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I CAMMINI DI FEYNMAN
Comitato Scientifico
Bruno Bertotti
Sigfrido Boffi
Italo Guarneri
Alberto Rimini
Marco Roncadelli
I CAMMINI DI FEYNMAN
ISBN 88–85159–06–0
INDICE
Premessa 7
1. Concetto di propagatore quantistico 11
2. Aspetti dell’integrale di Feynman 15
3. Analogie fra meccanica quantistica e processi stocastici classici 34
4. Osservazioni storiche 51
– Approccio spazio-temporale alla meccanica quantistica
non relativistica 57
5. Nuova formulazione della meccanica quantistica 95
6. Bibliografia 122
– Addendum 129
PREMESSA
Ora, un fisico degli anni ’30 ( avrebbe cercato di risolvere 2
"
0 1
*
tale
equazione! Egli avrebbe invece osservato che – essendo RTS%U;V indipendente
dal tempo – è conveniente porre
[ Xe
-q a
S%Ue\ Z Vhgjikl$mon p S%UoV S9f V
: R8S%UoVL]c
~Elim S9f
V
q
Si può allora dimostrare che l’eq. (1.3) ammette soluzioni S%U;V soddisfacenti
alle usuali condizioni di regolarità 5 ( ( per certi valori 2$
"
% del parametro
t (li indicheremo con tJ \ t } \ t ` \ e supporremo che si abbia tJFt }
t ` ). Quindi, in corrispondenza ad ognuno dei suddetti valori tC si avrà una
*
dell’eq. (1.1) può essere rappresentato come
[ X- q
S%U6\ Z V5] i k+l$mEn0p S%U;V S9f V
ove sono coefficienti (complessi) arbitrari.
Possiamo schematizzare il suddetto procedimento nel modo seguente.
L’originaria equazione di Schrödinger alle derivate parziali (1.1) è stata ridotta –
mediante l’introduzione di un parametro arbitrario – ad un’equazione differen-
ziale ordinaria. La richiesta di regolarità imposta alla funzione d’onda porta a
considerare il ;
(
*8>C ( ,- (
. associato a quest’ultima equazione.
L’
9&
<
*
&
dell’equazione di Schrödinger di partenza può allora
essere ottenuto come opportuna combinazione lineare delle @ (9M !* ( in
questione.
Vogliamo osservare che questo è proprio il modo in cui Schrödinger è ar-
rivato alla sua equazione – non a caso il titolo dei suoi lavori è “Quantizzazione
come problema agli autovalori” .
1.2 – L’approccio di Feynman all’equazione di Schrödinger (1.1) è
<2 #1
*+
B2,'
( . La sua proposta consiste nel considerare 2
"
0 1
4 Supponiamo (per semplicità) che nessuno degli autovalori dell’eq. (1.3) sia degenere.
5 Si veda il Quaderno di Fisica Teorica: S. Boffi, /JF w.' &wJ¡9¢#¢|J£o¡ (1991).
6 Richard Phillips Feynman (1918–1988) è considerato, per consenso pressoché unanime, il
più grande fisico teorico del dopoguerra. A lui si devono risultati fondamentali in vari settori
della fisica teorica, il più importante dei quali è la rappresentazione diagrammatica di una
generica espansione perturbativa, che semplifica enormemente i calcoli in teoria quantistica
dei campi (si tratta dei famosi ¡. ¤.¥ .¦§¦Q ¨¡. Q©<«ª.-¦¨. ). Sottolineiamo che egli è
giunto a questo risultato proprio applicando l’“ )-¬%?¤.¥ *¢|e®E /.¦Q¦Q #' ” all’elettrodinamica
quantistica. Libertà e anticonformismo, combinate con una grande creatività, hanno spinto
Feynman a ripensare in modo autonomo gran parte della fisica teorica. Egli possedeva
anche notevoli doti di “attore”, che lo rendevano un eccezionale didatta: sono giustamente
famose le sue lezioni di fisica (R. P. Feynman, /¨© #w ¡. ©<«ª.'¦¯. (Addison-Wesley,
Reading, 1968)). Si narrano innumerevoli aneddoti in cui Feynman è protagonista di
situazioni curiose o impensabili; alcuni li racconta egli stesso nei suoi libri autobiografici:
R. P. Feynman, °&±'®¥²¢ ªCª³.®+´ ¥µ9³"¶ )¤.·;B¥9¸x©<«ª'¦¨./¹ºB»6¡.¼.²-¬?®¥«5³ ½5F¾®¥« ³.®
¾
Á ¿-.¥ ²¬²¥ , Norton, New York (1985) (trad. it., °&±'¬$:««¿'«¥0À".¡³:B¥9¸1©<«ª.'¦¨.¹º
Ä #¬Â¨»D¼¼.«'¬®E¥ H¡. D®³F«9 ²À9 .¬$³Â²®¥« ³.«³ , Zanichelli, Bologna (1988)); °«Ã¿-.¬
³1ų.®T¾+.¥Fÿ-.¬§£o¬)¿'«¥QÆo³«Ç¢|È<¿ )E¶É*ºT©®E¥w¬)¿'²¥h»6¡.¼.²-¬?®¥«¨³ ½L»¾®¥« ³.®
¾ ¿-.¥ ²¬²¥ , Norton, New York (1988) (trad. it., °0¾¿'J¬"´ )¦DÇ-³.¥w¬$¡. x² Â
ʳ w¿'B¡. w¢
¤«'¬É*ºË»D¢ ¬¥B.¼¼*«'¬®¥B¡. Ì®³:²² ?«À² .¬$³²®E¥w ³.«³ , Zanichelli, Bologna (1989)).
Ne riportiamo qui soltanto uno, che riguarda direttamente l’argomento trattato nel presente
Quaderno. L’idea dell’“ )'¬$¤.¥ *¢|Bw® h.¦Q¦Q )' ” venne a Feynman da una precedente
osservazione di Dirac, in cui si affermava che una certa grandezza quantistica è .*¢
³¤
ad un’altra classica. Egli riuscı̀ a dimostrare – cosa di fondamentale importanza – che in
realtà tali grandezze sono Ç¥ ³«ÇE³.¥ À² ³.*¢ . Successivamente, ebbe l’occasione di parlare con
Dirac di queste questioni e non resistette alla tentazione di dirgli: “Sai che quelle grandezze
sono proporzionali?”. Dirac, stupito, chiese: “Davvero?”. “Sı̀”, rispose Feynman, al che
l’unico commento di Dirac fu: “Oh, interessante!”. Il lettore può trovare molte informazioni
13
Öx× `
S%U6\ ZÎ U \ Z VL] Î Í0Ue\ ZÎ U \ Z Ï Î S9f Ø V
Pertanto la conoscenza del propagatore permette di calcolare un’
%%
*%
soluzione dell’equazione di Schrödinger. Questo fatto – non sempre apprez-
zato appieno – costituisce il
"
*E/ ( . (BM*( +2/1
* &
alla formulazione di
Feynman della teoria quantistica. È opportuno osservare che, benché l’uso del
propagatore per risolvere l’equazione di Schrödinger non sia certo opera di
Feynman ë , egli è stato indubbiamente il primo a capire il ruolo cruciale che
esso gioca in meccanica quantistica.
1.3 – Sussiste una notevole relazione fra il propagatore dell’equazione
di Schrödinger (1.1) ed il problema agli autovalori associato all’eq. (1.3).
Abbiamo infatti
q qhî X-
Í%U+ì|ì%\ Z ì
ì Î U+ì0\ Z ì Ï ] S%U+ì
ìV %
S +
U ?
ì
V i +
k
l +
m
#
ï 0
n ñ
ð
ð +
k %
n
ð %
ò p S9f fy<V
ío
/
8 Esso era noto da molto tempo nella teoria delle equazioni differenziali lineari. Si noti che i
matematici parlano di ²³*¢ ®*À² ³./;½«³.¡.¦C«'¬$*¢| anziché di Ç¥ ³«ÇE¤.¬$³.¥ .
15
ÿ Ù ÿ
i ô ô ]i ô i ô
S
a
fEV
ô p i k ô p V
Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ] lim
F %
Í U
ì ì Î
S i k ÎU ì Ï
a
S |Ñ V
i kx ô p
k
i kx ô p Î U
Ù Ù
Ú Ú
Í%Uì
ì%\ Z ì
ì Î U+ì \ Z ì Ï ] lim
: Í0U+ì
ì Î i k §ô p
k }
Ï
k
k
a
r
Í%U Î i k5ô p i kÌô p Î U ` Ï U `
S |Û V
r
U
k }
r
k }
k
U Í%U Î ikQô p ikxô p Î U ì Ï
k
} }
17
k } k }
Í%Uì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï
Ù Ù
Í%U Ù Î i k§ô p i kxô p Î U Ï
Ú Ú
] lim
:
í }
r
U
l
ío
}
k k l a
S |Ý V
Analogamente alla eq. (2.7), per gli autostati dell’operatore impulso (in de-
scrizione di Schrödinger) Î Ï abbiamo
Ù
Ú
r
Î Ï Í DÎ ]_f S
a
ff-V
k
che ci permette di scrivere
Í%U Ù } Î i k
ô p Î Ï Í Î U Ï
Ù
Í%U Ù Î i k ô p Î U Ï
Ú
r a a
] S f V
}
k
13 Sottolineiamo il fatto che la presenza di un indice nell’eq. (2.9) è pura conseguenza dell’uso
¥« Ç'«¬®¬³ dell’eq. (2.7).
18
Í%U Ù Î ik ô p Î U Ï
Ú
r a
] S f V
}
k
Ma Í%U Î Ï è l’autofunzione dell’impulso (corrispondente all’autovalore ) nella
rappresentazione delle coordinate, cioè
Í%U Î Ï ]
q
S0U;Vx] % a'f & X- i l( ~ p X- S
a
f V
Í%U Ù Î i k§ô p Î U Ï ] a'& X-
Ú X
f r a
S f Ñ V
}
k
L’integrale che figura nell’eq. (2.16) è /<0 ( e può essere calcolato facil-
mente usando la ben nota formula }
Ú
Ù
.- i k/10 ! Ù32 0 5 &6 2
] 4 i ! p /
r a
S f Ø V
k
Otteniamo
:9
Í%U Ù } Î i k5
ô p Î U Ï ]87 a'&b X- ` a VS%U Ù V ` < X+- `>=
`
} p
exp ^âS ; b
}
^ U
a
S f Û V
14 Va tenuto presente che nell’eq. (2.17) sia che sono numeri )¦§¦¨¤. ).¥« , per cui è
necessario effettuare una continuazione analitica. Essa è a ¡.® valori, dando cosı̀ luogo ad
@ A
una ambiguità di fase. Si ottiene tuttavia il risultato corretto anche procedendo in modo
ingenuo. Questo punto è spiegato in: B. Felsager, D ³.¦C«¬¥«ª.·LÆ;.¥«¬ 9¢|«B.¡:© ?²¢
¡.
(Odense University press, Odense, 1981).
B
19
Inserendo l’eq. (2.18) nell’eq. (2.10) ed usando le eq. (2.3) e (2.19) abbiamo
infine l’espressione
. ; % del propagatore infinitesimo
?'E
Í%U Ù } Î i k5?H
ô G p i kx ô p ? Î U Ï ]DK C a'&;W X- } p ` b
U Ù ^ÜU
a a
^ R8S%U VMLON
b ` S y<V
exp H F S V aJI }
W X-
deriva dalla formula di Trotter). Esplicitamente, è ora sufficiente inserire
Í0U Ù Î i k Qô p i k xô p Î U Ï – dato dall’eq. (2.20) – nell’eq. (2.9) } Ó :
}
?QE Ù Ù k }
b ` Ú Ú
: C aQ&;W X-
P lim r
R
p
?H G
Í0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ]
?
U
k K
l
k } í
l } a a
U Ù ^ÜU
k S f-V
VTLUN
b `
F
exp B S V
W X-
aSI } ^uR1S%U
ío
Ma
?HG ? K`
k }
U Ù ^ÜU
^uR1S%U VTLUNd]
b
exp FBS - V a I
W X
íÞ ? G }
? K
WYX W X- k } b U Ù } ^U `
a aa
S V
?QE Ù Ù k }
b ` Ú Ú
: C aQ&;W X-
? P lim
r
R
p
G
Í0U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï ] U
?
l
k K
í
W X W X- k } b U Ù } ^ U
k l } S
a a
{ V
VTL Z] \
`
exp V S V
ío a I ^ËRTS%U
h
Questa è l’
. ;
"
.". (
L+&
del propagatore quantistico come
12
4D
*7'8 . Vedremo nel paragrafo successivo che l’eq. (2.23) può essere
riscritta in modo più compatto ed elegante. Tuttavia è bene tenere sempre
presente che ogni altra espressione equivalente ( ha alcun significato diverso
da quello mostrato
.# 1
*
dall’eq. (2.23).
2.3 – A questo punto il lettore potrebbe chiedersi (giustamente!) dove
siano i “ h2Ì46
7- 8 ” }wë .
Al fine di rispondere a questa domanda è conveniente porre
?QE Ù Ù k }
ji P g C aQ&;W X- p b
r
l
` Ú Ú
? G
Í0U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï
? k K
í }
U
W X W X- k } b U Ù } ^ÜU `
l a a
k S V
ji P
P lim
a a
Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ] F Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï S V
? ?
Discretizziamo ora l’intervallo di tempo considerato Z ì
ì ^ Z ì mediante ^f
W
Z g Z ì, Z
punti intermedi equidistanti Z , Z ` , , Z
g Z ì
ì , y
W
lk km
} k }
spaziati di (Z ] Z c
l
,
) (si noti che questa discretizzazione era già
stata usata $; % 1
nell’applicare la formula di Trotter). Ragionando
nello spazio delle configurazioni
..
* ( S%Ue\ Z V } ú , il generico insieme di punti
?QE Ù Ù k }
ji P ] C a'&;W X- p b ` Ú Ú
r
? G
Í0U+ì
ì0\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï
?
kK
í
UDS Z V
l
WYX W X- k } b UÌS Z Ù } VD^UÌS Z V `
k l } S
a a
Ø V
exp V S V
a I ^ËRTS%UÌS Z VV TL[ZY] \
ío
Ricordando che (nel caso in questione) l’azione classica calcolata lungo una
arbitraria traiettoria UDS Z V è
9
t s UDS²Vwv n ñð ð ]
Ú n ðñð
r
Z 7 af bvUÌu S Z V ` ^uR1S0UDS Z VV S
a a
Û V
nð
nð
scopriamo che la sommatoria nell’eq. (2.27) è proprio l’ E! (
&' cal-
colata lungo la spezzata q
S²E\9UDS Z V.\&V . Quindi possiamo scrivere o
?'E Ù Ù k
ji P w
Í%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï ] C a'&;W X-
b
p
` Ú
Ú
} r
UÌS Z V
l
a a
í S Ý V
W X ty
l }
exp xDS - V q
k k
o
S²\9UDS Z V.\)V n0ðñð
nð
{z }|
20 Come $Ç- ÀÀ".¬$ intendiamo un insieme discreto di punti uniti da segmenti. Una curva ordi-
naria può essere definita specificando i suoi punti in funzione di una variabile indipendente
é . Analogamente si può fare per una spezzata, solo che ora l’insieme dei punti (vertici) è
discreto anziché continuo.
22
?
q
~ o
Naturalmente quanto detto vale per arbitrario. Consideriamo ora il li-
mite ( y ). Al crescere di una spezzata S²E\9UDS Z V.\)V
r Oi P
Z
approssima vieppiù una curva continua UDS V (con gli stessi estremi), fino a coin-
. Pertanto l’insieme S%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V s
r s
cidere con questa nel limite
diventa lo E!* ( 2
* xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V , cioè l’insieme delle funzioni
r ji P
(reali) continue UÌS Z V con estremi fissi UÌS Z ì V¯g_U ì , UÌS Z ì|ì V¯gäU ì
ì . Quindi nel li-
l’eq. (2.29) da somma su S%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V diventa una ( 8 s
r s
mite
`
su LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V . È altresı̀ evidente che }
P lim
F
t y q o
S²\9UDS Z V.\)V n0ðñð ] {z t s UÌS²Vwv n0ðñð
a
S |{ y<V
nð nð
Ú
Í%U+ì
ì%\ Z
ì ì Î U+ì0\ Z ì Ï ] UÌS Z V9ÐS%U+ì
ì@^UDS Z ì
ì?VV9ÐS%Uì@^ÜUDS Z ì$V"V. a
x S Vt
S |{ -
f V
W X-
exp D s UDS²V"Vwv n%ðñð
nð | \
?E
C a'&;W X p k } r UDS Z
b `
P lim
a a
UÌS Z Vxg : - V S |{ V
l
í }
l
r s
Le due funzioni delta di Dirac nell’eq. (2.31) servono unicamente ad indicare
in modo esplicito che si sta sommando su xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V . Molto spesso, la
rappresentazione di Feynman del propagatore quantistico è scritta proprio nella
`"`
forma (2.31) .
Siamo cosı̀ giunti in modo naturale al concetto di “ ( 8â ”
come #$%
:2D$ L%%L$+
(
2$+
* . È invalso l’uso di parlare a questo
proposito di $
2Q4D
*7'8 (uso a cui del resto anche noi ci siamo
attenuti). Va però precisato che tale denominazione è
(
*% , perché
21
$M $$M
Si noti che [Γ ( 9è%ç (é ) è )] è una somma di Cauchy-Riemann. Inoltre [ç ( )] nel
secondo membro dell’eq. (2.30) è un )-¬%?¤.¥ *¢|¨¡. o ?«¦¨.' . Avvertiamo però il lettore 3
che questo secondo fatto ³. è una conseguenza ³.¼¼" & del primo (questo punto verrà
chiarito nel paragrafo 2.6).
22 Per ovvi motivi, l’eq. (2.31) è spesso detta forma ¢
¤.¥ .¤* &. dell’integrale di Feynman.
Ne esiste anche una (equivalente) forma ¿-.¦Q &¢ ¬$³.' . . Strutturalmente, quest’ultima
è molto simile all’eq. (2.31), ma vi sono due differenze essenziali: (i) i .¦Q¦Q )' sono
ora funzioni a valori nello $ÇEÀ² ³:¡²¢)¢|6½«. (anziché nello spazio delle configurazioni);
(ii) l’azione [ç ( )] scritta in termini della lagrangiana è sostituita dalla (stessa) azione
[ç ( ) è ( )] definita sullo spazio delle fasi, in cui compare l’ ¿-.¦Q &¢ ¬$³.' . . Oltre al già
citato testo di Schulman, si veda anche: C. Garrod, Rev. Mod. Phys. 38, 483 (1966).
23
9
t s UÌS²Vwv n ñð ð ]
Ú n ðñð
r
Z 7 af bU u l S Z V U u l S Z Voc S%UÌS Z V*\ Z V U
u S Z VD^lBS%UÌS Z V*\ Z V a
S |{{ V
nð l l
nð
23 Ciò è stato dimostrato in: R. H. Cameron, J. Math. and Phys. 39, 126 (1960). Sot-
tolineiamo che le difficoltà matematiche menzionate all’inizio del paragrafo 2.2 traggono
origine proprio da questo fatto.
24 È immediato accorgersi che questa azione classica ha la forma tipica dell’interazione di
una particella con un campo elettromagnetico o gravitazionale esterno nell’approssimazione
semirelativistica. In realtà, l’eq. (2.31) vale anche per azioni classiche [ç ( )] Ç ®Q
Ê ¤«/«¥ *¢
dell’eq. (2.33). Un esempio è quello di spazio delle configurazioni 9®¥«¼³ . Rimandiamo
il lettore al testo di Schulman. È opportuno tenere presente che l’eq. (1.11) vale «³*¢
³ se
l’hamiltoniana ³. dipende dal tempo (invece l’eq. (1.14) ha validità generale).
g Hg
25 L’origine matematica di questo fatto verrà spiegata nel paragrafo 2.6. Discutiamo qui
invece il suo |¤.' .¬$³ w³ (si tratta di una tipica situazione in cui una difficoltà
schematico) i punti nodali di tale approccio.
Consideriamo una particella û
descritta dall’azione classica (2.33) e fis-
siamo l’attenzione sull’evento “ó,' 2/ S0U ì \ Z ì V: S%U ì
ì \ Z ì
ì V ”. Si noti che
l’
"!! (totale) Í%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï associata a questo evento non è altro che il
;
( @E// (
"
dell’equazione di Schrödinger (nelle variabili U ì
ì \ Z ì
ì ). A questo
Successivamente ci si è però resi conto che ciò non poteva essere vero: infatti la meccanica
classica può venire espressa in un linguaggio ³«Ç-«¥ .¬$³.¥« *¢| molto simile a quello quantistico
(B. O. Koopman, Proc. Nat. Acad. Sci. 17, 315 (1931); J. Von Neumann, Ann. of Math.
33, 587 (1932)), mentre la meccanica quantistica può essere formulata nello $ÇEÀ² ³B¡²¢)¢|
½«. analogamente alla meccanica classica (E. P. Wigner, Phys. Rev. 40, 749 (1932); J. E.
Moyal, Proc. Camb. Phil. Soc. 45, 99 (1949); M. Hillery, R. F. O’Connell, M. O. Scully
g
and E. P. Wigner, Phys. Rep. 106, 121 (1984)). L’origine delle suddette ambiguità è dovuto
in realtà all’ .9«À¨¡. )«³.¦¨³.¥ w¦¨³ fra i gruppi delle trasformazioni canoniche classiche
g
e quantistiche (indipendentemente dalla ¥ «ÇÇ¥«9«'¬$À² ³./ di tali gruppi nell’ambito della
?Ç' ² formulazione della teoria) (L. Van Hove, Acad. Roy. Belg. Bull. Cl. Sci. Mém.
(5) 37, 610 (1951); T. F. Jordan and E. C. G. Sudarshan, Rev. Mod. Phys. 33, 515 (1961)).
Ciò nonostante è stato ripetutamente affermato che l’integrale di Feynman ²¢ )¦Q ) le am-
biguità di quantizzazione, dato che esso non contiene operatori (citiamo un solo esempio: E.
Kerner and W. Sutcliffe, J. Math. Phys. 11, 391 (1970))! Come vedremo nel paragrafo 2.6,
queste ambiguità sono presenti in ®*¤*®-*¢¦Q #w®¥ nella formulazione di Feynman, anche se
compaiono in forma meno evidente. Il primo calcolo esplicito che mostra la ³. invarianza
dell’integrale di Feynman sotto trasformazioni canoniche classiche è stato dato da: S. F.
Edwards and Y. V. Gulyaev, Proc. Roy. Soc. A 279, 229 (1964). Per una discussione molto
chiara e generale si veda: J. L. Gervais and A. Jevicki, Nucl. Phys. B110, 93 (1976). Si
pone quindi il problema di scegliere ®E hamiltoniana quantistica. Nel caso dell’azione
classica (2.33) la richiesta che la corrispondente equazione di Schrödinger sia invariante
sotto trasformazioni di gauge determina ®' )¼³.¦C«'¬ l’hamiltoniana quantistica. An-
ticipiamo che a livello dell’integrale di Feynman ciò equivale proprio alla prescrizione del
Ç®'¬$³â¦C ¡. ³ menzionata nel testo. La situazione è meno semplice nel caso di una par-
ticella (non relativistica) in spazio curvo. Qui è piuttosto naturale richiedere l’invarianza
dell’equazione di Schrödinger sotto trasformazioni generali di coordinate. Tuttavia questo
criterio ³. è sufficiente per fissare univocamente l’hamiltoniana quantistica. Se invece si
considera la meccanica quantistica ®Ç-«¥« )¦Q¦C«¬¥« &w (E. Witten, Nucl. Phys. B188, 513
(1981)) l’invarianza sotto supersimmetria trasformazioni generali di coordinate determina
³.¦ÌÇ¢|«¬.¦¨²-¬% l’hamiltoniana quantistica (V. De Alfaro, S. Fubini, G. Furlan and M.
Roncadelli, Nucl. Phys. B296, 402 (1988); V. De Alfaro and G. Gavazzi, Nucl. Phys.
B335, 655 (1990)).
26 Si veda la nota 15.
25
`
punto, il primo postulato di Feynman è Ó
` û
F1) Tutte le #
.%,'
Â2$²$
ë secondo le quali l’evento
jr s
può realiz-
zarsi sono descritte da UÌS Z V xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V .
Nella formulazione usuale della teoria quantistica si associa una
"!!
2 ;
(< % Ò (la funzione d’onda!) alla posizione di una particella ad un
1
% "( )
"
istante. L’ %2
M( +2<1
*+
di Feynman è di associare un’
"!!
2o;
( % Ò ad ogni )
*
*+/%$,' 2$²$ relativa all’evento in questione.
Ne consegue che egli postula l’esistenza della seguente
"!"! 2H%
.&! (
associata ad un
( ( UDS Z V jr
LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V s K
Í0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s D
U S9Vwvg I ampiezza che a
S |{ V
si muova lungo UDS Z V
û a
Í%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²Vwvg ÐS%U ì
ì ^ UDS Z ì
ì VVÐS0U ì ^ÜUÌS Z ì V"V s UÌS²Vwv S |{/ V
in cui le due funzioni delta di Dirac implicano che tale ampiezza si annulli –
come è ovvio che
`
debba essere– qualora si abbia UDS Z ì V ] U ì e/o UDS Z ì
ì V ] U ì
ì ú .
û
Nell’eq. (2.35) s UDS9Vwv è un funzionale continuo determinato dal secondo
postulato
û
F2) Il ( 2 ( di s UDS²V«v è t
&
per %@0% i cammini UÌS Z V , mentre la M '
è
X
data dall’ -!* (
&'". s UÌS²Vwv n ðñð associata a UDS Z V (in unità di - ). Vale
nð
a dire
x t
a
W X S |{Ñ V
exp DS - V s UÌS²Vwv n0ðñð
nð |
27 Come risulta chiaro dall’articolo tradotto, questo postulato non è enunciato esplicitamente
da Feynman, però viene assunto implicitamente. Tuttavia esso è essenziale da un punto di
vista logico.
28 Useremo per semplicità l’espressione *¢ ¬%«¥w.¬ )¼.¡. #0¤. )®'¬ , mentre dovremmo parlare
più propriamente di *¢ ¬«¥«.¬ )¼.h )¡. Ç-²¡²-¬? +¦Q®¬?®-.¦C«'¬¯«²9¢ ®w #¼* .
Qc c .cYc cYc
29 In altre parole, la presenza delle due funzioni delta di Dirac nell’eq. (2.35) è necessaria
affinché ç (é ) appartenga effettivamente a (ç è0é ; ç è%é ).
30 Ci sembra opportuno richiamare il concetto di ½ ®EÀ² ³.*¢| . Tutti sanno che una ½®EÀ9 ³. è
una regola per associare un numero ad un altro '®E¦¨²¥0³ : essa è quindi definita su un )-w ?«¦C
'®¦C«¥« ³ . Analogamente, un ½®EÀ9 ³.*¢| è una regola per associare un numero ad una
½®À² ³./ : esso è pertanto definito su un #'w ²¦¨¡. ½®EÀ9 ³.- . Un’ottima introduzione
al calcolo funzionale in vista delle applicazioni ai procesi stocastici
capitoli
¬)¿' O
Ä (che discuteremo nei
Ä 3 e 5) è contenuta in: Ä P. Hänggi, È<¿'¯©®²¬ ³.*¢ «¥« #¼..¬ )¼.¨.¡ )¬ ²¯ )
««9¥w Ǭ ³.T³ ½ ̳. )ª ª..¦Q &w*¢ ±'ª.¬²¦§ , in ±-¬³w¿-.¬? &JÆ¥ ³w«w²«§»oÇÇ¢ ? ¡
¬$³QÆ ¿ª. ² (ed. by L. Pesquera and M. A. Rodriguez) (World Scientific, Singapore, 1984).
26
È ben noto che le ampiezze quantistiche – convenzionalmente associate
alla posizione $. ;
di una particella – soddisfano il
* | ( 2 ( ,
*
( .&! (
. Avendo associato un’ampiezza ad un
( cammino UÌS Z V , è na-
turale supporre che il principio di sovrapposizione "( +%$¯1,-
*
"
(si veda
la discussione dell’esperimento di diffrazione da doppia fenditura nell’articolo
tradotto). Ora, tale principio di sovrapposizione û
generalizzato implica che
l’ampiezza (totale) Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï per l’evento debba essere la ( 8 delle
ampiezze Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²Vwv relative ad ogni singola alternativa disgiunta. Di
conseguenza – in virtù del postulato F1 – il terzo postulato di Feynman è
F3) Il
( < (
"
F=+%?*% ( è dato da
Ú a
Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ] UDS Z VÍ0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²V«v S |{/Ø V
Sostituendo infine l’eq. (2.36) nell’eq. (2.37) ritroviamo proprio l’eq. (2.31)!
2.5 – Non resistiamo alla tentazione di discutere la natura dei “
2J46
7'8 ” (peraltro questo è proprio il soggetto principale del presente
Quaderno!) in modo più esauriente di quanto usualmente venga fatto ( a tale
argomento è dedicato il presente paragrafo ed i tre successivi).
È ben noto che il modo migliore per evitare i famosi “paradossi” quan-
f
tistici è di dimenticarsi dell’idea classica che una particella si muova lungo
una traiettoria 2<
h – ciò è infatti incompatibile col principio di indetermi-
nazione. Viene quindi spontaneo chiedersi se i cammini di Feynman abbiano
un .) / ( x "( .
Al fine di chiarire questo punto è opportuno considerare ancora l’ampiezza
Í0U ì
ì \ ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS9Vwv definita dall’eq. (2.34). Ragionando in termini più geo-
Z
metrici, Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²Vwv può anche venir interpretata come
"!!C
e@
% "( )
$ ( UDS Z V <r s
xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V , cosicché una distribuzione
di ;0
!"! risulta definita sullo spazio dei cammini *} . Scegliamo ora un
r s
sottoinsieme di LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V . Grazie al principio di sovrapposizione gen-
r
eralizzato, l’ampiezza che un (generico) cammino UÌS Z V xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V sia s
6
contenuto in è data da
Ú
b
n UD S Z Vj p ] UÌS Z VÍ%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s D
U S9Vwv
a
S |{Û V
31 Quanto detto nella nota 7 vale naturalmente anche nel caso di distribuzioni di ampiezza o
di probabilità su uno spazio di funzioni. Ometteremo quindi l’attributo ¡²-w )¬Ê .
27
6
e¡Q¢Q£ ¤ n UD S Z Vj p ] Î b n U6 S Z VO¤ ` p Î `
¤¤ Ú UDS Z VÍ0U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï s UDS²V«v ¤¤
]
a
¤ ¤ S |{Ý V
I probabilità che a
S
<
y V
si muova lungo UÌS Z V
che (analogamente a Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²Vwv ) può essere reinterpretata come ;
(
$#3
Ò
8Þ
% ( &
"
$ ( UDS Z V . A questo punto però secondo il
calcolo &' "( delle probabilità si dovrebbe avere "
Ú
n
¡.¢Q£ UÌS Z VU p ] UDS Z V Öx× S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²Vwv;]
Ú
a
S
-
f V
`
UDS Z V Î Í0U+ì
ì\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï s UDS²V«v Î
32 È evidente che se inserissimo l’eq. (2.36) nell’eq. (2.40) otterremmo un’espressione matem-
aticamente priva di significato, a causa del quadrato delle funzioni delta di Dirac. Tuttavia
questo problema può essere evitato omettendo tali funzioni delta nell’eq. (2.36), a patto di
c c cYc cYc
restringere l’attenzione alle sole ç (é ) che appartengono a (ç è%é ; ç è%é ) (si tenga presente
la nota 29).
33 Questo punto verrà discusso nel paragrafo 3.9.
34 Questa circostanza è stata sottolineata ripetutamente da Feynman. Vogliamo aggiungere
un’osservazione un po’ polemica. Se il calcolo classico delle probabilità non vale nella
teoria quantistica, come è possilbile pretendere che questa sia equivalente ad una cosiddetta
¦¥
¬³.¥w :¢
³*¢|H¡. D¼.¥« ² &¢ 6.«w³.¬ ? (Per questa problematica si veda il Quaderno di
Fisica Teorica: O. Nicrosini, Æo.¥0¡³.w«³ EPR È ³.¥«¦¨¡. 69¢#¢ (1991)).
35 È stato ripetutamente affermato che i cammini di Feynman sono “reali” e che rappresentano
“traiettorie medie” del moto (vedasi ad es.: P. Holland, A. Kyprianidis and J. Vigier, Found.
Phys. 17, 531 (1987)). Non riusciamo a capire cosa ciò voglia dire!
28
?
( Z molto piccolo) danno un contributo ( ( all’integrale di Feynman.
?
Un modo euristico per rendersi conto di questo fatto è di ritornare all’eq. (2.23),
scrivendo U gùUDS Z V (come spiegato nel paragrafo 2.3). È evidente che nel
limite
Î UÌS Z Ù V§^uUDS Z V Î
}
?
`
y si ottiene un risultato L% ( solo nel caso in cui la grandezza
si mantiene L% , ma ciò implica proprio l’eq. (2.42).
?
È altresı̀ chiaro che il contributo di cammini che ( soddisfano l’eq. (2.42)
scompare nel limite
y ( se Î UDS Z Ù V/^FUDS Z V Î
}
`
diverge, il meccanismo per
cui ciò avviene è molto simile a quello considerato nel paragrafo successivo).
Ora, l’eq. (2.42) implica che la funzione UÌS Z V – seppur continua – ( sia
differenziabile per alcun valore di Z . Concludiamo che i cammini di Feynman
sono M
0 con dimensione di Hausdorff uguale a 2
Ó ë . Qualitativa-
i
mente, essi sono identici alle traiettorie a zig-zag tipiche del moto browniano
(ritorneremo su questo punto in seguito). Osservando tali traiettorie, si nota
immediatamente il loro carattere fluttuante: esse appaiono come se il punto
§
rappresentativo fluttuasse casualmente intorno ad una traiettoria liscia. È facile
rendersi conto che questo fatto
proprio dall’eq. (2.42). Consideriamo
infatti una curva $ %6UÌS Z V , vale a dire una funzione 2 G
*
"
*!*0
del tempo.
Avremo allora (per Z molto piccolo) § §
UDS Z Vx] ª©1S Z V
a
S
/{ V
36 Vogliamo mettere in chiaro che ¬®¬¬ la discussione fatta nel presente Quaderno si riferisce
(salvo «$Ç¢ &9 #¬³ avviso) a sistemi quantistici ³. osservati.
B
Il concetto di ½¥ .¬¬$*¢| è entrato ormai nella cultura scientifica di ogni fisico. Un’esposizione
37
divulgativa è contenuta in: B. Mandelbrot, e¢ e£+¤¤«¬¬? +©¥ .¬¬$*¢ (Einaudi, Torino, 1987).
«
Si noti che questo fatto ³. è in contraddizione col postulato F1. Semplicemente, l’ampiezza
38
che si muova lungo molti dei cammini 5Ç¥w ³.¥« possibili è di fatto '®E¢)¢
.
§ § 29
§ ¬©®"S Z §V } p `¯
UÌS Z Vx]
a
S
V
©± S Z V } p ` ¯² 1© S Z V a
S
< V
per cui una funzione UDS Z V che soddisfi la condizione (2.42) varia ( ) ( Ò
*02/1
(rispetto a Z ) di una funzione UÌS Z V che sia differenziabile. Ciò
´³
spiega il
0
*
"
Q@0%
dei cammini di Feynman.
³
L’esistenza di tali Q@0%E!* ( è concettualmente molto importante, per-
ché esse rappresentano gli
0G
0%B=+%?*% nell’evoluzione temporale de-
scritta dall’integrale di Feynman. Come è spiegato nell’articolo tradotto,
l’eq. (2.42) è
"=,-
*+
al
* | ( 2¨+2
*
*+E! (
! Di fatto, che
quest’ultimo e la proprietà (2.42) siano aspetti diversi della *
." realtà appare
chiaro in un contesto diverso ú . Se si misura la traiettoria di una particella,
i
si vede che le limitazioni dettate dal principio di indeterminazione implicano
proprio la validità dell’eq. (2.42) } !
Un’ulteriore conseguenza dell’eq. (2.42) è l’esistenza delle ) Ò
2¨= %!"!E! (
nell’integrale di Feynman. Supponiamo infatti di inserire
?
l’azione classica (2.33) nell’eq.(2.31), ed immaginiamo di considerare la cor-
rispondente espressione discretizzata (assumiamo per semplicità che i poten-
ziali siano stazionari). Quest’ultima
del tipo S%U Ù ^dU V S%U V
}
$
î differisce dall’eq. (2.23) per un termine
sotto il segno di sommatoria nell’esponente –
l’asterisco indica che non è chiaro in quale particolare punto dell’intervallo
Ä
39 )¼.«¥««³ in quanto ciò che segue presuppone che una ¦§ )w®¥ À² ³./ venga effettuata sulla
particella.
40 Questo risultato è discusso in: L. Abbott and M. Wise, Am. J. Phys. 49, 37 (1981).
.cYc cYc .c c
41 Una questione molto interessante è la seguente. Sostituendo l’eq. (2.36) nell’eq. (2.40)
¶QcYc cYc .c fc ¸ .Y¸ cY.c cYc fcYc cYQc µc. c cºf¹ c»c ¹ c cYc cYc c¦· · cYc
effettuare una ¦Q )®¥ ³.'¬ )'®- per stabilire quale sia la (densità di) probabilità che la
particella si muova lungo un particolare cammino ç (é ) (ç èé ; ç è%é ) (é é é ).
Naturalmente al posto di (ç ¯ è%é ) abbiamo ora &ç $è0é %ê ç $è0é [ç ¯ ( )], cosicché la risposta è
Yc c cYc c c
data analogamente da åæ (ç è%é 0ê ç $è%é )[ç ¯ ( )] = ê &ç $èé 0ê ç $è%é [ç ¯ ( )] ê 2 . Ma abbiamo visto
che åæ (ç è%é ê ç è%é )[ç ¯ ( )] = 1, il che significa che la particella segue con w«¥«¬ ÀwÀ la
traiettoria che si misura! Un’analisi operativa della situazione considerata mostra che le
cose stanno proprio cosı̀ ( Y. Aharonov and M. Vardi, Phys. Rev. D 21, 2235 (1980)). Una
discussione approfondita del concetto di ¦Q )®E¥0À9 ³.§w³.-¬? #'®' in meccanica quantistica
è contenuta in: A. Barchielli, L. Lanz and G. M. Prosperi, Nuovo Cimento 72B, 79 (1982);
3¼
A. Barchielli and V. P. Belavkin, J. Phys. A24, 1495 (1991). Una domanda sorge spontanea.
È il cosiddetto ÇE.¥ ¡³.w«³ý²®'.'¬ )¬ ³F¡. @²³./ (G. R. Allcock, Ann. Phys. 53, 251
.cYc fcYc Qc c
(1969); B. Misra and E. C. G. Sudarshan, J. Math. Phys. 18, 756 (1977)) una conseguenza
del fatto che åæ (ç $è0é 0ê ç ?è0é )[ç ( )] = 1?
30
U Ù
}
^>U î
vada calcolato U . Abbiamo visto che nel caso dell’azione classica
t
(2.28) tale sommatoria è una tipica somma di Cauchy-Riemann che definisce
s UDS²Vwv come
9&
F2oIJ0
8 . Chiaramente,
questa circostanza con-
tinuasse adî essere vera, il risultato ( dovrebbe dipendere dalla particolare
scelta di U : questa è infatti una proprietà fondamentale dell’integrale di Rie-
mann. Notiamoî in particolare
?î
che le due somme corrispondenti alle due situa-
zioni estreme U ]zU e U ] U Ù differiscono per termini 8S"S%U Ù ^8U V V .
} }
`
© ?
Ora,
i cammini di Feynman fossero funzioni 2 G
*
"
!*0 $# del tempo – cioè
tali per cui U Ù ^U
}
¨ ?
`
– esse differirebbero per termini 1S V , che sareb- ©
bero
.
*&
,- % in quanto infinitesimi di ordine superiore. Sappiamo però che
©
per i cammini di Feynman vale la proprietà (2.42), quindi le due somme sud-
dette differiscono in realtà per termini 8S V , che "( %
* $ ( ( al risultato.
Siamo cosı̀ giunti ad un’importante conclusione. Da un punto di vista matema-
tico, vediamo che nel caso dell’azione classica (2.33) l’integrale d’azione che
figura nell’eq. (2.31) ( è più un integrale di Riemann,
î perché le somme che
lo definiscono 2
*+2 ( ( dalla particolare scelta di U (si tratta di un oggetto
molto simile agli $+
6. (E '*% che incontreremo nel paragrafo 3.9). Sul
piano fisico, l’eq. (2.31) ( fornisce più il propagatore quantistico inî modo
, (E"( , dato che è necessario specificare in che modo vada scelto U nella
discretizzazione che la definisce – ecco come le ambiguità di quantizzazione
`
nascono nell’approccio di Feynman !
2.7 – È ben noto che la meccanica quantistica X contiene la meccanica
classica come caso limite. Ciò significa che quando - risulta ( ) ( (
"
¤¤ t y n ðñð t y n ðñ𠤤 ²
¤ U } S²V z n ð ^ U ` S²V z n ð ¤ X- a
S
<Ø V
Di fatto, l’eq. (2.47) mostra che – nel limite classico – passando da un cammino
ad uno contiguo, la fase dei loro contributi all’integrale varia in modo ( ) (
*02 ( . Ne consegue che tali contributi tendono a
*)
. . Benché questo
fenomeno sia generale, vi è tuttavia un’importante
"
!* (
. Consideriamo
nuovamente i due cammini U S Z V e U ` S Z V , supponendo però che ora U S Z V sia
} }
U S Z Vh
*.%
"
*!"!
t
la %
0 (
.0 2$ )". che congiunge S%U ì \ Z ì V con S%U ì
ì \ Z ì
ì V . Allora
s UÌS²Vwv . Adesso è possibile avere
}
¤¤ t y n%ðñð t y n%ðñ𠤤
¤ U } S²V z n ð ^ U ` S²V z n ð ¤ ¨ X- a
S
/Û V
K ` ¤¤ ¤¤
Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì ϾÀ¿ ] I '&
f p
det ¤ ^
¤ Y
`
t S%U ì
ì \ Z ì
ì s U ì \ Z ì V ¤
¤ } p
`
a ;W X-
¤ Y U ìl Y U ì
ì ¤
W X t
exp x S - V S%U+ì
ì \ Z ì
ì s U+ì0\ Z ì$V
| a
S
/Ý V
43
44
Questo perché il secondo membro dell’eq. (2.48) è nullo al prim’ordine in ç 2 (é ) :ç d 1 (é ).
Á ÂÃ
È naturale chiedersi quale sia la distanza dei cammini di Feynman semiclassici dalla traietto-
ria classica. Argomenti euristici basati sull’eq. (2.48) suggeriscono che essi siano compresi
in un “tubo” di sezione ( - 1 2 ) intorno alla traiettoria classica. Una risposta più accurata
dipende tuttavia dalla specifica situazione fisica che si considera.
45 Supponiamo per semplicità che di tali traiettorie ne esista soltanto ® .
46 Si veda ad es. il testo di Schulman più volte citato.
32
t s
funzione delle coordinate Ó ë .
i
ove S0U ì
ì \ Z ì
ì U ì \ Z ì V è l’azione classica (2.33) (calcolata lungo U S Z V ) come
}
che se calcolata non già lungo traiettorie classiche, bensı̀ lungo i cammini di
Feynman. Questi ultimi ( hanno invece alcun & / ( &'". ( , pro-
prio perché rispecchiano gli effetti quantistici (è inoltre impossibile associare
delle ;
( % Ò a tali cammini in modo consistente con la teoria quantistica).
D’altra parte, abbiamo visto che nell’approssimazione semiclassica i cammini
di Feynman si addensano intorno alla traiettoria dinamica classica che unisce
S0U ì \ Z ì V con S%U ì
ì \ Z ì
ì V . Non solo, ma è anche stato notato che tali cammini
appaiono come se il punto rappresentativo fluttuasse casualmente intorno ad
una traiettoria #? 0 (cioè differenziabile). Alcune domande sorgono sponta-
nee. Queste traiettorie lisce posseggono un significato in meccanica classica?
P
Più in generale, esiste una =
"(
. (
fra cammini di Feynman e
traiettorie dinamiche classiche? Sarebbe peraltro molto bello se un simile
legame esistesse realmente, in quanto ciò evidenzierebbe una radice classica
della teoria quantistica più pronunciata di quanto usualmente si pensi. Eviden-
temente una comprensione dell’eventuale meccanismo che genera i cammini
di Feynman partendo da una traiettoria dinamica classica farebbe luce sulla
natura stessa della quantizzazione.
Vedremo nel capitolo 5 che una relazione 2
"
0 fra cammini di Feynman
e traiettorie dinamiche classiche ( esiste. Ma ciò è unicamente dovuto al
fatto che l’eq. (2.31) rappresenta un contesto %
( < (
.$.%
"
0 ( per la questione
47 Questo concetto è discusso ad es. in: L. D. Landau e E. M. Lifshits, F.' (MIR,
Mosca, 1976).
48 In tutto il presente Quaderno ignoriamo (per semplicità) i problemi dovuti all’esistenza
di Ç®'¬ ½«³*¢ e .®w¬ w¿' nello spazio delle configurazioni (il lettore interessato può
consultare il testo di Schulman).
49 Purtroppo è facile imbattersi nell’affermazione opposta, che l’approssimazione semiclassica
è Ç®E¥ .¦¨²-¬% classica. A sostegno di ciò viene addotto il fatto che il propagatore semi-
 Á Â
classico (2.49) è espresso ³.¦ÌÇ¢|«¬$.¦C«'¬ in termini di grandezze classiche. Alla base
di questa confusione sta le circostanza che le correzioni quantistiche ( - ) alla dinamica
classica ³. dipendono da - , per cui esse sono descritte soltanto da grandezze classiche,
nonostante si tratti di un effetto ý²®-.'¬ )¬? &w³ ! Si può trovare una chiara discussione di
questo punto in: L. O’Raifeartaigh and A. Wipf, Found. Phys. 18, 307 (1987).
33
Consideriamo la formulazione di Hamilton-Jacobi della meccanica clas-
sica, nel caso della particella descritta dall’azione (2.33). Come è ben noto,
l’equazione di Hamilton-Jacobi corrispondente ha la forma
K
Y t S%U6\ Z V6c a-b
f
I Y t S%Ue\ Z Vx^ Ä S%Ue\ Z V
`
BS%U6\ Z Vh]zy
c
a
S y<V
Y Z Y U l
l
Supponiamo ora di conoscere un (arbitrario) integrale
% "( &
"
S%U6\ Z V
t
dell’eq. (2.50) } . La corrispondente traiettoria dinamica classica nello spazio
delle configurazioni è data dall’equazione
`
i
K¤
I Y Y U t S%Ue\ Z VÌ^Ä l S%Ue\ Z V ¤¤¤ ~ í ×
r
f a
r
'Å
Z l
S Z Vh] b
l ï#n0ò
S -
f V
t Åts st
Indichiamo con S Z U ì \ Z ì s S9VwvV la soluzione dell’equazione (2.51) "( %
( Æ
& da S%Ue\ Z V e corrispondente alla condizione iniziale S Z ì VH] U ì . 45$
Åt .
Å s Rs
1
S Z U ì \ Z ì s S²V«vV è la traiettoria dinamica nello spazio delle configu-
RÇ
razioni determinata dai dati iniziali S Z ì Vh] U ì , S Z ì Vx] S VS%U ì \ Z ì V .
Non è difficile dimostrare 9 che vale la seguente rappresentazione )
*
Å 1
%,- del propagatore quantistico
50 3
M. Roncadelli, x«àuÆo.¬)¿þ'¬?¤.¥ *¢ ÞÇ¥«9«'¬$.¬ ³. ³ ½J¬)¿':áo®-.'¬®E¦_F w¿-.' *¢
Æ¥0³«Ç-¤.¬$³.¥ , Pavia preprint (1991) (in corso di pubblicazione).
51 Esiste un metodo alternativo (dovuto a Jacobi) per ottenere la traiettoria dinamica classica
nella formulazione di Hamilton-Jacobi (vedasi ad es.: H. Goldstein, F.' F¾ ¢
.w
(Zanichelli, Bologna, 1971)). Esso ha il vantaggio di ³. coinvolgere l’eq. (2.51), ma il
suo svantaggio è di richiedere la conoscenza di un integrale w³.¦ÌÇ¢|«¬$³ dell’equazione di
Hamilton-Jacobi. Spesso capita di conoscere solo un integrale Ç-.¥w¬ w³*¢
.¥ dell’eq. (2.50),
cosicché «³*¢ ¬.-¬³ il metodo esposto nel testo può venir usato.
52 Si veda ad es.: V. Arnold, F«¬³¡. hâ.¬²¦¯.¬? &9 5¡²¢)¢
F.' ¾ ¢
.w (Editori
Riuniti, Roma, 1988).
53 Si ricordi quanto osservato nella nota 48.
54 Si veda la nota 50.
34
E
]i/ï)l$p ò ï ñð ð n ðñð ò k UDS Z V9ÐS%U ì
ì ^ÜUDS Z ì
ì VV9ÐS%U ì ^ UDS Z ì VV
55 Coerentemente con quanto affermato nella nota 48, non dovremmo porci alcun problema
riguardo ai limiti di validità dell’eq. (2.52). Ci sembra però doveroso osservare quanto
g
ÑÐ
segue. È noto (si veda ad es.: R. Courant and D. Hilbert, F«¬&¿-³¡.J³ ½¨â.¬)¿'«¦¨.¬ *¢
Æ ¿ªw &9 (vol. II) (Interscience, New York, 1962)) che una ¤«/«¥« soluzione (çè0é )
dell’equazione di Hamilton-Jacobi è regolare soltanto su un intervallo di tempo - )¬$³
57
dal fatto che il secondo membro dell’eq. (2.52) ³. dipende da quale particolare soluzione
(çè0é ) venga scelta.
È stato Schrödinger a discutere per primo tali analogie: E. Schrödinger, Berl. Sitzber 144
(1931); Ann. Inst. H. Poincarè 2, 269 (1932). Si veda anche: R. Fürth, Zeit. Phys. 81, 143
(1933). Va detto tuttavia che il punto di vista di Schrödinger è ¡. )¼.«¥««³ da quello esposto
nel presente Quaderno, ed è stato sviluppato recentemente in: J. C. Zambrini, Phys. Rev.
A 33, 1532 (1986).
35
Ó © ü û üÕÔ Ô
×û Ö ûÜÛ ÖÔ
Ø û Ùt t Ô Ø ÷ t Ú ÞÕß û
Ô t tÕ
ÝÜÔ ÝJØ t ÷ t \ S { fEV
Ö
58 Questo modello è però ¥ ¡. *¢ ¦C«'¬F¡. )¼.«¥««³ da quelli usati nelle applicazioni fisiche
ordinarie, come ad es. in connessione con il moto browniano macroscopico. Inoltre,
quando si considerano correlazioni a tempi ¡. )¼.«¥« , è necessario introdurre il concetto di
“ w³*¢)¢
.«³8¡²¢)¢
Q½®EÀ9 ³.â¡´ ³.¡ ”. Si veda: Ph. Blanchard, S. Golin and M. Serva,
Phys. Rev. D 34, 3732 (1986).
59 I. Fényes, Zeit. Phys. 132, 81 (1952).
60 E. Nelson, Phys. Rev. 150, 1079 (1966).
61 Questi processi verranno considerati nel paragrafo 3.3.
62 L’unica differenza sta nella condizione di normalizzazione.
63 Naturalmente le ampiezze quantistiche sono quantità ³.¦ÌÇ¢|«w² , mentre le probabilità sono
grandezze ¥ *¢ e ³.â/?¤.¬? #¼* .
36
äã [
i) M !* (
Â2 ( +2/1&!%&
S%U6\ Z V ;
Ô
ii) ;0
!"!T2h%
@.&! (
;
( @E// (
"
«ÕCÍ%U6\ ZÎ U \ Z Ï .
Sappiamo infatti che la funzione d’onda ad un qualunque tempo Z è data
dalla relazione
Ù
Ú
[ r [
S%U6\ Z V5] U Í%U6\ ZÎ U \ Z Ï S0U \ Z V S {|{ V
k
Ù
Ú
r
Í%U6\ ZÎ Uì0\ Z ì Ï ] U Í%Ue\ ZÎ U \ Z EÏ Í%U \ Z Î Uì0\ Z ì Ï S {
V
k
Abbiamo già ricordato che in meccanica quantistica le probabilità appaiono
sempre come il modulo quadrato di una ampiezza, pertanto la 2<
@%1 Ò 2;
(
$# Ò Ö × S%U6\ Z V e la ;
( % Ò 25%
@.&! (
Ö × S%Ue\ ZÎ U \ Z V¨= %$.% P
ì ì
sono definite come
ÖÌ× [ `
S0Ue\ Z VLg Î S0Ue\ Z V Î \ S {|Ñ V
Öx× `
S%U6\ ZÎ Uì0\ Z ì$VLg Î Í0Ue\ ZÎ U+ì0\ Z ì Ï Î S {Ø V
64 Una tale schematizzazione è molto conveniente perché la funzione d’onda iniziale specifica
il particolare stato del sistema )¡. Ç-«¡«'¬«¦C«'¬ dai campi di forza presenti, mentre il
propagatore contiene l’informazione sull’effettiva dinamica che si considera, )¡. Ç'«¡«ß
¬«¦C«'¬ dallo stato iniziale.
37
Ù
Ú
Öx×
S%Ue\ Z V } p
`
k r
U
ÖÌ×
S0Ue\ ZÎ U \ Z V } p
` Öx× `
S%U \ Z V } p \ S {|Û V
k
Ù
Ú
Öx×
S%Ue\ ZÎ U+ì0\ Z ì$V } p
`
k r
U
Öx×
S%Ue\ ZÎ U \ Z V } p
` ÖÌ×
S0U \ Z Î U+ì \ Z ì$V } p
`
S {|Ý V
k
È molto importante tenere presente che le eq. (3.3), (3.4) – e quindi anche
le (3.8) e (3.9) – valgono ( ( sotto un’implicita assunzione: ( j,E0
0G
0%/ + ?.
9-!* (
. Se invece una misurazione venisse eseguita
al tempo Z , le eq. (3.8) e (3.9) verrebbero sostituite dalle seguenti
Ù
Ú
Öx× r Öx× Öx×
S%U6\ Z Vh] U S%Ue\ ZÎ U \ Z V S%U \ Z V.\ S
{
f y<V
k
Ù
Ú
ÖÌ× r Öx× ÖÌ×
S0Ue\ ZÎ U+ì \ Z ì$VL] U S%Ue\ ZÎ U \ Z V S0U \ Z Î U+ì \ Z ì$V S { ff-V
k
Ö l }
s s s
S%U \ Z U } \ Z } U } \ Z } V Ó . Queste grandezze sono definite in modo
k k
tale che si abbia (con ovvio significato dei simboli)
fç 3æ
66 Si vedano al proposito i testi citati nella bibliografia. Ci limitiamo qui a ricordare che una
¼.¥« ² &¢|h*¢|.¬$³.¥w è specificata dall’ )-w ?«¦Ch¡« @w®-³. Ç-³. ² &¢ @¼*¢
³.¥« ?$ÇEÀ² ³J.¦¯ß
Ç ³./ e da una ¡. )w¬¥w ²®À² ³./¨¡. Ç¥ ³ ² &¢ )¬Ê definita sullo spazio campione; essa deve
essere una funzione reale non negativa e normalizzata. Sottolineiamo che la visualizzazione
di una distribuzione di probabilità mediante un’ «'9«¦ 9¢| è una pratica comune in fisica,
benché ³. sia affatto necessaria in linea di principio.
Nel seguito ometteremo per semplicità l’attributo ¡«' )¬Ê . Invitiamo però il lettore a
67
°?¡«' )¬H
tener ²«¦ÌÇ¥ presente che ogniqualvolta parleremo di “Ç¥ ³ 9 )¢ )¬Ê ” intenderemo ²²¦DÇ¥
Ê ¡. <Ç¥0³ w ² &¢ )¬Ê º (si ricordi quanto osservato nella nota 7).
38
¡.¢Q£ n U å Ö S Z V U c
r
U s r s U å SZ V
} r }
U c
r
U p g a
S%U \ Z s s U \ Z V
} }
U U
}
} } S { f V
i)
Ö
s s
S%U \ Z U } \ Z } V Oé Mê
y@\ ø ;
ii)
Ù
ë r Ö
s s
U S%U \ Z U \ Z VL]
Ö
} S%U } \ Z } U } \ Z } V ; s s
} } k k k
ë
kÙ
r Ö
iii) U U \ Z Vx] f .
S%6
å
k
Un concetto molto importante è quello di 2
*@.u Ò 2L
(< $# Ò "(
(
# #
2&! + . Supponiamo ad esempio che i valori assunti dal processo S Z V ai
tempi Z \E\ Z , S Z Z V siano noti con
*
"!! . Siamo allora
} }
portati a considerare la seguente probabilità
¡.¢Q£ n U å S Z V U c r U s s U # Ù } å S Z # Ù } V U # Ù } c r U # Ù } Î
å S Z # VL] U # s s å S Z } VL] U } p g
S%U \ Z s s U # Ù \ Z # Ù Î U # \ Z # s s U \ Z V U U # Ù
Ö r r
} } } } }
S { f { V
La quantità S%U \ Z s s U # Ù \ Z # Ù Î U # \ Z # s s U \ Z VhS Z Z #
Ö
Z # Ù
} } } } }
Z V definita in tal modo è detta appunto densità di probabilità
}
condizionata ú . È molto facile convincersi che fra le densità di probabilità
condizionate e congiunte sussiste la relazione Ó
Ö
S%U \ Z s s U \ Z LV ]
Ö
s s #
%S U \ Z U Ù \ Z Ù Î U # # \ Z # s s U } \ Z } V.
} } Ö
# # #s s
S%U \ Z
}
U \ Z V
} }
}
S { f V
Üæ {ç
mente restrittiva, in quanto formalizza il concetto di )'¼.¥w .ÀJ²³.¬¬$³J )-¼*«¥ww ³.Q¬«¦¯ß
ÇE³.¥ *¢| $¥«¼.«¥« ² &¢ )¬Ê per un processo stocastico. Si veda ad es.: M. Kac and J. Logan,
© ¢ ®'²¬®-.¬? &³.' , in ±'¬®'¡. ²6 )H±'¬$.¬ )¬ w*¢F w¿-.' ² , vol. VII, ed. by E. W. Montrol and
c c
J. L. Lebovitz (North-Holland, Amsterdam, 1979). Si noti che – in virtù dell’eq. (1.14) –
å æ (çè0é9ê ç èé ) definita dall’eq. (3.7) soddisfa quest’ultima condizione, in accordo col fatto
ó M${ ôó õ Qõ
che l’evoluzione quantistica è temporalmente ¥«¼*«¥ww ² &¢| .
e¥
69 Si assume cioè la condizione che si abbia con certezza (é 1 ) = ç 1 è 9è (é ) = ç .
70 Essa è nota come ¥?¤³*¢
¡. e.ª« .
39
il futuro, $+2
*+2
*
1
*
da quanto è avvenuto nel passato. È facile ren-
s s
dersi conto che per un processo markoviano l’infinita gerarchia delle densità
Ö
di probabilità congiunte S%U \ Z U \ Z V è (
1
*
determinata
} }
da 2
sole grandezze:
Ö
i) 2<
@% Ò 2o
<
( #1
Ò &!%&
S%Ue\ Z V ;
ii)
( $#%T
Ò 2h%
@.&! (
Ö
S0Ue\ ZÎ U \ Z V , (Z k Z ).
Infatti abbiamo
Ù Ù
Ú Ú
Ö
S%Ue\ Z Vx]
r
U
Ö
s
` S%U6\ Z U \ Z VL]
r
U
Ö
S%U6\ ZÎ U \ Z V
Ö
S0U \ Z V S { f Ñ V
k k
[ø Rè
Si può ulteriormente mostrare che la proprietà di Markov implica la cosiddetta
P ( # ( (
( , `
"=E! (
2 .;8 Ó
Ù
Ú
Ö r Ö Ö
S0Ue\ ZÎ U ì \ Z ì Vx] U S%U6\ ZÎ U \ Z V S%U \ Z Î U ì \ Z ì V.\ S { f Ø V
k
in cui si suppone Z ì Z k k
Z . Nel seguito, useremo l’abbreviazione PSMC
÷ö
(;
(
*" ( . (E '*% ( 8
( , 0 (1 )" "( ).
3.4 – È ora chiaro che esiste un’analogia molto stretta fra le eq. (3.3),
(3.4) da un lato, e le eq. (3.15), (3.17) dall’altro – si può infatti passare da
71
72
Se essa non dipendesse neppure da ç è0é si avrebbe un Ç¥ ³w«w«³¡. 6²¥w³.®E¢)¢ . õ õ ¦¥
Si veda un qualunque testo di processi stocastici citato nella bibliografia.
40
Ú
Ö [
S%U6\ Z V S%Ue\ Z V.\ S
{ f Û V
Ú
Ö
S%Ue\ ZÎ U+ì \ Z ì$V Í%Ue\ ZÎ U+ì\ Z ì Ï S
{ f Ý V
( D
E!* ( (tridimensionale) Ó .
Esso è caratterizzato dalla "( .
È importante osservare che il punto di vista qui adottato suggerisce in modo .¬®¥ *¢| di
73
interpretare la meccanica quantistica come una ¬³.¥w ³.9¢
.w A¡²¢)¢|§Ç¥ ³ w ² &¢ #¬EÊ .
Si vede quindi in modo esplicito che anche le probabilità – come già la geometria con
g
Riemann ed Einstein – non sono verità 6Ç¥« ³.¥w , ma ¡. Ç-«¡³.³ dalla specifica w #¬?®-À² ³./
che si considera. Corrispondentemente il famoso dualismo onda-particella appare
“sbilanciato”: ad es. un elettrone è 9«¦ÌÇ¥ una particella, mentre l’aspetto ondulatorio è
una semplice conseguenza del fatto che le probabilità ³. soddisfano il calcolo 9¢
.w ³ .
74 Naturalmente ciò ³. significa che non possano esistere formulazioni della teoria quantistica
²²À" un analogo per i processi stocastici classici.
75 L’esempio fisico più noto di questo tipo di processi stocastici è il moto browniano macro-
scopico nell’ «ÇÇ¥ ³.w )¦¨À² ³./C¡. oã )-w¬« )ß?±'¦¨³*¢ ®-«¿-³.à 0¶. , che corrisponde al caso di
¤.¥ .¡Ì.¬¬¥« )¬$³ . Si veda a tale proposito ad es.: N. G. Van Kampen, ±'¬$³w¿-.w¬ 6Æ+¥ ³««9«
)âÆ ¿ªw ²5.¡¾@¿'«¦Q #w¬¥«ª (North-Holland, Amsterdam, 1981).
41
2 â2 G¨ (
à
che descrive l’effetto delle Q@0%@-!* ( , mentre la “ 2
* M ” ³
RTS%U6\ Z V descrive gli effetti 2
*
*$.% di campi di forza eventualmente pre-
§
senti. Supponiamo inoltre che le particelle che realizzano il processo possano
venir
*1
.
e " (
%
dall’ambiente: ciò è specificato dalla “ E$#$3
” ö §
S%Ue\ Z V , che esprime la ;
( % Ò 2h" (
1
* (
% Ò 2h
( Ó .
à
§
È fondamentale notare che gli effetti rappresentati da , RTS U6\ Z V e S U6\ Z V
interferiscono fra loro, per cui ne possiamo tenere conto in modo /2<2%%$, ( .
( §
à §
à
Possiamo cioè analizzare il PSMC in questione supponendo ad es. dapprima
à
]jy , R1S0Ue\ Z Vh]jy e S%Ue\ Z V5]jy , poi
Z Z
] y , RTS%Ue\ Z V ] y e S%U6\ Z V5] y ed
infine ]jy , RTS%U6\ V§]äy e S%U6\ V ]äy . La “sovrapposizione” di queste tre
situazioni fisiche fornisce allora la rappresentazione del PSMC originario.
3.7 – La descrizione “standard” di un PSMC è basata sull’equazione dif-
Ö
ferenziale lineare di Fokker-Planck ÓÓ per la densità di probabilità S0Ue\ Z V . Si
Ö
noti che la probabilità di transizione S0Ue\ ZÎ U \ Z V non è altro che il
( @< Q
(
"
di tale equazione, in virtù dell’eq. (3.15).
Nel caso considerato, l’equazione di Fokker-Planck assume la forma
§
Y Ö
S%Ue\ Z Vx]
à Y
`
Ö
S%U6\ Z V<^
Y
sR S%U6\ Z V
Ö
S%Ue\ Z Vwv^ S%Ue\ Z V
Ö
S%Ue\ Z V
a
S { <y V
§
` l
YZ Y U Y U
ø
l
(
0%#1
*
, il ruolo di questa equazione è chiarito dal fatto che , à
Ö Ö
S Ue\ Z V e S Ue\ Z V possono venir definite in termini di S Ue\ ZÎ U \ Z VCÓ ë . Allora
l’equazione di Fokker-Planck appare come un’espressione 2 G
!*0
(ap-
prossimata) dell’equazione di Chapman-Kolmogorov (3.17).
Discutiamo ora il .) / ( x "( dell’eq. (3.20).
Sfruttando l’osservazione fatta nel paragrafo 3.6, cominciamo col con-
à
siderare il caso limite in cui le fluttuazioni abbiano un ruolo trascurabile –
ciò consente di porre ] y (almeno in prima approssimazione). È anche
§
conveniente supporre momentaneamente che non si abbia emissione o assor-
bimento di particelle da parte dell’ambiente, per cui poniamo S%Ue\ Z VÂ] y .
Corrispondentemente l’eq. (3.20) diventa
Y Ö Y Ö a
S%Ue\ Z VL]_^ sR S%U6\ Z V S%Ue\ Z Vwv S { -f V
Y Z Y U l
l
76 Ci sembra abbastanza strano che effetti di quest’ultimo tipo vengano spesso ignorati nella
letteratura. Un’eccezione è: F. W. Wiegel, þ'¬¥ ³¡.®'²¬ ³. ¬$³:Æo.¬)¿þ'¬?¤.¥ *¢;F«¬&¿-³¡.
)ÂÆ¿ª. ²Q.¡Æo³*¢ ª.¦¨²¥5±² ?«w (World Scientific, Singapore, 1986). Come risulterà
evidente, è invece molto conveniente considerare questi effetti discutendo le analogie formali
con la meccanica quantistica.
77 A. D. Fokker, Ann. Phys. 43, 810 (1914); M. Planck, Sitzber. Preuss. Akad. Wissens. 324
ú
(1917).
78 Per una trattazione molto chiara di questo punto si veda: C. W. Gardiner, Ì.¡ w³³"¶F³ ½
±'¬$³w¿-.w¬ §F«¬)¿-³¡. (Springer, Berlin, 1983).
42
Questo risultato è in perfetto accordo con l’intuizione fisica: dato che il numero
di particelle è costante, le probabilità si conservano, per cui la densità di
probabilità deve soddisfare un’equazione di continuità. Ora, all’eq. (3.21) è
associata l’equazione
r
aa
r
Z Ål S Z Vx]jR
l Å
S S Z V.\ Z V S { V
Ö a
S%Ue\ Z VL]zÐS%UT^
Å S Z VV S { { V
§
Vediamo quindi che il termine aggiuntivo nell’eq. (3.24) tiene conto proprio
del fatto che le probabilità in realtà non si conservano, a causa dei processi di
emissione e di assorbimento (si noti che ciò è in accordo con l’interpretazione
di S0Ue\ Z V come probabilità di assorbimento per unità di tempo). Naturalmente
: P
le %
0 (
*0
x.
restano le .
*"
di prima – cambia ( ( la distribuzione
di probabilità: si può infatti dimostrare che ora l’eq. (3.22) segue dall’eq. (3.24)
ponendo
§
WX Ú n
Ö
S%Ue\ Z Vx]ÐS%UT^
Å S Z VV exp V^ r
Z ì
Å
S S Z ì&V*\ Z ì$V Z] \ a
S { V
fû
n
Abbiamo cosı̀ chiarito il significato del secondo e terzo termine nel secondo
membro dell’eq. (3.20).
79 Non c’è da stupirsi che un’evoluzione temporale deterministica sia descritta da una dis-
tribuzione di probabilità: ciò significa semplicemente che lo stato iniziale ³. è noto
esattamente.
43
Y Ö
S%U6\ Z Vx]
à Y
`
`
Ö
S%Ue\ Z V
a
S { Ñ V
Y Z Y U
ü
Questa è la ben nota “equazione del calore”, che descrive un
(E
. ( 2
0
*
, cioè un PSMC definito dalla seguente probabilità di transizione
` Î
Ö
S%U6\ ZÎ U \ Z VL] ý &à f
SZ ^ Z V
exp ¯^ Í à f S%UT^ÜU V
SZ ^ Z V
a
S { Ø V
Y Ö
S%Ue\ Z VL]
à Y
`
`
Ö
S%U6\ Z VD^
Y
sR S%U6\ Z V
Ö
S%U6\ Z Vwv
a
S { Û V
Y Z Y U Y U l
l
che non sembra avere la forma di un’equazione di continuità. È senz’altro vero
che l’eq. (3.28) differisce dall’eq. (3.21), però va tenuto presente che adesso la
situazione è più complessa, perché si sta tenendo conto anche dell’effetto delle
fluttuazioni. Procedendo formalmente, notiamo che l’eq. (3.28) può venire
riscritta come
9
Y Ö
Y Z
S%U6\ Z Vh]_^
Y U
Y
7²^ à Y U
Y Ö
S%U6\ Z VocR
l
S0Ue\ Z V
Ö
S%U6\ Z V
a
S { Ý V
l l
þ
è )¡. Ç-²¡²-¬% dallo stato dinamico del sistema considerato. È per questo motivo che
parleremo di “;®¬¬®'À² ³.' ;¡. ½«³.¡³ ”. Questo aspetto verrà sviluppato nel capitolo 5.
81 È ben noto che le distribuzioni ¤.®w ./ di probabilità hanno un ruolo preminente in
fisica. Ciò è dovuto essenzialmente
Á
al ¬³.¥ ²¦¯:w²-¬?¥0*¢|J¡²¢+¢ #¦Q )¬ (si veda ad es.: A.
Papoulis, Æ¥0³ w ² &¢ )¬.Ê · .¥« ² &¢ /»Ì¢| .¬$³.¥« ?h6Æ¥0³"w«w @±'¬$³w.¬ ² (Boringhieri, Torino,
1973)).
44
ß S%U6\ Z VLgó^
à Y Ö
ln S%U6\ Z V*\ S {|{ y<V
l Y U
ÿ S%Ue\ Z VLg
ß l
S%Ue\ Z Þ V cR S%U6\ Z V S {|{ f-V
l l l
Y Ö
S%U6\ Z VL]ó^
Y
s
ÿ S%Ue\ Z V
Ö
S%Ue\ Z Vwv S {|{
a
V
Y Z Y U l
l
ÓÛ ß û Ô ÓÛ ß û Ô
à Ô © © t Ó ^ Ý Ö © û t Ø Ú à Ô © :t Ø ÷Ó © à Ý Ô ©H t t Ó
S {|{{ V
82 È proprio la velocità osmotica l’elemento caratteristico di un Ç¥ ³««²³J¡. ;¡. o®E ³./ , che
³.¥«¥«'¬Q³.¦¨³.¬ w è (çè0é ) = d
poi non è altro che un PSMC con traiettorie fisiche continue. Dall’eq. (3.30) segue che la
Qå (çè0é ). Dato che nella trattazione fenomenologica
di un processo diffusivo macroscopico å (çèé ) è proporzionale alla concentrazione delle
particelle considerate, si ritrova un risultato ben noto di fisica elementare.
45
dell’equazione di Schrödinger. Vogliamo studiare in dettaglio questo aspetto.
Consideriamo ancora la particella descritta classicamente dall’azione
(2.33). Come è ben noto, l’equazione di Schrödinger corrispondente è
K
W 3
X- Y [
YZ
S%Ue\ Z Vh] a-b
f
KI ^ l l S0Ue\ Z V
W X- Y
Y U
^
l S {|{ V
I W X Y
^ -
Y U
Ä
^
l
S%U6\ Z V
[
S%Ue\ Z VÞc S%Ue\ Z V [ S0Ue\ Z V
l
f
l
S%U6\ Z V5g_^ b
W
l
S%Ue\ Z V.\
K S {|{Ñ V
S%U6\ Z L
V g a-b
f
Y U
Y
l
S%U6\ Z Þ
V c X- I a-b
f
l
S0Ue\ Z V $ l
S%U6\ Z Vec BS%U6\ Z V \ S {|{/Ø V
l
02<
% all’equazione di Fokker-Planck (3.20). Vediamo quindi che – in virtù
della corrispondenza (3.18) – l’una si trasforma nell’altra, a patto di assumere
l’ulteriore corrispondenza ?
à
§R8S%U6\ Z V Ú \ S {|{Ý V
S%U6\ Z V
Ú S0Ue\ Z V S {
f-V
come $
M !* ( +&
( $
2
ü
mente, questo approccio fornisce la probabilità di transizione S%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì V
*
ë ), permettendo cosı̀ di
calcolare tale grandezza
*! che sia necessario risolvere l’equazione di
Fokker-Planck. La presentazione che segue metterà in evidenza la profonda
+ ( %1*%
*0%
fra gli integrali di Wiener e di Feynman ë Ó .
Denotiamo con una particella che “materializza” un generico PSMC
ü
e consideriamo l’evento “ ,- 2/ S%U ì \ Z ì VS%U ì
ì \ Z ì
ì V ”. È evidente che la
Ö
;
(< % Ò (totale) S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V associata a questo evento non è altro che
r s
la probabilità di transizione relativa al PSMC in questione. Indichiamo anche
in questo caso con xS0U ì \ Z ì U ì|ì \ Z ì
ì V lo spazio dei $ , cioè delle funzioni
(reali) continue UDS Z V con estremi fissi UDS Z ì VÂg U ì , UDS Z ì
ì Vg U ì|ì . Di fatto, il
primo postulato di Wiener è
ü
W1) Tutte le )
*
*+/%$,
:2$²
Ìëë secondo le quali l’evento
jr s
può realiz-
zarsi sono descritte da UÌS Z V xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V .
s s
Prima di Wiener, le più generali distribuzioni di probabilità erano le
Ö
probabilità congiunte S%U \ Z U \ Z V che si riferiscono ad un insieme
} }
2?
"
( di punti. Egli ha esteso tale concetto al caso di un insieme "( %$ ( ,
postulando cosı̀ l’esistenza della seguente
(< $#: Ò 2Þ%
@!* (
associata
ad un
*
( (
UDS Z V jr
LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V s K
Ö
S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UDS9Vwv;g I probabilità che S {
a
V
si muova lungo UDS Z V
83 N. Wiener, J. Math. and Phys. 2, 132 (1923); Proc. London Math. Soc. 22, 454 (1924) e
<¥
55, 117 (1930).
84 M. Kac, in Æ+¥ ³« ¡. )¤.F³ ½¬)¿'F±/ w³.¡ 6²¥ ¶9¢|«ª1±'ª.¦ÌÇE³. )®¦³.>â.¬)¿'«¦¨.¬ *¢
[
±'¬$.¬ )¬? &9H.¡:Æ¥0³ w ² &¢ )¬ª , (University of California Press, Berkeley, 1951). Si veda
anche: M. Kac, Æ¥ ³ ² &¢ )¬ªB.¡ Þ²¢
.¬ ¡È³«Ç ²h #:Æ ¿ªw &w*¢±9 ²«« (Interscience,
London, 1959).
85 L. Onsager and S. Machlup, Phys. Rev. 91, 1505 (1953); S. Machlup and L. Onsager, Phys.
Rev. 91, 1512 (1953).
86 In realtà, Wiener ha considerato soltanto il caso in cui (çè0é ) = 0 e ∆(çè%é ) = 0. Tuttavia
per “ #'¬$¤.¥ *¢|¡. FÃH ?«/«¥ ” intenderemo nel presente Quaderno la ¤²²¥0*¢ |ÀwÀÀ² ³./
dell’integrale di Wiener originale in cui si abbia (çè%é ) = 0 e ∆(çè%é ) = 0. Si veda: I. M.
Gel’fand and A. M. Yaglom, J. Math. Phys. 1, 48 (1960); R. Graham, Zeit. Phys. B26, 290
(1977).
87 I ragionamenti che seguono sono ¡. )¼.«¥« da quelli che hanno condotto Wiener alla formu-
lazione del suo integrale. Si veda la nota 104.
88 Vale anche qui quanto osservato nella nota 28.
47
r s
definita su xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V ë ú . Ancora,
Ö
S0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V ha la struttura
Ö Ö
S%Uì
ì%\ Z ì|ì Î U+ì0\ Z ì$V s UÌS²Vwvg ÐS0U+ì
ì^UDS Z ì
ì?VV9ÐS%Uì@^ÜUDS Z ì$V"V s UÌS²Vwv S {
/{ V
in cui le due funzioni delta di Dirac implicano che tale probabilità si annulli –
Ö
come deve essere – se UDS Z ì V ]zU ì e/o UDS Z ì
ì V ] U ì
ì . Nell’eq. (3.43) s UDS²V«v è un
funzionale continuo determinato dal secondo postulato
W2) La
<
( $# Ò 2L%
@.&! (
lungo UÌS Z V è
Ö
S%U ì|ì \ Z
ì ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²Vwv]ÐS%U ì
ì ^ÜUÌS Z ì
ì VV9ÐS%U ì ^ÜUDS Z ì VV*
t
ove s UDS²Vwv n ðñð ha la stessa forma di un’azione classica
nð
ü §
S%Ue\ UDu \ Z V
nð
in cui la “ &
<%+2 è determinata completa-
*
”
à
§
mente dalle tre grandezze che definiscono il processo , RTS Ue\ Z V e S Ue\ Z V .
Esplicitamente
u] à S U u l ^ËR l S%Ue\ Z VV `
f
c a
f Y
Y U
R
l
S0Ue\ Z VÞc S0Ue\ Z V S {
/Ñ V
l
Ö
m
Ú
Ö
S%Uì
ì%\ Z ì
ì Î U+ì\ Z ìVL] UDS Z V S%U+ì|ì?\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì$V s UDS9Vwv S {
<Ø V
89 Si ricordi la nota 31
Si veda, ad es.: B. V. Gnedenko, È ³.¥« J¡²¢)¢|LÆ+¥ ³ w ² &¢ #¬EÊ (Editori Riuniti, Roma, 1987).
g
90
91 Come promesso, abbiamo ora una ¤. )®w¬ À² ³./ dell’eq. (2.41).
48
m
x t s UÌS²Vwv n0n ðñð ð |
Ú
Ö
S%U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì$VL] UÌS Z VÐS0U+ì
ì@^ÜUÌS Z ì
ì$VV9ÐS%Uì^UDS Z ì?VV exp 6^
S {
/Û V
ove
t s UÌS²Vwv è data dalle eq. (3.45) e (3.46).
A questo punto la ( )0! fra gli integrali di Wiener e di Feyn-
man è evidente, ed essa verrà considerata più in dettaglio nel prossimo para-
grafo. Osserviamo che al primo si applicano molte delle considerazioni fatte
a proposito del secondo. L’eq. (3.48) va intesa come limite di un’espressione
discretizzata – proprio come nel caso dell’eq. (2.31) (la discussione fatta nel
paragrafo 2.3 può essere ripetuta qui quasi alla lettera) – ed è importante sot-
tolineare che in tale discretizzazione R1S0Ue\ Z V va calcolato nel ( 1
2 (
U g S%U c U Ù V
a `
ú . Ancora, i 52
*
– cioè quei cammini
ü
}
§ §
che contribuiscono
0G
0%,-1
*
nell’eq. (3.48) – godono della proprietà
:¨
UÌS Z V óS Z V } p
`
S {
/Ý V
per cui sono M
0 # con dimensione di Hausdorff uguale a 2
Ìú ú9 ú . Ab-
i i
biamo visto che la proprietà (3.49) per i cammini di Feynman è equivalente al
principio di indeterminazione. Esiste forse un principio di indeterminazione
con azione classica (2.33) (si ricordi quanto è stato detto al proposito nel paragrafo 2.6), e
˜ [ç ( )] ³. è più un integrale di Riemann. L’unica differenza è che nel presente contesto
si può attribuire un significato matematicamente ¥w |¤³.¥ ³.«³ a ˜ [ç ( )] interpretandolo come
)'¬?¤.¥ *¢|:w¬$³w.¬ ³ . Questi integrali sono ancora definiti come limite di somme di
Cauchy-Riemann, però ¡. Ç-«¡³.³ dalla particolare discretizzazione che è stata scelta (nel
caso in questione ciò è conseguenza dell’eq. (3.49)). Anche se esistono eÇ¥« &³.¥« infiniti modi
di scegliere una discretizzazione, ve ne sono solamente due che hanno un reale interesse.
Una scelta consiste nel calcolare il valore dell’integrando nei Ç®'¬ @ )'
À9 *¢ degli intervalli
infinitesimi e definisce l’ )'¬?¤.¥ *¢|x¡. Eþ¬ ³ (esso soddisfa regole ¡. #¼*«¥w9 da quelle dell’usuale
calcolo integrale). L’altra scelta corrisponde ai Ç®'¬ ¦C ¡. degli intervalli infinitesimi (in
cui è calcolato il valore dell’integrando) e dà luogo all’ )-¬%?¤.¥ *¢|B¡. D±'¬¥ .¬$³.³.¼ w¿ (per
il quale valgono le ¬²² regole dell’ordinario calcolo integrale). Quindi la nostra scelta
è di interpretare ˜ [ç ( )] nell’eq. (3.48) come )-¬%?¤.¥ *¢|¡. x±'¬¥ .¬$³.³.¼ w¿ . Osserviamo
che, se invece preferissimo la scelta “alla Itô”, dovremmo omettere il secondo termine nella
lagrangiana di Wiener (3.46) al fine di ottenere lo ¬²«³ risultato. Gli integrali stocastici
sono discussi in tutti i testi avanzati di teoria dei processi stocastici. Si veda ad es.: H. P.
McKean, ±'¬$³«¿-.¬ hþ'¬?¤*¥0*¢ (Academic Press, New York, 1969).
93 Si veda la nota 37.
ú
94 Nel contesto dell’integrale di Wiener, funzioni che godono della proprietà (3.49) vengono
anche dette ³*¢
¡«¥§w³.'¬ )-®¯¡. o9¢
.95®:¦¨ÀÀ³ . Questo argomento è discusso ad es.
nel testo di McKean citato nella nota 92.
95 Analogamente a quanto avviene per l’integrale di Feynman, ciò ³. è in contrasto col
postulato W1: la probabilità che Σ si muova lungo molti cammini LÇ¥w ³.¥« possibili risulta
essere '®-¢#¢
.
49
P
per un PSMC? Contrariamente a quanto spesso si crede – che il princi-
§ §
pio di indeterminazione sia “l’emblema” della quantizzazione – la risposta è
G
*
*8/%$,' ! È infatti noto da lungo tempo ú che si ha ú Ó
U
ß é Ð à S { y<V
l l
ove
ß è la velocità osmotica definita dall’eq. (3.30). Vi sono però anche
notevoli 2,'
.% Ò fra gli integrali di Wiener e di Feynman. Prima fra tutte è
Ö
che S%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²Vwv ha il significato di una probabilità, quindi essa è una
grandezza
"
&
J ( 3
<%,- , mentre Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²V«v è una quantità (
½
;&
*" . Ne consegue che l’integrale di Wiener è un “ ,'
( $+
&
, in quanto
r
esiste una $
(nel senso matematico del termine) su LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V ú ë ; ciò s
permette di attribuire un significato matematicamente
*) (
( ( all’eq. (3.48) úú .
´
Altra differenza è che i cammini di Wiener possiedono un significato fisico
P
diretto, e rappresentano le %
0 (
.
x.
di un PSMC fra due punti asse-
j³
gnati S%U ì \ Z ì V e S%U ì
ì \ Z ì
ì V . Ulteriormente il loro
/0
*
"
Q@0%@
(implicato
³
dall’eq. (3.49) } ) rispecchia le Q@0%@-!* ( h<".%
12 M*( +2 ( che carat-
terizzano il PSMC in questione. Osserviamo infine che ( esistono cammini
di Wiener <
*
#!"!/% , simili a quelli considerati nel paragrafo 2.8 } } .
( ü
Prima di concludere questo paragrafo, vogliamo considerare ancora il
;
*" ( 2 0
*
(questo punto sarà molto utile nel paragrafo 5.2). Ab-
biamo già visto che esso è descritto dalla probabilità di transizione specificata
dall’eq. (3.27). Nello spirito dell’approccio di Wiener, tale processo va definito
Ö Ö
assegnando – anziché S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V – un’opportuna probabilità s UDS²Vwv sullo
96 R. Furth, Zeit. Phys. 81, 143 (1933). Vogliamo sottolineare che anche nell’ambito della
formulazione di Nelson della meccanica quantistica vale l’eq. (3.50), che qui esprime proprio
il principio di indeterminazione di Heisenberg. Si veda: D. De Falco, S. De Martino S. De
Siena, Phys. Rev. Lett. 49, 181 (1982); S. De Martino and S. De Siena, Nuovo Cimento
¸ d¸ ¹ ¹ Ã
79B, 175 (1984).
97 Poniamo come di consueto ∆ ( )2 1 2 .
h
Questa è la famosa ¦Q )®¥ B¡. 5ÃB ²²¥ (e sue generalizzazioni). Si veda ad es.: M. Kac,
98
Æ¥0³ w ² &¢ )¬ªH.¡ Þ²¢
.¬ ¡Âȳ«Ç ²L ):Æ¿ª. w*¢±9 ²«« (Interscience, London, 1959);
I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, J. Math. Phys. 1, 48 (1960).
99 Questa circostanza è in contrasto con quanto avviene per l’integrale di Feynman (si ricordi
la nota 23).
100 Le considerazioni fatte a questo proposito nel paragrafo 2.6 possono essere ripetute qui alla
lettera.
dä` `
101 Ritorneremo su questo punto nel capitolo 5.
102 È conveniente estendere l’integrazione da a + nell’eq. (3.51). Quando essa viene
103
fc · · cYc
inserita nell’eq. (3.43) le due funzioni delta riducono ¡. <½«.¬¬³ tale integrale all’intervallo
considerato (é é é ).
Nell’eq. (3.51) abbiamo omesso per semplicità il fattore di normalizzazione (si veda al
proposito la nota 110).
50
WYX Ù
V ^âSf à u S Z V Uu S Z V Z\
Ú
Ö
s UDS²V«v¨ exp V
r
Z U
l l ] S { f-V
k
© à Ó Ô Û ÿ¬ß Ô û Ý Ô © Ó Ó Û ß û Ô ©
à © Ô t! Ý j
Û û
Ú
a
t t
t t
S { V
Ò ;
(M*( +2/
Tuttavia la somiglianza fra le due descrizioni è in realtà ben B
di quanto espresso dall’eq. (3.52). Sussiste infatti l’ulteriore corrispondenza
Ö
Ú Í%Uì
ì0\ Z ì
ì Î U+ì \ Z ì Ï s UDS²Vwv;\
S%Uì
ì%\ Z ì
ì Î U+ì \ Z $ì V s UDS²Vwv S {{ V
t
^" s UÌS²Vwv n ðñð W X t
S - V s UÌS²Vwv n ðñð \
nð Ú
S {' V
u u
S0Ue\ Ue\ Z V Ú JS0Ue\ Ue\ Z Vh\
J
nð
S { V
espressa dalle eq. (3.39), (3.40) e (3.41). Grazie a queste equazioni, HS%Ue\ U6\ Z V u
diventa
?
u
5ì S%Ue\ UD\ Z Vh]
f
SU
u ^ S%U6\ Z VV
`
c a
f Y S0Ue\ Z Vec S%Ue\ Z V S {Ø V
l l Y U l
l
t
Riotteniamo cosı̀ l’eq. (3.56) in forma più precisa. La corrispondenza appena
menzionata implica che s UÌS²Vwv nell’eq. (3.44) vada sostituita con ì s UDS9Vwv al
t
fine di passare alla meccanica quantistica. Ma in forza delle eq. (3.53) e (3.58),
l’eq. (3.44) fornisce proprio l’eq. (2.36).
Questo semplice esercizio dimostra
* ; % 1
quanto già anticipato
nel paragrafo 3.5: se le analogie fra teoria quantistica e processi stocastici clas-
sici di cui ci siamo diffusamente occupati fossero state capite fin dai primi tempi
della meccanica quantistica, la scoperta dell’integrale di Feynman sarebbe po-
tuta avvenire vent’anni prima } .
4. Osservazioni storiche
Prima di presentare la traduzione dell’articolo originale, pubblicato nel
1948, ci sembra opportuno discutere brevemente le motivazioni che hanno
spinto Feynman a cercare una formulazione alternativa della teoria quantistica.
A tal fine è necessario considerare la situazione della fisica teorica negli
anni ’40, periodo fondamentale per la formazione intellettuale di Feynman.
A quell’epoca il problema centrale consisteva nel cercare una formulazione
104 Un problema molto interessante di storia della fisica sarebbe capire perché ciò ³. sia
avvenuto. Vogliamo avanzare qui solo qualche congettura. Per quanto ne sappiamo,
nessun probabilista aveva compreso (almeno inizialmente) che l’integrale di Wiener poteva
venire generalizzato in modo tale da fornire il propagatore dell’equazione di Fokker-Planck
(probabilità di transizione) nel .²³C¤«/«¥ *¢| . È stato proprio sotto l’influenza diretta di
Feynman che Kac (suo collega alla Cornell University) ha esteso nel 1947 l’integrale di
Wiener in modo da tenere conto di ∆(çèé ) = 0 nell’equazione di Fokker-Planck (sempre
però supponendo (çèé ) = 0). Un’ulteriore generalizzazione si è avuta nel 1953 ad opera
di Onsager e Machlup (si veda la nota 85). Vediamo che lo sviluppo storico è ³«ÇÇE³.¬$³
all’ordine logico seguito nel paragrafo 3.10! Parrebbe anche ovvio che Wiener stesso si
sarebbe dovuto accorgere della rilevanza del suo lavoro pionieristico per la teoria quantistica,
anticipando cosı̀ la scoperta di Feynman... È quindi sorprendente constatare che egli ha sı̀
cercato di applicare il suo integrale funzionale alla meccanica quantistica, ma in modo
.'¬ )¬«¬ w³ a quanto sarebbe naturale aspettarsi sulla base delle considerazioni fatte in
questo capitolo (N. Wiener and A. Siegel, Phys. Rev. 91, 1551 (1953); A. Siegel and N.
Wiener, Phys. Rev. 101, 429 (1956); si veda anche: G. Della Riccia and N. Wiener, J.
Math. Phys. 166, 1372 (1966)).
52
8/
*8/% 1
*+
" ( *
"
*+
dell’elettrodinamica quantistica: le principali dif-
ficoltà nascevano dalla presenza di 2,'
0
*!E
(infiniti) in molti calcoli.
Feynman cominciò a riflettere su questi argomenti quando era ancora un
giovane studente al Massachussets Institute of Technology, facendosi un’o-
pinione molto personale – però non corretta – sull’origine degli infiniti in
elettrodinamica quantistica. Egli si convinse che l’esistenza di tali divergenze
fosse sostanzialmente riconducibile a 2
circostanze. La prima è l’energia
L dovuta all’autointerazione di un elettrone, difficoltà che esiste nat-
uralmente già a livello classico. La seconda nasce dal fatto che un campo
elettromagnetico quantizzato (in una regione limitata dello spazio) è equiva-
lente ad un insieme di L % oscillatori armonici quantistici (uno per ogni
grado di libertà del campo). È ben noto che, secondo la meccanica quantis-
tica, l’energia dello stato fondamentale di un oscillatore armonico ( è nulla.
Pertanto l’energia del campo elettromagnetico risulta L (oggi sappiamo
che essa può venire eliminata in modo banale).
A Feynman sembrò evidente che per superare queste difficoltà bastassero
due semplici assunzioni:
a) una carica elettrica agisce solo su )%
cariche, ma non su se stessa;
b) il campo elettromagnetico (
..?*
.
Egli era convinto che in tal modo si sarebbero potuti risolvere i problemi a
livello )". ( , e sperava che la teoria potesse essere quantizzata facilmente,
ottenendo cosı̀ un’elettrodinamica quantistica priva di divergenze. Superficial-
ô
mente, l’ipotesi b può apparire paradossale. Tuttavia va tenuto presente che (a
livello classico) l’esistenza del campo elettromagnetico si manifesta
. #
,'1
come una forza su particelle cariche. È quindi possibile pensare che
fra cariche elettriche esistano forze che agiscono “ 2$. ! ”, cioè senza la
“mediazione” del campo elettromagnetico (ovviamente si deve supporre che
queste forze non siano istantanee ma si propaghino con la velocità della luce).
Poco dopo essersi trasferito a Princeton per compiere gli studi di Ph. D.
sotto la guida di J. A. Wheeler, Feynman si rese però conto û
che nei suoi
argomenti vi era un grave errore. Se si accelera una carica , essa irraggia,
perde energia e quindi decelera: questo effetto non dipende dalla presenza di
altre cariche ed è spiegato convenzionalmente proprio dall’azione della carica
su se stessa (mediata dal campo elettromagnetico). Ma come si può spiegare
tale decelerazione escludendo l’autointerazione? L’unica ipotesiû possibile è
ü
che ci debbano
"
essere altre cariche che agiscono su . Tuttavia
ü
le forze dovute alle cariche û si propagano con velocità finita e risulta che
l’effetto della decelerazione di avviene “troppo tardi”.
ü
A questo û
punto Wheeler fece un’ipotesi rivoluzionaria: le cariche
agiscono su attraverso le “ ( #! ( Þ % |@/
” delle equazioni di Maxwell,
che si propagano all’ +2
%
( nel tempo con la velocità della luce (è ben
noto che usualmente tali soluzioni non vengono considerate perché sono in
53
b
U l ]
Å st
l
cS$# Ì ü
V v
l
S @ fEV
ü
nella quale i campi t e abbiano
D( Ò la forma
t ]
f
a St &% l&n c t / n V*\ a
S @ V
ü
]
f ü
a S % l&n c ü / n V.\ S @|{ V
elettromagnetismo classico – formulato usualmente in termini di forza di
Lorentz ed equazioni di Maxwell – viene ridotto qui ad un semplice
*
; ( ,-
*0E! ( +
in cui compaiono ( ( le cariche elettriche. La sua forma
Å l k k
b W
esplicita è (nel caso di ø particelle con masse e cariche ( f ø ))
6 6 l
6
t
b
Ú
r uS U 'ï)l$ò S V U u ' ï#lò S VV } p ` c
]
l 6 l 6 l6 l6
u'
í }
r u Ó` S @
V
con
54
6 6 6 6
Ó ` gùS%U 'ï)l$ò S Vx^ÜU 'ï ò S VVS%U ' ï#lò S VÌ^ÜU ' ï ò S VV S @ V
l l
6 l
6
Nelle eq. (4.4) e (4.5) U ' ï)l$ò S V è la traiettoria quadridimensionale dell’i-esima
6 6 6 l
u
U ' ï)l$ò S V]
r
U ' ï)l$ò S V
particella espressa in funzione di un parametro invariante ; si è quindi posto
r l
. Chiaramente il primo integrale nell’eq. (4.4) è
l l l
assicura che ogni coppia sia contata una sola volta ed il termine ]+* è omesso
W
n tp
= %$.% "( anziché l’equazione di Schrödinger, e giunse alla conclusione che
Í0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï “ "(
.
*$ ( +2
” a exp S
W X-
V , ove
t ]
Ú n ðñð
u
S%UDS Z V.\ UÌS Z V*\ Z V S @|Ñ V
u
nð
è “ + ( ( ” a Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï (è proprio a questa circostanza che si riferisce lo
scambio di battute fra Feynman e Dirac riportato nella nota 6). Tuttavia Dirac
non riuscı̀ ad andare oltre queste affermazioni piuttosto vaghe.
Come è stato discusso nel capitolo 2, Feynman riuscı̀ a tradurre le suddette
intuizioni di Dirac in una formulazione alternativa della teoria quantistica.
Questa grande impresa del pensiero scientifico contemporaneo è il soggetto
dell’articolo tradotto.
Feynman aveva ora a disposizione un metodo di quantizzazione basato
* ; % 1
sull’ E! (
&' . Naturalmente esso è equivalente alla
formulazione usuale nel caso in cui valga l’eq. (4.6), quando cioè la corrispon-
dente teoria classica è esprimibile in forma hamiltoniana. Tuttavia egli era
profondamente convinto che il proprio metodo fosse (
*, ( #1
*
§ Ò
*
&
e permettesse di quantizzare anche teorie classiche ( hamiltoniane ma
formulabili mediante un principio di minima azione – come abbiamo visto,
questo è proprio il caso dell’elettrodinamica di Feynman e Wheeler (descritta
dall’azione (4.4)). In altre parole, Feynman pensava che fosse sufficiente in-
serire l’azione classica (4.4) nel suo “ $+
&
” per ottenere
un’elettrodinamica quantistica priva di divergenze!
Purtroppo questo programma (alquanto ambizioso) non è mai stato re-
alizzato. Ciò che in realtà Feynman è riuscito a fare è stato
* M*(
.&
"
la
meccanica e l’elettrodinamica quantistica in un modo diverso, che presenta
grandi vantaggi da un punto di vista tecnico. Tuttavia, negli anni ’40, egli
sperava che l’“
9&
A. ” potesse portare alla scoperta di leggi
fisiche ( ,
, non rappresentabili nell’ambito del formalismo hamiltoniano.
La dimostrazione – ottenuta proprio nell’articolo tradotto – che l’“
56
R. P. FEYNMAN
ø ù
(
*
* D,'
*
..%7.-0/. P 1-02:
*K43 (
÷ö
La meccanica quantistica non relativistica è formulata qui in un
modo diverso, che è tuttavia matematicamente equivalente alla formu-
lazione usuale. In meccanica quantistica la probabilità di un evento che
si può verificare secondo varie alternative è il modulo quadrato di una
5 6
somma di contributi complessi, ciascuno corrispondente ad una alter-
nativa differente. La probabilità che la traiettoria di una particella ( )
sia contenuta in una certa regione dello spazio-tempo è il quadrato di
una somma di contributi, ognuno proveniente da un cammino in tale
regione. Si postula che il contributo di un singolo cammino sia un espo-
nenziale la cui fase (immaginaria) è l’azione classica (in unità di - ) per
7
598:6 ; 5<8=6
il cammino considerato. Il contributo complessivo di tutti i cammini che
raggiungono dal passato è la funzione d’onda ( ) che soddisfa
l’equazione di Schrödinger. Oltre a dimostrare questo fatto, si discute
la relazione con l’algebra delle matrici e degli operatori. Alcune appli-
cazioni sono indicate, in particolare come eliminare le coordinate degli
oscillatori di campo dalle equazioni dell’elettrodinamica quantistica.
1. INTRODUZIONE
È un fatto storico curioso che la moderna teoria quantistica sia iniziata
con due formulazioni matematiche completamente diverse: l’equazione dif-
ferenziale di Schrödinger e l’algebra delle matrici di Heisenberg. È stato
dimostrato che questi due approcci cosı̀ diversi sono matematicamente equiv-
alenti. I suddetti punti di vista sono complementari e si fondono nella teoria
delle trasformazioni di Dirac.
Il presente lavoro descrive quella che è essenzialmente una terza formu-
lazione della meccanica quantistica, che fu suggerita da alcune osservazioni di
>
? Reviews of Modern Physics 20 (1948) 367–387.
Le note sono quelle originali e la loro numerazione è indipendente da quella delle altre parti
del presente Quaderno.
58
Dirac }
i`
riguardanti la relazione fra azione classica e meccanica quantistica.
Un’ampiezza di probabilità è associata all’intera traiettoria di una particella
come funzione del tempo, anziché semplicemente alla posizione della parti-
cella ad un particolare istante.
Questa formulazione è matematicamente equivalente a quella usuale e
pertanto non ci sono risultati essenzialmente nuovi. Vi è tuttavia un senso
di piacere nel riconoscere vecchie cose da un nuovo punto di vista. Ci sono
inoltre problemi per i quali
û
il nuovo approccio offre un netto vantaggio. Ad
ü
esempio, se due sistemi e interagiscono, le coordinate di uno dei sistemi,
ü
diciamo
û
, possono essere eliminate dalle equazioni che descrivono il moto
ü
di . L’interazione con è rappresentata da una modifica
û
della formula
per l’ampiezza di probabilità associata alla traiettoria di . Ciò è analogo
ü
alla situazione classica in cui l’effetto û di può essere rappresentato da una
modifica delle equazioni del moto diû (mediante l’introduzione di termini
che rappresentano le forze agenti su ). In questo modo le coordinate degli
oscillatori di campo (sia trasversali che longitudinali) possono essere eliminate
dalle equazioni dell’elettrodinamica quantistica.
C’è poi sempre la speranza che il nuovo punto di vista possa suggerire
un’idea per modificare le teorie attuali, modifiche necessarie per rendere conto
degli esperimenti più recenti.
Discuteremo dapprima il concetto generale di sovrapposizione delle am-
piezze di probabilità in meccanica quantistica. Mostreremo quindi come questo
@
concetto possa essere generalizzato per definire un’ampiezza di probabilità per
ogni cammino (posizione , tempo) nello spazio-tempo. Dimostreremo che
l’ordinaria meccanica quantistica risulta dal postulato che tale ampiezza di
probabilità abbia una fase proporzionale all’azione, calcolata classicamente,
per questo cammino. Ciò è vero quando l’azione è l’integrale temporale di una
funzione quadratica della velocità. La relazione con l’algebra delle matrici e
degli operatori verrà discussa usando un linguaggio che è il più vicino possi-
bile alla nuova formulazione. Non c’è alcun vantaggio pratico nel far questo,
però le formule sono molto utili nel caso in cui si consideri un’estensione
ad una classe più ampia di funzionali d’azione. Discuteremo infine alcune
applicazioni. Come esempio mostreremo in che modo le coordinate di un
oscillatore armonico possano essere eliminate dalle equazioni del moto di un
sistema con cui esso interagisce. Tale risultato può essere applicato diret-
tamente all’elettrodinamica quantistica. Verrà anche descritta un’estensione
1 P. A. M. Dirac, È<¿'6Æ+¥« )² Ç¢|«D³ ½xáo®-.'¬®¦ Fw¿-.' &9 (The Clarendon Press, Oxford,
1935), seconda edizione, capitolo 33; vedasi anche Physik. Zeits. Sowjetunion 3, 64 (1933).
2 P. A. M. Dirac, Rev. Mod. Phys. 17, 195 (1945).
3 In questo articolo il termine “azione” verrà usato per indicare l’integrale temporale della
lagrangiana lungo una traiettoria. Nel caso in cui tale traiettoria sia effettivamente quella
di una particella che si muove classicamente, il suddetto integrale prende il nome di prima
funzione principale di Hamilton.
59
formale che include gli effetti dello spin e della teoria della relatività.
£
l’esempio di tre misure successiveû della posizione. Si supponga che sia un
Ø
possibile risultatoû della misura di , e analogamente per e . Assumeremo
ü
che le misure di , e specificano completamente lo stato del sistema in
ü
£
senso quantistico. Ciò significa, ad esempio, che lo stato in cui ha il valore
non è degenere.
È ben noto che in meccanica quantistica si si ha a che fare con delle proba-
bilità, ma naturalmente ciò è ben lungi dal caratterizzare il mondo quantistico.
Al fine di mostrare con più chiarezza la relazione tra meccanica classica e
teoria quantistica potremmo supporre che anche classicamente si considerino
delle probabilità, ma che tutte le probabilità siano zero o uno. Un’alternativa
migliore è di immaginare le probabilità classiche nel senso della meccanica
statistica classica (ove, in generale, le coordinate interne non sono specificate
6
/2
completamente). û
Ö
Indichiamo con
Ø
ü
, allora la misura di dia il risultato . Similmente
Ö
£
la probabilità che se la misura di fornisce il risultato
2BA
sarà la probabilità che
6 B2 A
ü
£ /A
la misura di dia il risultato nell’ipotesi che la misura di abbia fornito il
6
Ö Ö
risultato . Analogamente per
£
. Indicheremo infine û
con la probabilità
/
£ £
di ottenere i risultati e supposto che la misura di dia . Ora, se gli eventi
fra e sono indipendenti da quelli fra e , si ha
/ 2BA / 2 2BA
Ö Ö Ö
] S9fEV
£
Ciò è in accordo con la meccanica quantistica quando l’affermazione che
fornisce il risultato è una specificazione completa dello stato.
In ogni caso, ci aspettiamo che valga la relazione
4 Nella nostra discussione non ha importanza che alcuni valori di , o possano essere
esclusi dalla meccanica quantistica ma non dalla meccanica classica. Si può infatti assumere,
per semplicità, che i valori numerici siano gli stessi in entrambi i casi, ma che la probabilità
di certi valori possa essere zero.
60
/A 2 6 / 2:A
Ö Ö a
] S V
û
Ø
perché, se inizialmente la misura di dà e successivamente il risultato della
ü
misura di è , la quantità deve avere avuto qualche û
valore ad un tempo Ø
£ / 2BA
intermedio fra quelli corrispondenti alle misure di e : la probabilità che
Ö
£ C 2
tale valore sia è ; quindi sommiamo, o integriamo, su tutte le alternative
mutuamente esclusive per (tale operazione è schematizzata da ).
Ora, la differenza essenziale fra fisica classica e fisica quantistica sta
/A
proprio nell’eq. (2). In meccanica classica essa è sempre vera, mentre × in
6
Ö
meccanica quantistica spesso risulta essere falsa. Indicheremo con
probabilità quantistica che una misura di dia quando segue una misura
la
di
Ø
û
che dà come risultato . L’eq. (2) è sostituita in q meccanica
questa legge notevole : esistono numeri complessi \
q
\
q quantistica da
tali che
/ 2 B2 A / A
/2 / 2 Î \ B2 A 2:A Î ` \ A/ ] Î q / A Î `
q q ×
Ö ` Ö Ö
] Î ] Î S{ V
Ö
/A 2 Ö 2BA Ö
]
2 / S V
è sostituita da
q
/A
q
2/ q 2BA
]
2 S V
6Se l’eq. (5) è corretta, l’eq. (4) non è valida in generale. L’errore logico
fatto nel dedurre l’eq. (4) consiste ovviamente nell’assunzione che per andare
ü
£
da a il sistema debba passare attaverso una condizione tale che debba
avere un valore definito .
ü
Se si cerca di verificareû questa affermazione, cioè se la grandezza è
misurata fra due misure di e , allora la formula (4) è di fatto corretta.
Ø
ü
Più precisamente, se l’apparato per misurare è preparato e usato, ma non
ü
si cerca di utilizzare
correlazioni fra
û
e
Ø
i risultati delle misura di – nel senso che solo le
sono misurate e usate – allora l’eq. (4) è corretta.
ü
Questo perché l’apparato che misura ha “fatto il suo lavoro”. Se vogliamo,
5
Abbiamo supposto che sia uno stato non degenere, e che pertanto l’eq. (1) sia valida.
Presumibilmente, se in qualche generalizzazione della meccanica quantistica l’eq. (1) non
fosse più valida (nemmeno per gli stati puri ), sarebbe da aspettarsi che l’eq. (2) venisse
DFEHG$I JEKG$I DFEHG$I
sostituita dall’affermazione: "ci sono numeri complessi
L’analogo dell’eq. (5) è allora = . D KE I C G DFEKG$I
tali che å = ê .ê 2 ".
61
6
possiamo leggere gli strumenti senza disturbare ulteriormente il sistema. Gli
£
esperimenti che hanno fornito i risultati e possono quindi essere raggruppati
a seconda dei valori di .
Considerando le probabilità da un punto di vista frequentistico, l’eq. (4)
6
segue semplicemente dall’affermazione che in ogni esperimento che dà e
ü
, ha qualche valore. L’unico modo in cui l’eq. (4) può essere sbagliata è
ü
che l’affermazione “ ha qualche valore” debba essere talvolta priva di senso.
Si noti che l’eq. (5) sostituisce l’eq. (4) solo nel caso in cui non cerchiamo
ü ü
di misurare . Siamo quindi portati a dire che l’affermazione “ ha qualche
valore” può essere priva di significato ogniqualvolta non cerchiamo di misurare
ü
.
6
Abbiamo dunque risultati diversi per le correlazioni di e – cioè l’eq. (4)
ü
o l’eq. (5) – a seconda del caso che la misura di venga effettuata oppure no.
ü
La misura di – indipendentemente dalla sua accuratezza – deve disturbare
il sistema, almeno di quel tanto che basta per cambiare i risultati da quelli
dati dall’eq. (5) a quelli previsti dall’eq. (4) Ó . Che le misure causino neces-
sariamente dei disturbi e che, essenzialmente, l’eq. (4) possa essere falsa fu
enunciato con chiarezza da Heisenberg nel suo principio di indeterminazione.
La legge (5) è un risultato del lavoro di Schrödinger, dell’interpretazione sta-
tistica di Born e Jordan e della teoria delle trasformazioni di Dirac ë .
L’eq. (5) è una tipica rappresentazione della natura ondulatoria della ma-
6
£
teria. In essa la probabilità che la particella vada da a secondo alcune
alternative diverse (valori di ) può essere rappresentata – se non si cerca di
determinare quale alternativa si realizza – come il quadrato della somma di al-
cune grandezze complesse, una per ogni alternativa disponibile alla particella.
La probabilità può mostrare i tipici fenomeni di interferenza, usualmente as-
sociati alle onde, la cui intensità è data dal quadrato della somma di contributi
da sorgenti distinte. Si può dire che l’elettrone si comporta come un’onda
fintanto che non si cerca di verificare che esso è una particella. D’altra parte,
si può determinare – se lo si desidera – attraverso quale alternativa esso passa,
proprio come se esso fosse una particella. Ma quando si fa ciò, si deve usare
6
lo abbiamo fatto.
¥
Non serve osservare che .¼¥«¦Q¦¯³¯ÇE³.¬®¬³ misurare se avessimo voluto; in realtà, non
âB
7 Il modo in cui l’eq. (4) segue dall’eq. (5) quando una misurazione disturba il sistema è stato
studiato soprattutto da J. von Neumann ( â.¬)¿'«¦¨.¬ )««¿' Þ¥w®E¡E¢
¤«1¡«¥Báo®'.-¬%«ß
¦C w¿-.' ¶ (Dover Publications, New York, 1943)). L’effetto della perturbazione dovuta
¥ ¶ E? RSE G
– in questo modo si ottiene l’eq. (4).
DFEKG @A
soluzioni di A = eB = , allora si ha = ç = ( è ). Quindi
è l’elemento (<ê ) della matrice di trasformazione per il passaggio dalla rappresen-
tazione in cui A è diagonale a quella in cui B è diagonale.
62
6
mentre nel caso in cui nessuna misura sia effettuata fra e e fra e la
û Ø Ø
probabilità della stessa sequenza , , V è
A/ o ] Î 2 W q / 2BA=WYXZX[X o Î `
×
Ö
SØ V
q 6
/ 2BA=WYü XZX[X o può Ø essere chiamata
à
£ \q \] ]^V (ovviamente essa è
La grandezza û
ampiezza di probabilità per la
r
/ _ / _ ),+
S²U
l l } l l }
SÛ V
Ú
Ö r r
\9U Ù \)V U Ù E\
`
S²U U
l l } l l }
ë
6
ove il simbolo ` Ó
significa che l’integrazione deve essere effettuata sui valori
definiscono il cammino. In realtà immaginiamo che la spaziatura temporale
vada a zero cosicché viene a dipendere dall’intero cammino UDS Z V , anziché
soltanto dai valori di U ai particolari tempi Z , U ] UDS Z V . Potremmo chiamare
l l l
funzionale ampiezza di probabilità dei cammini UÌS Z V .
l
lato dà un particolare contenuto a questo contesto, indicando come calcolare
l’importante quantità per ogni cammino:
/)( /@( / "(
"(
%
* $ ( ( 1
$Ô ä ( 2 ( T8d& M
- \-
2
*1
$ã
+%
. @%zÒ
2< z2/$ E!* ( ;
&' $ù j
Ò 2
X
Õ ( Ò
{ã
2<
9&
* (
F2
*)1&
9<0 "( )/ ( < ( $ ( @
ë
t t u
In altre parole, X il contributo s UÌS Z Vwv di un dato cammino r
UDS Z V è pro-
W
porzionale a exp S - V s UDS Z Vwv , ove l’azione s UDS Z VwvA] Z JS%UÌS Z V*\ U6S Z VV è
l’integrale temporale delle lagrangiana classica S%Ue\ UÞV calcolato lungo il cam-
u
mino considerato. La lagrangiana, che può essere una funzione esplicita del
tempo, è una funzione di posizione e velocità. Se supponiamo che essa sia una
funzione quadratica delle velocità possiamo mostrare l’equivalenza matema-
tica dei postulati enunciati sopra con la formulazione usuale della meccanica
quantistica.
Per interpretare il primo postulato è stato necessario definire un cammino
Z . Al fine di calcolare ]
r l t ë
specificando solamente la serie di punti U per cui esso passa ai tempi successivi
Z JS%U6\ U;V dobbiamo conoscere il cammino in
u
l
tutti i suoi punti, non soltanto gli U . Assumeremo che la funzione UÌS Z V
l
nell’intervallo fra Z e Z Ù sia la traiettoria di una particella classica con
l l }
?
lagrangiana , che parte da U a Z e raggiunge U Ù a Z Ù . Questa assunzione
l l l } l }
?
è richiesta dall’interpretazione del secondo postulato per cammini discontinui.
Se lo si desidera, la quantità BS²U \9U Ù \)V può essere normalizzata (per
l l }
vari ) in modo tale che la probabilità di un evento certo sia normalizzata ad
uno per y .
Se non dipende da derivate della posizione di ordine superiore al primo,
le brusche variazioni della velocità che hanno luogo ai tempi Z non provocano
l
alcuna difficoltà nell’eseguire l’integrale d’azione. Inoltre, a meno che sia
ristretta in tal modo, i punti estremi non sono sufficienti a definire la traiettoria
classica. Poiché tale traiettoria è quella che minimizza l’azione, possiamo
scrivere
t ]
t S%U Ù \9U V S9fy<V
l } l
l
ove
_ ),+
t S%U Ù \9U VL]
nÚ
u r
_
Min JS%UÌS Z V*\ U6S Z VV Z S9ff-V
l } l
n
66
Si vede quindi che l’unico riferimento alla meccanica classica consiste nella
specificazione della lagrangiana. Infatti il secondo postulato potrebbe sem-
W
plicemente essere considerato come l’affermazione “ è l’esponenziale di
per l’integrale di una funzione reale di UÌS Z V e della sua derivata prima”. Cor-
rispondentemente le equazioni classiche del moto potrebbero essere derivate
u
successivamente nel limite di grandi dimensioni. Si potrebbe allora mostrare
che la suddetta funzione di UDS Z V e UDS Z V coincide con la lagrangiana classica a
?
meno di un fattore costante.
Di fatto la somma nell’eq. (10) è infinita anche per finito, e quindi priva
di significato (a causa dell’infinita estensione del tempo). Questa circostanza
riflette un’ulteriore incompletezza dei postulati. Ci dovremo quindi limitare
ad un intervallo di tempo arbitrariamente lungo ma finito.
G
Combinando i due postulati ed usando l’eq. (10) otteniamo
q
S
Ó Vx] P `
lim
Ú
exp
W
X-
t S%U Ù \9U V L
r
U Ù
r
U
û l } û l \ S9f
a
V
l } l
l
e Z ì
ì in cui tutti i valori delle coordinate spaziali sono permessi (cioè tutto lo
spazio-tempo fra Z ì e Z ì
ì ). La regione (c) non è assolutamente necessaria, e
può essere scelta ristretta arbitrariamente nel tempo. Tuttavia essaq ci permette
Ó Ó Ó Ó
Ó Ó Ó
`
di variare Z di poco senza dover ridefinire ì e ì
ì . Allora Î S ì \ ì
ì V Î
è la probabilità che la traiettoria sia contenuta in ì e in ì|ì . Essendo ì
Ó
temporalmente precedente q Ó Ó
a ì
ì e considerando il tempo Z come il presente,
Ó
Ó Ó
`
possiamo dire che Î S ì \ ì
ì V Î è la probabilità che il cammino sia stato in ì
Ó Ó
e sia in ì
ì nelq futuro. Dividendo per la probabilità che la traiettoria sia in ì ,
Ó Ó
`
troviamo che Î S ì \ ì
ì V Î è la probabilità (relativa) di trovare il sistema nella
regione ì
ì , nell’ipotesi che esso si trovasse con certezza in ì .
Questa è ovviamente la quantità fondamentale per predire i risultati di
molti esperimenti. Supponiamo di preparare il sistema in un certo modo (ad
Ó
esempio, esso sia nella regione ì ) e poi misuriamo qualche altra proprietà (ad
Ó
esempio, sarà nella regione ì
ì q ?). Cosa ci dice l’eq. (12) riguardo al calcolo
di tale probabilità, o meglio di S ì \ ì
ì V di cui essa è il quadrato?
Ó Ó ?
Supponiamo che nell’eq. (12) l’istante Z corrisponda ad un punto parti-
V
colare della suddivisione del tempo in intervalli ; assumiamo cioè Z ] Z o
(naturalmente l’indice dipende dalla particolare suddivisione considerata). V
Poiché l’esponenziale contiene una somma, esso può essere scritto come il
prodotto di due fattori G G
W
t W í ok}t
S0U Ù \9U V 3 exp TL l
S%U Ù \9U V TL S9f { V
o
exp X- X-
l } l l } l
í í
l l k
V
V
Il primo fattore contiene soltanto coordinate con indice o maggiore, mentre
nel secondo figurano coordinate con indice o minore. La fattorizzazione
(13) è possibile in virtù dell’eq. (10), che segue dal fatto che la lagrangiana è
c V
funzione unicamente di posizione e velocità. Ora, si può eseguire l’integrazione
W
su tutte le variabili U per
o
nel primo fattore: ne risulta una funzione di
l
U
V
(moltiplicata per il secondo fattore). Successivamente si può integrare su
W
tutte le variabili U per
o l q
nel secondo fattore: ciò produce una funzione
di U . Infine, si può integrare su U . Ne consegue che S ì \ ì|ì V può essere o Ó Ó
e o come l’integrale su U del prodotto di due fattori, che indicheremo con o
o
scritta
î [
S0U <\ Z V e S%U \ Z V :
q
S
Ó ì%\ Ó ì
ìVh]
Ú
e î
S%U6\ Z V
[ r
S%Ue\ Z V eU \ S9f V
G
ove
Ú W ok } t r
Uo
r
Uo `
[
o
S%U \ Z V5] Plim
`
exp X-
S%Uo Ù
}
\9Uo<VTL û k } û k E\ S9f V
í
ð l k
68
e
G
e S%Uo/\ Z Vh] Plim
î Ú W
t Ù M L f Uo Ù
r
}
r
Uo Ù `
S9f Ñ V
` ðñð í o
exp X %
S U 9
\ U V û û û
- l } l
l
Ó [
Ó
Il simbolo ì nell’integrale per sta ad indicare che le coordinate sono
integrate sulla regioneî Ó ì e, per Z l fra Z ì e Z ,î supertuttole locoordinate
l’integrale per e è su ì
ì e sull’intero spazio
spazio. Analogamente,
¤¤ Ú e ¤¤ `
¤¤ î
S%Ue\ Z V
[
S%Ue\ Z V
r
U ¤¤ S9f Ø V
6. L’EQUAZIONE D’ONDA
Al fine di completare la dimostrazione dell’equivalenza con la formu-
lazione ordinaria dovremo mostrare che la funzione d’onda – definita nel para-
grafo precedente dall’eq. (15) – soddisfa proprio l’equazione di Schrödinger. In
realtà, riusciremo a fare questo solo nel caso in cui la lagrangiana nell’eq. (11)
è una forma quadratica inomogenea delle velocità. Non si tratta però di una se-
ria limitazione, dato che sono descritti di fatto tutti quei casi in cui l’equazione
?
di Schrödinger è verificata sperimentalmente.
L’equazione d’onda fornisce l’evoluzione temporale della funzione d’on-
da. Ci possiamo aspettare di ottenere un’approssimazione notando che, per
finito, l’eq. (15) permette di sviluppare una semplice relazione ricorsiva. [
Consideriamo la forma dell’eq. (15) nel caso in cui volessimo calcolare
all’istante di tempo successivo:
? G
o t
TL û Uû o k }
o
Ú W r
r
[
S%Uo Ù
}
\ Z c VL]
`ð
exp X-
S%U Ù \9U V
l } l
U
S9f ì V
í
l k
t o o
(15 ì ) è lo stesso integrale presente nell’eq. (15),
"
significa che l’integrale nell’eq.
û W X-
a meno del fattore S9f V exp S V S%U Ù \9U V . Poiché esso non contiene
l
W }
alcuna delle variabili U per minore di , tutte le integrazioni su U possono
r
l
V
o
essere eseguite, ignorando la differenza con l’eq. (15). Tuttavia, [
in virtù
dell’eq. (15), il risultato di tali integrazioni è semplicemente S%U @\ Z V . Quindi
?
dall’eq. (15 ì ) segue la relazione
9
7 X- t S%Uo Ù } \9Uo/V
Ú W
[
S%Uo Ù }
\ Z c VL] exp
[
o r
S0U \ Z V Uo. û S9f Û V
70
?
Mostreremo
û ?
su esempi semplici che questa relazione, con un’opportuna scelta
? ?
di , è equivalente all’equazione di Schrödinger. Di fatto, l’eq. (18) non è
y , e noi assumeremo che essa sia
U? f
esatta, ma è valida solo nel limite
?
corretta al prim’ordine in . Osserviamo che è .
*
che tale equazione
? ? ?
sia corretta ( ( al prim’ordine in , per piccolo. Infatti, se consideriamo i
?
fattori nell’eq. (15) che ci portano ad un intervallo di tempo finito , il numero
di tali fattori è . Facendo un errore di ordine in ognuno di essi, l’errore
`
risultante sarà di ordine S VL] , che si annulla nel limite y .
Illustreremo quindi la relazione esistente fra l’eq. (18) e l’equazione di
Schrödinger considerando il caso semplice di una particella in un potenziale
t
unidimensionale R8S%UoV . Prima di far questo vogliamo però discutere alcune
approssimazioni al valore S%U Ù \9U V dato dall’eq. (11), che saranno sufficienti
l } l
per l’espressione (18).
t
È difficile calcolare esattamente, partendo dalla meccanica classica, l’e-
?
l } l
un’espressione approssimata per S%U Ù \9U V , purché l’errore dovuto all’ap-
t
spressione di S%U Ù \9U V data dall’eq. (11). In realtà basta usare nell’eq. (18)
l } l
?
prossimazione sia di un ordine di grandezza più piccolo di . Ci limitiamo al
u
caso in cui la lagrangiana è una forma quadratica inomogenea nelle velocità
cui U Ù ^ U è dell’ordine di
%
UxS Z V . Come vedremo più avanti, i cammini più importanti sono quelli per
. In queste circostanze è sufficiente calco-
l } l
lare l’integrale nell’eq. (11) lungo il cammino classico corrispondente ad una
particella #
*
}} .
`
In ((
92$
..%
} la traiettoria di una particella libera è una
linea retta, quindi l’integrale che figura nell’eq. (11) può essere calcolato lungo
? ?
una retta. In questo caso è sufficiente sostituire l’integrale con la "regola del
trapezio"
? K ? K
t S%U Ù \9U Vh] a I U Ù ^
l }
U
l \9U Ù c a I U Ù ^U
l } l \9U S9f Ý V
l } l l } l
g
indipendenti da essa.
12 Più in generale, coordinate per cui i termini quadratici nelle velocità in (çè ç_ ) appaiono
con coefficienti costanti.
71
?
caso in cui non sia presente un potenziale vettore o altri termini lineari nella
velocità:
? K
t S%U Ù \9U VL] I U Ù ^ÜU
l } l \9U Ù
a
S -f V
l } l l }
b
Quindi per il semplice esempio unidimensionale di una particella di massa
? ?
in un potenziale R1S%UoV possiamo porre
? K
t S0U Ù \9U VL]
b
a I U Ù ^
l }
U
l
`
^ R1S0U Ù V S
aa
V
l } l l }
?
L’integrazione in å converge se S%U6\ Z V si annulla
?
ë
[
[ î
in modo sufficien-
[ r
?
Essendo molto piccolo, nell’integrazione su å l’esponenziale di å - os-
temente rapido per grandi valori di U (certamente se S%U;V S%U;V Ud] f ).
W b a X
?
`
åY [ å` ` [
åû
a
S V
7[ S0Ue\ Z Vx^
S%U6\ Z V
Y U
c a
Y
Y U
S0Ue\ Z V
` ^d
r
Ora
72
? ?
Ú
Ù
å`a å '& +
exp S
Wb X-
V
r
]ùS
a X- W b
V!\
k
?
Ù
Ú
å ` a X- V å r å ]zy\
exp S
Wb a
S Ñ V
k
? ? ?
Ù
+
V ]óS X- W b VS a'& X- W b V ! \
W b å ` a X- å ` r å
Ú
exp S
k
?
mentre l’integrale contenente å è zero, in quanto il suo integrando è una fun-
zione dispari (analogamente all’integrando che contiene å ). Inoltre l’integrale
?
contenente å è di almeno un ordine più piccolo di quelli considerati sopra }« .
?
Sviluppando il primo membro dell’eq. (25) al prim’ordine in , tale equazione
? ?
diventa
K a'& X W b +
[
[
Y S%Ue\ Z V ?
] exp I ^
W
R1S0U;V S - V
! a
S0Ue\ Z VÞc
Y Z
X- W ` [
X-
9 û
S Ø V
7 S%Ue\ Z Vec a-b Y U ` c
[ Y S%U6\ Z V
?
Affinché ambo i membri possano coincidere all’ordine !
( in è necessario
che si abbia ?
'& +
û
]óS
a ;W X-
b V! a
S Û V
? ?
Sviluppiamo ora l’esponenziale contenente RTS%U;V . Otteniamo
K
[ Y
[
S%Ue\ Z V ? ] I f¨^ XQR1S%U;V W
S%U6\ Z VÞc
Y Z -K
a
X W [ ` S Ý V
I [ - Y S0Ue\ Z V
?
S%Ue\ Z Vec a'b `
Y U
[
Cancellando S%U6\ Z V da ambo i membri, uguagliando i termini al prim’ordine
X W
in e moltiplicando per ^ - , si ha
13 In realtà, questi integrali sono oscillanti e quindi non ben definiti, però ad un simile incon-
 ¶ [ dÕó d ïh
veniente si può ovviare introducendo un fattore di convergenza. Nell’eq. (24) tale fattore
è automaticamente fornito da (ç
può, ad esempio, sostituire - con - (1
successivamente il limite 0.
-è%é ). Se si desidera un procedimento più formale, si
h_
) ove è un numero piccolo positivo, prendendo h
73
X- [ X-
K `
^ W
Y
Y Z
] a-b
f
I W
Y
Y U
[
c R8S%UoV
[
\ S { y<V
superiore in nel secondo membro dell’eq. (29). È per questo motivo che
le eq. (20) e (21) sono approssimazioni ugualmente buone di S%U Ù \9U /V
t o o
}
in assenza di potenziale vettore. Tuttavia û r
un termine lineare nella velocità
u
?
(dovuto al potenziale vettore) come U Z deve t o o û
essere considerato con più at-
S0U Ù \9U /V come S%U Ù VS%U Ù ^ U V differisce o o o
o o o o o
tenzione.
û
Un termine in
Ù } }Ù } `
da S%U VS%U ^uU V per un termine di ordine S%U ^uU V , vale a dire di
} }
ordine : questo termine cambierebbe la corrispondente equazione d’onda.
R
stato in cui il sistema ha un valore definito di (almeno) una osservabile. La classe di funzioni
non sarebbe identica alla classe di stati possibili . Ciò avverrebbe se, ad esempio, ¶¶ R
í .í b
soddisfacesse ad una equazione diversa da quella per .
15 L’eq. (18) è in realtà esatta quando l’eq. (11) è usata per (ç +1 è%ç ) con arbitrario, nei casi
i T 1 jM
in cui il potenziale non contiene ç a potenze superiori a due (particella libera, oscillatore
armonico). È però necessario usare un valore più accurato per . Si può definire
í í
nel modo seguente. Si assuma che particelle classiche con gradi di libertà partano da
ç èé con densità uniforme nello spazio dell’impulso. Si indichi con
T
í k ï Â jM Ã l1m Ã
0 ( 0 costante)
l
il numero di particelle con una data componente dell’impulso nell’intervallo . Allora
= (2 - 0 ) 2 1 2 , ove è la densità nello spazio ¶ -dimensionale delle coordinate
ç +1 delle particelle considerate al tempo é +1 . í
74
Per tale motivo l’eq. (21) non è sufficientemente accurata come approssi-
?
mazione dell’eq. (11), per cui si rende necessario usare l’espressione (20) (o
$Ç
(19) da cui la (20) differisce per termini superiori in ). Se A rappresenta
X W
il potenziale vettore e p ] S - V
"
l’operatore impulso, allora l’eq. (20) dà
a-b
nell’operatore hamiltoniano un termine Sf VS p ^ Swi V A VDS p ^ Si V AV ,
mentre l’eq. (21) fornisce S9f
a-b
VS p p ^uS i
a
"
V A p c Si
`
`
V A A V . Queste
due espressioni differiscono per S - i
X
"
a-Wb
$Ç
V A, che può non essere nullo.
La questione è ancora più importante per i coefficienti di termini quadratici
nelle velocità. In generale, le eq. (19) e (20) non sono rappresentazioni suffi-
cientemente accurate dell’eq. (11) per questi termini. È quando i coefficienti
sono costanti che le eq. (19) o (20) possono sostituire l’eq. (11). Se si usa
un’espressione come l’eq. (19) ad esempio in coordinate sferiche, si ottiene
un’equazione di Schrödinger in cui l’operatore hamiltoniano ha qualche ope-
Å
ratore delle coordinate e dell’impulso nell’ordine sbagliato. L’eq. (11) allora
Å Å Å
risolve l’ambiguità nella usuale regola di sostituire e con operatori non
X W ÷
commutanti S - VS Y Y V e nella hamiltoniana classica S \ V .
È chiaro che l’affermazione contenuta nell’eq. (11) è indipendente dal
sistema di coordinate. Pertanto, al fine di trovare l’equazione d’onda cor-
rispondente in un arbitrario sistema di coordinate, il procedimento più semplice
consiste nel trovare dapprima l’equazione d’onda in coordinate cartesiane, ef-
fettuando poi il cambiamento di coordinate. È quindi sufficiente mostrare
la relazione fra i nostri postulati e l’equazione di Schrödinger in coordinate
rettangolari.
La derivazione data qui in una dimensione può essere estesa direttamente
al caso di coordinate cartesiane tridimensionali per un numero arbitrario di
particelle interagenti fra loro ed in presenza di un campo magnetico descritto
da un potenziale vettore. I termini dipendenti dal potenziale vettore richiedono
Hn
di completare il quadrato nell’esponente nel modo usuale per gli integrali
gaussiani. La variabile U deve essere sostituita dall’insieme U ï } ò \-\9U ï ò ,
b
? ?
`
ove U ï } ò ,U ï ò ,U ï ò sono le coordinate della prima particella r
di massa ,U ï ò,
b }
U ï ò ,U ï ò della seconda di massa ` , etc. Il simbolo U viene sostituito da
r r
Hn r
U ï } ò U ï ò e l’integrazione su U è sostituita da {
Q& '&
1o! Hn po!
û û
integrali. La costan-
a ;W X- b a ;W X- b
te assume in questo caso il valore ]ùS V 'S V .
}
La lagrangiana è quella classica e l’equazione di Schrödinger che ne risulta
sarà quella corrispondente alla hamiltoniana classica associata alla suddetta
lagrangiana. Le equazioni in ogni altro sistema di coordinate possono essere
ottenute mediante una trasformazione. Poiché quanto detto sopra comprende
tutti i casi in cui l’equazione di Schrödinger è stata verificata sperimentalmente
possiamo dire che i nostri postulati sono equivalenti all’usuale formulazione
della meccanica quantistica non relativistica quando venga trascurato lo spin.
75
? ^ W
X-
Y
[
] H
[
S { f-V
YZ
?
che ha come soluzione (per arbitrario se H è indipendente dal tempo) ?
[
S%Ue\ Z c VL] exp S9^
W X [
H - V S%U6\ Z V S{
a
V
osservazioni di Dirac sono state il punto di partenza del presente lavoro. Gli
X
argomenti di Dirac riguardanti il limite classico - y sono molto belli, e
forse posso essere scusato se li riporto qui brevemente.
Notiamo innanzi tutto che la funzione d’onda in U ì
ì al tempo Z ì
ì può essere
ottenuta da quella in U ì al tempo Z ì come G
k
[
S%Uì
ì0\ Z ì
ì$VL] P lim
Ú
Ú
exp
W
X-
} t S0U Ù \9U V L
l } l
[
r
S%U ì \ Z ì V û
r
U U
û }
rl
?
íÞ
U
û k } \
S {/ V
*
ove poniamo U g U ì \9U g U ì
ì e g Z ì
ì ^ Z ì (assumiamo che fra i tempi Z ì e
Z ì
ì non vi sia alcuna restrizione sulla regione d’integrazione). Ciò può essere
visto sia applicando ripetutamente l’eq. (18) che direttamente dall’eq. (15).
Ci chiediamo ora quali valori delle coordinate contribuiscano maggiormente
? 77
?
all’integrale per y . Questi saranno i valori osservabili sperimentalmente
con maggiore probabilità, e quindi determineranno il cammino classico per
X
y . Se - è molto piccolo, l’argomento dell’esponenziale sarà una fun-
zione rapidamente variabile di ognuno dei suoi argomenti U . Al variare delle
l
U , i contributi positivi e negativi all’integrale provenienti dall’esponenziale si
l
cancellano quasi completamente. La regione delle U che contribuisce mag-
t
l
giormente è quella in cui l’argomento dell’esponente varia con U il meno
l
rapidamente possibile (metodo della fase stazionaria). Indichiamo con la
somma nell’esponente
k
t ]
} t S%U Ù \9U V S {Ñ V
l } l
ío
l
t
Allora l’orbita classica passa approssimativamente per quei punti U nei quali
X
? t
l
varia di poco al variare delle U : nel limite - y la traiettoria classica
t
l
passa per i punti in cui non varia per una piccola variazione delle U . Ciò
l
significa che l’orbita classica passa per i punti in cui Y Y U ]y , per ogni U .
Prendendo il limite l
y , l’eq. (36) diventa (in virtù dell’eq. (11))
l
t ]
Ú n ðñð
u
JS%UÌS Z V.\ U6S Z V9V
r
Z S {/Ø V
nð
importante nel caso in cui sia possibile una generalizzazione ad una classe più
vasta di integrali d’azione.
Discuteremo questi argomenti nei tre paragrafi successivi, mentre il pre-
sente paragrafo contiene principalmente alcune definizioni. Introdurremo una
grandezza che chiamiamo elemento di transizione tra due stati. Esso è essen-
e
zialmente un[ elemento di matrice. Ma invece di essere un elemento di matrice
fra due stati e corrispondenti allo *
. ( tempo, i due stati si riferiscono a
tempi diversi. Nel paragrafo successivo otterremo una relazione fondamentale
fra gli elementi di transizione, da cui possono venir dedotte le usuali relazioni
di commutazione fra coordinate ed impulsi. La stessa relazione fornisce anche
le equazioni newtoniane del moto in forma matriciale. Discuteremo infine nel
paragrafo 10 la relazione fra hamiltoniana ed operatore di traslazione tempo-
rale.
Cominciamo col definire un elemento di transizione in termini della proba-
bilità di transizione fra uno stato ed un altro. Più precisamente, supponiamo di
Ó
avere una situazione simile a quella considerata nella derivazione dell’eq. (17).
Ó
Ó
La regione consiste di una regione ì precedente a Z ì , tutto lo spazio fra Z ì
Ó
e Z ì
ì e la regione ì|ì successiva a Z ì
ì . Studieremo la probabilità che un sistema
nella regione ì sia trovato successivamente nella regione ì
ì . Questa è data
Ó
dall’eq. (17). Discuteremo in questo paragrafo come essa varia al variare della
forma della lagrangiana fra Z ì e Z ì
ì . Nel paragrafo 10 studieremo invece come
Ó Ó
essa cambia al variare della preparazione ì o dell’esperimento ì
ì .
Lo stato al tempo Z ì è definito completamente dalla preparazione ì . Esso
Ó
[
può essere specificato dalla funzione d’onda S%U ì \ Z ì V ottenuta dall’eq. (15)
considerando gli integrali estesi fino al tempo Z ì . Analogamente, lo stato carat-
Ó
e
teristico dell’esperimento (regione ì
ì ) può essere definito da una funzione
S%U ì|ì \ Z ì|ì V ottenuta dall’eq. (16) con integrali calcolati a partire dal tempo Z ì
ì .
[
La funzione d’onda [ S%U ì
ì \ Z ì
ì V può ovviamente essere ottenuta anche appli-
cando l’eq. (15) o da S%U ì \ Z ì V mediante l’eq. (35). Secondo l’eq. (17) con
Z ì al posto di Z , la probabilità che il sistema venga osservato nello stato se e
ëe
[
preparato
î in è il quadrato di ciò che chiamiamo ampiezza di transizione
[ r
e
S%U ì
ì \ Z ì
ì V S%U ì
ì \ Z ì
ì V U ì
ì . Desideriamo esprimere questa grandezza in ter-
[
mini di al tempo Z ì
ì e di al tempo Z ì : possiamo farlo grazie all’eq. (35).
[
Quindi la probabilità che un sistema preparato nello stato
trovato ad un tempo Z ì
ì nello stato
nð e
al tempo Z ì sia
è il quadrato dell’ampiezza di transizione
n ðñð
Í e Îf Î
[
Ï ¾ P
] lim
Ú
Ú
e î
S%U ì
ì \ Z ì
ì V exp S
W t X- [
V S%U ì \ Z ì V*
r
n ðñð nð
S {Û V
û k } U \
r r
U U
û
exp ? - X
t %
S U
r
Ù \9U VTL [ S%U+ì \ Z ì$V û U
r
U r
û k } U S {Ý V
l } l
ío
l
Nel limite y
diventa un funzionale del cammino UDS Z V .
Vedremo ora perché tali quantità sono importanti. Sarà più facile capirlo
se ci soffermiamo un momento a scoprire le corrispondenti grandezze nella
o V o
formulazione convenzionale. Supponiamo che sia data semplicemente da
U , dove corrisponde ad un certo tempo Z ] Z . Allora nel secondo membro
dell’eq. (39) gli integrali da U a U o
o n
possono essere calcolati, ottenendo
[ W X [ k }
S%U \ Z V o exp s ^ S î Z ^ Z ì V H - v
*é c VW nð W
danno S0U \ Z V o exp s ^ S Z ì
ì ^ Z V H - v
X e
. Analogamente, gliî integrali su U per
l
o e p
o
. Quindi l’elemento
n ðñð
di transizione di U
Íe e
Ú î X- X-
n ðñð
Î Î
[
nð
¾ Ï ]
n ðñð
ikDï#lp ò H ïn ðñð k n ò0UoikDï#lp ò H ï n«k n ð ò
[ r
nð
U3]
Ú î
e [
S%Ue\ Z V«U %S U6\ Z V U
r
S y<V
Quindi elementi di transizione come quello nell’eq. (39) sono importanti ogni-
qualvolta può nascere in qualche modo da una variazione Ð di un funzionale
t
d’azione. Chiameremo funzionali osservabili quei funzionali che possono
essere definiti (anche se indirettamente) in termini di variazioni indotte da
possibili cambiamenti dell’azione. La condizione affinché un funzionale sia
osservabile è abbastanza simile a quella che un operatore deve soddisfare
affinché sia hermitiano. I funzionali osservabili formano una classe ristretta,
in quanto l’azione deve restare una funzione quadratica delle velocità. Da un
funzionale osservabile altri possono essere dedotti come, ad esempio, ?
q ¤ ¤¤
Íe
[
¾ ð ] e n ¤¤¤ W
ß ¤¤ [ a
ðñð ¤ ¤ nðr ¾
Îf Î Ï exp X- S%U \ Z V S V
n ðñð nð l l
í
l }
che segue dall’eq. (39).
Incidentalmente, l’eq. (41) porta direttamente ad un’importante formula
ß
ß
perturbativa. Se l’effetto di è piccolo, l’esponenziale può essere sviluppato
al prim’ordine in e troviamo
?
Íe Îf Î
[
Ï ¾ ]óÍ
e Îf Î
[
¾ Ï c
W
X- Í e Î
ß S0U \ Z V Î
[
Ï S /{ V
n ðñð nð ð n ðñð nð n ðñð l l nð
l
Íe Îf Î
[
Ï ]zy ). Allora ¾
potrebbe venir trovato, se non fosse perché la perturbazione è presente (cioè
?
¤¤ e ¤¤¤ ß ¤¤
n ðñð nð
¤[ ¤¤ `
f
X- `
+ ¤bs n ðñ𠤤 S%U \ Z V ¤
l l ¤ nð=t ¤ S V
l
è la probabilità della transizione indotta dalla perturbazione (al prim’ordine
nella perturbazione). Nella notazione usuale si ha ?
¤ ß ¤¤ [
s e n ðñ𠤤 ¤ n ð:t ¾ 9
S0U \ Z V ]
l l
X-l
7 e
Ú Ú î X- [ r r
ikDï)l$p ò H ï#n ðñð k n ò U ikDï)l$p ò H ï#nwk+n ð ò U Z
n ðñð nð
cosicché l’eq. (44) si riduce all’espressione usuale } Ó per la teoria delle pertur-
bazioni dipendenti dal tempo.
17 P. A. M. Dirac, È<¿'6Æ+¥« )² Ç¢|«D³ ½xáo®-.'¬®¦ Fw¿-.' &9 (The Clarendon Press, Oxford,
1935), seconda edizione, capitolo 47, eq. (20).
81
9. EQUAZIONI DI NEWTON
Le relazioni di commutazione
In questo paragrafo scopriamo che funzionali diversi possono dare risultati
identici quando considerati fra un coppia di stati. Questa equivalenza fra
funzionali è l’analogo, nel nuovo linguaggio, delle equazioni operatoriali.
o
Se dipende da più coordinate possiamo naturalmente definire un nuovo
funzionale Y
o
pio U Sy
Y U
V
V . Calcolando Í *
derivando rispetto ad una delle sue variabili, ad esem-
ÎY Y U Î
[ e o ¾
o
Ï mediante l’eq. (39),
n ðñð nð
l’integrale nel secondo membro conterrà Y
o
compare la variabile U è in . Quindi l’integrazione su U può essere ef-
t
Y U . L’unico altro posto in cui
o
t
t o
fettuata per parti. La parte integrata si annulla (assumendo che la funzione
W X-
W X- W X- t
d’onda si annulli all’infinito) e nell’integrale figura ^
o W X-
S Y Y U V exp S
V.
t o
Ora S Y Y U V exp S VÜ] S VS Y Y U V exp S
membro rappresenta l’elemento di transizione di ^âS - V S Y
W X
V , quindi il secondo
Y U V , cioè t o
u ¤ ¤¤ [ W u ¤¤ Y t ¤¤ [
e n ¤¤¤ Y ¤¤ n ð:v e ¤ ¤
n ðñð ¤ Y U o ¤ n ð=v
ðñð Y U o ¾ ¾
]_^ X- S < V
Questa relazione è molto importante in quanto mostra che due diversi funzionali
possono dare lo stesso risultato per gli elementi di transizione fra un’arbitraria
coppia di stati. Diremo che essi sono equivalenti, e rappresenteremo simboli-
camente tale relazione come
X- t
^ W
Y
Y Uo Ú ¾
Y Uo Y
S /Ñ V
ove il simbolo
Ú ¾ sottolinea il fatto che funzionali equivalenti secondo
un’azione possono non essere equivalenti per un’altra azione. Le grandezze
nell’eq. (46) non devono necessariamente essere osservabili. Usando l’eq. (36)
tY S%U o \9U o V 9
si può scrivere
t
7 Y S%U Y o U Ù o } \9U o V
X-
o Ú ¾ ?k }
Y
Y U o
^ W c S <Ø V
Y U
Y
t S%Uo Ù \9Uo/V Y Uo] ^
b
S%U o Ù o
^U V
} }
82
e ? ?
Y
t S%U o \9U o V Y U o ] c
b
S%U o ^ U o k } V ^ RFì S%U o V.\
k }
ove abbiamo scritto R ì S%U;V per indicare la derivata del potenziale (forza). Allora
K ?
l’eq. (47) diventa
? ? 9
Uo ^Uo UB
o ^ÜUo k } ^ R ì S%U;V
X-
^ W
Y
Y Uo Ú ¾
7 ^
b
I } ^ S /Û V
Ù
Se
?
non dipende dalla variabile Uo , l’eq. (48) fornisce le equazioni newtoniane
del moto. Ad esempio, se è costante (uguale ad uno), l’eq. (48) porta
(dividendo per ) a
? ? ? K
I U o Ù } ? ^Ü? U o ^ U o ^ U o k } ^ËRFì S%UoV
b
y
Ú ? ¾ ^
s S0Uo Ù } ^UoV ^ S%Uoe^AUo } V vô fra due stati arbitrari è uguale all’elemento
Pertanto l’elemento di transizione del prodotto della massa per l’accelerazione
k
di transizione della forza ^R ì S0U;V fra gli stessi stati. Questa è l’espressione
o o
matriciale della legge di Newton che vale in meccanica quantistica.
dipende da U ? Ad esempio, sia ] U . Allora
o
Cosa accade se
K ?
l’eq. (48) fornisce (essendo Y Y U â]_f )
? ? 9
Ú ¾ U o7«^ b I U o ?o o ok}
X-
^ W
Ù
}
^ÜU
^
U ^U
^ RFì S%U V o
ossia, trascurando i termini d’ordine
? K ? K
I o Ù o U o I o o k } U o Ú ¾
X-
b U ^U b U B^ÜU
} ^ W S /Ý V
o o
Al fine di tradurre un’equazione come la (49) nella notazione usuale, abbiamo
bisogno di conoscere quale matrice corrisponde a grandezze del tipo U -U Ù .
}
w o :x o
Dallo studio dell’eq. (39) è chiaro che se viene scelta, ad esempio, uguale a
S0U V oS%U Ù V , il corrispondente operatore nell’eq. (40) è
}
i k6ï)l$p
X-
òwïn0ðñð?k n«k
P ò xoS xVi k6ï)l$p X- ò P w
H H
S x Vi k6ï)l$p
X-
òwï#n«k n0ð#ò H \
e [
o
con l’elemento di matrice preso fra gli stati e . Gli operatori che
n ðñð nð
corrispondono a funzioni di U Ù appaiono a sinistra di quelli corrispondenti
}
83
a funzioni di U o $ã
, cioè (
92$;
Ü2<
F
*
*â ;
( 2 ( 0 ( 2 (
9/ (
*
( *
*? ( +
(
2<
H<2: (
2
* (
H2<
"(
.
*$ ( +2
* % M 0 (
*Þ$ M
! +
. Cosı̀ se il funzionale è scritto in modo tale che in ogni termine i
fattori corrispondenti a tempi successivi appaiano alla sinistra dei fattori cor-
rispondenti a tempi precedenti, gli operatori associati possono essere scritti im-
mediatamente mantenendo lo stesso ordinamento che si ha nel funzionale }«ë .
È ovvio che in un funzionale l’ordine dei fattori è irrilevante ma facilita la
trascrizione nella notazione operatoriale convenzionale . Al fine di scrivere
l’eq. (49) in modo tale che la traduzione operatoriale sia banale è necessario
invertire l’ordine dei fattori nel secondo termine a primo membro. Vediamo
perciò che tale equazione corrisponde a
px ^ xp ]
X- W
b
in cui p ] _x.
La relazione fra funzionali ed operatori corrispondenti è stata definita
in termini dell’ordine temporale dei fattori. È opportuno però sottolineare
? ?
il fatto che questa regola deve essere applicata con particolare attenzione
?
? ?
ogniqualvolta si considerano grandezze che contengono velocità o derivate
u
? o o o o ? o o
d’ordine più elevato. Di fatto, il corretto funzionale che rappresenta l’operatore
` `
S U;V è S%U Ù ^ U V @S%U â^ËU V e non s S%U Ù ^ËU V v . La seconda
}
espressione diverge come f ?
per
k } }
y . Ciò si può vedere sostituendo il
?
o o o
secondo termine dell’eq. (49) col suo valore calcolato ad un istante spostato
b
di nel futuro, U Ù S%U Ù ^zU V . Tale procedimento non cambia
} }
? K` ?
l’equazione all’ordine zero in . Allora otteniamo (dividendo per )
Uo ^ÜUo
X-
I Ú ¾ Wb
Ù
? ?
} S y<V
+
o o
Riotteniamo il risultato già visto, che la radice quadratica media della “velocità”
S0U Ù ^ÜU V
}
fra due posizioni successive del cammino è dell’ordine k .
!
forma
Non avrà quindi senso scrivere il funzionale dell’energia cinetica nella
?
o Ù } ^Ü? UoV v `
a
f b
s S0U S f-V
a s
a'& X- W b
S9fJcÐ'V«v k ! o, al prim’ordine in Ð , `} ÐS a'& X- W b V k ! . L’effetto!
totale della variazione della ? massa nell’eq. (38) ? al prim’ordine in Ð è
u ¤¤ f W b ¤
e n ¤¤ a Ð s S%Uo Ù } ^ÜUo V v ` X- c af Ð ¤¤¤ [ n ?
ðv
? ðñð ?
Ci aspettiamo che la variazione di ordine Ð che dura per un tempo sia
di ordine Ð . Quindi, dividendo per Ð - , possiamo definire il funzionale
W X
Si vede che il modo più semplice per ottenere funzionali osservabili contenenti
potenze della velocità è di sostituire questa potenza col prodotto delle velocità,
calcolando ogni fattore a tempi leggermente diversi.
10. LA HAMILTONIANA
L’impulso
L’operatore hamiltoniano ha un’importanza centrale nell’usuale formu-
lazione della meccanica quantistica. In questo paragrafo studieremo il fun-
zionale corrispondente a questo operatore. Potremmo definire immediata-
mente il funzionale hamiltoniano sommando il funzionale dell’energia cinetica
(52) o (53) all’energia potenziale. Tuttavia questo metodo è artificiale e non
mostra l’importante relazione esistente fra hamiltoniana e tempo. Definiremo
il funzionale hamiltoniano mediante la variazione indotta in uno stato da una
traslazione temporale.
85
t ]
t S%U Ù \ Z Ù U \ Z V s S ' V
l } l } l l
l
ove
_ )Ï+
t S%U Ù \ Z Ù s
nÚ
u r
S V
_
U \ Z VL] JS0UDS Z V.\ UDS Z VV Z \
l } l } l l
n
'& +
eû la corrispondente costante di normalizzazione per l’integrazione su U è
r
] s
a X- W
SZ Ù ^ Z V
l } l
b
vk .
!
l
[ }[ y
Í e Î f ΠϾ ^ Í e Î f Î Ï ¾1{ ]
W
X- Í e Î o ΠϾ
Ð ÷ [
S Ø V
t
Y S%Uo Ù \ Z o Ù s U o o X-
?
÷
o] }
Y Z o
}
\ Z V
c a'W
SZ o Ù ^ Z o V
S Û V
}
L’ultimo termine è indotto dalla variazione di f e mantiene o
û ÷
K (56) si ha
Uo Ù ^ Uo
b ` X-
÷
o ] a I Z o Ù ^ Z o c a-W S Z o Ù ^ Z o V cdRTS%Uo Ù } V
}
} }
oy
che è proprio la somma del funzionale dell’energia cinetica (52) e di quello
dell’energia potenziale R1S0U Ù V .
[ } [
La funzione d’onda S%U6\ Z V rappresenta naturalmente lo stato S%U6\ Z V
[
traslato temporalmente di Ð , cioè S%Ue\ Z c ÐV . Quindi l’eq. (57) è strettamente
connessa con l’equazione operatoriale (31).
e
Si può anche considerare variazioni dovute ad una traslazione temporale
dello stato finale . Naturalmente, in questo caso non si [
ottiene alcun risultato
nuovo, in quanto è solo la traslazione relativa fra e che conta. Si ottiene e
un’espressione alternativa
t S%Uo Ù \ Z o Ù s Uo@\ Z o/V
a-? W
X
÷
o]_^ Y
}
YZ o Ù
} c
-
SZ o Ù ^ Z
oV S Ý V
} }
che differisce dalla (58) solo per termini di ordine .
La rapidità di variazione temporale di un funzionale può essere calco-
lata considerando l’effetto combinato di una traslazione temporale sia dello
stato iniziale che di quello finale. Ciò equivale a calcolare l’elemento di tran-
sizione del funzionale riferito ad un tempo successivo. Il risultato è l’analogo
dell’equazione operatoriale
h R d R
quanto, ad es., l’intervallo é +1 Qé è mantenuto finito. A ciò si può ovviare assumendo che
si cerchi la variazione (al prim’ordine) per h_ h
dipenda dal tempo, e che sia “acceso” lentamente prima di é = é e “spento” lentamente
dopo é = é . Tenendo fissa la dipendenza temporale di , si effettui il limite 0; quindi
0. Il risultato è essenzialmente identico a
b_
quello ottenuto col procedimento più semplice usato sopra.
87
X-
W _
f ] Hf ^ fH
Il funzionale dell’impulso o §
può essere definito in modo analogo con-
siderando le variazioni indotte dalle traslazioni spaziali:
[z~
Íe e X- Í e Î o ΠϾ
W
Î f Î Ï ¾ ^Í Î f ΠϾ ]
[ [
Abbiamo tuttavia ritenuto opportuno evitare questi metodi in una prima pre-
sentazione. Ulteriormente è necessario avere a disposizione un’appropriata
misura sullo spazio funzionale dei cammini UÌS Z V } .
Questa formulazione è anche incompleta dal punto di vista fisico. Una
caratteristica fondamentale della meccanica quantistica è l’invarianza per tra-
sformazioni unitarie, che corrispondono alle trasformazioni canoniche della
meccanica classica. Naturalmente, si può dimostrare che la presente formu-
lazione è invariante per trasformazioni unitarie, in virtù della sua equivalenza
con la formulazione usuale. Non è però x 1
*
ovvio che sussista tale
invarianza. Questa incompletezza si manifesta in un modo ben definito. Non
è stato descritto alcun procedimento diretto per misurare grandezze diverse
dalla posizione. Ad esempio, misure dell’impulso di una particella possono
essere definite in termini di misure di posizione di altre particelle. Analizzando
questa situazione in modo dettagliato si ottiene la connessione fra misure di
impulso e trasformata di Fourier della funzione d’onda. Questo è però un
metodo piuttosto involuto per ottenere un risultato cosı̀ importante. È naturale
Ó
attendersi che i nostri postulati possano essere generalizzati sostituendo l’idea
Ó
dei “cammini in una regione dello spazio-tempo” con quella di “cammini
Ó
della classe ”, o “cammini che hanno la proprietà ”. Non è però chiaro in
generale quale proprietà specifica debba corrispondere a misurazioni fisiche.
l’azione non può venire suddivisa nella somma di piccoli contributi, come è
stato fatto nell’eq. (10). Di conseguenza, lo stato del sistema non può essere
Ó Ó
descritto da una funzione d’onda. Ciò nonostante si può definire la probabilità
teoria – senza alcun riferimento ai campi – che ha portato l’autore a studiare la formulazione
della meccanica quantistica considerata qui. L’estensione di tali idee al caso di funzionali
d’azione più generali è stata sviluppata nella sua tesi di Ph. D. “Il principio di minima
azione in meccanica quantistica” (tesi presentata all’università di Princeton, 1942).
90
t e
tato dipende dagli stati iniziale e finale dell’oscillatore. Qualora essi siano
[
specificati, il risultato è un’equazione per Í Îf Î Ï simile all’eq. (38), in cui
appare come fattore – oltre che exp S
W X- n ðñð nð
V – un altro funzionale che dipende
soltanto dalle coordinate che descrivono le traiettorie delle particelle.
Illustriamo brevemente come ciò avvenga in un caso molto semplice. Sup-
u
poniamo che una particella (coordinata UÌS Z V , lagrangiana JS%U6\ UoV ) interagisca
` ` ` u
con un oscillatore (coordinata S Z V , lagrangiana ` } S
^
Å
V ) mediante un
Å Å
Å
termine ÌS%U6\ Z V S Z V nella lagrangiana per il sistema complessivo. Qui ÌS%U6\ Z V
è una funzione arbitraria della coordinata UÌS Z V della particella e del tempo .
`"`
Í e n ðñð
\
q
#
¾. Ù ¾1
Ù ¾1 9
Îf Î
[
nð
\
q
Ï
Å û k } Å k } r U r Å
r
U U
û S Ñ f-V
q t
Å
Qui S V è la funzione d’onda dell’oscillatore nello stato ø ,
è l’azione
k }
t
l
ío
S%U l Ù }
\9U
l
V
G? ? K`
calcolata per la particella immaginando ? sia assente,
che l’oscillatore
k }
t ] a I Å l Ù } ^ Å l ^ a ` Ù ` L
l
ío
Ål }
è l’azione del solo oscillatore, e
k }
t ] lÅl
? ío
6
(ove ]xS%U \ Z V ) è l’azione per l’interazione fra particella ed oscillatore.
l
l l l
La costante di normalizzazione per l’oscillatore, , vale S V k !+ . Ora
a'& W X-
22
La generalizzazione al caso in cui
problemi.
ç dipende dalla velocità _ della particella non presenta
91
a Ú n0ðñð
nð
a Å Ú n ðñð x S Z V sin JS Z ì
ì ^ r
Z V Z ^
nð
a Ú n ðñð Ú n
ove ÌS Z V è stata trattata come funzione continua del tempo. Gli integrali dovreb-
bero in realtà essere sostituiti da somme di Riemann e le quantità xS%U \ Z V Þ
andrebbero scritte al posto di xS Z V . Quindi dipende dalle coordinate della
l l
l
particella a tutti i tempi attraverso ÌS%U \ Z V , e da quella dell’oscillatore ai soli
l l
tempi Z ì e Z ì
ì . Corrispondentemente l’eq. (61) diventa
Í e K \
q
#
Ͼ. Ù ¾1
Ù ¾1 ] Îf Î
[
\
q
Íe Î # ΠϾ
[
n ðñð nð
'& +
! # Å V.
Ú Ú h
# a ;W X- q î
ù
] S sin § V k S
Þ Å Å Å Å Å
W X q r r
exp s S - V S \ Vwv S V
92
Procedendo in modo analogo si trova che tutti gli oscillatori del campo
elettromagnetico possono essere eliminati da una descrizione del moto delle
cariche.
9 ¢¡Y£)9
l’equazione di Pauli per lo spin può essere ottenuta nel modo seguente. Si
sostituisce in il termine di interazione col potenziale vettore
¤ ¢
¦
§ ¤ ¢ ¦ A x ¢¡
a1¥ x ¢¡ x A x a1¥ x ¢¡ x
¤ ¦ : ¦ :
ª
§ ¤ ¦ : ¦ x ¢¡d x :¬«
1a ¥ ¨ x
¢
©
¡ x ¨ A x a1¥ ¨ A x ¢¡ ¨
¢¡
Q ¢¡ Q ¨
Qui A è il potenziale vettore, x e x sono i vettori posizione della particella
quanto essa differisce dall’esponenziale della somma di . Quindi
è qui una matrice di spin.
Anche l’equazione relativistica di Klein-Gordon può essere ottenuta for-
9°$±
malmente, aggiungendo una quarta coordinata per specificare i cammini. Si
considera un “cammino” come individuato da quattro funzioni di un
93
±
¡ $± £) $ ± )£ ³p$± ²
parametro . Tale parametro viene trattato nello stesso modo in cui si con-
siderava la variabile : esso viene suddiviso in intervalli di lunghezza . Le
`
<´µ¬±
grandezze sono le coordinate spaziali di una particella,
mentre è il tempo corrispondente. Si usa la lagrangiana
³
formulazione della meccanica quantistica (non relativistica) ottenuta molto
`
recentemente da uno degli autori (M. R.) . Questa scelta ha una duplice mo-
¿ªÀÁ9À¯Â]Ã1ÄÆÅOÇKÇYÃpÈÅ É9Â]Ê]ËÊpÁ<̵ûÍHÊpÁSÁ9ÀUÎKÎKÅ$Ê1Á9À
tivazione. Vedremo infatti (come anticipato nel paragrafo 2.8) che i cammini
di Feynman hanno una con le traietto-
ÎȬÊ\ÍKÃÎUÈÅ$ÍHà ´
una caratterizzazione come di un’
`
Á9ÃpÈÏÓÂ]Ã1ÄÀ
. D’altro lato, la formulazione che descriveremo emerge in modo
completamente dall’analogia fra meccanica quantistica e processi
ÍKÊ1ÁFÈÂ]ÊÉJÃ1¯ÈBÀ!ЯÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃ
stocastici classici (su cui ci siamo soffermati a lungo nel capitolo 3): essa
non è altro che la della descrizione di Langevin di un
PSMC. Scriviamo simbolicamente
Ci sembra quindi sorprendente che questo nuovo approccio non sia già
noto da alcuni decenni!
5.2 – Abbiamo visto che un PSMC può essere descritto in due modi e-
ϪÄíÈBÀÂÅ$Ê1ÂHÀ
quivalenti, anche se molto differenti fra di loro: l’uno basato sull’equazione di
îHï
Fokker-Planck, l’altro sull’integrale di Wiener. Ma esiste un’ formu-
lazione di un PSMC (alquanto diversa dalle precedenti) dovuta a Langevin .
ÀUάÉÄZÅ$ͯÅȬÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
L’approccio di Langevin è in un certo senso il più profondo, in quanto
KÊ ¿1ÁSÅÞÃ1ÄíÈÂ]ÃòÅóÁYËÊpÂðôÃÇÅ$Ê1ÁÀ
si considerano le traiettorie fisiche del processo – come ve-
Á<ÊpÁ ίÊ1ÄOÊ
dremo, viene derivata da queste. Ricordiamo che
ÅóðÒÉ9ÄÆÅÍYÅóȬÃ
esse figurano nell’approccio di Fokker-Planck, mentre compaiono in
forma nella formulazione di Wiener. Ulteriormente l’effetto delle
¯Uú ü ý
corso di pubblicazione); !" # ,
ú
&
Pavia
preprint (1991) (in corso di pubblicazione); $ % (')+*
, Pavia preprint (1991) (in corso di pubblicazione).
Å̪À]Ãñ˯Ê1Á<Ì Ã1ðñÀÁ<ȬÃ1ÄÀ
biamo anche visto che – in assenza di fluttuazioni – le traiettorie fisiche del
þÏJÈ$ÈÏSÃǯÅÊpÁSÅ
processo sono date dall’eq. (3.22). Ora, l’ di Langevin
generalità, in quanto
-
)
£ î . Quindi
alcuna perdita di
è
1
l’eq. (5.2) A@
diventa ora
Bì « ½
µ º H
0CBEDAF 1
M
26 ö Qý ú öQû¬ö ÿ ú ö
Essa è l’esempio più noto fra le ON
+
P
O
+
, su cui esiste una
ö pöQû
l’eq.
\
1û¬ú :ö =ú
vasta letteratura matematica (si veda la bibliografia). Va osservato che i matematici scrivono
(5.2) nella forma più rigorosa QJRAS (T ) = US (R (T ) VT )Q8T + Q8W)S (T ), ove WXS è il Y Z [
(ciò verrà ulteriormente chiarito nella nota 115). Preferiamo però attenerci qui al
formalismo (meno rigoroso) che viene usato comunemente nelle applicazioni fisiche.
27 Ancora una volta, questo fatto è conseguenza dell’indipendenza delle fluttuazioni dagli
effetti deterministici.
28 È ovvio che tutte le distribuzioni di probabilità devono essere normalizzate. D’altra parte,
97
¦Z= p « Bì « é)¼ â
^
dc
è
_a` e
0 BEDAF ] 0hBEDAF 0CBEDAF iaj
exp b g g b
k
f c
¦Z:
Poiché siamo interessati a determinare , notiamo che – facendo uso
è
1
Z
¦ :
â µ H ] « Bì « ì
^
mc
è exp !)¼
_a` e
0 BEDAF l] 1 Z1 i j
b
k
f c
1
di valori
0 BEDAF
di è alla ;: ;: <>
o 0 BEDAF
è ¦Z: º 0 BEDAF o 1
è ¦Z:¬«1
Bì « µ
p
³]î
che connette
è ¦Z= é)¼ â p ] ] Bì « µ
^
dc
_a` e
1 ] 1 1 i j r
exp b
k
f c
ú
che sotto opportune condizioni di regolarità per U (thV=T ) (che supporremo soddisfatte) ab-
biamo più in generale che ad OuJ valore di s (T ) corrisponde v valore di R (T ) soddisfacente ý
Qý 1û¬ú
all’eq. (5.2).
ÿ pú Yö
30
Contrariamente
w w yx
alla pratica
yx
seguita in questo Quaderno, intendiamo N realmente la Y J*
¬ý ú ÿ
e la Z di probabilità!
31
pú
Questo perché stiamo effettuando un cambiamento di variabili fra v .
32 Dato che consideriamo distribuzioni di probabilità normalizzate è superfluo indicare
esplicitamente tale costante.
98
ÂϪðôÊpÂHÀ Å$Ã1Á9ÍHÊ
¿ Ã1ϪÎHÎUÅÃpÁ<Ê ³H³ Z³ ´
Un processo stocastico definito dall’eq. (5.8) è detto z:
(RBG) { .
ËUϪÁÓÇÅ$Ê1ÁSÅ
ÍKÊ1Á<ÌpÅOǯÅÊpÁ9À
Ritorniamo all’eq. (5.2). È chiaro che le sue soluzioni sono di
$ ) £) \
) oltre ad essere del RBG : le indicheremo
0 1
come }| | . Esse godono dell’importante proprietà
che segue direttamente dal fatto che è un RBG ³]ï . Vediamo che le ÈÂ)ÃpÅ$ÀYÈ
1
zÁFÅóȬÊÒ
Si noti che adesso preferiamo considerare (per maggiore chiarezza) un inter-
$ º ³
vallo di tempo G
, supponendo che alle soluzioni considerate
0
sia imposta la condizione iniziale . Dall’eq. (5.10) segue M
pú
'HY8Y (Wiley, New York, 1973)).
36 Ciò non deve stupire: l’intera teoria delle probabilità è, in ultima analisi, una trasformazione
di variabili (si veda al proposito il testo di Van Kampen citato nella nota 75)!
37 Si tenga presente quanto detto nella nota 111.
38 Unicamente per motivi tipografici scriviamo qui semplicemente [R ( )] anziché più corret-
tamente [R (T ; tVT ; [s ( )])].
99
¡]¡
ove d=[£)= è il determinante (funzionale ³ ) jacobiano corrispondente, cioè
d$= £)Q det H$ . Naturalmente l’eq. (5.2) non è più lineare (in
1 0
generale), cosicché d £) Á<ÊpÁ è costante. Grazie all’eq. (5.2), d £) può
}
d £) º
¯ ä H £) Ó
0
« Bì « ¼ µ
p
Z¡h¢ ¢ 3
det
·
B Z¤ ¤¥ ¦ B§aF&¨©F
H£ {
Il calcolo esplicito di dQ ó£)= può venire effettuato con manipolazioni formali
partendo dall’eq. (5.12). Si ottiene ³
n
ÈÂ]Ã1ŬÀ¯È$ȬÊpÂÅ$À zÎKÅ$Í JÀ
ϪίÍKÀÁ<ÈÅ 9£)= ¡ î
quindi la distribuzione di probabilità per le G JI di un PSMC
D
da è
è è
e ¢ ¢
_ `
0 a ] 3 i j 1 a
exp ¬ B Z¤ ¤¥ ¦ B§aF&¨©F
Bì « ¼
H£ { k
b
ÈÏJÈ$ÈBÀ
ðñÀ]ÌpÅ$À
È evidente che in questo approccio le quantità fisiche misurabili nascono
ðñÀ]ÌpÅà ¦¯¦¯¦Æ
come sul RBG di opportuni funzionali delle soluzioni dell’equazione di
Langevin. La di una certa quantità è ovviamente definita come
à
¼ º|¼ ´
ove
°
la costante di normalizzazione deve essere fissata in modo che si abbia
D
v± ¦ .
´ î ¦Z=ó è
” la cui <: <: <> (totale) è proprio . Nel presente
)<B£)= \
contesto tutte le alternative disgiunte secondo le quali µ può realizzarsi sono
0 1
descritte da quelle soluzioni | | che soddisfano la condizione
per ÈÏJÈ$ÈBÀ le possibili configurazioni del RBG. KÁÂHÀ]ÃpÄÆÈ Ã abbiamo però a
1
che fare con soluzioni ¿ À¯Á9ÀÂÅ$Í JÀ , che Á9Ê1Á soddisfano in generale la condizione
¸ <>
;: <: <>
¦Z=
è [ £) [ £)
0 l
« Bì « ¼ µ
) £) \ ¦Z:ó ¤ vada da £) a [ £) [
¹
probabilità che Σ si muova lungo q
0 1 hº
| |
ènativa
0
;: ;: <>
¦Z: Bì « ¼
è £) £) º ¡ è £) £)
e
o 0 0 r
ï
B F
una probabilità ÍKÊ1Á ¿pÅ ÏÓÁFȬà , per cui possiamo riscrivere l’eq. (5.17) nella forma
dizione (5.16). Procediamo osservando che
)
£ [
)
£ ¦Z: º
è
0
Z
¦ :
ó
Z
¦ :
ó
¹
« Bì « ¼
) £) \ ¦Z:ó
¹
probabilità che Σ si muova
0 1 º
lungo | |
Pertanto, ponendo
¦Z:
è [ £) £)
1
ï¡
B F
J» 9
ï B
J» 9
F
¦Z:
)9$£)Q \ ¦Z:ó è <[£)= <¬£)Q
1
A questo punto è necessario conoscere l’espressione di Z
0 1
ÍKÊÎUȬÃpÁFÈBÀ
in funzione di }| =| . Abbiamo supposto finora che il numero di
particelle fosse . È chiaro che in tale situazione si ha
Tuttavia è facile estendere l’eq. (5.25) al caso ¿ªÀÁ9À¯Â)ÃpÄOÀ in cui ë$£) º
. ,
½¼
¾-
¦Z:
)<¬£)= \ ¦Z:ó Bì «
¹
Q Q
¿ 1 a probabilità di sopravvivenza lungo 43p
0 1 º
| =| nell intervallo
µ
_ ` e
¿ 1 =a 0 1 i j 43q
exp ),ÁÀ | | Â
k
Possiamo anche riscrivere l’eq. (5.29) in forma più ÀάÉÄZÅ$ͯÅȬà , facendo uso delle
eq. (5.27) e (5.28). Otteniamo cosı̀
Z¦ :ó]U¦
è £) [ £) º Ó ) £) \
0 1
Bì « ½
ÄÃ | |
exp
e -
_ `
0 1 iaj
m,zÀ | | +Â
1
kÆÅ
ðôÊ1ÄíȬÊÎYÀðÒÉ9ÄÆÅ$ÍKÀ ´ ï
Un vantaggio dell’approccio di Langevin è permettere una derivazione
della formulazione di Wiener in modo . Consideriamo
43
úÿ Kü&ö=û ö =ö
Si veda ad es.: F. W. Wiegel, ÇO ÈH ÉÇO &u =
" (World Scientific, Singapore, 1986).
û¬ú Uý ú ú
Êy" Ë
ö û ÿ éö .ú
$< $£)Q
W2. Va notato che ora tutti i cammini congiungono con
¢$
$< $£)Q ÍKÀ¯ÈBÀKÇHÇYà Ì1Å À¯ÂKίÃ
, per cui se la particella si muove lungo un certo essa raggiunge
0
con – la situazione era «7 quando consideravamo le
Z
¦ =
ó
$ ) £) \ ÈÏJÈ$ȦZ=Å
soluzioni dell’eq. (5.2). Pertanto è evidente che, nel caso in cui
coincida
Z
¦ =
0 1
è
o 0 0 1 a
¦Z:
}| |
ove Ó
¦¯¦¯¦ è una delta ËUÏÓÁªÇÅ$Ê1Á9Ã1ÄÀ di Dirac, cioè il prodotto continuo di funzioni
delta di Dirac per tutti i valori di compresi nell’intervallo . Usando
d
ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄíÃµÈ¬Ê ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄOÃpȬÊ
calcolare . Si trova per questa via proprio
¢ è £) £) ¢ ¦Z: º è £) £) ¦Z:
B ì « ½p½
e ®
o 1 O¯
¦
secondo membro dell’eq. (5.32). E grazie all’eq. (5.29) otteniamo l’eq. (3.47).
ÎKÅ$Ã Í SÀ
Vogliamo concludere con un’importante osservazione. Come segue dalle
Å
KÍ Ã1ð ð ÅóÁSÅ Ì1ŠŬÀÁ9À¯Â Í JÀñÍHÊpÁ ¿1ÅóÏÓÁ ¿µÊpÁ<Êù$ ¦Z: ó£) ÍHÊpÁ £) ÉSÊÎKÎÊ1Á9Ê À¯ÁSÅóÂ
è casuale. La derivazione dei postulati W2 e W3 mostra chiaramente che
) £) \ º [ – dopo tutto, gli uni e gli altri descrivono le ÎÈBÀUÎHÎYÀ
}| | 8I
0 1
| |
9£)=
della precedente). Chiediamoci quale sia la distribuzione di probabilità per le
ÍHÊ1ÎUȬÃ1Á<ÈBÀ
traiettorie fisiche di un PSMC uscenti da . Si osservi che nel caso in
ÍKÃÎÊ ¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÀ
cui il numero di particelle è la risposta già la conosciamo: è fornita
dall’eq. (5.14). È però molto facile considerare il , in quanto
basta combinare l’eq. (5.14) con l’eq. (5.27) (quest’ultima tiene conto dei
processi di emissione e assorbimento) 9 . Otteniamo
D
´ ¡î
e
0 a ] ¡ ¢ ¢
exp Ð
·
3Ñ ,
B ¤ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F}Ò
Z
¦ =
£ {
è Bì « ½
1 a
Bì « ½µì
0 a ]
Ð
g
b
·
3 ,
B Z¤ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©FÒ
¦Z= per i
£ {
è
ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅçÌ1ŠŬÀÁ9À¯Â ´ (si vedano le eq. (3.43), (3.44), (3.45) e (3.46)),
dimostrando cosı̀ la ÍHÊ1ðÒÉÄOÀYȬÃÀ]ÐYÏÓÅ Ã1ÄÀÁªÇ\à fra questi ultimi e le soluzioni
ÓK @
46 Procediamo nello stesso modo in cui abbiamo derivato l’eq. (5.28) partendo dall’eq. (5.25).
û=û ÿ[ö pö ú
47 Naturalmente questi ultimi soddisfano la condizione t (T a ) = t a mentre le soluzioni
dell’eq. (5.2) che figurano nell’eq.
(5.35)
soddisfano (in generale) la condizione (5.16).
Ma questo fatto è qui del tutto .
105
che è l’ À]ÐYÏSÃÇÅ$Ê1ÁÀ ÌpÅ Ã1Á ¿ªÀ \ÅóÁ su cui è basato il presente approccio. Ora,
nel caso di un PSMC le þÏÓÈ$ÈÏSÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅ sono simulate da un RBG definito
×5 J7
(RBF) ´ , che si ottiene dall’eq. (5.8) in virtù delle eq. (3.39) e (3.35). Natu-
JI M Ø: XÙ
¸ ¦Z= exp = p 9- µ H ) « Bì « ½ µ
^
dc
_ ` e
1 H] 3 1 Z1 iaj q
Õ
k
f c
É9Â]Ê HÃ
¯Å ÄÆÅÈ ÃÌpÅÈÂ)ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1ÁÀ è £) £) Z¦ : ÆÄ ÏÓÁ ¿µÊ ) £) \ ¦Z ó
Un concetto chiave nella formulazione di Langevin di un PSMC è la ;:
1 0 1
: <> (condizionata) | |
±
48 L’espressione “ ý ý ú Qý
N Z
ö
” viene usata con significati spesso differenti.
Ritorneremo su questo argomento nel paragrafo 5.7.
&
49 Questa denominazione trae origine dal fatto che nell’eq. (5.37) figura l’analogo funzionale
di un integrale di Fresnel. Si noti che
con costante di diffusione Éu
formalmente
ÜÝ
üü
il RBF può essere visto come un RBG
(Ú = Û - 2 Þ ), quindi alcune proprietà del RBG Uû
.ú ö=û úUû
valgono anche per il RBF (questo punto verrà precisato nella discussione seguente).
50 Anche qui non ci preoccupiamo di normalizzare le distribuzioni di ampiezze. 'ßY
ý pú
si scopre (discutendo esempi fisici espliciti) che la corretta costante di normalizzazione
nell’eq. (5.37) è proprio y !
106
mente dalle eq. ( 5.27) e (5.28) facendo uso delle eq.(3.41) e (3.37). Otteniamo
°
[ £) £) ¯ Z¦ : º Ó [ ) £) \ ¦Z:ó]¦
±
1
à
0
| |
1
exp é)¼
e ¢ ¢
_a`
< ·
3 i j
Õ
ª B Z¤ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F
£ { k
Bì «
B Z¤ ¤¥ ¦ B§aF&¨©F k
H£ {
bá-
ðñÀHÌ1Å$à ï¡
Concludiamo – grazie alle eq. (5.29), (3.19) e (5.39) – che il propagatore
quantistico emerge qui come sul RBF
exp !)¼
e ¢ ¢
_a`
< ·
3 iaj
Õ
B ¤ ¤¥ ¦ B§aF&¨©F
£ { k
exp !Q -
e ¹
_a`
¢ ¢ iaj
·
3 º
Õ
Bì « µ
1
B Z¤ ¤¥ ¦ B«§aF¨F kXÅ
£ {
3
b
â H5 J7
51 L’operazione di media sul RBF è definita come nel caso del RBG, cioè dall’eq. (5.15) con
[ s ( )] sostituito ovviamente da ã [s ( )] e ä = 1.
107
Bì «
£ { k
bb
exp !Q -
e ¹
_ `
¢ ¢ iaj
·
3 º
Õ
Bì « ì
1
B Z¤ ¤¥ ¦ B«§aF¨F kæÅ
£ {
b
È importante sottolineare che – benché l’eq. (5.45) sia stata dedotta in modo
À¯ÏÓÂUÅ ÎUÈÅ$ͯŠÃÉSÊÎÈBÀÂÅÊpÂÅ
abbastanza convincente – gli argomenti che abbiamo usato sono essenzialmente
ÂHÀHÃ1ÄÆðñÀÁFÈBÀ
, per cui è necessario verificare ( ) che l’eq. (5.45) fornisce
il propagatore dell’equazione di Schrödinger (naturalmente è stato
dimostrato che le cose stanno effettivamente cosı̀).
ÐYÏJÃpÁFȬʻðôÃ1ŠίÀðÒÉÄZÅ$ÍKÀ
Un vantaggio di questa formulazione è fornire la derivazione dell’ap-
ï]³
proccio di Feynman in modo (è sufficiente seguire la
ðñÀ]Ì1Å$Ã
± definita dall’eq. (2.34). È immediato esprimere questa
ampiezza come sul RBF (in cui compaiono le soluzioni dell’eq. (5.36)):
basta infatti usare le eq. (3.53) e (5.39) per ottenere dall’eq. (5.32)
Bì «
° 0 1 a
± | |
52
=úUû:ü 1ú
Se nell’eq. (5.36) comparisse il termine di rumore, l’eq. (5.44) manterrebbe la OZ
ö
(si veda ad es.: R. Kurth, 'mç É
³ O h
h úUü
É : avremmo allora un risultato ben noto a chi si occupa di sistemi dinamici classici
(Pergamon þú Fÿ ÿ ÿ éö ö
53
û=ý\ü úUûBö
Press, Oxford,©&1960)).
#88
©
ú
Si può però dimostrare che l’eq. (5.44) vale Z in presenza di un
(quale è il caso dell’eq. (5.36)).
È anche possibile derivare l’equazione di Schrödinger partendo dall’equazione di Langevin
in modo molto simile a come si ottiene l’equazione di Fokker-Planck secondo la strategia
discussa da Zinn-Justin (si veda la nota 127).
108
ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄOÃpȬÊ
dall’eq. (5.40) è possibile calcolare ± . Si
À¯ÂÅ dÍKÃ1ÂHÀ
ritrova per questa via proprio quanto stabilito dal F2. (Questo è
ËUÂ]ÃpÈ$ȬÃ1ÄÆÅ
Analogamente a quanto si ha nella descrizione di Langevin di un PSMC,
ÌpÏFÀÞï ´
anche le soluzioni dell’equazione di Langevin (5.36) sono con dimen-
sione di Hausdorff uguale a . Non stupisce che questa proprietà sia
ÅzÍHÃpð ð Å ÁSÅ}Ì1Å ¢À ÁSðôÃ1ÁòÍ SÀÍHÊpÁ ¿1ÅóÏÓÁ ¿µÊpÁ<Ê ¦Z:£)ó ÍKÊ1Áò £) ÉJÊ1ÎHÎÊpÁ<Ê
condivisa dai cammini di Feynman. Infatti le eq. (5.46) e (5.47) implicano
0
ÀάÉÄZÅ$ͯÅȬà di¦Z:¸ ¦Z: può essere ottenuta – ancora una volta grazie all’eq. (3.1)
0
– da
è
0
data dall’eq. (5.35), usando la corrispondenza stabilita dalle
Á<ÊpÁÎKϪÎKÎKÅ ÎUÈBÀñÃ1ÄOͯÏÓÁÄÀ¬¿µÃpðñÀ
classiche nello spazio delle configurazioni. Pertanto fra queste ultime ed i cam-
mini di Feynman (come anticipato nel paragrafo
2.8) (si veda anche quanto verrà detto nel paragrafo 5.6).
1à ÄíÈBÀÂÁ<ÃpÈÅ .Ã
5.4 – Vogliamo mostrare che la formulazione della meccanica quantistica
0
che possiede un .
¢
ciò presuppone la scelta di un insieme di potenziali é .
Consideriamo ancora l’equazione di Hamilton-Jacobi associata a
54 Si possono ripetere qui le stesse considerazioni fatte nel paragrafo 5.2 per ottenere l’eq. (5.9).
55 Unicamente per motivi tipografici, scriviamo qui semplicemente ã [R ( )] anziché più cor-
rettamente ã [R (T ; tV=T= ; [s ( )])].
109
£) § ¼ 9 £) l £) î § Þ£) º Bì «
¹
r
3 º
- b
Õ
ed interpretiamo ÊK¿1ÁSÅ sua soluzione £) come la generatrice di una trasfor-
mazione di gauge æ
3
é
Þ £) £ £) ï . Esplicitamente
é
àê ë
9
-
0 ¦Z:
0 ¦Z: 0 [ £) ¢ £) :¬«
a
Bì « ìÓ¼
a
[ £) £) « Bì « ì µ
¢ ¢
¦Z:
Quantizziamo adesso l’azione classica 0 0 secondo lo schema del paragrafo
precedente. L’equazione di Langevin (5.36) è ora
] º ¼ ¹
$
)
£ Ä]$£) § H$ U« Bì « ì
µ 9
0 ¢ 21
·
º b
Õ
B F
#£ í
1ý =ú ÿ Uý ö
56 Ricordiamo che nel presente Quaderno ignoriamo (per semplicità) i problemi dovuti all’e-
sistenza di Y y O e O v nello spazio delle configurazioni.
57 Il modo più facile di derivare l’eq. (5.52) è di esprimere sia îEt a VT a Ì t V«T Eï che îEt a V«T a Ì t VT ï
in funzione di ð [t ( )] e ð ¯ [t ( )] (rispettivamente) secondo l’eq. (2.31), paragonando poi i
due risultati.
110
ÌpÅ ÑÒÀ¯ÂHÀÁªÇ\Ã
ÌpÅ 1ÀÂUÎKÅÈ Ã
È proprio nella fra le equazioni di Langevin (5.36) e (5.54) che
consiste la 7 <> di questa formulazione rispetto a quella del paragrafo
exp !)¼
e ¢ ¢
_a`
9 ·
3 i j
Õ
ª B Z¤ ¤¥ ¦ B«§aF¨F
£í { k
!= <- p ¼ H £) À ]£) §S £) «
^ a
e ¹
_a`
¢ ¢ i j
exp
·
3 º
Õ
Bì « ìpì
1
B ¤ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F k Å
£í {
3
¼ ] £) ] £) § Þ £) º «
Õ
- Bì « ì p
Bì « ì
×£ ñ { k
r
Grazie alle eq. (5.56) e (5.58), l’eq. (5.55) si semplifica notevolmente, as-
sumendo la forma
[ £) [ £) zº Ó ) £) \ ¦Z:ó] ) £) \ ¦Z=ó ¡ î ««
®
° 0 1 1 Z~ ¯
± | | , | |
Bì ì
¦
¦
¢ ¢
stica è stata ottenuta ÌpÅS˯ÃpÈ$È¬Ê nel paragrafo 5.4. Tuttavia ci sembra opportuno
riassumerne gli aspetti fondamentali seguendo un ordine logico.
ÐYÏÓÅ ðñÀ]ÍKÍHÃ1ÁFÅÍKÃͯÄOÃÎHÎUÅÍKÃ
Diversamente da quanto avviene nelle altre formulazioni della teoria quan-
tistica, si assume come punto di partenza proprio la
(approccio di Hamilton-Jacobi). Ricordiamo che, nel caso della particella Ô
descritta dall’azione classica (2.33), l’equazione di Hamilton-Jacobi è
£) § ¼
)
£ Ä ]£) î § Þ £) º « Bì « ¼
¹
<
p
3 º
-
Õ
soluzione dell’equazione
¯H º ¼
)
£ Ë] £) « B
ì « µ
¹
p <
¢ pá3
·
ò º
Õ
B F
Z
¦ :
ó
Hó
]$ º ¼
$
)
£
¹
ÄH$£) § - ¡ î K Bì « ½ ¹ ~
µ
0 ¢ 1 p
·
º º
Õ Õ
B F
H£
nella quale è un RBF definito dalla distribuzione di ÃpðÒÉ9ŬÀHÇHÇ\à ³]î pï
1 ¡
{ n
59 Si noti che le eq. (5.63) e (5.64) sono state riscritte in modo leggermente diverso (ma
equivalente alle eq. (5.54) e (5.37)).
112
¸ Z¦ : $= p µ H ] « Bì «
^
mc
_ ` e
1 d] 3 1 Z1 iaj p
exp b
k
f c
£)
0 1
º ÍHÊpÁFÈÂ]Ê1ÄóÄíõȬÃ
con }| | la soluzione dell’eq. (5.63) con condizione iniziale
0
ËUÂ]ÃpÈ$ȬÃpÄZÅ Ì1ÏFÀ ¡ ³
damentali su cui si basa la presente formulazione. È chiaro che i CAQ sono
con dimensione di Hausdorff uguale a 9 . Abbiamo visto che è
conveniente definire
Bì «
B Z¤ ¤¥ ¦ B«§ F ì B § F&¨©F k
«
£ { {
pp
ÃÌ Ã9£)= Ã$< £)Q ” facendo uso dei CAQ (anziché dei cammini di
dei CAQ. La strategia che seguiremo consiste nell’analizzare l’evento “
7
Ô
altro che l’ ÃpÁ<Ã1ÄOÊH¿ Ê Ð¯ÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ dell’analisi fatta per un simile evento nel
Feynman come nel paragrafo 2.4). Ma questo modo di procedere non è
caso di un PSMC al fine di ottenere $ £) £) in termini delle soluzioni
è
dell’equazione di Langevin. Ancora una volta l’eq. (3.1) e le sue forme
ÉÂ]Ê ]Ã ÅóÄZÅÈ Ã
banale.
¦ Z :
ó
ÌpÅ ÈÂ]ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1Á9¦Z=À ó è [ £) £) ÆÄ ÏÓÁ ¿µÊ ÏÓÁ<à ÎÊpÄZϵǯÅÊpÁ9À
Ricordiamo che per un PSMC un concetto fondamentale è la ;: <: <>
1
) £) \
(condizionata)
0 1
| | dell’equazione di Langevin (5.2)
nel¦Z: paragrafo 5.2 che £) [ £) emerge come
a si muove lungo « «
±
)
£
<[$£)=[ lungo )9$£)Q \ ¦Z £K ¦Z:ó )<$£)Q \ ¦Z £K ¦Z:ó Bì
¹
ampiezza che vada Ô da0 1 0
Ô
1
p
º
}| =| | =|
Ma in virtù delle eq. (3.19) e (5.70) concludiamo dall’eq. (5.68) che il ÉÂ]Ê
ÉSÃ\¿ ÃpȬ¡ Ê1ÂHÀÖÐYÏJÃpÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ emerge qui come ðñÀ]ÌpÅà di 9 $£)Q <¬£)= Y ¦Z £K ¦Z: sul
° 1
RBF ³]³
±
[ £) £) zº [ £) £) ¯ ¦Z £K ¦Z: « Bì « ¼
®
° ° 1 O¯ 4q
± ±
¦
A questo punto è necessario specificare come [ £) [ £) ¯ £K dipenda
¦Z ¦Z:
Z
¦ Z
¦ :
ó
° 1
Ó [ ) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó] ¦Z £K ¦Z= Bì « µ
±
0 1 Zù 1 4q3
| |
) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó º . Osserviamo che avremmo potuto derivare
in quanto – in virtù del suo significato fisico – essa deve essere nulla per
0 1 ú¼
| |
£)
l’eq. (5.72) nell’eq. (5.71). È evidente che ±
Ã1Á<Í JÀ
dal particolare integrale dell’eq. (5.61) che è stato scelto. Pertanto tale
Ã1ÎHÎKÏÓÂ]ÌµÊ < $£)Q 9$£)Q ÎÊpÄíÊ 9$£)Q 9¦Z £)Q ¦Z :
dipendenza dovrebbe
°
manifestarsi 8I nel propagatore quantistico. Ma ciò
ÍKÊ1ðÒÉÄOÀYȬÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ £K
dipenda da 9 . Si può allora dimostrare che questo requisito determina
ù 1
! Otteniamo in tal modo
£) [ £) Y ¦Z ¦Z £K ¦Z:¦Z: óºH ¤ - ¦
¢ ¢
° 1
Z
¦ Z
¦ :
ó
« B
ì « ½
B ~ F ¥ ì B a a F f ì B F&¨
¡
± { { 4q
Basta ora inserire l’eq. (5.73) nell’eq. (5.71) per concludere che la Â]ÃUɵÉÂHÀUίÀ¯Á
ȬÃ.ÇÅ$Ê1Á9Àçà ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ©Ã1ÄÀ]õȬÊ1ÂÅ del propagatore quantistico risulta essere
´
¦
¢ ¢
£) £) }º ¤ -
° B «~ F ¥ ì
«
B a a F f ì B F&¨
Z
¦ Z
¦ :
ó
]
Z
¦ Z
¦ :
ó
¡ « B
ì
± { {
Questa espressione vale per un’ Ã1Â ÅÈÂ]Ã1ÂÅÃ soluzione $£) dell’equazione di
¡
Hamilton-Jacobi (5.61) ´ , conferendo cosı̀ una notevole “flessibilità” alla
D
y:
presente formulazione ]³ .
L’approccio di Feynman emerge in modo ðôÊpÄÆȬʻÎYÀðÒÉÄZÅ$ÍKÀ nel presente
9
Bì « ì
° 0 1 a
± | |
° 1 ¯
±
¦
61 Tuttavia questa strategia è ora meno immediata rispetto a quanto si è visto nel paragrafo 5.3.
ö
62 Ovviamente ð (thV=T ) deve sempre soddisfare l’eq. (5.61).
63 Quanto detto nella nota 55 circa la validità dell’eq. (2.52) vale Z per l’eq. (5.74).
64 Vale anche qui l’affermazione fatta nella nota 135.
115
¢ £) £) Y ¢ ¦Z: º £) [ £) Y Z¦ K£ ¦Z: « Bì «
e ®
o ° ° 1 O¯ 4qp
± ±
¦
7 G
Á<Ê1Á HÍ ÊpÂÂ]ÀYÈ$ȬÊ
spirito dell’analisi basata sulle eq. (5.46) e (5.47) (fine del paragrafo 5.3). Il
À¯ÂÂ)ÃµÈ¬Ê ]ï
esponenziale presente nell’eq. (5.73) sarebbe infatti
trarre conclusioni simili dalle eq. (5.75) e (5.76) 9 .
[ £) £) ¦Z £K ¦Z: Ó ¦Z [¦Z=)ó £) « \ ¦Z £K ¦Z:ó]U¦ Bì « µ
° 1 d 0 1
modo seguente
Bì «
° 0 1 a
± }| |
° 1 O¯
±
¦
BúUû=ûBö ö ö Uû ú µ1ö ú
65 La connessione fra cammini di Feynman e soluzioni dell’eq. (5.36) ricavata dalle eq. (5.46)
ÿ ú .öQû ú ü&ö
e (5.47) è proprio perché sotto il segno di &u nel primo membro
0 [ £) £) ¢ ¦Z: º £) [ £) Z¦ K£ ¦Z: « Bì «
e ®
o ° ° 1 ¯ 4q
± ±
¦
Ci siamo ricondotti in tal modo alla situazione discussa nel paragrafo 5.3 (si
°
[ £) £) ¢ Z¦ : º Ó ¢ H Ó 0 ]U¦
±
î
Q 9- µ p 9] ¼ < £) Ä H£)
^ a
e ¹
_ `
3 ¢ ¢ iaj
Õ
exp
·
üû º
g Õ
Bì «
B Fý k
r
-
ma ciò implica
0 £) £) 0 ¦Z: º 0 Ó ¢ ] ª$ 0 HU¦
e e
o ° o
±
<
3 ¢ ¢ i j
Õ
· «
üû º
g Õ
B Fý k
Bì ¼
r
proprio i ÍHÃ1ð ð ÅóÁSÅ Ì1Å ¢À ÁSðôÃ1ÁÖ¿ À¯Á9ÀÂ]Ã1ÄÆÅÇHÇYõÈÅ definiti nel paragrafo 2.8. Giun-
«7
giamo cosı̀ (sulla base delle eq. (5.78) e (5.79)) alla conclusione: ÅþÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ
´Ù Jè
ÌpÅ ¢À ÁSðôÃpÁ» ¿ªÀÁ9À¯Â)ÃpÄZÅÇHÇ\ÃpÈÅ ÍHÊpÁFÈÂ]Ê1ÄóÄíõÈŠ̵Ãñ £) Í SÀçÍKÊ1Á ¿pÅ ÏÓÁ ¿ Ê1Á<Ê»¦Z £)¦Z:ó
ÍKÊ1Á $ £) ÉSÊÎKÎÊ1Á9Ê À¯ÁSÅóÂ]À Å Á<ÈBÀÂ:É9ÂHÀ¯È¬ÃµÈÅ ÍKÊ1ðñÀ ) £) \ £K
ËÙ Jè JI
66 Avevamo osservato (paragrafo 3.9) che esistono cammini di Wiener u Z . Ora 1ú Yö µö=û ÿ O &
Avevamo concluso nel paragrafo 5.3 che sussiste alcun legame fra Á<ÊpÁ
cammini di Feynman e traiettorie dinamiche classiche nello spazio delle confi-
¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÆÅOÇ
gurazioni. D’altra parte, la rappresentazione del propagatore quantistico pre-
Ç\ÃpÈÅ
sentata nel paragrafo 2.8 suggerisce che per i cammini di Feynman 8
ÎYÀÁªÇ\Ã
mente questo punto. Contrariamente a quanto si ha per l’eq. (5.36), l’eq. (5.63)
– il termine di rumore – possiede un profondo significato in meccanica
Ö ¡ î
nell’eq. (5.63). Quest’ultimo è la sorgente degli effetti quantistici, che si
Å ÍHÊpÁFÈÂ]Ê1ÄóÄíõÈÅd̵Ã
£) ÃUÉ ÉJÃpÅÊpÁ<ÊÍHÊ1ðñÀçͯÏÓ À þÏJÈ$ÈÏJÃpÁFÈÅ©ÅóÁFȬÊpÂUÁ9ÊëÃ Ó ) £) \ ¦Z=ó
0 ] Z~
manifestano nella proprietà , , . Pertanto CAQ
ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ
J7 / Éò | | . Com-
#ò | =|
teoria quantistica possiede una Â]à Ì1Å$ÍKÀÖͯÄOÃÎKÎKÅ$ÍHà più profonda di quanto appaia
nel paragrafo 2.8 – ha una notevole rilevanza concettuale, perché mostra che la
ÀÑÒÀYÈ$ÈÅ Ã1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
Vogliamo concludere questo paragrafo osservando che abbiamo verificato
ÀάÉ9ÄÆÅ$ͯÅȬÊ
implicitamente che l’eq. (5.74) fornisce 7 il propagatore quan-
£) £)
ambo i membri dell’equazione ottenuta. Un membro °
di quest’ultima
equazione risulta essere – grazie all’eq. (2.52) – proprio ± , men-
tre l’altro membro coincide – in virtù dell’eq. (5.77) – col secondo membro
dell’eq. (5.74).
ÅóÁFÈÏÓÅóÈÅ .Ã
un carattere essenzialmente formale, l’approccio a cammini aleatori offre una
rappresentazione «7 della meccanica quantistica, che ci sembra molto
semplice e suggestiva.
þÏJÈ$ÈÏJÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅþͯÄOÃÎKÎKÅ$Í JÀçÌ1ÅS˯Ê1Á<Ì Ê
Ancora una volta l’analogia con i PSMC è illuminante. Abbiamo visto
che il RBG descrive / JI . Possiamo citare, come
þÏJÈ$ÈÏSÃǯÅÊpÁSÅÈBÀÂð Å$Í JÀ
esempio, il caso del moto browniano macroscopico 9A@ , nel quale tali fluttuazioni
sono le ben note / JI dell’ambiente. Ritornando al caso
generale, le fluttuazioni (classiche) di fondo modificano il comportamento
deterministico della particella ¶ (che “materializza” il PSMC considerato): una
û ú µú ö 1û¬:ú ú ü Uý
67 Tutti i PSMC considerati nel presente Quaderno sono definiti nello spazio delle u *
ö .ü úÿ ý .úU÷
. Quindi intendiamo in realtà il moto browniano macroscopico nell’ ZY8Y O ×J*
# * ÊÎ (si ricordi la nota 75).
118
di fondo – è sostituita da una di traiettorie aleatorie | |
1
1
à í
Ä B
È
À
 <
Á ÃpÈÅ ÀÌpÅbÎ)¿1ÅóϪÁ<ÈBÀ
(una per ogni possibile configurazione del RBG). Abbiamo anche notato
ÅóÁFÈÂÅ ÁSίÀ]ÍKà Á9Ê1Á
alcuni aspetti della teoria quantistica). Al fine di tener conto dell’effetto delle
ÎUÈBÀUÎKÎÃ
fluttuazioni su ¶ , la dinamica del sistema è stata modificata.
Si è supposto invece che la dinamica – che è deterministica quando la si
considera nel “vuoto” – avvenga in realtà in un ambiente in cui sono presenti
fluttuazioni classiche di fondo.
ÏÓÁ<Ã
che questo 7 tipo di fluttuazioni «7 9M modifichi il comporta-
Ã1ÄíÈBÀÂÁ<õÈÅ 1ÀçÌ1Å ÎQ¿pÅ ÏÓÁFÈBÀ
questo punto è naturale supporre che i CAQ }| | descrivano
le 7 associate all’evento “Ô 7 ”.
£)
fluttuazioni quantistiche di fondo con la dinamica classica.
Å Á<ÌpÅ ÉFÀÁ<̪ÀÁFÈBÀ
milton-Jacobi debba essere usata per controllare i CAQ }| | .
Come è stato discusso nel paragrafo 5.5, il risultato finale è da
ðôõÈBÀðôõÈÅÍKÊ
questa scelta. Ma ciò implica che i CAQ abbiano unicamente un significato
Á<Ê1Á
. Non ci si deve meravigliare di questa circostanza: analogamente
ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHÊ
di ;: ;: <> per i CAQ, che quindi sarebbero inter-
ÀÏÓÂÅbÎÈÅÍKÊ
pretabili come traiettorie seguite da Ô in senso L9n . Ciò nonostante,
68
öQû ÿ
nel senso che esse sono æY
Z :úUü pÿ[ö Uü&ö ö
Y Z Z
dal sistema dinamico
che si considera. Questa proprietà segue direttamente dall’eq. (5.64) (si tenga conto della
ö Yö
Uü ö
nota 142).
O
69 Infatti l’eq. (5.69) definisce una distribuzione di æY sui CAQ. Ragionando in modo
simile a come è stato fatto nel paragrafo 2.5 per i cammini di Feynman, è facile convincersi
della correttezza di quanto affermato.
119
D
permesso di ottenere una nuova formulazione della meccanica quantistica @ .
Vogliamo mostrare ora come la circostanza che i CAQ siano curve flut-
tuanti intorno ad una traiettoria dinamica classica (nel senso spiegato nel para-
ÁFÏJÊ .Ã
grafo precedente) ponga la relazione fra meccanica classica e quantistica in
una 7 prospettiva.
Ricordando quanto è stato osservato a proposito della descrizione di
Á<Ê1Á Å ÁFÈÂÅóÁ
Langevin di un PSMC (fine della discussione dei PSMC contenuta in questo
ÎYÀ]ÍKÃ1ðñÀÁ<ÈBÀñÌpÅ 1ÀÂUÎÃ
paragrafo), siamo indotti ad affermare che la dinamica quantistica è ´
<Á õÈÏÓÂ)ÃpÄOÀ
7 da quella classica. È facile capire il perché. Lo scenario
ίÀ¯ðÒÉ9ÂHÀ UÎ ÈBÀUÎKÎÃ
che emerge in modo dalla formulazione a cammini aleatori è che
Ô ubbidisce alla dinamica, definita dalle eq. (5.61) e (5.62).
Evidentemente – quando questa dinamica ha luogo nello spazio “vuoto” – il
UÃ É É9Â]ÊÎKÎKÅóðôÃÇÅ$Ê1ÁÀ
comportamento di Ô è deterministico e si ottiene la meccanica classica. Ma
questa situazione risulta essere soltanto un’ . Al fine di ot-
ðôÊÌ1Å dÍHõȬÃ
siano presenti / JI . A causa di tali fluttuazioni,
Å Á<ÃpÄÆÈBÀ¯Â]ÃpȬÃ
l’eq. (5.62) viene G e va sostituita con l’eq. (5.63) – proprio come
ÎÊpÄÆȬÃpÁFÈ¬Ê ÅóðÒÉ9ÄÆÅÍKÃ
nel caso dei PSMC – mentre l’eq. (5.61) resta . Ed il fatto che le
eq. (5.62) e (5.63) differiscano per l’aggiunta del RBF quanto
affermato sopra. Possiamo schematizzare tutto ciò nel modo seguente:
in modo ÀUÎBÉ9ÄÆÅÍYÅóÈ¬Ê come la meccanica classica debba essere ðôÊ\Ì1Å dÍKÃpȬà per
stica, che ha, se non altro, il pregio della semplicità. Esso mostra anche
£)
è £) ¡ î ¤ - Bì « ½
¢
6 Z~ B «~ F ì
ñ
B
{
F r
nell’equazione di Schrödinger
70 Bú :ö ý ÿ ü&ö ö
In realtà, i CAQ sono
&
Z
sullo Z
vale naturalmente anche per i cammini di Feynman u
ö =Yú ö µö=û ÿ
Z
pianoOdei
cammini di Feynman (ciò
).
120
- 9 ]£) $£) § £) $£)
r
b
¡
£) H§ ¼ 9 £) £) î § Þ £) K§ ä £) º J£éBì « ì
¹
r
3 º
-
Õ
)
£ § ¼ £) £) £) º Ó£ Bì «
è 9 < è
rp
.-
Õ
in cui
ä £) è il cosiddetto ÉSÊpÈBÀÁÓÇÅ$Ã1ÄÀÖЯÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ )î
Sappiamo peraltro che la meccanica ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHà può essere espressa dalla coppia
di equazioni
£) § ¼ < £) ]£) î § Þ £) º Ó£ Bì «
¹
rr
3 º
-
Õ
§ ¼ «
è £) £) ] £) è £) º Ó£ Bì
r
.-
Õ
«7
p <
·
ò -
Õ
B F
H
Hó
che si ottiene ponendo £) º ª$! Ó )³ . È evidente che le eq. (5.86) e
è
(5.89) coincidono formalmente, mentre l’equazione ÐYÏJÃpÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃ di Hamilton-
. ½ò @
71 Questa circostanza è stata notata per la prima volta in: E. Madelung, Zeit. Phys. 40, 322
(1926).
72 D. Bohm, Phys. Rev. 85, 166 (1952).
73 Naturalmente (thVT ) è la distribuzione (classica) di probabilità sullo spazio delle configu-
razioni di (si tenga presente quanto osservato nella nota 79).
121
ÅóÁFÈÂÅ ÁSίÀ]ÍKÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
dallo dinamico di Ô (in virtù dell’eq. (5.87)), quindi la dinamica
quantistica differisce da quella classica.
Non ci nascondiamo che, a questo punto, il lettore (che ci abbia seguito
fin qui!) possa provare un certo senso di disagio, e per diversi motivi. Quanto
appena visto sembra essere in contraddizione con ciò che è schematizato
ЯÏSÃpÁFÈÅbÎÈÅÍKÃ
dall’eq. (5.82). Non solo, ma la formulazione a cammini aleatori pretende di
ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHà Á<Ê1Á
descrivere la dinamica facendo uso di un’equazione di Hamilton-
ЯÏSÃ1Á<ÈÅbÎÈÅÍKÃ
Jacobi ; però dalle eq. (5.85) e (5.88) segue che tale equazione
sembra essere valida in meccanica . Ed infine, abbiamo introdotto
il concetto di fluttuazioni quantistiche senza preoccuparci di discutere il loro
significato fisico.
ÍHÊpÁJÎKÅ ÎUÈBÀ¯ÁFÈBÀ
È un fatto notevole che l’eq. (5.61) – se usata per controllare i CAQ
attraverso l’eq. (5.63) – è perfettamente con l’eq. (5.85). Al fine
£) ˯ÃίÀ £) £) )ï
di comprendere come ciò sia possibile °
è conveniente considerare l’eq. (5.74).
Se indichiamo con la di 8 ± , è evidente che si ha @
ove
£) è la ËÃ1ίÀ dell’espressione ¦¯¦¯¦ . Sappiamo che £) soddisfa
°
ä
£) nell’eq.
l’eq. (5.85),
può essere vista qui come una ÍKÊ1ÁJÎYÀ¬¿pÏSÀ¯ÁªÇYà della
presenza di nell’eq.
£)(5.85) (5.91) – si noti che
£) º perché la
di
¸ ¦Z: per il RBF è una grandezza ÍKÊ1ðÒÉÄOÀÎHÎÃ .
¼
distribuzione di ampiezza
-
1
@9
ä £) – nasce proprio dal fatto che l’evoluzione dinamica clas-
Concludiamo che la differenza fra le eq. (5.61) e (5.85) – cioè la correzione
quantistica
sica è perturbata dalle fluttuazioni quantistiche di fondo. Si osservi che ritro-
viamo per questa via proprio l’eq. (5.82) (ciò prova la sua consistenza con
l’eq. (5.85)).
Ma allora, la dinamica quantistica è diversa da quelle Å ÁFÈÂÅóÁJίÀHÍHÃpðñÀÁFÈBÀ
classica oppure no?
.ö ÿ[ö
successivamente da D. Bohm e J. S. Bell:w D. Bohm, B. J. Hiley
Rep. 144, 321 (1987); J. S. Bell, JY OAÎJ X
(Cambridge University Press, Cambridge, 1987).
&Y OAÎJ
w
and
( .ö ÿ[ö ý ý\ü éö
P. N. Kaloyerou, Phys.
z O
75 Omettiamo per semplicità la dipendenza dalle variabili t VT perché irrilevante in questa
discussione.
pú
76 È gratificante constatare che, se avessimo cercato di simulare le fluttuazioni quantistiche di
fondo con un RBG, avremmo ottenuto ð #"%$
(thVT ) = 0. Ciò implica che si avrebbe
alcuna correzione quantistica alla dinamica classica!
122
nella quale ci si limita a considerare ÎÊ1ÄíȬÃ1Á<È¬Ê l’effetto ðñÀ]Ìp ÅÊ delle fluttuazioni
:
@@
ÅóÁFÈÂÅóÁJίÀHÍHÊ
l’equazione di Fokker-Planck (3.20) all’eq. (3.24) si è indotti a pensare che
˯Ã1ÄZÎÊ
le fluttuazioni classiche di fondo alterino in modo la dinamica del
ÎÊpÄÆȬÃpÁFÈ¬Ê ðñÀ]Ì1Å$Ê
processo. Ma sappiamo che ciò è : il termine diffusivo nell’eq. (3.20)
è £)
rappresenta l’effetto delle fluttuazioni classiche di fondo sulla
distribuzione di probabilità .
˯Ê1ÂðôÃ1ÄÀ
Osserviamo infine che le fluttuazioni quantistiche di fondo sono state
introdotte sulla base dell’analogia fra meccanica quantistica e teoria
}ÎKÅ$ÍHÊ
dei processi stocastici classici. È spontaneo chiedersi se esse abbiano un
significato G . Purtroppo, non sappiamo rispondere a questa domanda!
Bú
ragionamento appena fatto diventa più chiaro.
78
Anche se risulta impossibile attribuire un significato a tali fluttuazioni, esse sono
pú
pur sempre un utile espediente matematico
(in questo caso ci sarebbe alcuna
P
Z ö=ûBö
per quantizzare un sistema dinamico classico
fra fluttuazioni quantistiche di fondo e
RBF). Sottolineiamo che l’essere riusciti a schematizzare la dinamica quantistica secondo
.ö Yö ö=ü&ö ö
l’eq. (5.82) ci sembra un fatto notevole, che chiarisce la struttura concettuale della teo-
ria quantistica Y Z Z
fondo.
Z
dall’interpretazione delle fluttuazioni quantistiche di
123
con una, due e tre stelle il grado di difficoltà di ogni testo (facile, ðôÃpÈBÀ¯ðôÃpÈÅ$ÍHÃ
medio e difficile per un laureato in Fisica). Anche se questo criterio è inevita-
bilmente soggettivo, ci sembra che esso sia sufficientemente orientativo.
6.1 – ¸KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄÆÅdÌpÅ À ÁSðôÃ1Á»Å ÁòðñÀHÍHÍHÃpÁSÅ$ÍHÃëÐYÏJÃpÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃ
XÙ 8è
ÿ ? ÈI<è }A
«I Ù Jè «I߸ «I
181 (1975) .
W. J. Miller, ¢ÄíÃ1ÎHÎUÅÍKÃ1Ä }Å ð ÅÈ þÏJÃpÁFÈÏÓð@+ À]Í ÓÃ1ÁFÅͯΠ, J. Chem. Phys. 63, 996
þ 5 ? 8I
(1975) .
S. A. Albeverio and R. J. Hoegh-Krohn, + «I ÃpÈ SÀðôõÈÅÍKÃ1Ä) JÀHÊ1 Ê]Ë À ÁSðôÃ1Á
&ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ
mI Jè [Ù 8è
ÿ ? ÈI<è }A
#I;è A
C
D. Amit, dÅ$À¯ÄíÌ>) JÀ]Êp ^' À¯Á<Ê1ÂðôÃpÄZÅÇYõÈÅÊpÁLþÂ]Ê1ÏÉòÃpÁ<Ì ¢ÂÅÈÅÍKÃ1Ä_. SÀÁ<ÊpðñÀÁ<Ã
Ù mI Jè þ ÈI
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¸ A
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1987) A .
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ÉÙ }A
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