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"Questo vi dico, fratelli, il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che
hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non
piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come
se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno:
perché passa la scena di questo mondo!" (1Cor 7, 29-31).
1
G. O‟COLLINS, Cristologia. Uno studio biblico, storico e sistematico su Gesù Cristo, Brescia
1997, 86-115.
La vita cristiana si muove, profeticamente e misteriosamente, su questo
orizzonte, che scruta il ritorno di Cristo. A maggior ragione la vita consacrata
diventa partecipazione e segno di valori trascendenti. Inevitabilmente
diventiamo "gente dell'altro mondo"2. “Homo alterius saeculi”, come San
Francesco. Ma Gesù lo ha detto, abbastanza chiaramente, che il suo Regno non
è di questo mondo! Se riducessimo la vita consacrata alle dimensioni e alle
esigenze, pur nobili, di questo mondo, la uccideremmo...
“Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto,
è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono
morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in
questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è
risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1Cor 15,16-20).
2
Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio,
che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso venivano
sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del
suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova
luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la
terra... (1Cel XV,36: FF 383). La traduzione italiana offerta dalle Fonti Francescane è
inefficace ad esprimere la progressiva accelerazione con cui le varie categorie di cristiani si
pongono alla sequela del santo di Assisi:
Currebant viri, currebant et feminae, festinabant clerici, accelerabant religiosi, ut viderent et
audirent sanctum Dei, qui homo alterius saeculi omnibus videbatur. Omnis aetas omnisque
sexus properabat cernere mirabilia, quae noviter Dominus per servum suum operabatur in
mundo. Videbatur certe tempore illo, sive per praesentiam sancti Francisci, sive per famam
quaedam nova lux e caelo missa in terris, fugans universam tenebrarum caliginem, quae paene
totam sie occupaverat regionem... (1Cel XV,36).
3
K. RAHNER, Questioni dogmatiche sulla devozione pasquale, in : Saggi di cristologia e di
mariologia (Roma 1967), 335-358., testo originale in: Scriften zur Theologie, IV, Einsiedeln
1960.
2
domande nuove. Quasi sempre si tratta di domande alle quali la fede e la
teologia della Chiesa hanno sempre risposto in tutti i tempi, inclusi i nostri. Ma
è ineludibile compito dell‟uomo e in particolare del teologo di porsi gli antichi
interrogativi, per capire in maniera nuova e viva le vecchie risposte. I manuali
di dogmatica in uso fino al Concilio Vaticano II infatti non dicevano quasi nulla
sulla risurrezione di Cristo. Offrivano un ampio trattato sul Venerdì santo e
dedicavano solo poche righe al giorno di Pasqua4.
Anche per il francescanesimo c‟è il pericolo - in una lettura affrettata delle fonti
francescane - di ridurre il mistero della Pasqua alla sola croce di Cristo.
4
J. SOLANO, Summa Sacrae Theologiae, dei Patres S.J. Facultatum Theol. in Hispania
Professores, III ed., Madrid 1956, 312, nella sua cristologia di 329 pagine dedica alla
risurrezione di Cristo uno «scolio» di neppure una pagina.
3
1.1.2. Teoria giuridica della soddisfazione. A differenza di S. Tommaso5 e,
per esempio (per il tempo postridentino) di Suarez, la moderna teologia ma-
nualistica ha sganciato tacitamente i singoli misteri della vita di Cristo
(prescindendo dall'incarnazione e dalla morte in croce) dal trattato della
cristologia e li ha affidati unicamente all‟ esegesi e alla meditazione religiosa.
L'ultima radice di questo fenomeno potrebbe vedersi nel fatto che la
teologia occidentale interpretò la redenzione e l'importanza salvifica di Cristo
(al di là della sua funzione come maestro e fondatore di una religione e della
Chiesa) in una teoria della soddisfazione concepita in maniera puramente
giuridica. Si pensò che Dio ci ha donato la salvezza semplicemente perché ha
preteso una satisfactio condigna per la colpa dell'umanità, soddisfazione che si
sarebbe attuata nella morte in croce di Cristo. Tutti gli altri avvenimenti della
vita del Signore possono essere visti solo come presupposti di quest'azione
salvifica concentrata unicamente nella croce. In tale prospettiva l'unico
avvenimento decisivo per la salvezza rimaneva il venerdì santo in quanto tale e
l'oggetto della devozione, dell'amore e della meditazione il solo Signore
crocifisso, l'uomo doloroso. Questa teoria giuridica della soddisfazione infatti
ritiene che:
a) Dio potrebbe stabilire come azione redentiva, come prezzo del riscatto, “una
qualsiasi azione soddisfattoria dell'Uomo-Dio, solo che essa fosse dignificata
dalla dignità della persona operante
b) Dio ha scelto esattamente a tale scopo la morte in croce di Cristo.
La Pasqua di conseguenza interesserebbe soltanto il destino privato di Gesù, e
non avrebbe più una vera e propria funzione redentiva 6.
5
S. TOMMASO, S.Th. III, q. 27 ss. : “Acta et passa Christi”.
6
K. RAHNER, Questioni dogmatiche sulla devozione pasquale, 340.
4
Di conseguenza è pure naturale che gran parte della teologia occidentale
dichiari l'incarnazione del Logos come progettata da Dio soltanto per
l‟estinzione del peccato7.
Diversamente le cose sono andate in Oriente. Già nel V e VI secolo
mentre l'Occidente aveva una sensibilità giuridica e moralistica, in Oriente la
redenzione fu sentita piuttosto come un processo ontologico-reale che inizia
nell'incarnazione, finisce nella divinizzazione del mondo (e non tanto nella
remissione della colpa) e si mostra vittorioso per la prima volta nella
risurrezione di Cristo (e non tanto nell'espiazione della colpa sulla croce).
“Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il
vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre
Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne,
costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la
risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore” ( Rm 1,1-4).
7
Ed è altrettanto comprensibile che la teologia occidentale si trovi tuttavia in imbarazzo, quan-
do deve rispondere alla domanda, che funzione abbia tuttora il Signore risorto ed esaltato. La
sua beatitudine in cielo nella sua umanità sembra implicare soltanto la sua felicità personale.
La dottrina tomista di una costante e « fisica » funzione mediatrice di grazia dell'umanità di
Cristo dopo la sua risurrezione ed esaltazione è rimasta sempre così contestata e confusa, che
da essa non poté uscire un influsso capace di plasmare veramente l'esistenza cristiana e la sua
religiosità. Nella speculazione teologica la beatitudine del singolo venne talmente sviluppata
partendo dal concetto della visione diretta di Dio (nulla mediante creatura in ratione obiecti
visi se habente:Benedictus Deus DS 1000), nella quale non sembrava esserci posto neppure
per l'umanità di Cristo, che anche da ciò si trovò difficoltà a riconoscere una imperitura
funzione salvifica al Signore trasfigurato, mentre la imperitura intercessione del Cristo risorto
(cfr. Gv 14,2 s; 14,16; 16,7; Rm 8,34; Eb 7,25; 9,24; I Gv 2,1) sembrò quasi essere, assieme
alla beatitudine della relazione con lui nella sua umanità, una specie di antropomorfismo (K.
RAHNER Questioni dogmatiche sulla devozione pasquale,341-42).
8
F. XAVIER DURRWELL, La risurrezione di Gesù, mistero di salvezza, Roma 1993, (versione
della nuova edizione francese del 1976).
5
“Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il
vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della
giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi,
colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per
mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,9-11).
6
Il mistero personale, filiale di Gesù, quello dell'incarnazione, si afferma
in pienezza attraverso la morte e la vita nuova. La redenzione si realizza
nell'uomo Gesù come trasformazione della sua «carne di peccato» in «corpo
spirituale»: è la piena realizzazione del suo essere filiale. Incarnazione, vita di
kenosi e morte in croce come suprema manifestazione dell'incarnazione, sono
allora viste come espressione dell‟unico mistero filiale di Cristo portato a
compimento nella risurrezione. Nella sua vita, culminante nella morte, Gesù
liberamente consente, a lasciarsi generare Figlio da Dio. Con la risurrezione,
l'incarnazione giunge a pienezza come generazione del Figlio incarnato
all'eterna relazione divina col Padre. Come afferma efficacemente il Durrwell:
«Nella sua pasqua, Cristo è egli stesso il mistero della salvezza».
7
pienezza finale e che quindi non può avere un dopo: cosa si può aggiungere alla
pienezza? Gesù risorto dunque non vive dopo la sua risurrezione come se si
trattasse di un evento passato; egli vive permanentemente in quello scaturire di
pienezza di vita che è appunto la sua risurrezione, in quella sua perenne nascita
alla vita divina nella quale il Padre genera il Figlio9.
D'altra parte, questa sua esaltazione che lo porta nel Seno del Padre non
lo allontana dal mondo degli uomini. Tolto alla visibilità dei nostri occhi di
carne, il Risorto è posto al centro del mondo e al suo culmine, come dimensione
finale di questo stesso mondo. Egli è, nella sua risurrezione, «Colui che viene»:
è la dimensione parusiaca della risurrezione. Quelli che comunemente vengono
chiamati «mezzi» o «canali della salvezza» - l'apostolato, la Chiesa, i
sacramenti, in particolare l'Eucaristia - sono la manifestazione «spazio-
temporale» di questa sua venuta parusiaca. Per mezzo di essi il credente è
inserito nell'evento pasquale, nella comunione alla morte e alla risurrezione di
Gesù, in quel momento nel quale Gesù, apertosi totalmente all'azione
divinizzante del Padre nello Spirito, viene glorificato. Entrato in comunione con
Cristo, il credente è sottomesso, assieme a Gesù, a quell'unica azione divina
nella quale il Padre risuscita suo Figlio.
9
K. RAHNER, Questioni dogmatiche sulla devozione pasquale, 348-49. Se le cose stanno così
bisogna ammettere una costante funzione mediatrice dell'Uomo-Dio. Il Signore risorto ed
esaltato è il costante e sempre efficace accesso a Dio. La Pasqua può essere allora concepita
come il compimento del mondo proteso verso quel Dio che diviene realmente tutto in tutto
attraverso l'evento di Pasqua. Si tratta di qualcosa che è già iniziato, ma che in noi si sta
ancora compiendo.
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“E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma facciano
attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del
Signore e la sua santa operazione” (Rbu X,8: FF 104).
“Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio.
Perciò non può essere visto che nello spirito, poiché è lo spirito che dà la vita; la carne
non giova a nulla. Ma anche il Figlio, in ciò per cui è uguale al Padre, non può essere
visto da alcuno in maniera diversa dal Padre e in maniera diversa dallo Spirito
Santo.Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro
né credettero, secondo lo spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono
condannati. E così ora tutti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per
mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie
del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo spirito e la divinità, che è
veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro ...Per cui lo Spirito del
Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e il sangue del
Signore...” (Amm I, 5-12: FF 141-143).
“... riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli ne farà sua abitazione e dimora.
E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, sono sposi, fratelli e madri del
Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando l'anima fedele si congiunge a Gesù
Cristo per l'azione dello Spirito Santo…” (2EpFid 48-51: FF 200).
“Come l'intera esistenza cristiana, anche la chiamata alla vita consacrata è in intima
relazione con l'opera dello Spirito Santo. È Lui che, lungo i millenni, attrae sempre
nuove persone a percepire il fascino di una scelta tanto impegnativa. Sotto la sua
azione esse rivivono, in qualche modo, l'esperienza del profeta Geremia: « Mi hai se-
dotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre »(20, 7). È lo Spirito che suscita il
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desiderio di una risposta piena; è Lui che guida la crescita di tale desiderio, portando a
maturazione la risposta positiva e sostenendone poi la fedele esecuzione; è Lui che
forma e plasma l'animo dei chiamati, confígurandoli a Cristo casto, povero e
obbediente e spingendoli a far propria la sua missione. Lasciandosi guidare dallo
Spirito in un incessante cammino di purificazione, essi diventano, giorno dopo giorno,
persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore
risorto” 10.
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GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, del 25 marzo
1996, n. 19.
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