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Africa e Mediterraneo n.

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Introduzione. Le loro Afriche

di Giovanna Parodi da Passano

Qualunque valenza abbia la nozione di Africa in un sistema basato sullinterazione globale, sar
comunque qualcosa che anche parte di me. Ma se il concetto di africano deriva dallignoranza, allora
si tratta di un universo a cui io sono estraneo.
Okwui Enwezor
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In uno mondo come il nostro, multiculturale e orientato per lintensit degli scambi - da quelli
commerciali a quelli simbolici - verso un regime di diffusa contaminazione dei linguaggi, si profila
linterrogativo se lattitudine a identificare il prodotto darte sulla base di una specifica identit
territoriale o etnica non corrisponda a una lettura riduttiva, quando non alterata, della realt.
Per quanto riguarda il campo della creativit africana contemporanea, tanto pi giustificata si presenta
una domanda come questa, quanto pi agguerrite sul versante africano si mostrano oggi le posizioni
critiche da parte di suoi autorevoli esponenti (Enwezor 1996; Mudimbe 1988, 1991; Nicodemus 1995;
Oguibe 1995) nei riguardi di coloro che misurano la validit delle espressioni artistiche attuali in
relazione al criterio dellautenticit - intesa come ancoraggio espressivo dellautore alla tradizione
estetica del contesto dorigine - stigmatizzando come sterili imitazioni o copie tardive di modelli
occidentali quelle forme innovative che non conservino tracce di unappartenenza nativa.
Inoltre, con sempre maggior insistenza artisti, critici, collezionisti, curatori di musei e di mostre
sollevano il quesito di fondo di quanto sia motivato, o addirittura di quanto sia lecito, unificare
esperienze di qualit, provenienza e tipologie tanto disparate (quali le produzioni dellarte rurale,
urbana, accademica, artigianale, funzionale, turistica, neo-tradizionale e internazionale) dentro ununica
cornice, presentandole tutte sotto letichetta di comodo di arte contemporanea africana.
Tanto pi che, non di rado, come ci ricorda nel suo contributo Nicole Guez, sono gli stessi artisti
africani di respiro internazionale a rifiutare una simile collocazione - che in qualche maniera li
ghettizza - chiedendo di essere considerati come artisti contemporanei tout court.
E a interrogarsi, come fa lartista e critico Colin Richards, sulleffettiva possibilit di sbrogliare la
trama vischiosa di ci che fa locale, globale, indigeno, straniero (1999, p. 4).
Non soltanto per il fatto che numerosi autori di provenienza africana - correntemente definiti artisti
della diaspora - non vivono pi nel continente, ma fondamentalmente perch, oggi, sono le
demarcazioni e i contenuti delle categorie illusorie di autenticit e di africanit ad essere messi in
discussione e a confrontarci con discorsi complessi sia sul come si possano configurare spazi per
lautenticit nel contesto odierno, sia sul come districarsi nellintreccio di proiezioni e di false memorie
che gravano sul paradigma dellafricanit.
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Dal momento che, poich lAfrica in quanto area culturale omogenea non esiste - dato il mosaico di
etnie e di lingue, didentit e di origini, riscontrabile nella quasi totalit delle nazioni africane - le
generalizzazioni sullAfrica sono perlopi arbitrarie.
E dal momento che allorch si interviene in un mondo interconnesso, si sempre, in varia misura,
inautentici come evidenzia James Clifford (1993, p. 24) che si pone anche la cruciale domanda: Chi
ha lautorit di parlare in nome di una identit o unautenticit di gruppo? (1993, p. 20).
Inoltre, oggi, fra le interpretazioni pi avvertite del complesso quadro etnico africano si va affermando
una rilettura in chiave di logiche meticce (Amselle 1990) del concetto didentit culturale che, nel
postulare - per il presente come per il passato - dinamici scenari sincretici legati a rapporti di forze,
rifiuta la priori etnicistico(Colleyn 1998, p. 38) a lungo predominante in campo antropologico e
focalizzato in campo estetico sulla nozione di arte tribale.
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Larte africana contemporanea: territorio occupato?
La prevalente attitudine occidentale nei confronti dellarte africana non sembra per tener conto di
queste considerazioni e del fatto che la nostra posizione egemonica a determinare quelli che Olu
Oguibe nel suo scritto accusatorio definisce i confini della percezione entro i quali gli artisti africani
sono costretti a strutturare se stessi.
Sotto questo profilo lo spazio, pi mentale che geografico, evocato come Africa luogo emblematico
dellambivalenza che connota larticolazione della soggettivit allinterno degli spazi assegnati
dallOccidente alle creativit delle popolazioni esotiche.
Scrive Wole Soyinka nella prefazione al catalogo della mostra Contemporary African Artists:
Changing Tradition (1990, p. 9):
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Come, fra espressioni individuali cos pronunciate e ugualmente
ancorate nella variet dellesperienza africana, possibile definire lautenticit? Si pu prefiggere una
simile ricerca soltanto chi assume la posizione che la tradizione non cambia [...]. S, certamente esiste
una realt chiamata Africa, ma le entit creative allinterno del suo enigmatico humus - fecondo,
inquieto e proteiforme - fanno deflagrare la crosta di una presunta realt monolitica, invadendo la
stratosfera con le pi inusitate forme e tinte della visione individuale.
Se quindi ogni pretesa dindividuazione dellessenza univoca dellarte africana contemporanea
(Thomas McEvilley 1991, p. 269) non pu che trovare risposte elusive, dato che ogni tentativo di
disegnare il complicato volto della contemporaneit africana rimanda allacceso dibattito che ruota
intorno agli interrogativi sui processi che portano alla costituzione delletnicit e dellafricanit,
invece indubbio che la creazione artistica individuale si mostri oggi di unesuberanza e di una forza
espressiva sorprendenti in molte aree del continente e che, sia nei territori dorigine che in quelli della
diaspora, si registrino attualmente sviluppi di estremo interesse.
Tuttavia, malgrado tale effervescenza creativa, gli artisti africani, se pur relativamente conosciuti nei
loro paesi, restano in genere degli sconosciuti al di fuori di questi (Araeen 1989, pp. 12-13; Kinshasha
Holman Conwill 1990, p. 11).
Estranei ai tracciati di quellarena che viene convenzionalmente definita come il sistema dellarte
(Rosemberg 1965; Bonito Oliva 1976).
Marginalizzati, nonostante lemergenza del continuamente evocato processo di globalizzazione, che si
presenta anche in questo campo segnato da importanti differenziazioni interne; e nonostante il dato,
richiamato da Andr Magnin, di una presenza ormai consolidata sulla scena internazionale della
musica, della danza, della letteratura e del teatro africani.
La partita che si gioca attualmente fra il centro e le periferie sembra, infatti, avere come posta la
visibilit dellartista - le relazioni di Jolle Busca e di Everlyn Nicodemus sono centrate su questo tema
- il suo stare dentro o fuori in rapporto a un pianeta dellarte riservato agli iniziati, che continua a
privilegiare esclusivamente il lavoro degli artisti europei e americani (Elisabeth Lalouschek), che
impone i propri criteri di legittimazione e che negli ultimi tempi si andato sempre pi orientando
verso la pura ricerca.
In misura sempre maggiore, la visibilit di un artista dipende dal riconoscimento da parte della ristretta
lite culturale internazionale (Vettese 1998, p. 149) che stabilisce le regole del gioco, escludendo
coloro che non si tengono informati.
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Anche, ma non soltanto, per un desiderio dintegrazione nel campo di forze dellarte contemporanea da
cui si sentono respinti, presente nelle ultime generazioni di autori africani - pur nella consapevolezza
dellesigenza vitale per la loro creativit di reimpossessarsi della propria storia e di trovare percorsi
personali, appropriati ai contesti dappartenenza - il rifiuto di abitare lAfrica come un mondo a parte,
radicato in un territorio separato e monolitico, estraneo al proscenio artistico internazionale.
Sottrarsi alla riduzione esotizzante dellalterit frutto di una gestione post-colonialista che, per
riprendere le parole di Jolle Busca, relega larte contemporanea africana nella sua supposta
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africanit assimilandola in blocco alla dimensione artigianale di un espressionismo primitivo, non
facile impresa per gli artisti africani.
Pi contributi in questo dossier ne richiamano le difficolt, e si mostrano perentorie nel ribadirlo le voci
di due artisti africani: Everlyn Nicodemus che intitola il suo saggio Fuori dallinvisibilit, e Olu
Oguibe che parla di un artista africano cancellato, senza volto, indigeno anonimo.
Come denuncia Enwezor (1996, p. 39): Per gli artisti africani contemporanei che operano in tutto il
mondo, la posizione di rifiuto che precede la loro entrata e le loro limitate incursioni nel circuito
internazionale si presenta come una situazione ferocemente istituzionalizzata.

Il test dellautenticit
Enwezor non esita a parlare inoltre di dolorose scissioni fisiche e mentali derivanti dalla condizione
disolamento che grava su quegli artisti della post-modernit africana - sia coloro che se ne sono andati,
sia coloro che sono rimasti - che, sottraendosi allo stereotipo dellartista esotico, hanno sfidato quello
che lui definisce il test dellautenticit - lacerazione di cui si possono cogliere echi nei lavori di autori
come Bili Bidjocka, Ik Ud, Yinka Shonibare, Olu Oguibe, Folake Shoga, Kendell Geers, Antonio
Ole, Oladele Bamgboye, Lubaina Himid e Ouattara.
Ma, nonostante la consapevolezza del rischio di trovarsi emarginati, sono sempre pi numerosi i
creatori africani che - per evitare il risvolto di folclorizzazione insito in ogni ricerca delle radici - si
aprono ad avventure artistiche internazionali, tentando nuove linee di ricerca, sperimentando ogni sorta
di strumenti e di materiali, e integrando nel proprio lavoro tutti i mezzi despressione praticati dalle
esperienze contemporanee, fino alle ultime tendenze: video, concettuali e fotografiche.
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Ovunque oggi in Africa si affermano nuovi modi di elaborare le immagini e sempre pi frequenti vi si
segnalano itinerari creativi che intendono oltrepassare il determinismo etnico per incrociare i punti
nevralgici e confrontarsi con gli sviluppi significanti dellespressivit contemporanea.
La multiformit dellarte visiva che si riscontra nel continente fornisce importanti stimoli al formarsi di
una nuova visione del contatto culturale che tratta le specificit storiche e territoriali non come dati
intangibili, ma come prodotto di costanti rinegoziazioni didentit.
Il rifiutarsi di circoscrivere la propria vitalit artistica nellambito dellesigenza di mantenersi fedele ad
una genuinit spesso rispondente alle aspettative del nostro sistema promozionale e legata a una
immagine dellalterit di certo pi esportabile, ma non pi rilevabile nella realt africana di oggi - e
forse neppure di ieri - non significa necessariamente per un autore africano adeguarsi a formule
derivative dallOccidente senza apportarvi alcun contributo originale.
Recentemente Georges Balandier nella conferenza inaugurale dellappuntamento annuale della Socit
des Africanistes intitolato a Marcel Mauss, ricordava che nel loro passato di vicissitudini storiche le
societ africane hanno sempre dimostrato una vigorosa creativit, nonostante le violenze - ivi
compresa quella della tratta degli schiavi - e le prove che le popolazioni sono state costrette ad
affrontare (Balandier 1999, p. 263). Manifestazione di creativit tuttora riscontrabile: in maniera
spesso sorprendente, nonostante le attuali spinte allomologazione, il mondo africano, come evidenzia
lintervento di Blaise Patrix, continua a mostrare la sua originalit.
Annota Bernardo Bernardi (1998, pp. 212-3): Allappiattimento culturale causato dallomologazione
occidentalizzante, i pittori e gli scultori, come gli altri artisti africani, reagiscono tuttaltro che da
copisti. Tentano piuttosto vie nuove, basandosi sulle conoscenze e servendosi dei mezzi di cui
dispongono, pronti a confrontarsi con la critica.
Recentemente, in sintonia con le attuali tendenze internazionali dellarte, negli autori africani c una
forte ripresa dinteresse nei confronti di una delle aree tematiche maggiormente indagate - sullonda del
pensiero della ngritude di Aim Csaire, Lon Damas e Lopold Sdar Senghor - nellultimo periodo
della dominazione coloniale, quella dellidentit.
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E non soltanto del suo Dio che lAfrica stata privata, di s, di se stessa, che lAfrica stata
espropriata!
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(Aim Csaire 1973, p. 94)
Quando appare negli anni Trenta, la teoria della negritudine - di cui il primo Festival mondial des Arts
ngres svoltosi a Dakar nel 1966 ha costituito il punto culminante - apre una breccia nellordine
occidentale delle cose, da cui passa un rovesciamento di prospettiva: lesaltazione dellappartenenza
allumanit nera. I suoi propugnatori utilizzano levocazione astorica di unessenza profonda africana
come strumento di riscatto in opposizione ai valori occidentali: individui oppressi dalla colonizzazione
e dalla discriminazione razziale ridiventano produttori e non solo consumatori di civilt.
con la negritudine che, come sottolineano nei loro interventi Paul Faber e Simon Njami, finalmente
simpone una visione africana dellAfrica (Faber) e che per la prima volta sinverte il rapporto fra chi
osserva e chi osservato (Njami).

La costruzione dellidentit nelle nuove condizioni di relazionalit globale
Diverso, nellattuale scorcio di millennio, lorientamento degli artisti africani che esplorano lidentit.
Meno aderenti, nellarticolazione delle differenze, ad una percezione dicotomica poggiante su antitesi
convenzionali quali bianco/nero, occidentale/etnico, mondo sviluppato/mondo in via di sviluppo (Clive
Kellmer 1999, p. 3), e portati ad una rivisitazione meno essenzialista (Carrier, 1992) riguardo alla
valorizzazione dellalterit, mostrano una particolare considerazione per aspetti legati allevoluzione di
situazioni locali, storiche e culturali, contro, dentro e attraverso intricati e confusi contesti di
mondializzazione.
Accogliendo il suggerimento dellarticolo della Guez - che nel titolo riprende il binomio
idolo/distanza introdotto dal filosofo Jean Luc Marion - i due aspetti complementari e opposti
dellimmersione nella propria cultura (idolo) e del cammino transculturale (distanza) si possono
assumere come coordinate qualificanti di molte ricerche artistiche attuali.
Anche Paul Faber nella sua analisi ritiene che lassociazione di queste prospettive giochi un ruolo
determinante: Negli anni Novanta questa tendenza, la connessione tra locale e globale, si solo
diffusa e rinforzata.
La prevalenza accordata oggi al ruolo delle interazioni culturali e allassunzione di prospettive
dialettiche e dinamiche relativamente alla costruzione dellidentit e dellalterit, non pu non
condizionare gli artisti nella loro ricerca di sintesi autonome.
Nellattivit creativa, allesigenza di scambi con il circuito internazionale si affianca la necessit di non
perdere il contatto con la cultura dappartenenza.
Per molti di loro - come afferma nel suo contributo Gianni Baiocchi - il parlare agli africani
rappresenta il passo iniziale ed essenziale di un percorso che deve condurre a colloquiare con il
mondo.
La necessit di dialogare con il pubblico indigeno particolarmente viva negli esponenti dellarte
urbana - si segnala fra questi la nuova generazione di artisti della scuola di pittura di Tingatinga di cui
scrive Enrico Castelli - il cui lavoro, anche quando sollecitato da una committenza europea, si avvale di
un prelievo diretto dalla esuberante realt quotidiana della comunit locale africana.
Ma i pi sensibili oggi al tema della percezione identitaria e degli inevitabili rapporti di forza che si
manifestano nelle ibridazioni culturali sono senzaltro coloro che, non risiedendo pi nel continente
africano, si ritrovano esposti in misura maggiore a una condizione di sradicamento.

Popoli non pi minacciati dallo stivale, dalla spada, dal fucile o dalla dominazione bancaria dellEssere
occidentale, ma dallerosione delle differenze del loro genio, dei loro gusti, delle loro emozioni... del
loro immaginario.
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(Patrick Chamoiseau 1994, p. 394)
Anche nei percorsi artistici - contrassegnati dalla sovrapposizione di stimoli diversi, non pi
catalogabili come etnici o moderni - di chi vive in Africa, come del resto in tutti i paesi che hanno
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conosciuto la colonizzazione da parte dellOccidente, emergono frequentemente problematiche
dappartenenza, o di disappartenenza.
La rivendicazione di nuove identit individuali e collettive si presenta come asse di riflessione
predominante fra gli autori del Sudafrica - paese che esce da un cambiamento radicale ed oggi alla
ricerca di coesione e di una nuova immagine - impegnati nella non facile ricomposizione del
drammatico passato dellapartheid.
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tuttavia fenomeno generale unerosione dei modi consueti di definire lidentit, che obbliga gli artisti
ad uscire dalle maniere convenzionali di pensare se stessi, gli altri, il mondo.
La perdita di orizzonti stabili li porta a sondare territori di auto-identificazione fra passato e futuro
allinterno dei quali delineare, sul piano individuale e collettivo, politico, sociale e sessuale, altre
identit africane, al contempo originarie e inventive.
Lossimoro non privo di conseguenze: nelle forme pi avanzate delle arti visive - che, per la loro
stessa configurazione sono fra le pi idonee ad anticipare e ad interpretare le linee di forza di unepoca
- originali rielaborazioni delle Afriche di ieri rientrano vitalmente in gioco alimentando immagini del
vivere e del conoscere che prefigurano un futuro didentit miste e relazionali, ma non uniformate.
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Lo dimostrano alcune fra le voci pi sintomatiche della nuova africanit che, se da un lato rispondono
allesigenza di andare oltre lidentit etnica (Remotti 1996, pp. 60-61) nellaccezione di fissit culturale
assegnata allAfrica dagli Europei, dallaltro si nutrono di una ritrovata consapevolezza delle differenze
e rifiutano lomologazione alle tendenze occidentali.
Del resto, che attualmente la ricerca dellidentit non si configuri tanto come recupero - i contesti
rituali assiduamente ricercati dagli etnologi vanno perdendo sempre pi importanza oggi, emergono
tuttal pi come citazioni (Alfons Hug 1998, p. 96) - quanto come reinvenzione (Marcus e Fisher
1986, p. 24), ce lo indica lerompere sulla scena artistica africana di opere stilisticamente molto diverse
e con background molto diversi, ma che hanno in comune la prerogativa di restituire inediti sguardi sul
mondo.
Ne un esempio significativo la singolare architettura onirica di Bodys Isek Kingelez del Progetto per
la Kinshasa del terzo millennio, grande plastico dalle cromie sfolgoranti che affronta un tema ricorrente
della scienza - fiction - la citt utopica - utilizzando elementi dorigine multiculturale. Cartone, scatole
di fiammiferi, carta riciclata materializzano il carattere profetico della modernit attraverso un
linguaggio dalle accensioni ludiche e fantastiche, autonomo e transculturale.

Uno squilibrio fondamentale
Coinvolti in un gioco per la sopravvivenza ad armi impari (Oguibe), gli artisti prendono atto del fatto
che la globalizzazione uno spazio contraddittorio in cui la resistenza allassedio dellOccidente non
pu prescindere dalle risorse dellOccidente.
Non c oggi talento creativo africano che non si confronti in qualche maniera con uno schema di
identit imposte, rimosse o negate - conseguente alle implicazioni profonde del passaggio in Africa
degli Occidentali - ma anche di identit costantemente riformulate, ricostruite ed affermate, attraverso
modalit che testimoniano dellinventiva appropriazione dellOccidente da parte degli Africani.
Geertz a ricordarci che (1999, p. 25) ci ritroviamo in unera di ramificazioni in cui le identit che si
costituiscono, quali che siano, vedranno la luce e saranno negoziate a partire dalla differenza.
Nellodierno linguaggio dellarte si riversano le potenzialit espressive di tali complesse identit -
mosaico, cariche di riverberi e di prospettive.
Se quindi molta della ricerca estetica attuale si sviluppa intorno a nuove possibilit dellarticolazione
delle differenze nellambito di un territorio sorvegliato dalla critica euro - americana, e se in genere
gli artisti si mostrano modernamente ansiosi dinterrogare una realt allargata in cui gioca vistosamente
limpatto della modernizzazione, nondimeno vi unestrema diversit nella loro formazione e nelle
loro maniere di situarsi nei confronti del proprio retroterra culturale.
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La permeante presenza dellarte - in tutte le sue varianti, in tutte le sue connessioni, in tutti i suoi
moduli, in tutti i suoi stili - allinterno della societ e della cultura contemporanea africana ci confronta
con una realt che sfugge a una rigida classificazione.
Il carattere inquieto e proteiforme, per riprendere lespressione di Soyinka, dello scenario artistico
non ne facilita lanalisi critica.
Per orientarsi, due ordini di criteri, uno relativo allo stile e ai contenuti, laltro al contesto e alla finalit
dellopera, vengono prevalentemente adottati ai fini dellattribuzione del profilo di un artista in
rapporto a una delle tre principali correnti individuabili nellarte africana contemporanea: la tendenza
dispirazione tradizionale, il fenomeno dellarte popolare e lindirizzo cosiddetto modernista (Mudimbe
1991, p. 282).
Tale ricorrente contrapposizione fra segno tradizionale e segno moderno - dove allarte popolare
attribuito un ruolo di raccordo fra i due opposti indirizzi (Nicodemus) - in genere utilizzata ai fini
della classificazione di un autore,
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anche se oggi questottica di bipolarizzazione si rivela inadeguata a
cogliere tutte le sfaccettature di un paesaggio artistico poliedrico e movimentato come quello delle
societ africane.
Lidea di un ordinamento aperto e interconnesso delle forme darte forse il tipo di griglia pi indicato
per analizzare gli attuali linguaggi nei meccanismi di trasformazione e di negoziazione che mettono in
gioco, che sono i pi diversi.
E che, sul comune terreno di un presente di riscrittura delle differenze culturali, animano uno scenario
flessibile, frammentato e composito dove trovano collocazione sia lavvincente universo naf evocato
dalla Connaissance du monde dellautore autodidatta bt Frdric Bruly Bouabr (Costa dAvorio) -
le cui cartoline narranti danno liricamente vita a una memoria etnica ricostruita - sia esperienze
artistiche ancorate nel territorio, ma relazionate con un campo di segni che trascende il quadro etnico,
regionale, nazionale - come nel caso degli originali e potenti Mondi migratori dellartista Georges
Adagbo (Benin) - sia un presente di provocatoria contaminazione come quello che emerge dalle tele
polimateriche di Chris Ofili, nato a Manchester da genitori nigeriani e allievo del Royal College of Art
di Londra.
comunque il clima politico e culturale di una realt in transizione a stimolare maggiormente gli artisti
e a spingerli a investigare la gamma delle identit africane e le ragioni dei mali del continente.

Affermazione identitaria e fallimento dello sviluppo
Oggi larte africana si trova a una giuntura critica di fronte alla realt storica dellabuso e della penuria
conseguenti allo smacco del modello di sviluppo occidentale.
Nonostante le distinzioni nazionali, regionali e culturali e le diverse formazioni e inclinazioni personali,
uninteressante schiera di artisti, venuta alla ribalta negli ultimi due decenni, attiva nella critica
sociale e si confronta con i temi pi significativi della modernit - come la perdita di riferimenti
identitari, la colonizzazione degli animi, la paurosa espansione dellAids, la disastrosa amministrazione
economica, la corruzione, lurbanizzazione selvaggia, i tragici conflitti interni - portando le
contraddizioni dellodierna quotidianit africana nel campo delle arti visive.
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Larte di denuncia sociale affidata ad un arco di registri espressivi molto ampio, che va da un estremo
allaltro.
Dal linguaggio colto e denso di citazioni dei duri e coinvolgenti film danimazione ricavati da disegni
in bianco e nero del sudafricano William Kentridge, da cui sale uneco esistenziale profonda -
presentati nellultima Documenta di Kassel, ci mettono di fronte al carico di violenza e di dolore
dellapartheid e allinsanabile ferita aperta da ogni forma di razzismo - a quello popolare dei pittori
della scuola di Kinshasa, fra cui emerge Chri Samba, uno dei pi noti artisti africani contemporanei,
che usa un tratto realistico dimmediata accessibilit per la sua incisiva satira piena di colore, di
mordente e di humour.
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Fra i risultati pi degni di nota sul fronte della disamina del sociale si annoverano le opere della
corrente della nuova installazione africana che ha una delle sue voci pi significative nellangolano
Antonio Ole. Esponente di spicco (con, fra gli altri, Georges Adagbo e Romuald Hazoum del Benin,
Eva Obodo della Nigeria, Pascale Marthine Tayou del Camerun, e tutto un gruppo di Senegalesi, fra
cui Mustapha Dim, Serigne Mbaya Camara e Viy Diba) di quella vasta categoria di artisti che
dallenorme discarica di materiali di scarto e di relitti in cui si venuta trasformando negli ultimi
decenni unAfrica sempre pi segnata dalle guerre e dal fallimento economico attingono la materia
prima per il loro lavoro. Installazioni come le decostruzioni di Antonio Ole o le agglomerazioni di
Georges Adagbo, nel riproporre in sequenze esteticamente potenti i detriti dellOccidente,
demistificano il concetto feticcio dello sviluppo (Latouche 1997, p. 40) denunziando con forza il carico
di strutture inutilizzabili fondate sul modello europeo che gravano, non solo materialmente, sul
continente africano.
Accettata o respinta, leredit coloniale rimane una presenza mesmerizzante nei territori dellarte
africana.
E sebbene sia sempre opportuno ricordare, come fa Gianni Baiocchi (1999, p. 442), che dietro gli autori
africani non c il vuoto, ma secolari e talvolta millenarie tradizioni espressive, in linea di massima si
pu affermare che oggi non sia pi tanto in gioco il retaggio proprio di una determinata cultura
artistica, bens la tendenza del singolo autore ad affidarsi allessenza sintetizzatrice di una ricerca di
risorse nuove cui attingere.
Achille Bonito Oliva rileva che nelle aree artistiche non-occidentali non esistono pi dei modelli, delle
poetiche di gruppo che riproducano degli ancoraggi culturali collettivi: lopera lasciata
allimmaginazione del solo artista, senza alcuna garanzia di solidariet, dappartenenza sociale e
ideologica. La stabilit della poetica del gruppo fatta di precariet derivanti da un circuito
internazionale che sbriciola lidea di famiglia artistica o nazionale a profitto di una presenza solitaria
che lotta con altre presenze altrettanto solitarie. Lopera in lotta con altre opere, allinterno di un
sistema dellArte che ha superato le frontiere di ogni paese, impedendo cos ogni centralizzazione, ogni
punto di riferimento e di confronto (1998, p. 13).

Reinventare se stessi: la sfida delle nuove identit africane
Tuttavia, quella stessa perdita di certezze etniche ed etiche che accompagna ovunque la condizione
della modernit con la sua scorta di precariet dei confini culturali, e che apporta uniformit e
omologazione nei linguaggi creativi, si anche rivelata nelle periferie del mondo il terreno di coltura
dindividualit artistiche dal linguaggio innovativo e dagli esiti di eccezionale potenza e originalit. Ne
dimostrazione laffermarsi di un nuovo scenario dellarte africana in cui letnologia non gioca pi
alcun ruolo (Hugh 1998, p. 97), e le cui prove pi convincenti sono quelle in cui lartista non intende
misurarsi con un criterio di autenticit imposto dallesterno, ma che si delineano piuttosto come lo
sbocco creativo della tensione fra il sistema dellarte occidentale e coloro che ne sono tenuti ai margini
e che lo sfidano.
In effetti, come afferma Elisabeth Lalouschek, nel campo dellarte negli ultimi tempi sta radicandosi
una nuova coscienza e sta emergendo un nuovo ordine: quelle che erano le periferie di una volta
stanno per essere riconosciute come luoghi di eccellenza creativa.
Per quanto emarginate dalla dipendenza economica le culture africane cominciano a considerarsi non
come margini, ma come centri (McEvilley 1995, p. 45): pi segnali, allinterno della spettacolare
polifonia della espressivit africana attuale, ci indicano che la forza di rappresentazione di quelle nuove
indagini estetiche che inevitabilmente subiscono le strategie dominanti, ma che sembrano anche in
qualche modo resistere alla loro logica, potrebbe portare ad un ribaltamento delle regole del gioco.
Alla fine del ventesimo secolo comincia a farsi strada lidea che lAfrica possa essere laboratorio di
produzione di unestetica della post-modernit, cos come allinizio del secolo la rivelazione delle arti
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negre ha folgorato le avanguardie storiche europee, destabilizzando la nostra tradizione estetica, le
nostre certezze, il nostro immaginario.

Voglio trovare un altro centro del mondo, altri pretesti per dare un nome alle cose, altri modi di
respirare... (Sony Labou Tansi 1988, p. 3)

I contributi raccolti in questo dossier, concepito come un dialogo fra specialisti a diverso titolo
sullargomento - artisti, galleristi, collezionisti, esperti, critici darte, conservatori di museo, docenti
universitari - entrano nel cuore del problema da posizioni molto differenti, introducendo motivi di
riflessione importanti.
I loro contenuti ci inducono a riflettere in maniera non generica su questioni spesso genericamente
impostate, quali la modalit di apertura del sistema-arte alle esperienze artistiche altre (non eludendo
la domanda se e dove ancora si possano designare come tali) rispetto alla nostra; e luso corrente,
nellambito della critica darte euro - americana, della strategia del doppio discorso denunciata da
Okwui Enwezor (1996, p. 399) che assegna criteri di valutazione diversi e adattati allarte africana.
Il confronto fra gli interventi, dagli accenti talvolta - in particolare quelli degli autori africani - polemici
e taglienti, ma proprio per questo stimolanti, pi che fornirci risposte definitive in rapporto al quesito di
fondo se esista unentit definibile come arte africana contemporanea, ci fornisce un varco daccesso ad
un universo artistico versatile, mosso e provocatorio, pressoch assente fino ad ora in Italia dai luoghi
frequentati dalla critica darte contemporanea.
Ci auguriamo che altri continuino ad esplorare questo dinamico scenario i cui esiti sorprendenti
arrivano a sfidare, in pi di un caso, una nozione di arte che, come sappiamo, ha una forte identit
occidentale, e che, nel farlo, mettono in discussione la nostra stessa idea di Africa, trascendendo i
confini stabiliti dallinvenzione dellAfrica da parte degli occidentali (Mudimbe 1988, Said 1978).

La persistenza degli stereotipi
Sono i nostri schemi culturali inerenti alla nozione di africanit infatti a venire in genere assunti a
criterio di valutazione della produzione artistica attuale africana, che, pur muovendosi nelle pieghe di
una contemporaneit ibrida, complessa e contraddittoria - nella condivisione di un clima globale che si
manifesta in tematiche e linguaggi comuni agli artisti degli altri continenti - resta vincolata al confronto
con la ricerca di unessenza che non esiste: la cosiddetta autenticit.
Jean-Hubert Martin a sottolinerare che, nellincontro fra le periferie del Terzo mondo e lOccidente,
il discorso sullautenticit ai fini della legittimazione e della valorizzazione di determinati artisti
tradizionali indubbiamente influenzato dagli interessi economici. Del resto, come evidenzia Ugo
Fabietti (1995, p. 86): Il criterio di autenticit si presenta come un elemento funzionale allo stile
creativo occidentale, poich si pone come una garanzia del valore dellopera che, allinterno dello
stile di creativit occidentale, non pu che essere tanto estetico quanto economico.
Che lo sviluppo dellarte africana nel ventesimo secolo sia stato notevolmente condizionato, in termini
dinfluenza e di assistenza, dal mondo occidentale e dalla sua attitudine egemonica e paternalistica nei
confronti dellarte e degli artisti dellAfrica sub-sahariana - come ribadisce con forza Grace Stanislaus
(1990, p. 25), quando afferma: Lafricanit dellarte africana contaminata per lesposizione alla
formazione e alle idee occidentali - si presenta come un dato di fatto. E che una tale dipendenza oggi
riattivi frustrazioni identitarie che fanno nascere sentimenti di ostilit in chi la subisce lo rivelano senza
perifrasi lavori come quello che lartista ivoriano Yacouba Tour ha presentato a TENQ 96 -
esposizione alternativa alla Biennale di Dakar - che ci getta sulla faccia, scarabocchiate su una parete in
francese e in inglese, frasi come: Voi non sapete e Andatevene.
Tutta la produzione degli artisti contemporanei africani risente di questa impasse che da una parte
impone modelli esterni, dallaltra richiede allopera di un autore africano di estrinsecare una sorta
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didentit africana incontaminata, o quantomeno di mantenere il segno della tradizione africana, per
superare la dipendenza dai modelli importati.
Mentre, da parte africana, nella crescente ricusazione delle limitazioni che le etichette dellidentit
culturale impongono, il riemergere in molti artisti di una sensibilit per la propria cultura e per il
proprio passato sembra piuttosto rivelare lodierna esigenza di una ridefinizione delle nozioni stesse
didentit e di differenza e la necessit di una continua ricontestualizzazione della propria creativit, nel
rifiuto della rimozione della storia che si annida dentro ogni fenomeno di rivendicazione di autenticit.
Quello che molti autori africani - sempre pi consapevoli di come la loro memoria sia comunque una
ricostruzione di memoria su cui pesano lo sguardo e i fantasmi dellOccidente - perseguono oggi un
rapporto attivo e non regressivo con la propria tradizione culturale, che consenta allartista di forzare i
limiti impliciti nella nozione di africanit per affermare, come nel caso del pittore senegalese
Souleymane Keita: Sono aperto al mondo. Non voglio rinchiudermi in Africa (Stanislaus 1990, p.
26). Che poi la stessa posizione ideologica, del resto ampiamente condivisa, espressa pi
polemicamente da un altro pittore senegalese, Iba NDiaye, quando dichiara: Non ho nessun desiderio
di essere alla moda. Alcuni europei, in cerca di brividi esotici, si aspettano da me che serva loro del
folclore. Mi rifiuto di farlo - altrimenti esisterei soltanto come funzione delle loro opinioni
segregazioniste in merito allartista africano (Mudimbe 1991, p. 282). A riprova che ancora oggi.
LOccidente percepisce lAfrica attraverso il filtro deformante delle immagini stereotipate segnalato
dallo scritto di Martin.

La parola confiscata
Troppo spesso infatti il perimetro assegnato allafricanit dallOccidente riattualizza il discorso di
potere fra dominanti e dominati che, esautorando i legittimi rappresentanti, pretende di definire cos
lAfrica meglio degli Africani, il cui risvolto, come ci ricorda Dominique Blanc (1994, p. 59)
lassioma secondo il quale LAfrica sar sempre lAfrica e un artista africano il cui lavoro non si
distingua sul piano formale da quello del suo omologo europeo o americano non un buon artista
africano.
Alla luce di questa considerazione gli artisti africani si domandano quanto il mito dellautenticit non
costituisca unulteriore forma di colonizzazione da parte del mondo occidentale e in che proporzione
lartista vittima di questo gioco o ne diventa complice. E se da un lato sinterrogano sulla natura
contraddittoria di un rapporto fra opera darte e fruitore che sollecita il recupero di una maniera ormai
non pi vissuta di vivere la presenza dellarte allinterno della cultura e della societ; dallaltro
esplorano le potenzialit delle contraddizioni in cui vivono.
Resta comunque, per il permanere di un rapporto sbilanciato, un diffuso senso di frustrazione che si
pu leggere nel sentimento di vulnerabilit che gli artisti africani provano di fronte agli Occidentali
che collezionano arte africana nella stessa maniera in cui trattano titoli azionari di scarso valore (Spaid
1997, p. 51). E che - per riprendere la nota immagine di Enwezor (1996, p. 37) di territori occupati
inerente alla memoria e al corpo dellartista africano - acquistano a basso prezzo le opere africane
per poi rivenderle ad alto prezzo, non diversamente da come si faceva con le materie prime nei regimi
coloniali.
Largomento richiamato, nella sua problematicit, solleva pi interrogativi di quanti i brevi se pur densi
scritti qui raccolti possano risolvere, ma pi che mai opportuno cominciare a porseli.
innegabile che fino ad oggi nel confronto fra centro e periferia sia stato il primo ad avere la parola e
ad assegnare i voti: Il meccanismo della produzione di senso resta appannaggio del Centro fa
presente Simon Njami, accordando, non senza sarcasmo, la lettera iniziale maiuscola al sostantivo
centro. Per questa ragione il porre laccento sullidentit e sullalterit in relazione al rapporto fra
Occidente e Terzo mondo - come avvenuto fin qui nelle pi importanti esposizioni che hanno
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affiancato ad artisti occidentali artisti africani - pu contribuire a creare ulteriori equivoci in un campo
gi troppo segnato dallambiguit del rapporto fra il S e lAltro.
Cos come pu risultare rischioso mescolare in ununica rassegna - come non si farebbe per la
produzione europea o americana - le pi eterogenee prove dellespressivit attuale africana, senza
accompagnarle con un adeguato corredo introduttivo.
13

A mostre-pilota come Magiciens de la terre (1989) curata da Jean-Hubert Martin per il Centro
Pompidou di Parigi - ritenuta da alcuni specialisti tuttaltro che esente da carenze e oggetto di accese
critiche da parte di chi le imputa una prospettiva etnocentrica nellaccostare ad opere di artisti del Terzo
mondo prevalentemente naf, opere di artisti davanguardia estremamente sofisticati dei paesi
industrializzati - va lindiscusso merito di aver incentivato un allargamento dei confini dellarte oltre le
colonne dErcole del sistema dellarte euro-americano, ponendosi come un punto di snodo riguardo alla
tematica della societ multiculturale.
14

La sua risonanza ha indubbiamente contribuito ad accrescere lattenzione verso larte africana anche da
parte di appuntamenti storici e di grandi rassegne come la Biennale di Venezia e la quinquennale
Documenta di Kassel.
15

Poich, se vero che oggi la creativit africana attraversa un momento di grande portata innovativa e si
mostra singolarmente vitale (Faber) nonostante lopprimente cortina di silenzio che la circonda (Busca,
Nicodemus e Njami) e nonostante la cronica assenza di strutture e di sostenitori
16
- anche innegabile
che larte africana destinata a rimanere soggetta agli interessi e alle inclinazioni del mecenatismo
occidentale, fino a quando unaccresciuta visibilit sul piano internazionale non assicurer alle sue
prove espressive una diffusa veicolazione e una maggiore autonomia di volo.
I tempi sembrano maturi, ma non facile prevedere quando e come questo avverr.

... alla fin de sicle, ci troviamo nel momento della transizione in cui spazio e tempo sincrociano per
produrre figure complesse di differenza e didentit, passato e presente, dentro e fuori, inclusione ed
esclusione.
Homi Bhabha
Beyond the Pale: Art in the Age of Multicultural Translation

Giovanna Parodi Docente di Etnologia presso l Universit di Genova
Africa e Mediterraneo n. 2-3/99 (28-29)

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Note

1
- Daniel Pinchbeck, Okwui Enwezor: Documenta? La voglio intima, Il Giornale dellarte n. 174, febbraio 1999, p. 2.
2
- Folgorante, a questo proposito, linterrogativo con il quale Jean Genet introduce il suo dramma Les ngres (1958:15):
Una sera, un attore mi domand di scrivere una commedia da far recitare a dei Neri. Ma, che cosa un Nero? E,
innanzitutto, di che colore ?
3
- La mostra, curata da Grace Stanislaus per lo Studio Museum di Harlem, presentava opere di nove autori contemporanei
africani, prevalentemente di formazione accademica, ma dagli approcci molto diversi: El Anatsui (Ghana), Youssouf Bath
(Costa dAvorio), Ablade Glover (Ghana), Tapfuma Gutsa (Zimbabwe), Rosemary Karuga (Kenya), Souleymane Keita
(Senegal), Nicholas Mukomberanwa (Zimbabwe), Henry Munyaradzi (Zimbabwe), Bruce Onobrakpeya (Nigeria).
4
- Henry C. Finney ci ricorda che la definizione di un dentro e di un fuori in relazione al sistema dellarte
contemporanea pu essere appropriata, ma pu anche portare fuori strada. adeguata in quanto esistono gerarchie,
valutazioni accademiche dominanti e centri mondiali di arte che governano i modelli esistenti di autorevolezza, reputazione
e reddito fra gli artisti. fuorviante in quanto non esiste un solo mondo, ma ne esistono molti, alcuni dei quali si
sovrappongono, ciascuno con la sua gerarchia; e non c una sola, ma ci sono molte dimensioni di inclusione o di
permanenza allinterno di ciascuno di essi (1997, p. 73).
5
- Ne dimostrazione la recente mostra towards - transit, new visual languages in South Africa (Zurigo 1999), che espone
opere di artisti che fanno ampio uso della fotografia (Zwelethu Mthethwa), del video (Minnette Vri) e dellinstallazione
(Bongi Dhlomo - Mautloa e Berni Searle). Frutto di una collaborazione fra artisti sudafricani e svizzeri, towards - transit ha
trasferito per un mese (28 agosto - 25 settembre 1999) a Zurigo larte e gli artisti delle quattro principali citt del Sudafrica,
Johannesburg, Pretoria, Cape Town e Durban. Gli artisti chiamati a Zurigo non costituiscono uneccezione. Se vogliamo
considerare rappresentative - per quanto su questo punto possano sorgere delle perplessit per la schiacciante presenza,
soprattutto nel 96, degli artisti dell'Africa Occidentale e, in particolare, dei Senegalesi - le due ultime Biennali di Dakar
(96 e 98) consacrate, a differenza delle due precedenti, allarte contemporanea africana, troviamo una grande variet degli
orientamenti estetici di fine millennio sperimentati dagli artisti, a riprova che, come scrive Alfons Hug (1998, p. 93)
attualmente, nellarte contemporanea africana in atto una rivoluzione estetica inconcepibile fino a qualche anno fa. I
Africa e Mediterraneo n. 2-3/99 (28-29)


parametri tradizionali della pittura e della scultura cedono il passo alle installazioni radicali.
Nelle due ultime Biennali di Dakar infatti i linguaggi adottati dalle arti visive non si limitano alla pittura e alla scultura, ma
si avvalgono di molte delle tecniche e delle strategie concettuali che connotano la contemporaneit. Cos che se, fra le altre,
si possono citare le presenze per la scultura Ndou Owen e Freddy Ramabulana del Sudafrica, Barthlmy Toguo del
Camerun; per la pittura figurativa Mthethwa Zwelethu del Sudafrica, Luis Meque dello Zimbabwe, Chri Samba dellex
Zare oggi Repubblica Democratica del Congo, Ibrahima Kebe del Senegal, Sadou Beyson Zoungrana del Burkina Faso,
Cyprien Tokoudagba del Benin, Godfried Donkor del Ghana, Carlos Tchale Figueira del Capo Verde; per la pittura astratta
Fod Camara, Viy Diba e Amadou Leye del Senegal, Tibna Dagnogo e Tamsir Dia della Costa dAvorio; si trovano
anche ampiamente rappresentati artisti che lavorano con le tecniche del collage e dellassemblaggio come Abdoulaye
Konate e Ismael Diabate del Mali, Chuckley Vincent Secka del Gambia, Pascale Marthine Tayou del Camerun, Sam
Nhlegegtwa del Sudafrica, Willie Bester del Sudafrica; larte optical con Boubacar Boureima del Niger; con linstallazione
come Serigne Mbaye Camara, Moustapha Dim, El Hadji Mansour Ciss del Senegal, Pat Mautloa del Sudafrica, Fernando
Alvim dellAngola, Dominique Zinkpe del Benin, Kadjo Godfried del Camerun, Aboudramane Doumbouya della Costa
dAvorio, Antonio Ole, dellAngola; con la fotografia come Ousmane Ndiaye Dago del Senegal, Gaspard Vincent Tatang
del Camerun, Rachle Crasso Babhi, Hien Mcline e Edith Taho della Costa dAvorio, Oladele Ajiboye Bamgboye della
Nigeria.
6
- Mentre la prima generazione di artisti dopo lindipendenza aveva privilegiato altri temi, non sentendosi pi moralmente
obbligata, al contrario dei suoi predecessori vissuti sotto il giogo coloniale, ad esplorare la natura dellidentit africana
(Spaid 1997, p. 50).
7
- Aim Csaire fa pronunziare queste parole a Patrice Lumumba nel dramma Une saison au Congo.
8
- _ Se da un lato tale recriminazione, tratta dal romanzo Texaco, ci comunica lo sconforto di Chamoiseau, cantore epico
della vita e dei sogni della sua gente, di fronte al rischio della cancellazione della memoria storica dei Neri caraibici, daltro
lato proprio dalla presenza di un intreccio di culture particolarmente variegato che limmaginario creolo e il linguaggio
incantatorio e mobilissimo di questo autore traggono la loro linfa vitale.
9
- Le due prime Biennali di Johannesburg (1995, 1997) hanno introdotto un cambio di percezione nella relazione nord -
sud.
10
- A questo proposito indicativo loriginale mlange di lingue che compare nel titolo Africus Biennale della prima
Biennale di Johannesburg (1995).
11
- _ Secondo una tale impostazione, gli autori che, come Souleymane Keita (Senegal) e Ablade Glover (Ghana), praticano
uno stile astratto, sono giudicati rappresentativi della tendenza modernizzante; altri che, come il nigeriano Bruce
Onobrakpeya, pur rivolgendosi alla realt contemporanea, teorizzano la funzione dellarte nella societ moderna come
veicolo per affermazioni etniche e culturali mediante una riattualizzazione del patrimonio estetico tradizionale, vengono
situati in una posizione intermedia; altri ancora che, profondamente radicati nellAfrica rurale, fra questi livoriano
Aboudramane, sidentificano con il proprio retaggio culturale e ricercano il segno di una continuit nelladesione formale
del loro linguaggio artistico a specifici idiomi etnici - come nel caso dello scultore yoruba Lamidi Fakeye - sinscrivono
nellorientamento dispirazione tradizionale.
12
- Tale nuova considerazione per i fenomeni sociali stata messa particolarmente in evidenza dalla rassegna Seven Stories
About Modern Africa, che, curata da Clmentine Deliss alla Whitechapel Gallery di Londra nel 1995, presentava i lavori di
artisti provenienti da sette paesi africani: Sudan, Etiopia, Nigeria, Senegal, Sudafrica, Uganda e Kenya.
13
- La mostra Africa Explores. 20th Century African Art, prodotta dal Center for African Art di New York nel 1991 da
Susan Vogel con la collaborazione di Ima Ebong, nonostante adotti un criterio di questo tipo, ha comunque rappresentato un
appuntamento di rilievo nel mondo dellarte africana contemporanea per lautorevolezza dei contributi in catalogo (Walter
E. A. van Beek, Donald John Cosentino, Ima Ebong, Bogumil Jewsiewicki, Thomas McEvilley, V. Y. Mudimbe) e per la
ricchezza dei suoi contenuti.
14
- Anche se, in effetti, negli anni60 70 - caratterizzati anche nei paesi africani, da poco usciti dallamministrazione
coloniale e impegnati in uno sforzo di costruzione di una coscienza nazionale, da una politica governativa di patrocinio nei
confronti dellarte e degli artisti che porta alla costruzione di musei nazionali, di gallerie e di scuole darte - numerose
mostre di arte contemporanea africana si svolgono in America e in Europa, nessuna equivale quanto a irradiamento ai
Magiciens de la terre.
15
- Il primo artista africano contemporaneo invitato a LLA SEZIONE APERTO DI VENEZIA E STATO Venezia Fathi
Hassan (NATO IN EGITTO Egitto E attivo da anni in Italia (in Aperto 88, XLIII Biennale). {Quanto allAfrica
subsahariana, la Biennale HA POI ospitaTO { per la prima volta} nel 1990 artisti africani contemporanei della Nigeria e
dello Zimbabwe nella mostra A Changing Tradition allestita al Padiglione Italia da Grace Stanislaus dello Studio Museum
di Harlem. Uno spazio allAfrica riservato anche da Documenta IX (1992) di Jean Hoet; ma in particolare, la XLV
Biennale (1993), curata da Achille Bonito Oliva e ruotante attorno ai Punti Cardinali dellArte, a dare un grande rilievo alla
creativit sudafricana con la rassegna Incroci del Sud, dislocata in diverse sezioni della Mostra a Venezia e in seguito
Africa e Mediterraneo n. 2-3/99 (28-29)


portata alla Sala 1 di Roma, diretta da Mary Angela Schroth. Purtroppo, come lamenta la Busca, LAfrica la grande
trascurata dellultima edizione della Biennale, la XLVIII, curata da Harald Szeemann.
16
- Non esiste nessuna possibilit di paragone fra la situazione della maggior parte dei paesi dellAfrica e quella dei paesi
occidentali (anche di quelli fra i meno sensibilizzati come il nostro) in quanto a presenza dellarte contemporanea nei musei,
gallerie, rassegne, e nel campo dattenzione dei critici e dei collezionisti

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