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Capitolo 1

Edward

Festa

Era notte fonda ormai. E come ogni notte, da quasi sei mesi, stavo ad osservare l'amore della mia
vita, della mia esistenza, dalla sedia a dondolo nell'angolo più lontano della stanza di Bella. Si era
addormentata tra le mie braccia, ma mi ero tolto dal suo fianco quando avevo sentito il suo corpo
delicato e caldo rabbrividire a contatto con la mia pelle di ghiaccio. Stava dormendo tranquilla.
Pronunciava il mio nome di tanto in tanto nell'oscurità, e il lieve sussurro che usciva dalle sue
labbra morbide continuava a darmi una gioia immensa, tanto grande da gonfiarmi il petto che, muto,
sembrava ogni volta riprendere vita. Da qualche settimana ormai i suoi sogni erano tranquilli, dopo
la tragica vicenda che l'aveva vista protagonista la primavera precedente. Anche se in lei la paura di
quei giorni era ora solo un terribile ricordo, o almeno cosi mi dava a vedere, in me destava ancora
un'angoscia, una rabbia e una delusione enormi.

L'angoscia nasceva dal fatto che ero arrivato ad un soffio dal perdere la ragione della mia vita, la
rabbia era frutto dell'idea che se anch'io non fossi stato la ragione della sua vita, se non mi avesse
amato così tanto da rischiare tutto pur di stare con me, non sarebbe mai arrivata così vicina alla
morte. Infine, la delusione nasceva da me stesso. Io, che dicevo di amarla, che avevo messo in
pericolo tutta la mia famiglia a causa del mio egoismo, che mi faceva desiderare lei - e continuo a
desiderarla - più di ogni altra cosa, che avevo combattuto contro quel mostro, contro James, per
salvarla, io stesso avevo rischiato di ucciderla nel tentativo di succhiarle via il veleno - quel veleno
che l'avrebbe tramutata in un mostro proprio come me, quel veleno che lei ora tanto desiderava - dal
sangue. Quel sangue caldo e dolcissimo, un profumo tanto affascinante per me e un sapore cosi
buono che, se non fosse stato per il mio autocontrollo e la vicinanza di Carlisle, mi avrebbe portato
a strapparle la vita per via della bruciante voglia che in quel momento avevo avuto di lei, del suo
sangue...

Fortunatamente, un mormorio scaturì dalle labbra di Bella, un nuovo tono teso nelle sue parole...
tanto bastò a scacciare via quei pensieri terrificanti e un'improvvisa preoccupazione mi avvolse.
Stava sognando si, ma non sembravano più i sogni tranquilli di poco prima.

Spinsi giù il fiotto di veleno che il ricordo del sapore del suo sangue mi aveva fatto salire in bocca,
e mi avvicinai a lei silenzioso. Brontolava cose incomprensibili persino al mio udito finissimo, poi,
più chiara e squillante disse "Nonna Marie!".

Stava sognando sua nonna - che era morta sei anni fa, come mi aveva detto rispondendo ad una
delle tante domande che le avevo posto durante l'interrogatorio avvenuto nei primi giorni della
nostra conoscenza, quei giorni, in cui capii di amarla - e probabilmente, siccome non potevo vedere
la sua mente, per l'ennesima volta tirai a indovinare che forse il ricordo la faceva soffrire, anche se
quando me ne aveva parlato sembrava averlo superato.

Mi sedetti sul suo letto e tentai di decifrare la sua espressione, che oscillava tra il perplesso e il
confuso. Sembrava che volesse farle delle domande, ma improvvisamente la sua espressione
cambiò ancora... ora sembrava spaventata, quasi inorridita.

"Bella?", la chiamai in un sussurro per cercare di calmarla, anche se sapevo perfettamente che stava
dormendo. Continuai ad osservarla e, sarei pronto a scommetterci, sembrava avermi sentito. Le
sfiorai il viso con un dito e fu attraversata da un leggero brivido, che riconobbi essere di gioia, come
accadeva ogni volta che la toccavo anche solo lievemente. Sul suo volto calò un'ansia improvvisa e
il panico l'avvolse. "Edward" sussurrò. Non conoscevo i suoi pensieri, ma ero certo che il sogno che
stava vivendo non era un bel sogno. Continuava a muoversi nel letto e un risplende le usci dalle
labbra. Dedussi che anch'io facevo parte del sogno, perché tra le persone che Bella conosceva li
unici capaci di risplendere, a contatto diretto con la luce del sole, eravamo io e la mia famiglia.
Bella allungò una mano, come se volesse sfiorare con le dite esili un'immagine del sogno di cui
eravamo protagonisti.

Proprio in quel momento mi accorsi - preso com'ero ad osservarla non l'avevo notato - che la tipica
luce grigiastra che illuminava quasi tutti i 365 mattini di Forks aveva riempito la stanza. Dovevo
tornare a casa e prepararmi ad inscenare il ruolo di studente dell'ultimo anno, proprio come faceva
Alice. Delicatamente, per non svegliarla, sforai la guancia di Bella con un bacio e le sussurrai
"Buon compleanno". Era il 13 settembre, e Bella festeggiava il suo diciottesimo compleanno.
Doveva avermi sentito perché sul suo viso nacque il disgusto. Sapevo che quel giorno sarebbe stata
di malumore e ciò mi fece ridere. Non capiva quant'era fortunata a festeggiare un altro
compleanno. Io, e come me tutta la mia famiglia, non potevamo più permettercelo...Scacciai quel
pensiero triste e, silenzioso, saltai giù dalla finestra. Appena toccato il suolo, cominciai a correre
veloce verso casa.

Nella Volvo trovai Alice ad aspettarmi, con pensieri tanto entusiasti e impazienti che le sole
espressioni che leggevo sul suo viso non rendevano loro giustizia. Evvivaevvivaevviva! Organizzerò
una festa coi fiocchi!

"Muoviti!" mi esortò."O non farò in tempo a dare il mio regalo a Bella." Per un momento lo
scampanio della sua voce si affievolì in rimando ai suoi pensieri. Non voglio che mi sfugga, dopo
sarebbe ancora più difficile... no devo consegnarglielo subito!

"Sai perfettamente come reagirà, l'hai visto nel momento stesso in cui hai scelto il suo regalo. Sai
che non ne vuole, a me ha proibito di comprarle qualsiasi cosa..." dissi con un filo di amarezza. La
mia enorme ricchezza le aveva sempre creato problemi, problemi che non capivo perché se me lo
avesse permesso le avrei dato tutto quello che voleva e mai le avrei negato nulla. Ma non erano beni
materiali quelli che lei desiderava...

"Si è vero,"disse Alice interrompendo i miei pensieri con la voce ancora entusiasta. " Ma non me ne
importa niente." E' pur sempre il suo compleanno, pensò tra se.

"E' il suo compleanno, ma è anche una specie di disgrazia per lei"

Già, pensò Alice imbronciata. Io l'ho visto Edward, sarà come noi un giorno. Il futuro mi appariva
incerto all'inizio, ma ora che lei sa tutto, ora che ha deciso che vuole te e nessun altro, che è decisa
ad entrare a far parte del nostro mondo, il suo futuro non mi è mai stato così chiaro.

"Non le porterò via la sua vita!" dissi quasi ringhiandole contro. Non rispose, e capii dal silenzio
volontario dei suoi pensieri quanto fosse sicura del futuro che aveva visto.

Parcheggiai al solito posto e, aspettando l'arrivo di Bella, mi misi in ascolto per catturare il rombo
del motore del suo Chevy del '53 arrivare da lontano. Accanto a me Alice era tornata a fremere.

Quando Bella entrò nel parcheggio della scuola, e ci vide, sul suo volto spuntò un'espressione non
troppo lontana dal disgusto. I suoi occhi caddero automaticamente sul pacchetto argentato che Alice
stringeva fiera, e per nulla colpevole, tra le mani. Scese dal pick-up sbattendo la portiera, e vidi
delle briciole di ruggine cadere dalla carrozzeria.

Altro che autoradio,pensò Alice, le servirebbe un'auto nuova!

Non attese che le rispondessi e andò incontro a Bella, la cui espressione la diceva lunga.

"Buon compleanno, Bella!" disse Alice.

"Sssh!" sibilò lei di rimando, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno avesse sentito.

Alice la ignorò, ancora più impaziente."Il regalo lo apri adesso o più tardi?"

"Niente regali" brontolò Bella.

Uffa, quante storie! pensò Alice rassegnata e infine disse "Va bene... più tardi allora. Ti è piaciuto
l'album che ti ha regalato tua madre? E la macchina fotografica di Charlie?"

Bella sospirò, intuendo che Alice avesse già "visto" ciò che le avrebbero regalato i suoi genitori.
"Si. Grande"

"Secondo me è una bella idea. L'ultimo anno di scuola arriva una volta sola." Per i mortali almeno,
pensò Alice. Poi riprese velocemente "Vale la pena di documentare l'avvenimento." Così quando
sarai immortale potrai rivivere i ricordi più belli della tua vita umana. Il pensiero era chiaramente
rivolto a me, come se Alice volesse darmi un'ulteriore dimostrazione del fatto che il futuro di Bella
era ormai segnato e spianato.

"Tu quanti ultimi anni di scuola hai già vissuto?" sentii Bella, con voce sarcastica. La sua voce mi
portò lontano dalle macchinazioni che stavo ideando per convincerla a cambiare idea. Appunto...
pensò Alice."Questo è un altro discorso" disse poi veloce.

Mi raggiunsero e presi la mano di Bella. Mi fissò negli occhi e per un attimo vidi tornare la
tranquillità tra i tratti del suo viso. Continuò a fissarmi e sentii il suo cuore battere in modo
irregolare. Le sorrisi. Il suo cuore: questo era uno dei motivi che mi spingeva nel senso opposto
rispetto ai desideri di Bella, sentire il suo battito regolare e riuscire a capire quando era nervosa,
emozionata o spaventata solo cogliendo il delicato mutare delle sue pulsazioni. E, cosa più
importante, era la conferma che in lei c'era la vita, che il suo corpo era ancora caldo e delicato.
Molto delicato. Mi ritrassi da quei tristi pensieri e con un dito le sfiorai le labbra.

"Quindi, come stabilito, ho il divieto di augurarti buon compleanno, ho inteso bene?" chiesi.

"Hai inteso benissimo" rispose usando le mie parole, appartenenti ad un tempo lontano.

Mi sistemai i capelli. "Grazie per la conferma. Speravo che avessi cambiato idea. Di solito la gente
adora compleanni, regali e cose del genere". Ma in Bella non c'era niente di ordinario, quindi perché
stupirsi?

Alice squillò in una risata e disse "Vedrai che sarà un divertimento. Oggi tutti saranno saranno
gentili e faranno quello che dici tu, Bella. Cosa potrebbe succedere di tanto brutto?"

Voleva essere una domanda retorica, ma vidi il viso di Bella contrarsi per il dispiacere.
"Che sto invecchiando" disse con voce tremante.

Trasalii e il sorriso scomparve dalle mie labbra.

"Diciotto anni non sono tanti" rispose Alice prontamente."Sbaglio, o di solito le donne aspettano di
averne ventinove, prima di farsi rovinare l'umore da un compleanno?"

"Sono più vecchia di Edward" mormorò Bella.

Sospirai, e Bella se ne accorse. Non mi guardò, ma capii che i suoi pensieri vorticavano attorno a
quel futuro che voleva determinata, lo stesso futuro che Alice aveva visto nebuloso tanto tempo
prima, quel futuro che ora mia sorella vedeva chiaro e definito, quel futuro che io avrei voluto
cancellare ad ogni costo, pur di lasciare la vita di Bella intatta e la sua anima pura. Non sentii cosa
rispose Alice perchè nella mia mente spuntavo una per una tutte le motivazioni che non mi
avrebbero mai portato a trasformare l'amore della mia vita in un mostro. Bella non capiva le mie
ragioni, perchè non le avevo mai confessato apertamente che temevo per la sua anima, cosa che era
pronta a perdere pur di stare con me, lo sapevo fin troppo bene, perchè io avrei fatto la medesima
cosa.

"A che ora vieni a trovarci?" disse Alice cambiando discorso.

"Non sapevo di avere una visita in programma" la rispose Bella riluttante quasi.

"Oh, sii buona! Non vorrai rovinarci il divertimento, vero?" piagnucolò Alice.

"Pensavo che al mio compleanno si parlasse dei miei desideri"

Non badai al sarcasmo di Bella e mi rivolsi ad Alice, che in quel momento stava passando in
rassegna, mentalmente, tutto l'occorrente della festa - e capii che non ci sarebbe stato modo di
fermarla.

"Vado a prenderla da Charlie subito dopo la scuola" dissi.

"Devo andare al lavoro" protestò Bella.

Ma quante scuse vuole trovare, uffa! pensò Alice, che proseguì compiaciuta "Invece no, ne ho
parlato con la signora Newton. Oggi ti sostituisce lei in negozio. Mi ha chiesto di farti gli auguri."

"Ma... Non posso venire" sentii balbettare Bella mentre si arrampicava in cerca di scuse valide che
le evitassero la festa. "Io, bè, non ho ancora guardato Romeo e Giulietta, per la lezione di inglese"
Riuscì a giustificarsi.

Uffa, quant'è noiosa! pensò Alice sbuffando "Ma se lo sai a memoria"

"Il professor Berty dice che per apprezzarlo davvero dobbiamo vederlo rappresentato: com'era nelle
intenzioni di Shakespeare"

Alzai gli occhi al cielo, divertito dalle deboli scuse di Bella e dai brontolii mentali di Alice.

"Hai già visto il film." disse Alice risentita.


"La versione degli anni settanta no. Secondo Berty è la migliore" disse Bella convinta.

Edward, se ti mordo la ragazza te la prendi? Le voglio bene ma certe volte Bella è proprio difficile!
pensò Alice che ormai aveva perso il buonumore. Trattenni un sorriso perchè Bella non mi sentisse.

Alice le rispose in tono minaccioso, lanciandole uno sguardo torvo "Con le buone o con le cattive,
Bella, in un modo o nell'altro..."

Intervenni per evitare una discussione inutile "Tranquilla Alice. Se Bella desidera vedere un film,
lascia che lo faccia. E' il suo compleanno"

"Appunto" disse piano Bella, credendo che fossi dalla sua parte. Ma aggiunsi svelto "Arriveremo
alle sette. Così avrai un pò di tempo in più per prepararti"

Alice rise di gusto, un pò per averla avuta vinta e un pò perchè conoscendola, anche se non me ne
avessero dato conferma i suoi pensieri, aveva già preparato tutto.

"Così va meglio" disse Alice con ritrovata gioia "Allora ci vediamo stasera, Bella! Vedrai che ci
divertiremo!"

Bella provò a ribattere ma Alice le diede un buffeto sulla guancia e, sorridendo, si avviò verso la
sua classe. I pensieri di Alice giravano intorno a candele rosa profumate e rose dello stesso colore,
piatti e bicchieri di finissimo cristallo e pacchetti argentati. "Povera Bella!" mormorai così piano
che le semplici orecchie umane di Bella non avrebbero potuto sentire.

"Ti prego, Edward..." mi implorò Bella.

La zitii posandole un dito sulle labbra. "Ne parliamo dopo. Rischiamo di fare tardi"

Ci sedemmo in fondo all'aula come sempre. Condividevamo quasi tutte le lezioni, e quando non ero
vicino a lei, vagavo di mente in mente per sapere con chi parlasse, cosa stesse facendo e -
soprattutto - se fosse sana e salva. Con il passare del tempo la mia protezione, talvolta ossessiva
devo ammetterlo, verso di lei non era diminuita, anzi. Come ben sapevo, a Bella era toccata in sorte
una sfortuna nera. Attirava le disgrazie come una calamita. Da quando la conoscevo aveva rischiato
la morte due volte, anzi tre contando il ruzzolone dalle scale che fece una sera d'estate, mentre
correva al piano di sotto per venire ad aprirmi la porta.

Ma non avevo esercitato il mio fascino sulla signorina Cope solo per tenere Bella... in vita. Il reale
motivo per cui frequentavo le sue stesse, e noiosissime, lezioni era per il fatto che non riuscivo a
starle lontano. Lei aveva mosso qualcosa in me, qualcosa che mai sarebbe tornato al suo posto. Per
fortuna. O no. L'avrei amata per sempre. Sempre... Nel mio caso non era un modo di dire. Lei
sarebbe cresciuta, maturata e invecchiata e forse non avrebbe più voluto stare insieme ad un eterno
diciassettenne. Mi vergognai di quei pensieri perchè Bella era pronta a gettare via la sua crescita, il
suo mondo, i suoi affetti... la sua anima, per stare con me. Ma se così non fosse stato, se quella
rotella, che sembrava farla ragionare al contrario, fosse tornata al suo posto nel cervello di Bella e le
avesse fatto capire che poteva avere di meglio, io mi sarei arreso al suo volere, l'avrei lasciata
andare, soffrendo si, ovviamente avrei offerto per il resto della mia esistenza, ma me ne sarei fatto
una ragione. E avrei comunque continuato ad amarla proprio come in questo momento.
Io non l'avrei mai lasciata. Non ce ne sarebbe stato motivo. Sarei rimasto con lei per tutto il corso
della sua vita, e quando se ne fosse andata, in qualche modo l'avrei raggiunta, le opzioni le avevo
già studiate la primavera precedente, quando James...

Fortunatamente suonò la campanella del pranzo, non che avessi fame ovviamente, ma mi diede
modo di non pensare più a quei tristi momenti.

La sala mensa era già mezza piena quando Bella ed io ci sedemmo al nostro solito tavolo. La
combriccola, secondo quanto pensava Bella, era divisa in due, qualcosa del tipo: io, Bella e Alice;
un confine invisibile me tangibile; e poi Mike Newton e Jessica, Ben e Angela (che avevo piacere
nel vedere che avevano superato l'estate insieme) Eric, Conner, Tyler e Lauren (che non era una
così detta amica per Bella, ne lo era Lauren stessa nei suoi confronti, e ciò sinceramente mi dava
sollievo). sempre secondo le teorie di Bella, il confine invisibile scompariva quando anche gli ultimi
due Cullen del liceo di Forks facevano altrettanto, e ciò accadeva solo nei giorni di sole, quindi
molto raramente. Per Bella quest' "ostracismo su scala ridotta" - come lo chiamava lei - era strano e
irritante.A me e ad Alice non ci importava molto. Io avevo letto tutte le menti do coloro che
sedevano con noi e non vi avevo trovato nulla di nuovo e interessante: Jessica aveva ancora i suoi
risentimenti verso Bella e le sue fantasie fastidiose che spesso, molto spesso mi vedevano
protagonista; Mike Newton all'apparenza sembrava essersi rassegnato all'idea di conquistare Bella,
ma i suoi pensieri scatenavano ancora una vera e propria guerra contro di me, era irritante; Angela
era quella che preferivo nel gruppo, in lei non c'era cattiveria o bramosia, lei si preoccupava
veramente di Bella e questo non poteva che farmi piacere; per il restante gruppo noi Cullen, ed io in
particolar modo, andavamo solo evitati, non che gli umani ci arrivassero razionalmente, era raro che
azzeccassero la nostra vera natura, ma il subconscio, l'istinto di consevazione suggerivano loro di
starci alla larga. Solo Bella era la curiosa eccezione che ancora, dopo tutti quei mesi insieme, mi
portava a chiedermi come facesse a starmi vicino così a proprio agio e con così tanta naturalezza.

Avevo sempre l costante e ripetitivo campanello che nella mia testa suonava e ogni rintocco stava a
significare Attenzione! Fragile umana innamorata di te a ore dodici! Ed io, fortissimo vampiro,
dovevo sempre tenere l'autocontrollo intatto per lasciare intatta lei. Speculai su questi pensieri fino
alla fine delle lezioni.

Accompagnai Bella al pick-up e le aprii la portiera del passeggero. A pranzo Alice mi aveva chiesto
le chiavi della Volvo in un momento in cui Bella era distratta. Avevo letto tra i pensieri di Alice il
timore che la festeggiata potesse darsela a gambe con un Chevy moribondo. "Dammi le chiavi della
macchina" aveva bisbigliato pianissimo "Accompagnala da Charlie con il pick-up, guardate quel
maledetto film e venite subito a casa" Se sarai tu a guidare non avrà modo di svignarsela, non che
abbia intenzione di farlo, la smaschererei subito altrimenti, ma non si sa mai. E' comunque di Bella
che si Parla, potrebbe succederle di tutto nel tragitto verso cas, avendo così una vera scusa per
rinunciare alla magnifica fasta in suo onore! aveva pensato Alice, rispondendo con una linguaccia
alla mia occhiata torva in riferimento all'ultima parte dei suoi pensieri.

La reazione di Bella al mio gesto mi distolse dal ricordo del pranzo e la guardai perplesso: se ne
stava impalata, sotto la pioggia, davanti alla portiera aperta, inzuppandosi dalla testa ai piedi e con
le braccia incrociate sullo stomaco.

"E' il mio compleanno, non mi è concesso di guidare?"

"Sto fingendo che non lo sia, come hai chiesto tu" risposi con un fare ingenuo.

"Se non è il mio compleanno, stasera non sono obbligata a venire a casa tua". Ecco che ci riprovava.
"Va bene" dissi. Chiusi la portiera e andai ad aprire quella del guidatore. " Buon compleanno" dissi
enfatico.

"Sssh...." mi zittì.

Finalmente Bella si mise al volante e ci avviammo verso casa sua. Giocherellavo con la radio e
ripescai al quel che aveva pensato Alice quella mattina: altro che autoradio, le servirebbe un'auto
nuova! Un'autoradio nuova era il regalo di Emmett, Rose e Jasper per il compleanno di Bella, dato
che non mi permetteva di comprarle un'auto per intero.

Lo stavo solo pensando ma mi uscì dalle labbra "La ricezione è davvero pessima"

A Bella non andava che denigrassi il suo Chevy, che vantava un'esistenza di mezzo secolo, perchè
per lei quell'auto aveva una gran personalità, ma era oggettivo uno ed un unico fatto: quel pick-up
era decrepito. Con le sopracciglia aggrottate e una acidità tale, mai sentita nella sua voce, mi
rispose:

"Vuoi un impianto migliore? Guida la tua macchina"

Non era da Bella spazientirsi nei miei confronti o rispondermi male; ero inoltre certo che il suo
umore fosse stato guastato dai piani festaioli di Alice. Per rispetto nei confronti di Bella, mi
trattenni dallo sghignazzare esplicitamente, come invece stavo facendo tra i miei pensieri.

Il suo malumore era del tutto sbagliato. Era il suo compleanno, Bella avrebbe dovuto essere felice,
ma il terrore di invecchiare, di allontanarsi - in questione di tempo effettivo - da me, di dover
vivere da umana erano concetti che non voleva accettare. Scaccia quei pensieri, era il suo
compleanno ed io ero intenzionato a non arrendermi.

Arrivati a casa detti a Bella giusto il tempo di parcheggiare e mi avvicinai a lei, con l' intento di
farle dimenticare i suoi propositi di guastafeste.

Le presi il viso tra le mani e posai delicatamente le mie dita di ghiaccio sulla sua pelle velata
appena di un rosa più acceso del solito.

"Dovresti essere di buonumore. Se non oggi, quando?" le sussurrai a pochi centimetri dal suo
viso.Sentivo il calore della sua pelle a contatto con le mie mani fredde intensificarsi man mano che
la distanza tra i nostri volti diminuiva. Sentii il suo cuore accellerare ed il respiro divenire
irregolare.

"E se non volessi essere di buonumore?" chiese lei, tra un respiro accellerato e l'altro.

Innescai la modalità "abbaglio" - come mi aveva detto nel ristorante a Port Angeles, la sera che mi
confessò di conoscere la mia vera natura - e puntai i miei occhi nei suoi, nella profondità di quel
cioccolato caldo e fuso. Poggiai le mie labbra sulle sue e mi trattenni in quel modo, con delicatezza
su quella rosa delicata, con morbidezza su quella bocca morbida, con il mio ghiaccio modellato sul
suo fuoco.

Sorrisi e mi allontanai subito ma gentilmente quando Bella si strinse a me quel troppo da farmi
capire che era meglio per entrambi rallentare. Il suo profumo era stato un duro combattimento da
vincere, ma ormai lo sopportavo, il contatto fisico era tutta un'altra storia. Bella aveva la capacità di
stroncare totalmente il mio autocontrollo.
"Fai la brava, per favore" e la baciai di nuovo. Le incrociai le braccia sullo stomaco, per evitare che
si stringesse a me ancora una volta, mettendo in pericolo se stessa ancora di più, facendomi
desiderare di baciarla e tringerla ancora, ancora e ancora. Cosa ancor più pericolosa, il desiderio. Il
suo cuore prese il volo, battendo forte. Si portò una mano al petto, pensosa.

"Pensi che migliorerò mai?" chiese. "Che un giorno il mio cuore la smetterà di cercare di uscirmi
dal petto ogni volta che mi sfiori?"

"Spero proprio di no" e il mio tono era venuto fuori quasi compiaciuto. Bella alzò gli occhi al
cielo. Non ti toglierò la vita, il tuo cuore continuerà a battere ai ritmi più strani, non ti tiglierò la
vita. Me lo ripetevo da talmente tanto tempo che mi stavo convincendo. Poi qualcosa, un'immagine
bloccò il mio entusiasmo: Alice. Sapevo qual'era il suo futuro, ma avrei cercato di tenere Bella
lontano da tutto ciò che Alice aveva previsto. Ero deciso.

"Adesso andiamo a vedere i Capuleti ed i Montecchi che si fanno a pezzi, d'accordo?"

"Ogni tuo desiderio è un ordine" e sperai che Bella non prendesse alla lettera quelle parole, mi sarei
fregato da solo.

Mi lascia andare sul divano mentre Bella faceva partire il film. Senza neanche pensarci la strinsi a
me quando venne a sedersi al mio fianco. Mi ricordai subito che il mio corpo era freddo e duro
come la pietra, quindi sfilai un vecchio plaid dallo schienale del divano e ci avvolsi Bella per tenerla
al caldo.

"Sai Romeo mi ha sempre dato sui nervi" commentai all'inizio del film.

"Cosa c'è che non va in Romeo?" mi chiese Bella con tono offeso. Era ovvio che avesse un debole
per Romeo, come quasi tutte le ragazze umane. A quanto sapevo Alice e rose non avevano
predilezione per personaggi irreali, avevano già abbastanza da fare con la loro natura mitica.

"Bè" mi spiegai. "Prima di tutto è innamorato di questa Rosalina... Non ti pare un pò volubile il
ragazzo? Poi, qualche minuto dopo il matrimonio, uccide il cugino di Giulietta. Poco intelligente,
davvero. Un errore dopo l'altro. Peggio di così non avrebbe potuto fare per demolire la propria
felicità." Ma forse il mio era un giudizio di parte, perchè io avevo amato solo Bella, per me lei era
sempre stata l'unica e, in un certo senso, non avevo mai avuto scelta.

Bella sospirò "Vuoi che lo guardi da sola?"

Giusto, non le piaceva distrarsi nella situazioni importanti, e guardare il film per la lezione di
inglese era (una scusa) importante.

"No, non preoccuparti, tanto io resto qui a guardare te".

Le venne la pelle d'oca, reazione forse alle mie dita fredde che le sfioravano il braccio. "Pensi che
piangerai?" aggiunsi.

"Probabilmente si, se seguo la trama" rispose sincera.

"Allora cercherò di non distrarti" e avvicinai le mie labbra ai suoi capelli. Avevano un profumo così
buono, provai ad evocare qualche ricordo umano per dare un nome a quella dolcezza: frutti di
bosco? no. Lampone? nemmeno. Ah! Si! Fragola! Non indugiai troppo su quei pensieri, per ovvie
ragioni e iniziai a sussurrare all'orecchio di Bella, con voce vellutata e seducente, alcune battute di
Romeo.

"L'Oriente è quello, e Giulietta è il Sole! Sorgi bel Sole, sorgi, ed eclissa quest'avida Luna, che mal
patisce che tu, vergine del suo culto, splenda più chiara di lei..."

"... che barriere non v'ha il prepotente Amore: tutto che Amor può tentare, Amor l'osa."

"Oh sposa! Oh adorata amica! La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancor
sulla tua bellezza"

E infine... "Oh scihetto farmacista! Efficace è la tua droga... con questo bacio io muoio."

Grandi lacrima caddero dagli occhi di Bell alla visione di Giulietta che, risvegliandosi, scopre il
marito morto. Sotto quest'aspetto Romeo aveva fatto le cose per bene. Il suo amore non c'era più,
aveva visto Giulietta immobile, morta, e aveva deciso di raggiungerla, tanto era inutile continuare a
vivere senza di lei. Io avrei fatto lo stesso, ma come?

"Ti confesso che qui lo invidio un pò" le dissi, asciugandole una lacrima con una ciocca dei soui
capelli.

"In effetti lei è molto carina" rispose Bella semplicemente, fraintendendo la mia affermazione.

Feci una smorfia. "Non gli invidio la ragazza... ma la facilità con cui si è suicidato" precisai con
voce pungente. "Per voi umani è così facile! Vi basta buttar giù una fialetta di estratto vegetale..."
mi interruppe esclamando "Cosa?" Allora confessai.

"Una volta ci ho dovuto pensare, e grazie all'esperienza di Carlisle sapevo che non sarebbe stato
semplice. Non so neanche a quanti tentativi di suicidio sia sopravvissuto lui, all'inizio..... dopo
essersi reso conto di ciò che era diventato..." Il discorso stava diventando impegnativo, quindi
cercai di sdrammatizzare "Oltretutto, è ancora in forma smagliante".

Bella si voltò per guardarmi negli occhi, incredula.

"Cosa stai dicendo? Cosa vuol dire che una volta ci hai dovuto pensare?" mi chiese in tono d'accusa.

"La primavera scorsa, quando hai rischiato di... morire..." la rabbia mi crebbe nel petto e dovetti
fare un respiro per ricacciarla giù. "Ovviamente cercavo di concentrarmi per ritrovarti ancora viva,
ma una parte di me valutava tutte le alternative. Come ho detto, per me non è facile come per gli
umani".

Ci mise un minuto per rispondere, e in quel breve tempo sul suo volto passarono tante e diverse
emozioni, come se stesse rivivendo quel momento: Phoenix, casa di sua madre, la scuola di danza e
James che l'aspettava.

Tracciò con le dita la forma della mezzaluna che il morso di quel mostro le aveva lasciato sulla
mano. Scosse la testa e ricominciò a parlare.

"Di quali alternative parli?"


"Bè, non sarei mai riuscito a vivere senza di te" dissi, e mi sembrava più che ovvia come risposta,
poi proseguii "Ma non sapevo come avrei fatto... sapevo di non poter contare su Emmett e Jasper...
perciò pensai di andare in Italia, a scatenare l'ira dei Volturi" Almeno avrebbero fatto in fretta,
pensai tra me.

Vidi la rebbia crescere in lei, mentre il mio sguardo vagava lontano, perso tra i racconti di Carlisle,
mio padre, su quel popolo potente.

"Cosa sono i Volturi?" chise.

Con la mente ancora persa tra quei ricordi, risposi "Una famiglia. Una famiglia di nostri simili,
molto antica e potente. Quanto di più vicino abbiamo a una casata reale, più o meno. Da giovane,
prima di trasferirsi in America, Carlisle ha vissuto per un pò con loro in Italia... ricordi la storia?"

"Certo che si" rispose sicura.

La prima volta che Bella venne a casa mia, per conoscere la mia famiglia, era rimasta molto colpita
dalla storia della vita di Carlisle dopo la trasformazione. Quando le raccontai del tempo che mio
padre aveva passato in Italia non avevo usato il nome dei Volturi per presentarle Aro, Marcus e
Caius. Non volevo spaventarla troppo con troppe rivelazioni sul nostro mondo. Non li avrebbe
comunque mai incontrati e i Volturi non potevano sospettare che Bella sapesse tutto, quindi non
c'era motivo di tenerle nascosto questo particolare. Lasciai che per un momento i suoi pensieri
prendessero in lei il sopravvento, per farle incanalare la notizia, poi continuai.

"Comunque sia, i Volturi non vanno fatti arrabbiare. A meno che non si cerchi la morte, o
qualunque altra cosa ti tocchi" dissi con voce volutamente calma, per non spaventarla mentre
parlavo apertamente dei miei progetti per metter fine alla mia esistenza. Ma evidentemente era
inorridita di fronte a qualche pensiero a me, purtroppo, nascosto. Poi improvvisamente mi prese il
volto tra le mani e la sua risposta mi chiarì ogni dubbio.

"Non devi mai, mai, mai più pensare a una cosa del genere! Non importa ciò che potrebbe accadere
a me, non ti permetterò di fare male a te stesso!"

Era preoccupata per me; ovvio, era Bella.

"E' un discorso inutile..." poi invece di dire lo avrei fatto comunque, dissi "... non ti metterò mai più
in pericolo"

"Come se fosse colpa tua! Mi sembrava che avessimo deciso che sono io ad attirare le disgrazie" La
rabbia continuava a crescere in lei "Come ti passa per la testa una cosa del genere?"

"E tu, cosa faresti se i ruoli fossero invertiti?" chiesi veramente curioso. Mi venne in mente
Giulietta.

"Non è la stessa cosa"

Non riuscivo a capire la differenza e soffocai una risata.

"Se succedesse qualcosa a te? Preferiresti che anch'io mi togliessi di mezzo?" mi chiese decisa,
sapendo di aver vinto quel round. Aveva ragione, certo che ne aveva. Quell'ultima frase mi procurò
una fitta nel petto dolorosissima. Se il mio cuore avesse avuto ancora le sue pulsazioni, avrei perso
un battito.

"Adesso, penso di capirti... un pò. Ma cosa farei io senza di te?" chiesi.

"Quello che facevi prima che arrivassi a complicarti l'esistenza."

Perchè non capiva il fulcro della situazione che io vivevo? Perchè non le entrava in testa che ormai
mi era impossibile starle lontano? Sospirai. "Per te è tutto così facile"

"Lo è. In fondo non sono così interessante"

Avrei voluto ribattere a quell'ultima frase senza senso per me, lei era il mio mondo ed io ero la luna
che le gravitava intorno. Da quando l'avevo conosciuta e avevo scoperto che, come me, anche lei mi
amava, non ero più stato una luna sola, la notte oscura non mi avvolgeva più, ero una luna nuova,
appena nata e pronta a fare il mio corso attorno al mio pianeta. "Discorso inutile" dissi infine. E in
quel momento sentii i confusi pensieri di Chiarlie giungere dalla strada. Compleanno... Pizza...
Edward... Sua macchina... Non c'è...

Mi scostai immeditaamente da Bella e la presi per mano, suo padre non sopportava nulla di più,
ritenendomi il diretto responsabile di tutto il guaio della primavera passata; come dargli torto
daltronde.

"E' Chiarlie?" chiese Bella.

Le sorrisi e dopo un attimo mi accorsi che anche lei aveva sentito l'auto della polizia entrare nel
vialetto.

"Ciao, ragazzi!" ci salutò Chiarlie entrando e rivolgendo un sorriso a Bella. L'ispettore aveva
comprato la pizza, per non lasciare che sua figlia cucinasse anche la sera del suo compleanno.
"Pensavo che almeno il giorno del tuo compleanno ti facesse piacere non dover cucinare nè lavare i
piatti. Fame?"

"Eccome. Grazia, papà"

Declinai cordialmente l'invito e Charlie non insistette, ormai era abituato a vedermi digiunare.
Quando ebbero finito di cenare, mi rivolsi a Charlie.

"E' un problema se prendo in prestito Bella, stesera?"

Bella cercò un appiglio in suo padre. Forse sperava che Charlie ritenesse questo compleanno
speciale, perchè era il primo da quando Bella si era trasferita a Forks? Scrutai la mente di Charlie
per quanto mi era possibile vedere, i suoi pensieri al momento si dibattevano tra sua figlia e una
partita in tv. Probabilmente la famiglia del dott. Cullen ci tiene a festeggiare Bella e poi ci sono i
Mariners contro i Sox.

"Va bene... stasera i Mariners giocano contro i Sox" disse l'ispettore, facendo svanire ogni speranza
in Bella. "Per ciò non sarò molto di compagnia... qui." Poi prese la macchina fotografica che aveva
regalato a Bella e gliela lanciò. Oh! Errore. Pensò Charlie vedendo che la macchina sfiorava appena
le mani di Bella e proseguiva verso terra. Senza badare alle impressioni di Charlie l'afferrai prima
che potesse toccare il pavimento. Forse con un pò troppa velocità e precisione. Uh! Che riflessi,
questo ragazzo! disse fra se Charlie.

"Bella presa" stavolta ad alta voce. "Se stasera dai Cullen ci sarà da divertirsi, Bella, è meglio che
scatti qualche foto. Sai com'è tua madre... Vorrà vederle ancora prima che tu la faccia"

"Buona idea, Charlie" dissi, e porsi attento la macchina fotografica a Bella.

"Funziona" disse dopo avermi scattato la prima foto. Mi sentii lusiganto che il primo scatto fosse il
mio.

"Meno male. Ehi, saluta Alice da parte mia. E' a un pò che nom la vedo" disse Charlie piegando
all'ingiù un angolo della bocca.

"Da soli tre giorni, papà" lo riprese affettuosamente Bella. "Glielo dirò"

Charlie aveva un affetto sincero per mia sorella. Le era grato per aver aiutato Bella durante la
convalescenza e, soprattutto, ringraziava il cielo per non aver dovuto fare la doccia alla figlia quasi
maggiorenne.

"Bene. E stasera divartitevi, ragazzi" concluse Charlie, prendendo possesso del soggiorno.

Sorrisi per aver ottenuto quel che volevo senza alcuno sforzo e uscimmo di casa. Stavolta Bella non
face storie quando le aprii la portiera del passeggero. Attraversammo Forks, diretti a nord verso
casa mia e la mia irritazione era ben visibile. Odiavo andare piano, e quello Chevy giurassico sopra
gli ottanta km all'ora emetteve cigolii agonizzanti.

"Vacci piano" mi mise in guardia Bella.

"Sai cosa farebbe per te? Una bella Audi coupè. Silenziosa e potentissima..." avrebbe avuto un'auto
nuova prima o poi, a costo di far assassinare quell'aggeggio da Rosalie.

"Il mio pick-up è perfetto. A proposito di oggetti costosi e superflui, se avessi un pò di buonsenso
non spenderesti un soldo in regali di comleanno"

"Nemmeno un centesimo" risposi; la avevo dato retta, anche se c'ero rimasto male, non avevo speso
nulla per il suo regalo, ma intanto continuavo a non afferrare il motivo per cui non dovevo spendere
soldi per lei.

"Bene" sentenziò.

"Mi fai almeno un favore?"

"Dipende dal favore" disse sospettosa.

Feci un respiro e divenni serio. "Bella, l'ultimo di noi a festeggiare un vero compleanno è stato
Emmett, nel 1935. Cerca di capirci, e questa sera non fare troppo la difficile. Sono tutti su di giri"

Un leggero brivido la percorse. "D'accordo, mi comporterò bene."

"Forse dovrei metterti in guardia..." azzardai.


"Ti prego, fallo" mi esortò.

"Quando dico che sono tutti su di giri... intendo proprio tutti"

"Tutti?" perse il respiro per un attimo "Pensavo che Emmett e Rosalie fossero in Africa"

La verisione ufficiale tra i ragazzi di Forks diceva che Em e Rose erano entrati a Dartmouth, ma la
storia era ovviamente un'altra. Rosalie aveva bisogno di nuove prospettive, diciamo. Prospettive che
non includessero Bella, in primis. Mi Rinfacciava ancora di mettere in pericolo la famiglia, il tutto
contornato da una innumerevole serie di insulti ben studiati. Ma io sapevo che la ragione era
un'altra. La gelosia, che brutta bestia, dissi piano tra me cosicchè Bella non potesse sentirmi.

"Emmett ci teneva" dissi svelto.

"E... Rosalie?" chiese Bella titubante. Ovviamente non era stupida.

"Lo so, Bella. Non preoccuparti. Farà del suo meglio"

Non rispose e la lasciai ai suoi pensieri, osservando le espressioni passare sul suo viso delizioso. Per
non rendere questa festa ancora più fastidiosa di quanto già non fosse per Bella, tentai di cambiare
discorso. "Allora se non ti va bene l'Audi, che altro regalo vuoi?"

"Sai bene cosa voglio" mormorò, ma la voce era ben salda.

Lo sapevo si, ma era l'unico desiderio che non le avrei mai reso realtà. Il mio sguardo si face severo
"Non stasera, Bella, ti prego"

"Bè, allora magari sarà Alice a darmi ciò che voglio" ribattè lei, quasi in segno di sfida.

Un ringhio scuro e minaccioso mi salì dal petto, poi precisai, nel caso non fossero chiare la mia
intenzioni "Questo no sarà il tup ultimo compleanno, Bella"

"Non è giusto!" si lagnò per tutta risposta.

Digrignai i denti per non ringhiare ancora. Come potevano venirle idee del genere proprio in
momenti come quello. Per un momento il mio buonumore se andò totalmente, rimpiazzato dalla
rabbia e da un senso di frustazione inspiegabile. Poi ricordai le sue parole... Alice non avrebbe osato
tanto, vero? Finalmente iniziai ad intravedere le luci della grande casa bianca. Come avevo visto nei
piani mentali di Alice, c'erano rose rosa ovunque, e sulla veranda dondolavano leggere delle
lanterne giapponesi. Dalle labbra di Bella uscì un lamento. Feci un respiro nel tentativo di calmarmi
"E' una festa, cerca di fare la brava ragazza"

"Certo" mormorò.

Parcheggiai davanti l'entrata e andai ad aaprirle la portiera. "Ho una domanda" mi disse. Attesi che
continuasse, allarmato. Solitamente quando esordiva in quel modo non c'era da aspettarsi nulla di
buono. Continuò "Se sviluppo questo rullino, vi si vedrà nelle foto?"

Tutta la rabbia svanì in un attimo scoppiai a ridere di gusto; continuai a sghignazzare finchè
non arrivammo alla porta di casa.
Evviva, sono arrivati! l'entusiasmo di Esme non diminuiva mai.

Ssssh! sentii dire da Alice.

Jazz non ne ho bisogno, grazie. Sputò acida Rosalie.

E i loro pensieri erano un tumulto che si gettava nella mia testa. Entrammo e Bella rimase impalata,
rossa in viso, quando tutti - più o meno tutti - la salutarono con un "Buon compleanno, Bella!".

Vidi che Bella percorreva con lo sguardo la stanza addobbata e capii che non era propriamente a
suo agio, quindi la strinsi un pò di più a me. Esme la abbracciò e Carlisle le cinse le spalle, dicendo
"Mi dispiace, Bella, ma non siamo riusciti a trattenere Alice"

Dietro i miei genitori c'erano Emmett e Rosalie. Mio fratello sorrideva affettuoso; e Rosalie... era
sempre Rosalie, se ne stava in disparte senza spiccicare parola, ma almeno non aveva fulminato
Bella con lo sguardo come faceva di solito invece.

"Non sei cambiata per niente" disse Emmett "Pensavo di trovarti cambiata e invece eccoti qui, con
le guancie ross di sempre." E' sempre stata tanto gracilina? Santo cielo Fratello, non hai paura di
romperla? Emmett decisamente era sempre lo stesso.

"Grazie mille, Emmett" rispose Bella arrossendo ancora.

Emmett rise "Devo uscire un attimo" Vado a montare l'autoradio. Pensò, strizzando un occhio ad
Alice. "Non combinare guai, mentre sono via."

"Ci provo" rispose Bella, imbarazzata.

Non aspettarti che mi avvicini a lei, intesi? Non ho intenzione di fingere che non sia un fastidio per
me doverla festeggiare stasera. Quindi punta altrove il tuo sgardo di rimprovero Edward, sul serio.
Non intendo acclamare la tua fragile e insignificante umana! E Rosalie decisamente era sempre la
stessa Rosalie.

Alice e Jasper erano vicini alla scala, per mano. Alice si avvicinò sorridente, mentre Jazz manteneva
la distanze. Bella se ne accorse e lui le sorrise, poi si rivolse a me con i suoi pensieri. Scusa fratello,
di più non riesco a fare. Gli feci segno di non preoccuparsi, sapevo quanto era difficile per lui. Io,
più di chiunque altro, sapevo quel che gli girava in testa.

"E' ora di aprire i regali" disse Alice prendendo Bella sottobraccio e trascinandola fino al tavolo
vicino al pianoforte.

"Alice, ti avevo detto che non volevo nulla..."

"E io non ti ho ascoltata" rispose Alice, sfacciata "Apri" le ordinò, mettendo tra le sue mani una
scatola argentata. Era la confezione, vuota, dell'autoradio.

"Ehm... grazie" disse Bella piuttosto perplessa.

Sentivo Em ridere tra se dal pick-up, Jasper sghignazzava apertamente e anche Rosalie accennò un
sorriso. Era bello vedere come una semplice umana avesse portato tanta leggerezza nel mio mondo,
Rosalie aveva sorriso... Non montarti la testa, vampiro innamorato. E' solo sciocca e maldestra.
Rosalie, appunto.

"E' un'autoradio per il tuo pick-up, Emmett è andato subito a istallarla, così non la potrai rifiutare"
le spiegò Jasper, continuando a ridacchiare. Potevo vedere che non si sforzava in quel momento,
come invece stava facendo Alice per contenere la soddisfazione di essere sempre un passo avanti a
tutti.

"Jasper, Rosalie... grazie" disse Bella con sorriso. "Grazie Emmett" gridò.Sentimmo la sua risa
fragorosa e ci unimmo tutti.

"Adesso apri quello mio e di Edward" disse Alice con ilarità, porgendole un pacchettino quadrato e
piatto.

Bella mi fulmino con un'occhiataccia "Avevi promesso"

"Appena in tempo!" disse Emmett spuntando dall'ingresso e spingendo Jasper indietro.

"Non ho speso un centesimo" ripetei e spostai delicatamente una ciocca di capelli che le era caduto
sul viso imbronciato.

"Dammi" disse Bella rivolta ad Alice.

Poi successe tutto molto velocemente.

"Oh, cavolo" mormorò Bella dopo essersi tagliata il dito con la carta mentre sfilova via il nastro dal
pacchetto. Dalla minuscola ferita uscì una piccolissima goccia di sangue.

Vidi i pensieri di Alice e scattai in avanti prima verso Bella, scagliandola al di là del tavolo, e poi
verso Jasper che aveva i denti in bella mostra e lo sguardo folle. Mi scontrai con mio fratello, che
per fortuna era lontano da Bella, altrimenti le sarebbe piombato addoso senza che nemmeno me ne
accorgassi.

Jasper ringhiava prodondamente, cercando di fuggire dalla mia stretta. Anche Emmett intervenne e
lo strinse da dietro nella sua morsa invincibile. Dio, quant'era forte. Riuscimmo a trattenerlo a andai
al fianco di Bella rannicchiandomi in posizione di difesa. Vidi Bella a terra, tra milioni di schegge
di cristallo, alcune conficcate del suo avanbraccio, spaventata e confusa. Una lunga ferita le
percorreva il braccio dal gomito al polso e da essa perdeva sangue, dolcissimo e caldo.

La bocca fu invasa dal veleno e smisi all'istante di respirare, mentre intorno a me i pensieri di sei
vampiri improvvisamente attenti si facevano strada tra il profumo di quel dolcissimo liquido
proibito.

Capitolo 2

Punti

Avevo smesso di respirare, e sapevo che Bella se ne sarebbe accorta.


E non ci avrebbe badato, come invece avrei fatto io di lì a poco. Ma l'odore del suo sangue era
troppo forte e non ero concentrato abbastanza sui miei istinti, occupato com'ero a tenerle lontano
Jasper, da rischiare di...

Sarai contento, ora, idiota! I pensieri di Rosalie mi si abbatterono contro, come uno schiaffo ben
assestato. E stavolta aveva ragione.

In quel momento, il silenzio della mente di Bella mi stava facendo impazzire. Più di ogni altra cosa
avrei voluto leggere i suoi pensieri. A giudicare dall'espressione sul suo volto, era terrorizzata. Era
spaventata da Jasper? Il pericolo che il mio mondo rappresentava per il suo le aveva aperto gli
occhi? O peggio ancora... aveva paura di me?

Mi sentivo talmente in colpa: l'avevo scaraventata dall'altra parte della stanza. Avrei potuto
semplicemente prenderla in braccio e portarla via, o gettarmi contro Jazz nel momonto in cui i suoi
pensieri si scomponevano per far spazio alle azioni. E invece l'avevo spinta via, facendola scontrare
con i piatti di cristallo, si era procurata quell'enorme taglio a causa mia, a causa mia, mia madre e
i miei fratelli stavano uscendo di corsa in giardino, senza respirare. L'unico a mantenere il controllo
era mio padre, Carlisle. Quanto lo stavo invidiando, come mi accadde all'ospedale, quando Bella
aveva rischiato di essere travolta dal furgoncino di Tyler. Carlisle poteva toccarla, assicurarsi che
stesse bene, senza rischiare - anzi, senza desiderare - di ucciderla. E invece io non potevo starle
accanto, dirle qualcosa di rassicurante, perchè per farlo avrei dovuto parlare, e per parlare doveva
esserci aria nei miai polmoni, aria che ora non mi era permesso di assaporare.

Sentii Carlisle mormorarmi qualcosa.

"Lascia fare, Edward" disse.

Annuii e mi rilassai. Ma nella mia testa c'era una bufera di idee...

Ero disgustato da me stesso per averle fatto del male, ero terrorizzato dal pensiero che, dopo quello
stupido incidente, Bella potesse decidere di lasciarmi. E sarebbe stata di certo la cosa migliore,
quanto meno per lei. Ma era Bella, quindi un enigma. Avrebbe capito finalmente il pericolo che
correva ogni volta che le stavo accanto? Avrebbe finalmente compreso lo scompiglio che avevo
creato nella sua vita? Avrebbe continuato a volermi, nonostante fossi un costante pericolo per lei?
Davo la colpa alla sua sfortuna, ma ero io il solo e unico problema. E avrei trovato il modo di
riscattarmi...

In quel momento fui catapultato dai ricordi alla primavera passata, a Pheonix. Vedevo Bella, in
ospedale, mentre cercavo di dirle addio. ma ero egoista, troppo desideroso della sua presenza per
me vitale. però ricordai le parole che lei mi disse prima di cadere nell'incoscienza dei calmanti.

"Resta" mi disse Bella.

"Si, te lo prometto. Come ho detto, finchè lo desideri..." poi avevo rettificato velocissimo "finchè è
la cosa migliore per te"

"Non è la stessa cosa" aveva risposto Bella prontamente, cogliendo il senso delle mie parole.

Prima di addormentersi mi disse anche "Io scommetto su Alice"


No! Non ci stavo. Non lo avrei permesso. Mai. A costo di lasciarla. E, a quel pensiero, un dolore
straziante mi strinse forte il petto muto.

Sapevo che non avrei mai potuto lasciarla.

L'avrei amata. Per sempre.

Ma lo era? Era la cosa migliore per lei? Da egoista qual'ero un NO secco risuonò forte tra i miei
pensieri, poi nella mia mente fece breccia la ragione. Forse...

Ora però dovevo pensare a lei, assicurarmi che stesse bene. Adesso che gli altri erano usciti e
potevo concentrarmi, l'odore del suo sangue, mescolato al profumo sprigionato dalle rose, era
ancora più dolce e potente.

Mi arrischiai a prendere fiato, dalla bocca, e in gola mi esplose un fuoco caldissimo, più del solito.
Non sentivo quello che dicevano Carlisle, Alice e Bella, stavo combattendo contro me stesso, per
continuare a starle accanto, in quella stanza satura del suo profumo dolcissimo, delizioso... proibito.

Edward, Edward, Edward! Sta bene, rischi di peggiorare le cose in questo modo, aiutami, dai!
Erano i pensieri di mio padre che tentavano di calmarmi.

Osservai Bella, era scossa, sanguinante, ma lucida come sempre.

"Portiamola sul tavolo della cucina" mi disse Carlisle.

La sollevai da terra, mentre mio padre le stringeva la ferita al braccio con una pezza della tovaglia
bianca.

"Come va, Bella?" chiesi.

"Sto bene" rispose lei.

Mi sentivo una statua, e sapevo ancora una volta che Bella se ne sarebba accorta. Ma non riuscivo a
non pensare che se io non fossi entrato nella sua vita, non sarebbe mai stata in pericolo. La feci
sedere su una sedia e mio padre si portò subito davanti a lei e iniziò ad esaminarle la ferita.

Restai accanto a Bella, in piedi, senza respirare. Non avevo intenzione di farle vedere quanto fosse
profonda la mia debolezza in quel momento.

"Se vuoi, vai, Edward" mi disse Bella, senza troppa convinzione.

"Posso farcela" ed era un'affermazione più per me stesso che una risposta vera e propria. Dovevo
facerla, dovevo starle vicino, dovevo resistere. Rinunciare sta a significare SCONFITTA. Ma la sete
era fortissima, quasi più della volontà. Quasi però...

"Non occorre che ti comporti da eroe, Carlisle può curarmi anche senza il tuo aiuto. Esci a prendere
un pò d'aria." mi suggerì. Non ero riuscito ad ingannarla nemmeno per un secondo.

"Io resto" insistetti quando la sentii sussultare al pizzico della siringa dell'anestetico.

"Perchè sei così masochista" mormorò Bella con un filo di voce.


Fino a quel momento non mi ero accorto dei pensieri che mio padre mi stava rivolgendo,
invitandomi ad uscire proprio come faceva Bella a parole.

Edward, ha ragione lei. Esci a prendere un pò d'aria. E sopratutto va a cercare Jasper. Non è
salutare per te stare qui, ora. Quell'ultima frase mi colpì in pieno e non ne capii il motivo, ma mi
fece molto male. Poi carlisle aggiunse ad alta voce "Edward, forse è meglio che tu vada a cercare
Jasper, prima che ne faccia una tragedia. Ce l'avrà a morte con se stesso e immagino che al
momento non voglia parlare con nessuno tranne te"

"Si" mi incalzò anche Bella "Vai a cercare Jasper"

Alice, che fino a quel momento era stata in silenzio, mi chiamò tra i suoi pensieri. Era agitata, e
ancora una volta non capii perchè. Le sue idee erano confuse.

"Potresti anche renderti utile" disse Alice in tono leggermente freddo. Mi mostrò nei suoi pensieri
dove Jasper si era andato a rintanare. Mio fratello era corso via, sentendosi colpevole per la sue
reazione istintiva ed era andato a nascondersi in una vecchia casetta nella foresta dietro casa, poco
dopo il fiume. Non ero arrabbiato con lui, che colpa ne aveva se lo stupido, incosciente e
sconsiderato qui ero io. Ero sempre io.

Mi arresi all'ovvietà dei fatti, ossia che lì non avrei concluso nulla. Lanciai un'occhiataccia ai tre e
sfrecciai fuori.

In giardino trovai Esme, Rosalie ed Emmett che parlavano tranquillamente. Ma i loro pensieri...

Esme era mortificata, per essere dovuta uscire di corsa tappandosi bocca e naso con le mani, e
continuava a chiedermi scusa; i pensieri di Emmett erano più concreti e crudi, infatti, stava
ricordando l'odore di Bella e vedevo chiaramente che effetto produceva alla sua indole quel
profumo delizioso. Lo fissai con cattiveria, scoprendo i denti mentre un ringhio profondo e cupo mi
sorgeva dal petto. Lui capì subito il perché della mia reazione e, sogghignando, sfacciato, tra i
pensieri mi rivolse le sue scuse. Scusa fratello, non l'ho fatto volontariamente, ma ha davvero un
profumo delizioso. Sinceramente... Mi fai pena. Sfoderò un sorriso beffardo e tornò a parlare con
Esme. Emmett era fatto così, senza mezzi termini. Rosalie....

Rosalie mi stava lanciando più insulti possibili, avvolte me ne perdevo qualcuno tanto me li gettava
contro velocemente. Stupido idiota sconsiderato, come hai potuto, come hai potuto, come? Egoista
ragazzino, cresci una buona volta! Dovevi lasciarla, subito, dopo l'incidente con il furgoncino.
Sappi che se lei ora ti pianta e va in giro a dire qualcosa sulla Mia famiglia, giuro che dovrai
risponderne personalmente a me. Stupido, idiota, considerato, egoista. E la lista continuava, lunga.
Smisi di ascoltarla, ma le sue parole ancora una volta era giuste, purtroppo. Se non fossi stato nella
sua vita, Bella non avrebbe dovuto affrontare tante difficoltà, pericoli e bugie. Ma ormai era tardi,
non potevo più lasciarla. Era la mia vita, ero la sua vita. Ormai non c'era più soluzione. O si...?

Proprio mentre stavo per chiedere scusa alla mia famiglia, sentii la voce di Bella. Stava
conversando con Carlisle e dalle sue parole capii che attribuiva la colpa a se stessa per quello
stupido incidente. Tipico di Bella. Ma non era colpa sua. Se solo il mio egoismo non fosse stato
tanto forte, lei ora sarebbe stata al sicuro, tra quelli della sua specie, anche se l'idea di vederla tra le
braccia di Mike Newton mi dava alla testa.

Mi avvicinai a mia madre e le rivolsi uno sguardo colmo di colpevolezza.


"Scusatemi" dissi tenendo gli occhi bassi "Tutto questo non sarebbe dovuto accadere, avrei dovuto
mettere in conto che prima o poi una cosa del genere sarebbe avvenuta. Sono mortificato, è tutta
colpa mia. Spero di riuscire a fare qualcosa affinché voi tutti possiate perdonarmi."

"Ma caro tu non hai colpa di niente." Mi rispose prontamente Esme, e sapevo che le sue parole
erano sincere, sincere come solo le parole di una madre verso suo figlio possono essere. "Bella
avrebbe potuto tagliarsi in qualsiasi momento, non potevi prevederlo, é stato un malaugurato
incidente. Non devi scusarti, tu non c'entri nulla"

"Ha ragione Esme, Edward, come avresti potuto prevedere un fatto tanto casuale? E comunque,
l'importante è che Bella stai bene ora. Non è successo niente di irreparabile." mi confortò Emmett.

"Grazie Em, ma la realtà è un'altra... se non fossi mai entrato nella sua vita ora lei sarebbe al sicuro
nella sua camera o a guardare qualche programma alla tv insieme a Charlie" Che tristezza pensare
alla mia vita, esistenza, senza di lei. "Questo è ciò che ormai è irreparabile, Em"

"La prima cosa sensata che ti sento dire da tanto, troppo tempo." fu l'unico commento di Rosalie.

"Va da Jazz, é a pezzi. Non se la sente di tornare per ora. Si è rintanato nella casetta oltre il fiume,
ha cacciato persino Alice. Solo con te vorrebbe parlare, ha detto, se lo desideri." mi infirmò
Emmett.

A quel punto sentii solo i pensieri imploranti di Alice. Ti prego, Edward! No! Non farlo, ti prego,
NO!

Non capii, i pensieri di mia sorella erano in una tale confusione che le sue visioni mi si aprivano
solo come una massa informe grigia, con dei bagliori bianchi e lunghi strascichi di spazzi neri come
la pece. Non afferrai neanche un pensiero coerente, vidi soltanto il volto di Bella e la tristezza
incredula nei suoi occhi. Probabilmente Alice era arrivata ad una conclusione a cui ero arrivato nel
mio inconscio, ma che ancora non riuscivo a cogliere, a causa della confusione che regnava intorno
a me. Lasciai perdere ed andai a cercare Jasper nella casetta oltre il fiume.

"Aspetta un attimo, Edward, per favore" mi chiamò Alice.

Mi voltai verso di lei, senza entusiasmo. Volevo solo chiarirmi con Jasper e tornare da Bella. Ma
ero anche preoccupata per le visioni incomprensibili di mia sorella.

"Che c'è, Alice?" e sentii che la mia voce era gelida. "Voglio andare a cercare Jasper."

"Farò presto, giuro" sembrava incerta. "Vorrei solo chiederti... che hai intenzione di fare... ora? Sai,
le mie visioni... non erano... limpide"

"Si, infatti, non ho capito niente. Comunque ora stavo per andare da Jasper, devo chiarire questa
storia. Non voglio che si senta in colpa. Lui non ha colpa." Io... io invece si, eccome.

Alice intuì che mi sentivo responsabile, e nei suoi pensieri potevo rivedere tutta la scena; era il suo
modo di dimostrarmi che non avevo colpa. "Edward, non hai colpe, è stata una cosa improvvisa e
veloce, e altrettanto veloce è stata la sua fine. non si è fatto male nessuno, o quasi, ma tanto Bella si
fame un giorno si e l'altro anche. Mica puoi salvarla sempre!" cercò di scherzare.
"Non capisci Alice, non puoi capire, anzi" cercavo di spiegarle, ma lei era confusa. "La mia
presenza è una costante fonte di pericolo, la nostra vicinanza non è salutare, se io perdessi il
controllo... Il mio mondo non può andare di paro passo con il suo, il suo mondo non dovrebbe
accettare il mio. Siamo due entità troppo lontane, troppo diverse, troppo radicate in istinti opposti,
troppo... troppo." non riuscii a proseguire.

Alice comprese ciò che cercavo di spiegarle e i suoi pensieri si fecero improvvisamente tristi. Alice
stava soffrendo per le decisioni che di lì a poco avrei preso, ma io ancora non afferravo quali
fossero la mie scelte. Ero confuso, arrabbiato, disgustato, scoraggiato e poi... tutto, nei pensieri di
Alice, mi apparve chiaro.

Me ne sarei andato.

"No Edward, ti prego, ti prego, ti prego, no!" Alice era disperata. Nonostante il suo straordinario
talento, le mie scelte la presero in contropiede. Era spaventata, e delusa.

Edward... che stai facendo. Soffrirà tantissimo, non puoi. Bella è mia sorella praticamente, perché
ti ostini a non volerla trasformare, sarebbe tutto più semplice. E lo sai benissimo anche tu. Soffrirà,
soffrirete entrambi. Non posso dirti come reagirà lei, perché ancora è al'oscuro di tutto, ma posso
vedere come starai tu. Soffrirai, soffrirai tantissimo. Il dolore psicologico creato da Jane sarebbe
una carezza in confronto a ciò che proverai tu. Perderai una parte di te, non appena le volterai le
spalle. Tu la ami più di ogni altra cosa come puoi pensare di...

"BASTA ALICE!" le urlai contro con rabbia, e subito me ne pentii, non dovevo sfogarmi con lei
"scusami, perdonami, Alice, davvero. Sono confuso, arrabbiato e disgustato da questa situazione,
non so che fare"

"Edward, purtroppo lo sai bene invece, ed è la cosa sbagliata. Soffrirete troppo, tu specialmente.
Tutto mi è chiaro, e non sai come vorrei che le mie visioni fossero imperfette, starebbe a significare
che sei realmente confuso, e in tal caso avrei la possibilità di convincerti a non..." la sua voce si
affievolì e pian piano si spense.

"Stai cercando di dirmi che la lascerò, vero Alice?" ma sapevo già la risposta, ora vedevo fin troppo
nitidi i pensieri della mia triste sorella.

"Si..." e non riuscì ad aggiungere altro, perché la sua voce era rotta dal dispiacere.

Alice stava piangendo, non nel senso letterale della parola - i vampiri non hanno lacrime da versare
- ma il suo viso e i suoi pensieri agitati davano l'impressione che i respiri corti e irregolari in realtà
non fossero altro che singhiozzi silenziosi e strazianti.

Era la prima volta che vedevo mia sorella scalfita dagli eventi che dovevano verificarsi: di solito si
faceva trovare pronta di fronte a qualcosa che sapeva sarebbe successo, ma stavolta, nonostante la
premonizione preparatoria, Alice era sconvolta e disperata.

Di lì a poco avrebbe perso una sorella.

Non avevo parole per consolarla, e lei continuava ad implorarmi mentalmente di non seguire la
decisione che a quanto pareva avevo preso. Ma neanche io ero convito di nulla, non sapevo da che
parte incominciare, e soprattutto non sapevo dove trovare una scusa valida che potesse giustificare a
Bella la mia partenza.
"Edward" mi disse Alice tra i singhiozzi, "non troverai la forza di starle lontano. Vi appartenete, e
per te la cosa è ancora più seria. Già una volta mi hai dimostrato che le mie visioni non si sarebbero
avverate, ricordi? Ricordi quando scopristi di amarla? Ogni brutto pensiero, ogni brutta azione
sparirono dalle mie visioni, e da quel momento non vidi altro che Bella che entrava a far parte della
nostra famiglia. Dimostrami che sto sbagliando ancora, dimostrami che questo incidente non ti ha
sconvolto tanto le idee da farti arrivare ad abbandonare l'amore della tua vita pur di salvarla. Hai
sempre dato la colpa al tuo egoismo, dicendo che è stato quello a metterla in pericolo, ma mai hai
pensato che fosse qualcos'altro, un sentimento talmente forte e potente che sarebbe stato in grado di
tenere unite le due entità più opposte che possano esistere: il cacciatore e la preda. Ma il vostro
sentimento, l'amore di uno per l'altra, c'è riuscito, e niente ormai potrà cambiare le cose. Te ne puoi
andare in capo al mondo, ma non dimenticherai mai. Mai Edward, mai, mai, MAI!"

Alice fece una pausa per riprendere fiato e calmarsi, era proprio sconvolta. Mi sentivo sempre più in
colpa, stavo facendo soffrire tutti. Mi sentivo veramente inutile. Non riuscivo nemmeno a trovare la
parole per dare uno straccio di risposta alla mia sorella preferita, che in quel momento stava
piangendo a causa mia.

Alice poi proseguì: "Sii egoista per davvero per una volta, lascia che il tuo egoismo prenda il
sopravvento sulla ragione, anzi abbandona totalmente la tua razionalità e lasciati trasportare dagli
eventi. Rimani con colei che ormai è la tua vita; Bella, oltre ad essere il tuo destino, rappresenta ciò
che di più umano c'è in te, lei è per te quel cuore che non pulsa più vivo nel tuo petto. Non lasciarti
alle spalle il tuo cuore."

Alice aveva ragione, non sarei sopravvissuto senza Bella, il solo ricordo della sua presenza e calore
per me vitali non avrebbe mai sopperito all'assenza effettiva che avrebbe squarciato la mia anima,
anche se non ero sicuro di possederne una. In special modo in quel momento, in cui decidevo se
spezzare o meno il cuore della creatura più bella della Terra.

"Alice, devo pensare a cosa è giusto per lei. E se arriverò alla conclusione che per lei il nostro
mondo non è più un posto sicuro, per quanto un umano può essere sicuro accanto ad un vampiro,
dovremo lasciarla in pace. Libera di ricrearsi una vita normale, accanto a persone normali" e il volto
di Mike Newton tornò tra i miei pensieri.

Il volto di Alice era lontano, proprio come i suoi pensieri. "Ma Edward, non ce la farà. Non reggerà
al dolore che le darai."

"Lo vedi anche te, non si può sapere come la prenderà, magari riuscirò a farla ragionare e capirà
stare lontani è la cosa migliore. Certo, dovrò inventarmi qualcosa che la convinca che questa è la
cosa migliore, per lei soprattutto. Bella non desisterà tanto facilmente"

"Allora sei proprio deciso..." la voce squillante di mia sorella si fece cupa e tristissima.

"Alice, sai bene anche tu che è la cosa migliore, per tutti" aggiunsi secco.

"Non è ciò che ho chiesto! Tu non sei convinto, lo vedo sai? Lo vedo bene, io. Il tuo futuro è
sbiadito, non sei più così sicuro delle tue idee, quindi rispondi alle domande che ti pongo, non darti
altre risposte nella speranza di convincerti che stai facendo la cosa giusta. Perché non è la cosa
giusta!"

L'improvviso rimprovero di Alice, la voce dura, quasi furiosa, mi presero in contropiede, cosa a cui
non ero abituato. Iniziai a pensare a cosa fosse giusto e cosa sbagliato.
"Bene" disse Alice "non ti vedo più chiaramente. Bravo, pensa prima di agire"

La guardai in cagnesco e me ne andai.

"Di a Jasper di aspettarmi là, arriverò quando Bella se ne andrà"

Alice era sempre, un passo avanti a me.

Mi incamminai verso la casetta nella foresta, dove Jasper mi aspettava. Le parole scambiate con
Alice continuavano a girarmi in testa, senza tregua. E se avesse avuto ragione? Se andarmene non
fosse stata veramente la cosa migliore? Che avrei fatto se Bella non si fosse arresa di fronte alle mia
scuse? L'avrei trattata male, ferita, pur di salvarla un'ultima volta? E poi, salvarla da che? Il pericolo
era passato, in definitiva non avevo nulla di cui preoccuparmi. Non c'era nessun reale motivo a
minacciarla, quello di stasera era stato solo uno stupido incidente.

Ero perso talmente tanto nei miei pensieri che non mi accorsi di essere già arrivato alla casetta.
Jasper mi venne incontro, con un'espressione colpevole e dispiaciuta. Anche i suoi pensieri erano
altrettanto tormentati.

Scusa fratello. Non capiterà più.

"Hai ragione, Jazz, non capiterà più" disse con voce gelida."Scusa per il tono, non ce l'ho con te,
giuro. Ti stavo dicendo che si , hai ragione, non capiterà più. Me ne vado. Tra poco tempo, Bella
non farà più parte della mia vita, e voi tutti potrete vivere normalmente. Alice ce l'avrà a morte con
me, ma è la cosa più giusta... io non posso più stare con..." non riuscii neanche a pronunciare il suo
nome.

"Se tu credi sia così, allora: questione chiusa. Non parliamone più" disse Jasper freddo. Si voltò e
tornò verso casa.

"Aspetta, Alice mi ha chiesto di dirti di aspettarla qui, verrà non appena... Bella... ed io ce ne
saremo andati"

"Va bene."

Nella mente di Jasper non c'erano pensieri, apparte il constatare che ero turbato e molto infelice. Mi
resi conto un pò in ritardo che avevo preso repentino una decisione, avevo parlato d'impulso. Se
quelle parole erano uscite così, da sole e veloci, allora erano quelle che volevo far uscire. Mi accorsi
che la dote di mio fratello non mi aveva scalfito, Jazz non aveva nemmeno provato a calmarmi.
probabilmente anche lui. come Alice, aveva già capito che le cose sarebbero cambiate. Andando
alla casetta, mi ero preparato un discorso lungo e articolato, ma poi, vedendo il volto di mio
fratello, il mio compostissimo fratello, essere attraversato dalla paura, dalla colpa e dal rimorso, non
ho potuto dire altro rispetto a ciò che ho detto. Non sarebbe stato giusto.

Me ne sarei andato. Era la cosa migliore.

Tornai in casa, Alice mi aspettava sul retro.

"Edward, non è la cosa migliore..." iniziò Alice, ma poi si interruppe, vedendo i miei occhi spenti e
vuoti.
Rientrammo in casa ed Alice si portò veloce accanto a lei. "Su, cerchiamo dei vestiti meno macabri"

Insieme andarono al piano di sopra, mentre io rimasi nel salone ad ascoltare i pensieri della mia
famiglia.

Edward, figliolo, Alice dice che te ne andrai, è così? Se è ciò che hai deciso, verremo con te.
Carlisle era sempre ben disposto a giustificarmi.

"Grazie, ma non chiedo niente di tutto questo. Non voglio che mi seguiate." risposi.

E dove andrai, caro? Non darmi questo dispiacere, permettici di venire con te, sarà più facile
superarlo se saremmo tutti insieme. Esme era sempre amorevole.

"No, andrò da solo, non voglio essere un peso, tornerò a trovarvi, lo prometto"

Fratello, mi dispiace che tu voglia partire, non è quel che farei io, anzi, ora come non mai dovreste
starle accanto, ma se credi che sia giusto così, nessuno si opporrà. Emmett era sempre pratico e
sbrigativo.

"Grazie, Em. Credo sia la cosa giusta" e per tutta risposta mi guardò scettico,"ok ok, sono certo che
sia la scelta giusta" rettificai.

Finalmente combinerai qualcosa di buono, anche se hai dovuto sbattere contro gli eventi per
renderti conto che quell'umana...

"Zitta Rosalie!" e un ringhio mi salì dal petto. Rose scoprì i denti ma la cosa finì lì.

Non avevo voglia di discutere, non mi andava di parlare delle mie decisioni, delle mie azioni, di
quel che avrei fatto o non avrei fatto. E soprattutto non mi andava di parlare di lei. Non riuscivo
nemmeno a pensare al suo nome senza sentirmi perso, non potevo pronunciare il suo nome, perché
il suono di quella parola mi avrebbe ricordato l'amore che avrei abbandonato di lì ad un paio di
giorni. Non potevo pensare al suo nome.

Mi sarei dovuto controllare nel momento in cui lei fosse riapparsa dalla scala; mi imposi di apparire
più tranquillo possibile, per non metterla in allarme.

Ero all'ingresso, mentre Alice recuperava le cose di... Bella.

"Buonanotte" le augurarono Esme e Carlisle, mentre con occhiate ben poco distinte mi osservavano
e, mentalmente, mi pregavano di rilassarmi.

Uscire dalla grande casa bianca fu un sollievo. Camminavo accanto a lei, in silenzio, cercando di
scorgere di tanto in tanto le sue reazioni. Era pensierosa, ma taceva. Le aprii lo sportello del
passeggero e lei salì senza far storie, e, proprio mentre stavo per chiudere la portiera del pick-up,
notai un grosso fiocco rosso sul cruscotto, sotto al quale spiccava brillante la nuova autoradio che le
avevano regalato Emmett, Rosalie e Jasper.

Andai verso il posto del guidatore, ancora in silenzio, se avessi parlato sarei esploso in un fiume di
parole fatte di un misto di isteria e profondo dolore. Quando salii, il grande fiocco rosso non c'era
più. Lo aveva nascosto, pensando che con quel gesto mi avrebbe dato un picco di sollievo. Ma nulla
cambiò.
Il silenzio non mi dava affatto noia, non avrei saputo che dirle.

"Di' qualcosa" mi implorò.

"Cosa vuoi che dica?" risposi, dando un tono di indifferenza alla mia voce.

"Che mi perdoni"

"Perdonarti? Di cosa?" chiesi, ora arrabbiato. Lei non doveva farsi perdonare nulla.

"Se fossi stata più attenta non sarebbe successo niente" disse colpevole.

"Bella" Non riuscii a trattenermi dal pronunciare il suo nome, dovevo rassicurarla, e con mia grande
sorpresa non mi fece soffrire come credevo, forse mi stavo abituando all'idea che andarmene era
davvero la cosa migliore. "Ti sei tagliata un dito con della carta... non credo che sarai condannata a
morte" ma comunque avrei dovuto mantenere le distanze, per farle capire che qualcosa stava
cambiando. Magari, l'essere preparata ad una svolta le avrebbe fatto capire meglio la situazione.

"Comunque è colpa mia" affermò con più decisione.

Quelle parole, dette con tanta convinzione, furono un colpo troppo duro da sopportare... infatti
esplosi.

"Colpa tua? Se tu fossi tagliata a casa di Mike Newton, assieme a Jessica, Angela e agli altri tuoi
amici normali, cosa avresti rischiato di tanto disastroso? Di non trovare le bende? Se fossi
inciampata e crollata su una pila di piatti di vetro da solo, senza che qualcuno ti ci avesse
scaraventato, anche in quel caso, cosa avresti rischiato? Di sporcare i sedili dell'auto mentre ti
portavano al pronto soccorso? Magari Mike Newton ti avrebbe tenuta la mano mentre ti ricucivano,
e sarebbe rimasto là senza essere costretto a combatte contro l'istinto di ucciderti. Non pensare che
sia colpa tua, Bella. Non faresti altro che rendermi ancora più nauseato da me stesso."

"Che diavolo c'entra Mike Newton con questo discorso?" chiese lei inviperita.

"Mike Newton c'entra perché sarebbe molto più salutare, per te , stare con uno come lui" ringhiai le
ultime parole.

"Preferirei morire piuttosto che stare con Mike Newton" protestò decisa più che mai. "Piuttosto che
stare con chiunque non fossi tu"

Non ce l'avrei mai fatta a lasciarla... "Non fare la melodrammatica, per favore" brontolai.

"Allora non essere ridicolo" ruggì. E quel tono da tigre non si addiceva al viso da micia che mi
aveva, tra le altre cose, fatto innamorare di lei.

Non ce l'avrei mai fatta a lasciarla...

Continuai a guidare in silenzio,quando arrivammo di fronte a casa sua. Spensi il motore e lasciai le
mani sul volante.

"Resti con me stanotte?" chiese cauta. Il trambusto però non era ancora finito.
"E' meglio che torni a casa" dissi gelido.

"E' il mio compleanno" protestò debolmente.

"Non puoi fare i capricci... vuoi o no che tutti fingano di non saperlo? Delle due l'una" La mia voce
era ancora dura, ma non ero più arrabbiato come poco prima, le parole di Bella mi avevano fatto
capire che, per quanto volessi che fosse al sicuro, non potevo non fare i conti con i sentimenti di
uno per l'altra.

"Okay. Ho deciso che non voglio che tu faccia finta di niente. Ci vediamo di sopra." disse sollevata.

Scese di macchina e, goffamente, raccolse i regali ancora incartati.

"Non sei obbligata a prenderli" dissi accigliato, usando un pizzico di psicologia inversa, anche se
non serviva.

"Li voglio" rispose subito.

"Invece no" insistetti "Carlisle ed Esme hanno speso dei soldi per i tuoi regali"

"Sopravviverò" mi disse semplicemente. Se li mise sotto il braccio sano e chiuse impacciata la


portiera.

A quel punto scesi anch'io e mi portai subito vicino a lei. "Almeno lasciameli portare" dissi mentre
prendevo i pacchetti da sotto il suo braccio."Ci vediamo in camera tua"

Mi sorrise "Grazie"

"Buon compleanno" le sussurrai, baciandola delicatamente. Non mi sarei perso quell'ultima notte
con lei.

Bella si strinse a me per prolungare il bacio, ma io mi liberai e le sorrisi con fare suadente, come a
lei piaceva tanto, e sfrecciai verso l'oscurità, per entrare dalla finestra, in camera sua.

Entrai in camera sua senza fare rumore, come sempre e mi sedetti sul letto.

Quanto mi sarebbe mancato questo posto. Ricordai la prima volta che venni a far visita a Bella, le
volte che sussurrava il mio nome, le notti agitate dai sogni, e poi tutte le notti passate tra le mie
braccia... mi sarebbe mancata in un modo assurdo. Ma dovevo fare ciò che era giusto. Andarmene e
lasciarla vivere normalmente.

"Cos'ha il tuo braccio?" sentii chiedere a Charlie.

"Sono inciampata. Niente di grave" rispose Bella.

Ti hanno lanciato attraverso una stanza, pensai tra me, rabbrividendo per il pericolo che le avevo
fatto correre con quel gesto istintivo.

"Buonanotte, papà." disse Bella. La sentii andare verso il bagno. Io iniziai a gironzolare per la
stanza.
Decisi di lasciarle qualcosa. Due poesie. Cercai qualcosa per incidere la parete dietro all'armadio
che avevo già spostato in assoluto silenzio. Trovai una taglierina. La prima poesia era stata scritta
da una ragazza poco famosa, di cui, tra la confusione che ancora aleggiava nella mia testa, non ne
ricordavo il nome.

...Vedi.

Ti parlo anche se non mi rispondi.

Perché ho fatto perimetro intorno alla tua pelle,

alla profondità dei tuoi respiri.

E tu hai preso di me

l'anchito di vita che si chiama Amore.

Non puoi sottrarmi l'incanto luminoso del ricordo,

neanche se tacerai per sempre,

neanche se il dolore di non averti

mi spezzerà la costole.

Perché resteremo in noi,

tatuaggio indissolubile sul fondale dell'anima.

La seconda poesia rispecchiava in modo fin troppo limpido il mio amore per Bella, il desiderio che
avevo di lei.

Non ti ho amato per noia

o per solitudine

o per capriccio.

Ti ho amato perché il desiderio di te

era più forte di qualsiasi felicità.

Alessandro Baricco.

Rimasi qualche secondo a fissare le piccole incisioni sul muro e pensai che veramente Bella era
qualcosa di indissolubile dentro di me. L'avrei amata per sempre, non riuscivi a smettere di
ripeterlo.

Sistemai nuovamente l'armadio al suo posto e tornai a sedermi sul letto. Presi a giocherellare con i
biglietti aerei, ancora incartati, che Esme e Carlisle avevano comprato per permettere a Bella e me
di andare a far visita a Reneé a Jacksonville.
Bella entrò in camera, indossava un completo canottiera-pantaloncini in cotone coordinati, di un
color pesca chiaro. Sembrava un fiore appena sbocciato, il contrasto caldo del pesca con la sua pelle
chiarissima le donava una delicatezza tale da fare invidia ai fiori più belli e profumati.

"Ciao" dissi, e sentii la tristezza invadermi. Quanto mi sarebbe mancata... era un pensiero che non
mi toglievo dalla testa.

"Ciao" disse togliendomi i regali di mano e raggomitolandosi contro il mio petto.

"Adesso posso aprire i regali?" chiese tranquilla.

"Com'è che ti è tornato l'entusiasmo?"

"Mi hai incuriosita." disse semplicemente, senza traccia di forzature nei modo e nella voce.

Prese una scatola rettangolare, incartata di carta argentata: il regalo dei miei genitori.

"Lascia fare a me" forse stavo esagerando. Comunque scartai il regalo e le resi la scatola bianca.
Non avrebbe fatto danni sollevando il solo coperchio, no?

"Secondo te il coperchio riesco a sollevarlo da sola?" disse sarcastica. Appunto... sto esagerando,
pensai.

"Andiamo a Jacksonville?" era davvero felice all'idea.

"L'idea è quella"

"Non posso crederci. Reneé impazzirà! Non è problema per te, vero? C'è il sole, ti toccherà restare
al chiuso tutto il giorno" si preoccupò subito. Era proprio contenta, nonostante tutto.

"Penso di potercela fare" mi stavo odiando, dopo la decisione che avevo preso quella sera, non
saremmo mai andati a Jacksonville insieme. Guardai i suoi occhi, erano bellissimi, marroni, caldi e
profondi, resi ancor più belli da quell'ilarità improvvisa. "Se avessi immaginato la tua reazione a
questo regalo, ti avrei chiesto di aprirlo davanti a Carlisle ed Esme. Temevo che avresti avuto da
ridire" dopotutto si era tanto preoccupata che nessuno spendesse dei soldi per fare regali o altro.

"Bè, certo, è troppo. Ma tu verrai con me!"

Mi voleva, come io volevo lei... anche se me ne sarei presto. Sorrisi, pensando al suo ingenuo
entusiasmo.

"Adesso inizio a pentirmi di non aver speso qualche soldo per il tuo compleanno. Non credevo che
potessi sfoderare tutto questo buon senso" avrei dovuto fare di più di un semplice CD.

Bella posò i biglietti sul comodino e iniziò a scartare il mio dono. Come prima, glielo tolsi di mano
e glielo restio scartato.

"Cos'è?" chiese giustamente perplessa, sulla custodia del cd non la copertina, né disegni o scritte
che dessero un indizio del contenuto del disco.

Non le detti risposta, mi limitai a mettere il cd nel lettore accanto al letto e a spingere PLAY.
Io non parlai, e anche Bella rimase muta quando le prime note della sua ninna nanna si liberarono
leggere nella stanza. Mi aspettavo che dicesse qualcosa, ma l'unica cosa che uscì furono le lacrime
dai suoi occhi.

"Ti fa male il braccio?" chiesi incerto e ansioso.

"No, non è il braccio. E' bellissimo, Edward. Non avresti potuto regalarmi niente di più prezioso.
Non posso crederci." Non aggiunse altro, per qualche istante rimanemmo in silenzio ad ascoltare,
lei la mia musica, io il suo cuore.

"Immaginavo che non mi avresti lasciato portare qui un piano per suonartela di persona" mi
giustificai per la pochezza del regalo.

"Hai proprio ragione."

"Come va il braccio?"

"Benino" menti subito, non voleva che mi preoccupassi.

"Ti prendo un pò di Tylenol" decisi, non mi andava che provasse dolore, dopo quel che le avevo
fatto, quantomeno dovevo farla star bene.

La feci sedere sul letto mentre protestava. "Non ce n'è bisogno" disse. E poi aggiunse apprensiva
"Charlie". Suo padre non sapeva della mie arrampicate notturne.

"Non si accorgerà di me" dissi sicuro e sgattaiolai dalla porta. Mi diressi verso il bagno in cima alle
scale, velocissimamente mi avvicinai al mobiletto sopra il lavandino e presi il flacone di Tylenol, il
bicchiere azzurro di Bella e, dopo averlo riempito, tornai di corsa in camera, attento a non farmi
sentire da Charlie e soprattutto a non rovesciare l'acqua. Prese il farmaco senza lamentarsi

"E' tardi" le feci notare. La sollevai con un braccio mentre con l'altro presi la coperta. La adagiai sul
letto e la avvolsi nella trapunta, mi sdraiai accanto a lei, abbracciandola dolcemente. Si appoggiò
sulla mia spalla e la sentii sospirare leggera.

"Grazie ancora" disse Bella con un filo di voce.

"Prego" e restammo di nuovo in silenzio.

Il cd scorreva e iniziò la canzone preferita da Esme. Pensai a mia madre, alla mia vera madre, e a
tutto quello che aveva fatto per assicurarsi che Carlisle mi salvasse. Si era aggravata per starmi
accanto, per accertarsi di lasciare la mia vita in mani sicure. Aveva fatto quella che secondo lei era
la scelta giusta. Anche a me spettava ora. Lasciar vivere Bella normalmente, facendo la cosa giusta,
oppure rimanere con lei e continuare ad amarla, sapendo che è la cosa sbagliata? Ma dovevo fare la
cosa giusta...

"A cosa pensi?" mi chiese Bella.

Pensai se dirle la verità o meno... optai per la verità. "Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa
sbagliato" sentii che un brivido attraverso la schiena di Bella. Che sospettasse qualcosa? Non
sarebbe stata la prima volta in cui arrivava alla conclusione giusta da sola.
"Ricordi che ho deciso di non volere che ignorassi il mio compleanno?" chiese, cambiando
palesemente discorso.

"Si" risposi cauto, non sapevo mai cosa aspettarmi da Bella.

"Bè, pensavo che, visto che è ancora il mio compleanno, mi piacerebbe ricevere un altro bacio"

"Sei avida, stasera" scherzai.

"Si, lo sono - ma per favore, non farlo se non lo desideri davvero" disse, pungente.

Risi del suo tentativo, ma come potevo non avere voglia di baciarla. Sospirai. "Non sia mai che io
faccia qualcosa controvoglia" che grande bugia... mi stavo preparando a compiere un'azione che
mai e poi mai avrei voluto fare, di lì a qualche giorno le avrei detto addio, sarei sparito dalla sua vita
per sempre, e per sempre l'avrei amata. Era una grande contraddizione e una cosa che non
desideravo fare, ma l'avrei fatta.

La baciai, cauto e delicato come sempre. Poi tutti quei brutti pensieri si impossessarono di me e il
dolore che ne scaturì trasformò i miei movimenti calcolati e pacati, in movimenti decisi e mirati.
Sentivo il suo cuore battere forte e di colpo capii che era la cosa giusta, dovevo andarmene... il suo
cuore avrebbe continuato a battere ancora per tanto tantissimo tempo, non avrei mai più messo in
pericolo quei preziosi battiti. Le mie mani erano sul suo viso, tra i suoi capelli, e la stringevo forte a
me, Bella aveva già intrecciato le dita nei miei capelli, stringendomi a sua volta sempre più forte. Il
suo corpo caldo sotto il mio lo divenne ancora di più quando si strinse ancora di più al mio petto
marmoreo e a quel punto il mostro iniziò a ruggire dentro di me. Il veleno mi inondò la bocca e a
quel punto fui costretto ad allontanare Bella bruscamente, per evitare che il veleno entrasse nella
sua bocca.

Eravamo entrambi senza fiato. "Scusa" dissi ansimando "ho esagerato"

"Non m'importa" ribatté prontamente.

"Cerca di dormire, Bella" infondo era inutile proteggerla... i guai spesso se li andava a cercare.

"No, voglio che mi baci ancora" insistette.

"Sopravvaluti il mio autocontrollo" quante volte avevo detto quella stessa frase? Ma tanto Bella non
la voleva intendere.

"Cosa ti tenta di più: il mio sangue o il mio corpo?" chiese maliziosa.

"L'uno e l'altro" dissi sincero e sorrisi, perché il suo sangue mi attirava in quanto vampiro, il suo
corpo mi attirava in quanto uomo... "Ora, perché non smetti di sfidare la sorte e ti metti a dormire?"

"Va bene" disse, raggomitolandosi contro il mio petto.

Che giornata... una delle peggio da quando eravamo insieme. Si, avevo deciso per il meglio, ancora
pochi giorni e Bella sarebbe stata libera dalla mia presenza pericolosa e innaturale.

La sentii appoggiare il braccio ferito e fasciato sulla mai spalla, per avere un pò di sollievo dal
dolore che i punti le provocavano; probabilmente non si accorse che avevo capito che le faceva
male, e sicuramente lei non mi avrebbe mai dato ragione, ci tenere a non farsi vedere debole, era
una della sue caratteristiche principali, era una combattente.

E per me avrebbe combattuto? Ma certo che si, non avrebbe desistito tanto facilmente, era testarda,
avrebbe trovato di sicuro una soluzione a tutta questa storia. Ma io dovevo lasciarla andare. Ma
come? D'improvviso capii che c'era un solo modo per convincerla che facevo bene ad andarmene...
farle credere di non amarla più. Le avrebbe dato un dolore enorme, soprattutto dopo i discorsi in
ospedale a Pheonix e dopo tutti i motivi che le avevo dato dopo averle parlato dei Volturi. Doveva
credere che non fosse più importante per me, ma mi sarei dovuto impegnare comunque. Bella
sapeva quanto l'amassi.

Continuai a pensare e a pensare, fin tanto che non sentii Bella tremare e addormentarsi. Faceva
sempre così quando temeva che qualcosa di brutto stesse per piombarle addosso, tremava.

Bella sapeva che c'era qualcosa che non andava.

Capitolo 3

La fine

Avevo passato tutta la notte a pensare a quel che stavo per fare, e mi sembrava sempre più una
follia, giusta... ma pur sempre una follia.

Alle prime luci dell'alba, Bella era ancora in uno stato di dormiveglia, e potevo capire benissimo la
sua agitazione, non era di certo stupida, aveva capito che qualcosa non andava. Mi trattenni ancora
qualche minuto al suo fianco, volevo assaporare quegli ultimi momenti; quei pochi, ultimi istanti
che potevo ancora passare in quella stanza, abbracciando la mia ragione di vita, erano talmente
importanti che nulla mi avrebbe distratto. Le uniche distrazioni che volevo facevano parte di quel
meraviglioso miracolo che sonnecchiava irrequieto tra le mie braccia fredde. Studiai
minuziosamente la linea del viso, il taglio degli occhi, la forma della punta del naso rotondo, la
linea delle labbra rosee e piene, il colore della pelle, tanto chiaro e delicato da sembrare
trasparente... Bella era stupenda, non c'era niente al mondo più bello di lei. Quanto mi sarebbe
mancata...Mi avvicinai cauto, per non svegliarla del tutto, al suo petto: volevo sentire ancor più
nitido il battere del suo cuore. Tum-tum, tum-tum, tum-tum... la mia natura non avrebbe mai più
messo in pericolo quel dolce ritmo, talvolta zoppicante, che faceva si che il mio angelo fosse un pò
più vicina agli umani che ai mostri leggendari.

La luce fuori dalla finestra stava diventando troppo forte. Le diedi un bacio veloce sulla fronte e
uscii. Ma prima di scomparire dalla mia vista, notai qualcosa che forse era meglio non vedere: i suoi
occhi, erano tristi, preoccupati e confusi, molto confusi.

Corsi velocissimo verso casa. Trovai Alice ad aspettarmi sul portico.

"Edward, basta. Non puoi più passare la notte con lei. Non è giusto, la farai soffrire ancora di più se,
quando le dirai addio, le sarai ancora così vicino." mi rimproverò.

"Alice, veramente, non ho idea che giustifichino a Bella il mio allontanamento. Non so cosa le dirò,
non voglio che soffra, deve capire che è meglio così, deve credere che il mio mondo non è adatto a
lei, devi credere..." ma Alice mi interruppe, con aria triste.
"Deve credere che tu non la ami più... è l'unico modo. Inoltre dille che anch'io non starò più a Forks,
dille che dopo l'incidente ho convinto Jazz a passare un pò di tempo a Denali, e che ovviamente io
sarò con lui." si interruppe un istante, la sua mente era vuota quasi quanto il suo sguardo. "Un taglio
netto, Edward. E' l'unico modo"

Alice aveva ragione. Ma Bella non ci avrebbe mai creduto, e per quanto fossi bravo a fingere con
gli umani, lei mi conosceva a tal punto che mi avrebbe smascherato subito. E a quel punto che mi
sarei inventato? Che le avrei detto per starle lontano? Non ne avevo la minima idea.

Stavo annaspando in cerca di una soluzione, ma le parole di Alice erano quelle che mi davano più
speranza di una buona riuscita... Bella si doveva convincere che io non l'amavo più. Quale enorme,
spaventosa, orribile, insulsa e falsa bestemmia... l'avrei amata per sempre.

Si stava facendo tardi e dovevo andare a scuola. Dì a Bella che mi dispiace per l'improvvisa
partenza, che le voglio bene, ma che devo stare con Jazz. Mi raccomando Edward, non portarla più
qui, deve sospettare che le cose stiano cambiando, e che lo facciano anche velocemente... non ci
saranno abbracci e tempo per i saluti. Un taglio netto.

"Si Alice, ho capito... netto" e così dicendo montai in macchina e a velocità fin troppo elevata ma
diressi verso la Forks High School, luogo in cui avrei passato solo poche altre ore.

Bella arrivò a scuola pochi minuti dopo di me, ma appena vide il mio viso, il suo cambiò. Come
sempre aveva notato che ero turbato. Le andai incontro e aprii lo sportello del pick-up per aiutarla a
scendere.

"Come ti senti stamattina?" chiesi.

"Splendidamente" menti lei, probabilmente le dava noia anche il suono della mia voce.

Per tutta la mattinata cercai di non parlare di quello che era successo la sera prima, finendo solo col
cadere in un silenzio pesante o opprimente. Ero certo che anche Bella non volesse parlare di quello
che era successo, ed ero anche certo che avesse un milione di domande da fare ad Alice... solo che
Alice era "partita con Jasper per Denali", questa era almeno la versione ufficiale per Bella.

A pranzo, Bella cercava con lo sguardo, tra coloro che entravano dalla porta della mensa, il volto di
mia sorella. Quando poi vide Ben e Conner, che frequentavano francese insieme a lei, si accorse
dell'assenza di Alice.

"Dov'è Alice?" chiese quasi allarmata.

"Con Jasper" dissi distaccato, sbriciolando una barretta di cereali con le mani.

"Lui sta bene?" domandò cauta, quasi non volesse sapere realmente la risposta.

"Per un pò resterà lontano" chissà se Bella si sentiva in colpa, chissà se era un bene che si sentisse
in colpa, chissà che stava pensando in questo momento.

"Cioè? Dove?"
Mi strinsi nelle spalle e risposi ancora distaccato "In nessun posto preciso" forse era esagerata la
mia freddezza, ma Alice aveva ragione, dovevo distaccarmi da Bella, farle credere che non mi
importava più niente di lei, tanto da non darle la considerazione che maritava.

"E Alice gli farà compagnia" disse improvvisamente triste. Stava iniziando a capire...

"Si, starà lontana da casa per un pò. Vuole convincerlo a trasferirsi a Denali." In realtà Jasper ci
aveva anche pensato, ma poi i piani di Alice erano venuti fuori con tanta spontaneità e semplicità
che tutti erano stati d'accordo nel non dividere la famiglia ulteriormente. Già le mie decisioni erano
state fin troppo... radicali.

Mentre pensavo al disgraziato futuro, vidi Bella abbassare di colpo la testa e curvare le spalle;
sembrava che provasse un reale dolore fisico.

"Ti dà fastidio il braccio?" chiesi preoccupato. E me ne pentii subito. Distaccato, distaccato,


distaccato... non posso sbagliare ancora...

"Chi se ne importa del mio stupido braccio?" rispose in un mormorio, quasi disgustata da se stessa.

Non cercai nemmeno di proseguire la conversazione, e non avevo bisogno del mio talento
supplementare per sapere cosa le stava girando in testa. Si sentiva in colpa...

La vidi appoggiare la testa sul tavolo, come se fosse stata talmente esausta da non riuscire a
sopportarne il peso.

Per il resto della mattinata né io né Bella spiccicammo parola, lei avvolta nei suoi pensieri ed io
avvolto in pensieri attorno a lei. Poi, mentre la stavo accompagnando al pick-up mi chiese decisa
"Puoi venire più tardi, stasera?"

Una domanda che proprio non mi aspettavo. "Più tardi?"

"Oggi lavoro" disse con poco entusiasmo. "Devo restituire alla signora Newton la giornata libera di
ieri"

Avrei voluto dirle che non doveva preoccuparsi, che ci sarei sempre stato per lei, in ogni momento,
in ogni posto, in ogni situazione, ma non potevo, la mia scelta me lo vietava, e risponderle con
qualcosa tipo 'oh, che peccato, speravo di passare più tempo insieme' oppure 'certo, amore, vorrà
dire che ti terrò stretta tra le mie braccia stanotte' non era proprio il caso. Quindi dissi
semplicemente "Ah"

"Però quando torno a casa puoi venire, d'accordo?" era incerta nel dirlo.

"Se vuoi, ci sarò" in un modo o nell'altro sarei sempre stato vicino a lei, per continuare a
proteggerla, per continuare a vedere il suo viso, per continuare ad amarla. La mia natura me lo
permetteva, se volevo potevo passare inosservato a mio piacimento. Almeno una cosa buona l'avrei
fatta. Almeno non sarei impazzito del tutto. Almeno questo glielo dovevo.

"Certo che ti voglio" disse, e non vorrei sbagliarmi, ma sembrava implorarmi. Sentii un dolore
secco al petto.

"D'accordo" disse con tutta la freddezza possibile.


La baciai, sulla fronte, non potevo assaporare il calore della sua bocca, avrebbe capito che stavo
bleffando, e chiusi la portiera del pick-up. Mi voltai e raggiunsi la Volvo. se avessi potuto versare
lacrime, sarebbero state molte e tutte una più amara dell'altra.

Con mia grande sorpresa trovai Alice in macchina. Non me l'aspettavo, aveva tenuto ben fermi i
suoi pensieri evidentemente, o, cosa più probabile in quel momento, magari mi stava gridando
mentalmente, ma io non l'avevo sentita... Bella mi aveva assorbito totalmente.

"Volevo solo vederla un'ultima volta" mi disse, con una vocina talmente lieve che mi spezzò il
cuore muto. Non avevo mai visto mia sorella così umana. Riecco le lacrime impossibili...

"Alice, io..." ma che potevo dirle? Che mi dispiaceva? Non aveva senso. Io non avevo un senso.

"Quindi... tra 2 giorni?" vidi nei suoi pensieri il mio progetto, sembrava veramente orribile, le avrei
detto delle cose orribili.

"Già" non avevo parole. "Alice, vedi altre soluzioni nel mio futuro? Se ce ne fosse anche una sola
diversa da questa, ti giuro che la afferrerei al volo, ma nei tuoi pensieri vedo solo il vuoto" e pensai
se per davvero era la sua mente ad essere vuota, o se i suoi pensieri mi stavano mostrando la mia
vita futura. Un futuro che tra l'altro stava arrivando troppo velocemente.

"No Edward, non vedo altre soluzioni, non per ora... e poi lo sai meglio di me, questa è l'unica
soluzione che continuerò a vedere" abbassò il viso da folletto e i capelli neri la coprirono, come se
avesse avuto un pesante telo di velluto in testa. Mi mise un'enorme tristezza, poi continuò con voce
velata. "Ormai hai deciso, e non condivido, lo sai. Ma forse, sotto sotto, è la cosa migliore..." ma i
suoi pensieri volgevano da un'altra parte ora.

Vedevo un futuro che si sarebbe svolto di lì a due giorni... vedevo le menzogne che le avrei detto...
vedevo, con rammarico i suoi occhi.... vedevo, con disgusto, me stesso voltarle le spalle e
andarmene...

"Alice ti prego!" implorai mia sorella di smetterla, non lo sopportavo.

Mi lasciai cadere sul sedile, fortunatamente Bella si era già allontanata, e non mi avrebbe visto in
questo stato. Mi presi la testa tra le mani, fortuna che i miei nervi erano bloccati, altrimenti sarei
scoppiato in un attacco di panico in piena regola.

Alice mi posò una mano sulla spalla, voleva farmi coraggio. Ma io ero incline a ben altri sentimenti.
Il mio cuore, benché muto e fermo, era in piena guerra emotiva.

Provavo tristezza, un'infinita tristezza; rabbia, per l'incapacità di fare altrimenti rispetto a ciò che
avrei fatto; delusione, per la fine della cosa più bella e importante che mi fosse mai successa;
rammarico, per il dolore che avrei provocato nelle persone che amavo, per il dolore che avrei fatto
provare a Bella di lì a due giorni; disgusto, per tutte le bugie che le avrei raccontato, farle credere
che non l'amavo più sarebbe stata una pugnalata al cuore, sia per me che per lei. Ma il suo cuore
batteva, il mio no. avrebbe sofferto più di me? Sicuramente.

E poi un pensiero mi attraversò la mente. Ricordai perché stavo facendo tutto questo. Il suo cuore...
Lei sarebbe sopravvissuta, non sarebbe mai più stata in pericola per colpa mia, della mia natura,
avrebbe avuto di nuovo una vita normale. Aveva sfidato e vinto la morte troppe volte da quando ero
entrato nel suo mondo.

A quella constatazione mi sentii un pochino meglio, pensare che Bella, la mia vita, la ragione della
mia esistenza, il cuore che pulsante sostitutivo al mio immobile, il mio splendido Amore avrebbe
vissuto.

"Lei vivrà" mi disse d'improvviso Alice.

"Ma soffrirà..." e non c'era traccia di una domanda sottointesa nella mia voce, lo sapevo!

"Si, moltissimo. Voglio che tu lo sappia, non vedo belle cose nel suo futuro, però chissà..." disse
tranquilla Alice, come se sospettasse qualcosa di cui non era certa, ma i suoi pensieri erano una
nebbia vorticosa e agitata.

Alice era - quasi - sempre un passo avanti a me.

"Andiamo a casa" mi disse dolcemente, accarezzandomi il viso, rotto da un pianto che non poteva
sgorgare.

Parcheggiai nell'enorme garage ed entrammo in casa.

Non so come, ma mi ritrovai al pianoforte; le mie dita pallide e fredde scivolavano sui tasti veloci e
sicure, come se quelle nuove note la avessi suonate centinaia di volte.

Una nuova canzone pensò felice Esme, che stava al piano di sopra, immersa nelle carte di
ristrutturazione di una vecchia casa nel bosco. Oh! quant'è triste però, figlio mio! Le parole di mia
madre mi toccarono appena. Mi concentrai sui suoni che uscivano dalla coda del piano. Era davvero
una canzone triste, sembrava che ogni nota accompagnasse una lacrima versata e ormai persa.

Avevo cercato di estraniare tutti i pensieri intorno a me, ma poi, improvvisamente, cinque voci invasero chiassos
la mia mente.

Finalmente si è deciso a lasciarla, io l'ho sempre detto che quella Bella era insignificante, e forse
ora finalmente capirà chi merita le giuste attenzioni. Pensò Rosalie, mentre ammirava la sua
immagine perfetta nel riflesso della grande vetrata. Superficiale come sempre, ovviamente.

Fratello, sei in uno stato orribile... te l'ho già chiesto tanto tempo fa, ma la domanda mi sorge
spontanea: ne vale la pena? soffrire così? per un'umana?

Un ringhio cupo e atroce salì dal mio petto, non mi voltai nemmeno per incrociare i suoi occhi
dorati... Emmett capì al volo, si scusò e inizio a pensare a Rosalie e ai progetti che aveva per quella
sera. A quel punto emisi un lamento di disgusto e disappunto insieme.

"Scusa, fratello" disse imbarazzato. Emmett, lo sapevo, non era capace di trattenersi.

Vorrei averle lasciato qualcosa di mio, un oggetto, un ninnolo, o magari una maglietta che le
piaceva, perché potesse avere qualcosa di concreto oltre il ricordo. Potrei portale quei fermagli
che le avevo prestato; entrando dalla finestra stanotte non si accorgerebbe di me...
"NO! ALICE! SMETTILA!" urlai.

"Ah Edward! Non se ne renderebbe nemmeno conto. Non fare il difficile!" mi incalzò arrabbiata.

"Ho detto no, non intendo discutere di questa cosa!"

"Come ti pare, Edward" sputò il mio nome con tutta l'acidità possibile. Faceva paura quando si
infuriava. Alice era piccolina, ma feroce. Mi venne da sorridere.

Poi mi giunsero,dal piano di sopra, i pensieri di Esme. Erano divisi tra Bella e l'attività che stava
svolgendo. Strano...

Bella è una ragazza unica, Edward sbaglia a fare così. Lei dimenticherebbe tutto e tornerebbero ad
essere felici... Se solo lui non fosse così convinto, o almeno così determinato ad essere convinto.
Mio figlio sta per perdere la cosa più importante della sua vita...

Ma forse se metto il crema assieme al verde scuro, lo stacco sarà maggiore; sarà una stanza
inusuale ma elegante...

Si ne sono certa, mio figlio se ne pentirà amaramente, lo so, lo so...

NO! che idea orribile il verde! meglio crema e avorio, sisi! Crema e avorio sono perfetti...

Mia madre doveva essere proprio coinvolta dal nuovo progetto per mescolare il suo lavoro ai tristi
pensieri circa il mio imminente futuro.

Sapevo perfettamente di compiere uno sbaglio; un errore talmente grande e stupido da essere
secondo solo al desiderio di soddisfare realmente la sete che soffrivo per il suo sangue.

Bella era a lavoro e io avevo tempo a sufficienza per pensare. Ma io non volevo pensare, non più…
Era il tempo di agire, e avrei dovuto fare le cose per bene, Bella doveva credere che io non l’amassi
più.

Continuai a suonare, lasciandomi trasportare dalle note del pianoforte, e non cercai neppure di
bloccare i pensieri che invadevano la mia testa. I pensieri di Carlisle erano i più forti…

Figliolo, non mi va di vederti così abbattuto, forse non è il caso di procedere coi tuoi piani, forse
dovresti fare un passo indietro e riconsiderare ciò che veramente vuoi. So che non ti darai pace
facilmente per ciò che è successo ieri sera, ma sappi che tu non hai colpe, ed è con lei , e solo con
lei, che tu sei veramente felice. Fai la cosa giusta, Edward, ma la cosa giusta per te e per Bella…

Ma non volli più ascoltare. Era tutto troppo vero e troppo doloroso.

Decisi di uscire di casa, ma nemmeno un giro in macchina a tutta velocità mi avrebbe tirato su,
quindi mi risolsi ad andare a casa di Bella prima del tempo.

A casa Swan vi trovai la macchina di Chiarlie, ma Bella ovviamente non era ancora arrivata.
Parcheggiai dietro l'auto dell'ispettore capo, non avevo intenzione di trattenermi a lungo, anche se
avrei preferito fare tutto il contrario. Aspettai qualche minuto, ascoltando due tracce del mio disco
preferito, ma poi decisi di andare in casa.
La conversazione con Charlie era sempre stata poco produttiva, e dopo l'incidente di James, era
diventata anche difficile. Quindi ci limitammo ai saluti ed io mi accomodai sulla poltrona in salotto,
mentre l'ispettore Swan girava tra i canali sportivi. Infine si sintonizzò sulla ESPN, e proprio mentre
iniziava la sigla di un nuovo programma, sentii il pick-up fermare il suo ruggito e i passi veloci di
Bella verso l'ingresso.

"Papà? Edward?" ci chiamò Bella ad alta voce.

"Siamo qui" disse Charlie, senza staccare gli occhi dal televisore.

"Ciao" disse Bella esitante. Era chiaro che i conti non le tornavano, e vedere i suoi occhi tristi e
sentire quella splendida voce affievolita dalla preoccupazione mi dette un dolore atroce. Dovevo
farla finita, e subito. Il giorno dopo, decisi, le avrei detto che me ne sarei andato per sempre.

"Ciao, Bella. Ci sono degli avanzi di pizza. Dovrebbero essere ancora sul tavolo" disse distratto
Charlie.

Bella si diresse subito in cucina, ma a metà del corridoio si voltò a guardarmi. Voleva che la
seguissi, ma non l'avrei fatto. Se fossi rimasto solo con lei, l'avrei stretta forte al mio petto e le avrei
ripetuto per un'ora di seguito che l'amavo e che non avrei mai potuto fare a meno di lei, ma non
potevo. Quindi dissi semplicemente :

"Ti raggiungo subito" e tornai con gli occhi alle immagini della tv.

Sentii che non si mosse subito, poi però corse in cucina, e si sedette. Mi arrivava poco distinto il
rumore del suo respiro un poco irregolare, era agitata. Poi improvvisamente salì in camera e sentii
lo scatto di una macchina fotografica.

Stava fermando parti importanti della sua vita a Forks, e, come ovvio, tra le altre foto ci sarebbero
state quelle della sua casa. E come altrettanto ovvio, tra le altre foto ci sarebbero dovute essere
anche le nostre, se le avesse avuto il tempo materiale di farle. Ne aveva una mia, della sera del
compleanno, prima del disastro, scattata nel momento in cui il suo unico reale problema era sapere
se, una volta sviluppato il rullino, sarebbe apparsa la mia immagine. Quella foto sarebbe dovuta
sparire, STOP, basta, niente ricordi, niente pegni, niente ninnoli, niente di niente. Per Bella sarebbe
stato come se io non fossi mai esistito. O almeno me lo auguravo, prendendomi fortemente in giro
da solo, tra l'altro.

Tornò in salotto, ma non le badai, fin tanto che non fui abbagliato dal flash della macchina digitale.
Sia Charlie che io ci voltammo automaticamente, ma sentivo che nella mia espressione non c'era
nulla, ancora una volta non potevo manifestare la gioia di poter fare qualche stupida foto assieme
alla ragazza che amavo.

"Cosa fai, Bella?" si lagnò Charlie.

"E dai" lo incoraggiò lei, sedendosi in terra, di fronte al divano. "Sai bene che la mamma chiamerà
al più presto per chiedermi se sto usando i miei regali. Devo mettermi al lavoro se non voglio
deluderla" si giustificò.

"Ma perché fotografi proprio me?" potevo capire ora da quale dei due genitori Bella avesse preso
l'imbarazzo da riflettori.
"Perché sei un bell'uomo" scherzò. "E perché, dato che hai comprato la macchina fotografica, sei
obbligato ad essere uno dei miei soggetti"

"Bella fregatura" brontolò Charlie con voce quasi inudibile.

Io continuai a tenere il becco chiuso, mi veniva fin troppo naturale essere distaccato, forse
finalmente mi era entrato in testa che dovevo lasciarla.

"Dai, Edward, fanne una a me e papà" era diventata brava a fingere, quasi quanto me, ma poteva
imbrogliare giusti giusto Charlie o i suoi amici, io sapevo che aveva mille pensieri nascosti su tutto
ciò che stava succedendo.

Mi lanciò la macchina fotografica, senza incrociare il mio sguardo, e mi chiesi se lo avesse fatto
apposta. Bella si inginocchiò accanto al divano, su cui stava Charlie.

"Devi sorridere, Bella" dissi piano. Lei obbedì e scattai la foto.

"Okay, ora tocca a voi" decretò l'ispettore Swan.

Mi alzi dalla poltrona e consegnai la macchina fotografica a suo padre, mentre Bella mi si strinse
forte ai fianchi.

Le poggiai con fin troppa delicatezza una mano sulla spalla, ma mi sentivo rigido.

"Sorridi Bella" disse Charlie da dietro l'obbiettivo.

La sentii sospirare profondamente prima di sorridere, poi il flash illuminò la stanza per la terza
volta.

"Basta foto, per stasera" decretò l'ispettore capo, nascondendo la macchina fotografica tra i cuscini.
"Non sei obbligata a finire subito il rullino"

Mi sciolsi dall'abbraccio e tornai sulla poltrona.

Anche bella si sedette, sul divano.

Com'è che non cincischiano come al solito, stasera? Lui è molto strano, sulla difensiva, lei invece
sembra abbattuta, però forse mi.... E i pensieri di Charlie si oscurarono, sostituiti dall'attenzione per
la partita.

Notai che le mani le tremavano, doveva essere davvero agitata. Senza farmi vedere, continuai ad
osservarla. Non si muoveva, sembrava un vampiro per quanto riusciva a rimanere immobile; ancora
una volta, avrei dato chissà cosa per conoscere i suoi pensieri.

Quando la trasmissione finì, Bella era ancora nella solita posizione, ma, ne ero certo, i suoi pensieri
scalciavano ovunque, in particolare verso di me. Mi alzai.

"E' ora di rientrare" dissi semplicemente, e mi avviai verso la porta, senza aspettare che lei mi
accompagnasse.

"Ciao, ciao" mi salutò distratto Charlie.


Bella si era alzata e mi era accanto. Sulla soglia di casa non accennai a fermarmi e puntai verso la
macchina.

"Non rimani?" chiese triste, ma sapeva già la risposta.

"Stasera no" le mentii. Certo che sarei rimasto, solo che lei non lo avrebbe saputo.

Non aggiunse altro ed io me ne andai. Aveva iniziato a piovere, e mentre uscivo veloce dal vialetto
di casa Swan, mi sorpresi nel vedere Bella sotto la pioggia che mi fissava. Il suo viso angelico era
una maschera di pura delusione.

"Sei un essere orribile, Edward Culle" mi dissi, e sfrecciai verso casa.

NO EDWARD, TE LO PROEBISCO! i pensieri di Alice erano fin troppo chiari; aveva visto che
avevo in progetto di andare a trovare Bella, quella notte. Parcheggiai nel grande garage e sentii la
portiera aprirsi.

Era furiosa, Alice sapeva ed era furiosa. E i suoi pensieri non lasciavano riserve. Era furiosa.

"Pensa, Edward! Pensa prima di agire, che diamine!" urlava e ringhiava, per un momento ebbi il
timore di aver stuzzicato un pò troppo la pazienza della mia piccola vampira preferita, che mi si
agitava di fronte come un uragano.

"Stanne fuori, Alice!" non era una minaccia, né un rimprovero, assomigliava molto di più ad una
supplica.

E se ne accorse anche lei.

"Edward, non puoi" ora parlava con calme e dolcezza. "Pensa se si svegliasse e ti trovasse lì. Non
credi che bella sia già abbastanza confusa?" era dispiaciuta perché vedeva tutto il dolore che
provavo per il comportamento che mi ero imposto di avere verso il mio angelo stupendo; era
dispiaciuta per la sua migliore amica, che non era nemmeno riuscita a salutare prima di "partire";
Alice era dispiaciuta per tante cose, ed io non volevo farle pesare addosso anche le mie
improvvisate.

Decisi quindi di darle retta.

"Okay, Alice, vuoi venire a caccia con me, allora?" dissi.

Sembrava scettica, anche tra i suoi pensieri. Mi guardo di sbieco, con un sopracciglio alzato.

"No, non fuggirò da lei, anche perché tu lo sapresti subito... che senso avrebbe chiederti di venire
con me, se avessi in programma qualcosa che tu sapresti in tempo reale?" la rassicurai.

Allora sorrise. "D'accordo fratellone, d'accordo"

Non entrai nemmeno in casa a salutare la mia famiglia, non mi andava di dover sentire ancora le
scusa di Jasper, il compiacimento di Rosalie, la praticità di Emmett, il dispiacere di mia madre, e,
soprattutto, i buoni e giusti consigli di mio padre.
Anche Alice, intuita la situazione, cercò di darmi un pò di tranquillità, e i suoi unici pensieri, per
tutto il tragitto, furono 'quel paio di jeans' o 'quella maglietta colorata' oppure ' quelle scarpe unite a
quella borsa'.

Cacciammo tranquilli, o per meglio dire, alice cacciò tranquilla, io ero talmente concentrato a
sembrare di non esserlo, che sfogai tutta la mia rabbia e frustrazione su tre alci maschi e un puma.
Finita la caccia, Alice sembrava un fiore appena sbocciato, io... un reduce di guerra. Avevo sangue
ovunque, peli e terra appiccicati sulla pelle bianchissima, i vestiti erano completamente a brandelli.
Ma, quanto meno, mi ero calmato un poco. Tornammo a casa in silenzio, ed io bloccai i pensieri di
mia sorella, non volevo conoscerli, perché ero certo che mi avrebbero terrorizzato.

Il mattino seguente trascorse come quello del giorno prima. Bella pensava ed io non parlavo. Le
camminavo accanto in silenzio, fingendo indifferenza, mentre in realtà la osservavo quando ero
certo di non essere scoperto. Le uniche parole che le rivolsi furono quelle che le suggerivano la
risposta giusta ad una domanda di letteratura; sembrava - tanto era assorta - che non avesse
nemmeno sentito il professore.

A pranzo Bella si distrasse con Jessica e la macchina fotografica.

Io continuavo a stare in silenzio. Non era un grande sforzo per un vampiro.

Ma dentro di me ruggevo. Avrei solo voluto abbracciarla, stringerla e baciarla.

E invece, dopo le lezioni sarebbe finito tutto...

Accompagnai Bella al pick-up, e detti il via all'ultimo definitivo ciack della mia vita, della mia
nuova vita felice.

"Ti spiace se vengo da te oggi?" chiesi debolmente.

"Certo che no" sembrava perplessa e colta di sorpresa.

"Adesso?" insistei, mentre le aprivo la portiera.

"Certo" disse con voce tremante, il terrore nei suoi occhi. "Prima però passo a spedire una lettera a
Renée. Ci vediamo a casa."

Vidi il pacchetto sul sedile e mi allungai a prenderlo. "Ci penso io, e vedrai che arriverò per primo"
le dissi sorridendo. Ma il sorriso si spense prima ancora di nascere, il dolore mi stava attanagliando.

"D'accordo" rispose Bella. Chiusi la portiera e mi avvia verso la Volvo. Bada bene a non guardarla
in viso, di certo la sua espressione non era della più felici.

Invece di andare a consegnare subito la lettera, mi diressi a tutta velocità verso casa Swan,
percorrendo un'altra via, per non incrociare Bella.

Arrivai in un lampo, e, siccome in casa non c'era nessuno, entrai per sistemare le cose, come mi ero
ripromesso. Andai in camera di Bella, la scelsi come prima meta perché non volevo che fosse
l'ultimo ricordo materiale del mio splendido angelo. Mi guardai intorno e poi faci tutto molto
velocemente: alzai una delle assi del pavimento che non era ben fissata a terra e vi riposo dentro le
foto fatte nei due giorni precedenti, il cd con la mia musica e tutti i biglietti e missaggi che le avevo
scritto nei sei mesi passati insieme. Volevo che tutto di me sparisse alla sua vista, ma volevo anche
che tutto le restasse vicino. Rimisi l'asse al suo osto e scesi in cucina. Presi il blocchetto e la penna
sopra la mensola e scrissi, con la grafia disordinata di Bella: Vado a fare due passi con Edward, su
per il sentiero. Torno presto, B.

Strappai il foglio e lo misi in bella vista sul banco della cucina. In quel momento sentii il pick-up
che si avvicinava. Uscii dal retro e rientrai in macchina.

Bella scese dal pick-up e le andai incontro. Le tolsi lo zaino di mano e lo riposo sul sedile del
furgone. La presi per mano, con fare impassibile e la portai verso il bosco. "Facciamo una
passeggiata" le dissi.

Bella era in silenzio, sentivo i suoi occhi addosso, ma comunque restava in silenzio. Eravamo sul
lato destro della casa, non troppo lontani dal giardino, e speravo con tutte le mie forze che le
previsioni di Alice non si avverassero; mia sorella non ne aveva fatto parola con nessuno, ma di
certo non poteva nasconderlo a me, i suoi pensieri la notte precedente erano limpidi e fin troppo
forti...

Mi appoggiai ad un tronco e la fissai.

"Bene, parliamo" mi disse aggressiva. Ciò mi sorprese, ma non glielo feci capire.

Feci un respiro profondo, e... "Bella, stiamo per andarcene"

Non sembrava stupita, piuttosto sembrava curiosa. "Perché proprio adesso? ancora un anno..."

"Bella, è il momento giusto. Per quanto tempo credi che potremmo restare a Forks? Carlisle
dimostra a malapena trent'anni e già devo dichiararne trentatré. Comunque vada, non passerà molto
tempo prima che ci tocchi ricominciare tutto da capo" era la scusa più patetica del mondo, però non
fu quello a lasciarmi perplesso... era l'espressione contraddetta di Bella, sembrava non capire, e ciò
mi rese ancora più guardingo.

Aveva capito male.

"Hai detto stiamo..." disse in un sussurro.

"Intendo la mia famiglia e me" dissi lentamente, per non tradire fraintendimenti.

Rimase a fissarmi per qualche minuto. "Okay" disse infine "Verrò con te"

Magari amore mio, magari. E invece: "Non puoi, Bella. Dove stiamo andando..." non stavamo
andando proprio da nessuna parte. "Non è il posto adatto a te" dissi semplicemente, per non darle
informazioni.

"Il mio posto è dove sei tu" era sconvolta.

"Non sono la persona giusta per te, Bella" e Dio quant'era vero.

"Non essere ridicolo" disse con rabbia. "Sei la cosa migliore che mi sia capitata, davvero"

"Il mio mondo non è fatto per te" dissi duramente.


"Ma ciò che è successo con Jasper... non conta niente, Edward... niente!" non si sarebbe arresa.

Nella mia testa non c'era un solo pensiero, la sentivo vuota e pesante, come una sorta di emicrania.

"Hai ragione. Era semplicemente un gesto prevedibile" dissi distaccato.

Ma la sua rabbia non sbolliva...

"L'hai promesso1 A Phoenix hai promesso di rimanere..." ma la interruppi.

"Fino a quando fosse stata la cosa migliore per te" precisai.

"NO! Non dirmi che il problema è la mia anima!" urlò con tutta la forza che probabilmente aveva,
ma continuava a sembrare un gattini arrabbiato, lo stesso micione che mi aveva fatto innamorare
perdutamente. "Carlisle mi ha detto tutto, ma non m'interessa, Edward. Non m'interessa! Prenditi
pure la mia di anima. Senza di te non mi serve: è già tua!

Abbassai automaticamente lo sguardo a terra. Carlisle... mio padre la sapeva lunga in merito a ciò
che pensavo della mia anima... e Bella... Bè io sapevo fin troppo bene quello che pensava lei, a lei
non importava che io credessi di non avere un'anima, e mi accettava comunque, ma io non potevo di
certo mettere in pericolo la sua. Alice si sbagliava... non sarebbe mai successo! Dovevo farla
finita... quindi optai per le maniere forti, secche, dure.

"Bella, non voglio che tu venga con me" dissi calmo, ma con un tono di voce che non permetteva
repliche.

Dopo un tempo interminabile, Bella parlò a singhiozzi, ma nessuna lacrima uscì dai suoi occhi di
cioccolato.

"Tu... non.. mi vuoi?"

Ti vorrò per il resto della mia squallida esistenza! "No!" dissi secco.

Mi fissò a lungo, e badai bene a non farle capire quanto avrei voluto contraddire ciò che le aveva
appena detto.

Quando parlò, il suo tono di voce era diverso. calmo, razionale, pacato e comprensivo. Ci aveva
creduto... ed ora ero io a non crederci.

"Bè, questo cambia le cose"

Non potevo crederci, era una reazione che non mi aspettavo, andava contro ogni logica, come
poteva crederci, dopo tutto quello che avevamo passato, dopo tutte le volte che le avevo detto di
amarla, dopo tutte le notti passate con lei... mi voltai un attimo verso gli alberi, per nascondere
quella delusione, devo confessarlo, che la sua risposta mi aveva lasciato. Quando mi calmai, ripresi
a parlare.

"Ovviamente, a modo mio, ti amerò sempre." Era una cosa che dovevo sottolineare, anche se detta
in quel modo assomigliava quasi ad un favore che le facevo piuttosto che alla verità. "Ma quel che è
successo l'altra sera mi ha fatto capire che è ora di cambiare. Vedi sono... stanco di fingere
un'identità che non è mia, Bella. Non sono un essere umano" e le mostrai tutta l'inumanità che
racchiudevo, facendo del mio viso una maschera di perfezione senza vita e colore, incorniciata solo
da occhi di uno strano colore e capelli in disordine, l'unico tratto che probabilmente mi faceva
sembrare umano. "Ho aspettato troppo, e ti chiedo scusa"

"No" sussurrò pianissimo "Non farlo." I suoi occhi, quell'espressione, erano una tortura. Bella non
meritava tanto dolore, ed io di certo non meritavo lei, la stavo distruggendo, e lo stavo facendo per
salvarla. Almeno era ciò che credevo. Ormai avevo deciso.

"Tu non sei la persona giusta per me" doveva credere in tutti i modi che il motivo per cui me ne
andavo era racchiuso nel fatto che non l'amavo più.

Restò in silenzio, con il viso vuoto, spento, senza trovare probabilmente una giustificazione a quel
mio repentino cambio di opinione.

"Se..." disse infine. "Ne sei certo"

Annuii senza parlare, se avessi pronunciato anche una solo sillaba, avrei tradito tutto lo sforzo fatto
fino a quel momento, ancora una volta, se avessi potuto, avrei pianto.

Dovevo ritrovare la lucidità, dovevo assicurarmi che non avrebbe fatto qualche sciocchezza... se si
fosse ferita, se fosse... non riuscivo a pensarci nemmeno, anche perché sarebbe stato a causa mia.

"Vorrei chiederti un favore, però, se non è troppo"

"Tutto quello che vuoi" mi promise.

La guardai fisso, con occhi imploranti, e con troppa dolcezza le dissi: "Non fare niente di insensato
o stupido... Capisci cosa intendo?" la amavo troppo da permettere che si facesse del male... ma mi
ricomposi e tornai a guardarla freddamente. Lei annui, sconfitta.

"Ovviamente penso a Charlie. Ha bisogno di te. Stai attenta a ciò che combini... fallo per lui" e per
me, pensai.

"Lo farò" sussurro ancora. Sembrava sfinita.

Mi rilassai, dopotutto Bella era una persona di parola, e non avrebbe rotto un patto così
importante... vero?

"In cambio" continuai "Ti faccio anch'io una promessa" doveva capirlo, e farselo entrare in testa.
"Prometto che è l'ultima volta che mi vedi. Non tornerò. Non ti costringerò mai più ad affrontare
una situazione come questa. Proseguirai la tua vita senza nessuna interferenza da parte mia. Sarà
come se non fossi mai esistito."

La vidi impallidire ancor di più. Allora le sorrisi dolcemente.

"Non preoccuparti. Sei un essere umano...la tua memoria è poco più che un colino. Il tempo
guarisce tutte le vostre ferite" dissi con leggerezza. Lei però era sempre più seria.

"Ei tuoi ricordi?" chiese con un soffio.


"Bè..." ci avrei convissuto per sempre, assaporandoli ogni giorno, ripensando a tutte le espressioni
del suo viso delicato, alla sensazione del calore della sua pelle a contatto con il marmo della mia, al
cioccolato caldissimo e fuso dei suoi occhioni, alla sfumatura rossa dei suoi capelli, alla morbidezza
della sua pelle, ai suoi modi sempre gentili, affiancati da un fare un poco impacciato e maldestro,
che la rendeva ancora più tenera, a quell'innaturale mancanza del senso di conservazione che
caratterizza ogni essere umano, al suono della sua voce, e, infine, il profumo di rose e fresie del suo
sangue. Ma soprattutto, sopra ogni altra cosa... il cuore... il suo cuore... ogni battito era per me una
gioia, era una scintilla incandescente che bruciava ritmica dentro di me. Proseguii "Non
dimenticherò. Ma a quelli come me... Basta poco per trovare una distrazione" Sorrisi, ripensando a
vecchie parole di Alice... non sarei mai stato di nuovo felice.

Feci un passo indietro, il desiderio di abbracciarla era troppo forte. "Tutto qui, credo. Non ti daremo
più fastidio." Ah, toppato, non avrei dovuto usare il plurale, e se ne accorse, Alice...

"Alice non tornerà" disse talmente piano che stentai a sentirla. Per Bella, mia sorella era a Denali,
non nella sua stanza con Jasper - dove in questo momento era, probabilmente.

Feci cenno di no con la testa, continuando a fissarla. Non mi sarei perso un solo millesimo del
tempo che mi rimaneva, ed il tempo iniziava a scarseggiare. Poi le dissi semplicemente. "No. Se ne
sono andati tutti. Io sono rimasto soltanto per poterti salutare." non so perché, ma usando la scusa
della partenza della mia famiglia, mi sentivo un pò meno un viscido.

"Alice se n'è andata?" era molto delusa e incredula, la sua migliore amica non l'aveva neanche
salutata. E inoltre questa era l'unica domanda che non avrei voluto sentire.

Optai per una mezza verità "Voleva salutarti anche lei, ma l'ho convinta che un taglio netto sarebbe
stato per te meno doloroso"

Alice non me l'avrebbe perdonata.

E a quel punto io non riuscivo più a starle di fronte. Ormai avevo finito le mie battute ed era tempo
di scendere dal palcoscenico.

"Addio, Bella" e qualcosa dentro si ruppe, consapevole che non sarebbe mai più tornato a posto.

"Aspetta!" ansimò, cercando di abbracciarmi. rimasi immobile per un millesimo di secondo, non
sapendo che fare, sentire il suo calore vicino per l'ultima volta era la cosa che più avrei voluto
sentire, ma anche la più sbagliata.

Quindi le strinsi i polsi delicato e le riportai le braccia lungo i fianchi. Trattenni il respiro, chiusi gli
occhi e le sfiorai la fronte con un bacio leggero. La sentii sospirare.

"Fai attenzione" le dissi piano, implorante, ad un centimetro dalla sua pelle.

Le lasciai i polsi e volai via in un lampo.

Non mi avrebbe rivisto. Ma io l'avrei rivista, sempre, ogni momento del giorno e della notte,
soprattutto la notte. Avrei dovuto convivere coi danni che avevo fatto in quell'ultima mezz'ora.

Ripresi la macchina e tornai a casa.


Trovai Alice sulla veranda. Mi abbracciò, la guardai e vidi tra i suoi pensieri che avevo una faccia
sgomenta, sconvolta, terrorizzata e devastata. Ero il ritratto del dolore. Se stavo io così, Bella...

Vagai a vuoto per casa, per il giardino, per il bosco e di nuovo in casa per ore.

Decisi di tornare da lei, per vedere come stava, mancavano un paio d'ore all'alba. Guardai il cielo,
una volta mi aveva detto che la notte le piaceva perché poteva vedere le stelle, ma quella sera non si
vedevano, non c'era la luna. Era una notte di luna nuova. Vidi tante macchine allontanarsi da casa
Swan... poi la voce di Charlie dal salotto e i suoi pensieri.

Non potevo crederci, avevo scritto il biglietto per pura precauzione... Bella era entrata nel bosco e
non so come si era addormentata in mezzo alla macchia verde che tanto detestava. Ora era sul
divano, sporca, bagnata e sconvolta. continuava a ripetere soltanto "Non c'è più".

Cosa avevo fatto? Avrei voluto morire. Una magra consolazione vedere quanto mi amava... La
sentii salire in camera e, dopo aver capito che le avevo fatto sparire tutto ciò che poteva ricollegare
a me, la vidi cadere a terra, con grandi lacrime che cadevano silenziose.

Ero tornato in teatro in tempo, avevo assistito all'ultima scena.

Il tempo passa. Anche quando sembra impossibile. Anche quando il rintocco di ogni secondo fa
male come il veleno che entra in circolo nelle vene. Passa in maniera disuguale, tra strani scarti e
bonaccie prolungate, ma passa. Persino per un vampiro.

I mesi passavano, ma io non riuscivo a dimenticarmi di lei. Ogni volta che chiudevo gli occhi, ecco
che il suo viso appariva. Fortuna che i vampiri non dormono.

dopo quel pomeriggio di quattro mesi prima, Forks non aveva più visto in giro la famiglia Cullen.
La voce messa in giro da Carlisle riguardava la sua repentina assunzione in un ospedale di Los
Angeles. La luminosa L.A. L'ultimo posto in cui saremmo andati, se ci fossimo trasferiti davvero.

Il piano era stato seguito perfettamente e nei minimi dettagli. Bella sapeva che: Alice e Jasper erano
partiti per Denali. Emmett e Rosalie stavano per i fatti loro. Carlisle, Esme ed io ci eravamo
trasferiti altrove, semplicemente. E poi la notizia dell'assunzione di mio padre in un rinomato
ospedale di Los Angeles.

Ma niente di tutto ciò era accaduto. Eravamo ancora tutti là, a Forks, nella grande casa bianca,
immersa nella foresta. E mai, come in quei quattro mesi, la nostra vita era assomigliata tanto a
quella dei comuni vampiri. Io, per esempio, vivevo solo di notte.

Non avevo più orari, non avevo più regole. Vivevo più che mai alla giornata, cacciando molto
spesso solo per alleviare quel senso di noia costante che riempiva il mio quotidiano.

Da quando era finita, per le prime due settimane, ogni giorno aspettavo con impazienza che la notte
calasse, per tornare, anche se per poche ore, dal mio angelo splendido.

Ogni notte era più dura di quella precedente. Entravo di nascosto, senza far rumore, mi sedevo sulla
sedia a dondolo nell'angolo e la osservavo dormire. Era bellissima, ma nel suo volto angelico
c'erano i segni del dolore. per i primi tre giorni, Bella dormì tranquilla - se il suo dimenarsi nel letto
poteva essere definito tranquillo. Però aveva smesso di parlare. Da quando tutto era finito, Bella non
aveva più detto il mio nome. Meglio così, pensai.

La quarta notte in cui andai a trovarla, accadde una cosa orribile.

"Edward" bisbigliò Bella nel suo sonno agitato. Il cuore mi si riempì di calore, che bello sentire il
mio nome tra le sue labbra. Poi...

"Edward. Edward. No! no! no! NO! Ti prego! NON ANDARE!" e dopo questa parole, cacciò fuori
un urlo straziante, forte, doloroso e terrificante.

Rimasi di sasso per un minuto infinito, finché non sentii Charlie correre verso la camera di Bella. A
quel punto fui costretto a fuggire via nella notte, come il fantasma di un orrido ricordo. Per le due
settimane successive, ogni notte, Bella ripeteva la solita scena. Parole, urla, Charlie. urlava finché
non riusciva a svegliarsi del tutto, confortata dal padre.

Cosa avevo fatto? Ero un mostro. E anche un vigliacco... dopo due settimane di urla strazianti e
orribili non ressi più. Decisi di partire.

Non potevo sopportare quelle urla, sapendo che erano a causa mia. Ancore una volta avevo fatto la
cosa sbagliata. Ma avrei mai imparato la lezione?

Dovevo dare ascolto a lei, a Alice, a mio padre, a tutti insomma... non avrei dovuto lasciarla. Sarei
tornato da lei anche il mattino seguente, ma avevo fatto una promessa, sarebbe stato come se non
fossi mai esistito. Promessa che avevo infranto subito il giorno dopo, andando di nascosto nella sua
stanza. Non potevo stare lontano, dovevo vedere come stava. E ora lo sapevo, e come se lo sapevo.
Quindi decisi di partire, subito, senza troppe spiegazioni, la mia famiglia lo avrebbe accettato, e
forse anche Esme se ne sarebbe fatta una ragione.

La rabbia in me cresceva sempre più. Che stupido! Che stupido ero stato! Pensare che Bella avrebbe
superato facilmente la nostra lontananza, credere che - se io le fossi stato lontano - per lei sarebbe
stata la cosa migliore, non vedere nei suoi occhi di cioccolato tutto quell'amore che avevo visto
bene di gettare dalla finestra in 10 minuti.

Che stupido ero stato. Ma non potevo farci nulla ormai, non potevo bussare alla sua porta
implorandola di riprendermi, per quanto mi amasse il suo orgoglio non glielo avrebbe permesso.
No? Non mi avrebbe mai più voluto nella sua vita. Infondo era ciò che volevo, giusto!?

Sinceramente... in quel momento l'unica cosa che desideravo di più al mondo era arrampicarmi in
camera sua e abbracciarla forte, rassicurarla che tutta quella storia era solo un brutto scherzo, dirle
che l'avrei amata per sempre e non mi sarei allontanato mai più. Lei era la mia vita, il mio cuore
muto pulsante.

Arrivai a casa che ancora correvo all'impazzata, ma non era più una corsa euforica, questa era la
corsa che chiudeva il mio mondo a Forks, era la corsa della fuga.

Alice era come sempre sul portico, mi aspettava. E già sapeva tutto, ovviamente. Mi guardò
compassionevole, e tra i suoi pensieri mi disse che le dispiaceva, ma ora che sapevo potevo capire
lo sbaglio che avevo fatto. Mi accarezzò una guancia e volò verso la foresta. Da dentro casa tutti i
pensieri erano incentrati sulla mia partenza.
Oh Edward, ancora? Fratello, non puoi vivere così... Emmett... Bè era Emmett.

Mi dispiace tanto Edward, se io... ma feci cenno a Jazz di non continuare, sapevo che non era lui il
colpevole.

Caro, non farlo, lei crede che già ce ne siamo andati tutti, ma siccome non è così, ti prego, non
lasciarci. L'amore di Esme era infinito, io e Carlisle lo definivamo un dono speciale tutto suo,
prendendola un pò in giro, però ora iniziavo a pensare che fosse così veramente.

Cresci una buona volta, ragazzino! hai fatto un casino, Bè risolvitelo da solo... e non ci scocciare!
Anche Rosalie era sempre Rosalie, però aveva ragione - ed eravamo a tre volte in cui le davo
ragione, iniziava a darmi sui nervi - non li dovevo scocciare e dovevo risolvere i miei problemi per
conto mio.

Figliolo, ogni tua decisione a me andrà bene, ma preferirei che stavolta tu riflettessi per bene, e
comunque, se partirai, noi saremo qui se vorrai tornare indietro. La saggezza e la compassione di
mio padre erano lo schiaffo più duro mai ricevuto.

Ma dovevo partire, anche per soli pochi giorni, dovevo capire a quale categoria di imbecille
appartenevo.

Lasciai perdere tutti quei pensieri, non li volevo sentire, non mi interessavano, non mi interessava
più niente. Non volevo più stare lì!

Andai diretto in camera mia e afferrai la prima borsa da viaggio che mi trovai sottomano. La riempii
con qualche jeans comodo, un paio di maglioni pesanti e varie maglie a maniche lunghe, non che mi
importasse il mio aspetto, ma era meglio avere un pò di roba umana a portata di mano. In una
sacchetta esterna alla borsa vi riposi pochi effetti personali, qualche indumento intimo e un foglietto
di numeri di telefono: Carlisle, Alice, casa di Bella, l'ufficio di Charlie ecc. anche se li conoscevo
tutti a memoria, era meglio non correre rischi. Ma per partire mi servivano soldi, non molti, ma
comunque era meglio non partire senza. Spostai l'ultimo mobile in fondo alla stanza, dove tenevo
poco ordinatamente dei vecchi cd che non ascoltavo più, e aprii la piccola cassaforte - e a che mai
sarà servita una cassaforte in una casa di vampiri, con vampiri che per giunta leggono il pensiero e
vedono il futuro? non lo sapevo, e non mi interessava, però ero riuscito a distrarmi un attimo.
Prelevai 2500 dollari, sarebbero dovuti bastare a regola. E poi... poco mi importava anche di quello,
se fossero finiti presto, avrei iniziato a vivere come un selvaggio.

Scesi le scale di corsa e imboccai la via del grande garage. Esme non si fece vedere, sapevo
perfettamente che la stavo facendo soffrire, ma non...

"Ma non cambierai idea" era Esme, apparsa all'improvviso dietro di me, neanche l'avevo sentita
arrivare. "Alice dice che per adesso non ti vede cambiare idea, e che non hai intenzione di far
ritorno" mia sorella ci aveva visto bene stavolta.

Mia madre mi strinse inaspettatamente tra le sua braccia forti. Il calore del suo corpo era piacevole,
ma mai quanto quello di... non potevo pensarci. La sentii piangere, sentii mia madre piangere, come
piangono i vampiri ovviamente: respirava affannosamente, e velocemente, mi stringeva sempre di
più e singhiozzava tra lacrime inesistenti il mio nome, implorandomi di non andarmene, dicendomi
che si sarebbe sistemato tutto se solo le avessi permesso di aiutarmi. Ma io non stavo cercando
aiuto, non volevo che le cose tornassero a posto, non dopo il macello che avevo combinato. Volevo
stare da solo, volevo odiarmi, volevo essere solo e odiarmi come più meritavo di essere odiato. Era
troppo facile essere aiutato. Ma i singhiozzi di mia madre mi si infransero contro e mi si sarebbe
spezzato il cuore se solo mi fosse rimasto un cuore da spezzare.

Avevo il nulla nel petto; quel cuore, che già era muto e immobile, ora era svanito definitivamente,
mi pareva di avere un buco al centro del petto, perché io, il mio cuore, l'avevo lasciato alla mia vita,
era suo, lo era sempre stato - anche quando avevo desiderato di ucciderla - e sempre lo sarebbe
stato.

Afferrai i fragili polsi della donna che mi stava davanti, implorante, e proprio come avevo fatto due
settimane prima in una simile situazione ma con una persona totalmente diversa, le portai le braccia
lungo i fianchi, le detti un bacio in fronte e le dissi soltanto: "Addio Esme... mamma" e mi voltai.

Montai in macchina e sfrecciai via. Sfrecciavo sull'autostrada verso nord, alla guida della mia
stupenda Aston Martin V12, e non avevo la più pallida idea di dove sarei andato.

Guidai per tutta la notte, e al mattino mi ritrovai nella zona dei Grandi laghi, nel Canada del nord.
La neve persisteva, e il cielo fortunatamente era coperto, quindi scesi di macchina e iniziai a vagare
nei dintorni. Mi trovavo sulle sponde del Lago Superiore, il lago più grande del Canada.

Incontrai una coppia di escursionisti dall'aria affaticata; quando la ragazza mi passò accanto, il suo
profumo mi invase a tal punto da smuovere il mostro incatenato dentro di me. Mi salì subito alla
mente il ricordo di un altro profumo, un profumo a cui a stento ero riuscito a resistere più di una
volta, un profumo che sapeva di rose e fresie... e a quel punto non riuscii a resistere. Il mostro era
libero, capace di fare tutto ciò che voleva... e infatti fece ciò che la sua natura gli richiedeva.

Mi guardai attorno, non c'era nessuno... e allora attaccai. Mi scagliai contro il ragazzo e lo spinsi
con tanta violenza da farlo sbattere contro gli alberi lì vicino, facendolo cadere a terra incosciente.
A quel punto la ragazza era sola e indifesa, senza nessuno che potesse difenderla, senza nessuno che
potesse difendermi da me stesso.

La scaraventai a terra, mentre nei suoi pensieri leggevo la confusione, la sorpresa e ora anche la
paura. Misi i denti in bella vista, facendoli luccicare alla luce del sole che aveva fatto capolino tra le
nuvole. Ora la mia pelle risplendeva come un cristallo, disegnando strani intrecci arcobaleno sul
corpo della ragazza di nome Susy, che stava inerme sotto di me, con i miei denti a pochi centimetri
dal suo collo delicato. Poi vidi i suoi occhi, e il veleno invase totalmente la mia bocca. Quel color
cioccolato era uno schiaffo a mano aperta dritto sul mio cuore. Quegl'occhi, non profondi e caldi,
ma comunque di un'intensità assoluta, mi trascinarono giù, e dall'abisso non risalii finché non fu
tutto finito. Sentii quel sangue caldo e dolcissimo colare giù per la gola, mentre il mostro esultavo
finalmente soddisfatto. Tutta la rabbia, il rimorso, la frustrazione e il dolore provati fino a quel
punto scomparvero senza lasciar traccia.

Mi sentii finalmente bene.

Quando poi tutto finì, mi resi conto di ciò che avevo fatto. Avevo scatenato il mio desiderio - il
sangue di Bella - e tutta la mia rabbia su una ragazza innocente, su Susy, ignara di somigliare così
tanto all'angelo che mi aveva stregato il cuore. La lasciai andare di colpo, e il suo corpo ormai
diafano e freddo cadde sul terreno umido e ghiacciato. Colui che doveva essere il suo fidanzato
giaceva senza sensi ai piedi di due grandi abeti, ma respirava ancora. Decisi di gettare il corpo della
povera ragazza nel lago e di coprire le mie tracce.
Scappai via da lì, veloce e silenzioso. Quando montai in macchina la prima cosa che notai furono
gli occhi. I miei occhi non erano più del solito color ocra chiaro, ma tendevano più ad un arancio
scuro, non erano rossi, perché il sangue umano ingerito era insufficiente, e dopo poche ore
quell'arancio intenso sarebbe tornato oro, ma quella visione mi terrorizzò più di qualsiasi altra cosa.

Mi vergognavo a pensarlo, ma mi sentivo forte, e la parte selvaggia di me non era pentita di quel
che aveva fatto, di quel che avevamo fatto... di quel che avevo fatto IO, e basta.

Vagai per due o tre settimane, su e giù per il Canada, mentre il cellulare continuava a squillare e il
mio lato più umano mi diceva di tornare a casa, per trovare il conforto di cui avevo strettamente
bisogno. Ma quello che avevo fatto al lago era deplorevole, non avevo scuse per il mio ignobile
comportamento e Carlisle non mi avrebbe perdonato. O forse lo avrebbe fatto, e ciò sarebbe stata
una punizione anche peggiore.

Il mattino seguente, dopo che avevo passato la notte sdraiato sul cofano della Aston a fissare le
stelle, decisi che così non poteva andare avanti.

Ingranai la prima e feci rotta verso Forks. Sarei tornato a casa, e come la prima volta, avrei chiesto
scusa a mio padre a mia madre per il mio comportamento, e avrei cercato di vivere nel migliore dei
modi, nonostante ogni cosa preannunciasse il contrario.

Capitolo 5 - Imbroglione

Parte prima, Edward.

Alle prime luci dell'alba, le ruote della mia Aston Martin giravano veloci per le strade
dell'addormentata Forks.

Quando arrivai davanti al portone della grande casa bianca, da dentro mi giunsero un'interminabile
sfilza di pensieri, alcuni felici, alcuni preoccupati, alcuni arrabbiati, e altri che racchiudevano tutti
questi sentimenti insieme.

La porta si aprì ancor prima che le fossi di fronte, e Carlisle mi accolse a braccia aperte. Lì per lì
non seppi che fare, i suoi pensieri erano... annebbiati, forse non sapeva nemmeno lui che fare, e
quindi pensava a tante cose contemporaneamente, fatto sta che me lo ritrovai davanti a braccia
aperte, pronto ad accogliermi per l'ennesima volta.

Ero ancora lì impalato, quando vidi spuntare Rosalie, Jasper ed Emmett... inferociti. O per meglio
dire, Rose era inferocita, Jasper ed Emmett tentavano - con qualche sforzo devo ammetterlo - di
trattenerla dallo staccarmi la testa con un sol morso.

"Come hai potuto?" urlava e ringhiava. "Come, come hai potuto? Perché lo hai fatto? Dopo tutti gli
sforzi, le promesse fatte, i valori intoccabili su cui è fondata la nostra intera esistenza, come? come
hai potuto uccidere quella povera ragazza, così a sangue freddo?" Rosalie era sconvolta, e ancor più
sconvolgente erano i suoi pensieri... Rividi tutti i suoi ricordi, i più brutti, la notte buia e fredda, il
suo fidanzato ubriaco, altri uomini intorno a lei, frasi poco garbate, mani che si muovevano troppo
veloci e troppo forti perché lei si difendesse, e poi il ricordo del sangue che le usciva dalle varie
ferite che aveva riportato, i vestiti strappati e il suo corpo riverso per terra sul ghiaccio... come hai
potuti farle ciò che hanno fatto a me?!

Rose non aveva capito...


"No Rose, no!" tentai di spiegarle. "Non hai capito, non le ho fatto ciò che è stato fatto a te, non
avrei mai potuto! E, sinceramente, non so nemmeno come sia riuscito a compiere un atto tanto
deplorevole... provo disgusto per me stesso, e non avrò modo o possibilità di portare redenzione ai
miei sbagli, me ne rendo conto, ma Rosalie, è stato più forte di me, il suo profumo, il colore dei suoi
occhi, la sua pelle... tutto era troppo simile, e io non ho resistito, la mia natura si è difesa da quella
minaccia che mi avrebbe sopraffatto in un baleno, da quel pericolo a cui sarei andato incontro molto
volentieri, il mio lato umano ha agito così, e il mostro in me non è stato d'accordo, non ho saputo
fermarlo, era troppo, troppo forte perché il mio debole lato umano riuscisse ad ostacolarlo, e quindi
ha voluto distruggere il pericolo, la tentazione, la minaccia che risieda nel fisico di quella povera
innocente e nel ricordo della mia Bella."

Dette quelle parole, caddi a terra - come se fossi appena uscito da un corpo a corpo con qualcuno
molto più forte di me - e, stremato, mi lasciai cadere a terra per recuperare le energie.

Nessuno aveva pensieri in quel momento, nemmeno Rosalie, che tanto mi stava detestando. Ma
improvvisamente, come se si fosse sboccati tutti insieme, mi arrivarono i mille pensieri dei miei
familiari, ma nessuno era arrabbiato o deluso, tutti, in un modo o nell'altro mi stavano dando il
proprio conforto e sostegno. Ma quando finalmente mi rialzai e incrociai per la prima volta l'oro
degli occhi di mio padre, non seppi resistere, e mi lanciai tra le sue braccia, cercando una logica
spiegazione del perché non mi stesso odiando o respingendo. Carlisle mi strinse forte, e mi sussurrò
piano che dovevo stare tranquillo, che tutto si sarebbe risolto, che non dovevo preoccuparmi, perché
sarebbe potuto succedere a chiunque.

Le sue parole di conforto mi fecero ancora più male, avrei preferito un bello schiaffo e me lo sarei
meritato tutto, ma la sua bontà non aveva limiti e questo mi fece provare ancora più repulsione
verso me stesso. Non avevo via di scampo.

Esme non era in giro, brutto segno. Era logico che il mio gesto l'avrebbe sconvolta, ma quanto
meno lei aveva avuto una reazione normale e giusta, soprattutto.

Chi mi lasciava perplesso era Carlisle, l'incarnazione della moralità, i cui pensieri erano pieni di
comprensione e tutti propensi ad aiutarmi in tutti i modi possibili.

eravamo ancora tutti sulla porta ed io ero ancora impietrito, quando finalmente riuscii a sentire i
pensieri di Alice per la prima volta.

Edward, non ti giustifico per quel che hai fatto, ma nemmeno ti biasimo, è dura per te fratellone,
me ne rendo conto, però c'è una cosa che devi sapere. Quindi eri via, ho tenuto d'occhio Bella un
pò più attentamente del solito, perché finalmente sembra che si sia ripresa, o almeno credo. La sera
in cui tu hai incontrato Susy e... si insomma lo sai... ecco quella stessa sera Bela è uscita con
Jessica, sono andate a Port Angeles al cinema. E fin qui tutto bene, poi però mentre andavano a
mangiare, incontrano per strada dei tipi strani, e ho visto chiaramente l'indecisione di Bella, i
pensieri che si spostavano veloci prima dalla parte del buon senso e poi da quella della stupidità,
insomma, sono preoccupata per lei, è troppo fragile e indifesa. Fortunatamente il suo buon senso le
ha detto di non avvicinarsi oltre a quei tipi, o forse è stato tutto involontario, fatto sta che stava
andando loro incontro e di colpo si è bloccata in mezzo alla strada, indecisa.

Poi Jessica ha attirato la sua attenzione e l'ha portata via. Ma Bella aveva un'altra espressione in
volto, credo proprio che si sia riaccesa la sua luce, certo è flebile e delicatissima, non bisogna
nemmeno sfiorarla, non so mi spiego... però ho la certezza, ORA, che ce la farà.
Alice sembrava convinta, e io non le avrei dimostrato né che si sbagliava, né che aveva ragione, non
avrei fatto proprio un bel niente, avevo fatto anche troppo, alla mia famiglia, a me stesso e ai miei
ideali, avevo ferito tutto e tutti, e non c'era nulla che potessi fare per cancellare quegli ultimi quattro
mesi. Nulla, tranne la morte...

Mi ritirai nella mia stanza, volevo stare da solo, non sarei riuscito a sostenere quella situazione un
secondo di più, con tutti - o quasi - che erano preoccupati per me e volevano aiutarmi. Io volevo
solo marcire nel disgusto di me stesso.

Detti un giro di chiave alla porta e subito chiusi tutte le tende, anche quella della grande vetrata che
dava sul fiume. Volevo il buio, la luce del giorno rendeva tutto troppo chiaro e brillante. Accesi lo
stereo e scelsi accuratamente l'unica canzone che mi andava di ascoltare di tutta la mia playlist:
Hallelujah - Jeff Buckley. Una canzone piena di tristezza e sofferenza, una canzone di lontananza,
una preghiera delineata da un amore tremendo, ma una canzone bellissima, intrisa di un sentimento
talmente forte che fa star male. Schiacciai play e mi sdraiai sul pesante tappeto.

E lasciai libera la mente...

Per carità, pensai, nei sei mesi passati con lei avevo avuto tutto ciò che mai avrei neanche
immaginato, ma, a quanto pare, a tanta felicità bisogna comparare tanta tristezza, e io avevo
oltrepassato la giusta dose di parecchio. Non ero felice lì, non c'era più nulla che mi suonasse
familiare o che mi facesse sperare che sarei potuto risorgere.

Là dentro, chiuso nella mia stanza, con la sola solita canzone che si ripeteva e si ripeteva, mi sentii
ad un tratto soffocare. non era più il luogo ideale che avevo ritenuto che fosse.

Ormai la sera doveva essere scesa, quindi tirai una tenda per far entrare il chiarore della luna.

Ma non c'era nessuna luna a rischiarare il mio buio. doveva essere una notte di luna nuova, un
nuovo ciclo, proprio come la notte in cui decisi di gettare via la cosa più importante che avevo.
Bella. Mi mancava terribilmente, e pensare a tutto ciò che la sua lontananza aveva comportato, mi
mise ulteriore tristezza: infelicità, mia e sua, rabbia, rimpianto, solitudine, dolore e in fine, ma non
meno importante, il mio gesto mi aveva portato a due cose orribili: la perdita del controllo sul
mostro ripugnante quale in realtà ero, e l'impossibilità di darle la mia protezione, per ipocrita che
potesse essere come protezione, ma protezione comunque.

Ripensai a ciò che Alice mi aveva raccontato a proposito di Bella, Jessica, Port Angeles, di quei tizi
sconosciuti, il film, la sua apparente ripresa. Se fossi stato con lei tutto questo non sarebbe successo.

Guardai le stelle, non erano più belle come prima, come quando le guardavo con lei dalle finestra di
camera sua, quelle non erano più le mie stelle, perché lei non era più mia.

Ed io era alla disperata ricerca di un modo veloce ed efficace per smettere di soffrire. Avrei dovuto
seguire un piano - se solo ne avessi avuto uno - e trovare la strada giusta verso una vita - per vuota
che sarebbe stata - nuova. Nei tempi antichi l'uomo seguiva le stella quando si perdeva, io non
potevo seguirle, perché io quelle stelle non le riconoscevo ormai.

Avrei continuato a vagare alla cieca!? Piuttosto quello, invece di tutto questo dolore, ma non potevo
vagare lì, a Forks, non potevo vedere le strade che avevamo percorso, i luoghi che avevamo visitato,
gli oggetti che aveva toccato, le persone con cui aveva perlato, non potevo vedere Forks, non senza
vedere il suo volto ovunque.
ROSALIE’S NEW

Il telefono nella mia tasca vibrò di nuovo. Era la venticinquesima volta in ventiquattro ore. Pensai di
aprire il telefono, per lo meno per vedere che stava cercando di contattarmi. Forse era importante.
Forse Carlisle aveva bisogno di me.
Lo pensai, ma non mi mossi.
Non ero sicuro di dove fossi di preciso. Un solaio molto oscuro, uno spazio brulicante, pieno di ratti
e ragni. I ragni mi ignoravano, e i topi mi giravano alla larga. L’aria era satura del forte odore di
olio cucinato, cibo stantio, sudore umano, e dello strato quasi solido di inquinamento che era
attualmente visibile nell’aria umida, come una pellicola nera sopra ogni cosa. Sotto a me quattro
storie di tenutari di appartamenti in un ghetto traballante e sgangherato. Non mi disturbai a separare
i pensieri dalle voci – creavano un grande, un rumoroso schiamazzo spagnolo che io non ascoltavo.
Lasciai solamente che i suoni rimbalzassero via da me. Senza significato. Tutto questo era senza
significato. La mia stessa esistenza era senza significato.
Il mondo intero era senza significato.
La mia fronte premette contro le mie ginocchia e mi chiedevo per quanto tempo ancora avrei potuto
sopportare tutto questo. Forse era inutile. Forse, se il mio tentativo fosse destinato a fallire
comunque, avrei smesso di torturare me stesso e sarei semplicemente tornato indietro.
L’idea era così potente, così salutare – come se le parole contenessero un forte anestetico, che lava
via la montagna sotto la quale ero sepolto – che mi faceva annaspare, rendendomi confuso.
Potrei partire ora, potrei tornare indietro ora.
Il viso di Bella, spessi dietro le palpebre dei miei occhi, mi sorrideva.
Era un sorriso di benvenuto, di perdono, ma non aveva l’effetto che il mio subconscio
probabilmente intendeva che esso avesse.
Naturalmente potevo non tornare indietro. Che cosa (era) la mia angoscia, dopo tutto, in confronto
alla sua felicità? Lei dovrebbe essere capace di sorridere, libera dalla paura e dal pericolo. Libera
dal desiderio di un futuro senza anima. Lei meritava più di questo. Lei meritava più di me. Quando
lei avrebbe lasciato questo mondo, sarebbe andata in un luogo che a me era bandito per sempre, non
importa come io mi fossi comportato qui.
L’idea di quella separazione finale era così tanto più intensa dell’angoscia che già avevo. Il mio
corpo tremò con essa. Quando Bella sarebbe andata nel posto a cui lei apparteneva e (a cui) io non
avrei mai potuto appartenere, anche io non sarei rimasto qui indietro (in questo mondo). Deve
esserci oblio. Deve esserci sollievo.
Questa era la mia speranza, ma non c’erano garanzie. Dormire, forse sognare. Ah questo è il guaio.
Citai a me stesso. Persino quando sarei divenuto polvere, avrei ancora sentito in qualche modo la
tortura della sua perdita?
Tremai di nuovo.
E, dannazione, avevo promesso. Le avevo promesso che non avrei più infestato la sua vita di nuovo,
portando i miei demoni in essa. Non avevo intenzione di rimangiarmi la parola. Non avrei potuto
fare niente di giusto per lei?
L’idea di ritornare alla nuvolosa piccola città che era stata sempre la mia vera casa su questo pianeta
strisciò di nuovo attraverso i miei pensieri.
Solo per controllare. Solo per vedere che lei sta bene, che è salva e felice. Non per interferire. Lei
non avrebbe mai saputo che io ero lì…
No. Dannazione, no.
Il telefono vibrò nuovamente.
“Dannazione, dannazione, dannazione,” io grugnii.
Potevo usare la distrazione. Supposi. Aprii il telefono e registrai il numero con il primo shock che
avevo sentito da sei mesi.
Perché Rosalie mi stava chiamando? Lei era l’unica persona che probabilmente stava godendo della
mia assenza.
Doveva esserci veramente qualcosa che non andava se lei aveva bisogno di parlarmi.
Improvvisamente preoccupato per la mia famiglia, pigiai il pulsante di invio.
“Cosa?” chiesi ansiosamente.
“Oh, wow. Edward ha risposto al telefono. Mi sento così onorata.”
Appena sentii il suo tono, seppi che la mia famiglia stava bene. Doveva solo essere annoiata. Era
difficile indovinare i motivi senza i suoi pensieri come guida. Rosalie non aveva mai avuto troppo
senso per me. I suoi impulsi generalmente si fondavano sul più controverso genere di logica.
Chiusi il telefono.
“Lasciami solo,” sussurrai a nessuno.
Naturalmente il telefono vibrò ancora una volta.
Avrebbe continuato a chiamarmi fino a che avesse passato qualunque messaggio con il quale aveva
deciso di annoiarmi? Probabilmente. Ci sarebbero voluti mesi perché lei si stancasse di questo
gioco. Giocai con l’idea di lasciarla rifare il numero per i prossimi sei mesi… e poi sospirai e
risposi di nuovo al telefono.
“Parla.”
Rosalie si affrettò con le parole. “Pensavo che avresti voluto sapere che Alice è a Forks.”
Aprii i miei occhi e fissai la trave di legno putrido tre pollici dal mio viso.
“Cosa?” La mia voce era piatta, senza emozione.
“Sai com’è Alice – pensa di sapere tutto. Come te.” Rosalie schioccò la lingua senza umorismo. La
voce aveva un taglio nervoso, come se fosse improvvisamente insicura di ciò che stava facendo.
Ma la mia collera rendeva difficile preoccuparsi di quale fosse il problema di Rosalie.
Alice mi aveva giurato che avrebbe seguito il mio ordine riguardo Bella, sebbene lei non fosse
d’accordo con la mia decisione. Aveva promesso che avrebbe lasciato Bella da sola… fino a che lo
avessi fatto io. Chiaramente aveva pensato che io avrei eventualmente ceduto al dolore. Forse su
questo aveva ragione.
Ma non l’avevo fatto. Non ancora. Così cosa stava facendo a Forks? Volevo torcere il suo collo
magro. Non che Jasper mi avrebbe lasciato arrivare così vicino a lei, una volta che lui avesse colto
un soffio della furia che usciva fuori da me…
“Sei ancora lì, Edward?”
Non risposi. Pizzicai il ponte del mio naso con le punte delle dita, chiedendomi se fosse possibile
per un vampiro avere un’emicrania.
D’altro canto, se Alice era già tornata…
No. No. No. No.
Avevo fatto una promessa. Bella meritava una vita. Avevo fatto una promessa. Bella meritava una
vita.
Ripetevo le parole come un mantra, cercando di pulire la mia testa dalla seducente immagine della
finestra scura di Bella, l’entrata per il mio unico santuario.
Senza dubbio mi sarei dovuto umiliare, se fossi tornato. Non mi importava. Potevo felicemente
trascorrere i prossimi dieci anni in ginocchio se fossi stato con lei.
No. No. No.
“Edward? Non ti interessa proprio il perché Alice è lì?”
“Non particolarmente.”
La voce di Rosalie diventò piuttosto soddisfatta ora, compiaciuta, senza dubbio, per aver forzato
una risposta da me. “Bene, naturalmente, lei non ho rotto esattamente le regole. Voglio dire, tu ci
hai solo avvertito di stare lontano da Bella, giusto? Il resto di Forks non importa.”
Sbattei i miei occhi lentamente. Bella se n’era andata? I miei pensieri ruotarono attorno all’idea
inaspettata. Lei non era ancora diplomata, così doveva essere tornata da sua madre. Ciò era buono.
Lei doveva vivere alla luce del sole. Era buono che fosse stata capace di mettere le ombre dietro di
lei.
Cercai di deglutire, e non potei.
Rosalie trillò una risata nervosa. “Così tu non devi essere arrabbiato con Alice.”
“Allora perché mi hai chiamato, Rosalie, se non per mettere Alice nei guai? Perché mi stai
infastidendo? Ugh!”
“Aspetta” lei disse, sentendo, giustamente, che ero nuovamente capace di riattaccare. “Non è questo
il perché ho chiamato.”
“Allora perché? Dimmelo velocemente e poi lasciami solo.”
“Bene…” lei esitò.
“Sputa il rospo, Rosalie. Hai dieci secondi.”
“Penso che dovresti tornare a casa,” Rosalie disse in fretta. “Sono stanca di Esme che si affligge e di
Carlisle che non sorride mai. Dovresti vergognarti per quello che hai fatto a loro. A Emmett manchi
tutto il tempo e ciò mi fa saltare i nervi. Hai una famiglia. Cresci e pensa a qualcun altro oltre che a
te stesso.”
“Interessante avvertimento, Rosalie. Lascia che ti racconti una piccola storia di una pentola e un
pentolino…”
“Io sto pensando a loro, a differenza di te. Non ti importa quanto hai ferito (addolorato) Esme, se
non nessun altro? Lei ama te molto più del resto di noi, e tu lo sai. Torna a casa.”
Io non risposi.
“Pensavo che una volta che tutta la faccenda Forks fosse finita, tu l’avresti superato.”
“Forks non è mai stato il problema, Rosalie,” dissi, cercando di essere paziente. Quello che aveva
detto su Esme e Carlisle aveva colpito un tasto. “Solo perché Bella” – era difficile dire
esplicitamente il suo nome ad alta voce – “si è trasferita in Florida, ciò non significa che sono
capace… Guarda, Rosalie. Veramente mi dispiace, ma fidati di me, (ciò) non renderebbe nessuno
più felice se io fossi lì.”
“Um…”
Eccola di nuovo, quella esitazione nervosa.
“Cos’è che non mi dici, Rosalie? Esme è tutto a posto? Carlisle è – “
“Loro stanno bene. E’ solo… bene, io non ho detto che Bella si è trasferita.”
Non parlai. Corsi indietro alla nostra conversazione nella mia testa. Si, Rosalie aveva detto che
Bella si era trasferita. Lei aveva detto:… tu ci hai solo avvertito di stare lontano da Bella, giusto? Il
resto di Forks non importa. E poi: Io pensavo che una volta che tutta la faccenda Forks fosse
finita… Così Bella non era a Forks. Che cosa voleva dire, Bella non si è trasferita?
“Allora Rosalie si stava di nuovo affrettando con le parole, dicendole in maniera piuttosto
arrabbiata questa volta.
“Loro non volevano dirtelo ma io penso che sia stupido. Più rapidamente ti rassegnerai a ciò e più
velocemente le cose potranno tornare alla normalità. Perché lasciarti triste intorno agli angoli più
oscuri del mondo quando non ce n’è bisogno? Adesso puoi tornare a casa. Possiamo essere di
nuovo una famiglia. E’ finita.”
La mia mente sembrava essersi rotta. Non potevo dare senso alle sue parole. Era come se ci fosse
qualcosa di molto, molto ovvio che mi stava dicendo, ma non avevo idea di cosa fosse. Il mio
cervello giocò con l’informazione, facendo strane forme di essa. Assurde.
“Edward?”
“Non capisco cosa stai dicendo, Rosalie.”
Una lunga pausa, la lunghezza di alcuni battiti cardiaci umani.
“Lei è morta, Edward.”
Una pausa più lunga.
“Mi… dispiace. Penso, tuttavia, che tu abbia il diritto di sapere. Bella… si è gettata da una scogliera
due giorni fa. Alice lo ha visto, ma era troppo tardi per fare qualcosa. Penso che l’avrebbe aiutata,
tuttavia, a non mantenere la promessa (suicidarsi) se ce ne fosse stato il tempo. E’ tornata indietro
per fare quel che poteva per Charlie. Sai quanto lei si sia sempre preoccupata per lui – “
Il telefono divenne morto. Mi ci vollero un po’ di secondi per realizzare che avevo pigiato il tasto
off (l’avevo spento).
Rimasi seduto nell’oscurità polverosa per un lungo, gelido intervallo di tempo. Era come se il
tempo fosse finito. Come se l’universo si fosse fermato.
Lentamente, muovendomi come un vecchio uomo, accesi il mio telefono e composi l’unico numero
che avevo promesso a me stesso che non avrei più chiamato.
Se era lei, avrei riattaccato. Se era Charlie, avrei ottenuto l’informazione di cui avevo bisogno
attraverso un sotterfugio. Avrei provato che il piccolo gioco malato di Rosalie era sbagliato e poi
sarei tornato al mio niente.
“Casa Swan,” rispose una voce che non avevo mai sentito prima. La voce rauca di un uomo,
profonda, ma ancora giovane.
Non mi fermai a pensare alla implicazioni di ciò.
“E’ il dottor Carlisle Cullen,” dissi imitando perfettamente la voce di mio padre. “Potrei parlare per
favore con Charlie?”
“Lui non è qui,” la voce rispose ed io fui debolmente sorpreso dalla rabbia in essa (voce). Le parole
erano quasi un ringhio. Ma questo non aveva importanza.
“Dov’è lui allora?” domandai, diventando impaziente.
Ci fu una piccola pausa, come se lo straniero volesse nascondere la verità a me.
“E’ al funerale,” rispose finalmente il ragazzo.
Chiusi il telefono di nuovo.

MISCALCULATION (ERRORE DI CALCOLO)

Un leggero sospiro di suono – non qui, alcune centinaia di iarde al nord – mi fece saltare. La mia
mano si strinse automaticamente intorno al telefono, chiudendolo e nascondendolo alla vista con lo
stesso movimento.
Agitai i miei capelli sulle spalle, lanciando un’occhiata attraverso le alte finestre verso la foresta. Il
giorno era scuro, nuvoloso; il mio stesso riflesso era più luminoso degli alberi e delle nuvole. Fissai
i miei grandi occhi allarmati, le mie labbra che si curvavano in giù agli angoli, le piccole rughe
verticali tra le mie sopracciglia…
Aggrottai le ciglia, cancellando l’espressione di colpa con una di disprezzo. Un disprezzo attraente.
Distrattamente, notai come la feroce espressione stesse bene sulla mia faccia, contrastando in
maniera carina con l’oro bello dei miei pesanti ricci. Contemporaneamente, i miei occhi scrutavano
la vuota finestra dell’Alaska, ed io fui sollevata nel vedere che ero ancora sola. Il suono non era
stato niente – un uccello o un colpo di vento.
Non c’era nessun bisogno di sentire sollievo, dissi a me stessa. Nessun bisogno di sentirsi in colpa.
Non avevo fatto niente di male.
Gli altri avevano intenzione di non dire mai la verità ad Edward? Lasciarlo sguazzare nell’angoscia
per sempre in squallidi ghetti, mentre Esme stava male e Carlisle pensava due volte ad ogni
decisione e la gioia naturale di esistere di Emmett scivolava via nella solitudine? Era giusto tutto
questo?
Inoltre, non c’era modo di tenerlo segreto ad Edward per molto tempo. Prima o poi lui ci avrebbe
trovato, sarebbe venuto a trovare Alice o Carlisle per qualche ragione, e allora avrebbe scoperto la
verità. Ci avrebbe ringraziato per avergli mentito con il nostro silenzio? Difficile. Edward doveva
sempre sapere tutto; viveva per quel senso di onniscienza. Sarebbe andato su tutte le furie e ciò
sarebbe stato solamente peggiorato dal fatto che gli avevamo nascosto la morte di Bella.
Quando si fosse calmato e avesse superato questa situazione, mi avrebbe probabilmente ringraziato
per essere l’unica abbastanza coraggiosa da essere onesta con lui.
Miglia lontano, un falco gridò; il suono mi fece saltare e controllare la finestra di nuovo. Il mio viso
assunse la stessa espressione di colpevolezza di prima, ed io guardai in cagnesco a me stessa nel
vetro.
Bene, così io avevo la mia agenda (propositi – cose da fare). Era una cosa così cattiva volere che la
mia famiglia fosse di nuovo insieme? Era così egoista sentire la nostalgia della pace quotidiana,
della felicità sottointesa che io avevo preso per gratuita, quella felicità che Edward sembrava aver
portato via con sé nel suo volo?
Volevo solo che le cose fossero come era prima. Era sbagliato? Non sembrava così orribile. Dopo
tutto, non l’avevo fatto solo per me, ma per tutti. Esme e Carlisle ed Emmett.
Non tanto per Alice, comunque avrei detto… Ma Alice era stata così sicura che le cose avrebbero
funzionato alla fine – che Edward non sarebbe stato capace di stare lontano dalla sua piccola
fidanzata umana – che lei non si era preoccupata di addolorarsi. Alice aveva sempre vissuto in un
mondo diverso dal resto di noi, chiusa nella sua realtà in continuo mutamento. Poiché Edward era
l’unico che poteva partecipare a quella realtà, avevo pensato che la sua assenza (di lui) sarebbe stata
più dura per lei. Ma lei era tranquilla come sempre, vivendo in avanti, la sua mente in un tempo che
il suo corpo non aveva ancora raggiunto. Sempre così <calma.
Comunque lei era stata così pazza di dolore quando aveva visto Bella saltare…
Ero stata troppo impaziente? Avevo agito troppo presto?
Potevo lo stesso essere onesta con me stessa, perché Edward avrebbe visto qualsiasi meschinità
nella mia decisione appena fosse tornato a casa. Potevo riconoscere le mie cattive intenzioni,
accettarle ora.
Si, ero gelosa di ciò che Alice provava per Bella. Alice sarebbe corsa così rapidamente, in preda al
panico, se fossi stata io che lei avesse visto saltare giù dalla scogliera? Doveva amare quella
comune ragazza umana così tanto più di quanto amava me?
Ma quella gelosia era solo una piccola cosa. Poteva aver accelerato la mia decisione, ma non
l’aveva controllata. Avrei comunque chiamato Edward. Ero sicura che lui preferiva la mia onestà
schietta piuttosto che l’inganno più gentile degli altri. La loro gen tilezza era condannata fin
dall’inizio; alla fine Edward sarebbe tornato a casa.
E adesso poteva tornare a casa prima.
Non era solo la contentezza della mia famiglia che mi mancava.
Onestamente mi mancava anche Edward. Mi mancavano i suoi piccoli rimproveri taglienti,
l’ingegno tetro che era più in armonia con il mio senso oscuro dell’umorismo, della natura giocosa e
solare di Emmett. Mi mancava la musica – il suo stereo che mandava a tutto volume la sua scoperta
musicale, e il piano, il suono di Edward che portava i suoi di solito remoti pensieri nella trasparenza
attraverso la canzone. Mi mancava il suo canticchiare nel garage accanto a me mentre
assemblavamo le macchine, l’unica volta in cui eravamo perfettamente in sintonia.
Mi mancava mio fratello. Di sicuro non mi avrebbe giudicato troppo duramente quando avesse visto
questo nei miei pensieri.
Sarebbe stato sgradevole per un momento, lo sapevo. Ma prima lui fosse tornato a casa, prima noi
potevamo tornare di nuovo alla normalità…
Cercai nella mia mente una qualche pena per Bella, e fui contenta di trovare che mi addoloravo per
la ragazza. Un po’. Per lo meno era tanto: lei aveva reso felice Edward in un modo in cui non
l’avevo mai visto prima. Naturalmente lei lo aveva anche reso più misero di qualsiasi altra cosa nei
suoi cento anni di vita. Ma mi sarebbe mancata la pace che lei gli aveva dato in quei pochi brevi
mesi. Potevo veramente rammaricarmi per la sua perdita.
Questa conoscenza mi fece sentire meglio con me stessa, soddisfatta. Sorrisi al mio viso nel vetro,
incorniciato dai miei capelli dorati e le pareti rosso cedro del lungo soggiorno accogliente di Tanya,
e provai gioia alla vista. Quando sorridevo non c’era donna o uomo su questo pianeta, mortale o
immortale, che poteva competere con me per bellezza. Era un pensiero confortante. Forse non ero la
persona più facile con cui vivere. Forse ero superficiale ed egoista. Forse avrei potuto sviluppare un
carattere migliore se fossi nata con un viso bruttino e un corpo comune. Forse sarei stata più felice
in quel modo. Ma questo era impossibile da dimostrare. Io avevo la mia bellezza; era qualcosa su
cui potevo contare.
Sorrisi più ampiamente.
Il telefono suonò e automaticamente strinsi la mia mano, sebbene il suono venisse dalla cucina, non
dal mio pugno.
Seppi all’improvviso che era Edward. (Stava) Chiamando per controllare l’informazione che gli
avevo dato. Non si fidava di me. Apparentemente lui pensava che io fossi crudele abbastanza da
scherzare su questo. Mi acciglia e svolazzai verso la cucina per rispondere al telefono di Tanya.
Il telefono era nella perfetta estremità del lungo banco da macellaio. Lo afferrai prima che il primo
squillo finisse, e voltai il viso verso la porta alla francese mentre rispondevo. Non volevo
ammetterlo, ma sapevo che stavo guardando fuori per il ritorno di Emmett e Jasper. Non volevo che
loro mi sentissero parlare con Edward. Loro si sarebbero arrabbiati…
“Si?” domandai.
“Rose, devo parlare con Carlisle adesso,” scattò Alice.
“Oh, Alice! Carlisle sta cacciando. Cosa – ?”
“Bene, appena tornerà.”
“Cosa c’è? Lo rintraccerò subito e ti farò chiamare – “
“No,” Alice interruppe di nuovo. “Sarò su un aereo. Ascolta, hai avuto notizie da Edward?”
Era strano come il mio stomaco si contorcesse, sembrava scivolare più in basso nel mio addome.
Quella sensazione portò con sé uno strano déjà vu, una debole traccia di un ricordo umano da tempo
perduto. Nausea…
“Bene, si, Alice. Effettivamente ho parlato con Edward. Proprio alcuni secondi fa.”
Per un breve secondo accarezzai l’idea di far finta che Edward mi avesse chiamato solo per
coincidenza. Ma naturalmente non c’era motivo di mentire. Edward mi avrebbe dato abbastanza
problemi quando fosse tornato a casa.
Il mio stomaco continuò a contorcersi stranamente, ma lo ignorai. Decisi di essere arrabbiata. Alice
non avrebbe dovuto scattare con me in quel modo. Edward non voleva bugie; lui voleva la verità.
Mi avrebbe appoggiato su questo quando fosse tornato a casa.
“Tu e Carlisle avevate torto,” dissi. “Edward non apprezzerebbe che gli si menta. Lui vorrebbe la
verità. Voleva la verità. Così gliel’ho data. L’ho chiamato… l’ho chiamato molte volte,” ammisi.
“Fino a che ha risposto. Sarebbe stato sbagliato mandargli…un messaggio.”
“Perché?” Alice annaspò. “Perché lo hai fatto, Rosalie?”
“Perché prima lo supera, prima le cose torneranno alla normalità. Non sarebbe stato più facile con il
tempo, così perché rimandarlo? Il tempo non cambierà niente. Bella è morta. Edward starà male e
poi lo supererà. Meglio che cominci ora piuttosto che dopo.”
“Bene, ti sbagli su entrambe le cose, comunque, Rosalie, così questo è un problema, non pensi?”
chiese Alice in un tono feroce, cattivo.
Torto su entrambe le cose? Sbattei le palpebre rapidamente, cercando di capire.
“Bella è ancora viva?” sussurrai, non credendo alle parole. Cercando di capire a quali a cose Alice
si stava riferendo.
“Si, è giusto. Lei sta assolutamente bene – “
“Bene? Tu l’hai vista saltare giù da una scogliera!”
“Mi sono sbagliata.”
Le parole suonarono così strane nella voce di Alice. Alice che non aveva mai torto, non veniva mai
colta di sorpresa…
“Come?” sussurrai.
“E’ una lunga storia.”
Alice si era sbagliata. Bella era viva. Ed io avevo detto…
“Bene, hai fatto abbastanza confusione,” borbottai, trasformando il mio imbarazzo in accusa.
“Edward sarà furioso quando tornerà a casa.”
“Ma tu hai torto anche su questo,” disse Alice. Potevo dire che lei stava parlando a denti stretti.
“Questo è il motivo per cui sto chiamando…”
“Torto su cosa? Che Edward torna a casa? Naturalmente lo farà.” Risi in modo beffardo. “Cosa?
Pensi che lui stia andando a imitare Romeo? Ha! Come qualche stupido, romantico – “
“Si,” sibilò Alice, la sua voce come il ghiaccio. “Questo è esattamente quello che ho visto.”
La dura convinzione delle sue parole mi fece tremare le ginocchia. Mi aggrappai a una trave del
muro di cedro per sostenermi – un sostegno di cui il mio corpo duro come il diamante poteva non
aver bisogno. “No. Non è così stupido. Lui – lui deve capire che – “
Ma non riuscii a finire la frase, perché vidi nella mia testa, una visione di me stessa. Una visione di
me. Un’impensabile visione della mia vita se in qualche modo Emmett cessava di esistere.
Rabbrividii all’orrore dell’idea.
No – non c’era paragone. Bella era solo umana. Edward non voleva che lei fosse immortale, così
non era la stessa cosa. Edward non poteva sentirsi nello stesso modo!
“Io – io non intendevo che fosse così, Alice! Volevo solo che lui tornasse a casa!” La mia voce era
quasi un mugolio.
“E’ un po’ tardi per questo, Rose,” disse Alice, più dura e fredda di prima. “Risparmia il rimorso
per qualcuno che ci crede.”
Ci fu un click, e poi un tono di chiamata.
“No,” sussurrai. Scossi la testa lentamente per un momento. “Edward deve venire a casa.”
Fissai il mio viso nel pannello di vetro della porta alla francese, ma non riuscii più a vederla. Era
solo una macchia informe di bianco e oro.
Poi, attraverso la macchia, lontano nei boschi distanti, un enorme albero ondeggiò in maniera
strana, fuori dal tempo con il resto della foresta. Emmett.
Detti uno strattone alla porta. Essa sbattè duramente contro il muro, ma il suono era lontano dietro
di me mentre correvo nel verde.
“Emmett!” gridai. “Emmett, aiuto!”

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