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CHIARA, CON LA SUA REGOLA E IL SUO CARISMA,

DI FRONTE ALL’AUTORITÀ DELLA CHIESA

Pubblicato in: Forma Sororum, 43 (2006) 236-255; 305-318.

P. CARLO SERRI ofm.

II, conclusione

Le forme della vita ecclesiale francescano-clariana

L‟assunzione profonda di questi valori avviene tramite la connessione


organica di “tre forme” indicate da Francesco nei suoi scritti. La forma della
santa Chiesa romana garantisce la corrispondenza tra la vita secondo la forma
del santo Vangelo e la forma di vita delle sorelle povere. Le tre forme si
implicano a vicenda.

a) All‟inizio dell‟itinerario spirituale di Francesco c‟è l‟illuminazione


spirituale a vivere secondo la forma del Vangelo. È un carisma religioso,
personale e comunitario:
“E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare,
ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo
Vangelo” (TestF 14).

La forma del Vangelo è la vita stessa di Cristo, proposta come modello


concreto di vita per i suoi discepoli. La Regola dei frati minori è solo una sintesi
e uno stimolo alla radicale assunzione del Vangelo come progetto di vita.
“La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore
nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità” (Rb I,1).

b) L‟itinerario interiore evangelico, nelle sue dimensioni personali e


comunitarie, si innesta nella forma storica della santa Chiesa romana. Questa è
un‟istituzione teologica e canonica. È lo stesso Testamento a raccontare di
seguito come, subito dopo l‟intuizione evangelica, c‟è stata l‟adesione
all‟istituzione ecclesiale:

1
“l‟Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la
feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò”
(TestF 14-15).

La forma di vita evangelica si cala, con naturale semplicità di fede, dentro


la forma della santa Chiesa romana.
La coincidenza tra le due forme è totale: i novizi non siano accettati
all‟Ordine contro la forma e l’istituzione della santa Chiesa1; i frati non devono
predicare contro la forma e l’istituzione della santa Chiesa2; nei luoghi dei frati i
sacerdoti devono celebrare la Messa secondo la forma della santa Chiesa3.
Infine Francesco proclama beato, dunque uomo del Regno, il servo che ha
fede nei chierici che vivono rettamente secondo la forma della Chiesa romana4.
La vecchia edizione delle Fonti Francescane traduceva l‟espressione
secundum formam ecclesiae di Rnb 2,12, di LOrd 30 e di Amm XXVI,1 con
l‟espressione “secondo le norme della santa Chiesa”, conservando la formula
“forma della santa Chiesa Romana” − non si capisce perché − solo per il
Testamento. La nuova edizione delle Fonti (2004) ha felicemente corretto la
traduzione. In realtà il coerente e sistematico impiego di questa formula, nei
diversi scritti di Francesco, dimostra una solida visione teologica, che restava
offuscata nella traduzione italiana.

c) Solo all‟interno di questa forma di vita evangelica ed ecclesiale


possiamo apprezzare appieno la forma vivendi che Chiara riceve da Francesco
per S. Damiano. Abbiamo due testimonianze inoppugnabili dell‟origine
francescana della forma di vita delle sorelle. La prima è nel ricordo offerto dal
Testamento di Chiara:
“E così, per volontà del Signore e del beatissimo padre nostro Francesco, venimmo ad
abitare accanto alla chiesa di San Damiano […]. In seguito egli scrisse per noi una
forma di vita (formam vivendi), e principalmente che perseverassimo nella santa
povertà” (TestCh 30.33).

1
“Nullus recipiatur contra formam et institutionem sanctae Ecclesiae” (Rnb 2,12). La
traduzione offerta dalla vecchia edizione delle Fonti Francescane: “contro le norme e le
prescrizioni della santa Chiesa”, mi sembra riduttiva.
2
“Nullus frater praedicet contra formam et institutionem sanctae ecclesiae” (Rnb
XVII,1).
3
“Secundum formam sanctae ecclesiae” (LOrd 30).
4
“Beatus servus, qui portat fidem in clericis, qui vivant recte secundum formam
Ecclesiae Romanae” (Amm XXVI,1).

2
La seconda testimonianza è più ufficiale e assume il valore canonico della
Regola approvata dalla Santa Sede:
“Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l‟autorità del signor Papa
e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel
vostro monastero e con l‟appoggio della presente lettera avvaloriamo la forma di vita
(formam vitae) e il modo di santa unità e di altissima povertà, che il beato padre vostro
Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta. […]
La Forma di vita (forma vitae) dell‟Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal beato
Francesco, è questa: Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo,
vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. […]
Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica,
tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l‟avevamo in conto di
grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita (formam
vivendi) in questo modo: „Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle
dell‟Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo,
scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, voglio e prometto da
parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e
sollecitudine speciale‟” (RegCh Prol.,15-16; I,1-2; VI,2-4).

L‟espressione forma di vita ritorna in tre punti strategici del testo:


nell‟approvazione del cardinale Rainaldo, nell‟incipit della Regola, e infine nel
capitolo VI, quello più autobiografico e carismatico. Appare chiaro che la forma
propria di vita che Francesco trasmette alle sorelle, come quella dei frati, è
qualificata dal suo radicamento evangelico ed ecclesiale.
Le tre forme di vita (evangelica, ecclesiale e damianita) si richiamano a
vicenda, e costituiscono un modo di essere unitario, che struttura i valori
fondamentali dell‟esperienza francescana.
Se vogliamo cercare il riferimento biblico di questo linguaggio
francescano dobbiamo probabilmente riferirci al testo della lettera ai Filippesi,
che descrive, con la kenosi del Signore, la radice cristologica della vita in
minorità:
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di
natura divina (cum in forma Dei esset), non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (formam
servi accipiens) e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se
stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,5-8).

La kenosi di Cristo, consistente nel passaggio dalla forma di Dio alla


forma di servo, costituisce la ragione e il modello della minorità francescana,

3
che assume, per amore, la stessa forma di vita povera e umile del Signore Gesù.
L‟assunzione di questa forma di vita trova dunque il suo punto di partenza nella
scelta radicale della povertà e il suo culmine nella totale conformità alla logica
della croce.
Se infine vogliamo cercare l‟attuazione liturgico-ecclesiale perfetta di
questa comunicazione di vita divina dobbiamo rifarci all‟Eucaristia, in cui
Francesco contempla la forma più completa del dono di Cristo:
“tutti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del
Signore sopra l‟altare nelle mani del sacerdote, nella forma del pane e del vino (in
forma panis et vini) […]”(Amm I,9)5.

Solo alla luce di questo vasto orizzonte possiamo capire in pieno


l‟importanza dell‟Eucaristia nella spiritualità di santa Chiara. È il corpo di Cristo
che dà forma alla Chiesa, sulla croce e nell‟Eucaristia; ed è la forma della
Chiesa che accoglie nel suo corpo la forma di vita delle sorelle povere.

5. Il carisma clariano e l’intervento dell’autorità ecclesiale:


repressione o discernimento ecclesiale?

L’amore alla povertà

Alcuni studiosi hanno descritto il rapporto di Chiara con l‟autorità della


Chiesa in termini di lotta e di contrasto, come se il Papa non capisse il carisma
di S. Damiano o lo ostacolasse. Cosa pensare?
Dobbiamo notare innanzi tutto che proprio le fonti che ci tramandano
questo presunto contrasto descrivono anche l‟affetto e la comunione profonda
che legò i Pontefici alla badessa di S. Damiano. Questo appare evidente già nel
racconto che la Leggenda offre del rapporto con papa Innocenzo III.
“Volendo che la sua famiglia religiosa si nominasse con il nome della povertà, impetrò
da Innocenzo III di buona memoria il privilegio della povertà. Quell‟uomo magnifico,
rallegrandosi dell‟ardore così grande della vergine, sottolineò la singolarità del
proposito, poiché mai era stato richiesto alla Sede Apostolica un privilegio di tal
genere. E, per rispondere con insolito favore all‟insolita petizione, il Pontefice in
persona, di sua propria mano, scrisse con grande letizia una prima noticina (primam
notulam) del privilegio richiesto” (LegCh 14).

5
Inutile sottolineare ancora che la traduzione delle FF (vecchia e nuova edizione)
“sotto le specie del pane e del vino” non rende ragione della coerenza linguistica di
Francesco.

4
Siamo nel 1216, dopo che il Concilio Lateranense IV aveva imposto a
tutti i nuovi ordini religiosi o monasteri di adottare una Regola già approvata
dalla Chiesa. Le sorelle di S. Damiano scelgono la regola benedettina, che è il
codice classico della vita monastica. Chiedono però al Papa il Privilegio della
povertà, per tutelare l‟originalità della loro forma di vita. Il Papa concede questo
stranissimo privilegio. Oggi alcuni dubitano della realtà del fatto, che invece è
incontestabile, perché attestato da molteplici fonti6. Viene attestato sia dalla
Leggenda, sia dal Testamento di Chiara (cf. TestCh 42), sia dal Processo di
canonizzazione. Abbiamo già accennato che si discute sullo stile del testo del
privilegio a noi tramandato, se sia o meno corrispondente allo stile della
cancelleria papale del tempo. Notiamo però che la Leggenda attribuisce al
Pontefice solo la primam notulam del documento richiesto. Questo particolare
dà l‟impressione di una concessione atipica, e anche poco rispettosa delle
formalità burocratiche.
A qualcuno appare inverosimile che nel 1216 S. Damiano, che era solo un
piccolo e povero monastero di religiose sconosciute, potesse ottenere privilegi
dalla Curia romana7.
In realtà l‟ipotesi è meno inverosimile di quanto sembri. Non possiamo
dimenticare il racconto coevo di Giacomo da Vitry (ottobre 1216), che offre una
testimonianza non di parte sulle origini francescane.
“Partito di qui, arrivai a Perugia. Trovai papa Innocenzo morto, ma non ancora sepolto
[…]. Il giorno dopo i funerali, i cardinali elessero Onorio (18 luglio 1216), uomo di età
avanzata e pio, semplice e molto mite, che aveva distribuito ai poveri quasi tutto il suo
patrimonio. La domenica dopo l‟elezione, fu consacrato Sommo Pontefice [...].
Avendo frequentato per qualche tempo la Curia, vi ho trovato parecchie cose contrarie
al mio spirito […]. Ho trovato però, in quelle regioni, una cosa che mi è stata di grande
consolazione: delle persone, d‟ambo i sessi, ricchi e laici, che, spogliandosi di ogni
proprietà per Cristo, abbandonavano il mondo. Si chiamavano frati minori, e sorelle
minori e sono tenuti in grande considerazione dal Papa e dai cardinali. […] Le donne

6
Il codice più antico che riporta il testo del Privilegium è quello, già citato, di
Messina. Altro codice è nel libro delle Ricordanze del Monastero di S. Lucia in Foligno, a
cura di Sr. A.E. SCANDELLA osc., Porziuncola, S. Maria degli Angeli 1987, 140. Cf. Legenda
Latina Sanctae Clarae Virginis Assisiensis, a cura di P. G. BOCCALI con trad. italiana di P. M.
BIGARONI, Porziuncola, S. Maria degli Angeli 2001, 32-33.
7
“I richiedenti di umili origini potevano solo difficilmente presentare le loro petizioni
al papa. La venalità della Curia è stigmatizzata come stereotipo ed era generalmente risaputo
che, chi voleva ottenervi qualcosa, doveva disporre di molto denaro” (W. MALECZEK, Chiara
d’Assisi..., 69). Questa affermazione generale ci sembra meno pertinente delle precise
testimonianze della Leggenda e di Giacomo da Vitry.

5
invece dimorano insieme in alcuni ospizi non lontani dalle città, e non accettano
alcuna donazione, ma vivono col lavoro delle proprie mani. Non piccolo è il loro
rammarico e turbamento, vedendosi onorate più che non vorrebbero da chierici e laici
[…]. Gli uomini di questa religione convengono una volta l‟anno nel luogo stabilito
per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme, ricavando da questi incontri notevoli
benefici. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano
delle leggi sante, che sottopongono al Papa per l'approvazione” (Giacomo da Vitry
A,4.7-8.10-11).

Sottolineiamo solo alcuni particolari, spesso trascurati:


1. Il Papa e la Curia si trovano a Perugia (a quattro passi da Assisi).
2. I frati e le “sorelle minori” sono conosciuti, stimati e considerati da
Papa e cardinali, chierici e laici.
3. I frati già sottopongono all‟approvazione del Papa le loro leggi.
Questo racconto di un testimone ancora estraneo alla vicenda francescana
ci testimonia che i contatti tra la Curia romana e il movimento minoritico,
maschile e femminile, erano vivi e cordiali. Se il Papa approvava le “leggi
sante” dei frati, perché mai appare tanto improbabile che abbia anche potuto, in
maniera informale, approvare l‟originale scelta di povertà delle sorelle?
Teniamo conto che, a quel tempo, nemmeno i Frati Minori avevano
ancora una Regola definitiva. Il loro genere di vita era stato ammesso solo
oralmente, da Innocenzo III, nel 1209-10. Il privilegio del 1216, nella sua
atipicità burocratica, si può comprendere solo in questa situazione iniziale molto
fluida, gestita ancora con prudenza da parte della Curia romana.

L‟intervento sulla povertà di Gregorio IX già si colloca in una situazione


più evoluta. Francesco è morto e canonizzato, l‟ordine dei Minori ha una sua
Regola approvata. Evidentemente il Papa vuole rendere più sicura la vita del
monastero di S. Damiano e degli altri monasteri di Povere Dame che erano sorti
in Italia.
La Chiesa deve misurare con equilibrio e saggezza gli obblighi concernenti
la povertà, soprattutto perché una Regola non obbliga solo gli attuali membri di
una comunità, ma anche quelli futuri. La testimonianza di sora Pacifica di
Guelfuccio al Processo di canonizzazione di Chiara ci espone le diverse opinioni
del Papa e di santa Chiara a proposito della povertà:
“Anche disse che particularmente amava la povertà, però che mai podde essere indotta
che volesse alcuna cosa propria, né recevere possessione, né per lei, né per lo
monasterio. Adomandata come sapesse questo, respose che essa vide et udì che la
santa memoria de messere Gregorio Papa li volse dare molte cose et comparare le

6
possessioni per lo monasterio, ma essa non volse mai acconsentire” (Proc I,13; cf.
anche II,22; III,14).

Anche la Leggenda di santa Chiara, fonte ufficiale, riporta l‟episodio:


“Il signor papa Gregorio, poi, di felice memoria, uomo degnissimo della Sede quanto
venerabile per meriti personali, ancora più intensamente amava con affetto paterno
questa Santa. E si studiava di persuaderla che acconsentisse a possedere qualche
proprietà, per far fronte ad ogni eventuale circostanza e ai pericoli del mondo; ed anzi,
gliene andava offrendo lui stesso generosamente. Ma ella si oppose con decisione
incrollabile e in nessun modo si lasciò convincere. E quando il Pontefice le replicò:
„Se temi per il voto, Noi te ne dispensiamo‟, „Santo Padre − ella rispose − a nessun
patto e mai, in eterno, desidero essere dispensata dalla sequela di Cristo!‟” (LegCh 14).

L‟episodio dell‟offerta delle proprietà si colloca nel 1228. Gregorio IX si


trova ad Assisi per la canonizzazione di san Francesco. Chiara non vuole
rinunciare al privilegio della povertà concessole già da Innocenzo III e, dopo
molte insistenze, ne ottiene il rinnovo da parte di Gregorio IX. In seguito pochi
altri monasteri chiesero e ottennero lo stesso privilegio: Monteluce presso
Perugia (16 giugno 1229), Monticelli presso Firenze, Praga (15 aprile 1238). La
bolla originale del Privilegio di Gregorio IX (Sicut manifestum est, 17 settembre
1228) si conserva nel Protomonastero S. Chiara di Assisi e dunque la sua
storicità, a differenza di quello di Innocenzo III, è accettata da tutti gli studiosi.
Consideriamo che la Leggenda di santa Chiara non è una compilatio
dovuta alla mano di qualche frate spirituale ribelle. Ci troviamo di fronte ad un
testo ufficiale, scritto su richiesta di papa Alessandro IV, che aveva canonizzato
Chiara nel 1255, a lui dedicato e dunque approvato dalla Santa Sede (cf. ivi
Lettera di Introduzione). Se reputiamo valide le attestazioni della Leggenda su
Gregorio IX, perché non dovremmo accettare quelle su Innocenzo III? Questi
due Papi non appartenevano ad un passato remoto, ma erano vissuti appena
pochi anni prima, ed erano ancora vivi, nel 1255, moltissimi testimoni delle loro
azioni. E non dimentichiamo che lo stesso papa Alessandro IV, quando si
chiamava ancora Rainaldo dei conti di Segni, era stato cardinal protettore e
dunque si era occupato personalmente delle vicende di S. Damiano.
Come giudicare la differenza di sensibilità tra Chiara e Gregorio IX?
Innanzi tutto dobbiamo vedere, in concreto, a che cosa si riduce il contrasto.
Chiara difendeva la povertà assoluta, in modo tale che nessuno potesse obbligare
le sorelle a ricevere delle proprietà. Gregorio non voleva certamente che le
sorelle diventassero milionarie o che ammucchiassero proprietà faraoniche a

7
spregio del Vangelo. Probabilmente voleva solo dotare il monastero di quel
minimo di beni materiali che garantisse alle sorelle una serena sopravvivenza e
la libertà necessaria nei confronti dei futuri benefattori. La storia ci ha
amaramente insegnato che anche il dover ricorrere, forzatamente, a benefattori
autorevoli e invadenti può diventare un ostacolo alla vita religiosa.
Chiara temeva che le sorelle avessero troppe cose. Il Papa temeva che,
non avendo abbastanza da vivere, dovessero poi ridursi a mendicare in maniera
penosa.
Quasi tutti gli studiosi evidenziano la discordanza d‟opinione tra Gregorio
IX e santa Chiara. A me fa impressione invece il rispetto del Papa per la libertà
delle sorelle. Pur essendo egli personalmente contrario all‟opportunità di
concedere il privilegio, tuttavia rispetta la scelta più difficile che le sorelle
vogliono operare e concede loro il privilegio richiesto. Ed avrebbe avuto tutta
l‟autorità per non farlo!
Abbiamo certamente due diverse prospettive: più carismatica quella di
Chiara, più istituzionale quella di Gregorio. Chiara era presa dal presente, dalla
bellezza di uno slancio di povertà che le riempiva il cuore. Ed aveva ragione lei,
perché il Regno di Dio appartiene ai poveri.
Il Papa guardava al futuro, ai bisogni concreti che condizionano sempre la
storia degli esseri umani. Bisogna fare i conti, umilmente, anche con le umane
debolezze, perché anch‟esse fanno parte di quella povertà che fa entrare nel
Regno. Forse non aveva tutti i torti neanche il Papa.
La storia ci dice che, fino a pochi decenni fa, la quasi totalità dei
monasteri non ha seguito la Regola di Chiara, ma quella di Urbano IV, proprio
per avere quelle poche proprietà indispensabili che Gregorio aveva loro offerto e
che Chiara aveva rifiutato.
Ancora una volta appare chiaro che la povertà, per un cristiano, può essere
solo uno dei tanti volti che l‟amore sa assumere per somigliare a Cristo.
Di fatto questa differenza di opinioni sulla povertà non ha incrinato la
stima e l‟affetto dei Papi verso santa Chiara. Quello che avvenne alla sua morte
ce lo dimostra. La Leggenda attesta che durante la sua ultima malattia Chiara ha
ricevuto la visita di tanti sacerdoti, del cardinale di Ostia e dello stesso pontefice
Innocenzo IV, dai quali riceve i sacramenti e le più copiose benedizioni.
“Ed ecco, poco tempo dopo, giunge a Perugia la Curia Romana. Avuta la notizia del
suo aggravarsi, il Signore di Ostia si affretta da Perugia a visitare la sposa di Cristo, di
cui era stato per ufficio padre, per sollecitudine come colui che nutre, per affetto
purissimo sempre amico devoto. […]

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Si affretta il signor papa Innocenzo IV di santa memoria a visitare l‟ancella di Cristo
insieme con i cardinali; e come ne aveva approvata la vita più di quella di ogni altra
donna del nostro tempo, non esita a onorarne la morte con la sua presenza papale” (ivi
40.41).

Mi chiedo: capita spesso che il Papa accorra al capezzale di una suora


morente? E Innocenzo IV ci sarebbe andato se non avesse avuto grande stima e
affetto per lei? Ancora: al funerale di Chiara Innocenzo IV vorrebbe far
celebrare l‟Ufficio delle vergini invece di quello dei defunti! (cf. ivi 47). Mi
chiedo: capita spesso che il Papa presieda il funerale di una suora e la tratti già,
dinanzi a tutti, come una santa? In duemila anni di cristianesimo quante suore
hanno ricevuto un trattamento così onorevole da parte di un Papa? Tutte le
congetture su atteggiamenti di lotta o di contrasto tra Chiara e il papato
dovrebbero tener conto di queste elementari osservazioni.

Clausura per amore dello Sposo celeste

Chiara visse nella clausura del suo monastero per 42 anni continui, ossia
dal 1211 al 1253. Risulta dalle concordi testimonianze del Processo di
canonizzazione che Chiara non uscì mai da S. Damiano. Su questo argomento si
opera, a volte, una confusione tra le questioni disciplinari e la dimensione
spirituale. È quest‟ultima che fornisce motivazioni e spessore teologico alla vita
in clausura. Nel concreto svolgersi di una vita contemplativa le determinazioni
disciplinari, per quanto importanti, restano sempre secondarie e strumentali.
“Nella prigione di questo minuscolo luogo, la vergine Chiara si rinchiuse per amore
dello Sposo celeste. Qui incarcerò il suo corpo, per tutta la vita che aveva innanzi,
celandosi dalla tempesta del mondo. Ponendo il suo nido, quale argentea colomba,
nelle cavità di questa rupe, generò una schiera di vergini di Cristo, fondò un monastero
santo e diede inizio all‟Ordine delle Povere Donne. Qui frange le zolle delle sue
membra nella via della penitenza, qui semina semi di perfetta giustizia, qui col suo
proprio passo segna la via per le sue future seguaci. In questo angusto eremitaggio per
quarantadue anni spezza l‟alabastro del suo corpo con i flagelli della disciplina, perché
l‟edificio della Chiesa si riempia della fragranza degli unguenti” (ivi 10).

Alcuni studiosi suggeriscono che sia stato il cardinale Ugolino ad imporre


la clausura nel monastero di S. Damiano, secondo le costituzioni da lui scritte
nel 1219, per tutti i monasteri delle Dominae Pauperes.
Onorio III si era impegnato a continuare l‟opera iniziata da Innocenzo III:
riorganizzare le comunità religiose femminili, dando loro una più precisa

9
configurazione ecclesiale e ponendole alle dipendenze dirette della Santa Sede.
Si servì per questo scopo del cardinale Ugolino. Questi realizzò a tal fine tre
legazioni in Toscana e Lombardia, negli anni 1217, 1218-19 e 1221, conoscendo
le nuove comunità e cercando di regolamentarle nel miglior modo possibile.
Secondo la cronologia comunemente accettata, il cardinale Ugolino
incontrò per la prima volta santa Chiara e le sue sorelle solo nel 1220. Passò a S.
Damiano la settimana santa. Dopo la partenza scrisse alle sorelle di S. Damiano
una lettera colma di stima e d‟affetto, affidandosi alle loro preghiere con toni di
un fervore persino esagerato8.
Dunque nei primi importantissimi anni dell‟epopea evangelica
francescana, nella primavera spirituale di S. Damiano, quando Francesco e
Chiara erano liberi da possibili pressioni della Curia romana… Chiara è vissuta
in clausura. Ha visto in faccia per la prima volta il cardinale Ugolino quasi dieci
anni dopo il suo ingresso a S. Damiano. Chiara è stata in clausura, negli anni più
belli della sua giovinezza, non perché costretta da una legge, ma perché sedotta
da un Amore. Risulta veramente forzato affermare che è stato il cardinale
Ugolino ad imporre la clausura a S. Damiano.

6. La Chiesa ha capito il carisma e la Regola di Chiara?

Certamente, al termine di un periodo di discernimento, la Chiesa ha


approvato la Regola di Chiara: è il primo sigillo! Ma ha realmente compreso il
suo carisma? Per rispondere al quesito è utile rileggere le parole contenute nel
Prologo della Regola. Innocenzo IV si prende cura di
“confermare con la nostra autorità apostolica la forma di vita, secondo la quale dovete
vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto di altissima povertà, che vi fu

8
Lettera del cardinale Ugolino a S. Chiara, in S. CHIARA D‟ASSISI, Scritti e
documenti, Ed. Francescane, Assisi 1994, 387-8. Non sono riuscito a comprendere le
osservazioni di M.P. Alberzoni su questa lettera del cardinale Ugolino. L‟Autrice scrive: “Se
tale scritto […] indubbiamente testimonia la stima di Ugolino per Chiara, è anche innegabile
la presenza in esso di motivi che il cardinale d‟Ostia considerava caratterizzanti la vita
monastica femminile, riguardo ai quali l‟accordo con Chiara non doveva essere totale,
soprattutto circa la rigida e permanente clausura che per Ugolino andava sempre più
configurandosi come la condizione indispensabile per favorire la preghiera assidua” (M.P.
ALBERZONI, Chiara e il Papato, Ed. Biblioteca Francescana, Milano 1995, 43-44. Il testo di
Ugolino è riportato alle pp. 116-117). Ho riletto più volte questa lettera, anche nella versione
pubblicata in EAD., La nascita di un’istituzione. L’Ordine di S. Damiano nel XIII secolo,
CULS, Milano 1996, 156-158. Mi pare che essa non contenga il minimo riferimento esplicito
e nemmeno la più vaga allusione alla clausura. Meno ancora mi sembra che da questa lettera
si possa dedurre quale fosse il pensiero di Chiara sull‟argomento.

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data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata” (RegCh Prol.,4–6).

Queste parole sottolineano il patrimonio spirituale originario delle Sorelle


Povere, che s‟impegnarono sin dall‟inizio ad osservare la forma di vita ricevuta da
san Francesco e approvata dalla Chiesa. Santa Chiara e le sue sorelle avevano
chiesto a papa Innocenzo IV l‟approvazione di una forma di vita ben determinata,
nella quale esse intendevano vivere la loro fedeltà vocazionale.
La lettera di approvazione del cardinal protettore Rainaldo, riportata
fedelmente nella bolla Solet annuere sintetizza efficacemente i valori
fondamentali della Regola:
“Poiché voi, figlie dilette in Cristo, avete disprezzato le vanità e i piaceri del mondo e
seguendo le orme dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avete scelto di
abitare rinchiuse e di dedicarvi al Signore in povertà somma per potere con animo
libero servire a Lui, noi, encomiando nel Signore il vostro santo proposito, di buon
grado vogliamo con affetto paterno accordare benevolo favore ai vostri voti e ai vostri
santi desideri. Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l‟autorità
del signor Papa e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi
succederanno nel vostro monastero e con l‟appoggio della presente lettera avvaloriamo
la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà, che il beato padre
vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta”
(ivi Prol.,12-16).

Rainaldo indica alcuni valori eminenti che qualificano la vita di S. Damiano.


Le sorelle:
a) rinunciano al mondo per seguire le orme di Cristo e della sua santissima
Madre (Christi et eius sanctissimae matris sequentes vestigia).
b) Scelgono una vita di clausura in monastero (elegistis habitare incluso
corpore).
c) Si dedicano al servizio di Dio in somma (o altissima) povertà (in
paupertate summa Domino deservire).
d) Adottano una forma di vita improntata alla fraternità evangelica, per
essere “una cosa sola” tra di esse e con Dio (formam vitae et modum sanctae
unitatis).
e) La Chiesa, nell‟accogliere la richiesta della badessa di S. Damiano,
approva una forma di vita e nello stesso tempo riconosce che essa fu consegnata
alle sorelle da san Francesco stesso, perché fosse osservata (vobis beatus pater
vester sanctus Franciscus verbo et scripto tradidit observandam).

11
Quindi la Chiesa riconosce un carisma e lo conferma. È un discernimento
ecclesiale. Le motivazioni dell‟approvazione della Regola ricalcano
sostanzialmente le parole della forma vivendi scritta da Francesco (cf. ivi VI,2 e
TestCh 33).
Mi sembra dunque che la Chiesa, nell‟approvare la Regola di una donna
che di lì a poco avrebbe proclamata santa, si sia resa conto benissimo di quello
che faceva e abbia riconosciuto la presenza dello Spirito del Signore in quella
esperienza di fede che si stava svolgendo ormai da quarantadue anni.

Conclusione: il secondo sigillo

Chiara morì baciando la sua Regola, bollata dalla Chiesa. Chiara ha


sigillato la sua Regola baciando il sigillo della Chiesa. Questo fatto è anche
menzionato da sora Filippa nel processo di canonizzazione.
“E nella fine de la vita sua, chiamate tutte le Sore sue, lo‟ raccomandò
attentissimamente lo Privilegio de la povertà. E desiderando essa grandemente de
avere la regola de l’Ordine bollata, pure che uno dì potesse ponere essa bolla alla
bocca sua e poi de l‟altro dì morire: e come essa desiderava, così le addivenne, imperò
che venne uno frate con le lettere bollate, la quale essa reverentemente pigliando, ben
che fusse presso alla morte, essa medesima se puse quella bolla alla bocca per
baciarla” (Proc III,32).

Una mano sconosciuta ha scritto sul retro della pergamena originale:


“Hanc beata Clara tetigit et osculata est pro devotione pluribus et pluribus vicibus,
9
santa Chiara la toccò e baciò per devozione più e più volte” .

E questo è il secondo sigillo apposto sulla Regola. Il primo, quello del


Papa, è un sigillo ufficiale, con valore giuridico. Il secondo, quello di santa
Chiara, è un sigillo d‟amore, di gratitudine ecclesiale, di comunione profonda in
Dio. Sul primo sigillo, quello di piombo che pende ancora dalla pergamena, gli
storici continueranno a discutere con la necessaria erudizione. Ma è sul secondo
sigillo, il bacio di santa Chiara, che le clarisse, ancora oggi, continuano a
poggiare la loro vita consacrata all‟Amore.

P. CARLO SERRI ofm.

9
Cf. P. VAN LEEWEN, Clare’s Rule, in Greyfriars Review, 1 (1987), 65-76.

12
Convento S. Caterina ad Nativitatem
Bethlehem
P.O.B. 588
91001 JERUSALEM
Israel

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