sassolini Gianni Credit luned 23 giugno 2014 Un banchiere centrale parla poco, il meno possibile. Commenta le sue decisioni (non sempre) in conferenze stampa stringate. Quando deve, pronuncia interventi ufficiali davanti a capi di Stato, governi, parlamenti, G-20. Si concede, qualche volta, una lectio in una grande universit. Unintervista non n un peccato, n un reato: ma quando il banchiere centrale vi ricorre - come ha fatto Mario Draghi nei giorni scorsi - quasi mai pu essere classificata nella routine. Scorrendo la conversazione fra il presidente della Bce e lolandese De Telegraaf, non difficile coglierne lo spunto: lesito del voto europeo di quattro domeniche fa lascia preoccupato il pi importante tecnocrate europeo, il custode tecnico della moneta unica. E non pu certo essere tranquillo, Draghi, nellosservare da Francoforte il ridisegno di un euro-parlamento infarcito di nuovi gruppi populisti, euroscettici o addirittura eurofobi. N linquilino dellEurotower pu essere rassicurato nel vedere quali tensioni si siano accumulate attorno alle scelte per i nuovi posti-chiave della Commissione Ue: le pressioni di un parlamento che da Strasburgo per la prima volta vuol far pesare le sue nuove prerogative istituzionali contro gli eurocrati di Bruxelles; le spinte della sinistra europea (e in prima fila c il premier italiano Matteo Renzi) per un superamento dellemergenza economico- finanziaria fortemente marcata dal moderatismo germanocentrico di Angela Merkel; non da ultimo gli strappi centrifughi di Londra, che nella candidatura del popolare lussemburghese Jean Claude Juncker vede tutti i freni continentali della rinascita della City come piazza finanziaria globale. Nel corso di questa turbolenta vacatio, Draghi e il vertice Bce non sono peraltro rimasti in attesa a guardare i politici litigare. Il tasso di riferimento stato abbassato quasi a zero ed stato introdotto un tasso negativo sui depositi presso la Bce. Sono state impostate nuove manovre di rifinanziamento del sistema bancario per sostenere il credito ed stato delineato un quantitative easing alleuropea, che peraltro non ha ancora il disco verde, dentro e fuori la Bce. E nel dibattito entrata a gamba tesa il direttore generale del Fmi, la francese Christine Lagarde, per la quale la Bce pu fare di pi per stimolare la ripresa nelleurozona. In concreto: pu utilizzare con pi decisione la leva monetaria e - soprattutto - potrebbe mostrare maggior accondiscendenza per un euro pi debole e quindi pi competitivo. Ma alla fine poco importa se le critiche alla gestione delleuro vengono dalle frange estreme dellelettorato europeo o da un ex ministro francese installato a Washington, candidato per un attimo alla successione a Barroso al vertice della Commissione Ue. Il problema - non ha potuto che ribadire Draghi - politico e il pur consistente potere indipendente del banchiere centrale non raggiunge la discrezionalit politica del consiglio dei capi di Stato e di governo dellUe o dellEurogruppo. Lo statuto della Bce - il pi importante derivato dei Trattati di Maastricht del 1991 - affida alla Bce la difesa delleuro (da cui indietro non si torna, anzitutto perch ha retto benissimo alla prima grave crisi). Difesa interna entro linflazione del 2% (non il problema di oggi, anzi). Difesa esterna, e questo certamente il problema odierno, ma Draghi ne rammenta ancora una volta la portata politica assai pi che tecnica: nessun outright monetary transaction da parte della Bce di per s in grado di accendere e accelerare la crescita se la politica fiscale dellEuropa continua a essere improntata allausterity e i mercati ne sono (a ragione) convinti. Di pi ancora: nessun stimolo monetario e creditizio pu funzionare se lUe viene percepita allinterno e allesterno come una comunit di creditori e debitori sempre pi separati e ingabbiati da nuovi muri. Ed su questo terreno che Draghi indulge in battute parecchio giornalistiche: quando rammenta agli europei del Nord che la Grecia ha oggi un costo del debito pubblico inferiore a quello del Belgio. O che negli Stati Uniti lOklahoma storicamente debitore e lo Stato di New York creditore allinterno del sistema federale del dollaro, ma nessuno se ne accorge o lamenta. La stoccata finale per le banche dei paesi ricchi (non nominati, ma sono Francia, Germania, Belgio e Olanda) che si sono salvate grazie alleuro. Oltre, Draghi sa di non potersi spingere nel mostrare le unghie e nel togliersi sassolini: il gioco politico di una moneta tecnicamente ben costruita e mantenuta dei leader democratici. Che per non possono dar la colpa al banchiere centrale se stagnazione, deflazione e disoccupazione continuano a mordere in modo diseguale 400 milioni di europei. Riproduzione riservata.