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I misteri della Divina Commedia

di Andrea Romanazzi

Prima di entrare nei dettagli diamo un piccolo escursus sulla figura del grande Poeta italiano.

Dante Alighieri (Firenze 1265 - Ravenna 1321), poeta e prosatore, teorico letterario e pensatore
politico, considerato il padre della letteratura italiana. La sua opera maggiore, la Divina Commedia,
è unanimemente ritenuta uno dei capolavori della letteratura mondiale di tutti i tempi. Dante nacque
tra il maggio e il giugno del 1265 da una famiglia di piccola nobiltà. L'evento più significativo della
sua giovinezza, secondo il suo stesso racconto, fu l'incontro con Beatrice, la donna che amò ed
esaltò come simbolo della grazia divina, prima nella Vita nuova e successivamente nella Divina
Commedia. Gli storici hanno identificato Beatrice con la nobildonna fiorentina Beatrice o Bice
Portinari, che morì nel 1290 neanche ventenne. Dante la vide in tre occasioni ma non ebbe mai
l'opportunità di parlarle.

Non si sa molto sulla formazione di Dante, ma le sue opere rivelano un'erudizione che copre quasi
l'intero panorama del sapere del suo tempo. A Firenze Fu profondamente influenzato dal letterato
Brunetto Latini, che compare come personaggio nella Commedia (Inferno, canto XV), e sembra che
intorno al 1287 frequentasse l'università di Bologna. Durante i conflitti politici che ebbero luogo in
Italia in quell'epoca, si schierò con i guelfi contro i ghibellini (Vedi Guelfi e ghibellini): nel 1289
prese parte alla battaglia di Campaldino in cui i guelfi fiorentini trionfarono sulle milizie ghibelline
di Arezzo. Qualche anno prima, probabilmente intorno al 1285, Dante aveva sposato Gemma
Donati, appartenente a una potente famiglia guelfa.

La sua prima opera importante, la Vita nuova (1292-93), fu scritta poco dopo la morte di Beatrice
ed è composta di canzoni e sonetti legati da commenti in prosa entro un esile intreccio narrativo: la
storia dell'amore di Dante per Beatrice, la premonizione della sua morte avuta in un sogno, la morte
di Beatrice e la risoluzione finale del poeta a scrivere un'opera che dicesse di lei "quello che mai
non fue detto d'alcuna".

La Vita nuova mostra la chiara influenza della poesia d'amore dei trovatori provenzali e rappresenta
probabilmente l'opera più importante del dolce stil novo fiorentino, che superò la tradizione
provenzale sublimando l'amore del poeta non solo in termini di elevato idealismo, ma anche in
senso mistico-religioso.

Negli anni che seguirono, Dante partecipò attivamente alla turbolenta vita politica di Firenze.
Documenti che risalgono al 1295 indicano che in quell'anno egli ebbe vari incarichi governativi
locali: nel 1300, dopo essere stato in missione diplomatica a San Gimignano, fu nominato priore di
Firenze, carica che ricoprì per due mesi.

La rivalità tra le due fazioni dei guelfi di Firenze, i cosiddetti "neri", che consideravano il papa
come un alleato contro il potere imperiale, e i "bianchi", che intendevano rimanere indipendenti sia
dal papa sia dall'imperatore, diventò particolarmente intensa proprio durante il priorato di Dante;
egli approvò la decisione di esiliare i capi di entrambe le fazioni, fra i quali l'amico Guido
Cavalcanti, allo scopo di mantenere la pace nella città. Tuttavia, appoggiati da papa Bonifacio VIII,
nel 1301 i capi dei neri poterono rientrare a Firenze e impadronirsi del potere mentre Dante si
trovava a Roma, a capo di una delegazione del comune presso il pontefice. Nel gennaio del 1302
Dante fu accusato di baratteria e concussione e, processato in contumacia, dapprima condannato a
pagare un'ingente ammenda e bandito da Firenze, quindi, non essendosi presentato per scontare la
pena, venne condannato a morte e alla confisca dei beni familiari.

Dante non fece mai più ritorno in patria: trascorse il suo esilio in parte a Verona e in parte in altre
città italiane (Treviso, Padova, Venezia, Lucca, Ravenna), e forse si spinse fino a Parigi tra il 1307 e
il 1309. In quegli anni i suoi ideali politici subirono un profondo cambiamento: si avvicinò alle
posizioni dei ghibellini, auspicando l'unificazione di tutta l'Europa sotto il regno di un imperatore
illuminato.

Durante i primi anni dell'esilio, Dante scrisse il De vulgari eloquentia (1303-1305, incompiuto) e il
Convivio (1304-1307 ca., incompiuto). Nel primo, in latino, difese il "volgare" come lingua
letteraria contro l'uso prevalente del latino per le opere colte.

Il Convivio fu concepito come un compendio in volgare, in quindici trattati, del sapere del tempo. Il
primo trattato è un'introduzione e i rimanenti quattordici avrebbero assunto la forma di commenti ad
altrettanti componimenti poetici dell'autore. Tuttavia furono portati a termine solo i primi quattro
trattati.

Le speranze politiche di Dante furono risollevate dall'arrivo in Italia nel 1310 di Arrigo VII, re di
Germania e imperatore del Sacro romano impero, che intendeva riportare l'Italia sotto la sua
sovranità di fatto e non solo di diritto. In uno slancio di febbrile attività politica, Dante scrisse
un'Epistola, indirizzata a tutti i principi e i reggitori dei Comuni d'Italia per esortarli ad accogliere
l'imperatore inviato dalla Provvidenza a risolvere le aspre lotte intestine che insanguinavano la
penisola. La morte di Arrigo VII nel 1313 pose bruscamente fine alle speranze di Dante.

Il trattato latino intitolato Monarchia, scritto secondo alcuni fra il 1310 e il 1313, durante il periodo
della permanenza in Italia di Arrigo, secondo altri nel 1317, rappresenta un'esposizione della
filosofia politica dantesca, in cui l'autore auspica la nascita di una monarchia universale, necessaria
per garantire la pace e il benessere dell'umanità, propugnando la netta separazione tra Stato e
Chiesa.

Nel 1315 la città di Firenze invitò Dante a ritornare; tuttavia, poiché le condizioni che gli venivano
proposte erano quelle generalmente riservate a criminali cui era stato concesso il perdono, Dante
rifiutò l'invito e affermò che non sarebbe mai ritornato se non gli fossero stati accordati piena
dignità e onore. Continuò quindi a vivere in esilio e trascorse i suoi ultimi anni a Ravenna, dove
morì nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321.

Tra le opere minori scritte da Dante durante gli ultimi anni di vita, si ricordano la Quaestio de aqua
et terra e due Egloghe in esametri latini. La Quaestio è un trattato di cosmologia, in latino,
incentrato su un tema che generava grande interesse nei pensatori del tempo: come le terre siano
emerse dall'acqua. Le Egloghe sono strutturate sul modello delle Bucoliche di Virgilio, che Dante
considerava maestro di vita e di pensiero

Il capolavoro di Dante, la Divina Commedia, iniziato probabilmente nel 1307 e terminato poco
prima della morte, è un poema allegorico, diviso in cantiche denominate rispettivamente Inferno,
Purgatorio e Paradiso, che con versi di grande forza drammatica narra il viaggio immaginario del
poeta nei tre regni ultraterreni. In ciascuno di essi il poeta incontra personaggi mitologici, letterari,
storici e contemporanei che rappresentano simbolicamente vizi o virtù morali, religiosi o politici.
Virgilio, simbolo della ragione, guida il poeta attraverso l'inferno e il purgatorio. Beatrice,
manifestazione e strumento della volontà divina, è invece la sua guida in paradiso. Ogni cantica
comprende 33 canti, eccetto la prima che ne conta uno in più con la funzione di introduzione
generale; il poema è scritto in terza .

Poiché intese destinarla a un pubblico il più vasto possibile, Dante scrisse l'opera in italiano e non in
latino; inoltre, la chiamò Commedia per il lieto fine che conclude il viaggio, con la visione di Dio in
paradiso. L'aggettivo "divina" fu aggiunto per la prima volta al titolo nell'edizione veneziana del
1555, ma era già stato usato da Giovanni Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante.

L'opera, che riassume il pensiero religioso, politico, scientifico e filosofico del tempo, può essere
letta e compresa, secondo la proposta dello stesso Dante, su quattro livelli: letterale, che indica il
senso immediato delle parole; allegorico, che disvela la verità celata sotto il senso letterale; morale,
che fornisce norme di condotta; e anagogico, che considera le parole – quindi gli eventi e gli oggetti
significati dalle parole – simboli di realtà spirituali. La Divina Commedia è una straordinaria
drammatizzazione della teologia cristiana medievale, ma, al di là di questa cornice, il viaggio
immaginario di Dante può essere interpretato come un'allegoria della purificazione dell'anima e del
raggiungimento della salvezza eterna, conseguite con l'aiuto della ragione, della fede e dell'amore.

(tratto da encarta 99)

Ma occupiamoci, ora , delle conoscenze ermetiche racchiuse nella divina commedia. Lo stesso
Dante fa cenno a quello che e’ nascosto nella divina commedia, infatti nel Purgatorio, VIII, 19-21 ,
egli dice:

aguzza qui ,lettor, ben li occhi Al vero,

che ‘l velo e’ ora ben tanto sottile,

certo che ‘l trapassar dentro e’ leggiero…

Nel medioevo il simbolo e il numero erano i cosi detti "principia individuationis", la loro funzione,
in tutte le opere, sia letterarie sia architettoniche è importantissima, e lo stesso Dante non si sottrae
al Simbolismo numerico.

Esaminando la Divina Commedia notiamo ( una più approfondita analisi è presente sul libro del
Prof.Vlora "dalla valle delle piramidi a Federico II di svevia") che il poeta non usa mai meno di 115
e non piu’ di 160 versi per ogni canto. La frequenza maggiore e’ sui valori 139 e 142.

Possiamo , inoltre notare che egli non chiude MAI un canto con 118-121-127 versi. La cosa strana è
che pur scrivendo in terzine il poeta non impiega mai un numero che sia divisibile per tre, anzi, il
numero dei versi finali di ogni canto e’ pari ad un multiplo di 3 piu’ 1!
Perché questo?

Ma allora :

118= 39 terzine +1

121= 40 terzine +1

127= 42 terzine +1

Quindi, per la logica detta prima tali numeri potevano essere utilizzati, ma come evidenziato il
poeta cerca di scansare i numeri 39, 40, 42 LA CUI SOMMA RESTITUISCE IL 121,
QUADRATO DELL’11!

Secondo la simbologia cristiana l’11 rappresenterebbe il PECCATO, 11 sono per esempio le spire
del labirinto della cattedrale di Chatres che il penitente doveva percorrere a scopo purificatorio e 11
sono i cubiti di altezza della camera del sarcofago della grande piramide.11 era il peccato…

Il perché è facilmente riscontrabile nella tradizione egizia, infatti il 111 rappresenta la perfezione, il
primo 1 e’ il bene, il secondo 1 l’unione, il terzo 1 il male. Il problema è che in Egitto il bene e il
male non erano intesi come da noi, non poteva esistere il bene senza il male, il bene è male e il male
é bene, cioè non esiste una differenza, e’ un po’ come il concetto di yin-yang orientale, essi si
compenetrano l’un l’altro, sono due volti della stessa medaglia!

Ebbene se alla perfezione , il 111 , togliamo l’1 otteniamo l’ 11 , il PECCATO! Certo il significato
medievale nasceva da ben altro, ormai le antiche tradizioni egizie erano ormai perse, ma il numero
rimaneva!

Ma continuiamo con i calcoli. Infatti esaminiamo il I canto dell’Inferno si compone di 136 versi
cioe’ 1+3+6=10ð 1+0=1

Se facciamo questo per tutti i canti dell’Inferno otteniamo tre numeri: 1 , 4 , 7. Esaminiamo il loro
simbolismo.

Il numero 1 e’ alla base della numerazione, esso indica il monoteismo, l’espressione del dio
creatore.

Il numero 4 rappresenta la completezza, l’UOMO, presso i babilonesi esso indicava le 4 regioni del
mondo, per gli ebrei ricordava il paradiso terrestre con i suoi 4 fiumi, e anche per S. Agostino esso
gode di grande importanza perché "in quaternario numero est insigne temporalium", per gli
alchimisti medievali i 4 elementi…

Il numero 7 indica invece la perfezione, esso è somma del 3+4, cioe’ dio (la trinita’ ) e la
materialita’ (i 4 elementi).

Dunque 1- DIO

4-L’UOMO

7-IL CONGIUNGIMENTO UOMO CON DIO dopo l’espiazione dei


peccati (11)
TUTTO QUINDI SEMBRA IN TEMA CON LO SPIRITO DELLA DIVINA COMMEDIA,
L’UOMO CHE RAGGIUNGE DIO DOPO L’ESPIAZIONE DEI PECCATI.

Ma non finisce certo qui, infatti il 147 lo ritroviamo anche "geograficamente" nell’inferno. Infatti
esso, dal limbo a Belzebu’ e’ alto proprio 147 miglia e la stessa altezza la ritroviamo nel purgatorio.

Torniamo ai versi , il canto centrale e il 17, ed è qui che Dante compendia tutto il suo insegnamento,
infatti

Il canto 17 restituisce i numeri 1, 4 e 7 nei rispettivi 3 libri.

Inferno 1

Purgatorio 4

Paradiso 7

E quindi ritroviamo ancora il 147, mentre per il canto immediatamente successivo e precedente
ottengo il numero 111, altro numero con grandi significati di cui abbiamo già parlato
abbondantemente nella prima parte.

Ovviamente, il Poeta , nel scrivere la sua Opera ha tenuto conto della numerazione araba già
introdotta in occidente da Fibonacci, studioso che operò alla corte di Federico II. In generale Dante
utilizza nel suo componimento numeri già trovati a Notre Dame, Castel del monte, nella grande
piramide…

Non sembra neanche un caso che scelga proprio Virgilio come suo accompagnatore, infatti , come
abbiam detto in altra sede Virgilio era un Artu’!!

A questo punto pare chiaro come anche Dante fosse vicino al culti del dio unico, anche se, ormai,
aveva perso le connotazioni egizio-celtiche, e di esso era rimasto solo un ricordo vago. Del resto
ormai e’ noto che il Poeta facesse parte dei FEDELI D’AMORE, setta alla quale appartenevano
diversi stilnovisti e che si rifaceva a dottrine orientali .

"...Vero è che tra le parole ove si manifesta la


cagione di questo sonetto si scrivono dubbiose
parole...E questo dubbio è impossibile a solvere a chi
non fosse in simile grado fedele d'amore."

(Dante –Vita Nuova)

Per alcuni studiosi (vedi Luigi Valli "il linguaggio segreto di dante e dei fedeli d’amore" 1988) i
poeti del Dolce Stilnovo non scrivevano semplici poesie d’amore, ma i loro componimenti non
erano altro che codici segreti con i quali i vari confratelli comunicavano tra loro di argomenti poco
accettati dalle autorita’ , e cioe’ dalla Chiesa del tempo.

Dice L. Valli: "Quando la crociata degli albigesi desolò con le sue ripetute stragi la Provenza, essa
disperse per il mondo insieme la poesia d'Amore e l'Eresia...".
Del resto i Fedeli d’Amore erano una confraternita che aveva tra i suoi scopi quello il ritorno alla
purezza della dottrina cristiana e che quindi piuttosto vicini all’eresia catara e i cui scopi non erano
poi lungi da quelli dei seguaci Sufi e di Federico II….del resto i poeti del Dolce Stilnovo si
rifacevano alla poesia mistica persiana, e proprio dalla Persia nacque il movimento manicheo da cui
ebbe origine l’eresia catara, eresia che appunto voleva un ritorno alla povertà della chiesa e che era
molto vicina al pensiero templare gia’ che comunque tutte e due furono profondamente influenzate
da particolari sette islamiche e dall’adorazione per il Baphoomet di cui abbiam gia’ parlato.

Inoltre nn a caso e’ proprio dalla Persia che nasce anche il culto mitreo, religione legata alle stagioni
e alla Dea Madre. Ed ecco che si apre un altro interrogativo, chi era la "donna" d'animo puro e
gentile di cui tutti gli stilnovisti "cantano"? Potrebbe essere questo un chiaro riferimento al culto
della Dea Madre , o meglio, della Vergine Nera , figura alla quale eran state dedicate diverse
cattedrali in Francia e il cui culto segreto si andava diffondendo in quegli anni?

Un esempio e’ dato dalla seguente poesia del Cavalcanti ( suggerita e segnalatami da un amico) cui
si parla di una "donna" di Tolosa (vecchio centro dell'eresia albigese):

Una giovane donna di Tolosa


bell'e gentil, d'onesta leggiadria
tant'è dritta e simigliante cosa
ne' suoi dolci occhi , de la donna mia...
ma tanto è paurosa
che no le dice di qual donna sia.

Ritroviamo in queste parole anche un accenno alle antiche tradizioni isidee in cui non bisogna mai
pronunciare il nome della divinita’ e quindi , in questo caso , della Donna.

Chiediamoci, ora , che ruolo aveva Dante in tutto questo? Era anche lui un Artu’ come lo stesso
Virgilio?

Bene, nn penso si possa parlare di un Artu’, infatti Dante si rifa’ alla cultura persiana, ne assorbe i
concetti, basa tutta la sua opera principale su quei numeri che erano sacri nella antica religione
mitrea che , poi, come abbiam gia’ detto, proviene dal culto solare, altro volto del culto della grande
dea. Ma ormai penso che gia’ al tempo di Dante il ricordo di tal culto fosse ben scomparso, egli ne
raccoglie i concetti fondamentali, come il ritorno alla poverta’ della chiesa, imposta il suo lavoro su
dei numeri, ma ormai essi sono vuoti, privi di significato….essi avevano un ben preciso valore nelle
LEGGI DEI PESI-MISURE-PROPORZIONI , ma egli nn fa altro che trascriverli senza conoscere
intimamente il loro potere!

Non penso dunque che Dante fosse un artu’, ma comunque


un uomo illuminato molto vicino alla VERITA’!!!

BIBLIOGRAFIA

"DALLA VALLE DEL NILO A FEDERICO II DI SVEVIA"


N.Vlora

G.Mongelli

Edito da ADDA EDITORE

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Servizio Edicola di Fuoco Sacro.
Informazioni alla lista.
Articoli, trovati sul web.
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