Beruflich Dokumente
Kultur Dokumente
Senesi a tavola : la memoria della cucina: storie di fame e di fate, tra sogni e
bisogni
***************
Libreria DellOrso
2004
Collana:Saperi e sapori
ISBN: 88-7415-018-0
***************
Introduzione
L'immagine che fin dal Medioevo si ha di Siena mediata, bene o male, da quello
che stato tramandato dagli scrittori senesi stessi e dai loro pi implacabili
rivali, i fiorentini. A queste considerazioni generali non sfugge nessun aspetto
della vita civile della citt. I senesi, com' noto, venivano considerati dei matti
per aver costruito una torre comunale sottile e d'altezza vertiginosa. Come se non
bastasse, secondo i loro avversari, passavano il tempo a cercar la Diana, il mitico
fiume sotterraneo che, secondo le leggende, scorreva sotto la citt, o a
progettare, persino, un ponte per unire San Domenico e il Duomo. Sintomi chiari di
pazzia e Dante vide bene di bollare gli abitanti con l'appellativo di gente vana .
D'altra parte, se il ceto dirigente della citt si lanciava dietro a progetti che
all'esterno apparivano folli, che dire allora del modo di vivere dei figli di
alcuni dei cittadini pi ricchi e influenti, intenti a dilapidare i patrimoni
familiari per guarnire le loro pietanze con costosissime spezie? Spese ingenti che
costarono a questi scapestrati una citazione nel XXIX canto dell'Inferno.1
L'eccesso sembra, dunque, caratterizzare la prima manifestazione pubblica della
cucina senese, ma non bisogna tacere l'opposto. Se la brigata spendereccia si era
specializzata nel cucinare i cibi costosissimi, Caterina Benincasa2 si distingue
per il difetto opposto, per il rifiuto di nutrirsi. Il rigetto costante del cibo, e
d'ogni gratificazione ad esso connessa, che accompagna e contraddistingue la santa,
costituisce l'altra sponda che segna il mondo medievale senese. Tra l'eccesso e il
difetto, tra la fame e l'orgia di cibo, rappresentati dalla santit e dalla gola,
vive il resto della gente che abita gi in citt o che cerca di ripararsi dentro le
mura per liberarsi dal giogo della gleba, come ci racconta Bindino da Travale, che
dopo aver parato i maiali lungo la Cecina si rifugi in citt divenendo aiuto dei
pittori che affrescarono San Domenico, e amico di potenti che confidarono alle sue
rime gli avvenimenti politici di quegli anni.
Si citato, non a caso, Bindino perch la sua attivit non sar tanto quella di
pittore ma di preparatore di vernici per la pittura. Se la cucina familiare cercava
la nutrizione non rinunciando ai piaceri procurati dagli odori e dai sapori, la
cucina di Bindino privilegiava i colori. Elementi tradizionalmente conosciuti del
mondo vegetale, animale e minerale subivano dentro la sua officina la
trasformazione necessaria a dare alla scuola senese la sua impronta nel tempo. La
bottega in cui preparava le sue miscele, in fondo, deve essere stata una bottega
non molto diversa da una cucina.
La citt significa libert e lavoro ben remunerato. In una popolazione per lunghi
periodi vicina al limite di sussistenza un guadagno maggiore dava la possibilit di
mangiare di pi. Tuttavia non era solo un problema di quantit. Ai cicli economici
si accompagnava anche un'evoluzione del gusto derivato da nuove conoscenze e da
nuovi prodotti. Il mondo piano piano si allargava e riversava idee e alimenti nuovi
sui mercati di tutto il mondo.
pomodoro.
Altri piatti di pane della tradizione senese e toscana che affiorano immediatamente
alla memoria sono:
ACQUA COTTA
Ingredienti per 4 persone
2 litri d'acqua
2 cucchiai d'olio
1 cipolla
Sale
Pepe
2 foglie di sedano
Peperoncino
2 pomodori
200 gr. di pane raffermo
Preparazione
Nell'acqua salata si versa la cipolla tagliata a fette, si aggiungono le foglie di
sedano, i pomodori, il peperoncino e si cuoce il tutto per circa un quarto d'ora.
Si versa il brodo cos ottenuto sul pane raffermo. Si condisce con olio, sale e
pepe a piacere.
ZUPPA DI FAGIOLI
Ingredienti
200 gr. di fagioli lessati
2 cucchiai d'olio
1 cipolla
Sale
Pepe
Peperoncino
3 pomodori
100 gr. di bietole
2 foglie di cavolo
2 foglie di sedano
1 carota
200 gr. di pane raffermo
Preparazione
Si soffrigge la cipolla. Si mettono i pomodori, i fagioli gi lessati (met interi
e met passati), si aggiungono ancora bietole, sedano, cavolo, carota, peperoncino
e si cuociono per circa mezz'ora in acqua salata. Quando il brodo pronto si versa
sulle fette di pane raffermo. Si condisce con olio e pepe a piacere. Per chi non si
preoccupa dell'alito si consiglia di completare il piatto con la cipolla, cruda e a
fette sottili.
V
isto che nella cucina il segreto non buttare via niente ricordiamo che dalla
preparazione della zuppa di fagioli deriva un piatto, ormai diffusissimo anche da
noi, la ZUPPA LOMBARDA, che consiste nel versare su delle fettine di pane secco,
dopo aver aggiunto sale, pepe, olio e aceto, l'acqua di cottura dei fagioli.
PANZANELLA POVERA
Ingredienti per 2 persone
300 gr. di pane raffermo
1 cipolla
Qualche foglia di lattuga
2 foglie di sedano
Peperoncino
2 pomodori
1 cetriolo
Olio
Sale
Pepe
Aceto
Preparazione
Si prende il pane raffermo e si mette nell'acqua. Quando il pane zuppato si
strizza bene, si sbriciola, poi si mettono lattuga, pomodori, sedano, cipolla e un
cetriolo (a chi piace), tutti tagliati a listellini. Si condisce con olio, sale,
pepe, peperoncino e aceto.
ZUPPA DI CAVOLO NERO
Ingredienti per 4 persone
2 litri d'acqua
1/2 cavolo nero
2 salsicce
50 gr. di lardo
50 gr. di cotenne fresche di maiale
8 fettine di pane casereccio
Aglio
Prezzemolo
Formaggio grattugiato
Sale
Pepe
Preparazione
Togliere le foglie esterne pi dure al cavolo, sciacquarlo accuratamente e
tagliarlo a listerelle. Soffriggere in una pentola di terracotta un battuto di
lardo, salsicce spellate, prezzemolo tritato e aglio schiacciato. Aggiungere il
cavolo, le cotenne lessate e ridotte in striscioline, il sale e il pepe. Versare
l'acqua e lasciare cuocere a fuoco basso per 60 minuti a pentola coperta. Disporre
le fettine di pane casereccio grigliato nelle terrine, ricoprire col cavolo appena
preparato e spolverare con formaggio grattugiato.
ZUPPA DI FUNGHI
Ingredienti per 4 persone
1 cipolla rossa
2 coste di sedano
2 carote
500 gr. di funghi
1,5 litri di brodo
1 cucchiaio di farina di frumento
200 gr. di pane casalingo raffermo
1 spicchio d'aglio
Olio d'oliva
Sale
Pepe
Preparazione
In una pentola rosolare in olio gli odori tritati finemente, spolverare di farina,
unire i funghi tagliati a pezzetti, salare e pepare. Versare subito il brodo e
portare a cottura a fuoco moderato. Far tostare il pane in forno e strofinarlo con
uno spicchio d'aglio da un lato. Disporre le fette in una zuppiera e versarvi sopra
la minestra, continuare con gli strati di pane ed il liquido. Servire il tutto ben
caldo.
T
ra le minestre di pane metterei anche la minestra di fagioli o quella di ceci. In
effetti, pur trattandosi di brodo vegetale e nonostante ci fosse un po' di pasta
tra i commensali, non mancava mai chi aggiungeva un paio di fette di pane tagliate
a pezzi.
MINESTRA DI CECI (O DI FAGIOLI)
Ingredienti
200 gr. di tagliatini fatti in casa o pasta in quantit equivalente
300 gr. di ceci
2 pomodori
1 rametto di rosmarino
Peperoncino
Aglio
Sale
Olio
Preparazione
Per farli ammorbidire si mettono i ceci in bagno, in acqua calda, con un cucchiaino
di bicarbonato per circa otto ore. Poi, dopo averli lavorati in modo da togliere
tutte le bucce, si mettono a cuocere.
Quando i ceci sono sbucciati e cotti, a parte si prepara una pentola in cui si
versano tre cucchiai d'olio, uno spicchio d'aglio, i pomodori, il peperoncino e il
rosmarino. Si fa insaporire e poi si aggiungono i ceci, si fanno cuocere un quarto
d'ora in questo sugo, si passano, si aggiungono due litri d'acqua salata, i
tagliatini fatti in casa o la pasta e si fanno bollire per circa due minuti.
Per la minestra di fagioli la ricetta la stessa ma non prevede il rosmarino (a
volte la salvia).
MINESTRA CON LA RICOTTA
Ingredienti per 5 o 6 persone
Olio
Aglio
Sale
Conserva di pomodoro
300 gr. di ricotta
200 gr. di pasta
Preparazione
Si soffrigge nell'olio l'aglio e poi la ricotta, in genere di latte di pecora. Si
fa rosolare e poi si aggiunge la conserva di pomodoro, il sale ed acqua quanto
basta per cinque o sei persone. Quando il condimento raggiunge il color nocciola
il tempo di buttare la pasta, in genere spaghettini corti.
La minestra a brodo
In campagna vicino a Chiusdino, in un inverno di quelli freddi, il capoccio di uno
di questi poderi, ritornando a casa, s'accorse che le pecore erano libere per i
campi. Arrabbiato, and a cercare il garzone ma lo trov svenuto ai piedi di una
quercia. Lo prese e lo port a casa. Lo rivestirono con panni caldi, prepararono lo
scaldino per lo scaldaletto e poi, quando fu tutto pronto, lo misero sotto le
lenzuola. Ma il ragazzo non stava bene e allora, la mattina presto, andarono a
chiamare il prete.
Il dottore costava.
Dato che veniva il prete, la padrona tir il collo ad una gallina e prepar un bel
infatti, costituiva da sola quasi tutta la base alimentare delle classi meno
agiate. Che fosse la polenta di mais o la polenta di castagne, come capitava
nell'Amiata e nelle Colline Metallifere, sempre polenta era.
La dieta quotidiana, oltre alla polenta, prevedeva minestre di verdura. La carne
non c'era quasi mai. Il maiale, qualche coniglio e qualche pollo erano le uniche
proteine, che tuttavia erano riservate agli ospiti di riguardo e ai vicini, o ai
lavoratori ad opre , che venivano ad aiutare la famiglia nei periodi di maggior
lavoro, come la segatura . Senza dimenticare che molti di questi animali venivano
venduti per avere un po' di liquidit.
Vorrei ricordare che tra i tanti racconti che si tramandavano per mettere in
ridicolo gli abitanti di Montieri, il paese degli sciocchi per antonomasia, nelle
province di Siena e Grosseto e, in parte, di Pisa, ce n'era uno che narrava proprio
di quando ai Montierini venne a noia la polenta di castagne, la polenda dolce . Le
storie narrano che a quel povero prete gli ci volle una processione fino al poggio
di Montieri, durata un giorno intero, a digiuno e con un sacco sulle spalle, per
convincere i suoi parrocchiani a ricominciare a mangiare la polendina . Ma ad Orgia
la raccontano in modo diverso. Dicono che i Montierini fecero quella processione
perch speravano che il Signore gli facesse la grazia [...] di poter gustare la
polenta con lo stesso piacere che si prova nel mangiare una gallina .4
POLENTA DOLCE
Ingredienti
Acqua
Farina di castagne
Sale
Preparazione
La polenta dolce la polenta di farina di castagne. Prendete un paiolo di rame o
una pentola capace. Fate bollire dell'acqua leggermente salata e versateci tutta
insieme, in proporzione di mezzo chilo per litro, la farina di castagne che
ricoprir completamente l'acqua. Infilate al centro del paiolo un bastone di legno;
toglietelo e dal foro lasciato dal bastone uscir a fontana l'acqua bollente. Con
lo stesso bastone cominciate subito a mescolare velocemente, con forza e senza
interruzione, in senso rotatorio, in modo da non formare grumi. Se vedete che la
polenta risulta troppo dura, aggiungete acqua bollente. Sempre mescolando fate
cuocere per oltre mezz'ora. A fine cottura, con un mestolo bagnato d'acqua, cercate
di riunire la polenta al centro del paiolo staccandola il pi possibile dalle
pareti. Poi rovesciate il paiolo sulla spianatoia in modo che la polenta si
depositi tutta insieme, assumendo la tipica forma. Tagliatela a fette con un filo.
Si mangia calda o fredda e, in quest'ultimo caso, anche abbrustolita o fritta
successivamente. ottima da sola oppure con ricotta o formaggio fresco.
Le minestre di castagne: i biscottini
Mangiate lesse e arrosto in autunno, le castagne erano poi seccate. Una parte,
tuttavia, non veniva macinata ed era lasciata per preparare i biscottini , una
minestra di castagne aromatizzata con il finocchio, dolcissima, nonostante qualche
cucchiaiata di sale.
BISCOTTINI
Ingredienti
Acqua
Sale
Castagne secche
Finocchio
Preparazione
Pulite le castagne secche, o vecchioni, dei residui di buccia. Sciacquatele appena
in acqua corrente e mettetele in una pentola con acqua fredda un po' salata. Fatele
bollire per varie ore a fuoco moderato, aggiungendo del finocchio selvatico.
Mangiatele, calde o fredde, col cucchiaio assieme alla loro acqua che buonissima.
Le collitore
Quando si arrivava alla stagione delle castagne, tutto il paese si mobilitava ma le
braccia non bastavano mai e allora dai paesi vicini, che c'invidiavano quella
ricchezza, arrivava un esercito di ragazze per guadagnare due lire per il corredo e
per uscire qualche giorno di casa.
Allora non c'erano gli strumenti tecnologici odierni. La radio era soltanto in
canonica e nella casa del fascio. La situazione rimase la stessa anche
nell'immediato dopoguerra, fino agli anni Cinquanta. Se si voleva sentire un po' di
musica bisognava ricorrere ai musicanti , le persone che sapevano suonare qualche
strumento. D'altra parte per trovare un musicante non c'erano problemi. Anche nel
posto pi sperduto, nel paese pi piccolo, non mancavano dei volenterosi che
fondavano una banda chiamata, invariabilmente, Filarmonica G. Verdi . Se si voleva
ballare, dunque, e l'arrivo delle collitore era l'occasione attesa un anno,
bisognava trovare un musicante. Se non c'era disponibile qualche professionista
della fisarmonica si trovava sempre qualcuno che, per pochi centesimi, si
sobbarcava il compito di accompagnare i ballerini con un organetto. Cos a turno,
una sera per uno, i poderi che, durante il giorno, vedevano il lavoro continuo di
decine di ragazze, si trasformavano in sale da ballo. Il musicante, seduto sulla
madia, suonava due o tre walzer, gli unici che conosceva ma poi, quando la
capoccia, che controllava dal canto del fuoco, cominciava a dormire, dall'organetto
cominciavano ad uscire le note di un tango nonostante il prete, dall'altare, avesse
condannato pi volte tutti i balli, specialmente quelli pi moderni e scandalosi.
Il ballo era l'avvenimento atteso e ci si preparava per tempo. La sera, dopo aver
finito di lavorare, queste ragazze con le mani screpolate dal freddo e piene di
spine, si lavavano alla meglio, davano una stiratina al vestito delle feste, sempre
il solito. N potevano sperare di comprarne un altro con i guadagni di quella
stagione. A parte il vitto e l'alloggio, spettava loro, dopo quasi un mese di
lavoro, solo un sacco di castagne secche e uno staio di marroni. Se poi si
trattenevano per il ruspatoio ottenevano anche un paniere o due di marroni. Il
ruspatoio era il periodo in cui, finita la raccolta tradizionale, le collitore pi
brave erano mandate di nuovo a cercare le castagne che erano rimaste nascoste nella
prima raccolta.
Le ragazze, dunque, si preparavano. Si mettevano due mollette in testa per
mantenere la piega dei capelli e cominciavano ad aspettare l'arrivo dei ragazzi,
che a quell'ora erano impegnati in un compito analogo.
In genere in campagna, durante l'estate, si mangiava tardi ma la cena seguiva un
po' il corso dell'anno, cos in autunno inoltrato, alle sette si era gi a tavola.
In quei pochi minuti in cui si aspettava la minestra, i ragazzi si lavavano, chi
nella tinozza chi nella catinella, dopo essersi contesi con i fratelli l'acqua
calda del paiolo che bolliva sul focolare. Il momento centrale dell'operazione era
dato dalla lucidatura delle scarpe, o degli stivali, per chi se li poteva
permettere, con un pezzo di lardo rancido, la sugna.
Qualche mamma, guardando il figliolo che si lavava con tanto impegno, non poteva
fare a meno di pensare, con un misto d'orgoglio e di gelosia, a quanto aveva dovuto
penare pochi anni prima per riuscire a lavarlo appena appena.
Chiss che cosa sar venuto in testa, in quei momenti, alla mamma di Sergio, quando
lo vedeva strofinarsi a pi non posso con un bel pezzo di sapone da panni,
ripensando a quella volta, in quinta elementare, in cui aveva dovuto presentarsi a
scuola con tinozza, spazzola e sapone per riuscire a lavarlo dopo una settimana
d'inseguimenti senza risultato?
Intanto, mentre ci si preparava, c'era una guerra che serpeggiava tra i maschi e le
loro fidanzate. Molte delle ragazze del paese dovevano lavorare nelle loro case e
non sempre avevano il permesso di uscire la sera, per questo tentavano con ogni
mezzo di impedire ai loro fidanzati di andare a ballare. I ragazzi dovevano attuare
una strategia che permettesse loro di mantenere il legame vecchio e consolidato e
nello stesso tempo li mettesse in grado di evadere il controllo. Solo cos
avrebbero potuto partecipare ai balli, con la possibilit di fare qualche
conquista. Le collitore , d'altra parte, non erano ragazze facili. Certo, erano
fuori casa e non avevano i freni della famiglia, ma, insomma, venivano dai paesi
vicini e non avevano intenzione di far arrivare alle orecchie dei loro parenti voci
sgradevoli sul proprio conto, perci le ragazze libere potevano anche rischiare
qualcosa ma quelle fidanzate dovevano essere molto prudenti. C'era tutto un gioco
che permetteva queste unioni volanti che, in genere, non lasciavano strascichi. La
maggior parte dei fidanzamenti non andava avanti e tutto finiva l. Solo qualche
ragazza, ma erano casi veramente rari, tornava a casa in stato interessante. Molto
pi spesso ritornavano dalle loro famiglie con un po' di castagne, un po'
d'esperienza e la sensazione di aver vissuto una storia che era stata bella proprio
perch, da tutte e due le parti, si era capito che sarebbe finita presto.
Ricordiamo in onore delle donne che raccoglievano questi frutti del bosco e che
sapevano, a differenza di Cappuccetto Rosso, evitare i lupi, alcuni piatti di
castagne oltre le minestre e la polenta gi ricordati. Innanzitutto le arrostite,
le castagne lesse e poi il castagnaccio. La differenza tra i vari tipi di castagne
e tra castagne e marroni influiva, naturalmente sulla qualit del prodotto finale.
Le castagne lesse ( le ballocce )
Fare bollire le castagne in acqua salata con qualche foglia di alloro oppure con
rametti di finocchio. Volendo, si possono sbucciare le castagne prima di cuocerle.
Le arrostite ( le frogiate )
Se volete fare le bruciate occorre la padella bucata. Dovete castrare le castagne,
cio fargli un taglio nella buccia, e porle a cuocere nella padella mescolandole
spesso. Quando sono cotte aumentate il fuoco e fate bruciacchiare la buccia. Poi
rinvoltatele in un cencio di lana e lasciatele riposare per 10 minuti. Un modo pi
raffinato di gustare le bruciate quello di metterle a bagno per una mezz'ora,
dopo averle pulite e un po' schiacciate, in vino rosso vecchio.
CASTAGNACCIO
Ingredienti per 6 persone
400 gr. di farina dolce di castagne
100 gr. di zibibbo o uvetta
50 gr. di pinoli (sgusciati)
6 noci
Rosmarino
2 cucchiai di zucchero
Poca scorza d'arancia
Olio d'oliva
Poco sale
Preparazione
Setacciate la farina dolce e mettetela in una zuppiera. Aggiungete lo zucchero, un
pizzico di sale, un cucchiaino di scorza tritata e mezzo litro abbondante d'acqua.
Rimestate bene in modo da ottenere una pastella liquida e senza grumi. Aggiungete
un paio di cucchiai d'olio e lasciate riposare per circa un'ora. Ungete una teglia
e versateci la pastella (non deve essere alta, massimo un dito). Cospargete la
superficie con foglioline di rosmarino, l'uvetta ammollata, i pinoli e le noci
sgusciate e spezzettate. Versate due cucchiai d'olio e cuocete in forno caldo per
circa 40 minuti.
La pasta: i tortelli
A Sandrino capitava di rado di poter mangiare i tortelli, il piatto per eccellenza
dei giorni di festa. Vicina di Sandrino era la Barazzola, una vecchietta con cui
condivideva la passione per tutto quello che poteva passare per la gola.
Un giorno Sandrino aveva ricevuto in regalo una bella ricotta e aveva chiesto alla
Barazzola di fargli i tortelli. Il patto, vecchio ma sempre rinnovato, prevedeva
che Sandrino mettesse gli ingredienti, cio farina, ricotta, uova e poi olio e
carne per il sugo. Le verdure non erano necessarie perch al posto delle bietole,
da veri raffinati, andavano a scegliere foglia per foglia le migliori erbe di
campo.
La Barazzola a sua volta doveva preparare il sugo e l'impasto, stendere la pasta e
preparare i tortelli.
Il tortello maremmano un gran raviolo alle erbe. Quattro tortelli fanno gi una
discreta porzione ma per la Barazzola e Sandrino le porzioni normali non avevano
senso. In genere non mangiavano mai meno di 30/40 tortelli ciascuno, che era come
dire quattro o cinque porzioni abbondanti, ma quella volta il patto salt
definitivamente perch, con la scusa di assaggiarli per vedere se erano cotti, la
Barazzola ne mangi una ventina mentre bollivano contando sul fatto che Sandrino
non se ne sarebbe reso conto. Sandrino invece lo scopr e pretese una porzione
maggiore. Cos, litigando fino all'ultimo, mangiando i tortelli direttamente nella
pentola, rubandoseli l'un l'altro, fin la societ tra Sandrino e la Barazzola.
TORTELLI
Ingredienti per il ripieno
500 gr. di ricotta fresca
700 gr. di bietole
700 gr. di spinaci
Sale
Noce moscata
Pepe
Ingredienti per la sfoglia
3 uova
500 gr. di farina
1/2 bicchiere d'acqua
Sale
Olio
Preparazione
Pulire le verdure e bollirle separatamente in acqua salata, colare e far
raffreddare, strizzare con le mani, porre la verdura strizzata su un tagliere,
tagliuzzarla finemente. Mettere la ricotta in una terrina con sale, pepe, noce
moscata e mescolare bene. Aggiungere all'impasto la verdura e mescolare molto, fino
a rendere il tutto omogeneo. Preparare a parte la sfoglia con uova, farina, sale e
qualche goccia d'olio, tagliare la sfoglia a quadrati di circa 8-10 cm di lato. Al
centro d'ogni quadrato mettere un cucchiaio d'impasto e ricoprire con un altro
quadrato, premendo bene con le dita. Porli appena fatti su un tovagliolo spolverato
di farina. Bollire in acqua salata, tirarli su e posarli in un piatto di portata.
Condirli con cucchiaiate di sugo e infine spolverare con pecorino.
SUGO PER I TORTELLI
Ingredienti
1 cipolla media
1 mazzetto di prezzemolo
1 gambo di sedano
Qualche foglia di basilico
Sciala Mechino t'ho cotto un uovo dice un vecchio proverbio per indicare la
miseria. Se Mechino si poteva considerare un signore il giorno che riusciva a
mangiare un intero uovo, viene da domandarsi che cosa mangiava il resto dell'anno.
Bisogna ricordare le condizioni di miseria della gente comune dell'Ottocento e dei
primi del Novecento per comprendere l'importanza e la diffusione di queste due
paste poverissime: i tagliatini e i frascarelli, quest'ultima in due versioni, una
delle quali contiene, appunto, le uova.
FRASCARELLI I
Ingredienti per il brodo
Olio
Aglio
Rosmarino
Sale
Conserva di pomodoro
300 gr. di fagioli lessi
Peperoncino
Preparazione
Si fa soffriggere l'aglio, il rosmarino e il peperoncino nell'olio, poi si
aggiungono fagioli lessi, conserva di pomodoro e un litro d'acqua. Si sala quanto
necessario, lasciando ritirare il brodo, poi si passa il tutto.
Ingredienti per la pasta
200 gr. di farina
acqua
sale
Preparazione
Si fa uno strato di farina, si stende, poi si prende un po' d'acqua e si comincia a
schizzare sulla farina in modo da creare dei piccoli grumi che vengono lavorati con
le mani. Ottenute queste piccole briciole, si passano nello staccio lasciando
passare la farina. Quello che rimane sono i frascarelli, che a questo punto vengono
cotti nel brodo di fagioli precedentemente preparato, avendo cura di evitare che i
grumi di farina si appiccichino l'un l'altro.
D
i questo antichissimo piatto, precursore della pasta secca, diamo anche una
variante che prevede l'uso delle uova, un alimento non sempre disponibile nel
bilancio delle famiglie.
FRASCARELLI II
Ingredienti per il brodo
Aglio
1 litro d'acqua
1 uovo
Peperoncino
2 pomodori
Sale
Preparazione
Si prende uno spicchio d'aglio e lo si fa rosolare. Quando rosolato si aggiungono
i pomodori e si fa insaporire. Si aggiunge l'acqua e si sala il tutto. Vi si
cuociono i frascarelli e quando il tutto quasi raffreddato si sbatte un uovo con
un po' di peperoncino e si aggiunge prima di servire nei piatti.
Sandrino abitava in uno dei paesi delle Colline Metallifere. Una mattina del luglio
del '44 si ritrov a dover scappare davanti ai tedeschi in ritirata. La vita
innanzitutto aveva pensato buttandosi a capofitto gi per le scale. Ma proprio quel
giorno era riuscito, dopo tanto, a trovare una gallina e stava aspettando con ansia
che il brodo fosse pronto quando cominciarono a cadere gi colpi di cannonate
mentre le case saltavano come se fossero state di carta. Sandrino, con un grande
atto d'eroismo risal in casa, prese la pentola del brodo e corse senza voltarsi
indietro, inseguito dai colpi d'artiglieria e dalle schegge delle bombe che
cadevano da tutte le parti. Fu cos che con questa pentola in mano si fece un paio
di chilometri senza guardare. Quando si ferm al podere, solo allora si accorse di
avere in mano solo il manico della pentola, perch una scheggia aveva risparmiato
lui ma non la gallina.
Povero Sandrino, gli vennero le lacrime agli occhi. Se avesse perduto un familiare
non si sarebbe sentito cos disperato come di fronte alla perdita di quel pranzo,
sognato da settimane.
Non inseriremo la ricetta del lesso che troppo diffusa, preferendo, invece,
citare quella del lesso rifatto, in omaggio alla capacit delle generazioni passate
di riuscire, utilizzando gli scarti e gli avanzi del pranzo, a preparare dei cibi
di buona qualit.
LESSO RIFATTO
Ingredienti
Lesso avanzato
Cipolla
Pomodori pelati
Olio
Sale
Preparazione
Come dice il nome, si tratta di riutilizzare
brodo, cosa che avveniva, in genere, durante
nell'olio e poi si aggiungono i pomodori, il
ricuocere fino a quando il pomodoro non si
U
n buon lesso merita come degna compagna una salsa. La pi semplice e forse la pi
buona la salsa verde.
SALSA VERDE
Ingredienti
Aglio
Prezzemolo
Acciughe
Dragoncello
Capperi
Pinoli
Ovo sodo
Sale
Olio
Preparazione
un trito d'aglio e olio con capperi, prezzemolo, acciughe senza lisca, uovo sodo
e poco sale. Qualcuno aggiunge anche i pinoli e qualcun altro della mollica zuppata
nell'aceto e strizzata. Per amore di completezza si ricorda che esiste una variante
pi povera senza uovo, capperi, pinoli e pane zuppato nell'aceto, ma con l'aggiunta
del dragoncello.
tutte queste ragioni gli strumenti della cucina avevano dimensioni diverse dalle
nostre. La padella delle famiglie pi grandi, ad esempio, era talmente grande che
ci volevano due persone per girarla. Secondo i parametri dell'epoca, era pi larga
di una ruota di bicicletta: Pi grossa d'una ventotto! Anche le abitazioni erano
grandi, a cominciare dalla casa , la stanza che serviva da cucina e da sala da
pranzo e da cui si accedeva a tutta una serie d'altre stanze, dalle camere ai
granai. Il luogo centrale della casa era dominato dal focolare su cui, estate e
inverno, c'era un fuoco che non si spengeva mai. Cercando sotto la cenere, la
mattina presto, appena alzata, la capoccia trovava sempre qualche tizzone con cui
ricominciare un nuovo giorno.
In queste famiglie, dunque, fare una frittata per cinquanta persone non era poi una
cosa straordinaria. Se poi si voleva una frittata particolarmente nutriente, ma che
oggi ci apparirebbe molto grassa, si chiedeva una frittata con gli zoccoli. Gli
zoccoli erano fatti con il rigatino , tagliato a pezzi molto alti, come il tacco di
uno zoccolo, appunto. Cominciava allora un cenino fatto a base di generose fette di
pane, pezzetti di frittata e bicchieri di vino. Tra urla e spinte, quei maschi che
erano stati a guardare, senza riuscire a fare un ballo, riuscivano ad avere il loro
quarto d'ora d'attenzione.
Quell'interruzione che i ballerini, all'inizio, non avevano per niente gradito ora
diventava un'occasione eccezionale per dare una spinta decisiva al loro tentativo
di conquista. In quella confusione, mentre c'era una sorta d'arrembaggio al vino e
alla frittata, e i filoni di pane, due chili l'uno, sparivano a grandi velocit e,
soprattutto, mentre la capoccia girava per dare qualcosa a tutti e prendere anche i
soldi per le uova, il pane e il vino, le ragazze, trascinate fuori, per la verit
senza grandi sforzi, si trovavano dietro la casa con il ragazzo. In genere, dopo
tante proteste e molte promesse, almeno un bacio ci scappava. Cominciava cos una
delle mille storie che soprattutto nell'immediato dopoguerra dettero il senso della
fine di una tragedia e della vita che, con gioia, ricominciava.
FRITTATA CON GLI ZOCCOLI
Ingredienti per 4 persone
100 gr. di rigatino
4 uova intere
Olio
Sale
Pepe
Preparazione
Tagliare a tocchetti il rigatino e soffriggerlo con poco olio. Dopo aver sbattuto
le uova con sale e pepe, versarle in padella con olio bollente. Cuocere da entrambe
le parti e servire calda.
C
' un'altra frittata conosciuta solo localmente ma che meriterebbe una larga
diffusione. Anche in questo caso si tratta di una ricetta diffusa nei comuni senesi
al confine con le province di Pisa e di Grosseto, nella fascia che va da San
Gimignano a Monticiano. Si tratta della frittata di ricotta.
FRITTATA DI RICOTTA
Ingredienti per 4 persone
200 gr. di ricotta di pecora
4 uova intere
Olio
Sale
Pepe
Preparazione
Dopo aver sbattuto le uova con sale e pepe, si aggiunge la ricotta e si amalgama
bene. Quindi si versa il tutto in olio bollente. Cuocere da entrambe le parti e
servire calda.
FRITTATA DI VITALBE
Ingredienti per 4 persone
6 uova
300/350 gr. di vitalbe
Olio
Sale
Preparazione
Le vitalbe sono delle erbette che non si trovano nel negozio. Si devono raccogliere
nei cespugli. Raccogliete le vitalbe, lavatele e tagliuzzatele. Cuocetele in una
padella con dell'olio. Quando le vitalbe sono cotte, scolatele dall'olio. Mescolate
in una ciotola le uova, le vitalbe e il sale. Prendete una padella, versateci
dell'olio. Quando l'olio bollente, versate le uova e le vitalbe e cuocete. Quando
la parte sotto della frittata cotta, giratela e cuocete l'altra parte.
Cap. IV
PESCI, RANE E CHIOCCIOLE
Ricorriamo ancora una volta alle fiabe non per parlare del pasto antropofago dei
maghi o delle streghe e nemmeno per ricordare l'immaginario regno di Bengodi dove
le montagne sono fatte di formaggio grattato mentre sulla cima un enorme pentolone
vomita continuamente maccheroni che si caciano rotolando fino alla pianura.
Vogliamo, invece, utilizzare la raccolta di novelle senesi di Marzocchi per
introdurre un argomento, il pesce, che in Toscana non esiste . Storicamente,
infatti, il pesce non fa parte della nostra cultura gastronomica perch il mare non
il nostro elemento. I toscani stanno nell'entroterra, niente li porta sull'acqua.
Il laghetto di S. Antonio, nella piana di Monteriggioni, come nel Grossetano il
lago dell'Accesa, vicino a Massa Marittima, contengono poca acqua ma sufficiente ad
alimentare, nei secoli, racconti di citt e paesi scomparsi nei gorghi. Persino i
nostri pescatori non sono toscani di origine, come ad esempio quei pochi che, a
cavallo tra Ottocento e Novecento, trasformarono Castiglione della Pescaia, un
borgo arroccato intorno alle antiche fortificazioni, in un villaggio di pescatori.
Si trattava di gente che conosceva gi il mare e proveniva dal basso Tirreno o,
addirittura, dall'Adriatico.
Senza mare non c' n pesca n pesce. Per secoli, le nostre coste e le nostre isole
sono state in mano alle galee saracene. La Toscana non ha fiumi tali da supplire a
quest'abbandono del mare, che ritornato nostro solo negli ultimi secoli. D'altra
parte, nessuno dei tre fiumi della regione, Arno, Ombrone, Cecina, che sono modesti
rispetto ai grandi fiumi europei, offre un percorso significativo nel territorio
senese. Secoli d'isolamento hanno fatto s che sparisse dai nostri riferimenti la
grande distesa d'acqua salata e che, insieme con lei, fosse sommerso persino il
linguaggio che le si riferiva. Siamo di fronte, dunque, ad una cultura popolare che
si mostra indifferente rispetto al mare, del cui mondo ignora persino il
vocabolario, come si capisce dal lavoro di Marzocchi, il giovane fiabista senese
che non ha tralasciato di riportare alcuni termini popolari usati per definire il
mare e tutto ci che vi vive dentro o vicino. Ci sono due novelle nelle quali le
narratrici, dovendo indicare la pinna o le pinne dei pesci, adoperano termini
adatti agli uccelli: alina, aline.24 In un'altra novella il plurale ossini 25 viene
impiegato, impropriamente, per indicare le lische dell'anguilla.
Il mare, dunque, nell'immaginario degli informatori non una sconfinata distesa
d'acqua ma si riduce, pi modestamente, alla dimensione di un ruscello o poco pi.
In Il Pesce d'oro , ad esempio, protagonista della novella un principe che,
trasformato per un incantesimo in un pesce, vive la sua nuova condizione in un
fiume. Nel racconto Lo zufolo fatato si narra che i protagonisti, Giannone, la
moglie e il figlio, dopo essere stati scaraventati in mare [...] entrarono in una
corrente che li port ad un mulino. 26 Difficile pensare ad una comunicazione tra
la gora del mulino e la grande distesa d'acqua, ma l'immagine, sbagliata
geograficamente, si giustifica, tuttavia, se si tiene conto della cultura dei
narratori che non conoscevano il mare.
Una Toscana agraria, dunque, e con uno spazio, quello senese, ancora pi terricolo
del resto della regione. Ovvio che in quest'ambiente, dove persino la lingua ignora
i termini marinari, il pesce non sia al centro di nessuna attivit e tanto meno
della cucina. Questo isolamento campagnolo, tuttavia, viene rotto ben presto,
almeno per quanto riguarda le mense dei pi ricchi, dall'arrivo dai mari del nord
del baccal, uno dei primi prodotti a comparire sulle mense della gente comune pur
non appartenendo al nostro universo produttivo.
Stoccafisso e baccal
La parola baccal , ormai, indica sia il baccal propriamente detto, sia lo
stoccafisso . In effetti, il pesce sempre lo stesso - il merluzzo - anche se,
talvolta, con stoccafisso si comprendono anche i naselli essiccati. La differenza
tra baccal e stoccafisso non consiste dunque nella tipologia del pesce ma nel modo
di conservazione. Basta sillabare stoccafisso (in inglese stockfish, bastone di
pesce) per comprendere, dalla stessa etimologia, la tecnica di conservazione usata.
Per diversi secoli, fin dai tempi dei vichinghi, infatti, i pescatori norvegesi
hanno lasciato che l'aria seccasse il merluzzo pescato. Quando, invece, il pesce
prende il nome di baccal, vuol dire che per conservarlo non si usa pi
l'essiccazione ma il sale.
Il merluzzo cos trattato, pur originario del nord Europa, nel corso dei secoli ha
avuto una tale diffusione nel sud del continente tanto da divenire un piatto
etnico, comune a diverse citt d'Italia e dei paesi della sponda nord del
Mediterraneo. vero che in Italia pi diffuso il merluzzo salato di quello
seccato, tuttavia nello scegliere bisognerebbe ricordare che il prodotto finale non
lo stesso perch baccal e stoccafisso si distinguono per caratteristiche, gusto,
costo e preparazione.
Il fatto che lo stoccafisso sia pi costoso del baccal nonostante quest'ultimo,
ormai, si trovi nei negozi gi messo ammollo, prima di essere venduto, dovrebbe
farci riflettere sull'acquisto. Tutto dipende dal fatto che il pesce pi piccolo
pi gustoso di quello grosso e lo stoccafisso, infatti, un pesce intero, ma
piccolo, completo di ossa e pelle che danno il caratteristico colore grigio. Per
questo ha un aroma pi delicato del baccal. Per il baccal, invece, si usano dei
merluzzi pi grandi che vengono tagliati in filetti.
Diamo qui di seguito alcune ricette di baccal - ma realizzabili anche con lo
stoccafisso - che pur affini a quelle dell'area fiorentina e pisana, se ne
discostano per alcuni particolari su cui si fonda la specificit locale.
BACCAL IN UMIDO
Ingredienti per 4 persone
600 gr. di baccal ammollato
2 spicchi d'aglio
Prezzemolo
2 pomodori freschi
Olio d'oliva
Farina
Sale
Preparazione
Asciugare bene, con un panno, un pezzo di filetto di baccal che sar stato
lasciato ammollo per ventiquattro ore. Infarinarlo e friggerlo in padella con
parecchio olio, dopo essersi assicurati che sia abbastanza asciutto. A parte, in
un'altra padella, viene soffritto un trito d'aglio, cui vanno aggiunti i pomodori.
Mettiamo il baccal gi fritto e, dopo aver aggiunto il sale, lo facciamo cuocere
nel pomodoro lentamente per mezz'ora. Prima di toglierlo dal fuoco, all'ultimo
momento, lo cospargiamo di prezzemolo.
Per chi ha problemi di digeribilit, si mettono a cuocere nel sugo i pezzi di
baccal senza friggerli. Naturalmente il sapore, rispetto al precedente, un'altra
cosa.
P
rima di abbandonare il baccal e lo stoccafisso dobbiamo ricordare, per quanto
ovvio, che:
- Il baccal troppo salato per utilizzarlo immediatamente. Per questo deve essere
lasciato ammollo per almeno due giorni (qualcuno arriva a cinque), provvedendo a
cambiare spesso l'acqua per assicurare che il sale in eccesso venga espulso. Solo
allora pu essere pronto per entrare in qualcuna delle ricette che lo vedono
protagonista.
- Lo stoccafisso molto secco e ha un'apparenza legnosa. Deve essere battuto con
un pestello di legno per rompere la sua tessitura fibrosa prima di essere lasciato
ammollo, come il baccal, per un paio di giorni.
BACCAL LESSO COI CECI
Ingredienti per 4 persone
600 gr. di baccal ammollato
Ceci
Limone
Olio d'oliva
Sale
Pepe
Preparazione
Si lascia ammollo nell'acqua, per una notte, un bel pezzo di baccal bianco. Poi lo
si lessa in acqua bollente e, infine, si taglia in quattro o cinque pezzi. Al
momento di servire condirlo con olio di oliva extravergine toscano, limone e pepe.
A parte si preparano i ceci: si mettono ad acqua fredda con sale e si fanno cuocere
per parecchie ore dopo essere stati ammollo per un lungo periodo. Se i ceci sono
molto resistenti si aggiunge del bicarbonato nell'acqua in cui cuociono. Si servono
caldi, appena pronti, aggiungendo olio e pepe.
Le aringhe
Il baccal un cibo popolare, diffuso in tutto il paese, e tuttavia c'era un pesce
che ancor pi di questo rappresentava il cibo dei poveri, il cibo della Quaresima
che per molti durava tutto l'anno. Si tratta dell'aringa, che nell'uso popolare
regionale assunse presto il nome di salacca , termine che accomunava aringhe e
altri pesci di scarso pregio, che si consumavano salati o affumicati. Il termine
passato dalla gastronomia alla lingua per definire una persona magra e patita.
Infine, poich le salacche erano cibo da poveri, il modo di dire campare con le
salacche , diffuso anche oggi, soprattutto in alcune regioni del Nord, voleva dire
vivere miseramente. In Toscana rimasta l'espressione dare una salacca con il
significato di dare un colpo forte e si riferiva alla forma del pesce che, una
volta affumicato e secco, diventava una specie di bastone al pari dello
stoccafisso.
Legato alle aringhe c' un racconto, ripetuto mille volte. Una storia vera,
centrata su un cibo cos misero che sembra messo l solo per richiedere
l'intervento urgente delle fate, le uniche in grado di sostituire la povera mensa
ad un passo dal castello di Celsa. Il prato della chiesa, che scende verso un
piccolo cimitero, si trasforma nelle giornate serene in una delle terrazze pi
belle per chi vuole contemplare in lontananza la citt con il suo profilo di torri,
in fila, lungo i crinali delle colline, specialmente la sera, quando la luce tira
fuori dai mattoni tonalit di un rosso che piano piano si spenge nel tramonto. Se
poi questo spettacolo non sufficiente, si pu scendere lungo il prato della
chiesa, lasciare il cimitero, attraversare un boschetto e, dopo aver percorso
qualche centinaio di metri, proseguendo a sinistra lungo un viottolo, arrivare in
cima alla Scala Santa, una piccola Gerusalemme, costruita tra Sei e Settecento.
Alla base della Scala, la villa di Cetinale, con il suo giardino all'italiana.
Intorno la campagna di Sovicille, con i resti di quegli insediamenti medievali
trasformati nel corso dei secoli in poderi e fattorie, con i loro muri a secco
ancora intatti. Uno spicchio di quel paesaggio agrario che Braudel considerava il
pi bello del mondo.
Torniamo dunque alla novella Ser meoccio Ghiottone , il parroco di Pernina, cui
molto le bone vivande piacevano quando erano assai, e al governo del corpo pi che
ad altro attendea. 27 Intento a soddisfare i piaceri della gola, ser Meoccio con
false predighe di a intendere a' suoi popolani, che a dare limosine a poveri o a
incarcerati fusse peccato, e a s lo ridusse facendo l'altare ben fruttare. 28
L'opera di convinzione riusc cos bene che uomini e donne cominciarono a portare
al parroco tutti i doni che avevano destinato ai poveri e ai carcerati:
[...] E cos attendevano delle pi belle e pi fiorite cose che avevano; per modo
che in mane di pasqua, o altre feste solenni, l'altare della sua pieve s come una
pizzighera di pollaiuoli o di soffrittaiuoli o di beccari diventato pareva, e la
pietra sagrata pareva delle loro monete il banco Barattoli; e Dio sa la malanconia
che n'aveva il piovano, il quale a tutti dava la benedizione, pagando di centum pro
uno accipietis, facendo mane e sera buono piattello. E avendo il piovano gi quasi
tutti i soi popolani drizzati a fare la festa ogni anno ciascuno del so santo,
accadde che uno che Vincenzo aveva nome, facendo di santo Vincenzo la festa, la
quale in venerd venia, Vincenzo per consiglio del piovano compar molto pesce, fra
quale fu una anguilla grossa di bene dieci libbre, e quattro tenche grosse; e
perch alla pieve gionse uno poco tardetto a ora che 'l piovano predicava, uno
Guerino, che la mattina era so cuoco, non avendo pratica di s grosse anguille
apparecchiare, non sapendo che farsi, con l'anguilla e le tenche in atto di buffone
in su l'uscio della chiesa n'and, e, colto il tempo, al piovano l'anguilla e le
tenche mostr, di spallucce con molti altri atti facendo; per modo che 'l piovano
che subito intese che non sapeva conciarle, subito prese riparo a insegnarglielo. E
narrando i miracoli e martirj di santo Vincenzo, fece una incidenzia, dicendo:
Quanto santo Vincenzo era ordinato nel mangiare e nel bere! E' non faceva come
questi ghiottoni del d d'oggi, che ve ne vu contare una ch'io ne vidi. Una volta,
essendo fanciulletto ad Acqua pendente, vennero a desinare col mio maestro quattro
gioveni, e recaro quattro tenche grosse e una grossa anguilla di Marca; e in tutto
furo loro quattro e il mio maestro cinque ed io che servivo: e dirovvi la golosit
ch'io gli vidi fare:
Prima pellaro quella anguilla con l'acqua bollita e cavaro quello dentro, e
mozzaro la coda e la testa, poi lavaro bene a sei acque, poi ne fecero rocchj
agugliati d'uno palmo l'uno o meno, e miserli in uno spedone con frondi d'alloro in
mezzo tra rocchj acciocch non s'attaccassero insieme, cos temperatamente
l'arrostiro: e avendo prima messo in una conchetta sale, aceto e uno gocciolino
d'olio, con quattro speziarie dentro, cio pepe, specie, garofani e celamo fino, di
ognuno di questi una mezza oncia, e con una rametta di osmarino, sempre di questa
zenzeverata l'andavano ugnendo: e quando fu bene cotta e spolpata la trassero in
una conca da gelatina, e ivi i rocchj assettaro; poi su vi premettero sei melegrane
con bene venti aranci, e con molte fine specie sopra essa, poi con una teglia da
migliacci caldetta la copersero acciocch calda si mantenesse infine che fossero a
tavola. Ed ebbero in prima una lellata con l'ova, poi le quattro tenche lesse con
tanto savore bianco, che ne tocc una gran scodella per uno, poi quella anguilla
arrostita col savore che era con essa in concia, poi una torta con tanto zuccaro
che era uno abbaglio, poi per guasto anici confetti; e tutte queste cose si
mangiaro, che non rimase niente, che a venticinque sarebbero bastate. Di che veduta
io tanta ingordigia e disonest, tanto mi dispiacque, che io vi prometto in pura
conscienzia che quella fu cagione che il mondo abbandonai e presi questa religione:
e Dio mi tenga le soe mani in capo acciocch a quella disonest mai pi non mi
ritrovi.
E detto questo, dimenticato il resto de' miracoli del Santo, temendo che alla
cucina non mancasse nulla, la predica lascia. Guerino che di punto intese ci che
avesse da fare, di tratto partitosi, pulitamente apparecchi come il piovano
ammaestrato l'avea; sicch sei preti empiro le disordinate buseggie a loro modo; e
Vincenzo e la sua famiglia in altro abituro da parte fave e lasche mangiaro [...]
29
Purtroppo per il nostro parroco successe che: uno libricciuolo di ricette per
breviale studiandoli quale pervenuto alle mani di Lodovico Salerni, di quello e di
molte altre gattivit in presenzia del popolo lo vituper, che fu cagione di
cacciarlo. E fuggitosi in parte ove da corsari fu preso, e posto in galea, assuzz
la gran peccia: e divenuto cieco, povero e infermo, stando a Roma accattare, a caso
Lodovico riconosciutolo, per compassione lo rivest e alla sua casa lo rimen. 30
Finita cos l'avventura di Ser Meoccio finisce anche il nostro giro intorno a
quelle poche ricette di pesce che il territorio ha elaborato nel corso degli anni.
Tuttavia, la novella del pievano di Pernina imperniata sul modo di cucinare le
anguille e le tinche ci porta a parlare di quei pochissimi pesci che una zona
povera di acque come la nostra poteva vantare.
Come si gi detto, nella Toscana meridionale mancano i fiumi e per fortuna dei
cittadini, fin dal Settecento, i Lorena, nella loro opera riformatrice, avevano
bonificato alcuni laghetti paludosi come quello di Pian del Lago accanto a Siena.
L'unica distesa d'acqua che superi la dimensione di uno stagno rimasta nel Senese
all'inizio dell'epoca contemporanea il lago di Chiusi, dove da secoli si pescano
tinche, carpe, lucci, persici ed anguille, gli unici pesci che per la loro
reperibilit hanno avuto sempre una certa, anche se minima, diffusione nelle mense
della gente. Diamo qui la ricetta di due piatti tipici del lago della vecchia
capitale etrusca. Si tratta del brustico e del tegamaccio . Questi due piatti,
senza mai dimenticare i pici, offrono, insieme al paesaggio, un ulteriore motivo
per una visita ghiotta ( il caso di dirlo) alla capitale di Porsenna.
BRUSTICO
Ingredienti
Persico reale e luccio
Prezzemolo
Succo di limone
Olio
Preparazione
Il pesce viene fatto abbrustolire intero, su un fuoco di canne. Il calore della
fiamma penetra dentro il pesce e lo cuoce mantenendo il gusto e il profumo.
Successivamente viene ripulito, la pelle pi abbrustolita viene tolta insieme alle
lische e quindi condito con olio, limone e prezzemolo.
TEGAMACCIO
Ingredienti
Pesce (luccio, tinca, carpa, anguilla)
Passata di pomodoro
Pane casereccio
Vino rosso
1 cipolla
Basilico
Nepitella
Peperoncino
Olio
Sale
Aglio
Preparazione
Dopo aver pulito, lavato e diliscato accuratamente il pesce, si taglia a pezzi
grossi. In un tegame di terracotta viene soffritto un battuto di cipolla e aglio
che poi viene unito al pesce con aggiunta di sale. Quando dorato si bagna con il
vino e si lascia evaporare. Una volta aggiunto il peperoncino, l'aglio tritato, il
pomodoro, il basilico e la nepitella, si fa cuocere lentamente per un paio di ore.
Il pane leggermente abbrustolito viene messo nei piatti dopo avervi strofinato
l'aglio. A questo punto vi si versa il pesce e il sugo.
Le rane
Abbiamo citato quei pochi piatti di pesce che costituiscono l'eccezione di questa
cucina di campagna. Finiamo con una ricetta imperniata su un altro abitante
dell'acqua. Questa volta non si tratta di un pesce ma delle rane, cucinate in tutte
le zone nelle quali la ricchezza d'acqua garantisce un consistente
approvvigionamento di batraci. L'utilizzo di questi animali proprio di alcune
zone della Toscana meridionale, dove ha una certa diffusione anche se non
paragonabile a quella del nord Italia, soprattutto delle zone intorno alle risaie,
dove la carne di questi animali costituiva un integratore della dieta popolare di
uso quotidiano.
RANE FRITTE
Ingredienti per 6 persone
1200 gr. di rane pulite
2 uova
50 gr. di farina
Sale
Olio di semi
Preparazione
Lavare e asciugare con un panno le rane, dopo averle tenute in acqua e limone.
Infarinarle bene e passarle nelle uova sbattute con poco sale. Scaldare l'olio in
una padella e mettervi le rane una ad una, tenendole staccate una dall'altra.
Rivoltarle di tanto in tanto fino alla doratura. Servirle appena scolate.
Le chiocciole
Terminiamo, infine, con uno di quei piatti poveri per eccellenza, ormai nobilitato:
le chiocciole. Non potremmo tuttavia ricordare questa ricetta senza accennare alla
leggenda che unisce questo piatto alla fine della Repubblica e ad uno dei
protagonisti di questo evento sfortunato Blaise de Montluc, i cui Commentaires
offrono testimonianze delle tragiche sequenze finali della Repubblica senese,
spesso punteggiate da episodi crudeli e sanguinosi come l'espulsione decisa negli
ultimi giorni dell'assedio di tutti quelli che non erano adatti a combattere e non
appartenevano strettamente alla famiglia. Cinquemila persone fra vecchi, donne e
bambini furono cacciati e lasciati morire di fame fuori dalle mura. Furono
abbandonati anche i trovatelli dello Spedale che - secondo Alessandro Sozzini - gli
spagnoli ammazzarono pi di mezzi . I sopravvissuti che rimasero nei pressi della
citt [...] erano tutti fuori di porta a Fontebranda [...], tutti a diacere per
terra, con grandissime strida e lamenti. Era la pi gran compassione a veder quei
putti svaligiati, feriti e percossi in terra a diacere, che averiano fatto piangere
un Nerone: ed io avrei pagati venticinque scudi a non averli visti; ch per tre
Raccontano che un bracciante, dopo una decina di giorni di quella dieta, con ritmi
di lavoro di 15 ore al giorno, una mattina di un'estate particolarmente calda, si
present al campo con il cappotto.
Oh, che hai stamani? gli fece il capoccio.
Ho freddo rispose con tutta questa zucca mi so' rinfrescato troppo .
Sembra che il capoccio abbia capito l'allusione e che da allora abbia cominciato,
una volta a settimana, a tirare il collo ad un pollo.
ZUCCA FRITTA
Ingredienti
500 gr. di zucca gialla
Farina
Un goccio di birra
Sale
Pepe
Olio
Preparazione
Si fa la pastella con farina, birra e acqua. Si passa la zucca tagliata a fettine
nella pastella e la si mette a friggere nell'olio bollente. Dopo averla lasciata
asciugare aggiungere sale e pepe.
GOBBI RIFATTI
Ingredienti
500 gr. di gobbi
Farina
Cipolla
Pomodori freschi o pelati
Sale
Pepe
Olio
Preparazione
Si lessano i gobbi. Si passano nella farina e si friggono. A questo punto, dopo
aver preparato a parte un sugo di pomodoro (fatto ovviamente con un battuto di
cipolla), ci si fanno saltare i gobbi fritti, dopo aver aggiunto sale e pepe.
PISELLI ALLA SENESE
Ingredienti
500 gr. di pisellini freschi sgusciati
100 gr. di pancetta (o una salsiccia)
Aglio
Sale
Pepe
Olio
Preparazione
Scottare qualche minuto i pisellini in acqua bollente gi salata. Scolarli e
passarli in una padella con la pancetta gi dorata nell'olio e nell'aglio. Coprire,
lasciare cuocere a fuoco lento fino a quando i pisellini non sono divenuti teneri.
Aggiungere pepe e servire.
FAGIOLINI RIFATTI
Ingredienti
500 gr. di fagiolini freschi
all'altare la prima delle sue tre figliole. Il capoccio era un mezzadro benestante
che lavorava un podere dove non mancava n il grano, n l'olio, n il vino. Il
pranzo di nozze di questa sua prima figliola fu, dunque, all'altezza delle
aspettative.
Nei giorni seguenti il vecchio Fiorai fu chiamato in fattoria. Il capoccio part da
casa tranquillo. Quando arriv, il fattore non fece tanti giri di parole:
Fiorai, ho saputo che avete fatto il pranzo di nozze della vostra figliola e che
avete fatto i carciofi fritti. I carciofi so' roba da signori. Per questa volta
passi ma ricordatevelo! Ci avete da fa' spos altre du' figliole. Che un risucceda.
Qualche anno dopo nella famiglia Fiorai erano diventati tutti socialisti.
Questo episodio viene a proposito per parlare dei contorni fritti. Ne citiamo solo
qualcuno.
CARCIOFI FRITTI
Ingredienti per 4 persone
4 carciofi morelli
Pan grattato
1 uovo
Sale
Pepe
Olio per friggere
Preparazione
Si prendono i carciofi, si lavano, si puliscono togliendo le spine e si tagliano in
quattro spicchi ciascuno. Si passano nell'uovo che abbiamo provveduto a sbattere,
successivamente nel pan grattato e quindi si friggono in abbondante olio bollente.
Dopo averli lasciati asciugare aggiungere sale e pepe.
FIORI DI ZUCCA FRITTI
Ingredienti per 4 persone
12 o 16 fiori di zucca
100 gr. di farina
1 uovo
Olio d'oliva
Sale
Pepe
Olio per friggere
Preparazione
Mettete in una zuppiera la farina, aggiungete due cucchiai d'olio, il tuorlo
dell'uovo, sale e pepe. Qualcuno alla pastella aggiunge della birra (o un goccio di
vino bianco) per renderla pi soffice. Lasciatela riposare per circa un'ora e, poco
prima di friggere i fiori, aggiungete la chiara montata a neve. Pulite i fiori
eliminando i gambi, le foglioline verdi esterne e l'interno. Passateli nella
pastella e friggeteli finch non saranno croccanti. Metteteli ad asciugare su carta
da cucina, salateli e serviteli subito.
FUNGHI PORCINI FRITTI
Ingredienti per 4 persone
4 porcini medi
Pan grattato
1 uovo
Sale
Pepe
Olio per friggere
Preparazione
Si prendono i funghi, si lavano, si puliscono e si tagliano a spicchi. Si passano
nell'uovo che abbiamo provveduto a sbattere, successivamente nel pan grattato e
quindi si mettono a friggere in abbondante olio bollente. Dopo averli lasciati
asciugare aggiungere sale e pepe.
Altra ricetta prevede anche la frittura con la pastella. Naturalmente, oltre ai
porcini, che sono i funghi pi pregiati, si possono usare altri funghi di qualit
inferiore.
Cap. VI
DOLCI
il momento di parlare dei rivolti. Lo facciamo particolarmente volentieri perch
questi dolci ci danno l'occasione di ricordare almeno l'inizio di una delle pi
belle novelle senesi, la novella del Gatto Mammone.
Racconta Marzocchi che nei tempi antichi c'era [...] una donna che aveva due
figliole e tutte e tre facevano le tessitrici e campavano alla meglio. Un giorno
regalarono loro farina, unto e zucchero, ed esse pensarono di fare un po' di
rivolti ma non c'avevano la padella. Pensarono di farsela prestare dal Gatto
Marmione, che stava l vicino a loro. 31
Non racconter tutta la favola, basti sapere che la protagonista, Nina, la figlia
pi piccola, dopo aver superato tutte le prove, compresa quella di salire, senza
romperle, le scale di vetro , otterr una stella d'oro in fronte e diventer sposa
del principe.
Vorrei parlare invece dei rivolti, che erano il dolce tradizionale, il pi semplice
della cucina popolare, fatto con acqua, farina e zucchero. Un impasto ben
amalgamato e cotto in un po' d'unto . In sostanza, un dolce leggero, che oggi
conosce una nuova stagione, specialmente se farcito, come le crpes, con marmellate
adatte, a cominciare da quella di more, di mele cotogne e di marroni. Questi dolci
della tradizione senese secondo alcuni gastronomi sarebbero gli antenati delle
crpes. La loro origine viene fatta risalire ai conventi, dove si usava unire al
brodo alcune pastelle di farina, acqua, sale rivoltate in una padella con olio o
grasso di maiale.
Da Firenze sarebbero emigrati in Francia, al seguito di qualche figlia del
granduca. L nel nuovo paese sarebbero state aggiunte le uova, trasformando i
rivolti in crpes.
RIVOLTI
Ingredienti
300 gr. di farina di grano tenero
1/4 di litro d'acqua
Sale
Olio
Preparazione
Si fa una pastella cremosa, con acqua, farina e un pizzico di sale, che si scioglie
in una zuppiera con il mestolino, girando bene perch non si formino grumi. Si
prende una padella con il fondo antiaderente e si fa riscaldare con uno o due
cucchiai di olio d'oliva. Poi si aggiunge uno strato sottile di pastella con un
ramaiolo da brodo, tale da coprire tutta la padella. Quando il lato inferiore
quasi cotto, si gira come una frittata e si continua la cottura sull'altro lato.
MIGLIACCI DI FARINA
Ingredienti per 5 o 6 persone
Lardo
mamme, nonne, zie e cugine. Mi rendevo conto che rispetto al cibo gli uomini
avevano competenza solo nella fase iniziale, quella dell'acquisizione. Fossero
contadini, come erano la maggior parte dei genitori dei miei compagni, e
ricavassero direttamente i prodotti dal loro lavoro, o fossero operai, come mio
padre, ed acquistassero, quindi, questi stessi prodotti, con la mediazione del
denaro, la loro opera finiva in questa fase primitiva. Da questo momento in poi i
prodotti grezzi entravano sotto la tutela delle donne per essere immediatamente
cucinati o immagazzinati per la conservazione. Tutto questo ha funzionato nelle
famiglie della mia generazione anche dopo l'introduzione dei frigoriferi. Oggi i
frigoriferi sono una sorta di perenne distributore di cibo ma quando ero un ragazzo
avevano mantenuto il ruolo delle loro antenate, le dispense. Non erano a
disposizione dei vari membri del clan familiare che, oggi, vi si accalcano in ogni
momento ma erano sottoposti al rigido controllo della padrona di casa che
distribuiva il cibo secondo le qualit e quantit necessarie e soprattutto in ben
precisi orari canonici.
Questo dare la vita e presiedere alla nutrizione faceva delle donne, pur
all'interno di un rapporto sociale subalterno, le protagoniste ben definite di un
mondo che appariva per certi versi magico. Nel passaggio dal crudo al cotto, non
soltanto si rendevano commestibili alcuni prodotti. Attraverso la cucina, infatti,
oltre alla gastronomia, passavano tutte quelle arti magiche nate da un'empirica ma
efficiente erboristeria domestica cui si accompagnavano formule che, nelle
intenzioni, avrebbero dovuto lenire le varie malattie che affliggevano i membri
della famiglia. Questa eccezionalit dei saperi che si tramandava, in genere, tra
generazioni alternate, per cui le nipoti imparavano dalle nonne pi che dalle
madri, dava l'idea di un mondo apparentemente aperto ma che nascondeva, in realt,
saperi segreti. Ricordo i piatti che accoglievano, di tanto in tanto, tre gocce
d'olio che la nonna vi lasciava cadere per togliere il malocchio ai figli, ai
nipoti e, quando ci voleva, all'asino e al maiale. Nei giorni seguenti, quando
mangiavo la minestra, in genere di fagioli o di ceci, mi domandavo se quel piatto
fosse lo stesso che era servito per il rito e temevo che lo spirito maligno, che la
nonna aveva tentato di scacciare con il segno della croce, fosse penetrato dentro
la ceramica per poi riapparire tra le verdure.
Mi venuto in mente questo rito con cui nelle campagne si scacciava il malocchio
rileggendo la leggenda del panforte narrata da G. Righi Parenti. Anche in questo
racconto, a riprova di una commistione tra mondo magico e gastronomico, le donne
cacciano le presenze demoniache che, secondo un topos diffusissimo, accompagnano e
contrastano sempre la realizzazione di ogni attivit umana. Sembra che il folklore
abbia selezionato un tipo di racconto nel quale il protagonista, ogni volta che sta
per scoprire una cosa o per realizzare un'impresa, debba pagare un prezzo o,
almeno, affrontare la sfida con i demoni.
Il fatto che tali miti accompagnino il racconto della fondazione di una citt o
della costruzione di un ponte o della scoperta di qualche alimento o di un'erba
medicinale, dovrebbe farci riflettere su quanta importanza abbia assunto a Siena il
panforte. Non si tratta tanto di verificare la veridicit della leggenda quanto la
sua importanza simbolica, che consiste nel rivestire di una struttura narrativa il
cibo etnico per eccellenza della citt. In questo senso la storia vera perch
estrae dalla gastronomia locale un dolce e ne fa l'icona della diversit e
dell'identit etnica di una popolazione.
Il panforte, secondo la leggenda, sarebbe nato per caso in un convento quando una
suora scopr che si erano confuse tutte le spezie:
[...] Sorella Leta che non sapeva come districarsela con i tanti avanzini del fondo
del cassetto che si erano tutti mescolati: farina, cannella garofani; non pens di
mettersi a scegliere, a vagliare; avrebbe volentieri gettato tutto in una buca
dell'orto...
Questo pensiero poco ortodosso, privo di sopportazione e pazienza, era stato fatto
nascere dal Diavolo che, sotto forma d'un gatto nero, si era avvicinato alla bassa
finestra della cucina.
'Se provassi a preparare, con questo miscuglio, qualche cosa per i poveri?...'
L'idea non piacque al Diavolo gatto, che ne sugger una per lui pi consona:
'Oppure, qualcosa di gustoso per il mio stomaco... delicato?!'
Sorella Leta allung la mano verso il vaso del miele, aggiunse quel nettare
trasparente ai garofani ed alla farina, mescol ed impast. Non le sembrava che
sortisse un manicaretto eccezionale; si ricord che per ottenere il meglio delle
spezie era opportuno distillarle a foco forte ed allora pass tutto sul fornello.
La pasta si arricch d'una dose generosa di mandorle. Il profumo era deliziosamente
appetitoso. Sorella Leta incominci a risentirsi a suo agio; pensava d'aver salvato
capra e cavoli con quella preparazione improvvisata.
Il gatto intanto si era fatto vicino, si strusciava alla gonna della religiosa ed
ad un tratto: 'Ma non ti decidi a mangiarla codesta squisitezza?!' fece
dimenticandosi, il Diavolo, che i gatti al pi miagolano ma non parlano.
Fu una distrazione fatale; Suor Leta afferr il tegame e scagli l'impasto bollente
sul muso della bestia che istantaneamente prese le vere sembianze del Diavolo
tentatore quale era ed and, difilato a staccarsi il 'panforte' bollente dal naso,
nel pi profondo dell'inferno [...]. 33
Cos un dolce nato per caso divent un'arma per sconfiggere Satana. In realt
quello che era nato era il pan pepato che presente, non solo miticamente,
nell'arte dolciaria senese da molti secoli, soprattutto nelle cucine dei monasteri.
Una sua diffusione industriale si deve all'opera del farmacista Giovanni Parenti,
che cominci ad operare in questo ambito a partire dal 1829.
Il panforte un figlio diretto dell'antico dolce senese. Il suo nome da
riconnettere al pane forte, il pane che dopo qualche giorno diventava
particolarmente acido. La ricetta moderna del panforte ha una data precisa. Nel
1879, in occasione della visita della regina Margherita di Savoia,34 la citt le
dedic una variante del suo dolce pi famoso, lasciando invariata la procedura ma
aggiornandolo a gusti pi moderni, pertanto via le spezie miste, via il melone
dentro il candito al cedro, meno aggressivo e pi delicato nel sapore del suo
predecessore, aggiungendo uno spiccato profumo di vaniglia. Il Panforte viene cotto
su ostie.
PANPEPATO
Ingredienti
200 gr. di popone candito
50 gr. di arancio candito
350 gr. di zucchero
350 gr. di mandorle sgusciate
150 gr. di farina
6 gr. di coriandolo
3 gr. di macis
5 gr. di cannella in polvere
Noce moscata
Chiodi di garofano
Preparazione
La noce moscata e i chiodi di garofano precedentemente pestati al mortaio servono
solo per profumo perci varieranno secondo il gusto personale. Sciogliete sul fuoco
lo zucchero con poca acqua in modo da ottenere uno sciroppo denso ma non
caramellato. Togliete dal fuoco e impastate bene con la farina, i canditi tritati
fini e le mandorle non pelate, le spezie e la cannella. Rimestate a lungo, poi
versate il composto in una teglia infarinata, di dimensioni tali che l'impasto, una
volta schiacciato, risulti spesso circa due centimetri. Finita questa operazione,
cospargetelo con la cannella e i semi di coriandolo, dopo di che mettetelo in forno
a media temperatura per circa mezz'ora. Una volta cotto e sfornato, togliete la
polvere delle spezie e cospargetelo di zucchero a velo. Si conserva a lungo avvolto
meridionale per divenire poi, dopo la caduta della repubblica e la fine della
libert, un piccolo capoluogo tristemente abbandonato ad un destino di decadenza e
di miseria, comune a gran parte della regione, cui sembra sfuggire solo nel XX
secolo.
Quel lontano fatto di sangue che si concluse con l'occupazione da parte delle
truppe spagnole e fiorentine, dopo un lungo assedio che aveva visto i Senesi
ripetere il gesto disperato dei Galli, assediati ad Alesia da Cesare - l'espulsione
delle persone non adatte al combattimento, che furono mandate a morire di fame
fuori dalle mura - il termine ultimo dell'epopea della citt e da questo
episodio, che costituisce un vulnus incancellabile nella memoria collettiva,
bisogna dunque partire. Nel corso del tempo il racconto della caduta lentamente
cessa di essere un dramma storico ed assume caratteristiche mitiche. Tutto quello
che avviene prima del 1555, nel racconto folklorico, prende le caratteristiche
dell'et dell'oro e si colora di dolcezza e di splendore, come possiamo vedere
nella prima delle due leggende nelle quali, a parere nostro, piuttosto che nella
favola letteraria di Senio e Aschio, da riconoscere il vero mito di fondazione
della citt.
Quello che veramente il nocciolo duro di una storia sentita sempre presente dai
cittadini e spesso trasfigurata nella leggenda comincia il 4 settembre 1260 con la
sconfitta dei Fiorentini a Montaperti e si chiude nel 1555 con la resa della citt.
Proprio all'interno di queste due date si situano le due leggende cui abbiamo
accennato. La battaglia di Montaperti, infatti, costituisce l'inizio dell'et
dell'oro, che coincide nel racconto con la fine del giogo fiorentino, anche se la
cultura popolare dimentica che pochissimi anni dopo il 1260 il Governo dei Nove
ripristina in citt la supremazia dei guelfi.
In quegli anni felici si situa la leggenda dell'invenzione del panforte.
Naturalmente, come in tutti i racconti folklorici, non tanto importante la verit
storica quanto la funzione svolta dal racconto nel delineare ed esaltare l'identit
della comunit. Da una parte il panforte, ricco di spezie e di miele, che si rivela
nel tempo felice della libert, dall'altra le umilissime chiocciole e il
dragoncello, cibo dei poveri e della fame, prima di essere riscoperto dalla cucina
colta. Tuttavia attenti a non limitarsi ad una dialettica tra ricchezza e povert o
tra abbondanza e fame. C' anche questo aspetto ma in realt dietro i due cibi e i
loro ingredienti preme un universo simbolico facilmente riconoscibile. Il panforte,
come i fiumi di latte e di miele, presenti nei paradisi di cuccagna ma anche nelle
tradizioni religiose, evoca un'et dell'oro pura e libera che nemmeno Satana riesce
a scalfire. La dolcezza di questo cibo, assurto a simbolo di un'et in cui Siena
viveva libera tra le ricchezze, contrasta con l'amaro del dragoncello, protagonista
della ricetta delle chiocciole. Un piatto povero, ingentilito da questa umile erba
che, secondo la tradizione orale, Blaise de Montluc impar ad apprezzare nei giorni
dell'assedio e della fame, che terminarono poi con la resa della citt e la fine
della libert. Il dragoncello non ricorda solo un legame tra la gastronomia senese
e quella francese ma assurge a simbolo dell'amarezza dell'esistenza dopo la perdita
del paradiso.
Del resto non sono rare le leggende in cui alcuni cibi presidiano passaggi
importanti nell'esistenza dei popoli. Nella cultura ebraico-cristiana conosciamo un
altro racconto in cui protagonista un'erba amara:
Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo
tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese:
allora tutta l'assemblea delle comunit di Israele lo immoler al tramonto. Preso
un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave, delle case,
in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al
fuoco ; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. 35
Si tratta di un pezzo celebre della Bibbia ma che contrasta con la leggenda della
nostra citt. Quell'erba rappresentava per il popolo ebraico l'ultima durezza della
servit prima della terra promessa. Per i Senesi, invece, l'amarezza del
dragoncello chiudeva la stagione della libert e della dolcezza: il tempo del
panforte.
Se questa ricostruzione della storia di Siena e del suo immaginario ha una sua
plausibilit bisogner ancora una volta riconoscere che la cucina influenza in modo
determinante anche la cultura degli uomini.
INDICE DELLE RICETTE
Acqua cotta 32
Anguilla di ser Meoccio 102
Aringa
102
Arrostite ( frogiate ) 49
Baccal in umido 97
Baccal lesso coi ceci 98
Biscottini 45
Bistecche di maiale al vino
84
Bocca di dama
142
Brodo
39
Brodo finto 40
Brustico
108
Buristo
73
Carciofi fritti
123
Castagnaccio
50
Castagne lesse ( ballocce )
49
Cavallucci
153
Chiocciole al dragoncello
113
Ciambellone 139
Coniglio alla vernaccia
81
Crostata
141
Crostini milza e acciughe
25
Crostini neri
24
Fagioli al fiasco 120
Fagiolini rifatti 119
Fiori di zucca fritti
124
Frascarelli I
57
Frascarelli II
58
Frittata con gli zoccoli
89
Frittata di ricotta
90
Frittata di vitalbe
91
Funghi porcini fritti
125
Gnocchi di patate 65
Gobbi rifatti
117
Lesso rifatto
69
Maccheroni alla poderana
55
Migliacci con la zucca
133
Migliacci di farina
129
Migliacci o sanguinacci 131
Minestra con la ricotta 38
Minestra di ceci (o di fagioli)
Pan lavato 23
Pan unto
13
Pane impomodorato 14
Pane, vino e zucchero
15
Panforte
152
Panione
22
Panpepato
150
Panzanella povera 34
Pappa con la salsiccia 30
Pasta reale 143
Pici all'aglione 63
37
Pinolate
140
Pinzimonio
26
Piselli alla senese
118
Polenta dolce
43
Pollo dorato
82
Polpettone di rigaglie 83
Rane fritte
111
Ricciarelli 154
Rivolti
128
Salsa verde 70
Schiaccia con gli sfriccioli 18
Soppressata 73
Stufato di fave
121
Sugo finto 67
Sugo per i tortelli
53
Tagliatini 60
Tegamaccio
109
Torta di fichi (o fichessa)
15
Torta mantovana
138
Tortelli
52
Zucca fritta
116
Zuppa di cavolo nero
35
Zuppa di fagioli 33
Zuppa di funghi
36
Zuppa lombarda
33
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Atti alimentari e atti culinari, Bologna, Dse, 1981.
M. ALBERINI, G. RISTRETTA, Guida all'Italia gastronomica, Milano, Touring Club
Italiano, 1984.
P. ARTUSI, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, Torino, Einaudi, 1970.
F. ALLEGRUCCI, G. RIGHI PARENTI, L. MARRA, G. GORIA, Un diamante in cucina: il
tartufo bianco delle crete senesi [a cura del Comitato promotore della Mostra
mercato del tartufo bianco delle crete senesi ], Siena, Alsaba, 1992.
M. BENCI, Le ricette della mia cucina fiorentina e toscana, Firenze, Edizioni del
Riccio, 1977.
P. BOGATYREV, R. JACOBSON, Il folklore come forma di creazione autonoma, in
Strumenti critici: rivista quadrimestrale di cultura e critica letteraria, 1967.
P. BOURDIEU, La distinzione: critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino, 1979.
P. CAMPORESI, Alimentazione folklore societ, Milano-Parma, Pratiche, 1980.
P. CAMPORESI (a cura di), Il Libro dei vagabondi; Lo Speculum cerretanorum , di
Teseo Pini; Il vagabondo , di Rafaele Frianoro e altri testi di furfanteria ,
Torino, Einaudi, 1973.
P. CAMPORESI, Il paese della fame, Bologna, Il Mulino, 1985.
P. CAMPORESI, Il pane selvaggio, Bologna, Il Mulino, 1980.
P. CAMPORESI, Il sugo della vita: simbolismo e magia del sangue, Milano, Mondadori,
1988.
M.L. INCONTRI LOTTERINGHI DELLA STUFA, Pranzi e conviti: la cucina toscana dal 16
secolo ai giorni d'oggi, Firenze, Olimpia, 1965.
C. MARZOCCHI, Novelle popolari senesi, Roma, Bulzoni, 1992, vol. I e II.
S. PALLAI, C. BURACCHI, L. COPPINI, Ricettario di Siena: testimonianze di cucina e
tradizioni di un popolo, Amministrazione comunale di Siena, Headbook, 2002.
C. PAPA (a cura di), Antropologia e storia dell'alimentazione: il pane, Perugia,
Electa-Editori Umbri Associati, 1992.
P. PETRONI, Cucina toscana. 1: Antipasti, sughi e salse, primi piatti, pesci,
ranocchi e chiocciole, 2: Carni, pollame e selvaggina, verdure e uova, dolci e
liquori, vini toscani e loro abbinamenti, indice generale, Firenze, Gruppo
Editoriale Fiorentino, 1990.
G. RIGHI PARENTI, Dolci di Siena e della Toscana, Padova, Muzzio, 1991.
G. RIGHI PARENTI, Il buon mangiare, ovvero, La cucina d'altri tempi, Siena, Alsaba,
1996.
G. RIGHI PARENTI, La cucina della Toscana: in cento ricette tradizionali, Newton,
1999.
G. RIGHI PARENTI, La cucina toscana: i piatti tipici e le ricette tradizionali
provenienti da tutte le province toscane, per riscoprire i sapori genuini di una
delle pi gustose e fantasiose gastronomie d'Italia, Roma, Newton Compton, 1995.
G. RIGHI PARENTI, La grande cucina toscana, Milano, SugarCo, 1976.
G. RIGHI PARENTI, La grande cucina toscana. Vol. 1 e 2, Milano, SugarCo, 1986.
G. RIGHI PARENTI, Mangiare in Contrada ..., ovvero, piatti per 17 cene, Siena,
Periccioli, 1985.
G. RIGHI PARENTI, Ricettario del cco senese, Azienda di promozione turistica di
Siena, San Gimignano, Nidiaci Grafiche, 1999.
A. SANTINI, La cucina toscana, Livorno, Il Tirreno, 1990.
G. SERMINI, Le novelle di Gentile Sermini da Siena, Livorno, Francesco Vigo, 1874.
C. TILIACOS, R. BAVASTRO, Guida gastronomica e turistica della Toscana, Roma,
Gambero Rosso, 1993.
M. TURCI(a cura di), Antropologia dell'alimentazione, Brescia, Grafo, 1994.