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QUANDO UN DIO MUORE

MORTI E ASSENZE DIVINE


NELLE ANTICHE TRADIZIONI MEDITERRANEE


a cura di
PAOLO XELLA

Contributi di
GABRIELLA SCANDONE MATTHIAE - PAOLA PISI
ANNA MARIA POLVANI - PAOLO XELLA
SERGIO RIBICHINI - MARIA GRAZIA LANCELLOTTI
GIULIA SFAMENI GASPARRO - MARIA ROCCHI
ILEANA CHIRASSI COLOMBO







ESSEDUE EDIZIONI
PROPRIET LETTERA RISERVATA
' Copyright 2001 by Essedue edizioni
37122 Verona- Corso Porta Nuova, 99
In copertina:
Deposizione di Franco Pistoso (col. priv.)
Stampato in Italia - Printed in Italy
GRAFICHE FIORINI - VIA ALTICHIERO, I I - VERONA
PAOLOXL
Prefazione
AlR V ARI
SOMMARIO
Il problema del "dio che muore"
GABRILA SCANDNE MT
Osiride l'Africano, ovvero la morte regale
PAOLAPISI
Dumuzi-Tammuz, alla ricerca di un dio
ANNA MARIA POLV ANI
Telipinu e gli di nascosti in Anatolia
PAOLOXLA
5
15
31
63
Da Baal di Ugarit agli di fenici: una questione di vita o di morte 73
SERGIO RIBICHII
L scomparsa di Adonis
M GRAZIA LANCELLO
Attis, il caro estinto
97
115
GIULIA SFAMENI GASPARO
Demetra e Kore-Persefone a Eleusi: asenze divine e destini umani 151
MARIA ROCHI
Morte di Dioniso e nuova aronia delle sue membra
ILEANA CHSSI COLOMBO
Postazione: Why a God Must Die
Elenco delle abbreviazioni
Gli Autori di questo libro
181
199
209
211
PREFAZIONE
*
PAOLOXLA
Come ben noto, la novit del messaggio cristiano, la sua for
dirompente che mina nelle fondamenta i sistemi religiosi del mondo
antico spazzandoli via nell'arco di pochi secoli, risiede nello "sandalo
della croce", cio nell'incredibile realt dell'unico Dio che sende sulla
terra acquistando la natura umana fino alle conseguenze pi esteme.
Ma alla Sua morte segue la Sua resurrezione, prototipo e garanzia della
resurrezione di tutti gli uomini che in Lui avranno fede. Secondo le pa
role di Paolo: Cristo mor per i nosti peccati secondo le Scritture, f
sepolto e resuscitato il tero giorno secondo le Scritture ( ... ). Ora, s
si predica che Cristo resuscitato dai morti, come possono dire alcuni
di voi che non esiste la resurrezione dei morti? Se non esiste la resurre
zione dei morti neanche Cristo resuscitato! ( ... )Ora, invece, Cristo
resuscitato d morti, primizia di coloro che sono morti. Poich se a
causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo ver anche la
resurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, cos tutti rice
veranno vita in Cristo. Ciascuno per nel suo ordine: prima Cristo,
che la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono d Cristo; poi
sar la fne, quando egli consegner il regno a Dio Pade, dopo aver ri
dotto al nulla ogni principato e ogni potest e potenza (/ Ltera a
Corinzi 15, 3-24).
Per conto, la circostanza che alte religioni, diverse dal Cristiane
simo, contemplano una (o pi) divinit che muore, pu essere causa d
Per quanto riguarda le grafe dei nomi dei personaggi divini e/o mitici, si
talvolta preferito adottare deliberatamente la forma pi consueta, pur se
non perfettamente coerente rispetto alla traslitterazione dalla lingua origi
nale: cf. ad esempio i casi d Attis, Adonis e Osiride che, a rigore, avreb
bero dovuto essere citati come Attis/ Adonis/Osiris dvvero come Atti de/
Adonide/Osiride. In ogni caso, si sono lasciati i singoli Autori liberi di
decidere sui criteri specifici d adottare, fatta salva la coerenza interna,
nell'ambito dei propri contributi.
incredulit o sconcerto, e non solo al gioro d'oggi. Gi alcuni autori
cristiani restaono colpiti da talune analogie - vere o presunte - tra certi
culti pagani e la "vera" religione, additando i primi come tentativi da
bolici di generare confusione e forviare la fede. E' tuttavia fuori d
dubbio che, nel mondo antico, la credenza in "morti" divine dai diversi
esiti (inclusi resurrezioni eo ritorni) e dalle varie conseguenze pr
l'umanit, fosse abbastanza diffusa. Per tenerci lontani dall'epoa elle
nistica e romana, vanno ricordati - tra i casi non studiati in questo
libro - quelli mesopotamici di Apsu nella cosmogonia dell'Enum
e/ish, di Kingu, il dio che viene sacrifcato dalle alte divinit ph
l'uomo riceva da lui la scintilla divina, o ancora della voluttuosa
Inanna, rdotta a cadavere nell'aldil ma che poi, fortunatamente, viene
ripescata grazie al sacrifcio di un suo sostituto. Tali esempi potrb
bero agevolmente moltiplicarsi, e i saggi che seguono ne foriscono
un'esemplifcazione eloquente.
Comunque stiano le cose, proprio la "passione" e la "morte" di a
cune divinit sono state al centro di una rifessione profonda che non
h cessato di interessare tano gli studiosi delle religioni che quelli d
Cristianesimo primitivo. Si tratta di un problema complesso e deli
cato, nella misura in cui esso chiaa in causa le radici stesse della no
sta cultura e che pu coinvolgere emotivamente tanto i crdent
quanto i laici. Le domande di fondo, di rado formulate esplicitamente,
sono pi o meno le seguenti: se esistono prima di Cristo tadizioni
relative a personaggi divini che hanno anch'essi sperimentato e
superato la morte, e se questa loro vicenda ha conseguenze positive
(talora addirittra salvifche, a vario livello) per l'umanit, c' un
rapporto storico e genetico con la vicenda di Ges? Qual la
consistenza, quali i limiti (se ve ne sono) della novit di quest'ultima e
del messaggio su di essa incentrato? Si tratta d un "modello" mitico
rituale preesistente e confuito mutatis mutandis nella tradizione
cristiana, oppure quest'ultima, con una metabasis eis allo genos, ha
compiuto ache sul piano storico un incomparabile salto di qualit,
segnando indelebilmente l'itinerario spirituale dell'umanit?
L'ampiezza staorinaria e le prfonde implicazioni di queste d
mande sono tali da rendere impensabile che in un solo volume si possa
anche solo presumere di da delle risposte defnitive. E non si tatta
soltanto di limiti negli strumenti concettuali o nello spaio materiale,
ma anche prch ci si propone qui di restare solidamente ancorati al
2
piano storico, rifutando programmaticamente ogni indebita evasione
nel campo delle valutazioni etche e teologiche dei fatti studiati. M
anche cos l'impresa impegnativa e irta di diffcolt di vario tipo.
In questo volume ci si propone di indagare, con obiettivit, rigor
storico e corenza metodologica, proprio alcune figure di questi "di
morenti", nel tentativo di ricostruire, attaverso un'attenta analisi delle
fonti, le tradizioni mitico-rtual che li concerono. Lo scopo quello
d forire una messa a punto chiara, affdabile e aggiorata pr ciascun
personaggio preso in considerazione, nonch una valutazione storico
religiosa d'insieme, che serva da riferimento per futuri ulteriori appro
fondimenti.
Il materiale esainato estemamente vario sia per la dispersione
spazio-temporale delle fonti che per la tipologia delle stesse: d testi
cuneiformi mesopotamici, ittti e siriani ai geroglifici egiziani; dalle
iscrizioni alfabetiche semitiche alle testimonianze letteraie e epigraf
che classiche; dalla documentazione archeologica e iconogafca a testi
patristici. Ci ha comportato la necessit di suddividere i temi e fare ri
corso, per ciascuno di essi, a studiosi che fossero anche specialisti
delle varie aree culturali, pur se tutti accomunati dalla sensibilit e dal
l'interesse per i problemi storico-religiosi e dalla consapevole utilizza
zione d una specifca metodologia. Non si trattato soltanto d
esporre "monogafcamente" i dossiers relativi a ciascun personaggio,
ma ogni Autore stato posto di fonte a un problema comune e
speifco: valutae se e in quali modi, forme e tempi i vari prsonaggi
muoia, avendo cura di distinguere ta morti vere e proprie (ma le
cito parlare di morte "umana" per un dio?) e scomparse, latitanze, as
senze, ecc. Inolte, si cercato di indaar cosa avvenisse dopo tali
eventuali morti/scomparse: se cio il dio risorgesse, ritorasse o r
stasse confinato nell'aldil, e quali conseguenze avessero questi esiti
pr i loro fedeli e l'umanit in genere.
La scelta dei personaggi qui presentati tutt'altro che arbitaria. Si
tratta, in primo luogo, d tutte quelle figure che, nel corso degli ultimi
due secoli, sono gi stati chiamati dagli studiosi a far parte della c
scutibile (e discussa) categoria degli "di morenti''. Proprio la necessit
di ridscutere i limiti e l'eventuale arbitariet di tae operazione h
comportato tuttavia l'esigenza di aggiungervi altri personaggi appan
temente afni ai primi, ma generalmente omessi (pi o meno voluta-
3
mente) dalla suddetta "categoria". Ci ha permesso non soltanto d a
ricchire il panorama dell'indagine, ma anche di verificare pi a fondo la
validit euristica di certe tipologie e di evitare discriminazioni arbitrarie
talvolta inconsciamente finalizzate (sia consentito di avanzare questo
sospetto) a "far tornare meglio i conti", nell'una o nell'altra direzione.
Si prendono dunque le mosse dall'egiziano Osiride, mitico re del
l'aldil e prototipo del faraone defunto, per passae al mesopotamico
Dumuzi-Tammuz, a sua volta identificato in epoa t con il bell'
Adonis, l'amato dalle donne che lo piangono alle porte del tempio d
Gerusalemme. L'Anatolia forisce, attraverso il dio Telipinu (ma
anche attraverso altre fgure minori), un caso di personaggio che,
indiscutibilmente, non muore ma si nasconde, con conseguenze
catastofche per il mondo divino e umano. Se vi una tadizione
consolidata di di che muoiono vaiamente e ritornano alla vita (in
forma divina o divinizzata), la ritroviamo senza alcun dubbio in Siria
Palestina, come testimonia esplicitamente il caso di Baal a Ugait, alla
fne del II millennio, e poi quelli (meno espliciti ma comunque
suficientemente chiari) di alcune divinit cittadine fenicie (Melqar,
Eshmun, lo stesso Adonis, sia pure con gli opportuni "distinguo").
L' Attis trapiantato, per cos dire, dalla Frigia in Grecia e quindi a
Roma, forse un antico re divinizzato e rifunzionalizzato a fini cultuali
e teologici, rappresenta in un cero senso il ponte di passaggio con
l'Occidente. Qui Eleusi si segnala per la peculiarit della vicenda delle
divine Madre e Figlia, Demetra e Kore, la cui sorte alterante
condiziona il destino umano. Chiude il panorama Dioniso, un immor
tale che condivide paradossalmente e tragicamente con gli eroi e gli
uomini la prerogativa della morte.
Il nostro obiettivo era di riflettere e far riflettere, proponendoci d
forire la pi solida informazione storica possibile su un tema dalle
implicazioni inesorabili: quell'ineluttabile destino mortale in cui
l'uomo ha voluto di volta in volta coinvolgere i suoi divini interlocu
tori.
Testimonianza, forse, di un'ambizione senza limiti e insieme d
un'angoscia senza tempo, ma anche esigenza insopprimibile di forire
alla propria esperienza culturale il pi sublime dei fondamenti.
4
IL PROBLEMA DEL "DIO CHE MUORE"
AUR V A*
La defnizione d "dio che muore e risorge" (dying a rising go
ha conosciuto un'enorme foruna grazie all'opera di Sir James George
Frazer' il quale, a sua volta, era debitore ai lavori etnografici di W.
Mannhadt sul folklore contadino europeo, oltre che a certe correnti del
pensiero romantico tedesco2
La teoria di Frazer concereva alcuni personaggi maschili delle an
tiche tradizioni religiose mediterranee (il "fenicio" Adonis, identificato
col mesopotamico Tammuz), il frigio Attis, l'egiziano Osiride, tutti
considerati protagonisti di una vicenda mitico-rituale di "more" e
"resurrezione" apparentemente connessa con l'alterasi delle stagioni e
il periodico rigenerarsi della natura. Queste figure saebbero state mani
festazioni di un unico "modello" mitico-rituale di cui sembrava abba
stanza semplice delineae lo schema: personaggi soggetti a una crisi,
caratterizzati da una more e una discesa nell'aldil, con un successivo
periodico ritoro alla vita, tutti profondamente legati a una de d un
rapporto amoroso. Ad essi Frazer aggiungeva anche Kore/Persefone e
Dioniso, che mostravano caatteri specifci, ma che potevano in qual
che modo assimilarsi ai primi.
La vicenda del dio che stagionalmente muore e quindi ritorna d
mondo dei morti avrebbe dunque simbolizzato il processo naturale che
veniva riattualizzato dall'uomo attraverso riti specifci, il cui scopo e
quello di favorire il ritorno della vita in tutte le sue forme.
Per lungo tempo la teoria fazeriana raccolse ampi consensi e pochi
dubitavano dell'effettiva esistenza di un "achetipo" di dio morente e ri
sorgente nelle antiche culture del Mediterraneo. Col progredire delle
conoscenze, a personaggi chiamati in causa da Frazer se ne aggiunsero
anzi degli alti: il babilonese Marduk, il sumerico Dumuzi contropae
del pi tardo Tammuz, l'anatolico Telipinu. Minore attenzione (s
pure) f invece prestata a una fgura importantissima, cio il dio siro
palestinese Baal, l'unico personaggio per il quale (come si vedr me
glio) attestato senza ombra di dubbio un ritorno alla vita, senza con-
5
tare alcuni di fenici come Melqat e Eshmun, pr i quali la documen
tazione era oggettivamente molto meno abbondante, ma indubbia
mente orientata in senso analogo.
Col passae del tempo cominciarono ad affacciarsi dei dubbi e si r
gistrarono progressive reazioni critiche all'impostazione fazeriana e al
l'idea stessa che esistesse una categoria di "di morenti e risorgenti".
La storia recente degli studi mostra che ci si confrontati con
l'impostazione del Frazer seguendo due direttrici tendenziali. Da un
lato, ci si posti di fonte a tale teoria nel suo impianto generale p
verifcae poi l'eventuale fondatezza e limiti attaverso spcifche
esemplifcazioni; dall'altro lato, vari studiosi interessati monografca
mente a questo o a quel personaggio "morente" hanno compiuto un
cammino inverso, partendo cio d singoli dossiers per riconfontarsi
poi con la teoria generale, modifcando la o respingendo la, a seconda dei
casi. Si pu aggiungere che, in generale, il primo approccio pi
fequente presso gli storici delle religioni "di mestiere", laddove i l
secondo ha pi largamente caratterizzato l e ricerche degli specialisti dei
vari settori. Nell'uno come nell'altro caso, tuttavia, della teoria
fazeriana non stato contestato tanto l'accostamento tra le fgure
selezionate, generalmente sempre analizzate a priori, quanto il comune
simbolismo che esse avrebbro veicolato. Si cercato di aticolare il
concetto di morte/rinascita della vegetazione criticando la semplice
equazione divinit = natura, senza abbandonae d'altonde del tutto
questa idea: non raro verifcare infatti che ci si continua talora a
riferire a questi di come a delle fgure legate ai cicli delle stagioni,
caricandole per contemporaneamente di alte valenze simboliche.
Attualmente gli studiosi sono tendenzialmente concordi sul fatto
che l'intepretazione fazeriana sorpassata e inadeguata, soprattutto
perch chiama in causa personaggi le cui diferenze sono forse pi co
spicue delle somiglianze e i cui rapporti con la sfera della fecon
dit/fertilit - ammesso che esistano - sono limitati e, aggiungeremo
noi, devono essere piuttosto considerati come elementi di un coice
che va decifato utilizzando una metoologia specifca.
Questo per non signifca che tutti i dubbi e i problemi siano stati
risolti. In primo luogo, c' ancora chi continua a restare prvicace
mente attaccato ai vecchi schemi interpretativi, specie (ma non solo)
in ambito biblico e vicino-orientale. All'estemo opposto, va segnalata
la posizione di quanti, mirando a eliminare ogni residuo dell'ingom
brante impianto fazeriano, finiscono pr dissolvere totalmente la pro-
6
blematica negando che si possa mai parlare di "morti" e "ritori" in
vita per nessuna figura eroica e/o divina. Si deve infine registae la
posizione di chi, pur riconoscendo i limiti dell'impostazione frazeriana,
recupera, per cos dire, l'antica categoria degli "di morenti" in base a
un'ottica diversa. A questi personaggi viene cio riconosciuta una c
unit sostituendo la categoria degli "di morenti e risorgenti" con una
macro-tipologia (che si presume storicamente fondata) che ravvisa in
essi dei cosiddetti "di in vicenda": personaggi soggetti a una crisi, c
ratterizzati da un rapporto intimo e privilegiato con i propri devoti ch
implica un'interferenza profonda ta il piano divino e quello umano,
senza negare i loro legami con il ciclo stagionale. A tali fgure saebb
per lo pi connessa un'ideologia di salvezza (in questo mondo,
nell'alto mondo) variamente orientata e diffusasi nelle culture mediter
ranee a patire dai culti cosiddetti mistici, ma i cui precedenti aonde
rebber in pi antichi "culti di fecondit" (di problematica identifca
zione e defnizione i.
Un cenno merita infine un altro approccio al problema, che man
tiene in pate l'interpretazione fazeriana, ma ne ribalta i presupposti,
proponendo di individuae precise situazioni storiche che avrebbro
prodotto personaggi del tipo dying gods. Questi ultimi toverebbro
infatti la loro origine nell'accoglienza, in ambiente politeistico,
dell'istituto regale e nella conseguente aporia provocata dalla
circostanza che un uomo di rango "divino" come il sovrano (faaone,
re) debba ugualmente subire la sorte degli altri mortali e non
condividere quella immortale delle divinit. Ricerche di questo tipo4
affontano il problema del dying god ponendosi in deisa
contapposizione alla teoria del "dema", resa popolae dagli studi d
A.E. Jensen, la quale sembrava offire a etnologi e storici delle
religioni una reale spiegazione alterativa all'origine del dying go
proposta dallo stesso Frazer. Jensen
5
postulava infatti l'esistenza di un
tipo di religione basata sul mito di un personaggio, maschile o
femminile, che veniva ucciso e smembrato; i suoi resti venivano
sepolti e d essi spuntavano le prime piante alimentari. A tale
personaggio veniva esplicitamente ricondotto a es. anche Osiride6
Sulla scia di Jensen, alti dying gods furono interpretati come
prsonaggi-dema, legati cio ali' origine e al destino delle piante ali
mentari.
Appare dunque sempre pi indispensabile interrogarsi sulla legitti
mit di approcci che continuano a proporre l'accostamento - a vario ti-
7
tolo - di deteninate fgure appaenenti a culture geogacamente e
cronologicamente differenti: possiedono tali personaggi degli aspetti
morfologici e funzionali veramente comuni che ne giustifichino la ri
duzione a una tipologia unitaria? Ha senso un tale approccio d punto
di vista storico? Si possono mettere sullo stesso piano tennini (e av
venimenti) come "morte", "scomparsa", "latenza" d una parte, e
"resurrezione", "riapparizione" o "ritorno" dall'alta? E ancora: si pu
palar d "morte" per un dio o per un eroe nella stessa accezione (ch
andrebb indagata scrupolosamente e caso per caso) che si usa per un
essere umano? In altri tennini, quanto pu una "tipologa" fondata su
queste basi costituire uno strumento eneneutico eficace pr una mi
gliore comprensione delle figure considerate? Ci si dve insomma in
terrogare a fondo sulla liceit d continuare a accomunarle in una
"categoria", magari non pi legata ai vecchi e superati schemi fertili
stici.
Risulta pertanto necessaro resaminare la documentazione su
queste figure sia usando un criterio rigorosamente storico sia
veifcando - nella misura del possibile - cronologia e carattre delle
font. Il materiale relativo ai vari prsonaggi tutt'altro che omogene
e non consente facili generalizzazioni. Parlae genericamente di un
Osiride significa, ad esempio, ricostuire arbitrariamente a tavolino una
fgura unitara che, come tale, non mai esistita storicamente; la
stessa fgura di Dumuzi - troppo facilmente ( con)fusa con quella d
Tammuz - ha una storia plurimillenaria e, all'intero di questa, divee
sono ad esempio le tradizioni mitico-rituali concerenti il personaggio
sumerico, d quelle accadich che, specie a partire dal II millennio,
sviluppano soprattutto gli aspetti del rituale che saranno molto pi
tardi recepiti dagli autori di lingua greca e latina.
Oltre a questo, va tenuto conto del fatto che le fgure in questione
appaengono a tradizioni religiose diverse, testimoniate da fonti in va
rie lingue: l dominio e il controllo diretto delle divee doument
zioni da parte di un solo studioso appare perci largaente utopistico.
Lo storico delle religioni si vee costretto a "fdarsi" di volta in volta
del sumerologo, dell'egittologo, del semitista, il che lo espone - s
non proprio all'arbitrio altrui- certo all'utilizzo di taduzioni superate o
eccessivamente disinvolte, su cui egli rischia poi di costruire interpre
tazioni parziamente o totalmente infondate.
Partendo da una revisione critica delle fonti su ciascun personaggio,
per ogni epoca e cultura, alla luce di conoscenze molto pi approfon-
8
dite di quelle che aveva Frazer, questo libro si propone di verifcae i
fondaent di tale "tipologia", le ragioni che ne hanno costituito il
successo e quelle che eventualmente ne comprovano l'insostenibilit,
parziale o totale.
A tle proposito, importante tenere presente che lo stesso Frr
non
si era inventato ex nihilo la sua teoria sui dying gods. Egli e
stato indotto a focalizzare la sua attenzione su quelle specifiche figure
da una tradizione tarda (cf. pi avanti) che oggi siamo in grdo di rico
struire e che, appunto, accomunava i personaggi in questione in base
a una serie di pretese analogie. Lo studioso inglese quindi non si
mosso solamente sulla base di opzioni personali, ma ha recepito una
scelta e una valutazione in chiave allegorica sorta in un determinato
momento culturale e storico e vi ha costruito una teoria storico-reli
giosa.
Il prcesso di identificazione tra le diverse figure si mosso in
epoa antica su due piani diversi che, successivamente, hanno finito
per fondersi: da una parte, la rifessione razionalistica sui miti mirant
ad attribuire alle divinit un "senso" naturistico e/o etico (cf. a es. lo
Stoicismo); dall'altra parte, lo sforzo compiuto dagli apologeti
cristiani - per la potenziale pericolosit di figure cosl simili al Cristo -
di accentuae le somiglianze tra i diversi "di morenti", per creare una
categoria "totalmente alta" d contappore in blocco alla figura dl
Salvatore. L'idea di una resurrezione di tali divinit legata a un qualche
tipo di beneficio per gli uomini non era certo estanea a alcune d
queste tadizioni mitico-rituali, n occorre sempre e necessaamente
pnsare a un'influenza cristiana. Gli apologeti cristiani erano d'alta
parte inclini a speculazioni razionalistiche sul divino, gi oprate d
flosof precedenti. Essi si proponevano di dimostare che i personaggi
venerati non erano veri di, ma proiezioni di fenomeni naturali, vale a
dire false rappresentazioni destinate a scomparire davanti alla verit
cristiana dell'unico Dio. Nella stessa direzione, mutatis mutandis,
andavano anche i Neoplatonici, ultimi difensori del paganesimo ormai
al tramonto: nel loro caso, tuttavia, la rilettura dei miti e dei riti non
eliminava la qualit divina dei protagonisti ma li ipostatizzava,
considerandoli diverse manifestazioni di un unico principio articolato
nei vai livelli di realt
1

Se le ragioni che hanno indotto certi autori antichi a un acosta
mento tipologico di questi personaggi si comprendono alla luce delle
tendenz culturali e religiose della loro epoca, pi difcile
9
giustifcare l'attitudine di certi moer a voler trovae a tutti i costi
delle analogie (morte, resurrezione, nessi con il ciclo stagionale, eventi
drammatici in generale affontati) in fgure che, a dispetto delle comuni
radici mediterranee, sono molto differenti l'una dall'alta. A bn
guardare, poi, un alto condizionamento in agguato, con effetti forse
non meno negativi sul piano scientifco. Si tratta dell'assunto che nega
aprioristicamente l'esistenza di una sequenza morte/resurrezione nei
dssiers di questi personaggi, e che impdisce ipso facto la
comprensione storica di eventuali "resurrezioni" al di fuori del
Cristianesimo. In altri termini, si individua talora la tendenza - pi
evidente in chi impegnato religiosamente, ma talvolta operante anche
nei "laici" - a ritenere che a un solo dio nel corso della storia sia stato
concesso di risorgere veramente, mentre per gli altri si tatterebbe, d
volta in volta, di forme di "ritorno" di varia e differente natura.
Valgano a titolo di esempio le osservazioni di K. Primm, la cui
acutezza di studioso sembra in questo caso essere superata dall'impegno
fideistico. In un articolo dedicato proprio alle divinit "morenti e risor
genti" egli criticava l'uso stesso della definizione (evidentemente
derivata dalla terminologia cristiana), perch con essa si afferma come
storicamente accertato il fatto d provare, cio la somiglianza del
cristianesimo in un punto cos centrale, qual la dottrina della
risurrezione, con il sostrato mitologico di questi culti. Egli
protestava conto l'applicazione ad alte fgure, reali o mitiche, dell'idea
di resurrezione. Per Prmm mancava, per questa vicenda, ogni
paagone non soltanto nell'ordine reale della storia, ma fno a un
certo gado anche in quello dell'ordine ideologico (pr quanto e
accessibile a Tertulliano, di cui si cita una celebre affermazione). L'A.
non escludeva per che l'idea di un dio morto e risorto potesse ave
avuto una certa preistoria almeno nel desiderio religioso dell'umanit
antica. Reagiva contro l'afermazione tout court di un valore
soteriologico (da parte di non pochi storici della religione) attribuibile
alla sorte degli eroi pagani, cosa che invece avrebbe potuto costituire
un punto di paenza per un'indagine scientifca extra-teologica. Il
valore soteriologico anzi non creerbb diffcolt al Kergma aposto
lico della redenzione, che insegna il fatto storico della salvezza
dell'uomo, avvenuto in un tempo e in un luogo deteminato. Primm
sottolineava comunque (se pure ve ne fosse stato bisogno!) la libert
del teologo di affermae la tscendenza e sublimit dei misteri
10
cristiani, nonch di credere che i culti pagani avessero un valore sote
riolo
gico identico a quello cristiano7
In questo contesto pare allora quanto meno sospetta l'assenza, negli
stu
di di insieme sui dying gods, dell'ugaitico Baal, per cui i
testi pa
lano esplicitamente di un ritorno in vita dall'aldil come momento
culminante della sua "vicenda", con tutte le implicazioni che essa
comporta per l'uomo. Tale personaggio resta quasi sempre ai magini
negli studi storico-religiosi, ovvero se ne mettono in dubbio i fonda
menti documentari (in realt inattaccabili), forse a causa dell'imbaazzo
che pu suscitare l'inclusione nella "tipologia" di un vero risorto, d
ambiente siro-palestinese, la cui vicenda di "resurrezione" non pu es
sere ovviamente imputata all'influsso del Cristianesimo.
Alla luce di queste riflessioni si rende pertanto necessario
riaffontare il problema dei cosiddetti "di morenti e risorgenti" su
nuove basi e con una nuova coscienza del condizionamento esercitato
dal Cristianesimo e da una serie di scelte aprioristiche, connesse o no
con quest'ultimo, vuoi di tipo polemico vuoi di tipo apologetico.
In sede di esposizione specifca e di conclusioni si preder a una
valutazione generale e a una verifca delle analogie tra le diverse fgure
chiamate in causa, sia quelle citate tradizionalmente, sia quelle per lo
pi tenute fuori dall'indagine. Ma per essere ritenute tali, le eventuali
analogie dovranno essere non solo di natura morfologica e funzionale,
ma anche coerenti dal punto di vista storico. Solo a questo punto sa
possibile pronunciarsi sulla validit euristica del creare, per quello che
riguada l'oggetto della presente ricerca (ma non solo per essa!), una
"categoria" alla quale eventualmente far afferire - anche solo a scopo
euristico - i personaggi studiati. Ma, e questo vale la pena di sottoli
nearlo, proprio l'assenza di assunti aprioristici potrebbe condurci a una
possibilit estrema, quella cio che queste fgure non permettano d
proporre alcuna "tipologia". In questo caso sar proprio la categoria 0
gli "di morenti" ad essere dichiarata morta per sempre.
11
Il testo di questo capitolo si fonda in gran parte su un lavoro ancora ine
dito di M.G. Lancellotti dal titolo "Le thme d 'dieu qui meurt' l'poque
perse: les aspects mthodologiques", presentato al Ve Colloque Internatio
nal "L Transeuphratne l'poque perse: religions, croyances, rites et
images", Parigi 30/3- 1/4/2000, i cui Atti sono attualmente in corso di
stampa. Tale contributo stato in qualche sua parte rielaborato e lieve
mente modificato dal curatore, con il consenso dell'A., per essere adattato
al presente volume, di cui costituisce un'ideale introduzione. Questo per
quanto concere la sua "storia" redazionale. Alcuni amici e pi stretti col
laboratori del volume (l. Chirassi Colombo, S. Ribichini, G. Scandone
Matthiae) ne hanno successivamente preso visione e hanno espresso la
propria adesione al metodo e ai contenuti, oggetti del resto di discussioni e
riflessioni comuni. E' dunque per tali ragioni che apparso opportuno al
curatore - d'intesa con gli interessati - adottare la formula "Autori vari" per
la paterit di questo contributo: si rende cos giustizia a chi vi ha concre
tamente lavorato, ma se ne esplicita al contempo il carattere di riflessione
comune aperta a molteplici apporti, diretti e indiretti, di vario tipo.
NOT
J.G. Frazer, The Golden Bough, III ed., voli. IV-V, The Dying Gode Ado
nis Attis, Osiris, I ed., London 1890, 2 voli.; II ed., London 1900, 3 voli.;
III ed., London 191 1- 1915, 12 voli. Per quanto riguarda la differenza tra le
diverse edizioni cf. J.Z. Smith, Drudgery Divine, Chicago 1990, pp. 9 1-
92, nn. 12-13.
1 W. Mannhardt, Wald- u Feldkulte, 2 voli., Berlin 1875-1877 (Il ed.
1905).
2 Cf. U. Bianchi, "Initiation, mystre, gnose", in C.J. Bleeker (ed.), Initia
tion. Contribution to the Theme of the Study-Conference of the Intera
tional Association far the History of Religions Held at Strasbourg, Leiden
1965, pp. 154-171 =id., Selected Essays on Gnosticism, Dualism ad
Mysteriosophy, Leiden 1978, pp. 159- 176; id., "L studio delle religioni
di mistero. L'intenzione del Colloquio", in U. Bianchi - M.J. Vermaseren
(edd.), The Soteriology of the Orientai Cults in Roman Empire, Leiden
1982, pp. 1-15; id., "Epilegomena", in ibidem, pp. 917 -930; e altrove
nella sua vasta produzione scientifica.
12
3 Cf. D. Sabbatucci, I mito, il rito e la storia, Roma 1978; id., D Osirid
a Quirino, Roma 1984, e altri luoghi della sua produzione scientifica, spe
cie Mistica agraria e demistificazione, Roma 1986. Sul problema cf. infra
la Postfazione di l. Chirassi Colombo, anche sui rischi di una
"demolizione" indiscriminata.
4 Cf. soprattutto A.E. Jensen, Da religiose Weltbild einer fruhen Kultur,
Stuttg
art 1948, tr. i t. Come u cultur primitiva h concepito il
mondo,
Torino 1952.
5 Id., Mythos und Kult bei Naturvolker, Wiesbaden 1951.
6 Sulla rielaborazione flosofca e cristiana dei miti classici cf. tra gli altri
F. Buffire, Les mythes d'Homre et la pense grcque, Paris 1956; J .
Ppin, Mythe e t allgorie, Paris 1976; I. Chirassi Colombo, "Modalit
dell'interpretatio cristiana d culti pagani", in M. Pavan (ed.), Mondo
Classico e Cristianesimo, Roma 1989, pp. 30-43. Come ha giustamente
sottolineato J.Z. Smith, op. ci t. (n. l), la teoria del dying god molto pi
importante per la storia degli studi che per la ricerca storico-religiosa i n
quanto tale.
7 Cf. K. Prmm, "I cosiddetti 'dei morti e risorti' nell'Ellenismo", Grego
rianum, 39, 1958, pp. 410-439.
13
OSIRIDE, L'AFRICANO
ovvero la morte regale
GABRILLA SCANDNE MA TIE
"Per i Greci il carattere di Osiride in quanto r
morto era quai privo di signifcato. Per gli Egi
ziai ne costituiva la caratteristica pi impor
tante... Tuttavia le credenz greche oscurano com
pletamente quelle egiziane".
(H. Frankfor, Kingship a th God, p. 292).
Osiride, il celeberrimo dio dell'aldil e re dei defnti nel sistema r
ligioso egiziano classico, compare piuttosto tardi nel pantheon dl
paese del Nilo: le sue prime attestazioni, infatti, risalgono alla fne
della V- inizi della VI dinastia (2500- 2270 a. C. ca.). Egli menzio
nato per la prima volta esplicitamente nei Testi delle Piramidi, raccolta
di formule magiche e non, di varia origine e antichit, destinate a a
sicurare la vita eterna nell'oltretomba prima di tutto al sovrano defnto
e, in seguito, a pochi privilegiati della famiglia reale. I Testi delle Pi
ramidi sono cos chiamati dagli studiosi moderi prch iscritti sulle
pareti interne delle piramidi dell'ultimo faraone della V dinastia, Unas,
di quasi tutti i faraoni della VI e di alcune regine consorti dell'ultimo r
della VI dinastia, Pepi Il. Essi furono raccolti e sistemati, sembra, d
sacerdoti di Heliopolis, citt del dio Sole: quindi, in essi prevale una
visione dell'aldil fortemente infuenzata da culto solare e dal'idea dl
destino celeste ed astrae riservato al sovrano post mortem.
Osiride, esponente di un altro corso di pensiero mitico-religioso,
non vi ricopre perci un ruolo particolarmente signifcativo. Egli ,
tuttavia, presente e, dalle formule in cui nominato, si pu compren
dere, seppur non in modo dettagliato che, a quell'epoca, il mito che n
narra i patimenti e il martirio era gi stato costituito.
Osiride mu_ discende nel Mondo Inferiore, sotto la terra, l dove
de
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s

a
-
a reg
_
-
j
;
-1 f _
pr
? <
15
tato lo stesso destino, in contrasto, ma anche in Qarallelo, con l'asces
a cielo ed il soggiorno nella barca di R o tra le stelle imperiture ri
servatogli dalla religione di i1postazione sol <re. Si pu osservare la
presenza di una certa ambiguit nelle formule osiriane dei Testi delle
Piramidi: in alcune si augura al faraone di "diventae Osiride" nel
mondo sotterraneo, mentre in altre (poche) formule il dio e la sua cer
chia di divinit sono palesemente disprezzati e, in un caso, insultati
() (Form.1267 dei Testi delle Pirmidi).
Ma questi pochi resti, derivati dall'ostilit degli ambienti religiosi
"solari", scompaiono nella successiva raccolta di formule redatta per tu
telare il morto nell'aldil: i Testi dei Sarcofagi, cos chiamati prch
scritti ad inchiostro sulle pareti interne dei sarcofagi lignei soprattutto
del Medio Regno (200 - 1800 a. C. ca.). In essi Osiride trionfa e la
sua presenza assai pi frequente di quanto lo fosse nei Testi delle Pi
ramidi. A questo punto necessario compiere un passo indietro, p
spiegare il perch del "progresso" del dio. La fine dell'Antico Regno f
seguita da una fase di forte instabilit politica dell'Egitto, caratterizzata,
oltre che d infltrazioni dei vicini asiatici, d pesanti lotte intestine.
Contemporaneamente il privilegio, dapprima esclusivamente regale e,
in seguito, di alcune regine, dell'identifcazione con Osiride, venne, a
poco a poco, avocato a s dai grandi personaggi della corte e poi ache
da quei pochi comuni mortali che potevano permettersi il lusso di farsi
costruire una tomba bene equipaggiata.
Tale modifcazione della situazione antecedente determin, natural
mente, l'esecuzione di numerose stele recanti invocazioni di sovrani e
di privati ad Osiride, con la relativa rafgurazione del dio, che rmarr
sostanzialmente invariata per tutta la lunga durata della storia egiziana.
Osiride rappresentato sempre in aspetto umano, strettamente avvolto
nelle bnde della mummifcazione. Le mani sono libere dalla costri
zione delle fasce: con una egli impugna il flagello e con l'altra uno
scettro, detto in egiziano heka. Sul capo reca, all'epoca del Medio Re
gno, l'alta Corona Bianca, simbolo della signoria sull'Alto Egitto, il
Sud del paese. In seguito, durante il Nuovo Regno, oltre alla Corona
Bianca, Osiride porter assai spesso la grande corona chiamata in egi
ziano atef, in origine caratteristica del faraone, come dimostrano vari
esempi dell'Antico Regno. Mentre la Corona Bianca sicuramente il
simbolo della regalit altoegiziana, non altrettanto facile comprendere
il signifcato racchiuso nella corona atef Forse si trattava, in origine,
16
di un'acconciatura propria del sovrano defnto, che alludeva alla vita
etera nell'aldil, come sembra potersi du da passi dei Testi di
Sarcofagi: ma questa non certo un'interpretazione sicura. Si
tratta
solo d un'ipotesi, che difficilmente potr essere confermata.
La fortuna di Osiride continuer, sempre maggiore, nel Nuovo Re
gno: ormai ogni defunto che ne abbia la possibilit tende a identif
carsi con lui e, per la prima volta, abbiamo in questo periodo non solo
allusioni, ma testi egiziani che parlano a lungo delle sue vicende dolo
rose. Il pi importante la narrazione del processo, svoltosi davanti a
dio-Sole Ra e all'Enneade, per decidere se si debba attribuire a Horus,
figlio postumo di Osiride e della sua sposa Iside, la sovranit sull'in
tero Egitto, usurpata dal malvagio e turbolento dio Seth, fratello as
sassino di Osiride e quindi zio di Horus. Inoltre, nel celebre Libro di
Morti (cos chiamato dagli egittologi moderi prch presente nella
maggior parte delle sepolture del Nuovo Regno: il suo titolo in egi
ziano Libro dell'Uscire di Gioro), Osiride l'arbitro supremo, d
vanti al quale, e a suoi quarantadue giudici, il defnto deve discolparsi
dei propri peccati, sottoponendosi alla pesatura del cuore. Sull'altro "
piatto della bilancia, l'immagine di Maat, entit divina che per gli anti-
chi Egiziani impersonava la verit, la giustizia e il giusto equilibrio
dell'universo, garantisce la veridicit delle parole del defunto, destinan
dolo, se stato sincero e ha bene operato, alla felicit ultraterrena, ov
vero consegnandolo alla Divoratice inferale, mostro femmina mezzo
coccodrillo e mezzo ippopotamo, se invece ha ardito mentire sulle pro
prie passate azioni.
Fino alll_fiJe_jel__ovo. Regno, Osiride seguita -re sem_ p!i
cemente il re dei mofj t.d 11 signore delil quindi a conservare ca
reristiche esclusi(fll giziaf!. Con il disgregarsi dell'Egitto
unito e le -ripetute-Invasioni straniere nel corso del I millennio a. C.,
che culmineranno con l'avvento al trono faraonico della dinastia sta
niera dei Tolomei nel IV sec. a. C., !o, insime alla onsorte-2-
rella Iside, diver protagonista _di
U!l
l
re
_
!igiQ .i!fretitiC< salvifca,
chnon ne ten pi in gran conto l' "egizianit", ma _gli attribuil-c
ratferistiche universali: basti "nsare alla fgura dlylna, di-nuova
zione, di _si!i_<ep}_erap!c. A ql!esto_I\nQsirid _9!. pi_ len
tit divina originaria, avendo diluito e mescolato le proprie peculiait
l"-unsorta di feJjlg pot Jdit(m_ o: In quest indagine si intende
trattare prevalentemente dell'Osiride "egiziano", della genuina fgura d
17
'dicchcmucrc",risctvandcscIcaIcuniacccnni agIi sviIuppi dcIIasua
IiguracdcIsuccuItcin cpccacIIcnisticc-tcmana.
Ritcmandc. dunquc, aI racccntc-mitc dcII'uccisicnc c dcIIc smcm-
bramcntc di Osindc. vcgIiamc qui riassumcrIc brcvcmcntc, pcr pun-
tuaIizzwcgIi cIcmcnti basiIari. Innanzituttc, dcbbiamc nccrdao chc,
scpputcIa IcttcraturacizianaIaracnicacIassicaccnticnc ucnti aIIu-
sot:icnatrazicnipaiaIidcIIcviccndc de dic, iI mitc inc a ccm-
pIeui nctcscIcdaIIatardissimarcdazicnc di PIutarcc.NcI Delse
f Osiri Ic stcriccdiChcrcnca,vissutc tra iI ! oiI !! scccIc d. C.
/ (4717 d.C.),narra dc|bucnrcOsiridc,cmciviIizzatcrc1asciu
d(crag|cdiNut/Rhcacdi Gcb/Krcncs),chc inscgno agIi Egi-
ziiI'agriccItura,IaIcggc,cIavcncrazicncdcgIidci. !IpcrdcatcIIc
gcmcIIcdiOsiridc, Scth (daPIutarcc chiamatc TiIcnc), Ic uccisc ccn
unc stratagcmma, nnchiudcndcIc in una bma, chc Iu pci gcttata ncI
NiIc. AIIanctiziadcII'assassinic !sidc,scrcIIacmcgIicaIIcttucsissima
diOsiridc, iniziounaIungacdispcrataticcrcadcIcadavcodcI ccnscrtc.
EIIa n pr riocvarc Ia bara suIIc ccstc dcI Lcvantc, 1 BibIc; Ia
nasccsc in un Iucgc sicurc c raggiunsc iI gIic Hcrus!chc vcniva
aIIcvatcin scgrctcaButc,ncIIcpaIudimpcnctrab|!dcIdcItadcI NiIc.
ScthsccprIabara. I'apr, IccciIcctpcdcIatcIIcin quattcrdici pczzi,
chc dispcrsc. !sidc Ii ritrcvo c Ii riun, a cccczicnc d unc: iI IaIIc,
mangiatc d pcsci. Ma Ia dcaIc scstitu ccn unc ntc, aInchc Ia
spcgIiadcImaritcIcssc ccmpIcta. OsiridcIccc!J!O ingssc ncI-
IdiI,da cui|crno scIc pcr autmc iI gIq|qruncIIaIctta ccnm
v

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j
iI dinc suII'Em La battagIia duro mcIti gicrni c si
ccncIusc ccnIa vittcria diHcrus,scstcnutc dagIi aItri dci anchc du-
rantciI succcssivcprcccsscintcntatcgIi da Scth, chc ncn vcIcva assc-
Iutamcntc ccdcrcIatcgaIitaI nipctc.Isidyo_s|tnadOsindcanchc
; .'(< dI ccnscrtc c nc cbbc un gIIp prcmatumc rachitico:
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La nmazicnc di PIutarccriproucc abbastanza IccImcn iI mitc
criginaIc; scncdisccsta,tuttavia,in aIcuni punti, dcciscntc impcr-
tanti.!nnanzituttc,scccndcIattadizicnc cgizanacIassica,Osiridc ncn
cucciscdaScthccniIsistcmadichiudcrIcvivcinunabara, ma vicnc
ccIpitc ccn un'arma, c aIIcgatc ncI NiIc. Pci, Ia ricctca dcI cadavm
dcI diccccndcttancn daIIa scIa !sidc, ma da!sidc c daIIascrcIIa NcI-

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z|onc diduc Horus,nagI'uno prima dclp. Horusgro-

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s), Uo ultimo g- /
portantcpunto d[c_aq alavionc pchcIo

m amoritorno d Osiridc suIIa tcrra in aiuto di Horus,rfcrto /
dallo storco:co.!nfatti,ucImo cgitiauo, Osmc nontorna! <"
dalI'aIdI,ocppurcpcrdarmaI figlio.Anchcmc'sa d :
Horus c Scth. rac:n|o-mtocm attcpolm la cui prima
toncscmbra risaIircalMcdoRcgno(20- 1750 a.C., mcntrciIpa-
piro su cui ci gunto iltcsto databIc al tardo Nuovo Rcgno, 116
a.C. ca.),OsindcnonricomparcsuIlatcnapcraffcrmarc la lcgttimit
dHoruscomcsuocrcdc.OndcconosccmcilparcrcThot, lo Scriba di-
vno, glinviaunaIcttcraagIiInfcr. rivolgcndogIisi con i titol riscr-
vatiaIfaonc.Osridcrspondc,naturalmcntc,chc la rcgmit spctta m
proprio gIio, ossia a Horus. Ma non ntcrvicnc assolutamcntc d
pcrsonadavantialtribunalcasostcncrncdiritti.
Un aluo mportantc tcsto rcIigoso, Ia cui anticht ha suscitato
numcrosc discussion tra gIi studiosi, Ia cosiddctu "TcoIogia Mcn-
ta", guntaa noi suuna Iastra dipctra datata aIlaXV dinastia, ma
probabiImcntc composta n cpoa assa p rcmota. Essa nccotrata
suIIafiguradiPtah, docrcatorccsgnorc dMcnIi;vi s fa pcro mcn-
tioncdcIIcvccndc dOsiridc: I' anncgamcoto ocI NIo, il rccuprod
corpoadopcradIsidc c NcItis c I scppclIimcnto ncI tcmpio di Ptah
nMcnf(dvcrsccittcgitianc,oltrcaIIatraditionalc Abdo, si gloria-
vanod possccrcuna tomba, o mcgIo ccnotao, di Osiridc). Ecco I
branodcIIa"TcoIogaMcnta:
E cos Osiridc fu scpoIto ncI Palatto dcl Rc (ossa ncl
tcmpodPtah)ncIIatooorddi qucstoluogo.
Anchcinqucst'opcradalta tcologa, dunquc,Osiridc considcrato
mortopcrscmprc,scnta aIcunaprospcttivadritomosuIla tcrra.

--A tmcconccttoorrispndonortinonondJicsi+lcb-
vanonclIcduccttaIuipartcoIarmcntc sacrc: Busins, ncI DcItaccn-
uaIc c, soprattutto, Abido, in Alto Egitto. A Busiris, capitaIc dcl I
19
nomo del Delta, il cui dio originario era l'antropomorfo Angiti, si
svolgevano i cc.dd. "misteri" osirian, di cui parte fondamentale erano
le cerimonie consistenti nello "sminuzzare la te a" (con la zappa) e
nell'erezione del pilastro Ged, considerato la colonna vertebrale del dio.
Con la prima cerimonia s alludeva all'aspetto di Osiride come provve
ditore di cibo (se ne ve pi tari il motivo); con la seconda, al suo
trionfo postumo sui nemici.
Ad Abido, principale centro di culto di Osiride, che aveva preso il
sopravvento sull'originaria divinit canina (lupo o sciacallo) fneraa
indigena Khentiamentiu, il cui nome signifca "Il Primo degli Occiden
tali" (ossia dei defunti) e si era con essa sincretizzata nella forma
"Osiris-Khentiamentiu", si celebravano ugualmente riti "misterici" in
onore del dio, dei quali abbiamo notizia sin dal Medio Regno.
Infatti, la stele di Ikhemofret, alto funzionario del re Sesostris m
della xn dinastia (1878 -1841 a. c. ca.), contiene una brevissima d
scrizione di tali riti, in cui si fa cenno a una "gande battaglia", alla
sepoltura di Osiride a Peker ed alla sua successiva intronizzazione come
Sovrano dei Defunti nel suo "Palazzo" di Abido, ossia nel principale
tempio della citt.
Molto oltre nel tempo, a circa 150 anni di distanza, abbiamo noti
zie pi ampie sui "misteri" di Abido dai testi del tempio tolemaico d
Dendara, che trattano delle celebrazioni osiriane nel mese di Khojak.
Nel corso di esse, si rappresentavano i "patimenti" di Osiride (sincretiz
zato con il menfta Sokaris, mummiforme dio-falco preposto all'
aldil), terminanti con la mummificazione, la sepoltura e la conse
guente signoria sul regno dei defunti.
Con i! procedere del tempo, dunque, la commemoaziQ'l ec
i
l!edolo
rose vicende dl Osiride venne a assumere l'aspetto di una ')aera r
presentazione", una sorta di "passione", che afondava le radici nel
l'etera speranza dogr
i
i essere umano: rinascere--ad una vita futura,
t clradi felicit e di tutte le sodisfazioni mai raggiunte in quella ter
rena. Osiride, dopo tanto soffrire, diviene sovrano dei defunti e regna in
un'eterna beatitudine, avendo inoltre trionfato sui nemici che sulla tera
oharro cos vilmente ingannato. Allo stesso modo, l'uomo onesto,
buono elberoill peccato, identficandosi con il dio prima martire e
poi trionfante, era sicuro di conseguire nella vita futura la ricompnsa
alle soffeenze e alle delusioni di cui certo l'esistenza terena gli e
stata prodiga.
20
Q_ obbi
ailO quin.di rbadire che Osiride muore e non risorge_egU
c
sta
to
all'origine, prima della cosiddetta "demoratizzazione" del c
osir
iano, esclusivamente il simbolo per eccellenza, il prototipo, del r <
mo
rto, del faraone che ha terminato la propria funzione terrena. Se
cndo quanto ha scrittg l egittologo inglese J.G. Griffths, che ha d-
Site stio l'origine di Osiride, la morte di Osiride in realt
lfi del re. A lui deve, di necessit, succedere nel regno il figlio, <
f(rs, prototipo del faraone vivente, il cui primo e pi sacro dove
iad una degna sepoltura al proprio padre, come aferma una seie
numrosa di testi egiziani. La successione diretta Osirde/padr - HO
rsffglio era garanzia di un coretto svolgersi della vita del cosmo. E
la realizzazione terrena della Maat, questo concetto cos peculiare alla
mentalit dell'antico uomo egiziano che possiamo rendere, imperetta
mente, nella nostra lingua non con un solo termine, ma con diversi:
equilibrio universale, giustizia, ordine, verit, armonia.
Ma il "morto" Osiride continuava a vivere; o meglio, non a "vive
re" nef senso' di resuscitare, ma a essere presente sulla tera mediante
alCune manifestazioni naturali. Gi nei Testi delle Piramidi si dice che
dalle linfe del corpo del dio deriva l'inondazione del N ilo, la cosiddett
"acqua pura" o "acqua giovane": Horus viene per riconoscere in te suo
padre, nel suo nome di "acqua giovane" (Pa. 589 dei Testi delle
Piramidi) e l corsi d'acqua sono colmi, i canali debordano a causa delle
purfcazoni che vengono d Osiride (Par. 848 dei Testi delle Pira
midi}.
Il concetto pi volte ribadito in numerosi testi posteriori, fino a
Plutarco (De fs. et Os. 39, tad. M. Cavalli), il quae scrive: <l r
conto dell'imprigionamento di Osiride nella bara, quindi, alto non sa
rebbe che il simbolo del decrescere delle acque e della loro scomparsa:
per questo che la scomparsa di Osiride viene fssata nel mese d Athyr,
quando cio i venti etesii non soffiano pi, il N ilo va in secca e la terra
spoglia.
In realt, bisogna distinguere il fenomeno simboleggiato d Osi
ride, ossia l'nondazione, dal Nilo in quanto corso d'aqua. Quest'ul
timo, infatti, era impersonato d una divesa e ben precisa divinit:
Hapi. Quindi, Osiride all'origine non era identifcato con il Nilo, come
avver in seguito, bens esclusivamente con l'acqua dell'inondazione
che portava fertilit e rinnovamento all'Egitto intero, e er una delle
manifestazioni benefiche, dei "messaggi", indicanti che il dio, dall'al-
21
diI,continuavaaprcndcrsicuradcgIiuomini.
Unasccondaman!cstazioncdiir aqsa assi signi!icativa
pcrcomprcndcmc Iticsscnza,s cspIicava ncIIo spunt
cmcrcscitadc ccrcaIi: grano, orzo, spcIt. Comc scrivc H. rank-
ort namagistraIc studio suII'orginc divna dcIla monarchia cgi-
\ ziana, scmprc valido nonostantc risaIga a oItrc cinquant'anni addicqo,
Osirdc riapparc'ncIgrano g n tcsti assai antichi, comc la contro-
vcrsa TcoIogaNcnta' cIMistcrodcIIa5ucccssionc'.Anchc nclla
gcitataContcsa di Horus c 5cth', !orsc risaIcntc aI Mcdo Rcgno,
OsrdccosrispondcaIdio-5olcRa: !crchcsi!arcbbc torto a mio -
glo Horus, poichc sono iochcho!attoI'orzo ctutto ci chc nutrc gIi
dci,canchcgIicsscrvvcnt dopogIi dci, mcntrc ncssun aItro dio, o
dca, c stato capac di !alo?. 5cmprc sccondo Ic paroIc d ranklort,
anchcscc statoscppcIltonclIatcrra,!:irdcnon cund da tcrrac
dlfe- mcss,madcIIcmanlcstazonidcIIavta cmanat daIIa tcrra.-
!atti:omc abbao rcomt pcr quanto riguadaiI NiIo, anchc iI
granocraidcnticatoaduna divcrsa c bcn prccisa dvinit, Ncpri, c Ic
mcssiricadcvanosottoIasovranitdiunadca,Rcncnutct. Qucst'uItma
avcva!ormaoldca,comc si convcnc a un'cntit divina chc prcsicdc
ai prodotti dcI suoIo, habitat naturaIc dci scrpcnt. Una voIta di pi,
dunquc,sidcvcopcrarcunadstnzonctraOsirdc chc si mani!csta nc
ccrcaIi, manon i ccrcaIi, c gI dci prcposti spccamcntc a gran c

a raccoIto: NcprcRcncnutct.
Un'ultcri:nani!cstazionc d Osridc chc, a prima vst, scmbrc-
rcbbc aIicna daIcgam conIa tcna, cqucIIachclovcdc riscdcrc n u na
stcIIa: Orionc. GinciTesti delle Pirmidi si dcc: EccochccgIcvc-
nutocomcOronc;cccochcOsirdccvcnutocomcOronc(!ar.819).
Tuttava,pcrquanto a noi mocm possa scmbrarc asurda,Ia spicga-
zonc cqucIlachctrovamoncIlagi citata opra d H. ranklort suI-
l'orgnc dcIIa rcgaIit cgizana: Tutto ci chc scmbra provcnrc da
tcrra pu csscrc consdcrato una mani!cstazonc di Osridc. E, p
quanto c possa scmbrarc paadossaIc, Ia nozionc s appIica a tutt
corp ccIcst. Lc stcIlc sorgono aII'orzzontc, c cos I soIc c Ia Iuna,
cosicchcOsridcc chiamato CoIui dcIl'Orizzontc, d cui sorgc Ra'.
Ancora una voIta, iI do s man!csta in qucI chc (apparcntcmcntc)
l cmana daIla tcrra. A qucsto puntospotrcbbcpnsarc chcOsridcsia la
Tcna: ma non c cos. La Tcna, ncI pcnsicro mitco cgizano, cra d
i scsso maschiIc: Gcb. consortc di Nut, Ia dca-cicIo, c gcnitorc d Os-
Q
22
rid
e, l
side, Seth e Neftis. Osiride sUtQa, come gi si detto,
nelle
man
iJi vitali emananti dalll tera; rabiUSO perSiS,
fa
se
_ nil
_
!?P._prescnza nel grano che germoglia, nell'inondazion
df
fiume, nel sQrt_99i9n,--L!tta, quindi, di un'ntit-(iVli
noe i__@aJtO _S stessa _sulla tera, ma rnsita nle-su

essi _vitA_ di rilJl_o_al_tlto__ c


_
eflg _
n
(m _c!
finib
ili _ '
zioni".
-siride all'origine non altri (e lo si detto precedentemente) che
la figura, l'icona, del faaone morto, contrapposto a Horus, il faraone
vivente; nella loro successione che , in ultima analisi, l'eterno avvi
cendarsi della vita e della morte, risiede gran pate dell'attuazione della
Maat nel cosmo, garantita d riti che devono accompagnare la sepol
tura del vecchio re e l'accessione al trono del nuovo. Osiride, in quanto
re morto, continua, tuttavia, a possedere una forza vitale operante a b
neficio degli esseri umani: egli "detentore" delle acque fertilizzanti
dell'inondazione e dell'impulso germinativo del grano, pur non essendo
n il Nilo n il dio-grano Nepri.
Non si pu negare che Osiride sia una figura assai singolare: prso
naggio divino s, ma ricoprente una funzione che stata umana, il
quale conservava nell'aldil alcune prerogative del sovrano vivente. E'
noto, infatti, che nell'antico Egitto il faraone era colui che garantiva il
buon andamento dell'esistenza, realizzando sulla tera la Maat mediante
la propria opera di re giusto e di figlio devoto degli di. Cos oprando,
egli contribuiva, naturalmente, anche al corretto svolgimento dei fe
nomeni naturali e "prouceva" nutrimento pr i propri sudditi, come
dice di se stesso Amenemhet I, fondatore della XII dinatia (1991 -
1962 a. C.): Ero uno che produceva orzo e amava il dio-grano. Il Nilo
mi rispettava ad ogni inondazione. Nessuno ebbe fame durante i miei
anni (di regno), n sete. Tale convinzione era cos diffusa, che du
molto tempo dopo che il faraone aveva perso ogni reae potere, quando
il glorioso Egitto non era pi che un ricordo: infatti, Ammiano Ma
cellino sapeva ancora che gli Egiziani attribuivano al proprio sovrano
la capacit di proure abbndanza o, al contrario, di attirare sul paese
la carestia.
L'idea che il re conservi, anche dopo morto, potere sopra le forze
della natura non , tuttavia, esclusivit dell'Egitto faraonico. Essa si ri
trova (o meglio, si ritrovava, prch attualmente difficile capir se
credenze valide ancora sessanta o settant'anni addieto siano state o no
23
spazzate via dall'occidentalismo imperante dovunque) in alcune culture
di popoli africani moderni, estesamente studiate nei primi trent'anni del
1900 dall'illustre etnologo inglese C.G. Seligman. Seligman stato il
fondatore degli studi etnologici moderni relativi alla pate dell'Afica
centro-orientale comprendente il Sudan e i paesi limitrofi, abitati c
popoli definiti "nilotici": Dinka, Shilluk e Nuer, fino all'Uganda e alla
Tanzania. Egli riscontr in queste genti l'esistenza di concetti, tadi
zioni e usanze che si potevano ricondure a precedenti dell'Egitto fa
raonico. Alcuni erano di tipo cultuale agrario, come l'estrema afezione
per il bestiame bovino e l'abitudine di deformae atificialmente le
lunghe cora, in modo identico a quello visibile in raffguraioni di
buoi bene accuditi e ingrassati delle tombe dell'Antico Regno. Altri ri
guaravano particolari di ornamenti personali; altri, infine, estrema
mente significativi, concernevano modi di pensiero e convinzioni reli
giose. Tra queste ultime, soprattutto due colpiscono vivamente coloro
che studiano l'antica civilt egizia: una l'idea, tipicamente afcana,
che ritiene la prfezione consistente non nell'unit, come pensano ge
neralmente i seguaci del pensiero filosofco greco, ma nella duplicit.
Da tale idea derivano, come stato pi volte osservato, la costante di
visione dell'Egitto faraonico in due monarchie, il dualismo-rivalit t
Horus e Seth, la credenza nel "doppio" di ciascun individuo (la forza vi
tale chiamata in egiziano antico Ka, da non confondersi con il Ba, una
sorta di "anima") e, addirittura, l'espressione designante la Sala del Su
premo Giudizio ove siedono Osiride e i quarantadue giudici dell'aldil:
"Sala delle Due Verit", espressione che, per noi, suona come una vera
e propria contraddizione di termini: la verit, come noto, una sola!
L'altro importante concetto proprio di questi moderni popoli ai
cani, rintracciabile nel modo di pensare degli antichi Egiziani, la po
sizione particolare di cui godeva il sovrano sia d vivo, sia post mr
te m. Secondo quanto appurato da Seligman, alcune trib Shilluk e
Dinka consideravano divino il proprio re; quado egli moriva (il ta
passo spesso avveniva in seguito a morte violenta: ma questo fatto ri
guarda un alto aspetto della regalit aficana), al momento della sepol
tura nella sua mano desta si versava del latte e nella sinistra del mi
glio. In tal modo, il sovrano portava con s nella tomba il nutrimento
della sua gente, rimanendone, in un certo senso, depositario e posses
sore. Anche dopo morto, perci, il re di alcune trib Dinka e Shilluk
continuava a essere, secondo le parole degli antichi Egiziani nutri-
24
m
ento e abbondanza per i propri sudditi.
Tale situazione ha molti punti in contatto con quella di Osiride:
possessore dell'acqua ma non fiume, suscitatore del grano ma non
grano. Secondo l'opinione di Seligman, espressa in un'opera deicata
nel1934 allo studio della regalit divina aficana, la causa delle singo
lari affinit tra idee corenti ancora nei primi trent'anni del 1900 tra al
cune genti aficane centro-orientali e idee proprie dell'Egitto dei faraoni
sarebb d ricercarsi nell'influenza esercitata anticaente dalla cultura
egiziana classica su quelle dei popoli vicini, estesasi poi lentamente
verso l'Africa cento-occidentale, fno alla Nigeria, e conservatasi fno
ai giorni nostri. Lo studioso inglese, infatti, ritiene che una infilta
zione graduale di idee egiziane nell'Afica nera deve essee esistita fn da
tempi remoti, probabilmente gi dall'et delle Piramidi. Tuttavia, il
medesimo Seligman, nella stessa opera, scrive: ( ... ) ma, nonostante
queste somiglianze sorprendenti, fattori cronologici ci impediscono d
credere che i Re Divini del Sudan siano dovuti direttamente all'influsso
egiziano; dobbiamo piuttosto considerarli esempi di una antica e
difusa credenz hamitica. E' proprio questo riconoscimento dell'esi
stenza d un remoto substrato nord-orientale aficano comune che d
rebb ragione pi realisticamente dell'esistenza di idee simili nel
l'Egitto faraonico e in una vasta parte dell'Afica modera.
H. Frankfort, nella sua gi citata opra sulla regalit egiziana an
tica, accoglie favorevolmente questa seconda spiegazione del fenomeno
data da Seligman e accosta l'Osiride dell'et delle piramidi e del Medio
Regno al "Re Morto Divinizzato" degli Shilluk e dei Dinka, indivi
duando la prima origine di questa particolare fgura in un remoto e ba
silare sostrato aficano nord-orientale comune. Naturalmente, nel corso
della lunghissima storia dell'Egitto faraonico l'originario '' moro"
aficano, impersonato d Osiride, all'in_iz_(- essivamente il "faraone
defunto" contapposto a Horus, re vivente, sub modifcaioni e evo
luZlo!Jo _a <i venire dapprima l signore-e giudice dell'aldil e poi la
divinit salvifica diffusa ben oltre i confni dell'Egitto.
--La fgura oi Osiride, dunque, si colloin una posizione particolare,
se paragonata a quelle dei cc.dd. "di che muoiono" del Vicino Oriente
antico. Innanzitutto, egli rispecchia un prototipo umano e regale: la
sua iconografia , sin dall'origine, mummiforme e antropomorfa e solo
in seguito a accostaenti e sincretismi con divinit fneraie terio
morfe (Khentiamentiu di Abido, Sokaris di Menfi) ne assumer, talora,
25
dei tatti iconografici, solitamente la testa di animale. Poi, Osiride non
risorge 1i: egli il "re morto" per eccellenza, destinato a r1_C:
fnat-f'aldl,.poit sufla terra regna, seondo quanto esige Ma!
forus, suo legittimo successore. Tuttavia, egli non escluso dalla vita
quohna di-coloro che Iono i suoi sudditi. Sotto la terra, egli ..
m-.il possessore della forza vitale, che si esprime nell'acqua del
l'inondazione, nello spuntare e nel crescere dei grani, nel sorgere degli
astri. a_sul mort_ l_ (_'_ita per gli uomini: secondo 1-pole dnk
fort, bisognava che il re morisse, per poter pnetrare nella tera,_ e
l a proftto degli uomini, come dio ctonio; bisognava che i I
gan_ o seminato-morisse per far spuntare la messe;- bisog-nava che i- l
Njlo decrescesse, per far rtorare l'inondazione>>.
Tali poteri vitali, come abbimo gi detto;-si ritrovano nelle fgure
dei "re morti" delle moee trib nilotiche; tra di essi Frankfort cita,
seguendo Sir James Frazer, Nyakang, venerato dagli Shilluk. Di lui,
come di Osirde, si racconta che fu un re, insegn agli uomini a colti
vare la tera e dall'aldil continua ad aver cura di essi, inviando la piog
gia e favorendo il raccolto. In lui si confondono tutti i sovrani defnti,
proprio come tutti i faraoni trapassati erano sintetizzati in Osiride.
Possiamo, dunque, concludere che l'originario Osirde-"re morto" d
Testi delle Pirmidi e del Medio Regno fosse una fgura divina der
vante dal sostrato africano, elemento certamente presente nella com
plessa cultura dell'Egitto antico. In seguito, dopo "democratizzazioni",
accrescimenti, sincretismi, l'Osiride "aficano" e "re morto" si ta
sform e si svilupp, fino a divenire il perno d una cdenza salvifca
diffusa nei pi remoti centri del mondo antico precristiano. Ma l'Osi
ride primitivo, quello di cui si diceva Tu possiedi la tua acqua. Tu hai
il tuo futto (Pa. 1291a dei Testi delle Piramidi) e <o sono Osiride ...
Gli di vivono per mio merito. Io vivo e cresco come Nepri ... Io sono
l'orzo, non sono distrutto ... (Par. 168c -l70b dei Testi dei Sarcofagi)
deriva da quel sostrato aicano, forse un poco sottovalutato dagli egit
tologi a favore delle componenti asiatiche, che certamente contribu
ala formazione dell'antica civilt faraonica, insieme a altri, diversi,
elementi amalgamati in quella perfetta armonia che fu l'Egitto antico.
Un cenno almeno meritano infine gli sviluppi che ebbero a subire
la figura, la mitologia e il culto di Osiride in epoca greco-romana.
26
Come precedentemente accennato, nel mondo ellenistico Osiride
al c
ent2_! i n.! tafQazione che. finisce per proiettae ftica divi
r egiziaf!a in una dimensione extra-nazionale, facendone un dio d
i9e.niyerslJi_e idoneo a soddisfe nu(ve istanze religiose.
S
olo
all! '.tti tradizionali del mito e del llto osiriani Vtngpn
mnte
nuti anche se sono ricontestualizzati all'interno di nuovi sisterl
ide!(Lr
i molto lontani dall'antca religione dei faraoni. Si
tatta di una problematica complessa e in questa sede ci si limiter solo
ad alcuni accenni in stretta relazione con il tema trattato.
La prima questione concere i "misteri di Osiride". Testimonianze
relativamente antiche parlano infatti di misteri in connessione con la
coppia Iside-Osiride (cf. Erodoto, II 171; Diodoro Siculo, I 27,86) ma,
come ormai opinione diffsa tra gli studiosi, l'uso del termine
"misteri" in questo caso sembra essere stato suscitato dalle analogie ta
le vicende dei due di egiziani - rappresentata in cerimonie pubbliche e
quindi non caratterizzate n da esoterismo n da iniziazione e quelle d
Demetra e Kore nell'ambito della religiosit eleusina. In entrambi i
casi, infatti, c' il riferimento a una ricerca del personaggio scom-
G
paso, al lutto e alla gioia conseguente al suo ritrovamento. Veri e
propri misteri sono invece attestati in Grecia e a Roma durante l'epoca
imperiale. Come ci racconta Apuleio attraverso il "romanzo" di Lucio,
la dea Iside poteva chiamare a s dei privilegiati che divenivano, ata
verso delle cerimonie iniziatiche che restano parzialmente oscure, dei
novelli Osiride. Il tipo di i1.lve_ zz_flli aJ ?.e.. li sem2nnet
tersi tantQ
J
!llita ta ch._Ail'alf.- Una seconda inizi azione, q
'sta volta ai misteri di Osiride, conferisce all'iniziato/Lucio ulteriori ga
ranzie nell'esistenza terrena; un'ultima cerimonia gli consente infine d
conoscere Osiride nel suo vero aspetto e partecipare cos pienamente al
l'attivit cultuale entrando nel collegio dei "pastofor".
Su un'alta testimonianza vale la pena di soffermarsi per cra d
capire meglio il carattere di Osride nell'ambito della religiosit impe
riale. Si tratta di un passo di Firmico Matero (De err. prof rei., 22)
relativo a una cerimonia cultuale d cui protagonista una divinit
non esplicitamente menzionata. Gli studiosi sono stati per lungo
tempo divisi sull'attribuzione del culto in questione a Attis o a Osi
ride. Recentemente stato dimostrato (J. Podemann Srensen) come
esso sia connesso alla tradizione rituale egiziana, con chiari riferimenti
alle cerimonie osiriane, facendo cos pndere la bilancia decisamente
27
dalla parte di Osiride. Finico riferisce che in una notte particolare un
simulacro viene posto su una lettiga e lamentato con ripetuti pianti;
dopo che i partecipanti si sono estenuati secondo le lamentazioni pr
scritte, viene introdotta una luce e un sacerdote, dopo aver unto la gola
di coloro che hanno partecipato al pianto, dichiara con voce lenta e
sussurante: Gioite, o misti del dio salvato; infatti anche per noi ci
sar la salvezza dalle pne. Segue il commento di Finico: Tu sep
pellisci un idolo, tu piangi un idolo, tu pori fuori dalla tomba un
idolo e tu, misero, nel fare ci, ti rallegri. Tu liberi il tuo dio, tu com
poni le giacenti membra di pietra, tu riassetti la pietra insensibile. A te
faccia grazia il tuo dio, te con pari doni remuneri, ti voglia partecipe d
s. Cos tu muoia come morto, cos viva come vissuto.
L'impalcatura misterica nella quale viene inserito Osiride costitui
sce un elemento di novit rispetto all'antica tadizione egiziana: qui a
essere eventualmente "osirizzato" non il defnto ma il miste ancora
in vita, anche se tale innovazione si colloca nel solco della religiosit
pi antica in cui tale personaggio non considerato un "savatore"
bens un "salvato". Sar piuttosto la sua "salvatrice", Iside, a vedersi
0 assegnato nei culti misterici di et greco-romana un ruolo pi attivo,
coerentemente con il suo assurgere a divinit cosmica dalle prerogative
pantocratiche.
Le_r(spettive che si aprono ai devoti non saranno per da imma
gn(rsi nei termini di una "resurezione", poich essi non sono
"salvati" dall more, bens nella more.
-Nelle spculazioni filosofche- dei primi secoli della nostra era,
siano esse "pagane" o cristiane, la figura di Osiride e degli altri prso
naggi del suo mito vengono utilizzate quali metafore attaverso cui
"spiegare" la realt. Nel risulta un complesso schema il cui punto di ri
ferimento il Medioplatonismo e in cui il racconto mitologico sot
toposto ad un'esegesi serrata: questo il caso di Plutarco (citato sopra),
che fa di Osiride l'anim mundi positiva, di Iside la natura dal primo
fecondata, di Seth l'anim mundi negativa, di Horus il cosmo. Tali
speculazioni saranno poi riprese dalla setta "eretica" dei Naasseni
(lppolito, Ref omn. haer., V 6-11) e inserite all'interno di una cosmo
logia e una teologia gnostiche. Non si tratta della negazione delle anti
che tradizioni, ma di una loro rilettura tesa a scavare il fenomeno alla
ricerca delle "verit" in esso nascoste. L'orizzonte mitologico-rituale
pi antico che fa da sfondo alle interpretazioni filosofiche medioplato-
28
niche invece completamente assente nel quadro della "teologia solae"
dove Osiride, al pari di altre divinit, diventa un'ipostatizzazione del
Sole, principio divino unico ma invocato con nomi diversi dai dife
renti popoli. Nella IV Orazione dell'Imperatore Giuliano accanto a Osi
ride si menzionano Serapide, Apollo, Dioniso, Ares, Hermes, Ascle
pio, Eracle, Attis, Horus, Adad e altri, nella testimonianza di Marziano
Capella (De nupt. Philol. et Mercur., II 191-192) appaiono insieme
Osiride, Attis, Adonis, Ammone e Serapide. Sempre alla tendenz
enoteistica va ricondotto l'inno riportato dai Naasseni, in cui Osiride
identifcato con altre divinit. Se si continuano a riportare nomi d
person:_gi antic_hi lPartellntil diversi sistemi religiosi dl
mondo mediterraneo, per evidente che non si parla pi di loro, bens
attaverso di loro, manifestazioni solo formalmente diverse di uno
s_ess
?
principi( divino che origina e informa tutta la realt. Con ci,
superfluo sottolinearlo, i legami con le fgure originarie e in partico
lare con l'antico Osiride, l'Africano, si sono defnitivamente e irrime
diabilmente dissolti.
BIBLIORAFA SELETTIV A
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30
DUMUZI-TAMMUZ
Alla ricerca di un dio
PAOLAPrSI
l. II nomc di Tammuz, lorma acadica di Oumuzi, ci stato ua-
smcsso antcriormcntc aIladccmzioncdc|cuncm rmc daIl'Antico Tc-
stamcnto,cprccisamcntc dal pro!ctaEzcchiclc, chc dcscrvc in una vi-
sionc simbolica iI Tcmpio di OcrusaIcmmc prolanato dagli idolaui:
Mi condusscall'ingrcssodclporticodclIacasa dcl 5ignorc chc ga
a scttcntrionc, c vidi donnc scdutc chc piangcvano Jammuz (Ez. 8,
14). NcllatraduzioncdciLXX ilnomc dcl pcrsonaggio oggctto dcl la-
mcnto !cmminilc non vicnc tradotto, ma soItanto traslittcrato d-
l'cbraicoinlcttcrcgrcchc(ho thammouz), mcntrcncltcsto Iatino di 5
Oirolamo iI nomc dcI dio compianto dalIc donnc suona divcrsamcntc:
et ecce ibi sedebant mulieres plangentes Adonidem.
L'idcnti!cazionc ua Tammuz c Adonis non cra pcr nuova. Il
primodiunascric di cscgcti di Ezcchiclc a omologarc csplicitamcntc
TammuzconAdonisc(Qrc, ilquaIc ci informa chc Ebrci c
5iri chiamavano appunto Tammuz la divinit dctta d Orcci Adonis
(Sel. in Ez. 8, 12: PO XIII, 797
B
800
B
), aggiungcndo chc ogni
anno vcniva pia

ta

a mortcayq-Jegg!!tJ!_u
rcsurrczio uttopar dio _accuo_(([ualc
o
goioso, durantc il qualc Adonis-Tammuz vcniva cclcbrato com s
losscrisortodairti

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muoiono_t.-2'Q

iia qu-_: sia ncll'ap-


pIicazionc aI cuIto di Adoms-Tammuz di uno schcma di morte e
resurrezione, siancll'intcrprctazioncallcgoricadcldio, Orgcnc uovcr,
apartircappuntodaOiroIamo,divcrsiscguaciha i commcntatori anti-
chidiEzcchicIc(canchchaglistudiosimodcmi).
lino alla dccihazionc dcl cuncilormc, dunquc, JcI dio mcsopota-
micosisapcva praticamcntc solo quanto ci avcvanotrasmcsso i com-
mcntari patristici c rabbinici dcll'Antco Tcstamcnto: Tammuz cra i l
31
corrspondcntcscmttcodcIgrccoAdonts(tdcntthcaztoncacccttata dNIa
maggtorpartc dcgIt studtost, nonostantc guaIchc dtsscnso_, vcntva r-
) tuaImcntc ccIcbrato ncI mcsc omontmo, c ont anno mortva c rtsor-
gcvq

conc_r no dt cut cra una gcontHcaztonc, Monostantc !a


: scarstt dt datt non mancarono, gt prtma dcII'acccsso at tcstt cunct-
tormt,dtvcrsc tcortcsuI!'ortgtnccsuI stgnttcatodcI dto. cut tu s
j
csso
attrtbutto,tn ana!ogtacon Iagrcca crsctonc, un cu!to mtstcrtco. Mc!
'70,comunguc. appartvaormatsa!damcntcstabtIttaI'tdcntttua !'cgt-
ztano Ostrtdc, tIcaIdcoJammuz c tI grcco-tcntcto Adons (cut a voItc
st aggtungcvaBacco`)
It studt su Oumuzt-Jammuz, nc!!'cpocaptontcrtsttca dc!!' asstrto
!ogta, trasscro tmpuIsodaIrttrovamcnto, ncgI scavt dt Mtntvc (!a c.d.
BtbItotccadtAssurbantpa!), dcItcstoaccadtcodcI!aDiscesa
d
i /Str agli
a_n`, chc dtvcnnc oggctto dt numcrosc truztopdct mag-
gtortortcnta!tstt dc!!a tnc dc!!'80. Lomcscrtvcr 5aycc - csprmcndo
un'optntonc !argamcntc condtvtsa d tuttt g!t spccta!tstt dc!I'cpoca
dopo avcr !ctto tI mtto sapptamo tna!mcntc cht t! Jammuz ptanto
da!!cdonncdtcrusaIcmmc,cctrtsu!tacvtdcntc chc t babtIoncst !tar
cJammuz sono!c mcdcstmc dtvtntt dcnomtnatc da rcct rtspctttva-
mcntcAtrottccAdonts
L'attcrmaztonc dt 5aycc non cornspondc pcr dc! tutto a! vcro:
comcgt abbtamo dctto, non e stato ccrto ncccssartoattcndcrc! rt-
trovamcnto dc!Ia Discesa
d
i /Str pcr tpottzzarc chc nc! Jammuz
asstro`st dovcssc rconosccrc tI grco Adonts. Bcn dtttict!mcntc, dI
rcsto, st sarcbbc potuto dunc !'tdcnttIcaztonc dcIIc duc dtvtntt d
mtto, dtnccrttsstma Icttura, c tn cut Jammuz comparc soIo, c assat
cntgmattcamcntc, nc! ttnalc. L'cgutva!cnza Jammuz-Adonts cra tn
rcaIttondatasu!Ictcsttmontanzcdcg!anttcht, c tn parttco!arc dcta-
dn dcl!a Lhtcsa: ptuttosto, tu Qrogrto_tpit!aztga dtvtntt
mcsoQotamtca aIl'amantc dt Ahodttc a gutdarc I'tntcgrct a_gp dca
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i /Star. 5ubtto, nanonostantc lc dtthco!t dt uaduztonc,
apparvcchtaraIatramaclm|o:a cal
giovacamtc,Cver npomIno|:|a!mcntcs!ctra. T aie rco-

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daunostessoconcettopnnarm .
Nea chiave uteteta|lvaproposta d Lenornant e, in genere,
ne||a prina fase deg|i studi assirio|ogici, Dunuzi-Tannuz si conf-
guradunue innanzituttoS anifcazione de| soIe _rinave-
n|e. Sarebbe per inproprio ricondurre esc|usivanente a||a |inea
Mnhmdt-Frazer i| riconoscinento di un sinbo|isno vegeta|e ne||a
(presunta)periodicasconparsa e riconparsadedio: ancorprina dl
decihaz|onede|cuneiforne|avicendadi Adonis-Tmuz era stata in-
fatticonparataconue||ade||aKoree|eusina e, a| pari di uesta,|etta
coneunacodifcazioneniticade| cic|o stagiona|e de||a vegetazione, e
in partico|are de|grano". E' diffici|e pertanto va|utaresee uantogia
neg|istudiassirio|ogici difne '80 potesse farsi sentire|'inBuenza d
Manahatdt',chene|secondovo|unediwat1- e

1Iet1|et
|
e avevad
dicatoanpio spazio a Tannuz-Adonis, inteqretato tranite un'an-
p|issina conparazione con usi fo|k|orici nord-europei, e con perso-
naggi de| nondo c|assico (in pm:ico|are Lino) - cone uno spirito
de||avegetazione", i| cui cu|to e onentato a favorue nagicanente"
|aferti|itastagiona|e.Inognicaso,neg|istudi assirio|ogici de||'u|timo
t
'

o
n
tittto !lreAppenascopeno n cuneI-
l
forni, Dunuzi-Tannu siscedunuei tratti che |o cat zze-
rannoinuasitutta|a storia deg|i studi nodemi: un dio norente e
risorgente", |a cui vicendanitica codicaun cic|o natura|e (so|are o O
agio-vegeta|e),e |afornanesopotmicadiuntipo divino dimso
33
narca mcdtcrranca, chiamatodvoItain voIta Atts. Osiridc, Adons,
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iggosccomungucamondosccnt!

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IacuiQrmacdizip(i()ggp taa I8. L'mnovazionci razcr, chc an-
chc n gucsto avcva trovato un pnccdcntc in Mannhardt, non consistc
pcrprincipaImcntcncncIpassaggoda un codcc soIarc a uno vcgc-
tatvo ncII'intcrprctazonc dcgI dci morcnt`, nc ncIIa tcora tipoIo-
gico-cIass!catoriadcIdying god chc, comc abbiamo dctto, appartcnc
aIIa comunc cosccnza sccntica dcI XIX sccoIo. ma puttosto ncIIo
spostamcnto dcI bmiccnuo intcrprctativo daIIa vccnda mtca aIIa
prass rtuaIc. NcII'opcra hazcnana c Ia tcoria gcncraIc dcIIa maga a
costturcIos!ondodacu cmcrgc comc tappa ncvitabIc ncII'cvoIu-
zioncdcIIacivIt Ia !gura dcI do chc muorc c rsorgc. II do mo-
rcntc`acguisscc ncII'opcra d razcr un caraltcrc d ncccsst cuIturaIc
inguanto obbcdscc a bisogn basIar diogni csscrc umano. c coc ci-
barsi c rprours: sccondo I'antropoIogo brtannico, Jammuz, aI par
dc suo conhatcII` cgzo c !rigo, non c soItanto un'aIIcgoria dcIIa
, vcgctazonc oiI prodottod un'aHabuIazionc su !cnomcn dcIIa natura,
ma rapprcscnta Io slrumcnto smboIico d un tcntatvo d controIIo
magco dcIIa !crtIt vcgcmIc c animaIc. Oi conscgucnza, bcnchc a|-
I'cpoca dcIIa stcsura dcI Ramo d'or non !osscroancora stat scopcrt
tcsticrogamc rcIativ aHarcJammuz, I'antropoIogobrtannco p
stuI chc Ic nozzc sacrc dovcsscm costiturc un tratto ntcgrantc d
cuIt d !ccondt mpcniat sugIi dc morcnt`, pochc c propro
I'ampIcssodvnoaprodurrc'magcamcntc`Iri!orrcdcIIcpiantc c Ia
!ccondtdcI bcstamc. Anchc su gucsto punto razcre stato pc-
dutodaMannhardt,chcavcvantcrprctatoIa strana`prass dcIIc donnc
babIoncsd o!hrs, aImcnouna voIta ncIIavta, a uno stranicro ncI
l tcmpodAhoditc-Astartc(MyItta) dcscrltada!rodoto(l 199)- c Ia
proslituzoncsacra` pratcataaLprocaPa!o comc !ormc mimctichc
J
dcII'unoncannuaIc!raIc divinit dcIIa vcgctazonc` Htar c Jammuz,
aIIo scopo d !avorrc magcamcntc` Ia crcscita dcIIc pantc azcr
!ccc propna Ia Icttura mannhardtana dcIIa prosttuzonc sacra`, ma
ncIIa sua rcosuuzionc Ia icrogaia s con!gura prma di tutto comc
l unrtorcgaIc: sc sovran corrspondono !unzonaImcntc aI dying god,
in guanto ncmazon dcIIo sprto dcIIa vcgctazonc`, dovrannom-
pcrsonarcIdoanchcncImatrmonosacro. Quandovcnncrtrovato I
7
34
tcs
tc
dcaicrcgamia ua Inanna c Iddin-Dagan, 'intrctazicnc
f
riana d un atc scmbroccs ucvarc una suacrdinmia ccnfcrma c dd-
'a
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ccstitu c schcma ccnccttuac prcccstituitc cntrc cui caare
i
tcst
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A sc_qitc dc@_)_|(;jipq_qcj( p__j_,
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yy__ivcn
rapi
damcptc anchc _tcg_icc|jgc_( dic_

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fcccndi|. nca cui ;r((csucnc pcgjsi cs_rimcritm _
d|a vita vcgctativc__g. y np(o ... '-!.

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ccnIaOrandcDca,acsccpcdifarrifcrirctuttaanatura. E tac, ccn
` ..... . ' ''"
pcch
c cccczicni, sar dcstlnatc a rimancrc nc ai gicrni ncsui. A
partimdaiprimidc'90 si mctipicarcnc c mcncgrafIcsuDumuzi-
Tammuz,ccntcmpcrancamcntcaapubbIicazicncdinucvitcsti chc c
vcdcncprctagcnista:Tammuz cra, e rimastc, i dic mcscpctamicc
chc pi ha appassicnatc gi studicsi mcdcmi, ncncstantc ncn pcssa
csscrcccnsidcratcunadccdivinitpiimpcrtantidcpanthccnccac.
La pcpcIarit di Tammuz prcssc assiriccgi c stcrici dcc rcigicni l
ncn puocvidcntcmcntc csscrc disgiunta da succcssc dc mcdcc
C
azcrianc dc cutcdi fc(+giQh,_)i p|_0,
ccstituacat__ ip(cr i ..

c
ritidc'antichit.Lascuzicncfrazcriana,ccnaccnscgucntc riduzcnc
dcsimbcismcmiticc-rituac,nca suafasccriginaria,adunarispcsta
ai biscgni primari dcI'ucmc (cibc c prccrcazicnc), scmbrava infatti
una ragicncvcc spicgazicnc dca prcduzicnc rcigicsa "primitiva".
Inctrc, i paradigma naturaisticc dc cicc stagicnac pctcva csscre
vistc ccmc iI Iivcc cspicativc pi ccmcntmc e arcaicc, ma ncn
cscIusivc, dcaviccndadi amcrc, mcrtccrcsunczicncdiTammuz

Nc {
cIima cuturac dci pnmi dc '90 infatti risutava quasi sccn
I'igctcsi diunpassQcaoa'mIcita"|atatumzivistom o
gcbac dcaprconc vlmaara-mo e"i "an
oIucmdanxJ!c amcuu t'

atura,chccg_nc:ccn_1a___
atcdagiInfcripcrmcttcvadunqucdiriccndunca dying god anchc
cvcntuaIsvnapatoIogk.+otcraoacczion::Iqcsaue|Ve
Ocntcanticoum:ncv1lcp Irvnirc
fcndata su!Vi .. h" iriire .. :scrgcnti II
stagionaIc"acgusm tHmcdo`anaIr::suc5quunivcnH
Ncn furonc pcro:oIIanto|appzrv51ctzalt nc
riccndurrc Ia prcduzicnc rcigicsa a un sistcma di biscgni ccmcntm,
35
n la possibilit di ricostruire una el|aaschauuag mca fondata
sull'inesauribilealtemantadivita e morte, a determinmil trionfo dl
fraterismo, e la conseguente ipervalutatione negli studi assiriologici
dell'importantadiDumuti-Tammut: lateoria pd

|,`ag gg
1 nel suo duplice

pct(ivc fIatoritualmente pr__



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8|

i d
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ente
morente e risorg

costituisceunaevidentericodi!cationeinterminidiciclicitstagionale
: diuo1rI==
resurre
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(
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oria tipol
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del dio morente, infatti, d un lato rendeva universalittabile la
mo qorte resfzepptatidi salvetta
(a diversi livelli mondana, comc nnascita annua della natura,
nna), qpoteva Iacilmen.:sstcuafmrata nuna
teoriasulle orig(ni del CristIanesimo. Dumuti-Tammut, la cui morte
a tpa,mevvc pcrqueIa ||sto, qle d9 d
Gerusalemme. divenne cos l'antecmente ca|deo del Redento . Del
resto, una-cIta che la vicendadiTammfcmaprima dPadri
dellaChiesaepoi daglistudiosimoem in uno schema concettuale
cristiano di morte e resuoetione salviche', il referentecomparativo
del Cristianesimo si impose inevitabilmente, anche se non sempre
J venneesplicitato: ancorainanni relativamenterecentiunodeimassimi
7 sumerologi, Samuel NK et, potr ema c cc
fondamental idelc-aeTmlio diTumitisonoorfii n:IIa gua
J d0c -
. > ~
#..
La pubblicatione pressoch completa della viante sumenca della
Dscesa`/tr (L .tcesa` /1n agl` Iafe) mise per in cnsi
numerosecertetteconsolidatedatempo.Laversionesumericadel mito
era stata trovata a Nippur, durante una campagna di scavi diu
dall'UniversitdiPennsylvania;letavoletteper vennero divise in d
diversimusei(lstanbuleFiladelfia).Iprimicinqueammentidel testo
venneropubblicatidaLangdone d Poebel, ma il contenuto rimaneva
inintelligibile. Una ricostrutione della prima metdel mito compme
nel l917adoperadiKramer,chesieravalsoanchedeilavori inediti d
Chiera, pcocemente scomparso. Kramer continu la pubblicatione
del testo e nel I9+2 il mito era stato ricostruito sino al ritorno d
Inannadall'aldil.Lascopertasensationale avvennecon la deihatione
ecollationedelletavolette successive,ubbIiKramercl I950e
IdcsssI _enJa c u ;-.io-oisegna
demoniGalladaInanna, la quale,pertan,

sdegno
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ettenconoscereche la vrcenda termmava con la morte d Dumuz:,
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quelmomcnto, nonose le ItIcolttstuaco mallptv

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Come era
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aevt la scoperta dell'inaspettato nale del|a
Discesa di
!
nn indusse a rivedere molte teorie sulla gura d
Dumuzi e, piu in genere, a
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ntenogarsisulla consistenza tipologica
del dyin
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Dumuzi il _
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morte:inreal_ospppdilnannanora

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che spiea co mai
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neppure un testo liturgico che ne celebri la resunezione. Dumuzi -
conHude Krecra+n o|c1vssmznizio del m
millennioe divinizzato,forseaseguito del|a celebrazione di un rituale
ierogamico con lnmna' L'ipotesi evemeristica, non nuova pra|uo
nella storia degli studi su Dumuzi'', parve infatti al momento l'unica
soluzionepossibilepereludereilproblemapostodallaconclusione d
testosumerico.
Mentre si stavanoponendo le premesse peruna globale revisione
delciclomitico-ritualerelativo a Tmuz'', Falkenstein` propose una
nuova lettura del finale della Discesa di /nn , con la quale s ebb
almente la ta:vngamena.tesa va0ea'uczxc`
dio: le righe conHuslc omito dcvon uo
rtqe _ eh!nfensolo
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anno
] j
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ua
l''
posto viene preso dalla sorella Geunanna. Dobbiamo duu
presumere,aparerediFalkcn, che ne versi prduti Cetinanna si
fosse offerta di sostituire il fratello negli !nferi, e che fosse stata
accontentata soltantoparzialmente. Kramer accetto immediatente la
lettura del yqllea,

co

l

a
serious misinte_re(tio||svoligento del mito. ltiga d
UET V!, no. l O, che riportala conclusione della Discesa di
!
nn,
devedunqueessereuadotta: Tu [Dumuzi] metdell'anno! Tua sorella
37
mct JcII'anno. Nonostantc Ia frammcntarict c oscurit JcI tcsto,
scconJo Kramcr possibiIc ahcmarc con ragioncvoIc ccnczza chc
taIiparoIcsianopronunciatc d Inanna, Ia quaIc, rcnJcnJos conto chc
Ia prcscnza suIIa tcrra Ji Dumuzi, Jio pastorc, cra ncccssaria pr
assicurcIafcrti|itanimaIc,JccrctochccgIirimancsscncII'aIJiIsoIo
pcr una mct JcII'anno, c Gcstinanna nc prcnJcssc iI posto pcr I'aItra
mct.A onorJcIvcro- ammcttc Kramcr- nonvi traccia ne
l
te
s
to d
taIcprcoccupazioncJi!nannapcr Ia proIificazionc JcI bcstiamc, ma s
trattaJiunaragioncvoIcipotcsida partc Ji FaIkcnstcin, c possiamo
csscrc ccrti chcJovcssccompirc, in un moJo o in un aItro, ncIIa

partc mancantc JcI componimcnto. Scmprc ncIIa stcssa ptc


mancantc, in accorJo con un'aItra ragioncvoIc ipotcs" Ji FaIkcstcin,
GcstinannaJovcvascguirc I fratcIIoncII'aIJiIc offrirsi Ji sostituirIo
ncIrcgnoJcJcfunti.
Dunguc,}Iusioui cra giunto prccntcmcn tc Kramcr,
cio chc Dumuzi Jovcsscrmancrcpcr scmprc ncgIi |nfcri,cracrrata.
Fino a quc:incnto Ia:surrczionc di Dumuzi - concIuJc Kramcr-
ea lna mcra ipoesi\vatiza|ad mohi,tcntrc orayazc
aII'intcgazionc Jc|!csto caHa letura ystcdFaIkcnstcin, sc-n
---------- --- .... - 2 -- -, ___ --- ------ - - ---- --
---- --
posscJcva una_rovac . Lo stcssq Krcr,.a_9o

, ..

onvinto
JcIIaIctturaJiFaIkcnstcin,rccupcrcrnpicnoilpoJc+ro morto c
i", gcrsoni:ngv_t@c antcccdcn- stori c
t_oIo_ico J Crsto, pur scnza abbanJonarc I'ipotcsi cvcmcristica,
fonJatasuIIastoric,inrcaIt inJimostrabiIc, Jcsovrani Jivini JcIIa
c.J. ! Jinastia Ji Uruk (Enmcrkar, LugaIbanJa,Dumuzi c GiIgamcs).
Do_o I'asscnso Ji Kram(_jc ]a;ai_ aIkcnstcin
__.
cn

pIasmata suIIa vccnJa JcIIa Korc cIcusna, ncssuno mcttcr p n
JubbioiIntooJ:|dmr,nnostantcIamtaIcasscnza
daIsivog|ar naItrdccmcntiparaIIcIi: inncsn aIuo
tcstomattiIcggramoc nna i immoIarsi aI posto dcI
fratcIIo,ncchcIosostitmscmcsIraImcntcncgI|nh.
[!9!990|/
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nc fcccro uso Juc ha i massimi sumcroIogi contcmporancr, Kramcr -
comeabbmoJctto- c1 ac5sen,:qaa!idecro gran pme r
stuJi aI cic!o ruDmuznTria-rcul Dunmzi ,sconJo
J acobscn,paJigmaticopcr JcrcIafascpianticaJcIIacuItura
mcsopotamica: suIIa figura JcIIo sposo Ji Inanna, iI dy
in
g god p
38
rapp
resentativo, era infatti incentrata la vita religiosa sumerica del N
mille
nnio a. C. Le prove documentarie per - come riconosce lo stesso
studioso - scarseggiano: tutta la dimostrazione storico-filologica si
ridu
ce al cosiddetto "vaso di Uruk" (fine IV-inizio III millennio), d
W ~-".@g@@yg
diff
cilissima interretazion!!.
L
!D_l!.!f..<.len _jndi!_ dua con
sicu
rezza una raes_ eai9n.e della ir9_gaJ_f.!!_1!l_.-Jmuzi. E' D
evidente che tale incertissima testimonianza iconografca nn._sabb
stata sufficiente d sola per ricostruire una fase originaria della
religione mesopotamica incentrata sul culto di dying gods of
fertility>. Ma, come spesso accade, dove fanno difetto le prove
interviene la teoria, che, nel caso di Jacobsen, il risultato di un
improbabile connubio tra un irrazionalismo intuizionistico desunto m
R. Otto - in base al quale a fondamento di ogni religione vi sarebb
l'esperienza del "numinoso", inteso come il ganz aeres, insieme
fascinans e tremenum e un naturalismo evoluzionistico di matrice
fazeriana. Di conseguenza i Sumeri, all'alba della propria cultura,
percepivano il numinoso essenzialmente nei "poteri" d cui proveniva
loro il cibo. Sulla base di tali premesse metodologiche, il culto d
Dumuzi, dying god of fertility, pu venire proiettato d Jacobsen in
epoca protodinastica, o addirittura nel IV millennio, pur sulla scorta d
una documentazione neosumerica e paleobabilonese: l'acaicit del dio
infatti desunta dalla sua "intransitivit" (e cio dalla non taendenza
rispetto al fenomeno naturale, e dalla conseguente mancanza di azione:
tutta l'attivit di Dumuzi si riduce al contrasto tra presenza e assenza).
Non dotato di una personalit piena e attiva (e, di conseguenza, in
un'ottica evoluzionistica, considerato anteriore rispetto agli di
pienamente personifcati), Dumuzi pu essere cos riguadato, nella
ricostruzione di Jacobsen, come una delle divinit pi antiche del
pantheon mesopotamico, e come la pi rappresentativa della religiosit
del IV millennio. In realt- continua Jacobsen - non possiamo neppure
parlare di una fgura unitaria del dio, ma dobbiamo distinguere quatto
aspetti o "forme" di Dumuzi, tutte manifestazioni "numinose" o
personificazioni di fenomeni naturali, e correlate con le diverse forme
di produzione economica: avremo cos un Dumuzi della palma m
datteri (AmauSumgalanna), il cui culto tutto centato sui gioiosi
rituali di ierogamia e non presenta aspetti funebri; un Dumuzi pastore,
connesso sia con le festose nozze sacre che con le lamentazioni alla
fne della stagione del latte; un Dumuzi legato ai cereali e alla birra e
39
venerato dai coltivatori; e infine Damu, dio fanciullo originariamente
indipendenterispettoaDumuzi,collegatoalsuccofertiledella piantee
oggetto diricercarituale da parte della made della sorella". L'unit
dellaIiguradeldio comunueassicuratadalfattoche tutti i fenomeni
incuiegli presenteare foods orconnectedwith foos. Dumuzi
oggetto- e non soggetto - di amore, rimpianto edesiderio, in uanto
raffigurailcibo,perennementedesideratoinunasocietsempreesposta
al rischio della fame e della carestia. E' dunue l'assunto teorico
secondo cui la religione sumerica era espressione di un interesse
pragmatico ein primoluogoalimentare a orientare l'analisi fatta d
Jacobsen del materiale relativo a Dumuzi (condotta peraluo
egregiamente d punto di vista strettamente filologico). Mai
l'assiriologo danese ritiene di dover dimostrare il legame di Dumuz
conlafertilitvegetaleeanimale.Eglisi limita a postularlo, e i testi
addottiservonosostanzialmenteadillustrareuna tesi dataperscontata,
oforseperacuisita:tutti, dopocento anni di studi in cui si ripete la
stessa cosa,sanno chelosposodiInanna undio dellafecondit.
,- L'autorevolezzael'indubbiovalorelologico deglistudi d ae
e Jacobsen hanno fatto s co:mcpoassiriologico
> lri--e isargeate"cosm -ca it iI.rino dirlia
privilegiato pr iIamplessocelztlvo
w : aPli!
nonostante il compatto honte dell'interpretazione fertilistica abbia
comnatoa t py reSe| ,
per, sia l'identicazione Tammuz-Adonis, inizialmente accettata in
a
------------------- --- .- ~ , - H- - __ _.
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uadizionale interp dellAdois gmcocomeqiyi|t a

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lungmentepostulataesistenzadiunAdonis siro-fenicio che ab
costi j ;tgg[ z
meso_otaqi

c e_qrii

eco, dal uasparentenoesrnitioi


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ormairivelataillusoria: l'amantediAhoditenon larielaborazione d
pna spccaJJ+=_^_^
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_ la
ione ellenica di una generica morfologia divina siro-
palestinesntecomesIter|ugativa
s )vlori$e!unue r|su|msconetto
omoIogme meccanicamente Adonis ad uno specico dio orientale, e
non individuabilealcunacontinuitTammuz/Adonis, per vero che
l'eroe greco risulta tributario di uno specifico tipo divino siro-
40
palestinese, le cui radici ultime devono essere rntacciate non nel
dramma stagionale della vegetazione, bensl nel culto degli antenati
reali, ampiamente documentati nella cultura ugaritca (i rpum), e da cui
prese le mosse anche il processo di formazione delle divinit cittadine
fenicie, quali Bmun e Melqar, annoverate anch'esse d Frazer, e d
su
oi seguaci, fa gli "dei morenti" 2
gli inizi dIL!!. i
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l<_culig)gi avevato potut( te -.aJa
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ride, sia la sua connessione con il ciclo sta
g
ionale
e successivamente
uno dopo _ -sf
tanto Dumuzi-Tammuz risulta particolamente resistente e, per la
maggior parte degli studiosi moderi il ciclo mtico-rituale dello sposo
d Inanna continua ad esprimere la morte e rinascita annua della vegeta
zione. Se per si nega un valore euristico metaculturale al modello dl
"dio morente", non ora pi possibile, come invece spesso si fatto
in passato, rcorrere a un criterio analogico per afeare sia la rela
zione di Dumuzi con la fertilit stagionale sia la sua resurrezione p
rodica, e il dossier che lo rguarda dovr essere riconsiderato senza g
glie intepretative precostituite.
2. I nomi divini Dumuzi e Amaulumgalanna - non sappiamo se
all'epoca gi identifcati - ricorono gi a partire dal prioo di Faa
(260 a. C. circay", anche se le fonti presargoniche non ci permetono
di ricostuire culto e funzione. L'unica eccezione_ costituita da Lagal,
dove una divinit denominata Lugal-URUxKARk1(-Amaulumgalanna),
in cui si da tempo riconosciuta una forma locale d Dumuzi'\ tibu
taia di un culto funerario, verosimilmente in qualit di "prototipo" d
vino degli antenati regali, fonte della legittimit e del potere del so
vrano in carica. Il campo d'azione del dio lagalita non presenta alcun
legame con la vegetazione o con la fecondit stagionale, ma, dalla d
cumentazione pervenutaci, appare piuttosto strutturalmente correlato
alla tasmissione del potere regale. Nelle iscr!zioti, infatti, i sovrani si
defniscono fgli generati da Lugal-URUxKARki, d cui hanno rce
vuto la regalit di Lagal, e subito dopo enumerano i propri antenati
storici, in perfetto paallelismo con le registrazioni amministative
dove, appunto, il dio associato nelle liste d oferte ai monarchi c
41
funti, di cui s configura come la proiezione sul piano divino3 Nel p
riodo sargonico scarsi sono i riferimenti nella documentazione ammi
nistrativa al culto di Dumuzi, e l'unica menzione del dio dega di nota
contenuta in un inno a Inanna composto dalla figlia di Sargon,
Enkheduanna, sacerdotessa-en del dio Nanna: nella quattordicesima
stanza la dea viene invocata come amata sposa di U!umgalanna, in
un contesto, comunque, astrale, e non ctonio-vegetativo (nin-me-Mr-ra,
r. 111).
La prima delle rare occorenze del nome di Dumuzi in iscrizioni re
gali dovuta, intorno al 2200 a. C., a Urg!gigir - fglio di Urnign d
Uruk (UET VIII, 15 = H. Steible, Die neusumerischen Bau- u
Weihinschriften, Stuttgart 1991: Urnigin l) -, il quale reca il titolo d
!agina, e cio comandante (m
i
litare) l stratega di Dumuzi: una
terinologia, dunque, che rinvia a una sfera guerriera e non
naturistico-vegetativa. Dumuzi tora un secolo pi tardi nella celebre
iscrizione con cui Utukhegal, re di Uruk, celebra la propra vittoria
sugli invasori Gutei. Rivolto a concittadini, il sovrano, poco prima
della battaglia decisiva, proclama che gli porteranno soccorso, oltre a
Enlil, sovrano degli di, le principali divinit di Uruk: !nanna,
Dumuzi-Amau!umgalanna e Gilgame! (ed. F. Thureau-Dangin, R, 9,
1912, pp. 111-120, rr. II 25 - III 2). L funzioni degli di urukiti
appaiono interconnesse e orientate a garantire a Utukhegal la vittoria e
la riconquista della regalit sumerica: Ianna il sostegno del sovrano
nella futura battaglia, Dumuzi, attraverso un responso oracolare, ha
pronunciato il destno del re (cio ha espresso il proprio assenso
all'impresa che Utukhegal si accinge a compiere) e gli ha dato come
aiutante Gilgame!, modello divino della regalit cittadina.

uovo, dunque, Dum

z
i
mos
_
t
n --.!_
si
_ ,_(!--E
ale e
belhca . Tale campo d'azione nsulta d'altonde corente con la
tne attestata dalla Lista real sumerica, che registra due sovrani
recanti il nome di Dumuzi: il "pastore", re antidiluviano di Badtibira, e
il "pscatore" postdiluviano, nativo di Ku'ara, successore d
Lugalbanda e predecessore di Gilgame! sul tono di Urk>. Al Dumuzi
re di Uruk un duplicato della Lista reale proveniente d Nippur
attribuisce la vittoria sul sovrano di Ki!, Enmebaragesi, impresa che
alte volte vede protagonista Gilgame3 Bench la scarsit della
documentazione non ci consenta di caratterizzare maggiormente il culto
di Dumuzi a Uruk - dove il quarto mese pendeva il nome dal Dumuzi
42
di
Badtibira, e cio Lugal--mu!* - le iscrizioni regali e la ladizione
fill_prji\giano dunque J'(spetto guerriero_ e r_ egale del dio,

ss

i-vid
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< __ .del res

o anche ! alle <JPO

izi(

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P
I(,. mau!umgalanna Id!ltif!t(?E. E
stella generata da An ogm mese, alla luna nuova - viene celebrato con
ti sp e--marzia
.. -- --- ------ - --- ------ ---
Al periodo neosumerico e paleobabilonese rimontano i numerosi
testi letterari che descrivono gli amori tra !nanna e Dumuzi, il rapi
mento del dio negli Infer e l compianto funebre per la sua morte.
Kramer e soprattutto Jacobsen, cui, come abbiamo detto, dobbiamo i
maggiori tentativi di sistematizzazione della doumentazione relativa a
Dumuzi, hanno tentato di ricostruire un ciclo mitico-rituale unitaio, i
cui momenti culminanti sarebbero la celebrazione delle nozze sacre, le
lamentazioni per la morte del dio, e verosimilmente i festeggiamenti
per la sua "resurrezione". Menle per il legame cultuale di (Dumuzi-)
Amau!umgalanna con la sfera funeraria attestato gi nella Laga! pre
sargonica, e le lamentazioni rituali per Tammuz continueranno ad es
sere eseguite per tutto l'arco della storia mesopotamica, difondendosi
anche al di fuori dell'area del cuneiforme, la ierogamia fa Dumuzi e
!nana non invece doumentata per il medesimo lasso d tempo. L
prima testimonianza certa delle "nozze sacre" risale infatti al regno d
Sulgi (2094-2047 a.C.)3, e la fne della dinastia di Larsa segn pure la
scomparsa del rituale ierogamico. Anche se l'agomento ex silentio
non pu essere consideato risolutivo, comunque indubbio che man
chino indizi consistenti della celebrazione delle nozze sacre prima della
III dinastia di Ur1, e non possono certo essere i criteri extratestuali a
dotti da Kramer e Jacobsen (rispettivamente evemeristico e evoluzio
nistico) a permetterei di considerare i testi neosumerici come rappresen
tativi della Mesopotamia protodinastica. L nozze sacre sembrano piut
tosto trovare un'adeguata giustificazione storico-culturale nell'elabor
i10edloga -regale neosineca: ''fg'' di Ninsun e Lugalba
e "fatelli" di Gilgame!'', i re "iVln di Ur i 41 riattualizzano su un
piano simbolico il modello costituito dai mitici sovrani della c.d. I d
nastia di Uruk, fra cui la Lista re annovera appunto anche Dumuzi.
Del resto, non solo datano all'epoca neosumerica e paleobabilonese gli
scasi componimenti sicuramente riconducibili a un contesto ieroga
mico4 (due dei quali riportano anche il nome dei sovrani protagonisti
del rtuale, Sulgi e Iddin-Daga), ma a partire d Amar-Sin, figlio e
43
succcssorcdISuIgI,anchc ncIIcIscrIzIonI I sovranI InIzIano a vanuc
IcproprIcnozzcconIadca.LatItoIatura sposo (amato)d l nanna d-
------ ---
. . . .
vcntcrualcduraq| dIna paIcobIIncsI dI3Iz __ Larsa , pr
scomgarircgg_ _Iaocnt)|IaccsazIonedcIIa_rassI
dcIIcnozzcsacrc.
DaIcomyonqpt
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Inanna contcnutI ncgII InnI autoccIcbratIvIdcI sovranI, comc fnaIIt
ga c[gq_l|jqnjrI rc,c non
IapromozIoncdcIIa fcrtIIItvctaIcma|,r c fccondIt
dcl_cscnnqsac r_gssos gII ovvI
coroIIarI

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aII'amato . N tantomcno puo csscrc IndIcatIvo dI una fnaIIt
fcrtIIIstIcadcIrItualcI'utIIIzzo, ncI dIaloghI amorosI tra I ducamantI,
dI un coIcccsprcssIvo vcgctaIc, rIcorrcntc, pcraItro, pI ncI cantI
d'amorc chc ncI tcstI IcrogamIcI vcrI c proprI. sI tratta InfattI d
mctaforc scssuaII bcn notc ncI lInguaggIo crotIco smcnco, c non d
smoc: deIsuIeNeppreescritioin
stablscono agamonuII matrImoanna c Ia
ftIIItdcI rcgno.Alnc&pnfarIRento aIIcproprIc
nozzc dvnc, dcInscc a tIa,_,a d-batiag
amata sposa:m:, Die neusumerischen Bau- und Weihin
schrien, Stuttgr'I991: Amar5in 14: 1-3)-un.a dctxc
. dauIccCvora; diie, cnonunaSignoradcIIaf:n|ht .
-Lstnza-arun nessouaIalcrogamIacIIrInnovcnto prIoIco
dcIIa natura mcssa In dIscussIonc uItcrIormcntc
d
una cIrcostanza
spcssotrascurata,c cIo I'asscnza haI tcstI ammInIst ratIvI mcsogo-
mIcIdIdocumcntIrIfcrIbIIIaIIcnozzcacrc.L'unccccczIonc costI-
tuIta dIa rcgIsuazIonc a Umma, neodo ncosumcrIco, dI donI
nuzIaII"dIDumuzI - probabIImcntcpcr Inanna dIZabaIam- durantcI I
XIImcscdclcaIcndarIoIocaIc,chcprcndcvaI I nomcdaIIafcsta dcI dIo.
II rItodIUmma, IncuI non rIsuIta avcrcaIcuna partcII sovrano, non
puopcrocoIncIdcrcconIc nozzcsacrcdcscrIttc ncI componImcntI Ict-
tcrarI,ambIcntatcncItcstIcocvIcasomaIadUmk,c parc rIfcrIrsI pIut-
tostoaunosposaIIzIohaIcstatuctcmpIarIdcIIcducdIvInIt (comc
cscmpIoavvIcncpcrIcnozzcdIBabacNIngIrsuncIIavIcInaLaga). II
sIIcnzIo dcgII archIvI dI Ur III, IsIn c La" rcndc assaI ImprobabIIc
chcIa IcrogamIa fosscun rIto ccndarIalc, dI cuI sarcbbIncvItabII-
mcntc rImasta quaIchc uaccIa ncI rcsocontI ammInIstratIvI. Anchc II
44
fattocheSRT l (r. 174) |ndichi probab||mente ne| primo g|omo d|-
|'a
nno
(zag-mu)||momentode||enozze tra Idd|a-Dagan eInannanon
|m
p|icachei|rito ven|sse re|terato annua|mente. L'indiv|duaz|one de|-
|'|
n|z|o de||'anno come momento de||a ce|ebrazione de||a |erogamia -
gIJ_reenti- d|pre,qs_

jer o dato de| test

i
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Scuo|amrt
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co-ntuaeesoggiacentealIemterpret | di_;r e1a-
sen, e
U+9,
s

resurr
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ie_
m)st|.iir
cbc))osip|p. Anche in q
,(xr, i document| sment|scono |a teoria, e con ogn| probab||it,
cias
cunsovranoce|ebravaunaso|a vo|ta |e nozze con |a dea, forsea
|'iniz|o de|regno. Bench |a na||t specit|ca e |
`
occas|one de| rito
non
s|ano determinabi|| con certezza, se non per quanto conceme |a
'ssaz|onede| destin| per i| re, con conseguente confer|mento d| so-
vran|te'bned|zioneper i| regnod parte d|Inanna - e|ementi xr
re|ativamente generici e non pecu|iari de||aso|a ierogam|a -,_'igotesi
p
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b||e(t;pteos q,|qpgadiUI,
farpartede||a comp|essa cerimonia d |ntron|zzazione, e |n pm|co|are
G-riti ( aesso a|tronoce|ebrat| adlrtiks_
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Inognicaso1:toesqno,oni(vece\l_( |e una vul-

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persona, e soI metamncamente v|ene agge||ato (e neppure |n tutti i
componiment|) coni nome de||'ante prototIpvi1mna, per in-
dare,pcheunTu`unzional:.ToTxcon1|-
sgosod|Inan

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3. La|erogamiade|sovranoconInanna,dunque,so|o in senso |ato
puessererifer|taa|cu|to di Dumuzi che, con |'eccez|onede|rito nu

zia|e di Umma, sembra avere carattere pr|nc|pa|mente funerario. L


numerose vers|on| de||a morte d| Dumuz|, ha |oro inconc|||abi||

rdp|a_o)

|one, degi(m ita


de|d|o ,|| cu| (qrnq da||]d|lg
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,rcsurrczonc _ :ai. .|. in:uiumuzi - a
votc dto c a l
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ompiantodaspos

- sorclla.
Sccondo 1acobscn il ritorno in vitaiur1-amu sarcbbc cclc-
brato d un canto, probabilmcntc proccssonalc, in cu al cordoglio
pcrlamortc dcl dio !arcbbc scguito la gioia pcr il suo ritomo dall'al-
dil. A rigorc, il tcsto in gucstionc non apgarticnc ncppurc, in scnso
propro, alciclo di umuzi, visto chc la divinit oggctto dcl lamcnto
noncmaichiamata ncumuzi, nc Amausumgalanna. !n ogni caso, i
cantidgiubilochccompaionovcrso il !nalc dclla composizionc non
sono motvat d ritorno dcl dio dagli !n!cri, di cu non vi c alcuna
csplcita mcnzionc, bcns dal !atto chc amu, assimilato (o accomu-
nato) ai sovrani dcmnti dcllc dinastic di Ur I c di !sin-Larsa, si r
dalpadrc(probabilmcntc Enki: rr. 191 ss.)` Anchc ncllc litanic dcl
lamcntocdcn-na-sag-ga (ncl dcscrto allc primc crbc) - dovc a u-
muzi-amusono attribuitiinomi dinumcroscdivinit,spccic in!crc
- vcngono cnumcrati i scpolcri dci rc ncosumcrci c palcobabiloncsi`.
) Pcrgiusti!carc talcncsso tra il dio c i sovrani dcfunt non c ncccssa-
ro, comc!a1acobscn, ricorrcrcall'ipotcsichc lc tombc rcgali !osscro
3
vcncratcinguanto!ontidi!crtilitc cioc, d!atto, alla tcoria azcriana

dcl rc comc garantc magico dclla !ccondit dcl suolo c dcgli armcnti.
Janto nc riti icrogamici guanto ncl culto !uncrario la rclazionc u-
muzi-rcgalit risulta in!atti prmaria, c non dipndc dalla mcdiazonc
smbolicadclla!crtilit stagionalc. cl rcsto, comc abbiamo dctto, gi
ncllaLagasprcsargonica,nonostantclc ovvic dihcrcnzc rsgctto all'ct
ncosumcrica cpalcobabiloncsc, losgosogg|icon!_uracomcil
modcllodivinodcglantcnatrcgli, datorc,comc_ucstidi rc_alit _r
ia

kc i|i!o.Nonmancano,inol-
trc,a!trmdlZl i unassimilazionc dclla sortc cscatologica dci sovrani
ncosumcrici conguclla di1ut:izi,:ui''soavvcnza c gmantita

nondaun cnod:o`rtomiVit,mJaIasuastablc grcscnza a lc
divinit dc 'oluctomba wlfke5-haT mcssoin cvidcnza comc
ncllaMrte di Ur-Niu - incuiha convinccntcmcntc riconosciuto il
lamcnto composto o commissionato dalla vcdova dcl rc, Watartum -
!nanna companga il sovrano dc!unto in tcrmini chc rchiamano inc-
guvocablmcntc la gura di umuzi. Anchc la catastcrzzazionc po-
stuma di 5ulgi, !iglio dcllo stcsso Ur-Nammu c primo sovrano divi-
46
nizzatode||aIIIdinastiadiUrIII,conogni probabi|it deveessere cor-
re|a
tacon|'aspettoastra|ediDumuzi-Amausumga|anna`
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Dumuzine||eccmposzioaIJctmrienontrovainfattiriscontro nei te-
stieconomici,daiqua|i invece risu|tauna presenzade| dio ne||a prassi
re|igiosatutto sommato scarsa. Le testimonianze pi consistenti pro-
vengono d Umma, dove i| XII mese uaeva i| nome, sin da||'epa
sargonica,da||afestadiDumuzi, |aqua|e, come abbiamo detto, imp|i-
cavaprobabi|menteuna|iturgianuzia|e:idatire|ativi a ta|e occasione
ritua|e,recentementeana|izzatidaSa||aberger,noncipermettono pr
diricostruirneun quadro corente. A Lagas, ne| priodo di Ur III, C
invecei|VImeseaprenderei|nomeda||afestadi Dumuzi, su||a quAe
per non possediamo a|cunainformazione. In una tavo|etta |agasita
47
datata al mese di Dumuzi sono registrate offere a divinit collegate con
la cerchia del dio o con l'aldil (Ninegal, NingiSzida, Nungal e Andu
musag), ai sovrani defnti della citt e alle loro spose, ma non allo
stesso DumuziX: bench sia impossibile trare conclusioni defnitive d
un solo documento (tanto pi che sacrifici a

ovemanti morti di LagaS


sono attestati anche in alte occasioni rituali \ comunque degno di
nota che nel perioo neosumerco a LagaS il mese della festa del dio
fosse occasione di un culto dinastico (analogo a quello del mese di
Lugal-URUxKAR
ki
durante la prima dinastia lagaSta)7 Il culto d
Dumuzi si ricollega in maniera univoca al culto ancestrale dei sovrani
neosumerci a Ku ara, dove nel periodo di Ur III il dio era tributario di
offere nel tempio di Ninsun insieme con la stessa Ninsun e Lugal
bada (considerati come i "genitori" divini dei dinasti di Ur I),
GeStinanna e i predecessori defnti del re in carica. Purtroppo insuffi
cienti a defnire la funzione del dio sono invece i documenti pervenutici
sul culto di Badtibira, dove Dumuzi, con il nome di Lugal--muS, e
sin dal periodo protodinastico titolae di un tempio, la cui attivit con
tinua in perioo paleobabilonese7 Nulla sappiamo di una "festa di
Lugal--muS" a Uruk, da cui predeva nome il IV mese del calendario
locale. Piuttosto, risulta scarsamente compatibile con un culto di fe
condit stagionale la discrasia fa le datazioni delle diverse "feste di
Dumuzi" nei calendari dell'epoca di Ur m (XII mese a Umma, VI a
LagaS e IV a Uruk). Della festa di Dumuzi abbiamo notizia anche d
\
alcuni componimenti letterai, che la mettono inequivocabilmente in
connessione con il culto dei defunti: dall'Inno a lnn a-Ninegal/
D (Signora del palazzo), di epoca paleobabilonese, apprendiamo che du-
rante la festa d Dumuz, che doveva c probabilmente a Capo
danno,, la dea incontrava il proprio
s
oso nel tempio di Enki a Eridu e
riceveva oferte funerarie (r. 65 ss.) . Tale circostanza trova conferma
in una pi rente lamentazione-balag, secondo la quale la festa d
Dumuzi cade nel mese di Abu7, e cio in un periodo destinato al culto
dei defunt: dal medesimo testo sembra di dover comprendee che Du
muzi, accanto a NingiSzida e GilgameS, ha un posto stabile fra le divi
nit dell'aldil.
Solo all'intero di tale quadro culturale e rligioso pu essere valu
tata adeguatamente la conclusione della Discesa di /. Abbiamo
gi detto della travagliata vicenda interpretati va di tale componimento:
dopo la ricostruzione di Falkenstein nessuno ha pi dubitato che le ri-
48
ghe mancanti 1el testo 1ovessero contenere la generosa pronerta d
Gestinanna e il conci|iante ver1euo lnale. La pe conclusiva 1ella
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conclusive, pronunciate d un personaggio ignoto, |a ccicazrone
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LentazioniperDumuziTammuzcontinuaronoa1essere eseguite
anche1opola ne 1el penco paleobabilonese: Gilgame, nell'epopea
classica, rivolgen1osi Btar, aI|etma: per Tammuz, |'amato 1ella
tuagiovinezza,hai1ecretatoun compianto annua|e (Vl 4b-4T), e
ritua|e ct Ismr sc g c Dumazt appren1iamo che scongiuri m
esorcismi contro i 1moni e gli spettri 1evono essere eseguiti ne|
mese 1i Tammuz, quan1o ltat |ece piangere il popolo 1e| paese su
4
Tammuz, il suo amato81 Altre fonti ci forniscono alcuni particolai
sui rituali della fne del mese di Tammuz, quando si celebrava la
"prigionia'_ors.L.l!_-!PP

seppelliento) . del dio; in


numerose citt assire le cerimonie implicavano anche l'esibizione della

statua del dio morto . Lo sviluppo maggiore del culto di Dumuzi-
Tammuz, in epoca post-Cassita, sembra comunque essere inerente a
una sua sempre pi marcata funzione esorcistica: il 27 del mese omo
nimo Tammuz torna dall'aldil insieme con i morti di famiglia, per es
sere lamentato ritualmente, e il gioro successivo rientra nella sua s
infera, portando con s anche spettri nocivi e entit malefiche che du
rante l'anno fossero risaliti sulla tera per arecare danni e malattie". Un
testo rituale assiro del I millennio riferisce che la morte di Tammuz co
incideva con la tostatura di alcuni chicchi grano8: bench la succes
sione delle azioni rituali non sia del tutto chiara, si tratta della prima
esplicita associazione del dio con i cereali, anche se sarebbe sicura
mente arbitario dedurne un'interpretazione naturistica.
/-,
L'identi:_ azio

-
d

!la sorte di Tammuz con guell

rano si rea
lizza invece r'mente nel rituale meievale delle donne di Haran, c
/ cui partita I moa storia dei.-'.freYCesver la fe-
sta di Ta)uz (Tammuz) ad Harran, celebrata in fglio e denominata el
Bqat, )an-Nadim scrive: Ta)uz. Alla met di questo mese ha luogo la
festa di el-Bqat, ossia delle Lamentatrici, e questa la festa di Ta)uz,
celebrata in onore del dio Ta)uz. Le donne piangono il suo destino,
poich il suo signore lo uccise in maniera cos crudele, macin le sue
ossa in un mulino e poi le sparse al vento. Le donne, durante questa
festa, non mangiano niente che sia stato macinato in un mulino, ma
limitano la loro dieta a grano macerato, alle cicerchie dolci, datteri, uva
secca e simili".
Non neppure il caso di insistere sul fatto che significato e conte
sto del rito medievale non possono essere proiettati sulla Mesopotamia
v del 3000 a. C. Piuttosto, degno di nota che anche quando, al termine
della sua storia plurimillenaria, il destino di Tammuz viene finalmente
assimilato a quello del grano, non si tratta, come volevano i Padri della
Chiesa, della "morte" stagionale del grano seminato che rinascer a
primavera, ma dell' "uccisione" culturale del cereale macinato, che mai
ver restituito alla tera per sorgere a nuova vita: pure in questo caso,
dunque, una morte defnitiva.
50
NOT
1 Fonti in F. Lenormant, "Il mito di Adone-Tammuz nei documenti cunei
formi", in Atti del IV Con gr. In t. degli Orientalisti, Firenze 1880, I, p.
14ss. e W.W. Baudissin, Adonis und Esmun, Leipzig 1911, p. 94ss.
2 Gi lo stoico Cornuto ( Theol. Grec. 54, 19 ed. Lang) aveva visto i n
Adonis un simbolo del frutto di Demetra>> . Sulle interpretazioni allegori
che di Adonis nelle fonti antiche, cf. W. Atallah, Adonis dans la littrature
et l'art grecs, Paris 1966, p. 320ss.
3 Sull'identificazione tra i due di cf. a es. G.E.J.G. D Clermont-Lodve,
Baron de Sainte-Croix, Recherches historiques et critiques sur le Mystres
du paganisme, Paris 18172 (l ed. 1784), II, p. 101 e bibliografia citata.
4 Cf. De Clermont-Lodve, op. ci t., II, p. l OOss.
5 Cf. D. Chwolson, Vber Tammuz u die Menschenverehrung bei den al
ten Babylonier, St. Petersburg 1860, p. 22ss. (la prima monografia dedi
cata a Tammuz). In un ponderoso saggio del 1856, Die Ssabier und dr Ssa
bismus, I-II, St. Petersburg 1856, Chwolson aveva analizzato una serie di
testi sui Sabei "pagani"' di Harran, in alcuni dei quali compare Tammuz: i n
particolare l'Agricoltura Nabatea, composta nel X sec., e la relazione di
>an-Nadim sulla festa di Ta>uz a Harran, celebrata in luglio e denominata
ei-Bfiqit (Il, pp. 27s. e 20 l ss.; cf. infra). Quattro anni dopo Chwolson
pubblica appunto un breve volume (Uber Tammuz, cit.) in cui raccoglie
tutte le interpretazioni anteriori sul dio, dai commentari cristiani e rabbi
nici su Ezechiele sino agli studi pi recenti. Dal ricco dossier emerge un
panorama interpretativo assai variegato e fantasioso, ma la linea esegetica
dominante negli studi sette-ottocenteschi quella dell'

olo

i
E
!pglogica fra Osiride, Adonis e Tammuz, posizione peraltro respinta dallo
stesso A., che vee.in Tammuz un fondatore di religione>> e un martire
del nuovo culto>> . Il volumetto di Chwolson verr comunque ben presto
dimenticato: tre anni prima della sua pubblicazione era stato infatti
"ufficialmente" decifrato il cuneiforme, e ben presto si pot accedere a
fonti dirette sul dio mesopotamico.
6 La prima notizia del ritrovamento della Discesa di !tar venne data d Fox
Talbot nel 1865. Negli anni successivi quasi tutti i principali orientalisti
si cimentaflla traduzione e interpretazione del mito: bibliografia i n
Lenormant, op. cit., p. 157, nota 4. Gi nel 1874 Lenormant (op. cit.,
P
h
51
163s.) aveva intepretato la Discesa di !tar come una ricerca di Tammuz d
parte della dea.
7 . -----
A.H. Sayce, Lectures on the Origin and Growth of Religion as lllustrated
the Religion of Ancient Babylonians, London 1887, p. 227.
na catabasi di Afrodite alla ricerca dell'amato testimoniata solo d
/ qualche incerta notizia di autori cristiani: Aristldes: AjT X 3-4 p. 16
Geffcken; Cyril. Alex., P 70, 4408-418; Proc. Gaz., P 87, 2137D-
2140B; Schol. Greg. Naz. (in J. Declerck, "Five Unedited Greek Scholia of
Ps.-Nonnos", L'Antiquit Classique, 45, 1976, p. l 84s.).
9 Lenormant, "Il mito di Adone-Tammuz", p. 165; corsivo mio. Cf. anche
id., L magie chez les Chaldens et les origines accadiennes, Paris 1874,
p. 121: c es dieux qui meurent et ressuscitent priodiquement, propres aux
cultes d l'Asie antrieure, sont des personnifications d soleil dans les
phases successives d sa course diure et de sa course annuelle>> (corsivo
mio). Frazer conosce il saggio di Lenormant, che cita a p. 10, nota l, del I
volume dt Adonis, Attis, O siris, del 1906.
10 Lenormant, "Il mito di Adone e Tammuz", p. 155.
11
Cf. F. C. Movers, Die Phonizier, I, Bonn 1841, p. 209ss.; H. Brugsch,
Die Adonisklage und das Linoslied, Berlin 1852, p. 15.
1
2 W. Mannhardt, Wald- u Feldkulte, II, Berlin 1876. Certo Mannhardt
venne precocemente conosciuto nel mondo degli antichisti: Roscher, s. v.
Adonis (del 1884, e cio sei anni prima dell'uscita del Ramo d'oro), nel
Lessico mitologico d lui curato, fa pi volte riferimento alla sua opera,
accogliendone sostanzialmente le tesi.
13 Mannhardt, op. cit., 19052 (1876), p. 85.
14 Ovviamente il problema di Tammuz si iser nel pi ampio dibattito cul
turale, di cui ci non si pu occupare qui, sulle origini del Cristianesimo, e
\

Ila relazione tra soteriologia cristiana e "religioni" misteriche.

S.N. Kramer, The Sacred Marriage Rite, Bloomington 1969, p. 133.


16 Sulla ricostrzione del testo sumerico cf. S.N. Kramer, "Scoperta e deci
frazione della 'Discesa di Inanna"', in D. Walkenstein - S.N. Kramer, Il

mito sumero della vita e dell'immortalit, Milano 198.---(a: -or. /nanna
e n of Heaven and Hearth, New Yor.
-
-
1
7 .N. Kramer, "Introduction", in id. (ed.), Mythologies of the Ancient
orld, Garden City 1961, p. lOs.
52
1
8
La storicit di Dumuzi, ritenuta probabile da alcuni studiosi di inizio se
colo, venne ribadita, con grande acribia filologica, d Falkenstein ("Was
sagen die schriftlichen Quellen i ber das Tammiz-Problem aus?", i n
CRRAI, Leiden :v+, pp. +:e:).Nonostante la ricchezza documentaria e
l'accurata analisi delle fonti, l'ipotesi di Falkenstein si fonda sul presup
posto indimostrato che tutti i mitici sovrani di Uruk, tramandati dalla L:sta
:ea|esumerica e celebrati dall'epica, siano personaggi storici.
1
9 O.R. Gurney, 'Tammuz Reconsidered: Some Recent Developments",
JSS, 1, :vez, pp. :+1-:ec.
' A. Falkenstein, ree. di S.N. Kramer - C.J. Gadd, 0:Lrcaat:o-srerts vi,

i ra:t,BiOr zz,:ve,p. zs:.


L.N. Kramer, "Dumuzi's Annua) Resurrection: An Important Correction
to Inanna's Descent'", BASOR, :s|, :vee, p. |: e id., rie,c:e1Ma:
::a,e,p. :.
2
Th. Jacobsen, rie r:easa:eso(oa:k-ess,New Haven-London :v1e, p.
24ss.
2 Ioa:iiM:||e--:a Metaio:s rieoo1sasr:o:1e:s: o;:-, oo1s o(
Ie:t:|:t; il titolo del capitolo sulla fase pi antica della religione meso
potamica in Jacobsen, rier:easa:eso(oa:k-ess.
24 Jacobsen, rie r:easa:eso(oa:k-ess,p. zes.e id., roa:1tie ia,eo(
raa:a otie:Lssa;s o- Mesoota:a- u:sto, a ca|ta:e, Cam
bridge (Hass.) |v1c, p. 1|ss.
2
Jacobsen, roa:1iieia,eo(raa:,p. 74.
{f. B. Alster, oaa::s o:e, Copenhagen :v1z

F.R. Kraus, "Das


abylonische Konigtum", in P. Garelli (ed.), L ram:set m ko;aate
(koixix),Paris 1974, p. 244s.; J. Renger, "Heilige Hochzeit", RIA IV,
1, pp. z:z:v.
f. H.Detienne, i,:a:1:-:1:o1o-e,Torino :vsz- (ed. or. Lea:1:-s
1
'
o1o-:s
,
v
]
|
-
,:o-i
.
Ro_ 111a
.!.?..
p. 11ss.

.:.
i

i
h
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i
L.! . .P!L
::e-

a-:to,:eco, Roma ivs:.


2 Ribichini.
--
it:

-
i i contributi di P. Xella e dello stesso S. Ribi
ini.
\Cf. A.H. Gardiner, ree. di J. G. Frazer, rieoo|1e-noa,i:o1o-:s ott:s,
s:::s,JEA, z,:v::,pp. :z::ze.
53
3 Negli Inni za-mf compare AmauSumgal (r. 220; R.D. Biggs, lnscrip
tions from Abu Salibikh, Chicago-London 1974, p. 52), ma non nomi
nato Dumuzi, assente anche dalla grande lista d Fara. Inoltre TSS 715 re
gistra offerte di farina sia per Dumuzi che per AmauSumgalanna, il che po
trebbe far ritenere che le due figure divine fossero all'epoca distinte. L pi
antica documentazione relativa ad un luogo d culto del dio si trova in de
contratti provenienti da Surppak, datati d E al periodo di Fara: nel
primo uno dei testimoni Baza, portiere (l-dug) di Dumuzi; nel secondo i l
tempio d Dumuzi i l luogo i n cui il contratto scritto. Circa nel mede
simo periodo compaiono i primi nomi teofori composti con l'elemento
ddumu-zi (cf. R. Kutscher, "The Cult of Dumuziammuz", in J. Klein -A.
Skaist [edd.], Bar-flan Studies in Assyriology Dedicated to P. Artzi, Jerusa
lem 1990, p. 30 e G. Selz, Untersuchungen zur Gotterwelt des altsumeri
schen Stadtstaates von Laga:, Philadelphia 1995, p. 114).
31 Nelle iscrizioni regali Lugal-URUxKAR
ki
chiamato <<AmauSum-ga
lanna>> e <<sposo di Inanna>> ed associato nel culto alle divinit del ciclo
di Dumuzi nnanna e AmageStinanna, etc.: cf. P. Pisi, "Il dio Lugal
URUxKAR
ki
e il culto degli antenati regali nella LagaS pre-sargonica",
Orientis Antiqui Miscellanea, II, 1995, pp. 1-40). Nelle liste d offerte
della LagaS presargonica ricorre anche una divinit indicata come ddumu
zi: si tratta per dell'abbreviazione del nome di una dea, Dumuzi-apzu, del
tutto irrelata rispetto allo sposo di Inanna: cf. Selz, op. cit., p. 114ss.
32 Cf. P. Pisi, "Il dio Lugal-URUxKAR
ki
", passim.
33 Dumuzi non compare in alcuna iscrizione dei sovrani di Ur III e Isin, n
possiamo dedurre molto di significativo dalle due attestazioni del nome del
dio in iscrizioni del periodo d Larsa, a opera rispettivamente di Siniddi
nam e Rim-Sin. Siniddinam dichiara di aver costruito il muro di Badtibira e
di avere in tal modo rallegrato il cuore di Utu e Dumuzi (1. Karki, Die sume
rischen Konigsinschriften der frihaltbabylonischen Zeit in Umschrift u
Ubersetzung, Helsinki 1968: Siniddinam 7, 34-35), mentre Rim-Sin de
dica un'iscrizione per celebrare la costruzione di un tempio di Dumuzi, pro
tettore delle stalle e degli ovili (UET I 42= I. Karki, op. cit.: Rim-Sin 9).
3 L domanda - ricorrente negli studi moderi - su quale dei due Dumuzi
vada identificato con lo sposo di Inanna, non pare metodologicamente
corretta. Tutta la tradizione sumerica conosce un solo Dumuzi, il pastore,
che a Badtibira aveva un celebre luogo di culto (nell'epiclesi di Lugal-
muS: cf. infra), ma che nel contempo risulta palesemente collegato con la
tradizione urkita e a volte viene considerato nativo di Ku'ara (a es. in
/nanna e Bilulu). Piuttosto, occorrerebbe interrogarsi sul perch la figura
54
del dio, altrimenti unitaria, nella Lista reale risulti scissa in due diversi
sovrani. Alster, uno dei pochi studiosi a sollevare tale problema, sostiene
che tale duplice presenza motivata dal fatto che Dumuzi si reincama con
tinuamente in ogni re terreno (B. Alster, Studies in Sumerian Proverbs,
Copenhagen 1975, p. IOOs.). Anche senza ricorrere a cicliche incarna
zioni del dio, sembra emergere dalla Lista reale una connessione strutturale
tra istituto regale e Dumuzi: due volte la regalit scende dal cielo (prima
e dopo il cataclisma) e due volte deve realizzarsi nello sposo di lnanna. E'
inoltre degno d nota che nomi d sovrani antidiluviani di Badtibira e di
Larak compaiano in liste divine e testi di lamentazioni come epiclesi dello
stesso Dumuzi (cf. Jacobsen, Toward the lmage ofTammuz, p. 325).
35 J. Klein, "A New Nippur Duplicate of the Sumerian King List in the
Brockmon Collection, University of Haifa", Au O 9 (= Velles Parules.
Ancient Near Easter Studies in Honor of M. Civil), 1991, pp. 123-129.
36 Cf. M.E. Cohen, The Cultic Calendars of the Ancient Near East,
Bethesda 1993, p. 209.
37 BM 96739 = C XX 33-34, in D.A. Foxvog, "Astrai Dumuzi", i n
M.E. Cohen - D.C. Snell - D.B.Weisberg (edd.), The Tablet a the Scroll.
Near Eastem Studies in Honor of W. W. Hallo, Bethesda 1993, pp. 103-
108.
38 Si tratta dell'inno Sulgi X (rr. 15ss.). Un'allusione alla ierogamia forse
contenuta in un inno autocelebrativo di Ur-Nammu, padre di Sulgi e fonda
tore della III dinastia di Ur (CL 15 no. 12, col. III r. 73-75), il che, co
munque, non porterebbe ad antedatare di molto la celebrazione del rituale.
L lettura ierogamica del passo comunque tutt'altro che sicura: cf. J.S.
Cooper, "Sacred Marriage and Popular Cult in Early Mesopotamia", in E.
Matsushima (ed.), Ofcial Cult a Popular Religion in the Ancient Near
st, Heidelberg 1993, p. 85.
ltre al "Vaso di Uruk", l'unico indizio a favore dell'esistenza in epoca
presargonica delle nozze sacre fra il re e lnanna un'iscrizione di Mesan- D
nepada, nella quale il sovrano si proclama sposo della nugig (UE, pl.
191, U. 13607). Anche se nugig frequente epiteto di Inanna, nel caso i n
questione pu pi verosimilmente trattarsi di un titolo della sposa del so
vrano, Ninbanda. Nel periodo sargonico attestata per Naram-Sin la qua
lifica di mu-ut diANNA An-nu-n'-tum (1.1. Gelb - B. Kienast, Die alt
akkadischen Koniginschriften des dritten Jahrtausends v. C h r., Stuttgart
1990: Naram-Sin C 4): possibile tanto la traduzione sposo di lnanna
(!Star) Annunitum, quanto quella guerriero di lnanna (!Star) Annunitum.
In ogni caso, non detto che la titolatura regale rimandi necessariamente a
55
celebrazioni rituali; piuttosto, degno di nota che, nel caso in cui la tradu
zione corretta dell'iscrizione di Naram-Sin debba essere sposo di Inanna
Anunnitum, la dea compaia con un'epiclesi che evoca un campo d'azione
bellico, e non certo fertilistico: cf. I.J. Gelb, "Compound Divine Names in
the Ur III Period", in F. Rochberg-Halton (e.), Lnguage, Literture, a
Histor; Philological a Historical Studies Presented to Erca Reiner,
New Haven 1987, p.1 30ss.
4 P. Pisi, "L' 'ascensione' di Sulgi", SMSR, 62, 1996, p. 40 3s.
41 Il primo sovrano neosumerico divinizzato f Sutgi, fglio del fondatore
della dinastia, Ur-Nammu. In epoca anteriore erano stati divinizzati i so
vrani accadici, a partire da Naram-Sin. Per quanto riguarda la differenza fra
il modello regale sargonico e quello neosumerico (e la conseguente diversa
valenza simbolica della divinizzazione), cf. M. Liverani, Antico Oriente.

ria societ economia, Roma-Bari, 19952, p. 285ss.


stato giustaf.

to :ja;__+di
!nanna e Dumuzi, spesso trifatJ unitariamente studiosi, apparten
glatagcovlrsF non di rado, infatti, non
si operata un'_ deguata distnzione fra testi destinati a accompagnare i l
nto Jerogam1co 1 i su!rativi lLP!!t
ai co dele d divinit anhe in assenza del loro nome (cf. le osserva
zioni di B. Alster''SumerianTove Song;RA, 79, pp. 127-159; J.
Renger, op. cit., p. 255s., cui rinviamo anche per la descrizione del rito
ierogamico, e Cooper, op. cit., p. 86). Senza pretendere di fssare precisi e
definitivi criteri tassonomici -prematuri allo stato attuale della documen
tazione -occorrer dunque distinguere gli scarsi testi sicuramente (o al
meno probabilmente) collegati con la celebrazione delle nozze sacre d
composizioni (come i canti di corteggiamento) di cui non conosciamo
l'eventuale contesto cultuale.
43 Y. Sefati, Love Songs in Suerian Literture. Critcal Edition of the Du
muzi-lnanna Songs, Jerusalem 1998, p. 38.
4 Cf. Renger, op. cit., p. 258 e Kraus, op. cit., p. 24ss.
45 Cf. J.G. Westenholz, "Metaphorical Language in the Poetry of Love in
the Ancient Near East", in D. Charpin -F. Joanns (edd.), L circulation
des biens, des personnes et des ides dns le Proche-Orient Ancien ( RAJ
Paris 1992, pp. 381-387, e bibliografia ivi citata.
onostante lnanna sia stata presentata, _sin _t agli inizi d,gli studi assi
ri
_
ologci, come
,
una Signora d
_
e_lla_ fecondit, arbitra !.esrire
d1 ogni forma dJ vita, occorre rieVe nella d

umentazione mesopo-
<
56
/
tamcamaIadcacscrctaundomno suIIa sfcra dcIIa fccondt vcgctaIc c

mac n vas|ssmo u_ctc

[)-|
prnc_amcntc aIa gucrra_Ia san((ssu

. ''

<
a gcncraIc,ad ogn trasformazonc status (cf. J.J. GIassncr, "Inanna ct
.
Icsmc, n M. dcJong EIIs [cd.|, Nippur at the Centennial (RI XXXV),
PhIadcIpha 12, pp. 55-85) - cscIudc pro_ro I'ambto agraro, Ia fcrt-
ItcIa rgroduzonc.
^
nc
9^!' !.!|',/,..
Itamcntcaddotto

a_1_jI _

- -
at ncnscc os|usvamcntc chc durantcIa catabas d lstar ccs-
sano g o- un: Iacct _o-:rfa

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|'l[
r

nc,

vc
.
tt
. .. T
vcgctazonc.
Cf. Kutshcr, op. ct., p. JJs.; Cohcn, The Cultic Calendars, p. 18s. c
W. SaIIabcrgcr, Der kultische Kalnder dr Ur J-Zeit, BcrIn-Ncw York
1J, l, p. 257ss.
4 Pcr Ipcrodod Ur III. cf. SaIIabcrgcr, op.ct., l, p. 210, nota 0. Pcr
I'cpoca paIcobabIoncsc, cf. Kraus,op. ct., p. 244ss.
49 SuIIa basc d un'ampa documcntazonc ammnstratva SaIIabcrgcr ha
rcccntcmcntc dmostrato chc pcro, aImcno ncI pcrodo d Ur III, zag-mu
non sgn6ca Capodanno, vsto chc puo rfcrrs a mcs dffcrcnt. c pcr-
tantodcvccsscrctradottocomcmomcnto cuImnantc dcII'anno, con aI-
IusoncaIIa ccIcbrazonc d una grandcfcstvt (SaIIabcrgcr,op. ct., l, p
I 42s.,nota cbd. p. 12, nota 12). E'possbIc chc anchc durantcI
rcgnod IsnIvaIorcdCapodannopcrzag-munon sa dunqucos ccrto.
Comunquc,anchcsczag-mudovcssc sgnfcarc Capodanno, SRT I dmo-
strcrcbbc soItanto chc Ia crogama, durantc I rcgno d Iddn-Dagan, cra
stata ccIcbrata aII'nzo dcII'anno. c non chc vcnva rctcrata annuaI-
mcntc.
5 Kraus.nunaradcaIcc opportuna rcvsonc dcIIa documcntazonc paIc-
obabIoncscsuIIacrogama. gungca mcttcrc n dscussoncI'cffcttva cc-
Icbrazonc dcI rto, chc potrcbbc csscrc cscIusvamcntc cnc Itcranschc
^
ngcIcgcnhct, fnaIzzata a d un contcnuto concrcto aIIa ttoIatura
rcgaIcsposo d Inanna" (Kraus. op. ct., p. 24). Nonostantc gran partc
dcIIc consdcrazon d Kus sano condvsbI, ncIIc concIuson Io
studoso- chc comunqucprcndc n csamcsoIo Ia documcntazonc d lsn-
larsacnonqucIIadUrIII- pancadcrcnun'pcrcrtca: Ia dcscrzonc dcI
rtuaIcrsuItanfatt nc componmcnt crogamc troppo puntuaIc pcr r-
fcrrs ad un contcstocscIusvamcntc Icttcraro.
57
51 Cf. Renger, op. cit., p. 257 e Alster, "Sumerian Love Songs", p. 20.
Tale ipotesi deve per essere avanzata con una certa cautela, visto che ci
pervenuta la registrazione amministrativa dell'incoronazione dell'ultimo
sovrano di Ur III, lbbi-Sin (cf. Pisi, "L' 'ascensione' di Sulgi", p. 422ss.),
dalla quale non sembra emergere alcun indizio della celebrazione delle
nozze sacre.
52 Prescindiamo qui dalla vexata quaestio su chi interpretasse la parte della
dea nel rito ierogamico (su cui cf. Renger, op. cit., p. 256 e Cooper, op.
cit., p. 87s.): solitamente si pensa ad un'operatrice rituale - en, lukur, etc. -
o alla regina. Dal testo delle "nozze" di lddin-Dagan pare per che !nanna
e rappresentata dal suo idolo templare e non da un personaggio umano.
nche le allusioni al rito ierogamico contenute nei poemi epici (specie
quelli aventi come protagonista Enmerkar) indicano che la ierogamia
era funzionale all'acquisizione e al mantenimento del potere, e che i so
vrani "sposavano" Inanna in prima persona, e non come rappresentanti ri-
r di Dumuzi.
f. in particolare I sogno di Dumuzi (in Alster, Dumuzi's Dream),
anna e Bilulu (in Jacobsen, Toward the lmage of Tammuz, p. 52 ss.), BM
100046 (in S.N. Kramer, "The Death of Dumuzi: a New Sumerian Version",
AnSt, 30, 1980, pp. 5-13), e le sequenze narrative nei testi d lamenta
.
ne cit. nella nota successiva.
f. le lamentazioni pubblicate d M.E. Cohen, Sumerian Hymnology:
he Er:emma, Cincinnati 1981, p. 71 ss. e id., The Canonica/ I menta
tions of Ancient Mesopotamia, Potomac 1988, p. 677ss. (e passim). Vedi
anche Th. Jacobsen, "Religious Drama in Ancient Mesopotamia", in H.
Goedicke - J.J.M. Roberts (edd.), Unity a Diversity, Baltimore-London
1975, p. 67ss.; id., The Treasures of Darkness, p. 47ss.; id., The Harps
That Once ... Sumerian Poetr in Translation, New Haven-London 1987, p .
56ss.
56 Jacobsen, The Treasures of Darkness, p. 68ss.
57 TRS no. 8 e duplicati; cf. testo e traduzione in W.H.Ph. Rtmer,
"Sumerische Emesallieder", BiOr, 49, 1992, pp. 636-679.
58 Anche l'intenzione, espressa dai celebranti, di rallegrare il dio che
esce dal fiume>> (rr. 232ss.) si riferisce con ogni probabilit a una barca
rituale, e non al ritorno di Damu dall'aldil per via fluviale. Dal fnale della
composizione, purtroppo mutilo, sembra d comprendere che Damu
porti>> qualcosa, provocando il restauro e ripristino di templi e citt. Il
contesto rituale ci ignoto.
58
59 In Cohen, The Canonica/ Lamentations, p. 677ss. e Jacobsen, The
Harps That Once, p. 78ss. Jacobsen (Religious Draa, p.85), seguito, i n
maniera pi analitica, da Sallaberger (op. cit., I , p. 233s.), ha individuato
un
collegamento tra la lamentazione eden-na u-sag-ga e un rito celebrato a
U
mma nel I mese del calendario locale, e denominato u-sag-S -a (escono
nelle prime erbe>> , o <<nelle alte erbe>> , traduzione quest'ultima proposta d
Sallaberger). La presenza di due epiclesi di Inanna e di Gula fra le divinit
tributarie di offerte potrebbe avvolorare l'ipotesi che il rito u-sag-S -a
contemplasse lamentazioni per Damu, il quale per non mai menzionato
nei testi economici relativi a tale festivit. Riti u-sag sono documentati
anche a Ur, probabilmente in connessione con il culto dei sovrani defunti
(cf. Sallaberger, op. cit., I, p. 183), e a Nippur, in un contesto non rico
struibile.
6 Jacobsen, Toward the lmage of Tammuz, p. 324s.; cf. anche B. Alster,
"Edin-na u-sag-ga: Reconstruction, History and Interpretation of a Sume
rian Cultic Lament", in K. Hecker - W. Sommerfeld (edd.), Keilschriftliche
Literaturen ( RAI XXXII), Berli n 1986, p. 27.
61
Cf. ad es. L morte di Gilgame: (S.N. Kramer, "The Death of GilgameS",
BASOR, 94, 1944, pp. 2-12) e L morte di Ur-Namu (id., "The Death of
Ur-Nammu and His Descent to the Netherworld", JCS, 21, 1967, pp. 104-
122): entrambi i sovrani, il mitico signore di Ur e il re storico fondatore
della III Dinastia di Ur, recano offerte agli di dell'aldil, fra cui figura Du
muzi.
62 C. Wilcke, "Konig Sulgis Himmelfahrt", Minchner Beitrage zur Volker
kunde, l (= Festschrift L. Vajda), 1988, pp. 245-255.
63 Cf. Pisi, "L"ascensione' di Sulgi", passim.
6 Alster, Dumuzi's Dream, p. 14s.
6 Cf. ad es. Enki e l'ordine del mondo, r. 361 ss., dove per Dumuzi sem
bra avere come compito primario quello di riforire di offerte - grazie ai
prodotti della pastorizia - i templi degli di (I'Eanna e I'Ekur), mentre la ri
produzione degli animali afdata a Sakan. Nell'iscrizione di Rim-Sin ci
tata supra, nota 33, a Dumuzi viene chiesto di moltiplicare greggi e ar
menti.
66Cf. B. Alster, "The Mythology of Mouring", ASJ, 5, 1983, pp. 1-16.
67 Sallaberger, op. cit., I, 257s.
6 A parere di Cohen (The Cultic Calendars, p. l 88) la "festa di Dumuzi" do
veva celebrare il ritorno del dio dagli Inferi, cui faceva seguito il ricon-
59
giungimento con la sposa e la celebrazione delle nozze; tale ipotesi non
per suffragata d alcun dato, e nell' Inno a /nanna Ninegalla (cf. infr) i l
"ricongiungimento" fra Dumuzi e !nanna si realizza in un contesto infero,
e accompagnato da sacrifci per i defunti. Offerte per i sovrani diviniz
zati (Sulgi defunto e Amar-Sin vivo) e per gli ensf morti sono del resto at
testate anche a Umma durante il X mese. Sallaberger (op. ci t., I, p.
233s.) individua nel ciclo calendariale di Umma una continuit tra le fe
stivit del X mese, che avrebbero celebrato le nozze di Dumuzi, e il ri
tuale u-sag- -a del I mese (cf. supra, nota 59), che invece ne avrebbe
compianto la morte. Tale ricostruzione, bench non implausibile, rimane
per fortemente ipotetica, tanto pi, che, come abbiamo gi rilevato, nel I
mese non vengono menzionati n Dumuzi, n Damu. Aggiungiamo che
tanto Cohen quanto Sallaberger utilizzano un taglio interpretativo naturi
stico (Dumuzi come "dio della vegetazione"), che risulta sovrapposto ai
dati e non dedotto dagli stessi. Un problema a parte costituisce il culto nel
territorio di Umma di una divinit denominata
d
dumu-zi-URUxA-a, so
litamente considerata negli studi moderi come una forma locale di Dumuzi
(e cio il Dumuzi venerato a URUxA-a
ki
); contro tale identificazione si
per pronunciato recentemente Sallaberger (op. cit., l, p. 240s.), secondo
cui si tratta di una divinit del tutto indipendente dallo sposo di !nanna.
69 Cohen, The Cultic Caldendars, p. 74.
70 B. Perlov, "The Families of the Ensf's Urbau and Guda and their Fune
rary Cult", in B. Alster (ed.), Death in Mesopotamia (RI XXVI), Copen
hagen 1980, pp. 77-81.
71 Cf. Sallaberger, op. cit., p. 282 s.
7 A Laga Dumuzi di Kinunir risulta avere un rolo di un certo rilievo nelle
festivit del V mese: in questo caso, potrebbe per trattarsi non dello
sposo di !nanna, bens di una forma abbreviata per intendere la dea D
muzi-apzu (su cui cf. supra, nota 31 ), venerata all'epoca di Gudea appunto a
Kinunir (dati e discussione del problema in Kutscher, op. cit., p. 36s. e
Sallaberger, op. cit., I, p. 284).
73 Cf. Kutscher, op. cit., p. 37ss. e Cohen, The Cultic Calendars, p. 235.
74 Il termine impiegato zag-mu, solitamente tradotto appunto con Capo
danno: ma cf. supra, nota 49.
75 La traduzione di H. Behrens (Die Ninegalla-Hymne. Die Wohnungnahme
lnannas in Nippur in altbabylonischer Zit, Stuttgart 1998, p. 32ss.), edi
tore dell'Inno, differisce in maniera considerevole da quella di Alster (''The
Mythology of Mourning", p. lls.) - in particolare per quanto riguarda la
60
funzione di sacerdoti e personale di culto menzionati nelle r. 72ss., morti
e
destinatari di offerte funebri secondo Behrens, vivi e esecutori delle
stesse secondo Alster -, ma certo il contesto funerario della festa di D
muzi. Per il parallelismo tra la descrizione della festa di Dumuzi nell'Inno a
Inanna-Ninegalla e quella dei funerali regali nella Morte di Ur-Namu e
nella Morte di Gilgame, cf. Behrens, op. cit., p. IOlss.
76 Cohen, The Canonica/ Lmentations, p. 565s.
7 In epoca neosumerica, ad Ur un'occasione rituale denominata abum de
dicata al culto dei sovrani defunti, senza che peraltro Dumuzi paia avervi
alcuna parte (cos come non compare nell'analoga celebrazione ab- di
Nippur): cf. Sallaberger, op. cit., I, p. 205ss. e Cohen, The Cultic Calen
ders, p. 458ss. Successivamente Abu(m) comparir come nome di mese
(Sallaberger, op. cit., I, p. 206). Nei calendari paleobabilonesi il mese di
Abum il quinto, e solitamente segue quello di Dumuzi!ammuz. Nella do
cumentazione amministrativa di Mari vengono registrate uscite per olio
destinato alle statue di mar e Dumuzi nel mese di Abum (IV), e nel mede
simo mese sono annotate uscite di notevoli quantit di grano per le Iamen
tatrici (forse per il culto del dio): cf. Cohen, The Cultic Calendars, p. 289s.
78 E. pi recente in W. G. Sladek, lnanna's Descent to the Netherorld
s.), Ann Arbor 1974 .
. Alster, "!nanna Repenting: The Conclusion of Inanna's Descent",
J, 18, 1996, pp. 1-18.
& L'episodio della mosca era gi noto prima della pubblicazione di Alster,
il quale fa notare come si tratti di un testo parallelo all'eremma CT 15, 19:
19ss., su cui cf. Cohen, Sumerian Hymnology, p. 87ss.
81 W. Farber, Beschworungsrituale an Utar u Dumuzi, Wiesbaden 1977,
p. 140 e Kutscher, op. cit., p. 41s.
82
Cohen, The Cultic Calendars, p. 315ss. e J.A. Scurlock, "K 164 (BA 2,
P. 635): New Light on the Mourning Rites for Dumuzi?", RA, 86, 1992,
p. 58ss.
8 Cf. Farber, Beschworungsrituale e Scurlock, op. cit., e bibliografia ci
tata. Scurlock, cui dobbiamo un'analisi dettagliata dei testi rituali relativi
alla festa di Tammuz, dall'esame di un rituale di guarigione ( 194), con
nesso con la funzione esorcistica del dio, deduce che il 26 di Tammu
Getinanna dovesse sostituire il fratello agli Inferi: il testo in questione
per non menziona la sorella di Dumuzi, bens esclusivamente quella del
malato di cui si vuole ottenere la guarigione.
61
8 Cf. Cohen, The Cultic Calendars, p. 217; vedi anche A. Livingstone,
Mystical a Mythological Explanator Works of Assyrian a Baby
lonian Scholars, Oxford 1986, p. 160ss.
8 Cf. supra, nota 5. All'inizio della seconda met dell'800 F. Liebrecht
("Tammuz-Adonis", ZDMG, 17, 1863, p. 399ss.) scrive che il racconto di
fondazione della festa d el-Biqt (<<le piangenti>>) pu essere facilmente
spiegato se, al seguito di Movers, si considera Tammuz (al pari di Adone)
come un <<Naturgott>> , e cio come un Bild des Samenkorn>> , visto che
viene triturato in un mulino. Liebrecht mette in rilievo la somiglianza
della sorte di Tammuz nel mito di fondazione della festa el-Biqt con quella
del John Barleycor della poesia di R. Burs ( <<Gli arrostirono le ossa e le
midolla su di un gran fal/e un mugnaio dentro al suo mulino lo tritur>> ):
paragone fortunatissimo, che verr utilizzato innumerevoli volte negli
studi su Tammuz, per dimostrare che il dio mesopotamico una
personificazione del grano.
86 Chwolson, Die Ssabier und der Ssabismus, Il, pp. 27s. e 20l ss.
62
Il DIO "NASCOSTO" IN ANATOLIA
ANNA MARIA POLVANI
l. Di "nascosti" in Anatolia: il problema generale
Il tema del "dio scomparso" un motivo centale nella mitologia
anatolica in generale, ittita in paticolare, ma non caratterizza un'unica
fgura divina; infatti esso si riscontra in miti diversi e ne sono prota
goniste divinit diferenti: Telipinu, il "Dio della tempsta", il Dio
Sole, la dea Hannahanna, le dee Anzili e Zuki, la dea Inara.
A miti che raccontano tali vicende riservata dagli scribi ittiti una
defnizione particolare: essi cio sono chiamati mugawar l mugenar,
termine che signifca "invocazione", "evocaione", rivolte a una f
gura divina percepita come lontana allo scopo di farla riavvicinare1
Questa circostanza, sia detto per inciso, ci invita a rifettere sull'uso
indiscrirnato di un termine come "mito" che, se pu valere in linea
generale pr defnire racconti "sacri" dalle fnzioni fondanti avvenuti in
un tempo diverso da quello attuale, possiede evidentemente un senso
troppo generico se usato all'intero di una tadizione complessa e ori
ginale come quella anatolica.
Per i miti di Telipinu, del "Dio della tempesta" e del Dio Sole
possibile ricostruire almeno in pate il raconto nelle sue linee fonda
mentali; altri miti, invece, ci sono pervenuti in forma estemamente
fammentaria (come il caso, ad esempio, di Hannahanna e di Inara).
In questa sede si prenderanno in considerazione i racconti miti ci r
lativi a Telipinu, non soltanto prch essi sono ricostruibili con una
certa completezza e corenza, ma anche (e soprattutto) prch a tale
personaggio si guardato in passato, e in qualche caso anche attual
mente, come a un "dio della vegetazione" con caratteristiche riconduci
bili a quelle del fazeriano dying go. C' infatti chi ha voluto ve
in Telipinu una specie di "anteedente" di Attis3 o, addirittura, della
Kore eleusina4; da altri, invece, l'acento stato posto prevalentemente
sulle sue caratteristiche di dio della tempesta5 o della fertilit6 Questi
due aspetti, in realt, non si escludono vicendevolmente: proprio in
63
quanto divinit legata a grandi fenomeni atmosferici, l 'azione di Teli
pinu pu prourre effetti tanto negativi - come distruzioni, inonda
zioni, incendi, etc. - quanto positivi - pioggia benefica per i campi e la
natura in genere, aumento delle acque irrigue, etc. - per l'umanit.
Nell'ambito delle tradizioni mitologiche riguardanti Telipinu, ci
concenteremo qui in particolare sull'episodio della sua scomparsa, sia
valutandolo sullo sfondo dell'intera vicenda, sia analizzandone le im
plicazioni rituali.
2. Il mito di Telipinu nelle sue tre redazioni
La circostanza che il mito di Telipinu ci sia giunto in tre diverse
redazioni testimonia il processo continuo di rielaborazione a cui tale
tradizione mitologica fu sottoposta in ambito ittita e ci consente una
analisi comparativa di maggior respiro.
Dalle narrazioni giunte fno a noi emerge che Telipinu non il
protagonista di una vicenda di morte e successiva "resurrezione"; il dio,
adirato, si sottrae di fatto ad ogni rapporto con gli esseri viventi, siano
essi di, uomini o animali, che vanamente lo cercano per scongiurar
gli effetti della sua irreperibilit. Pi che con una vera e propria scom
parsa, si ha perci a che fare con una "latitanza" del dio, che sospnde
ogni sua attivit.
Fondamentale appare ancora la circostanza che il posto in cui il dio
irato si nasconde non gi l'oltretomba (tratto che ne potebbe even
tualmente giustificare una valutazione in termini di "dio morente"),
bens un luogo terreno pi o meno preciso identificato, a seconda delle
versioni, in una palude ovvero nella citt di Lihzina.
L conseguenze catastofche provocate dal suo nascondersi sono d
una gravit tale da non potersi neppur paragonar alla lontana con le
"crisi" temporanee che pu comportare l'avvicendarsi del ciclo stagio
nale. La situazione che si viene a creare da un lato investe drammati
camente l'ordine naturale, sconvolto e sovvertito (siccit, carestia,
moti tellurici), dall'alto colpisce e tavolge anche l'assetto politico
sociale della comunit (il testo parla, tra l'altro, di madri che non allat
tano pi i propri figli) ed ha naturalmente ampie ripercussioni anche a
livello divino7 In particolare, si dice che gli di bevono e mangiano
64
senza riuscire a dissetarsi o sfamarsi risultando coinvolti nel disasto
che incombe sull'umanit. Oltre che a una canz oggettiva d
bevande e di cibi, imputabile tra l'altro all'inefcienza dei feeli
travolti dalla situazione, si deve anche pensare, pi in generale, a una
crisi radicale e terribile dovuta alla sottazione, d pae d Telipinu,
della fonte stessa di ogni benessere. Questo emerge con gde
evidenza dalle parole pronunciate dal Dio della tempsta, in ceca d
suo figlio Telipinu:
(A I 20' )Telipinu, mio figlio, non c', egli si adirato
e ha preso con s tutto il bene! .
Si viene insomma configurando una sorta di "mondo alla rovescia",
anticipato e simbolizzato nel modo pi immediato dal comportamento
dello stesso Telipinu che, in preda all'ira, calz le sca al contrario:
si tratta di un tema che, del resto, ricorre in altri racconti di scomparsa
d alte divinit e che tova un ulteriore sviluppo nel mito delle 0
Anzili e Zuki dove si aggiunge la veste, il pettorale e il velo indos
sati tutti all' incontrario dalle protagoniste:
(A I l ') Telipinu [si adir e grid]: "Non devono esserci
parole che intimi[dano e nell'agitazione] indoss [la
scarpa desta al piede] sinistro e la (scarpa) sinistra [al
piede destro ... ]))9
Dall'analisi del mito si evince che alla base della crisi vi sono
tanto l'inattivit del dio, quanto il suo furioso agire, che provoa
dannose conseguenze; gi prima che egli scompaia - cio nella fa
dell'ira- si avvertono i primi sintomi della catastofe che si consumer
all'atto della scomparsa:
(A I 5') La nebbia invase le fnestre, il fmo [invase] la
casa e nel focolare i ceppi erano spen[ti, sull'altare] gli
di erano soffocati (dal fumo), nel recinto le pcor erano
sofocate, nella stalla i buoi erano soffocati, la pcora
tascur il suo agnello, la mucca tascur il suo vi
tellm) ..
65
La scompasa del dio scatena quindi definitivamente la crisi:
(A I 10') Telipinu scomparve, port via nelle paludi il
grano, la fertilit, la crescita, lo sviluppo e il rigoglio
(tolti) ai campi coltivati, ai pascoli; Telipinu se ne ad
e si nascose nella palude e sopra di lui crebbe l'erba della
palude e quindi grano e spelta non crescono pi; buoi,
pecore, uomini (15') non rimangono pi pregni (e)
quelli che sono pregni non partoriscono pi [e le
mon]tagne inaidirono, gli alberi seccarono e i germogli
non spuntarono (pi), i pascoli inaridirono, le fonti sc
carono e nel paese venne la caestia e gli uomini e gli
di morivano di fame
11
Oltre al mondo degli di e degli uomini, viene coinvolto e scon
volto anche l'aldil:
(A II 33') Telipinu infuriato venne tuonando e lampeg
giando; gi la nera terra (= oltretomba) a soquadro
1
... ) .
I diversi interventi diretti di divinit o di animali d esse apposita
mente inviati non sortiscono alcun effetto positivo. Anzi, nel caso del
l'ape mandata da Hannaanna (un motivo presente in tutte e tre le ver
sioni), le conseguenze sono addirittura nefaste, le sue punture destinate
a svegliae Telipinu provocano un accrescimento della sua ira:
(B II l) [And] l'ape [esplor] le alte montagne, esplor
le [profonde [valli esplor le limpide] acque, nel (suo)
[inter]no fin il miele fin [ ... ], [la cera] f[n] e lo
[trov] su un prato nel bosco del pa[ese di Lihzi]na e (5)
[lo] punse sulle mani e su i piedi e egli si al[ z], e
[cos] (disse) Telipinu: "Io mi sono adirato! [ ... ] peh
voi [avete fatto alzare] me che dormivo e perch avete
fatto parlare me [che ero adi]rato? [Telipinu] divenne
[in]furiato e poi la fonte [ ... ] ferm [ ... ] (10) de[vi] i
fiumi scorrenti [ ... ] li trasform in letti rocciosi [ ... ] ro-
66
vesci [ ... ] le cit[t], rove[sci] le case. Egli fece morire
[l'umani]t, fece peri[re] i buoi e le pecore ( ... ) 13
Soltanto il rituale eseguito dall' uomo del Dio della tempesta ri
uscir a questo punto a placae il dio adirato, ristabilendo il corretto or
dine della realt. Il rituale in questione costituito dall'esortazione a
fnch tutte le parti dell'edifcio (finestra, cortile, portale, etc.) favori
scano la scomparsa dell'ira del dio che non dovr pi contaminae i
campi, le vigne e i boschi, ma dovr finire nell'oltretomba del quale
viene fornita una descrizione chiaramente derivata d modelli mesopo
tamici:
(A IV ) Il portiere ha aperto i sette battenti, ha tirato i
sette chiavistelli, (15) gi nella nera terra stanno i calde
roni di bronzo e i loro coperchi (sono) di piombo, la
loro chiusura di ferro, ci che vi entra non torna pi
su, ma vi muore dentro (. .. ) 1
Se, come si evince dai testi, la scomparsa di Telipinu causata
dalla sua incontenibile ira, diventa fondamente comprendere le r
gioni per capire il rapporto che esiste fra la struttura narrativa del mito
e il rituale che gli connesso. Purtroppo le tavolette in nostro pos
sesso sono mutile proprio nella parte relativa agli antefatti e siamo
quindi costretti a procedere sul rischioso terreno delle ipotesi.
Alcuni indizi nella parte fnale del mito collegano tuttavia la solu
zione della crisi al bnessere della coppia reale: tale riferimento ai so
vrani, se viene esaminato all'interno del passaggio in cui esso ripor
tato, getta qualche luce anche su quella che potebbe essere la parte ini
ziale del racconto. Il ritorno di Telipinu e la sua pacificazione sono
rappresentati mediante un progressivo recupero della "normalit"
perfettamente speculae, ma contraio, rispetto al passaggio iniziale
della narrazione in cui si fa riferimento alle conseguenze nefaste della
sua ira.
Si confronti:
(A I 5') La nebbia invase le fineste, il fumo [invase] la
casa e nel focolae i ceppi erano spen[ti, sull'altae] gli
dei erano soffocati (dal fmo), nel recinto le pecore erano
67
soffocate, nella stalla i buoi erano soffocati, la pcora
trascur il suo agnello, la mucca tascur il suo vi
tello 15
con:
(A IV 20) Telipinu torn a casa sua e si prese cura dl
suo paese; la nebbia usc dalla finestra, il fumo abban
don la casa, furono allestiti gli altari degli dei, nel foco
lare i ceppi bruciarono, nell'ovile le pcore furono libe
rate (dal fumo), nella stalla i buoi furono liberi (d
fumo) e la madre accud suo figlio, la pcora accud il
suo agnello, (25) la mucca accud il suo vitello
16

a cui per si aggiunge:
e Telipinu (accud) il re e la regina e li provvide di vita
e di forza per l'avvenire17

Vista la prfetta specularit dei due passaggi, non apparir fori
luogo ipotizzare che, nella parte iniziale ora perduta, ci fosse un riferi
mento alla coppia regale e si potrebbe immaginare che l'ira divina
fosse indirizzata proprio conto il re e la regina, forse in seguito a una
loro mancanza nell'adempiere ai doveri connessi alle celebrazioni del
culto. Tale ipotesi sarebbe in prfetta sintonia con l'ideologia regale e
religiosa degli lttiti, che che vede nel sovrano il garante dell'ordine non
solo politico e sociale, ma anche cosmico. Interessante in questo senso
il convogliamento dell'ira di Telipinu nell'oltretomba, cio proprio
in quello spazio anti-cosrco sul quale il sovrano non esercita alcun
potere.
Un tratto di estrema importanza nel mito di Telipinu il fatto ch
non sono n gli di n gli animali da essi inviati (aquila, ap) a ripor
tare il dio, bens un particolare opratore sacrale, l' uomo del Dio
della tempesta, il solo a conoscere il rituale in grado di pacifcare il
dio adirato'. L'interento "umano" nella narrazione stabilisce una
stretta correlazione tra mito e rito, e proprio il piano rituale suscet
tibile di farci capire pienamente il senso e la valenza della vicenda mi
tica: le conseguenze dell'ira e della scomparsa del dio descrivono nel
68
mito una situazione di sconvolgimento che poteva essere impiegata
fnzionalmente in occasione del verifcarsi di eventi disastosi di vario
genere, dalle epidemie alle carestie, alla siccit. Non va esclusa allora
la possibilit che il mito di Telipinu si collocasse all'interno di un
culto uficiale nel corso del quale veniva recitato ritualmente. Sap
piamo che in epoca imperiale erano celebrate molte feste per il dio e la
preghiera del sovrano Mursili II ne attesta una in paticolare che si
svolgeva di primavera; tuttavia tale culto non doveva tanto svolgersi
nell'ambito di una periodica crisi stagionale, quanto piuttosto in oca
sione di calamit particolarmente disastrose per tutto il paese.
Attraverso il rituale eseguito dall' "uomo del Dio della tempesta"
Telipinu torna al suo tempio e con questo riattiva il normale dispie
garsi della realt. Per di particolare interesse il fatto che il ritorno d
Telipinu non coincide soltanto con una "normalizzazione" dei ritmi na
turali prima sconvolti, ma anche garanzia di prosperit e bnessere.
L'albro eya (probabilmente una specie sempreverde, forse una quecia
o un tasso) elevato dinanzi al dio e colmo di ogni bene promette a
bondanza non solo per il presente ma anche per il futuro:
(A IV 25) ( ... ) Telipinu si prese cura del re e davanti a
Telipinu si innalz un albero eya, una borsa da caccia
(fatta di pelle) di pcora appesa all'albero eya e dento
c' grasso di pcora e dento (30) c' (il simbolo della)
fecondit animale e del vino e dento c' il bestiame e
poi ci sono lunghi anni (dell'avvenire) e la progenie e
poi dentro c' il dolce messaggio dell'agnello, c' ascolto
ed esaudimento e poi dentro c' il dio[ ... ] ugualmente e
poi dento c' la coscia desta (35) e poi dento c' la
crescita, lo sviluppo e il rigoglio 1
Anche quest'immagine mi sembra che possa essere letta nei termni
di una "specularit rovesciata":, rispetto all'immagine iniziale del
paese sconvolto dall'ira di Telipinu. Quest'ultima rappresentazione pu
a buon diritto essere inserita all'interno di quel motivo mitologico, let
terario e iconografco noto come "mondo alla rovescia"21, attraverso cui
vengono rappresentate realt che, per eccesso o per difetto, si contap
pongono dialetticamente a quella attuale. Nel caso del mito di Telipinu
il mondo rovesciato un mondo in mncanza, paralizzato dalla
69
scomparsa del dio, in cui non solo si interrompono i ritmi naturali ma
anche quelli psico-affettivi e sociali (si vedano gli animali che non nu
tono pi i propri piccoli, le madri che non si curano pi dei propri f
gli). A questo mondo svuotato fa d contrappunto, dopo il ritorno del
dio, l'immagine dell'albero eya a cui appesa la borsa di cuoio piena di
ogni simbolo di ricchezza e prosperit: un vero e proprio "albero della
Cuccagna", che reca con s la promessa di un fturo migliore
2 2
.
Il mito di Telipinu
2
3 apre cos uno spiraglio sulla mentalit pro
pria della cultura in cui tale mito fu prodotto e utilizzato: essa appae
in bilico tra l'affannosa ricerca di un "ordine" in un mondo in cui ca
stia e/o epidemie rappresentano una minaccia costante e l'aspirazione a
una realt libera da eventi minacciosi e colma di benessere; al cento d
questa visione della vita vi il sovrano che conferisce stabilit e assi
cura che ciascuna delle sue componenti si leghi armoniosamente con le
altre.
Nonostante il fatto che il tema del "dio irato che si nasconde" non
coinvolga solo Telipinu, dio legato a grandi fenomeni atosferici, ma
anche alte divinit, indubbio che il racconto riguadante questa fgura
rimanga il pi articolato sia sul piano "letterario" sia su quello della
piena integrazione all'intero del rituale a cui collegato. Anche se
non lo possiamo affermare con sicurezza, non sembra improbabile che
esso abbia costituito una specie di modello, di prototipo, al quale si
sono conformati con varianti maggiori o minori le versioni riguadati
altre divinit che "scompaiono" o meglio che, adirate, si "nascondono"
temporaneamente prima di essere placate dalla celebrazione di un
rituale che riparer al motivo dell'ira.
Il fatto stesso che il modulo narrativo dell' "ira e del nascondi
mento" sia stato impiegato anche per divinit e per occasioni diverse,
dimosta l'estraneit e l'infondatezza di interpretazioni che si colle
ghino al tema del c.d. dying god.
70
NOT
l Cf. F. Pecchioli Daddi - A.M. Polvani, L mitologia ittita, Brescia 1990,
pp. 13-14.
2 Cf. ad es. Th.H. Gaster, Thespis, New York 1961, passim; R. Gusmani,
"L religioni dell'Asia Minore nel primo millennio a. C.", in P. Tacchi
Venturi (ed.), Storia delle religioni, Torino 1970, p. 321; E. von Schuler,
in H.W. Haussig (ed.), Worterbuch dr Mythologie, Stuttgart 1983, pp.
201-202.
3 D.M. Cosi, "Aspetti mistici e misterici del culto di Attis", in U. Bianchi -
M.J. Vermaseren (edd.), The Soteriology of the Orientai Cults in Roman
Empire, Leiden 1982, pp. 485-504: Telipinu sarebbe << ( ... ) un "genio della
fecondit" soggetto a ritmi alternanti di presenza e di assenza ( ... ) (p.
494).
4 W. Burkert, Strcture and Histor in Greek Mythology a Ritual,
Berkeley- Los Angeles - London 1979, pp. 123-142.
5 H.-G. Gtiterbock, "Gedanken tiber das Wesen des Gottes Telipinu", in R.
von Kienle et a/ii (edd.), Fs. J. Friedrich zum 65.Geburtstag, Heidelberg
1959, p. 209; B. d Vries, The Style of the Hittite Epic a Mythology,
Ann Arbor 1967, pp. 5-7.
6 Come dio legato all'agricoltura Telipinu interpretato d M. Popko, Re
ligions of Asia Minor, Warsaw 1995, pp. 71, 106; cf. anche V. Haas, Ge
schichte dr hethitischen Religion, Leiden - New York - Koln 1994, p.
442ss.
7 Tipica nel Vicino Oriente siro-mesopotamico e anatolico la concezione
secondo cui le divinit abbiano, mutatis mutandis, bisogni materiali ana
loghi a quelli delle creature mortali e a esse vengono prestate tutte quelle
cure che mirano alloro benessere, a cominciare d una dimora adeguata i n
cui ospitarle. Quasi ovunque vige infatti il concetto che l'uomo stato
creato dagli di per servirli e onorarli in cambio di protezione, benefici e,
in alcuni casi (come in Egitto), della partecipazione almeno parziale alla
loro sorte privilegiata. Questa idea di fondo non implica solo una sotto
missione degli uomini alle divinit, ma prevede anche un coinvolgimento
degli esseri soprannaturali nel destino di questo mondo.
8 Pecchioli Daddi - Polvani, op. cit., p. 79.
9 lbid., p. 78.
71
10
lbid., pp. 78-79.
Il Jbid., p. 79.
12
lbid., p. 81.
13
lbid., pp. 86-87.
14
Ibid., p. 83.
15
Ibid., pp. 78-79.
16
Ibid., p. 83.
1
7
Ibid., p. 83.
18
Per l'ipotesi che la celebrazione del mito contenesse un motivo eziolo
gico collegato alla citt di Lihzina cf. A.M. Polvani, in Pecchioli Dad -
Polvani, op. cit., p. 78.
19 Ibid., p. 84.
20
E
'
un modulo narrativo che abbiamo visto gi ricorrere nella narrazione
sopra presentata.
21
Ancora attuale in proposito lo studio ormai classico d G. Cocchiara, Il
mondo alla rovescia, Torino 1963.
22
Si rimanda anche per questo tema a Cocchiara, op. cit., a cui deve ag
giungersi, dello stesso autore, Il paese di Cuccagna, Torino 1980.
23
Cf. da ultimo A.M. Polvani, "Temi di mitologia anatolica tra Oriente e
Occidente: il dio scomparso", in M. Rocchi - S. Ribichini - P. Xella (edd.),
L questione delle infuenze vicino-orientali sulla religione greca: stato
degli studi e prospettive della ricerca, Atti del Colloquio Internazionale,
Roma, 20-22.5.1999, in stampa.
72
DA BAAL DI UGARIT AGLI DEI FENICI
Una questione di vita o di morte
PAOLOXELLA
Intoro al terzo quarto del XI secolo a. C., probabilmente tra gli
anni 1370 e 1350, si verific in Siria un evento di importanza staor
dinaria per la storia culturale umana. In quest'epoa, infatti, Niqmadu
Il, re del piccolo stato di Ugarit (oggi Ras Shamra, sulla costa siriana
prospiciente l'isola di Cipro)' decise di costituire un gnde deposito d
archivi raccogliendovi i testi pi importanti della tradizione mitologica
e cultuale di quella regione.
Il luogo scelto fu, significativamente, l'acropoli della citt, preci
sente quell'edifcio chiamato dagli archeologi "Biblioteca del Gr
Sacerdote" posto tra i due grandi templi urbici attribuiti convenzional
mente agli di Baal e Dagan2 Non conosciamo le ragioni precise ch
indussero il re Niqmaddu a prendere una tale decisione. E' teoricamente
possibile che l'esigenza di costituire una sorta d "biblioteca sacra" sia
stata legata al cataclisma (terremoto e incendio) che aveva colpito Uga
rit nell'epoa di ei-Amarna. In questa occasione, il palazzo reale celebre
in tutto l'antico Oriente era stato distrutto ed plausibile che anche le
altre precedenti "biblioteche" e "archivi" cittadini fossero stati danneg
giati o addirittura distutt{
Il re di Ugarit decise dunque di far registare una selezione del pa
trimonio religioso locale su tavolette d'argilla, secondo l'uso mesopo
tamico; tuttavia, certo a causa del contenuto dei testi, non si us la
lingua acadica (lingua diplomatica e di cultura per eccellenza, a
quest'epca). I testi mitologici d tadizione siriana furono invece r
datti in ugaritico, la lingua locale (semitica ocidentale), usandosi p
la prima volta un sistema grafco di tipo alfabetico, con tenta lettere
rappresentate da segni cuneiformi.
Nella vasta biblioteca dell'acropoli gli archeologi hanno scoperto i
pi importanti testi mitologici della religione ugaritica: gli episodi dl
c.d. ciclo di Baal, i racconti di Kirta, Danil e Aqhat, il testo mitico-ri
tuale di Shahar e Shalim e quello relativo al dio lunare Nikkal,
73
insieme a tutta una serie di testi rituali e cultuali redatti sempre in
ugaritico (oltre a vari testi lessicali mono- e multilingui).
Di questa impresa voluta dal sovrano ugaritico noi conosciamo an
cora un altro protagonista, di cui ci sono documentati nome e
funzioni. Si tratta di Ili-malku, un importante personaggio responsa
bile della rdazione dei miti di Baal e di Kirta. Due colofoni4 ci
documentano che non si trattava per di un semplice scriba, poich Ili
malku non si limit soltanto a scrivere i testi ma, come suggeriscono
i suoi numerosi titoli e la sua posizione a corte ("Indovino", "Capo dei
Sacerdoti", "Capo dei Pastori", "Celebrante liturgico" del re di Ugarit)
doveva essere la suprema autorit in materia di tadizioni religiose.
Grazie a lui ci stato trasmesso un materiale preziosissimo per la
conoscenza della mitologia e della vita religiosa ugaritica,
rappresentativo per di un'area assai pi vasta di quella ricoprta
geograficamente da piccolo regno di Ugarit. Ideologie, complessi d
credenze, riti, temi mitici che emergono da tali testi costituiscono una
sorta di "punta di iceberg" di un ricchissimo patrimonio culturale siro
palestinese di alta antichit e larga diffusione, con molteplici varianti e
tadizioni locali andate purtroppo prdute. In questo senso, gli indizi
sono numerosi e univoci sia riandando indietro nel tempo sino alla
civilt di Ebla, nella Siria interna del l millennio, sia sendendo
verso il I millennio e le tradizioni aramache, fenicie, ebrache.
Personaggi, motivi, concezioni, gli stessi usi linguistici tadiscono
una notevole continuit di fondo che deve essere indagata pr
individuarvi modalit di trasmissione, adattamenti, innovazioni che
caratterizzarono le varie civilt e le diverse fasi all'interno della stessa
cultura.
Non necessario insistere troppo sul fatto che la tradizione mitolo
gico-rituale siro-palestinese merita un'attenzione particolare nella tat
tazione del nostro tema: tra le varie ragioni, soprattutto prch essa fu
la culla di quelle antichissime tradizioni che, attaverso complesse me
diazioni, furono recepite almeno in parte dalla letteratura vetero- e neo
testamentaria. Gli studi in questo campo hanno dimostato quanto pr
fondo fu l'infusso esercitato dalla cultura locale sulla religione ebraca
e anche sul susseguente cristianesimo. Tra i vari esempi additabili, qui
si rileva solo l'infusso esercitato dalle personalit e dai culti di El e
Baal sulla figura del Dio d'Israele, che assimil molti aspetti e
prerogative di entrambi: nel caso del primo, addirittra una delle sue
74
denominazioni (El), del secondo una parte notevole della morfologia d
"dio della tempesta", anche se al contempo Baal venne assunto come
avversario emblematico e irriducibile di Yahweh. Questo a livello d
teologia uffciale, perch nella religione dei comuni mortali, almeno
fno ad una cera epoca, predominava un sereno sincretismo nel quale
la devozione per Yahweh doveva convivere accanto a quella pr
Asherah, la sua sposa cananea, per lo stesso Baal e per molte altre
figure minori, il cui destino sarebbe stato di trasformarsi o in accoliti
del Dio d'Israele, o in fgure "demoniache" d lui stesso combattute,
vinte, distrutte o asservite ai suoi ordini'.
Ma torniamo alla nostra mitologia ugaritica, per ricordae breve
mente due aspetti fondamentali. Da un lato, questo sistema religioso
rivela che al vertice del pantheon esisteva una diarchia di poteri.
L'autorit carismatica (ma spesso anche operativa) di El, antico c
tore del cosmo e padre delle generazioni divine, e la forza e il coraggio
di Baal, campione degli di e difensore dell'ordine cosmico. L'armonica
complementarit tra i poteri di El e Baal - diversi nella storia e nelle
forme in cui si esplicano - sono la sola garanzia per l'organico attuarsi
e preservarsi dell'assetto cosmico: dal punto di vista umano, questi d
di devono cooperare afnch il modello culturale scelto d quella so
ciet prosperi e possa perpetuarsi senza essere minacciato dalle fore
del caos. Queste ultime sono rappresentate in primo luogo d Mot, il
dio della morte, quindi d Y am lo "spirito" delle acque libere e
devastatici, oltre che d una serie di fgure minori ciascuna
apportatice di fagelli ai livelli pi diversi (malattia, carestia, siccit,
guerra, etc.). Alcuni di questi arei-nemici sono gi stati vinti, in
un'epoca remota, d Baal spalleggiato d sua sorella Anat, come si
evince specialmente d un passo mitologico in cui la de ricorda le
comuni, vittoriose imprese:
Quale nemico si levato conto Baal,
Quale rivale conto l'Auriga delle nuvole?
Io ho gi abbattuto l'amato di El, Yam,
ho gi annientato Nahar, dio delle acque immense,
ho gi messo la mordacchia a Tannin, ho serrato la sua bocca,
ho gi abbattuto il serpente tortuoso,
Shaliyat dalle sette teste,
ho abbattuto l'amato di El, Arish,
75
ho distrutto il vitello divino, Atik,
ho abbattuto la cagna divina, Ishat,
ho annientato la fglia di El, Dhabib
(KT 1.3 III 37-47).
Un secondo aspetto fondamentae di questa tadizione mitologica
merita di essere evidenziato, e cio il leit-motiv che prcorre e caratte
rizza quasi ogni racconto: la dialettica tra la vita e la morte, tra le fore
positive della continuit e quelle negative della distuzione. Non pos
sibile qui dilungarci in un'esposizione dettagliata di tutti gli episoi
ma, nell'ottica del nostro tema, i cc.dd. di che muoiono e risorgono,
giocoforza riconsiderare brevemente la fgura e le imprese del dio Baal,
una fgura talmente caratterizzata in questo senso (sui modi precisi si
torer tra breve) che se Sir J.G. Frazer avesse potuto conoscere i testi
di Ugarit (Ras Shamra non fu scoperta che nel 1929) l'avrebb senz
dubbio inserito nel novero dei dying gods, certamente come personag
gio altamente emblematico.
Dobbiamo dunque raccontare succintamente la trama del suo mito,
sofermandoi in particolare sugli episodi che ne determinano d un
lato la sconftta e la sparizione agli inferi, dali' altro il suo tionfale ri
toro e la sua proclamazione definitiva a campione e re degli di.
*
* *
Baal ha appna trionfato sul terribile Yam, il Principe-Mare, divi
nit caotica legata trasparentemente alle aque mane e fuviali: h
cos compiuto un'impresa fondamentale di ordinamento cosmico e
stabilito al contempo la propria sovranit universale. Ha ottenuto ch
gli venisse costruito uno splendido palazzo, segno tangibile di una
regalit conquistata a caro prezzo, e qui invita tutti gli di a un
banchetto di festeggiamento. Ma la pace solo momentanea. Una
nuova terribile minaccia si profila, nella fgura di Mot,
personifcazione della Morte, che sta per pnetare nel palazzo di Baa
attraverso un'apertura che lo stesso dio ha voluto. Mot, eteramente
affamato di vita e di vite, viene a sfdare Baal col desiderio di imporre
all'universo la sua legge di dissoluzione e di annientamento
indiscriminato. Egli vive in un luogo sotterraneo descritto come una
76
gigantesca, polverosa tomba; suo unico scopo uccidee e divorare
ogni essere vivente, senza riguardo per la sua natura umana o divina. Il
suo minaccioso messaggio fa rabbrividire Baal e tutti gli alti di:
Io stesso ora ti divorer,
ti manger brano a brano,
le interiora a spanne!
Dovrai scendere nelle fauci del divino Mot,
nella profondit dell'amato di El, il forte!
(KTU 1.5 I 33-35 e par.).
Il destino di Baal ormai segnato: egli deve aendersi, disender
nel ventre di Mot, dire addio alla vita. Particolare importante, ci av
viene quando riarso l'olivo, i prodotti della terra e i futti degli a
beri (KTU 1.5 II 4-6). Abbiamo qui un'esplicita allusione al tempo
estivo, in cui la natura sembra sospendere la propria esubrante vita
lit, e all'arrivo della siccit, un aspetto "fertilistico" innegabilmente
presente nel mito, che per, come vedremo, ben lungi dall'esaurire le
diverse e profonde implicazioni della vicenda o da costituirne la sola
chiave di lettura.
Baal dunque rinuncia a difendersi e si dichiara schiavo di Mot. No
nostante varie lacune testuali, si comprende tuttavia che non tutto f
nito. Da alcune allusioni fammentarie si pu deure che Baal viene
convocato da El e riceve dal saggio padre degli di una serie di ordini o
consigli: questi sembrano fnalizzati ad evitare che la scomparsa d
Baal nella fauci di Mot provochi la fine della vita sulla terra, fatale p
uomini come per di. Le prime parole leggibili dopo la lacuna menzio
nano un "vitello" fglio di Baal che dov continuare a garantire la fe
condit; quindi si alude a riti di sepoltura per Baal, che dov portare
nell'aldil le sue figlie, i suoi poteri, le sue energie vitali:
Tu per prendi le tue nubi,
il tuo vento, la tua folgore, la tua pioggia,
prendi con te i sette valletti,
i tuoi otto servitori,
prendi con te Pidray, figlia della luce,
prendi con te Talay, fglia della pioggia.
Quindi dirigiti
77
verso il monte Kankanay,
scala il monte con le mani,
l'altura con entambe le palme
e discendi nella "Dimora di reclusione" dell'aldil.
Sarai annoverato tra quelli che discendono nell'aldil
e gli di sapranno che sei morto
(KT 1.5 V 7a-17a).
Baal adesso scomparso inghiottito d Mot, l'universo in crisi.
Gli uomini e gli di lo piangono per morto ed lo stesso dio supremo
El, in preda alla disperazione dei riti di lutto, ad affermare:
Baal morto! Che ne sar delle genti?
Il figlio di Dagan! Che ne sar delle moltitudini?
Dietro Baal io stesso discender nell'aldil!
(KT 1.5 VI 23-25).
E' fondamentale tenere presente qui che il testo usa esplicitamente
il verbo che, nelle varie lingue semitiche, signifca morire. Natu
ralmente morire, per un dio, alta cosa che per un uomo. L
rivincita, il ritorno si annuncia gi e la fedele Anat che prepara la
riscossa. Animata d un amore pi forte della morte la dea, aiutata
dalla divinit solare Shapash, cerca a lungo e ritrova il corpo del
fratello tra le zolle della terra, lo trasporta sulle vette del monte divino,
il Sapanu, e lo seppellisce celebrando un grandioso sacrificio funerario.
Nel fattempo, privi di un re, gli di tentano di sostituire Baa
mettendo sul trono Athtar; quest'ultimo, dotato pi di intelligenza che
di forza, per inadeguato al compito. E' a questo punto che
sopravviene la vendetta di Anat. Spinta dalla forza della disprazione,
animata d una fee cieca, ella trova e affonta Mot faccia a faccia,
distuggendolo senza una apparente resistenza da parte di quest'ultimo:
Afferra allora (Anat) il divino Mot:
con il coltello lo taglia,
col ventilabro lo vaglia,
col fuoco lo brucia,
con una mola lo stritola,
nei campi lo disperde,
78
<nel mare lo sparge>6
La sua carne la mangiano gli uccelli,
i suoi brandelli li consumano i volatili:
cae grida a cae!
(KTU 1.6 Il 30-37).
Ecco dunque create le premesse per il ritorno alla vita di Baal: sep
pelliti i suoi resti, eseguiti i riti funerari, smembrata e dispersa nella
terra e nel mare l'incredibile potenza della morte, il campione degli di
si manifesta come di nuovo vivo (anche qui si usa il verbo appro
priato, vivere), con immediato enorme sollievo di uomini e di, ma
nifestato ancora dalle parole di El, che ha un sogno premonitore che si
rivela immediatamente veritiero:
Se per fosse vivo il potente Baal,
se fosse in vita il principe, signore della terra,
in un sogno del benigno El, il misericordioso,
in una visione del creatore delle creature,
i cieli farebbero piovere olio,
i torrenti scorrerebbero con miele:
allora saprei che in vita il principe, signore della terra!
In un sogno del benigno El, il misericordioso,
in una visione del creatore delle creature,
i cieli facevano piovere olio,
i torrenti scorrevano con miele!
Si rallegr il benigno El, il misericordioso,
i suoi piedi sullo sgabello poggi,
distese la fonte corrucciata e sorrise,
lev la sua voce ed esclam:
Ora potr seder e riposare,
riposer nel petto l'anima mia!
Perch vivo il Potente Baal,
in vita il Principe, Signore della terra!
(KTU 1.6 III 14-21).
Torato dunque in vita, Baal affonta personalmente la Morte e in
un duello senza vincitori n vinti stabilisce limiti e regole all'azione
del suo avversario. Mot aveva tentato in un primo tempo di ottenere il
79
dominio sul cosmo, divorando Baal e minacciando gli altri di e
l'umanit. Dopo il trattamento infittole d Anat, la Morte
si disin
tegrata spandendosi nel mondo, simbolizzato meristicamente d terra e
mare; il cielo, cio gli di, non sono pi toccati. Resta la minaccia,
inevitabile e operante, conto il genere umano, essendo la morte un
dato ineluttabile dell'ordine cosmico; ma l'azione di Baal non senz
conseguenze positive anche per l'umanit, giacch Mot sa costretto
ad operae con discermento, avendo trovato dei limiti precisi ai suoi
poteri. Questo avverr sotto il controllo di Baal il quale, dopo la sua
catabasi agli inferi e l'esperienza conseguita, prender sotto la sua pro
tezione i defunti, cio tutti coloro che sono caduti davanti al suo antico
nemico.
Non possibile qui dare conto in tutti i dettagli dell'importanza del
culto degli antenati a Ugarit, come nella tadizione siro-palestinese, c
Ebla alle epoche posteriori. Sar sufficiente sottolineae che Baal, pro
prio per avere affrontato i rischi mortali della discesa nell'aldil, viene
chiamato nei testi ugaritici Baal-Rpu, "Baal il salvatore/guaritore".
Sotto questa forma, egli onorato nel culto come eponimo e leader 0
gli antenati, soprattutto i re e i grandi eroi della tadizione siriana, i
quali saranno paimenti venerati come Rapiuma, cio "salvatori/ guari
tori" capaci di proteggere e aiutae i vivi in circostanze cruciali
dell'esistenza. Gli uomini, naturalmente, continueranno a morire, ma
potranno (almeno alcuni di essi) sperare in una sorte non toppo ango
sciosa nell'adil, poich diventeranno ritalmente Rapiuma, cio eroi
antenati, onorati dai vivi e a loro vicini come elagitori di fertilit, fe
condit, oracoli e interventi salvifici. Anche l'ordine cosmico, al ri
torno di Baal, riprende i suoi ritmi che non saranno pi minacciati
dale forze del caos.
La grandiosit dei temi e degli eventi narrati d questo mito si
fonda precisamente sulla etera dialettica tra la vita e la morte, le cui
implicazioni sono talmente profonde che non possono essere ridotte
alla sola dimensione fertilistica.
Certo il mito di Baal e Mot si serve innegabilmente di un linguag
gio agraio, poich la vita dell'uomo e della divinit, che d lui d
pnde, indissolubilmente legata ai cicli naturali, alla fertilit della
terra, alla fecondit animale. Baal muore, scende nella fauci di Mot,
proprio quando l'aridit minaccia la vita in ogni sua forma. Del resto,
il legame tra il dio ugaritico e l'acqua pluviale bnefica confermato
80
anche dai testi rituali. Una tavoletta cuneiforme, in particolare, ristu
diata a fondo recentemente', apporta nuova luce in proposito. Essa a
partiene alla letteratura esorcistica di ambito sacerdotale e probabil
mente in rapporto con una festa di capodanno. L'azione vede come pro
tagonisti Baal e il suo servitore, il re, e prvee varie cerimonie d
idroforia e magia acquatica. Qui il dio El sembra agire contro Baa
provocando la nascita di due "uomini-toro" al di fuori del contesto delle
terr agricole; questo pae il presupposto per una sconftta di Baal;
descritto come un cacciatore, qui Baal riesce ad avere la meglio sui d
mosti, ma rimane lui stesso vittima del duello, cadendo morto a terra,
il che viene immediatamente riflesso d morire della natura. El f
tascorrere 7/8 anni di siccit/carestia, finch gli accoliti (''stirpe") d
Baal lo cercano, lo trovano e gli danno sepoltura (questo passaggio
non certissimo, solo un'ipotesi interpretativa). Con ci si
identificata la ragione della carestia; il mito sembra avere come scopo
di indicae la disavventura e la morte di Baal come rati ultima della
carestia/siccit. Con Baal scompare anche l'acqua, vitale e
indispensabile per la natura e gli uomini.
Anche se il mito si serve qui e altrove di un linguaggio prevalen
temente agraio, per arbitario ridurre il suo messaggio alla
semplice sfera fertilistica. La realt dell'alterarsi delle stagioni, del
languire e risorgere della natura, era ovviamente ben nota agli antichi,
nel Vicino Oriente come in ogni angolo della terra. Al di l di ci, il
linguaggio impiegato (il corpo di Baal viene ritrovato tra le zolle della
terra, egli risorge sul monte Sapanu, cio tra le nuvole, Mot sembra
trattato come un cereale, ... ),era quello che meglio di tutti si prestava
a diventae la metafora dell'esperienza millenaria della morte e
storicamente rilevante come tale realt e il linguaggio che ne deiva
siano stati usati culturalmente dall'uomo. E' infatti l'uomo, non
l'acqua benefica o la terra arida, ad essere al cento della vicenda. Se si
tiene adeguato conto delle implicazioni rituali degli eventi mitici,
testimoniate d altri testi, chiao che la catabasi di Baal agli inferi
apre la stada al riconoscimento cultuale del semplice morto che
diviene ritualmente antenato. Membro, cio, di una comunit ritenuta
attiva e operante a favore dei vivi, presente nelle memorie e nel culto.
Non pi o non solo larve anonime e piene di rancore, ma esseri
culturalmente utili a una societ che ha scelto di non !asciali
nell'oblio. Attraverso l'avventura mitica esemplae di Baal e di M o t,
81
n questa originale formulazione del culto dei Rapiuma, uno dei tratti
pi caatteristici della relgione in Siria-Palestina, l'uomo oppone la
propria risposta all'annientamento perpetuo nella morte, che prvee
tutt'al pi una penosa sottoesistenza come spirito malefco e
rancoroso. Reintegrando i morti, o almeno alcuni morti, in un sistema
positivo di valori, la cultura siriana ha fatto di Baal una delle pi af
scinanti e complesse figure di divinit mediatice, schierata sempre e
senza abiguit dala parte dell'uomo, d cui ha condiviso la pi
drammatica delle esperienze.
Ma Baal davvero un "dio che muore e risorge"? Premesso che
metodologicamente scoretto patire d una categoria astatta pr rito
vae confere nella documentazione, si pu comunque a erare che
a lui viene davvero ascritta una "morte" (verbo mwt, morire) e poi
un ritorno in vita (verbo yhw, vivere); che il suo non un ritoro
in tono minore, n simbolico, ma prepotente, clamoroso, tale e
restaurare l'ordine naturale e confnare la morte in limiti pi
controllabili; egli proclamato re su di e uomini, funzione ch
eserciter senza concorrenti. Non per questione di ateanze
nell'aldil, n di dipndenza da una dea, anche se Anat (sia pure col
concorso di Shapash) gioca un ruolo fondamentale nella vicenda.
Inoltre, non possibile afferae che il momento forte sia la
scomparsamorte ma, al contrario, proprio il ritorno e la lotta conto
Mot appaiono essere i fulcri della vicenda
8

Resta da chiedersi perch Baal non venga fatto rientare abitual
mente nel novero di quegli di inseriti nella categoria dei dying god.
Se Frazer non poteva conoscerlo, i moderi non hanno questa scusa.
Senza voler anticipare qui i risultati della ricera collettiva e quanto si
dir in sede di conclusioni, sia lecito avanzare una risposta, che anche
un'ipotesi di lavoro sulla Weltanschauung degli studiosi contempora
nei: Ugarit molto, troppo vicina alla Palestina, geogracamente e
culturalmente; il Baal della Bibbia combattuto dallo Yawismo da n
conoscersi proprio in tale figura; e poi, last but not least, Baal sembra
proprio l'unica fgura divina che, indiscutibilmente, muore e risorge,
legandosi al destino dell'uomo, venendo chiaato "Salvatore": pensate
che non ve ne sia abbastanza?
82
Abbiamo cos potuto verifcare che Baal un dio che "ritorna" deci
samente con un ruolo, dopo la crisi, assai pi attivo e universae d
prima: forse per questo si rivelato una figura "scomoda" da inserire in
tipologie precostituite che non prevedono resurrezioni con tali cons
guenze clamorose. Proprio per tali ragioni Baal merita di diritto un po
sto preminente nel qua dell'indagine sulle divinit che sono prota
goniste di una "crisi" variamente defnibile e pi spcifcamente p
due motvi fondamentali.
In primo luogo, si tratta - se si esclude pazialmente Dumuzi
9
dell'unico dio le cui vicende ci siano pervenute attraverso una fonte di
retta e immediata (le tavolette ugatiche); in secondo luogo, ph
Baal dve considerarsi una sorta di "prototipo" (ci si passi il termine
inadeguato) per l'antichit delle tradizioni che lo concerono (i test
sono redazionalmente della met del I millennio a. C., ma devono ri
salire nel contenuto molto pi indieto nel tempo). Per queste ragioni
Ba pu considerasi storicamente e morfologicamente correlato alle
divinit cittadine fenicie che emergono (nella documentazione a noi di
sponibile) nell'Et del Ferro e che, pur nella specifcit dei culti locali,
rientavano certamente in un'ideologia mitico-rituale affine a quella del
loro "pedecessore" ugartico. E' a queste fgure che dicat la se
conda parte del presente contbuto.
*
* *
Nel I millennio le fonti, dirette e indirette, sul pantheon fenicio,
documentano l'esistenza di acune fgure sovrumane (eroichedivine)
protagoniste di un'esperienza di mortespaizionelatenza seguit da una
riapparizioneritorno/resurrezione. Si tatta di personaggi che vivono
una crisi piuttosto drammatica, dallo svolgimento non identco, che va
d volta in volta analizzata nelle sue spcifche implicazioni mitiche e
rituali, senz lasciarsi condizionare da schemi preconcetti. Si tratta di
Adonis, Eshmun e Melqart, legati dalla tadizione rspettivamente ale
citt di Biblo, Sidone e Tiro.
Per quanto riguarda queste fgure, prima di esaminare le fonti che le
concerono, opportuno anche in questo caso ricordare i quesit fon
daentali che occorre porsi affontando il tema del presente volume. Si
tatta davvero di personaggi che muoino e risorgono? In altri termini,
83
si tratta nel loro caso di una vera e propria morte, rapportabile
ali' esperienza umana, ovvero si ha a che fare con un "cambiamento" d
natra diversa, una sorta d passaggio verso un'altra dimensione? Si
tatta di una sopravvivenza miracolosa, ovvero di un'immortalit con
quistata come nei casi pi celebr narrati dalla mitologia classica?
L'opportunit di una verifca suggerita tra l'alto anche dallo stato
degli studi pi recenti, in cui si ben lungi dall'aver raggiunto una
uniformit di opinioni. Vi chi, a esempio, critica giustaente
l'esistenza storica di una categoria d di mrenti quai onnicompren
siva, ma poi non pnde in consideraione un caso abbastnza chiaro
come il Baal di Ugarit appena esaminato, ovvero glissa rpidament
sugli di fenici al cento della nostra attenzone10 Altri si muovono nel
solco dell'impostazione tadizionale senza prnde posizione11, altri
ancor negano il carattere esemplare della vicenda di Baal ritendola tat
tarsi di un semplice fatto letterao che riecheggerebb l'ideologia rale
ugartica1
E' inutile qui soffermac sul personaggio d Adonis, al centro d
uno studio specifco di S. Ribichini in questo stesso volume13 Ricor
deremo soltanto che esso certamente reinterpretazione grca di un
"modello" di divinit poliade fenicia, non senza aspetti che lo a o
stano a Tammuz (specie le lamentazioni femminili) e a Osride (la ri
tualit dei "giardini"). Del resto, gli studi degli ultimi anni hanno indi
cato la molteplicit di approcci con cui pu essere studiato il suo ds
sier (d cacciator fallito a simbolo di un Oriente "di maniera"), ch
deve comunque sempre essere valutato equilibratamente in tutte le sue
componenti. Resta il fatto che una divinit con questo nome non
ma attestata nelle fonti semitiche e, se proprio si volessero tova
forti somiglianze con un personaggio vicino-orientale, si dovrebb
forse chiamare in causa pi che un dio, un personaggio "umano"
protagonista di una vicenda mitica, cio l'ugartico Aqhat figlio d
Danil. Studiosi d varia impostazione hanno comunque apiamente
mostrato che i miti relativi ad Adonis non adombrano acuna forma d
salvezza exta-mondana e che tale fgura si rcollega a quelle delle
divinit cittadine fenicie, con il Baa ugaritico come pi antico
esponente e Melqart e Eshmun come casi chiari nel I millennio. Del
resto an nelle lingue semitico-occidentali un epiteto divino (olte
84
che regale) spsso collegato a "Baal", designazione solo apaent
mente geneica di quest di-re della tadizione siro-palestinese.
Riandando ad alte fgure di Baal locali delle citt fenicie, i due pi
faosi ci sono noti - a differenza di Adonis - con il loro nome proprio,
Eshmun e Melqart; pure a essi le tradizioni attribuiscono variament
un'esprienza di crisi e relatvo superamento.
Eshmun era un dio pan-fenicio, legato per particolarmente alla
citt di Sidone di cui era probabilmente orginario1 Fin dagli inizi
della documentazione esso si presenta come un dio guaritore molto
specializzato, asptto confermato dalla sua identifcazione classica con
Asclepio [e Esculapio] e, pi raramente, con Apollo e Iolao.
Se le fonti epigrafche, archeologche e lettearie su Eshmun atte
stano con chiarezza la sua inclinazione a guarire, non esiste alcun indi
zio diretto (salvo quello che esamineremo subito) di una sua esperenza
di morte/resurezione, n di suoi rapporti specifci con la sfera della fer
tilit/fecondit. Abbiamo comunque un testo abbastanza tardo (inizio
del VI sec. d. C.) attibuito al filosofo neoplatonico Damascio1, c
riporta un racconto mitologico dal carattere composito. Ecco il passo
che ci interessa:
L'Asclepio d Berto non n grco n egiziano, ma un alto,
autenticamente fenicio. Da Sadykos nacquer infatti dei figli
che essi interretano come Dioscur e Cabiri. Ottavo dopo d
questi nacque Esmounos, che essi interretano come Asclepio.
Dato che egli era il pi bello e il pi giovane e tale da suscitre
l'ammrazione a vederlo, Astonoe, dea fenicia, madr degli di,
s innamor di lui, come narra il mito. Egli aveva l'abitudine di
cacciare nelle valli del paese e, vedendo la dea che lo inseguiva
nella fga e stava per raggiungerlo, si tagli i genitali con un
colpo di ascia. La d aflitta fece la lamentazione per lui e lo
chiam Peana (ovvero: invoc Peana). Dopo averlo risvegliato
col calore vitale, lo fece diventare un dio. Egli fu chiamato
Esmounos d Fenici a causa del calore vitale. Alti invece r
tengono che Esmounos signifchi "ottavo", poich egli e
l'ottavo fglio di Sadykos>>.
Gi molti anni or sono si era tentato di individuare gli elementi
"autenticament" fenici di questo racconto', che presenta del resto al
cune analogie con la versione usualmente definita "figia" del mito d
85
Atts17, in particolare l' autoevirazione e l'innamoramento della Mae
degli di, qui chiamata Astronoe, cio Astarte, insieme per a dife
renze notevoli, quali il motivo della misoginia del protagonista, as
sente nelle tradizioni sul pastore frigio. Quanto a Adonis, anche lui e
un giovane morto durante la caccia, animato d una misoginia
profonda verso una dea; il "risveglio" di Esmounos/Eshmun da parte d
Astronoe/Astarte ricorda poi l'intervento di Iside nei confronti di Osi
ride, mente tutto il racconto mostra infne analogie non tascurabili
con il mito ugaritico del cacciatore Aqhat, il che ci orienta verso
un'epoca molto pi antica (almeno il Tardo Bronzo).
In ogni caso ben probabile che questo testo abbia conservato un
nucleo di tradizioni genuinamente fenicie su Eshmun, giovane caccia
tore, principe e figlio di Sadykos, amato da Astronoe/Astarte, protago
nista di un episodio di "mort" e di "divinizzazione" (= elevazione al
rango divino). Ma forse il caso di entrare in maggiori dettagli, esa
minando isolatamente i motivi pi caratteristici del racconto.
Cominciamo dal .oco, che riveste un ruolo notevole nel mito i n
questione. Secondo i l nostro testo, i l nome di Esmounos deriverebbe o
d termine semitico-occidentale per "fuoco" o d quello che indica il
numerale ordinale "ottavo". Entrambe le etimologie antiche non hanno
fondaento linguistico'", ma sono preziose pch ci consentono d
meglio comprendere alcuni aspetti originali della prsonalit del prta
gonista, estranei tanto ad Attis che ad Adonis. La relazione col fuoco,
individuabile (erroneamente) nel nome e nel "calore" vitale, richiama
d presso il ruolo rivestito d questo elemento nella mitologia d
Melqart, l'Eracle fenicio, di cui sono noti i rapporti con Eshmun. Si
tratta di un potente mezzo di trasformazione, capace di confeire
capacit staordinarie e addirittura l'immortalit19
Un'altra tradizione vuole che Eshmun fosse l'ottavo figlio di Sa
dykos
a
. La circostanza di essere "ottavo" di una famiglia o di una dna
stia ha un valore simbolico rilevante nelle tradizioni semitiche e carat
terizza vari personaggi destinati a una sorte speciale (come David, ot
tavo fglio di Jesse o, nei miti ugaritici, la fglia del re Krta che si
chiama precisamente "Ottavia"). Esmounos, in pi, di origine reale e
questo aspetto lo si ritrova neii'Eshmun fenicio che porta l'epiteto d
"principe santo" nelle iscrizioni di Sidone d'et prsiana2 Il nome d
suo padre, Sadykos, il calco greco di un termine semitico (/d), d
una radice che esprime la nozione di "giustizia", la virt reale pr
86
eccellenza. Questo personaggio dunque chiaramente la prmeztone
archetipale di un re, antenato e modello ideale di tutti i sovrani. Si
ritrova qui dunque il legame con la regalt che caatterizza i Baal
cittadini della tradizione siro-palestinese in generale, fenicia in
particolare.
Un terzo aspetto che va sottolineato il legame di Esmounos/
Eshmun con la caci. Egli descritto come un cacciatore profonda
mente misogino. Oltre alle analogie con Adonis, il motivo si ritrova
anche nelle tadizioni sidonie su Eshmun, e precisamente nelle scene di
caccia che decoravano le mura della cappella presso la piscina, che fa
ceva parte del santuario di Bostan esh-Sheikh dedcato a Eshmun e,
forse, anche ad Astarte2 Ancora, non va dimenticato che la pratica ve
natoria era una prerogativa di re e principi nel Vicino Oriente anticon.
Restano da segnalare ancora alcuni tatti fondamentali che ee
gono dal mito di Esmounos, caratterizzandolo fortemente, e cio la sua
misoginia, che lo induce a fuggire l'amore della dea, la morte che ne
la conseguenza e la successiva elevazione al rango divino oprata c
Astonoe/ Astarte.

L'atteggiamento misogino deve essere considerato un aspetto origi


nale del personaggio, condiviso come anche da Aqhat e da Adonis.
Ad un'attenta lettura del testo, emerge che la morte del protagonista
non menzionata esplicitamente. Sembra trattarsi di una perdita d
energia vitale, di un indebolimento della forza e del calore interno. E'
vero che Astrnoe fa una lamentazione per lui, ma questo atto sembra
far parte d un rituale pi complesso che implica l'intervento di Peana:
che riesce a rigenerare, e "risvegliare" (dice il testo, anopyresasa)
Esmounos e a farlo "diventare dio".
Non agevole in questo caso parlare di morte e di resurrezione nel
senso convenzionale dei termini. Esmounos pde la virilit e allo
stesso tempo tutte le sue energie vitali (= calore), reintegrate poi dalla
de che gli confersce una pienezza di fore che coincide con una im
mortalit di tipo "divino". Questo aspetto si ritrova anche nelle tdi
zioni concerenti Melqart e in quelle su Asclepio; quest'ultimo, come
noto, venne colpito dalla folgore di Zeus poich resuscitava i morti e
divenne un dio immortale per aiutare il genere umano e lenime le sof
ferenze.
Il carattere di guaritore attrbuito a Eshmun appare del tutto compa
tibile con una tadizione mitologica in cui il protagonista, in origine
87
uomo mortale, diviene dio a seguito di un evento drammatico che non
pu essere definito come una semplice morte e resurrezione. Si tratta
proprio del meccanismo narrativo che caratterizza molte vicende
eroiche della mitologia gca: un mito di "trasformazione" che fonda
la nuova dimensione attinta da questi personaggi straordinaria.
Per concludere, Eshmun un personaggio dalla personalit origi
nale e complessa, legato all'ideologia regale, specializzato in guari
gioni ordinarie e staordinarie; una fgura che non pu rientare negli
"di morenti" dello schema di Frazer, tanto pi che non mostra alcun
rapporto con la fertilit e la fecondit della natura2 Questo personag
gio ha conosciuto, a livello mitico, un'esperienza drammatica (in
quanto essere umano), sfuggito alla morte e agisce ormai come un
dio, cio nella nuova dimensione acquistata grazie all'intervento mira
coloso della grande dea.
Non vi dubbio che Melqart fosse il signore (Ba) di Tiro e, in
sieme, la figura emblematica della colonizzazione fenicia in ocidente.
La sua identifcazione con Eracle testimonia un sincretismo semitico
indoeuropeo che sta alla base del pi celebre ciclo mitologico dell'an
tico Mediterraneo. Studiato approfonditamente in una specifica mono
gaa2, questo personaggio attira la nostra attenzione soprattutto p
gli episodi di "morte" e "resurrezione" ascrittigli da certe tadizioni, e
valutare appunto nell'ottica della nostra indagine. Il teonimo Melqart
significa letteralmente, come noto,
"
r della citt", denominazione
che allude al suo strettissimo rapporto con Tiro, qui intesa come
"citt" per eccellenza. Come proiezione divina del re terreno Melqart
(in cui occorre riconoscere il Melkathros o Melkarthos di certe
tadizioni)N mostra comunque aspetti ctonii nella sua personalit e
continua la tradizione siro-palestinese degli antenati reali divinizzati
dopo la morte.
Come accennato, un elemento essenziale nel dssier di Melqart
costituito dalla tradizione - nota a livello sia mitico che rituale - con
cerente una festa periodica in suo onore che le fonti geche defni
scono egersis, cio pi o meno "risveglio", "resurrezione", un rito
pubblico e solenne celebrato dal re in personal. Secondo l'interpreta
zione pi accreditata, in essa si commemorava un'esperienza mitica d
morte o scomparsa, seguita - come momento centrale - da un ritorno,
risveglio o resurrezione del protagonista in forma divina. Un personag-
88
gio detto mqm >[m (carica onorifica di primo piano nel mondo fenicio
punico) aveva un ruolo importantissimo nella festa; esso significa pi
o meno resuscitatore della divinit e corrispondeva al greco egersei
t es, una carica in rapporto al culto di Eracle. Esistono due passi dello
storico Giuseppe Flavio3' che concerono la celebrazione del'egersis d
Melqart su cui occorre soffermarsi:
Inoltre egli (= il re di Tiro, Hiram l) venne a tagliare legna
sulla montagna chiamata Libano per i falegnami del tempio. Di
ritorno, egli demol gli antichi santuari e costru un nuovo
tempio a Eracle(= Melqart) e a Astarte. Per primo egli efettu
(la cerimonia del)l' egersis di Eracle nel mese di Peritios
(Ant. Jud., VIII V 3, 145-146).
'
Egli(= il re di Tiro, Hiram l) riemp I'Euricoro e dedic la co
lonna d'oro che si trova nel tempio di Zeus; and a tagliare le
gna di cedro sulla montagna chiamata Libano per i falegnami
dei templi. Di ritoro, egli demol gli antichi templi e ne co
stru un alto, quello di Eracle e di Astarte. Per primo efettu
(la cerimonia del)l' egersis di Eracle nel mese di Peritios
(Contr Apionem, I 117 -119).
L'analisi critica di questi testi3 giunta alla conclusione che il
passo meno contaminato il primo e che, per i templi, la versione al
singolare quella da preferire. Il termine egersis designa la cerimonia,
il verbo epoiesato signifca compiere, efettuare: abbiamo a ch
fare dunque con un rito solenne il cui nome lo stesso che viene cor
rentemente usato dai Padri della Chiesa per designare la resurrezione (d
Cristo, dei morti)3 Aggiungeremo che il verbo *qwm significa a
punto (ri)sorgere e le interpretazioni alterative proposte non sono
n convincenti n esurienti3
La festa era annuale e commemorava un evento speciale, accaduto
una volta per tutte nel tempo del mito e riattualizzato dal rito. Il suo
carattere periodico esclude naturalmente che si trattasse di una cerimo
nia da celebrare in caso di necessit. Il resuscitatore della divinit p
eccellenza era probabilmente il re in persona e la carica contassegnava
comunque personaggi eminenti della societ.
Questa interpretazione avvalorata dalle tradizioni mitologiche sul
l'Eracle fenicio, che si immola volontariamente sul rogo e ottiene in
89
seguito uno status divino. Un documento importante su questo evento
il c.d. vaso di Sidone pubblicato da Barnett
3
, che ci ha trasmesso ve
rosimilmente la sequenza delle fasi del rito che si svolgeva in te
giori. Le quattro scene rappresentano infatti la cremazione di Melqart
sul rogo (primo giorno); i funerali e il seppellimento del personaggio,
insieme alle lamentazioni e ai riti funebri compiuti d una r
(Astate) e dal re (all'indomani della morte, secondo giorno); l'egersis
di Melqat che ha la sua epifania post morte m all'interno del suo tem
pio, all'alba del terzo giorno. Anche se il senso dell'iscrizione sul
vaso, bel kr, (signore della forace ?) incerto3, l'oggetto
costituisce una fonte di primaria importanza su questo rito e le
tradizioni soggiacenti.
Vi sono dunque vari elementi importanti che fanno allusione con
insistenza alla stessa tradizione: i dati sul culto di Melqart a Gades, in
Spagna
J
, l'esistenza di crdenze concerenti le vicissitudini dell'Eracle
fenicio, alle quali forse si riferisce anche la festa detta giorno del sep
pellimento della divinit nell'iscrizione fenicia di Prgi
3
, e ancora, le
espressioni derisorie della Bibbia ebraica sull' "assenza" degli di cana
nei e sulle assurde pretese del re di Tiro che si cre divino: . Si tratta
insomma di una serie imponente e omogenea di dati che, anche se non
tutti allo stesso livello di sicurezza, rappresentano nell'insieme una d
cumentazione impressionante e univoca, che ben si armonizza, in pi,
con gli altri elementi concernenti Eshmun e Adonis, contribuendo a di
segnare una tadizione coerente anche se con varianti locali.
*
* *
Nel mito ugaritico del re Kirta, i fgli del protagonista, un sovrano
malato che sta per morire, si chiedono con angoscia e incredulit se il
re loro padre, ritenuto pari a un dio, fnir per morire come i comuni
mortali:
Ecco, padre, proprio come i mortali tu morirai?( ... )
Come si potr dire che Kirta fglio di El,
prole del Misericordioso-e-Santo?
Ahim, gli di muoiono?
La prole del Misericordioso non vivr?
(KTU 1.16 II 41-44).
90
A questa drammatica domanda la religione siro-palestinese ha cer
cato di d una sua originale risposta con uno sforzo notevole, sul
piano rituale e, pi generalmente, cultuale. Nelle tradizioni di que
st'area, come si visto, il re delle origini, antenato mitico della dina
stia, protagonista di una sorte insieme tragica e privilegiata, una
morte drammatica seguita dall'elevazione al rango divino, proprio
come vari eroi della mitologia greca: non certo casuale che Eracle e
Asclepio, identifcati rispettivamente con Melqart e Eshmun, siano i
soli di della religione greca di origine umana.
Morto come uomo, il re mitico raggiunge il suo status divino g
zie ad un passaggio in una nuova dimensione di forza e di vitalit otte
nuta dal calore (del fuoco). Proprio come il suo modello umano, il
Baal poliade sar al contempo garante della salvezza degli uomini, della
fecondit, della fertilit, del commercio, della navigazione, dell'espan
sione coloniale, in breve, del benessere del paese in tutte le sue forme
e manifestazioni.
Si pi volte accennato al fatto che l'ideologia soggiacente a
queste tradizioni a onda le proprie radici nella cultura siro-palestinese
del III-II millennio, da Ebla a Ugarit, con il suo culto degli antenati, i
Rapiuma. Nel I millennio, forse, i modelli rappresentati d Aqhat e
Krta non corrispondevano pi alle esigenze contemporanee, ma il
nucleo ideologico di fondo resta comunque ben percepibile. Eshmun,
da un lato, sviluppa gli aspetti di guaritore in armonia con la humus
dell'epoca ellenistica, la crisi dell'individuo e dei culti uficiali;
Melqart, d'altro lato, mostra una personalit pi complessa poich
passa a esprimere i valori dell'identit nazionale senza che un aspetto
prevalga sull'altro.
Che resta, a questo punto, del binomio more-resurrezione presente
nella teoria di Frazer e nelle interpretazioni modere orientate in tal
senso? A mio avviso, "more" deve essere in questo caso interpretata
come la fne della vita per un eroe del mito, in un senso fondamental
mente biologico rapportabile all'esperienza del comune mortale: di qui
il seppellimento, la tomba, il culto funerario. Non questione qui d
resurrezione in senso stretto del termine, poich si tratta di un passag
gio verso un'altra dimensione del tutto diversa che implica la conquista
di nuovi poteri positivi per gli uomini, le cui implicazioni non riguar-
91
dano che la dimensione umana (e, naturalmente, le modalit della
morte).
Il "risveglio" implica dunque un ristabilimento di energie sospese o
esaurite, una reintegrazione totale della forza vitale che consente a
colui che sta per "diventare dio" di acquistare delle capacit staordinarie
d'intervento nel cosmo.
La vittoria di Baal su Mot e i sui poteri della morte, cantata dagli
antichi miti di Ugarit, lungi dall'essere stata dimenticata, continuava
dunque a fornire qualche speranza agli uomini del I millennio a. C.
N01
I Per una introduzione generale divulgativa su Ugarit si rinvia a P. Xella,
Dossier Ugarit, Archeo XVI/4, 182, 2000, pp. 53-87; pi tecnico W.G.E.
Watson- N. Wyatt (edd.), Handbook of Ugaritic Studies, Leiden 1999. L
migliore introduzione archeologica quella di M. Yon, L cit d'Ougarit
sur le tell de Ras Shamr, Paris 1977. Testi in traslitterazione: M. Dietrich
-O. Loretz - I. Sanmartfn, The Cuneiform Alphabetic Texts from Ugarit,
Ras lbn Hani and Other Places, Miinster 1995 (= abbr. KTU).
2 I nomi delle divinit e dei vari personaggi ugaritici vengono qui citati
nella loro forma pi comune e convenzionale, Baal, El, Mot, Anat, Sha
pash, etc., anzich nella grafia "scientifica" ma meno popolare (Ba<a!u,
Ilu, Motu, <Anatu, SapSu, etc.).
3 Di questi ultimi in ogni caso non rimasta alcuna traccia ma, data
l'epoca, ben difficilmente essi potevano contenere testi redatti nella
"nuova" scrittura cuneiforme alfabetica.
4 Versione breve: K 1.4. VIII, margine della tavoletta; cf. anche K
1.16 VI, margine; versione lunga: KTU 1.6 VI 54-58.
5 Temi trattati, tra l'altro, in P. Xella, Gli antenati di Dio, Verona 1982; s i
veda anche K. van der Toor - B. Becking - P.W. van der Horst (edd.),
Dictionar of Deities and Demons in the Bible, Leiden 19992; su Asherah,
cf. P. Merlo, L dea A. \er, Roma 1998.
6 Come dice testualmente lo stesso Mot in KTU 1.6 V 18b-19c, apportando
una fondamentale aggiunta al precedente passaggio che descrive il suo
massacro da parte di Anat in cui manca la menzione del "mare". Questo ap
pare un elemento di dissonahza rispetto al quadro "agrario" della distru
zione di Mot, di cui va tenuto il debito conto, cf. infra.
92
7 In KTU 1.12 abbiamo una prima parte mitologica (l l - II 55a: probabil
mente una versione abbreviata e mancante del finale di un pi ampio rac
conto) e una seconda rituale (Il 55b-61). Il destino di Baal strettamente
legato a quello dell'acqua, e questo testo va forse posto in correlazione con
il "ciclo di Baal", cf. M. Dietrich - O. Loretz, Studien zu den ugaritischen
Texten-1. Mythos und Ritual, Miinster 2000.
8 Cf. pi tardi !'egersis di Melqart, infr.
9 Cf. il contributo di P. Pisi in questo stesso volume.
1
0
J
.
Z
. Smith, "Dying and Rising Gods", in M. Eliade (ed.), The Encyclo
pedia of Religion, 4, New York 1987, pp. 521-527; cf. anche id., Drudger
Divine. On the Comparison of Early Christianities a the Religions of
Lte Antiquity, London 1988, p. 85ss. Le lacune testuali non impediscono
di comprendere il senso di fondo, cf. supra.
11
Cf. ad esempio T.N.D. Mettinger, "The "Dying and Rising God". A Sur
vey of Research from Fraer to the Present Day", Svensk Exegetisk Ars
bok, 63, 1998, pp. 111-123.
12
M.S. Smith, "'e Death of "Dying and Rising Go" in the Biblica!
World. An Uptodate, with Special Reference to Baal in the Baal Cycle",
S
J
OT, 11, 1997, pp. 257-313 (cf. le critiche fondate di G. del Olmo Lete,
"El Ciclo de Baal revisado", AuOr, 14, 1996, pp. 269-277). E' ben difficile
accettare la teoria paradossale di M.S. Smith secondo cui il re, anzich le
garsi attraverso il mito al destino del dio, si riterrebbe ab aetero di natura
divina e proietterebbe su Baal tale condizione. Si opererebbe cos un ribal
tamento dei rapporti tra mito-rito-realt storica che senza paralleli nella
Storia delle religioni. Dal momento che l'ideologia veicolata dal mito ri
fette in ogni caso (anche se variamente, in una dialettica dalla molte facce
e direzioni), la Storia delle religioni mostra che si tratta comunque di un
processo tendenzialmente opposto a quello supposto d Smith. A livello
mitico si postula un modello al quale ci si sforza di conformarsi parteci
pando (variamente) ai privilegi divini anche attraverso il rito, e non vice
versa. Il destino dei Rapiuma ugaritici, pur privilegiato rispetto a quello
dei comuni mortali, non pu paragonarsi alla condizione divina, a cui fa al
lusione tra l'altro la dea Anat nel celebre episodio (KTU 1.17 VI 16 ss.) i n
cui offre a Aqhat l'immortalit (una vita come quella di Baal!) i n cambio del
suo arco.
13 Cf. infra.
93
14 Cf. P. Xella, "Eschmun von Sidon. Dr phtnizische Asklepios", in M.
Dietrich - O. Loretz (edd.), Mesopotamica - Ugaritica - Biblica. Fs. K Ber
gerhof, Kevelaer/Neukirchen-Vluyn 1993, pp. 480-498.
15 Dam., Vita Isidori Reliquiae, ed. Cl. Zintzen, Hildesheim 1967, fr. 348,
p. 283 (= Photh., Biblioth., 302, in Migne, SG 103 col. 1304 s.).
1
6
Cos W.W.G. Baudissin Adonis und Esmun, Leipzig 1911, p. 339ss.
17 Secondo la definizione di H. Hepding, Attis. Seine Mythen u sein
Kult, Giessen 1903, p. 98ss. Secondo Ph. Borgeaud, L Mre des dieux. De
Cyble l Vierge Marie, Paris 1996, p. 203, n. l, si tratterebbe d una
"variante orientalizzante" del mito di Attis. Su Attis, cf. il contributo di
M.G. Lancellotti in questo stesso volume.
18 P. Xella, "Etimologie antiche del teonimo fenicio Eshmoun", Atti del
Sodalizio Glottologico Milanese, 29, 1988 (=1991), pp. 145-151. Il teo
nimo Eshmun deriva dalla radice *Smn <<essere grasso (= sano, bello).
1
9 Il lavoro di riferimento resta quello di M. Edsman, lgnis divinus. L feu
comme moyen d rajeunissement et d'immortalit: contes, lgendes,
mythes et rites, Lund 1949. L teoria ippocratica del "calore innato"
(mphyton thermon) pu avere influenzato in parte il testo di Damascio,
cf. E. Lipinski, "Eshmun, "Healer"", AION, 23, 1973, pp. 161-183, p.
168 ss.
20 Dato confermato da Filone di Biblo, apud Eus., P.E. I IO, 38: l'Asclepio
fenicio era l'ottavo figlio di Sydyk. L tradizione che considera Eshmun
come ottavo dei Cabiri confermata forse d una moneta di Berito
dell'epoca di Elagabalo, sulla quale figurano otto personaggi, uno dei quali
potrebbe essere teoricamente Eshmun, dati in P. Xella, op. cit. (nota 14),
p. 149.
2
1
Cf. C. Bonnet- P. Xella, "Les inscriptions phniciennes d Bodashtart
roi de Si don", in Scritti in onore di Antonia Ciasca, in stampa.
22
Cf. R. Stucky, Tribune d'Echmoun, Base! 1984; id., "Il santuario di
Eshmun a Sidone e gli inizi dell'ellenizzazione in Fenicia", Scienze del
l'antichit, 5, 1991, pp. 461-482.
23 M. Liverani, "Partire sul carro, per il deserto", AION, 32, 1972, pp.
403-415-
24 Il testo pu interpretarsi in modo diverso: la dea invoca Peana ovvero,
come io credo pi probabile, chiama il giovane Peana; si ricordi che paion
un epiteto di Asclepio e di Dioniso.
94
25 Cf. P. Merlo- P. Xella, "Da Erwin Rohde ai Rapiuma ugaritici. Antece
denti vicino-orientali degli eroi greci?", in S. Ribichini -M. Rocchi -P.
Xella (edd.), L questione delle influenze vicino-orientali sulla religione
greca. Stato degli studi e prospettive di ricerca (Atti del Congresso di
Roma, 19-2115/1999), in stampa.
2
6
La definizione di "eroe-dio" proposta per Eshmun, Melqart e Adonis d
S. Ribichini si rivela appropriata, cf. id., Poenus advena. Gli di fenici e
l'interpretazione classica, Roma 1985, p. 43ss. (cap.: "L'eroe divino"). L
dimensione ctonia del culto di Eshmun potrebbe trovare un indizio nel to
ponimo libanese (nei dintorni di Beirt) qahr mun, cio "tomba
d'(E)shmun", cf. S. Wild, Libanesische Ortsnamen, Beyrouth 1973, pp.
202-203.
27 Oltre alla morfologia del personaggio, anche la probabile etimologia
del suo nome non lascia intravedere particolari nessi con i processi della
natura, ma riguarda precisamente il benessere fisico, la salute degli uomini,
d cui il carattere di Eshmun di guaritore dai mali che si afferma pro
gressivamente.
28 C. Bonnet, Melqart. Cultes et mythes de l'Hrcls tyrien en Mditerr
ne, Leuven-Namur 1988.
29 Eus., P.E., I 10, 18 et 27. Cf. S. Ribichini, "Le origini della citt santa.
Biblo nei miti della tradizione classica", in. AA.VV., Biblo. Un citt e la
su cultura, Roma 1994, pp. 215-230, in particolare. su Malkandros i n
Plutarco, De fs. et O s., 15-16, 357 A-C.
30 Oltre allo studio pionieristico di. Lipinski, "La fte d
l'ensevelissement et d la rsurrection d Melqart", in Actes d la XV/le
RA/, Ham-sur-Heure 1970, pp. 30-58, cf. la discussione dettagliata in C.
Bonnet, op. cit., p. 104ss.; pi recentemente, cf. H.-P. Miiller, "Sterbende
und auferstehende Gotter? Eine Skizze", in Fs. Jenni (= Theologische
Zeitschrift, 53), 1997, pp. 74-82; id., "Unterweltsfahrt und To des
Fruchtbarkeitsgottes", in R. Albertz (ed.), Religion und Gesellschaft,
Miinster 1997, pp. 1-13.
3 1 Notizia di Menandro di Efeso.
3
2
Ch. Clermont-Ganneau, "L'gersis d'Hrakls et le Rveil des dieux", i n
id., Recueil d'Archologie Orientale Vl, Paris 1921, pp. 149-166. Ve
anche C. Bonnet, op. cit., p. 34 ss.
95
33
Cf. tra l'altro le voci egeiro, egersis, in H. Balz -G. Schneider (edd. ),
Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament, l, Stuttgart 19922, coli.
899-910 (J. Kremer).
34
Cf. i lavori di H.-P. Miiller citati supra, nota 30.
35
R. D. Barnett, "Ezekiel and Tyre". Eretz-Israel, 9, 1969 (= Albright Me
moria! Volume), pp. 6-13; cf. in seguito le analisi di E. Lipinski, op. ci t. ,
p. 43 ss. e di C. Bonnet, op. cit., p. 78ss.
36
Status quaestionis in J. Hoftijzer - K. Jongeling, Dictionar of the
North-W est Semitic Jnscriptions, Leiden 1995,vol. I, s. v. kq, p. 534.
37
Bonnet, op. cit., p. 203ss.
38
Recente messa a punto in S. Ribichini -P. Xella, L religione fenicia e
punica in Italia, Roma 1994, pp. 127-136.
39
I Re 18, 20-40 (cf. anche Gius. Fl., Ant. Jud. VIII, 8, l ss.) e Ezechiele
28, 1-19.
40
E' ormai tempo di interrogarsi a fondo su certi presupposti della teoria
evemerista, certo legata ad una specifica visione del mondo, ma anche fe
dele, in certa misura, a una tradizione storica secondo cui gli di cittadini
fenici sarebbero stati in un lontano passato uomini di rango reale.
96
LA SCOMPARSA DI ADONIS
SERGIO RmiCH!NI
l. Amore e morte
Ecco che spira, o Citera, il tenero Adonis! Che cosa faremo? l
Battetevi il petto, fanciulle, e strappate le vostre tuniche!. I due versi,
attribuiti alla poetessa Saffo di Lesbo\ racchiudono e insieme riassu
mono gli elementi essenziali del culto di Adonis nella Grecia antica.
Ci sono, anzitutto, i due protagonisti del mito: da un lato Afrodite, qui
invocata con l'epiteto che ne ricordava la nascita sulle rive dell'isola
di Citera; dall'altro Adonis, il suo tenero e giovane amante, sempre
descritto come bellissimo e desiderabile e sempre pianto per la sua
troppo breve esistenza, spezzata, in un incidente di caccia, dalle zanne
di un cinghiale, nel quale, secondo varie testimonianze, s'era trasfor
mato il dio Ares, geloso di quell'amore. C' poi il lamento delle don
ne, che piangono la morte di Adonis e che sono le protagoniste del rito
col quale si commemorava la fne del giovane.
"Adonie" si chiamavano in Grecia tali celebrazioni, che Saffo te
stimonia per la citt di Lesbo nel VII secolo a. C. e che altri scrittori
documentano per l'Atene della met del V secolo. Qui le feste di
Adonis si celebravano d'estate, in forma privata, senza sacerdoti o
templi; le Adonie ateniesi, pi precisamente, si svolgevano in abita
zioni private e avevano le donne come attrici in primo piano. Secondo
le fonti dell'epoca2, erano soprattutto cortigiane e concubine, che si ri
univano di notte; recavano alla festa piccole figurine del giovane
amante d'Afrodite, banchettavano, bevevano e danzavano allegra
mente con i loro compagni; poi s'abbandonavano a manifestazioni di
lutto, con grida e lamenti sulle terrazze delle case. Le partecipanti pre
paravano inoltre, per l'occasione, piccoli vasi di coccio, nei quali se
minavano grano, orzo, lattuga e finocchio, )asciandoli crescere per po
chi giorni; poi, durante le Adonie, le donne esponevano quei
"giardinetti di Adonis" sui tetti, alla calura cocente del sole estivo che
subito li faceva seccare.
N eli' Atene del V secolo a. C. le Adoni e presentavano dunque
un'atmosfera insieme allegra e luttuosa: con quei momenti di gioia le
97
donne ateniesi ricordavano l'amore di Adonis e di Afodite; con quei
pianti gridati, con quelle piantagioni forzate ed effimere esse richia
mavano invece alla memoria la morte acerba di Adonis, troppo presto
strappato ali' amore della sua dea.
A volere quelle celebrazioni, del resto, era stata la stessa Afrodite,
per consolarsi in tal modo della perdita dell'amato. Come avevano
fatto molti altri eroi, narravano i miti, Adonis aveva voluto affontare
un cinghiale; preso per dai giochi d'amore, trascurata l'educazione
ali' arte venatoria, egli era del tutto impreparato a quella prova. Invano
peraltro, secondo Ovidio (nato nel 43 a. C.), la sua divina amante
l'aveva messo in guardia sui pericoli della caccia e gli aveva suggerito
d'inseguire soltanto animali innocui, evitando le bestie che non fuggo
no davanti al cacciatore: lei lontana, con i cani che all'improvviso se
guono la traccia di un cinghiale e spingono la belva davanti a lui,
l' Adonis di Ovidio quasi costretto al confronto e subito rimane feri
to. Ecco: l'eroe trema e cerca un riparo, ma il cinghiale l'insegue,
l'azzanna, lo lascia moribondo, immerso nel proprio sangue. Accorre
Afodite, ma non pu fare altro che ricevere l'ultimo sospiro di Ado
nis, gridare il proprio dolore e accusare la sorte: "No", dice la dea nei
versi del poeta latino, "non di tutto il destino potr disporre. Un ri
cordo del mio dolore, rimarr in eterno: la scena della tua morte, Ado
nis, periodicamente rappresentata, ricorder ogni anno i miei pianti; e
il tuo sangue sar mutato in un fiore. Che mai: se un giorno a Persefo
ne fu permesso di trasformare il corpo di una donna in una pianta di
menta odorosa, perch io dovrei essere rimproverata se concedo a
questo eroe una nuova forma?". E a quelle parole la dea versa sul
sangue del morto un nettare profumato; quello al contatto comincia a
spumeggiare, come nel fango si formano sotto la pioggia bolle iride
scenti. Un'ora non passa che dal sangue spunta un fore dello stesso
colore, simile a quello del melograno che nasconde i suoi grani sotto
una duttile scorza'.
Adonis, dunque, era una vittima, per i Greci che celebravano le sue
feste: ucciso dal cinghiale, ma anche dall'amore di Afrodite4, che lo
aveva tenuto lontano da altre e pi concrete occupazioni e che aveva
suscitato l'odio di Ares, geloso di quell'unione. Cos, bellissimo cac
ciatore fallito, Adonis era considerato ormai morto, defunto, scom
parso, confinato per sempre nel mondo degli Inferi, come accadeva
peraltro genericamente a tutti gli eroi greci, passati nell'aldil dopo
una vita di memorabili imprese.
98
Al regno dei morti, del resto, e a quell'esistenza strettamente vin
colata ali' amore di Afrodite, Adonis era in un certo senso abituato fin
dalla nascita, giacch, ancora neonato, era stato consegnato a Perse
fone, la regina degli Inferi. I miti raccontavano infatti5 che egli fosse
stato il figlio di un re orientale o cipriota, nato dall'amore incestuoso
con la principessa sua figlia. Costei aveva osato offendere Afodite,
che l'aveva punita con un'insana passione per il proprio genitore. Con
la complicit della nutrice e nell'oscurit della notte, la fanciulla era
riuscita a giacere pi volte col padre; poi, scoperta, era fuggita davanti
a lui pronto ad ucciderla. Gli di, pietosi, avevano accolto la richiesta
d'aiuto della fanciulla ormai gravida e l'avevano trasformata nell' al
bero della mirra; a tempo debito, la corteccia s'era aperta, per lasciar
uscire il frutto di quell'incesto. Cos era nato Adonis, subito profumato
con le lacrime della mirra, quasi "imbalsamato" con quella resina che
s'usava per i cadaveri. Adonis, prosegue il mito, era cos bello che A
frodite lo volle tutto per s; per evitae altri sguardi e ulteriori atten
zioni divine su quel bambino, la dea lo racchiuse anzi in una cassa,
che consegn a Persefone. Questa per apr il baule e viste le grazie di
Adonis si rifiut di restituirlo ad Afrodite. Non c'era modo di scioglie
re la disputa tra le dee, su quel bambino conteso; intervenne infne Ze
us, che decise: Adonis doveva trascorrere la terza parte dell'anno con
Persefone, un'alta con Afodite, mentre era libero di decidere per il
tempo rimanente. Ma Adonis ofr anche questo ad Afodite.
Due parti dell'anno con la dea dell'amore, un terzo con la regina
dei morti: con l'esistenza cos divisa, Adonis apparteneva alla schiera6
di quegli esseri mortali dei miti greci che da vivi avevano potuto far
ritorno dagli Inferi. La sua alternante presenza nell'oltretomba era
dunque un'eccezione e al tempo stesso un preludio: ai morti egli ap
parteneva da sempre, anche se, ancor vivo, periodicamente tornava a
stare con Afrodite. Il mitografo Apollodoro, che registra nel I sec. d.
C. il mito con le sue varianti, sembra ben conscio di questo aspetto,
annotando, dopo la soluzione della contesa tra Afrodite e Persefone,
che in seguito, poi, Adonis mor, ucciso dal cinghiale. Stando ai
racconti greci, insomma, l'alternante scomparsa e il periodico ritoro
del bellissimo eroe, bench caratteristici di una sorte privilegiata, non
erano successivi alla sua morte, bens l'avevano preceduta.
Adonis morto, perito, defunto, deplora del resto un Idillio at
tribuito a Bione (fne II sec. a. C} lo piangono gli Amorini, i monti, i
boschi e le sorgenti; lo piange soprattutto Afrodite, che lo bacia e si
99
lamenta: Ecco che sfuggi lontano, o beli' Adonis, te ne vai ali' Ache
ronte, presso un sovrano orribile e duro; e io infelice vivo. Sono dea:
non ti posso seguire. In epoca ellenistica s'indicava anche la sua
tomba, tra i boschi del monte Libano e presso il fume che portava il
suo stesso nome8 Ancora in et cristiana Agostino (IV-V sec. d. C. )9
scriveva che i riti sacri a Venere celebravano con lamentazioni il suo
amato Adonis, ucciso dal cinghiale. All'inizio del V secolo un altro
Padre della Chiesa, Girolamo, annotava scandalizzato che perfno Be
tlemme accoglieva il pianto per l'amato di Venere, nella grotta in cui
il Cristo neonato aveva vagito1; pi o meno nello stesso periodo, in
fine, Ammiano Marcellino11 interpretava come un triste presagio i lu
gubri pianti che si levavano da ogni pate della citt di Antiochia, nella
Siria del IV sec. d. C., per la festa annuale ivi celebrata secondo
l'antico rito, in onore del compagno della dea, ucciso dalla zanna del
cinghiale.
Lo stesso Ovidio, del resto, che di Adonis ben conosceva il mito e
le celebrazioni, non registra altro modo di sopravvivenza, per il gio
vane esanime a terra nel proprio sangue, che la "memoria" annuale nel
rito. Per il poeta, anzi, Afrodite s'era pur posta il problema, ma lo ave
va risolto non gi richiamando Adonis alla vita, bens, come s' visto,
con la celebrazione periodica della sua festa e con la metamorfosi del
sangue in un anemone, fiore rosso e bello, ma anche di vita breve, co
me l'eroe: fissato male, fragile e troppo leggero, esso rapidamente
cade, strappato dal vento cui deve anche il nome 1
Certo, questo panorama deriva da una messe d'informazioni di
verse tra loro per natura e per epoca; ma queste sono tutte relative alle
diverse varianti che circolavano nel mondo antico sulla morte di Ado
nis e che, nel loro insieme, costituivano lo sfondo per la celebrazione
delle sue feste. Queste, per concludere, commemoravano gli amori di
Adonis, periodicamente tornato a stare con Afrodite, e unitamente ri
cordavano la fine di quella dolce passione, replicando l'affizione della
dea per la perdita del giovane amato: v'erano cos momenti di gioia, in
riti sfrenati; e poi, a chiusura, momenti di grande tristezza, con grida e
lamenti, per ricordare l'eroe ferito a morte dal cinghiale. Celebrare le
Adonie vuoi dire piangere Adonis, attestano con precisione vari les
sicografi greci'\ spiegando in tal modo il contenuto della festa e sotto
lineando l'importanza che aveva in essa il lamento rituale per l'eroe
defunto.
10
2. Oltre la vit
Morte celebre, insomma, quella di Adonis, per i Greci che raccon
tavano la sua fne e celebravano le sue feste; ma anche morte inglo
riosa, che di certo non si proponeva a modello n aveva valore salvi
fico o signifcati cosmologici per i devoti che la ricordavano. Adonis
non si sacrifica per nessuno: solo un cacciatore cacciato; e l' alter
nante ritorno sulla terra, sempre secondo il mito, a nulla serve se non a
restituire un bellissimo (e apparentemente passivo) compagno alla dea
dell'amore. Di Adonis nell'oltretomba, per altro verso, non sono con
servate notizie particolari che ne glorifchino la fgura o ne esaltino il
ruolo accanto a Persefone. Solo un'espressione proverbiale ricordava
come "sciocca" la risposta che lui aveva dato a chi gli aveva chiesto
cosa avesse lasciato di pi bello sulla terra: Il sole, la luna, i fchi e le
mele14
Sembra chiaro in breve che, per la tradizione classica, di Adonis,
finita la sua breve esistenza terrena nel lontano tempo del mito, altro
non rimaneva che una labile memoria; il suo rituale ritorno, al mo
mento delle Adonie, era cos funzionale soltanto alla celebrazione del
rimpianto della dea per la scomparsa dell'amato giovane.
Altri luoghi, in altre epoche, sono ancora teatro delle solennit per
Adonis nel mondo antico, ripetendo l'immagine di un eroe defunto ma
anche proponendo un diverso modo di festeggiarlo.
Il poeta Teocrito testimone ad esempio delle Adonie celebrate ad
Alessandria, nell'Egitto del III secolo a. C.'5 Qui la festa si svolgeva
nella reggia di Arsinoe, sposa di Tolomeo Filadelfo, e ci presentata
come uno spettacolo, con coro e attori, dinanzi alle immagini dei due
protagonisti del mito, Adonis e Afrodite, uniti sotto un chiosco di
piante. Si portavano frutta, i "giardinetti" in cesti d'argento, profumi
di Siria in ampolle dorate, dolci di farina impastata con olio e miele in
fgure d'animali; una solista cantava Adonis, restituito ad Afrodite di
sei mesi in sei mesi. Nel giorno conclusivo, poi, un corteo funebre ac
compagnava la statua di Adonis al mare e sulla riva le partecipanti
salutavano lo scomparso. L'inno di commiato era anche un appunta
mento per la festivit dell'anno successivo: Sii a noi propizio, Ado
nis, e propizio il nuovo anno ritorna. Caro giungesti e caro sarai, Ado
nis, quando tornerai!. Anche qui, come nella Grecia d'epoca arcaica
o classica, la festa sembra svolgersi al di fuori del culto pubblico e ha
come partecipanti privilegiate le donne; si osservino per contro,
101
l'ambientazione ufficiale nel palazzo reale, i diversi contenuti della
celebrazione e la differente divisione del tempo che Adonis trascorre
con Afrodite e con Persefone (sei mesi con ciascuna). Nel generale
contesto dell'Idillio teocriteo sembra anche evidente una certa confu
sione tra il ritorno periodico del giovane durante la sua vita (nel mito)
e la sua sorte dopo la morte (con un ritorno ciclico al momento della
festa). Solo tu, dolce Adonis, unico tra i semidi, alterni la vita tra
l'Acheronte e la terra. Tanto non ottenne Agamennone, n Aiace fu
rente, n Ettore, n Pirro o gli altri eroi della guerra di Troia.
Sempre nel III secolo a. C., nella stessa Atene, alcuni Ciprioti del
tiaso dell'Afrodite siriana celebravano le feste di Adonis in modo au
tonomo ed originale16, distinguendo, verosimilmente, il personaggio
celebrato dalle donne ateniesi sui tetti da quello al quale, con lo stesso
nome, essi rivolgevano il proprio culto. Per Cipro, del resto, Pausania
attesta nel II sec. d. C. l'esistenza di un antico santuario di Adonis e
di Afrodite nella citt di Amatunte, dove evidentemente la venera
zione di quell' Adonis s'inseriva nel culto pubblico. Stefano di Bisan
zio dichiara poi che in questa stessa antichissima citt si onorava
Adonis in quanto Osiride, il quale, bench egiziano, era stato fatto pro
prio dai Ciprioti e dai Fenici17 V arie e brevi informazioni, raccolte
soprattutto dai lessicografi, testimoniano inoltre che Adonis era vene
rato sull'isola e altrove con varie denominazioni/identificazioni:
Gauas, ad esempio, spiegato con un riferimento al suo stato di morte;
oppure Eoies o Aoios, che era anche il nome di un fiume cipriota; poi
Kirris o Kyris e Pygmaion; e ancora Abobas (a Perge); Gingras (dai
flauti usati dai Fenici per la sua lamentazione); infine Itaios e Phe
rekles18. Il dossier del fglio (dell'albero) di Mirra, evidentemente, era
ricco di varianti non sempre tra loro conciliabili.
Di una certa variet nello svolgimento dei riti per Adonis in altri
luoghi, e conseguentemente dell'esistenza di diverse interpretazioni
del racconto relativo alla sua morte, nonch di differenti valutazioni
circa la sua natura sovrumana, sono del resto testimoni, con pi detta
gli, altri scrittori, in altre epoche.
Biblo, una delle principali citt della Fenicia, era ad esempio teatro
nel II secolo d. C. di grandi feste annuali, sulle quali siamo bene in
formati dal resoconto che ne ha lasciato l'autore del trattato Sulla dea
Siria, attribuito a Luciano di Samosata. A Biblo, diversamente da
quanto avveniva molti secoli prima ad Atene, la festa delle Adonie
coinvolgeva tutta la regione e si celebrava nel santuario di Afrodite; i
102
momenti di gioia seguivano quelli di tristezza, con evidente riferi
mento a una diversa esposizione del mito; le donne erano qui ancora
protagoniste di primo piano, ma con il sacrificio della propria bel
lezza; il segnale per la festa, infine, giungeva a Biblo da fatti prodi
giosi, che portentosamente ogni anno si ripetevano.
Gli abitanti di Biblo, stando a questo resoconto che conviene riper
correre nella sua interezza, raccontavano che Adonis fosse morto non
lontano dalla citt, sul monte Libano; in ricordo di tale accadimento
essi ogni anno facevano la lamentazione, celebravano orgie e facevano
gran lutto in tutta la contrada. Quando hanno cessato di battersi il
petto e di piangere - continua il testo - essi celebrano dapprima i fune
rali di Adonis, come se fosse morto; poi, il giorno seguente, essi rac
contano che egli vive e lo portano all'aria aperta [verosimilmente con
una processione; ma la frase si pu tradurre anche: essi lo fanno salire
al cielo]. Essi, inoltre, si radono il capo come fanno gli Egiziani per la
morte di Apis. Le donne che non vogliono tagliarsi i capelli, si libe
rano dall'obbligo con un'ammenda che cos raccolgono: per un intero
giorno esse devono essere disponibili a trarre profitto dalla propria
bellezza; il luogo dove si trovano accessibile soltanto agli stranieri e
il denaro che si procurano in tal modo diventa una offerta per Afro
dite. Taluni abitanti di Biblo credono che Osiride sia sepolto presso di
loro e che tutti questi lutti e queste feste siano celebrate non per Ado
nis ma per Osiride. E posso anche spiegare perch propongano
quest'interpretazione degna di fede. Ogni anno una pignatta arriva
dall'Egitto a Biblo galleggiando sulle onde e traversando in sette gior
ni il mare. In questo divino viaggio sono i venti a portarla ed ve
ramente un prodigio miracoloso: essa non cambia mai percorso e sem
pre prende terra a Biblo; avviene ogni anno ed accaduto anche quan
do ero l e io ho visto l'evento. Nel territorio di Biblo si pu ammirare
anche un altro prodigio. C' un fiume che scendendo dal monte Liba
no19 scorre fino al mare; a tale fiume hanno dato il nome di Adonis.
Ora, ogni anno il fiume s'insanguina e perdendo la sua colorazione
originale crea tra le onde una larga chiazza rossastra e segnala agli
abitanti di Biblo il momento per il lutto rituale. E raccontano che in
quei giorni Adonis ferito sul Libano e che il suo sangue, giungendo
all'acqua, d al fiume il colore e il nome che porta. Cos almeno riferi
sce la maggior parte; ma uno di loro, sincero all'apparenza, mi ha dato
un'altra spiegazione del fenomeno, dicendo cos: "Il fiume Adonis, o
straniero, attraversa il monte Libano dove la terra molto rossa. I
103
venti violenti che si levano in questi giorni, trasportano nel fiume que
sta terra, dando ad esso il colore del sangue". Tale fu la spiegazione
che quello mi dette; e sebbene parlasse con spirito di verit, a me que
sta coincidenza del vento parve non meno prodigiosa.
Due, come si vede, sono i momenti fondamentali della festa di
Adonis a Biblo: una cerimonia funebre, con lamentazioni e un sacrifi
cio come quelli che si fanno a un morto; poi (verosimilmente) una
processione, che scorta all'aria aperta un Adonis considerato vivente.
Le donne non preparano i giardinetti di Adonis, ma si dedicano
(almeno una parte di loro) a una prostituzione considerata alternativa
al rito di lutto. C' poi una certa confusione con Osiride, che fa di que
sto Adonis un grande dio, al centro della venerazione e perfino della
toponomastica, giacch tutto il territorio (monte, boschi, fiume) per
cos dire segnato dal mito di Adonis; perfino il tempo, con i suoi pro
digiosi accadimenti (arrossamento del fume, arrivo della pignatta), ri
percorre la sua vicenda. Sembra soprattutto chiaro, nella festa di Bi
bio, che il momento gioioso non precede ma segue i riti di luttoa: co
munque s'interpreti la frase relativa, essa infatti parla a favore di un
Adonis inteso quale personaggio glorioso, evidentemente vincitore
sulla morte, diverso dall'eroe pianto in Grecia.
Tale, del resto, Adonis si mostra negli scritti di vari autori cristiani,
che parlano di un suo periodico "ritorno" dalla morte alla vita, o an
che, pi espressamente, di "resurrezione". Girolamo ad esempio,
commentando il passo biblico in cui il profeta Ezechiele ricorda le
donne che piangevano Tammuz sulla soglia del tempio di Gerusa
lemme, scrive: Coloro che parlano l'ebraico e il siriaco chiamano
Tammuz quello che noi chiamiamo Adonis, e raccontano la storia
dell'amante di Venere, bellissimo giovane, ucciso nel mese di giugno,
che poi torn a vivere. Essi chiamano con quel nome (Tammuz) lo
stesso mese di giugno e celebrano la sua festa annuale, nella quale le
donne lo piangono come se fosse morto e poi lo cantano e celebrano
come se fosse risorto 2 Cirillo, vescovo di Alessandria nel IV sec. d.
C., attesta invece che ancora al suo tempo, nei templi di Alessandria,
si recitava la scena del pianto di Afrodite per la morte del giovane e
quella della gioia divina per l'avvenuto "ritrovamento" di Adonis
nell'Ade. La concatenazione degli avvenimenti nel suo resoconto del
mito diverge, rispetto a quelli sopra riferiti, in pi particolari che in
vece richiamano i racconti orientali su Tammuz. Per Cirillo, infatti, il
neonato Adonis fu abbandonato sui monti dalla madre perch frutto di
10
un incesto; raccolto e allevato dalle ninfe, crebbe e si esercit diligen
temente e con successo nella caccia. Era per bellissimo: da qui il de
siderio di Afrodite ma anche la gelosia di Ares, il quale, per toglier di
mezzo il concorrente, si tramut in cinghiale e in quella forma uccise
Adonis. Afrodite dapprima fece il lutto per lui, poi os scendere negli
Inferi per riavere Adonis, al quale, nel frattempo, s'era per interessata
anche Persefone, che rifiut di restituirlo: insieme, infine, le due dee
s'accordarono per dividersi Adonis a tempi alterni. La festa pertanto,
ad avviso del vescovo alessandrino, dapprima coinvolgeva i devoti nel
lutto divino per la morte di Adonis, e quindi li faceva partecipi
dell'esultanza della dea tornata dall'oltretomba con la notizia dell' av
venuto ritrovamento dell'amato7
Eccoci insomma di fronte a un Adonis orientale "risorto" o "ritro
vato", che ben poco mostra d'avere in comune con quello della Grecia
d'epoche arcaica e classica e perfino con l' Adonis di Teocrito. Un
Adonis che confonde la propria personalit con quella di altri per
sonaggi del tempo del mito o del culto pubblico: quella di Osiris e di
Tammuz, in primo luogo, ma anche, verosimilmente, con quella di va
ri personaggi locali, soprattutto ciprioti, che l'identificano con vari
nomi. Si tratta di un mutamento nella storia di un medesimo culto o
piuttosto di un diverso modo di venerare personaggi diversi, sia pure
simili e con lo stesso nome?
3. L'orientle Adonis
Nella geografia dei miti greci, la vicenda di Adonis ha varie collo
cazioni: Cipro, dapprima, che lo vede figlio di un mitico re dell'isola;
poi l'Assiria, intesa come generica indicazione del mondo vicino
orientale, e ancora la Persia, l'Arabia, la Siria e quindi, pi precisa
mente ma anche pi tardivamente, la regione di Biblo, in Fenicia, che
per Strabone e altri scrittori d'epoca bizantina era addirittura "consa
crata" ad Adonis2 Tale collocazione orientale del mito risponde evi
dentemente al ruolo dell'Oriente nei miti greci, e non di per s ele
mento sufficiente a garantire l'origine orientale del personaggio e dei
suoi miti. Immaginando la vicenda di Adonis, in altri termini, i Greci
l'hanno volutamente collocata in quel mitico mondo orientale nel
quale situavano molti degli elementi caratteristici del racconto:
l'incesto, la mirra, la discendenza regale, l'atteggiamento subordinato
105
rispetto alla dea, e cos via. In questa linea interpretativa si spiega an
che l'origine del nome dell'eroe greco, ricalcato sull'epiteto Adon,
Signore, che tipico di molte divinit dei popoli semitici e pi in
particolare di varie figure sovrumane della religione fenicia. Lo con
ferma anche una glossa di Esichio, che osserva: Adonis per i Fenici
vuoi dire Signore:. Non mancano, a dire il vero, tentativi di legare il
nome greco a una precisa divinit orientale; nonostante gli sforzi di
molti studiosi, risulta per difficile stabilire un solo "antenato" orien
tale, o pi propriamente fenicio, per l'eroe greco; o quanto meno la
documentazione epigrafica e letteraria di cui disponiamo non consente
tale identificazione, n per Biblo n per altri centri fenici o vicino
orientali. Del resto, come s' visto, nel mondo antico si conoscevano
varie "interpretazioni" di Adonis, che ci dicono della ricchezza di per
sonalit sovrumane o non umane mascherate dietro quell'epiteto/nome
proprio; ed anche ormai chiaramente stabilito che nel quadro dei
culti fenici varie divinit cittadine, eredi dei caratteri del Baal cananeo,
erano venerate quali protagoniste, nel tempo del mito, di un'avventura
di morte e di ritorno alla vita2
L' Adonis immaginato dai Greci, in definitiva, pi che rappresen
tare un dio fenicio particolare, interpretava al modo ellenico (cio co
me un eroe defunto) un modello di essere sovrumano della tradizione
siro-palestinese, concepito come un antico principe terreno, protago
nista di una passione che ne aveva altres stabilito l'accoglimento tra
gli antenati regali divinizzati. L' Adonis di Biblo, in questa prospettiva,
cos diverso dall'eroe greco e facilmente confuso con Osiride nel reso
conto dello pseudo-Luciano, altro non doveva essere che l'erede del
culto di un Baal locale, celebrato secondo la tradizione cananea come
un dio vincitore sulla morte e come tale "interpretato" nel nome e
nella vicenda di Adonis. Lo stesso testo, d'altro canto, precisa che so
no gli abitanti di Biblo ad affermare che l'incidente della caccia al
cinghiale ebbe luogo nel loro paese e che, al contempo, alcuni fra di
loro interpretavano in modo diverso tutta la celebrazione, riferendola
al dio egiziano sepolto presso di loro. Nelle vesti e nel rango di una
divinit, col proprio tempio, infine, Adonis si trova venerato, nel Il
sec. d. C., a Dura Europos, sull'Eufrate, dove il suo culto era proba
bilmente collegato a quello della dea Atargatis.
106
4. Letture antiche di Adonis
Nel vocabolario greco, Adonis aveva vari significati, che trascura
vano l'origine semitica del nome per sottolineare altri valori. Era an
zitutto sinonimo di amante e di piacere: Mio profumo, mio piacevole
Adonis, dice ad esempio una cortigiana al suo compagno
nell'Antologia Patatina Aristeneto lo vede come il desiderio delle
etre; Fulgenzio lo collega al termine dolcezza; varie altre spiega
zioni etimologiche lo accostano poi a termini come piacere o a verbi
come rallegrarsi, godere>/', oppure al cantare, specie in riferi
mento al triste rito della lamentazione". L'alterante presenza di Ado
nis sulla terra serviva inolte a spiegare perch avessero lo stesso no
me un uccello2, che spariva e tornava come faceva l'eroe, oppure un
pesce, l'esoceto, capace di uscire e di vivere fuori dall'acqua:. La
metamorfosi in anemone del sangue di Adonis morto, parimenti, giu
stifcava l'uso del suo stesso nome per indicare quel fragile fiore. In
fine, i racconti che situavano la morte dell'eroe tra le piante di lattuga'1
erano chiamati in causa ger dare significato a un'erba, con lo stesso
nome, considerata nociva .
Giochi ed equivoci dei filologi antichi, si dir, e almeno in parte a
ragione, dal momento che la derivazione del nome dall'appellativo
semitico quella pi convincente, sul piano storico. E tuttavia tali
spiegazioni etimologiche documentano la ricchezza d'interpretazioni
che circolavano su Adonis e sulla sua sofferta vicenda. Gli analisti dei
miti e dei riti, del resto, non furono da meno, decifrando la morte e
l'alternante presenza dell'eroe, gli effimeri giardinetti preparati dalle
sue devote, il pianto e la gioia delle sue feste come simboli d'altre
realt, quando ancora quei racconti e quelle celebrazioni appartene
vano alla coscienza comune.
Origene, ad esempio, riassume cos l'interpretazione che se ne da
va nel II secolo d. C.: Il dio che i Greci chiamano Adonis, Ebrei e Si
ri lo chiamano Tammuz. Sembra che ogni anno si svolgano certe ce
rimonie sacre, in cui dapprima lo si piange come se avesse cessato di
vivere e poi ci si rallegra per lui come se fosse resuscitato. Ma coloro
che sono esperti nell'interpretazione dei miti greci e di quella che
chiamano teologia mitica, sostengono che Adonis sia il simbolo dei
frutti della terra che vengono pianti quando si seminano, ma che
spuntano e procurano gioia ai contadini quando nascono". Su questa
linea interpretativa si colloca parimenti il filosofo Porfirio, nel III sec.
107
d. C. 3: Attis e Adonis hanno un rapporto analogo con la raccolta dei
campi [a quelli che hanno con le piante sia Kore sia Dioniso]; ma Attis
simboleggia i fiori che appaiono a primavera e cadono prima di dare
frutto (da qui deriva l'evirazione che gli si attribuisce), mentre Adonis
esprime la raccolta dei frutti giunti a maturazione. Anche Girolamo
parla in ta senso, scrivendo che l'uccisione e la resurrezione di Ado
nis ricordate col pianto e col successivo gaudio, rafguravano il ciclo
vegetativo, con le sementi che muoiono in terra e poi rinascono nelle
messi. Per lui, oltretutto, i "giardinetti" di Adonis erano il simbolo dei
piaceri e delle glorie di questo mondo, che, come la lussuria, celer
mente trascorrono3 A conferma di queste letture dei miti e dei riti di
Adonis c' anche un inno orfico3, nel quale i fedeli l'invocano in que
sti termini: Adonis talora spento talora luminoso, che favorisci la ve
getazione. ( ... )Tu che sei caduto preda dei desideri di Persefone dalle
belle trecce, tu che abiti in parte sotto il Tartaro triste e di gi ritorni in
frutti maturi verso l'Olimpo, vieni o felice e porta ai tuoi misti i frutti
della terra. Macrobio3 poi testimone nel V sec. d. C. di un processo
di "solarizzazione" del personaggio, che ebbe un certo successo nel
quadro dei sincretismi dell'antichit tardiva3; per lui Adonis non
altro che il sole, come anche il greco Apollo, il frigio Attis e l'egiziano
Osiride: Gli Assiri o i Fenici che rappresentano Venere in lutto quan
do il sole entra nell'emisfero inferiore e i giorni sono meno lunghi,
credono che essa sia in lacrime come se avesse perduto il sole, rapito
da una morte temporanea e trattenuto da Proserpina, dea che raffigura
l'emisfero inferiore. E diversamente si crede che Adonis ridato a
Venere, quando il sole comincia a percorrere l'emisfero celeste e i
giorni si allungano. Se poi s' attribuita a un cinghiale la morte di
Adonis, perch questo animale, dalle setole rizzate e dure, simboleg
gia l'inverno e si nutre delle ghiande, futti propri di quella stagione.
Ve nere che piange raffigura anche la terra durante l'inverno, coperta
di nubi, priva del sole; quando il sole oltrepassa i confini
dell'equinozio di primavera e prolunga la durata dei giorni, allora Ve
nere gaia e bella, le spighe crescono nei campi, l'erba nei prati, le
foglie sugli alberi.
Nessun dubbio, insomma, che nei primi secoli d. C. Adonis fosse
avvertito come un demone della vegetazione: ma, per l'appunto, cos
era nell'antichit tardiva e non lecito estendere tale interpretazione
alle epoche precedenti. Anche l' Adonis venerato dagli Ateniesi del V
sec. a. C., per vero, s'iscriveva in un contesto di tipo agrario, ricono-
108
scibile soprattutto nei celebri giardinetti. E tuttavia questo Adonis non
poteva essere una figura della vegetazione; era anzi esattamente il
contrario. Da Platone nel V sec. a. C. a Simplicio nel VI d. C.:, gli
antichi Greci considerarono queste colture come esempio di una anti
agricoltura, come l'opposto della buona coltivazione nella terra disso
data, dove lentamente maturano le sementi. Forzati a crescere in pochi
giorni e subito lasciati seccare, essi evocavano piuttosto la morte pre
matura del giovane adolescente, tanto da divenire un'immagine pro
verbiale dell'effimero e dello sterile. Anche sul piano del mito, la na
scita di Adonis da Mirra e la sua morte tra i vegetali corrispondono pi
ai valori delle specifiche piante coinvolte che non al simbolismo di
uno spirito della vegetazione: nato tra la fragranza dell'albero della
mirra (aroma dei cadaveri), Adonis muore tra le piante di lattuga\
emblema proverbiale d'impotenza4, mentre il sangue si muta nel fiore
che a primavera precede la maturazione dei cereali. Non si pu del re
sto trascurare che gli episodi salienti dell'esistenza di Adonis sono le
gati piuttosto al mondo della caccia (dalla corteccia aperta da un cin
ghiale per farlo nascere alla zanna della belva che lo ferisce a morte),
bench l'importanza dell'arte venatoria nella sua vita sia strettamente
collegata alla sua incapacit di uscirne vincitore. Per la sua qualit di
cacciatore fallito, isolato in una relazione amorosa fuori dalla norma,
Adonis rappresentava cos per i Greci il mondo degli esclusi dalla so
ciet degli uomini adulti, sedentari e coltivatori, che vivevano anche di
caccia, secondo le buone regole, ma soprattutto di agricoltura e dei
valori da questa rappresentati.
Cacciatore fallito, "Signore" orientale, simbolo della primavera o
dei frutti maturi, amante o piuttosto amato, eroe o invece dio, lamen
tato perch morto oppure glorificato perch tornato alla vita; un fiore,
un pesce, un uccello, un principe mai salito sul trono: Adonis tutto
questo, ma in tempi e modi diversi. Di fatto, la sua figura e la storia
del suo culto sembrano resistere a ogni interpretazione unificante; in
ogni luogo, in ogni epoca, occorre precisare contesti storici, valori re
ligiosi e perfino motivazioni che giustifichino la menzione della sua
"scomparsa": dall'ironia dei commediografi di Atene per i pianti delle
donne sui tetti, fino al giudizio sferzante dei cristiani sul "ritrova
mento" di un amante perduto, esempio classico, ai loro occhi, della
vana morte degli di dei pagani.
109
NOT
l Sapph., fr. 140 Lobel-Page.
Soprattutto Aristofane (Lis., 387-97), che ironizza sulla dissolutezza delle
donne che, ubriache, gridavano e piangevano Adonis sui tetti di Atene; ma cf.
anche Alciphr., Epist., IV 10, 14 e 17, e Plut., Aie, XVIII 4-5, 20 C.
Cf. Ov., Met., X 705-37. Sulla trasformazione del sangue in un anemone
concordano con Ovidio vari mitografi; cf. ad es. Schol. in Theocr., V 92 per
Nic. Col., fr. 65 Schneider. Lact. Plac., Narr. Fab., X 12; Hyg., Fab., 58 e altri
parlano invece della metamorfosi in una rosa o, pi semplicemente, della colo
ritura di un fore che prima era bianco.
Per Cosm. Hier., Ad car. S. Greg. Naz . 65, Adonis vittima della propria
bellezza; muore a causa dell'amore di Afrodite per lo Schol. in Dion. Per.,
50.
Si segue qui il racconto lasciato da Paniassi (fr. 25 Kinkel), conservato da
Apoll., Bibl., III 14, 3-4; vedere inoltre Ant. Lib., 34; Ov., Met., X 503ss.;
Hyg., Fab., 58. I genitori hanno i nomi di Teias e Smyma o anche quelli di
Kinyras e Myrha; la nascita collocata generalmente a Cipro, ma anche al
trove in Oriente. Varianti riguardano anche il momento della nascita: per Ant.
Lib., 34, 4, ad es., la madre lo genera prematuramente, quando viene scoperta
dal padre/amante, mentre per Serv., in V erg. Aen., V 72, il padre che spacca
la corteccia dell'albero nel quale si trasformata la figlia incinta e secondo
un'altra versione (Serv., in Verg. Ecl., X 18) un cinghiale a svolgere tale
compito.
Assai ridotta, per vero: cf. Hyg., Fab., 251, che cita gli esempi di personaggi
discesi da vivi negli Inferi cui era stata concessa la facolt di torare sulla ter
ra. Per ps.-Clem., Recogn., X 25, il siriano Adonis venerato come un dio, pur
essendo stato uomo e pur essendo defunto, al pari dell'egiziano Osiride, degli
eroi troiani Ettore, Achille, Patroclo, e di Alessandro il Macedone.
Cf. Bion., Epit. Adon., I 50ss.
Schol. in Dion. Per., 50; Lyc., Alex., 828-33: qui Adonis ha il nome cipriota
di Gauas.
Cf. Aug., Civ. Dei, VI 7.
Cf. Hier., Ep., LVIII 3; cf. anche Paul. Noi., Ep., XXXI 3.
\
Cf. Amm. Mare., XIX l , Il; XXII 9, 14-15.
Cf. Ov., Met., X 737-39.
110
1
3 Cf. ad es. Zon., Lex., s. v. Adonian agoren; Hesych., a 1227 e vedi anche
Men., Sa., 31-37; Phot., s. v. Adonia
14 Il proverbio in questione era pi stupido dell' Adonis di Praxilla, potessa
di Sicione che aveva narato l'episodio di Adonis interogato nell'oltretomba,
ed riferito da vari scrittori (cf. ad es. ps.-Plut., Cent., II 18; Apost., VIII 53;
Diog., V 12; Zen., IV 21) con il commento: E' scioco infatti mettere insie
me sole e fchi.
15 Cf. Teocr., XV (Le Siracusane>> ).
16
I dati provengono da un'iscrizione del Pireo, IG 112 1261 = SIG
2
108.
17 Cf. Paus., IX 41, 2-3; St. Byz., s.v. Amthous.
18
Cf. ad es. Kiris (An. Ox., II, p. 228; EM, 515,14-17: nome di un pesce e di
Adonis presso i Ciprioti; Hesych., K 2769 e 4681); Gingris l Gingras (Ath., IV
174 F; Poli., IV 76 dai fauti usati dai Fenici per la lamentazione di Adonis;
Eust., ad Hor., 1157), Abobas (EM, 4,53; Hesych., o 234), Aoios (fume di
Cipro e nome di Adonis e dei re dell'isola per !'EM, 117,33-44), Eoie
(Hesych., T 652: nome usato da Paniassi); Itaios (Hesych., l 1077), Pygmaion
(Hesych., r 4281), Pherekles (Hesych., 4 303); Gauas (Schol. in Lyc. Alex.,
831: fglio del re cipriota Kinyras, padre di Priapo da Afrodite).
19 Dove Adonis e Afrodite si erano uniti per la prima e l'ultima volta, secondo
EM, 175, 5-9.
2
0
La notizia del messaggio che prodigiosamente arrivava per mare dall'Egitto
fino a Biblo, con l'invito a porre termine al lutto si trova (confermata o utiliz
zata) anche in Cyr. Al., in fs., XVIII 1-2.
2
1
Cf. Hier., in Ez . VIII 14.
22
Cf. Cyr. Al., in fs., XVIII 1-2. Afrodite scende negli Inferi per riavere Ado
nis ucciso dal cinghiale anche in Joh. Damasc., Bari. et Joas., XXVII 248. Ci
rillo seguito anche da Proc. Gaz., in fs., XVIII 1-7.
2
3 Cf. Str., XVI 2,18, seguito da Eust., Corr. in Dion. Per., 912.
2
4 Cf. Hesych., o 1229. Cic., Nat. deor., III 23, 59 conosce una Venere/Astarte
concepita (d)a Tiro e sposa di Adonis.
25 Cf., in questo stesso volume, il contributo di P. Xella.
26
Si deve valorizzare in questo senso la glossa dell' Etrologicur Magnur
(117, 33-44) che spiega il termine Aoios a questo modo: nome di un fume a
Cipro. Ao, infatti, il nome di Adonis e da lui lo ebbro i re di Cipro (ecc)>>.
2
7 Cf. Anth. Pal., V 113; Aristaen., I 8; Fulg., Myth., III 8; Schol. in Hor. I.,
111
V 203; Mythogr., l 200; II 34 e III 11, 17.

`
Cf. ad es. E M, 19, 9-15 e 17; Hesych., 1227.
Cf. ad es. Clearch., fr. 101; Catuli., XXIX 6-8; E M, 19, 16; Hesych.,
1226.
Cf. ad es. Hesych., 1229, 3991; Opp., Hai., I 155-67; Plin., NH, IX 70.
Qui, secondo alcune varianti (ad es. Com. Nat., Mythol., V 16; Hesych.,
1231 ), Afrodite aveva adagiato Adonis morente.
Cf. ad es. E M, 19, 16; Hesych., 1226. Cf. anche Nic., fr. 120 Schneider.
Cf. Orig., Sei. in Ez., VIII 14. Cf. anche Amm. Mare., XIX l, 11: simula
crum essefrugum adultarum religiones mysticae docent.
Citato da Eusebio di Cesarea (P.E., III 12).
Cf. Hier., in Ez., VIII 14; in fs., LXV 3.
Cf. Orph. Hymni , 56, da Pergamo, II sec. d.C.
Macr., Sat., I 21.

`
Un'interpretazione stagionale del mito di Adonis raccolta anche da Gio
vanni Lido nel VI sec. d. C. (De mens., IV 64-65: Afrodite la primavera,
Ares il mese di marzo, Adonis con cui la dea si congiunge maggio) e nei
mitografi vaticani (ythogr., III Il , 17). Associazioni sincretistiche con altri
personaggi sono poi testimoniate da Aus., Ep. 48; Hippol., Haer., V 9, 7-8 e
altri scrittori dell'antichit tardiva.
Cf. Plat., Phaedr., 276 B eschol.; Simpl., in Arist. Phys., VIII 4.
Cf. ad es. Zon., Lx. s. v. Adonideioi kepoi; Diog., l 14; Plut., De sera num.
vind., 17,560 B-0.
Cf. Com. Nat., Mythol., V 16; Hesych., 1231.
Cf. Cali., fr. 478 Pfeiffer; poich Afrodite vi aveva adagiato Adonis, le lat
tughe erano cibo di morti, un <<mangiar cadaveri)) per Eub., fr. 14 Kock.
112
BIBLIOGRAFIA SELETTIV A
I primi studi moderni sul personaggio risalgono al lavoro di J.G.
Frazer, Adonis, Attis, Osiris. The Golden Bough, Londra 1914 e al suo
successivo Adonis. tude de religions orienta/es compares, Paris
1921, dove l'eroe viene chiamato a svolgere una parte importante
nella costruzione della categoria del "dio che muore e risorge", in
sieme ad Attis e a Osiris. Qualche anno dopo comparve lo studio
sull' Adonis orientale di W.W.G. Baudissin, Adonis und Esmun. Eine
Untersuchung zur Geschichte des Glaubens an Auferstehungsgotter
und an Heilgotter, Leipzig 1911. Ha raccolto tutto il materiale classico
W. Atallah, Adonis dans la littrature et l'art grecs, Paris 1966. La
documentazione iconografica stata poi ripresa e ben presentata da B.
Soyez nella voce "Adonis" del Lexicon lconographicum Mythologiae
Classicae (1, pp. 222-29); la stessa studiosa l'autrice di Byblos et la
fete des Adonies, Leiden 1977. Sui giardini ha scritto anche G.J. Bau
dy, Adonisgirten. Studien zur antiken Samensymbolik, Frankfurt 1986.
A M. Detienne (Les jardins d'Adonis. L mythologie des aromates en
Grce, 2a ed., Paris 1989) si deve una lettura dei miti e dei riti di Ado
nis, in chiave di contrapposizione ai miti e al culto di Demetra, dea
dell'agricoltura. Da G. Piccaluga ("Adonis, i cacciatori falliti e
l'avvento dell'agricoltura", in B. Gentili - G. Paione [edd.], I mito
greco, Roma 1977, pp. 33-48) venuta invece un'accurata analisi de
gli aspetti fallimentari della caccia di Adonis. Chi scrive ha esaminato
gli aspetti orientali del personaggio (S. Ribichini, Adonis. Aspetti
"orientali" di un mito greco, Roma 1981) e poi curato gli "Atti" di un
convegno internazionale (Adonis. Relazioni del Colloquio in Roma,
22-23 maggio 1981, Roma 1984). Su Adonis come esempio peculiare
di una tipologia storico-religiosa centrata sulla teoria degli "di in vi
cenda", si vedano gli studi di U. Bianchi, in particolare "I "precedenti"
di Adonis", Studi tardo-antichi, 2, 1986 = Hestfasis. Studi di tard an
tichit oferti a S. Calderone, pp. 293-313; id., "Repetita mortis imago
e rituale di vita inestinguibile. Il caso di Adonis", in AA.VV., Filolo
gia e forme letterarie. Studi oferti a Francesco della Corte, V, Urbino
1989, pp. 121-36. I legami con Biblo, nel mito e nel culto, sono esa
minati dai contributi di P. Xella e S. Ribichini nel volume di AA.VV.,
Biblo. Una citt e la sua cultura (=Collezione di Studi Fenici, 34),
113
Roma 1994. La bibliografia pi recente su Adonis comprende: J.J.
Winkler, The Constraints of Desire. The Anthropology of Sex and
Gender in Ancient Greece, New York - London 1990; J.Z. Smith,
Drudger Divine. On the Comparison of Early Christianities and the
Religions of Late Antiquity, Chicago 1990; M. Barra Bagnasco, "Il
culto di Adone a Locri Epizefiri", Ostraca, 3, 1994, pp. 231-43; E. Li
pinski, Dieux et desses de l'univers phnicien et punique, Leuven
1995; J.D. Reed, "The Sexuality of Adonis", Classical Antiquity, 14,
1995, pp. 317-4 7; E. W ili, "Adonis chez l es Grecs avant Alexandre",
Transeuphratne, 12, 1996, pp. 65-72; M. Torelli, "Le Adonie di Gra
visca. Archeologia di una festa", in F. Gauthier - D. Briquel (edd.),
Les Etrusques, !es plus religieux des hommes. Actes du Colloque in
temational (Paris, 17-19 novembre 1992), Paris 1997, pp. 233-91; H.
P. Miiller, "Sterbenden und auferstehende Vegetationsgotter? Eine
Skizze", Theologische Zeitschrift, 53, 1997 = Veritas Hebraica. Alt
testamentliche Studien, Fs. fir E. Jenni zum 70. Geburtstag, pp. 74-
82; id., "Unterweltsfahrt und Tod des Fruchtsbarkeitsgottes", in R.
Albertz (ed.), Religion und Gesellschaf. Studien zu ihrer Wechselbe
ziehung in den Kulturen des Antiken Vorderen Orients, l , Keve
laer/NeukirchenVluyn 1997, pp. 1-13; M.S. Smith, "The Death of
"Dying and Rising Gods" in the Biblica! World. An Update, with Spe
cial Reference to Baal in the Baal Cycle", SJOT, 12, 1998, pp. 257-
213; T.N.D. Mettinger, "The 'Dying and Rising God'. A Survey of
Research from Frazer to the Present Day", Svensk Exegetisck Arsbok,
63, 1998, pp. 111-23.
114
ATTIS
Il caro estinto
MARIA GRAZIA LANCELLOTI
Ma pi saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le fali
Tue stirpi non crdesti
O dal fato o da te fatte immorali
(G. Leopardi, L ginestra o il fiore del deserto)
Nelle tradizioni mitico-rituali relative ad Attis', la morte un tema
centale che accompagna e caratterizza il personaggio dalle primissime
attestazioni fino alle pi tarde rielaborazioni. Tale tema si presenta tut
tavia con formulazioni e implicazioni divere tanto sul piano mitico
che su quello rituale a seconda delle epohe e dei luoghi di culto. Ap
pare quindi necessario proe a un'analisi storica della doumenta
zione mirante a distinguere, per quanto possibile, le diverse fasi e le
varie motivazioni ideologiche che hanno di volta in volta influito sulle
trasformazioni del personaggio, rendendolo "funzionale" alle spcifche
esigenze delle culture in cui nato e/o stato accolto.
l. Il mito
L'analisi della doumentazione relativa a Attis stata pofonda
mente influenzata dalla distinzione oprata da H. Heping2 sulla base
delle testimonianze letterarie classiche, fra una versione defnita "figia"
e una versione defnita "lidia" del mito pr la loro ambientazione, e
da qui che conviene prendere le mosse. Nella prima "versione" il tratto
caratterizzante sarebbe la morte del personaggio a seguito dell' autoevi
razione, nella seconda la sua uccisione ad opera di un cinghiale.
La versione "frigia" del mito di Attis ha come autori di riferimento,
in ordine cronologico, Ovidio, Pausania e Arnobio.
Nel racconto di Ovidio' Attis un giovanetto frigio di staordinaia
bellezza che, amato castamente dalla Madre degli di, si consacra a lei
115
giurandole etera fedelt, ma la tadisce poi con la ninfa arborea Sagari
tis, con conseguenze tragiche per i due amanti. La ninfa soccombe in
fatti sotto i colpi inferti dalla dea al suo albro, mentre Attis impazzito
fnisce con l'evirars{
Pausania\ d parte sva. riporta la storia defnendola un racconto
indigeno (epichorikos logos) che si narrava a Pessinunte. Durante il
sonno Zeus ha un'emissione seminale che cade sulla terra fecondan
dola. Ne nasce un daimon chiamato Agdistis provvisto di organi ses
suali sia maschili che femminili. Gli di spaventati lo evirano. Dal
membro spunta un mandorlo carico di frutti: una figlia del fiume San
gario ne coglie uno e se lo pone sul grembo, il frutto scompare e la
fanciulla incinta. Il bimbo che nasce viene esposto, ma si salva ga
zie alle cure di un capro. Man mano che cresce egli si rivela di una bl
lezza senza pari e Agdistis se ne innamora. Giunto all'et delle nozze,
Attis viene inviato dai parenti a Pessinunte afnch sposi la figlia del
re. Proprio mentre s sta intonando il canto nuziale compare Agdistis
che provoca la pazzia negli astanti: in particolare Attis, in pa alla
mania, si evira6 seguito dal suocero. Agdistis si pente di ci che h
fatto ad Attis e chiede a Zeus che il corpo del giovane non imputidisca
n deperisca.
Secondo la versione di Aobio\ infine, in Frigia sarebb esistita
una roccia enorme chiamata dagli abitanti del luogo Agdus. Pietre
prese da essa, secondo l'oracolo di Temis, erano state gettate d Du
calione e Pyrrha sulla terra, allora priva di mortali; d questa roccia f
formata anche la Grande Madre, poi animata divinamente (divinitus).
Mente questa dormiva quietamente sulla sommit della roccia, venne
concupita incestuosamente da Giove. Avendo lottato a lungo serza ri
uscire a possederla, il dio fustato eiacul nella pietra. La pietra con
cep e nacque Agdistis, cos chiamato dal nome della madre (cio la
roccia). Questi era particolarmente violento e feroce, androgino e ani
mato d un'insana libidine. Con la sua forza staordinaria egli deva
stava tutto ci che incontava non curandosi n degli di n degli uo
mini. Gli di riunitisi si domandarono come si potesse ridurre tale vio
lenza. Alla fine l'incarico venne affidato a Liber il quale, conoscendo la
fonte alla quale era solito dissetarsi Agdistis, ne miscel l'acqua con
del vino. Bevendola, Agdistis cade in un profondo sopore. Liber gli
leg allora gli organi sessuali alle piante dei piedi cosicch al suo ri
sveglio, muovendosi, egli fin per autoevirarsi. Dalla ferita flu una
quantit immensa di sangue che imbevve la terra, d cui subito naque
116
un melograno carico di frutti. Nana, figlia del re Sangarius (o del fume
omonimo )8, prese un frutto e se lo pose nel grembo rimanendone in
cinta. Ritenendola disonorata, il padre la recluse condannandola a mo
rire di inedia. Ma la Madre degli di la sostent con mele e altri ali
menti e Nana partor un figlio. Sangarius ordin alllora che fosse
esposto, ma il bimbo riusc comunque a sopravvivere9, venendo nu
trito con latte caprino e gli fu dato il nome di Attis. Dotato di stordi
naria bllezza, egli divenne il prediletto della Madre degli di e di Agdi
stis. Quest'ultimo si present al giovane, ormai cresciuto, come un
compagno dai modi adulatori, conducendolo per selve e donandogli la
selvaggina d lui cacciata, che Attis faceva passare pr sua preda. Ma
una volta, ubriacatosi, egli confess sia l'amore di Agdistis che i suoi
doni. Allora il re di Pessinunte, Midas, desiderando allontanare il gio
vane da una tale relazione infamante, lo destin al matrimonio con sua
figlia e, affnch nulla potesse interrompere i festeggiamenti, fe
chiudere la citt. Ma la Madre degli di, che conosceva il destino
dell'adolescente e sapeva che egli sarebb stato salvo tra gli uomini
fintanto che non si fosse sposato, con la sua testa sollev le mura della
citt e vi penetr. Vi penetr anche Agdistis bruciante di rabbia e
infuse furore e insania in tutti i convitati. I Frigi in preda al panico u
larono all'apparire delle dee, la fglia della concubina di Gallus si recise
il seno e Gallus stesso si castr; Attis prese la fstula con la quae
Agdistis incitava alla follia e pieno di fria si evir sotto un pino. Con
il fluire del sangue se ne and anche la vita. La Grande Madre raccolse
le parti tagliate e le seppell avendole prima coperte e avvolte nella
veste del defunto. Dal sangue versato nacque una viola che circond il
pino. La promessa sposa, la, copr il petto del giovane senza vita con
morbida lana, lo pianse con Agdistis e infine si uccise. Il suo sangue
venne tasformato in violette purpuree. Anche la Madre degli di sparse
lacrime dalle quali spunt un mandorlo, quindi port nel suo antro il
pino sacro sotto il quale Attis si era evirato e si un alle lamentazioni
funebri di Agdistis percuotendosi il petto e camminando intoro al
tonco dell'albro. Agdistis implor poi Giove affnch Attis torasse
alla vita, ma ci non venne consentito. Il dio accord invece che il
corpo di Attis non fnisse in putredine, che i suoi capelli crscessero
sempre e che il dito pi piccolo si muovesse in eterno. Soddisfatta d
questi favori Agdistis consacr il corpo del defnto a Pessinunte e lo
onor con cerimonie annue e servizi sacerdotali.
117
Fin qui i tre racconti che costituirebbero, con altri testi minori, la
"versione figia". Come evidente, solo alcuni elementi sono comuni
ai racconti di Pausania e Arnobio che, a ben veere, diferiscono a loro
volta in alcuni tratti fondamentali d quello di Ovidio, che non pu
quindi essere considerato una semplice vaiante della versione "figia".
Un dato, in paticolare, richiama decisament l'attenzione. Mente nel
caso di Pausania e di Arobio le vicende di Attis appaono caatteriz
zate da una certa pasivit del protagonista che accetta (o addirittura su
bisce) le attenzioni di Agdistis, o di Agdistis e dlla Grande M
(come la decisione dei parenti o del re Mida di farlo sposae), nella ver
sione di Ovidio egli autore d una vera e propria trasgressione:
l'unione, non consumata secondo le alte due versioni, qui invece si
realizza ed aggravata dal giuramento di feelt alla Gande Mae pr
stato da Atts nel tempio della dea. Qui l'episodio dell'evirazione san
cisce il fatto che una fedelt esclusiva nei confonti della dea - giudicata
impossibile a mantenersi poich sempre e ovunque pu comparre una
ninfa tentatrice - possa ralizzasi solo attaverso il sacrifcio estemo
della propria virilit.
Per quanto rguarda invece le versioni d Pausania e Arnobio, c
mune ad esse l'idea che il raporto ta Agdistis e Attis sia rovinoso
per quest'ultimo nel momento in cui sta per sposasi. Conseguenza ne
l'autoevirazione che causa la morte dl personaggio, pur mitigata
pazialmente dall'incorruttibilit del suo corpo. Sembra manca del
tutto qui l'idea che il rapporto ta Agdests e Attis sia stato prima san
cito d un qualsivoglia "patto" in seguito violato d giovane1: Attis
acconsente ale nozze senza alcuna prevenzione, piuttosto Agdists a
reagire violentemente scatenando la follia che spinge il giovane al ge
sto fatalen.
L'idea di un vincolo "sacro" tra Attis e la divinit femminile non
un'esclusiva di queste versioni, ma ritorna in una serie di testi che d
scrivono Attis come il sacerdote iniziatore dei culti della Grande Madre,
che spesso paga con la morte l'assoluta dedizione alla dea. Nel Carme
CCXX del VI libro dell' Anthologia Paain (Dioscoride)12 il puro
Atys defnito curatore dl talamo (thalamepolos) di Cybele. Es
sendo riuscito a mettere in fuga un leone battendo il tamburino sacro
mentre si reca da Pessinunte a Sadi, egli promette d efa alla <
una sacra "cella" sulle sponde del fiume Sangario. Nel Carme LX d
Catullo13 Attis un giovane eviratosi in prda all'insania infusagl w
118
Cybele, che viene presentato come "cap" dei Galli, cio dei sacedoti
eunuchi della dea. Il li dio Attis come istitutore del culto di Rhea presso
Lidi, Frigi e Samotraci rcordato dallo pseudo-Luciano1 Anche E
menesiatte, secondo Pausania15, conosceva una tadizione relativa a
Attis come sacerote fondatore del culto della Grnde Madre, pur con
un cammino inverso rispetto allo pseudo-Luciano, poich si tatta d
un frigio trasferitosi in Ldia.
Secondo la versione di Servio16 Attis un bellissimo fanciullo con
sacrato alla Grande Madre; in questo caso l'evirazione e la morte sono
conseguenze del tentativo di sfuggire al r della sua citt che Io concu
pisce: infatti il giovane evira il re che, morente, lo evira a sua volta. I
saceroti della Grande Mad lo tovano agonizzante sotto un pino, lo
portano nel tempio e qui lo seppelliscono e in ricordo di questo
evento che essi si evirano.
Anche nel caso della c.d. versione "li dia" ci toviamo di fonte a te
stimonianze tutt'altro che omogeneee, dai tratti molto diferenti. Esa
miniamole

i in dettaglio.
Erooto1 narra di un certo Atys, fglio di Creso, ucciso nel corso d
una caccia al cinghiale per mano di un principe figio di nome Adraste,
figlio di Midas e nipote di Gordiesll. L'antefatto della vicenda va
cercato nel crimine commesso da Gige che, uccidendo Candaule, h
preso per s la moglie di quest'ultimo e si impossessato del rgno d
Lidia. La Pythia profetizza che tale misfatto sa vendicato sul quinto
(quao)19 discendente della stirpe mernade2 Si tatta di Creso, so
vrano dalle immense ricchezze, il quale sembra aver attirato su di s
l'ira di un dio poich si ritiene il pi felice degli uomini21 Egli p
di due fgli, uno eccellentissimo in tutto e molto amato, Atys, l'alto
invece sordomuto e non tenuto in alcun conto d pa. Un sogno
rivela a Creso che perder il figlio prdiletto a seguito di una ferita e
punta di ferro. Egli cerca allora in tutti i modi di vanifcare (o almeno
ritardare) l'avvenimento nefasto: per prima cosa fa sposae suo figlio,
poi elimina dagli appartamenti degli uomini tutte le ami pr evita
che il fglio possa accidentalmente ferirsi. Nel fattempo arva alla
corte uno staniero che chiede di essere purificato poich ha commesso
un assassinio; si tratta di Adraste, un principe figio che ha a
cidentalmente ucciso suo fratello e prtanto, spogliato delle sue prro
gative, stato esiliato dal padre. Compiuti i riti catatici, Creso lo a
coglie a corte. Una delegazione dalla Misia avverte il re che un enorme
119
cinghiale devasta i campi di quella regione e chiede un sussidio di uo
mini capitanati da Ats. Creso concede volentieri gli uomini ma rfiuta
di inviare il figlio col pretesto che impegnato d matimonio.
Venuto a conoscenza del fatto, Atys si reca dal padre e gli chiede perch
sia stato privato di quelle imprese che sono motivo di onore, cio la
caccia e la guera. Il padre gli rivela allora il sogno, ma Atys fa notae
a Creso come la caccia al cinghiale non rientri nelle azioni a rischio: si
tratta di combattere un animale e non un uomo armato. Creso si
convince, ma pone Atys sotto la protezione di Adraste; propro
quest'ultimo durante la caccia manca il bersaglio e colpisce con la sua
asta Atys, che cos ferito mortalmente. La notizia scatena le laenta
zioni del re, che comunque perdona Adraste poich rconosce in lui non
la causa ma lo strumento della morte di Atys, voluta invece d una
divinit. La narrazione si conclude con il suicidio di Adrast sulla
tomba del giovae principe.
Lo scoliaste che commenta l' Alexipharacon di Nicand2 fa d
Attis un giovane pastore frigio aato dalla Mae degli dei che lo ri
colma di onori al punto d suscitare l'invidia di Zus, che ne provoa
la morte inviandogli conto un cinghiale.
Anche per Ermenesiatte Attis un sacerdote che muore ucciso dalla
bestia selvatica inviata da Zeus e la colpa la medesima: i toppi onor
che le conferisce la Meter suscitano l 'ira della divinit. Difcile infne
l'interretzione del passo di Plutarco2 che parla di due Attis, un sirio
e un acade, entrambi uccisi da un cinghiale.
Va infine rcorata un'altra versione, a torto defnita "eveei
stca":, che non pu essere ascritt n alla tadizione "frgia" n a
quella "lidia", il racconto di Diodoro Siculo (III 58, l -59, 8). Cybele,
fglia di Maion, re di Frigia e Lidia, e di una donna chiamata Dyndi
mene, viene esposta alla nascita sul monte Cybelus. Tenuta in vita d
latte delle belve feroci, la piccola in seguito allevata d alcune donne
che pascolano le greggi e che la chiamano Cybele. Crescendo, ella r
vela doti non comuni: bellissima e virtuosa, inventa strmenti musi
cali e guasce con riti di purifcazione babini e greggi e per questo
viene chiamata "madre della montagna". Essa amata di un amore c
sto da Marsia. Nel fiore della giovinezza si innamora di un giovane dl
luogo, chiamato Attis e, unitasi a lui, concepisce un fglio. Contem
poraneamente viene riconosciuta d suoi e accolta nel palazzo; ma
quando suo pae si accorge che non pi vergine, mette a morte il
120
giovane e le nutrici e lascia i corpi insepolti. In preda al dolore Cybele
vaga per il paese accompagnata da Masia2, mentre pestilenza e castia
attanagliano la Frigia. Interrogato un dio (imprecisato) sul modo d
superare le disgazie, questi risponde che il coro di Attis deve esse
sepolto e Cyble deve essere venerata come una divinit. Poich non
pi possibile recuperare la salma del giovane, i Frigi erigono una sta
tua davanti alla quale, nel tempo opportuno, intonano lamenti fnebr
espiando cos l'ira di colui che era stato ingiustamente punito. Tali
riti, riferisce ancora Diodoro, continuano a essere pratcati anche al
suo tempo. Per quanto riguarda Cybele, nei tempi pi antichi i Frigi le
elevaono atari sui quali celebravano sacrifci annuali; successivamente
essi eressero un tempio sontuoso a Pessinunte e furono introdotti riti
magnifci di cui fu promotore il re Midas.
Le diverse tradizioni mitiche su Attis qui presentate appaono poi
ricordate o alluse in passi di ati autor e in alcuni casi reinterretate
alla luce di istanze filosofiche e rligiose che, pur acordand loro si
gnifcati "nascosti" e rileggendole in chiave allegorica o naturistica,
non ne modificano sostanzialmente le sequenze narrative.
* *
*
Come si evince da questa rapida rassegna, la morte di Attis una
costante delle tradizioni mitiche su di lui incentate anche se con dlle
significative varianti: proprio queste ultime devono essere attentaente
vagliate allo scopo di ricavare informazioni sui diversi momenti della
"storia" del personaggio.
Una fonte forse troppo trascurata pu costituire il bandolo di questa
complicata matassa. Si tratta del I libro delle Historia di Erodoto nel
quale lo storico riporta la tadizione secondo cui i pi antichi regnanti
della Li dia discendevano da Lydus, a sua volta fglio di Atys. Esistono
alte varianti della lista, in cui Atys appare sempre con piena dignit
regale. La lista riportata da Dionigi di Alicamasso2 la pi completa,
presentando la successione Zus-Masnes-Kotys-Atys-Lydus. Tai t
zioni genealogiche, e quella di Dionigi in particolare, sottolineano
come la regalit lidia, quella dei Mermnadi, discenda direttamente m
quella figia. Si potebbe anzi d che, d punto di vista dei Lidi ch
elaborarono tale lista2, Atys rappresenti l'anello di congiunzione tra la
121
regalit "frigia" e quella "lidia", in un continuum genealogico det
minato dal fatto che il potere passa d padre in fglio senza interru
zioni.
Se la versione "figia" del mito fosse la pi antica, bisognerebbe
pensare che i Lidi avessero scelto quae "pa" del loro eponimo
(Lydus) un dio castrato che muore prima di sposarsi. Ma, per quanto
paradossale possa appaire, il nome stesso di Attis, con le sue varianti
pi o meno grecizzate, signifca in figio proprio p2. Esso a
pare dunque un tratto arcaico e orginale di questo peronaggio che
permane anche in epoche successive, quando gli vengono attribuite
fnzioni addirittura opposte.
Se, come emerge dalla fonte erodotea, le prerogative regali attri
buite a Attis caraterizzano questo personaggio in una delle attesta
zioni pi antiche2, occorre allora volgere il nosto sguado alla regalit
nel mondo vicino-orientale in generale e anatolico in paticolare, allo
scopo di rintacciare suoi eventuali "precedenti"
.
A questo proposito,
va sottolineato
.
il
.

olo del r
7

io quale sommo

rdote a

ervizio
della grande diVlntt femmmile , tratto che la Fngia condivide con
alte culture del Vicino Oriente, dalla Fenicia alla Mesopotamia. Ma
particolarmente interessante notare che un importante ruolo cultuale del
re e della faiglia reale gi bene attestato proprio nel mondo ittita3\
alcuni reperti archeologici anatolici, pur di non agevole lettura,
farebbero addirittura pensare all'esistenza di quello speciale legae
rituale tra dinasta e divinit femminile che va sotto il nome d
hiergami
3

In ambito mitologico ittita il fondamento di una regalit prototi
pica basata sul conferimento del regno al monarca d parte di una divi
nit femminile si ritrova chiaramente nell'episodio di Hupaiya, ch
mostra d'altra parte interessanti analogie con alcune delle tradizioni mi
tiche relative ad Attis:. Il rapporto famiglia reale/divinit femminile
appare cosi come una sorta di filo rosso che lega l'antico mondo ittta
a quello figio. D'alta parte le testimonianze epigrafiche e archeologi
che non offono alcuna indicazione sulla prsenza di un culto, o co
munque sulla natura divina di Attis in terra frigia in epohe anteenti
alla sua comparsa in Grecia (I sec. a. C.). Attis appare invece come
un antroponimo piuttosto diffuso, anche se ripetute attestazioni in
contesti religiosi suggeriscono che si abbia a che fae con un pr
sonaggio di spicco della classe al potere, se non addirittura con il r
stesso a cui, in continuit con le tradizioni ittite, erano affidate le mas-
122
sire incombenze religiose. In seguito tale nome dovette passae a
indicare una carica sacerdotale o comunque un "agente del sacro", anche
se la natura dei culti in cui il nome di Attis (nella variante paleofrigia
Ates) coinvolto sono di difcile valutazione1 Il nome appae inciso
sul vasellame ritrovato nel tumulo D presso Bandyir, in un contesto
inequivocabilrente fnerrio". Con le strutture fnerarie apare in
rapporto anche la divinit femminile anatolica {tipo "Grande Ma")3
Una conferma del legame ta grande d e dinastia rgale figia
attestato dal monumento rupeste di Yazilikaya, altrimenti noto come
"tomba di Midas": la struttura, nella cui nicchia verosimilmente si
colloava una statua della Grande Madre, dedicata da Ates a Midas3
Come emerge dai diversi racconti ritici, non solo importante la
collocazione di Attis in Frigia, ma anche il suo stetto legame con un
luogo preciso di questa regione in cui, seondo il mito, egli muore e
viene pianto, cio Pessinunte. La tadizione pi antica relativa al culto
di Attis in questo luogo sembra quella testimoniata dal racconto d
Diooro Siculo, che stabilisce un legame tra Cybele e Attis che d
verge sia dalla versione "Iidia" che d quella "frigia"; essa si ricollega
piuttosto alla tradizione di cui testimone Erodoto, che fa di Atys un
re e, in quanto tale, oggetto di un culto particolare alla sua morte. Nel
racconto di Diodor infatti possibile riconoscere le diverse fasi d una
lotta dinastica tra il re Maion, pa di Cybele, e Attis, giovane "dl
luogo" amato dalla fanciulla, che viene ucciso. Tale evento priva la
principessa del proprio maito che , come tale, un possibile aspirante
al trono "di Frigia e Lidia" ma, soprattutto, priva il fglio nascituro dl
riconoscimento da parte del proprio padre rendendolo cos irrediabil
rente "illegittimo". La morte di Attis provoca un sovvertirento
dell'ordine cosmico che si rassester solo dopo che, attraverso una
consultazione oracolare, sa fondato un culto torbale di tipo regae
per Attis e un culto per Cybele; l'esistenza di una tomba di Attis a
Pessinunte attestata del resto anche d Pausania3 Negli eventi suc
cessivi alla morte di Attis sono presenti due teri che appaiono in con
tinuit con l'ideologia e le pratiche rituali ittite: da una parte, il sovver
tirento delle leggi naturali (peste, caestia) determinato d un assassi
nio, dall'alta la necessit di pacifcare l"'ira del moro".. Infatti, p
prio come nel racconto di Diodoro, le conseguenze che scatena un as
sassinio nella cultura ittita possono provocae veri e propri stravolgi
menti della realt per l'impurit che ne consegue e l'ordine pu essr
ripristinato solo dali' intervento della divinit 4; in altri casi l'azione ri-
123
tuale deve essere rivolta direttamente alla pacifcazione dell' assassi
nato41. Anche l'indagine oracolare, utilizzata nel rituale ittita per sco
prire le cause di particolari eventi negativi, si ritrova nel racconto c
lata nella non meglio specifcata interrogazione del dio e nella sua ri
sposta". Ancora, interessante la constatazione che, secondo i rso
conti oracolari ittiti, i morti chiamati in causa sono spesso di alta con
dizione sociale, indizio del loro coinvolgimento in lotte pr il potere,
proprio come avviene nel conflitto tra Maion e Attis, che traspare chia
ramente nel resoconto erodoteo sotto la vernice "ro-mantica" dell'amore
ostacolato; infne, degna di nota l'attestazione, sempre in ambito it
tita, della consacrazione di localit come tentativo di pacifcazione
dell'ucciso di alto lignaggio. L'alterazione dell'ordine cosmico nel rac
conto di Diodoro pu inoltre essere messa in connessione non solo con
l 'ira di Attis, ma anche con quella della stessa Cybele: l'offesa a una
dea e le sue conseguenze, il rapporto ta uccisione/peste/sterilit sono
motivi che si ritrovano tanto nel Vicino Oriente che nel mondo
geco4
La versione del mito riportata d Diodoro Siculo inserisce dunque
Attis all'interno di una lotta dinastica che si conclude con l'istituzione
di un culto tombale. Ma tanto il legame tra divinit femminile e rga
lit, quanto l'istituzione permanente di un culto funeraio legato al
monarca, appartengono gi al modello regale anatolico. Del primo si
gi detto; per quanto riguarda il secondo, il rituale relativo ai fnerali
reali ittiti pervenutoci d Boghazkoy4 attesta che la morte del re, in
quanto garante dell'unit del paese, sommo sacerdote e guardiano
dell'assetto cosmico, provoca uno sconvolgimento dell'ordine attuale
che deve essere ripristinato attraverso una corretta esecuzione dei riti
funerari. Il "grande pccato" (cio lo sconvolgimento) che colpisce il
paese avviene proprio nel momento in cui il re "diventa dio", cio
muore: la morte segna il passaggio a una dimensione diversa, quella
divina"', che per non esclude che i regnanti defunti siano considerati e
continuino a essere trattati come dei morti. Il culto dei re defunti si
modella su quello riservato alle divinit anche se, a differenza di quanto
avviene per i templi, i loro mausolei, le "Case di Pietra", sono delle
strutture "chiuse", gestite autonomamente e in
_
rado di assolvere "in
proprio" a tutte le necessit di un culto continuo .
La notizia di Diodoro sembra proprio fare riferimento a un' istitu
zione di questo tipo localizzata presso Pessinunte47 Si pu quindi ipo
tizzare con ragionevole fondatezza che il pi antico culto tributato a
124
Attis fosse relativo a un personaggio .di stirpe regale, sul tipo d
quello prestato in epoca ittita, e probabilmente ancora in epoca frigia,
ai re e principi defunti".
Agli inizi del VII secolo la prdita di indipndenza d parte della
Frigia comport la destituzione della monarchia regnante4, anche se il
centro di Pessinunte continu a mantenere un certo grado di autonomia
che port, con certezza a partire dal I sec. a. C., all'istituzione di un
"tempio-stato" governato da una casta sacerdotale al cui vertice si to
vava un sacerdote che portava il titolo sacro di "Attis". Se, come ri
tengo di avere dimostrato, a Pessinunte si tributava un culto presso
una tomba nella quale, verosimilmente, era sepolto un principe della
casa regale frigia, le vicende politiche successive incisero probabil
mente sull'ideologia soggiacente a tale culto, tasformando anche la
struttura del luogo sacro, con cambiamenti rilevanti nel sacerdozio e
nelle sue funzioni. Per quanto autonome, le antiche "Case di Pietra" it
tite mantenevano stretti rapporti con l'apparato centrale dello stato, del
quale erano esse stesse emanazioni. Il tempio-stato di Pessinunte, in
vece, pur nella continuazione delle pratiche cultuali relative alla
"tomba di Atti s", non avr pi come punto di riferimento la ormai
scomparsa monarchia frigia; fondamento della sua teocrazia sacerdotale
sar piuttosto un "nuovo" e paradossale modello dinastico, quello di un
"anti-re", basato sulla sterilit e quindi sulla non-ereditariet. E'
precisamente la c.d. versione "figia" del mito a fondar questo nuovo
modello: Attis, proprio come nel racconto di Diodoro, continua a ri
manere un personaggio "che muore", anche se qui ci avviene in con
trapposizione al modello regale tradizionale, cio senza discendenza. Il
culto tombale originariamente riservato al re defnto si tasforma cos
in un culto tombale riservato a un non-re defnto51 A partire d una
concezione del personaggio come re (si riprduce ed padre), si verifca
dunque una trasformazione che fa di questi il "tipico" sacerdote di Pes
sinunte (il quale non pu e non deve riprodursi n pu, quindi, essere
p
a
)
S2
.
In questo processo storico di riadattamento, il seppellimento di At
tis e il culto funerario a lui prestato non sono i soli elementi di conti
nuit con la preedente tradizione mitico-rituale: si conserva anche il
tema arcaico dell'amore esclusivo della dea per il giovane che, negativo
per quanto riguarda l'esistenza dell'uomo e la sua normale vita biolo
gica, permette che la morte sia la porta d'accesso alla "divinizzazione".
125
Muore il pastore Attis, sia esso re, sacerdote o entrambi, ma nasce il
dio/eroe Attis5
L'interpretazione qui proposta sembra quella che, meglio di altre -
pur nell'ipoteticit cui costringe la documentazione - rende conto abba
stanza organicamente di una serie di temi e di elementi che altrimenti
resterebbero senza adeguata spiegazione. Incerta rimarrebbe, in partico
lare, la funzione del culto di Attis nel periodo della teorazia a Pessi
nunte se non lo si immaginasse come un culto eroico-regale, pur sui
generis, fondato appunto dalla versione "frigia" del mito.
La versione "lidia" del mito di Attis, in cui il giovane muore uc
ciso d un cinghiale e che appae una complessa rielaborazione di un
pi antico "mito di caccia", sembra invece ricollegabile all'ideologia
"regale", come indicano i numerosi paralleli in area vicino-orientale. I
miti di caccia, nati all'interno di societ di cacciatori-raccoglitori, mi
rano a fondare le regole che presiedono all'attivit venatoria: la pate
della preda che compete al/alla "Signore/a degli animali", il modo cor
retto di consumare la cacciagione, i divieti o le regole che si devono
osservae per avere successo in un'attivit dalle forti connotazioni sa
crali. Nelle culture dei coltivatori sedentari tali miti possono conti
nuare a esistere, ma appaiono rifunzionalizzati per esprimere atta
verso l'antico linguaggio, nuovi contenuti 5. In questo ambito, la cac
cia - cos come avviene nella realt storica - ormai prerogativa preva
lente dei nobili, soprattutto principi e r5 Un mito di caccia, certo
profondamente rielaborato, dunque ancora rintracciabile nelle sue li
nee essenziali nell'episodio di Adraste e Atys riportato d Erodoto, e
appae nelle alte testimonianze sottoposto a ulteriori reinterpreta
zioni. Nel racconto di Erodoto esso ravvisabile sia nell'episodio della
caccia al cinghiale, sia nella contrapposizione che si delinea tra attivit
venatoria e istituto matrimoniale, che impedisce di svolgere con suc
cesso i propri doveri di cacciatore. Ali' intero del testo erodoteo il rac
conto tende piuttosto a dimostrae che occorre comportarsi con umilt
per non incorrere nella vendetta divina, accettando in ogni caso il pro
prio destinos.
Secondo la tradizione riportata dallo scoliaste di Nicandro, la pdi
lezione della Grande Madre pr Attis e la devozione di quest'ultimo p
la dea scatenano la gelosia di Zeus, che invia il cinghiale mortifero.
Qui l'episodio della caccia sembra restare in secondo piano, rimandando
piuttosto la vicenda al noto tema delle conseguenze nefaste che implica
126
il rapporto d`amoretra una divinit e un essere umano L`intervento
diZeuscostituiscelanormalizzazione"poiche sancisce la separazione
traidue livelli.untema anch`esso largamente presente in vari miti d
caccia.Ilcollegamentocon un arcaicomito di cacciatrapela piuttosto
chiaramenteanchenellatradizioneriportatadaPausania(Ermenesiatte),
incuisi raccontadiunapartecipazionediAttisaduna battuta dicaccia
dalleconseguenzetragiche.lntaletradizionetroviamoconnessiil tema
dell`attivit venatoriae quello del sacerdozio. Che si tratti di una so-
vrapposizione di due motivi diversi sembra deducibile da| particolare
cheZeus, volendo sopprimere Attis. un sacerdotesterile e quindi p|e-
sumibilmentepocovirile",creilacircostanza della cacciaalcinghiale,
certo non terreno ideale di prova pe| lui, ma adatto piuttosto ai veri
uominidistirperegale. Sihaquiprobabilmenteilrisultato diunacon-
taminazione tra il tema del principe sfortunato e quello del sacerdote
chedallaFrigiamuoveversola Lidia, entrambi presenti nel dossier d
Attis.
Se nella versione di Diooro e in quella lidia" la morte di Attis
oriina esclusVamentancmto funerario, senza che si abbiano in-
formazionvdluidoa,aellaverge___a'csiste

^
-
_ _

-
invece un segI|pJe|Iua sfortunata vicenda. Attis, dopo la morte,
mj') tegrit del coqo(Pausamacms:ai

_v
mento ddit e- fi crcsitaJcape.h(Arnobio). Tutto cio
non de.;tta v _
'
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'|_;oservazionedelcoqtconepitI1tiqropg ..
c_|i(a \_n resurre
tn. yncnycecsplicit;pn(
negatag Zeits.]amortedi_ costitisc(lnoJocydlcult
stesso. egli deve morire e il suo trapasso gli garantisce il passaggio
nell
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trasformato, nonpuo pi tomarfer(ti a QJ. _ _ui -
g, da| corpo imputrescibile dotato di minimi movimenti, testi-
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iano
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come avviene pergli altri defunti, ridotto a uno stato Iarvale, ma si
trova in una connepyqopos
mentea favo.:uc|vIvcoti, alla suegua di certi antenati o degli stessi
eroi_recu| sqotji;tcry(_onsempre cso!o bn-
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parte, co_Jito_
ci
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i
.
i
. ..
127
"rtomo", cos sembra esclusa anche una convivenza di Attis con la
dr Madre in una dimensione oltremondana. Al contario, proprio
l drideMadre, ameno nella versione di Amobio, a intodurre po
totlpicamente una serie di prassi rituali funerarie che servono ad assicu
ra adAts
una corretta sepoltura e una permanenza stabile nell'aldia.
-----
-- . ------
2. Il culto
Anche sul piano del culto appare confermata la dimensione fnebre
di Attis: innumerevoli sono le testimonianze greche e latine relative a
un rituale funerario caraterizzato da pianti e lamentazioni, il quale ri
calca il modello della lamentazione mediterranea pre-cristianar. Quest'
ultima, come noto, ha come fne il recupro della morte che da dato
naturale inaccettabile viene inserita nella sfera culturale e trasformata in
valore. Seondo le parole di De Martino, se il lamento non reso, il
morto non entra nel regno dei morti e rsta nella rischiosa condizione
di caavere vivente, che tormenta i vivi torando in modo irrelativo;
d'alta pae nel corso della lamentazione le valenze di allontanamento
si legano dialetticamente a quelle di rappropriazione, di interiozzazione
e di rapporto sul piano dei valori morali, sociali, politici, poetici e
conoscitivi 6
Un dato pressoch costante nella tradizione rituale relativa a Attis
poi il riferimento delle fonti alla Frigia come luogo in cui furono
istituite le celebrazioni di lamentazione. Lo scoliaste deli'Alexi
phrcon rifersce la versione "lidia" del mito di Attis< a fondazone
delle cerimonie primaverili dei Fri

i nelle quali il giovane viene


pianto. Il racconto di Diodoro Siculo , come s' visto, si conclude con
l'istituzione a Pessinunte di un culto tombale in onore di Attis.
Aano attesta che le celebrazioni romane relative a tale personaggio si
rifanno a una tadizione figia6, sottolineando anche l'attenzione r
tuale verso il momento doloroso della vicenda. Anche Luciano testi
monia in Frigia una lamentazione primaverile per Attis"'. Il prmaner
di tale tadizione viene doumentta per il suo tempo anche da Euse
bio". Per quanto riguarda gli autori latini, Stazio riferisce dei pianti ri
tuali delle donne figie6; Arnobio collega all'ambiente figio, e a Pes
sinunte in paticolare, tanto le vicende mitiche quanto l'istituzione
delle lamentazioni rtuali, che per egli conosce nella versione
128
"romana"; Finnico Materno riferisce infine dell'esistenza a Pessinunte
di lamentazioni annuali legate alla more di Attis6
Per quanto concere la Grecia, non vi sono prove certe che il culto
di Attis fosse legato a una cerimonia funebre. AI Pireo esisteva un
metroon che, a partire dal III secolo a. C., era gestito dall'assoiazione
cultuale degli orgeones
(
. Dei diversi decreti che ci sono pervenuti, d
sono paicolarmente interessanti. Nel primo questione dell' allesti
mento di una kline, cio un giaciglio, in entrambi gli Attei "; nel
secondo si menzionano invece due toni71 Si pensato che i due d
creti alludessero alle medesime cerimonie d cui gli Attideia costitui
vano due feste distinte oppure due fasi diverse della stessa festa
7
Quale
fosse il contesto in cui venivano utilizzati i giacigli e i troni non
dato saperlo, anche se i due aspetti fondamentali del culto figio
tributato ad Attis quello regae e quello funebre - non possono cero
essere esclusi a priori.
Sicuramente di carattere funeraio e la celebrazione d marzo a
Roma della "settimana santa" che ricordava le vicende di Attis e che,
come s' visto, gli antichi collegavano alle cerimonie frigie. Tali c
rimonie, presumibilmente praticate precedentemente in fora prvata,
furono istituzonalizzate e rese pubbliche da Claudio. Il successivo in
tervento di Antonino Pio determin un'ulteriore aticolazione della
prassi liturgica con l'istituzione del rito del taurobolio1 e della caca
sacerdotale dell' Arcigallo". In tal modo si crava la possibilit per i
cittadini romani di rivestire un'importante funzione all'intero
dell'istituto religioso metroaco e, al contempo, si enfatizzava l' impor
tanza che tale istituto rivestiva pr il benessere dell'Impratoe e delo
stato7 L'inserimento degli H/r nelle proedure rituali complet la
"settimana santa". Il calendaio di queste cerimonie, che ci proviene d
un testo tardo, relativo all'anno 365", il seguente:
Id. Mar.
XI K Apr.
IX K. Apr.
VII K Apr.
VI K. Apr.
VI K Apr.
V K. Apr.
Canna intrat
Arbor intrat
Sanguem
Hr
Requetio
Lvatio
Initium Caiani.
129
Il giorno della Canna intrat segnava l'inizio delle cerimonie e il
collegio dei Canno
p
hori era collegato a tale giorno festivo in cui, pro
babilmente, venivano ricordati la nascita, l'esposizione e il salvatag
gio del piccolo Attis sulle rive del fiume Sangario7 Di pi antica isti
tuzione e legato al fulcro dei rituali di Attis il collegio dei dro
p
hori, che si occupavano delle cerimonie relative all'introduzione
dell'albero di pino, presumibile figura di Attis morto, nel tempio d
Cybele. Si riscontra una puntuale corrispondenza tra le oprazioni
svolte durante tali cerimonie e quelle eseguite dalla Madre degli di e e
la sul corpo del defunto Attis (Arobio)'. Il giorno dell'Arbor intrat e
quindi quello delle lamentazioni per la scomparsa di Attis. Nel Dies
sanguinis invece si compiva probabilmente il cruento rito dell' autoe
virazione d parte di una speciale categoria di devoti, i Galli1, che in
questo giorno si fagellavano sanguinosamente. In un necessario sus
seguirsi di tristezza e felicit, sequenze entrambe ineludibili prch co
stituenti il senso stesso del rituale, si situano gli Hilaria, introdotti pi
tardi. Come si piange la triste sorte del giovinetto frigio (e lo piange
per prima la Madre degli di/Agdistis), cos si gioisce per la sua posi
zione particolare nel mondo dei morti (e gioisce per prima Agdistis d
questo regalo di Zeus). I giorni successivi sono dedicati al progressivo
ritorno alla normalit: dopo il riposo la statua della Grande Madre sa
immersa nel bagno purificatorio dell'Almo per essere pronta a afon
tare da sola i Megalensiaf.
Nella rapida rassegna dei momenti forti del rituale di marzo si pi
volte fatto cenno, come "modello" alla versione del mito "frigio" atte
stata da Aobio: la Madre degli di colei che per prima inaugura le
procedure fnebri attraverso una serie di gesti e comportamenti che
vengono poi eseguiti precisamente nel rituale81 Il legame tra mito e
rito stato d alcuni interpretato in termini di prototicipittipicit.
Nel mito il giovane muore miseramente, ma quella piccola parvenza d
vita costituita dalla conservazione del corpo, dalla crescita dei capelli e
dal lieve movimento del dito lo preserverebbe d un annientamento to
tale. Egli, al pari di altri personaggi, torerebb dal mondo dei morti
per le esigenze di un rito che si connette con la fecondit stagionale
che, anzi, proprio attraverso il suo ritorno viene riattivata1 Proprio il
nesso con la fertilit sembra essere tuttavia quello pi latitante nella
figura di Attis che anzi, in tutta la sua storia (per lo meno a partire
dalla versione "figia" del mito) si presenta piuttosto in termini "anti
generativi"8. Gli aspetti vegetali di Attis come segno di un rapporto
130
con la sfera della fecondit/fertilit acquistano rilievo solo pi tardi e in
ambienti "dotti", dove il suo mito e il suo rito vengono riletti alla luce
di ideologie flosofiche razionalizzanti, sia pagane che cristiane. Ma si
tratta pur sempre di una fertilit immatura e quindi ancora una volta
sterile8 D'alta parte, i due riferimenti vegetali pi evidenti nel mito
di Aobio8, il pino e la nascita delle viole, trovano una precisa cori
spondenza nel rituale romano che rimanda in entrambi i casi non gi a
una ciclicit stagionale e neppure a un pi generico legame con la ve
getazione, ma sottolineano piuttosto la natura funebre del rituale
stesso. Le conifere - il pino, il lauro, il cipresso - sono nell'antica
Roma tipici alberi funerari" e il fusto della pianta, lamentato e portato
fin dento il tempio della Grande Madre, rappresenta molto verosi
milmente Attis stesso nella sua condizione di morto, e di morto pr
sempre
!
. Lo stesso scorrere sul tronco del sangue dei Galli (che non a
caso si percuotono, tra l'altro, anche con pigne e rami di pino)" sem
bra rispondere a quelle esigenze di "nutrimento" a cui aspirano gli
anemici morti". All'albero vengono appese le bnde di lana che un
tempo la us per coprire il petto ormai esangue di Attis e esso viene
infine adornato con viole. Nel mito queste viole nascono sia dal sangue
di Attis che da quello di la, ma l'utilizzo di fiori rossi quali simboli del
sangue appartiene ad una tadizione ben pi vasta". Le viole, poi, sono
fiori tradizionalmente legati ai morti, come documenta a esempio
Ovidio nei Fasti91, a proposito delle oferte a defunti; il 22 marzo,
quello dell'aror intrt, era anche il dies violae in cui i fiori in que
stione venivano gettati sui sepolcri9 In un'iscrizione il defunto rac
comanda a parenti di onorario die natalis sui et rosationis et violae et
parentlibus
g
. Il rituale sottolinea cos, attraverso un simbolismo ine
quivocabilmente funerario a sua volta riflesso nella versione del mito
presentata d Arnobio, l'avvenuta morte di Attis e, cosa ancora pi
importante, il riconoscimento della presenza definitiva del personaggio
nell'aldil attraverso la ripetizione annuale del suo funerale.
I riti che annualmente si ripetono sulla tomba di Attis in Frigia o
presso il tempio della Madre degli di a Roma sono quindi commemo
rativi: non provocano una riattualizzazione, ma rcordno una vicenda,
non la ripetono. Certo, nell'esportazione di Attis dalla Frigia a Roma,
il personaggio e le tradizioni a esso legate, pur riprese nelle linee
fondamentali, subiscono un processo di rilettura determinato dal di
verso contesto ideologico e socio-politico, venendo cos a assolvere a
funzioni diverse. Nella terra d'origine e nelle fasi pi antiche la com-
131
memorazione riguardava un arcaico personaggio regale defnto, i riti
periodici miravano a assicurarsi la sua bnevolenza che garantiva i l
benessere del re e della nazione e, in senso pi ampio, quello cosmico,
che veniva cos priodicamente ristabilito. Tale funzione bnefca dl
personaggio prmane a Pessinunte nonostante il tapasso dalla figura
del monaca a quella del sacerdote "anti-re". A Roma tuttavia, e non
sorprendentemente, sono negati tanto l'istituto regale quanto la teoa
zia sacerdotale. Il primo ormai relegato in un passato non pi riattua
lizzabile mentre la seconda, fondata come era su norme antisociali e
antistatali (autocastrazione, sterilit), appare concepibile solo se con
fnata in un "oltre" lontano spazialmente quale pu essere, agli occhi di
un romano, la remota citt di Pessinunte9 Anche a Roma pane
comunque il legame caratteristico e caratterizzante di Attis con la
morte: la sua presenza defnitiva nell'oltretomba continua a essere,
proprio come in Frigia, connessa al benessere collettivo che, nella mu
tata situazione storica, si tova a coincidere con quello dell'Imperatore e
del cosmo che egli rappresenta nella sua interezza' . Lo stesso proesso
di cosmicizzazione di Attis, iniziatosi nei primi secoli della nosta e
e che lo tasforma in una potenza pantocratca - al di fuori delle
speculazioni reinterpretative dei filosofi - non appare in contrasto con
l'idea della sua morte, come mostano i ritrovaenti nel porto d
Ostia%.
Le celebrazioni degli Hilaria, che in epoca tarda seguono i giorni d
lutto e di laentazione pendo la Lavatio, rito conclusivo della
"settimana santa", suscitano ulteriori rifessioni sulla possibile evolu
zione delle tadizioni mtico-rituali nel senso d una "resurezione" d
Attis e, conseguentemente, dell'apertra di eventuali prospetive sote
riologiche per i suoi devoti9 Le testimonianze relative agli Hir
sono tutte posteriori al IV secolo!; esse ne sottolineano il carattere
gioioso, ma tacciono sulla prassi e sul contenuto, ofendo piuttosto
una reinterpretazione "dotta" della festa stessa. Tracce di una rielabora
zione personale presenta il racconto di Firmico Materno: la sua ver
sione del mito segue sostanzialmente quella "figia", caratterizzata dalla
morte di Attis a seguito del suo rifiuto dell'amore di Cybelew e dalla
conseguente istituzione di un culto tombale per il giovane defunto. Il
successivo parallelismo istituito ta la vicenda di Attis e la vicenda del
grano, la quale rimae un unicum, appar piuttosto un'interpretazione
di Frmico stesso: il ripetersi commemorativo delle cerimonie fnebri
in primavera doveva aver suscitato tale spculazione'0 Anche il rifer-
132
mento a una "resurrezione" di Attis sembra essere pi una interpreta
zione di Firmico che un tratto originario del culto frgio. Proprio il
verbo revivere utilizzato per Attis- che sarebb una sorta di "doppio"
del grano - rende particolamente evidente la distanza ta la
"resurezione" di questi e la resurezione di Cristo1'. I rischi che com
portano le eventuali analogie ta la vicenda di Attis e quella di Gs
vengono cos superati proprio attaverso la dimostazione che le appa
renti "somiglianze" nascondono invece un'incolmabile difereza.
D'alto canto, la stessa menzione di un culto tombale peranente a
Pessinunte implica che anche secondo la testimonianza di Firico Ma
tero, per i Frigi Atts veramente morto.
La menzione degli H ilaria in Sallustio filosofo e in Giulano sono
solo lo spunto per collegare la parte gioiosa del rituale romano con
l'ascesa dell'anima. Esse sono di estremo interesse per la conoscenza
delle speculazioni misteriosofche sul mitp di Attis, ma non aiutano a
approfondire le conoscenze sul rituale stesso'm. Infatti, come si pu c
dure dalle menzioni che i due neoplatonic fanno d altri aspetti dl
mito o del rito su cui siamo meglio informati, i riferimenti costitui
scono solo spunti per la riflessione che si muove all'interno di una
teologia, di una cosmologia e di un'antropologia squisitamente neopla
toniche.
Il fatto che gli Hi/ria venissero posti a simbolo del cammino
dell'anima ormai purifcata verso l'iperuranio non implica necesaia
mente che a questo rto fosse legata la "resurezione" di Attis o anche
solo un suo ritorno. In questo senso pare invece adar la testimo
nianza di Daascio'r, che racconta un'esprienza personale vissuta d
rante un suo viaggio a Hierapolis di Frigia1 Egli scende nel brhrn
dal quale esalano efuvi letali e riesce a ritornarne vivo. In seguito egli
fa un sogno che viene messo in relazione con l'esperienza avuta: nel
sogno Attis colui per il quale la Madre degli di compie la festa degli
Hilaria e ci signifca che Damascio e il suo maesto Isidoro, che lo h
accompagnato nell'impresa, hanno sperimentato la savezza
dall'Ad>.
Questo passo di particolare importanza poich stato adoto
come prova che, almeno in epoa tarda, gli Hi/ri facessero efettiva
mente riferimento a una "rsurrezione" di Attis. Per una sua coretta
comprensione ocorre tuttavia distinguere tre momenti, successivi e
non accorpabili: la discesa dei due filosofi nel Plutonio, il sogno e
l'interpretazione che del sogno fa Damascio. Innanzi tutto, va ricorato
133
che il Plutonio di Hierapolis era noto e frequentato gi in epoa antica,
come attesta Strabone, e tale fequentazione dura fino ai tempi di Cas
sio Dione10 Il barato era posto in relazione con Ade, come si evince
dal nome stesso di Plutonio'<. Tale via di comunicazione ta aldiqu e
aldil era per normalmente preclusa a tutti: gli effluvi mortiferi, che
attiravano l'attenzione di curiosi e scienziati, erano cos potenti che
non permettevano ai visitatori di avvicinarsi troppo senza finire intos
sicati. Venivano perci venduti piccoli volatili allo scopo di veifcare
l'efficacia dei gas sprigionati: gli uccelli, una volta lberati sul baratro,
cadevano privi di vita. Un'eccezione costituita dai Galli'1 che, p
fettamente in linea con la loro caratteristica di mediatori tra questo
mondo e !"'alterit", scendono e riemergono tanquillamente dalla vo
ragine'". Questa era la prova della protezione della Grande Madre nei
confronti dei suoi devoti prediletti'". Damascio e Isidoro riescono per
nell'impresa, appropriandosi in un certo senso di una funzione che non
compete loro: questo Ii pone in una situazione di squilibrio perch, pur
essendo uomini, agiscono da Galli. Successivaente Damascio sogna
di esser Attis e di venire festeggiato negli Hilra dalla Madre degli
di. Nel sogno non vi alcuna allusione ad una resurezone che sia in
quache modo legata alla festa stessa110, piuttosto Damascio a
stabilire una connessione tra il sogno e l'esprienza precedentemente
vissuta: a Hierapolis, essendomi addormentato, mi parve in sogno d
essere diventato Attis e per me era celebrata dalla Madre degli di la fe
sta chiamata Hilaia: ci mostra che avvenuta la nostra salvezza d
l'Ade>>.
L'afermazione di Damascio va presa proprio nel senso letterale:
egli ha ottenuto una salvezza dall'Ade, cio uscito vivo da Plutonio,
evento evidentemente non comune. Il riferimento agli Hlara, pi che
a una "resurrezione" di Attis, pu connettersi con quella
"benevolenza" che la Madre degli dei accorda a Attis una volta che,
morendo il giovane, si stabilisce un rapporto di amore "coretto" tra i
due personaggi. Inoltre gli Hilra nelle feste di marzo seguivano i l
dies sanguinis, giorno in cui si commemoravano l'evirazione e la
morte di Attis e, attraverso queste, la sua riconciliazione con la Gre
Madre, mentre al contempo si inaugurava annualmente una nuova
schiera di Galli. Evirazione e morte mitica (Attis) e evirazione rituale
(Galli), pur nella inevitabile sofferenza, erano entrambe necessarie. Gli
Hilr, che a tale sofferenza seguono, esprimono la consapevolezza
che il sacrificio non fne a s stesso: ora Attis, morto nel cosmo ma
134
vivo nell'oltretomba, pu veraente amare e essere amato dalla dea,
come non avrebbe mai potuto nella sua vita mortale; ora gli uomini
prescelti sono diventati Galli e quindi, non pi uomini, essi amano la
Grande Madre e sono da lei amati venendo proiettati, ataverso
l'evirazione, in una dimensione di "alterit". A diferenza di Attis, ch
am e fu amato dalla dea in modo "umano" oltepassando cos i limiti
stabiliti dalla stessa condizione mortale e avviandosi a un destino d
morte, i Galli amano e sono amati dalla dea attraverso il rito, rapporto
speciale sancito da un'evirazione non mortifera che per li condanna,
rispetto alla societ, a una condizione di costante marginalizzazione.
Questo non esclude che la societ stessa, proprio in virt della loro
"liminarit", se ne serva come mediatori privilegiati nella comunica
zione con l'"altro". Benevolenza e rapporto privilegiato con la G
Madre di cui i Galli godono permanentemente, come dimosta appunto
l'esprienza del barato di Hierapolis. Per quanto riguarda la testimo
nianza di Damascio, si pu cos verificare che atraverso la mediazione
di Attis-Hilaria (sogno) si stabilisce un'identificazione ta Damascio e
Galli (esperienza vissuta): solo la protezione della Grande Madre, a lui
conferita come un novello Attis, poteva rispamiare al flosofo la
morte per asfissia.
3. Le credenze funerarie e l'aldil
Il mito di Attis e la sua tragica fine occupano un certo spazio nelle
raffgurazioni d'epoca romana. Alcune di esse lo rappresentano nel
momento pi drammatico, quello della sua fine, oppure gi nella f
dezza della morte, con gli occhi sbarrati, a volte con le gambe divari
cate per evidenziare l'avvenuta castrazione. In tali rafgurazioni egli
spesso circondato da oggetti legati al simbolismo fnerario quali i l
fiore di papavero, i l cipresso, l a palma"'. Ma al di l della rappresen
tazione della fne di Attis sono di particolae interesse quei doumenti
che collegano piuttosto il personaggio alla morte intesa come esp
rienza umana. In altri termini, ocore interogarsi sul senso da attri
buire a quelle raffgurazioni o epigraf funerarie in cui ci sia un riferi
mento ad Attis o al culto metroaco pi in generale.
Figurine di Attis sono state ritrovate all'interno di tombe112, cos
come esso appare rafigurato sui monumenti fnerari11\ sue rappresen
tazioni si trovano anche sui sarcofagi, in alcuni dei quali immagine
135
dell'invero'1 Come nel caso di Adonis, ci che viene enfatizzato
soprattutto la sua condizione miserrima, la tristezza della sua fne115
Anche nelle epigraf funerarie che alludono al complesso metroaco non
sembra esservi posto, tranne rare eccezioni, per prospettive trionfalisti
che: l'accento sempre posto su ci che ormai il defunto ha irrimedia
bilmente perso116 Eppure accanto a tali testimonianze, che sembrano
sottolineare l'accesso definitivo del defnto nell'oltretomba, se ne to
vano alte caratterizzate da una maggiore ambiguit. Si tratta delle rp
presentazioni della pigna, del ramoscello, del fore del papavero o della
granata, interpretati dagli studiosi come simboli di immortalit117 Ma,
a ben vedere, tali simboli sono tutti assai frequenti nell'arte fneraria e
potebbero alludere, piuttosto che all'immortalit, alla dimensione in
fera cui accede il defunto. D'altro canto l'ambiguit propria del sim
bolismo stesso che si serve di immagini per "significare", ma questo
"signifcare" varia a seconda del sistema ideologico che utilizza il sim
bolo stesso'".
In qualche iscrizione troviamo allusioni a un soggiorno celeste
dell'anima dopo la morte. Ora, se vero che nessuna di tali testimo
nianze si connette in maniera esplicita con il culto metroaco e quindi
tale idea non doveva provenire necessariaente da esso, resta tuttavia il
fatto che, almeno in un certo periodo, le speculazioni sul destino
dell'anima si intrecciavano con quelle sul culto della Grande Madre e d
Attis119 D'altra parte non si pu negare che a una certa epoca e in al
cuni ambienti si cominci a riflettere su Attis giungendo a letture della
sua vicenda in chiave soteriologica';. Ma, e questo un dato che non
va assolutamente sottovalutato, quando si riscontra nelle fonti
un'asociazione pi o meno esplicita tra Attis e l'anima umana, il
tratto enfatizzato non mai quello della morte bens quello
dell'evirazione; paradossalmente, la sterilitinfecondit piuttosto che
l'incorruttibilit del suo corpo a qualifcare in senso soteriologico At
tis! Tale valorizzazione della sterilit come condizione coscientemente
ricercata deve naturalmente essere inserita ali' interno di quelle spcula
zioni che, in forme pi o meno accentuate, implicavano una valuta
zione negativa non tanto del cosmo quanto piuttosto dell'esistenza
umana, intesa come permanenza nel mondo dell'elemento divinom.
Tali speculazioni si nutrono comunque di suggestioni che gi proven
gono dalla tradizione mitico-rituale relativa a Attis: nella versione
"figia" del mito l'evirazione mortale di Attis sancisce l'impossibilit
per un uomo di aare una dea, stabilendo i limiti della condizione
136
umana, ma al tempo stesso l'evirazione non mortale del suocero o d
Gallus fonda la categoria dei Galli. L'autocastrazione, che in relazione
ad Attis indissolubilmente legata alla morte in quanto fonda la rga
lit sui generis pessinuntina, si pone per i Galli come passaggio ne
cessario per l'acquisizione dello status di mediatori tra mondo umano e
mondo divino.
I riti taurobolici, "scavalcando" gli stessi Galli, permettono d
creare un rapporto pi intimo e diretto tra i devoti e la coppia Grade
Madre-Attis. Ma un ra
g
porto che passa sempre attraverso l' evira
zione, per quanto fttizia' , e non attraverso la morte. Tanto nel mito
quanto nel rito Attis appartiene al mondo dei morti, dal quale non ri
torna, mentre piuttosto la castrazione a funzionare come elemento d
mediazione tra due realt, quella umana e quella extra-umana, altrimenti
incompatibili e "chiuse". Del resto l'eventuale presenza di "misteri"
nel culto non implica tout court delle prospettive soteriologiche, ch
anzi tale salvezza consiste proprio nell'accettazione stessa della realt
esistente12 La soteriologia escatologica appare solo in epoca tarda e
come conseguenza del disgregaento del sistema politeistico13: essa
occupa una posizione marginale nei misteri e piuttosto al cento
della riflessione teologica di ambienti flosofci, gnostici, ermetici che
si servono delle antiche tradizioni rileggendole in una prospettiva d
innovazione piuttosto che di continuit12 Tale prospettiva risponde
d'alta parte a quelle nuove esigenze soteriologiche che emergono nel
momento in cui la preoccupazione di una salvezza nel mondo
sostituita da quella di una salvezza dl mondo. Ma, come gi sottoli
neato, tali esigenze rimangono appannaggio di cerchie ristrette che sot
topongono le antiche tradizioni e i pi recenti "misteri" a nuove inter
pretazioni. Ne risulta un gioco di proiezioni che, senza un'attenta ana
lisi delle fonti e dei contesti cui appartengono, possono indurre a cr
dere che le prospettive soteriologiche costituissero un elemento fonda
mentale nei misteri. Nel caso di Attis, in particolare, i "misteri" ap
paiono in stretta connessione con i Galli' e, in seguito, con il tauro
boliom; essi sono volti, sia attaverso la mediazione del sacerdote evi
rato sia attraverso il contatto diretto offerto dal sacrifcio taurino, a ga
rantire un benessere e una salute di tipo intracosmicom. Ma le interpre
tazioni flosofche e quelle cristiane interverranno in modo cos det
minante sui dati da rendere quasi impossibile distinguere con precisione
tra fenomeno ed esegesi. Se tale processo di rilettura investe molti pr
sonaggi divini del "paganesimo" Attis, per le sue intrinseche caratteri-
137
stiche, si presenta come uno dei terreni privilegiati sui quali si con
frontano pagani e cristiani. In un complesso processo di acquisizioni d
dati, riletture e reinterpretazioni delle riletture, si cercher d ambo le
parti di comparare Attis e Cristo.
Le prospettive soteriologiche attribuite al culto di Attis non costi
tuiscono solo il tardo sviluppo di pi antiche tradizioni ormai stravolte
e trasformate. Un Attis soter per i "pagani" l'ultimo baluardo d con
tapporre all'invasione cristiana, d difendere a ogni costo, fino al
punto di farne un alter ego dello stesso Cristo; un Attis soter, i cui ri
tuali di marzo e la morte violenta richiamano in maniera inquietante
quella dello stesso Salvatore a cui Attis , oltretutto, cronologicamente
anteriore, per i Cristiani un pericolo contro il quale occorre lottare
senza esclusione di colpi 12 L'epilogo di questa lotta a tutti noto:
vincer l'unico "vero" risorto, Cristo. Paradossalmente, proprio nella
sconftta Attis recuperer la sua dimensione pi autentica, quella di un
personaggio destinato a morire.
N01
l Il presente contributo costituisce uno degli esiti di una mia pi vasta ri
cerca su Attis di prossima pubblicazione.
2 H. Hepding, Attis, seine Mythen u se in Kult, Giessen 1903 (ab br.:
Hepding).
3 Ov., Fast. IV, 221-24, in Hepding, pp. 18-19.
4 La trasformazione di Attis in pino, che qui non menzionata, viene in
vece narrata da Ovidio in Metamorph. X, l 03-105.
5 Paus., Perieg.VII, 17, 9-12, in Hepding, pp. 30 e 37-40.
6 La morte del personaggio non menzionata esplicitamente.
7 Arnob., Adv. nat. V 5-7, in Hepding, pp. 37-41.
8 Tale oscillazione in Arnobio stesso.
9 Qui il testo corrotto e non possibile desumere altri particolari.
138
1
0
Anche se va notato che, nella versione di Arnobio, la "confessione" di
Attis ubriaco potrebbe implicare un preesistente patto di omert tra il gio
vane e Agdestis.
11
Sul tema della gelosia che causa la morte del giovane vedi anche Firm.
Mat., De err. prof rei. III, in Hepding, pp. 47-49.
12
In Hepding, pp. 7-8. Su questo epigramma e gli altri che d esso trag
gono ispirazione contenuti nell' Anthologia P a latina cf. A.S.F. Gow, "The
Gallus and the Lion", JHS, 80, 1960, pp. 88-93.
1
3
In Hepding, pp. 13-15, sul quale cf. recentemente S.A. Takacs, "Magna
Deum Mater Idaea, Cybele, and Catullus' Attis", in E.N. Lane (ed.), Cybele,
Attis and Related Cults, Leiden-New York-Ktln 1996, pp. 367-386.
14 Luc., De Syria dea, c. 15 , in Hepding, op. cit., p. 29.
15 Cit. in n. 5.
1
6
Serv., Ad Aen. IX, 115, in Hepding, p. 60.
17 Herod. I 34-45.
18 Questo racconto non incluso nel repertorio documentario d Hepding,
che ne tratta nel commento considerandolo traccia di una tradizione pi an
tica.
1
9 Sul metodo di computazione per cui il quinto in realt il quarto cf. Ph.
E. Legrand (ed.), Hrodote. Histoires, livre l, Paris 1970, nota ad loc.
20
I 6-13.
2
1 I 34 a partire da qui e fino al paragrafo 45 si svolge la vicenda di Atys.
22
Schol. in v. 8, in Hepding, p. 9.
23
P1utarc., Sertorius, l, in Hepding, p. 26.
24
La vaga contestualizzazione storica della vicenda e dei personaggi non
inficia la dimensione genuinamente mitica del racconto.
2
5 Si tralascia qui l'episodio del confronto musicale tra Marsia e Apollo.
26
I 27.
27 Sulle tradizioni genealogiche lidie e il loro significato politico cf. C.
Talamo, L Lidia arcaica, Bologna 1979.
139
2
8
Cf. C. Brixhe - T. Drew-Bear, "Trois nouvelles inscriptions palo
phrygiennes de epni", Kadmos, 21, 1982, pp. 64-87, p. 70 e pp. 83-84.
Nella testimonianza di Diodoro Siculo si dice esplicitamente che Attis in
seguito fu chiamato Papas (58, 4), e i nomi Papas e Papias si ricollegano
ad un ipocoristico padre (T. Drew-Bear - C. Naour, "Divinits d
Phrygie", AW II 18/3, pp. 1907-2044, p. 2018; cf. anche Brixhe -
Drew-Bear, op. cit., p. 83 n. 45).
29 Talamo (op. cit., pp. 28-33) data l'elaborazione della lista agli anni nei
quali cui Gige saliva sul trono lidio.
3 Cf. L.E. Roller, In Search of Go the Mother, Berkeley-Los Angeles
London 1999, p. 246 a proposito di Midas e pi in generale p. 252.
31 Cf. ad es. il principe (e poi re) Telipinu sacerdote a Kumanni. Su Ku
manni e Telipinu cf. A. Archi, "Citt sacre d'Asia Minore. Il problema dei
laoi e l'antefatto ittita", PP, 30, 1975, pp. 329-344; B. Virgilio, Il
"tempio-stato" di Pessinunte fa Pergamo e Roma nel Il-I sec. a. C, Pisa
1980, p. 61 e n. 103, L. Boffo, I re ellenistici e i centri religiosi dell'Asia
Minore, Firenze 1985, pp. 17-27.
32 Si tratta di due vasi, uno ritrovato ad Inandiktepe, l'altro a Bitik, sui
quali sembra appunto potersi riconoscere una scena di "nozze sacre", sul cui
significato non per possibile pronunciarsi. Sui vasi cf. T. Ozgii,
Inandiktepe. An Important Cult Center in the 0/ Hittite Period, Ankara
1988, pp. 84-106 e ead., "The Bitik Vase",. Anatolia, 2, 1957, p. 62.
33 Sul mito di Hupaiya vedi F. Pecchioli Daddi- A.M. Polvani, L mito
logia ittita, Brescia 1990, p. 39ss.
34 Cf. ad es. le iscrizioni di epni (Brixhe - Drew-Bear, op. cit.), quelle di
Tyaa (E. Varinliolu, "Eine neue altphrygische Inschrift aus Tyana", Epi
graphica Anatolica, 5, 1985, pp. 8-11; M. Vassileva, "Notes on the 'Biack
Stones" from Tyana", ibid., 19, 1992, pp. 1-3).
35 Cf. E. Varinliolu, 'The Phrygian Inscription from Bayindir", Kadmos,
31, 1992, pp. 10-20.
36 Cf. D.M. Cosi, "L simbologia della porta nel Vicino Oriente. Per una
interpretazione dei monumenti rupestri frigi", Ann. Fac. di Lett. e Fil. di
Padova, l, 1976, pp. 113-152, S. Bulu, "The Architectural Use of the
Animai and Kybele Reliefs found in Ankara ad Its Vicinity", Source, 7,
1988, pp. 16-23.
140
37 Gi J.G. Frazer (Adonis, Attis, Osiris, London 1906, p. 178) aveva indi
cato nella parola "padre" il probabile riferimento etimologico del nome At
tis e nel capitolo successivo lo aveva posto in correlazione con il monu
mento a Midas e con la regalit frigia (id., p. 183).
38 Paus., Per. I 4, 5. Di un culto tombale per Attis a Pessinunte d notizia
anche Finnico Materno, cit. n. 13.
39 Cf. G.F. Del Monte, "Il terore dei morti", AION, 33, 1977, pp. 373-
385.
40 Id., pp. 374-377.
41 Id., p. 377.
42 Sui resoconti oracolari ittiti relativi all'ira dei morti cf. G.F. Del Monte,
cit., p. 377ss.; id., "Infero e paradiso nel mondo hittita", in P. Xella
(ed.), Archeologia dell'infero, Verona 1987, pp. 95-115, p. 103ss.
43 Cf. P. Considine, "The Theme of the Divine Wrath in Ancient East Medi
terranean Literature", SMEA, 8, 1969, pp. 85-159 e P. Xella, Problemi del
mito nel Vicino Oriente antico, Napoli 1976, pp. 80-81.
44 Tale rituale ci noto attraverso numerose tavolette in cuneiforme. L
prima edizione critica si deve a H. Otten, Hethitische Totenrituale, Berlin
1958, trad. frane. d L. Christmann-Franck, RHA, 29, 1961, pp. 61-111.
Cf. in seguito Th.J.P. van den Hout, "Death as Privilege. The Hittite Royal
Funerary Ritual", in J.M. Bremmer - Th.J.P. van den Hout - R. Peters (edd.),
Hidden Futures, Amsterdam 1994, pp. 37-75.
45 Testimoniaza della divinizzazione del re defunto anche in un rituale di
sostituzione, cf. G.F. Del Monte, "L fame dei morti", AION, 35, 1975,
pp. 319-346, p. 323.
46 Sulle "Case d pietra" cf. F. Imparati, "L istituzioni cultuali del
NA
#
k
r e il potere centrale ittita", SMEA, 18, 1977, pp. 19-64; Del
Monte, L fame; van den Hout, op. ci t., pp. 48-52.
47 N fa problema che il corpo di Attis non sia di fatto ivi sepolto: le case
Hkur non contenevano necessariamente i corpi dei sovrani l adorati (van
den Hout, op. cit., p. 49).
48 Un processo d "eroizzazione" sembra essersi compiuto anche per Mi
das, cf. K. D Vries, "Gordion and Phrygia in the Sixth Century B.C.",
Source, 7, 1988, pp. 51-59, pp. 57-58; L.E. Roller, "Phrygian Myth and
141
Cult", Source, 7, 1988, pp. 43-50, p. 48. Si tratta di un aspetto fondamen
tale della religione nell'area siro-anatolica, sulla quale gli studiosi conti
nuano ad attirare giustamente l'attenzione.
49 A seguito dell'invasione dei Cimmeri e alla susseguente sconfitta il re
Midas si uccide. L'evento si colloca nel 696-695 o nel 695-694 a. C.; sul
problema della datazione cf. F. Cssola, "Rapporti tra Greci e Frigi al
tempo di Mida", in R. Gusmani -M. Salvini - P. Vannicelli (edd.), Frigi e
frigio, Roma 1997, pp. 131-152, p. 143.
5 Cf. Virgilio, op. cit.; Boffo, op. cit., pp. 34-41.
51 L' autoevirazione intesa come rinuncia a riprodursi segna il distacco dal
modello dinastico che si basa sul passaggio della regalit di padre in figlio.
52 L'organizzazione del clero pessinuntino f soggetta a notevoli cambia
menti nel corso del tempo. Le prime testimonianze pongono al suo vertice
due Galli denominati "Attis" e "Battakes" (Il sec.). Successivamente una ri
forma di epoca imperiale (probabilmente sotto Claudio) suddivise il potere
tra dieci sacerdoti "Attis" a vita, cittadini romani (cinque frigi e cinque ga
lati), sotto la supervisione di un archiereus. J. Carcopino (Aspects mysti
ques de la Rome pai"enne, Paris 1941, p. 76ss.) pensa che cos si ponesse
fine all'evirazione degli alti sacerdoti. Secondo S. Mitchell (Anatolia, I,
Oxford 1993, pp. 47-50) a ci avrebbe invece concorso l'immissione di
elementi galati negli alti roli sacerdotali e quindi in un'epoca precedente.
Ulteriore prova dell'abbandono dell'eunuchismo sarebbe l'attestazione,
nell'ambito dei "dieci", di un padre e di un figlio. Tali trasformazioni im
plicano profondi cambiamenti all'interno dell'organizzazione sacerdotale
ma non comportano, a mio avviso, la negazione del modello antidinastico
precedente. Per quanto mi risulta, infatti, la carica non si trasmette mai di
padre in figlio. E' probabile infine che al clero "romanizzato" d epoca im
periale fosse affiancata una sorta di sacerdozio subalterno costituito d
Galli e presieduto d un "arcigallo" (cf. P. Lambrechts - R. Bogaert,
"Asclpios, archigalle pessinontien de Cyble", in Hommages Marcel
Renard, Bruxelles 1969, pp. 404-414, pp. 408-411).
53 Interessante a questo proposito la tradizione riportata d Damascio e
relativa ad Esmounos (Eshmun), nella quale stata vista una tarda versione
orientalizzante (fenicia) del mito "frigio" (Ph. Borgeaud, L Mre des
dieux, Paris 1996, p. 203 n. 101). Cf. in proposito il contributo di P. Xella
in questo volume.
142
54 I. Chirassi Colombo, Elementi di culture precereali nei miti e riti greci,
Roma 1968.
55 Cf. Xella, Problemi, pp. 90-91.
56 Sarebbe interessante indagare su tale motivo che potrebbe derivare d un
influsso egiziano su Erodoto.
57 Per l'arcaicit di tale motivo vedi G. Piccaluga, "La ventura d amare una
divinit", in ead., Minuta/. Saggi di storia delle religioni, Roma 1974, pp.
9-35; Xella, Problemi, p. 90.
58 Cf. in questo senso l'interpretazione di U. Bianchi, che assegna
all'integrit del cadavere di Attis il valore di "permanenza della morte",
piuttosto che di resurrezione, anche se tale integrit non interpretabile
come presupposto per un ritoro rituale del dio, cf. infra.
59 Cf. in generale il classico A. Brelich, Gli eroi greci, Roma 1958 e, da ul
timo, cf. P. Merlo - P. Xella, "Da Erwin Rohde ai Rapiuma ugaritici. Ante
cedenti vicino-orientali degli eroi greci?", in S. Ribichini - M. Rocchi - P.
Xella (edd.), L questione delle infuenze vicino-orientali sulla religione
greca. Stato degli studi e prospettive di ricerca (Atti del Congresso di
Roma, 19-211511999), in stampa.
60 Rassegna delle fonti in Hepding; sul tema della lamentazione rituale cf.
E. De Martino, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto
di Maria, Torino 19752 ( 1958).
6
1
De Martino, op. cit., p. 350.
6
2
Schol. in Alexiph. v. 8, in Hepding, p. 9.
63 Diod. Sic., Biblioth. histor. III, 58, in Hepding, p. 16.
64 Arrian., Tactic. 33,4, in Hepding, p.26.
65 Lucian., Tragodopodagra vv. 30-32, in Hepding, p. 29.
66
Eus., Prep. euang. II 2, 41 -45, in Hepding, pp. 46-47. Non pu essere
inserita nel dossier la testimonianza di Plutarco (De lside et Osiride 69, i n
Hepding, p. 26), il quale parla di un culto frigio prestato ad una divinit ad
dormentata d'invero con lamentazioni e svegliata d'estate con canti di
tipo bacchico, senza alcuna menzione diretta di Attis; in un altro luogo Plu
tarco fa esplicito riferimento a Attis chiamando in causa la tradizione
"lidia" (Sert. l p. 568, in Hepding, p. 26).
143
67 Stat., Silv. V 3, 242-245, in Hepding, p. 23.
6
8
Firm. Mat., De err. prof relig. III, in Hepding, p. 47ss.
69 Cf. W.S. Ferguson, "The Attic Orgeones", HTR, 37, 1944, pp. 62-144;
M.J. Vermaseren, CCCA Il, pp. 68-69; Borgeaud, op. cit., pp. 46-47.
70 Hepding, pp. 79-80, n. 9 = Vermaseren CCCA II, n. 262.
71 Hepding, pp. 80-81, n. 10 = Vermaseren CCCA Il, n. 263.
72 Cf. Hepding, pp. 136-137.
73 Si tratta di un sacrifcio che prevede l'uccisione di un toro (a cui spesso
associato anche un criobolio o sacrificio di un ariete) e uno speciale tratta
mento dei suoi genitali che vengono infine sepolti. Se in epoca pi tarda
esso si sia o meno trasformato in una pioggia di sangue che dalla vittima si
riversava sul "tauroboliato", discusso dagli studiosi. Esso comunque ap
pare un rito di "sostituzione" rispetto al sacrificio dei Galli che consente di
entrare in contatto con la Grande Madre e (successivamente) con Attis sia
agli uomini che alle donne. Fonti in R. Duthoy, The Taurobolium, Leiden
1969, la cui articolazione del fenomeno in tre fasi distinte per critica
bile.
74 E' il sacerdote supremo del culto e, a differenza dei Galli, pu essere un
cittadino romano, non obbligato a evirarsi e pu perfino sposarsi. Su
tale carica cf. Carcopino, op. cit., pp. 76-109; Lambrechts - Bogaert, op.
ci t.
75 Il taurobolio era praticato dall' Arcigallo per ordine della divinit e
molto spesso era finalizzato ad assicurare la salute dell'Imperatore.
76 Philoc. Fasti anno 365 p. C conscripti, in Hepding, p. 51.
77 Jul., Or. V,165b, e Sali., De diis et mundo, IV.
7
8
Arn., Adv. Nat.V 7.
79 Fonti sui Galli in G.M. Sanders, s.v. Gallos, RAC, 8, 1972, pp. 984-
1034. Sulla loro funzione cf. recentemente W. Roscoe, "Priests of the
Goddess: Gender Transgression in Ancient Religion", HR, 35, 1996, pp.
195-230.
80
Una panoramica delle principali fasi del rituale di marzo a Roma in G.
Thomas, "Magna Mater and Attis", ANRW II 17, 3, pp. 1500-1535.
144
8
1
La lamentazione della Madre degli di ricordata anche dallo scoliaste di
Nicandro, in Hepding, p. 9. Sulla gestualit rituale della lamentazione f
nebre antica e il suo valore storico-religioso e antropologico cf. D Mar
tino, op. cit., pp. 195-235.
8 2
Tale interpretazione, la definizione di "dio in vicenda" per alcne di que
ste figure e la proposta di una relativa tipologia storica si devono a U.
Bianchi e alla sua scuola. Per ricordare solo alcuni studi: U. Bianchi,
"Initiation, mystre, gnose", in C.J. Bleeker (ed.), lnitiation, Leiden
1965, pp. 154-171 = id., Selected Essays on Gnosticism, Dualism a
Mysteriosophy, Leiden 1978, pp. 159-176; id., L salvezza nei culti mi
sferici dell'Impero romano, Faenza 1983, pp. 1-20; id., "Lo studio delle re
ligioni di mistero. L'intenzione del Colloquio", in U. Bianchi - M.J. Ver
maseren (edd.), Th Soteriology of the Orientai Cults in Roman Empire,
Leiden 1982, pp. 1-15; id., "Epilegomena", in ibid., pp. 917-930; G. Sfa
meni Gasparro, Soteriology and Mystic Aspects in the Cult of Cybele a
Attis, Leiden 1985; D.M. Cosi, "Salvatore e salvezza nei misteri d Attis",
Aevum, 50, 1976, pp. 42-71.
83 Neanche la sterilit/carestia provocata dalla more d Attis in Diodoro
Siculo pu essere addotta come testimonianza in questo senso, poich un
tema che nel mondo antico non collegato alla fertilit, bens al versa
mento di sangue innocente.
84 Cf. l'inno di et adrianea citato dai Naasseni in cui Attis detto spiga
verde mietuta>> (in Hepding, p. 34) o Porfirio che fa del personaggio
l'immagine del fiore senza frtto (immagine poi ripresa e rielaborata d E
sebio e Agostino) (in Hepding, p. 47 e p. 69). Per l'eccezione costituita d
Firico Materno che collega Attis al grano mietuto cf. infra.
85 La nascita di Attis dal frutto di un melograno (Arobio) o di u mandorlo
(Pausania) rimanda al tema della nascita "miracolosa", presente in molti
racconti mitologici di tipo "eroico", a cui si aggiunge qui la necessit di far
nascere Attis senza padre e senza un rapporto sessuale.
8
6
Cf. F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funraire des Romains,
Paris 1942, p. 219. Di particolare interesse sono il taglio e il trasporto
processionale di un abete nel funerale rmeno di Lazzaro Boia di cui ci d
notizia De Martino, op. cit., pp. 182-192, a cui viene anche dedicata una
sorta di canto funebre. Si noti, tra l'altro, che l'abete viene addobbato con
lana (p. 188) e che le donne piangono alla sua vista (p. 183).
145
87 L'immaginetta di Attis che veniva appesa probabilmente al pino (Firm.
Mat., De err. prof XXVII, l; il rilievo di Ostia [M.J. Vermaseren, The
Lgend of Attis in Greek and Roman Art, Leiden 1966, p. 35 e Pl. XXI, l])
sottolineano la stretta associazione fra il personaggio e l'albero.
88 Fonti in H. Graillot, L eu/te d Cybele Mre des dieu a Rome et dans
l'empire Romain, Paris 1912, p. 127, n. 2.
89 F. Cumont, Lux perpetua, Paris 1949, p. 45,
9 Cumont (Lux, p. 45 e n.l) riporta il passo di Servi o (Ad Aen. V 79) i n
cui si sottolinea come sulla tomba vadano preferibilmente deposti fiori
rossi ad sanguinis imitationem, ubi sedes animae.
91 Cf. Ovid., Fasti II: Tegula porrectis satis est velata coronis,/Et sparsae
fruges, parcaque mica salis,/ Inque mero mollita ceres, violae solutae:/aec
habeat media testa relicta via.
92 CIL VI 10234, cf. Cumont, Lux, p. 45.
93 CIL VI 10248 e anche CIL VI 10239, entrambe citate in H. Graillot, op.
cit., p. 145 e n. 5.
94 Come gi evidenziato sopra (n. 52), nonostante una riforma d'epoca im
periale escludesse gli eunuchi dalle alte cariche sacerdotali, non f sop
presso l'ordine dei Galli che, sotto un Arcigallo, continuavano a far parte
dell'organico istituzionale del tempio.
95 Cf. Graillot, op. cit., p. 128.
96 Dallo stesso complesso provengono tanto la statua di Attis omnipo
tens, quanto quella in cui rappresentata la sua agonia.
97 Sugli Hilaria sono state espresse opinioni diverse, ma l'interpretazione
pi accreditata quella di Vermaseren, per cui tali feste sono d collocarsi
prima della lavatio e non sembrano note prima del I secolo. Cf. M.J.
Vermaseren, Cybele and Attis, London 1977, pp. 119-123.
98 Il racconto di Valerio Fiacco (Arg. VIII, 239-249, in Hepding, p. 22)
non pu essere preso in considerazione poich si limita a descrivere il ca
rattere gioioso in cui si svolgeva il trasporto dell'immagine di Cybele at
traverso la citt dopo il bagno purificatorio nell'Almo.
99 Tale rifiuto senz'altro assimilabile al "tradimento" di Attis che sceglie
di sposarsi.
146
100
A proposito dell'equazione Attis-grano proposta d Firmico scrive I.
Chrassi Colombo: <<E' un tipo di interpretazione che con ogni probabilit
coglie parzialmente un aspetto di Attis, quello economico-agrario appun
tato sull'articolazione calendariale in funzione anche agricola. Ma certo
non ne esaurisce e neppure definisce in maniera accettabile la pi com
plessa rtio teologico-ideologica>> ("Modalit dell'interpretatio cristiana di
culti pagani>>, in M. Pavan [ed.], Mondo classico e Cristianesimo, Roma
1989, pp. 30-43, p. 41 ).
101
Paradossalmente, anche le vicende del Cristo furono lette in chiave di
passione vegetale, cf. E. D Martino, "L messe del dolore", SMSR, 28,
1957, pp. 1-53, che in chiusura del suo studio menziona la frase di una con
tadina neogreca in occasione della Pasqua (XX sec.): <<Sono in ansia perch
se domani Cristo non risorge, noi quest'anno non avremo grano>> (ripresa
in Morte e pianto rituale, p. 344).
102
Anche se Giuliano (V Or., in Hepding, pp. 51-58) riferisce su uno
"squillo di tromba" che segue la dendrophoria e precede gli Hilaria (l69c) e
Sallustio (de diis et mundo IV, in Hepding, pp. 58-59) allude alla consuma
zione di un pasto a base di latte, essi li presentano gi in una versione
"rivisitata" non offrendo alcuna informazione sul significato che essi rive
stivano nel rituale.
103
Vita Isidori excerpta a Photio, 131, in Hepding, p. 74.
104
Su Hierapolis e il barathron cf. T. Ritti, "Hierapolis di Frigia: santuari e
dediche votive", Scienze dell'Antichit, 3-4, 1989-90, pp. 861-874.
105
Strab., 13, 4, 14; Plin. N.H. 2, 208, Amm. Mare. 23, 6, 18, Cassius
Dio, 68, 27.
106
Cf. Ritti, op. ci t., p. 863.
10
7
Q
ui non interessa attraverso quale espediente raggiungessero il risul
tato, quanto il risultato stesso ed il significato che se ne traeva.
108
Asklepiodotos, che narra a Damascio di aver compiuto una parziale di
scesa nella voragine, aggiunge che chi era enthousion, cio posseduto d
Cybele, poteva percorrere l'intero cammino (Vita Isidori, 131 ). Chi pi dei
Galli, che a seguito della mutilazione sono in rapporto permanente con la
divinit, aveva diritto di procedere lungo tale percorso?
1 09
Cf. Strabo, 13, 4, 14.
147
11
Che, a mio avviso, festeggia piuttosto il fatto che Attis continui a vi
vere, ma negli Inferi.
11
1
Cf. Vermaseren, The Legend, Leiden 1966, pp. 31-38; id., "L'icono
graphie d' Attis mourant", in R. van den Broeck -M. J. Vermaseren (edd.),
Studies in Gnosticism a Hellenistic Religions, Presented to Gilles
Quispel, Leiden 1981, pp. 419-431.
11
2
Cf. Graillot, op. ci t., p. 438 e 500; Vermaseren, The Legend, p. 18;
Cosi, "Salvatore e salvezza", p. 69 n. 169; Sfameni Gasparro, Soterio
logy, pp. 90-92 (riferimenti bibliografici).
113
Cf. Sfameni Gasparro, Soteriology, pp. 92-93 e nn. 36-42 (riferimenti
bibliografici).
114
Cf. Cosi, "Salvatore e salvezza", pp. 70-71. Un'eccezione sarebbe co
stituita dal sarcofago in cui Attis personifica invece la primavera ma la per
dita dell'oggetto, di cui si possiede attualmente solo un disegno, rende in
controllabile la fonte (id., p. 71).
11
5
Cf. S. Ribichini, "Salvezza ed escatologia nella vicenda di Adonis?", in
Bianchi - Vermaseren (edd.), op. cit., pp. 633-648; A.D. Nock, "Cremation
and Burial in the Roman Empire", HTR, 25, 1932, pp. 321-359, p. 356 =
id., Essays on Religion a the Ancient World, I-11, Oxford 1971, l, pp.
277-307, p. 305. Secondo P. Boyanc, "Funu acerbus", REA, 54, 195 2,
pp. 275-289 =id., tudes sur la religion romaine, Roma 1972, pp. 73-89,
sui monumenti funerari Attis sarebbe da ricondurre al tema dell' aoros, cio
colui che muore prima del tempo.
116
CIL V 10098, in Hepding, p. 91 n. 43; CIG 6206; F. Biicheler, Car
mina latina epigraphica, Leipzig 1895, I, n. 513, p. 245ss.; discusse i n
Sfameni Gasparro, Soteriology, pp. 94-96.
11
7
Rassegna delle fonti e delle interpretazioni in Sfameni Gasparro, Sote
riology, pp. 97-102.
118
Sul simbolismo funerario a Roma ancora fondamentali i lavori di
Cumont, cit. nn. 88 e 91.
119
Cf. l'iscrizione romana del I sec. d. C. in cui il defunto chiede alla sanc
tissima mater (di cui non certa l'identit) di essere sollevato fino ai con
fini del Tartaro; l'iscrizione funeraria relativa a un vates fugae mater
(forse un sacerdote della Grande Madre) in cui c' un riferimento alla no
zione dell'immortalit celeste dell'anima; un cippo funerario su cui rap-
148
presentato Attis in atteggiamento malinconico e dove si dice che l'anima
del defunto risalir il sacro cielo (fonti e rassegna delle interpretazioni i n
Sfameni Gasparro, Soteriology, pp. 97-98).
120
Mi riferisco in particolare alla posizione degli gnostici Naasseni d cui
ci d notizia Ippolito nel V libro della Refutatio omnium haeresium ( 6-
11); alla V Orazione, Alla rre degli di, dell'imperatore Giuliano e al
trattato del filosofo Sallustio, De diis et mundo, c. IV. Cf. per i primi M.G.
Lancellotti, The Naassenes. A Gnostic ldentity Among Judaism, Christia
nity, Classica[ a Ancient Near Easter Traditions, Miinster 200; per
Giuliano (e Sallustio) cf. D.M. Cosi, Casta Mater ldaea, Venezia 1986.
121
Naturalmente con gli opportuni distinguo tra la posizione neoplatonica
di Giuliano e Sallustio e quella gnostica dei Naasseni.
122
E
'
il toro ad essere castrato.
123
Cf. I. Chirassi Colombo, "Il sacrificio dell'essere divino e l'ideologia
della salvezza nei tre pi noti sistemi misterici dei primi secoli
dell'Impero", in Bianchi - Vermaseren (edd.), op. cit., pp. 308-330, p .
326.
12
4
Cf. A. Brelich, "Politeismo e soteriologia", in S.G.F. Brandon (ed.),
The Saviour God, Manchester 1963, pp. 37-50.
125
Cf. Chirassi Colombo, "Il sacrificio", pp. 326-327; Ribichirii,
"Salvezza", pp. 636-637.
126
Ai quali secondo Prudenzio (Perist. X 1061-1065) e Agostino (De Civ.
Dei VII 26) era riservato un destino beato nell'aldil.
12
7
Q
uesto, al di l delle interpretazioni degli studiosi moderni, era quanto
pensavano gli antichi.
128
I Galli guariscono tanto la mente che il corpo, praticano ritruali di puri
ficazione, predicono il futuro, etc. (cf. Graillot, op. ci t., pp. 306-312); i l
taurobolio legato al benessere dell'individuo e/o dell'imperatore; non
mancano nelle epigrafi tauroboliche riferimenti ad una salute pi "elevata",
ma anche questa rapportabile comunque all'esistenza attuale (Duthoy, op.
cit., nn. 13 e 33). L necessit della ripetizione del rito sembra implicare
che si trattasse di una prassi essenzialmente purificatoria. Circa la dichiara
zione del tauroboliato che afferma di essere in eternum renatus (Duthoy, op.
cit., n. 23), va rilevato che il termine aeterus implica il concetto d pe
rennit, piuttosto che quello di eternit trascendente in senso cristiano (cf.
R. Turcan, Ls cultes orientaux dans le monde romain, Paris 1989, p. 58).
149
129
Sul pericolo parallelo e contrario, secondo cui gli autori evangelici sa
rebbero stati coscienti che Cristo avrebbe potuto facilmente essere caratte
rizzato secondo un modello eroico, cf. H.-D. Betz, "Heroenverehrung und
Christglaube. Religionsgeschichtliche Beobachtungen z Philostrats
Heroicus", in H. Cancik- H. Lichtenberger- P. Schafer (edd.), Geschichte -
Tradition - Refektion. Fs fir Martin Hengel, II, Ttibingen 1996, pp. 119-
139 = id., Antike und Christentum. Gesammelte Aufsitze IV, Ttibingen
1998, pp. 128-151.
150
DEMETRA E KORE-PERSEFONE A ELEUSI
Assenze divine e destini umani
GIULIA SFAMENI GASPARO
E la bionda Demetra sedendo nel tempio, rimaneva in disparte d
tutti gli di, struggendosi nel rimpianto della figlia dalla vita sottile. E
sulla tera feconda ella rese quell'anno infausto per gli uomini, te
mendo; n pi il suolo lasciava germogliare i semi, poich li teneva
nascosti Demeta dalla bella corona1
I versi dell' "Inno a Demeta", il secondo della raccolta di 33 canti
in onore degli di olimpici tramandata sotto il nome di Omero, offono
la prima, vivida immagine di un penthos divino che tagicamente
sconvolge l'equilibrio dei livelli divino e umano e dello scenario co
smico in cui essi convergono ed esercitano le rispettive competenze. Il
"mito" narrato in questo documento uno dei pi noti e diffsi in tut
to l'arco temporale e geografico del mondo antico e quello su cui co
stantemente si impegnata l'esegesi degli interpreti moderi delle pi
diverse ispirazioni metodologiche, con risultati in varia misura utili a
illustrarne le molteplici valenze.
Una delle ragioni di tale popolarit e interesse, come noto, d
d rapporto imprescindibile della narrazione del poeta "omerico" con
l'istituzione cultuale dei Misteri di Eleusi che a sua volta rappresenta
uno dei pi antichi e vitali centri propulsori della vita religiosa della
Grecia e, a partire dall'et ellenistica, dell'intera oikoumene meditera
nea. Tuttavia la medesima vicenda divina che costituisce l'oggetto d
quel racconto si rifrange in innumerevoli versioni spesso legate a culti
locali e in particolare risulta connessa con il rituale panellenico d
Thesmophoria che, pur con numerose e importanti varianti nel tempo
e nello spazio, rappresenta anch'esso una costante essenziale dell'uni
verso religioso ellenico, sia nella Grecia sia nelle colonie orientali e
ocidentali.
Nonostante la ricchezza degli interventi critici sul tema, esso conti
nua a ofire materia di riflessione allo storico delle religioni soprat
tutto in ragione della peculiarit del motivo centrale dell'intero qua,
nella sua duplice componente mitica e cultuale, ossia quello icastica
mente evocato nei versi sopra citati: dolore divino espresso nella la-
151
tenza (Demetra chiusa nel tempio, lontana dall'Olimpo, invisibile a dei
e a uomini) e causa di una mortale crisi a livello cosmico e umano. In
sieme con la soferenza e il nascondimento della d "dala bella co
rona", anzi premessa e causa di essi, i versi omerici menzionano un'al
ta decisiva assenza, con relativo penthos, quella della "fglia dalla vita
sottile", la Kore divina, Persefone, protagonista in prima persona del
dramma della scomparsa.
Per una corretta analisi del motivo necessario richiamare, sia pure
per sommi capi, la trama del racconto anche se esso risulta familiare a
chiunque abbia un sia pur minimo contatto con le tadizioni religiose
classiche, al punto da apparire quasi ovvio se non banale. Il confonto
diretto con le fonti, peraltro, permette di prcepire tutta la complessit
e densit del "mito" quale realt mobile e dinamica, espressa in un nu
mero ampio di varianti, ciascuna importante e aprta a sempre nuove
dimensioni e signifcati, ancorata a un particolare contesto storico e
culturale. Di ciascuna pertanto necessario misurare di volta in volta
il valore e il rapporto con tutte le altre paallele o discordanti.
In questa sede non certo possibile proedere a un'analisi compa
rata delle numerose tradizioni mitiche pertinenti alla vicenda di Deme
tra e della Figlia, spesso rifesse in fonti letterarie di carattere scolia
stico e ipomnematico o contenenti soltanto brevi e cursorie allusioni a
un tema universalmente noto, di valore documentario diverso in rela
zione all'et e al grado di correttezza delle informazioni possedute ov
vero della libert nel riferirle, soprattutto nel caso d poeti che autono
mamente elaborano i dati tradizionali. Anche le fonti monumentali,
epigrafche e fgurate, offono materiali importanti alla ricostuzione
del panorama mitico e in alcuni casi integrano efcacemente le lacune
della doumentazione testuale ma in pari tempo propogono difcili
questioni interpretative, che solo una paziente analisi comparativa
permette di affontare e in parte risolvere.
Intendiamo piuttosto concentare l'attenzione sull'ambito eleusino,
costituente una sfera qualifcata e storicamente defnita del pi ampio
scenario demetriaco, al fine di individuare e circoscrivere le modalit d
espressione e di funzionamento all'interno di esso del tema proposto,
operando peraltro gli opportuni sondaggi comparativi in alte aree mi
tico-cultuali di quello scenario che si rivelino utili alla valutazione sto
rico-religiosa del tema medesimo. A tal fne l' "Inno a Demetra", p
l'antichit (ca. 60 a. C.) e l'ampia articolazione narrativa, costituisce
152
il punto di partenza obbligato del discorso e un imprescindibile para
meto di riferimento per tutto il resto della successiva tradizione rtica
che spesso e in diverse proporzioni mostra di averne subito l'infusso.
La vicenda ha inizio nella "pianura di Nisa", luogo di una geogafa
mitica ma pure inteso a situare nella terra degli uomini gli accadimenti
divini. In esso vaga la fglia di Demetra, insieme con altre fanciulle, le
Oceanine, giocosamente intenta a raccogliere fori: un narciso di straor
dinaria bellezza attrae la fanciulla che lo strappa dal suolo. Il fiore, tut
tavia, costituisce lo strumento di un inganno: fatto germogliae dalla
"Terra, per volere di Zeus compiacendo il dio che molti uomini ao
glie", esso provoca nel terreno una scissura da cui emerge Hades, il so
vrano degli Inferi, alla guida del suo carro. Egli rapisce la fanciulla ta
scinandola via sul cocchio, incurante delle grida di lei che invoca il pa
dre Zeus, il quale peraltro non l'ascolta, chiuso in un suo tempio e in
tento a ricevere le offerte degli uomin{ Solo due presenze divine pr
cepiscono il dram a: odono le grida la potenza ctonia Beate, "dal suo
antro", e il dio celeste Helios. Ma esse giungono anche a Demeta che
istantaneamente subisce uno stravolgimento radicae del proprio statu
to divino: Un acuto dolore la colse nell'animo: sulle chiome divine
lacerava con l mani il suo diadema, si gettava sulle spalle un cupo ve
lo, e si slanci sopra le terra e il mare, come un uccello alla ricerca
(vv. 40-44).
Gi in queste prime battute si delineano le direttici essenziali dl
quadro, che il resto della narrazione defnir sempre pi nettamente nel
senso di una duplice e convergente "latenza" divina, la quale si risol
ver infne in un ritoro qualifcato e differenziato pr le due protagoni
ste del dramma. Comunque il primo e signifcante elemento della si
tuazione appare senz'altro proprio questa circostanza: non soltanto la
Fanciulla rapita ad essere coinvolta nel movimento di presenza-assnza
e ritorno, ma anche la Madre. Si vedr anzi come, a fronte del caattere
sostanzialmente passivo della Kore, il ruolo di Demeta quello pr
minente ed effcacemente attivo: pur nella connotazione "patetica" ch
l'autore dell'Inno sottolinea con tatti vivaci e che comunque risulta
tema costante dell'intera tradizione mitica, la dea si mostra attrice con
sapevole e deternata della vicenda, scegliendo di volta in volta l'epi
fania e il nascondimento con effetti decisivi sull'Intero contesto divino,
cosmico e umano.
153
La narrazione descrive quindi il vagabondaggio di Demeta sulla ter
ra, che ella percorre per nove giori agitando le "fiaccole ardenti", sen
za prendere n abrosia o nettae, cibo divino, n lavacro, fino a qan
do Ecate le si fa incontro, anch'essa reggendo una torcia3, e l'informa d
aver udito le grida di Persefone, senza tuttavia aver potuto scorger il
suo rapitore.
La Madre allora si rivolge a Helios che tutto osserva dal cielo p
conoscere finalmente la sorte della Figlia e il dio non si sottrae alla ri
chiesta. L sue parole, mentre chiariscono l'accaduto, delineano una si
tuazione perfettamente aderente alla visione olimpica dei rapporti d
vini, fondati sulle alleanze matrimoniali e sul rispetto dei diversi am
biti di comptenza delle grandi personalit del pantheon: Persefone
stata concessa come sposa dal padre Zeus al fatello Hades, sovrano d
gli Inferi, ossia di quel terzo "dipartimento" che, con il cielo e la sfera
delle acque, rappresenta la totalit dell'universo spartito fa i tre mag
giori fatelli Zeus, Poseidone e Haes - quando, cessate le lotte teo
goniche, si stabilirono gli attuali assetti divini e cosmici".
Quest'annuncio, con la constatazione dell'avvenuta agggazione
nuziale della Figlia a un dio detntre di un essenziale "onore", appa
tenente alla sua stessa famiglia, essendogli anzi fatello, dovrebbe met
tere fine all'angoscia della Madre. Al contrario, la reazione di Demeta
tale da contaddire in rae la logica medesima della prospettiva
olimpica e da ribaltare il principio su cui essa si fonda, ossia il rispt
to delle diverse e complementari timi delle figure che la compongono,
rifutando di accettare la volont di Zeus e lo statuto di Persefone come
sposa di Hades e sovrana degli inferi'.
E in seguito, adirata contro il figlio di Crono, dalle nere nubi, a
bandonando il consesso degli dei e il vasto Olimpo, andava tra le citt
degli uomini e i pingui campi, celando il suo aspetto, per molto tem
po (vv. 91-94). Ha inizio in tal modo una fase della vicenda divina
che, fuori dagli schemi delle pur varie e complesse avventure di aspet
to antropomorfico degli dei greci e certo irriducibile a parametri logici,
come vorrebbero alcuni interpreti6, instaura prospettive nuove. Essa ri
sulta modulata tipicamente sul tema dell'assenza e della prsenza, del
nascondimento e dell'epifania, del lutto legato a una latenza che as
sume i caratteri di una morte (nella sua peculiare accezione divina d
soggioro in una dimora intransitabile come quella infera di Hades) e
154
della gioia per il ritrovamento e il ritorno alla luce del sole e al
l'Olimpo.
E' necessario dunque pcorrere il flo del racconto quae si dipana
nell'Inno e poi verifcare se quel tema rappresenti un' "invenzione", sia
pure sacralmente quaifcata in quanto connessa in maniera funzionale
all'istituzione misterica, ovvero rifletta concezioni e stutture mitiche
pi ampiamente panelleniche anche se in varia misura rmodulate in
rapporto a quella istituzione che indubbiamente s'impone come qualifi
cato parameto di riferimento dell'intero discorso del poeta omerico.
Egli redige un'opera letteraia, priva di qualsiasi valenza "liturgica" o
pi latamente sacrale in rapporto al culto misterico. Tuttavia, seondo
i canoni della poesia greca arcaica, il suo parlae di personaggi ed even
ti divini obbedisce alle regole dell'adeguamento pi o meno forte a un
patrimonio tadizionale di elementi mitic. Questi in paicolare sono
qui connessi con una sfera rituale quella dei Misteri di Eleusi- che ri
sulta gi solidamente costituita e che numerosi e qualifcati indizi mo
strano costantemente presente all'attenzione dell'autore nel dispie
gamento del suo canto rivolto a celebrare Demetra dalle belle chiome,
d veneranda ... e con lei la fglia dalle belle caviglie {v. l s.), se
condo i pi accreditati formulari della poesia epica.
Demeta aata si allontana dali'Olimpo e prcor le strade degli
uomini. Ella pertanto in una tipica situazione di "latenza" rispetto al
suo statuto divino ma risulta tale, paadossalmente, ache rispetto alla
sfera umana nella quale peneta, confondendosi con i suoi abitanti. I
fatti cela il suo aspetto e non viene riconosciuta da alcuno: per una d
infatti, assumere una fgura e un comportamento umani significa un'
"assenza", un "non esserci", in quanto la sua identit e rimane quella
divina. Tale identit, pur nel travestimento e nel simpatetico coinvol
gimento, nelle forme del lutto, nelle condizioni d esistenza umane,
non pu mai assimilarsi a queste ultime. Si vedr presto, infatti, come
la paecipazione di Demetra alle attivit degli uomini in funzione d
nutice di un piccolo fanciullo sar motivo di crisi, minaciando d
sconvolgere i rapporti fa uomini e di. L'euilibrio si stabilisce quan
do la dea si fa presente e rprende intera e senza infngimenti la propria
dimensione divina, eseritando sia la propria fnzione cosmica di di
spensatrice dei beni cerealicoli sia la peculiare funzione sacrale di isti
tutce di un culto. Fra questi termini estremi s'inserisce un'altra al-
155
teranza di assenza-presenza, quella di Kore-Persefone che, a dfen
della Madre, ver a stabilizzarsi proprio in quel movimento alterno.
La pregrinazione di Demeta si arresta ad Eleusi, rendendo scoprte
le peculiari valnze di questa versione mitica, ossia le sue connotazioni
"locali" di tadizione "eleusina", pralto in perfetta conformit a uno
schema mitico panellenico che conosce numerose xenie demetache,
spesso anch'esse collegate a impianti sacri e a culti locali. Si pu a
fermare infatti che un asptto tipico della vicenda delle due dee consiste
proprio nella sua disponibilit a aprirsi a incontri sempre nuovi e a
localizzazioni sempre diverse, confgurando una "cartograa" senz
confini, capace di abbracciare molteplici sedi di comunit umane, sa
cralizzandole come luoghi di sosta della dea pregrina e in lutto ovvero
come scenai del ratto e del ritoro di Persefone
7

I momenti forti della sosta della dea a Eleusi sono innanzi tutto il
suo sedere presso il pozzo Partenio in figura di anziana donna e l'in
contro con le fglie del re Celeo che la invitano nella loro casa, presso
la madre Metanira, afnch possa divenire nutrice dell'ultimo nato,
Demoofonte. La dea, dopo aver presentato se stessa come proveniente
da Creta, essendo stata rapita da pirati ai quali sfuggita una volta a
prodata al porto attico di Torico, acconsente di recarsi alla reggia. Qui
l'accoglie Metanira che, pur ignorando l'identit della donna, ne intui
sce il carattere eccezionale allorch, vaando la soglia, riemp il ve
stibolo di una luce sovrumana (v. 189).
Si ha quindi una scena in cui gli interpreti, pressoh concordi, ri
conoscono una serie di allusioni ad atti rituali pertinenti al culto eleu
sino, anche se non legati a quella componente esoterica che ne costi
tuisce il nucleo essenziale rimasto sostanzialmente inviolato nono
stante l'ampio arco, pi che millenario, della sua storia e le migliaia d
iniziati che vi hanno preso parte. Demetra rifiuta di prendere posto sul
tono regale ofertole da Metanira e siede invece su uno sgabello rico
perto da una pelle di animale" in atteggiamento di lutto e con il capo e
il volto velati, immobile, senza cibo e bvanda. L'intervento di una
donna, l'operosa lambe, riesce a infangere il doloroso silenzio della
dea inducendola al riso con i suoi motteggi9: respinta una coppa di vi
no, che dichiara esserle vietato, Demeta ordina una bvanda composta
di acqua, con faina d'orzo, mescolandovi la menta delicata. Si tratta
- come esplicitamente affermato - del ciceone che le fonti ci mosta
no essere sorbito dagli iniziati eleusini in una fase imprecisata del rito.
156
La connessione con quest'ultimo, del resto, scoprta nelle parole dl
poeta che, con espressione per alcuni versi enigmatica, comunque evo
ca la sfera del "sacro": con il suo gesto la dea inaugur il rito (vv.
190-221).
Segue il noto episodio della tentata immortalizzazione di Demoo
fonte che ha attratto in maniera speciale l'attenzione degli studiosi e da
to luogo a diverse e spesso contaddittorie interpretazioni: fa tutte, e
senza pregiudizio della validit di analisi rivolte a indagare le possibili
acendenze storiche dell'uno e dell'altro elemento della prassi attuata
dalla dea (riti di aggregazione alla famiglia, antiche proedure iniziati
che etc.), riteniamo pi pertinente quella, formalizzata con adeguate a
gomentazioni da U. Bianchi, che lo collega funzionalmente alla speci
fca "ideologia" dei misteri 10 Secondo tale interpretazione, infatti, la
procedura immortalizzante rienta a pieno titolo nella prospettiva reli
giosa "olimpica" che contempla una netta separazione fa gli di e gli
uomini sotto il profilo del rispettivo statuto di immortalit bata degli
uni e di dolorosa mortalit degli altri. Solo. pr un eccezionale favor
divino, riservato a qualche individuo privilegiato, possibile tavali
care il confne fa le due condizioni e acceder, d parte dell'uomo, alla
prerogativa degli di. La riuscita del processo di immortalizzazione nei
confonti del proprio "alunno" da parte della divina nutrice avrebbe san
zionato tale prospettiva a benefcio di un singolo individuo.
A fonte di questa situazione, invece, si instaura la prospettiva
"mistica"" propria della nuova istituzione misterica: essa - come s
affermato a conclusione della vicenda - aperta a tutti gli uomini che,
mantenendo la propria identit di esseri patibili e mortali, potranno
tuttavia godere di prospettive felici per la vita presente e pr quella che
li attende al di l della soglia della morte. La partecipazione ai riti se
greti di Eleusi procura infatti a tutti coloro che piamente vi accedano il
favore delle due dee, a cui prestato il culto dovuto.
L'episodio in questione, in pari tempo, assolve la funzione di rive
lare la vera natura della nutice e quindi pore le premesse per la solu
zione defnitiva della crisi: di fatto, l'assenza di Demeta dali'Olimpo e
la sua presenza, latente e "mascherata", fa gli uomini confgurano
una situazione anomala, gravida di rischi e quindi destinata a esser
superata.
Accade che il bambino affdato alle cure dell'anziana staniera ce
in maniera eccezionale, simile a un essere divino, senza prnder ci-
157
bo, senza succhiae il bianco latte: Demeta lo ungeva d'ambrosia co
me il fglio di un dio, dolcemente soffiando su di lui e stringendolo al
seno. Di notte, lo celava nella vampa del fuoco, come un tizzone (vv.
235-239). E' appunto quest'ultima azione che, spiata nottetempo m
Metanira sospttosa, suscita lo spavento della madre che, lanciando un
grido, interrompe la proedura immortalizzante. Demeta infatti, ai
rata, allontana bruscamente da s il fanciullo deponendolo a terra, ossia
restituendolo alla sua natura mortale, e in pai tempo rivela la propria
identit. Mentre al bambino promesso un privilegio imprituro
consistente in una pratica rituale in suo onore, per s la dea chiee
l'erezione di una sacra sde e promette l'istituzione di nuovi riti: lo
sono l'augusta Demeta, colei che pi d'ogni altro agl'immortali e a
mortali offe gioia e conforto. Orbene: per me un grande tempio, e in
esso un'ara, tutto il popolo innalzi ai piedi della rocca e del suo muro
sublime, pi in alto del Callicoro, sopra un contaforte del colle; io
stessa v'insegner il rito, affnch in futuro celebrandolo piamente pos
siate placare il mio animo (vv. 268-274).
L'epifania della dea implica una chiara assunzione dei propri poteri
nei confonti degli uomini ai quali richiede i dovuti omaggi, tadizio
nalmente espressi nella prospettiva religiosa geca come oferta di una
sacra dimora
12
e di un culto atto a propiziare il favore divino. Tuttavia,
nel momento stesso in cui si configura una volont di presenza efca
ce a livello umano, si realizza una pi radicale e tragica "assenza": d
po il compimento dell'ordine divino d parte del re Celeo e dell'intero
popolo eleusino, Demetra- secondo quanto affermato nei versi citati ad
apertura del nosto discorso - si segrega nel tempio in preda al dolore e
all'ira, lontana da di e uomini, e procura la scomparsa di ogni forma
di fecondit vegetale.
Questo evento si integra compiutamente nella logica tipica di una
struttura religiosa di tipo politeistico, in cui le grandi prsonalit di
vine risultano connesse ai grandi dipartimenti cosmici di cui garant
scono l'ordinato funzionamento. La dea in lutto ribalta questa logica,
sospndendo- con la sua latenza- la funzionalit della sua sfera di atti
vit, ossia la fecondit vegetale nella forma culturalmente defnita d
prodotto dell'attivit agraia umana. Quest'ultima, di fatto, si fonda sul
potere divino di Demeta senza il cui supporto perde qualsiasi efcacia:
Molti ricurvi aratri i buoi trascinavano invano sui campi, molto can
dido orzo cadde a vuoto nei solchi (vv. 308-309).
158
Ne risulta uno stravolgimento dell'intero ordine divino, cosmico e
umano, una sorta di insorgenza del caos primordiale, anteriore allo sta
bilimento delle rispettive sfere di competenze di di e uomini. Infatti,
l'estinzione di questi ultimi minacciata dalla carestia avrebb procurato
la cessazione dello splendido privilegio (time' degli di, consistente
nelle offerte sacrifcali, ossia la perdita stessa dell'identit divina che si
realizza attraverso il suo riconoscimento sacrale d parte degli uomini.
Soltanto tenendo presente questa prospettiva, esplicitamente enunciata
nel nostro testo", si pu misurare tutto il signifcato storico-religioso
del tema in esame e, attaverso l'analisi del complesso documentario,
valutae i rapporti con l'istituzione misterica da una parte e con il r
stante quadro rtico-cultuale demetiaco dall'alta.
In conformit con la struttura dinastico-dipartimentale del pantheon
greco, l'onere e il potere di intervenire per risolvere la crisi spetta al
sovrano di quel pantheon medesimo, Zus, il quale peraltro deve rispt
tane le regole strutturali: egli infatti non pu imporre a Demeta il ri
torno e il ripristino delle sue funzioni ma solo "prsuaderla", con l'in
vio di messaggeri che le ofano doni e "privilegi". In obbedienza al ti
pico motivo dello "scambio" che regola i rapporti individuali all'in
terno della societ arcaca greca, esprimendo gli equilibri di potere in
relazione agli onori ricevuti dalle parti in causa, consistenti in adeguat
donativi tra di esse, il sovrano degli di, attaverso una serie di mes
saggeri, propone a Demetra una composizione del confitto gan
tendole molti magnifci doni e i privilegi che desiderasse ottenere t
gli immortali (vv. 325-328). Tutti questi tentativi, peraltro, risultano
inutili, poich la dea non vuole altro dono che la figlia prduta: solo a
questa condizione ella potr riprendere il suo posto fa gli di olimpici
e la sua funzione di dispensatice dei beni agrari, ossia "ritorare" a
essere presente nello scenario divino, cosmico e umano.
Zus cede alla richiesta e invia Hermes nel regno infero di Hades,
per convincerlo a lasciar riemergere Persefone fuori dalla tenebra dn
sa ... alla luce del giorno, fra gli dei.
Al di l dalle convenzioni del linguaggio mitico, l'iniziativa del so
vrano olimpico implicante una sorta di resa totale alle richieste di D
metra, anche a prezzo di smentire il proprio disegno originario ch
contemplava le nozze della figlia con Hades, ribadisce la nozione fon
damentale del quadro in esame: l'assenza di Demeta, contestuale alla
latenza infera di Persefone, confgura un rischio mortale pr l'intera
159
realt. Ci dipnde non solo dalla qualit genericamente divina di lei
che, secondo il principio enunciato degli equilibri fra le comptenze ri
spettive degli di di un pantheon politeistico deve concorr a garant
re l'ordine cosmico, ma dala sua specifca qualit di promotrice della
feondit agraria, fondamento della vita di uomini e dei, questi ultimi
"alimentati" dalle offerte sacrifcali che ne sanzionano lo statuto esi
stenzale, espresso dalle rispettive tim{4 La radicale anomalia della si
tuazione rappresentata dall' "ira" della c15 e dal suo rifuto d
"unirsi" agli di, rimanendo nascosta ento il tempio ooroso d'incen
SO sull' aspra rocca di Eleusi. Di fatto, come gi notato, l'apparente
presenza demetiaca nel mondo umano piuttosto un'assenza gravida di
pericoli: il tempio non in questo caso il sacro luogo della manifesta
zione divina, tamite di contatto fa divinit che elargisce favori e uo
mini che le prestano i dovuti omaggi, bens chiuso cerchio di nascon
dimento di un personaggio indispensabile ai ritmi vitali del cosmo, ora
fatto estaneo e nemico a uomini e di.
Raggiunto il diaason della crisi, la vicenda si avvia a soluzione
secondo modalit che costituiscono l'originalit peculiare della visione
gca a confonto con alte prospetive mitiche delle culture vicino
orientali con le quali - come vedremo - pure presenta strutturali aalo
gie e verisimilmente contatti storici.
Nelle parole rivolte a Persefone da Hades, al di l dell'abile costu
zione letterria del discorso, trapaiano nette le coordinae della nuova
situazione che si stabilizzer in maniera defnitiva con la ricostituzione
delle prerogative e delle funzioni delle divinit coinvolte nel daa
Venuta una volta nella dimora infera, la Kore demetraca ormai legata
ad essa e al suo sovrano: nel motivo mitico del cibo, un chicco di me
logano, preso dalla d prima di allontanasi sul caro di Heres ch
la ricondur alla madre, si esprime chiara la nozione della prtnenza
non pi moifcabile di lei a quel livello. Persefone la regina degli
lnferi16 e come tale essa percepita dalla coscienza religiosa dei Gi
fn dai poemi omerici, che la presentano esclusivamente in questa ve
st. Tuttavia questo ruolo della dea viene a comporsi con la sua qualit
di Figlia di Demetra, partecipe quindi delle prerogative di quest'ultima
come dispensatrice dei beni agrari. A questo fne, di fatto, fnalizzata
la na azione mitica in esame che senza dubbio si collega specifca
mente alla prospettiva misterica eleusina ma che risulta conforme, nel
le sue linee generali, all'intero corpus documentaro demetiaco, nella
160
sua duplice dimensione mitica appunto ma anche cultuale, con phe
eccezioni di cui bisogna valutare peso e signifcato religiosi.

La scena dell'incontro fa le due dee descrtta con abile prizia let
teraria e vivacit di notazioni psicologiche dall'anonimo autore: il noo
religiosamente qualificante peraltro costituito dalle parole di Demeta
che, nel chiedere alla Figlia se mai abbia gustato cibo nel regno infero,
di fatto rende esplicito e sanziona il nuovo destino di Persefone, la sua
prerogativa onorifca (tim consistente nella contestuale funzione d
sposa di Hades, e con lui sovrana del mondo dei morti, e di Kore d
Demeta, legata con lei e per suo tamite alla vicenda stagionae e agra
ria: Se invece hai mangiato- dichiara la Ma- scendendo di nuovo
nelle profondit della terra l abiterai ogni anno p una delle te sta
gioni: le alte due, con me e con gli alti immortali. Ogni volta che la
terr si copr dei fori odorosi, multicolori, della primavera, alora
dalla tenebra densa tu sorgerai di nuovo, meraviglioso prodigio p gli
dei e gli uomini mortali (vv. 398-403).
Lunghe e non risolte dispute hanno impegnato autorevoli studiosi
al fne di determinare i tempi e le modalit del "ritoro" di Persefone,
non coincidente con il ciclo stagionale dei cereali se rapportato al c
lendaro ufciale dei Misteri eleusini, nel mese autunnale di Bo
mione (settembre-ottobre), n cui esso ea ritualmente celebrato, men
te l'Inno gli attibuisce un chiaro contesto primaverile. Tuttvia
l'istanza ecessivamente razionalistica cui obbediscono i tentativi d
una sistemazione "logica" del quadro mitico e dei suoi rifessi nelle
numerose e diversifcate prassi rituai che ad esso intendono collegasi,
tra cui in primo luogo, olte i Misteri, i panellenici Thesmophor
17
,
deve r a fonte del dato pi essenziale e religiosamente qualif
cato che a nostro avviso costituisce il fulcro di quel qua medesimo.
Esso ci pare consistere nell'intreccio vitale delle prerogative e dlle
funzioni delle due personalit divine, caraterizzato dal ritmo alterno d
presenza-assnza-presenza e posto sotto il prevalente segno demetaco.
Infatti, nonostante l'apparente centralit del tema mitico del ratto d
Persefone con la conseguente "dipaita" della fanciulla divina ch
scompare nel regno infero, nella na ione dell'Inno, come nelle in
numerevoli versioni mitiche, spesso ancorate a culti locali, relative al
le peregrinazioni e alle xenie di Demeta, propro costei a essere la
principale protagonista del dramma e comunque colei che ne detina
161
la soluzione definitiva, sia pure nelle fore di un inevitabile compro
messo.
Quest'ultimo, del resto, al di l dei tratti antropomorfci tipici dl
l'affabulazione mitica, rifette una condizione obiettiva e fnzional
mente necessaria della sfera di comptenza propria nella prospettiva
politeistica in cui la vicenda si dispiega - della gande d che pesiee
a ritmi agrari. L ciclicit ordinata di questi ritmi gaantita dalla po
tenza divina di Demeta che dunque stabile nella sua funzione, pna
lo sconvolgimento radicale di essi, quae si verifcato nell'illo tem
pore del mito, allorch quella potenza stata coinvolta in una crisi
dramatica, espressa nel nascondimento infero della Figlia e nel suo
propro nascondimento, contestuale e parallelo a quello. Ritorno della
Kore e ritoro della Mare coincidono. Tuttavia il movimento altero
della presenza-assenza della prima, ormai sanzionato dalla volont d
Demeta e da un patto divino non pi modifcabile, fonda e assicura,
con la presenza stabile della grande dea, anche la bnefica altranza dei
ritmi agrari con tutta una serie di garanzie per l'umanit, interlocutore
indispensabile dello stesso mondo divino.
La vicenda divina senza dubbio si collega a uno scenao naturi
stico ma non si esaurisce in esso n rappresenta la tascrizione delle
sue leggi fsiche; al contario, quello scenario a arricchirsi di una
dimensione sacrale in quanto percepito come luogo d manifestazione
d personalit divine potenti e efcaci. Ci confermato dai molte
plici e differenziati contesti cultuali che intendono collegarsi fnzio
nalmente a quella vicenda, per rndere omaggio alle potenze divine in
essa operati e godere i benefci favori.
L'originalit specifca del contesto misteri co, di cui l'Inno omerico
si fa portavoce, si rifette nella peculiae qualit sia della pratica ritua
le, che si vuole istitita dalla stessa Demetra, sia delle prospettive che
essa apre agli uomini, defnendone il destino. Infatti, mentre la prima
si connota nella forma del culto iniziatico ed esoterico dei Mysteria, le
seconde contemplano una duplice direzione, terrena e infera.
La narrazione, dopo aver evocato nelle pale rivolte da Persefone
alla madre acora l'esperenza del ratto, si avvia rapidaente a dc
vere la conclusione della vicend con l'invio di Rhea da parte di Zeus,
che sanziona con la sua autorit lo statuto ormai stabile della fanciulla
nella sua alterna presenza presso lo sposo e presso la Madre. Il con
senso di Demetra a questa soluzione immediatmente seguito dal ri-
162
tomo di quella feondit agraa che la de aveva sospeso: ... obb
Demetra e subito fece sorgere le messi dai campi ricchi di zolle. Tutta
l'ampia trra di foglie e di fiori er onusta (vv. 470-474). S con
ferma, ove fosse necessario, la piena consapevolezza da pate del poeta
epico e del suo pubblico del legame dialettico fa il piano del d
divino, felicemente risolto, e quello cosmico dell'attivit agaa ch
impegna in sinergia armonica gli uomini e Demeta dalla bella co
rona.
Ma la narrazione proee introducendo l'elemento specifcamente
sacrale dell'istituzione del culto misterico: la dea non ha dimenticato la
promessa fatta al popolo di Eleusi quando, in lutto, ha chesto l'ee
zione di un tempio in suo onore. Ella rimane ancora sulla terra degli
uomini per insegnare loro, nella persona degli autorevoli re che rn
dono giustizia - a Trittolemo, a Diocle agitatore di cavalli, al forte
Eumolpo, a Cleo signore di eseriti - la norma del sacro rito; e rivel
i misteri solenni, venerandi, che in nessun modo lecto prfanare, in
dagare, o palesare, poich la profonda reverenza per le de fna la vo
ce (vv. 473-479).
Defnita la struttura esoterica del culto misterico, attingibile sol
tanto da chi sia stato preparato adeguatamente ad esso e che rimane le
gato all'obbligo del silenzio nei confronti di quanti non vi abbiano par
tecipato, il poeta omerico continua dischiudendo, con un entusiastico
macarismo, le buone prospettive che si aprono, per la vita presente e
quella futura, a tutti coloro che celebrano bei riti di Demeta e Perse
fone ad Eleusi: Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui che
ha veduto queste cose. Ma colui che non ha compiuto i riti, colui ch
non ne ha avuto parte, mai avr un simile destino, quado se ne a
laggi nella squallida tenebra (vv. 480-482)'" .
E' cos annunziata quella che fonti posteriori defniranno la "buona
speranza" degli iniziati, caraterizzandola talora come una pienezza d
vita negli Inferi, in un contesto di luminosit, in contrasto con la so
pravvivenza umbratile nelle tenebre che attende l'uomo comune
1
Que
sta prospettiva ultraterrena positiva, che ha rappresentato nei secoli
uno dei fattori di attazione del culto misterico, si compone con quella
terrena, legata alla dimensione agraria e pi ampiamente esprssa in
un'abbondanza di beni quale rappresentata nella fgura di Ploutos che,
si afferma, le due dee inviano come nume tutelare presso la dimora d
coloro che goono della loro benevolenza (vv. 485-489).
163
Il destino umano risulta dunque favorevolmente determinato dal suo
ancorarsi ritualmente alla coppia divina di Demeta e Kore, in quanto
divinit che hanno sperimentato un pathos consistente nel movimento
di assenzalatenza e di ritorno/epifania. Questo movimento, che nel
tempo del mito ha avuto un carattere drammatico, nell'attualit per un
verso defnisce lo statuto orai stabile e defnitvo del seondo mem
bro della coppia, che assolve armonicamente il duplice ruolo di sovra
na degli inferi e di fgla di Demetra. Per l'altro verso esso revoato
dall'attivit cultuale che, nel renderlo presente, ne esorcizza la carica d
rischio e permette di controllarlo all'intero dell'istituzione rituale.
Come ben noto, il carattere esoterico dei Mysteria eleusini impe
disce di conoscere Io svolgimento, per la parte soggetta appunto al
segreto iniziatico, che solo rare e problematiche fonti tarde di pate ci
stiana hanno cercato di squarciare in parte. Tuttavia, da queste ultime e
dalle numerose e allusive evocazioni dello scenaio misterico d pate
degli autori pagani risulta con suffciente cerezz che all'interno del
santuario eleusino, durante la "sacra notte" del 21 Boomione in cui
culminava l'intero arco festivo, era revocato l'evento divino del ratto e
della ricerca della Kore divina. Le moalit di tale rievoazione riman
gono ignote e, come da pi parti si giustamente notato, la struttura
architettorica del Telesterion, la sala del santuario destinata a riti se
greti, non avrebbe permesso una "sacra rappresentazione" visibile <
tutti i partecipanti. Comunque, la notissima defnizione aristotelica
che attibuisce ai misti un'esperenza partecipativa, "patetica", piutto
sto che razionalmente cognitiva] e una vivida evoazione dello scena
rio eleusino quale offerta in un brano delle Metamoiosi di Apuleio,
permettono di cogliere il tratto distintivo dell'ethos misterico nella di
sponibilit del fedele a porsi in sympatheia con le due d protagoniste
del culto, ripercorrendo - in forme e con modalit a noi ignote nei par
ticolari - i due fondaentali movimenti della scomparsa e del ritova
mento-ritorno, in un'alternanza di lutto-gioia, tenebre-luce.
Nella preghiera di Psiche a Cerere si pu attingere una delle pi ef
fcaci immagini del rituale misterico quale era sperimentato dall'ini
ziato e in maniera indelebile fisso nella sua memoria: Per ego te fgi
feram tuam dexteram istam deprecor, per laetifcas messium caermo
nias, per tacit secret cistarum, et per famulorm tuorum dronum
pinnat curricu/a et glebae sicule sulcamina et currum rpcem et tr
ram tenacem, et inluminarum Proserpinae nuptiarm demeacul, et
16
luminosarum fliae inventionum remeacul, et cetra q silentio te
git Eleusinis atcae sacrarum
21
Elemento centale del mito e a tutti
nota, la vicenda del ratto e del ritrovamento di Persefone costituiva pa
rimenti il cuore dell'esperienza misteri ca e, ritualmente evocata, ofiva
fondaento alle "buone speranze" degli iniziati.
Per valutare pienamente il signifcato religioso di questa nozione
nel pi ampio contesto dell'esperienza storica greca necessario verif
car se il tema analizzato sia esclusivamente legato al culto misterico
eleusino, nel senso che esso stato "inventato" in rapporto e in conse
guenza all'istituzione di quest'ultimo2, ovvero rifletta una concezione
panellenica tale da connotae l'identit di Demetra e di Persefone in
quanto coppia Madr-Figlia, connessa con la sfera della fecondit cto
nia, in alcuni casi addirittura concentadosi sulla fgura di Demeta
medesima. Di fatto, una sezione della tradizione mitica, non molto
ampia ma di rilevante signifcato storico-religioso, conosce anche il
tema di una ktabasis infera di Demetra alla ricerca della Figlia.
E' diffcile defnire le valenze del motivo senza un'adeguata analisi
delle fonti relative, non proponibile in questa sede. Comunque a p
scindere dalle motivaioni e dai risultati dell'evento quali sono pesen
tati dai nostri testimoni, spesso trdi e poco espressivi, ne risulta a
centuata con fora la centalit della latenza demetaca come nota d
minante della visione religiosa in questione, e si pone il prblema sto
rico dell'antichit e autenticit mitica del motivo medesimo. Ci si pu
chiedere infatti se esso non esprima, in conformit con i miti aadi d
Demetra Erinys e Melaina, uno strato arcaico della vicenda, in cui e
la stessa dea, invece della Kore, a essere la protagonista della disea
nel mondo sotterraneo. In questo caso, pi qualifcata e stringente ri
sulterebbe la comparazione tipologica e l'eventuale connessione storica
con un complesso mitico-cultuale come quello sumero-accadco d
Inanna-Ishtar, prtagonista appunto di una "discesa agli Inferi", seguita
dal ritorno ma a prezzo della consegna di un "sostituto", Dumuzi
Tammuz, che, oggetto di annuali lamentazioni fnebri, sembra det
minato ad un destino di altera presenza nel mondo dei mori2
Pur rconoscendo le difcolt non interaente rsolte nell'esegesi
del vasto patimonio documentaro, letterario, monumentale e icono
grafco perinente alla sfera demetriaca, ci sembra legittimo concluder
che il tema del ritorno, nella diaettica organica del ritovamento d
Persefone e del ristabilimento di una presenza efcac di Demetra nel
165
quadro cosmico e umano, lungi dall'essere un' "invenzione" recente in
fnzione dei Mysteria di Eleusi, costituisce un elemento centrale e anzi
lo stesso nodo vitale dell'intera struttura mitico-rituale. La cessaione
della crisi, costituita dal lutto della Madre e dal suo pregrinare sulla
tera alla ricerca della Figlia, espressa solitamente nel motivo del d
no largito agli ospiti umani, in ricompensa della notizia relativa a
punto alla sorte della fanciulla rapita e alla sua catabasi infera, spesso
localizzata proprio nel territorio in cui l'episodio mitico ambientato.
Sebbene le fonti, di natura scoliastica o mitografca, ovvero - come nel
caso della Periegesis di Pausania - interessate a registrare tradizioni mi
tico-cultuali locali, non siano sempre esplicite nell'enunciare il motivo
del ritrovamento di Persefone, il tema della ricompensa costituita d
solito dal dono del cereale ) ovvero di alti vegetali rende evidente il ca
rattere positivo e produttivo della notizia ricevuta, che si confgura
come necessario e utile precedente pr il ritrovamento della divina fan
ciulla. Ma soprattutto la presenza di rituali di "richiamo" fnzional
mente connessi con la vicenda mitica nell'uno o nell'altro cento d
culto demetriaco, permette di riconoscere con buona probabilit che il
vasto scenaio panellenico, pur in varia misura influenzato dalla
"vulgata" eleusina, fosse partecipe di un'antica e comune struttura reli
giosa che aggregava alla fgura di una grande d legata al livello cto
nio e spcifcamente alla fecondit vegetale l'esperienza dell'assenza e
della presenza, verificatasi nel tempo mitico e rievocata nel rito.
Tra i numerosi esempi di tale situazione, baster ora aur i casi
delle citt di Me gara e di Feneo in Arcadia, ricordate da Pausania come
"stazioni" del doloroso pregnare di Demetra sulla tera alla ricca
della figlia scomparsa2 Nella prima citt, importante centro di culto
demetriaco, dalla quale deriverebbe il nome attribuito agli stessi luoghi
di culto della d detti megara :. il Periegeta ricorda un singolare ri
tuale che si collega chiaramente con la festivit esoterica femminile dei
Tesmophoria. Questa circostanza raforza le nostre conclusioni, una
volta che il culto delle Tesmoforie, praticato dalle donne cittadine e le
galmente sposate in forme diverse secondo i luoghi ma sostanzial
mente riconducibili a un quadro omogeneo, un culto panellenico, ta
i pi antichi e documentati in tutto l'ampio arco geografico e storico
della grecit, nella madrepadria e nelle colonie microasiatiche, magno
greche e siceliote. Il collegamento di tale complesso rituale con il mi
to del vagabondaggio di Demetra sulla terra alla ricerca di Persefone
166
scomparsa e soprattutto con il motivo del "richiamo" della figlia, p
messa del ritorno, conferma infatti le valenze antiche e panelleniche del
tema in esame.
Pausania di fatto dichiara: Vicino al Pritaneo c' una rupe: la
chiamano Anakletris perch Demetra, se il racconto credibile, quan
do vagava in ceca della figlia, ne invoc il nome anche qui, afnch
torasse. Ancor oggi le donne di Megara fanno una rappresentazione
conforme a questo racconto (I 43, 2).
Un altro singolare rituale di "richiamo" in un contesto cultuale
demetriaco quello attestato ancora da Pausania nella localit aae d
Pheneos, in cui intervengono elementi di carattere arcaico come l'as
sunzione di una "persona" divina da parte del sacerdote attraverso l'uso
della maschera e la battitura del suolo mediante delle verghe, finalizzata
certo all'evocazione delle potenze ctonie. Sebbene non si menzioni
esplicitamente il prsonaggio di Persefone come oggetto dell'evoa
zione, il confronto con alcune scene rafgurate sui vasi attici, analiz
zate con perizia d C. B1, nelle quali una fgura divina, talora la
stessa Persefone, emerge dal suolo percosso dai "satiri martellatori",
peette di concludere con buona verisimiglianza che un ritale siffat
to fosse funzionalmente connesso a un "passaggio ctonio" di una di
vinit emergente dal regno infero.
Nel caso di Feneo, la circostanza che l'opratore del rito che si cele
bra presso il cosiddetto Petroma: due grandi pietre che si appoggiano
l'una all'altra, assuma la maschera di Demetra Kiris nel corso della
festa misterica, nell'atto di colpire con le verghe quelli del sottoterra,
rende probabile che tale rito fosse inteso come un richiamo rivolto a
favorire il ritorno della Figlia. In ogni moo il luogo si confgura co
me sede di una delle tante tappe del vagabondaggio di Demeta e delle
relative xenie d parte di ospiti umani. Pausania infatti riferisce ch
vi un racconto (logos) dei Feneati secondo cui prima di Naon giun
se qui presso di loro Demetra nel suo vagabondare, e a quanti la rice
vettero in casa e con doni la de distibu tutti i legumi, a ecezone
delle fave 2
Un ulteriore, importante elemento fornito dal mitografo Conone,
la cui opera perduta, costituita da cinquanta Narrazioni, sopravvive sol
tanto nell'ampio resoconto del patriaca Fozio. Vi leggiamo dunque ch
il quindicesimo racconto parla delle genti di Feneo, di Demetra e d
Kore, che Plutone rap e condusse via all'insaputa della madre nel suo
167
regno sotteraneo. Le genti di Feneo indicarono a Demetra il luogo at
traverso il quale si discendeva agli Inferi (c'era infatti una voragine a
Cillene). Fra gli altri favori ella concesse loro quello per cui mai il
numero dei Feneati caduti in guera avrebbe superato il centinaio
l
.
Questa fonte localizza infatti nel territorio di Feneo l'evento stesso de
la katabasis infera di Kore e conosce il motivo della notizia dell'evento
forita alla madre dagli abitanti del luogo. Il dono offerto dalla d in
ricompensa dell' informazione, in pari tempo, implica l'utilit di qu
st'ultima ai fini della ricomposizione della crisi.
Il motivo di una personalit divina segnata nel profondo dal mou
larsi della sua attivit e della sua funzione, nel mito e nel culto, nel
l'alteranza di presenza-assenza con decisivi riflessi sulla vita cosmica
e umana interviene in due contesti arcadi, ossia pertinenti a una r
gione greca che risulta a vario titolo caratterizzata d una notevole a
caicit culturale. Tale personalit divina reca nella nostra fonte, Pausa
nia, il nome di Demetra ma risulta connotata da tratti singolari, quanto
alle sue prerogative, alle vicende mitiche e al culto di cui protagoni
sta, s da suscitare difficili problemi nella defnizione della sua consi
stenza storica e dei suoi rapporti con la panellenica signora della coltu
ra cerelicola.
Si tratta delle localit di Telpusa e di Figalia, tra cui intercore una
complessa trama di rapporti mitico-rituali che parimenti le collegano,
soprattutto la prima, anche al centro di Licosura sede di un grandioso
santuario di una grande d d nome segreto, la Despoina, oggetto d
un culto misterico di cui diffcile stabilire i contenuti e le modalit e
soprattutto l'antichit della sua fondazione. Nell'area di Telpusa, presso
il fiume Ladon, si levava uno hieron di Demetra Erinys, il cui appella
tivo, a dire di Pausania, era interpretato dalla tadizione loale in r
porto a una vicenda mitica di violenza subita dalla dea. Con riferi
mento certo avventizio al mito panellenico del ratto di Persefone, si
presenta la dea vagante alla ricerca della fglia che, giunta nella regio
ne, seguita d Poseidone desideroso di unirsi a lei. Demeta si ta
sforma allora in una cavalla, mescolandosi alle mandrie di animali pa
scolanti nel luogo, ma ugualmente raggiunta dal dio, anch'egli in
forma equina. Adirata per l'unione indesiderata, d cui sabbe derivata
la denominazione di Erinys, perch - nota Pausania - "nutrirsi di col
lera" detto erinyein dagli Arcadi, la dea successivamente si placa e si
168
immerge nelle acque del fiume Ladon. Dalla cessazione dello stato d'ira
le deriva poi l'appellativo di Lysia.
Il Periegeta descrive le due immagini sacre, di legno e marmo, cu
stodite nel nos, le quali raffguravan la d nelle successive manife
stazioni: la prima, con cista e fiaccola, avrebb rappresentato Dmeta
Erinys. L'unione dei due dei aveva dato luogo a una figlia, d nome
sconosciuto ai non iniziati, ossia evidentemente la Despoin venerata
nei misteri di Licosura, e il cavallo Arion:.
Senza poter entare ora nel merito della complessa questione del
l'identit della Erinys di Telpusa e dei suoi rapporti con il personaggio
omonimo venerato a Tilfossa in Beozia, basti notare il dato essenziale
ai nostri fini della contestuale presenza nel personaggio delle due com
ponenti dell'ira e della pacatezza, in rapporto a un'esperienza di fuga,
violenza e ritorno alla normalit.
Non possibile misurare l'antichit e la maggiore o minore auten
ticit della saldatura del personaggio e della sua vicenda allo schema
demetiaco, quale si presentava gi consolidata al tempo di Pausania.
La consistenza mitico-cultuale della Demeter Erinys arcade, comunque,
permette di constatare la pertinenza allo scenario greco di una o pi fi
gure di divinit femminili in varia misura omologhe alla Dmeta
eleusina sotto il profilo del coinvolgimento in avventure del tipo in
esame.
Ancora pi significativo in questa direzione lo scenario delineato
d Pausania a proposito del cento di Figalia3' che in una cavea sul
monte Elaion aveva un'antica e singolare sede cultuale deicata a D
meta Melain. Il Periegeta nota che anche alla d Nera si riferisce il
mito noto a Telpusa relativo all'unione teriomorfa con Poseidone, con
la differenza che secondo gli abitanti di Figalia da essa non sarebb na
to il cavallo Arione ma la sola Despoin. Ci che costituisce la sin
golarit del complesso mitico-cultuale di Figalia e la pregnanza del suo
significato religioso emerge dalla successiva narrazione del Periegeta
relativa agli eventi legati a quell'unione e alla storia della sacra s
quali erano custoditi dalla memoria degli abitanti del luogo. Si raccon
ta infatti che per rancore contro Poseidone e a causa del dolore prou
rato dal ratto di Persefone, (la de) indoss una veste nera, si rec in
quella cavera e vi rimase nascosta a lungo.
Al di l dell'evidente commistione dei due motivi, quello locale del
la mixis in forma equina con Poseidone e quello panellenico del ra-
169
pimento della Figlia, la Demetra Ner di Figalia risulta implicata in
un dramma di penthos e ira, con relatvo nascondimento. La specifcit
del contesto acade data dalla dimensione di selvatichezza del quao,
espressa nel ricovero montano della dea e presto ulterormente precisata
d successivi particolari del racconto e soprattutto dalle modalit dl
culto ancora praticato al tempo di Pausania. Alla latenza della d in
lutto segue una rovinosa caestia: tutto ci che la terra nutre deperva,
e la fame infliggeva alla stirpe umana prdite ancora pi gravi. Tutti
gli dei ignoravano il luogo in cui Demetra era nascosta. Solo il selva
tico Pan, vagando a caccia per le montagne scopre il suo rifugio e lo
comunica a Zeus che invia presso la dea le Moire. Persuasa da costo
ro Demetra lasci ce la collera e si liber anche dal suo dolore.
Senza alcuna contoparte, dunque, l'ira e la soferenza vengono meno e
la dea placata "ritora", ristabilendo gli equilibri naturali.
A fronte della complessit del mito eleusino, anche in rapporto ala
natura letterariamente assai elaborata del doumento che c l'ha conse
gnato, la tradizione di Figalia nella sua scara semplicit mantiene tut
tavia intera l'intensit espressiva di un autentico quao religioso e ri
sulta nelle sue linee portanti stutturalmente omologa alla pi aico
lata e "colta" tradizione eleusina. Anche qui, inoltre, preente la di
mensione cultuale indispensabile all' integrit di quel quado: la ricono
scenza degli uomini per la cessazione del lutto, rifessa nel ripristino
della presenza divina, si manifesta nella dedica della cavea, luogo dl
nascondimento della dea, quale see di culto, ossia spazio sacro della
sua benefca epifania. Non si mancher di notare il parallelismo della
situazione rispetto a quella del naos eleusino, quae delineata nel
l'Inno omerico.
La distanza rspetto al modello demetriaco si rivela tuttavia netta in
relazione all'aspetto teriomorifco della d di Figalia e alle speciai
modalit del suo culto. Il Periegeta descrive la statua di legno dc
alla Melana ma non pi esistente al suo tempo, essendo stata distrutta
da un incendio: essa rafgurava una donna seduta su una roccia, recante
tuttavia una testa equina sormontata da serpenti e altre beste selvati
che. Rivestita da una tunica, ella recava un delfno in una mano e una
colomba nell'altra. Aspetto teriomorfo e attributi animali pertinenti ai
tre regni, terreste, acquatico e aereo, confgurano l'immagine di una
"signora degli animali", una personalit dall'ampia dimensione co-
170
smica, connessa alla fertilit ctonia ma in tennini diversi rispetto alla
ceralicola Demeta panellenica.
Con quest'ultima peraltro la d Nera di Figalia continua a mante
nere legami di affnit che sembrano esser stati rafforati nel corso
della sua storia. Ancora Pausania nara di un peiodo di decadimento del
culto, conseguente alla distruzione dell'antico idolo !igneo. In pun
zione della tascuratezza degli uomini la d manifesta per la seond
volta la sua ira, rtraendosi dalle proprie funzioni e provocando la steri
lit del suolo. L'oracolo delfico cui il popolo si rivolge Io sollecita a
rpristinare i dovuti omaggi cultuali alla dea, evoata con il nome d
Deo e confgurata secondo il modello panellenico di istitutice della vi
ta culta attaverso la dispensazione del grano che ha pennesso al
l'umanit l'abbandono di una condizione di vita ferina. Gli abitanti d
Figalia rischiano dunque di ricadere nella ferinit, con la pratica dell'an
topofagia, se non placheranno l'ira divina con le opportune ofere sa
criticali adorando l'antro con i dovuti onori divini.
Il Periegeta conclude la narazione illustrando le pculiari modalit
del culto, per osservare le qual anzi dichiara d essersi recato a Figalia.
Nessuna vittima animale offerta ala dea: soltanto i prodotti degli al
beri coltivati, e in particolare l'uva, sono recati nella sacra grotta in
sieme con favi di miele e lana allo stata naturale, ancora imprgnata
del grasso animale, e sono deposti sull'altare per essere cosparsi d
olio. Una sacerdotessa aiutata da un giovinetto celebra i riti in uno
scenario di tipica selvatichezza montana: un sacro bosco di que cir
conda la grotta e una sorgente di acqua fdda scaturisce d suolo (
11-12).
Il complesso mitico-cultuale della Melin d Figalia, con la sua
arcaica fsionomia teriomorfca, confenna l'antichit e l'autenticit rli
giosa- nel mondo greco del tema mitico della latenza divina, vaa
mente motivata ma sempre espressa in tennini di corruccio e di lutto,
seguita da una manifestazione/ritorno e funzionalmente connessa a
rtmi della fecondit naturale, sotto il poflo vegetale, con rifessi d
cisivi sulla vita umana e sull'intero scenario divino e cosmico. Questo
tema mitico, come noto, interviene in numerosi contesti culturali vi
cino-orientali almeno a partire dal n millennio a. C., da quello sume
ro-accaico di Inanna-IStr
:
a quello ittita di Telepinu3 Non entiamo
in questa problematica, oggetto di specifci contributi nel presente vo
lume. Ricordiamo soltanto il tentativo originale operato da Walter
171
Burkert, sul fondamento delle profonde analogie strutturali percepibili
ta il mito acadico di Demetra Erinys e Melaina da una parte e quei
contesti religiosi dall'altra, per tacciare una linea di continuit storica
che muove "da Telepinu a Telpusa":. Lungo tale linea, a parere dllo
studioso, sarebbe possibile ricostruire anche il processo di formazione
della fgura di Demeta.
Le argomentazioni a base linguistica elaborate dallo studioso pr
dimostare il suo assunto non ci sembrano convincenti e comunque
rimangono sempre parziali e inadeguate a "spiegare" la complessit e
vastit delle trame e dei significati peculiari dei processi storici in que
stione. Pi legittima riteniamo piuttosto l'istanza comparativa ta il
contesto greco da una parte e quelli vicino-orientali dall'altra, per inda
gare afnit, eventuali rapporti storici ma anche ineliminabili dife
renze. Riprendendo le conclusioni a cui era pervenuta la nostra prce
dente analisi del tema, rafforzate dalle argomentazioni fin qui svolte, ci
sembra legittimo riconoscer che la figura di Demeta, sia nella sua
dimensione eleusina che nelle numerose e varie "versioni" locali, d
cui quelle arcadiche di Telpusa e di Figalia rappresentano per un verso
le pi differenziate ma per l'altro verso anche quelle pi affini struttu
ralmente, si defnisca nella specifica dimensione di divinit legata a
un ritmo alterno di presenza - assenza- ritorno. In rapporto ai contesti
mitico-rituali del Vicino Oriente antico la d geca mostra spcifche
analogie ma anche qualifcate diferenze soprattutto in relazione alla
sua dimensione eleusina, in cui legata in un rapporto di stretta sim
biosi con Persefone. In questa dimensione, di cui partecipano numero
se tradizioni afni, infatti la Figlia a essere infine fissata in un
ritmo di altera prsenza-assenza, come sovrana degli Inferi e Kore d
Demeta, mentre la Madre risulta ormai stabile nelle sue prerogative d
dispensatice del cerale, secondo ritmi non pi modificabili. La sfera
eleusina si connota in forme del tutto peculiari per l'istituzione di
Mysteria, "invenzione" originale che rimodella fgure divine e eventi
mitici e, senza snaturarne le antiche fisionomie, le pone in un rapporto
di pi intima familiarit con l'uomo e il suo destino, proiettando anche
olte la morte i benefici largiti dalla presenza divina durante l'esistenza
terrena.
172
N01
lfnno a Demetr, vv. 302-307, trad. di F. Cssola, Milano 19812, pp. 60-
63, da cui citeremo anche in seguito, segnalando eventuali modifiche. Cf.
N.J. Richardson, The Homeric Hymn to Demeter, Oxford 1974 e H.P. Fo
ley, The Homeric Hymn to Demeter, Translation, Commentar a ln
terpretative Essay, Princeton 1993.
2 Non forse superfluo notare la singolarit di questa notazione (vv. 27-
29): si sottolinea la prima "latenza" divina, quella del sommo degli di che
pure, con il suo consenso, permette il rapimento della Figlia. Zeus non ode
il richiamo d'aiuto della fanciulla perch ha momentaneamente lasciato la
propria sede olimpica per occupare, nel tempio a lui dedicato, uno spazio
terreno circoscritto, che in qualche misura limita anche il suo potere di
vino.
3 L'attributo della fiaccola uno dei pi frequenti e distintivi elementi del
l'iconografia demetriaca: esso accompagna la de e le varie figure del suo
seguito, essendo pertinente in particolare proprio alla Figlia e alla stessa
Ecate. L fiaccole caratterizzano anche la sfera cultuale eleusina, in cui la
funzione sacerdotale del daduco una delle pi antiche e importanti, ri
flessa sul piano sovrumano nella figura di Iakchos dadoforo. In pari tempo
la simbologia evoca il contesto notturo di una larga parte delle cerimonie
misteriche. L'insistenza dell'A. omerico su questo attributo lungo tutto il
corso della narrazione una chiara spia del suo interesse a collegare allusi
vamente il piano mitico a quello rituale.
4 Cf. I. XV 187-193.
5 Un'analisi del tema in funzione del confronto e dello scontro fra
"saggezza olimpica e mistica eleusina" nel nostro documento stata for
mulata con acute osservazioni da U. Bianchi, "Saggezza olimpica e mistica
eleusina nell'inno omerico a Demetra", SMSR, 28, 1964, pp. 161-193.
6 Non si infatti mancato di sottolineare, a vario titolo, le "incongruenze"
del comportamento della dea che, divenendo nutrice del bimbo Demoo
fonte, sembra "dimenticare" il lutto per la figlia ovvero, dopo aver annun
ziato la fondazione del culto misterico (v. 273), solo a conclusione dell'in
tera vicenda forisce le istruzioni relative. In proposito ci sembra icasti
camente felice l'osservazione di Parker, secondo cui Demeter would cease
173
to be Demeter if she had to explain herself to Wilamowitz>> (R. Parker,
'The Hymn to Demeter and the Homeric Hymns", Greece and Rome, 38,
1991, pp. 1-17, p. Il). La "logica" del mito notoriamente obbediente a
sue regole peculiari.
7 Un'indagine su questa tematica in G. Sfameni Gasparro, "Anodos e katho
dos: movimento nello spazio e ritoro al tempo mitico. Sedi sacre e atti
vit rituale nel culti di Demetra a carattere tesmoforico", in D. Pezzoli-01-
giati - F. Stolz (edd.), Cartografia religiosa. Organizzazione, codificazione
e simbologia dello spazio nei sistemi religiosi, Ber et al. 200, pp. 83-
106.
8 La scena trova un riscontro iconografico in due famosi monumenti figu
rati, il Sarcofago di Torrenova e l'Ura Lovatelli, che ne mostrano il ri
fesso sul piano cultuale. Cf. U. Bianchi, The Greek Mysteries, Leiden
1976, pp. 27-29, nn. 47-48 e 50.
9 Se per un verso questo evento richiama lo scambio di ingiurie e motteggi
che avveniva nel corso della processione sacra da Atene ad Eleusi presso i l
ponte del Cefso e pi ampiamente l'uso della aischrologia in numerosi cul
ti demetriaci (soprattutto nelle Tesmoforie), parallele versioni mitiche
configurano l'episodio in senso chiaramente scurrile, introducendo il per
sonaggio di Baubo che compie un gesto osceno.
10
Bianchi, "Saggezza olimpica e mistica eleusina".
11 Usiamo questo termine nella sua accezione propria e culturalmente de
terminata dall'essere aggettivo (mystiks) pertinente appunto a mysteria,
e quindi atto a qualifcare l'intera gamma delle nozioni e delle azioni cul
tuali attinenti a questa sfera. In particolare, esso pu essere utilizzato per
caratterizzare la qualit del rapporto, di familiarit e di sympatheia, che si
instaura tra l'uomo e l a divinit protagonista della vicenda e del culto mi
sterici.
12 Le indicazioni relative alla localizzazione del naos sono troppo detta
gliate per non tradire la precisa volont dell'Autore dell'Inno di forire le
coordinate topografiche del santuario eleusino quale doveva essergli fami
liare. Sulla peculiarit degli impianti sacri demetriaci, solitamente disposti
su alture o pendii collinari, nei pressi dell'elemento acquatico (fumi, sor
genti, pozzi o spiagge marine), si veda S. Guettel Cole, "Demeter in the
Ancient Greek City and Its Countryside", in S.E. Alcock - R. Osborne
(edd.), Placing the Gods. Sanctuaries and Scred Space in Ancient Greece,
174
Oxford 1994, 19962, pp. 199- 216 e Sfameni Gasparo, "Anodos e katho
dos".
13 <<E certo ella avrebbe distrutto interamente la stirpe degli uomini mortali
con la fame inesorabile, e lo splendido privilegio delle offerte e dei sacri
fci avrebbe sottratto a coloro che abitano le dimore dell'Olimpo ... >> (vv.
310-312).
14 La prospettiva ribadita nelle parole rivolte da Heres ad Hades: <<0 Ade
dalle cupe chiome, che regni sui morti, Zeus, il padre, mi ordina d condure
fuori dall'Erebo, fra gli dei, l'augusta Persefone, afnch la madre riveden
dola con i suoi occhi ponga fine al rancore e all'ira inesorabile contro gli
immortali; poich medita un grave progetto: sterminare la debole stirpe
degli uomini nati sulla terra tenendo il seme celato sotto la zolla, e distrug
gendo le offerte che spettano agli immortali>> (vv. 347-354).
15 Il motivo intenzionalmente sottolineato nel contesto in esame e i n
tutto i l corso della narazione ira e corrccio sono i sentimenti ispiratori
dell'azione di Demetra.
1
6
Tale qualit sanzionata dalle parole d Hades: <<Non sar per te uno
sposo indegno al cospetto degli immortali, io che sono il fratello del padre
Zeus; e quando sarai quaggi, regnerai su tutti gli esseri che vivono e si
muovono e avrai fra gli immortali gli onori pi grandi; per sempre vi sar
un castigo per coloro che ti offendono, quelli che non placheranno con of
ferte il tuo animo celebrando i sacri riti e offrendoti i doni dovuti>> (v v.
363-369).
17 Alla logica di uno stretto collegamento fra contesti mitico-cultuali d
metriaci e calendario agricolo attico obbedisce l'indagine di A. Chandor
Brumfeld, The Attic Festivals of Demeter a Their Relation to the Agri
cultura[ Year, Salam, New Hampshire 1981, pervenendo a un riduzionismo
naturistico dell'intera prospettiva religiosa.
1
8 Abbiamo proposto una traduzione di questi versi pregnanti diversa d
quella fn qui seguita del Cssola, per sottolineare la specifcit dell'espe
rienza eleusina, fondata sulla "visione" degli hier, come risulta dall'intera
documentazione e come l'autore dell'Inno mostra effcacemente quando de
finisce la posizione del fedele come colui che ha veduto>> i sacri riti.
19 Cf. U. Bianchi, "O IMnA AHJN ", in Ex orbe religionum. Studia
Geo Widengren oblata, Leiden 1972, vol. l, pp. 277-286; G. Sfameni Ga
sparro, Misteri e culti mistici di Demetra, Roma 1986, pp. 123-134.
175
20 Aristotile, in Sinesio, Dione, 48 (PG 66, coli. 1133 D- 1 136 A= N. Tur
chi, Fontes historiae mysteriorum aevi hellenistici, Roma 1930, no 87):
coloro che vengono iniziati non devono apprendere qualche cosa ma pro
vare delle emozioni, evidentemente dopo essere divenuti atti a riceverle.
Infatti, si conclude, << .. . nelle feste eleusine ... l'iniziato riceveva delle im
pressioni dagli spettacoli e non un insegnamento.
21 Apuleio, Met. 6, 2. Un'evocazione rituale della ricerca e del ritrova
mento di Kore nella sfera misterica presupposta nella notizia di Clemente
Alessandrino che dichiara: Deo e Kore sono divenute una mistica rappre
sentazione e per loro Eleusi celebra con fiaccole il vagare, il ratto e il do
lore (Turchi, Fontes historiae, n 122). In tal senso espressivo anche un
passo di Lattanzio (Div. Inst. Epit. 18 =Turchi, Fontes historiae, n 124):
his (se. ai riti di Iside) etiam Cereris simile mysterium est, in quo facibus
accensis per noctem Proserpina inquiritur et ea inventa ritus omnis gratula
tione et taedarum iactatione fnitur.
22 In tal senso ha concluso, dopo una disamina delle tradizioni mitiche, A.
Brelich, "Nascita d miti (Due studi mitologici). 2. Il mito di fondazione
dei misteri eleusini e miti affini", Religioni e Civilt, 2, 1976, pp. 47-80.
23 Cf. in questo stesso volume il contributo sul personaggio di P. Pisi.
24 Come noto, in un ampio filone mitico, distinto d quello eleusino, s i
afferma la nozione di un inizio della pratica agricola solo dopo il ritorno di
Persefone, con la consegna del cereale e delle tecniche di coltivazione a
Trittolemo, che le diffonde in tutta l'oikoumene.
25 Ad Ermione, che Strabone conosce come luogo in cui <<Si trova il cam
mino pi corto per discendere nell'Ade (Geogr. VIII 6, 12) sicch <<le gen
ti del paese si astengono dal porre nella bocca dei morti il prezzo del loro
passaggio, il Periegeta registra una complessa tradizione mitica che, nei
nomi degli ospiti umani della dea e fondatori delle sue sedi d culto nel ter
ritorio, i fratelli Climeno e Ctonia, riflette chiaramente il livello delle
stesse personalit divine. Egli descrive anche una grandiosa festa deme
triaca, denominata Ctonia, in cui si pratica un singolare sacrificio di vac
che da parte delle sacerdotesse della dea mediante una falce e ricorda una ca
vit della terra attraverso cui si compiuto il passaggio di Eracle dall'Ade
(II 35, 5-7). Per lo svolgimento della festa si veda anche Eliano, De natura
animalium X 4. Sulla tradizione mitica secondo la quale gli Ermionesi
comunicarono la notizia del ratto a Demetra cf. Apollodoro, Bibl. I 5, l.
176
26 Pausania I 39, 3.
27 C. Brard, Anodoi. Essai sur l'imagerie des passages chthoniens, Roma
1974, pp. 75-87 e, per le scene di anodos riferibili a Kore, pp. 91-102.
28 A proposito di tale divieto Pausania aggiunge che esisteva uno hiers
logos atto a spiegare le ragioni per cui le fave sono ritenute massimamente
impure (VIII 14, 15, 1-4).
29 Fozio, Biblioth. Codex 186, 15 ed. R. Henry, Paris 1962, T. III, p. 14s.
30 Pausania VIII 25,4-7.
31 Pausania VIII 42, 1-7.
32 Cf. S.N. Kramer in J. B. Pritchard, Ancient Near Easter Texts Relating
to the Ol Testament, Illrd Edition with Suppl., Princeton 1969, pp. 52-
57.
33 Cf. A. Goetze i n Pritchard, Ancient Near Easter Texts, pp. 126-128. Su
questo personaggio, cf. il contributo di A.M. Polvani in questo volume.
34 W. Burkert, Structure and Histor in Greek Mythology a Ritual, Ber
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179
MORTE DI DIONISO
e nuova armonia delle sue membra
MARA ROH
Qui giace morto Dioniso, nato d Semele. Un autore di et bi
zantina riferisce che a Delf si leggeva questo epitaffo presso la statua
aurea di Apollo, nella parte pi interna del suo tempio alla quale pochi
avevano accesso1 La tomba si tovava nel luogo presso il quale i G
ci individuavano il cento della terra; anzi coincideva addirittura con
l'ombelico (omphlos) della Grcia, se fosse possibile d credito a
quanto dice Taziano2
Anche a Tebe, oltre che a Delfi, un sepolcro raccoglieva il corpo d
Dioniso fatto a pezzi in quella citt3 Alta "tomba" era la palude d
Lera nella quale Perseo, vincendolo, lo aveva fatto precipitare.
I dati relativi alla sepoltura di Dioniso rinviano a luoghi e tadi
zioni diverse e provengono da testimonianze di autori ai quali gli stu
diosi moderi riconoscono divesa attendibilit. Una parte dei riferi
menti si trova in opere di autori cristiani che rispondono a precise fna
lit: istigare gli imperatori cristani all'intolleranza verso i pagani o
convertire questi al Cristianesimo. Avviene pertanto che la notizia dl
la presenza della tomba sia, con altre, inserita in un elenco al fne d
scandazzare per fare polemica o, al contrario, rinvii a insostenibili
analogie richiamando l'attenzione su un Dioniso morto, risorto e ae
so al cielo.
Alcune testimonianze, le pi numerose, risultano ispirate all'uti
lizzo del mito da parte degli Od. Il morto un dio dei Greci che gi
nel II millennio ha il suo nome registrato in lingua greca sulle tavolet
te rcenee6 Le difcolt che si incontrano nell'osservare l'insieme dl
materiale tradizionale che lo riguarda sono gi espresse d Diodoro Si
culo: Ma poich gli antichi mitograf e poeti che hanno scritto su
Dioniso hanno messo per iscritto narrazioni discordi le une rispetto al
le altre e molti prodigiosi racconti, diffcile parlare con chiarezza dl
la nascita di questo dio e delle sue imprese. Alcuni infatti hanno ta
mandato che vi fu un solo Dioniso, altri che ve ne frono tre, e ci so-
181
no alcuni i quai afermano che non vi stata assolutamente una sua
nascita in forma umana, ritenendo che Dioniso altro non sia che il d
no del vinO>/ Proseguendo il discorso, Diooro fa riferimento a Dio
niso, che nasce d Zeus e Demeta; d Zeus e Persephone; d Zeus e
Semeles. Quest'ultimo ha una vicenda di nascita ampiamente narata,
tra gli altri, da Apollodoro9: Zeus si innamora di Seme le e si unisce a
lei di nascosto d Era. Ma Semele, tatta in inganno d Era, poich
Zeus le aveva promesso di esaudire tutto quello che avesse chiesto,
domanda al dio di recarsi da lei cosl come era andato a unirsi con Ea
Zeus non pu rifutae e giunge alla stanza di Semele sopra il car,
con i tuoni e i fulmini, e scaglia la folgore. Semele mor di terrore; al
lora Zeus sottrasse alle famme il fglio di sei mesi che lei aveva abr
tito e lo cuc nella sua coscia. Morta Semele, le alt fglie di Cadmo
sparsero la voce che la sorella si era unita ad un uomo mortale e aveva
mentito accusando Zeus, e per questo era stata fulminata. A tempo 0
bito Zeus scioglie le cuciture, fa nascere Dioniso e lo ad a Hermes.
Hennes lo porta da In o [sorella di Semele] e Atamante e li prsuae a
crescerlo come se fosse una fanciulla. Ma Era si adir e li fece impaz
zir ... Zeus sottasse Dioniso alla collera di Era mutando lo in caprtto:
Ermes lo prse e lo port presso delle ninfe che vivevano a Nisa in
Asia.
Dioniso non condivide quindi il destino di tanti altri che, essendo
fgli di di e mortali, nascono eroi e in quanto tali sono inseriti nell'
ampia schiera di mortali vissuti al tempo del mito10 Egli ha una sorte
diversa. Esiodo dice che la mortale Semele gener un immortalell.
Dioniso non corre solo il rischio di morire, come ad esempio Ares, ma
muore e sepolto in una tomba a Delf e a Tebe e la ventura dlla
morte lo riguarda sia che egli abbia p ma l'eroina Semele sia ch
sia prole di Zeus e di una dea. Dioniso dunque un immortale che p
tecipa di una tra le prerogative fondamentali degli eroi e degli uomini:
la morte.
Le vcende relative alla sua nascita comportano che nel momento
in cui Semele lo genera nel fuoo12, egli sia liberato dalla condizione di
mortale e esca vivo dal rogo di quel fulmine che, stando all' aema
zione di gran parte degli autori antichi, non spaventa, come dice Apol
looro, ma incenerisce Semele.
182
Il dio ha un'esistenza nel corso della quae avviene che egli sia ge
nerato due o tre volte, il che vuole d che egli tora a vivere dop
avere superato la fne di una precedente esistenza. La morte per lui un
evento che non incide sull'immortalit. Egli in gdo di condividre
temporaneamente le condizioni di un morto, ma anche d superarle in
una vicenda che vanifca i dubbi che nel mito riconoscono a ligger la
maternit di Semele, e lo qualifca "a dispetto" di tale md come di
vinit in grado di passae dall'uno all'altro mondo.
La tadizione pi doumentata e discussa quella che riguarda la
sepoltura a Delf del dio, morto in vare circostanze e a opera di di
versi personaggi.
C' una morte che Dioniso, fglio di Semele, affronta I dopo esse
re stato allevato e cresciuto a Nisa, quand si aggira ancora sulla t
ed vinto da avversari armati che si oppongono alla sua volont di es
sere sovrano a Tebe e di divulgae i riti in suo onore.
L'epitaffo di Delf qui giace morto Dioniso, nato da Semele
viene riferito dallo storico bizantino Malala che, a sua volta, dichiar
di apprender le notizie relative alla morte e sepoltura da altri autori,
Dinarco, Filocoro e Cefalione13 Nella sua Crona Malata pesenta
Dioniso come un mortale che merita di essere innalzato al rango di dio
a motivo dei suoi merti per avere scoperto il vino. Dopo esser dive
nuto esperto in misteri e capace di oprare prodigi e dop avere rg
giunto Persia e India e varie altre regioni con un esercito di armati, il
dio si rea a Tebe per ottenere il regno che Cadmo suo nonno aveva
ceduto a Penteo. Segue uno sconto nel quale Dioniso ha la peggio,
ma Agaue, sua zia e mad di Penteo, convince il figlio a Iiberarlo.
Dioniso con il suo esercito uccide in un agguato Penteo e rientra a Te
be per regnarvi. Non riesce nell'intento perch gli abitanti della citt si
rivolgono a Licurgo e questi con un eserito lo espelle dalla Beozia.
Dioniso fugge e ariva a Delf dove muore dopo avere offerto le sue
armi nel tempio. Il suo corpo giace in una tomba e questa si trova vi
cino al simulacro aureo di Apollo.
Nella Crona l'epitaffo inserito in un contesto nel quale aui
sta un valore particolare. Essa offe della persona del dio una storia alla
maniera di Evemero: Dioniso che discende da Zeus, ma non suo f
glio, acquista per i suoi merti il riconoscimento divino. La morte, che
183
secondo Malala viene a opera di Licurgo, d altri attribuita a Per
seo14, l'eroe che sconfgge Dioniso presso la palude di Lerna.
La tadizione riferisce di un'altra morte che Dioniso fanciullo subi
sce ad opera dei Titani, che fanno a pezzi il suo corpo. Da un f
mento di Callimaco apprendiamo che anche Dioniso era venerato a
Delf insieme ad Apollo, per questa ragione: i Titani, avendo dilaniato
le membra di Dioniso, le afdarono a suo fratello Apollo gettandole in
un calderone, e lui le pose presso il tipode, come dice Callimaco 15
La passione che Dioniso soffre ad opera dei Titani trova gande eo
tra gli Orfci per i quali anche modello della morte di Otfeo16 Due
frammenti orfci contenuti in un'opra di Clemente Alessandrino17 rife
riscono che: Quando Dioniso era ancora bambino, mentre i Cureti
eseguivano intoro a lui la danz armata, i Titani, insinuatisi di sop
piatto e adescato il bimbo con dei balocchi, lo fecero a pezzi, lui che
era ancora piccolino, come dice il poeta della telete, il tracio Orfeo: la
pigna e il rombo e i balocchi articolati e i bei pomi d'oro provenienti
dalle melodiose Esperidi. Ma non sar inutile farvi conoscere gli inu
tili oggetti che fanno d simboli in questa iniziazione: un gioco d
aliossi, una palla, una trottola, dei pomi, un rombo, uno specchio,
della lana (un vello?). Atena dunque, sottatto il cuore di Dioniso, f
chiamata Pallade perch tenne ta le mani il cuore. I Titani intanto, che
avevano fatto a pezzi Dioniso, posero un paiuolo su un treppiedi, vi
gettarono le membra e poi le bollirono, poi le passarono allo spiedo e
le esposero alla famma di Efesto. Ma poi Zeus si manifesta [ ... ], fol
gora i Titani e consegna a suo fglio Apollo le membra di Dioniso
perch le seppellisca. Apollo non disobbedisce a Zeus e portato il c
davere smembrato sul Paaso, l lo seppellisce.
Firmico Matero18 offe la seguente interpretazione evemeristica del
mito: Dioniso figlio di un re a Creta e i Cretesi, popolazione servile,
volendo compiacere il proprio tiranno, fanno un dio di colui che non
poteva avere sepoltura. Liber, questo il nome latino di Dioniso, il
figlio che luppiter, un re cretese, ha avuto d una made adultera
(Proserpina). Iuno, moglie di Iuppiter, prepara insidie per uccid
l'infante. Partendo per un viaggio, il padre afda a guardiani che ritiene
sicuri la tutela del fglio dopo avergli consegnato scettro e trono. luno,
iritata ancora di pi per questo gesto, comincia a corompere i gua
diani, poi colloca le sue guardie del corpo nelle parti pi interne del pa
lazzo. E' lei stessa ad attirare con sonagli e specchio il fanciullo in
184
modo che abbandoni il palazzo e raggiunga il luogo dell'agguato. Il
fanciullo ucciso e, afnch il delitto rimanga nascosto, la banda delle
guardie divide le membra, le cuoce in modi diversi e si nutre di queste,
cosa mai avvenuta fno ad allora. Minerva, la sorella della vittima, par
tecipa al delitto e conserva il cuore, che la parte assegnatale, sia p
avere una prova del delitto e poterlo denunciare sia per mitigare l'ira
paterna. II padre, una volta torato, si vendica facendo perire i Titani in
vario modo e non potendo sopportare il dolore, fa una statua di gesso e
colloca nel petto di questa il cuore. Successivamente eleva un tempio e
Sileno, il pdagogo di Liber, ne diviene il sacerdote. Stando a quanto
racconta lo stesso Firmico Materno, l Cretesi, per mitigare la crudelt
del tiranno infuriato, decretarono giorate di lutto e istituirono un cul
to annuale [accompagnato da consacrazione biennale] in cui ripetono in
regolare successione tutto ci che il fanciullo fece e sub quando fu uc
ciso. Essi lacerano con i denti un toro vivo dando luogo in queste
commemorazioni annuali a festini atroci nel ftto delle foreste, levando
un coro dissonante di lamenti simulano la pazzia di un'anima frente
per fare crdee che il delitto fu compiuto non con la prfdia
dell'inganno ma per demenza. Viene portato in processione lo scrigno
in cui la sorella aveva nascosto il cuore; e con la musica dei fauti e il
tintinnio dei cembali imitano il rumore dei sonagli con i quali era sta
to ingannato il fanciullo 19
La passione del dio un evento che, oltre a essere variamente 0
scritto, anche messo in relazione dagli autori antichi con il tatta
mento dell'uva nel processo di viticoltura e vinifcazione.
Un commento all'opra di Clemente di Alessandran d notizia d
un mistico canto relativo allo smembramento del dio, cantato dunte
la vendemmia. Diodoro Siculo riferisce che Dioniso il dio generato da
Zeus e Demeta, fu dilacerato e cotto dai fgli della terra, [i Titani], ma
che le membra furono nuovamente messe insieme d Demeta e che
egli sarebbe di nuovo rinato giovane: e questi racconti li riportano a
alcune cause naturali. Egli sarebbe detto figlio di Zeus e Demeta p
ch la vite prouce il vino spremuto d grappolo prndendo il nuti
mento per la sua crescita dalla terra e dalle piogge; e il fatto d essee
smembrato, giovane, dai fgli della terra indicherebb la raccolta d
frutti da parte dei contadini. La cottura delle membra sarebbe un mito
creato per il fatto che i pi cuociono il vino e mescolandolo ne rn-
185
dono la natura pi odorosa e migliore. Il fatto che le membra scem
piate dai fgli della terra siano state rimesse insieme a ricostruire la
precedente natura vorrebbe mostrare che la terra ricostituisce la vite,
spogliata e tagliata al sopraggiungere annuale delle stagioni, riportan
dola al precedente stato di foritura che essa ha al momento della pro
duzione dei futti))21
Il signifcato che la tradizione mitica attribuiva alla mort di Dio
niso da cercare nella vaet dei dati fnora proposti e nelle conferme
che a questi alte testimonianze offono.
Il tempo in cui si svolge l'azione quello del mito, il tempo dl
le origini quando gli di nascevano, tascorrevano l'infanzia e si ag
giravano sulla terra. L'esistenza degli di caatterizzata da una crescita
che li porta a raggiungere pi o meno rapidaente la condizione d
adulti, che coincide pr loro con la facolt di vivere ed esercitae il loro
dominio in Olimpo. Di Dioniso, in particolae, si diceva che avesse
raggiunto la dimora urania dopo la campagna in armi, condotta in I-
d
.
.
Alcuni dicono Dioniso inseguito fno a Delf e morto alle falde dl
Parnaso e collocano questi eventi in una fase della sua vita in cui, non
pi bambino, si aggira sulla terra con l'intenzione di a ermare la pro
pra identit e di ottenere un riconoscimento terrest sia rivendicando
in Tebe la sua ascendenza regale sia mostando a quanti abitano la tera
le sue capacit e i suoi rti.
Alti invece dicono che smembrato quando un infante. Intorno a
lui i Cureti danzano e nel tentativo di evitargli la collera di Era pu
cono con le armi che indossano un rumore tale da non fare giungere al
le orecchie di questa i vagiti del piccolo. A quell'epoa sono ancora at
tivi i Titani, i fgli di Urano e Gaia, Cielo e Ter, i fatelli di Krono,
gli di della generazione precedente conto i quali Zeus deve combattere
per imporsi sul trono uranio. Il cosmo allora ancora in via di forma
zione.
Interessa notare che il luogo ove sepolto - olte a essere annove
rato nella tadizione mitica tra quelli privilegiat per le comunicazioni
ta la terra e i mondi uranio e infero - in qualche modo messo anche
in relazione con la nascita o con l'infanzia del dio. Una "coincidenz"
non casuale se si considera il susseguirsi di morte e nascita che caratte-
186
rizza la vicenda del dio. E' noto infatti che Teb- considerata Olimpo
terreste per avere ospitato tutti gli di in occasione delle nozze dei ge
nitori di Semele la citt dove Dioniso generato per la prima volta
da sua madre, dove, nato una seconda volta da Zeus, adato da H
mes alle cure delle zie, e dove smembrato e sepolto.
Il centro della terra presso Delfi particolarmente aperto a collega
menti con il mondo infero ed uranio e la tomba del dio nel santuaro
situato alle falde di quel monte Paaso. presso il quale la tadizione
ambientava momenti di vita 'infantile" comuni a Dioniso e Apollo.
Una cima del Paraso, infatti, gi baccheggiava per Dioniso quao
Apollo vi arriva, recato sulle braccia dalla madre2 E Dioniso era pres
so l'oracolo prima che Apollo lo ereditasse in quanto figlio di Latona e
successivamente ne prendesse possesso come figlio e profeta di Zeus:.
Il mito riconosce in questo modo tra Dioniso e Apollo una rela
zione che era ta l'alto fondamento della locale religiosit. Questa ri
chiedeva che Dioniso avesse parte degli onori, che gli fossero deicat
te mesi invernali nel calendaio2 e la decorzione di un timpano nel
tempio :. D'altronde Apollo che esercitava il suo dominio in quel luo
go risultava essersi imposto in qualche modo a chi r aveva n pr
duto.
Diverse sono le azioni di violenza che portano Dioniso alla morte.
Non deto, per esempio, in quale modo Dioniso, dopo avere egli
stesso offerto ad Apollo le proprie armi, trovi la morte a Delf durante
un conflitto nel quale i suoi avversari non gli riconoscono l'eedit dl
regno che egli pretende e lo ostacolano nella diffusione dei riti.
E' noto che i Titani agiscono per invidia nei confronti di Dioniso,
fglio di Zeus e Persefone, o per collaborare ad un piano destabilizzante
di Era indicata, dai pi, come l'istigatrice dello smembramento di Dio
niso1. Il suo movente la gelosia che, da sposa di Zeus, nutre nei
confonti dei fgli del maito nati a di fuori del suo matrimonio e che
secondo alcuni esploe nel momento in cui quel figlio si tova nelle
condizioni di e del potere. Nonno dice appunto che Dioniso uc
ciso dopo che salito nella dimora patera e si impadronito dei ful
mini, le armi del padre, e dice anche che Era istiga Gaia prch scateni
prima i Titani contro il fglio di Zeus e Persefone poi i Giganti af n
ch portino guerra contro il fglio di Semele2
Il conflitto culmina in un infanticidio Dioniso attirato subola
mente dai Titani, che si tingono il viso di bianco e ricorrono a giochi
187
puerili per raggirarlo2 Essi fanno a pezzi il suo corpo e si servono an
che di un coltellol. All'infanticidio segue la cottura delle membra, che
secondo alcuni fnalizzata a un banchetto e si tasforma in una pro
vocazione. I Titani mettono in un lebete i pezzi del corpo per bollirli e
successivamente li passano sul fuoco per arrostirli. Zeus allettato d
buon profumo delle carni in cottura e, non invitato, irrompe durante il
pasto, scopre quanto grave ci che sta accadendo, punisce col fl
mine, fa precipitare nelle profondit del Tartaro i Titani31 che avevano
anche gustato le cari del morto3 Cos facendo egli si dimostra sup
riore, riconoscendo "cosa bolle in pentola" ed effettivamente in gdo
di affermare la sua superiorit mediante la punizione.
Successivamente avviene che Zeus stesso, con la collaborazione dei
fgli o di altri, assicuri nuova vita al morto grazie anche a cete pati
del suo corpo ritenute particolamente vitali.
Il cuore del fglio di Persefone, che Atena aveva preso durate lo
smembramento, d Zeus introdotto in un simulacro di gesso3 o of
ferto come pozione a Semele che rimane cos incinta del nuovo Dio

3
mso .
I tendini del dio, che pr l'intervento dei vari personaggi sono mes
si in condizione di rinsaldare le ossa ricomposte nel giusto ordine, r
stituiscono capacit di movimento e vita al corpo. Dioniso giace a ter
ra ferito mortalmente, gli hanno reciso il tendine che lega la caviglia al
malleolo. Zeus lo fa rialzare destandolo d un sonno che, simile alla
morte, sospendeva momentaneaente la sua condizione sovrumana3..
Demetra ricrea l'armonia delle sue membra, lo fa nascere giovane come
la prima volta3; Rhea ricompone il corpo e il dio rivive, per la tr
volta: la prima da Semele, la seconda da Zeus, la terza dopo lo smem
braento ad opera dei Titanf'.
Apollo riceve dai Titani o d suo pade Zeus l'ordine di seppllire
Dioniso. Egli obbedisce e si reca al Paaso pr deporlo alle falde dl
monte a Delf presso il tripode3 La sua azione prouce efetti non di
versi d quelli ottenuti dagli altri artefci della nuova armonia delle
membra di Dioniso. Riunendo le parti del corpo che i Titani avevano
smembrato, Apollo lo fa risalire dal mondo inferiore, gli d nuova vita
e il vero salvatore di Dioniso, celebrato in un inno come Diony
sodotes colui che dona Dioniso.
188
Gli stessi carnefci, dopo avere fatto a pzzi la vittima e averla se
polta ricomponendo nell'ordine le membra vedono Dioniso risuscitare
vivo ed integro' e raggiungere la divina celeste dimora41
La \icenda per la quale Dioniso raggiunge una nuova vita ha, nel
mito, anche altre conseguenze. Atena d allora in poi chiamata Pal
lade per il fatto che il cuore del dio ha palpitato nelle sue mani. I Ti
tani raggiungono il Tartaro, loro defnitiva collocazione nel cosmo.
Secondo alcuni solo allora Atlante trova posto in ocidente ove ha il
compito di sostenere la volta celeste4 La punizione dei Titani causa la
comparsa del genere umano, che ha origine dai vapori fuligginosi
emessi dai loro corpi colpiti dalla folgore di Zeus.. Per gli Orfci a
cettae una tale antopogonia comportava il subirne le conseguenze. Da
un lato essi si consideravano gravati dalla colpa dei Titani e pr puni
zione di Persefone, madre offesa del fanciullo divino, costretti, ad ave
pi vite4, dall'altro ritenevano che l'iniziazione ai misteri accresesse
in loro la partecipazione alla natura del dio del quale i Titani si erno
cibati.
Quanto il mito narra ritenuto fondamento di regole per la celebra
zione di riti durante i

uali i partecipanti si imbiancavano il viso come


avevano fatto i Titani e usavano gli strumenti con i quali era stato at
tirato il dio bambino4; le donne, come avveniva nel corso della festa
Thesmophoria, si astenevano dal mangiare i futti del melograno pr il
fatto che aveva avuto origine dalle gocce del sangue versato d Dio
niso47. Firmico Matero, come s' visto, indica in certi riti cretesi che
comportavano lacerazione e consumazione di cai crde (sparagmos e
omophagia) della vittima animale l'illustazione della vicenda di morte
di Dioniso.
Plutarco propone un confronto tra Osiride e Dioniso: i miti sui
Titani e i riti notturni concordano con gli smembramenti di Osiride e
la sua resurrezione e rinascita. Altrettanto si dica riguado alle sue varie
sepolture. Gli Egizi, infatti, mostrano dovunque tombe di Osiride,
come gi stato precisato; cos parallelaente i Delf credono che le
reliquie di Dioniso siano serbate da loro presso il loro oracolo; e i
(sacerdoti denominati) "santi" offrono un sacrifcio segreto nel tempio
di Apollo, quando le Ti adi svegliano il Liknites 4
189
Dioniso Liknites, del liknon o che nel liknon, si fegia d
un epiteto che nella spiegazione offerta da Esichio derva d likna nei
quali i fanciulli dormono". Liknon il nome usato per indicare un c
sto, un canestro, una culla, un ventilabro, ovvero uno strumento usato
in agricoltura pr raccogliere i chicchi di grano, agitarli al vento, sepa
rali dalla pula, un contenitore di frutti, di oggetti, in cerimonie sa
cra! i".
La celebrazione menzionata da Plutarco aveva ricorrenza biennale5',
un intervallo temporale che carattrizzava, come dice Diodoo Siculo,
le feste per la comparsa del dio tra gli abitanti della Beozia, ta gli altri
Elleni e i Tracl e traeva origine d tempo trascorso nell'impresa con
dotta in India e nel ritoro a Tebe5
Per quanto riguarda la morte, diversamente da Osiride, Dioniso un
fanciullo, smembrato vivo, le sue membra sono cotte, la sua pr
senza nell'Ade solo un passaggio. Il numero delle tombe e la pe
senza di una di queste a Delf porta Plutarco a fare rferimento al rito
delle Tiadi, che si inquadra nella religiosit delfca e nel rapporto che
unisce Dioniso a Apollo in quel luogo, ma non risulta tarre fonda
mento dal mito della morte e sepoltura di Dioniso.
Veiamo ora alcune tra le principali interpretazioni che antichi e
modei hanno dato della tradizione mitica:
Clemente Alessandrino aferma che Dioniso meriterebbe di essere
chiamato Attis per il fatto che nello smembramento e stato mutilato
degli organi genitali successivaente trasportati da Coribanti/Cabiri
in una cesta e affdati ai Tirreni come oggetto di venerazione 5.
La relazione che gli antichi individuavao tra viticoltura, vinfca
zione e passione del dio per i moderi una semplice allegoria o pu
avere radici nell'esperienza agraria della passione della vite al momento
della vendemmia e trovare un fondamento in antiche creenze, essendo
riconducibile a un ruolo da dem mediterraneo attribuito a Dioniso s.
All'inizio del ventesimo secolo la vicenda ea interpretata come
morte e resurrezione di un dio della vegetazione che si supponeva ta
scorresse una certa parte di ogni anno sotto terra per riemergere a una
certa stagione dal mondo sotterraneo e assicurae la rigenerazione dlle
piante e la proliferazione degli animali. Per resurrezione si anche in
tesa la nascita di un neonato considerato rappresentazione antopomorfa
dei frutti della terra. Tra le diverse applicazioni del Iiknon si privile-
190
giava quella che lo vedeva come ventilabro impiegato nella sfera ag
ria e prmetteva di sostenere il rapporto tra morte, mietitura e rinascit
primaverile del grano. A sostegno di tale interretazioni si faceva a
che appello alle origini "tacie" del dio, e a una sua invenzione dlla
birra che avrebb preduto quella del vino. Per suprare la difcolt
del ritmo biennale dei riti in suo onore, che risultava difcilmente
conciliabile col ciclo annuale della vegetazione, si fatto anche riferi
mento alla pratica di lasciae riposare i terreni destinati alla cerealicol
tura.
Da tempo stato osservato che il valore di un dio dalle ampie p
rogative non circoscrivibile alla crescita stagionale. Nel risveglio d
Liknites si preferisce riconoscere l'epifania di Dioniso che ascende d
regno dei morti; o la manifestazione, in occasione del risveglio della
natura, di un dio che nel rito non risulta morire e risorgere proica
mente.
Diverso l'approccio al problema del signifcato della vicenda mi
tica da parte di chi riconosce in particolare nella giovane et del dio e
nel comportamento dei Titani elementi signifcativi, determinanti pr
cercare argomenti che leghino la vicenda di morte e di nascita a riti d
iniziazione.
Continua ad essere oggetto di discussione il rapporto e l'eventuale
incidenza che la vicenda mitica avrebbe su alcuni comportamenti ri
tuali. Una condanna della thysia da parte degli Orfci sarebb denuncia
ta dalla cottura delle cai di Dioniso a opea dei Titani ovvero m
quella bollitura che pe l'esposizione diretta sul foco e contsta
con le regole del sacrificio nel quale prevista la consumazione dlle
cai della vittima. Firmico Materno propone il mito non come fon
damento ma come modello e didascalia di att rituali in onore di Dioni
so, in realt non facilmente sovrapponibili a dati tradizionali.
191
N01
l Malalas, Chr. II p. 45,1-1 O Bonn.
2 Tatianus, Contra Graecos 8.
3 Ps. Clemens Romanus, Hor. 5, 2, 3; Recognit. IO, 24.
4 Sch. Townl. Hor I 14, 319, cf. M. Pirart, "L mort d Dionysos A
gos", in The Role of Religion in the Early Greek Polis, Proceedings of the
Third Interational Seminar on Ancient Greek Cult, Athens, I 6-I 8 October
I992, Stockholm 1996, pp. 141-151.
5 Cf. Orphicorum Fragmenta ed. Kern, Berlin 1922; G. Ricciardelli (ed.),
Inni orfici, Milano 2000.
6T. G. Palaima, "Linear B and the Origins of Hellenic Religion: di-wo-nu
so" in The Histor of Hellenic Lnguage a. Writing From the Second to the
First Millennium. Break or Continuity?, Ohlstadt 3- 6 Oktober I996, Al
tenburg 1998.
7 Diodorus Siculus, 3, 62, 2, trad. A. Corcella in Diodoro Siculo, Biblio
teca Libri I-V, introd. L. Canfora, Palermo 1986.
8 Diodorus Siculus 3, 62, 6-64, 7.
9 Apollodors, 3, 4, 3 trad. M.G. Ciani, in P. Scarpi (e.), Apollodoro, I
miti greci (Biblioteca), Milano 1996.
10 A. Brelich, Gli eroi greci, Roma 1958, in particolare sul carattere eroico
di Dioniso, pp. 365-368.
11 Hesiodus, Theog. 940-942.
12 Cf. Euripides, Ba 1-3.
13 Sulla questione delle origini di questa tradizione e sulle fonti letterarie cf.
M. Pirart, "Le tombeau de Dionysos Delphes", in lotK{a, Hommage
O. Scholer, Luxembourg 1996, pp. 137-154.
14 Cf. Dinarchus, FHG IV 391.
15 Callimachus, F. 643 (d Callimaco vol. 2. Aitia Giambi e altri fram
menti, tad. G.B. D'Alessio, Milano 1996); Etym. Magnum. s. v. Delphoi
(255, 12).
16 Proclus in P lat. Rempubl. l , 175.
192
Orph. F. 34; 35 (Ciemens Alexandrinus, Protr. 2, 15P) (trad. M. Di Mar
co in id., "Dioniso e Orfeo nelle Bassaridi d Eschilo", in A. Masaracchia
[ed.], Oreo e l'Orfsmo, Roma 1993, p. 135).
l
Orph F. 214 (Firmicus Materus, De errore profanarum religionum 6, 1-
5).
Trad. M. Di Marco, ci t. p.l39; salvo il testo tra [ ].
"
Sch. in Clemense Alexandrinus, Protr. 4, 4.
Diodorus Siculus, 3, 62, 6-7 (trad. A. Corcella); Corutus, Theologia
graeca, p. 58 Lang.
Nonnos, Dion. 13, 19-24.
Euripides, / 1234-1248; cf. M. Rocchi, '"I Monti grandi' e il Parnas
sos", in in S. Ribichini - M. Rocchi - P. Xella (edd.), L questione delle in
fuenze vicino-orientali sulla religione greca. Stato degli studi e prospetti
ve di ricerca (Atti del Congresso di Roma, 19-211511999), in stampa.
Hypoth Pi. Pyth.
Plutarchus, De E delph. 9 [389 C].
Pausanias, l O, 19, 4.
Orph. F. 21 O (Nonnos Abbas in orat. I contr Iulian. 35); F. 220
(Oiympiodor. in Platonis Phaedonem 6lc).
Nonnos, Dion. 6, 155-205; 48, 23-3Q.
Orph. F. 34.
Nonnos, Dion. 6, 169-173.
Orph. F. 34 (Arnobius, Adv. nationes 5, 19).
3
0rph. F. 210 (Piutarchus, d esu carium I 996c); F. 214 (Firmicus Ma
ternus, cit.) F. 220 (Oiympiodor. cit.).
Orph. F. 35 (Ciemens Alexandrinus, cit.); F. 214 (Firmicus Maternus,
cit.); F. 216 (Proclus in Platonis Cratylum 406c).
Hyginus Fab. 167; h. Procl. VI Miner.
Orph F. 214 (Himerius, Ort. 9,4); cf. per i tendini recisi a Zeus: M. Roe
chi, "I neura di Zeus", SMEA, 21, 1980, pp. 353-375.
Diodorus Siculus 3, 62, 6.
Orph. F. 36 (Philodem. De pietate 4).
193
Callimachus F. 643; Orph. F. 35 (Clemens Alexandrinus).
Orh. F. 209; 211 (Oiympiodorus); cf. per il Dionysodotes: Paus. l, 31,
4 .
.
Orh F. 240 (Macrobius, in somnium Scipionis I 12, 11); F. 213
(Mythogr. Vat. III 12,5).
Origenes, Contra Celsum, 4,17; Justinus, Dialogus cum Tryphone 294D-
295A.
Orph. F. 215 (Simplicius).
Orph. F. 220; 224.
Pindarus F. 133 [Maehler].
Harpocratio, s. Y. apomatton; Nonnos Dio n. 6, 169-173, 27, 205; 228;
47, 732-733.
Orph. F. 31 (Papiro Gurob).
Clemens Alexandrinus, Protr. 2, 16, P.
Plutarchus, de lside 35 [364F-365B]; V. Cilento (ed.), Plutarco, Diatriba
/siaca e Dialoghi Delfici, Firenze 1962; cf. Orph. H. 46, 1;52, 3.
Hesychius, s. Y. liknites, cf. Sophocles, l chn. 275 [Radt].
"
h. HoM. a Mercurium 150; Callimachus. H 1,47; Scholium a loc; AP
6,165; Suidas, Photius; Harpocratio, s. Y. to liknon.
"
Pausanias, 10, 4,3 .
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197
POSTF AZIONE
Why a god must die
ILEANA CHASSl COLOMBO
La stimolante raccolta di saggi qui presentata, tutti affdati a specia
listi di settore, vuole meritoriamente mettere una serie di punti fermi
nella pletora di informazioni, analisi, interpretazioni ruotanti intorno
all'apparente paradosso di una mortalit divina, un'esperienza di morte,
presente nelle biografe mitiche ma anche nelle prassi rituali di vari es
seri extra-umani dei politeismi precristiani, del Mediterraneo geco-ro
mano, delle antiche culture del Vicino Oriente e deiigitto:)L'inte
resse di fondo, come facile intuire, sta nel rapportari implicito c
esplicito di questi complessi mitico-cultuali al mistero. della morte e
resurrezione del Figlio di Dio assolutamente centale per l' euaggelion
cristiano.
Le pagine di premessa mi esimono dal tacciare un proflo lineare
della storia degli studi e delle problematiche connesse, )asciandomi
cos libera per una serie di postille di arricchimento.
Il titolo - per cos dire - scelto per questa Postazione non un
omaggio alla richiesta di una simultanea in inglese, ma quello efet
tivamente scelto per una mia lectre di una decina di anni fa tenuta
presso il "Department of Near Easter Studies" dell'Universit di B
keley. Completo, il titolo precisava: "The so-called death of the supr
natural Being in Near Easter and Mediterranean polytheistic pan
theons". L'argomento, sia pure strizzato nelle dimensioni di un incon
tro seminariale, ricalcava apparentemente le tematiche del nostro vo
lume. In realt, l'interesse in quel momento era sollecitato non tanto
d una rifessione comparativa sul tema dei dying gods tadizionali
(quelli di Frazer, per intenderei), quanto d un interesse pi specifco,
legato alla rilettura in chiave storico-religiosa del dossier relativo
all'assassinio politico di Giulio Cesare raccontato come una messa a
morte sacrifcale di un "fglio di dio", nel caso lo stesso Giulio che,
come fglio di Ares e di Afodite, compare nelle iscrizioni onorarie del
199
koinon delle citt dell'Asia Minore. La morte violenta di Cesare, es
guita secondo un modello rituale, si prestava ad essere vista come ga
ranzia dell'acquisizione di uno statuto regale che non poteva essere di
sgiunto d quello divino, sul tipo di quella assimilazione Romulus
Quirinus del quale lo stesso Cesare si era proclamato contubemalis.
Nella Roma di fne repubblica l'effcacia nell'inconscio culturale di un
modello con radici lontane poteva essere motivo di partenza per svi
luppi di pi vasta portata (Chirassi Colombo 1993).
Non possiamo quindi fare a meno di ricordare qui quella scoprta
dell'etnologia storica alla quale sarebbe necessario rivolgersi per la
comprensione di almeno un certo numero di dying gods. Questa os
servazione di Angelo Brelich in un articolo molto denso (pubblicato
su SMSR del 1960), nel quale mette a fuoco la morfologia e il ruolo
di Quirinus, il dio romano della terza funzione nella prospettiva d
mziliana di dio strutturalmente agrario (Brelich 1960). La scopa
alla quale ci si riferisce sta nel volume di A. E. Jensen, Da religiose
Weltbild einer fihen Kultur (Stuttgart 1948), citato d Brelich nell'
edizione tedesca anche se, su proposta di Ernesto D Martino, nel 1952
era gi comparsa la traduzione italiana con il titolo Come una cultura
primitiva ha concepito il mondo, in quella "Collana Viola" di Einaudi
che apr in modo significante la cultura italiana al confronto con le
proposte "altre", al di fuori dei campi strettamente previsti.
Brelich, a questo punto, aveva gi alle spalle il volume importante
sugli eroi greci (Brelich 1958), dove aveva affontato lo specifco della
vasta categoria degli esseri extra-umani, non di, che nel politeismo
greco muoiono e sono onorati con rito funebre e si contrappongono
alla categoria dominante, gli di, contaddistinti d quella imprescindi
bile qualit che l'immortalit. Una qualit che la cultura greca in par
ticolare sottolinea continuamente proponendo l'insolubile contaddi
zione thnetos - athanatos, mortale vs immortale, uomo vs dio, con
taddizione comunque presente anche negli altri sistemi politeistici.
Ora, proprio la presenza nei sistemi politeistici di divinit che passano
attaverso l'esprienza della morte o addirittura la incamerano nel pro
prio essere, pone per Brelich anzitutto problemi di prospettiva storica.
Perch alcuni di nei sistemi politeistici muoiono? Gli esempi anno
tati sono in gran parte quelli di Frazer: Osiride, Dumuzi-Tammuz,
Dioniso, Persefone (ma non sua madr Demeter), Soma, Y ama, Mot
200
(e non Baal!). La categoria univoca dei dying gods, soprattutto nella
proiezione di allegoria agraria, appariva insostenibile - ne aveva gi 0
nunciata l'inadeguatezza anche H. Frankfort, uno dei grandi paon
delle tesi sulla "regalit sacra" - in un articolo (ta gli alti) pubblicato
nel1958 (Frankfort 1958), che Brelich puntualmente cita ma d quale
sottilmente dissente. Anche l'etnologia storica di Jensen, l'allievo d
Leo Frobenius, era stata criticata poco prima e dallo stesso De Matino
nelle premesse di un importante studio pubblicato sulla stessa rivista
"Studi e materiali di storia delle religioni" (De Matino 1957). Ma Jen
sen offe a Brelich ci che in quel momento gli interessa, la possibilit
di spiegare perch ta le due versioni della morte di Romolo, primo r
di Roma assimilato a Quirinus, quella che racconta come il cadavere f
fatto a pezzi portati a casa d Senatori sotto la toga (Livio, I 16, 4)
doveva essere la pi arcaica. Non perch questo trattamento rimandasse
ad una situazione genericamente "pi selvaggia", ma prch permetteva
di inserire questa tessera di mito in un mosaico pi completo
nell'ambito di una comparazione a vasto raggio, alla ricerca di quella
che potremmo demartinianamente defnire la ierogenesi di un nesso
mitico-rituale. La comparazione poteva avvenire con quella cultura
melanesiana dei Marind-anim della Nuova Guinea sfuttata d Jensen:
agricoltori, o meglio, orticoltori papuasi che sino agli inizi del X
secolo coltivavano ignami, patate dolci, banane, cocco, con il bastone
d scavo e avevano una ricca mitologia impriata sulle azioni
fondanti di esseri extra-umani, defnibili con una glossa dai signifcati
multipli, dema. Con il loro sacrifcio, messa a morte violenta seguita
spesso dallo smembramento, essi avevano dato origine a molti aspetti
dell'attualit, dalle piante alimentari agli asti, a esempio la luna.
L'habitat nel quale si era sviluppata la ricca mitologia dei dema, cio
degli esseri extra-umani martirizzati, basato sulla pratica di un'agricol
tura semplice, un'orticoltura, poteva autorizzare su basi concrete una
comparazione con un habitat mediterraneo preistorico, prepoliteistico,
di tipo altoneolitico. Qui un sistema simbolico religioso che raccon
tava di esseri mitici destinati ad un'utile morte violenta e specializzati
spesso nel ruolo di morti importanti, antenati cianici, avrebbe potuto
precedere i pi tardi e diversi modelli politeistici. Diversi sondaggi po
tevano autorizzare una ricerca in questo senso, anche se appariva im
proponibile l'accettazione in blocco della realt esemplare di quel
201
mondo arcaico e statico ricostruito da Jensen, cos dipendente dalla si
tuazione del suo ciclo culturale. E' la critica di fondo di D Martino!
Pur consapevole dell'utilit della comparazione proprio per capire il
senso della differenza, Brelich avvertiva il rischio di dover accettare la
possibilit di utilizzare modelli categoriali comparabili sul piano d
una morfologia storico-culturale per pemetere di comprendere i p
corsi storici dei modelli "religiosi" senza ricorrere agli archetipi, alle
"ierofanie".
La salutare reazione conto le generalizzazioni afettate non deve
condurre all'eccesso opposto, cio al disconoscimento di quanto, mal
grao i caratteri specifci sia comparabile nei singoli casi, essa non
deve mirare ad abolire ma a correggere la comparazione, scriveva Br
lich sempre in quell'articolo del 1960. Il de ma jenseniano continuava a
rimanere iportante per cercae di capire in chiave comparata il prch
di quella messa a morte violenta dell'essere divino e il perh dello
smembramento del corpo, il perch dell'effusione di sangue come mo
mento necessario per la creazione di vita, anzi di nuova vita, di una
nuova realt, o meglio di attualit. Questo anche al di l del rapporto
tra la morte dell'essere extra-umano (dio) e la messa a morte violenta,
sacrificate del re, come modello di legittimazione della prmanenza
della regait quale istituzione oltre la natura umana della persona r
gale, tesi che comunque gi frazeriana.
Il modello "regale" non poteva tuttavia esaurire l senso pi com
pleto del nesso mitico-cultuale. Nell'ottica analitica dell'ipotesi com
parativa di Brelich si sviluppava, per suo diretto suggerimento, verso
la fine degli anni '60, la mia rcera sui dema mediteranei ristretti ri
gorosamente all'area greca e confuita nel volume Elementi di culture
precereali nei miti e riti greci (Chirassi Colombo 1968). Ricerca
tutt'altro che conclusa, che premetteva comunque gi nel titolo il suo
obiettivo: un sondaggio in quella che potremmo definire con D Mar
tino la ierogenesi, il percorso storico di formazione, non la ierofania,
d ricorrenti nessi mitico-rituali presenti nel politeismo greco e am
piamente aperti alla possibilit di comparazione con altri analoghi
presenti in altri sistemi politeistici. I nessi mitico-rituali riguardavano
proprio i temi di morte e resurrezione-ricomparsa sotto forma meta
morfica soprattutto vegetale di vari esseri delle origini fssati nello sta
tuto di eroi e eroine e il loro rapporto con le divinit polteistiche.
202
La ricerca avrebbe dovuto andae oltre, poseguire secondo quel pr
corso indicato dallo stesso Brelich nel lontano articolo del '60, per il
quale proprio lo studio comparato delle religioni delle cc.dd. civilt
superiori avrebbe potuto condurre sino alla soglia del problema storico
delle divinit morenti, ma la comparazione delle civilt superior t
loro ancora in buona parte tra i compiti dell'avvenire)),
Molti anni sono passati dal momento nel quale furono scritte q
ste parole. Dal linguaggio della ricerca sono progressivamente spariti i
d, non solo quelli di Jensen, anche per uno spostamento di inte
resse dal proesso ierogenetico in s alle problematiche di funziona
mento e trasmissione dei modelli religiosi storicamente acquisiti e l'
attenzione alle tipologie. Si insomma lasciato eventualmente alle
teologie, non alla storia, il compito di riflettere sui perch e sui come,
sulla genesi storica delle immagini e dei comportamenti simbolici ch
costituiscono gli orizzonti di riferimento delle religioni e delle culture.
Sono spariti i dem dunque - anche per la demolizione operata intoro
agli anni '80 da Dario Sabbatucci - sono rimasti tuttavia quei modelli
d fondo per i quali rimane possibile e forse utile riutilizzare
l'etichetta, per quegli esseri dell'immaginario mitico che devono subire
nel proprio corpo uno stazio totale per rinascere come fondatori di una
nuova realt, o rinascere loro stessi come altri. Rimangono dunqu
sempre irrisolti quei miti di scempio sacrifcate, di sbranamento di un
mitico corpo, sul quale si era soffermata la volont di capire di Angelo
Brelich rifettendo sull'esempio del primo re e dio, fondatore di Roma.
Non si tattava di una riflessione per capire le radici di una inevita
bilit della violenza, del mistero della necessit del sacrifcio, sofe
renza ecc. ecc. che riempiono gli scaffali di letteratura di ogni tipo ai
mentando pericolose suggestioni, ma del desideio di dare a questo mo
dello cos ripetuto, dala Nuova Guinea al Mediterraneo, una serie d
giustificazioni storiche che ne misurno e valutino le differenti applica
zioni e ne riqualifchino la portata nell'immaginario culturale.
Una reente attenzione a riconsiderare tematiche di questo tipo in
chiave storica e antropologica ha portato ala realizzazione di questo
interessante e sotto molti aspetti nuovissimo volume, che segna un
importante passo avanti nell'ambito di quella comparazione storica
auspicata da Brelich. Collocati uno accanto all'alto in prcise prospet
tive gli esseri morenti delle culture del Mediterraneo antico rivelano le
203
diversit e le analogie che si fanno rilevanti soprattutto rispetto agli
esiti della loro vicenda e defniscono di volta in volta i diversi tipi d
funzione nei quali sono coinvolti.
Si proflano cos i distinguo per i quali l'ittita Telipinu ceramente
non muore ma solo si assenta a suo capriccio, determinando con la sua
latitanza quell'arresto dello svolgimento normale della vita cosmica
che si registra anche in alti casi nei quali l'essere divino non pi al
suo posto. Ad esempio, quando Demeta vagabonda sulla terra alla
ricerca della fglia, ma anche quando Btar scende negli Inferi magari
non per cercare Dumuzi.
Muore di morte violenta e viene fatto a pezzi Osiride, defnito an
che in alcuni testi lo smembrato, per esistere nello stato di morto
potente e dare cos garanzia totale alla permanenza del cosmo che com
prende e si imperia sulla infrangibilit della regalit dinastica, nel
passaggio del potere al figlio Horus, ma anche sulla cetezza dl
ripetersi della piena del Nilo e della produzione dei cereali proposti
come emissione dal suo corpo.
Muore smembrato Mot, l'avversario pi temibile di Baal, fantu
mato come cereale d Anat, ma solo per essere ridimensionato come
custode di una mortalit umana controllata.
Muore ma non smembrato Dumuzi, che ha comunque
interessanti relazioni almeno con un prodotto derivato dal cereale, la
birra, ed alti legami con liquidi vegetali che farebbro supporre anche
per lui un trattamento di martirio. Come morto, Dumuzi ritora
comunque correttamente in occasione delle feste dei defnti che
ritmano il rapporto tra vivi e morti nelle scansioni calendariali. Ma
non rivive!
Muore smembrato, bollito, arrostito e persino mangiato Dioniso,
fglio di Zeus, dio olimpico, anche se nato immortale d mortale,
come dice Euripide all'inizio delle Baccanti, ma costretto a passare at
taverso molteplici nascite, uccisioni, tasformazioni, ritori, senza
mai prdersi totalmente, senza mai morire definitivamente, dal mo
mento che la sua tomba segnalata a Delf prevedeva il rituale priodico
della sua egersis, letteralmente risveglio, ma anche richiamo in vita.
Legato attraverso rapporti di metonimia con il vino, il prodotto dei
vato dalla manipolazione dell'uva, ma anche all'edera, al fco, alla li
quidit, agli animali erbivori, capretto, toro, animali sacrifcali per e-
204
cellenza, Dioniso garante di quella met del cosmo nella quale i
rompono quei modelli di comportamento incoscienti, non attuali, to
talmente liberatori di ogni vincolo, di ogni legge, in quello stato altro,
modifcato di coscienza, deterinato dalla possessione divina, metafo
rizzata anche dal vino, bvanda-droga per eccellenza e metonimia dl
sangue sacrifcale del dio. E' la sfera sulla quale non ha giurisdizione
quella divinit che a Dioniso complementare, simmetrica e insieme
antitetica, non Apollo ma la cerealicola Demetra. Un rapporto tutto d
riconsiderare.
Muore di morte violenta ma autoprocurata o almeno autovoluta
(anche nella versione della contoparte dell' Atys lidio) l' Attis amato
dalla Grande Madre, la Madre degli di, e rimane imprigionato nello
statuto di non morte realizzato dalla sua metamorfosi nel sempreverde
albero di pino, ma anche dalla sua situazione di eunuco che lo presera
dal coinvolgimento nel tempo misurato dalla generaione che offe -
come viene opportunamente puntualizzato - un exemplum per un mo
dello di regalit antidinastica realizzabile a livello sacerdotale. Olte a
diventare un possibile modello per quegli orientamenti antimondani e
sottilmente anti-femminili che attaversano in modo incrociato nel
tardo antico le interpretazioni di neoplatonici, gnostici e cristiani.
Muore di morte violenta Adonis che, come Attis, non un dio ma
un eroe, quindi "deve" morire, e tova il suo paradosso nella possibile
rinascita-ritorno, non solo nella metamorfosi vegetale dell'anemone, il
fore di vento che lo rappresenta. Almeno nel rituale di Biblo, Adonis
realmente ritora vivente, vive, zoei. E ancora ritora per immorta
lizzarsi tra le braccia della divina amante nel rituale degli "Adonia" d
Alessandria, sullo sfondo di un modello di "apoteosi" regale che si f
strada nel mondo ellenistico. Si tatta di due casi che si staccano dala
tipologia del ritorno parziale, costante nel dossier adonico. Accanto
alla metamorfosi foreale, c' per Adonis un ritorno ciclico che sfgge
alla banalit naturistica, legata ad un modello speciale di spartizione
equa del tempo tra vita e morte, che - come stato opportunamente
sottolineato - proprio ad Adonis Zeus offe come modo concordato pr
sottrarlo ai rischi dei desideri esagerati suscitati dalla sua esagerata
avvenenza.
Analoga distibuzione del tempo tra vita e morte entra nella codif
cazione del destino di Kore-Persefone separata dalla madre e nel suo
205
corpo oggetto di violenza, ma violenza che non lo smembramento d
Osiride, di Dioniso (e neanche della Hainuwele di Jensen, la fanciulla
dem tratta d miti dei Wemale dell'isola di Ceram), bens quello d
una fanciulla stappata alla madre per un matimonio forzato che la co
stringe a uno stupro nuziale con un potente, il Signore dell' Olte
tomba. Kore non rinasce in nessun fiore, la sua assimilazione alla
spiga di grano deriva tutta dalla ricostruzione della Kormutter e
Kormidchen di Mannhardt. Il ritoro temporaneo della fglia alla ma
d variamente ritmato non interrompe quel legame infangibile con
quel regno dei morti dal quale, in almeno una variante del mito, nella
variante romana di Proserpina, la figlia, sceglie di non ritorare mai
pi (Chirassi Colombo 1995).
Ancora soluzioni varianti, circostanziali, dipanate nella storia in
tomo a nuclei narrativi, mitici, sacri, dati ma mai immutabili.
Rimane il dossier di Baal, il Baal ugaritico e dei suoi pi tardi aa
loghi, Eshmun e Melqart. E' il Baal-Rpu, il Baal-Salvatore che sende
nel mondo dei morti, muore portandosi dieto la scomparsa dell'acqua
pluviale, fonte di vita, ma poi ovviamente, come conviene a un dio
politeistico, risale, rivive e forte dell'esprienza diventa amminista
tore, protettore del mondo dei defunti, non come dio dell'oltretomba
ma come responsabile dei rapporti importanti tra morti e vivi in un
mondo coeso, un cosmo dove la morte non pu rappresentare
un'invalicabile ba iera. Nell'analisi puntuale qui proposta, proprio il
dio siro-palestinese, possiamo dire, ben rappresenta la categorie degli
di che muoiono e rinascono. Anzi, l'unico a veramente "rinascere"
portando con s un progetto salvifico su piani diversifcati, d quello
della salvezza-salute, rappresentato dal pi tardo Eshmun assimilato al
guaritore Asclepio, al piano della salvezza data dalla difesa dell'ordine
attuale assicurato dal dio cittadino Melqart, problematicamente identi
fcato con l'eroe-dio greco Eracle, per il quale le testimonianze epiga
fche parlano esplicitamente di un rituale di morte e di egersis, risve
glio, rialzamento, resurrezione. Il dossier siriano sicuramente il pi
importante e il pi scottante. Riconduce infatti la "tipologia" del dio
che muore e eventualmente risorge al di fuori delle maglie delle inter
pretazioni precostitite e dalle seduzioni dei giochi sempre comunque
indicativi, creativi, delle metafore e lo ricostituisce come antefatto sto
rico importante per la ierogenesi del mistero cristiano. Un mistero che,
206
come tutto ci che appartiene al bricolage del mito e della storia, dovr
essere comunque un mistero diverso.
Questo rapido attraversamento del dossier raccolto e delle sue pro
blematiche non ne esaurisce certo i segreti, i pregi, le suggestioni. Il
volume si presenta quindi come un testo di gande interesse non solo
per una fruizione immediata dei risultati di ricerca proposti, ma anche
pr una riconsiderazione critica innovativa alla luce delle nuove acqui
sizioni di tematiche classiche degli studi storico-religiosi.
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I. Chirassi Colombo, "Il mestiere di dio e i suoi rischi. Riflessioni in
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R.R. Jestin, Tablettes sumriennes d Surppak a
Muse d'Istanbul, Paris 1937.
Ur Excavations Texts, LondonPhiladephia 1928--.
Zeitschrif dr Deutschen Morgenlindischen Gesell
schaft.
Zeitschrif fr Papyrologie und Epigraphik.
GLI AUTORI DI QUESTO LIBRO
Ileana Chirassi Colombo professore ordinario d Storia
delle religioni presso il Dipartimento di Scienze dell'antichit
dell'Universit di Trieste.
Maria Grazia Lancellott i, dottore di ricerca in Storia delle
religioni presso l 'Universit di Roma "La Sapienza", borsista
dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Paola Pisi ricercatore presso il Dipartimento di Studi storico
religiosi dell'Universit di Roma "La Sapienza".
Anna Maria Poi vani professore associato di Storia del
Vicino Oriente antico presso il Dipartimento di Studi storici e
geografci dell'Universit di Firenze.
Sergio Ribichini primo ricercatore del C.N.R. presso
l' Istituto per la civilt fenicia e punica 'Sabatino Moscati' di Roma.
Maria Rocchi primo ricercatore del C.N.R. presso l' Istituto
per gli studi micenei ed egeo-anatolici di Roma.
Gabriella Scandone Matthiae primo ricercatore del C.N.R.
presso l' <stituto per la civilt fenicia e punica 'Sabatino Moscati' d
Roma.
Giulia Sfameni Gasparro professore ordinario di Storia delle
religioni presso il Dipartimento di Studi tardo-antichi, medievali e
umanistici dell'Universit di Messina.
Paolo Xella primo ricercatore del C.N.R. presso l' Istituto per
la civilt fenicia e punica 'Sabatino Moscati' di Roma e
Aujerplanmssiger Professar presso l' Altorientalisches Seminar
dell'Universit di Tiibingen (Germania).
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Molte religioni dell'antico Mediterraneo conoscono clivi-
nita cui e ascritta una esperienza di morte dalle diverse
conseguenze per l'umanita. Sulla passione, morte e destino
di tali figure hanno riflettuto a lungo autori antichi e stu-
diosi moderni.
Se esistono tradizioni su personaggi divini che hanno spe-
rimentato e variamente superato la morte, e se illoro de-
stino ha in qualche modo influito su quello umano, c' e un
rapporto tra tali personaggi e la vicenda di Gesu?
Si tratta di un pili antico modello mitico-rituale confluito
nella tradizione cristiana, oppure tale vicenda ha rappre-
sentato anche sui piano storico (oltre che teologico) un in-
comparabile salto di qualita segnando l'itinerario spirituale
dell'umanita in modo indelebile?
In questo volume si studiano gli anti chi "dei morenti": 1' e-
giziano Osiride, il mesopotamico Dumuzi-Tammuz, l'ana-
tolico Telipinu, il siriano Baal, i fenici Melqart, Eshmun e
Adonis, il frigio Attis e i greci Demetra e Kore e Dioniso.
Essi sono al centro di un'indagine che ci obbliga a misu-
rarci con quel destino mortale in cui l'uomo ha voluto
coinvolgere anche gli dei.
Contributi di Ileana Chirassi Colombo, Maria Grazia Lancellotti,
Paola Pisi, Anna Maria Polvani, Sergio Ribichini, Maria Rocchi,
Gabriella Scandone Matthiae, Giulia Sfameni Gasparro, Paolo
X ella.
ISBN
88-85697-53-4
essedue edizioni L. 26.000 13,42 (i.i.)

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