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& Lo sguardo al cielo. Solo l’uomo solleva il capo per contemplare il firmamen-
to, cerca in alto, in Dio, il senso della propria esistenza.
Gli occhi fissi verso il cielo, verso il Padre, hanno caratterizzato tutta la vita di
Gesù. In alcuni passi del Vangelo, viene notato esplicitamente questo suo gesto:
3prima di moltiplicare i pani egli alza gli occhi al Padre (Mt 14,19);
3prima di pronunciare la parola “Effatà” e di aprire le orecchie al sordo, per un
momento contempla il cielo (Mc 8,34), il luogo dove, secondo la concezione reli-
giosa degli Israeliti, si trova il trono di Dio.
3 prima della risurrezione di Lazzaro: “Gesù allora alzò gli occhi e disse:
«Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto,
ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano…» (Gv 11, 41-42).
Il suo sguardo indica la direzione verso la quale deve orientare gli occhi chi cer-
ca l’alimento per la vita e la parola che guarisce. Solo dall’alto viene la luce che
dà un senso alle gioie e al dolore, ai successi e alle sconfitte, ai tradimenti, alla
solitudine e al maggiore di tutti gli enigmi, la morte.
& Lo sguardo che va al cuore della persona che si guarda. Nella scelta del
futuro re tra i figli di Jesse la Bibbia dice: «L'uomo guarda l'apparenza, il Si-
gnore guarda il cuore» (1Sam 16,7). Lo sguardo di Gesù è quello di Dio: non si
ferma alla superficie, ma penetra nel profondo, giunge al cuore. Vediamo alcuni
esempi significativi.
3 nota… Sulla vasta spianata, che brulica di pellegrini, nota il fariseo che, in
piedi, ringrazia Dio di non essere come gli altri uomini e, in un canto, il pubblica-
no che si batte il petto e non osa alzare gli occhi al cielo (Lc 18,11.13).
su una vedova, povera, che getta nel tesoro solo due spiccioli, che possono esse-
re visti solo da chi ha uno sguardo che non si lascia ingannare dalle apparenze:
“Vi assicuro, questa vedova, povera, ha messo più di tutti” (Lc 21,1-3).
3 ricompensa… Il suo sguardo, come quello del Padre, “vede nel segreto”. Valuta
eventi, persone e cose secondo i criteri di Dio, e dice: «Quando tu fai
l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua ele-
mosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt
6,3-4).
3 apprezza… Un altro giorno Gesù incontra un giovane che, candidamente, gli di-
ce: «Maestro, tutti i comandamenti io li ho osservati fin dalla mia giovinezza,
che devo fare ancora?». Gesù - nota il Vangelo - fissatolo, lo amò (Mc 10,17-22).
“Fissatolo”, espresso col verbo greco “emblepo”, significa: guardar dentro, rag-
giungere quella parte recondita dell’anima che soltanto Dio conosce.
3 accoglie… A Gerico c’è un uomo che cerca di “vedere” Gesù (Lc 19,2). Ha un
nome, Zaccheo, che per una strana beffa del destino - significa “integro, puro!”.
È «capo dei pubblicani e ricco». Altro che “puro”! Luca nota un particolare curio-
so: l'uomo è piccolo di statura, che è come dire che Zaccheo è insignificante,
meschino, moralmente detestabile. È uno degli esclusi dal banchetto del regno di
Dio, ma ha una carta a suo favore: «Vuole vedere Gesù chi è». Non vuole sempli-
cemente “vedere Gesù”, la star del momento, ma “vedere Gesù chi è”. Non è lo
sguardo del curioso, ma quello di chi è alla ricerca di una luce. Ha tutto, ma è
profondamente insoddisfatto, per questo cerca l’incontro con chi può capire il
suo dramma e aiutarlo ad uscirne.
Siccome è “piccolo”, la gente (quelli che hanno occupato i posti attorno al Mae-
stro) gli fa da barriera nei confronti di Gesù: non può né avvicinarlo né vederlo.
E, per poterlo vedere, sale su un sicomoro (Lc 19,3).
Come mai la folla e i discepoli sono così scostanti? La ragione del loro atteggia-
mento sta in un difetto di vista. In Zaccheo non scorgono che il pubblicano, il
peccatore, il ladro, lo strozzino, null'altro; non riescono a scoprire in lui nulla di
buono e di positivo. Gesù vi scorge un figlio di Abramo, chiamato alla salvezza.
Osserviamo ora come sono invece limpidi e puri gli occhi di Gesù: «Quando giun-
ge sul luogo, egli alza lo sguardo e dice: Zaccheo scendi subito, perché oggi devo
fermarmi a casa tua»” (Lc 19,5). Lo chiama per nome: “Zaccheo” (cioè) puro per-
ché, ai suoi occhi, egli è puro, è un figlio di Abramo, è anch’egli erede delle pro-
messe gratuite di Dio.
Significativo il dettaglio: lo sguardo di Gesù si muove dal basso verso l’alto. La
posizione elevata appartiene, di diritto, al peccatore, quella umile a chi lo deve
aiutare. Al centro delle attenzioni - secondo i valori stabiliti dalla logica evange-
lica - stanno l’emarginato, il povero, colui che ha pasticciato tutto nella vita. Di
costui Gesù, il Maestro e Signore, si considera servo (Lc 22,27).
Cosa hanno ottenuto i farisei (i cosiddetti giusti) con la loro rigidità? Nulla. Non
hanno fatto altro che incattivire Dio. L’unico sguardo che salva è quello che sa
scoprire i valori nascosti. È lo sguardo di Dio.
j Ci sono momenti in cui ci sembra di vedere un volto diverso nella persona che
da anni ci vive accanto. Per capire prendiamo le mosse dalla psicologia, dal buon
senso, dalla nostra reazione istintiva… o guadiamo prima gli occhi del Padre per
capire come veda lui questa situazione?
Matteo introducendo le prime parole di Gesù dice: “Vedendo le folle, egli salì
sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Aprendo
allora la sua bocca, li ammaestrava dicendo: Beati...» (Mt 5,1-2).
Gesù lascia la pianura dove vivono gli uomini, dove ci si comporta secondo una lo-
gica opposta a quella di Dio, dove le parole incitano a competizione, arrivismo,
furbizia, ricerca del proprio tornaconto e promettono beatitudine a chi accumu-
la ricchezza e non si priva di alcun piacere. Sale sul monte e annuncia il messa g-
gio del cielo, paradossale e insensato per gli uomini, ma garantito da Dio: «Beato
chi si fa povero per arricchire il fratello».
? Solo “parole di grazia”. Divenuto famoso in tutta la Galilea Gesù torna al suo
paese e, secondo il suo solito, di sabato, si reca in sinagoga e si alza a leggere
(Lc 4,14-22). Legge e spiega un passo di Isaia. Comincia il suo commento dicen-
do: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orec-
chi». La reazione dei compaesani prima è di sorpresa: «Tutti erano meravigliati
delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca». Essi conoscono bene il libro
di Isaia e sanno che il profeta non annuncia soltanto la lieta notizia ai poveri, la
libertà agli schiavi e il condono dei debiti a chi è in prigione... Promette anche
“un giorno di vendetta” da parte di Dio per chi ha oppresso e opprime Israele
(Is 61,2).
Gesù delude i suoi ascoltatori: non accenna ad alcun castigo, si rifiuta di parlare
di vendette, proclama che è finito il tempo della paura di Dio. Dalla sua bocca e-
scono soltanto “parole di grazia”, parole di salvezza per gli stranieri come per i
figli di Abramo.
Dio vince i suoi nemici non distruggendoli, ma trasformandoli in amici, in figli. La
vendetta di Dio è il suo amore. Questa “parola di grazia” è la prima che esce dal-
la bocca di Gesù all’inizio della vita pubblica ed è l’ultima sulla croce. Rivolgendo-
si ai crocifissori: «Padre perdonali, non sanno quello che fanno».
?Parole che fanno vivere. Un episodio che merita di essere riletto con atten-
zione estrema: Lc 10,38-42. Prendiamoci il tempo per gustarlo.
3 Un dettaglio da chiarire subito: «Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la
sua parola». Si tratta di un'espressione con un valore ben preciso. “Sedersi ai
piedi di un rabbino” significava entrare a far parte del gruppo dei suoi discepoli,
partecipare ufficialmente alle sue lezioni (cfr. At 22,3). Che Gesù accolga fra i
suoi “alunni” una donna, in quel tempo, è veramente sconcertante. La sua “voce”
fa crollare tutte le discriminazioni stabilite dagli uomini, quelle fra “giudeo e
greco, schiavo e libero, uomo o donna” (Cfr. Gal 3,28).
? Parole che costruiscono. In ebraico c’è un solo termine (dabàr) per dire
“parola” e “avvenimento”. Nell’antichità si riteneva che ogni parola pronunciata
avesse un potere quasi magico e producesse ciò che significava. Efficace era
considerata, soprattutto, la parola di Dio: essa si avvera sempre (Gen 1; Is 5-
5,10s.). Forte come quella di Dio è la parola uscita dalla bocca di Gesù. Per guari-
re un malato egli non ha bisogno di essere presente, di imporre le mani, di stabi-
lire un contatto fisico, basta la sua parola.
A Cafarnao il centurione a cui Gesù ha detto: “Io verrò e lo curerò”, risponde:
«Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una paro-
la e il mio servo sarà guarito» (Mt 8,8). E la sera dello stesso giorno portano a
Gesù molti posseduti da spiriti immondi ed egli scaccia gli spiriti con la sua paro-
la e guarisce tutti i malati (Mt 8,16).
Anche Pietro intuisce che nelle parole di Gesù è presente la forza stessa di
Dio. Lo riconosce quando viene invitato a pescare in pieno giorno: «Maestro, ab-
biamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola get-
terò le reti» (Lc 5,5). La pesca miracolosa non è il risultato dell'iniziativa e del-
l'abilità di Pietro, ma della forza misteriosa presente nella parola del Maestro.
Domanda: I miracoli intesi nel senso di prodigi non sono in nostro potere, ma an-
che la nostra parola può risanare, rimettere in piedi, far ripartire la speranza.
Come sono le parole che ci diciamo: costruttive, risanatrici, confortatrici… o pa-
role vuote?
pochi istanti prima della sua morte (Gv 19,29) può essere letta anche come
l’ultimo oltraggio dei nemici a quelle labbra che hanno pronunciato parole di amo-
re, sì, ma anche parole troppo provocatorie, troppo difficili da accettare.
Domanda: Anche fra i coniugi possono esserci “parole provocatorie”: sono frutto
di amore ma fanno soffrire. Come sappiamo riconoscere e apprezzare queste pa-
role: abbiamo il coraggio di dirle… di ascoltarle… di valorizzarle?
? Parole non dette: il silenzio. Nel racconto della passione, tutti gli evangeli-
sti ricordano che, ad un certo punto del processo, Gesù smette di rispondere.
Gesù ha parlato molto, ora è giunto il momento di tacere. Sa che il male sta go-
dendosi il suo trionfo... effimero.
k Alle autorità religiose che gli chiedono se sia lui il Messia e a Pilato che vuole
sapere se è re, egli dice semplicemente: “Sì, lo sono” (Mc 14,62; 15,2). Poi basta.
Di fronte agli insulti, alle provocazioni, alle menzogne, egli tace, non risponde più
nulla (Mc 14,61; 15,4-5). Chi lo vuole condannare è ben cosciente della sua inno-
cenza. I suoi nemici hanno già deciso la sentenza, per cui non vale la pena abbas-
sarsi al loro livello accettando una discussione che non cambierebbe nulla.
k C’è un altro silenzio significativo durante la passione: è quello davanti al te-
trarca Erode Antipa. Costui ha sentito parlare di Gesù e dei prodigi che ha com-
piuto e si è fatto l’idea che sia un mago, un indovino, un esperto in arti occulte.
Quando Pilato glielo invia pensa sia giunto il momento di assistere a qualche in-
cantesimo. Gli rivolge molte domande, ma Gesù rimane in silenzio (Lc 23,1-12).
Solo per fargli comprendere che lo sta cercando per un motivo sbagliato. Egli è
venuto a fare una nuova proposta di vita, a indicare un cammino che egli stesso
percorre per primo. Chi da lui si aspetta altro rimarrà deluso, non otterrà alcuna
risposta.
In un brano musicale che si rispetti ci sono le note ma anche le battute
d’aspetto, i silenzi. Anche nella comunicazione umana sono importanti le parole
ma anche i silenzi. Non ogni silenzio ha lo stesso valore: c’è il silenzio
dell’ignorante, il silenzio del vigliacco, il silenzio del timido, il silenzio del rasse-
gnato, il silenzio del saggio…
I «silenzi» di Gesù sono stati tanti e molto espressivi, dal silenzio durato
trent’anni nella semplicità di Nazaret al silenzio di fronte a Pilato. Il silenzio di
Gesù è profondamente eloquente. Anche quando tace Gesù rimane pur sempre il
Logos, il Verbo, la Parola definitiva detta da Dio all’uomo. Una parola capace di
dar senso a tutte le altre parole, come scrive Clemente Rébora: “La Parola zittì
parole mie…”.
Gesù ha parlato con tutti: col Padre, con i discepoli, con la gente, con gli amici e
con gli avversari, con i poveri e con i potenti… Ha detto parole di salvezza a tut-
ti. Ma c’è un episodio in cui Gesù ha detto l’importanza della Parola e dell’ascolto
(Lc 10,38-42). All’interno di questo racconto noi scopriamo il valore che Gesù at-
tribuiva all’ascolto della Parola. Maria di Betania è elogiata non perché non fa
nulla, ma perché ha cominciato dalla parte “giusta”, ha scelto “la parte buona”:
l’ascolto della Parola. A partire da questo tutto acquista un valore diverso.
Sull’ascolto ci fermeremo in particolare nella prossima riflessione.
Domanda: Anche fra i coniugi il silenzio può avere un ruolo notevole, ma quale si-
lenzio: quello della stanchezza, della noia, della monotonia… o il silenzio della di-
screzione, del rispetto, dell’ascolto?
Quante volte abbiamo sentito i genitori affermare: con i giovani di oggi non ci si
capisce più. Questi, a loro volta, ripetono: è inutile continuare a discutere, con
papà e mamma è impossibile intendersi. È la crisi del nucleo familiare.
ÿ Il Padre… anzitutto. Ci sono tante ragioni per cui il dialogo (in famiglia, nella
società, fra le nazioni, fra le diverse religioni, all’interno della stessa comunità
ecclesiale) si interrompe. Una è fondamentale: non si comprendono le parole
dell’uomo perché prima non si è ascoltato la parola di Dio.
Gesù capisce l’uomo perché ha un orecchio sempre attento alla voce del Padre
suo: «Il mio cibo - dice un giorno - è fare la volontà di colui che mi ha mandato»
(Gv 4,34); «Io non parlo da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi or-
dina che cosa devo dire e annunziare» (Gv 12,49).
Fin dall’inizio della sua vita manifesta un incoercibile bisogno di ascoltare questa
voce dall’alto. I suoi genitori si recano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa
di Pasqua e, a dodici anni, Gesù sale con loro. Trascorsi i giorni della festa, quan-
do è ora di riprendere la via del ritorno, rimane a Gerusalemme, senza che i ge-
nitori se ne accorgano. Dopo tre giorni viene rintracciato, seduto in mezzo ai
dottori del Tempio, mentre li ascolta e li interroga. Alla madre angosciata che
gli chiede: «Figlio, perché ti sei comportato così?», egli risponde con due do-
mande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose
del Padre mio?» (Lc 2,41-49). «Essi non compresero le sue parole» (Lc 2,50): si
rendono conto che il legame che c’è fra loro ha radici molto più profonde.
Si intrattiene con i dottori del Tempio e interroga i rabbini per avere chiari-
menti perché sono essi gli esperti dei libri santi, nei quali ognuno può scoprire il
progetto che Dio ha su di lui.
In uno dei suoi scontri con i Giudei chiarisce ancora meglio: «Colui che mi ha
mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui». Non capi-
scono che egli parla loro del Padre e allora aggiunge: «Io non faccio nulla da me
stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato
è con me e non mi lascia solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradi-
te» (Gv 8,26-29). È l’uomo autentico, che non fa nulla senza aver prima “chiesto
un parere” a Dio.
“È stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un
progetto alla nostra vita”. Sono le prime parole della prima lettera del card.
Martini alla sua diocesi. Come dire che ogni dialogo tra gli uomini deve partire da
questa «Parola» che fonda tutte le altre. La parola che Dio ha pronunciato si è
fatta carne. Cristo è la Parola che apre alla comprensione di tutte le altre paro-
le.
Domanda: Non può essere che molte delle nostre incomprensioni nascano prima
che da una diversità di vedute da una perdita dell’orizzonte della volontà di Dio
su di noi?
ÿ A volte non ascolta proprio. Si è sempre mostrato sensibile alle voci degli
uomini: ha sentito il grido dei poveri, degli ammalati, dei sofferenti…; ha presta-
to attenzione alle notizie liete e tristi che gli venivano riferite; ha ascoltato e
risposto alle domande sincere che gli sono state rivolte dalla gente semplice del
popolo e alle obiezioni subdole dei suoi avversari... Ma quando le parole sono di-
venute aggressive, espressione di astio, trabocchetti per farlo cadere… ha chiu-
so le orecchie.
Durante il processo i capi dei sacerdoti e il sinedrio cercano qualche falsa testi-
monianza per farlo morire. Si presentano dei testimoni che gli muovono una se-
rie di accuse assurde. A questo punto egli tace: non sta ascoltando. Il sommo sa-
cerdote se ne rende conto, si alza in piedi e irritato gli chiede: «Non senti quello
che testimoniano costoro contro di te?» (Mt 26,62).
La scena si ripete davanti a Pilato: «Non senti - insiste il governatore - quante
cose attestano contro di te?» (Mt 27,13). No, non sente proprio.
Gesù ha mostrato un grande coraggio quando ha accettato il confronto aperto
con gli scribi, i farisei, i sadducei (Mc 11,27-12,40), quando si è lasciato coinvol-
gere in appassionate discussioni con i Giudei (Gv 8,31-59). Ora mostra una forza
d’animo ancora maggiore: è capace di “non ascoltare” le parole provocatorie che
gli vengono rivolte.
È ciò che ogni uomo vero deve avere la capacità di fare. Parafrasando una famo-
sa preghiera viene da chiedere a Dio: “Signore, fa che mantenga le mie orecchie
aperte a ciò che vale la pena ascoltare, fa che le chiuda alle voci di chi insinua il
male... e dammi la saggezza per distinguere le prime dalle seconde”.
Ascoltare o sentire?
«Sentire» è fondamentalmente un problema di decibel, «ascoltare» è un atteg-
giamento del cuore. Per sentire basta avere l’apparato uditivo funzionante; per
ascoltare occorrono, oltre che lo strumento, delle condizioni interiori:
3 il silenzio inteso come calma interiore;
3 il rispetto e la stima per chi parla;
Domanda: Ascoltare è un’arte e una virtù. Ascoltare non significa dare ragione,
ma capire le ragioni dell’altro e averne rispetto. Anche il silenzio ha una grande
importanza nell’ascolto?
3 il messaggio dello spirito. Dietro gli avvenimenti e le cose c’è sempre un se-
condo messaggio meno immediato ma più profondo. L’antico Israele insegna:
mentre noi cerchiamo di impadronirci dei segreti scientifici (per poter dominare
meglio le forze naturali) Israele cercava di cogliere i messaggi che gli eventi e
le cose nascondevano. Chiaro che un simile ascolto esige delle condizioni:
coscienza del proprio limite: noi abbiamo pesanti limiti di fronte alle cose u-
mane e limiti ancora più pesanti per quelle dello spirito;
discrezione e rispetto: noi siamo abituati a classificare, a intervenire… nella
logica dello spirito ogni cosa è unica e irrepetibile, ha un suo senso e un suo
destino…
coraggio del rischio: ascoltare è sempre accettare qualcuno o qualcosa nel
proprio mondo interiore. È il rischio di mettersi continuamente in discussio-
ne, di cercare, di cambiare, di adeguarsi…
umiltà del cuore: ascoltare lo spirito è «dipendere», mettere un altro al cen-
tro del proprio sistema. Questo richiede un vero e proprio atto di umiltà.
ebraico è detta in modo molto più forte con “mi ha scavato l’orecchio”.
Gesù è l’ascolto di Dio ed è allo stesso tempo anche l’ascolto dell’uomo. In lui
“parola fatta carne” Dio e l’uomo si parlano, ma anche si ascoltano. Gesù ha a-
scoltato il Padre: nelle lunghe notti di preghiera, nella ricerca continua e leale
della sua volontà, nelle ansie degli uomini (nelle loro necessità, nelle loro con-
traddizioni, nelle loro attese…). Sente la preghiera non espressa della donna che
da dodici anni aveva perdite di sangue, la preghiera a distanza di Giairo per la
figlioletta morente, quella senza parole di Zaccheo il pubblicano…
A volte è un ascolto provocatorio. È il caso della donna cananea, che lo prega per
sua figlia ammalata (Mt 15,21-28). Altra volte il suo orecchio, che percepiva
persino il lamento appena appena mormorato dal povero, si chiude completamen-
te alle parole degli uomini. “Non senti quante cose attestano contro di te?” gli
dirà Pilato sconcertato dal silenzio di Gesù. Eppure anche in questo momento il
suo cuore è in ascolto… se mai gli uomini aprano un varco perché egli possa veni-
re loro incontro.