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II, conclusione
1
“l‟Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la
feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò”
(TestF 14-15).
1
“Nullus recipiatur contra formam et institutionem sanctae Ecclesiae” (Rnb 2,12). La
traduzione offerta dalla vecchia edizione delle Fonti Francescane: “contro le norme e le
prescrizioni della santa Chiesa”, mi sembra riduttiva.
2
“Nullus frater praedicet contra formam et institutionem sanctae ecclesiae” (Rnb
XVII,1).
3
“Secundum formam sanctae ecclesiae” (LOrd 30).
4
“Beatus servus, qui portat fidem in clericis, qui vivant recte secundum formam
Ecclesiae Romanae” (Amm XXVI,1).
2
La seconda testimonianza è più ufficiale e assume il valore canonico della
Regola approvata dalla Santa Sede:
“Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l‟autorità del signor Papa
e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel
vostro monastero e con l‟appoggio della presente lettera avvaloriamo la forma di vita
(formam vitae) e il modo di santa unità e di altissima povertà, che il beato padre vostro
Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta. […]
La Forma di vita (forma vitae) dell‟Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal beato
Francesco, è questa: Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo,
vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. […]
Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica,
tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l‟avevamo in conto di
grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita (formam
vivendi) in questo modo: „Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle
dell‟Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo,
scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, voglio e prometto da
parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e
sollecitudine speciale‟” (RegCh Prol.,15-16; I,1-2; VI,2-4).
3
che assume, per amore, la stessa forma di vita povera e umile del Signore Gesù.
L‟assunzione di questa forma di vita trova dunque il suo punto di partenza nella
scelta radicale della povertà e il suo culmine nella totale conformità alla logica
della croce.
Se infine vogliamo cercare l‟attuazione liturgico-ecclesiale perfetta di
questa comunicazione di vita divina dobbiamo rifarci all‟Eucaristia, in cui
Francesco contempla la forma più completa del dono di Cristo:
“tutti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del
Signore sopra l‟altare nelle mani del sacerdote, nella forma del pane e del vino (in
forma panis et vini) […]”(Amm I,9)5.
5
Inutile sottolineare ancora che la traduzione delle FF (vecchia e nuova edizione)
“sotto le specie del pane e del vino” non rende ragione della coerenza linguistica di
Francesco.
4
Siamo nel 1216, dopo che il Concilio Lateranense IV aveva imposto a
tutti i nuovi ordini religiosi o monasteri di adottare una Regola già approvata
dalla Chiesa. Le sorelle di S. Damiano scelgono la regola benedettina, che è il
codice classico della vita monastica. Chiedono però al Papa il Privilegio della
povertà, per tutelare l‟originalità della loro forma di vita. Il Papa concede questo
stranissimo privilegio. Oggi alcuni dubitano della realtà del fatto, che invece è
incontestabile, perché attestato da molteplici fonti6. Viene attestato sia dalla
Leggenda, sia dal Testamento di Chiara (cf. TestCh 42), sia dal Processo di
canonizzazione. Abbiamo già accennato che si discute sullo stile del testo del
privilegio a noi tramandato, se sia o meno corrispondente allo stile della
cancelleria papale del tempo. Notiamo però che la Leggenda attribuisce al
Pontefice solo la primam notulam del documento richiesto. Questo particolare
dà l‟impressione di una concessione atipica, e anche poco rispettosa delle
formalità burocratiche.
A qualcuno appare inverosimile che nel 1216 S. Damiano, che era solo un
piccolo e povero monastero di religiose sconosciute, potesse ottenere privilegi
dalla Curia romana7.
In realtà l‟ipotesi è meno inverosimile di quanto sembri. Non possiamo
dimenticare il racconto coevo di Giacomo da Vitry (ottobre 1216), che offre una
testimonianza non di parte sulle origini francescane.
“Partito di qui, arrivai a Perugia. Trovai papa Innocenzo morto, ma non ancora sepolto
[…]. Il giorno dopo i funerali, i cardinali elessero Onorio (18 luglio 1216), uomo di età
avanzata e pio, semplice e molto mite, che aveva distribuito ai poveri quasi tutto il suo
patrimonio. La domenica dopo l‟elezione, fu consacrato Sommo Pontefice [...].
Avendo frequentato per qualche tempo la Curia, vi ho trovato parecchie cose contrarie
al mio spirito […]. Ho trovato però, in quelle regioni, una cosa che mi è stata di grande
consolazione: delle persone, d‟ambo i sessi, ricchi e laici, che, spogliandosi di ogni
proprietà per Cristo, abbandonavano il mondo. Si chiamavano frati minori, e sorelle
minori e sono tenuti in grande considerazione dal Papa e dai cardinali. […] Le donne
6
Il codice più antico che riporta il testo del Privilegium è quello, già citato, di
Messina. Altro codice è nel libro delle Ricordanze del Monastero di S. Lucia in Foligno, a
cura di Sr. A.E. SCANDELLA osc., Porziuncola, S. Maria degli Angeli 1987, 140. Cf. Legenda
Latina Sanctae Clarae Virginis Assisiensis, a cura di P. G. BOCCALI con trad. italiana di P. M.
BIGARONI, Porziuncola, S. Maria degli Angeli 2001, 32-33.
7
“I richiedenti di umili origini potevano solo difficilmente presentare le loro petizioni
al papa. La venalità della Curia è stigmatizzata come stereotipo ed era generalmente risaputo
che, chi voleva ottenervi qualcosa, doveva disporre di molto denaro” (W. MALECZEK, Chiara
d’Assisi..., 69). Questa affermazione generale ci sembra meno pertinente delle precise
testimonianze della Leggenda e di Giacomo da Vitry.
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invece dimorano insieme in alcuni ospizi non lontani dalle città, e non accettano
alcuna donazione, ma vivono col lavoro delle proprie mani. Non piccolo è il loro
rammarico e turbamento, vedendosi onorate più che non vorrebbero da chierici e laici
[…]. Gli uomini di questa religione convengono una volta l‟anno nel luogo stabilito
per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme, ricavando da questi incontri notevoli
benefici. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano
delle leggi sante, che sottopongono al Papa per l'approvazione” (Giacomo da Vitry
A,4.7-8.10-11).
6
possessioni per lo monasterio, ma essa non volse mai acconsentire” (Proc I,13; cf.
anche II,22; III,14).
7
spregio del Vangelo. Probabilmente voleva solo dotare il monastero di quel
minimo di beni materiali che garantisse alle sorelle una serena sopravvivenza e
la libertà necessaria nei confronti dei futuri benefattori. La storia ci ha
amaramente insegnato che anche il dover ricorrere, forzatamente, a benefattori
autorevoli e invadenti può diventare un ostacolo alla vita religiosa.
Chiara temeva che le sorelle avessero troppe cose. Il Papa temeva che,
non avendo abbastanza da vivere, dovessero poi ridursi a mendicare in maniera
penosa.
Quasi tutti gli studiosi evidenziano la discordanza d‟opinione tra Gregorio
IX e santa Chiara. A me fa impressione invece il rispetto del Papa per la libertà
delle sorelle. Pur essendo egli personalmente contrario all‟opportunità di
concedere il privilegio, tuttavia rispetta la scelta più difficile che le sorelle
vogliono operare e concede loro il privilegio richiesto. Ed avrebbe avuto tutta
l‟autorità per non farlo!
Abbiamo certamente due diverse prospettive: più carismatica quella di
Chiara, più istituzionale quella di Gregorio. Chiara era presa dal presente, dalla
bellezza di uno slancio di povertà che le riempiva il cuore. Ed aveva ragione lei,
perché il Regno di Dio appartiene ai poveri.
Il Papa guardava al futuro, ai bisogni concreti che condizionano sempre la
storia degli esseri umani. Bisogna fare i conti, umilmente, anche con le umane
debolezze, perché anch‟esse fanno parte di quella povertà che fa entrare nel
Regno. Forse non aveva tutti i torti neanche il Papa.
La storia ci dice che, fino a pochi decenni fa, la quasi totalità dei
monasteri non ha seguito la Regola di Chiara, ma quella di Urbano IV, proprio
per avere quelle poche proprietà indispensabili che Gregorio aveva loro offerto e
che Chiara aveva rifiutato.
Ancora una volta appare chiaro che la povertà, per un cristiano, può essere
solo uno dei tanti volti che l‟amore sa assumere per somigliare a Cristo.
Di fatto questa differenza di opinioni sulla povertà non ha incrinato la
stima e l‟affetto dei Papi verso santa Chiara. Quello che avvenne alla sua morte
ce lo dimostra. La Leggenda attesta che durante la sua ultima malattia Chiara ha
ricevuto la visita di tanti sacerdoti, del cardinale di Ostia e dello stesso pontefice
Innocenzo IV, dai quali riceve i sacramenti e le più copiose benedizioni.
“Ed ecco, poco tempo dopo, giunge a Perugia la Curia Romana. Avuta la notizia del
suo aggravarsi, il Signore di Ostia si affretta da Perugia a visitare la sposa di Cristo, di
cui era stato per ufficio padre, per sollecitudine come colui che nutre, per affetto
purissimo sempre amico devoto. […]
8
Si affretta il signor papa Innocenzo IV di santa memoria a visitare l‟ancella di Cristo
insieme con i cardinali; e come ne aveva approvata la vita più di quella di ogni altra
donna del nostro tempo, non esita a onorarne la morte con la sua presenza papale” (ivi
40.41).
Chiara visse nella clausura del suo monastero per 42 anni continui, ossia
dal 1211 al 1253. Risulta dalle concordi testimonianze del Processo di
canonizzazione che Chiara non uscì mai da S. Damiano. Su questo argomento si
opera, a volte, una confusione tra le questioni disciplinari e la dimensione
spirituale. È quest‟ultima che fornisce motivazioni e spessore teologico alla vita
in clausura. Nel concreto svolgersi di una vita contemplativa le determinazioni
disciplinari, per quanto importanti, restano sempre secondarie e strumentali.
“Nella prigione di questo minuscolo luogo, la vergine Chiara si rinchiuse per amore
dello Sposo celeste. Qui incarcerò il suo corpo, per tutta la vita che aveva innanzi,
celandosi dalla tempesta del mondo. Ponendo il suo nido, quale argentea colomba,
nelle cavità di questa rupe, generò una schiera di vergini di Cristo, fondò un monastero
santo e diede inizio all‟Ordine delle Povere Donne. Qui frange le zolle delle sue
membra nella via della penitenza, qui semina semi di perfetta giustizia, qui col suo
proprio passo segna la via per le sue future seguaci. In questo angusto eremitaggio per
quarantadue anni spezza l‟alabastro del suo corpo con i flagelli della disciplina, perché
l‟edificio della Chiesa si riempia della fragranza degli unguenti” (ivi 10).
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configurazione ecclesiale e ponendole alle dipendenze dirette della Santa Sede.
Si servì per questo scopo del cardinale Ugolino. Questi realizzò a tal fine tre
legazioni in Toscana e Lombardia, negli anni 1217, 1218-19 e 1221, conoscendo
le nuove comunità e cercando di regolamentarle nel miglior modo possibile.
Secondo la cronologia comunemente accettata, il cardinale Ugolino
incontrò per la prima volta santa Chiara e le sue sorelle solo nel 1220. Passò a S.
Damiano la settimana santa. Dopo la partenza scrisse alle sorelle di S. Damiano
una lettera colma di stima e d‟affetto, affidandosi alle loro preghiere con toni di
un fervore persino esagerato8.
Dunque nei primi importantissimi anni dell‟epopea evangelica
francescana, nella primavera spirituale di S. Damiano, quando Francesco e
Chiara erano liberi da possibili pressioni della Curia romana… Chiara è vissuta
in clausura. Ha visto in faccia per la prima volta il cardinale Ugolino quasi dieci
anni dopo il suo ingresso a S. Damiano. Chiara è stata in clausura, negli anni più
belli della sua giovinezza, non perché costretta da una legge, ma perché sedotta
da un Amore. Risulta veramente forzato affermare che è stato il cardinale
Ugolino ad imporre la clausura a S. Damiano.
8
Lettera del cardinale Ugolino a S. Chiara, in S. CHIARA D‟ASSISI, Scritti e
documenti, Ed. Francescane, Assisi 1994, 387-8. Non sono riuscito a comprendere le
osservazioni di M.P. Alberzoni su questa lettera del cardinale Ugolino. L‟Autrice scrive: “Se
tale scritto […] indubbiamente testimonia la stima di Ugolino per Chiara, è anche innegabile
la presenza in esso di motivi che il cardinale d‟Ostia considerava caratterizzanti la vita
monastica femminile, riguardo ai quali l‟accordo con Chiara non doveva essere totale,
soprattutto circa la rigida e permanente clausura che per Ugolino andava sempre più
configurandosi come la condizione indispensabile per favorire la preghiera assidua” (M.P.
ALBERZONI, Chiara e il Papato, Ed. Biblioteca Francescana, Milano 1995, 43-44. Il testo di
Ugolino è riportato alle pp. 116-117). Ho riletto più volte questa lettera, anche nella versione
pubblicata in EAD., La nascita di un’istituzione. L’Ordine di S. Damiano nel XIII secolo,
CULS, Milano 1996, 156-158. Mi pare che essa non contenga il minimo riferimento esplicito
e nemmeno la più vaga allusione alla clausura. Meno ancora mi sembra che da questa lettera
si possa dedurre quale fosse il pensiero di Chiara sull‟argomento.
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data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata” (RegCh Prol.,4–6).
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Quindi la Chiesa riconosce un carisma e lo conferma. È un discernimento
ecclesiale. Le motivazioni dell‟approvazione della Regola ricalcano
sostanzialmente le parole della forma vivendi scritta da Francesco (cf. ivi VI,2 e
TestCh 33).
Mi sembra dunque che la Chiesa, nell‟approvare la Regola di una donna
che di lì a poco avrebbe proclamata santa, si sia resa conto benissimo di quello
che faceva e abbia riconosciuto la presenza dello Spirito del Signore in quella
esperienza di fede che si stava svolgendo ormai da quarantadue anni.
9
Cf. P. VAN LEEWEN, Clare’s Rule, in Greyfriars Review, 1 (1987), 65-76.
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Convento S. Caterina ad Nativitatem
Bethlehem
P.O.B. 588
91001 JERUSALEM
Israel
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