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Castello Arechi

Introduzione L'acquisizione del castello, nel dicembre del 1960, segn l'inizio di un ambizioso progetto di recupero del monumento inteso come la parte pi notevole del sistema difensivo di Salerno. Dopo trent'anni, l'acquisto della Torre Bastiglia nel giugno del 1990 ha rappresentato un ulteriore importante tassello per la salvaguardia e la valorizzazione delle opere di fortificazione della citt. I primi lavori di restauro permisero la creazione di un nucleo espositivo di ceramiche e di reperti provenienti dal Castello stesso, di sale per mostre, conferenze e congressi, oltre ad una serie di altri servizi indispensabili per il funzionamento del monumento stesso, ambienti tutti concentrati nella sola zona dell'ampliamento aragonese, aperta al pubblico nell'ottobre del 1982. L'inizio degli anni Novanta ha visto la Direzione dei Musei Provinciali del Salernitano e il Centro "N. Cilento" (CAM) per l'Archeologia Medievale dell'Universit degli Studi di Salerno impegnati in una serie di campagne di scavo tese a individuare l'evoluzione del complesso monumentale. Tali interventi archeologici, come anche il relativo restauro tuttora in corso, hanno beneficiato di un cospicuo finanziamento del Ministero della Protezione Civile (Legge 731/1986) specificamente stanziato per il recupero ed la valorizzazione del castello.

Storia ed evoluzione della fortificazione Il rapporto paesaggistico tra la citt e il castello sulla collina Bonadies costituisce un elemento peculiare di Salerno. L'erta collina non ha mai consentito ampliamenti del tessuto urbano oltre la fascia pedemontana, sia per motivi funzionali - la difesa da attacchi esterni necessitava di aree ben libere -, che per la naturale difficolt di accesso. Per questi motivi le sovrapposizioni edilizie hanno interessato soltanto il necessario, e ripetuto nei secoli, ammodernamento delle strutture fortificate atte alla difesa. La storia di Salerno non pu prescindere dal suo apparato difensivo, che avrebbe preso l'avvio dalla discussa presenza di una primitiva fortificazione romana. Nella fonte liviana (Livio XXXII, 29, 3) la colonia di Salernum fu dedotta ad castrum; in Strabone (V, 251) ancora si coglie un riferimento ad un presidio o una sorta di corpo di guardia costruito dai Romani contro i Picentini che, deportati nel 268 a.C., alla vigilia della prima guerra punica, dall'originario Piceno nell'ager che da loro si denomina poi ager Picentinus (tra Salerno e il fiume Sele), si erano di nuovo ribellati ai Romani, schierandosi con Annibale dopo la battaglia di Canne nel 216 a.C. Sembrerebbe dunque che i Romani avessero particolarmente potenziato la nuova colonia maritima perch tenesse a bada i Picentini, pronti a ribellarsi alla prima occasione; tuttavia i reperti restituiti dai recenti scavi archeologici condotti nell'area del castello mostrano per l'et romana carattere decisamente episodico. Un solo frammento ceramico riferibile a tale epoca, rinvenuto nella campagna di scavi del 1993: relativo ad una coppa a parete convessa con scanalature sul bordo esterno, piede basso molto obliquo, "a vernice nera", del tipo della cosiddetta "campana B", databile verso la fine del II secolo a.C. Trova confronto in altri esemplari dalla casa di Sallustio a Pompei, dal relitto di Spargi, da Cuma e ancora da Ischia, Pietrabbondante, etc

Una sola moneta da Ebusus, nelle Baleari, poi inquadrabile tra III e II secolo a.C. ed, infine, due monete romane di bronzo - un asse ed un sesterzio - appartengono al II secolo d. C. Il dibattito sul castrum citato da Livio a proposito della deduzione della colonia di Salerno, deliberata con la lex Atinia del 197 ed effettivamente realizzata tre anni dopo nel 194 a.C., stato vivace in ambito locale. Si deve per pensare che esistevano anche altri tipi di fortificazione, oltre quello con mura poligonali, che si avvalevano solo di strutture lignee, laddove sussistessero gi naturali condizioni di difendibilit. Vista una delle finalit della colonia salernitana, tenere cio a bada i Picentini, e considerata la forma di occupazione capillare del territorio generalmente effettuata dai Romani, non credo che la sommit della collina Bonadies sia stata completamente trascurata. Ma tale considerazione non deve forzosamente condurre a cercare col tracce di strutture murarie, di un edificato insomma non ritenuto necessario dal momento che il cacumen montis era gi naturalmente difeso dalla sua posizione naturale e bastava quindi una semplice scolta sulla sommit della collina Bonadies, nell'area successivamente occupata dalla turris maior, zona pi favorevole all'osservazione. D'altro canto, la datazione della pi antica fase costruttiva del circuito murario, conservata in maniera cospicua nei larghi tratti di filari di blocchi quadrati, desunta dai dati stratigrafici nelle recenti campagne di scavi, sposta ad et successiva l'impianto primitivo. Esso riconducibile al VI secolo d. C.: un castrum bizantino fatto erigere probabilmente da Narsete durante la guerra greco-gotica, la cui funzione consistette nel controllo del porto sottostante e dei percorsi che avrebbero potuto facilmente condurre a Nuceria Alfaterna, nodo ancora vitale per l'economia della fertilissima pianura vesuviana. Nelle fortificazioni di Cuma, a protezione di Napoli sul Tirreno, e di Canne sull'Adriatico, alla foce del fiume Ofanto, sono ben visibili tratti delle murature bizantine analoghe alla struttura fortificata salernitana. Il primitivo impianto della torre, che sar chiamata nei documenti turris maior, innalzata circa a met del VI secolo dai bizantini ancora oggi, seppure con qualche difficolt, riconoscibile. A pianta rettangolare, si innalzava sulla roccia sviluppandosi su pi ordini; appariva costruita su cinque livelli, se non sei. La sua architettura si sviluppava utilizzando un perimetro murario continuo ed una serie di piloni centrali che, insieme, servivano a reggere gli archi e le volte dei vari piani. Al secolo successivo, il VII, appartengono solo una fibbia ed una brocchetta a "bande rosse", quest'ultima dono funerario di una sepoltura rinvenuta nell'area del futuro ampliamento cinquecentesco. Il primo circuito murario sarebbe stato integralmente rinnovato dal principe longobardo Arechi II, che rifond Salerno munendola di un valido perimetro difensivo, cos come attestano il suo contemporaneo Paolo Diacono, poi il beneventano Erchemperto nel secolo IX, ed infine l'Anonimo del Chronicon salernitano del X secolo d. C. Ma gli scavi hanno rivelato che l'intervento longobardo di Arechi II sul castello, nel secolo VIII, fu quasi inesistente. L'attenzione del principe, infatti, fu rivolta essenzialmente alla costruzione delle mura di cinta della citt che assunsero proprio in quell'occasione la configurazione odierna, ancora in parte superstite. Nell'ambito di una dimensione strategica complessiva, il castello costitu il vertice N di uno schema difensivo triangolare, disteso sui pendii del monte Bonadies. L'immagine della citt chiusa nelle mura merlate appare nell'ultima coniazione longobarda contornata dalla leggenda Opulenta Salerno. Dal follaro, del secolo XI, attribuito a Gisulfo II la stessa iconografia prosegue via via fin nei disegni dei viaggiatori del Grand Tour, del XVIII secolo.

Questa configurazione fissa il suo vertice nella turris maior, i lati nei salienti murari - ancora in parte superstiti e seminascosti dalla moderna boscaglia di pini - e la base nella scomparsa murazione, parallela al mare che la lambiva. Ci consentiva ad un numero anche ridotto di difensori, allorch eventuali nemici fossero riusciti a penetrare nella parte bassa della citt, di arretrare sulle pendici difese della montagna, rimanendo sempre in posizione sovrastante l'invasore. Nel secolo XII la massa muraria disegnata da Pietro da Eboli proponeva ancora aspetti e dimensioni che concordano con le tracce residue dell'impianto originale. Nel Liber ad honorem Augusti, poema in tre libri composto da questo sacerdote e medico filosvevo vissuto tra il XII e il XIII secolo, la turris maior infatti unitamente a Castel Terracena e al Duomo - il suggestivo sfondo di alcune miniature, databili tra il 1195 e il 1196, che riproducono l'assedio dei Salernitani, favorevoli ai normanni, a Costanza d'Altavilla. L'intero circuito delle mura medievali rest quasi intatto fino al XVI secolo. La fase normanna, ben individuata attraverso gli scavi, mostra un breve ampliamento verso sud delle strutture castellane con la costruzione di un loggiato, di cui rimangono alcuni piloni, inglobati nella massa muraria realizzata per la sistemazione delle cannoniere del secolo XVI. Con i normanni, ancora una volta, furono proprio i salienti murari, che partendo dalla sommit della collina cingevano la citt sottostante, a subire una netta soprelevazione, resa necessaria dalla diffusione, nel secolo XII, di pi evolute macchine per gli assedi militari. D'altra parte era la posizione stessa sulla cima del colle Bonadies ad offrire buone possibilit difensive: il castello, infatti, non capitol mai e, durante l'assedio di Roberto il Guiscardo nel 1077, i suoi occupanti furono presi per fame e patteggiarono la resa. Si deve, molto probabilmente, ai normanni la costruzione della torre detta "la Bastiglia", posta a N della cima del monte Bonadies, su di uno sperone roccioso. La torre nasce in un'ottica di strategia territoriale, nell'ambito della dislocazione di pi punti di difesa intorno al nucleo centrale del castello. Indubitabile la sua funzione di avvistamento a sussidio della maggior opera difensiva, rispetto alla quale presenta infatti una ubicazione pi elevata: dalla sua posizione era possibile segnalare al castello i movimenti da quest'ultimo non direttamente visibili. Torre semaforica, dunque, come l'analoga torre normanna vicino al castello di Sarno, per restare in provincia di Salerno. Costituita da un dado cilindrico rinforzato sul fronte orientale da una mezza corona, contiene, sull'intera altezza, un solo vano il cui accesso era consentito solo con l'uso di scale o altri attrezzi comunque rimovibili, essendo notevolmente elevato il suo livello di calpestio rispetto al piano di campagna esterno; tipologia riscontrabile in vari altri luoghi, in Campania e altrove, nell'ambito degli schemi strutturali delle opere di difesa del Medioevo. Il rapporto tra il castello e la Bastiglia nasce e si precisa in relazione alle diversit orografiche del territorio in linea con il dato fondamentale caratterizzante l'opera difensiva della citt: la celebrata inespugnabilit di Salerno sembra infatti legata alla felice posizione naturale, tanto che fu, come si accennato in precedenza, la parte bassa, presso il mare, a ricevere maggiori cure nelle sistemazioni difensive del longobardo Arechi II, considerato colui che fortific Salerno. Gli Svevi non daranno molta importanza al castello: Federico II si limiter ad ordinarne la manutenzione. Le sorti del castello sono meglio documentate durante il turbolento dominio angioino, grazie all'archivio della cancelleria angioina ed aragonese e al Codice Diplomatico Salernitano; notevole anche la

documentazione offerta dai reperti archeologici. Un ordine di Carlo d'Angi dell'aprile del 1271 indica il modo di esigere denaro per la riparazione del castello; durante un sopralluogo del 1274 vengono segnalate urgenti opere di riparazione. La descrizione particolareggiata dei lavori necessari consente di riscontrare analogie in parte dell'attuale impianto. Il limite sud-est del castello, in et angioina, era costituito da un'alta cortina muraria, ben visibile sulla sinistra dell'odierno ingresso, resa maggiormente inaccessibile ed elevata dal taglio artificiale della roccia su cui si fonda. Essa era munita in origine di saettiere (sottili feritoie verticali da cui i difensori potevano scoccare le frecce), e successivamente, al di sotto delle saettiere, vennero istallate delle fuciliere ancora visibili. Dal ponte, un tempo levatoio, di accesso al castello ci si immette nel cortile attraversando i resti di una grande cisterna che, in origine, probabilmente costituiva il livello pi basso di una torre. E' possibile che le ultime ristrutturazioni della fase angioina siano da farsi risalire agli anni intorno al 1299, stando al testamento del salernitano Corrado d'Aversa del 23 gennaio di quell'anno. Gli ambienti sulla destra dell'ingresso, fin gi alla terrazza che si protende sulla citt, appartengono all'et moderna, quando ormai il castello aveva del tutto, o quasi, perduto la funzione difensiva ed era utilizzato dai principi Sanseverino, feudatari di Salerno, come residenza temporanea piuttosto che stabile. Un documento del 1579 descrive l'ampliamento di et moderna: vi indicata tutta l'ala sud-est del castello che dal cortile porta fino all'avamposto di levante. Il documento si colloca nel clima di rinnovata attivit militare che caratterizz il vicereame spagnolo. Ora il castello riassume l'originaria funzione di controllo e difesa del porto sottostante con la costruzione di una serie di cannoniere; ma si tratta di opere eseguite in modo alquanto sommario che difficilmente avrebbero potuto praticare reali offese. Qualche decennio prima un inglese, Thomas Hoby, annotava nel suo diario dei viaggi, tra il 1547 ed il 1564, la singolarit del paesaggio tra la citt ed il castello posto sulla collina Bonadies. "In alto, sulla roccia sopra la citt, vi un bel castello dove vive il principe (Ferrante di Sanseverino) ed esso gode di aria salubre e di straordinari panorami tanto verso il mare quanto verso le colline circostanti dove non cresce quasi altro che rosmarino". La documentazione materiale del Castello proviene sia dai lavori di restauro degli anni Settanta-Ottanta, sia dalle indagini di scavo condotte dal 1991. Il copiosissimo materiale ceramico presenta una continuit che attesta una pressoch ininterrotta frequentazione del complesso. La ceramica comprende varie classi, a "bande rosse", spiral ware, invetriata, protomaiolica e graffita.

La ceramica a "bande rosse" Ampiamente documentata la ceramica decorata a "bande rosse": sono stati recuperati circa quattrocento frammenti su cui ben visibile la decorazione che disegna sia spirali molto strette, sia larghe fasce avvalendosi di ossidi ferrosi. Il periodo di tempo in cui questa ceramica stata prodotta veramente ampio, dal VII-VIII sec. al XIII ed ancora oltre. Essendo stata rinvenuta molto frammentaria sono state ricostruite poche forme, come una brocchetta confrontabile con altre del secolo VII rinvenute in sepolcreti altomedievali o anfore globulari dei secc. XI-XIII. Sono stati ritrovati anche coperchi di creta la cui produzione, molto probabilmente, era di serie: venivano dunque acquistati separatamente e adattati di volta in volta secondo le necessit.

La ceramica spiral ware La ceramica definita spiral ware largamente diffusa dalla met del XII sec. a tutto il XIII sec. nell'Italia meridionale, lungo il litorale tirrenico dal Lazio alla Campania e nella Sicilia, ma attestata anche a Cartagine, nell'isola di Malta e in Israele. E' stata recuperata recentemente in grandi quantit in scavi condotti in costiera amalfitana, a Minori e soprattutto nella Villa Rufolo a Ravello, e nel centro storico di Salerno. Sono coppe e bacini (molto rare le forme chiuse) decorati con spirali disegnate esclusivamente in verde e bruno. Dal castello di Salerno provengono circa cento reperti, frammentari e riconducibili soltanto a forme aperte, che stando ai risultati delle analisi chimiche ed allo studio dei minerali effettuato su alcuni campioni, sembra siano state prodotte a Salerno, o nell'area salernitana.

La ceramica invetriata Consistente poi il numero delle ceramiche con invetriate verdi, le quali mostrano una completa gamma morfologica atta a soddisfare le esigenze della mensa: catini, scodelle, ciotole, piatti, invetriati solo sulla superficie interna, boccali, orcioli, microvasetti, rivestiti su entrambe le superfici. L'impiego della sola vetrina verde, ma talvolta anche giallo-bruna, presumibilmente comincia verso la fine del XII sec., quando si afferma anche l'utilizzo di ossidi coloranti per l'elaborazione di decorazioni dipinte. La ceramica invetriata con decorazione in bruno e verde una delle tipologie meglio rappresentate nel contesto del castello. Si individuato un gruppo omogeneo di ciotole dalla caratteristica decorazione, costituita da una fascia diametrale in verde delimitata da linee dritte e/o ondulate in bruno, che attesterebbero la pi antica produzione locale di ceramica invetriata e dipinta, a partire dalla seconda met del XII sec.. Nell'arco del XIII sec., si affianca tutta una serie di manufatti, di forma aperta e chiusa. Contemporaneamente si registra la presenza di una percentuale minore di reperti, che aggiunge alla bicromia del verde e del bruno anche il colore rosso. Tale produzione, diffusa in tutte le regione meridionali della Penisola anche nel XIV sec., indicata con la sigla "R.M.R.", dalle iniziali dei colori connotativi (ramina, manganese, rosso). I reperti rinvenuti sul castello rivelano caratteri morfologici analoghi alle produzioni bicrome, e un repertorio decorativo geometrico o astratto, con festoni, archetti, schemi a reticolo e a squame, riecheggianti talvolta motivi di ispirazione islamica.

La protomaiolica L'introduzione della protomaiolica nel corso del XIII sec., seguita dalla met del XIV sec. da una produzione che si pu definire di maiolica pi evoluta, amplia il gi complesso panorama delle produzioni ceramiche: si utilizza ora per il rivestimento lo smalto, mentre il repertorio decorativo vede, oltre ai motivi geometrici, la realizzazione di figurazioni naturalistiche di ispirazione zoomorfa. Allo stesso periodo risalgono numerosi esemplari di importazione dal mondo islamico, come una lucerna, praticamente integra, di tipo arabo.

La ceramica graffita Nel XV sec., unitamente alla copiosa presenza di faenze barocche, emerge la ceramica graffita, una tecnica elaborata che implicava notevole abilit da parte dei figuli, ma anche adeguate possibilit economiche per

produrla. Si assiste ad una decisa trasformazione morfologica che vede solo forme aperte relative a piatti e scodelle; rarissime le forme chiuse, dato che suggerisce il contemporaneo utilizzo di contenitori di tipo diverso. La regia decorativa orchestrata sull'alternanza e la commistione di motivi geometrici, vegetali e pi raramente zoomorfi, eseguiti su ciascuna sezione del manufatto, indipendentemente gli uni dagli altri. Sebbene manchino prove oggettive di una lavorazione locale, i caratteri di estrema omogeneit che contraddistinguono la graffita salernitana, permettono di ipotizzare una produzione locale. La ceramica con decorazione graffita diventer uno dei prodotti vascolari da mensa maggiormente in uso nel Rinascimento, accanto alla elaborata maiolica, affermata con una molteplicit di stili nelle diverse regioni italiane.

I vetri Dal castello di Salerno proviene anche un cospicuo numero di frammenti riferibili a vasellame di vetro. La forte frammentazione a cui questo materiale va soggetto non rende sempre possibile l'attribuzione a forme ben identificabili. E' comunque possibile riconoscere alcune tra le forme maggiormente in uso tra XI e XVII sec.: molte si richiamano a motivi formali e decorativi assai noti in Europa perch legati alle fortune di Venezia. L'uso del vetro come vasellame da mensa diventa abbastanza comune dall'XI sec., affiancandosi alla coeva produzione ceramica, soprattutto per le forme chiuse destinate a contenere liquidi. Ai comuni bicchieri a corpo conico privi di decoro, derivati direttamente dalla tradizione romana, si affiancano forme pi slanciate che si caratterizzano attraverso l'analisi dei decori. La grande diffusione dei calici dal XVI sec. lascia presupporre una produzione notevole anche in epoca precedente, ma scarsi sono i ritrovamenti in percentuale: potremmo dunque trovarci di fronte ad una forma che, per le difficolt legate alla sua realizzazione, stata prerogativa di pochi ateliers specializzati. Anche per la classe delle bottiglie si ritrovano i tipi pi in voga tra XII e XVII sec.: dal XIV sec. la bottiglia diventa comune su tutte le tavole e tende a sostituire le forme in ceramica con la medesima destinazione. Infine alcuni frammenti sono riferibili a brocche, a coppe, a piccole salsiere. L'impiego di materiale vitreo non si limitava evidentemente alla mensa: anche se in minima quantit, non mancano i rinvenimenti di lastre per finestra, mentre attestato l'uso di particolari forme per l'illuminazione (come lucernette) o per gli usi pi svariati (ampolline, unguentari, etc.). La maggior concentrazione di materiale relativa ai secc. XV e XVI e coincide quindi con il passaggio dell'immobile alla famiglia dei San Severino: dunque un cambiamento della destinazione d'uso da militare a residenziale.

Le monete Negli anni, durante i successivi lavori di restauro, sono state raccolte numerose monete che, in varia misura, testimoniano frequentazioni e condizioni di vita nel castello. Un grande interesse suscitano in particolare tre diversi gruzzoli, conservati nelMuseo Archeologico Provinciale di Salerno, i cui dati di rinvenimento presentano alcune incertezze. Il primo gruzzolo costituito da 34 denari della zecca di Rouen, una delle capitali della Normandia, monete di argento coniate tra la seconda met del sec. XI e gli inizi del

sec. XII, giunte a Salerno grazie ad un soldato normanno che partecip alla conquista della citt. Il secondo gruzzolo composto da 21 monete d'oro, tar siciliani della zecca di Palermo o di Messina che vanno da Ruggero I (1072-1107) a Tancredi (1189-1194), moneta di riferimento per eccellenza in Italia meridionale negli scambi del secolo XII: una bella somma, la cui perdita cost al proprietario un danno non lieve. Il terzo gruzzolo formato da 22 monete di argento e una di rame, esemplari delle zecche di Macerata, di Napoli, di Bologna che vanno dal 1392 al 1534. Tra le numerose monete rinvenute invece durante gli scavi archeologici (oltre la citata moneta del III-II sec. a.C. da Ebusus, l'odierna Ibiza, nelle Baleari attestanti probabilmente i precoci rapporti commerciali della colonia marittima romana di Salernum, fondata all'inizio del II sec. a.C.), bisogna menzionare tre follari di Costantinopoli della prima met del sec. X. Numerosi, ovviamente, sono anche i follari della zecca normanna salernitana; vi si aggiungono poi i denari degli Stati Latini di Acaia e di Atene, fino a giungere, fra le pi recenti, al grano di Giovanna e Carlo d'Austria (1516-1519) della zecca di Napoli.

Le armi e gli strumenti metallici In apparenza, paradossalmente per un castello, nella documentazione materiale proprio il settore riguardante le armi vere e proprie pi scarso: ci si spiega sia con la "fame" di metalli, in particolare di ferro, propria del Medioevo, per cui immaginabile che se ne andasse alla ricerca all'interno del fortilizio gi in antico, sia con la scarsit di assedi subita dal nostro castello. Le testimonianze pi antiche sono rappresentate da una placca di cinturone, confrontabile con elementi di cinture cosiddette longobarde ben documentate nella seconda met del VII sec., e un paragnate, una sorta di paraorecchi, di un elmo databile tra il VI e il X sec.. Di pi difficile datazione risulta una serie di lamelle probabilmente di corazza rinvenute in diversi settori del castello. Buona invece la documentazione di punte di freccia offerta dagli scavi: possono essere divise in punte da arco e dardi da balestra, databili dal XII al XIV-XV sec.. La variet tipologica indice, da un canto del mutare del costume militare, dall'altro del loro utilizzo anche nella caccia. Due soli gli esemplari di lancia e soltanto un globo di ferro attesta una mazza ferrata, un'arma molto valida nel corpo a corpo; uno sperone a rotella di bronzo dorato, pressoch integro, databile entro la prima met del XIV sec.. Gli altri oggetti metallici rinvenuti sul castello sono cronologicamente compresi in un arco che va dal VII sec. ai giorni nostri: diffusissimi i chiodi, nelle pi varie tipologie, ma anche cerniere di porta, chiavi, serrature, coltelli da mensa, cucchiai, anelli, ferri e bardature di cavallo.

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