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Equipes Notre Dame – Settore di Milano

END - Ritiro Somasca 2002 modificato.doc 17-


09-2002

Equipes Notre-Dame – Settore Milano


Ritiro spirituale di settore: Somasca di Vercurago (BG) 14-15 settembre 2002

(animatore: padre Giuseppe Moretti)

GESÙ MODELLO DI COMUNICAZIONE


Tra sposo e sposa… tra genitori e figli…

1a riflessione Uno «sguardo» che fa vivere


PREMESSA
Di una persona si colgono prima di tutto e soprattutto gli occhi. Di certe per-
sone ci rimane a lungo il ricordo degli occhi: è come la traccia di un passaggio
nella nostra storia. Quando lo ricordiamo lo sentiamo ancora vivo.
C’è anche un alfabeto degli occhi: con gli occhi si mandano e si ricevono mes-
saggi. Si dice che gli occhi sono le finestre dell’anima; ma ormai sono finestre
schermate da tendaggi, che non lasciano più intravedere che cosa ci sta dietro.
Gli occhi possono trasmettere quello che c’è nella mente e nel cuore, ma posso-
no anche mascherarlo o nasconderlo. Attori, doppiogiochisti, falsari, patacca-
ri… sono i “signori” del nostro tempo. Oggi è difficile sapere di chi fidarsi.
Il filosofo greco Diogene, girava nel mercato in pieno giorno con una lampada
accesa in mano: “Cerco l’uomo!” rispondeva a chi gli chiedeva il perché. Cercare
un uomo in una piazza gremita di gente può sembrare una battuta, ma è una
sconsolante realtà. “Ecco l’uomo!” ha detto Pilato presentando il condannato al-
la folla, il rabbì galileo Gesù di Nazaret. Non sapeva quale verità diceva.
A questo punto ci rendiamo conto che “guardare” (non solamente “vedere”) non
è solo un fatto istintivo, spontaneo: è un’arte. A guardare si impara. Guardando
già si interviene sulla realtà: guardando si comunica, si costruisce e si rico-
struisce…
La medicina moderna è arrivata a diagnosticare le malattie di una persona os-
servando il fondo dell’occhio. Ma l’occhio dice molto anche circa lo stato
dell’anima: “L’occhio è la lucerna del corpo” diceva Gesù “ Se il tuo occhio è lu-
minoso tutto il tuo corpo sarà nella luce” (Mt 6,26).

LO SGUARDO DEL SIGNORE


La Bibbia conosce e descrive una vasta gamma di sguardi: quello schietto e lu-
cente che dà gioia al cuore (Pr 15,30), quello che lascia trasparire un cuore su-
perbo (Sal 101,5); descrive l’occhio attento ai bisogni del fratello (Pr 22,9) e

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mette in guardia da quello cattivo, segno di avarizia, grettezza e invidia (Sir 1-


4,8).
I semiti ritenevano che nell’intimo dell’uomo esistesse una luce che, partendo dal
cuore, si proiettava verso l’esterno, passando attraverso gli occhi come da fine-
stre aperte sul mondo. È in questo senso che Gesù dice: «Se il tuo occhio è chi a-
ro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo
corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sa-
rà la tenebra!» (Mt 6,22).
Nei Vangeli sono registrati diversi sguardi di Gesù. Vediamone alcuni, cercando
di sovrapporre questi sguardi ai nostri. Vediamone le somiglianze ma anche le
profonde diversità: ci aiuteranno a correggere le traiettorie dei nostri sguardi.

& Lo sguardo al cielo. Solo l’uomo solleva il capo per contemplare il firmamen-
to, cerca in alto, in Dio, il senso della propria esistenza.
Gli occhi fissi verso il cielo, verso il Padre, hanno caratterizzato tutta la vita di
Gesù. In alcuni passi del Vangelo, viene notato esplicitamente questo suo gesto:
3prima di moltiplicare i pani egli alza gli occhi al Padre (Mt 14,19);
3prima di pronunciare la parola “Effatà” e di aprire le orecchie al sordo, per un
momento contempla il cielo (Mc 8,34), il luogo dove, secondo la concezione reli-
giosa degli Israeliti, si trova il trono di Dio.
3 prima della risurrezione di Lazzaro: “Gesù allora alzò gli occhi e disse:
«Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto,
ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano…» (Gv 11, 41-42).
Il suo sguardo indica la direzione verso la quale deve orientare gli occhi chi cer-
ca l’alimento per la vita e la parola che guarisce. Solo dall’alto viene la luce che
dà un senso alle gioie e al dolore, ai successi e alle sconfitte, ai tradimenti, alla
solitudine e al maggiore di tutti gli enigmi, la morte.

& Lo sguardo che va al cuore della persona che si guarda. Nella scelta del
futuro re tra i figli di Jesse la Bibbia dice: «L'uomo guarda l'apparenza, il Si-
gnore guarda il cuore» (1Sam 16,7). Lo sguardo di Gesù è quello di Dio: non si
ferma alla superficie, ma penetra nel profondo, giunge al cuore. Vediamo alcuni
esempi significativi.

3 nota… Sulla vasta spianata, che brulica di pellegrini, nota il fariseo che, in
piedi, ringrazia Dio di non essere come gli altri uomini e, in un canto, il pubblica-
no che si batte il petto e non osa alzare gli occhi al cielo (Lc 18,11.13).

3 valuta… Osserva le persone che si accostano alle cassette delle elemosine (a


forma di “trombe”). Gesù nota i ricchi che fanno offerte generose per “far suo-
nare le trombe” e attirare l’attenzione (Mt 6,2), ma il suo sguardo si posa invece

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su una vedova, povera, che getta nel tesoro solo due spiccioli, che possono esse-
re visti solo da chi ha uno sguardo che non si lascia ingannare dalle apparenze:
“Vi assicuro, questa vedova, povera, ha messo più di tutti” (Lc 21,1-3).

3 ricompensa… Il suo sguardo, come quello del Padre, “vede nel segreto”. Valuta
eventi, persone e cose secondo i criteri di Dio, e dice: «Quando tu fai
l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua ele-
mosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt
6,3-4).

3 apprezza… Un altro giorno Gesù incontra un giovane che, candidamente, gli di-
ce: «Maestro, tutti i comandamenti io li ho osservati fin dalla mia giovinezza,
che devo fare ancora?». Gesù - nota il Vangelo - fissatolo, lo amò (Mc 10,17-22).
“Fissatolo”, espresso col verbo greco “emblepo”, significa: guardar dentro, rag-
giungere quella parte recondita dell’anima che soltanto Dio conosce.

3 converte… Lo stesso verbo “emblepo” è usato da Luca per descrivere lo


sguardo di Gesù a Pietro dopo il rinnegamento. Nota l’evangelista: «Voltatosi,
guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto:
“Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E, uscito, pianse amara-
mente (Lc 22,61). Mentre noi giudichiamo sbrigativamente Pietro “pusillanime”,
Gesù “guarda dentro”, vede il cuore del suo discepolo e capisce il senso più com-
pleto del suo smarrimento. Non si limita a giudicarlo, lo cambia.

3 accoglie… A Gerico c’è un uomo che cerca di “vedere” Gesù (Lc 19,2). Ha un
nome, Zaccheo, che per una strana beffa del destino - significa “integro, puro!”.
È «capo dei pubblicani e ricco». Altro che “puro”! Luca nota un particolare curio-
so: l'uomo è piccolo di statura, che è come dire che Zaccheo è insignificante,
meschino, moralmente detestabile. È uno degli esclusi dal banchetto del regno di
Dio, ma ha una carta a suo favore: «Vuole vedere Gesù chi è». Non vuole sempli-
cemente “vedere Gesù”, la star del momento, ma “vedere Gesù chi è”. Non è lo
sguardo del curioso, ma quello di chi è alla ricerca di una luce. Ha tutto, ma è
profondamente insoddisfatto, per questo cerca l’incontro con chi può capire il
suo dramma e aiutarlo ad uscirne.
Siccome è “piccolo”, la gente (quelli che hanno occupato i posti attorno al Mae-
stro) gli fa da barriera nei confronti di Gesù: non può né avvicinarlo né vederlo.
E, per poterlo vedere, sale su un sicomoro (Lc 19,3).
Come mai la folla e i discepoli sono così scostanti? La ragione del loro atteggia-
mento sta in un difetto di vista. In Zaccheo non scorgono che il pubblicano, il
peccatore, il ladro, lo strozzino, null'altro; non riescono a scoprire in lui nulla di
buono e di positivo. Gesù vi scorge un figlio di Abramo, chiamato alla salvezza.

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Osserviamo ora come sono invece limpidi e puri gli occhi di Gesù: «Quando giun-
ge sul luogo, egli alza lo sguardo e dice: Zaccheo scendi subito, perché oggi devo
fermarmi a casa tua»” (Lc 19,5). Lo chiama per nome: “Zaccheo” (cioè) puro per-
ché, ai suoi occhi, egli è puro, è un figlio di Abramo, è anch’egli erede delle pro-
messe gratuite di Dio.
Significativo il dettaglio: lo sguardo di Gesù si muove dal basso verso l’alto. La
posizione elevata appartiene, di diritto, al peccatore, quella umile a chi lo deve
aiutare. Al centro delle attenzioni - secondo i valori stabiliti dalla logica evange-
lica - stanno l’emarginato, il povero, colui che ha pasticciato tutto nella vita. Di
costui Gesù, il Maestro e Signore, si considera servo (Lc 22,27).
Cosa hanno ottenuto i farisei (i cosiddetti giusti) con la loro rigidità? Nulla. Non
hanno fatto altro che incattivire Dio. L’unico sguardo che salva è quello che sa
scoprire i valori nascosti. È lo sguardo di Dio.

3 provoca… Gesù è dolce, comprensivo, misericordioso… ma grande nelle sue


proposte. «Prendi il largo…» (Lc 5,4) chiede ripetutamente ai discepoli: staccati
dalla riva dove ci sono le tue piccole sicurezze, i tuoi idoli… E a chi vuol diventa-
re «discepolo» fa delle proposte assolutamente grandi: «Rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua…» (Mc 8,34) …
Non teme di perdere adepti e fa le sue proposte senza tentare di addolcirle:
«Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,64). È radicale nelle sue richieste:
«Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»
(Lc 14,33).
Un richiesta sconcertante che mette in crisi una persona onesta come il
“giovane ricco”. Ha osservato e osserva tutti i comandamenti, ma non se la sente
di compiere il passo decisivo, ci ripensa, si rattrista e alla fine decide di tornare
alla sua vita di uomo normale, buono, onesto, sì, ma non ancora “cristiano”, cioè
discepolo di Cristo. Se ne va afflitto (Mc 10,22).
È a questo punto che l’evangelista Marco introduce uno sguardo intenso, pene-
trante di Gesù: «Volgendo lo sguardo attorno, egli disse ai suoi discepoli: Quan-
to difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio» (Mc
10,23). Una scena sconcertante: tutti sono immobili, sembrano impietriti men-
tre, nel silenzio carico di tensione, lentamente si muovono solo due occhi, quelli
di Gesù: passano in rassegna, uno ad uno, coloro che vogliono essere suoi disc e-
poli.
Sono occhi imbarazzanti: interpellano anche ognuno di noi.

Domande per la riflessione

j Ci sono momenti in cui ci sembra di vedere un volto diverso nella persona che
da anni ci vive accanto. Per capire prendiamo le mosse dalla psicologia, dal buon

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senso, dalla nostra reazione istintiva… o guadiamo prima gli occhi del Padre per
capire come veda lui questa situazione?

k Il nostro sguardo è preoccupato solo di vedere e di calcolare i limiti dell’altro


o è attento a capire, a valutare, a condividere, a stimolare, a mandare messaggi
di disponibilità?

2a riflessione Una «parola» che crea dialogo


PREMESSA
«La prova dell’uomo si ha nella sua conversazione. La parola rivela il sentimento
dell’uomo» (Sir 27,5-7). Sono detti popolari che Gesù sembra aver condensato in
queste parole: «L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore;
l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla
dalla pienezza del cuore» (Lc 6,45).
La caratteristica che caratterizza gli umani è la comunicazione, una parte della
quale passa attraverso la parola, mentre l’80% di essa passa attraverso il lin-
guaggio non verbale. A noi qui interessa la “parola” ma non semplicemente come
suono, ma come messaggio: faremo riferimento alla comunicazione intesa nel
senso più globale. La capacità di linguaggio pone l’uomo in posizione di privilegio
rispetto agli altri esseri creati… la capacità di mentire attraverso la comunica-
zione lo pone invece in una posizione di grave rischio. La voce dell’uomo è un con-
tenitore, che si piega al contenuto.

DIO NON HA BOCCA , MA ...


«In principio era la Parola…» (Gv 1,1) così la storia della salvezza secondo il IV
Vangelo. La parola da cui partiamo non è la nostra ma quella di Dio. Con quella noi
faremo raffronti per verificare il valore della nostra comunicazione di coppia.
La storia delle religioni è un susseguirsi di tentativi per stabilire un incontro con
Dio, per aprire un dialogo con lui, per indurlo a svelarci i suoi segreti, per intro-
durci nei suoi misteri. Per raggiungere questo obiettivo gli uomini si sono affida-
ti a maghi, astrologi, indovini, incantatori, negromanti: strade che non portano a
nulla.
Non è l’uomo che stabilisce il contatto con Dio, è Dio che per primo si rivolge
all’uomo e lo fa servendosi della bocca di altri uomini, i profeti. «Ecco - dice un
giorno il Signore a Geremia - io metto le mie parole sulla tua bocca», «Tu sarai
come la mia bocca» (Ger 1,9; 15,19).
Ma c’è una bocca che supera incomparabilmente quelle di tutti i profeti: è quella
di Gesù di Nazaret. La sua è realmente la bocca stessa di Dio: «Chi viene dall'al-
to è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito. Infatti colui che
Dio ha mandato proferisce le parole di Dio» (Gv 3,31-34).

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Matteo introducendo le prime parole di Gesù dice: “Vedendo le folle, egli salì
sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Aprendo
allora la sua bocca, li ammaestrava dicendo: Beati...» (Mt 5,1-2).
Gesù lascia la pianura dove vivono gli uomini, dove ci si comporta secondo una lo-
gica opposta a quella di Dio, dove le parole incitano a competizione, arrivismo,
furbizia, ricerca del proprio tornaconto e promettono beatitudine a chi accumu-
la ricchezza e non si priva di alcun piacere. Sale sul monte e annuncia il messa g-
gio del cielo, paradossale e insensato per gli uomini, ma garantito da Dio: «Beato
chi si fa povero per arricchire il fratello».

? Solo “parole di grazia”. Divenuto famoso in tutta la Galilea Gesù torna al suo
paese e, secondo il suo solito, di sabato, si reca in sinagoga e si alza a leggere
(Lc 4,14-22). Legge e spiega un passo di Isaia. Comincia il suo commento dicen-
do: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orec-
chi». La reazione dei compaesani prima è di sorpresa: «Tutti erano meravigliati
delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca». Essi conoscono bene il libro
di Isaia e sanno che il profeta non annuncia soltanto la lieta notizia ai poveri, la
libertà agli schiavi e il condono dei debiti a chi è in prigione... Promette anche
“un giorno di vendetta” da parte di Dio per chi ha oppresso e opprime Israele
(Is 61,2).
Gesù delude i suoi ascoltatori: non accenna ad alcun castigo, si rifiuta di parlare
di vendette, proclama che è finito il tempo della paura di Dio. Dalla sua bocca e-
scono soltanto “parole di grazia”, parole di salvezza per gli stranieri come per i
figli di Abramo.
Dio vince i suoi nemici non distruggendoli, ma trasformandoli in amici, in figli. La
vendetta di Dio è il suo amore. Questa “parola di grazia” è la prima che esce dal-
la bocca di Gesù all’inizio della vita pubblica ed è l’ultima sulla croce. Rivolgendo-
si ai crocifissori: «Padre perdonali, non sanno quello che fanno».

Domanda: Le parole che ci diciamo partono da un desiderio di trasmettere ser e-


nità, ottimismo… o sono lo sfogo dei nostri malumori e delle nostre frustrazioni?

?Parole che fanno vivere. Un episodio che merita di essere riletto con atten-
zione estrema: Lc 10,38-42. Prendiamoci il tempo per gustarlo.
3 Un dettaglio da chiarire subito: «Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la
sua parola». Si tratta di un'espressione con un valore ben preciso. “Sedersi ai
piedi di un rabbino” significava entrare a far parte del gruppo dei suoi discepoli,
partecipare ufficialmente alle sue lezioni (cfr. At 22,3). Che Gesù accolga fra i
suoi “alunni” una donna, in quel tempo, è veramente sconcertante. La sua “voce”
fa crollare tutte le discriminazioni stabilite dagli uomini, quelle fra “giudeo e
greco, schiavo e libero, uomo o donna” (Cfr. Gal 3,28).

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3 Un secondo particolare: ci dice che Maria “ascoltava la sua parola”. Ascoltava


la Parola, cioè il “Vangelo”. Sua sorella Marta non viene rimproverata perché la-
vora, ma perché “si agita, è ansiosa, è preoccupata, si affanna per tante cose”
senza aver prima ascoltato la Parola, la voce stessa di Dio.

Domanda: Da dove partono di solito le nostre parole? Dalle preoccupazioni quoti-


diane? Dalla stanchezza e dalla noia? Dalla tenerezza? Dalla riflessione e dalla
preghiera?

? Parole che costruiscono. In ebraico c’è un solo termine (dabàr) per dire
“parola” e “avvenimento”. Nell’antichità si riteneva che ogni parola pronunciata
avesse un potere quasi magico e producesse ciò che significava. Efficace era
considerata, soprattutto, la parola di Dio: essa si avvera sempre (Gen 1; Is 5-
5,10s.). Forte come quella di Dio è la parola uscita dalla bocca di Gesù. Per guari-
re un malato egli non ha bisogno di essere presente, di imporre le mani, di stabi-
lire un contatto fisico, basta la sua parola.
A Cafarnao il centurione a cui Gesù ha detto: “Io verrò e lo curerò”, risponde:
«Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una paro-
la e il mio servo sarà guarito» (Mt 8,8). E la sera dello stesso giorno portano a
Gesù molti posseduti da spiriti immondi ed egli scaccia gli spiriti con la sua paro-
la e guarisce tutti i malati (Mt 8,16).
Anche Pietro intuisce che nelle parole di Gesù è presente la forza stessa di
Dio. Lo riconosce quando viene invitato a pescare in pieno giorno: «Maestro, ab-
biamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola get-
terò le reti» (Lc 5,5). La pesca miracolosa non è il risultato dell'iniziativa e del-
l'abilità di Pietro, ma della forza misteriosa presente nella parola del Maestro.

Domanda: I miracoli intesi nel senso di prodigi non sono in nostro potere, ma an-
che la nostra parola può risanare, rimettere in piedi, far ripartire la speranza.
Come sono le parole che ci diciamo: costruttive, risanatrici, confortatrici… o pa-
role vuote?

? Parole che provocano e sfidano. Non è facile innamorarsi di Gesù, soprat-


tutto dopo averlo ascoltato, dopo aver capito cosa vuole: i suoi pensieri non sono
i nostri pensieri, le sue vie non sono le nostre vie; quanto il cielo è lontano dalla
terra così i suoi progetti sono lontani dai nostri (Is 55,8-9). La sua parola provo-
ca ed esige un cambiamento di mentalità e di vita, denuncia il peccato, la falsità,
l’ingiustizia, mette a nudo l’ipocrisia. È una luce che disturba chi commette azio-
ni malvagie (Gv 3,20). Credergli significa investire la propria vita sulla sua Paro-
la.
La spugna imbevuta di aceto che una mano anonima accosta alla bocca di Gesù

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pochi istanti prima della sua morte (Gv 19,29) può essere letta anche come
l’ultimo oltraggio dei nemici a quelle labbra che hanno pronunciato parole di amo-
re, sì, ma anche parole troppo provocatorie, troppo difficili da accettare.

Domanda: Anche fra i coniugi possono esserci “parole provocatorie”: sono frutto
di amore ma fanno soffrire. Come sappiamo riconoscere e apprezzare queste pa-
role: abbiamo il coraggio di dirle… di ascoltarle… di valorizzarle?

? Parole non dette: il silenzio. Nel racconto della passione, tutti gli evangeli-
sti ricordano che, ad un certo punto del processo, Gesù smette di rispondere.
Gesù ha parlato molto, ora è giunto il momento di tacere. Sa che il male sta go-
dendosi il suo trionfo... effimero.
k Alle autorità religiose che gli chiedono se sia lui il Messia e a Pilato che vuole
sapere se è re, egli dice semplicemente: “Sì, lo sono” (Mc 14,62; 15,2). Poi basta.
Di fronte agli insulti, alle provocazioni, alle menzogne, egli tace, non risponde più
nulla (Mc 14,61; 15,4-5). Chi lo vuole condannare è ben cosciente della sua inno-
cenza. I suoi nemici hanno già deciso la sentenza, per cui non vale la pena abbas-
sarsi al loro livello accettando una discussione che non cambierebbe nulla.
k C’è un altro silenzio significativo durante la passione: è quello davanti al te-
trarca Erode Antipa. Costui ha sentito parlare di Gesù e dei prodigi che ha com-
piuto e si è fatto l’idea che sia un mago, un indovino, un esperto in arti occulte.
Quando Pilato glielo invia pensa sia giunto il momento di assistere a qualche in-
cantesimo. Gli rivolge molte domande, ma Gesù rimane in silenzio (Lc 23,1-12).
Solo per fargli comprendere che lo sta cercando per un motivo sbagliato. Egli è
venuto a fare una nuova proposta di vita, a indicare un cammino che egli stesso
percorre per primo. Chi da lui si aspetta altro rimarrà deluso, non otterrà alcuna
risposta.
In un brano musicale che si rispetti ci sono le note ma anche le battute
d’aspetto, i silenzi. Anche nella comunicazione umana sono importanti le parole
ma anche i silenzi. Non ogni silenzio ha lo stesso valore: c’è il silenzio
dell’ignorante, il silenzio del vigliacco, il silenzio del timido, il silenzio del rasse-
gnato, il silenzio del saggio…
I «silenzi» di Gesù sono stati tanti e molto espressivi, dal silenzio durato
trent’anni nella semplicità di Nazaret al silenzio di fronte a Pilato. Il silenzio di
Gesù è profondamente eloquente. Anche quando tace Gesù rimane pur sempre il
Logos, il Verbo, la Parola definitiva detta da Dio all’uomo. Una parola capace di
dar senso a tutte le altre parole, come scrive Clemente Rébora: “La Parola zittì
parole mie…”.
Gesù ha parlato con tutti: col Padre, con i discepoli, con la gente, con gli amici e
con gli avversari, con i poveri e con i potenti… Ha detto parole di salvezza a tut-
ti. Ma c’è un episodio in cui Gesù ha detto l’importanza della Parola e dell’ascolto

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(Lc 10,38-42). All’interno di questo racconto noi scopriamo il valore che Gesù at-
tribuiva all’ascolto della Parola. Maria di Betania è elogiata non perché non fa
nulla, ma perché ha cominciato dalla parte “giusta”, ha scelto “la parte buona”:
l’ascolto della Parola. A partire da questo tutto acquista un valore diverso.
Sull’ascolto ci fermeremo in particolare nella prossima riflessione.

Domanda: Anche fra i coniugi il silenzio può avere un ruolo notevole, ma quale si-
lenzio: quello della stanchezza, della noia, della monotonia… o il silenzio della di-
screzione, del rispetto, dell’ascolto?

La voce: i colori dello spirito


Non solo la parola ma la voce stessa ha una sua capacità di messaggio, ha una sua
influenza. È importante che la sappiamo riconoscere.
Noi abbiamo tantissimi vocaboli per esprimere ciò che la voce può fare: dire,
confidare, sussurrare, suggerire, imporre… La stessa cosa detta con un tono di-
verso acquista un valore diverso. La voce “elettronica” può dire le cose in modo
anche più preciso, ma senza colore, senza espressione. La voce umana è un’altra
cosa. La bellezza della voce sta in questa capacità di esprimere:
ü voce della tenerezza; è come una casa che ti accoglie, ti fa sentire al riparo;
ü voce della suggestione: dice molto più di quanto sembri al primo momento;
ü voce dell’indignazione: è come un uragano che scoppia tra due persone e il sen-
tirsi si fa molto difficile;
ü voce della debolezza: tradisce la fragilità interiore, la paura, l’insicurezza;
ü voce dello spirito: non si limita a descrivere le cose, ne dà il significato pro-
fondo…
Questi sono alcuni dei “colori” della voce umana, ma ce ne sono infiniti altri, per-
ché la gamma dello spirito è infinita.

3a riflessione Un ascolto che accoglie e fa vivere


“ASCOLTARE”, CIOÈ DARE IL «BENVENUTO»
L’umanità dispone di circa sei miliardi di ricetrasmittenti. L’affermazione sem-
bra grossa, in realtà si tratta di molto di più, perché mentre le ricetrasmittenti
solite si limitano a registrare e a trasmettere, gli umani operano un lavoro molto
più sofisticato: decodificano, scambiano, assimilano.
È attraverso questo procedimento che si è formato il patrimonio della cultura e
della tradizione: una “banca dati” a cui chiunque può accedere previa una sola
condizione: essere attivi. È l’unico modo per crescere in armonia e in cordata
con gli altri, specie con chi ci vive accanto. Chi non sa ascoltare rimane fatal-
mente isolato. La coppia dove non esiste ascolto, non cresce, anzi lentamente si
spegne.

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Quante volte abbiamo sentito i genitori affermare: con i giovani di oggi non ci si
capisce più. Questi, a loro volta, ripetono: è inutile continuare a discutere, con
papà e mamma è impossibile intendersi. È la crisi del nucleo familiare.

DIO: IL GRANDE ASCOLTO


Ci sono momenti nella vita in cui il senso di sconforto, di solitudine, di abbandono
è così intenso che anche il credente più robusto arriva a chiedersi: “Ma è vero
che Dio ascolta le mie domande o è solo una mia illusione?”.
Un’eco di queste invocazioni l’abbiamo anche nei Salmi: «Porgi l’orecchio, Signo-
re, alle mie preghiere» (Sal 5,2); «Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia
preghiera» (Sal 130,2); «Signore, tendi l’orecchio al mio lamento» (Sal 88,3). Ma
i testi sacri ci danno anche risposte rassicuranti: «Il Signore ascolta la preghi e-
ra dell’oppresso» (Sir 35,13); «Chi ha formato l’orecchio, forse non sente?» (Sal
94,9). E un presbitero del I° sec., durante l’omelia della notte di Pasqua, rincuo-
ra i neobattezzati di Roma: «Gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue o-
recchie sono attente alle loro preghiere» (1 Pt 3,12).
Per noi è difficile spiegare “come” Dio ascolta; ci è invece molto familiare
l’immagine di come Gesù “ascoltava”. Tenendo presente la sua affermazione:
«Chi vede me vede il Padre…» possiamo farci un’idea di come Dio “ascolta”.

ÿ Il Padre… anzitutto. Ci sono tante ragioni per cui il dialogo (in famiglia, nella
società, fra le nazioni, fra le diverse religioni, all’interno della stessa comunità
ecclesiale) si interrompe. Una è fondamentale: non si comprendono le parole
dell’uomo perché prima non si è ascoltato la parola di Dio.
Gesù capisce l’uomo perché ha un orecchio sempre attento alla voce del Padre
suo: «Il mio cibo - dice un giorno - è fare la volontà di colui che mi ha mandato»
(Gv 4,34); «Io non parlo da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi or-
dina che cosa devo dire e annunziare» (Gv 12,49).
Fin dall’inizio della sua vita manifesta un incoercibile bisogno di ascoltare questa
voce dall’alto. I suoi genitori si recano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa
di Pasqua e, a dodici anni, Gesù sale con loro. Trascorsi i giorni della festa, quan-
do è ora di riprendere la via del ritorno, rimane a Gerusalemme, senza che i ge-
nitori se ne accorgano. Dopo tre giorni viene rintracciato, seduto in mezzo ai
dottori del Tempio, mentre li ascolta e li interroga. Alla madre angosciata che
gli chiede: «Figlio, perché ti sei comportato così?», egli risponde con due do-
mande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose
del Padre mio?» (Lc 2,41-49). «Essi non compresero le sue parole» (Lc 2,50): si
rendono conto che il legame che c’è fra loro ha radici molto più profonde.
Si intrattiene con i dottori del Tempio e interroga i rabbini per avere chiari-
menti perché sono essi gli esperti dei libri santi, nei quali ognuno può scoprire il
progetto che Dio ha su di lui.

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In uno dei suoi scontri con i Giudei chiarisce ancora meglio: «Colui che mi ha
mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui». Non capi-
scono che egli parla loro del Padre e allora aggiunge: «Io non faccio nulla da me
stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato
è con me e non mi lascia solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradi-
te» (Gv 8,26-29). È l’uomo autentico, che non fa nulla senza aver prima “chiesto
un parere” a Dio.
“È stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un
progetto alla nostra vita”. Sono le prime parole della prima lettera del card.
Martini alla sua diocesi. Come dire che ogni dialogo tra gli uomini deve partire da
questa «Parola» che fonda tutte le altre. La parola che Dio ha pronunciato si è
fatta carne. Cristo è la Parola che apre alla comprensione di tutte le altre paro-
le.

Domanda: Non può essere che molte delle nostre incomprensioni nascano prima
che da una diversità di vedute da una perdita dell’orizzonte della volontà di Dio
su di noi?

ÿ In ascolto dell’uomo. «Ascolterò il grido della vedova e dell’orfano» - pro-


mette il Signore nel libro dell’Esodo (Es 22,22); «Dio ascolta la voce dei dispe-
rati» (Est 4,17h). Basta scorrere le pagine dei Vangeli per rendersi conto che
l’udito di Gesù è modellato su quello del Padre: sempre attento alle richieste dei
poveri.
˜Dopo la trasfigurazione scende dal monte e una gran moltitudine di persone gli
viene incontro. Dalla folla sale un grido: «Maestro, ti prego, volgi lo sguardo a
mio figlio, perché è l'unico che ho». È il grido di un padre sconvolto dal dolore: è
quanto basta per attirare l’attenzione di Gesù. Risana e lo consegna guarito a
suo padre (Lc 9,37-43).
˜A Gerico il cieco Bartimeo grida, sempre più forte, la sua disperazione. La fol-
la ne è infastidita, cerca di metterlo a tacere, ma Gesù ha un udito diverso da
quello dei suoi discepoli, egli è sensibile alla voce del povero. Si ferma, fa chi a-
mare il cieco e lo guarisce (Mc 10,46-52).
˜Egli sente anche il grido che giunge da lontano. Durante il viaggio verso Geru-
salemme, entra in un villaggio della Samaria, gli vengono incontro dieci lebbrosi i
quali, fermatisi a distanza, alzano la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di
noi!». Subito egli li sente e dice: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» perché ri-
conoscano la vostra guarigione (Lc 17,11-19). Quelli vanno e si accorgono di esse-
re stati ascoltati.
ÿ …anche quando sembra fare il sordo. Un giorno si presenta a Gesù una stra-
niera che si mette a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è
crudelmente tormentata da un demonio». Egli non le rivolge neppure una parola

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(Mt 15,22). I discepoli si accostano al Maestro e lo implorano: «Esaudiscila, vedi


come ci grida dietro». La risposta: «Non sono stato inviato che alle pecore per-
dute della casa di Israele». Ma la donna non si arrende: «Signore, aiutami!» ri-
pete. Gesù le dà una risposta che sembra anche più dura: «Non è bene prendere
il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore - dice la donna - ma
anche i
cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Gesù
le replica: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri»
(Mt 15,21-28). Per nessun Israelita egli ha fatto un elogio così bello. Non solo
l’ha ascoltata, ma ha anche guidato l’ascolto dei suoi discepoli.

ÿ A volte non ascolta proprio. Si è sempre mostrato sensibile alle voci degli
uomini: ha sentito il grido dei poveri, degli ammalati, dei sofferenti…; ha presta-
to attenzione alle notizie liete e tristi che gli venivano riferite; ha ascoltato e
risposto alle domande sincere che gli sono state rivolte dalla gente semplice del
popolo e alle obiezioni subdole dei suoi avversari... Ma quando le parole sono di-
venute aggressive, espressione di astio, trabocchetti per farlo cadere… ha chiu-
so le orecchie.
Durante il processo i capi dei sacerdoti e il sinedrio cercano qualche falsa testi-
monianza per farlo morire. Si presentano dei testimoni che gli muovono una se-
rie di accuse assurde. A questo punto egli tace: non sta ascoltando. Il sommo sa-
cerdote se ne rende conto, si alza in piedi e irritato gli chiede: «Non senti quello
che testimoniano costoro contro di te?» (Mt 26,62).
La scena si ripete davanti a Pilato: «Non senti - insiste il governatore - quante
cose attestano contro di te?» (Mt 27,13). No, non sente proprio.
Gesù ha mostrato un grande coraggio quando ha accettato il confronto aperto
con gli scribi, i farisei, i sadducei (Mc 11,27-12,40), quando si è lasciato coinvol-
gere in appassionate discussioni con i Giudei (Gv 8,31-59). Ora mostra una forza
d’animo ancora maggiore: è capace di “non ascoltare” le parole provocatorie che
gli vengono rivolte.
È ciò che ogni uomo vero deve avere la capacità di fare. Parafrasando una famo-
sa preghiera viene da chiedere a Dio: “Signore, fa che mantenga le mie orecchie
aperte a ciò che vale la pena ascoltare, fa che le chiuda alle voci di chi insinua il
male... e dammi la saggezza per distinguere le prime dalle seconde”.

Ascoltare o sentire?
«Sentire» è fondamentalmente un problema di decibel, «ascoltare» è un atteg-
giamento del cuore. Per sentire basta avere l’apparato uditivo funzionante; per
ascoltare occorrono, oltre che lo strumento, delle condizioni interiori:
3 il silenzio inteso come calma interiore;
3 il rispetto e la stima per chi parla;

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3 l’umiltà intesa come capacità di riconoscere i propri limiti;


3 pazienza e costanza cioè la disponibilità a concedere la piena possibilità di
esprimersi.
«Ascoltare» è una capacità che cresce con la maturità; è un’arte che non si svi-
luppa da sola, ma che esige un grande impegno interiore. Quasi tutti sanno senti-
re, ma pochi sono capaci di ascoltare.

Domanda: Ascoltare è un’arte e una virtù. Ascoltare non significa dare ragione,
ma capire le ragioni dell’altro e averne rispetto. Anche il silenzio ha una grande
importanza nell’ascolto?

ASCOLTARE CHI… CHE COSA ?


3 il messaggio del creato. Tutto il creato è fatto di parole “solidificate” (il
creato è nato dalle parole che Dio ha pronunciato). Per chi sa ascoltare tutto
parla: gli alberi, le stelle, le nubi, gli animali, gli uomini… Tutto ha un significato
profondo, bello, illuminante. Gesù ascoltava ogni cosa: il lievito nella pasta, il se-
me nel terreno, l’albero che segnava la primavera… Gesù dialogava con cose e
persone; viveva in un continuo ascolto, per questo i suoi rapporti con la realtà e-
rano profondi ed equilibrati.

3 il messaggio dello spirito. Dietro gli avvenimenti e le cose c’è sempre un se-
condo messaggio meno immediato ma più profondo. L’antico Israele insegna:
mentre noi cerchiamo di impadronirci dei segreti scientifici (per poter dominare
meglio le forze naturali) Israele cercava di cogliere i messaggi che gli eventi e
le cose nascondevano. Chiaro che un simile ascolto esige delle condizioni:
coscienza del proprio limite: noi abbiamo pesanti limiti di fronte alle cose u-
mane e limiti ancora più pesanti per quelle dello spirito;
discrezione e rispetto: noi siamo abituati a classificare, a intervenire… nella
logica dello spirito ogni cosa è unica e irrepetibile, ha un suo senso e un suo
destino…
coraggio del rischio: ascoltare è sempre accettare qualcuno o qualcosa nel
proprio mondo interiore. È il rischio di mettersi continuamente in discussio-
ne, di cercare, di cambiare, di adeguarsi…
umiltà del cuore: ascoltare lo spirito è «dipendere», mettere un altro al cen-
tro del proprio sistema. Questo richiede un vero e proprio atto di umiltà.

PRIMA DEL NOSTRO ASCOLTO...


“Chi ha formato l’orecchio forse non sente?” dice il Salmo 94. Il primo ad ascol-
tare è lui, Dio. Ed è sempre lui ad educarci all’ascolto: “Il Signore Dio mi ha a-
perto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro”
scrive il secondo Isaia (Is 50,5) dove l’espressione “mi ha aperto l’orecchio” in

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ebraico è detta in modo molto più forte con “mi ha scavato l’orecchio”.
Gesù è l’ascolto di Dio ed è allo stesso tempo anche l’ascolto dell’uomo. In lui
“parola fatta carne” Dio e l’uomo si parlano, ma anche si ascoltano. Gesù ha a-
scoltato il Padre: nelle lunghe notti di preghiera, nella ricerca continua e leale
della sua volontà, nelle ansie degli uomini (nelle loro necessità, nelle loro con-
traddizioni, nelle loro attese…). Sente la preghiera non espressa della donna che
da dodici anni aveva perdite di sangue, la preghiera a distanza di Giairo per la
figlioletta morente, quella senza parole di Zaccheo il pubblicano…
A volte è un ascolto provocatorio. È il caso della donna cananea, che lo prega per
sua figlia ammalata (Mt 15,21-28). Altra volte il suo orecchio, che percepiva
persino il lamento appena appena mormorato dal povero, si chiude completamen-
te alle parole degli uomini. “Non senti quante cose attestano contro di te?” gli
dirà Pilato sconcertato dal silenzio di Gesù. Eppure anche in questo momento il
suo cuore è in ascolto… se mai gli uomini aprano un varco perché egli possa veni-
re loro incontro.

Domanda: Nella società contemporanea mancano le premesse dell’ascolto. I pro-


blemi si moltiplicano perché non c’è un luogo in cui vengono accolti e risolti?
Mancando l’ascolto cresce la solitudine e il disagio. Non è forse vero che il mon-
do della coppia umana è ancora un luogo possibile dove l’ascolto può riprendere?

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