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CARLO AUGUSTO VIANO

La filosofia a Torino

1. La rottura di un clima Nel 1939, con il passaggio di Augusto Guzzo alla cattedra di Filosofia teoretica e di Nicola Abbagnano alla cattedra di Storia della filosofia della Facolt di Lettere e Filosofia, si concludevano i movimenti, iniziati con la chiamata del primo alla cattedra di Filosofia morale della medesima Facolt nel 1934 e del secondo nella Facolt di Magistero nel 1936, che avrebbero segnato definitivamente linsegnamento della filosofia nellateneo torinese. Guzzo era venuto nel Magistero di Torino gi nel 1924 e vi si era fermato fino al 1932, quando era passato a Pisa. Nel Magistero dovette conservare una certa influenza, che adoper per favorire la chiamata di Abbagnano il quale, per lopposizione degli ambienti idealistici, aveva incontrato non pochi ostacoli nella propria carriera accademica. Erano gli ambienti dai quali proveniva Guzzo, che era stato chiamato a Pisa con lappoggio di Giovanni Gentile e probabilmente anche di Armando Carlini. Del resto proprio a Pisa tra Guzzo e Carlini sarebbe comunque nato un legame importante. Guzzo si era formato alla scuola dellidealismo, ma non era stato crociano o gentiliano fin dal principio. Il suo maestro, Sebastiano Maturi, era un erede dellhegelismo di destra di Augusto Vera. Poi Guzzo si era accostato al gentilianesimo, e il suo libro del 1925, Verit e realt. Apologia dellidealismo, fu considerato latto ufficiale della sua adesione allattualismo. Furono soprattutto i temi religiosi a marcare la differenza tra Guzzo e
RIVISTA DI FILOSOFIA / vol. XCI, n. 1, aprile 2000

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lidealismo: Guzzo continuava a rifiutare lidea, radicata nel crocianesimo come nellattualismo, che esistesse una religiosit filosofica, superiore alle religioni positive, e sosteneva che le religioni monoteistiche, in particolare il cristianesimo, rappresentano il culmine dellaspirazione religiosa insita nellanimo umano. Interpretando lidealismo come unintroduzione al cristianesimo, Guzzo partecipava alla conciliazione di idealismo e cattolicesimo che costituiva la base della sua intesa con Carlini e che ben si inseriva nel clima segnato dai Patti Lateranensi. difficile dire che cosa avesse spinto Guzzo ad appoggiare la chiamata di Abbagnano a Torino: una lontana solidariet tra allievi dellUniversit di Napoli, una conoscenza non sappiamo quanto diretta e profonda? O il desiderio di Guzzo di avere accanto a s un collega pi giovane, non fortunato nella propria carriera, che gli dovesse gratitudine? A meno che Carlini e Guzzo apprezzassero i temi vitalistici e irrazionalistici presenti nelle opere scritte da Abbagnano fino ad allora e guardati sempre con sospetto da chi aveva sensibilit per il razionalismo liberale comune allidealismo crociano e a quello gentiliano. Larrivo di Guzzo e Abbagnano a Torino costituiva una vera rottura rispetto alle tradizioni filosofiche dellateneo torinese. Guzzo era succeduto prima a Erminio Juvalta, morto nel 1934, poi ad Annibale Pastore, mentre Abbagnano sostituiva Adolfo Faggi. Faggi aveva studiato a Firenze con Alessandro Chiappelli, Juvalta a Pavia con Carlo Cantoni, ed entrambi avevano avuto una formazione genericamente neokantiana. Pastore aveva invece seguito a Torino linsegnamento di Pasquale dErcole, ma anche di Giuseppe Peano. Con Juvalta, Faggi e Pastore la filosofia accademica torinese era stata del tutto in linea con il clima filosofico prevalente prima che lidealismo diventasse il termine di riferimento dominante. Nonostante la modestia culturale di alcuni di loro, quei professori partecipavano alla discussione su kantismo e positivismo, che caratterizzava tanta parte della

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cultura europea, e Pastore cercava di collegare, magari pasticciando, lhegelismo di dErcole con la logica di Peano e la fenomenologia di Husserl. I nuovi arrivati si muovevano invece entro un orizzonte prevalentemente italiano e risentivano dellaffermazione del neoidealismo: anche Abbagnano che, formatosi alla scuola di Aliotta, aveva finito con il farne il proprio termine di riferimento negativo ma predominante. Prima di giungere a Torino, con gli studi sullidealismo angloamericano, su Guglielmo di Occam, sulla filosofia della scienza francese e sulla nuova fisica, aveva s trattato temi estranei alla sensibilit idealistica, ma per costruire alternative alle posizioni idealistiche e senza mai cercare un collegamento effettivo con i movimenti filosofici che si andavano delineando in Europa e in America. A Torino Croce e Gentile erano considerati rappresentanti eminenti della cultura postrisorgimentale, critici del regime parlamentare e trasformistico e propugnatori di un rinnovamento morale del paese. Inoltre a Torino, dove lattualismo gentiliano era stato una componente importante dellesperienza gramsciana e gobettiana, lidealismo aveva finito con il farsi sentire soprattutto nella cultura antifascista; e forse per questo linfluenza di Croce era diventata prevalente e aveva cancellato le tracce di Gentile. Ma nelluniversit la filosofia crociana sembrava familiare pi a professori della Facolt di Giurisprudenza, come Francesco Ruffini, Luigi Einaudi o Gioele Solari, che ai filosofi della Facolt di Lettere, dove Croce era apprezzato come storico e soprattutto come letterato. E anche lantifascismo si manifest soprattutto nella Facolt di Giurisprudenza dove, quando non si espresse nella forma drastica delle dimissioni, alle quali ricorse Ruffini per non pronunciare il giuramento imposto dal regime, si dissimul dietro mescolanze diverse di accettazione e di rifiuto, scelte da personaggi come Einaudi e Solari. Come lidealismo, lantifascismo non era di casa tra i filosofi della Facolt di Lettere, nella quale anzi il fascismo aveva sostenitori molto convinti. Tra i filosofi di

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scuola torinese soltanto Piero Martinetti si dimise dalluniversit. Ma Martinetti insegnava a Milano e non aveva mantenuto legami con lateneo torinese, presso il quale si era formato, anche se il suo kantismo rappresentava assai bene il tipo di cultura prevalente tra i professori torinesi di filosofia fino agli inizi degli anni trenta. Inoltre, ispirato da unidea austera della societ, si sentiva semmai vicino a Ruffini e Solari: la libert era per lui una scelta morale, pi che lesercizio di diritti, un ideale tradito dallItalia cattolica e fascista, lItalia che non aveva vissuto la riforma protestante. Ma gli allievi di questi maestri schivi e un po criptici risentirono del clima di consenso che il fascismo era riuscito a costruire intorno a s. Guzzo e Abbagnano non avevano fatto le complicate esperienze che costituivano il tessuto fine della cultura cittadina. In Guzzo il gentilianesimo aveva smarrito i contenuti per i quali Gentile si considerava un liberale e un difensore del primato dello stato e della sua laicit. Abbagnano, che aveva pronunciato qualche discorso apertamente fascista quando era insegnante di liceo a Napoli, non aveva precise connotazioni ideologiche, anche perch aveva praticato temi filosofici distanti da quelli preferiti dagli idealisti. Chi lo ha conosciuto negli anni cinquanta e sessanta lo ha sentito parlare della propria avversione per il fascismo delle origini, delle proprie simpatie giovanili per Giovanni Amendola e lo ha sentito giustificare il nicodemismo politico degli anni del consenso, quando era possibile rivendicare un proprio spazio rendendo omaggi verbali a un regime considerato non troppo opprimente. 2. La scoperta dellesistenzialismo Tra il 1939 e il 1940 Guzzo lavor alla sintesi del proprio idealismo, che present in Sic vos non vobis. Partiva dalla considerazione della coscienza come atto, ma introduceva elementi estranei al gentilianesimo po-

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nendo latto in relazione al valore, non inteso per come oggetto. Un soggettivismo spinto il suo, comera nello stile degli attualisti; ma Guzzo civettava anche con il pragmatismo e sosteneva un vitalismo, anchesso inconsueto, che gli veniva da Sebastiano Maturi: cercava cio una continuit tra luomo e la natura, il cui vigore prefigura la piena affermazione del valore e del bene, che si realizza nelluomo. Si capisce perci che Bergson fosse una presenza dominante nella sua opera; ma anche i riferimenti alla filosofia dei valori e allesistenzialismo tedesco e francese erano estesi e rilevanti. Per Guzzo gi nel 1940 lidealismo era finito. Ma se bisognava scuotersi dallinsensibilit dellidealismo per la filosofia dellesistenza, la novit filosofica nata in Germania e in Francia, occorreva passare attraverso queste esperienza giusto per rammentare alcune verit prime, e poi ritornare alla filosofia nostrana, sostituendo il nichilismo tedesco, che conduceva Jaspers a parlare di naufragio, con un approdo nelleterno, pi consono alla nostra miglior tradizione1. Guzzo rifiutava qualsiasi forma di analisi fenomenologica fine a se stessa e assegnava alla filosofia il compito di pensare la possibilit delle diverse forme di esperienza. Era un esplicito richiamo al kantismo, ma a un kantismo che, riprendendo Sic vos non vobis, accentuava lindipendenza delle forme dellesperienza dal loro contenuto e si faceva strumento per andare oltre i limiti dellesperienza. Si trattava di un percorso collaudato, su cui si era messo lo spiritualismo tra Ottocento e Novecento, sotto la guida di Lotze. In Italia lo avevano praticato Varisco e Carlini, e ora Guzzo riprendeva quei temi per acclimatare lo spiritualismo nella filosofia dellesistenza. In Italia il discorso sullesistenzialismo era incominciato da tempo. Nel 1928 la Rivista di filosofia, un periodico di fatto diretto da Martinetti ed estraneo al1 A. Guzzo, Dopo la filosofia dellesistenza. Oggetto e compito di una filosofia prima, in Concetto e programma della filosofia doggi, Milano, Bocca, 1941, pp. 1-2.

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lidealismo dominante, aveva presentato Heidegger come un filosofo che, formatosi alla scuola fenomenologica, tuttavia si staccava da Husserl. Anche Guido De Ruggiero avrebbe ripreso laccostamento di Heidegger a Husserl2, mentre Croce avrebbe contrapposto le scelte politiche di Heidegger a quelle di Barth3. Di esistenzialismo si era parlato nel XIII Congresso italiano di Filosofia, tenuto a Bologna nel 1938, e in quello successivo, di Firenze, del 1940. Ma allesistenzialismo si accostarono soprattutto gli idealisti che davano uninterpretazione religiosa dellattualismo: avvicinavano Heidegger a Kierkegaard e lo inserivano nella crisi dellidealismo classico tedesco. Era unimpostazione suggerita dai cosiddetti esistenzialisti francesi, come Jean Wahl e Gabriel Marcel, e dagli studi storici di Karl Lwith4. Lwith aveva proposto queste idee nel 1935 sulla rivista di Gentile5. Nel 1936 Carlini aveva tradotto alcuni scritti di Heidegger, il quale in quellanno fu invitato in Italia a tenere una conferenza, tradotta lanno dopo da Carlo Antoni. Nel 1935 e 1936 Franco Lombardi, amico di Lwith, aveva dedicato due studi a Kierkegaard e a Feuerbach6. La vera novit fu per La struttura dellesistenza, che Abbagnano pubblic nel 1931, suscitando interesse e sorpresa. Abbagnano non teneva nessun conto dellesistenzialismo francese e non voleva offrire un commento allesistenzialismo, ma pretendeva di porsi accanto ai maestri dellesistenzialismo, tentando unimpresa speculativa autonoma. Non era facile scoprire la chiave della Struttura dellesistenza. Equipotente alla Teoria generale
2 G. De Ruggiero, Husserl e la fenomenologia, La Critica, XXIX, 1931, pp. 100-109. 3 In La Critica, XXXII, 1934, pp. 69-70. 4 K. Lwith, Kierkegaard und Nietzsche, oder theologische und philosophische berwindung des Nihilismus, Frankfurt a. M., Klostermann, 1933. 5 K. Lwith, La conclusione della filosofia classica con Hegel e la sua dissoluzione in Marx e Feuerbach, Giornale critico della filosofia italiana, XVI, 1935, pp. 343-71. Lwith avrebbe poi elaborato le proprie tesi storiografiche nel volume Von Hegel zu Nietzsche del 1941. 6 F. Lombardi, Ludovico Feuerbach, Firenze, La Nuova Italia, 1935; Kierkegaard, Firenze, La Nuova Italia, 1936.

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dello spirito come atto puro di Gentile (unopera che nessuno si era azzardato di sfidare), era scritta con un linguaggio filosofico del tutto diverso da quello di Gentile. Ma, priva comera di ogni carattere profetico, non rientrava neppure nella letteratura esistenzialistica corrente. N aveva un forte principio unificatore, come latto gentiliano o come, sul versante opposto, lesistenza o lessere nel senso di Jaspers o di Heidegger. Era la mancanza di un principio del genere che poteva lasciare perplessi: a che cosa si richiamava Abbagnano per giustificare le proprie asserzioni? Le sue potevano sembrare lunghe catene definitorie; ma che cosa giustificava le definizioni che dava e le inferenze che ne traeva? Abbagnano presentava La struttura dellesistenza come lapprodo di un cammino che aveva incominciato con Le sorgenti irrazionali del pensiero e lungo il quale aveva approfondito la distinzione tra filosofia e scienza, questa titolare della conoscenza, quella della saggezza. Abbagnano si era allontanato sempre di pi dalla teoria kantiana delle categorie, perch aveva studiato la descrizione che della struttura della scienza avevano dato gli scienziati stessi, i matematici e i logici o i teorici della relativit e della fisica quantistica. Cos aveva finito con il riservare tutto il trascendentale alla filosofia; ma era un trascendentale svuotato del riferimento ai concetti scientifici, perch la struttura del sapere scientifico si giustificava da s, senza bisogno di protezioni filosofiche. Perci lesistenzialismo di Abbagnano poteva configurarsi come la sostituzione dellanalisi esistenziale alla teoria kantiana delle categorie. Abbagnano avrebbe dichiarato di aver trovato nella filosofia dellesistenza di Kierkegaard e Heidegger (non menzionava Jaspers) lo strumento per riferirsi alla costituzione delluomo come tale, senza ricadere sul piano delloggettivit o della soggettivit razionale7. Ancora molti anni dopo la pubblicazione di quellopera era
7 Filosofi italiani contemporanei, a cura di M.F. Sciacca, Milano, Marzorati, 1944, 2a ed. 1946, p. 6.

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solito dire che in essa aveva tentato di costruire uninterpretazione globale delluomo senza ricorrere a termini come io o coscienza, cos cari ai filosofi idealisti. Effettivamente Abbagnano identificava nella trascendenza e nel rapporto tra uomini le strutture originarie dellesistenza, mentre per la tradizione idealistica la trascendenza era una parola vietata e la comunicazione tra persone un fatto derivato dalla coscienza, che ha un rapporto privilegiato con loggetto in generale, non con gli altri. Ma Abbagnano respingeva anche le diagnosi negative di Jaspers e Heidegger sul tempo presente e sul destino delluomo, votato al naufragio o alla morte. Preferiva parlare della fedelt delluomo alla propria scelta, e si serviva di questa idea per reintrodurre i valori, verso i quali lesistenzialismo sembrava poco ospitale. Abbagnano stesso avvertiva che il termine struttura nel significato fondamentale nel quale ricorre nella filosofia esistenzialistica, stato probabilmente introdotto da Dilthey8. Abbagnano collegava la propria filosofia esistenzialistica al momento vissuto dallItalia allinizio degli anni quaranta. Una filosofia che potesse esercitarsi nel giardino di Epicuro in cui vivere in disparte, al di fuori delle vicende e dei colpi duri, noi dovremmo ritenerla, oggi, indegna di noi. Luomo si trova ancora una volta davanti allalternativa cruciale, che si presenta ad ognuno egualmente, quale che sia il popolo cui appartiene o quale che sia diretta o indiretta, lontana o vicina la sua partecipazione alla guerra: lalternativa fra lessere se stesso nella propria storia e il disperdersi in una vita senza storia, tra il lavoro che espande nel mondo una civilt aperta sullavvenire e una fatica oscura senza domani. unalternativa di fronte alla quale i popoli stringono le fila, si purificano e si definiscono. Si definiscono nella loro essenza, ritornando alla loro storia genuina. Si purificano espellendo da s gli elementi di raz8 N. Abbagnano, La struttura dellesistenza, in Scritti esistenzialisti, a cura di B. Maiorca, Torino, Utet, 1988, p. 70, nota a.

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za e di dottrina che sentono estranei e non assimilati. Si stringono nelle loro istituzioni tradizionali che gi conoscono le prove difficili. E cercano nei loro regimi di ritornare alle origini e di ritrovarsi nel passato. La volont di essere se stessi la stessa loro volont di vita e di vittoria. Essi sanno che solo quella volont pu salvarli e conservarli alla loro storia. E sanno che senza di essa un popolo gi appartiene al passato, ha gi rinunziato allavvenire. Ora a questa volont che costituisce il destino dei popoli, la filosofia deve essere essenzialmente connessa come atto concreto, immanente. Noi, uomini delloccidente, non ci siamo mai mossi nella storia per un impulso, per un istinto cieco, come unorda, come una forza oscura che si espande senza perch. Noi rappresentiamo nel mondo la volont lucida dellaffermazione di s e del dominio: rappresentiamo lordine, che unit, armonia e spirito. Noi, uomini delloccidente muoviamo nella storia perch comprendiamo ci che siamo e ci che vogliamo. La nostra natura in questo comprenderci, in questo intenderci, che atto concreto di riconoscimento di s e di affermazione di s e quindi volont di dominio e di vittoria9. Assumere un atteggiamento guidato dalla filosofia significa assumersi la responsabilit che deriva dalla propria scelta e la fedelt alla propria scelta. Di qui Abbagnano ricava una conseguenza piuttosto forte: nulla accade veramente nellesistenza dellente senza la sua scelta10. La struttura dellesistenza non entr nella letteratura esistenzialistica internazionale, ma linterpretazione che Abbagnano dava del proprio esistenzialismo poteva diventare un ingrediente della revisione del fascismo perseguita da Giuseppe Bottai, che aveva al proprio centro il confronto con la cultura tedesca e una nuova formulazione del nazionalismo. Primato, la rivista di Bottai, promosse una discussione sullesistenzialismo che ruot
9 N. Abbagnano, Luomo e la filosofia, in Concetto e programma della filosofia doggi, Milano, Bocca, 1941, p. 211. 10 N. Abbagnano, Luomo e la filosofia, cit., p. 221.

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intorno allopera di Abbagnano. Cos Torino si trov al centro della discussione sullesistenzialismo, ultima avventura della filosofia italiana prima della fine della guerra e del crollo del fascismo. Il dibattito promosso da Primato, con lestensione nazionale che ebbe, occult un po il fatto che a Torino convivevano i diversi modi con i quali la cultura italiana cercava di fare i conti con lesistenzialismo. Fin dal 1938 un allievo di Guzzo, Luigi Pareyson, aveva incominciato a scrivere sullesistenzialismo, e in particolare su Jaspers, seguendo la linea interpretativa suggerita da Guzzo: lesistenzialismo portava in primo piano temi che erano gi comparsi nellidealismo italiano, e perci si poteva parlare di preesistenzialismo, additandone in Carlini il principale rappresentante. Pareyson dava molta importanza anche allesistenzialismo francese, nel quale includeva personaggi che forse erano pi spiritualisti che esistenzialisti. E, muovendo da Kierkegaard, faceva del rapporto tra finito e infinito il problema centrale che lesistenzialismo doveva affrontare. Gli esistenzialisti avevano introdotto uno sfaldamento, come diceva Pareyson, tra finito e infinito, cio li avevano considerati termini inconciliabili, e lui cercava un rimedio a quella frattura ricorrendo al concetto di persona, soggetto adeguato del finito come dellinfinito, lunica entit capace di ricevere entrambe le qualificazioni. Il personalismo era lesito positivo dellesistenzialismo, un esito apparentemente affine a quello cui metteva capo Abbagnano che, anche lui, voleva disincagliare la filosofia dellesistenza dagli approdi negativi ai quali Jaspers e Heidegger lavevano spinta. Ma Abbagnano sviluppava una filosofia del finito, mentre Pareyson proponeva una conciliazione di finito e infinito nella persona. 3. Tra esistenzialismo e marxismo Che lesistenzialismo fosse la testimonianza di una crisi e che perci da esso si dovesse uscire era convin-

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zione diffusa nel resto dellItalia come a Torino, dove soltanto Abbagnano intendeva sviluppare una vera e propria filosofia esistenzialistica. Uninterpretazione drastica di questa prospettiva fu offerta nel 1944 da Norberto Bobbio con La filosofia del decadentismo. Secondo Bobbio la filosofia dellesistenza la filosofia della crisi, e la crisi, ci faccia o non ci faccia piacere il riconoscerlo, il modo dessere della nostra situazione spirituale, caratterizzata dalla apatia di fronte ai valori11. Nellaccettazione della crisi come un fardello12 e destino consiste quello che gli stessi propugnatori [] hanno battezzato e poi riconosciuto [] col nome di decadentismo, un movimento che, nato in letteratura giunto da ultimo [] a portare il suo contagio nella vita stessa della filosofia ufficiale13. Lesistenzialismo tedesco il prodotto tardivo, il frutto postumo del decadentismo nel regno del pensiero riflesso14. Una delle conseguenze del decadentismo lattivismo, laltra lamoralismo: di qui Bobbio ricavava la apoliticit dellesistenzialismo, che consiste non soltanto nella assenza [] di una discussione sul problema dello stato15, ma nel fatto che nellesistenzialismo perdura, o addirittura viene accentuata, quella dissociazione tra esigenza intimistica ed esigenza sociale16 rappresentate rispettivamente da Kant e da Hegel. Per uscire dallesistenzialismo bisognava imboccare la via che conduce alla persona, un modo per unire la moralit con la politicit, per risolvere il problema morale nel problema della giustizia, quando sintenda la persona nel suo significato laico, vale a dire nella direzione di una fondazione non pi trascendente ma autonoma della personalit, e quando si intenda la giustizia non pi come norma oggettiva, ma come limite soggetti11

N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, Torino, Chiantore, 1944, N. N. N. N. N. Bobbio, Bobbio, Bobbio, Bobbio, Bobbio, La La La La La filosofia filosofia filosofia filosofia filosofia del del del del del decadentismo, decadentismo, decadentismo, decadentismo, decadentismo, cit., cit., cit., cit., cit., p. 19. p. 20. p. 21. p. 99. pp. 99-100.

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vo17. Per Bobbio lincontro dellesigenza laica del personalismo con lesigenza soggettivistica della giustizia avviene nella morale kantiana18, alla quale egli si richiamava contro il tentativo hegeliano e storicistico di dissolvere la morale nella societ e nello sviluppo storico. Sia il personalismo sia la dottrina della coesistenza e della comunicazione elaborati dallesistenzialismo, che costituivano le chiavi nelle quali Pareyson e Abbagnano lo avevano interpretato, erano pure finzioni. Nella critica allesistenzialismo affioravano temi che Bobbio aveva incontrato nella Facolt di Giurisprudenza, alla quale si era iscritto nel 1927, seguendo maestri come Francesco Ruffini, Luigi Einaudi e Gioele Solari19. Soprattutto doveva aver agito su di lui linsegnamento di Solari, con il quale si era laureato nel 1931, nove anni dopo Gobetti. Solari impartiva un insegnamento ispirato alla funzione civile della filosofia del diritto20 e si proponeva di tener desta lattenzione dei giovani sui problemi generali dello Stato e del diritto, che erano assai pi complessi e profondi di quel che la pubblica ortodossia lasciasse intendere, di elevare il problema politico a problema filosofico, e quindi in definitiva a problema di coscienza, di rendere insomma altamente drammatico quello che nella condotta dei pi era diventato un esercizio di comodo conformismo21. Quellinsegnamento aveva i propri termini di riferimento in Kant e in Hegel: dal primo riprendeva lindividualismo fondato su una rigorosa concezione della morale, dal secondo la teoria della societ civile, anche se vedeva in essa il germe della dissoluzione delletica kantiana, una dissoluzione che avrebbe condotto allo storicismo, al relativismo e infine al decadentismo.
N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 109. N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 110. N. Bobbio, Autobiografia, a cura di A. Papuzzi, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 16. 20 N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 17. 21 Linsegnamento di Gioele Solari, in N. Bobbio, Italia civile. Ritratti e testimonianze, Firenze, Passigli, 1986.
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Una lezione di austero kantismo Bobbio apprese anche da Martinetti, che conobbe attraverso Solari. Lincontro avvenne quando Bobbio present a Solari un articolo sulla fenomenologia, che doveva comparire nella Rivista di filosofia. Bobbio aveva studiato la fenomenologia con Pastore, con il quale si era laureato in filosofia nel 1933. Forse Pastore non era estraneo allinterpretazione che Bobbio dava dellesistenzialismo: lo considerava infatti non soltanto come una forma di antirazionalismo, quale era stata la reazione kierkergaardiana al razionalismo illuministico e hegeliano, ma un vero e proprio irrazionalismo22. E Bobbio dichiarava una volta per sempre che i rapporti tra fenomenologia ed esistenzialismo non ci sono, o, almeno non ci sono nella misura che generalmente si crede o si lascia credere. La dottrina di Husserl e quella di Heidegger sono inserite in due tradizioni storiche assolutamente indipendenti luna dallaltra: la fenomenologia una continuazione della filosofia scientifica di positivistica derivazione []; lesistenzialismo una riesumazione di Kierkegaard23. Con la formula del preesistenzialismo Pareyson cercava un collegamento tra filosofia dellesistenza e cultura filosofica nazionale; la stessa cosa faceva Bobbio con la formula dellesistenzialismo come testimonianza di una crisi. Era uno slogan abbastanza comune in Italia, che aveva trovato larga eco nellinchiesta promossa da Primato. Lavevano utilizzato Antonio Banfi24 come Ugo Spirito25, mentre Galvano Della Volpe interpretava quel22 A. Pastore, Lequivoco teoretico della ragione nei fondatori della filosofia dellesistenza, Archivio della cultura italiana, II, 1941, p. 29, nota 2. 23 N. Bobbio in La ricerca filosofica. Discussioni dirette e raccolte da A. Guzzo, Roma, Tipografia Agostiniana, 1941, pp. VII, VIII, e in Archivio di filosofia 1939, p. 300. 24 A. Banfi, Il problema dellesistenza, Studi filosofici, II, 1941, pp. 170-92; Lesistenzialismo in Italia, Primato, 1943; Lesistenzialismo, Studi filosofici, IV, 1943, pp. 247-51. 25 U. Spirito, Lesistenzialismo in Italia, Primato, 1943; Razionalismo e irrazionalismo, in La crisi dei valori (quaderno dellArchivio di filosofia), 1945, pp. 160-73; Il problematicismo al Congresso di filosofia, Fiera letteraria, 1946, n. 36.

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la crisi come crisi della civilt borghese e lesistenzialismo come esasperazione del narcisismo spirituale in cui si risolve letica della civilt borghese26. A conclusioni non dissimili sarebbe giunto Arturo Massolo, che considerava lesistenzialismo come la filosofia dellindividuo alienato dalla comunit e vedeva nella filosofia di Jaspers la forma estrema del pensiero borghese27. E anche Cesare Luporini, intervenendo su Primato, faceva dellesistenzialismo una filosofia della crisi, nata nella matrice dellhegelismo, ma capace di testimoniarne la dissoluzione, gi annunciata da Kierkegaard e Marx. Nellinterpretazione che Bobbio dava dellesistenzialismo il marxismo non era importante, e Pareyson si limitava a menzionarlo perch lo trovava nelle simmetrie storiografiche introdotte da Lwith. Ma dopo la guerra la discussione su esistenzialismo e marxismo dilag nel paese, e anche a Torino suscit interesse, ma fuori delluniversit. vero che sul tema il pi importante degli allievi di Bobbio pubblic un volume28, ma fu Augusto Del Noce che addit nel marxismo la sfida con la quale si dovevano fare i conti. Del Noce, come Bobbio, aveva studiato al liceo DAzeglio, alla scuola di Umberto Cosmo; poi aveva frequentato la Facolt di Lettere e seguito linsegnamento di Pastore. Si era laureato con Faggi, dal quale aveva forse ricavato una certa sensibilit per il pessimismo, che a Faggi derivava dalla simpatia per Eduard von Hartmann; ma poi aveva subito lattrazione di due personaggi torinesi molto diversi tra loro, come Piero Martinetti e Carlo Mazzantini. Al primo lo richiamava il progetto di ricostruire una filosofia religiosa e il rifiuto
26 G. Della Volpe, Crisi critica dellestetica romantica, Messina, DAnna, 1941; Discorso sullineguaglianza, con due saggi sulletica dellesistenzialismo, Roma, Ciuni, 1943; Lesistenzialismo in Italia, Primato, 1943; La libert comunista, Messina, Ferrara, 1946. 27 A. Massolo, Esistenzialismo e borghesismo, Societ, I, 1945/3, pp. 115-18. 28 U. Scarpelli, Esistenzialismo e marxismo: saggio sulla giustizia, Torino, Taylor, 1949.

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della dissacrazione prodotta dalla cultura moderna. Al secondo lo legava lambizione di costruire una filosofia cristiana diversa dallo spiritualismo idealistico e fondata sul ricupero della scolastica. Ma su questa strada molto pi importante doveva essere lincontro con le opere di Jacques Maritain, dalle quali Del Noce imparava a considerare il ritorno al cattolicesimo scolastico non come un semplice ricupero, ma come un oltrepassamento della modernit e come un disvelamento dellateismo proprio della modernit, o almeno della modernit trionfante, alla quale opponeva il pensiero cattolico da Malebranche a Vico. Era questa la Riforma cattolica, indebitamente considerata controriforma, semplice risposta, priva di originalit, alla Riforma protestante. Del Noce, come Bobbio e Pareyson, vedeva nellesistenzialismo una manifestazione della crisi, prodotta dalla dissoluzione dellhegelismo, culmine della modernit atea. Ma dava un senso diverso al parallelismo tra esistenzialismo e marxismo introdotto da Lwith: perch, a differenza dellesistenzialismo, il marxismo era non tanto laccettazione della crisi, quanto una sfida e una minaccia, una sfida che le filosofie non cattoliche e non marxiste avevano perduto. E lesistenzialismo era il segno di quella sconfitta, della quale storicismo e attualismo non si erano resi conto29 . Infatti Del Noce considerava lidealismo italiano una risposta al marxismo, anzi il modello di ogni forma di filosofia postmarxista che non si iscrivesse nella Riforma cattolica: Gobetti e Gramsci avevano ben poco di originale, perch erano derivati entrambi da Gentile. E tutti, fascisti e antifascisti, avevano messo capo allattivismo, cio alla negazione pi totale della filosofia. Con queste considerazioni Del Noce respingeva alcuni dei punti fondamentali presenti nella cultura cittadina di lite, nella quale si mescolavano le eredit del libera29 A. Del Noce, Attualit della filosofia di Marx?, Costume, 1946; Il dualismo di Benda, Rivista di filosofia, XXXVII, 1946, pp. 153-74.

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lismo crociano, dellattualismo gentiliano, della rivoluzione liberale di Gobetti, del marxismo di Gramsci, ingredienti di un antifascismo che considerava il fascismo come una deviazione dal cammino dellItalia verso la modernit. Messo da parte lantifascismo, declassato lesistenzialismo a semplice testimonianza di un fallimento, Del Noce contrapponeva direttamente marxismo e cattolicesimo. Dalle simmetrie storiografiche in voga Emmanuel Mounier aveva ricavato il parallelismo tra Marx e Kierkegaard e aveva additato una possibile convergenza tra marxismo e cristianesimo. Il marxismo come critica della modernit poteva essere ripreso e i cattolici avrebbero potuto tagliar fuori la tradizione laica e liberale. Non era proprio la linea del gramscismo che nellimmediato dopoguerra si avviava a diventare lideologia ufficiale dei comunisti italiani, ma lincontro con i cattolici fondato sullesclusione del liberalismo laico era un progetto ben presente anche allinterno del Partito comunista. A Torino quel progetto aveva echi non trascurabili: Felice Balbo, conosciuto da Bobbio e Del Noce sui banchi di liceo, pubblicava presso leditore Einaudi uno dei testi principali del progetto di conciliazione di marxismo e cattolicesimo30. Del Noce discuteva con Balbo sulla Rivista di filosofia, nella quale Bobbio stava diventando un personaggio di spicco, erede di Martinetti e Solari. Del resto Bobbio era il termine di riferimento ideale della critica di Del Noce al laicismo e allantifascismo. E a Torino, senza legami organici con gli insegnamenti universitari di filosofia, stava emergendo anche Ludovico Geymonat, pure lui allievo di Pastore, collaboratore della Rivista di filosofia e della casa editrice Einaudi, legato da amicizia e consuetudine intellettuale con Bobbio e Del Noce. Geymonat si preparava a presentare uninterpretazione del marxismo differente da quella gramsciana e tuttavia del tutto diversa da quella dei marxisti cattolici.
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F. Balbo, Il laboratorio delluomo, Torino, Einaudi, 1946.

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Con la fine della guerra la discussione sullesistenzialismo andava esaurendosi. La sensazione che Abbagnano dava, anche nelle risposte su Primato, di essere al centro dellattenzione nazionale, non aveva pi ragione di essere. Il suo tentativo di costruire un esistenzialismo italiano, positivo, tornava a chiudersi allinterno dellateneo torinese, con scarsi contatti con la citt. I collegamenti della cultura filosofica torinese con la cultura nazionale passavano attraverso le vie di fuga dallesistenzialismo. Gli itinerari possibili sembravano soltanto due: ricostruire lo spiritualismo cattolico, senza complessi di inferiorit nei confronti dellidealismo, oppure riconoscere la presenza dominante della cultura borghese, della quale lesistenzialismo esprimeva la crisi, e andare oltre quella cultura seguendo i canoni del marxismo o accettandone la sfida. Il marxismo comunque si poneva al centro dellattenzione, o come strumento per uscire dalla crisi o come minaccia da fronteggiare. 4. Una filosofia indipendente Abbagnano non riconobbe esplicitamente la fine dellavventura esistenzialistica; della fine dellesistenzialismo parler pi tardi, collegandone la morte alla trasfigurazione. Ma allindomani della guerra cambi gioco. In un intervento del 194631 dichiarava la scienza strumento principale di accesso allesteriorit. Non era una novit, ma ora Abbagnano era pi risoluto nel sostenere che alla scienza spetta tutta la conoscenza e che il riferimento alla scienza essenziale per cogliere la dimensione anche filosofica dellesteriorit. In quel saggio, pur assegnando alla filosofia la trattazione di temi come limpegno, la singolarit, la personalit e cos via, sui quali lesistenzialismo aveva richiamato lattenzione, sosteneva che i concetti scientifici sono modi per imporre allespe31 N. Abbagnano, Luomo e la scienza, in Lesistenzialismo, Archivio di filosofia, 1946.

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rienza un ordine spazio-temporale di carattere matematico: una specie di bergsonismo depurato degli esiti spiritualistici. Lanno dopo, pubblicando Filosofia religione scienza e incominciando a collaborare con il Centro di studi metodologici32, Abbagnano ribadiva che alla scienza spetta tutta la conoscenza, ma abbandonava il bergsonismo epistemologico, usando la categoria della possibilit per dare uninterpretazione convenzionalistica della matematica e probabilistica della fisica: la prima provvederebbe alla costruzione di oggetti possibili, la seconda alla previsione di eventi probabili. E tra scienza e filosofia intercorrerebbe una differenza di atteggiamento. Tre anni dopo Abbagnano avrebbe parlato della possibilit di estendere luso [dei] procedimenti [scientifici] ad altri campi di indagine33. Dopo il tramonto della scienza ottocentesca, con la riduzione della matematica alla logica e della fisica ai metodi di osservazione e di misura, si trattava non di derivare le conoscenze scientifiche da una ragione che sia superiore a esse, ma di riconoscere chiaramente lorizzonte categoriale, a cui appartiene la scienza34, un orizzonte [] costituito da possibilit, incerte sempre e problematiche nella loro riuscita, e problematicamente connesse luna con laltra. Per Abbagnano la filosofia doveva riconoscere se stessa in quello stesso orizzonte della possibilit in cui si muove la scienza, e cos rivedere le sue strutture e sottrarle alle direttive e alle suggestioni della tradizione recente []. Una filosofia cos fatta non nutrir lillusione di acquistare rigore e validit proclamandosi lunico sapere vero e assoluto o scimmiottando nellordine delle sue formulazioni verbali la geometria euclidea o qualche altra geometria, ma porr la sua validit nella
32 N. Abbagnano, Il problema filosofico della scienza, in Fondamenti logici della scienza, Torino, De Silva, 1947, pp. 137-61. 33 N. Abbagnano, La metodologia delle scienze nella filosofia contemporanea, in Saggi di critica delle scienze, Torino, De Silva, 1950, p. 3. 34 N. Abbagnano, La metodologia delle scienze, cit., pp. 16-17.

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capacit di comprendere e garantire la possibilit di tutti gli atteggiamenti umani35. Abbagnano utilizzava uno schema apparentemente positivistico, modellando in qualche modo la filosofia sulla scienza e abbandonando la netta separazione tra luna e laltra che aveva caratterizzato tutta la sua produzione fino ad allora. Dopo aver costantemente indebolito le capacit della scienza, per rivendicare uno spazio alla filosofia come non-conoscenza, ora manteneva lindebolimento della scienza e la difesa di temi indeterministici, contro quelle che considerava ambizioni indebite della scienza ottocentesca, ma faceva di tutto ci una base per indebolire la stessa filosofia. Daltra parte la scienza, discorso chiuso in se stesso, non prestava aiuto alla filosofia presentando dati da elaborare. Era semmai la struttura della scienza, le sue categorie generali che potevano essere adottate dalla filosofia. Di fatto poi queste si riducevano alle categorie modali o forse a una sola di esse. Questa soluzione implicava uninterpretazione molto generica della scienza. Abbagnano respingeva la pretesa, che attribuiva al neopositivismo, di ridurre tutti i linguaggi accettabili al linguaggio scientifico e faceva propria la riduzione logicistica della matematica alla logica. Ma poi interpretava questa tesi come esclusione di una logica che non fosse matematica e la associava a uninterpretazione operazionistica della fisica. Queste assunzioni, di per s assai azzardate, non erano per la premessa per un lavoro di analisi della matematica, della fisica o della scienza in generale, bens presupposti per creare analogie tra il discorso scientifico e il discorso filosofico. Anche per Bobbio il Centro di studi metodologici rappresent un punto di riferimento importante: avrebbe raccontato che la partecipazione alla sua attivit gli aveva consentito di avvicinarsi al neopositivismo, e alla filosofia analitica anglosassone36. Infatti in una confe35 36

N. Abbagnano, La metodologia delle scienze, cit., p. 17. N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 134.

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renza del Centro del marzo 194937 sostenne che il positivismo logico aveva proposto una nuova concezione della scienza, non pi dominata dal razionalismo o dal positivismo, nella quale alla verit si sostituiva il rigore. Questo modello di scientificit, nel quale un linguaggio si dice rigoroso quando sono perfettamente date le regole di formazione delle proposizioni iniziali e le regole di trasformazione onde si passa dalle proposizioni iniziali a quelle successive38, poteva adattarsi perfettamente alla giurisprudenza intesa come analisi del linguaggio, pi precisamente di quel particolare linguaggio in cui attraverso le proposizioni normative si esprime il legislatore39. In sguito Bobbio avrebbe riconosciuto che il programma allora tracciato si fondava su una tesi [] originale ma tuttaltro che fondata; tuttavia per un po continu a lavorarci, fino a quando, nella seconda met degli anni cinquanta, imbocc la strada della logica delle proposizioni normative, detta pi tardi logica deontica40. Nonostante pentimenti e revisioni gli interessi di Bobbio per la logica giuridica avevano origini lontane: infatti nel 1938 aveva vinto il concorso universitario con Lanalogia nella logica del diritto. E su questa base si inseriva con naturalezza linteresse per il positivismo giuridico, soprattutto nella versione di Hans Kelsen. Il primo scritto di Bobbio su Kelsen del 1954, ma due anni prima Sergio Cotta, assistente di Bobbio, ne aveva tradotto la Teoria generale del diritto e dello Stato e fin dal 1932 Renato Treves, amico di Bobbio, lo aveva incontrato in Germania41. Succedendo a Solari nel 1948, Bobbio aveva qualche problema di continuit con linsegnamento del maestro. Solari era soprattutto uno storico della filosofia, anzi della filosofia del diritto42. Forse
37 N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Saggi di critica delle scienze, Torino, De Silva, 1950. 38 N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, cit., p. 38. 39 N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, cit., pp. 44-45. 40 N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 135. 41 N. Bobbio, Autobiografia, cit., pp. 141-43. 42 N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 139.

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gli scrupoli di Bobbio erano eccessivi, perch nonostante i suoi interessi logici e le sue conversioni allo stile analitico, lattenzione per la dimensione storica era rimasta costante. Del resto fin dal 1944-45 si era messo a studiare Cattaneo lavorando su unedizione delle opere che Solari gli aveva donato come regalo di nozze43. In quel momento Bobbio, che aveva da sempre frequentato amici antifascisti, pur senza essere egli stesso antifascista, si era gi accostato a movimenti politici come il liberalsocialismo di Guido Calogero ed era entrato nella resistenza aderendo al Partito dazione. Erano queste le esperienze che avevano indotto Bobbio a rifiutare limpoliticit della cultura decadentistica e della filosofia esistenzialistica. Anche nello studio di Kelsen Bobbio cercava di collegare temi teorici e storico-politici: egli stesso avrebbe collocato linteresse per Kelsen accanto a quello per Hobbes, considerato come il primo teorico dello stato moderno, uninterpretazione perfettamente compatibile con lidea di stato presupposta dalle teorie kelseniane. Daltra parte Bobbio cercava in Kelsen non soltanto il teorico del diritto, ma anche lo studioso delle forme contemporanee di democrazia44. Perch, fallito il progetto politico del Partito dazione, Bobbio abbandon la politica attiva, ma non linteresse per la politica e incominci a scrivere i saggi che nel 1955 sarebbero stati raccolti in Politica e cultura. La tesi fondamentale era che la cultura in quanto tale poteva orientare scelte politiche e il suo obiettivo polemico era la politica culturale dei partiti e dei regimi comunisti, per i quali limpegno politico degli uomini di cultura consisteva in una subordinazione totale alle direttive del partito o dello stato. La scelta politica che la cultura poteva suggerire doveva essere ispirata alla tutela della libert della cultura stessa: su questa base Bobbio delineava una terza via tra il disinteresse per la politica e la subordinazione della cultura alla politica. In quei saggi Bobbio respinge43 44

N. Bobbio, Autobiografia, cit., pp. 86-87. N. Bobbio, Autobiografia, cit., pp. 141-45.

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va le soluzioni politiche del comunismo modellate sullUnione Sovietica e delineava uninterpretazione della democrazia lontana dal liberalismo crociano del quale rifiutava limpostazione ottocentesca e romantica, ricollegandosi direttamente agli ideali illuministici, gi comparsi nella Filosofia del decadentismo. Bobbio entrava cos nel vivo del dibattito politico, assicurando alla cultura torinese una risonanza nazionale. Dopo lintensa stagione esistenzialistica, quando sembrava che a Torino si delineasse, con Guzzo e Pareyson, una forma di postidealismo o, con Abbagnano, una via di uscita dallidealismo fascista ufficiale, dopo linteresse per confluenze e opposizioni tra marxismo e cultura cattolica, Bobbio pareva riprendere lispirazione politica gobettiana. 5. Il neoilluminismo Mentre la cultura filosofica torinese entrava nel circuito nazionale, Abbagnano e Bobbio, incontrandosi al Centro di studi metodologici, scoprivano che, pur avendo percorso itinerari diversi e pur essendo separati dalle posizioni assunte nei confronti dellesistenzialismo, avevano in comune linterpretazione del sapere scientifico e il progetto di riformare la filosofia sul modello della scienza. Nellesporre questo programma si erano trovati concordi nel respingere le concezioni ottocentesche e positivistiche della conoscenza scientifica e nel manifestare una netta preferenza per il Settecento e lilluminismo. Abbagnano diede forma a questi motivi in un saggio su Dewey, pubblicato nel 1948 nella Rivista di filosofia e intitolato Verso il nuovo illuminismo, e li riprese con una trattazione pi sistematica quattro anni dopo in Lappello alla ragione e le tecniche della ragione. Questo articolo inaugurava una nuova fase della Rivista di filosofia, della quale Abbagnano diventava condirettore insieme con Bobbio. Con il saggio del 52 Abbagnano chiudeva la stagione esistenzialistica ma soprattutto metteva fine allirraziona-

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lismo che aveva sempre un po coltivato. Pur conservando qualcosa del linguaggio esistenzialistico, dal quale mutuava il termine atteggiamento, per indicare gli aspetti della razionalit non riducibili alle tecniche di indagine, Abbagnano poteva trovare consonanze non soltanto con Bobbio, ma anche con Geymonat e con altri esponenti del Centro di studi metodologici. Si poteva avere cos limpressione che riemergesse un filone cittadino che risaliva fino a Peano e che aveva avuto una traduzione filosofica sobria con Vailati. Invece passavano in secondo piano altri aspetti della cultura torinese, come il progetto di dare una successione cattolica allidealismo o la discussione sui rapporti tra cattolicesimo e marxismo. Del Noce non scriver pi sulla Rivista di filosofia, nella quale da allora il dibattito sul marxismo non avr quasi eco. Il neoilluminismo sembr manifestare una buona capacit di diffusione. Nel 1953 Abbagnano organizz un convegno al quale invit gli studiosi italiani di filosofia che si sforzano di orientare le loro ricerche fuori delle tradizionali pregiudiziali di un necessitarismo metafisico o con rinnovate cautele rispetto a ogni forma di dogmatismo. Il convegno avrebbe dovuto discutere di criteri comuni per uninterpretazione non metafisica della ricerca filosofica e della loro applicazione [] particolarmente ai rapporti fra indagine filosofica e ricerche scientifiche, come a quelli fra indagine filosofica e vita politica45. Anche se era firmata da Abbagnano, non tutto nella lettera era semplicemente il riflesso del suo pensiero: egli non aveva avversione per la metafisica n particolare attenzione per la vita politica. In compenso era tutto suo il rifiuto del necessitarismo. Il convegno si concluse con la constatazione che i convenuti avevano discusso circa la possibilit e i metodi di un lavoro efficace in rapporto alla odierna situazione del pensiero filosofico e scientifico e con una se45 Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), a cura di M. Pasini e D. Rolando, Milano, Il Saggiatore, 1991, p. 9.

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rie di moniti o impegni: bisognava assicurare la massima apertura verso [] tutti i problemi della cultura moderna, rifiutare atteggiamenti che alla ricerca filosofica impediscono luso delle ricerche e delle tecniche specifiche elaborate nei vari campi del sapere, porre continuamente in problema i propri risultati e i propri metodi in vista di una critica spregiudicata e radicale, stabilire tra filosofia e scienze una connessione articolata che risulti capace di sgombrare la filosofia da problemi e concezioni derivanti da fasi arretrate della ricerca scientifica e che sia capace di dare un contributo positivo alla critica e al rinnovamento delle strutture di fondo delle scienze, riconoscere la responsabilit politica inerente allimpostazione aperta del lavoro filosofico ed essere disponibili ad assumere limpegno di difendere e promuovere le condizioni di libert che rendono possibile tale lavoro46. Tra i filosofi non torinesi che firmarono le conclusioni figuravano tra gli altri Remo Cantoni, Mario Dal Pra, Ludovico Geymonat, Nicola Matteucci, Enzo Paci, Giulio Preti, Ferruccio Rossi Landi, Paolo Rossi, Antonio Santucci, Uberto Scarpelli, Renato Treves, Andrea Vasa, Aldo Visalberghi, Giovanni M. Bertin, Lamberto Borghi, Guido Calogero, Eugenio Garin, Franco Lombardi, Alberto Pasquinelli. Il convegno si concluse anche con limpegno a prendere tempestivamente accordi diretti per dare concreta attuazione al programma approvato47. Di fatto quelle intese non ci furono e i partecipanti continuarono i propri lavori in modo indipendente. Anche i convegni, che si tennero fino al 1962, non realizzarono affatto un programma che avesse qualcosa di illuministico. Tenne unito il neoilluminismo una filosofia del finito che, pi o meno condivisa da tutti, affondava le proprie radici nellopposizione allidealismo. A Torino poteva presentarsi come il prodotto tanto dellesistenzialismo di Abbagnano quanto del liberalismo kantiano di
46 47

Il neoilluminismo italiano, cit., p. 11. Il neoilluminismo italiano, cit., pp. 11-12.

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Bobbio, a Milano del razionalismo e della filosofia delluomo copernicano di Banfi. E quella filosofia era accettabile anche a chi, come Garin, assai meno estraneo alla cultura idealistica, si era tenuto lontano dalla metafisica totalizzante dellidealismo, come si diceva allora. Ma allinizio il neoilluminismo sembr dominato dal programma che Abbagnano e Bobbio avevano tracciato negli interventi presso il Centro di studi metodologici. Lattenzione si rivolgeva al rapporto tra filosofia e scienza, non per contribuire allo sviluppo della conoscenza scientifica (cosa che nessuno dei filosofi era in grado di fare), ma per elaborare uninterpretazione aggiornata delle scienze, che consentisse alla filosofia di stabilire buoni rapporti con esse. Di fatto si criticava lidea di scienza che si era formata nellet moderna classica, dal Seicento allOttocento, e che il positivismo aveva trasformato in una dottrina filosofica. Il neoilluminismo divent anche uno dei luoghi nei quali la filosofia italiana speriment la svolta linguistica che aveva caratterizzato la cultura filosofica anglosassone. Lincontro con gli indirizzi ai quali quellespressione di solito si riferisce era gi incominciato nel Centro di studi metodologici; ma ora si cercava di avviare lesplorazione di linguaggi diversi da quello delle scienze fisico-matematiche, cio dei linguaggi dei sistemi normativi, della sociologia e della storiografia. Su questo terreno apparvero le prime divergenze allinterno del gruppo neoilluministico. Bobbio, Scarpelli o Preti erano propensi ad accettare la distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio normativo, corrente tra i filosofi analitici, mentre gran parte degli altri componenti del gruppo ritenevano insufficiente lanalisi delle norme in termini di linguaggio. Contro limpostazione analitica si invocava la necessit di prestare attenzione alla particolarit delle situazioni storiche, che il riferimento predominante al linguaggio rischiava di offuscare. Ma anche nellinterpretazione di questa istanza le posizioni non erano uniformi. Paci metteva in guardia contro ogni forma di filosofia che ritenesse impossibile andare al di l del linguaggio,

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Dal Pra temeva che laffidarsi al linguaggio facesse riemergere illusorie certezze metafisiche, mentre per Garin il richiamo alle condizioni storiche doveva escludere ogni pretesa di costruire un sapere universalizzante. La maggior parte dei neoilluministi prese le distanze dalla tesi dei filosofi analitici, che consideravano il linguaggio ordinario dotato di strutture logiche e ne facevano loggetto primario delle indagini filosofiche: un tema sul quale Rossi Landi inutilmente tentava di richiamare lattenzione. Daltra parte si delineava una resistenza anche alla proposta di Preti di dare il massimo rilievo ai linguaggi speciali delle singole discipline e di riservare a una filosofia, che non volesse usare un linguaggio semplicemente metaforico, il compito di costruire le ontologie regionali ricavabili di quelle discipline. Nei convegni neoilluministici si afferm, tra queste istanze contrastanti, la tendenza a costruire concetti con procedure essenzialmente lessicali e definitorie, con le quali si riteneva che la filosofia potesse aiutare le discipline ancora poco agguerrite dal punto di vista metodologico a darsi le regole per organizzare il proprio linguaggio specifico. Sullo sfondo agiva la convinzione che si potessero produrre conoscenze per via metodologica e che la metodologia si riducesse a schemi logico-linguistici generali, quando il neopositivismo da un lato e lanalisi del linguaggio dallaltro avevano ormai elaborato strumenti molto fini di chiarificazione delle strutture logiche dei linguaggi formalizzati o del linguaggio ordinario. Nel 1958 il convegno neoilluministico fu dedicato a Lavvenire della dialettica, e uno dei documenti sui quali si svolse la relazione fu la voce Dialettica, scritta da Abbagnano per il Dizionario di filosofia, al quale stava lavorando. Questopera, che costitu il suo impegno principale nel corso degli anni cinquanta, rappresentava anche lapplicazione pi vasta e sistematica del modo di intendere il lavoro filosofico emerso negli interventi presso il Centro di studi metodologici e nei convegni neoilluministici. Anche se lincontro con la filosofia linguistica andava esaurendosi, da quella esperienza emer-

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geva la proposta di una chiusura rigorosa verso ogni tentativo di ricupero della dialettica, proprio nel momento in cui in Italia essa stava diventando uno dei temi di moda. Tutti i partecipanti al convegno condividevano pi o meno lidea che la dialettica hegeliana non potesse essere ripresa integralmente, ma molti credevano ancora nella possibilit di riformare la dialettica, per usare una formula che era stata cara agli idealisti, e di utilizzarla come strumento di comprensione del mondo storico nella sua peculiarit, contro le interpretazioni riduttive della storicit, che sapevano di neopositivismo. La filosofia di Marx, soprattutto del giovane Marx, sembrava offrire qualche possibilit in questo senso. Cos arrivavano fin dentro i convegni neoilluministici gli echi delle discussioni sulla dialettica e sul marxismo che percorrevano la cultura italiana e che stavano segnando anche la crisi del gramscismo allinterno dellideologia del comunismo italiano. Nel convegno sulla dialettica si sent Luporini citare tra le autorit filosofiche, oltre a Marx e Engels, anche Lenin e Stalin, e sembr che la cosa accadesse per la prima volta fuori delle riunioni di partito. Il costruttivismo linguistico alla buona emerso tra Torino e Milano sembr offrire per un certo tempo una via media tra coloro che erano interessati alle strutture logiche complesse, alle quali si riferivano neopositivisti e filosofi analitici, e coloro che diffidavano di qualsiasi forma di filosofia linguistica. Ma alla fine degli anni cinquanta il marxismo aveva acquistato in Italia una posizione dominante, e non aveva pi bisogno di presentarsi come successore dellidealismo attraverso la mediazione di Gramsci. Quando al convegno neoilluministico si discuteva di dialettica era in pieno svolgimento il ritorno a Marx non pi mediato dal marxismo nostrano: da un lato tornava al centro dellattenzione il rapporto tra Marx e Hegel, dallaltro si ripresentava la connessione tra marxismo ed esistenzialismo, gi popolare nella cultura italiana, ma questa volta ritrovata nellopera di Sartre. Questa era la via battuta da Paci, che era stato legato ad Abbagnano da profonda amicizia, nata anche

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dalle comuni esperienze esistenzialistiche, ma che aveva sempre diffidato del suo apprezzamento del sapere positivo e del suo metodologismo. Paci non si sarebbe fermato a Sartre: nella sua riscoperta dellesistenzialismo sarebbe risalito allultimo Heidegger e allultimo Husserl, nel tentativo di costruire una filosofia centrata sul rifiuto del sapere positivo quale si era venuto configurando nella societ industriale occidentale. Gi nellultimo dei convegni neoilluministici, del 1962, Giulio Preti aveva proposto un programma filosofico ricco di temi husserliani, che gli erano da sempre familiari e che ora ripresentava in chiave diversa da quella nella quale la filosofia di Husserl veniva riscoperta. Quello di Preti era un Husserl diverso dal risentito nemico della scienza galileiana, amato dai suoi riscopritori; ma la stagione del neoilluminismo era comunque ormai chiusa. A Torino anche Pietro Chiodi rispondeva al ritorno di Husserl e di Heidegger. Era stato allievo di Abbagnano prima ancora del suo trasferimento alla Facolt di Lettere e aveva studiato nellatmosfera della scoperta dellesistenzialismo degli anni quaranta, ma si era tenuto lontano dalle discussioni metodologiche e dal neoilluminismo. Intervenendo nella discussione su Sartre e sullultimo Heidegger riprendeva i temi dellesistenzialismo positivo originario e cercava di riproporre gli strumenti analitici elaborati da quella filosofia mettendoli al riparo dalluso profetico o ideologico che se ne stava facendo. A fare i conti con il marxismo, soprattutto con il marxismo che, rifacendosi a Lukcs, alla scuola di Francoforte o presentandosi come teoria della rivoluzione, pretendeva di offrire un sapere globale nuovo, si misero anche filosofi che erano passati per il neoilluminismo e ne stavano uscendo, per i quali una qualche continuit con leredit neoilluministica era forse rappresentata dallavversione per le forme profetiche dellideologia marxista. Geymonat riscopriva la dialettica, ma cercava di ricavarne strumenti per interpretare lo sviluppo storico della scienza. Preti pensava di trovare negli scritti giova-

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nili di Marx le basi per conciliare il marxismo con lempirismo neopositivistico e con il pragmatismo deweyano. Bobbio non faceva concessioni al marxismo, ma continuava ad atteggiarsi a interlocutore critico del comunismo e della sua ideologia. Semmai linfluenza del marxismo si avvertiva nel fatto che, fedele al binomio giustizia e libert, cui aveva ispirato il suo impegno politico, Bobbio tuttavia accentuava lattenzione per la giustizia e approfondiva gli aspetti teorici della democrazia. Ma nel panorama italiano egli continuava ad apparire come uno degli eredi pi significativi della tradizione azionista, nella quale il riferimento a regole morali e lapprezzamento per lordine giuridico prevalevano su ideologie che incorporavano discutibili filosofie della storia. Anche Garin, che pure aveva partecipato molto marginalmente alla vicenda neoilluministica, rifiutava linterpretazione del marxismo come una visione del mondo, e anzi fin con il diventare un rappresentante prestigioso di ci che era rimasto del gramscismo, depurato dei contenuti dottrinali pi impegnativi, originari o inseriti dalla scolastica comunista. Anche lui, come Bobbio, ricuperava una tradizione italiana, che era per non quella dellazionismo, ma piuttosto quella idealistica. Tuttavia fuori della citt fu Bobbio a essere considerato un rappresentante tipico della cultura torinese maturata tra la fine della guerra e i primi anni sessanta. Quando ormai il neoilluminismo era finito venne chiamato nelluniversit di Torino Franco Venturi, che a Torino condusse il grosso delle sue ricerche sullilluminismo e fond una fiorente scuola storiografica. Tra il neoilluminismo e linterpretazione venturiana dellilluminismo non cera nulla in comune, n il movimento neoilluministico influenz Venturi. I suoi rapporti con Abbagnano erano quasi inesistenti e le loro mentalit diversissime. Invece la militanza nel Partito dazione aveva unito Venturi a Bobbio: essi avevano in comune uninterpretazione etica dellimpegno politico e lavversione per la filosofia speculativa, nella quale pure Abbagnano si era cimentato. Quando la stagione dellilluminismo

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come programma filosofico militante sar giunta alla fine e Torino sar diventata una sede importante di storiografia sullilluminismo classico, sembrer che la cultura cittadina si fosse isolata dal resto del paese e fosse rimasta fedele ai modelli aristocratici degli intellettuali illuministi, nella nostalgia di riforme e risorgimenti mai del tutto compiuti, prigioniera di un clich austero di intransigenza, mentre il resto del paese era pervaso da culture pi chiassose e corrive, insieme profetiche e popolari. A distanza di molti anni, scrivendo le proprie memorie, Abbagnano canceller quasi completamente lesperienza compiuta tra la fine degli anni quaranta e linizio degli anni sessanta: si limiter a ricordare quel tempo come un periodo molto operoso, mentre far dellesistenzialismo il tema costante del proprio pensiero. Eppure frutto di quellintenso lavoro furono la Storia della filosofia e il Dizionario di filosofia, le due opere che, dopo gli scritti esistenzialistici, costituirono il suo maggior successo editoriale e lo fecero apprezzare anche da chi non condivideva i suoi orientamenti speculativi. Esse inoltre, pi che quelle esistenzialistiche, ispirarono una parte cospicua della filosofia torinese, che si espresse soprattutto attraverso il lavoro storiografico. Ma tra i propri scolari Abbagnano ricorder con particolare calore Chiodi, che aveva condiviso la sua esperienza esistenzialistica e che era intervenuto sui temi esistenzialistici tornati di moda, riuscendo a interloquire anche con la cultura marxista. Del resto nei primi anni sessanta Abbagnano incominci a collaborare intensamente ai quotidiani, e anche questo fatto segn la fine del suo interesse per il neoilluminismo e il ritorno a una pratica di saggezza legata alla vita quotidiana, lontana dalle ambiziose formulazioni teoriche che avevano costituito il contenuto di una parte significativa della sua attivit. Dellantico sodalizio costituitosi tra Torino, Milano e Firenze sopravvivr il legame con Remo Cantoni che alla filosofia della quotidianit si era sempre richiamato, anche in polemica con il neoilluminismo.

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La parte restante della filosofia torinese stimolata da Abbagnano rimase sostanzialmente isolata dalla cultura cittadina come dalla cultura nazionale prevalente. Essa infatti non fece propri gli schemi storiografici che consentivano alla filosofia di dialogare con lideologia, soprattutto con lideologia marxista, e anzi cerc sempre di dirigere lattenzione verso temi solitamente trascurati o di proporre interpretazioni impopolari degli autori canonici. Ma ci che dava un senso di estraneit a quel che rimaneva delleredit di Abbagnano era dovuto al permanere delle idee espresse da Abbagnano dopo il fallimento dellesistenzialismo: che tutta la conoscenza fosse riservata alla scienza, che la scienza non avesse bisogno di legittimazioni filosofiche e che anzi la filosofia non disponesse di strumenti adeguati per dare unanalisi soddisfacente della conoscenza scientifica. E questo proprio nel momento in cui la filosofia italiana cercava di fronteggiare e contestare il primato della cultura scientifica, inserendo la storia della scienza in una pi generale storia della cultura o andando in cerca di una razionalit superiore a quella scientifica. 6. Tra filosofia cattolica e marxismo Lunico dei filosofi torinesi che sbito dopo la guerra si form una vera e propria scuola fu Guzzo. Egli aveva ormai imboccato la strada del sistema filosofico, che avrebbe esposto in pi volumi. Nel primo, Lio e la ragione, riprendeva quello che era stato il suo progetto originario: eliminare gli elementi razionalistici presenti nella filosofia idealistica. E per realizzarlo sosteneva il primato del soggetto sulla ragione della quale il soggetto fa uso. Il suo era un kantismo spiritualistico, nel quale le categorie diventavano forme di attivit o forme formanti, come diceva da tempo. Sottomettere la ragione allio significava non assegnare un valore oggettivo ultimo alla conoscenza scientifica: nel volume La scienza del 1955 avrebbe sostenuto che ordi-

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ne matematico ed esperienza sono prodotti dellattivit spirituale delluomo. Gli scolari di Guzzo svilupparono le sue idee. Vittorio Mathieu perfezion linterpretazione spiritualistica del kantismo, che mescol con la filosofia di Bergson e con la teoria goethiana delle forme. Francesco Barone contrappose al neopositivismo uninterpretazione della scienza fondata sul primato della logica trascendentale sulla logica formale. Anche Pareyson, lo scolaro pi importante di Guzzo, dedic molto tempo a sviluppare la teoria delle forme, adattandola prima allinterpretazione della persona poi allestetica. In Italia erano stati gli idealisti, soprattutto Croce, a coltivare lestetica. Ma mentre Croce e Gentile avevano genuini interessi e competenze letterarie, lestetica era poi diventata una specialit filosofica, e in questo modo la coltiv Pareyson, badando pi alla filosofia che alle opere darte. Del resto neppure la sua teoria della persona muoveva da interessi politici o sociali, ma era un modo per affermare il carattere spirituale della realt: nelle sue mani persona o opera darte diventavano modi attraverso i quali si rivela lo spirito. La loro caratteristica consisteva nella capacit di ricevere contemporaneamente predicati contrari: la persona era per lui passivit e attivit, definitezza e infinit, plasticit e programmazione, dedizione e obbligazione, libert e necessit, universalit e singolarit, totalit e insufficienza e cos via48. E un procedimento analogo Pareyson adoperava in estetica. Questa singolare trovata gli serviva per scoprire una dimensione diversa da quelle delle cose, che appunto ricevono soltanto predicati compatibili tra loro. Era un metodo filosofico del tutto opposto a quello che aveva ispirato i programmi del Centro di Studi metodologici e che si era realizzato nel Dizionario di filosofia al quale lavorava Abbagnano. Ed era in qualche modo il ricupero di una dialettica non hege48

L. Pareyson, Esistenza e persona, Torino, Taylor, 1950, parte II,

cap. 6.

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liana, che Pareyson andava scoprendo negli studi sullestetica di Kant e su Fichte. Il ricupero di una certa tradizione filosofica tedesca era la via attraverso la quale Pareyson si proponeva di costruire una filosofia cattolica. Uscendo dallesistenzialismo e dallidealismo, con Esistenza e persona del 1950, aveva ripreso il tema della conciliazione di cristianesimo e idealismo da sempre caro a Guzzo. Egli aveva considerato lhegelismo una sfida al cristianesimo; e lesito della sfida, che aveva messo capo alle filosofie di Feuerbach, Marx, Kierkegaard e Nietzsche, aveva chiarito limpossibilit del cristianesimo nella filosofia moderna dominata da Hegel. In questa direzione Pareyson poteva richiamarsi a una figura di spicco della cultura torinese come Martinetti, che aveva dato uninterpretazione non ottimistica del rapporto tra cristianesimo ed et moderna e tra cristianesimo e idealismo. Ma mentre Martinetti aveva cercato nella filosofia tedesca da Schopenhauer al neokantismo teologico lalternativa allidealismo, Pareyson cercava un idealismo alternativo a quello hegeliano, mettendo insieme Schiller e Goethe, Fichte e lultimo Schelling. E se Martinetti, come Ruffini, aveva cercato di proporre una religiosit liberale e austera, di tipo protestante, e aveva ricondotto al fallimento di ogni riforma religiosa nel nostro paese molti dei limiti culturali che lo affliggevano, Pareyson si candidava a diventare un esponente della filosofia cattolica ufficiale sviluppatasi allinterno dellidealismo gentiliano, in cui il suo maestro lo aveva allevato. Realizzando questo progetto Pareyson acquistava un peso sempre maggiore non solo nella filosofia cattolica, ma anche nel sistema di potere cattolico, esercitando una funzione importante nel controllo della politica universitaria. A Torino Pareyson non era lunico rappresentante della filosofia cattolica. A unimpresa analoga alla sua lavoravano Mazzantini, che per era una figura minore, anche se non privo di sguito in citt, soprattutto nei circoli cattolici, e Del Noce che, come Pareyson, prendeva lo spunto dalla crisi dellhegelismo per proporre

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una forma di personalismo cristiano. Ma al personalismo di Pareyson, costruito con strumenti ricavati dallidealismo italiano e dallidealismo tedesco non hegeliano, Del Noce contrapponeva un personalismo costruito nei modi del tradizionalismo francese. A Torino le sue idee non ebbero molta fortuna, ed egli si trasfer a Roma anche per opera di Sergio Cotta. Neppure Cotta a Torino aveva avuto sguito, mentre a Roma, divenuto esponente di un cattolicesimo battagliero, nettamente antimoderno, si distinse nellopposizione alle leggi che avevano introdotto in Italia il divorzio e laborto. Se dagli ambienti torinesi interessati al confronto tra cattolicesimo e marxismo doveva nascere lidea di una filosofia alternativa al marxismo, nella scuola di Pareyson prendeva invece forma una filosofia che avrebbe aspirato a sostituire il marxismo come ideologia dominante. Agli inizi degli anni sessanta la crisi del gramscismo si manifest anche nella cultura letteraria. La fondazione del Gruppo 63 metteva in crisi lideologia del neorealismo, che aveva ampiamente dominato la vita artistica nazionale e che aveva legami con il gramscismo. Del Gruppo 63 faceva parte Umberto Eco, che aveva studiato a Torino e qui si era laureato con Pareyson. Eco ne aveva ereditato gli interessi estetici e come lui aveva utilizzato lestetica soprattutto per costruire una filosofia. Si trattava di una filosofia al centro della quale stava lopera darte intesa come opera aperta, cio come oggetto di infinite interpretazioni possibili e di interpretazioni di interpretazioni. Erano cose che avevano detto Pareyson e prima di lui Guzzo per rivendicare il primato di forme di esistenza spirituali e di forme di conoscenza diverse da quella empirica. Eco riprese queste idee: occupandosi prima di teoria dellinformazione e poi di semiologia, sostenne che anche le cose sono soltanto termini finali di processi semiologici e cerc di ricondurre allinterpretazione le diverse forme di conoscenza e di esperienza. Comera abitudine in quel periodo Eco, dopo aver dato un taglio liberale alle proprie idee, civett non poco con il marxismo popolare che si stava diffondendo

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nella cultura italiana. Ma i temi che aveva ripreso dalle filosofie di Guzzo e di Pareyson furono riproposti in chiave diversa dopo lassimilazione di Verit e metodo, che Hans-Georg Gadamer aveva pubblicato nel 1960. Ricorrendo a Gadamer diventava possibile liberare il concetto di interpretazione dallapparato semiologico e fare della tradizione loggetto privilegiato della conoscenza. Ci permetteva di ricuperare la filosofia dellessere heideggeriana, aprendo, attraverso linterpretazione, una via verso lessere, che Heidegger aveva finito con il rendere inaccessibile. La scuola di Pareyson fu uno dei primi luoghi nei quali lermeneutica gadameriana fu accolta in Italia, tanto che nel 1971 lo stesso Pareyson ne dar una propria versione in Verit e interpretazione. Linterpretazione gadameriana di Heidegger permetteva di tagliare i ponti con la versione esistenzialistica della sua filosofia e di ricuperare la filosofia dellessere, ma anche di uscire dalle discussioni centrate intorno a Sartre e al rapporto tra Heidegger e Husserl. Nelle filosofie di questo tipo continuava ad agire la preoccupazione di rendere possibile limpegno politico e di formulare progetti di modificazione globale della societ, in sintonia con le ideologie marxiane totalizzanti che si erano diffuse dopo la crisi del gramscismo. Ma Pareyson prendeva duramente posizione anche contro la cultura dellimpegno politico moderato teorizzato da Bobbio e ripreso nel neoilluminismo. Erano tutte forme di quello che Pareyson chiamava pampoliticismo, manifestazione estrema della filosofia espressiva, che dipende dalle situazioni nelle quali nasce e ne soltanto un sintomo. Quella che Pareyson costruiva pretendeva di essere una filosofia rivelativa perch si configurava come interpretazione dellessere. Lestetica di Pareyson non ebbe continuatori n la sua ermeneutica dai toni cupi e minacciosi ebbe molto successo, ma nella sua scuola si prepar la filosofia che doveva succedere alle ideologie totalizzanti. Quando si rivel impraticabile la costruzione di un sapere nuovo, capace di sostituire il sapere tecnico-scientifico, si prefe-

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r costruire una critica della civilt tecnologica. Alla fine degli anni sessanta Torino divent uno dei primi luoghi nei quali si manifest la protesta giovanile che avrebbe scosso non solo lItalia e che avrebbe segnato severamente il marxismo, facendo saltare lidea che la rivoluzione fosse la figlia naturale dello sviluppo. Del resto proprio a Torino prima il gruppo raccolto intorno ai Quaderni rossi, al quale non erano estranei giovani usciti dalla scuola filosofica accademica, aveva proposto uninterpretazione dura del marxismo, poi il movimento di Lotta continua avrebbe avuto un sguito largo. Ma nei movimenti giovanili ogni richiamo ai limiti reali parve arbitrario e il bisogno di irrealt fu molto forte. La scuola di Pareyson fu, in Italia, uno dei luoghi nei quali si prepar una risposta a quel bisogno. Il primato conferito allarte e, in filosofia, allestetica lasciava intrevvedere unontologia nella quale le cose erano sostituite da opere, cio da oggetti non di conoscenza, ma di interpretazione. Dando una riformulazione semiotica dellestetica, Eco aveva ricuperato esperienze francesi e americane e aveva condotto unefficace propaganda del primato dellarte. Ma sulla scorta dellermeneutica e della filosofia dellessere quelle posizioni furono generalizzate, e Gianni Vattimo deline uninterpretazione dellessere come qualcosa di leggero, discontinuo e, in fondo, benigno. Lesistenza reale, quella delle cose, veniva privata di ogni consistenza e avvicinata al nulla. Il nichilismo esistenzialistico, che la tradizione italiana aveva sempre evitato, si ripresent come rifiuto o trasfigurazione della modernit. Il grande annuncio che percorse tutte le culture occidentali fu che let moderna era finita, e con essa tutte le sue durezze, che la repressione addizionale per dirla con Marcuse era finita. 7. Leggende e immagini Dopo la guerra la filosofia torinese era rimasta quasi del tutto estranea al dibattito sul marxismo che stava

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coinvolgendo gran parte della cultura filosofica italiana. Il marxismo non ebbe rappresentanti torinesi di grande statura e fu elaborato pi a Milano, Firenze, Pisa, Roma o Bari che a Torino, nonostante che qui operasse un editore come Einaudi, legato alla politica culturale della sinistra. Idealismo cattolico ed esistenzialismo positivo rifiutavano il primato dellideologia e della militanza politica; perfino chi, come Bobbio, giustificava limpegno politico degli intellettuali sembrava riprendere il progetto fallito del Partito dazione, e comunque impersonava una cultura piemontese sdegnosa e un po appartata, chiusa in un orgoglioso moralismo. Ma soprattutto la diffidenza nei confronti delle ideologie e lattenzione per la conoscenza scientifica creavano intorno alla cultura filosofica torinese un senso di estraneit; e non manc chi favoleggiava sulla convergenza tra neoilluminismo e cultura industriale della Fiat. Quando gramscismo e materialismo dialettico presero a declinare, luscita dal capitalismo risult illusoria e le sinistre apparvero incapaci di amministrarne leredit, si cerc di innestare sui resti del marxismo una mescolanza di liberalismo e socialismo importata prevalentemente dagli Stati Uniti; ma nonostante il fatto che Bobbio fosse stato da sempre un rappresentante di prestigio della tradizione liberal-socialista, questa impresa tocc Torino soltanto di riflesso. Chi conduceva quellimpresa mirava infatti a eliminare i temi antimodernistici e antindustriali che costituivano una parte importante del patrimonio del marxismo, mentre proprio quei temi furono ripresi a Torino da filosofie che avevano radici nello spiritualismo e nellidealismo cattolico. Queste filosofie utilizzavano unimmagine della modernit non cos imbarazzante come quella che aveva al proprio centro la rivoluzione scientifica e il capitalismo, e dalla quale si poteva uscire per entrare nellet postmoderna. Ci che lideologia aveva promesso come frutto di rivoluzioni e violenze era ora a portata di mano, in fondo gi presente nella realt, perch era stata let moderna classica a occultare le possibilit utopiche, con le sue durezze, dovute allaffer-

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marsi della razionalit tecnico-scientifica in un momento che era ancora di scarsezza. Ma nellet del trionfo della tecnica quelle restrizioni non erano pi necessarie. Perfino una certa eredit del neoilluminismo fu ricuperata: linterpretazione metodologica della scienza pot essere facilmente conciliata con la riduzione della stessa conoscenza scientifica a fatto essenzialmente letterario, affrontabile con i canoni dellermeneutica. Ermeneutica e filosofia dellessere facevano dileguare il nucleo duro della cultura moderna, in nome di una visione del mondo in cui tutto letteratura o quasi e in cui le cose perdono solidit di fronte a un essere che si sottrae a ogni tentativo di conoscenza. Il progetto di alleanza di cattolici e comunisti che era nato anche a Torino e che era stato perseguito da uomini politici importanti dei due schieramenti, si realizzato, favorito anche dalla crisi del partito cattolico ufficiale e del Partito comunista. E a Torino una cultura filosofica morbida e di buoni sentimenti, ampiamente permeata dalle idee emerse con il sessantotto, diventata un elemento comune degli eredi della filosofia cattolica e della cultura di sinistra, dalla quale la filosofia accademica si era sempre tenuta distante. Le antiche contrapposizioni si sono dissolte. La casa editrice Einaudi, dopo una profonda crisi finanziaria, ha perduto del tutto la propria funzione di luogo di elaborazione di idee. Da simbolo di un illuminismo severo nella critica dei pregiudizi Bobbio diventato il rappresentante di una moralit talvolta arcigna, ma largamente riconosciuta nella societ cittadina: fattosi difensore delle idee di democrazia e di sinistra politica, la sua adesione alla difesa della laicit, che era stato uno dei punti forti del programma del neoilluminismo, passata in secondo piano. Leredit del Centro di studi metodologici non ha avuto sguito nella cultura cittadina, nella quale non si sviluppato un interesse significativo per la filosofia della scienza, nonostante che Torino fosse stata la citt di Peano e nonostante vi avessero lavorato Pastore e Geymonat. N la presenza di scienziati di prestigio nellUni-

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versit e nel Politecnico ha stimolato una collaborazione effettiva tra loro e i filosofi. Semmai nella scuola di Pareyson si sono prese in considerazione le logiche non attinenti al linguaggio scientifico, dando una veste attuale a quello che ai tempi di Guzzo si chiamava il primato della logica trascendentale; e su questa base si impiantata limportazione della filosofia analitica, acclimatata nello spiritualismo esistenzialistico locale attraverso il parallelo tra Wittgenstein e Heidegger. Leredit del neoilluminismo e della filosofia di Abbagnano e Bobbio ha prodotto negli anni cinquanta e sessanta imprese importanti in due direzioni: lestensione dei metodi rigorosi di analisi al linguaggio della storiografia e delle scienze sociali e lintroduzione nella cultura italiana e nelle universit italiane delle scienze sociali. Si trattava di proposte che andavano in controtendenza rispetto alla cultura marxista e a quella cattolica e che erano componenti fondamentali della filosofia laica, che allora aveva nella universit torinese uno dei maggiori punti di forza. Questo tipo di cultura ha fortemente risentito della crisi vissuta dal paese con il sessantotto e in parte stata privata della sua possibilit di penetrazione. Di fronte alla crescita della domanda di cultura diffusa essa si appartata e ha coltivato la propria specializzazione professionale. La sua vocazione illuministica a contribuire alledificazione di una societ laica si per allargata, inducendola a farsi strumento per la critica e la demistificazione delle stesse credenze filosofiche, via via che queste venivano utilizzate nella forme popolari di cultura e nella restaurazione di ideologie politiche in crisi. Questo stato anche lo sfondo sul quale si collocata la produzione storiografica fiorita alla scuola di Abbagnano. Abbagnano non era uno storico di mestiere, ma aveva, anche per la costante avversione allidealismo e allesistenzialismo spiritualistico, proposto un tipo di storiografia non convenzionale, soprattutto rispetto alla tradizione culturale italiana. Lo sviluppo storico complessivo della filosofia non risultava pi dominato da figure come quelle di Aristotele o di Hegel, che

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erano invece i personaggi di riferimento prima delle filosofie cattoliche o marxiste, poi dei filosofi dellessere e degli ermeneuti. N nella sua ricostruzione storiografica aveva un posto centrale il Rinascimento, che la storiografia idealistica aveva continuato a considerare come la vera origine del mondo moderno. Il gusto per la ricostruzione delle strutture concettuali delle dottrine filosofiche e la tendenza a non condividere le scelte storiografiche correnti ha dato vita a Torino a una cultura filosofica nella quale la storiografia utilizzata non come strumento per la produzione di teorie filosofiche, ma per far emergere ci che le dottrine filosofiche, soprattutto quelle pi popolari, tendono a nascondere. C una leggenda che circonda la citt, una leggenda attraverso la quale spesso il resto del paese guarda a essa, e della quale sovente la stessa citt si compiace: una leggenda che ne fa una citt isolata, corretta e glaciale, poco italiana, resistente agli entusiasmi. Forse sullo sfondo si possono scorgere leredit dellantico stato militare sabaudo, un Risorgimento diventato unaltra cosa rispetto ai progetti originari, la perdita dello statuto di capitale, una certa resistenza alla retorica del fascismo e dei partiti di massa suoi eredi. Certamente c stata anche la Torino dei movimenti operai, dei buoni sentimenti cristiani e socialisti, del leninismo di Gramsci e del moralismo di Gobetti. Una parte di queste cose passata nella Torino postmoderna e postideologica, socialista e cristiana. Ma una parte di distaccato orgoglio intellettuale presente in alcune di quelle esperienze ritornato, o ha dato limpressione di essere ritornato, nel chiuso dellAccademia, tra gli scolari di un professore di formazione napoletana, quasi sempre isolato. Di formazione napoletana come il suo collega pi anziano che lo aveva aiutato a venire su, come si diceva, e destinati entrambi a rompere un clima filosofico quieto, a restituire alla citt due piccoli e opposti frammenti del suo volto.

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Summary. The relation between academic philosophy and the widespread town culture are inquired. Existentialism came out in Turin in the last thirties, and on the one hand it entered idealistic philosophy, whereas on the other hand it helped to construct a philosophical alternative to idealism. From the first perspective a form of catholic philosophy was born in Turin, which contributed to reconciliation between catholicism and Marxism. From the second perspective existentialism, in a particular positive outlook, produced neoilluminismo, a philosophy quite outside the main Italian philosophical culture.

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