosofiche o comunque ultraspecifiche, se rimangono confinate dentro un sotto-thread meglio. Senza la ramificazione, vedresti tutti i messaggi tutti di fila, tutti ugualmente importanti, e se ci sono 67 commenti di gara di piscio e solo il 68esimo interessante, ti devi comunque seguire tutta la gara di piscio. Invece, con la ramificazione, si fa il possibile perch le nostre gare di piscio non siano visibili subito, e quindi non ingombrino lo spazio e la percezione. Dovrebbe funzionare che uno d prima unocchiata al tronco principale della discussione, poi se ha lo stimolo apre le sottodiscussioni. Se vedi che un commento comincia tipo: La scotomizzazione parziale dellessere che gli esistenzialisti avevano frainteso a partire da Jaspers e vedi che gli hanno risposto in 23, per quale motivo al mondo dovresti cliccare e leggere il sotto-thread? Passi oltre e amen. #82 Comment By Anna Luisa On 17/01/2013 @ 1:41 pm Mmmh, dipende il fatto che se io resto lontano dal pc per alcune ore o magari un giorno, mi viene istintivo andare a recuperare tutto, ma proprio tutto (anche le sottodiscussioni) ci che stato scritto in mia assenza e un po mi perdo, comunque sicuramente un mio limite. #83 Comment By franzecke On 17/01/2013 @ 1:42 pm Non saprei, un discorso parecchio complicato. Di recente ho letto un libro di Hermann Broch su Hoffmannsthal, in cui il tema del kitsch, considerato come un sintomo di decadenza, era centrale. Secondo Broch il kitsch si manifesta sempre quando la funzione decade per lasciare il posto ad una forma che si riduce a semplice apparenza: per dirla con parole mie, il kitsch dunque quello che a Roma si definisce unimbastita. Ora, limpressione che ho ogni volta che mi trovo di fronte ai manufatti dellestrema destra italiana contemporanea soprattutto dellarea riconducibile a Casapound esattamente quella di trovarmi di fronte ad un accrocco semantico totalmente privo di fondamento, una sorta di frullatone in cui elementi eterogenei vengono mischiati senza alcun nesso logico, e in cui lelemento grafico/decorativo riveste una funzione centrale. Se c una cosa che possiamo evincere dalla pi recente storia politica italiana che il kitsch sembra funzionare alla grande, e lo dimostra il fatto che come dicevi giustamente tu serve a vincere le elezioni e a conquistare le periferie; in questo senso, mi sembra che i fascisti nostrani abbiano imparato molto bene la lezione del berlusconismo, e che al di l delle loro *chiacchiere* sulla Purezza dello Spirito che si incarna nei Cuori Arditi dei Giovani Ribelli e via cos, alla fin fine il loro immaginario si riduca ad una visione del mondo assai meschina, del tutto priva di sostanza, e decorata a va sans dire da ritratti di bonazze messe a pecora. Inutile aggiungere che tutto ci mi sembra estremamente pericoloso proprio perch, come dicevo prima, sono proprio queste stronzate ad abbindolare i ragazzini al giorno doggi, esattamente come succedeva quaranta anni fa con la paccottiglia esoteristica alla Evola/Gunon/Eliade e ottanta anni fa col simbolismo funerario legato al culto della Bella Morte. #84 Comment By Wu Ming 1 On 17/01/2013 @ 1:44 pm

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In quel caso, suggerisco di fare cos: - aprire sottodiscussione n.1 - leggerla - richiuderla (questo forse il punto pi importante. Una sottodiscussione si richiude cliccando di nuovo sul numero dei commenti; se si lascia tutto aperto, chiaro che poi non si capisce pi niente) - aprire sottodiscussione n.2 etc. #85 Comment By Anna Luisa On 17/01/2013 @ 2:14 pm Lo faccio gi. Comunque, come ti dicevo, di sicuro un mio limite ed anche giusto adattarsi ai cambiamenti. Let delloro non esiste. #86 Comment By arrigo malera On 17/01/2013 @ 3:14 pm grazie, storia molto istruttiva, sia per il momumentalismo e il collassare della sinistra sulla destra che per le forme mutanti Virus Evola, il gi citato Norman Manea, che un ebreo romeno che si fatto campi nazisti e interrogatori della securitate, ha scritto alcuni buoni spunti sul nazionalsocialismo del socialismo reale in Est Europa. #87 Comment By arrigo malera On 17/01/2013 @ 3:26 pm grazie per Broch, adesso metto da parte, mi hai fatto venire in mente che ne ha scritto Belpoliti in Crolli, che ora riprendo. anche Kundera, se ne occupato: il kitsch nasconde ci che considera inaccettabile nellesistenza ed il risultato del sentimento in sentimentalismo, nellinsostenibile leggerezza parla di dittatura del cuore e di accordo categorico con lessere. nel regno del kitsch totalitario le risposte sono date in precedenza ed escludono qualsiasi domanda. cultura di destra, insomma #88 Comment By franzecke On 17/01/2013 @ 4:02 pm Kundera, eh? Non conosco, ma quel che riporti mi sembra molto calzante. Il kitsch anche uno dei punti chiave per la lettura del lavoro sui Passages di Benjamin. Tutto torna un saluto #89 Comment By kzm On 17/01/2013 @ 8:35 pm Salve! Seguo giap da tempo ma questa la prima volta che commento. Ho trovato il post interessantissimo. Tra le altre cose mi pare illuminante la definizione primaria che WM1 d di destra e di sinistra. Sto cercando di inserire in queste definizioni lideologia liberista. (Forse il termine non usato nella maniera pi corretta, spero si capisca ci che voglio dire. Penso ai miti della mano invisibile, del self-made man, del sogno americano.) Mi aspetto che il liberismo rientri nella sfera della destra, ma ho delle difficolt a far combaciare i pezzi. Mi pare che lideologia liberista riconosca le differenze tra le classi sociali, ma sostiene che lultimo degli operai pu (in linea di principio, con impegno e fortuna e magari pure la grazia di dio) diventare il pi grande capitalista. Quindi si potrebbe dire che il mito del self made man finisce per nascondere le differenze di classe e che la societ armoniosa e concorde sia quella narrata nel mito del buon selvaggio. Tuttavia non riesco a vedere lelemento degli agenti esterni da espellere. Mi aiutate? :) #90 Comment By vectorsigma On 17/01/2013 @ 11:30 pm NON CENTRA UN TUBO (o quasi), ma visto che mi citi il vostro articolo revisionista su Genova, una cosa la devo dire. Nel 2001 avevo ventanni: avevo letto del Chiapas e di Marcos e della Teologia della Liberazione del Brasile. Non avevo mai sentito parlare di Q, Luther Blisset Quando andai a Genova, per me era mitico. Era la lotta del bene (noi) contro il male (voi, gli otto, le multinazionali,). Questo per dire che Genova era un mito, un mito di formazione, di passaggio, epocale *INDIPENDENTEMENTE* da Q. Non era un mito creato in laboratorio: era al 100 per cento genuino. Abbiamo perso? Si, ma analizzare la sconfitta dicendo che si era creato un mito errato cannare il frame. Siamo stati massacrati perch siamo andati alla guerra pensando che fosse un pic-nic. Perch le tute bianche dicevano una cosa ma ne facevano altre. Perch non cera accordo tra pacifisti e non. Perch non avevamo *coscienza*, o non era tanto avanzata quanto la situazione lo richiedeva. Ma, definitivamente, il mito cera ed era reale. A Genova ABBIAMO FATTO degli sbagli, ma non per questo Genova E STATA uno sbaglio. Un abbraccio #91 Comment By maurovanetti On 18/01/2013 @ 11:32 am @kzm Forse per i liberisti lagente esterno da espellere lo Stato, perturbatore del naturale e armonioso funzionamento del libero mercato. Altri agenti esterni che ostacolano la mano invisibile sono i sindacati, i diritti (se una cosa un diritto, gratis, e quindi il suo prezzo non determinato sul mercato), le leggi restrittive sul reclutamento della manodopera e sulle condizioni di lavoro ecc. Questa dottrina particolarmente esplicita nel caso degli anarco-capitalisti. Si tratta naturalmente di una contraffazione ideologica, perch anche i pi accaniti liberisti quando sono al governo non disdegnano affatto laiuto statale alle grande imprese private, a partire dalle banche, e in realt non pu esistere un libero mercato senza Stato. #92 Comment By Wu Ming 1 On 18/01/2013 @ 11:46 am La risposta in realt facilissima, basta guardare contro chi si sono scagliati quelli che si sono riempiti la bocca e ci hanno riempito le teste di narrazioni tossiche sul libero mercato, dalla Thatcher a Reagan e tutti i repubblicani USA, fino ai Tea Party etc. Oggi tutto andrebbe per il meglio se il mercato fosse stato lasciato al suo andamento naturale, e vivremmo in una comunit sana, giustamente basata sulla competizione che premia i migliori, e una societ che premia i migliori fa il bene di tutti quanti. Un tempo era cos, quando cerano i pionieri, poi per c stata una frattura: la sinistra e le minoranze, i liberal statalisti e i rossi nutriti di false idee provenienti da fuori, hanno turbato questequilibrio con rivendicazioni che hanno turbato il funzionamento del mercato, aiutando gli autoproclamati deboli, espandendo il ruolo dello stato in settori dai quali dovrebbe stare fuori, negoziando il costo del lavoro secondo criteri che ledevano gli interessi degli imprenditori (che sono gli eroi della storiella). Questo il frame di tutta la controrivoluzione capitalista iniziata allinizio degli anni Ottanta. Anche qui c unarmonia turbata da forze esterne, a conferma che questa narrazione intrinsecamente di destra e una sinistra liberista non pu esistere. Se ci fai caso, nella propaganda dei repubblicani USA, dei Tea Party etc., il nemico sempre riferito a un altrove: New York, la East Coast, lEuropa, il Canada, e ovviamente gli stati-canaglia. Quando, prima della visita in Cina, chiesero a Nixon se fosse mai stato in un paese socialista, rispose: S, in Massachusetts. Per un repubblicano, allepoca, il New England era laltrove. Non esiste un nemico interno, cio generato dalle contraddizioni interne del sistema; se allinterno, perch si insinuato tra noi. Il frame viene attivato continuamente in politica estera: ci siamo noi (loccidente, le democrazie basate sul libero mercato) e ci sono i nemici di turno (limpero del male dellURSS e dei suoi satelliti, le guerriglie che agitano il cortile di casa latinoamericano, il terrorismo che minaccia i nostri valori etc.). Quella dello scontro di civilt la massima espressione del frame della comunit armoniosa che si difende. #93 Comment By Wu Ming 1 On 18/01/2013 @ 12:16 pm Mi sa che hai frainteso, eh. Che sia stata la lettura di Q a creare il mito di Genova e convincere la gente ad andare a Genova non lo ha mai detto nessuno, solo un deficiente potrebbe sostenere una cosa del genere. Anche perch a Genova venne gente da tutto il mondo, da un sacco di paesi dove Q non era stato pubblicato. N nel nostro pezzo si sostiene che fosse sbagliato manifestare, essere contro i potenti della terra etc. Uscendo con Q poco prima di Seattle noi ci ritrovammo, nellanno successivo, pienamente dentro il grande frame dellassedio al castello, frame scazzato come pochi. Dapprima ci ritrovammo dentro la cornice solo oggettivamente, perch le parti pi ricordate del nostro romanzo evocavano quel tipo di atmosfera; poi fummo presi dalla fotta e ci demmo da fare non solo per confermarlo, ma per rilanciarlo. *Questo* fu il mito tecnicizzato, e noi prendemmo parte alla sua costruzione. Non fummo certo i soli, e un sacco di gente non fu convinta da noi, nemmeno ci sent nominare ma noi critichiamo noi stessi, Spettri di Muntzer allalba il pezzo in cui ci assumiamo la responsabilit per quel che abbiamo fatto noi. Si chiama autocritica per quello. Gli altri facciano la loro, di autocritica (anche se, a dire il vero, in questi anni non ne abbiamo viste molte). Quello che tu chiami mito genuino non era un mito, ma la sacrosanta spinta a manifestare. La tecnicizzazione consist invece nel creare storie ad hoc che concentrassero tutto il focus, tutte le energie e tutte le aspettative su ununica, grande manifestazione, senza pensare che lo Stato avrebbe fatto lo stesso, specularmente, e con pi mezzi, determinato a tendere una grande trappola. Anzich essere dappertutto, manifestare ovunque, fare blocchi in giro per lItalia e lEuropa (alcuni lo proposero ma furono trattati quasi come dei vigliacchi), conservando cos le energie per i mesi successivi, si and ingenuamente e disorganizzatamente alla battaglia di Frankenhausen.

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Nel nostro pezzo diciamo precisamente che lerrore di framing fu andare alla guerra pensando fosse un picnic, come lhai messa gi tu. Ne deriv un trauma che stiamo scontando ancora oggi, c gente che non si pi ripresa, non pi riuscita a ripartire. C gente in galera, c gente fuggiasca, c gente pietrificata nella ricostruzione di quel che accadde allora. Questa la nostra lettura di quei mesi. Si pu essere daccordo o meno, ma per favore, non se ne faccia la caricatura, dicendo che secondo noi fu Q a portare la gente a Genova. Non abbiamo mai scritto una simile cazzata. #94 Comment By Wu Ming 1 On 18/01/2013 @ 12:23 pm Io e Mauro abbiamo scritto in simultanea :-) #95 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 12:40 pm Un altro aspetto che caratterizza il liberismo (soprattutto quello pi conseguente, quello anarco-capitalista) come *pensiero di destra* il fatto di fondarsi su di un preciso mito dorigine: quello dello homesteader, del pioniere che si insedia nel territorio vergine, stabilisce i confini della sua propriet, li difende a mano armata e rivendica il diritto di farci quel che gli pare. Se si storicizza questa vera e propria robinsonata (Robinson Crusoe larchetipo dichiarato di questa figura mitologica), si vede abbastanza chiaramente cosa abbia significato in realt: nel caso degli USA e del Nuovo Mondo, il genocidio di interi popoli a colpi di fucile e malattie; nel caso dellEuropa, il processo di accumulazione originaria scritto negli annali dellumanit a caratteri di sangue e fuoco (per dirla con Marx). Questo mito fondativo, in combutta con altre narrative tossiche affini, fa anche s che il pensiero ultraliberista escluda la storicizzazione dei processi che hanno portato alla concentrazione del capitale e allimperialismo. Il risultato che i liberisti non riconducono questi processi alla dinamica storica del sistema economico basato sul profitto e, quindi, alle sue *esigenze strutturali* (per capirci: la necessit di ingrandirsi sempre di pi per sopravvivere alle proprie crisi ricorrenti); li riconducono invece, come sottolineano anche Mauro e WM1, a fattori esterni o addirittura a fattori soggettivi. Cos capita che lapparato militare-industriale nato sotto gli auspici dellintervento governativo venga visto come il frutto demoniaco della coercizione statale e dellazione dei sindacati. Mentre, al contrario, le grandi fortune individuali vengono viste come il frutto dei meriti sovraumani di unlite di spiriti liberi e creativi in perenne lotta contro il potere e la coercizione statale (Ayn Rand stata una delle pi ferventi propagandiste di questa concezione, che ha poi attecchito in modo impressionante fra i giovani turchi della New Economy). Se sul versante destro di quel fronte ideologico questo si traduce in unappassionata difesa del big business e dei diritti degli ultraricchi, va anche detto che persino i liberisti/libertari pi a sinistra (penso ai left-libertarians americani, che si definiscono anarchici, mutualisti, volontaristi, neo-proudhoniani ecc.) restano vittime di questa assenza di storicizzazione, di questa riduzione del processo storico a miti fondativi, e finiscono per rivendicare la possibilit di tornare ad un modello di produzione e scambio fondato sulla piccola propriet, che rimanda agli utopisti libertari americani dellOttocento (H.D. Thoreau, Benjamin Tucker, Lysander Spooner) e a un modello del tutto anacronistico di societ. In senso lato, un po lequivalente mmerrecano di alcune varianti europee delle teorie della decrescita (economia kilometri zero, patto sociale fra produttori e consumatori ecc.). #96 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 1:25 pm Unaltra considerazione en passant. Il fondamentalismo liberista/libertario un fenomeno principalmente americano, che si spiega in parte guardando alla storia di quel paese. Non per per nulla estraneo al panorama politico e ideologico italiano. I libertari allamericana dichiarati, qui in Italia sono pi un fenomeno marginale, di colore politico per cos dire. Alcuni bazzicano larea radicale, altri invece sono pi vicini alla destra vera e propria, non senza qualche affinit e commistione con il leghismo: penso al Movimento Libertario dellagricoltore pordenonese Giorgio Fidenato (il cui motto la propriet un diritto naturale e le tasse sono un furto e che ha avuto un minimo riscontro mediatico nel Nordest con le sue campagne pro-OGM) e alla casa editrice di Leonardo Facco, ex articolista della Padania. Queste idee, per, sfruttano anche certe porosit ideologiche per insinuarsi anche nella politica pi mainstream. Il mito del self made man in eroica contrapposizione allo stato e alla burocrazia naturalmente uno dei cavalli di battaglia di Berlusconi, oltre che, secondo me, una delle fonti della convergenza ideologica fra centrodestra e Lega Nord. Ma anche a sinistra le sorprese non mancano; basti vedere la venerazione di molti giovani liberal di area PD o SEL nei confronti di figure come Steve Jobs. Per non parlare poi del M5S, dove le idee della destra liberista/libertaria americana trovano un terreno particolarmente fertile. Insomma: quella mitologia tutto salvo che un fenomeno marginale, e secondo me interessante vedere come lanalisi di Jesi consente di smontare lideologia di destra (e le sue propaggini nella sinistra) ben al di l del neofascismo! #97 Comment By Anna Luisa On 18/01/2013 @ 1:51 pm In senso lato, un po lequivalente mmerrecano di alcune varianti europee delle teorie della decrescita (economia kilometri zero, patto sociale fra produttori e consumatori ecc.). Ecco, se posso avanzare una richiesta, a me piacerebbe, prima o poi, leggere su Giap un post specifico su questo argomento a cui accenna LCC. Credo di conoscere svariate persone (orientate a sinistra) che leggono questo genere di saggistica (decrescita, etc) senza essere minimamente coscienti del pericolo, in pratica lettori di sinistra poco consapevoli di questa ambiguit. Se ho ben capito, stiamo parlando di un pensiero ecologista fondamentalmente destrorso. #98 Comment By maurovanetti On 18/01/2013 @ 2:00 pm Nota a margine: i liberisti ci hanno insegnato a ritenere il fascismo una destra completamente diversa dalla loro, addirittura in odore di sinistra in quanto presuntamente antiliberista e statalista. Dietro questo punto di vista, che molto diffuso, c una buona dose di mistificazione. Usando la lente della comunit armoniosa che viene disturbata dallintruso vediamo come il fascismo abbia sempre usato anche la versione liberista di questo frame. Il fascismo delle origini, e cio lo squadrismo, giustificava s stesso proprio come difesa armata della mano invisibile e dellarmonia tra le classi sociali. Lolio di ricino e le uccisioni dei sovversivi ripristinavano la libert dimpresa, la libert di commercio e il funzionamento normale delleconomia capitalistica. Per esempio famoso questo poster propagandistico fascista: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Fascism.jpg Alla presa del potere, Mussolini dichiar: Il governo fascista accorder piena libert allimpresa privata ed abbandoner ogni intervento nelleconomia privata. Per anni i fascisti (saliti al potere in coalizione coi liberali, non sar un caso) condussero una politica economica liberista e solo in una fase successiva cominciarono ad applicare misure keynesiane ante litteram. Nei primi anni di governo, ci furono privatizzazioni (venne privatizzata addirittura la zecca, chiss cosa ne pensano i signoraggisti!), una politica monetaria restrittiva, un allentamento del carico fiscale (in particolare della tassazione progressiva). Quando questo non rispondeva pi alle necessit economiche del grande capitale industriale, in particolare cio attorno alla crisi del 29, si passati ad una politica economica diversa, e si adeguata la fraseologia propagandistica al culto dello Stato, alla lotta contro lindividualismo borghese e tutte quelle manfrine con cui ancora ci fracassano le palle i neofascisti. Anche i neofascisti, tuttavia, qualche volta si levano la maschera e parlano da liberisti. Per esempio, Forza Nuova a Genova aveva come primo punto del suo programma politico la lotta contro la Compagnia Unica dei camalli che secondo loro strangola la citt impedendo la libert dimpresa nel porto. CasaPound ha preso posizione sullILVA di Taranto (facendo scrivere un dossier alla nostra vecchia conoscenza, lIng. Di Stefano) prendendosela con gli ambientalisti che in combutta con oscuri potentati europei vogliono soffocare la siderurgia italiana. Alla fine della fiera liberismo e fascismo hanno lo stesso eroe-simbolo: il crumiro. #99 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 2:02 pm Io lho un po buttata l, nel senso che secondo me ci sono delle affinit. Non so fino a che punto ci sia una vera e propria filiazione. Anche perch il panorama della decrescita abbastanza variegato. In Francia mi sembra che le idee decrescitiste derivino principalmente dallecologismo di sinistra; in Italia, invece, la cosa parecchio pi ambigua, visto che i guru locali non si fanno scrupoli nel manifestare pubblicamente idee abbastanza reazionarie (sul ruolo sociale della famiglia, ad esempio) e nel pubblicare con case editrici rossobrune e di destra (Pallante e Cedolin che pubblicano per Arianna Editrice). Io resto dellidea che, soprattutto nelle loro forme pi volgarizzate, le teorie della decrescita presentino tutti gli ingredienti che Jesi attribuirebbe alla cultura di destra. Anche quando flirtano con la sinistra. Per forse qui lintegralista sono io ;-) #100 Comment By Anna Luisa On 18/01/2013 @ 2:33 pm @LCC: No, no, hai inteso perfettamente il mio pensiero (mi riferivo proprio a Pallante). Le persone amiche cui facevo riferimento non sono per nulla coscienti di questa impostazione saggistica rossobruna e, guarda caso, sono in procinto di appoggiare il M5S dopo aver votato, per una vita, Rifondazione prima e di poi Vendola. Non sei tu lintegralista ;-) Grazie per le dritte, anzi mi piacerebbe sapere qualche cosa in pi. #101 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 2:37 pm Alla fine della fiera liberismo e fascismo hanno lo stesso eroe-simbolo: il crumiro. Quoto!!! :-D Azzardo una considerazione di carattere generale. Partiamo dalla domanda: che cos la cultura di destra? Dallanalisi di Jesi, e sulla base di quello che dicono oggi coloro che la riprendono, si pu ricavare secondo me una definizione generale di cultura di destra come un insieme di artifici discorsivi che rafforzano lideologia delle classi dominanti. Laddove l*ideologia* in senso stretto, ossia lelaborazione esplicita di idee e concetti, mira a *giustificare* legemonia delle classi dominanti, la *cultura* mira piuttosto a *renderla accettabile* influenzando il modo di parlare e di scrivere, i costumi, le pratiche sociali, i riti collettivi ecc. Butto l una suggestione: il fascismo vive (ed vissuto in passato) pi di cultura che di ideologia, e questo fatto strettamente legato al suo carattere di fenomeno di massa. Non che siano mancate delle elaborazioni *ideologiche* fasciste relativamente originali, come la teoria dello stato corporativo, che declina il principio dellarmonia sociale ed economica fra le classi in unottica nazionalistica. Per, allo stesso tempo, queste elaborazioni ideologiche originali non costituiscono affatto la base del successo politico del fascismo. Tanto per dire; fu proprio recidendo lala strasseriana del NSDAP quella che preconizzava la terza via fra capitalismo e socialismo che Hitler pigli i proverbiali due piccioni con una fava: consolid il suo potere assoluto nel partito; gett le basi dellalleanza con gli Junckers e lalta finanza tedesca. Tutto questo si spiega abbastanza facilmente se si guarda quella che la funzione storica e sociale del fascismo cos come, mi verrebbe da dire, di ogni iniziativa politica di massa che parte dalle destre (populismo di destra, qualunquismo, poujadismo ecc.). Si tratta di unarma nelle mani delle classi dominanti del tipo rompere il vetro in caso demergenza. Quando le masse perdono fiducia nei confronti dei vecchi leader e delle lite screditate, il rischio concreto e temibile per le classi dominanti, che facciano la rivoluzione; sicch la priorit diventa quella di riconquistarne i cuori e le menti. Come? Inoculando nel quotidiano nel linguaggio, nella visione del mondo quegli elementi culturali di facile presa che possiamo ricondurre appunto alletichetta generale di cultura di destra. Il fascismo, daltronde, procedette alla sistematica distruzione di tutte le forme di organizzazione sviluppate autonomamente dalla classe operaia (dai sindacati ai circoli scacchistici) per

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sostituirle con strutture e rituali simili calati dallalto (il sabato fascista ecc.). Lideologia ufficiale, in questo senso, abbastanza ininfluente; pi che altro perch, alla base, quella delle classi dominanti. Limportante che lazione politico-economica si accordi con gli interessi della borghesia e del capitale (per cui liberismo e keynesismo vanno altrettanto bene, a seconda della particolare fase), e che questa stessa azione risulti giustificabile e accettabile agli occhi delle masse. Di nuovo, per tornare alla confusione *ideologica* del grillismo niente di nuovo sotto il sole. #102 Comment By robgast69 On 18/01/2013 @ 2:49 pm Little Commie Craig aveva scritto sul suo blog un post in proposito (ora non ho pi il link) con cui ero in quasi completo disaccordo. Tempo dopo, reagendo ad un altro articolo ma avendo in mente anche il suo, avevo scritto questo. http://viadiscorrendo.blogspot.it/2012/06/parlare-della-decrescita.html Non certo un discorso completo, ma qualche elemento secondo me lo porta #103 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 3:21 pm @robgast69 Avevamo anche iniziato a discuterne di persona, ma purtroppo il confronto era finito l. Grazie per il link. Che secondo me permette di precisare alcuni aspetto molto importanti. Personalmente, da marxista, mi riconosco nelle critiche del terzo tipo: quello che contesto, in particolare, che la decrescita non ponga il problema della propriet dei mezzi di produzione. Tu obietti che nessuna teoria pu essere completa. Su questo non posso che essere daccordo. Nessun autore singolo, neppure uno prolifico, colto e geniale come Marx, pu includere nella sua analisi una risposta a *tutti* i problemi, sia teorici che pratici, che si porranno nellutilizzo pratico di quella analisi. In molti casi perch, banalmente, le circostanze storiche non pongono ancora un determinato problema allordine del giorno. Marx quindi non poteva porsi il problema dei limiti ambientali dello sviluppo per come sono stati poi affrontati dal Club di Roma e dallecologismo contemporaneo. Per va anche detto che una sensibilit ecologica tutto salvo che estranea agli scritti marxisti! NellAntidhring, ad esempio, Engels affronta in termini che non esisterei a definire decrescitisci ante-litteram il problema dellinquinamento delle acque, ponendolo in relazione al rapporto fra citt e campagna. Ma ci sono sicuramente molti altri esempi. Detto questo, ci sono incompletezze e incompletezze. Ci sono quelle che derivano da una carenza, per cos dire, di dettaglio; e quelle che derivano da carenze fondamentali. In pratica cosa significa? Se Marx, Engels o Lenin non formulano esplicitamente delle rivendicazioni ecologiste, questo per non comporta che dallanalisi marxista non si possano dedurre considerazioni in quel senso. N significa che lincremento della produttivit sociale che condizione per linstaurazione del socialismo debba per forza di cose poggiare sullidea di uno sfruttamento selvaggio ed indiscriminato delle risorse anzi! Nella misura in cui leconomia socialista uneconomia razionalmente pianificata che mira a rispondere ai bisogni delle persone e non alla logica del profitto, il problema dei limiti ambientali si pone in modo praticamente inevitabile! Quindi, se si parte da una prospettiva marxista, lincompletezza relativa allaspetto ecologista di dettaglio; la teoria fornisce delle basi abbastanza solide per ricavare conclusioni adeguate rispetto a quel problema. Ma eludere il problema della propriet dei mezzi di produzione, al contrario, unincompletezza fondamentale! Perch? Beh, se davvero la decrescita non semplicemente il ritorno ad una economia di sussistenza, chiaro che anchessa prevede la produzione su vasta scala di beni destinati al largo consumo (vestiti, alimenti, tecnologia, cultura, servizi). Ma i *mezzi* che consentono la *produzione* di questi beni possono farlo in modo ecologicamente e socialmente compatibile soltanto se la produzione finalizzata, appunto, al soddisfacimento dei bisogni e non al profitto. Come si pu garantire, allora, questo risultato? Soltanto facendo s che la produzione stessa sia gestita e pianificata *collettivamente*; e, per rendere possibile ci, necessario che la *propriet* dei mezzi di produzione sia, appunto, collettiva. Altrimenti cosa succederebbe? Se i mezzi di produzione restassero di propriet dei privati, il loro utilizzo sarebbe vincolato al profitto economico dei loro proprietari (come giustificare altrimenti il loro investimento in mezzi di produzione?), e il risultato sarebbero sprechi, consumismo, inquinamento, esaurimento delle risorse ecc. Insomma: i disastri ambientali con i quali si misura lecologismo sono il frutto del sistema capitalistico basato sul profitto. Lunico modo per ridurne limpatto e per riconvertire la produzione superare il modo di produzione capitalistico. Lunico modo per superare il modo di produzione capitalistico rendere collettiva la propriet dei mezzi di produzione. E quindi: se la decroissance non pone il problema della propriet dei mezzi di produzione (il *primo* problema, quello fondamentale; non lultimo e accessorio), viene meno lintera consequenzialit logica dei passaggi. E le rivendicazioni ecologiste si riducono alla prospettiva di una riforma morale dellumanit, senza fornire gli strumenti per rivoluzionare la societ sul piano *materiale*. #104 Comment By Anna Luisa On 18/01/2013 @ 3:42 pm Grazie a entrambi. @robgast69: Appena ho un attimo mi leggo il link. #105 Comment By kzm On 18/01/2013 @ 3:47 pm Grazie a tutt*! La soluzione in effetti era abbastanza facile: la colpa dei comunisti! :) Queste definizioni di destra e sinistra sono davvero potenti. Mi sono adesso reso conto che in base ad esse sono di destra le teorie complottiste e infiltrazioniste, dalle BR fino al 15O, passando per il Genova 2011. #106 Comment By robgast69 On 18/01/2013 @ 4:00 pm Si, poi eravamo stati risucchiati da Struggles Mi sembra che tu abbia frainteso un passaggio (ma, a rileggermi, ho aiutato abbastanza il fraintendimento). Non ho mai voluto dire che la dimensione delle lacune sia paragonabile, quello che volevo dire che io vedo la decroissance non come un discorso a se stante, ma (passami il paragone informatico, deformazione professionale) come un plugin che va innestato su un altro programma per completarlo, fornendogli funzionalit che il programma originale non prevedeva. Spingendo ancora oltre il paragone, ci sono plugin che *pi o meno* funzionano su programmi diversi, ma ci non toglie che con alcuni giri bene e con altri sforzi ad ogni movimento, questo perch il plugin stato scritto per completare quel programma e non un altro. Io mi sento di dire (ipotesi puramente mia, per quanto ne so mai sostenuta da Latouche o altri) che la decroissance sia pensata per collegarsi al marxismo. Forse su questultimo punto prendo una solenne cantonata, ma anche se fosse questo non invaliderebbe il discorso precedente: La decroissance pensata per collegarsi ad un discorso pi ampio, quindi ovvio che non tratti alcuni (anche molti) temi, ritenendoli, a ragione, gi toccati dal suddetto discorso. #107 Comment By maurovanetti On 18/01/2013 @ 4:21 pm Penso anchio che la teoria della decrescita sia stata pensata per essere inserita nel marxismo o comunque nel pensiero di sinistra. Pi che un plugin, per, mi sembra un virus. Ci sono numerose teorie che nella storia sono state proposte da questo o quel guru per migliorare il socialismo inserendo una cosa che mancava, e che tuttavia sembrano poter esistere benissimo da sole anche in un contesto di estrema destra. Ce nerano un bel mazzetto gi ai tempi di Marx, che le confutava una dopo laltra tipo rosario. Non me ne volere, ma a me sembra che proprio il nucleo della teoria della decrescita, che resta lo stesso in tutte le sue continue varianti e in tutto il suo infinito ciclo di fraintendimenti e chiarimenti, abbia un contenuto reazionario. Sar un limite mio, ma non riesco a vedere come una teoria che propone di ridurre i consumi delle masse possa conciliarsi col marxismo che propugna esattamente il contrario. Girala come la vuoi girare, ma una teoria che vede la specie umana come un fastidioso invasore di un pianeta altrimenti armonico (lagente esterno siamo noi). #108 Comment By robgast69 On 18/01/2013 @ 4:34 pm Scusami ma non vero che propone di ridurre i consumi delle masse. Latouche ha sempre detto che il suo discorso poteva essere applicato solo alle societ avanzate (aggettivo mio e brutto, ma spero si capisca), e queste certo, guardando alla popolazaione della terra nel suo insieme, non sono certo le masse. Secondo me gran parte della discussione deriva dalladozione di un punto di vista troppo occidental-centrico rispetto a quello da cui nata quella teoria, e rispetto al quale si pone #109 Comment By maurovanetti On 18/01/2013 @ 4:38 pm @robgast69 Oh bella, le masse europee non sono masse? A me sembra in realt che proprio la decrescita sia molto eurocentrica, sembra la razionalizzazione di sinistra del declino del capitalismo europeo. Della serie La volpe e luva siccome il capitalismo europeo in declino, diciamo che il declino ci fa bene. Non mi stupisce che i fautori della bella morte si trovino a loro agio con la bella miseria. #110 Comment By VecioBaeordo On 18/01/2013 @ 4:52 pm @maurovanetti Lo chiedo da ignorante e in buona fede: in che senso una teoria che vede la specie umana come un fastidioso invasore di un pianeta altrimenti armonico di destra? E in che senso il suo contrario, e cio che la specie umana sia un Dono del Cielo e Fine ultimo di Tutto il Creato non lo ? (lo so, scritto in modo provocatorio perch non so come porre la domanda in modo altrettanto netto, ma non c polemica). #111 Comment By robgast69 On 18/01/2013 @ 4:52 pm - Secondo me, nel discorso della decrescita gli (ovest)europei sono (erano) elite. Guardando a 15 anni fa il 90% degli europei era nel 10% pi ricco della popolazione mondiale. Questo sta cambiando, e infatti non sto dicendo che la decrescita sia un qualcosa adottabile oggi (sono convinto del contrario). Solo vorrei che prima di abbandonare lidea ne estaessimo le parti buone - La decrescita eurocentrica nel senso che (dichiaratamente) delinea quello che dovrebbero fare gli europei (sempre in senso lato, USA, Canada, Giappone etc compresi), dicendo che per il resto del mondo si dovr pensare qualcosa di diverso ma che non essendo noi parte di quel mondo non possiamo essere noi a dirgli cosa

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- bella miseria una provocazione tua, ma forzata perch pi volte esplicitamente negata da quelli a cui la attribuisci (ripeto, non stiamo parlando di Pallante). Che per il livelo di consumi medio (facciamo riferimento sempre a 10-15 anni fa) delleuropeo non possa essere esteso a tutto il mondo senza portarlo al collasso non mi sembra contestabile, quindi a chi sta meglio (noi) qualche rinuncia gli tocca. Questa consapevolezza, secondo me, una delle cose che dalla decrescita dobbiamo assolutaemnte prendere, anche se scartiamo il resto #112 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 5:13 pm Per, scusate uno dei limiti pi significativi di molte prospettive ecologiste sta proprio nel concentrarsi interamente sul punto di vista del consumatore. Guardiamo la cosa dal lato della produzione, invece. Se si controlla e si gestisce *collettivamente* la produzione per soddisfare i bisogni di tutti (unica condizione per farlo: propriet collettiva dei mezzi di produzione), non viene da s che i consumi, pi che ridursi o aumentare, semplicemente vengono razionalizzati? Per cui diventa possibile garantire a tutti un livello soddisfacente di vita, sia a livello materiale che a livello culturale, rimuovendo gli sprechi e lirrazionalit della produzione capitalistica? In teoria, quanto meno. In pratica, poi, tutto un altro paio di maniche, visto che si pone pur sempre il problema: come arriviamo alla propriet collettiva dei mezzi di produzione? E anche qui, temo che le divergenze con molti sostenitori dellecologismo e della decrescita sarebbero di natura sostanziale ;-) @VecioBaeordo Non mi sembra che nessuno abbia parlato della specie umana come Dono del Creato! :-D Forse che lalternativa che poni tu cos inevitabile? O, piuttosto, dobbiamo semplicemente prendere la specie umana per quello che : una specie animale dotata di una strategia di sopravvivenza sua propria che, per le sue caratteristiche, ha banalmente conferito alla storia naturale delle pazzesche accelerazioni? :-) #113 Comment By maurovanetti On 18/01/2013 @ 5:16 pm Approfitto della distrazione di Saint-Just, perch comincio a sentirmi off-topic e quindi mi scuso se sar lapidario ma non vorrei dirottare troppo il discorso. @VecioBaeordo Secondo me sarebbe un discorso reazionario anche quello antropocentrico del Signore del Creato. Semplicemente la Terra non mai stato un pianeta armonioso, n prima n dopo la venuta al mondo della specie umana. Le cose si evolvono attraverso continue contraddizioni e anche passando tramite catastrofi. Invece di rimuovere col tasto Rewind la contraddizione (innegabile) costituita dal ruolo distruttivo che ha oggi la societ umana *nella sua fase capitalistica*, penso che bisognerebbe far sviluppare questa contraddizione col tasto Fast Forward, e vedere cosa c dopo. Poi si potrebbero dire alcune cose su come in realt lUomo sia stato distruttivo anche prima del capitalismo (c spesso un legame tra arretratezza tecnologica e inquinamento, per esempio il posto pi nocivo del pianeta per il clima il Delta del Niger), e come anzi lecologia stessa sia un frutto del progresso umano, inconcepibile in societ precedenti. @robgast69 In tutta franchezza, dire i disoccupati greci sono parte delllite mondiale e quindi devono ridurre i loro consumi mi sembra unidea di destra. Sul fatto che non si possa estendere allintero pianeta il tenore di vita di un normale lavoratore europeo (mi riferisco al tenore di vita *mediano*), mi permetto di non essere assolutamente daccordo. Tutte queste affermazioni di impossibilit sono quasi sempre avventate e basate su proiezioni malthusiane, che danno per scontato che non si possano fare le cose in modo diverso e migliore. Ogni singola volta che qualcuno ha fatto previsioni di questo tipo, si sbagliato perch d per scontato che le cose cambino gradualmente, mentre la storia a volte cambia in modo drastico. Ad ogni modo, se ha ragione chi crede che non si possa estendere il tenore di vita attuale degli operai e degli impiegati europei al resto del pianeta, evidentemente questo significa che il marxismo fatalmente bacato e deve essere abbandonato. Pu anche essere, ma in tal caso non sarebbe serio tenere Marx vivo come uno zombie solo perch ci siamo affezionati; se la decrescita lunica via, probabilmente la cosa migliore da fare mettere una dittatura militare che obblighi gli europei a consumare di meno pi o meno quel che sta succedendo negli ultimi anni, in effetti #114 Comment By punto_fra On 18/01/2013 @ 5:52 pm Sul fatto che non si possa estendere allintero pianeta il tenore di vita di un normale lavoratore europeo (mi riferisco al tenore di vita *mediano*), mi permetto di non essere assolutamente daccordo. Anchio ho sempre pensato che fosse una bufala. Quanti siamo al mondo? 7 miliardi? Se ci mettiamo tutti in fila occupando un metro quadro a testa occupiamo unarea grande circa quanto la provincia di Torino. Davvero in tutto il pianeta non ci sono risorse sufficienti per far vivere in modo soddisfacente una popolazione tutto sommato cos piccola? #115 Comment By VecioBaeordo On 18/01/2013 @ 5:59 pm @maurovanetti Forse la prima volta che non mi convinci. Mi ritiro per terrore di Saint-Just, ma dovremo rivederci a Filippi. Per una birra, ovviamente :-) #116 Comment By rapa On 18/01/2013 @ 6:03 pm Vorrei ringraziare Furio Jesi, Manera per avermelo facilitato, e i Wu Ming per avermelo fatto conoscere, in particolare tramite lanalisi del film 300: sono state le letture fondanti del mio lavoro di tesi. Si trattava dellanalisi della mitopoiesi di Alberto da Giussano, Lega Lombarda e company negli scorsi mille anni, con particolare attenzione alla lettura (a prima vista) padana del pietosissimo film Barbarossa di Renzo Martinelli, confrontato con la sua nemesi naturale, Baudolino di Eco. Se pu interessare, la tesi principale stata linadeguatezza del film, non solo dal punto di vista estetico, quanto da quello mitopoietico. Ho concluso con piacere che si trattava di una macchina mitologica irrimediabilmente rotta, secondo me rotta con una sorta di miticidio proprio da Umberto Eco. La mia idea che questo libro sia un fantastico esempio di pallottola dargento antimito. Per chiarire: si poteva rispondere alla mitologia dellEt dei Comuni in due modi; creando un nuovo mito non-reazionario (e sappiamo quanto sia difficile, forse impossibile) oppure attaccando le incongruenze e falsit storiche (una ben povera risposta solo per addetti ai lavori, e comunque inefficace visto il carattere sfuggente delle argomentazioni mitologiche). Eco ha risposto scrivendo invece un romanzo METAmitopoietico, in cui ha messo a nudo (con una certa partecipazione umana) le stronzate del potere, le bugie dei cortigiani, in ultima analisi il suo stesso ruolo di inventore di storie. La lettura del suo libro (molti elementi indicano che ci sia stata) ha agito, secondo me, in maniera benefica sulla mente reazionaria del regista Martinelli o di chi per lui, impedendogli di creare lopera manichea e funzionale stile braveheart che si era prefisso, e facendogli, in sostanza, creare una cacata che fa addormentare pure bossi. Secondo me vale come uno dei primi esempi di vittoria sul difficile campo della guerra mitologica, e credo che Eco abbia continuato con questa tattica con la misteriosa fiamma della regina Loana e il cimitero di Praga. Ma forse credo troppo nel potere della letteratura? :D #117 Comment By diserzione On 18/01/2013 @ 6:41 pm OT sulla decrescita Lungi da me fare la vecchia zia, ma secondo me molte delle vostre divergenze derivano da incomprensioni reciproche. Mi capitato diverse volte di affrontare questo argomento di persona con Roberto Gastaldo e qualche volta anche con Vanetti e LCC. Gastaldo il primo a dire che tutto il discorso della decrescita, per la fase in cui siamo (sia da un punto di vista ecologico che economico) superato. Per me anche circoscritto a una fase politico-economica che almeno noi in Europa (e probabilmente sta andando in quella direzione anche il resto) non vedremo pi, cio quella della Crescita nellambito capitalistico. La decrescita, nel suo nucleo originario, era imho una proposta limitata alla razionalizzazione e alla preparazione di questo accadimento, la fine della crescita. Fine che c gi stata: parlare di decrescita ora, semplicemente, non ha senso. La decrescita *sta gi avvenendo per conto suo* e i capitalisti la stanno cercando di manovrare (con il meccanismo del debito, cio con laccaparramento di beni e risorse non pi destinati alla produzione, e con lo smantellamento della stessa in occidente). La decrescita era la spia che il paradigma della crescita, forse per tentare di rientrare in tema potrei dire il mito, stava per entrare in crisi. Ora in crisi nera e s, sono daccordo che continuare a parlare di decrescita oggi come di una teoria politico-economica e sociale da realizzare anche del tutto reazionario oltre che assurdo. La crescita, per come se ne parlato e per come tuttora si prova a fingere di parlarne, stato quel mito socialdemocratico per cui si poteva convivere con il capitalismo e il suo modello di produzione perch grazie appunto alla crescita parte del profitto sarebbe stato redistribuito o almeno redistribuibile. Mi sembra che almeno in Europa siamo in unaltra fase, ma non questo il punto. Il punto che pone la decrescita a sinistra secondo me : oggi non possiamo pi essere keynesiani, non possiamo essere socialdemocratici, non possiamo pi convivere con questo modello di produzione, non ci sono i margini ecologici per farlo. Ora non ci sono pi nemmeno quelli economici e il capitalismo stesso sta andando verso quella direzione. La mia conclusione: essere pro-decrescita non ha senso; quello che ha senso dire che la socialdemocrazia -cio convivere con il capitalismo- non ha senso; la decrescita stata una spia, secondo me poco cosciente politicamente, della fine della possibilit dellequilibrio socialdemocratico; ovviamente si pu essere anti-socialdemocratici di destra e molti decrescitengoli lo sono (stati); oggi quellequilibrio in crisi totale e imho irrecuperabile; da sinistra si deve pensare e agire per un superamento del capitalismo, per un abbandono delle velleit socialdemocratiche, prima che lo facciano da destra. Spero di non aver detto troppe castronerie, e chiedo scusa per il prolungamento dellOT. #118 Comment By girolamo On 18/01/2013 @ 6:47 pm Se posso chiosarti, Mauro: la dottrina economica del fascismo prevedeva una compresenza di liberismo sul mercato, e un embrione di Stato sociale per rimediare alle inevitabili conseguenze del libero mercato, che lex socialista Mussolini ben conosceva. Lo Stato assistenziale , in buona misura, uninvenzione del fascismo. Il limite della seconda aprte del programma fascista fu che lassistenzialismo, se vuole andare oltre la semplice carit, presuppone dei diritti, e leisstenza di diritti soggettivi incompatibile con la dottrina fascista. Su questo i giuristi fascisti si ruppero senza costrutto la testa. Lemblema della contraddizione fu la tessera di povert: era necessaria per ottenere sussidi (cibo, vestiti), ma il suo possesso non implicava il diritto di averli. #119 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 6:56 pm Daccordo praticamente su tutta la linea. Per me lOT finisce qui. :-) #120 Comment By Little Commie Craig On 18/01/2013 @ 7:19 pm Nutro un certo timore reverenziale nel contraddire girolamo :-) ma stavolta non sono del tutto daccordo. Forse esagero, ma misurare lideologia fascista (termine con cui mi riferisco allidea di stato nazionale o regionale corporativo come terza via) con il metro dei diritti soggettivi mi sembra un po una concessione (ma forse mi sbaglio) alle visioni che introducono un legame costitutivo fra teoria organica della societ e totalitarismo; contrapponendole di solito una visione, di origine liberale, incentrata al contrario sul riconoscimento dei diritti individuali. Continuo a pensare che gli zig-zag nella politica economica e sociale fascista e nazionalsocialista, cos come la forma totalitaria che hanno assunto questi regimi, dipendano molto poco dallideologia, che da quel che ne so rivest un ruolo relativamente marginale, e molto di pi (1) dai particolari interessi materiali che difendevano e (2) dal modo in cui si sono trovate concretamente a difenderli sotto la pressione degli eventi storici. Regimi totalitari, incompatibili con il riconoscimento dei diritti soggettivi, si sono sviluppati anche in assenza di unideologia che prevedesse una concezione organica della societ (stalinismo,

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dittature populiste di destra non fasciste). Di converso, teorie organiche della societ sono state (e in alcuni casi sono) la spina dorsale di ideologie che annunciavano la liberazione individuale, o addirittura forme di democrazia universale. Insomma: pi che frutto della dottrina, le contraddizioni delle politiche sociali fasciste secondo me rimangono una conseguenza dello sviluppo storico e materiale del sistema sociale ed economico capitalistico, momentaneamente prestato al fascismo, pur con tutte le deviazioni del caso. #121 Comment By robgast69 On 19/01/2013 @ 11:05 am Daccordo quasi su tutto. Unico appunto, quella che stiamo avendo adesso non decrescita nel senso di Latouche. Ma, come dicevi, quella non credo la vdremo mai, era una ricetta, secondo me buona, ma pensata per condizioni di partenza che non sono pi quelli attuali #122 Comment By girolamo On 19/01/2013 @ 3:24 pm No, calma, Little Commie Craig: non ho usato i diritti soggettivi per esprimere una valutazione sul fascismo, ho riportato in estrema sintesi un dibattito storico e giuridico interno al Regime, e che ha messo in luce la differenza tra ci che il Regime si vantava di poter fare, e ci che in concreto non ha fatto, perch non era possibile che potesse fare. In altri termini, il fascismo ha cercato di mascherare una politica economica dettata, nelle sue linee strutturali, dal capitalismo industriale (vedi i ministeri Rossi e Volpi, espressione diretta di Confindustria) con una patina di assistenzialismo e di Stato sociale (che in Italia ha i suoi albori con Nitti, a cui il ministro Corbino pretendeva di richiamarsi), che si rivel nei fatti una finzione ideologica (lo stesso, in termini un po diversi, potrebbe dirsi del sindacalismo di Rossoni). Pu essere utile saperlo, perch, come immagino sia noto, la vulgata fascista non importa se del secondo o terzo millennio continua a vendere la favola del fascismo che assisteva i poveri, i bisognosi e i pensionati, che dava casa e lavoro, ecc. #123 Comment By Little Commie Craig On 19/01/2013 @ 4:43 pm Grazie per la risposta! :-) Questa vulgata veramente insidiosa, fa breccia nelle fasce popolari in modo subdolo e pericoloso anche fra persone che, per il resto, non hanno nulla da condividere con il fascismo. Distribuendo la pubblicistica di unorganizzazione marxista in un mercato popolare e discutendo che le persone che si incrociano se ne hanno continue conferme. Persone comuni, lavoratori o disoccupati incazzati con il mondo, che acquistano volentieri il materiale che gli proponi, sono in linea di principio daccordo con te, ma poi ti piazzano di punto in bianco un bel a volte penso ci vorrebbe Mussolini, lui si ha fatto molto per aiutare gli italiani. E l lunica cosa che puoi rispondere senza chiamare in ballo Marx, Jesi o chiss che altro, la banale verit: il fascismo ha fatto gli interessi dei grandi industriali, ha attaccato operai e braccianti distruggendone le organizzazioni, ha mandato al massacro in guerra milioni di persone. Smontare la favola a livello dialettico in una discussione individuale relativamente semplice. Demolirla culturalmente ossia rimuoverla una volta per tutte dal senso comune imbevuto di retorica reazionaria di una difficolt immensa. #124 Comment By Francioso On 19/01/2013 @ 5:28 pm Vorrei conoscere la vostra opinione in merito al cosiddetto Nuovo Realismo proposto da Maurizio Ferraris e altri (vd. qui) come reazione di sinistra al relativismo, derivante secondo questi autori dal successo del cosiddetto pensiero debole e del postmoderno in Italia, che ha permesso se non provocato il lungo regno berlusconiano. Della serie: pu proprio la realt, paradossalmente, essere un mito tecnicizzato? #125 Comment By Francioso On 19/01/2013 @ 5:44 pm Mi spiego meglio: per realt intendo quel richiamo un po nostalgico e un po retr ad un approccio ingenuo (depurato da eccessivi filosofismi) e pi diretto alla realt che possa fondare lazione politica e che, mi sembra, sia lobiettivo di questo Nuovo Realismo. #126 Comment By Little Commie Craig On 19/01/2013 @ 8:14 pm Conosco poco la proposta di Ferraris e il dibattito in cui si inserisce; ho giusto letto, a suo tempo, alcuni articoli per farmene un idea. Da quel poco, per, mi sembra di capire che questo new realism* sfoci pi o meno una riedizione tuttaltro che originale del pragmatismo statunitense, soprattutto per quanto riguarda le sue conseguenze politiche. Lidea di fondo, infatti, mi sembra quella per cui, nella famosa realt che esiste indipendentemente dal nostro discorso su di essa (e grazie al c! :-D), la nostra azione politica guidata dalla critica illuministica procede necessariamente per piccoli aggiustamenti da delegare, ovviamente, ad una libera comunit scientifica di esperti che al massimo si cureranno di far arrivare le loro illustri deduzioni al popolino bue e becero per il tramite della divulgazione. Ideologia liberaldemocratica, elitaria e borghese in piena regola, insomma. Ad ogni modo, non so se sia corretto parlare di mito tecnicizzato in questo caso. Per come interpreto io lanalisi di Jesi (e le considerazioni di chi oggi lo riprende), il mito funziona come tale nella misura in cui trova espressione in unintera cultura che (1) tende ad una ricezione di massa e che (2) fatta di comportamenti, modi di parlare e scrivere, riti, liturgie; in un modo tale per cui tutto il discorso si appiattisce proprio su questa cultura viva (molto concreta) priva di profondit storica (omogeneizzazione del passato, miti dorigine ecc.), sottratta alla discussione e indirizzata ad unadesione acritica e totalizzante (vedi le idee senza parole). Questo new realism (evito *deliberatamente* di usare le maiuscole :-P), invece, oltre a non avere nulla di originale, mi sembra qualcosa spendibile *a malapena* in una discussione fra intellettuali in pausa caff. Figuriamoci quante possibilit pu avere concretamente di mettere in moto una macchina mitologica in grado di influenzare la coscienza collettiva. Se ha avuto qualche riscontro mediatico nelle pagine culturali di qualche quotidiano borghese giusto perch il livello del dibattito filosofico in Italia detta come va detta quello che . ;-) * E davvero curioso che chi critica il populismo e la degenerazione postmoderna ricorra poi allespediente da marketing di dare un nome inglese al suo brillante e innovativo prodotto intellettuale per farlo sembrare pi fico e attuale #127 Comment By franzecke On 19/01/2013 @ 10:39 pm E davvero curioso che chi critica il populismo e la degenerazione postmoderna ricorra poi allespediente da marketing di dare un nome inglese al suo brillante e innovativo prodotto intellettuale per farlo sembrare pi fico e attuale cio tipo New Italian Epic? :) vi prego non mi picchiate, colpa di Little Commie Craig che me lha veramente strappata dai denti imploro umilmente piet e mi rimetto alla giustizia rivoluzionaria. @ Francioso non so bene di cosa si tratti, se per questo richiamo ad un realismo pi reale del reale dovesse essere finalizzato a smuovere le masse in vista di un imminente sovvertimento dellordine politico-sociale nel nome del Nuovo Credo Realista ok, si potrebbe anche parlare di mito tecnicizzato, altrimenti mi sa proprio che ha ragione il compagno Craig #128 Comment By Francioso On 19/01/2013 @ 11:45 pm Grazie ad entrambi. Dalle vostre risposte penso anche di aver compreso meglio proprio il rapporto con la realt del mito analizzato da Jesi ed in questo senso la differenza rispetto ad una concezione *poststrutturalista* (ad esempio quella foucaultiana del potere-sapere). Una differenza che, mi pare di poter dire, si basa soprattutto sulle solide fondamenta marxiste del pensiero di Jesi,. Il mito tecnicizzato resta sempre una pezza sovrastrutturale della classe egemone ed ha quindi, come dice @LCC, un carattere oppressivo, generalizzante, totalizzante (e totalitario??). In questo senso, e correggetemi se sbaglio, la pars construens del discorso di Jesi sul mito passa attraverso le modalit marxiste della lotta di classe, ecc. Il che un bel problema risolto: le possibili soluzioni francesi (Foucault, Derrida, Deleuze, Lacan) sono molto pi sfumate e paradossali, perch diversa proprio la concezione del rapporto tra linguaggio e reale (per dirla bene, del rapporto tra i modi di veridizione, le forme di governamentalit e le tecniche di soggettivazione). #129 Comment By franzecke On 20/01/2013 @ 12:27 am @Francioso Grazie a te per la sintesi brillante. Pensa che non cero mai arrivato a mettere in relazione il potere-sapere di Foucault con la macchina mitologica di Jesi. Questo perch la mia lettura di Jesi sempre stata pi di retroguardia, pi rivolta agli studi sul mito della prima met del novecento che allcole post-strutturalista (che, fatta eccezione per Foucault, conosco molto poco). Quel che ti posso dire che studiando il mito in una prospettiva socio-antropologica ti accorgi presto di quanto questo sia sempre stato legge, norma fondante e garanzia di stabilit e di coerenza sociale. In questottica, loperato dei tecnicizzatori che utilizzano il mito per *manovrare la massa* si pu leggere come il lato oscuro di tale istituzione, che considerata dal punto di vista della portata e della persistenza sul piano storico, pu tranquillamente definirsi atavica. #130 Comment By Francioso On 20/01/2013 @ 1:25 am Molto interessante quello che dici sul mito dal tuo punto di vista socio-antropologico. Temo sia OT, in ogni caso ho letto ora la primissima (fantastica) diramazione dei commenti e oltre ad essermi commosso per la descrizione di WM1 dei *post-strutturalisti* francesi, mi sono reso conto di quanto in fondo eravamo anche noi vicini alla stessa questione del rapporto tra linguaggio (racconto, mito) e realt (materialismo). Quando dici studiando il mito [...] ti accorgi presto di quanto questo sia sempre stato legge, norma fondante e garanzia di stabilit e di coerenza sociale penso che tu non sia affatto lontano da Foucault e mi piacerebbe approfondire il tuo concetto di istituzione atavica che mi sembra rinviare a molto pi che semplice sovrastruttura :) Sarei curioso di sapere cosa ne avrebbe detto Gramsci Non che passa un gramsciano da queste parti??? Altri posti dove cercarli non ne conosco :))) #131 Comment By Little Commie Craig On 20/01/2013 @ 11:18 am

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cio tipo New Italian Epic? Assolutamente no! WM1 giustificato ad utilizzare linglese in quanto postmodernista deleuziano degenerato! :-D A parte le battute idiote, il nome del NIE stato introdotto in inglese semplicemente perch utilizzato per la prima volta durante una conferenza negli USA, come se non ricordo male ha spiegato lo stesso WM1. Il new realism, invece, oltre a fare piuttosto evidentemente il verso al NIE ( solo una mia impressione?), stato introdotto per la prima volta sulle pagine culturali di Repubblica! ;-) #132 Comment By franzecke On 20/01/2013 @ 11:35 am Postmodernisti e pure filoamericani, dunque! :D Ok, fine dello scherzo.. del resto Nuova Epica Italianasuona abbastanza agghiacciante. #133 Comment By franzecke On 20/01/2013 @ 11:39 am Cmq sto sistema dei reply ha qualche problema, in effetti.. per lultimo commento avevo loggato seguendo la procedura corretta e sono finito in un altro thread. Boh? #134 Comment By Wu Ming On 20/01/2013 @ 11:46 am Mmh Pu capitare di confondersi. Meglio in ogni caso loggarsi prima, poi seguire il dibattito e decidere a cosa rispondere. #135 Comment By Wu Ming 1 On 20/01/2013 @ 11:58 am Per se non sbaglio fu Spinazzola a venir fuori con lespressione New Italian Realism in contrapposizione a New Italian Epic. Era il 2009 e si era ancora in ambito letterario. La rivista Allegoria di Romano Luperini aveva gi fatto il numero monografico sul presunto Ritorno alla realt (2008) e De Cataldo aveva parlato su Repubblica di neo-neorealismo. Poi Ferraris cominci a parlare di nuovo realismo (allinizio era in italiano), praticamente replicando in filosofia lo stesso identico dibattito che era avvenuto nel campo letterario, senza per citare niente e nessuno, come se allimprovviso si fosse svegliato lui e avesse avuto la folgorazione! Repubblica gli concesse lenzuolate su lenzuolate, gli oppose Vattimo e altri, e cos partita la rumba. In ogni caso, gi il Ritorno alla realt, il Neo-neorealismo e (Dio ce ne scampi!) il New Italian Realism erano formule che non condividevo. A maggior ragione perch molti commentatori e critici iniziarono a schiacciare il mio memorandum sul NIE dentro quella prospettiva, mentre io avevo scritto tuttaltro. Ancora oggi c gente secondo cui io nel NIE avrei predicato un ritorno alla realt, segno evidente che non capirono nulla allora e continuano a non capire niente adesso. Su questo, rimando a un mio pezzo del dicembre 2008: REALISMO: IL GIGANTESCO MALINTESO Invece, riguardo alle critiche fattemi allepoca per aver usato unespressione inglese, rimando a questaltro mio pezzo: NEW ITALIAN EPIC: REAZIONI DE PANZA con particolare riferimento al paragrafo 1c, Stratagemma del Mi fingo autarchico :-) #136 Comment By franzecke On 20/01/2013 @ 12:04 pm @ Francioso Anche io sarei molto curioso di avere una lettura dettagliata della faccenda da un punto di vista gramsciano. Quel poco che so di Gramsci lho imparato seguendo a ritroso i sentieri tracciati da Foucault e da Dick Hebdige ma quella tutta unaltra storia ;) #137 Comment By Little Commie Craig On 20/01/2013 @ 12:06 pm In questo senso la pars construens del discorso di Jesi sul mito passa attraverso le modalit marxiste della lotta di classe. Secondo me s! Meglio ancora: passa attraverso lintervento attivo e consapevole nella lotta di classe. Il che mi sembra perfettamente coerente non solo che lanalisi, ma anche con la stessa biografia di Jesi. Sulla questione del mito/istituzione atavica in quanto molto di pi di semplice sovrastruttura bisognerebbe prima di tutto chiarire bene come intendiamo il rapporto fra struttura e sovrastruttura. Perch il ruolo della sovrastruttura pu essere inteso in modo diminutivo e derivato solo se fra i due piani si presuppone un rapporto meccanico e deterministico ma non ho mai pensato che la concezione marxista vada in quella direzione. Si pu quindi collocare la macchina mitologica al livello della sovrastruttura e, al tempo stesso, riconoscerle un ruolo essenziale nel mantenimento e nella legittimazione dei rapporti di potere che nascono dal possesso dei mezzi di produzione (ossia dalla struttura) ;-) #138 Comment By franzecke On 20/01/2013 @ 12:24 pm Si pu quindi collocare la macchina mitologica al livello della sovrastruttura e, al tempo stesso, riconoscerle un ruolo essenziale nel mantenimento e nella legittimazione dei rapporti di potere che nascono dal possesso dei mezzi di produzione (ossia dalla struttura) stai dicendo la stessa cosa che intendevo io ma da un punto di vista marxista, direi. Nella mia visione la macchina mitologica garantisce il funzionamento stesso di una societ attraverso un meccanismo di coercizione basato sul sapere rituale e sulla tradizione pressoch totalitario, pi che un equilibrio dei poteri basato sul possesso dei mezzi di produzione. Ma ripeto, mi sembrano essere due facce della stessa medaglia.. #139 Comment By Little Commie Craig On 20/01/2013 @ 12:29 pm E cos partita la rumba che continua ancora oggi, con Ferraris che assurge praticamente a filosofo ufficiale del PD bersaniano :-) In che senso dici che il dibattito filosofico sul new realism rimanda alla sua controparte in ambito letterario (che non conosco)? Non riesco a capire come le lenzuolate su Kant e la realt materiale delle multe per divieto di sosta (sic), o i batti e ribatti con Severino e Vattimo, si incastrino, per dire, con il dibattito sulla natura di Gomorra #140 Comment By Wu Ming 1 On 20/01/2013 @ 12:58 pm Il frame del dibattito del 2008-2009 era, tagliando con laccetta: finito il postmodernismo; per troppi anni la letteratura ha scritto solo di letteratura e non si occupata della realt sociale esterna, dura, oggettiva; finalmente gli scrittori non fingono pi che la realt non esista o comunque sia inaffrontabile e tornano a occuparsene con romanzi che affrontano il reale, il sociale. Tutto questo era riassunto nella formula Ritorno della realt (o Ritorno alla realt). Questo , mutatis mutandis, lo stesso frame attivato da Ferraris al momento di avviare il dibattito sul nuovo realismo in filosofia. #141 Comment By danae On 20/01/2013 @ 1:00 pm ho trovato larticolo di Repubblica con la recensione (di Simonetta Fiori) a Tirature 2010, il volume di Spinazzola in cui si parla di nuovo neorealismo (si parla per modo di dire, perch Spinazzola non preciso nelluso della terminologia): http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/01/13/il-nuovo-neorealismo-romanzi-riscoprono-il-paese.html il neorealismo italiano (che poi tale non , come spiega bene Girolamo De Michele su Carmilla linkato da WM1 in Realismo: il gigantesco malinteso) una categoria nata dal cinema, passata alla letteratura e poi approdata alla filosofia. Anche il nuovo neorealismo ha fatto la stessa strada #142 Comment By Francioso On 20/01/2013 @ 2:56 pm Con piacevole sorpresa ho letto questo articolo in proposito poco tempo fa, in cui @WM1 citato (come collettivo ma non credo se la prender a male :)), che tutto sommato mi sembra abbastanza equilibrato. Forse avvicina troppo WM al NR, ma credo in buona fede: nel senso di una necessit di fondamento dellazione politica. Un punto del rapporto tra realt e testo mi sembra ineludibile e fondamentale: Non si pu portare nella scrittura la cosa-in-s, ma solo il modo in cui viene raccontata nel reale testualizzato (da Realismo: il gigantesco malinteso, link sopra) e (anche @franzecke e @LCC) non vorrei dire una boiata, ma se fosse il concetto gramsciano di egemonia lanello mancante? Chiss cosa pensava Jesi di Gramsci e cosa avrebbe pansato Gramsci di Jesi Entrambi marxisti, entrambi *antropologi* fuori dagli schemi, #143 Comment By girolamo On 20/01/2013 @ 3:19 pm @ Little Commie Craig Pi che di filosofo ufficiale del PD, io parlerei di un comitato filosofico (un modo figo per dire: una compagnia di giro) interno a Repubblica, di cui fanno parte, oltre a Ferraris, Esposito, Galli (che entrer in parlamento senza passare dalle primarie, vedi mai il porcellum) e altri. In realt io credo che il PD degli intellettuali se ne freghi, perch non sa che farsene; mentre Repubblica coltiva (in concorrenza con MicroMega) il mito della mosca cocchiera. Se posso permettermi, quello che penso del ritorno alla realt lho scritto su carmilla qui (pi o meno a partire dall amet), e in precedenza su minima & moralia qui.

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#144 Comment By Wu Ming 1 On 20/01/2013 @ 3:28 pm Il pezzo di Federica Blasio interessante dove critica Ferraris, mentre non mi convince per nulla dove cerca affinit tra NIE e New Realism. Prima inquadra il memorandum sul NIE dentro una crescente esigenza di ritorno al realismo, poi per cita il passaggio dove dicevo che il realismo solo una delle tante frecce nella faretra di un autore. Le due cose non vanno insieme. Infatti, quel passaggio proseguiva dicendo che ogni pretesa di realismo minata alla base dal fatto che la connotazione influenza la denotazione, il nostro linguaggio *sempre* figurato, metaforico, visionario, e lallegoria scappa come scappano le scuregge. Io non ho mai sentito n tantomeno espresso alcuna esigenza di ritorno al realismo, anzi, ho sbeffeggiato tale esigenza, perch il realismo (la denotazione) sempre stato qui con noi, non ce ne siamo mai allontanati. Quello che cercavo di fare io nel memorandum e quello che sta cercando di fare Ferraris in filosofia sono due cose diverse. Differenti le premesse, differenti i concetti, diverso il campo da gioco, divergenti i percorsi. #145 Comment By Francioso On 20/01/2013 @ 3:49 pm Eh gi, il punto ineludibile di cui sopra. difficile lequilibrio e il punto dincontro tra realt e linguaggio Una lancia spezzata a favore dei nostri criptolaliaci amici francesi (@Girolamo: anche di Lacan direi :)) Cmq pi leggo i vostri commenti e pi questo New Realism mi sembra qualcosa che trova espressione in unintera cultura che (1) tende ad una ricezione di massa e che (2) fatta di comportamenti, modi di parlare e scrivere, riti, liturgie. Hanno perfino sede virtuale a Repubblica #146 Comment By girolamo On 20/01/2013 @ 4:38 pm @ Francioso Certo, anche di Lacan. Ricordando per che dopo Lacan c stato altro, e che il solo Lacan a me non basta. Non a caso citavo, in uno dei due testi, il lavoro che Althussser ha fatto su Lacan (rispetto al quale, ma posso sbagliarmi, Zizek non ha detto altro, salvo usare un diverso linguaggio). E non si pu ignorare che Lanti-Edipo nasce in opposizione alla macchina teorica lacaniana, e costringe pur tenendo presente, come fa il lacaniano Recalcati, che con Mille plateaux alcune distanze si accorciano a una scelta tra il modello lacaniano e quello deleuze-guattariano. Altrimenti finiamo per fare una lista acritica, sul modello french theory. Alla fine, tagliando cl machete, il problema sempre se il reale si aqualcosa che sta per i fatti suoi al di l delel nostre rappresentazioni (con quel che segue: possiamo raggiungerlo? Passiamo almeno sapere che c? Ci impone le sue leggi, o se ne sbatte di noi?), o se una creazione (o uninterazione tra polo soggettivo e polo oggettivo): ed chiaro che statuto e funzione del linguaggio (e dunque dellapparato simbolico, delle narrazioni e dei narratori, ecc.) cambiano in modo radicale se buona luna o laltra opzione. Io com noto, sto con Deleuze-Guattari e Foucault (ma non per questo butto via Lacan). Per vero che se i nostri amici francesi (mica solo loro, del resto) ci avessero dato un taglio col linguaggio esoterico, ricordandosi di come Bergson riuscisse a parlare di cose complicatissime con un linguaggio accessibile a tutti, ne avremmo guadagnato tutti (ma anche mio nonno, se avesse avuto tre palle). #147 Comment By Francioso On 20/01/2013 @ 5:36 pm Hai centrato un punto molto importante (il solito) e sono inizialmente daccordo con te. Lungi dal volermi considerare lunico interprete dellortodossia lacaniana (ruolo che lascio volentieri a Recalcati che, non a caso, mi pare propugnatore di un ritorno al reale inteso come dato biologico [sic]), anche perch Lacan non credo avrebbe voluto avere unortodossia. A me piace credere che dopo le giustissime critiche di DeG de LAnti Edipo, proprio alla mancanza della Realt, che si trasforma in bisogno (da riempire con oggetti, ad esempio), Lacan si sia accorto di essere troppo schiacciato sulla dimensione Simbolica e abbia cercato una sterzata. Leggendo (????) i suoi ultimi seminari (xes: il XX, Ancora) si ha limpressione che tutti i suoi contorcimenti (i disegni di nodi!!!) siano finalizzati ad una via paradossale ed intricata (almeno quanto il rizoma dei Millepiani) al Reale: una via etica in cui non a caso irrompe la corporeit ed il godimento femminile. Poi non so cosa ne dica Zizek e non mi interessa troppo, per non so ma mi interessa cosa ne dice Althusser :) [OTtissimo!!!!!] #148 Comment By Wu Ming 1 On 20/01/2013 @ 5:39 pm Ragazzi, state di nuovo scivolando nellimpenetrabile (che come immagine un bellossimoro, ma mi sembra renda lidea). #149 Comment By Francioso On 20/01/2013 @ 5:52 pm Hai ragione, chiedo scusa per la deriva. Grazie a Girolamo per la conversazione OT :) #150 Comment By Wu Ming 1 On 20/01/2013 @ 11:57 pm Rapa, si pu leggere questa tua tesi? Lhai messa on line da qualche parte? #151 Comment By vectorsigma On 21/01/2013 @ 6:31 pm Mi sono preso il week-end per farmi una pensata A scanso di equivoci, dico subito che non volevo n mettervi nella penna cose deficenti, n sostenere cazzate. Men che meno farti inalberare ;-) Il succo, provo a riformulare, tutto qui. Perch il problema anche: chi lartefice della mitopoiesi, levocatore, lo sciamano, lostetrico? Spetta a un intero movimento, comunit o classe sociale maneggiare i miti e mantenerli vivi. Nessun gruppo separato pu auto-incaricarsi di questo. Noi, invece, finimmo per diventare funzionari alla manipolazione delle metafore e allevocazione dei miti. La nostra divenne una quasispecializzazione. Eravamo una cellula agit-prop. Eravamo spin doctors. Ecco: secondo me lintero movimento stava manipolando il suo mito. Non eravate un *gruppo separato*. Facevate parte di questo movimento e quindi di questo mito. Per questo ho parlato di mito genuino. Quando dico che ai tempi di Genova non avevo mai sentito parlare di Frankenhause, non lo dico per contestare la tesi bislacca che sia stata la lettura di Q a creare il mito di Genova e convincere la gente ad andare a Genova. Ovviamente non lo penso. He detto questo invece per controbattere allidea che siate stati funzionari alla manipolazione delle metafore e allevocazione dei miti. Di nuovo, eravate dentro il movimento e, come parte di esso, eravate (eravamo) immersi nel mito. E il mito era autentico in quanto su quel mito centinaia di persone sono andate a Genova. Anche se evidentemente espresso malissimo, quello che volevo dire con lintervento precedente era che la critica non dovrebbe essere sul mito, ma sulla, diciamo cos, applicazione del mito: come si assedia un castello? Siamo in grado? Con le mani alzate? Spaccando le vetrine? Tagliando i viveri agli otto? Non sono un prete, non do assoluzioni, ma non prendete colpe che non sono vostre. Hai parlato di chi finito in galera, di chi scappato. Tutto vero. Ma quanti sono tornati da Genova e hanno iniziato / continuato nuove e vecchie lotte. Tanti. Tante. Genova ha significato, per me e per altri, radicalizzazione e coscientizzazione. Non nonostante il suo mito, ma grazie al suo mito. Lautocritica importante: ma facciamola sulle cose giuste, se no tafazzismo. Un abbraccio (e scusate lOT) #152 Comment By Wu Ming 1 On 21/01/2013 @ 7:02 pm Come si assedia un castello? secondo me la domanda sbagliata. Perch non cera nessun castello. Non stavamo assediando niente. Ma su questo ripeterei cose gi scritte quattro anni fa. Eravamo nel movimento, s, ma ci siamo comportati da specialisti del framing, da ufficio addetto alla manipolazione mediatica. Producevamo testi e performances e agit-prop a getto pi o meno continuo. I numeri di Giap della prima met del 2000 sono testimonianza di quel clima. E tutta quellattivit convergeva su Genova, era un ossessivo Andiamo a Genova. Un errore strategico. Che abbiamo condiviso con moltissimi altri, certamente. Ma nel quale ci siamo impegnati a fondo, non senza arroganza intellettuale, quel genere di hybris che nella mitologia greca viene punita dagli dei. E nfatti. Le persone che dopo Genova hanno continuato o addirittura cominciato a fare qualcosa di buono, lo hanno fatto *nonostante* lerrore strategico, non grazie ad esso. E quellerrore strategico fu alimentato per mesi da una continua tecnicizzazione di mito (o scherzare col fuoco, per essere pi prosaici). Tafazzismo, per come la vediamo, sarebbe stato *non* scrivere lautocritica. Fdati, compagno, che lo sappiamo meglio di te cosa abbiamo e non abbiamo fatto in quei mesi. #153 Comment By jimmyjazz On 23/01/2013 @ 1:06 pm Cosa direbbe Furio Jesi se vedesse questo spot? http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=HtPcA9dO4qc#! #154 Comment By arrigo malera On 23/01/2013 @ 10:26 pm amici, sono perso in un mare di stelle, apprendo molte cose e vi ringrazio per farmi ripensare continuamente e riformulare da altri punti di vista le questioni. su Jesi e Gramsci, velocemente. in assenza di citazioni dirette e dato per scontato che Jesi ne conoscesse i fondamentali, entrambi ripensano limportanza della sovrastruttura rispetto alla struttura e attribuiscono enorme rilevanza alla cultura come elemento costitutivo di una societ, entrambi hanno grande attenzione agli aspetti antropologici del sacro nella costituzione delle identit e dei temi folklorici, per entrambi come stato detto si tratta di contribuire a costituire una coscienza di classe. Per Gramsci fondamentale conquistare legemonia culturale: per Jesi la controcultura piuttosto un antidoto allegemonia culturale della destra. Nel dibattito della Nuova sinistra la controcultura deve disinnescare le macchine mitologiche mosse dal potere in funzione strategica e dopo, la stessa strumentazione teorica deve servire,

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secondo Jesi, per non essere soggiogati dal fascino mitologico della propria macchina mitologica. Una cosa di Fortini del 1972 che ho messo da parte e che mi sembra importante per la questione: Tutte le forme di ribellione di contestazione sorte nellambito studentesco hanno in comune negato il ruolo dellintellettuale e promossa la sua conversione allattivismo politico. La negazione del ruolo si ispirata a modelli approssimativamente cinesi o cubani; mentre lattivismo politico quasi sempre ha finito con la riscoperta di formule organizzative di tradizione leninista [...]. Gli studiosi e i militanti non sono stati quasi mai capaci di superare latteggiamento moralistico proprio delle minoranze intellettuali del passato [...]. Chi scrive si rende benissimo conto che tentare di elaborare un sistema di segni cio di valori in opposizione a quello realmente diffuso dalle centrali dellinformazione neocapitalistica, pu sembrare altrattanto colpevole direbbe Brecht quanto voler mettere ordine in un porcile: e che pu essere soltanto lennesima ripresa di un errore storico [...]. Nessuno cos ingenuo da credere che ci sia davvero una cultura proletaria o rivoluzionaria; ma questo non significa che accettare di riconoscere i fondamenti capitalistico-borghesi tanto della condizione intellettuale quanto degli strumenti e delle categorie con le quali lintellettuale oggi lavora equivalga condannarsi al riformismo e alla mistificazione. un lavoro di talpa quello che oggi si propone agli intellettuali rivoluzionari in un paese come lItalia: nientemeno che lipotesi di un uso integrale degli strumenti di informazione e di comunicazione della societ presente, dalle televisioni al ciclostile, dalla cattedra universitaria alla poesia. F. Fortini, Intellettuali e Nuova Sinistra, in Id., Questioni di frontiera. Scritti di politica e letteratura, 1965-1977, Torino, Einaudi, 1977 pp. 135-136; 137-138; 139-140. #155 Comment By Francioso On 24/01/2013 @ 12:29 am Grazie per la risposta, lapprofondimento e per la splendida, splendida citazione di Fortini (secondo me, varrebbe la pena di mandarla a Ferraris) che di una chiarezza invidiabile! (grazie anche per la precisione del riferimento bibliografico). #156 Comment By arrigo malera On 24/01/2013 @ 6:31 pm che dire? autentico cattivo gusto dal basso, di un infantilismo sorprendente. animato dalla convinzione di stare contribuendo a salvare il mondo. se maggiorenne imperdonabile. questo mi sembra pi inquietante. http://www.youtube.com/watch?v=t4o6MEmD3es #157 Comment By Bertably On 25/01/2013 @ 5:47 pm 1 in contrapposizione alluso del passato come pappa omogeneizzata cosa ci mettiamo? Una storia precisa, collocata? La storia si pu fare, intendere e parlare, se sappiamo che stiamo parlando di un discorso costruito, pieno di diverse prospettive che solo insieme danno il quadro della situazione. Cio quando io mi chiedo cosa sono, mi racconto la mia storia, che il mio passato, collocato e esibendo il punto di vista da cui lo colloco (che sono ovviamente io). Cos uso il passato con un tempo e risignifico la storia e me ne riapproprio in un certo senso, o no? Me lo chiedo, me lo rispondo ma lo condivido e chiedo pareri. 2 Sulla questione die guerrieri e luso costante di pezzi di macchina culturale di destra anche per la militanza a sinistra, trovo lanalisi di Jesi davvero centrata. Non solo nei Settanta, ma anche nelloggi. Mi chiedo, si pu quindi riuscire a parlare di lotta e di militanza senza questi dispositivi? Ne siamo immersi e li vediamo funzionare. Cosa ci mettiamo contro? Ed ecco che arriviamo dove ci interessa, cio a pensare di declinare questo sguardo possibile dallaltra parte, della produzione, dopo lanalisi, come gi si diceva in pezzi di conversazioni sui nuovi miti e su wuming stess* e nellautocritica, giusta e responsabile, del post genova. Provo a fare un altro esempio: sia per luso della storia che per il combattere, tutta la grammatica zapatista pu essere una mitologia di sinistra davvero? E pu esserlo anche se si sa che ogni mitologia per forza fatta di rielaborazione e quindi non esiste marcos senza luso che se ne fa in tutto il mondo e senza quel che se ne dice? O esiste? Cio.. Se la rielaborazione di un mito essa stessa parte di esso, non si possono o si possono dividere i momenti? Intendo, poniamo il caso esista una mitologia non di destra ma se ne faccia uso di destra posso ripulire (orribile termine di destra, vero? :)) un materiale originario o lo do perso per sempre? O devo aspettare che cambino le condizioni collettive di uso dello stesso? Anche per Q questa una domanda. Io credo che la risposta possa essere esattamente nella domanda, cio.. laddove la rielaborazione determina il mito, allora devo continuare a rielaborarlo per tenerlo vivo. Ma dallaltra parte non si pu mica raccontare sempre la stessa storia.. o s? #158 Comment By arrigo malera On 25/01/2013 @ 8:37 pm provo a rispondere a queste centrali questioni, che spero di aver colto correttamente. 1. la conoscenza storica come critica e la consapevolezza della distanza sono un antidoto fondamentale alluso della storia, sia esso monumentale o antiquaria (cfr. le Considerazioni inattuali di Nietzsche). Assmann, che un teorico dellidentit, citando Olivers Sacks (il neurologo) considera i processi di organizzazione narrativa della memoria e di autocostruzione che riguardano il piano inviduale (life-stories) analoghi a quelli inerenti al collettivo (miti). In qualche modo siamo intrecciato con la storia che ci precede e abbiamo una storia, nella misura in cui ce la raccontiamo. Ri-significazione mi sembra un buon termine, perch ogni approccio comunque sempre anche una appropriazione. Cfr. Ricoeur che parla di un fondo impenetrabile nei soggetti che precede ogni interpretazione, opaco, non esauribile, di interesse che pertiene alla dimensione personale, di cui lo stesso soggetto non in grado di rendere pienamente ragione e che rinvia alla costellazione collettiva memoria-narrativit-testimonianza-rappresentazione storica. 2. la seconda questione quella pi politica e riguarda luso del mito a sinistra ed quello di cui parla WM1, citando il problema che hanno attraversato del rapporto mitopoiesi/movimento. i miti che si pretendono originari sono dannosi perch fanatizzano, i materiali rielaborati e vistosamente mostrano invece la loro leggerezza e mantengono sempre desta la riflessione, non prevedono il solo momento patetico-emozionale. Qui Jesi citava il Brecht dello straniamento che produce per unarte di idee, o il Benjamin del commento decostruttivo (e perdonatemi lanacronismo). Perch una narrazione non sia tossica, ci siamo detti, deve mostrare la sutura, il lavoro di rimontaggio, citazione, lironia e la parodia, deve rinviare-a, essere allegorica e allusiva; pena ladesione acritica, lidolatria, lipnosi di massa. LA questione di ogni movimento realmente emancipativo che senza una propria mitologia non pu essere tale e se appesantisce il mito tradisce il suo afflato utopico e si trasforma in chiesa. Il libro di Yves Citton, Mythocracie. Storytelling ed imaginaire de gauche, 2010, discute questo. Alegre ne proporr unedizione entro lanno. In sintesi, traduco a braccio dalled. francese, p. 18: oggi urgente costruire insieme: non tanto un sistema di idee, coerente e totalizzante [...] ma piuttosto un bricolage eteroclito dimmagine frammentarie, metafore incerte, interpretazioni da discutere, di intuizioni vaghe, di sentimenti oscuri, di speranze folli, di narrazioni sconnesse e di miti interrotti, che prendono insieme la consistenza di un immaginario. Come esempi di uso possibile del mito Citton cita Sun Ra, s il jazzista, che ha usato la forza emancipatrice del mito: cambiare nome, adottare unidentit extraterrestre, guardare la societ terrestre da un punto di vista interplanetario, tutto questo ha contribuito a uno sforzo di contro-scenarizzazione permettendo di denunciare e resistere alloppressione, razziste, classiste, conformiste e anti-intellettualiste che strutturano la societ americana. Poi Citton cita il lavoro di Wu Ming (pp. 165-169) come un esempio per rinnovare limmaginario di sinistra senza cadere nelle trappole del mito per la scelta dellautore collettivo contro il mito dello scrittore, la transmedialit e il riferimento ai movimenti e alle moltitudini in rete; il mito di sinistra come cantiere aperto e il New italian epic come risposta di sinistra al soft power reazionario, Le sue fonti sono Wu Ming. La narration come tecnique de lutte, Politique, 56, 2008 e poi NIE, versione francese, con largo spazio al sito #159 Comment By jackie.brown On 25/01/2013 @ 10:23 pm Posto un passo da Critica della violenza etica di Judith Butler, spero non troppo OT e non di troppo cmq, a proposito di raccontare s stessi. Se lidentit che noi diciamo di essere non pu catturarci una volta per tutte, e allude immediatamente a un eccesso e a unopacit che fuoriescono dalle categorie dellidentit stessa, allora ogni tentativo di dar conto di s, dovr necessariamente fallire per avvicinarsi a una qualche verit. Nella misura in cui chiediamo di conoscere laltro, o chiediamo che laltro dica, una volta per tutte e in modo definitivo, chi lui o lei sia, sar necessario non aspettarsi una risposta che possa davvero soddisfarci. Solo non aspirando a tutti i costi a una risposta esaustiva, e lasciando che la domanda resti aperta, che addirittura continui a insistere, noi lasceremo davvero vivere laltro, dal momento che la vita pu essere intesa proprio come ci che eccede ogni tentativo di dar conto di essa. Se lasciar vivere laltro parte essenziale di ogni definizione etica del riconoscimento, allora questa versione del riconoscimento si fonder meno sulla conoscenza che sulla percezione e lassunzione consapevole di certi limiti epistemici, di certe pretese di verit. In un certo senso, come suggerisce Cavarero, il vero atteggiamento etico consiste nel porsi la domanda Chi sei tu? e nel continuare a domandarselo senza mai aspettarsi una risposta piena e definitiva. Laltro a cui pongo la domanda non sar mai completamente catturato da una risposta che possa soddisfarlo del tutto. Cos, se nella domanda vi un desiderio di riconoscimento, questo desiderio sar sempre obbligato a tenersi vivo come desiderio, a non risolversi mai in qualcosa di soddisfatto. Oh, ora finalmente so chi sei: nel momento stesso in cui pronuncio queste parole io cesso di rivolgermi a te, o di essere interpellata da te. #160 Comment By Bertably On 25/01/2013 @ 10:56 pm grazie mille e s, hai colto entrambe le questioni. sulla seconda leggo e penso: gi! il punto non nel cosa ma nel come e gi sta in Jesi che infatti ci parla di macchina, di processo e di dinamica. Un mito non di destra non pu esistere o se vogliamo definirlo non possiamo definirlo cos. dovremmo trovare qualcosa che suoni tipo insieme di pratiche comunicabili critiche per dire qualcosa di performativo che sia collocato nel mondo e nel tempo wuming quindi un immaginario possibile perch fatto di modi e non solo di storie, oppure di storie, se come storia si pu intendere insieme prodotto, processo di produzione, e processo di fruizione/ricezione possibile di condivisione in un certo senso. Ho capito giusto? #161 Comment By Bertably On 26/01/2013 @ 12:22 pm @jackie.brown grazie e niente OT, se il topic stato da me impostato siamo proprio l a chiederci come si fa a dire, a dirsi e quindi grazie! #162 Comment By arrigo malera On 26/01/2013 @ 5:20 pm bellissimo e in focus, grazie, hai le coordinate esatte, metto da parte, grazie #163 Comment By arrigo malera On 26/01/2013 @ 5:26 pm

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direi di s, modi e nodi, crocevia di storie afferenti a diversi momenti di storia dei movimenti di resistenza, ri-visitate e ri-abitate. i personaggi di WM sono sempre identit-dubitanti e sfumate ed linsieme della coralit dei punti di vista (dei personaggi) che determina un quadro. ma io non sono un buon critico, sono un lettore, e qui mi fermo #164 Comment By franzecke On 27/01/2013 @ 12:31 am Salve a tutti, credevo che la discussione fosse morta e sepolta e invece vedo che il buon Malera sta ancora qui a presidiare il fortino. Ne approfitto per raccontare una cosetta curiosa che mi capitata stasera. Mentre buttavo un occhio per vedere se riuscivo a rimediare da qualche parte una copia di Mitologie intorno allIlluminismo di Furio Jesi mi sono imbattuto in questo http://anonym.to/?http://totalitarismo.altervista.org/totale/calasso-si-e-fermato-a-jesi/ Dovrei dedurne che esisteva anche uno Jesi esoterista di cui noi zecche ignoriamo lesistenza? Larticolo tra citazioni di Papini e atmosfere degne delle migliori vasche da bagno di Argentiana memoria si commenta da solo, direi. A quanto pare sar anche il pi odiato dai fascisti, ma una bella riabilitazione *decorativa* in ambienti ben pi nazi rispetto a quelli dell AVGVSTO sembrano proprio pronti a dargliela. Mi resta soltanto un dubbio, che probabilmente mi lever il sonno stanotte: ma sto GdC sar lamico immaginario? @malera molto bello il pezzo che hai pubblicato sul tuo blog sugli scritti giovanili di Jesi, ho anche provato a commentartelo ma qualcosa nn ha funzionato, quindi ti ringrazio qui. Sempre se ci sei ancora ;) Un saluto #165 Comment By Francioso On 27/01/2013 @ 2:45 am Urca che tipi! Povero Jesi, se si sentisse coinvolto in questi discorsi Da prendere in seria considerazione lipotesi danbrowniana del suicidio/omicidio misterico, da farne una puntata di Mistero Mi sono spesso chiesto il perch della fascinazione della destra per lesoterismo ma poi penso che ogni mito identitario per definizione esoterico, cio interno, chiuso nel gruppo che sancisce e sigilla. Sbaglio @franzecke? TdC: Secondo me non sbagli, sei molto arguto. Mi piace la tua ipotesi. F: Eh! Grazie, grazie. S non malaccio. E lho tirata fuori cos, en passant TdC: Sei er mejo. #166 Comment By rapa On 27/01/2013 @ 5:05 am Ecco qua! http://www.scribd.com/doc/122389412/Mitopoiesi-padana-ovvero-Barbarossa-di-Renzo-Martinelli Mi farebbe strafelice avere lopinione vostra e dei giapsters! :D #167 Comment By franzecke On 27/01/2013 @ 8:53 am Lesoterismo un po pecione di questi pseudo seguaci di Gunon, per come la vedo io, ha ben poco a che vedere con le istituzioni iniziatiche legate ai miti identitari. Si tratta pi che altro di paccottiglia identitaria, di esoterismo plastificato, di gnosticismo de noantri. In questo senso Evola ha fatto scuola. Il discorso pu benissimo ricollegarsi con quanto si diceva sopra rispetto alluso del kitsch come funzione decorativa: scollegate dal loro contesto sociale, le simbologie esoteriche scadono subito nel grottesco (Apuleio docet). Riguardo al fascino che tali puttanate hanno sempre esercitato sulla destra, credo sia un discorso analogo a quello riguardante la loro ossessione per i complotti, le cospirazioni, le societ segrete e via dicendo: si tratta di semplici soluzioni atte ad eludere la realt e a nascondere la polvere sotto al tappeto, per riprendere unespressione di WuMing1. Correre a rifugiarsi nella solita pappetta pronta con cui la cultura di destra si nutre e si propaga, mi sembra infatti sempre di pi un modo per nascondere un rimosso, e il risultato di tali operazioni, pi che verso lidentit, secondo me conduce dritto alla schizofrenia. #168 Comment By Francioso On 27/01/2013 @ 12:59 pm Riguardo al fascino che tali puttanate hanno sempre esercitato sulla destra, credo sia un discorso analogo a quello riguardante la loro ossessione per i complotti, le cospirazioni, le societ segrete e via dicendo proprio questo che intendevo (forse impropriamente) per esoterismo. Mi hai fatto pensare a quanto radicata sia in alcune persone di destra che conosco lossessione (vera e propria) per queste sciocchezze: dal libro dei sette savi alla civilt aliena. Del resto gi il nazismo correva dietro alla sindone, la lancia di Longino, ecc. Tu sei sicuramente pi ferrato di me in questo campo, ma la spiegazione di ideologia prt--porter non mi convince molto, neppure quella della fuga dalla realt o della rimozione: c qualcosa che mi inquieta in questa insistenza e deve essere legata a doppio filo con la creazione dei miti di destra. Non so: non vi sembra strano, per chi si pone come difensore dellordine e dellautorit, ricercare spiagazioni oscure e nascoste? un tratto che la destra ha sicuramente in comune con Beppe Grillo ed il suo complottismo che ogni tanto riemerge (uuuuuh: e il signoraggio????). In generale pi che schizofrenia (a me gli schizo stanno simpatici!), dovrebbe aver a che fare con la psicosi: ne parlavamo tempo fa a proposito dellabuso di Tolkien da parte della destra. la ricerca di un significato profondo, unessenza nascosta che stabilisca una volta per tutte la verit del significante (del simbolo)? come se perfino i portatori di unideologia totale e totalitaria, si accorgessero che qualcosa sfugge, che il senso comune a disposizione non sufficiente, che c un vuoto o uneccedenza (vd. Butler) che non si sanno spiegare (in questo senso il rimosso): non potendo per accettare lidea che un senso non esiste, lo cercano in questo modo bislacco #169 Comment By LOREVERO On 27/01/2013 @ 7:48 pm Abbiamo fatto splash! Dallaltro delle ns rarefatte altitudini meditative, troppo inebriati dallo stabilire quanto la trascendenza soreliana sia arbitrariamente di ds o ambiguamente di sn per prestare attenzione alle insidie del percorso, siamo ruzzolati nellacquitrinio melmoso dei miasmi nazional bolscevichi. A fatica siamo riemersi aggrappandoci allinadeguata,ma pur sempre salvifica imbragatura di Eco. Ma una volta al sicuro, invece di calibrare meglio il ns passo, abbiamo preferito abbuffarci di autocompiacenti affabulazioni. Con ben poco REALISMO e molta euforica eccitazione, ci siamo fatti venire il MAL DE PANZA. Insomma, quella che era iniziata come una stimolante, seppur impegnativa escursione indagataria, si trasformata in un baccanale stordente. Con tanto di incontinenze,annebbiamenti e sfarfugliamenti.Ora che la pacatezza pare tornata, io la scarpinata vorrei poterla continuare. E vorrei farla in compagnia di Tolkien. Distogli il viso dal verde mondo e guarda l, dove ogni cosa sembra nuda e fredda. suggerisce Gandalf ad Aragorn ne IL RITORNO DEL RE. Ecco, ritengo chee il limite intrinseco del pensiero destrorso stia tutto qui. Nella sua stizzinosa incapacit di afferrare la realt come ambito di eventi fattuali, dialettici e contraddittori. Nell impossibilit di affrontare le cause ultime del profondo decadimento che investe le societ secolarizzate.In quella sua costitutiva inadeguatezza a misurarsi con la contorta ed impegnativa complessit del divenire storico.Un deficit di senso espresso dal rancoroso schematismo del Mein Kampf. Connaturato allallucinogena ricerca di una conoscenza esoterica intrapresa da Evola. Insito nel rimpianto agreste di un Pound, cos come nel romantico nazionalismo dannunziano. E nemmeno riescono a compensarlo il feudale anticapitalismo di uno Strasser o il fallace corporativismo di un Bottai. Ed il minestrone non che diventi pi sostanzioso se insaporito coi diorami orientali che Ren contrappone alla materialit occidentale oppure con la vorticosa e vitale redenzione ascensionale delluomo caldeggiata da Bergson. Tantomeno con la catartica corsa senza scopo verso un divenire senza alcun fine propugnata da Sorel. Ma aggiungiamoci anche ingredienti pi nobili come la intransigente opposizione verso ogni rivelazione metafisica e ipocrisia morale di Nietzche nonch le rigorose speculazioni teoretiche di un Gentile e, xch no, pure quellindefinibile possibilit dellumano esserci tanto cara ad Heidegger. Insaporisci, mescola e fai bollire fin che ti pare, ma alla fine servirai solo una zuppa x stomaci senza pretese, seppur di gradevole sapore. Nessuno degli elementi costitutivi che permettono di definire un apparato concettuale come tale qui riscontrabile. Non abbiamo un corpus, se non proprio organico, quanto meno definito. Non vi uno sviluppo costante ed unitario di pensiero . Solo un esile e stiracchiato filo che tenta di riannodare unipotetica tradizione e dal quale si dipanano ancor pi esili sfilaccciamenti che avvalorano o giusticano. E come un affannosa costruzione di senso che implode e riesce a spiegarsi solo come fascinazione dellastratto. Come assoluto tautologico. Un continuum disomogeneo e vuoto, ma evocativo quel tanto che basta per poter incontrare rabbia e frustrazione e porger loro contenitori di sacralit nei quali poter raccogliere un istintuale e differenziato bisogno di rassicurazione, appartenenza e riscatto. Paradigmi categorici di assoluto assunti come chiavi interpretative del reale. Cristallizzazioni di una storia pi desiderata che accaduta. Una superficializzazione del mondo che sacrifica la complessa articolazione del concreto entro schematismi cognitivi fantasmatici immediatamente fruibili. Inevitabile. Lartificialit narrativa della ds figlia di quella mancanza di tensione progettuale nelledificare un nuovo tempo storico che si sostanzia nel suo farsi potere. La modernit tanto declamata si rivela come esaltazione e perpetuazione di fatto dei desueti meccanismi capitalistici di accumulazione, delle loro leggi e valori di riferimento. Non rompe,non supera bens recupera,ripristina,rafforza. Non solleva problematicit, impone semplifiicazioni, dicotomie spicciole. Non contempla la certezza del costruire ex novo, ma salvaguardia lesistente annientandone ogni residuale criticit sociale. Non arricchisce orizzontalmente lindagine sul reale, ma si delega allincarnazione leaderistica del verbo. Questo suo mix di disappunto da salotto aristocratico e rabbiose invettive da curva sud, mi appare frutto di un pensare privo di quella temerariet indagatrice che vuole rompere la continuit storica del presente. E le sue elaborazioni mi risultano farciture rimasticate, volitive ingenuit o tentativi di arabescati ricami su un grezzo sudario tanto per voler seppellire ogni possibile atto conoscitivo scientifico, logico e dialettico. Non le vedo supportate da quell imperativo di sondare a fondo la materialit che ci circonda cos da arricchire di spessore la visione di un altro mondo possibile. Si tolse lAnello, forse spinto da qualche profonda premonizione di pericolo. () -Meglio dare uno sguardo al peggio mormor Inutile barcollare nella nebbia.Duro, crudele e selvatico era il paesaggio davanti a lui. E quando il trascendente diventa storia collegandosi alle esigenze di sopravviivenza del dominio, allora levocativo si disvela ed il passato coincide con il racconto delle classi dominanti. L unico. Il pensare diventa inutile xch il credo economico imperante non ha bisogno di intellettualit, non necessita di altre storie, ma solo di libert dazione. E mentre la tradizione valoriale giustifica le necessit delloggi, la riorganizzazione capitalistica della societ impone il suo implacabile sfruttamento su uomini, risorse e territori altrui. Lideale avvalla e divarica le differenza fino a diventare una salutare barbarie evoluzionista. E le contraddizioni sistemiche restano tutte l, irrisolte. Ancora presenti, solo un p in disparte. La valorizzazione del capitale, ritrovato un nuovo equilibrio momentaneo, rimasta intatta. Dominatrice incontrastata, ora legittimata a dispiegare il suo destino civilizzatore. Con tutto il suo carico di sofferenza, ingiustizie, barbarie ed iniquit che dall Olimpo dei miti ritornano rovinosamente sulla terra. Le storie migliori da raccontare non sono le preferibili da vivere. #170 Comment By franzecke On 27/01/2013 @ 10:15 pm Caro Francioso, direi che il commento postato qui sotto dal buon Lorevero sia una spiegazione abbastanza esaustiva di quanto stavo dicendo molto pi esaustivo di tutto quel che potrei dirti io, che sono un seguace dellarretos e della dea pigrizia :) nonch un bel modo, a mio parere, di chiudere questa discussione.

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Nel pensiero di destra la via pi facile, bench spesso travisata da passaggio attraverso la porta stretta, passa sempre in primo piano rispetto alle sterminate e faticose praterie del ragionamento: in questo senso, direi che lo possiamo in tutta tranquillit definire un *non pensiero*. Un saluto e a presto #171 Comment By arrigo malera On 27/01/2013 @ 10:43 pm ci sono, continuo a seguire, grazie, un piacere davvero qualcuno pu anche pensare uno Jesi esoterico, ma si tratta di un abbaglio. dir di pi: vero che il giovanissimo Jesi ha frequentato Galvano, un insegnante di filosofia, poeta simbolista e pittore davanguardia con entrature nella buona societ torinese, e non da escludere che li ci fosse poltiglia esoterica. (cfr. Ferrari, 2007) Il giovanissimo Jesi va anche a trovare una volta il barone de Rachewiltz, egittologo traduttore del Libro egiziano dei morti e marito di Mary, figlia di Ezra Pound. Il tipo, un aristocratico con castello in tirolo e suocero poeta al seguito, aveva simpatie destrorse. Jesi ha conosciuto quindi anche il vecchio Pound, poeta che amava. Ma stiamo parlando di primissimi anni sessanta se mi ricordo bene la corrispondenza, insomma il giovane studioso mette insieme egitto e poesia e conosce uno dei suoi poeti preferiti. Me ne ha parlato Mauro Raspanti, del Centro Jesi di Bologna, centro studi su antropologia, storia delle religioni, post-coloniale, di grande impegno civile e antifascista. La mia idea che l abbia cominciato a capire che il mito e la destra sono strettamente connessi e che doveva guardarsi bene dagli ambienti egittologi, rilkeiani (come dai salotti torinesi, su cui scrive cose molto divertenti) e da l credo abbia cominciato non solo a prenderne le distanza, ma a cercare di capirne i motivi. Ricordo che dal 1964 comincia a scrivere cose marxiste, nel 1968 scazza con il maestro Kernyi per questione politiche, lo accusa in molto garbato di cripto-fascismo, e poi nel 1969 molla la CGIL, criticandola da sinistra. Il libro di cui si parla nel dialogo il Mitologie intorno allilluminismo (esce 1972 ma i saggi sono precedenti, per le edizioni di Adriano Olivetti, che dovrebbe essere una garanzia di per s) in cui studia lesoterismo, ma senza alcuna simpatia. John Dee un protoscienziato, Jakob Frank e Shabbetay Zezy trasformano la loro utopia religiosa in mito vissuto, Kierkegaard e il pietismo sono modi di vivere il mito in terra. Studia lapproccio esoterico appunto, come fa uno studioso materialista che ne riconosce il fascino e il pericolo. (cfr. Manera, 2012). In quel libro ci sono anche i saggi su Sade e Swift, un libro molto sperimentale, che odora di Barthes e Starobinski per intenderci, non di Guenon. Detto questo io ho comprato a Roma nel 2007 Il linguaggio delle pietre Rizzoli, 1978, in una vecchia libreria del centro che sembrava di essere in Harry Potter, in categoria esoterismo. Anche l Jesi cita Bulwer-Lytton in apertura, ma il libro tutto Leroi-Gorhan , Caillois, Benjamin per me il messaggio molto chiaro: il mito promette sfondi e squarci sullaltrove ma ti pu dare solo il labirinto dellimmaginario. (cfr. Roda, in Riga 31) Contesto poi che Jesi si sia suicidato o sia stato consumato da una sorta di malattia spirituale. La morte di Jesi stata un incidente domestico assurdo e causato dalla trascuratezza verso lo scaldabagno di un appartamento appena affittato, da parte di un uomo che lavorava tantissimo. Lidea del suicidio rientra nel trito clich (un brutto mito) del mitologo morto giovane, magari perch si avvicinato a studiare lesoterismo. Lultimo Jesi era secondo me attraversato dalla felicit dalla scrittura, dallimpegno politico, da una carriera che stava finalmente decollando dopo una lunga traversata del deserto, dal cambio di citt, di frequentazioni e di prospettive. Posso immaginare che Jesi avesse un lato melanconico (chi non lo ha), ma al tempo stesso era vulcanico, mercuriale, ironico, un trickster irriverente. a presto, vostro arrigo #172 Comment By ldtxv On 27/01/2013 @ 11:55 pm Ma uno scherzo o un ragionamento che uno dovrebbe poter seguire? #173 Comment By Francioso On 28/01/2013 @ 12:04 am Leggerti, arrigo, un piacere tutto nostro (o almeno mio!!) :) #174 Comment By franzecke On 28/01/2013 @ 12:55 am Sottoscrivo in pieno! Grazie mille per le preziose informazioni :) Credo di sapere a quale libreria ti riferivi, e mi risale su un filino di nostalgia per le belle giornate che ci ho passato dentro.. bientt! #175 Comment By franzecke On 28/01/2013 @ 1:19 am Dai ldtxv, proprio ora che Saint-Just ci lascia un po liberi di sfogarci! ;) chiaramente un volo pindarico, non privo di spunti di notevolissimo interesse. @ LOREVERO io, in effetti, ho mal de panza da una settimana #176 Comment By ldtxv On 28/01/2013 @ 1:23 am Farebbe bene un pochino di filosofia analitica ogni tanto.. ;) #177 Comment By Bertoldo On 29/01/2013 @ 5:12 pm Non conoscevo Furio, per fortuna c gente come voi e posso rimediare (magari mettendolo da parte un attimo, come ha fatto Enrico), comunque grazie delle frequenti riflessioni che ci obbligate a fare e concordo con Ekerot su De Turris. #178 Comment By Francioso On 30/01/2013 @ 2:19 pm Se per caso lo spettro di Jesi (cio @arrigo :)) si dovesse aggirare ancora da queste parti Mi chiedevo se la possibilit teorica della tecnicizzazione del mito sia unesclusiva del sistema capitalistico: se, cio, il mito tecnicizzato sia la voce del capitalismo. Spiego a cosa mi riferisco. Nella lettura di Deleuze e Guattari dello sviluppo storico socio-economico (Lanti-Edipo, cap. III), una delle caratteristiche, se non la pi vistosa, del capitalismo (il che non vuol dire necessariamente che ne sia la causa, n leffetto) la perdita dei precedenti riferimenti socio-culturali (quel processo progressivo che chiamano decodificazione): sostanzialmente la perdita di ogni possibile senso linguistico e culturale della realt. La codificazione delle societ pre-capitalistiche mi sembra possa accostarsi al valore classico del mito, come esposto ad es. da @franzecke: legge, norma fondante e garanzia di stabilit e di coerenza sociale. (Noto incidentalmente che difficile immaginare lo spazio per una contro-narrazione in una dimensione in cui il racconto del potere tutta la realt) Ora, secondo DeG, lesempio migliore di questo depauperamento del mito (come lo chiamo ora io) il valore di equivalente generico attribuito al denaro: questo non ha pi un senso socioculturale (xes tasse per reggere lo stato), ma diventa loggetto feticcio per eccellenza che si accumula come valore in s e che produce (apparentemente) valore di per s. (non vi fa venire in mente il capitalismo finanziario???) Questo svuotamento culturale come conseguenza provocherebbe lo spazio per una apparente e superficiale libert di racconto,codificazione (tecnicizzazione???), di mitologie contrapposte (ideologie??), che per, prima o poi, vengono disciplinate dal potere assiologico proprio del sistema capitalistico (attraverso funzioni linguistiche profonde, che mi ricordano gli enunciati di Foucault, ma lascio perdere perch per me un casino). una visione, credo, interessante soprattutto in quanto spiega gli apparenti spazi di libert di cui si giova lideologia liberale-liberista (progresso, benessere diffuso, democrazia, diritti umani,) e li spiega inevitabilmente come miti tecnicizzati (codificazioni superficiali). Il problema, daltro canto, che non ci sarebbe spazio per miti *non* tecnicizzati #179 Comment By LOREVERO On 01/02/2013 @ 12:33 pm Vi prego di perdonarmi, volentieri vorrei proseguire la riflessione rispondendo ai vs post, ma sinceramente non ne ho afferrato il senso. ldtxv, a cosa ti riferisci quando parli di scherzo o ragionamento ? A quale contesto o individuo farebbe bene la filosofia analitica? franzeche, a quale volo pindarico interessante fai riferimento ? Ovviamente, lungi da me ogni intenzionalit polemica. Il mio solo un sincero ed interessato desiderio di continuare l approfondimento sulle idee silenziosamente sedimentata e le loro implicazioni storiche. #180 Comment By ldtxv On 02/02/2013 @ 4:31 pm Ti chiedo io di perdonarmi, perch ho usato un tono polemico. E che ho trovato quello che hai scritto incomprensibile, e mi chiedevo se ci stessi prendendo in giro. Per questo suggerivo la filosofia analitica, perch rigorosa e poco verbosa. #181 Pingback By Consigli per riconoscere la destra sotto qualunque maschera | Giap On 21/02/2013 @ 2:50 pm

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[...] imporre luso di centrodestra e centrosinistra al posto di destra e sinistra stata unoperazione di framing che ha avuto conseguenze devastanti: a destra leufemismo servito a legittimare soggetti lercissimi e fascisti nemmeno ripuliti; a sinistra [...] #182 Pingback By La nostalgia colora di rosa anche la lama della ghigliottina | Suprasaturalanx On 05/03/2013 @ 12:35 pm [...] la strada, poi la sinistra ha distrutto quel mondo (in realt, questa una parafrasi di Wu Ming 1, ma siamo l); come concetto ridicolo, eppure probabilmente anche voi conoscete persone che lo [...] #183 Comment By Klingsor On 12/03/2013 @ 7:22 pm ecco lennesimo capitolo in tema di offensiva culturale / manipolazioni / appropriazioni indebite eccetera, direttamente da Torino, visibile a chiunque sta uscendo dalla citt passando dalla zona degli ospedali. che dire, sono al passo coi tempi e con la cronaca. (non sapendo se e come possibile caricare immagini, linko la foto presente sul mio contatto twitter; nel caso non sia la procedura corretta, chiedo scusa in anticipo) https://twitter.com/Klingsor_/status/311541491283685376/photo/1 #184 Comment By Klingsor On 15/03/2013 @ 2:08 am e poi che dire, ti vengono dei dubbi, fai due ricerche, e ti viene da vomitare. https://www.google.com/search?q=carlo+vive&hl=it&client=firefox-a&hs=Qpz&rls=org.mozilla:it:official&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ei=93NCUf3ZKsTA7Ab7pIDADA&ved=0CAcQ_AUoAQ& biw=1366&bih=611#imgrc=_NIEG1hnWgv7pM %3A%3BoYuyykOVkjTD4M%3Bhttp%253A%252F%252Fimg44.imageshack.us%252Fimg44%252F227%252F16338291.jpg%3Bhttp%253A%252F%252Fforum.termometropolitico.it%252Fforum%252Fmovimentie-cultura-politica%252Fdestra-radicale%252F14903-foto-corteo-carlo-falvella-7-luglio-1972-7-luglio-2009-a.html%3B640%3B480 #185 Pingback By Innumerevoli, indisciplinati, nomadi: le classi pericolose nelle parole di Izzo | Emigriamo in bicicletta On 25/03/2013 @ 9:49 am [...] richiamati allordine economico e la paura del diverso, dellaltro spinge verso una destra che manipola materiali mitologici per fondare un noi inesistente (ma rassicurante) da [...]

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