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IL MONDO DELLARCHEOLOGIA

ISTITUTO DELLA

ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI

ROMA


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LARCHEOLOGIA DELLE PRATICHE CULTUALI, GLI OGGETTI DEL CULTO E I MATERIALI VOTIVI

sono documentati molti casi di dediche di statue onorarie in marmo consacrate alla divinit e poste nei santuari. Infine, una forma di offerta votiva deve essere considerata anche la dedica di edifici sacri fatta dai magistrati rite nuncupatio, ovvero ad alta voce dinanzi a testimoni. Cos Livio ricorda i voti fatti da A. Claudius Caecus per il tempio di Bellona nel 296 a.C. (X, 19, 17) e da M. Atilius Regulus per il tempio di Giove Statore nel 294 a.C. (X, 36, 11). Lofferta alla divinit di una dimora (aedes publica) era certamente tra i doni pi impegnativi, anche se frequentemente realizzati con il denaro ricavato dal bottino di guerra e con il tacito consenso del senato e del popolo.
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Nadia Agnoli

PERIODO TARDOANTICO E MEDIEVALE E MONDO BIZANTINO I LUOGHI, GLI OGGETTI DEL CULTO E I MATERIALI VOTIVI La definizione di una disciplina specifica, larcheologia cristiana, attesta limportanza della ricerca archeologica relativa alle pratiche cultuali inerenti tale religione, a partire dal periodo tardoantico. Il passaggio al cristianesimo avvenne in modo graduale e non omogeneo cronologicamente: infatti, mentre la prima cattedrale cristiana veniva istituita a Roma da Costantino gi nella prima met del IV secolo, il Nord Africa nel periodo iniziale dellet paleocristiana presentava unorganizzazione ecclesiastica facente capo a personaggi di primaria importanza, a cominciare da s. Agostino, e contemporaneamente il monachesimo orientale si era strutturato sia a livello cultuale che topografico; ancora allinizio del VII secolo Gregorio Magno si preoccupava di organizzare un piano di evangelizzazione delle Isole Britanniche ed esortava i vescovi sardi alla diffusione delle corrette pratiche cultuali cristiane

482 Ritratti di et imperiale dipinti su vetro successivamente inseriti nella Croce di Desiderio (VIII sec. d.C.). Brescia, Civico Museo.

nella Barbagia. In alcune zone, quindi, soprattutto dellEuropa settentrionale e nei territori marginali delle aree urbane, a lungo proseguirono pratiche religiose precristiane, secondo modalit e dinamiche tipiche dei periodi precedenti. Per quanto attiene allanalisi delle tracce materiali della religione cristiana, con il passare del tempo al desiderio di ricerca dei segni della vita terrena del Cristo e dei suoi apostoli, individuabile gi nella raccolta delle reliquie della croce da parte di Elena, madre di Costantino, nella prima met del IV secolo, si andato applicando, in special modo nel corso del XX secolo, il metodo scientifico della ricerca archeologica. Lanalisi storica priva di intenti apologetici ha consentito di cogliere con sempre maggiore chiarezza la portata dellevento cristiano nella societ tardoromana e le tracce materiali che ne sono conseguite a livello topografico, architettonico, decorativo, cos che si giunti alla definizione di uno spazio cristiano dotato di proprie percorrenze nellambito del circuito urbano e allinterno degli stessi edifici di culto. Parallelamente, le indagini archeologiche, finalizzate in prima istanza al recupero degli edifici di culto e delle sepolture martiriali, sono ormai volte alla riconnessione territoriale delle testimonianze materiali dei culti, alla comprensione delle aggregazioni di strutture funzionali alle pratiche rituali e di accoglienza, secondo modalit estremamente duttili e pertanto diversificate a seconda delle aree e dei riferimenti cronologici. Sono ormai abbastanza chiari gli schemi dinserimento degli edifici cristiani nella topografia urbana, si vanno precisando le dinamiche, pi varie e complesse, della cristianizzazione del territorio rurale, sono state definite le linee guida per lanalisi comparata dei complessi episcopali e dei centri martiriali, sia sul piano territoriale che su quello dellorganizzazione spaziale ed architettonica, cos che lanalisi dei manufatti restituiti dalla ricerca archeologica o trditi dal prosieguo della pratica religiosa pu inserirsi in un contesto storico e topografico, gi definito nellanalisi dellarchitettura religiosa e funeraria. Loggetto del culto cristiano pi diffuso la croce, segno della morte e soprattutto della sua sconfitta da parte di Cristo: per questo nei primi secoli del cristianesimo le rappresentazioni (per lo pi su sarcofagi, in particolare su quelli detti di passione) prediligono la crux invicta, inserita in un ambiente paradisiaco, segno di vittoria. Questo tema iconografico si ritrova nelle decorazioni musive dei catini absidali e solo suc-

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cessivamente si convertir nel segno della passione, il Cristo crocifisso. Il suo sviluppo iconografico e quindi cultuale avvenne attorno al III secolo e venne incrementato dalla festa dellexaltatio crucis, canonizzata nel 335. Oltre al suo significato simbolico, non secondaria anche la scelta del materiale nel quale la croce realizzata: il legno in primo luogo, allusivo allalbero della vita, seguito quindi da metallo e pietra, nella diffusione di un elemento cultuale che nellAlto Medioevo finisce con il rappresentare il segno pi espressivo del cristianesimo, tanto che proprio in questepoca si diffondono in modo massiccio i manufatti che ne riprendono la forma (reliquiari, croci votive, ecc.). La croce stata ovviamente ben presente nella liturgia cristiana fin dalle origini, con impiego differenziato, che prevedeva sia un suo uso stabile, come segno di venerazione e insieme arredo della chiesa, sia un uso processionale. La forma della base consente di intuire che molte croci rinvenute nel corso di scavi archeologici o tesaurizzate nel tempo erano in realt astili, prevedevano cio un supporto per poter essere innalzate su unasta. Poich la diffusione di questo primo e pi pregnante simbolo cristiano non ha avuto limiti di tempo, la datazione ricavabile dal contesto di scavo, oppure da eventuali motivi decorativi, o ancora dalla forma stessa della croce. Secondo la dottrina cristiana, i personaggi venerati (quali santi e martiri) non sono in realt oggetto di un culto proprio, ma svolgono il ruolo di advocati presso la corte celeste. La stessa Vergine ebbe un culto proprio solo a partire dal Concilio di Efeso (431), che dogmatizz il suo ruolo di Madre di Dio; le sue rappresentazioni anteriori (a cominciare dalla pi famosa, lAdorazione dei Magi nella catacomba di Priscilla a Roma) vengono infatti considerate cristologiche e non mariane. Ci non toglie che immagini di personaggi venerati, in primo luogo degli apostoli, fossero poi oggetto di devozione e di culto, soprattutto dal V secolo, bench nelle fonti patristiche si noti lattenzione a che tali pratiche non sfociassero nellidolatria e casi di iconoclastia siano noti anche prima che questo fenomeno assumesse le dimensioni volute da Leone III Isaurico (717-741). Rappresentazioni iconiche e simboliche (il cristogramma poteva essere utilizzato alternativamente alla figura di Cristo) ornavano manufatti, strutture architettoniche religiose e, soprattutto nellOriente bizantino, i monumenti pubblici, come anche le strutture private; persino gli eventi bellici erano sovente posti sotto le insegne cristologiche (a cominciare dalla vittoria di Costantino su Massenzio nel 313) o mariane (come nel caso dellicona che nella prima met del VII sec. limperatore Eraclio aveva fatto apporre sugli alberi delle navi), anche se non si conoscono al momento manufatti anteriori al VI secolo. Ancora in epoca tardoantica prosegu in alcune forme il culto dellimmagine imperiale, se nel VI secolo le fonti ricordano il lauraton di Costantino I che veniva portato in processione (Giovanni Malala, Chronographia). Di origine orientale, ma diffuse anche in Occidente, sono le immagini di Cristo e della Vergine dette acherotipe (non fatte da mano umana), oggetti di culto contrapposti agli idoli. Tali icone venivano portate in battaglia (come nel caso del mandilio di Kamuliana, recato come palladium imperiale contro i Persiani da Maurizio nel 586 e da Eraclio nel 622; ancora nel XVI sec. Ivan il Terribile occup la citt di Kashan protetto da unicona), recate in processione (come fece il pontefice Stefano II alla met dellVIII sec. con unicona del Cristo Pantocratore che si conservava nel Sancta Sanctorum del Laterano, per proteggere Roma dalla minaccia longobarda di Astolfo), simbolicamente utilizzate nella lotta iconoclasta (il patriarca Germano I allinizio dellVIII sec. affid al mare unimmagine cristologica affinch si salvasse, icona che secondo la tradizione sarebbe approdata a Roma).

Il simbolismo della luce nella liturgia cristiana, che trova la massima espressione nella celebrazione della Pasqua, comporta il fatto che siano considerati oggetti liturgici a tutti gli effetti anche gli apparati per lilluminazione delle chiese, costituiti soprattutto da lampade e da lampadari metallici con lampade vitree. La loro stessa forma racchiude una spiccata simbologia, con allusioni allimmortalit dellanima (pavoni), alla Chiesa (la nave guidata da Pietro e da Paolo; il piede, in riferimento al Salmo 119, 25), a temi genericamente salvifici (Mos che batte la rupe), che ricorrono soprattutto nelle lucerne bronzee, create in analogia con la coeva produzione fittile, dalla quale si differenziano per ricchezza e complessit dei motivi decorativi e che paiono essere ben diffuse ancora nel VI secolo. La tipologia delle lampade nota per la Tarda Antichit e lAlto Medioevo grazie a fonti scritte, tra le quali spicca il Liber Pontificalis della Chiesa di Roma, che le riporta tra i donativi dei pontefici alle varie chiese. Notizie di confronto vengono anche da fonti iconografiche, oltre che da una serie di fortunati riscontri archeologici. La gerarchia di illuminazione delle aule di culto risponde al rilievo liturgico dato alla zona presbiteriale ed in particolar modo allaltare. Proprio in gremio basilicae, cio nel presbiterio, erano poste le coronae di bronzo, argento o addirittura doro, di forma circolare, sospese in alto ed alimentate solitamente ad olio; alcune avevano fattura particolarmente elaborata, come ad esempio un lampadario a forma di basilica di provenienza africana, datato al V secolo (Ermitage, San Pietroburgo). Nella stessa area venivano collocati i candelabra, dapprima posti accanto allaltare, a terra su un supporto, successivamente sulla stessa mensa. Nella navata centrale trovavano posto i cereostata, ceri in metallo di ambito soprattutto romano e ravennate, mentre le navate laterali erano illuminate soprattutto dai phara canthara, generalmente bronzei e costituiti da lampade a olio o a cera raggruppate, di fattura pi semplice.

483 Missorium di Teodosio (fine del IV sec. d.C.). Madrid, Academia de la Historia.

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LARCHEOLOGIA DELLE PRATICHE CULTUALI, GLI OGGETTI DEL CULTO E I MATERIALI VOTIVI

Diffusi in area bizantina sono i polykandela con base circolare, quadrangolare o cruciforme, decorazione traforata a giorno e talvolta con una coppa centrale, alimentati a fiale di olio, che andavano posti nella navata centrale, mentre nelle navate laterali si trovavano lampade singole e candelabri illuminavano angoli particolari, quali i cibori, le recinzioni presbiteriali, ecc. Esemplari di polykandela del VI secolo sono noti grazie al tesoro di Sion, che ne comprende 12 in argento: presentano motivi decorativi fitomorfi e zoomorfi (delfini), oltre ad uniscrizione votiva del vescovo Eutichiano. A partire dal IX secolo, le fonti e i reperti archeologici attestano una predilezione per le lampade isolate, alimentate ad olio o con supporti per i ceri, costituite da una coppa di vetro, cristallo di rocca o metallo, sospesa mediante catenelle. Questo tipo di lampada, diffusa sin dallepoca paleocristiana e soprattutto nel periodo altomedievale, poteva avere forma diversa e sovente era corredata da un piatto leggermente concavo, destinato a raccogliere le scorie di combustione. Esemplari di questo tipo, diffuso per la sua duttilit funzionale sia in Occidente che in Oriente, sono conservati in vari musei (Berlino, Edimburgo, Antalya, ecc.) e alla loro tipologia va probabilmente ricondotto anche il cosiddetto calice di Antiochia, a testimonianza della diffusione di forme e di motivi decorativi, soprattutto nelle argenterie e pi genericamente nei manufatti in metallo. Alle lampade isolate va con ogni probabilit ricondotta la gabatha, che talora riutilizzava piatti antichi, nota solo da fonti scritte e molto diffusa in Occidente. Un gruppo di lampade, realizzate anche nel prezioso cristallo di rocca e cronologicamente inquadrabili a partire dal IV secolo per quanto attiene alle ciotole e alle coppe che le compongono, poi montate in questa funzione tra X e XI secolo, confluito nel cosiddetto Tesoro di S. Marco a Venezia. Ben pi tarde, genericamente datate dal XV secolo, sono le attestazioni di lampade processionali ( phanaria), destinate allesterno, per lilluminazione di ampi spazi, con una forma polilobata che si voluta riconoscere nellincensiere a cinque cupole del Tesoro di S. Marco. Conobbe evoluzioni successive anche il lampadario a corona, che sotto forma di cerchio di luci si diffuse a partire dallepoca carolingia nellEuropa continentale e che appare ben attestato ancora nel XIV secolo. A questa tipologia va ricondotto il lampadario del duomo di Hildesheim, dono del vescovo Hezilo nella seconda met dellXI secolo e rappresentante presumibilmente la Gerusalemme celeste, una cinta muraria con 12 porte e 12 torri con apostoli e profeti, che recava supporti per 72 lampade; allo stesso tema iconografico si rif il lampadario voluto da Federico I per il duomo di Aquisgrana nel 1165. Unulteriore evoluzione si ha a partire dal XIV secolo, con linserzione dei bracci porta-

lampade, ma per la conoscenza di questi manufatti pienamente medievali la ricerca archeologica non ha apportato alcun contributo.

Dovevano far parte dellarredamento liturgico anche drappi di stoffa appesi tra le colonne delle chiese, ben noti ad esempio dai donativi papali riportati nel Liber Pontificalis romano. Anche a tale proposito, questa fonte testuale si rivela di fondamentale importanza nella ricerca archeologica, visto che talvolta la quantit di vela costituisce un elemento importante per stabilire il numero degli intercolumni e quindi le dimensioni della basilica oggetto della munificenza. Simili arredi erano comuni anche nelle abitazioni auliche coeve (come emerge nei mosaici di S. Vitale a Ravenna), per cui non agevole stabilire la destinazione di resti di tessuti a carattere cristiano, i pi famosi dei quali sono di fabbrica egiziana. Alcuni dovevano essere appesi nelliconostasi (ad es., il velo del Museo di Berlino) oppure lungo le pareti, a foderarne le zoccolature (ad es. i tessuti dellErmitage e del Museo Sacro Vaticano), in analogia con i vela dipinti che restano ancora in alcune chiese (da S. Maria Antiqua a Roma, alle cappelle di Bawit, in Egitto, alla cripta della cattedrale di Anagni). Per quanto riguarda le strutture finalizzate ai riti, il punto focale laltare, ricordo dellUltima Cena e luogo della celebrazione del sacrificio di Cristo, santificato dalle reliquie che vengono poste immediatamente sotto di esso e, nel caso delle basiliche martiriali, costituite da una sepoltura venerata. Oltre allaltare principale, esistevano le mense per la deposizione delle offerte o per la preparazione del pane eucaristico; inoltre in Occidente la diffusione della regola monastica benedettina e la pratica delle messe private ne comportarono la moltiplicazione per uso liturgico. A ci si aggiunge il fatto che mentre in Oriente la santificazione del supporto avveniva grazie ad un telo consacrato contenente le reliquie (antimesion), in Occidente era necessaria la presenza di un supporto rigido consacrato, generalmente di pietra, sul quale poggiare almeno il calice e la patena. Dal punto di vista formale, sin dallet paleocristiana si diffusero altari di varie fogge, non dissimili dalle coeve mense profane, cos che talvolta lapparato decorativo, o in alternativa il luogo di rinvenimento, a costituire il discrimine tra le due funzioni. In genere, erano invece litici il seggio vescovile anche se conosciamo esemplari di pregio, foderati di osso, come nel caso della celebre cattedra del vescovo Massimiano (546-556) a Ravenna ed il rivestimento dellambone, luogo deputato alla lettura delle Scritture.
La tipologia pi diffusa costituita dallaltare a mensa, una lastra sorretta da quattro supporti angolari o da uno centrale; il piano poteva essere rettangolare oppure, pi di frequente in Oriente, a ferro di cavallo, in questo caso con unadeguata moltiplicazione dei supporti. Le reliquie erano generalmente poste in una teca al di sotto del pavimento, in corrispondenza del centro della mensa. In qualche caso, la funzione eucaristica del manufatto esplicitata dallapparato decorativo, ad esempio in esemplari iberici che recano 12 incavi e la rappresentazione di pani, palese allusione al consesso apostolico. Un altro tipo di altare ben noto gi in epoca paleocristiana quello detto a blocco, nel caso in cui il supporto contenente le reliquie, monolite o in muratura, sosteneva il piano. Meno diffusi e pi tardi sono i tipi a cofano e a sarcofago, costituiti cio da contenitori di varia foggia che ospitavano le reliquie, oltre ad una serie di tipi di minore attestazione. La prassi della santificazione mediante reliquie, comune in Occidente, nellOriente bizantino presenta una diffusione meno omogenea, tanto che in Siria le reliquie trovano generalmente posto in uno dei pastofori, nella separazione quindi tra culto martiriale e liturgia eucaristica. Laltare poteva essere realizzato in vari materiali, dal legno nel caso dei manufatti mobili, alla muratura, alla pietra piena, per lo pi pregiata, ai metalli preziosi, diffusi soprattutto nel pieno Medioevo. Nelle basiliche paleocristiane era posto in genere al centro del presbiterio e prevedeva che il celebrante fosse volto verso i fedeli, con qualche eccezione (in area siriaca molto vicino allabside ed il celebrante volge le

484 Croce di Giustino II (seconda met del VI sec. d.C.). Citt del Vaticano, Tesoro di S. Pietro.

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spalle ai fedeli, in Illirico e Norico spinto in avanti nella navata), mentre con il variare degli impianti religiosi muter collocazione, pur costituendo sempre il punto focale dellintero edificio religioso. Era spesso coperto da un ciborio, un baldacchino a pianta quadrata, sorretto da quattro colonne, che poteva essere realizzato in pietra o in metallo prezioso. Esemplari metallici, prevalentemente dargento, sono conosciuti dalle fonti, in primo luogo dai donativi papali del Liber Pontificalis, e non ci sono pervenuti proprio in ragione del loro valore, mentre esistono esempi di cibori altomedievali in materiale litoide con decorazione scolpita noti da scavi archeologici, a cominciare da quello rinvenuto smontato ed accatastato nel corso delle indagini nella basilica di S. Ippolito allIsola Sacra, presso Ostia. Luso di un baldacchino, nato per enfatizzare la posizione dellaltare e per sostenere i veli che venivano tirati al momento della consacrazione, trov fortuna nel pieno Medioevo, cos che in alcune chiese ne sono conservati pregevoli esemplari (ad es., quello di Arnolfo di Cambio in S. Cecilia a Roma). Gli altari erano coperti da tovaglie, spesso in tessuti di pregio, con la tendenza, a partire dallVIII secolo, a pi teli sovrapposti. Le fonti a cominciare dal Liber Pontificalis romano e da quello di Ravenna riportano i donativi di tovaglie daltare, paramenti sacri e rivestimenti parietali di tessuti preziosi, ornati di perle e gemme, intessuti con fili policromi e dorati, talvolta con temi iconografici cristologici.

La presenza di vasellame liturgico nella celebrazione del rito cristiano, oltre ad essere nota dai ritrovamenti archeologici, trova identificazione in alcune rappresentazioni iconografiche: ad esempio, i mosaici di S. Vitale a Ravenna mostrano laltare dei sacrifici di Abele e Melchisedek apparecchiato con una brocca e due patene metalliche. Dalla stessa raffigurazione possibile cogliere la semplice mensa daltare sostenuta da colonnine marmoree e ricoperta da drappi decorati. I vasi sacri fondamentali per la liturgia sono il calice e la patena, per la consacrazione delle due specie eucaristiche, cui erano annessi utensili funzionali alla preparazione (stampi, coltelli, colatoi, pinze, ecc.) e alla distribuzione (cucchiai, piattini, fistule per sorbire il vino, ecc.), visto che almeno fino al XIII secolo prevista la comunione sotto le due specie per tutti i fedeli. Dalla Siria proviene una serie di vasi liturgici di metallo, soprattutto dargento, con decorazione a sbalzo, costituita sia da forme chiuse, quali la celebre brocca di Homs (Museo del Louvre), sia da forme aperte, ad esempio patene eucaristiche con decorazioni fortemente allusive, come quelle da Stuma e da Riha rappresentanti la comunione degli apostoli ad opera di Cristo (Museo di Istanbul, Dumbarton Oaks Collection).
Per quanto noto, alcuni utensili potevano avere molteplicit di funzione, come la patena usata per contenere il pane non consacrato, per la consacrazione e per la distribuzione delle particole ( patenae ministeriales). La genericit del termine ne determina anche il riferimento a riti diversi, quali il battesimo nel caso della patena chrismalis, destinata quindi a contenere il crisma. Si tratta di un recipiente variabile dal punto di vista formale, comunque circolare, pi o meno concavo e decorato, conservatosi in molti esemplari e noto archeologicamente nel corredo di alcuni tesori (ad es., quello di Galognano). Accessorio della patena, di origine orientale e in Occidente praticamente limitato alluso papale, era lasterisco aureo, corona con dodici punte posta sulla patena per evitare il contatto del pane eucaristico con il sovrastante telo di copertura. Alla raccolta del pane erano comunque destinati specifici recipienti, detti offertoria, in uso almeno fino al XII secolo, quando si diffuse in modo ampio la consuetudine delle ostie azzime. Prima di tale data alla raccolta dei pani era legata la necessit di dividerli in piccole porzioni, ricorrendo ai coltelli eucaristici, sovente a forma di lancia, diffusi nella Chiesa orientale e trasposti in Occidente quasi esclusivamente nelle realt monastiche o nelle zone di forte influsso bizantino. Si devono soprattutto a ricerche in area greco-bizantina (Corinto, Sarahane ad Istanbul, Egina) i ritrovamenti di stampi liturgici, pi sporadicamente noti in Occidente (in Italia soprattutto nellarea del Salento), finalizzati alla fattura di piccoli pani. Quelli del Salento sono cronologicamente inquadrabili tra IX e XI secolo e sono realizzati in terracotta, di forma circolare, con un incavo per il manico in altro materiale; la decorazione realizzata ovviamente in negativo, spesso con motivi triangolari presumibilmente allusivi alla Trinit. Provengono dalla Siria esemplari di VI-VII secolo con decorazioni articolate e di

pregnante significato salvifico, ad esempio i due cervi ai lati dellalbero della vita inseriti in un ambiente paradisiaco. A seguito della diffusione del pane azzimo per leucarestia, mutarono i tipi di stampi, fino ai tipi bivalvi del XIII secolo, con lunghi manici per la presa durante la cottura. In qualche caso, le indagini archeologiche hanno consentito di rinvenire alcuni oggetti liturgici in stretta connessione funzionale con le strutture dei riti. Ad esempio, nel corso dello scavo della chiesa bizantina (X-XI sec.) della localit Quattro Macine (Lecce) sono stati rinvenuti nei pressi della mensa laterale (o tavola delle offerte), posta a sinistra dellaltare principale, una prophora (lancia di ferro per tagliare il pane eucaristico), un cucchiaio di ferro ed uno di peltro, presumibilmente per servire i bocconi di pane, in linea con la liturgia di s. Giovanni Crisostomo che prevedeva la preparazione del pane, dellacqua e del vino su una mensa laterale, dalla quale poi venivano portati allaltare. Meno noti sono i manufatti destinati alla distribuzione delleucarestia, quali le pinze in uso nel pieno Medioevo prevalentemente nella liturgia pontificale e la scutella, un piatto usato per raccogliere eventuali frammenti di pane al momento della sua distribuzione, talora sostituito da un telo teso davanti ai fedeli. Il vasellame liturgico ed i libri sacri al termine delle celebrazioni erano riposti in un armadio o in una nicchia ricavata nel presbiterio o in uno dei pastofori, con modalit architettoniche note per le basiliche paleocristiane e altomedievali. Bench gi dal VII secolo sia accertata la presenza di contenitori per leucarestia in occasioni particolari, ad esempio nel corso della Settimana Santa, solo a partire dalla fine dellXI, e con pi certezza nel corso del XII secolo, attestato dalle fonti scritte luso di un luogo specifico in cui riporre la pisside contenente le particole consacrate. Un prototipo di tali tabernacoli si voluto vedere nelledicola collocata nellabside del Tempietto del Clitunno, la cui cronologia per discussa nellambito di un ampio arco di tempo, tra V e XII secolo. Lobbedienza alle prescrizioni del IV Concilio Lateranense (1215) comport la definizione di un luogo inaccessibile, chiuso e custodito, presto individuato sopra il retro dellaltare. Solo a partire dal pieno Medioevo (XII-XIII sec.) si diffuse la consuetudine di esporre il SS. Sacramento, con la coeva diffusione di ostensori, per i quali la ricerca archeologica non fornisce alcun elemento utile. Per la conservazione delle ostie non consacrate si diffusero, a partire dal XII secolo, scatole di varia foggia, in genere di forma cilindrica, per ospitare le nuove ostie azzime. Per quanto riguarda il vino, questo veniva conservato in sacrestia in recipienti spesso vitrei e recato sullaltare in piccole ampolle, quindi filtrato mediante colatoi, sorta di cucchiai forati. Sin dalle origini invalse luso di aggiungervi prima della consacrazione acqua in piccole quantit di solito poche gocce che venivano mescolate con appositi cucchiai, di varie fogge e dimensioni, in argento talora dorato e solo eccezionalmente in oro, pervenutici in vari tesori (Isola Rizza, Canoscio, Desana) anche per la loro duplicit duso, ecclesiastica e profana. Il calice era generalmente in materiale prezioso: un esempio costituito dal vaso Kushakji, rinvenuto in Siria ed oggi al Metropolitan Museum di New York, di modesto livello artistico ma noto anche perch in passato interpretato in vari modi, compreso il calice dellUltima Cena. Esemplari di calici in vetro sono sempre di produzione orientale: palestinese un esemplare con scene del Santo Sepolcro, mentre di provenienza tunisina un altro con s. Pietro e s. Giovanni rappresentati come pescatori. La prassi di non gettare in comuni discariche il vasellame di uso liturgico, ma di creare apposite fosse allinterno della chiesa (ad es., sotto la vasca battesimale nella chiesa dei Ss. Giovanni e Reparata a Lucca) o negli ambienti annessi (ad es., nel duomo di Colonia) ha consentito il rinvenimento di molti manufatti, soprattutto vitrei. I risultati delle indagini archeologiche sono a questo proposito particolarmente importanti perch, tranne che per le ampolline dichiaratamente liturgiche, gli oggetti utilizzati durante la celebrazione eucaristica non si differenziano molto, a livello formale, dai recipienti di uso quotidiano, domestico o cosmetico. Non conosciamo le dotazioni di vasellame vitreo ecclesiastico nel periodo paleocristiano e altomedievale, deducibili solo da fonti iconografiche che consentono di visualizzare le citazioni documentarie e che confermano ancora una volta lequivalenza formale con i tipi profani. In realt, a parte qualche accenno nellXI secolo, solo a partire dalla fine del XII attestato luso di recipienti separati ma analoghi per fattura per lacqua e per il vino, in genere ampolline, che insieme agli altri vasi liturgici il sinodo di Wrzburg (1298) disciplina quanto ai materiali: vetro, peltro, oro, argento, cristallo di rocca, nella predilezione quindi verso materie di pregio, sia per i recipienti consacrati che per quelli di sacrestia.

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LARCHEOLOGIA DELLE PRATICHE CULTUALI, GLI OGGETTI DEL CULTO E I MATERIALI VOTIVI

Manufatti considerati liturgici solo per estensione di significato, in quanto utilizzati nel corso dei riti sacri, erano i flabelli, ventagli destinati ad allontanare gli insetti e a mitigare il caldo, per foggia e dimensioni analoghi a quelli destinati ad uso profano. Scarse informazioni si hanno infine riguardo ai recipienti utilizzati per il rito del battesimo, che oltre alla vasca battesimale prevedeva luso di coppe per laspersione e di contenitori di piccole dimensioni per gli oli crismali. La mancata normalizzazione ecclesiastica comport il variare di modelli, poco standardizzati e quindi scarsamente caratterizzati. Tra le dotazioni di vasellame funzionale ai riti sono compresi manufatti diffusi sia in ambito domestico che liturgico, quali candelieri, versatoi, acquamanili, recipienti di varie fogge, cos che il luogo di rinvenimento costituisce spesso un discrimine per la loro interpretazione funzionale. Allo stesso modo, alcuni tesori dargento sono composti da vasellame decorato con simboli religiosi, cos che talvolta sono stati interpretati come dotazioni liturgiche. questo il caso, ad esempio, del tesoro di Canoscio, prodotto di oreficeria bizantina dellinizio del VI secolo, che la presenza di cristogrammi e soprattutto di uniscrizione mutila con dedica ad Agapito martire ha fatto ricondurre ad un tesoro ecclesiastico. La stretta connessione tra liturgia e culto martiriale appare evidente nella collocazione stessa degli edifici di culto, nella disposizione dellaltare e nelle modalit della sua santificazione, cos che il ruolo delle reliquie emerge, gi nella Chiesa delle origini, in primo piano. Nel mondo cristiano le reliquie potevano essere dirette, cio consistere nelle spoglie dei personaggi venerati, oppure indirette, e quindi essere rappresentate da oggetti non degni di venerazione di per s, ma in virt del loro collegamento con luoghi o corpi santi. Ovviamente, questa seconda categoria rappresentava la maggior parte delle reliquie, ma il loro valore secondario, la loro deperibilit ed il loro possesso generalmente in mano privata hanno fatto s che ce ne siano pervenute in minor numero. Le spoglie dei martiri e dei santi invece, in possesso ecclesiastico, non sono state se non eccezionalmente oggetto di dispersione.
La reliquia indiretta pi importante ovviamente lo stesso strumento del martirio di Cristo, la croce, parte della quale sarebbe stata portata in Occidente da Elena, madre di Costantino; per essa venne realizzata una chiesa nei locali del Sessorianum, a Roma, poi trasformata nellattuale S. Croce in Gerusalemme. Costituivano reliquie anche la terra dei Luoghi Santi, gli oggetti legati al martirio (ad es., le catene di s. Pietro, portate a Roma dallimperatrice Eudossia nel 411, nella chiesa di S. Pietro in Vincoli), gli oli che bruciavano presso le

tombe venerate, i profumi recati presso le tombe, gli oggetti ex contactu, cio posti a contatto con tali sepolture; i pi noti tra essi sono i brandea (detti anche palliola, sanctuaria, nomina), strisce di tessuto che venivano calate tramite le fenestellae confessionis a contatto con i corpi santi o, genericamente, con tali sepolture. La ricerca di queste reliquie non riguardava solo i comuni fedeli, ma in primo luogo personaggi di rango elevato che sovente si rivolgevano agli stessi vescovi di Roma, i quali svilupparono luso delle reliquie ex contactu proprio per la salvaguardia dei corpi dei martiri: il caso di Giustiniano, che nel 519 chiese ad Ormisda oggetti posti presso la tomba romana di s. Lorenzo. Questa scelta di non smembrare le spoglie venerate propria dei pontefici romani e venne osservata almeno fino al termine del VI secolo, quando lo stesso Gregorio Magno ricorda che Romanis consuetudo non est, quando sanctorum reliquias dant, ut quicquam tangere presumant de corpore (Epist., IV, 30) in risposta a Costantina, moglie dellimperatore Maurizio, che gli aveva richiesto la testa o unaltra parte del corpo di s. Paolo per la nuova cappella palatina. In Oriente, invece, la traslazione di corpi santi avvenne gi nel corso del IV secolo, e la citt di Costantinopoli, priva di un martire proprio, prolifer ben presto di santuari martiriali grazie allimportazione di reliquie. Ci non toglie che anche nellOriente bizantino si siano diffuse le reliquie ex contactu. La fermezza dei vescovi romani comport da una parte la salvaguardia dei martiri locali, dallaltra favor limportazione delle spoglie di quelli orientali e linventio di corpi santi, cui furono ben presto dedicate aule di culto (ad es., Ss. Vitale e Agricola a Bologna nel 393, Ss. Gervasio e Protasio a Milano nel 386) e che comport la creazione di leggende miranti a ribadire la presunta origine autoctona del santo. Ben presto la fame di reliquie ne determin un vero e proprio commercio, con abbondanti falsificazioni, nel contrastare le quali fu in primo piano la Chiesa ortodossa nordafricana contro leresia donatista. Tra i falsari, le fonti riportano il caso del diacono Deusdona, che presso le pi importanti catacombe romane vendeva false reliquie debitamente autenticate mediante iscrizioni ad hoc. Le reliquie erano poi conservate in apposite lipsanoteche, scatole e cofanetti spesso di materiali preziosi, quali lavorio (lipsanoteca rettangolare del Museo Archeologico di Brescia), o in reliquiari metallici, soprattutto dargento, di produzione italiana o africana (alcuni sono conservati nei Musei Vaticani). Va notato, a proposito degli argenti, come non ci siano differenze tecniche rispetto alle coeve produzioni profane e come, daltra parte, temi iconografici cristiani venissero utilizzati anche in manufatti non liturgici. Altra forma di reliquiari sono gli encolpi, piccoli contenitori metallici di forma rotonda (bullae), quadrata (techae), cruciforme, zoomorfa, che generalmente venivano portati al collo. Non di rado si tratta di oggetti preziosi, decorati con soggetti tratti dalliconografia cristiana, talvolta accompagnati da iscrizioni che, soprattutto in ambiente siriaco, riprendono in senso cristiano laugurio generico di forza e salute.

Oggetti votivi particolarmente importanti per la conoscenza dellagiografia paleocristiana sono le cosiddette ampolle di

485 Frammento di tessuto di lino e lana con il sacrificio di Isacco. Lione, Muse Historique des Tissus.

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MONDO ISLAMICO

Monza, giunte dalla Palestina tra la fine del VI e linizio del VII secolo e contenenti gli oli delle lampade che ardevano presso le tombe dei martiri di Terra Santa. Si tratta di esemplari (alcuni conservati a Monza e a Bobbio) dargento, con decorazione a sbalzo, che raffigurano il Santo Sepolcro e scene neotestamentarie. Anche in Siria a partire dal V secolo, in concomitanza con il culto dei martiri, si svilupp luso della santificazione dellolio mediante il passaggio sulle reliquie in una cassetta di marmo. Nel mondo cristiano sono ben noti gli ex voto, che a seconda del livello sociale ed economico dellofferente si concretizzano in manufatti diversi: alcuni oggetti nascono come ex voto, altri invece lo diventano. Alla prima categoria appartenevano le raffigurazioni di cera e di altri materiali deperibili e che le fonti ci informano essere deposte presso le tombe venerate. Altre volte si assiste al voto di strutture e manufatti che solo lapparato epigrafico ci consente di interpretare come ex voto. A questa seconda categoria appartengono impianti architettonici e decorativi, aule di culto, apparati decorativi (ad es., i pavimenti musivi di molte chiese dellItalia settentrionale, in Palestina e in altre regioni orientali). Permane comunque la difficolt di stabilire con chiarezza quali oggetti siano veri e propri ex voto e quali invece, a noi noti come votivi, siano stati dedicati genericamente pro salvatione animae, non collegati quindi ad uno specifico evento. Significato votivo hanno anche le offerte in denaro finalizzate alla realizzazione di qualcosa o al mantenimento di una struttura o di unistituzione, come nel caso di lasciti a monasteri e chiese, o destinati a specifiche funzioni, tra le quali spicca per il suo significato simbolico lilluminazione delle chiese. In tal senso, differiscono dagli oggetti che attualmente consideriamo votivi. Possono essere considerati oggetti votivi anche i souvenirs che i pellegrini riportavano indietro dai luoghi santi. Nati con lo scopo di attestare lavvenuto pellegrinaggio, soprattutto quando questo era stato prescritto a scopo penitenziale, si trattava soprattutto di oggetti tipici della regione (ad es., la palma da Gerusalemme, la conchiglia da Santiago de Compostela), presto affiancati da manufatti utili nel corso del viaggio, tra i quali spiccano le ampolle di ceramica, borracce utilizzate per contenere lacqua, di produzione orientale ma rinvenute anche in vari siti occidentali. Sono in genere di forma circolare schiacciata, dotate di stretto collo e due anse per la sospensione; differisco-

no dalle coeve bottiglie utilizzate dai comuni viaggiatori per i motivi iconografici legati al santuario nel quale erano state acquistate o con generici temi della vita di Cristo, tratti anche dai Vangeli apocrifi. Ricordi dei luoghi santi erano anche le eulogie, medagliette di terracotta o di bronzo, il cui apparato decorativo prediligeva temi legati alla vita del santo venerato oppure la sua immagine, accanto a generiche immagini devozionali (Adorazione dei Magi, scene mariane, ecc.). Il contributo dellarcheologia per la ricostruzione della messe di materiali votivi che dovevano affollare le sepolture venerate e i santuari martiriali purtroppo estremamente esiguo, a motivo della deperibilit della maggior parte dei manufatti, spesso in cera o dipinti su supporto, con limitato uso della terracotta diffusa nel mondo classico, dello scarso valore loro attribuito, delloggettiva difficolt di distinguere un ex voto propriamente detto da un pi generico dono di devozione. Ci non toglie che le fonti letterarie possano in questo caso integrare le lacune documentarie, completando un quadro archeologico che analizza le forme di devozione mediante gli indizi materiali lasciati da fedeli e pellegrini.
Bibl.: Oltre alla bibl. citata in Architettura funeraria, periodo tardoantico e medievale si vedano, soprattutto in riferimento ai manufatti cultuali e liturgici: R. Lesage, Dizionario pratico di liturgia eucaristica, Roma 195660; M.C. Ross - K. Weitzmann (edd.), Catalogue of the Byzantine and Early Medieval Antiquities in the Dumbarton Oaks Collection, Washington 1962; G. Galavaris, Bread and the Liturgy. The Symbolism of Early Christian and Byzantine Bread Stamps, Madison - Milwaukee - London 1970; H. Buschhausen, Die sptrmischen Metallscrinia und frhchristlichen Reliquiare, Wien 1971; Eucharistic Vessels of the Middle Ages, Cambridge (Mass.) 1975; Da Ebla a Damasco. Diecimila anni di archeologia in Siria (Catalogo della mostra), Milano 1985; B. Montevecchi - S. Vasco Rocca (edd.), Suppellettile ecclesiastica, I, Firenze 1988; E. Chalkia, Le mense paleocristiane, Citt del Vaticano 1991; J. Lafontaine-Dodogne, s.v. Acherotipa, in EAM, I, 1991, pp. 88-92; U. Mende, s.v. Acquamanile, ibid., pp. 102-105; P. Arthur et al., Masseria Quattro Macine. A Deserted Medieval Village and its Territory in Southern Apulia. An Interim Report on Field Survey, Excavations and Document Analysis, in BSR, 51 (1992), pp. 181-237; A.M. Giuntella, s.v. Lamp, in Encyclopaedia of Early Church, I, Cambridge 1992, pp. 471-72; A. Bonanni, s.v. Lampada e lampadario, in EAM, VII, 1996, pp. 558-69; P. Arthur, Uno stampo eucaristico bizantino da Soleto (LE), in AMediev, 24 (1997), pp. 525-30; A. Campus, s.v. Ex voto, in LUniverso del corpo, III, Roma 2000, pp. 474-76; M. Di Bernardo, s.v. Utensili liturgici, in EAM, XI, 2000, pp. 450-65; C. Pisoni, s.v. Tabernacolo, ibid., pp. 55-57.

Francesca Romana Stasolla

MONDO ISLAMICO CARATTERI GENERALI Liniziale semplicit, elemento destinato a rivelarsi sostanziale nella rapidissima diffusione dellIslam, ha permesso e privilegiato una religiosit senza vere e proprie forme di culto, limitata alla preghiera. La preghiera, centro ideale e ordinatore della vita del credente, manifestazione di ringraziamento piuttosto che di richiesta a Dio, scandisce con regolarit la giornata, favorendo la socialit e imponendo anche lavacri rituali. La preghiera, in quanto tale, non richiede un luogo deputato per essere praticata e, bench il Profeta conoscesse gli edifici di culto dellArabia del suo tempo (sinagoghe e chiese, principalmente), egli non accenn mai a qualcosa di simile per i suoi seguaci. La mancanza, altres, di qualsiasi arredo liturgico rende le testimonianze archeologiche del primitivo culto islamico praticamente inesistenti. Resta da aggiungere che latteggiamento del musulmano nei confronti della moschea ne impedisce quasi sempre uno studio archeologico, rendendo quindi assai problematico lo studio delle fasi pi antiche di edifici religiosi ancora in uso. Va comunque segnalato che la mancanza di testimonianze archeologiche confrontabili con

quelle delle civilt mediterranee non corrisponde a una mancanza di pratiche, definite con precisione sin dallinizio. La preghiera per il musulmano, infatti, necessita sempre di un suo spazio definito, sorta di temenos virtuale, limitato chiaramente dallambiente circostante, sia pure in modo estremamente semplice. Indispensabile anche il corretto orientamento verso La Mecca, stabilito inizialmente in base alla posizione del luogo rispetto al Sole. Il maggior valore della preghiera fatta in comune nei confronti di quella individuale ha spinto fin dallinizio i credenti a riunirsi in un luogo specifico, caratterizzato in un determinato modo, chiaramente individuabile, funzionale pur nella sua estrema semplicit. Sono nate cos delle forme pi che primitive, embrionali, di moschea, in alcuni casi solo disegnate sul terreno, con una linea tracciata nella sabbia, o, pi spesso, definite da una serie di pietre, di dimensioni simili, poste le une accanto alle altre, evocanti un muro. Le prime moschee, delle quali non rimasta, ovviamente, traccia archeologica, diffuse in Arabia e nelle zone limitrofe nei primi anni dellespansione islamica, erano degli spazi chiusi, definiti da recinti di canne. Alcune forme di moschee effimere non sono infrequenti anche in epoche recenti in zone rimaste isolate e primitive, specie se semidesertiche. Canne di bamb legate da reti da pescatore formano i muri 393

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