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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI MILANO

SCUOLA DI SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE


CORSO DI LAUREA IN MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE

DAOISMO E BUDDISMO ZEN NELLA PRATICA DI


TAIJIQUAN E KARATE

Elaborato finale di:


Daniel Panizza
Matricola 780026

Relatore: Dott.ssa Bettina Mottura

Anno accademico 2012/2013

Indice generale
Introduzione.......................................................................................................................1
Capitolo 1: Daoismo e taijiquan........................................................................................3
1.1 Caratteri principali del daoismo.............................................................................3
1.1.1 Origini............................................................................................................3
1.1.2 Dao.................................................................................................................4
1.1.3 Wuji, taiji, yin e yang.....................................................................................5
1.1.4 Wuwei.............................................................................................................6
1.1.5 Daoismo alchemico........................................................................................7
1.2 Storia del taijiquan.................................................................................................9
1.2.1 Il neijia e Zhang Sanfeng...............................................................................9
1.2.2 Taijiquan di stile Chen..................................................................................10
1.3 Taijiquan e daoismo.............................................................................................12
1.3.1 Identit di princpi........................................................................................12
1.3.2 Taijiquan e yin-yang.....................................................................................13
1.3.3 Taijiquan e wuwei.........................................................................................14
1.3.4 Taijiquan e movimento a spirale..................................................................15
1.3.5 Taijiquan e alchimia interna.........................................................................16
Capitolo 2: Buddismo zen e karate..................................................................................18
2.1 Caratteri principali del buddismo zen..................................................................18
2.1.1 Le radici della scuola zen: il buddismo chan in Cina..................................18
2.1.2 Nascita e caratteristiche dello zen giapponese.............................................21
2.1.3 Il cuore dello zen: zazen () , kan ()............................................25
2.2 Origini ed evoluzione del karate.........................................................................26
2.2.1 Il karate ad Okinawa....................................................................................26
2.2.2 Il karate diventa un'arte marziale giapponese..............................................28
2.3 Zen e karate..........................................................................................................31
2.3.1 Presupposti della comparazione...................................................................31
2.3.2 Zen e bud....................................................................................................32
2.3.3 Zen e karate nel periodo giapponese............................................................34
Capitolo 3: Taijiquan e karate..........................................................................................37
3.1 Due mondi incompatibili?....................................................................................37
3.2 Stili interni, stili esterni........................................................................................37
3.3 Alcune carattteristiche del movimento nel taijiquan e nel karate........................41
3.3.1 Movimento continuo, kime...........................................................................41
3.3.2 Il rapporto con la forza di gravit.................................................................43
3.3.3 Altri princpi.................................................................................................45
3.4 Lo spirito del taijiquan e del karate. ...............................................................46
3.5 Conclusione..........................................................................................................48
Bibliografia......................................................................................................................49

Introduzione
Le arti marziali tradizionali parlano un linguaggio oscuro: dietro all'apparente
semplicit di alcuni gesti si nasconde un percorso esperienziale con profondit
inimmaginabili per il profano. Se solo si ha la pazienza di apprenderne il linguaggio, le
arti marziali ci offrono da una parte una porta di accesso ai lati pi nascosti
dell'esperienza umana, dall'altro un sistema per comprendere le culture da cui queste arti
sono state prodotte: praticare con metodo le arti marziali tradizionali significa
inevitabilmente essere plasmati dalla loro costante attivit di mediazione culturale. Quel
modo particolare di vedere il mondo che proposta implicita di ogni arte marziale
comprende anche degli aspetti che possiamo definire spirituali; su questi aspetti che il
mio lavoro si concentrato. Il daoismo e il buddismo zen hanno informato in larga
misura le tradizioni marziali della Cina e del Giappone, in un fluire incessante che,
anche se in forma diversa, prosegue ancora oggi; ho provato in particolare a capire quali
riverberi di tali tradizioni fossero e siano presenti nel taijiquan e nel karate, discipline
che pratico da tempo.
Il primo capitolo si concentra sulle relazioni tra daoismo e taijiquan. Per ci che
concerne il daoismo mi sono concentrato sugli aspetti filosofici e alchemici, ignorando
ci che non trova nel taijiquan un'eco che a parer mio valga la pena analizzare; ho
ritenuto di procedere prendendo come punto di riferimento i componenti fondamentali
del puzzle daoista. Per il taijiquan la base di partenza stata la storia e la teoria di quello
che sembra essere lo stile codificato pi antico, ovvero il Chen; ho cercato per di
tenere in considerazione gli altri stili, tutti peraltro legati al Chen da rapporto di
parentela pi o meno stretto. Per il confronto tra il daoismo e il taijiquan le fonti
utilizzate sono interamente rappresentate da testi di autori che hanno una lunga
esperienza di pratica marziale.
Nel secondo capitolo sono descritte le relazioni tra buddismo zen e karate. Per lo zen
ho ritenuto necessario prendere come punto di partenza il chan, progenitore cinese dello
zen; la sua analisi si rivelata utile anche per le connessioni che presenta con il
daoismo. A causa della maggiore difficolt nel presentare un chiaro impianto dottrinale
che potesse fornire una base solida per il confronto con il karate, la descrizione del chan
prima e dello zen poi danno spazio alla narrazione storica, fornendo via via spunti di
riflessione pi che un quadro organico. Per il karate stato necessario risalire alle
1

origini, che per quest'arte si collocano nell'isola di Okinawa; stato altres inevitabile
tenere in considerazione le numerose influenze subite dalle discipline di combattimento
cinesi. Solo dopo aver gettato queste basi stato possibile descrivere il karate come arte
marziale giapponese. Anche per il confronto tra zen e karate ho ritenuto di dover
ricorrere alla mediazione delle discipline marziali giapponesi, categoria in cui, come
appena accennato, il karate entrato in tempi relativamente recenti.
L'ultimo capitolo mette in relazione taijiquan e karate in modo credo inedito: tenendo
in considerazione l'impronta fisica e mentale del daoismo e dello zen, ho provato a
confrontare le principali caratteristiche di ogni stile, nel tentativo di superare gli
stereotipi e di evitare di cadere in facili dichiarazioni di inconciliabilit.
indubbiamente e necessariamente la parte pi soggettiva del mio lavoro, e tuttavia credo
di poter dire che le mie considerazioni non si allontanano troppo dagli indizi offerti
dalle fonti; sono tuttavia ovviamente cosciente del fatto che le mie conclusioni non
rappresentano l'unica risposta possibile al problema da me posto.
Quello che mi pare di poter affermare che le due diverse arti non rappresentano due
contenitori ben definiti, a compartimenti stagni: cos come lo zen giapponese porta in s
l'essenza, seppure trasformata, del chan e del daoismo, cos le due arti del taijiquan e del
karate presentano confini sfumati, sovrapposizioni e variazioni potenzialmente infinite.
Diventa allora possibile immergersi nello studio di entrambe, ricordandosi che le
classificazioni devono rappresentare degli strumenti funzionali e flessibili, un aiuto per
chi ne fa uso piuttosto che un vincolo rigido, che abbia perso contatto con l'incessante
mutare delle cose.

1 Daoismo e taijiquan
1.1 Caratteri principali del daoismo
1.1.1 Origini
Il daoismo una delle tre grandi tradizioni filosofico-spirituali della Cina, insieme al
confucianesimo ed al buddismo. Darne una definizione univoca risulta un esercizio
difficile e potenzialmente fuorviante. Si pu parlare di filosofia o, in alcuni casi, di
religione; in realt il daoismo rimanda ad una categoria all'interno della quale trovano
collocazione dottrine di natura diversa, accomunate da una certa attenzione per la natura
e per gli elementi di sacralit che la caratterizzano (Stanford Encyclopedia of
Philosophy Daoism).
Proprio l'elemento di attenzione alla sacralit della natura spinge molti degli studiosi
ad individuare l'origine del daoismo, o per lo meno un importante precedente, nelle
pratiche sciamaniche di epoca protostorica (Wong 1997: 3). La vera nascita del
daoismo, per, universalmente ricondotta a quello che ne rimane tuttora il testo di
riferimento principale: il Daodejing (Dodjng ), uno scritto sapienziale e di
talvolta difficile interpretazione tradizionalmente attribuito a Laozi (lozi ),
appellativo di una autore a cavallo tra mito e storia, attivo nel periodo delle Primavere e
degli Autunni (770-456 a.C.). In realt questo testo sembra essere stato redatto,
probabilmente da pi autori, nel III secolo a.C. (Schipper 1993: 5); sempre in tale
periodo che i primi oggetti con chiari riferimenti al naturalismo daoista fanno la loro
comparsa nelle tombe cinesi (Schipper 1993: 7).
Altro importante testo il Zhuangzi (Zhungzi ), attribuito all'omonimo Maestro
Zhuang e redatto anch'esso nel periodo degli Stati Combattenti (456-221 a.C.); lo
Zhuangzi un testo discorsivo, poetico, caratterizzato da un umorismo leggero, che
riprende, seppur con lievi differenze, i messaggi fondamentali del Laozi.
I due testi sopracitati sono il fusto dal quale numerosi rami sono nati nel corso dei
secoli: Wong parla di daoismo filosofico, magico, divinatorio, cerimoniale o religioso,
alchemico, per citare solo le ramificazioni maggiormente rilevanti (Wong 1997: 5). Ai
fini di un successivo confronto tra daoismo e taijiquan, il daoismo filosofico e quello
alchemico costituiscono il nucleo fondamentale di interesse: le componenti magiche,
3

divinatorie o religiose costituiscono, nel taijiquan, aspetti assolutamente marginali.


1.1.2 Dao
Il dao di cui si pu parlare non il vero dao (Daodejing: 1)1. L'esordio del
Daodejing potrebbe sembrare contraddittorio, ma in realt la forza delle parole usate sta
nella loro capacit di mettere in scacco le facolt razionali del lettore, che si trova
immediatamente a confronto con la dimensione paradossale che costituisce l'essenza del
testo. Il dao una sorta di energia primigenia, una forza ineffabile, ci che unisce le
forme esistenti; la fonte di tutte le cose (Wong 1997: 23), la realt ultima (Watts 2011:
40). Dal punto di vista etimologico lo hanzi che lo descrive (do ) rappresenta una
testa unita ad una strada, e la prima traduzione proprio quella di via, strada,
cammino; il concetto di percorso rimanda ad un flusso, ad un costante processo di
trasformazione spontanea che governa l'universo (Schipper 1993: 4). L'immagine che
meglio si accorda al dao quella dell'acqua, utilizzata ampiamente sia dal Daodejing
che dal Zhuangzi; l'acqua fluisce adattandosi spontaneamente, e questo adattarsi non il
risultato di uno sforzo, ma delle caratteristiche intrinseche dell'elemento.
Tutte le immagini proposte da questi due testi possono essere definite femminili 2; il
dao madre, non padre, e femminili sono le qualit che il saggio daoista coltiva: la
passivit, il cedere, la capacit di armonizzarsi con ogni aspetto dell'esistente (Watts
2011: 42). I diversi aspetti del reale sono interdipendenti tra loro, e questa danza di
mutua generazione e distruzione3 l'unica vera legge di cui ci si debba interessare,
l'ordine naturale al quale opportuno adeguarsi ed ispirarsi per compiere ogni azione.
E' interessante notare una differenza tra il Daodejing e il Zhuangzi: nel primo (nel
capitolo conclusivo) si afferma che il dao porta beneficio a tutti, e sembra quindi una
forza connotata positivamente, mentre nel secondo ci si trova di fronte ad un principio
pi neutro, che non ha connotazione negativa n positiva (Wong 1997: 24).
comunque rischioso utilizzare le nostre categorie di bene/male, che derivano da un
1 Poich il Daodejing risultato di un lavoro compiuto probabilmente da pi autori, ho preferito, nelle
citazioni, riportare il nome dell'opera; sempre nelle citazioni, all'utilizzo del numero di pagina ho
preferito l'utilizzo del numero di paragrafo, in modo da consentire un rapido confronto con altre
edizioni.
2 Il potere generativo e trasformativo del dao, la madre di tutti gli esseri (Daodejing: 52)
femminile; interessante notare come invece il termine virt, con cui spesso il carattere (d) del
Daodejing viene tradotto, abbia invece la sua radice nella parola latina vir, che significa uomo
(Schipper 1993: 4). Meglio sarebbe quindi tradurre il carattere (d) con potere.
3 La dottrina delle Cinque mutazioni ( w xng) un'altra importante espressione di questo
principio.

modo profondamente dicotomico di intendere gli opposti, tipico del pensiero


occidentale; le differenze con la concezione daoista su questo punto verranno meglio
evidenziate nel prossimo paragrafo.
Il dao dunque la legge della natura, l'ordine intrinseco (l ) dell'esistente (Watts
2011: 50). Il saggio daoista cerca questo ordine e vi si adatta spontaneamente,
governando senza sforzo quando chiamato ad incarichi pubblici, ritirandosi
quietamente quando il compito terminato; non attaccandosi e possedendo nulla per
non esserne posseduto a sua volta (Daodejing: 29). Essendo il dao l'unica vera legge, i
corpus legislativi, le religioni codificate, sono interpretati come un segno di
decadimento (Daodejing: 38), un allontanamento dall'essenza delle cose; come un
bambino il saggio segue la Via istintivamente, senza preconcetti, senza programmare
nulla. interessante ricordare la leggenda che vuole che Laozi fosse nato gi anziano
(Schipper 1993: 120): Laozi un vecchio saggio, e tuttavia un bambino (il significato
di Laozi pu essere anziano - o venerabile - maestro, ma anche vecchio bambino)
perch estraneo agli artifici e alle mistificazioni che derivano delle leggi umane. Di
nuovo un paradosso, di nuovo un dito che punta ad una misteriosa dimensione ultrarazionale.
1.1.3 Wuji, taiji, yin e yang
Secondo la cosmologia daoista al principio di tutto vi uno stato di assoluto
potenziale, chiamato wuji (wj ), che letteralmente pu essere tradotto come
senza opposti, o infinito (il primo hanzi rappresenta una negazione, il secondo
indica il punto pi alto, la trave di colmo, un estremo, un polo). Questa condizione
primordiale priva di tempo e di spazio, la fonte dalla quale scaturisce tutto ci che
esiste. Dal wuji sgorga il taiji (tij ), o polarit suprema, un'onda energetica
spiraleggiante (Mitchell 2011: 29), che si materializza in yang o principio maschile
(yng ) e che muta in yin o principio femminile (yn ) quando raggiunge il suo
apogeo; lo yin torna infine ad essere yang, in un ciclo incessante4. Due poli, due opposti
quindi; tuttavia importante sottolineare subito, come gi anticipato nel paragrafo
precedente, che queste due polarit non sono in contrapposizione tra loro (Watts 2011:
20). Mentre la nostra visione del reale identifica un aspetto apollineo, luminoso, in
4 I caratteri cinesi che rappresentano lo yin e lo yang rappresentavano in origine, rispettivamente, il lato
in ombra e il lato soleggiato di una collina.

contrapposizione all'elemento dionisiaco, il lato oscuro da sconfiggere, nel taiji gli


opposti si bilanciano e giustificano a vicenda. La natura di polo positivo e negativo di
un'istanza in esistenza, del resto, non immanente, assoluta, ma determinata proprio
dalla relazione con il suo opposto: Quando tutti riconoscono che una cosa bella,
un'altra diventa automaticamente brutta (Daodejing: 2). Ecco che l'arte del vivere sta
allora nella capacit di gestire l'equilibrio degli opposti. Vale la pena di enunciare
brevemente il corollario della teoria appena esposta: se nessun polo deve vincere l'altro,
anche la concezione della storia diversa; non pi lineare, teleologica, ma ciclica (Watts
2011: 22).
La forza evocativa dei simboli pu aiutare in questo caso a chiarire in maniera
intuitiva il rapporto reciproco tra le due polarit; si riportano qui solo le due
rappresentazioni del taiji, o taijitu (tijt ) pi rilevanti ai fini del presente
lavoro. La prima (fig. 1) quella di Zhou Dunyi ( ), filosofo attivo in epoca
Song, che ha il merito di evidenziare il carattere non assoluto di yin e yang: all'interno
di un polo esiste gi, in potenza, il suo opposto. La seconda (fig. 2), quella di Lai
Zhide (), illustre studioso dell'Yijing (Yjng ), che la elabor a cavallo tra il
sedicesimo ed il diciassettesimo secolo; questa rappresentazione, oltre a contenere un
cerchio centrale che simboleggia il wuji, esprime un maggiore dinamismo, l'idea di un
movimento a spirale scatenato dal vuoto primigenio (per queste sue caratteristiche il
taijitu di Lai Zhide ad essere maggiormente utilizzato dal taijiquan di stile Chen).

Figura 2

Figura 1
1.1.4 Wuwei

Altro concetto fondamentale del daoismo quello di wuwei (wwi ), o non


6

azione. Il dao non agisce, eppure non c' nulla che non compia (Daodejing: 37)
un'espressione che potrebbe far pensare ad un inno alla passivit, alla mera inerzia.
Interpretando questa frase alla luce dei numerosi inviti rivolti dai testi daoisti ad un
agire naturale e senza sforzo, sembra che il non agire possa far riferimento ad un
operare talmente in armonia con la legge naturale da risultare, appunto, privo di sforzo,
e cos simile alla quiete. Tutti gli autori delle opere prese in esame sono d'accordo su
questa interpretazione5. Agendo in accordo con la corrente, sospinti dal vento, tutto
diventa semplice, e governare uno stato si rivela essere impresa non pi difficile di
cuocere un piccolo pesce (Daodejing: 60).
Il saggio daoista come una palla che rotola a valle, un torrente d'acqua che segue
istintivamente la via pi breve per raggiungere il mare. La forza di gravit della legge
universale il suo potere; anzi, per essere pi precisi, quel potere impersonale, e il
saggio vi si abbandona.
Il pi famoso esempio uno di quelli forniti dallo Zhuangzi: un macellaio talmente
abile nel suo lavoro che non ha mai bisogno di affilare il coltello, n tantomeno di
sostituirlo. Interrogato su come sia possibile, egli risponde che con la lama del suo
coltello cerca gli spazi vuoti e solo in quelli opera. Di fronte agli ostacoli pi duri, il
coltello si muove con delicatezza, i movimenti rallentano, finch all'improvviso,
inconsapevolmente, il lavoro compiuto (Zhuangzi: 22).
1.1.5 Daoismo alchemico
Sono esistiti storicamente, ed esistono tuttora, due tipi di alchimia daoista: quella
esterna e quella interna. Della prima, che non costituisce oggetto di analisi in quanto
scarsamente rilevante ai fini del presente lavoro, baster dire che consiste nell'ingestione
di elementi esterni (spesso erbe, ma anche minerali e composti di ogni natura) al fine di
ottenere l'immortalit; l'alchimia esterna si afferm come branca specifica del daoismo
fin dall'epoca Han (206 a.C. - 265 d.C.) e vide il suo apice in epoca Tang (618 - 960
d.C.), quando pare che molti sovrani morirono insieme ai loro consulenti per avere
ingerito composti a base di piombo o di mercurio, solo per citare alcune sostanze di cui
si era soliti fare uso (Wong 1997: 73).
L'alchimia interna, affermatasi in epoca Song (960 1279 d.C.) in seguito ai dubbi
5 Va tra l'altro ricordato che il daoismo filosofico ha le sue radici nel periodo degli Stati Combattenti; il
consiglio di non fare nulla sarebbe stato sicuramente rischioso per un qualsiasi governante a cui i
saggi daoisti dispensavano consigli (Watts 2011: 78).

sorti sulla possibilit di ottenere l'immortalit attraverso l'ingestione di sostanze esterne,


rappresent il tentativo di portare all'interno del corpo umano la complessa simbologia
di cui i testi alchemici erano gi ricchi: il crogiolo alchemico e le sostanze da
trasformare si trovavano gi nel corpo del praticante. Al di l delle differenze dei diversi
approcci, questi alchimisti interni avevano un elemento in comune: credevano che la
trasformazione dovesse essere sia fisica che psicologica (Wong 1997: 79).
L'alchimia interna ritiene che l'incontro delle energie generative di padre e madre
richiamino dal dao, all'interno del quale il bambino esisteva in modo indifferenziato,
l'energia vitale; all'interno del corpo della madre l'energia vitale si differenzia fino a
dare origine al corpo del nascituro (Wong 1997: 172). In questo processo di creazione
del corpo fisico le energie diventano via via pi pesanti, la frequenza di vibrazione
rallenta, fino alla creazione della materia (energia che vibra ad una frequenza talmente
bassa da risultare visibile, tangibile). Il daoismo descrive questi diversi livelli di
vibrazione con tre energie fondamentali (dalla pi sottile alla pi pesante), chiamate
anche san bao (sn bo ) o tre tesori: shen (shn ), qi (q ) e jing (jng ).
A questo processo di corruzione energetica il daoismo dell'alchimia interna intende
porre rimedio con un'operazione di inversione: la conversione delle energie pi pesanti
in energie sottili. Per fare ci si serve di tre crogiuoli alchemici: lo xia dantian (xi
dntin ), o campo del cinabro inferiore (posizionato sotto l'ombelico), lo zhong
dantian (zhng dntin ), che si trova a livello del plesso solare, e lo shang
dantian (shng dntin ), nella zona nota anche ad altre tradizioni spirituali
come sede del terzo occhio. Nel dantian inferiore il praticante trasforma il jing in qi,
che, pi leggero, risale fino al dantian mediano; qui il qi pu essere convertito in shen,
energia spirituale ancora pi leggera. Il dantian superiore permette ai praticanti pi
avanzati di lavorare sulla sostanza spirituale per tornare al dao originario (Mitchell
2011: 38-45). Ogni dantian controllato da un cancello: il primo si trova nell'area bassa
della colonna spinale, tra i reni; il secondo nell'area della colonna tra le scapole, e il
terzo nell'area dove la colonna spinale si inserisce nella testa. grazie all'apertura di
questi cancelli che il processo di trasmutazione energetica viene messo in moto. Il
lavoro energetico appena descritto deve essere preceduto per dalla preparazione del
corpo mediante una pratica specifica (che prevede sostanzialmente il riallineamento
della struttura, l'apertura delle articolazioni, un lavoro di rafforzamento su tendini e
8

legamenti, il rilascio dei gruppi muscolari pi esterni) e l'acquietamento della mente


mediante pratiche meditative (Wong 1997: 178-179).

1.2 Storia del taijiquan


1.2.1 Il neijia e Zhang Sanfeng
Chiedendo oggigiorno ad una qualsiasi persona cinese, che non abbia svolto un
minimo di indagine storica, quali siano le origini del taijiquan (tijqun ),
quasi sicuro che la sua risposta faccia riferimento alla figura di Zhang Sanfeng (),
monaco daoista che secondo la leggenda visse da eremita sul monte Wudang (Wdng
shn ), nell'attuale Hubei. La ragione di questa risposta va ricercata in un
importante documento per le arti marziali: l'epitaffio di Wang Zhengnan (Wng
Zhngnn mzhmng ); si tratta di un'iscrizione sulla stele della tomba
del maestro Wang Zhengnan, realizzata nel 1669 dal filosofo Huang Zongxi ( ).
In questa iscrizione si afferma che il monaco daoista Zhang Sanfeng cre una scuola di
arti marziali a cui venne dato il nome di neijia (niji ), o scuola interna; da
questa va distinta la scuola esterna ricondotta al monastero di Shaolin dello Henan
(Henning 1994). Sempre secondo Henning, per, questa distinzione non da ricondurre
a quella, recente, che utilizza la stessa classificazione per distinguere le scuole che
utilizzano maggiormente la forza fisica da quelle che pongono attenzione allo sviluppo
dell'energia interna6; egli sostiene che Huang Zongxi volesse in realt creare
simbolicamente, utilizzando la figura di un monaco daoista santificato 7, una tradizione
endogena, opposta alle tradizioni esterne, di cui il monastero Shaolin - buddista, e
quindi di provenienza esogena - poteva essere il simbolo. La ragione doveva essere
quella di criticare ci che non era Ming, e cio la neonata dinastia Qing, di origine
straniera. pur vero che l'epitaffio enfatizza, come strategia di combattimento, la
quiete come superiore al movimento, ma secondo Henning, ci non costituiva una
novit, in quanto il suggerimento di sfruttare l'energia dell'avversario era elemento
riscontrabile in fonti precedenti (Henning 1994).
comunque certo che prima del 1669 nessuno aveva mai associato la figura di
6 Vedi paragrafo 3.2.
7 La canonizzazione di Zhang Sanfeng avvenne nel 1459 ad opera dell'imperatore Ying Zong; si dice
che negli anni immediatamente precedenti l'imperatore Chengzu si impegn in una ricerca del mitico
saggio, che dur tredici anni. La ricerca si rivel tuttavia infruttuosa (Henning 1994).

Zhang Sanfeng alle arti marziali: le diverse fonti a disposizione lo descrivono


semplicemente come un monaco daoista e lo collocano variabilmente in un periodo che
va dalla dinastia Song alla dinastia Ming (Sim-Gaffney 2002: 28).
La prima associazione del monaco al taijiquan avvenne da parte di Li Yiyu ()
maestro di taijiquan di stile Wu, che in un manoscritto del 1867 fece riferimento a
Zhang Sanfeng come al creatore del taijiquan; tale riferimento fu per eliminato dalle
copie successive del manoscritto, in cui si afferm semplicemente che il nome del
creatore della disciplina era ignoto8.
Esplicito riferimento al taijiquan in connessione a Zhang Sanfeng si ebbe poi nel
1921, con Xu Longhou: nel suo Spiegazione illustrata sulle forme del taijiquan, Xu
forz il collegamento a Zhang Sanfeng mediante una serie di alterazioni storiche, in
quello che, secondo lo storico Tang Hao () (1897 - 1959) pare essere un arbitrario
tentativo di conferire origine mitiche alla sua discipina (Sim-Gaffney 2002: 30).
Fu Tang Hao, nel 1930, a concludere, dopo studi accurati, che il taijiquan fu creato
da Chen Wangting ( ) (1600 1680), di Chenjiagou (Chnjigu ),
villaggio situato nello Henan.
1.2.2 Taijiquan di stile Chen
Secondo Tang Hao le radici del taijiquan sono da ricercare nel villaggio di
Chenjiagou, letteralmente il fosso di drenaggio della famiglia Chen nella provincia
dello Henan.
La storia della famiglia Chen inizia con il fondatore, Chen Bu (), attivo durante
il regno del primo imperatore Ming; Chen Bu, originario dello Shanxi, fu coinvolto in
una emigrazione forzata verso la contea di Huaiqing, nello Henan, che aveva la finalit
di ripopolare le aree devastate dalla guerra. Chen Bu, uomo onesto ed esperto di arti
marziali, si stabil prima in un villaggio che fu chiamato Chen Bu Zhuang (villaggio di
Chen Bu), e poi in un altro villaggio a solo qualche chilometro di distanza,
soprannominato Chang Yang prima e Chenjiagou dopo9.
8 Va detto che l'imperatore Ming Taizong (1627-1643 d.C.) si era attribuito il nome di Imperatore
Taiji, e il tab sull'uso del nome degli imperatori (soprattutto Ming) potrebbe aver impedito l'utilizzo
esplicito del termine taijiquan (Henning 1994). A questo va aggiunto che l'imperatore Qianlong
(1736-1795) fece distruggere moltissimi scritti del periodo 1550-1750, e tale divieto influenz anche
gli scrittori dei successivi cento anni; questo forse un altro motivo della difficolt a trovare
documenti riguardanti il taijiquan (Sim-Gaffney 2002: 29).
9 I fossi di drenaggio furono scavati come protezione dalle frequenti esondazioni del Fiume Giallo.

10

Sembra assodato che a Chenjiagou si praticassero arti marziali anche prima della
creazione del taijiquan (Sim-Gaffney 2002: 12); a causa della prossimit al monastero di
Shaolin probabile che potesse essere qualche forma di arte marziale esterna10.
Il leader di nona generazione della famiglia Chen fu Chen Wangting, esperto di arti
marziali ma anche colto letterato. Secondo gli annali dell'epoca Chen Wangting prest
servizio come ufficiale nell'esercito Ming ma, in seguito alla caduta della dinastia, si
ritir nel villaggio di Chenjiagou dove visse una vita tranquilla e ritirata. Fu dopo il suo
ritiro che Chen Wangting si dedic allo sviluppo di una nuova arte marziale,
combinando l'essenza di diversi metodi di combattimento esistenti in quel periodo. Egli
un alla teoria dello yin e dello yang le pratiche daoiste di respirazione e di guida
dell'energia ( doyn), la teoria dei meridiani (jnglu ) (canali energetici che
attraversano il corpo) e gli insegnamenti contenuti nel Ji Xiao Xin Shu (J xio xn sh
) di Qi Jiguang ( ), famoso generale del sedicesimo secolo, la cui
strategia prevedeva spesso di fingere debolezza con una ritirata, a cui seguiva un
improvviso e decisivo contrattacco; nel capitolo relativo al pugilato questo testo
riportava un repertorio tecnico proveniente da sedici differenti arti marziali dell'epoca.
Chen Wangting svilupp anche il tui shou (tu shu ), mani che spingono, tipico
esercizio a due del taijiquan che mira al miglioramento della percezione delle intenzioni
dell'avversario. Contributi alla creazione del taijiquan arrivarono probabilmente da
Jiang Fa (), con il quale Chen Wangting aveva combattuto una rivolta anti-Qing e
che, dopo la sconfitta totale, si era rifugiato nel villaggio di Chenjiagou rimanendovi per
anni.
Chen Changxing ( ) (1771-1853), della quattordicesima generazione,
intervenne sulle forme a solo sistematizzandole e togliendo le parti pi acrobatiche e
fisicamente impegnative, in modo da permetterne la pratica anche in et avanzata. Chen
Changxing fu il primo ad insegnare ad un esterno alla famiglia: Yang Luchan ()
(1799-1871), che fond successivamente lo stile Yang.
L'esclusivit della tradizione orale del taijiquan di stile Chen termin con la
redazione da parte di Chen Xin ( ) (1849-1929), esponente della sedicesima
generazione, del primo manuale manoscritto sul taijiquan, in quattro volumi, la cui
compilazione inizi nel 1908 e termin nel 1919.
10 Vedi paragrafo 3.2.

11

Ultimo grande passaggo evolutivo per il taijiquan di stile Chen fu la creazione, da


parte di Chen Fake ( ) (1887-1957), praticante di diciassettesima generazione,
dello xinjia (xnji ), due nuove forme che mirano al potenziamento delle
funzionalit marziali delle forme pi antiche. Chen Fake visse ed insegn per circa
trenta anni a Pechino e contribu grandemente alla popolarizzazione di questa arte
marziale.
Il taijiquan si evoluto recentemente in stili diversi, i cui principali, otre al Chen,
sono lo stile Yang, Wu, Hao e Sung; ai fini del presente lavoro non necessario
analizzarne l'evoluzione e le differenze rispetto allo stile Chen, in quanto le
caratteristiche fondamentali, pur nelle particolarit che rendono ogni stile unico e
distinto, sono le medesime. Anche il taijiquan praticato sul monte Wudang, pur non
derivando direttamente dallo stile Chen, ne condivide i princpi fondamentali; questo
rende la disputa, per alcuni ancora non totalmente chiusa, sulla vera origine del
taijiquan11, poco rilevante ai fini del presente lavoro.

1.3 Taijiquan e daoismo


1.3.1 Identit di princpi
Come spiegato nel primo paragrafo, alla radice della concezione daoista dell'universo
sta il principio del taiji, con la manifestazione e l'alternanza dello yin e dello yang; il
nome taijiquan dichiara quindi con evidenza una connessione con le teorie daoiste.
pur vero che un'etichetta non di per s dimostrativa di una reale connessione, ma
sembra che in nessun documento, di ogni epoca e corrente, sia stao mai messo in in
dubbio il legame profondo esistente tra il taijiquan e le teorie del dao: i classici del
daoismo filosofico e gli insegnamenti dell'alchimia interna sono considerati preziosa
fonte teorica per i praticanti di questa arte marziale12.
Ci detto, risulta a questo punto molto pi importante vedere come il corpus degli
insegnamenti daoisti viene messo in movimento; come cio ci che teoria diventa
pratica.
11 Le scuole di Wudang gongfu attualmente in opera sul Wudang shan sostengono convintamente che il
taijiquan sia stato creato da Zhang Sanfeng e che la loro tradizione sia quella originaria.
12 Scarso peso hanno invece gli aspetti magici, divinatori, religiosi, che proprio per la loro marginalit
rispetto al tema in esame non sono stati approfonditi nel primo paragrafo.

12

1.3.2 Taijiquan e yin-yang


Quello di yin e yang sicuramente il concetto chiave del taijiquan, senza la
comprensione del quale l'esercizio dell'arte marziale risulta soltanto una superficiale
imitazione di movimenti esterni (Sim-Gaffney 2002: 33). Tutti gli elementi del taijiquan
sono classificati coi termini yin-yang o complementari, a partire dalle parti del corpo
(Despeux 2007: 52). Yin e yang significa saper coniugare morbidezza e durezza,
lentezza e velocit, quiete e moto, potenza ed elasticit, espansione e contrazione, pieno
e vuoto, leggero e pesante; gli opposti si bilanciano in percentuale varibile, ma nel
massimo dello yang ci deve essere un minimo di yin, e viceversa (Daniele 2004: 89).
Particolarmente importante la distinzione tra sostanziale e insostanziale, pieno
o vuoto (fn x sh 13) : per esempio quando la gamba sinistra sostanziale, la
destra insostanziale; una sostiene la maggior parte del peso del corpo e l'altra libera
di muoversi (Sim-Gaffney 2002: 34), e tuttavia la gamba piena non anche
pesante, altrimenti diventerebbe statica, senza dinamicit. Il pieno si coniuga con il
leggero, e il vuoto con il pesante (Daniele 2004: 123).
Merita menzione anche il concetto di apertura e chiusura (ki h ): il detto
quando apri chiudi e quando chiudi apri utilizzato dai maestri indica un preciso modo
di utilizzare il corpo, che prevede un continuo bilanciamento tra le forze in azione; e
cos quando un'articolazione si apre, un'altra si chiude, quando un gruppo muscolare
apre, un altro chiude (Daniele 2004: 122). Ma apertura o chiusura pu essere anche
apertura o chiusura dello spirito (Despeux 2007: 101). talmente importante che
secondo Sun Lutang () (1860-1933) la comprensione di questo principio porta a
penetrare i segreti pi reconditi delle varie posizioni (Sun 2005: 25).
Questa sorta di gioco degli opposti si trova davvero in ogni aspetto della pratica: altra
dicotomia fondamentale quella di duro e morbido. Nel taijiquan di stile Chen la
presenza di un aspetto duro particolarmente evidente a causa dei fajing (fjng ),
istantanee emissioni di forza che contrastano con i movimenti lenti; e tuttavia la
durezza, anche se nascosta, presente in tutti gli stili.
Coniugare duro e morbido (gng ru bng j ) un principio guida che
nel tajiquan riguarda, per, non soltanto l'alternanza tra tecniche che appartegono ad una
delle due categorie: dobbiamo infatti ricordare che yin e yang devono essere sempre
13 il terzo dei dieci princpi di Yang Chengfu, dettati a Chen Weiming.

13

presenti contemporaneamente. sicuramente pertinente a questo punto ricordare il


suggerimento di Laozi: Il morbido vince il duro. Il debole vince il forte. (Daodejing:
36), ma se si trascura l'aspetto yang la pratica si trasforma inevitabilmente in una
ginnastica con scarsa efficacia marziale e un effetto limitato anche dal punto di vista del
benessere che se ne ricava. I maestri di un tempo, impegnati in attivit fisiche pesanti,
sviluppavano naturalmente la loro forza; per questo motivo che durante la pratica
dovevano concentrarsi sul loro lato yin (Daniele 2004: 116). Per raggiungere la
morbidezza necessario, per prima cosa, imparare a rilassarsi (fngsng ),
prestando attenzione allo stato di tensione dei muscoli. In questo modo i muscoli
superficiali si ammorbidiscono, mentre quelli profondi, potenti e capaci di stare contratti
per lungo tempo, si potenziano, in quanto a loro viene completamente demandata la
funzione antigravitazionale nella quale sono specializzati (Daniele 2004: 90-91). cos
che si ottiene l'effetto di avere un corpo simile a ferro avvolto nel cotone. Duro e
morbido insieme, appunto. E tuttavia il gang del taijiquan non rappresenta una forza
bruta n tantomeno rigida: una forza elastica, che sorge spontaneamente dal
rilassamento; allo stesso modo il rou non vuoto, ma pieno e stabile (Sim-Gaffney
2002: 73).
Anche dal punto di vista strategico il principio di yin e yang ha un ruolo chiave: il
combattimento non considerato come una successione di situazioni antagoniste, ma
come il mantenimento di una complementarit in ogni circostanza (Despeux 2007: 83);
in pratica i due avversari formano un taiji, cercando ciascuno di armonizzarsi con l'altro.
1.3.3 Taijiquan e wuwei
Il concetto del morbido che vince il duro rimane comunque un punto centrale della
strategia del taijiquan, e ci consente di approfondire il concetto di wuwei applicato alla
pratica. Abbiamo visto come wuwei significhi sostanzialmente agire senza sforzo, e
agire senza sforzo significa piegarsi. Sim e Gaffney richiamano esplicitamente (SimGaffney 2002: 36) una serie di passaggi del Daodejing che hanno relazione con l'agire
senza sforzo, tra i quali: Cerca di curvarti e starai dritto (Daodejing: 22), Il rigido
deve piegarsi o sar piegato dagli altri. (Daodejing: 76). Va per anche sottolineato il
fatto che il wuwei, oltre ad essere una modalit strategica di interazione con
l'avversario14, rappresenta un fondamentale criterio guida a ogni livello di pratica:
14 Nel taijiquan gli spostamenti nelle diverse direzioni sono stati associati ai Cinque Elementi, o

14

ricercare un modo di muoversi con il grado minore possibile di resistenza interna. Ecco
perch la lentezza nell'allenamento importante: si tratta di dirigere all'interno gli occhi
della mente per percepire le variazioni toniche dei nostri muscoli (Daniele 2004:
117), per rendere i movimenti essenziali, senza sprechi, fluidi (Daniele 2004: 118).
Per ultimo, ma non certo per ordine d'importanza, lo stato di coscienza a doversi
trovare in uno stato di wuwei: il praticante esperto conosce la differenza tra l'agire
intenzionale della mente e l'agire impersonale dello spirito [], tra [] allenamento
tecnico-atletico e qualcosa che accade da s, senza un io agente (Daniele-Carboni
2012).
1.3.4 Taijiquan e movimento a spirale
Abbiamo visto che il taijitu maggiormente utilizzato dal taijiquan di stile Chen
presenta un cerchio centrale (wuji) dal quale yin e yang vengono generati in un
movimento spiraleggiante. Mitchell definisce esplicitamente il taiji come un'onda
energetica spiraleggiante (Mitchell 2011: 29). Se volessimo dilungarci in un'analisi di
altri simboli e rappresentazioni del movimento nel taijiquan troveremmo sempre un
riferimento a questo concetto.
Il movimento a spirale in questa arte marziale spesso definito chan si jing (chn s
jng ), espressione che indica l'azione del raccogliere il filo di seta dal bozzolo.
La visualizzazione di questa operazione da parte del praticante fa s che i movimenti
diventino fluidi, gentili, privi di brusche interruzioni che avrebbero come risultato la
rottura del sottile filo di seta. Nel primo manuale sul taijiquan, Chen Xin scriveva che il
taijiquan forza a spirale [...] se non conosci la forza a spirale, non conosci il
taijiquan (Sim-Gaffney 2002: 47). Il movimento a spirale coinvolge tutti i segmenti
corporei, che devono muoversi all'unisono, ottenendo come effetto un miglioramento
dell'elasticit e flessibilit, oltre a costituire un requisito indispensabile per l'efficacia
marziale di ogni tecnica. Il movimento pu essere diviso in due fasi: nella prima la forza
dell'avversario viene portata verso il centro del proprio corpo, nella seconda la spirale
riparte dal dantian basso per essere convogliata verso le estremit. Il movimento a
Mutazioni; lo spostamento in avanti corrisponde all'elemento Acqua (Sim-Gaffney 2002: 36), ad
indicare come l'attacco sia da concepire come un'entrata fluida nella guardia avversaria, che privilegi
la ricerca degli spazi vuoti pi che l'opposizione. L'utilizzo del paradigma dei wu xing nel taijiquan
comunque secondario, in quanto tradizionalmente associato ad un'altra arte marziale interna: lo Xing
Yi Quan (xng y qun ).

15

spirale, man mano che il praticante migliora, diventa sempre pi complesso e sottile:
dapprima i muscoli si avvolgono intorno alle ossa, poi, quando anche le ossa sviluppano
la capacit di muoversi a spirale, ossa e muscoli si muovono in spirali contrapposte.
L'ultimo stadio non pi fisico: l'intento della mente muove a spirale l'energia (Daniele
2004: 154).
1.3.5 Taijiquan e alchimia interna
Fino ad ora abbiamo parlato di come i diversi concetti trattati nella sezione dedicata
al daoismo siano applicati all'uso del corpo, cos come ad aspetti mentali e strategici;
l'ultima affermazione del paragrafo precedente ci consente invece di spostarci dalla
dimensione fisica a quella energetica. Prima di farlo, per necessario ricordare come
nell'alchimia interna daoista il primo stadio preveda la preparazione del corpo e
l'acquietamento della mente15; questo esattamente ci che succede anche nel taijiquan.
In una prima fase il praticante si dedica in principio ad un tipo di lavoro esterno
(wigng ), che prevede l'elasticizzazione del corpo mediante rilassamento della
muscolatura esterna, rafforzamento di quella pi interna, elasticizzazione ed
irrobustimento dei tendini e dei legamenti, allineamento e irrobustimento delle ossa.
Solo quando il corpo stato preparato in questo modo, e la mente acquietata, il lavoro
diventa sempre pi interno (nigng ).
Bisogna dire che l'analisi delle diverse a fonti a disposizione rivela, a questo punto,
che ci troviamo di fronte ad un territorio molto pi difficile da esplorare: tutti i testi,
anche se fondamentalmente richiamano la teoria dell'alchimia daoista con la
tripartizione jing-qi-shen, forniscono generalmente informazioni diverse, sia nella
struttura che nel contenuto delle pratiche necessarie per la raffinazione di queste
sostanze misteriose. In parte ci pu essere dovuto alla difficolt di trattare con
chiarezza argomenti in cui le sensazioni, la mente, le emozioni parole che si rifanno
peraltro a concetti estremamente soggettivi giocano un ruolo primario; in parte, e ci
mi pare comprensibile, credo derivi dal fatto che per descrivere con cognizione
un'esperienza necessario prima esservi passati, e le vette pi alte di questo tipo di
pratica sono probabilmente alla portata di pochi; il modesto livello di comprensione di
chi scrive sicuramente ulteriore fonte di difficolt.
Ci che, secondo le fonti, sicuro, che quando corpo e mente, opportunamente
15 Vedi paragrafo 1.1.5.

16

preparati, sono pronti, il praticante comincia a sentire una sensazione diffusa, il qi, in
tutto il corpo. Possiamo dire che ci costituisce il corpo energetico, energia che
fluisce liberamente. Che il movimento del dantian inferiore costituisca il fondamentale
punto di partenza per questo processo assodato; e tuttavia ci sono differenze su ci che
succede a questo livello. Per Mitchell la trasformazione del jing in qi segnalata da un
calore molto intenso, che provoca una sudorazione copiosa (Mitchell 2011: 148),
Daniele preferisce concentrarsi su un requisito fondamentale per innescare il processo, e
cio l'armonizzazione di xin (xn ), le emozioni e i pensieri nascosti, con yi (y ),
ovvero la volont cosciente (Daniele 2004: 37). Nelle applicazioni marziali necessario
saper trasformare il qi in jin, e cio in forza che si possa emettere, e quindi nel taijiquan,
rispetto alle pratiche daoiste pure, c' uno spostamento di attenzione sulla generazione
di forza da utilizzare contro un avversario, piuttosto che sul movimento in direzione di
ritorno al dao. Questa dunque probabilmente la differenza pi importante tra un
daoista che coltiva le proprie energie interiori e un praticante di taijiquan: al di l della
definizione di qi o shen, l'artista marziale ha necessit di sviluppare capacit di
gestione dell'energia applicabili in una situazione di scontro. Il qi dell'artista marziale,
guidato da yi (intenzione cosciente) usato, in accelerazione, per produrre jin (SimGaffney 2002: 45); il qi del monaco daoista, quieto e privo necessit di gestione di forze
oppositive esterne, sale verticalmente verso ulteriori stadi di raffinazione.

17

2 Buddismo zen e karate


2.1 Caratteri principali del buddismo zen
2.1.1 Le radici della scuola zen: il buddismo chan in Cina
Le origini storiche del buddismo chan (chn ) rimandano ad un racconto,
probabilmente di tradizione apocrifa e la cui creazione da collocarsi nel III o IV sec.
d.C., secondo il quale un giorno il Buddha storico radun i suoi discepoli con l'intento
di scegliere il suo successore; egli si limit per a mostrare un fiore agli astanti, senza
proferire parola. Solo il discepolo Mahkiapa accenn un lieve sorriso, dimostrando
di comprendere il messaggio del maestro e di esserne il pi adatto successore (Arena
1992: 71). Questo episodio altamente simbolico in quanto contiene un importante
elemento del chan: la trasmissione da mente a mente (Tollini 2012: 16), un
insegnamento che non ha bisogno di dottrina e di conoscenza (Arena 1992: 72).
L'aneddotica legata alle origini di questa scuola riporta anche la storia secondo la
quale il ventottesimo patriarca indiano, Bodhidharma, si rec nella Cina meridionale,
dove incontr l'imperatore Wu ( ) (502-550); deluso da quest'ultimo si ritir nel
monaster di Shaolin (Sholn ) nello Henan, e rimase in meditazione immobile
per nove anni, durante i quali non fece altro che fissare un muro 16. Da questo racconto e
dal Trattato sui due accessi e le quattro pratiche, scritto coevo e di sapore cinese che,
se si provasse l'esistenza storica del monaco, potrebbe essere davvero attribuito a
Bodhidharma, si ricava un altro elemento fondamentale del chan: l'importanza della
meditazione (Arena 1992: 74).
Per un corretto inquadramento storico della nascita e dell'evoluzione del chan per
necessario fare un passo indietro fino al I sec. d.C., periodo in cui il buddismo si diffuse
in Cina. Esistevano allora presumibilmente quattordici diverse scuole17 , tra cui anche la
scuola chan, che per non aveva ancora acquisito un'identit ben definita (Tollini 2012:
24). pur vero che le varie scuole utilizzavano diversi approcci alla dottrina; tra i primi
stra indiani ad essere tradotti vi erano alcune opere yogiche sulla meditazione e sul
16 Il metodo di meditazione di Bodhidharma appunto conosciuto con il nome di biguan (bgun ),
ovvero contemplare il muro (Tollini 2012: 25).
17 Oltre alla setta chan ricordiamo la Jingtu (Jngtzng ), o Scuola della terra pura, che
divenne in seguito la pi diffusa tra le masse popolari.

18

controllo del respiro (Arena 1992: 50), e fu proprio a queste opere che la setta chan, il
cui nome deriva dal sancrito dhyna, meditazione, cominci ad attribuire particolare
importanza. Le pratiche meditative erano gi conosciute dai cinesi grazie al daoismo,
che svolse un'importante funzione di mediatore culturale nel chiarire concetti altrimenti
troppo estranei alla cultura cinese per essere compresi 18. La concezione della vita dei
buddisti e dei daoisti era in effetti piuttosto simile: entrambe le dottrine orientavano
verso una vita tranquilla e scevra di desideri (Arena 1992: 52).
Altro ingrediente fondamentale per lo sviluppo del chan, che avrebbe acquisito una
identit ben definita solo nel VII sec. d.C. (Tollini 2012: 25), furono le teorie della
Scuola del vuoto, di cui l'indiano Ngrjuna, filosofo e alchimista attivo nel II sec.
d.C., fu il principale esponente. Ngrjuna dimostrava l'incapacit del linguaggio e
della logica di giungere alla verit assoluta; solo con il superamento della logica si
sarebbe potuto giungere al vuoto (kng ), la vera realt, concreta e totalmente
illogica (Arena 1992: 34).
Importanti personaggi, precursori del vero e proprio chan, furono Sengzhao ()
(374-414) e Daosheng ( ) (355-434). Il primo, attivo all'inizio del V sec. d.C.,
rivoltosi al buddismo perch deluso dal daoismo, sottolineava la necessit di superare il
pensiero dualistico, evitando l'opposizione tra quiete e movimento, ed in generale
esortando a non ragionare per opposti (Arena 1992: 61). Il secondo, di pochi anni pi
giovane di Sengzhao, era conosciuto per il ritenere che da una buona azione non
derivasse alcun merito, e per la teoria secondo la quale l'illuminazione si raggiunge
istantaneamente (Arena 1992: 65). Il superamento del dualismo e l'assenza di merito per
le proprie buone azioni sono presenti anche nell'aneddotica e nei testi attribuiti a
Bodhidharma.
Con il successore di Bodhidharma, il secondo patriarca Huike ( ) (487-593), si
esce dalla leggenda e comincia la vera storia del movimento chan. Fu un'epoca, quella,
in cui gli elementi di origine cinese erano ancora accompagnati da immagini e stile di
sapore indiano (Arena 1992: 99), nonostante i richiami alla tradizione daoista siano
frequenti. I testi prodotti in quel periodo presentano un linguaggio paradossale;
l'obiettivo era quello di sottolineare la falsit della realt fenomenica, le cui
18 Diversi furono i traduttori che fecero esplicito riferimento agli insegnamento di Laozi o al Zhuangzi,
ovviamente presupponendo che daoismo e buddismo fossero in qualche modo accomunabili (Arena
1992: 51).

19

rappresentazioni sono prodotte dalla mente19, e l'aspirazione a ritornare alla condizione


originaria, alla suprema realt, al vuoto (Arena 1992: 96). La storia del chan degli
inizi, con i primi cinque patriarchi, sostanzialmente unitaria: gli elementi fondamentali
erano la pratica della meditazione e l'idea di superamento del dualismo; esistevano
tuttavia filoni che enfatizzavano anche il rispetto di severe regole monastiche e/o lo
studio e l'interpretazione delle scritture. solo dopo il quinto patriarca Hongren ()
(601-674) che la storia del chan prese una forma definitiva (Tollini 2012: 33).
Dopo Hongren i due discepoli rivali Shenxiu 20 () (606-706) e Huineng ()
(638-713) diedero vita rispettivamente alla Scuola settentrionale (bizngchn )
e alla Scuola meridionale (nnzngchn ). L'aneddoto pi famoso che riguarda
Huineng quello relativo alla disputa per la successione a Hongren: nonostante fosse un
illetterato super il rivale Shenxiu nella composizione di un gth, cio di una poesia
composta per illustrare la comprensione del Dharma (Tollini 2012: 35); mentre il suo
rivale scrisse a della necessit di pulire la mente come uno specchio, Huineng replic
asserendo che non vi era necessit di alcuna pulizia, perch in realt le impurit non
esistono (Arena 1992: 123).
La Scuola settentrionale, nonostante i primissimi successi, si estinse in maniera
piuttosto rapida; ci avvenne sia per la mancanza di successori significativi, sia per il
taglio maggiormente intellettualistico delle sue posizioni rispetto a quelle della Scuola
meridionale; secondo Arena questo port ad una minore capacit della Scuola
settentrionale di parlare al cuore del cinese medio (Arena 1992: 113). Huineng, al
contrario, non faceva dimostrazioni ma solo affermazioni, arrivava direttamente
all'assoluto senza mediazioni (Arena 1992: 123)21. Da questa rottura nacque il
cosiddetto chan dei patriarchi, che identific un periodo in cui i maestri, strani e con
atteggiamenti sempre bizzarri, ricorsero sempre di pi al gesto in sostituzione della
19 Il chan dei primi secoli consider il Lakvatra Stra, Stra della discesa a Lanka (lngqijng
), come un testo fondamentale. In esso si afferma che la realt e i fenomeni non sono altro che la
proiezione della nostra mente e quindi sono insostanziali (Tollini 2012: 25).
20 Pare che in realt sia stato Faru () (638-689) ad essere originariamente designato come sesto
successore (Arena 1992: 103); la sua figura per di scarso peso nella creazione di quella che sar la
Scuola settentrionale.
21 Vi fu per la verit anche una disputa relativa all'illuminazione: la Scuola meridionale, sostenitrice
dell'illuminazione istantanea, asseriva che la scuola rivale sostenesse la teoria dell'illuminazione
graduale. Sia Tollini (Tollini 2012: 41) che Arena (Arena 1992: 113) relativizzano per l'importanza di
tale disputa sul successivo successo delle scuole, anche sulla base del fatto che la posizione della
Scuola settentrionale era in realt pi complessa: necessit di un processo di preparazione
all'illuminazione che rimaneva un evento istantaneo (Arena 1992: 144).

20

parola, ritenuta fuorviante. L'uso dell'urlo e del bastone, l'esaltazione della non azione
daoista e la valorizzazione del quotidiano erano elementi accomunanti tutti i maestri di
questo periodo; la meditazione non era uno strumento necessario per raggiungere la
liberazione, ma un'attivit fine a s stessa (Arena 1992: 183).
Altro importante spartiacque nella storia del chan quello della persecuzione del
buddismo da parte dell'imperatore Wuzong () (814-846), avvenuta tra l'841 e l'846,
e che vide il suo apice nell'845; il chan evit le accuse di parassitismo, motivazione
principale alla base della persecuzione, grazie alla cultura diffusa del lavoro all'interno
dei monasteri. Da questo momento in poi si parla di chan delle Cinque case (wji
), in riferimento a cinque diverse posizioni dottrinali che, pur nella comunanza delle
concezioni sostanziali, si andarono sviluppando (Arena 1992: 187).
Il buddismo di epoca Song fu profondamente sincretico 22: non solo incorpor
elementi neoconfuciani, ma vide anche la fuzione tra chan e dottrina della Terra Pura
(Arena 1992: 261); queste ultime due correnti del buddismo erano le uniche
sopravvissute alla persecuzione di Wuzong. A questa sorta di perdita di identit si
aggiunse poi un forte processo di politicizzazione: i monasteri avevano stretti rapporti
con il potere, dal quale non temevano pi di essere contaminati (Arena 1992: 230). in
quel periodo che nacque il gong'an23 (gng'n , giapp. kan), un dialogo tra
maestro e discepolo in cui quest'ultimo raggiunge l'illuminazione (w , giapp. satori);
poteva anche semplicemente consistere nelle parole del maestro.
Le tendenze sincretiche, la politicizzazione dei chiostri e la critica da parte dei
neoconfuciani, che attaccarono la pretesa del chan di rivendicare la natura di religione
cinese, affossarono questa scuola buddista, che al termine dell'epoca Song aveva
ormai iniziato, in Cina, un processo di inesorabile decadenza; in epoca Ming il chan era
ormai giunto al tramonto (Arena 1992: 261).
2.1.2 Nascita e caratteristiche dello zen giapponese
Con l'istituzione del governo militare (bakufu ) da parte di Minamoto no
Yoritomo24 () (1147-1199) incominci in Giappone il periodo Kamakura (1183
22 Il sincretismo era una caratteristica del pensiero cinese presente gi in precedenza: in epoca Tang si
tendeva a fondere confucianesimo, daoismo e buddismo (arena 1992: 261).
23 Il termine significa caso o notifica pubblica; il termine giuridico perch il gong'an attesta il
raggiungimento dell'illuminazione (Arena 1992: 233).
24 In questo lavoro, secondo l'uso giapponese, i nomi giapponesi sono riportati seguendo l'ordine

21

1333); al centro della societ giapponese si colloc la casta dei guerrieri, molto diversa
dalla raffinata nobilt che era stata la protagonista del periodo Heian. Fu un'era incerta,
colma di violenza, e la difficile realt circostante spingeva l'uomo verso pensieri meno
mondani e pi ultraterreni (Tollini 2012: 101), con la portata di un vero e proprio
risveglio religioso generale. Questo port ad un ripensamento del ruolo del buddismo,
arrivato in Giappone dalla Cina ormai da alcuni secoli, ma fino a quel momento mai
veramente nipponizzato (Tollini 2012: 104). A questo si un il supporto dei reggenti
militari, gli shgun (), che erano interessati a contrastare il potere dei grandi templi
delle scuole esoteriche buddiste Shingon e Tendai, peraltro legate da stretti vincoli
rispettivamente con la corte e la nobilt Heian (Tollini 2012: 113). I primi monaci zen
furono in realt, per la maggior parte, monaci Tendai 25 desiderosi di un buddismo pi
consono al loro sentire. Le nuove tendenze portarono da una parte verso forme popolari,
come quelle del buddismo amidista (della Terra Pura), dal'altra a forme pi elitarie come
lo zen, ma comunque affini alla sensibilit autoctona (Tollini 2012: 109); tutte le scuole
misero al centro una pratica esperibile dalla gente comune, che per la scuola zen era
rappresentata dalla pratica della meditazione seduta (zazen ).
Lo zen era la versione nipponica del chan, e tuttavia con il tempo le connotazioni
iniziali lasciarono il posto a caratteristiche tipicamente giapponesi, al punto tale che
proprio nello zen che possiamo trovare la sorgente dei princpi ispiratori dell'animo
giapponese (Tollini 2012: 117). Quali furono questi elementi di novit? Nei testi chan
ritroviamo spesso l'eco della dottrina yin-yang e del wuwei, con palesi accostamenti del
saggio buddista a quello daoista. In Giappone lo zen divenne pi virile, marziale; il
raggiungimento del proprio obiettivo non era pi spontaneo, come un fiume che
naturalmente sfocia nel mare, ma il frutto di una lunga e dura lotta contro s stessi e i
propri attaccamenti (Tollini 2012: 119). Questo considerare il proprio io un nemico
da sconfiggere port la pratica giapponese a dei livelli di grande severit, proprio perch
la condizione di naturalit raccomandata dal chan divent, nell'esperienza dei
guerrieri26 (bushi ), il risultato della distruzione delle proprie sovrastrutture mentali
(Tollini 2012: 120). Scrive inoltre Deshimaru che lo zen in Giappone, libero dal
cognome e nome.
25 La scuola Tendai era in realt un ambiente sincretico in cui diverse tendenze convivevano senza
particolari problemi; proprio questa tendenza al sincretismo avrebbe, secondo Tollini, spinto i giovani
monaci a cercare pi autentiche espressioni della religiosit (Tollini 2012: 116).
26 In Cina il chan era stato invece legato alle classi dei letterati e dei pensatori (Tollini 2012: 120).

22

paradosso daoista di Laozi [] assunse le qualit tipicamente giapponesi dell'esattezza,


della precisione, della semplicit (Deshimaru 2004: 15).
Nel periodo Kamakura il chan trov in Giappone terreno fertile perch potesse
attecchire27; l'opera dei pionieri di questo periodo fece in modo che in terra giapponese
sorgessero i primi centri e templi zen, e favor la nascita delle due scuole pi
importanti28: la Rinzai (Rinzaish ) e la St (Stsh ), versione
giapponese delle scuole cinesi Linji e Caodong.
La prima legata alla figura di Eisai Myan ( ) (1141-1215), monaco
Tendai (scuola dalla quale non usc mai formalmente) che pensava che lo zen potesse
dare nuova energia alla sua pratica. Eisai, che visit pi volte la Cina per studiare con
maestri chan, riusc ad affermarsi grazie all'appoggio della classe dei bushi. La sua era
una concezione sincretica, ancora parzialmente esoterica e attenta alle regole
monastiche e ai precetti (Tollini 2012: 141); egli non diede vita ad una diretta
discendenza, e la vera e propria scuola Rinzai fu fondata solo grazie all'apporto dei
maestri cinesi che visitarono il Giappone nel periodo successivo29.
La scuola St invece legata al nome di Dgen Kigen ( ) (1200-1253),
anch'egli monaco Tendai, che studi prima Rinzai zen sotto la guida di un discepolo di
Eisai, ma che, ancora insoddisfatto, si rec a sua volta in Cina. Dgen una delle
personalit maggiormente importanti dello zen; il suo Shbgenz ( ), il
Tesoro dell'Occhio della Vera Legge, considerato oggi un testo fondamentale per la
comprensione dello zen e del pensiero giapponese in generale (Tollini 2012: 150). Egli
fu profondamente critico verso il sincretismo Rinzai e concentr tutto l'insegnamento
della sua scuola nella pratica della meditazione seduta; nella sua concezione lo zazen
non era funzionale al raggiungimento dell'illuminazione, ma al contrario si identificava
con l'illuminazione stessa: egli parl di unit di pratica e illuminazione (shsh
ichinyo ). L'illuminazione non poteva essere acquisibile, ma solo
manifestabile (Tollini 2012: 155); Dgen, che sottolineava l'importanza di vedere il
27 I primi tentativi di importazione del chan avvennero gi a partire dal IX sec. d.C., ma non ebbero mai
continuit e portarono come effetto unicamente di suscitare interesse per la pratica della meditazione
(Tollini 2012: 123)
28 La terza scuola la baku ( bakush), che giunse in Giappone solo a met del XVII sec.
d.C. (Tollini 2012: 133).
29 L'insegnamento in Giappone da parte di maestri cinesi chan fu, insieme ai viaggi in Cina da parte di
monaci giapponesi, elemento fondamentale per lo sviluppo dello zen (Tollini 2012: 158).

23

mondo per quello che , rifiutava totalmente il dualismo e suggeriva l'abbandono di


ogni aspettativa di soddisfazione del proprio io: dimenticare s stessi era l'unica
necessit.
La scuola Rinzai, che oltre allo zazen utilizzava ampiamente il kan30 e che sosteneva
l'illuminazione subitanea, ebbe successo sprattutto tra l'aristocrazia militare, mentre la
scuola St, per la sua sempicit dottrinale, si diffuse soprattutto tra la popolazione
rurale delle campagne (Tollini 2012: 137).
I monasteri zen ebbero una grande influenza sui bushi, che cominciarono ad
interessarsi delle lettere (anche cinesi): verso la fine del XIII sec.d.C. si incominciano a
trovare, nelle antologie poetiche, poesie di bushi (Tollini 2012: 169).
Il periodo Muromachi (1334-1603) fu caratterizzato dal sistema Gozan ( ); il
termine faceva riferimento ai cinque pi importanti templi della scuola Rinzai 31, centri
di produzione culturale e strumenti di controllo dello zen da parte del potere militare,
che in cambio della protezione accordata riceveva insegnamenti e supporto. Nei Gozan
si praticava la poesia cinese, la pittura ad inchiostro di china, la cerimonia del t e la
costruzione di giardini. L'attivit artistica praticata nei Gozan si estese presto a temi non
religiosi, e rappresent un momento fondamentale per lo sviluppo del pensiero
giapponese; furono i templi zen, tra l'altro, a diffondere in Giappone le idee
neoconfuciane di Zhu Xi (Tollini 2012: 213). Fu proprio questo spostarsi dell'interesse
verso temi non religiosi, insieme all'indebolimento del potere militare degli Ashikaga e
conseguentemente della loro capacit di sponsorizzazione, a spingere la dottrina zen
verso un periodo di declino.
Durante il periodo Edo (1604-1867) la scuola Rinzai si risollev grazie ad alcuni
innovatori come Takuan Sh () (1573-1645) e Hakuin Ekaku ()
(1685-1768); quest'ultimo, personificazione di una spiritualit genuina, chiedeva ai suoi
discepoli uno sforzo continuo, un superamento incessante dei propri limiti, una lotta
per l'illuminazione (Tollini 2012: 259). Anche la scuola St si riprese, principalmente
30 Le differenze tra le due scuole, probabilmente gi in orgine non cos nette visto che Dgen lasci una
raccolta di trecento kan, sono andate progressivamente sfumando; rimane il fatto che la scuola St
anche oggi attribuisce maggiore importanza alla pratica della meditazione rispetto a quella del kan
(Deshimaru 2004: 66); nelle scuole Rinzai, inoltre, la pratica dello zazen spesso visto come supporto
al kan: mentre si medita si osservano le parole del kan per comprendere i limiti del linguaggio
(Tollini 2012: 76).
31 Anche templi all'esterno del sistema gozan furono importanti centri di produzione culturale;
rappresentano anzi una fonte di ancora maggiore rilievo per lo sviluppo dello zen moderno (Tollini
2012: 194).

24

grazie al movimento del ritorno a Dgen, sviluppatosi intorno alla met del XVIII
sec.d.C. con l'obiettivo di ricondurre la scuola alla purezza del suo spirito originario; il
St moderno in larga parte il risultato di questo movimento (Tollini 2012: 264).
2.1.3 Il cuore dello zen: zazen () , kan ()
Sebbene gi tratteggiati nei paragrafi precedenti, vale la pena di tornare brevemente
sui due strumenti principali della pratica zen: lo zazen ed il kan.
Lo zazen prevede, secondo la descrizione che Dgen ne d nello Shbgenz, di
sedersi su un cuscino, possibilmente con le gambe in posizione del loto, ponendo le
proprie mani all'altezza dell'ombelico con i pollici a contatto; la spina dorsale deve
essere eretta, gli occhi aperti ma non spalancati, il respiro profondo e regolare. Dgen
invita poi al senza-pensiero (mushin ): non si tratta di sopprimere i propri
pensieri con la forza (questo rafforzerebbe ulteriormente il proprio io) ma di giungere ad
una condizione in cui i pensieri non sorgono per il semplice fatto che la mente ha
semplicemente lasciato cadere qualsiasi interesse (Tollini 2012: 70-72). lo spirito del
mushotoku ( ), il non-profitto (Deshimaru 2004: 24), di una presa di distanza
totale da ci che accade, l'ignorare consapevolmente il mondo degli inevitabili stimoli
esterni. necessario tuttavia non scambiare questa presa di distanza con una comoda
apata: la pratica deve essere intensa e l'atmosfera nel luogo della Via (dj ),
forte e solenne (Deshimaru 2004: 42).
Il kan viene spesso associato al termine nonsense: si tratta di un problema che
non pu trovare soluzione mediante l'utilizzo della logica. La sua funzione quella di
promuovere il dubbio e spingerlo fino all'estremo, di spingere il discepolo a
sperimentare una realt diversa mediante la messa in scacco delle sue normali facolt
intellettive (Tollini 2012: 75). La lingua viene utilizzata in maniera atipica, cercando di
dimostrare la sua incapacit di cogliere l'essenza vera delle cose. Il corto circuito che ne
deriva la distruzione dell'io, un'esplosione che porta all'illuminazione e che deriva
dall'essersi spinti fino allo stremo delle forze nell'esplorazione della dimensione
razionale del kan (Arena 1992: 235).
Zazen e kan sono strumenti apparentemente molto diversi, e tuttavia c' un punto in
cui si incontrano: entrambi rappresentano delle zattere per traghettare il praticante al
di l della realt illusoria e giungere al k (), il vuoto. Questa sembra essere lo zen,
25

in ogni ambito in cui si manifesta: il vuoto che entra nella chiassosa realt che
crediamo ordinaria per ricondurci al satori, il nostro stato naturale (Deshimaru 2004:
66).

2.2 Origini ed evoluzione del karate


2.2.1 Il karate ad Okinawa
La storia del karate legata all'isola di Okinawa (), situata nell'arcipelago delle
Ryky () ed annessa dal Giappone solo nel 1879.
A partire dal XIV sec. d.C. Okinawa divent stato tributario della Cina dei Ming,
cosa che comportava anche l'incoronazione dei re dell'isola da parte di una nutrita
ambasceria cinese; il gruppo di funzionari in occasione di ogni viaggio si fermava ad
Okinawa per alcuni mesi. Dal 1392, inoltre, un gruppo di immigrati cinesi si insedi nel
villaggio di Kume, nella regione di Naha; il gruppo veniva chiamato le trentasei
famiglie, anche se non vi certezza che ci corrispondesse al numero esatto. Le
ambascerie cinesi e, soprattutto, la comunit delle trentasei famiglie furono importanti
mediatori culturali tra Cina ed Okinawa, e con molta probabilit attraverso di loro la
tradizione del combattimento cinese si diffusa nell'isola (Tokitsu 2005a: 20).
Okinawa fu unificata all'inizio del XV sec. d.C.; circa cento anni dopo il re Sh Shin
( ) (1465-1526) aveva trasformato Okinawa in uno stato centralizzato che si
ispirava fortemente al modello cinese, con missioni di vassallaggio a cadenza annuale.
Egli attu un disarmo totale della popolazione, con l'obiettivo di controllare i signori
locali (Tokitsu 2005a: 23); possiamo pensare che questo possa aver portato ad un
incremento dello studio delle tecniche a mano nuda. Nel 1609 il clan giapponese dei
Satsuma () invase l'arcipelago delle Ryky e lo conquist facilmente, anche grazie
al fatto che i locali possedevano pochissime armi; le relazioni di vassallaggio con la
Cina continuarono grazie al fatto che i Satsuma ne ottenevano cos la possibilit di
commerciare indirettamente con la Cina. Nei secoli XVII e XVIII molti vassalli si
impoverirono e l'arte del combattimento, che fino a quel momento era stata appannaggio
esclusivo della nobilt, penetr probabilmente anche in strati sociali meno elevati
(Tokitsu 2005a: 30).
L'influenza cinese oper forse di concerto con altre, visto che l'attivit commerciale
26

di Okinawa non interessava soltanto la Cina; antiche forme di combattimento autoctone


erano peraltro quasi sicuramente gi praticate ad nell'isola da tempo immemore. In
assenza di fonti precise l'era delle origini spesso territorio di congetture pi che di
verit storiche; la classificazione solitamente adottata tende a distinguere gli stili di
origine prettamente cinese, il cosiddetto Naha-te ( ), in cui l'influenza delle
tecniche della Cina del sud, praticate dalle trentasei famiglie preponderante, dallo
Shuri-te () e dal Tomari-te(), stili in cui l'influenza delle arti marziali del
nord della Cina bilanciata dagli elementi autoctoni, e a cui si somma probabilmente
l'influenza degli stili di spada giapponese (Tokitsu 2005a: 35-37).
La figura che la tradizione pone all'origine del karate quella di Sakugawa Kanga
( ) (1782-1865?); il contributo di questo maestro indubbio, ma la verit
storica della sua vita si fonde spesso con elementi leggendari. Pare comunque che egli
ricevette l'autorizzazione di dimorare a Pechino, dove ebbe la possibilit di studiare gli
stili del nord della Cina (Tokitsu 2005a: 37). Fino a quel momento gli influssi
preponderanti erano stati quelli degli stili del sud, anche perch era nel Fujian che i
giovani di Okinawa erano soliti recarsi per studiare le cose cinesi.
Un definitivo passaggio alla storia si ha con Matsumura Skon ( ) (18091899) , probabilmente allievo di Sakugawa Kanga e guardia del Principe al palazzo di
Shuri. Egli studi in Giappone lo stile di spada Jigen-ry e a Pechino gli stili del nord
della Cina (Mabuni 2009: 36), fondendo queste arti con la tradizione del te (), cio le
tecniche autoctone di Okinawa. Egli form numerosi maestri, determinanti per
l'evoluzione che il karate ebbe a partire dal XX sec. (Tokitsu 2005a: 42).
Se Matsumura Skon la figura fondamentale dello Shuri-te, per il Naha-te
importante ricordare quella di Higaonna Kanry () (1853-1915). Higaonna,
che al contrario di Matsumura era di umili origini, dopo avere studiato l'arte del
combattimento presso il villaggio di Kume, si rec a Fuzhou dove visse alcuni anni
studiando kenp () (Clarke 2011: 222).
Diversi furono i maestri che nel XIX sec. ebbero occasione di recarsi in Cina,
portando nell'arte di combattimento di Okinawa una nuova ondata di influenza cinese.
Dopo l'annessione del 1879, Okinawa fu coinvolta dal clima militaristico e dalla
voglia del Giappone di affermare la propria identit, anche contro la Cina, verso la quale

27

Giappone ed Okinawa erano debitori di tratti fondamentali della loro cultura. Dopo la
prima guerra sino-giapponese, un allievo di Matsumura Skon, Itosu Ank ()
(1831-1915), riusc a fare accettare il karate, in una versione modificata da lui 32, nelle
scuole elementari, come strumento di educazione fisica; questo grazie al fatto che i
medici militari avevano riscontrato che molti praticanti di karate avevano un corpo
particolarmente ben sviluppato (Tokitsu 2005a: 56). Era il 1901; quattro anni dopo il
karate venne introdotto anche al liceo e nell'istituto magistrale. Ad aiutare Itosu nella
sua opera erano state le imprese di Yabu Kents () (1866-1937), un suo allievo
che, distinguendosi in guerra, aveva contribuito alla popolarizzazione del karate.
L'introduzione di questa disciplina delle scuole port all'adozione di metodi di
allenamento di massa, standardizzati, con uno stile simile a quello importato dagli
occidentali per l'allenamento dei soldati (Tokitsu 2005a: 58). Fu Yabu ad introdurre la
maggior parte delle convenzioni adottate ancora oggi nell'allenamento del karate
(Tokitsu 2005a: 65).
2.2.2 Il karate diventa un'arte marziale giapponese
Fino al 1921 il karate non era mai stato insegnato e praticato al di fuori dell'isola di
Okinawa. In quell'anno, per, il Principe imperiale, in viaggio per l'Europa, si ferm ad
Okinawa, e l ebbe occasione di assistere ad una dimostrazione dell'arte marziale
indigena, rimanendone impressionato. A dirigere la dimostrazione era stato Funakoshi
Gichin () (1868-1957), un altro allievo di Itosu allora cinquantatreenne, che
lavorava come maestro di scuola.
Nel 1922 Kan Jigor () (1860-1938), creatore del jd e personalit di
spicco nella societ giapponese del periodo, invit Funakoshi a Tokyo affinch
presentasse il karate nel suo dj (Tokitsu 2005a: 70)33. Ad Okinawa non esisteva
alcuna uniforme ufficiale per l'allenamento, e siccome faceva molto caldo ci si allenava
spesso a torso nudo, in biancheria intima (Tokitsu 2005a: 88); per la dimostrazione si
utilizzarono quindi delle uniformi bianche e delle cinture mutuate dal jd. Non
esistevano neppure luoghi formali per l'allenamento e spesso ci si allenava in giardino,
32 In generale le tecniche vennero rese meno pericolose, visto che dovevano essere insegnate a dei
bambini (Tokitsu 2005a: 61). Questo provoc e provoca critiche in quanto, dal punto di vista
dell'efficacia in combattimento, difficile considerare in modo positivo le innovazioni di Itosu .
33 Preso in prestito dalla tradizione buddista, il dj, o luogo della Via, dopo il 1868 (anno della caduta
dello shogunato) fu utilizzato dai samurai come luogo di pratica e di trasmissione delle arti marziali in
cui erano versati (Clarke 2011: 9).

28

perch era raro che si potesse dedicare un locale della casa al solo allenamento (Mabuni
2009: 33). A seguito dell'incoraggiamento di Kan, Funakoshi decise di rimanere a
Tokyo per diffondere il karate. I primi anni furono duri e Funakoshi fu costretto a
lavorare come custode in un pensionato per studenti; fu solo nel 1936 che riusc ad
aprire il suo primo dj.
Nel 1933 il karate fu finalmente accettato come arte marziale giapponese dalla Dai
Nippon Butokukai ( ), associazione nata nel 1895 con l'obiettivo di
standardizzare i sistemi e le discipline marziali di tutto il Giappone.
Funakoshi si dedic anche alla divulgazione scrivendo diversi libri. importante
descrivere un altro passaggio fondamentale per la trasformazione del karate in un arte
specificamente giapponese: la modificazione dei caratteri con cui il termine era scritto.
Nei suoi primi due libri Funakoshi aveva utilizzato, come da tradizione, i caratteri

(mano cinese)34; questo per era ovviamente un elemento di disturbo per

l'integrazione del karate nelle arti marziali giapponesi. Cominci quindi ad utilizzare i
caratteri (mano vuota)35. Nel suo testo Karate-d kyhan () egli
giustific la sua scelta adducendo diverse ragioni: la prima era che il vuoto si riferiva
al fatto che il karate permetteva di difendersi senza l'utilizzo di armi; altra ragione era
che il praticante doveva svuotarsi di ogni pensiero egoista e malvagio. Come ultima
ragione, e non per ordine di importanza, egli riport due frasi dell'insegnamento
buddista zen: tutti gli aspetti della realt visibile equivalgono al vuoto (nulla) (
shiki soku ze k) e Il vuoto (nulla) l'origine di tutta la realt ( k soku
ze shiki) (Funakoshi 1973: 4). Altra operazione importante fu l'aggiunta del carattere
(d) a quelli che componevano la parola karate; questo era il linea con la
trasformazione che le arti marziali giapponesi avevano subito in un passato recente 36:
l'enfasi non era pi sulla tecnica e sul combattimento, ma sul cammino di evoluzione
spirituale che la pratica dell'arte rappresentava. Funakoshi scriveva che chi si allena
davvero in questo d e capisce davvero il Karate-d non si lascia mai facilmente
trascinare in un confronto fisico (Funakoshi 1973: 5). Questa via significa anche
34 Questi caratteri venivano pronunciati tde o karate. Il primo carattere, che ha il significato di Tang
in cinese e che fa appunto riferimento all'omonima dinastia, era utilizzato nella cultura di Okinawa
con il generico significato di Cina.
35 La pronuncia di questi caratteri era univoca: karate.
36 Jigoro Kan aveva creato il jd partendo dal jjutsu () e il kend () rappresentava
l'evoluzione del kenjutsu ().

29

continuo mutamento nelle forme esterne, anche se la natura fondamentale rimane la


medesima: per questo che, scriveva, il karate praticato oggi a Tokyo quasi
completamente differente nella sua forma da quello precedentemente praticato ad
Okinawa (Funakoshi 1975: 11).
Per molti anni si creduto che tutte queste modifiche fossero opera del solo
Funakoshi, ma le informazioni di cui siamo in possesso oggi consentono di valutare i
fatti in modo diverso (Clarke 2011: 58). Nel 1936, ad Okinawa, si tenne un incontro a
cui parteciparono diversi importanti maestri di karate, insieme ad altre personalit
prominenti del mondo dell'educazione, della stampa e dell'esercito. Durante questo
incontro il maestro Hanashiro Chmo ( ) (1869-1945) disse che aveva
utilizzato la dicitura mano vuota a partire dal 1905, quando aveva scritto il suo
Karate kumite ( ). interessante notare che diversi partecipanti all'incontro
palesarono cortesemente l'inopportunit di continuare a fare riferimento al nome Cina,
evidentemente a causa del clima di tensione esistente tra il Giappone e il Paese di
Mezzo (Clarke 2011: 61-62).
Oltre a Funakoshi, che con l'aiuto del suo terzo figlio Yoshitaka fonder la scuola
Shtkan (), o Scuola del vento dei pini, altri importanti esponenti del karate
di Okinawa si recarono in Giappone per contribuire alla popolarizzazione dell'arte. Nel
1928 Miyagi Chjun ( ) (1888-1953), un allievo di Higaonna Kanry che
aveva a sua volta approfondito in Cina gli studi dell'arte del combattimento, si rec a
Tokyo per dare alcune dimostrazioni. Nel 1935 Miyagi fu il primo a presentarsi ad un
esame per il titolo di maestro, ottenendo direttamente il titolo di insegnante di secondo
livello (kyshi ); nello stesso anno egli diede alla sua scuola il nome di Gj-ry
(), scuola del duro e del morbido (Tokitsu 2005a: 102).
Una terza importante figura quella di Mabuni Kenwa ( ) (1889-1952).
Mabuni, un poliziotto che era stato allievo sia di Itosu che di Higaonna, nel 1929 si
trasfer ad Osaka con la famiglia per insegnare il karate (Tokitsu 2005a: 112). Diede
alla sua scuola il nome di Shit-ry ( ), scuola di Itosu-Higaonna (Tokitsu
2005a: 112).
Le tre scuole create da questi pionieri hanno costituito il primo nucleo del karate
giapponese. Il clima militaristico che si respirava aveva influenz lo spirito del

30

praticante, perch allenarsi per la guerra significa cercare tecniche efficaci senza
preoccuparsi, per esempio, degli effetti nocivi sul proprio fisico di una pratica troppo
dura o comunque non ottimizzata; 'morire a vent'anni' era un'idea profondamente
radicata nei giovani giapponesi dell'epoca (Tokitsu 2005a: 82), proprio a causa della
prospettiva di una vita breve a a causa della guerra. Tale atmosfera ha caratterizzato,
seppur in misura minore, anche il modello di allenamento del periodo postbellico,
specialmente per la scuola Shtkan. Negli anni successivi sono nati altri stili di karate
giapponese, ma l'elenco e l'analisi degli stessi esula dall'obiettivo di questo lavoro.

2.3 Zen e karate


2.3.1 Presupposti della comparazione
La stretta relazione tra taijiquan e daoismo, come abbiamo visto, palese, essendo il
primo un dichiarato tentativo di costruire un'arte marziale basato sul secondo; il
rapporto tra karate e zen, invece, controverso e vivacemente dibattuto. Per questo
motivo - e per il fatto che l'analisi di questa relazione complessa attraversa la storia di
Cina, Okinawa e Giappone - per l'impostazione dei paragrafi precedenti ho preferito
un'esposizione pi simile ad un resoconto storico, seppur soffermandomi maggiormente
su aspetti che torneranno utili in questa fase di confronto.
Cominciando dall'analisi del karate degli inizi, non sembra di poter andare lontano:
nel 1908 il maestro Itosu scriveva un documento che pu essere considerato il suo
testamento spirituale, per ci che riguarda la pratica del karate. Le parole iniziali di
questo documento non lasciano spazio a dubbio alcuno: Il karate non deriva n dal
confucianesimo, n dal buddismo (Tokitsu 2005a: 58). Problema risolto, dunque?
Tutt'altro. Abbiamo visto come la cultura di Okinawa sia stata influenzata, per la
maggior parte, da quella cinese; nel periodo storico di formazione delle discipline a
mano nuda dell'isola, il buddismo chan era ormai in fase di declino, ed probabile che
l'influenza di questa dottrina ad Okinawa sia stata scarsa. La nozione di d, termine che
in Giappone intercambiabile con la parola zen 37, non era tra l'altro implicitamente
presente nel karate come lo era nella tradizione della via marziale (bud )
37 Lo Zen e d, la Via, si interpenetrano. Perci quasi tutti i grandi maestri usano il termine d al posto
di Zen, che utilizzato soprattutto in Occidente (Deshimaru 1995: 54).

31

giapponese (Tokitsu 2005a: 72): nel famoso incontro38 avvenuto nel 1936 il maestro
Shimabukuro Zenpatsu disse di aver sentito della nuova usanza di usare il suffisso d
per il termine karate, e chiese conferma del fatto che ci fosse dovuto alla volont di
dare pi importanza all'allenamento spirituale (Clarke 2011: 59).
Per trovare una relazione tra karate e zen, quindi, dobbiamo partire da una fase
successiva: l'assimilazione di quest'arte alle altre discipline del bud giapponese.
Avendo per visto come questo sia avvenuto in un passato piuttosto recente, conviene
fare un passo indietro per capire quale sia, in generale, il rapporto tra bud giapponese
e buddismo zen.
2.3.2 Zen e bud
Le arti marziali giapponesi erano in origine la base della formazione dei guerrieri di
professione, i bushi. quindi attraverso l'analisi dell'apporto che i bushi diedero alle
discipline di combattimento, che possibile comprendere il punto di incontro tra zen e
arti marziali.
Grazie al supporto ricevuto da parte del potere shogunale, lo zen era rapidamente
filtrato in tutta la classe guerriera, tanto che gi in periodo Kamakura c'era il detto
Tendai per la corte imperiale, Shingon per la nobilt, zen per le classi guerriere, Terra
Pura per le masse (Mann 2012: 61). I guerrieri, tra l'altro, portavano nella pratica quel
senso di determinazione e di urgenza che caratterizzava la loro vita, sempre appesa ad
un filo. Tale relazione tra zen e bushi si intensific ancora di pi nel periodo
Muromachi, specialmente con Ashikaga Yoshimitsu (1358-1408) e Ashikaga Yoshimasa
(1443-1490) (Mann 2012: 63). Quale era il beneficio che i guerrieri trovavano nella
pratica dello zen? L'acquietamento della mente ottenuto grazie allo zazen produceva lo
stato di coscienza ideale per poter essere efficaci in battaglia: solo una mente pacificata
pu reagire istintivamente, con la velocit di un lampo, ad ogni stimolo esterno; come
uno specchio d'acqua riflette la luna, cos la mente del guerriero riflette le intenzioni
dell'avversario. L'idea dell'illusoriet del reale, inoltre, toglieva importanza alla morte
fisica, che poteva allora essere affrontata con animo sereno.
Come afferma Tollini39, lo zen in Giappone divent molto pi maschile, superando
il modello del quieto saggio daoista; Mann fa notare come questa caratteristica si ritrova
38 Vedi paragrafo 2.2.2.
39 Vedi paragrafo 2.1.2

32

- ma forse proprio quanto avvenuto nell'ambito dello zen la causa di ci - in tutte le


religioni giapponesi, che spesso propongono pratiche estreme e sfidanti, profondamente
fisiche, tattili e cinestetiche (Mann 2012: 65).
A cavallo tra il XVI ed il XVII sec., all'inizio del periodo Edo, vissero due figure
importanti per la comprensione della relazione tra zen e arti marziali. Il primo il gi
citato Takuan Sh, famoso maestro zen Rinzai, che scrisse Il misterioso trattato sulla
saggezza immobile (Fudchishinmyroku ). L'opera afferma l'unit di
zen e arte della spada (kenzenichinyo ) e che ebbe un'influenza fondamentale
sulla direzione che la scherma giapponese prese successivamente (Takuan 1986: 15). In
esso non viene affrontato tanto l'argomento tecnico quanto lo stato mentale necessario in
combattimento: necessario che la mente non si fermi su nulla; solo lasciando che si
muova incessantemente la mente immobile, perch non turbata da alcuno stimolo
esterno (Takuan 1986: 21); questa mancanza di attaccamento alle cose, all'idea di vita
e morte, che rende il guerriero veramente efficace (Mann 2012: 67). Il
Fudchishinmyroku organizzato in forma di lettera ed indirizzato alla seconda
importante figura a cui necessario fare riferimento: Yagy Munenori ( )
(1571-1646), caposcuola di uno dei due stili di spada ufficiali dello shogunato
Tokugawa, ed allievo di Takuan per ci che concerneva lo studio dello zen. Nel 1632
egli scrisse il Trattato ereditario sull'arte della guerra (Heihkadensho ), in
cui nel descrivere il suo personale stile di spada parla della necessit di trascendere vita
e morte, di arrivare al punto in cui non esiste pi n un avversario n il proprio io
(Mabuni 2009: 172).
Ora, importante ricordare come non tutti i grandi bushi fossero adepti zen; vi fu chi
lo ignor o che addirittura lo guard con sospetto, concentrandosi unicamente sugli
aspetti tecnici dell'arte marziale praticata e raggiungendo comunque alti livelli (Mann
2012: 97). Detto ci, comunque vero che la relazione nata tra zen a arti marziali
sembr naturale e si consolid col tempo, fornendo alla tecnica una base spirituale
solida. Questo fu particolarmente importante in epoca Tokugawa: il Giappone entr in
un periodo di pace e le abilit marziali non potevano pi essere applicate in battaglia. Fu
in questo periodo che il bujutsu si trasform in bud: l'enfasi si spost dalla tecnica alla
coltivazione del s (Mann 2012: 94); le singole discipine, non pi immediatamente
applicabili, rappresentavano una via senza fine su cui incamminarsi verso un obiettivo 33

irraggiungibile - di perfezione. Quest'idea di perfezionamento implicita in numerose


arti giapponesi: per esempio nella cerimonia del t (sad ), o nella calligrafia
(shod ). La coltivazione del s essenzialmente coltivazione dello spirito (shin
); proprio allo spirito viene data una posizione preminente nelle arti di
combattimento: numerose sono le storie in cui individui completamente a digiuno di
tecnica vincono contro abili combattenti grazie alle loro qualit spirituali (Mann 2012:
120). Sebbene di dubbia autenticit, queste storie testimoniano comunque la centralit
dell'allenamento della mente-cuore rispetto alla tecnica (waza ) e al corpo (tai ).
Nonostante non si neghi l'importanza di avere un corpo forte ed una tecnica efficace,
sempre shin, lo spirito, a decidere l'esito del combattimento (Deshimaru 1995: 36).
Come abbiamo visto in precedenza40 lo stato di coscienza ideale, secondo lo zen, il
mushin, quella condizione in cui l'assenza di pensiero cosciente permette la perfezione
dell'azione.
2.3.3 Zen e karate nel periodo giapponese
Abbiamo sottolineato dunque la relazione tra zen e arti marziali giapponesi fin
dall'introduzione del primo in Giappone. Rimane ora da verificare quanto dello spirito
del bud giapponese sia penetrato nel karate durante l'ultima fase della sua storia.
interessante riportare delle affermazioni tratte da interviste condotte negli anni '80
ad Okinawa ad alcuni importanti maestri dell'isola; sono riportate in Karate di Okinawa
di Mark Bishop, il primo testo che cerc di fotografare sistematicamente lo stato
dell'arte del karate nel suo luogo di origine. Miyazato Eiichi ( ) (1922-1999),
allievo di Miyagi Chjun: insegn che il karate e la meditazione vanno di pari passo
[] i kata Sanchin e Tensho sono equiparati allo zen (Bishop 1994: 37). Yagi Meitoku
( ) (1912-2003), anch'egli allievo, anche se per breve tempo, di Miyagi,
asseriva che il karate e la meditazione siano una cosa sola: ken to zen wa ichi (
) (Bishop 1994: 40). Yuchoku Higa (1910-1994), importante maestro dello stile
Shorin-ry, diceva che grazie alla meditazione e al vuoto mentale indotto, il karate
diventa zen; i kata sono zen in movimento ( dteki zen) (Bishop 1994: 127).
Shinsuke Kaneshima, dello stile Tozan-ry, riteneva che la meditazione sia di primaria
importanza e aggiungeva che durante la sua giovinezza non si parlava mai di zen, si
40 Vedi paragrafo 2.1.3.

34

imparava a respirare correttamente e meditare senza mai nominare questa parola.


Comunque il karate lavora sugli stessi princpi. (Bishop 1994: 145).
L'ultimo estratto risulta piuttosto chiarificatore: l'assimilazione di Okinawa nella
cultura giapponese ha fatto in modo che gli schemi culturali del Giappone
influenzassero il linguaggio utilizzato; e cos il particolare stato di coscienza associato
alle pratiche meditative (non certo esclusiva dello zen) stato assimilato allo zen e
descritto con i concetti che caratterizzano quest'ultimo. A questo si unita
l'istituzionalizzazione, in alcune importanti scuole di karate, della pratica dello zen sotto
la guida di maestri qualificati, in parallelo agli esercizi marziali.
Certo le posizioni anche oggigiorno non sono sempre concordi: Mabuni Kenei (
) (1918-), figlio di Mabuni Kenwa, ricorda la natura diversa di bu e zen, e dice
che la massima il karate zen in movimento, attualmente molto in voga, significa che
i praticanti possono raggiungere le alte sfere dello zen senza praticare zen (Mabuni
2009: 191). Due pratiche diverse, ma che alla fine portano a risultati simili.
Anche se non tutti i maestri parlano di zen comunque doveroso ricordare che i
maestri che hanno introdotto il karate in Giappone hanno deliberatamente scelto, con il
cambio dei caratteri con cui il nome scritto e con l'aggiunta del suffisso d, di
trasformare la loro arte perch potesse entrare a pieno titolo nelle discipline del bud
giapponese. A distanza di ormai quasi cento anni da quel momento, sembra possibile
affermare, senza timore di eccessive critiche, che il processo di assimilazione si
completato; nonostante si possa assistere ultimamente ad una riscoperta degli stili pi
antichi, praticati soprattutto ad Okinawa, si pu facilmente constatare come la stessa
cultura di Okinawa abbia perso molte delle sue caratteristiche distintive diventando,
proprio come il karate, pi giapponese.
Il karate e lo zen sono davvero una sola cosa, quindi? chiaro che le due
discipline si esprimono attraverso pratiche differenti; vero anche, per, che il
progressivo spostamento dell'enfasi, nelle arti marziali giapponesi, verso il cammino
spirituale che esse rappresentano, fa in modo che ad alto livello un praticante zen ed un
praticante di karate si ritrovino in uno stato di coscienza uguale o estremamente simile.
Questa vicinanza ormai universalmente accettata e nessuno si stupisce del fatto che
l'adepto zen si dedichi anche al karate, o viceversa. E la nota immagine di uno dei pi
importanti maestri attuali come Morio Higaonna ( ) (1938-), sempre
35

particolarmente attento al rispetto della tradizione, immerso nella sua pratica quotidiana
dello zazen, non suscita ormai pi domande n dubbi.

36

3 Taijiquan e karate
3.1 Due mondi incompatibili?
Ad una prima occhiata un praticante tipico di taijiquan ed uno di karate che si
muovono da soli nello spazio offrono uno spettacolo molto diverso; anche se movimenti
fulminei e potenti si riscontrano, per esempio, nel taijiquan di stile Chen, il praticante di
taijiquan sar normalmente impegnato in movimenti lenti finalizzati allo sviluppo del
suo sistema propriocettivo e all'integrazione dei numerosi principi cinestesici che
devono essere gestiti in simultanea. Il praticante di karate, invece, pur con le dovute
eccezioni che verranno meglio descritte in seguito, sar solitamente impegnato in
movimenti veoci, che richiedono l'utilizzo di maggiore forza muscolare, un lavoro di
tipo aerobico che richiede a chi lo esegue un notevole dispendio di energia.
Non esistendo alcun studio accademico che pone in comparazione diretta taijiquan e
karate, compito di chi scrive avanzare una proposta; l'approccio, nell'accostare queste
due discipline, quello di cercare le similitudini tra le differenze, considerando le
eccezioni, nella ricerca di una risposta fuori dallo stereotipo.
Poich nell'impostazione di questo lavoro i punti di partenza sono rappresentati dal
daoismo e dallo zen, la comparazione ispirata dalla base dottrinale che queste
tradizioni hanno offerto al taijiquan e al karate; importante cio tenere presente quanto
esposto nei capitoli precedenti. Gli argomenti trattati di seguito sono per loro natura
interconnessi, e la suddivisione in paragrafi proposta di seguito non costituisce l'unico
possibile approccio di analisi.

3.2 Stili interni, stili esterni


abitudine frequente quella di suddividere gli stili di arti marziali in interni e
esterni; poich il taijiquan comunemente definito uno stile interno 41, mentre il karate
ricondotto alla categoria degli stili esterni42, innanzitutto necessario analizzare questa
differenziazione, per capire se essa costituisca un ostacolo insormontabile al tentativo di
41 A titolo di esempio: il taijiquan una potente ed efficace arte marziale interna cinese (Sim-Gaffney
2002: 5)
42 Anche se la suddivisione tra stili interni ed esterni non appartiene alla tradizione nipponica, anche i
praticanti di arti marziali giapponesi hanno ormai familiarit con questa distinzione; i karateka sono
soliti definire il loro come uno stile esterno, anche se qualcuno asserisce che non manchino, in
alcune varianti di karate, elementi tipici delle arti interne.

37

comparazione tra le due arti. Cosa si intende per stile interno o stile esterno? Nel
paragrafo 1.2.1 abbiamo accennato all'epitaffio di Wang Zhengnan, la prima fonte che
certifica l'esistenza di uno stile interno (niji), opposto ad uno stile esterno
(wiji). Abbiamo anche visto che, secondo Henning 43, tale distinzione non era da
ricondursi alle caratteristiche dello stile quanto piuttosto alla volont di identificare tale
stile come prettamente autoctono.
La concezione attuale per differente; per fornirne un quadro generale necessario
partire dall'anno 1894; secondo l'introduzione del libro Xingyiquan Xue (Xngyqun
xu ) ovvero Studio dello xingyiquan, di Sun Lutang, fu in quell'anno che il
maestro Cheng Tinghua () (1848-1900) dello stile baguazhang (Bguzhng
), il maestro di taijiquan Liu Dekuan () (1826-1911), e i maestri Li Cunyi
( ) (1847-1921) e Liu Weixiang ( ) (1862-1936) dello stile xingyiquan
(Xngyqun )44, decisero di creare un sodalizio con lo scopo di favorire il crosstraining in queste discipline. Secondo questi maestri il taijiquan, il baguazhang e lo
xingyiquan avevano la caratteristica di basarsi sui medesimi princpi; alla loro
associazione si faceva riferimento utilizzando il nome di neijiaquan, ovvero scuola
interna (Sun 2001: 7).
Sun Lutang, nel medesimo testo, formul per la prima volta una definizione delle
caratteristiche di quelli che definiva appunto stili interni: la prima era quella di utilizzare
la mente per sfruttare i vantaggi di un corpo rilassato, senza l'utilizzo della forza; la
seconda consisteva nello sviluppo del qi e nella capacit di farlo circolare. Come ultima
caratteristica, infine, Sun faceva riferimento all'utilizzo delle pratiche daoyin, del
qigong (qgng ), ovvero il lavoro sul qi e del neigong (nigng ), il lavoro
interno, che costituisce la variante pi fisica del qigong (Sun 2001: 20). Questa
differenziazione tutt'oggi ampiamente utilizzata, e tuttavia si sono unite altre
descrizioni pi o meno aderenti a quella di Sun. Nell'esperienza di chi scrive si possono
sostanzialmente elencare le seguenti distinzioni: la riconduzione dei movimenti lenti e
morbidi alle arti interne e dei movimenti veloci e duri a quelle esterne, la concezione del
combattimento come distruzione dell'avversario come caratteristica delle arti esterne,
mentre quelle interne cercherebbero di neutralizzare unicamente il proprio antagonista,
43 Vedi paragrafo 1.2.1.
44 In realt ciascuno di questi maestri era esperto di numerosi stili.

38

sfruttando l'energia di quest'ultimo.


Ma esistono davvero stili interni e stili esterni? Non facile dare una risposta. Tanto
per cominciare esistono altri stili, oltre a quelli gi citati, che si autodefiniscono
interni; esistono poi stili classificati come mezzi interni, mezzi esterni, a
sottolineare il tentativo di coniugare la coltivazione del qi con aspetti pi fisici,
muscolari.
Se vero che approcci differenti alla pratica possono essere facilmente riscontrabili,
anche solo visivamente, pur vero che una chiara distinzione tra ci che interno e ci
che esterno difficilmente raggiungibile. Esistono, per ogni aspetto dell'arte marziale,
innumerevoli gradazioni, che fanno in modo che il singolo praticante rappresenti di fatto
un mix unico e probabilmente irripetibile, data la complessit delle variabili fisiche,
emotive, energetiche, mentali, spirituali che entrano in gioco durante la pratica. In
un'intervista del 1998 Tim Cartmell, esperto di arti marziali cinesi, enuncia chiaramente
questa sua idea, affermando che non la particolare arte ad essere interna o esterna,
ma il modo in cui l'arte praticata (Cartmell 1998). Dopo un'attenta analisi storica,
inoltre, il gi citato Henning stabil che l'artificialit dei tentativi di descrivere la boxe
cinese in termini di scuole esterne o Shaolin e scuole interne o Wudang [] diventa
evidente quando si acquisisce familiarit con le basi teoriche e il background storico
delle arti marziali (Henning 1997); dal suo testo emerge come i principi delle
cosiddette arti interne sono in realt patrimonio comune della tradizione marziale cinese
e che non esistono motivi per ritenere che una vera distinzione tra le due categorie in
questione esistesse prima della fine del XIX secolo45.
Questa conclusione non impedisce che, non solo secondo chi scrive ma anche
secondo l'opinione di una serie ragguardevole di maestri, la distinzione continui ad
offrire, a chi non se ne lascia ingabbiare, una qualche utilit per descrivere il proprio
approccio alla pratica; ogni stile tende a privilegiare un certo tipo di uso del corpo,
anche se numerosi fattori intervengono a creare interferenze: un esempio importante
quello dell'et del praticante, il cui variare causa modificazioni nel modo in cui l'arte
interpretata.
Anche nel karate si notano numerose tracce di una qualche polarit nell'approccio
alla pratica. La pi nota quella di cui Funakoshi parla nel suo Karate-d Kyhan:
45 La distinzione tra stili esterni e stili interni ormai ampiamente utilizzata anche nel mondo delle arti
marziali giapponesi. In alternativa si parla talvolta di stili duri e stili morbidi.

39

quella tra stile Shrin e tra stile Shrei. Il primo viene definito uno stile agile e veloce,
adatto a persone di corporatura snella, mentre il secondo, pi statico e basato sulla forza
fisica e muscolare, viene descritto come adatto a persone di corporatura robusta
(Funakoshi 1973: 8). Per quanto riguarda l'origine dei due nomi, il primo corrisponde
alla pronuncia giapponese del nome Shaolin, e fa quindi riferimento alla tradizione
marziale del famoso monastero cinese; il secondo, secondo Tokitsu, deriva
probabilmente da una storpiatura della pronuncia del primo (Tokitsu 2005a: 94).
Successivamente Funakoshi arriv anche ad affermare l'antica relazione tra le scuole
cinesi Wudang e Shaolin e i due stili di Okinawa, senza per precisare il rapporto tra gli
stessi (Funakoshi 1975: 38). Ci che mi sembra importante sottolineare, per, un certo
rifiuto delle distinzioni e la tendenza ad integrare le polarit dimostrata dai primi
esponenti del karate moderno. Lo stesso Funakoshi, dopo aver elencato le differenza tra
i due stili, afferma che tutte le scuole dovrebbero essere integrate in una (Funakoshi
1975: 38). Diversi allievi di Mabuni, considerato il fondatore dello Shit-ry, affermano
inoltre che egli neg l'esistenza di diversi stili di karate. Lo stile di Miyagi, infine,
contiene nel suo stesso nome la volont di superare la dicotomia: Gj-ry significa
infatti stile del duro e del morbido. Il karate si presenta oggi frammentato in una
grande quantit di stili che talvolta lavorano su princpi apparentemente molto diversi
tra di loro: a fronte di alcuni apparentemente molto duri ne esistono altri che si
concentrano maggiormente sulla flessibilit e sulla morbidezza. Tra questi ultimi va
citato lo stile, sviluppatosi in Giappone, che meglio rappresenta la ricerca della
morbidezza e della coltivazione dell'energia: lo Shtkai () del maestro Egami.
Egami Shigeru () (1912-1981) afferm di essersi accorto, ad un certo punto della
sua pratica marziale, di aver confuso la durezza con la forza; realizz che indurire il
corpo equivale a bloccare il movimento 46 (Tokitsu 2005a: 171). Cominci cos a
massaggiare e sciogliere il suo corpo, e a ricercare l'efficacia - trovandola, pare - in
movimenti naturali, simili a quelli di un principiante. Le riflessioni del maestro Egami
sono importanti perch rappresentano l'estremizzazione di un percorso che molti
praticanti si trovano a fare: ampio utilizzo della forza in giovane et, ricerca di un
movimento pi naturale e attenzione agli aspetti energetici in et pi avanzata; il corpo
cambia e naturalmente richiede di essere utilizzato in maniera diversa.
46 Sulla continuit del movimento vedi paragrafo 3.3.

40

Per concludere, per quanto sia utile mantenere il punto di vista che definisce il
taijiquan come uno stile che richiede un approccio interno e il karate uno stile che
parte da un approccio esterno, ritengo che la distizione debba essere utilizzata in
maniera elastica, soprattutto alla luce del fatto che il taijiquan, ma soprattutto il karate,
non si presentano come pratiche univoche; sono al contrario espressione delle numerose
contaminazioni che per alcuni ne causano lo snaturamento, per altri ne esaltano invece
la capacit di adattarsi alle persone, ai luoghi, ai tempi.

3.3 Alcune carattteristiche del movimento nel taijiquan e nel karate


Superato l'ostacolo virtuale della rigida distinzione tra stili esterni e stili interni,
vediamo nel concreto alcune importanti caratteristiche specifiche delle due arti marziali
oggetto della comparazione.
3.3.1 Movimento continuo, kime
Una differenza che possiamo riscontrare all'osservazione delle due arti del taijiquan e
del karate, che i movimenti del primo appaiono continui, mentre quelli del secondo
sono in genere caratterizzati da accelerazioni seguite da brusche frenate al momento
dell'impatto, reale o solo immaginato, con il bersaglio. Qualcuno inserisce l'assenza di
soluzione di continuit tra le tecniche nel novero delle caratteristiche degli stili interni,
mentre attribuisce agli stili esterni caratteristiche opposte; in realt la questione pi
complessa e richiede una spiegazione pi articolata.
Dal punto di vista del taijiquan, la mancanza di interruzione nel movimento si sposa
facilmente con i principi del daoismo gi illustrati finora: come l'acqua scorre senza mai
fermarsi, aggirando intelligentemente ogni ostacolo, allo stesso modo il praticante
scorre tra una tecnica e l'altra, adattandosi spontaneamente a ci che il momento
richiede. Per quanto riguarda il karate, invece, da dove emergono i momenti di stop
dopo ogni tecnica, che danno l'idea di brevi attimi di posa, come in una fotografia,
prima della tecnica successiva? Nei luoghi di pratica del karate giapponese - ma il
fenomeno non totalmente estraneo nemmeno ai praticanti degli stili di Okinawa si
spesso diffusa l'idea che al momento dell'impatto il corpo si debba irrigidire; a questo
irrigidimento viene spesso dato il nome giapponese di kime. Il termine kime per la
forma sostantivata del verbo kimeru ( ) che ha il significato di decidere;
41

decisione, quindi. Ci significa che nel termine non incluso alcun riferimento alla
contrazione; quello a cui fa riferimento la giusta focalizzazione fisica e mentale che
permette al colpo di essere efficace. Per capire per quale motivo l'idea della tensione
muscolare sia stata associata al kime, si pu a parer mio ricorrere ad un passaggio del
maestro Nakayama Masatoshi ( ) (1913-1987), responsabile della nascita e
della diffusione dello Shtkan moderno. Egli spiega che kime significa eseguire un
attacco esplosivo diretto al bersaglio impiegando [] la massima potenza (Nakayama
2007: 11). Il problema che non specificato come questa potenza debba essere
sviluppata. Poco dopo per Nakayama ci d un indizio importante: ci dice che poich
nelle gare contrario alle regole giungere al contatto vero e proprio per il pericolo che
ci comporta si introdotto il sistema del sun-dome (), ovvero del bloccaggio
della tecnica prima del contatto con il bersaglio47. Egli prosegue dicendo che esiste una
contraddizione tra kime e sun-dome, e che per sanare tale contraddizione il bersaglio si
stabilisce convenzionalmente appena prima del punto vitale dell'avversario
(Nakayama 2007: 11). Insomma, la decelerazione che il colpo naturalmente subisce al
momento dell'impatto viene invece provocata da chi colpisce, mediante la tensione dei
muscoli antagonisti; questo per non in nome dell'efficacia del colpo, ma per evitare di
creare danni all'avversario. A confermare la dannosit della contrazione muscolare per
l'efficacia del colpo, contribuiscono non solo le leggi fisiche, ma anche opinioni di altri
maestri che hanno dato suggerimenti diversi. Asai Tetsuhiko () (1935-2006),
famoso maestro dello stile Shtkan che fece del movimento continuo un suo elemento
distintivo. A quanto pare egli afferm che la tensione alla fine della tecnica non serve,
e non niente altro che pseudo-scienza (Stone, Banfield, visitato il 12/06/13).
Un'altra ragione per l'affermarsi di uno stile di movimento caratterizzato
dall'intervallarsi di contrazioni e rilasci di tensione pu essere individuata nel concetto
di ikken hissatsu ( ), ovvero un pugno, uccisione certa. Questo concetto,
affermatosi soprattutto nel karate Shtkan, stato mutuato dall'ichigeki hissatsu (
), cio un colpo, uccisione certa, che si immagina regolasse i confronti di spada
di epoca Tokugawa (Mann 2012: 91). L'idea che la tecnica che si sta eseguendo sia
quella definitiva, tra l'altro evidentemente molto pi plausibile in un confronto di spada
piuttosto che in uno a mani nude, porta con s il rischio che chi la esegue non sia pronto
47 Un sun equivale a circa tre centimetri.

42

al proseguimento del confronto, inevitabile nell'eventualit non certo remota che la


tecnica non si riveli letale per l'avversario. piuttosto interessante, tra l'altro, ricordare
come in realt tale principio non trovi eco immediata nelle testimonianze dei pi
conosciuti artisti marziali della tradizione nipponica: il gi citato Takuan dice
chiaramente che la mente non si deve fermare dopo il colpo iniziale, perch una mente
che pensi 'Ho colpito' si fermer l, nello stato in cui si trova (Mann 2012: 90). Anche
Mabuni afferma che nello stile di Yagy Munenori il fluire era posto al centro di tutto,
e che anche nel karate antico il principio era il medesimo: fluire significava
impersonificare il continuo cambiamento della natura (Mabuni 2009: 116). Ecco perch
il kime a cui si soliti assistere oggi nasce dall'obiettivo di esibirsi e competere con
modalit sicure e comprensibili dallo spettatore, e non dall'esigenza di combattere con
efficacia (Mabuni 2009: 114).
Bisogna dire che mi pare di assistere, recentemente, ad un tentativo di quasi tutto il
karate di orientarsi verso un movimento pi naturale 48, e se vero che in generale l'idea
di una contrazione al momento dell'impatto, seppur minima, non abbia abbandonato
l'immaginario dei karateka, il movimento continuo, l'idea del fluire, stanno
conquistando ai loro occhi considerazione sempre maggiore.
3.3.2 Il rapporto con la forza di gravit
Nelle arti marziali che propongono una base di partenza muscolare, come appunto
il karate, si ha sempre la sensazione che il praticante si stia opponendo a qualcosa. In
questo tipo di dinamiche di movimento l'obiettivo in genere di arrivare da un punto A
ad un punto B nel minore tempo possibile, in quanto durante lo spostamento non ci si
trova in una situazione di equilibrio. Per usare un efficace similitudine del maestro
Daniele, mentre la dinamica appena descritta richiama l'immagine del cubo, che
possiede solo determinate posizioni di massima stabilit, il praticante di taijiquan
invece paragonabile ad una sfera, che in qualsiasi momento si trova un una posizione di
massimo equilibrio (Daniele 2004: 138). Le dinamiche di spostamento insegnate nei
luoghi di pratica di karate sono spesso simili a quelle del cubo; il karateka tende a
comportarsi quindi come un centometrista che proietta in avanti il suo corpo
utilizzando una poderosa spinta contro il terreno (Daniele 2004: 136) . Il taijiquan, al
48 sufficiente visitare uno dei numerosi forum di arti marziali, oppure leggere i blog specializzati, per
trovare critiche a livelli eccessivi di contrazione e a movimenti eccessivamente robotici.

43

contrario, cerca in ogni momento di utilizzare la forza di gravit come un potente


alleato; la massima affondare il peso nei piedi riportata nei classici cinesi. E in
fondo la solita messa in opera del suggerimento daoista di seguire la via naturale,
quella del minimo sforzo.
Anche in questo caso, per, le voci che arrivano dal mondo del karate non sono
affatto univoche. Da una parte Nakayama, personaggio chiave nel processo di creazione
dello Shtkan moderno, dice chiaramente che la velocit con cui il corpo si muove in
avanti in direttamente proporzionale alla spinta della gamba che regge il peso contro il
terreno (Nakayama 1986: 63). Egami ci ricorda invece un insegnamento ricevuto dal
suo maestro, Funakoshi: Non bisogna mai andare contro la natura (Tokitsu 2005a:
171). Lo stesso Egami ricorda anche che, dopo aver spezzato involontariamente il
pavimento del dj con una tecnica di gamba, fu rimproverato dal suo maestro, il quale
gli spieg che in un vero allenamento si doveva imparare a sviluppare tecniche
potenti immaginando di camminare su un foglio di carta di riso bagnato, senza romperlo
(Tokitsu 2005a: 168); questa immagine suggerisce molto efficacemente un modo di
muoversi raffinato, per nulla brusco.
Mabuni Kenei racconta di come all'epoca di suo padre si praticasse uno speciale
esercizio noto come

tboku h ( ) o metodo dell'albero che cade, che

consisteva nel lasciarsi cadere in avanti, aiutati da un compagno che aveva il compito di
arrestare la caduta (Mabuni 2009: 40). L'obiettivo dell'esercizio era quello di imparare
ad utilizzare la forza di gravit nelle proprie tecniche, in un metodo che rappresentava il
livello pi alto di controllo del proprio corpo; questo metodo che insegna a non resistere
alla forza di gravit era chiamato, nello stile di Itosu, prendere in prestito la forza della
terra (Mabuni 2009: 40). Ma Mabuni arriva addirittura ad affermare che l'ottenimento
dell'unificazione con le energie della terra rappresenta l'essenza stessa del bud
giapponese (Mabuni 2009: 116); la concezione dell'uomo come una sorta di macchina
deriva invece, sempre secondo l'autore, da una concezione del corpo occidentalizzata e
dalle moderne metodologie sportive, che non rappresentano lo spirito delle arti marziali
giapponesi (Mabuni 2009: 117-118).
Mi sembra di poter affermare, a questo punto, che nemmeno le dinamiche
fondamentali di spostamento rappresentino un elemento sopra il quale si possa costruire
un filo di demarcazione netto tra le due arti.
44

3.3.3 Altri princpi


Quelli descritti nei paragrafi precedenti sono, a mio parere, i princpi che
maggiormente sono in grado di differenziare i praticanti di taijiquan e karate; l'aderenza
o meno agli stessi causa un gusto del muoversi totalmente diverso, facilmente
rilevabile anche da chi non sa nulla di arti marziali. Esiste per una nutrita serie di
caratteristiche pi sottili, per le quali cio la manifestazione esterna visibile solo ad un
occhio allenato, oppure che sono addirittura totalmente nascoste, e possono essere
apprezzate solo attraverso il contatto fisico con chi le possiede. Tra queste, a titolo di
esempio, ma anche in ragione della loro rilevanza, opportuno accennare alla cosiddetta
centralizzazione e al movimento a spirale.
Per ci che concerne la centralizzazione, il Daodejing ce ne fornisce i fondamenti
filosofici: Semplicemente rimani al centro del circolo (Daodejing: 5), Vivi per il tuo
centro, non per i tuoi sensi (Daodejing: 12). Dal punto di vista fisico il centro del
corpo lo xia dantian49; in giapponese chiamato seika tanden (), e talvolta
vi si fa riferimento con il pi generico termine hara ( ), pancia ma anche mente
profonda. Centralizzarsi nel dantian sicuramente una delle massime pi importanti
del taijiquan; tutti i movimenti devono essere sviluppati a partire da questo punto, tanto
che le braccia e gambe non sono altro che dei pantografi che ingrandiscono i piccoli
movimenti interni che avvengono nella sfera del dantian (Daniele 2004: 140). Dallo
zen arrivano raccomandazioni simili: lasciate che la pancia si espanda [] e poi []
mettete forza nella pancia. [] Vivete dal centro di gravit: sedetevi, respirate, siate
nello hara (Langlois 1987: 34). Anche nel karate la comprensione dell'importanza
dell'uso dell'hara pressoch universalmente accettata: nei precetti di Itosu, contenuti
in una lettera che questo maestro scrisse nel 1908, l'autore parla di concentrare il ki
() alla base del ventre (Tokitsu 2005a: 59). Mabuni Kenei annovera tra le tre regole
fondamentali per eseguire i kata ()50 proprio il concentrare le energie nel 'campo del
cinabro inferiore', sotto l'ombelico (Mabuni 2009: 89). Ma centralizzazione significa
anche muoversi in modo conservativo, evitando di sbilanciarsi in una qualsiasi
direzione; Mabuni ci offre anche un esempio di ci quando ci dice che il principio
dell'hikite (), ovvero la pratica portare sull'anca il pugno opposto a quello che sta
49 Vedi paragrafo 1.1.5.
50 Esercizi praticati individualmente che consistono in una serie di tecniche concatenate tra di loro.

45

portando la tecnica, quello di mantenere l'equilibrio sinistra-destra con un


movimento contro-bilanciante (Mabuni 2009: 92).
Per ci che concerne la forza a spirale, il discorso pi complesso. Abbiamo visto
come nel taijiquan l'uso della spirale, figura fondamentale della cosmologia daoista,
trovi un altissimo livello di approfondimento 51. Nel karate, invece, non ho trovato alcun
impianto teorico che ne metta in evidenza l'importanza. Se tuttavia evitiamo di limitarci
alle apparenze, troveremo nel karate almeno una realizzazione apparente di movimento
a spirale. Il metodo base dell'esecuzione di un pugno, infatti, prevede che la posizione di
partenza della mano, sul fianco o pi in alto a seconda dello stile, abbia il dorso palmo
rivolto verso l'alto; il braccio avanza poi per portare la tecnica avvitandosi su s stesso e
la mano, quando arriva a bersaglio, ha il palmo rivolto verso il basso. Questo
rappresenta chiaramente un movimento a spirale. Non si pu dire che sia molto, e
tuttavia nell'esperienza di chi scrive questo principio viene poi allargato da alcuni
praticanti, i quali, avanzando nella pratica, eseguono spontaneamente movimenti a
spirale che dal tallone si trasmettono fino al pugno, passando attraverso un corpo
rilassato52. Il principio quello del pozzo (o vite) di Archimede, in cui l'acqua viene
convogliata attraverso un meccanismo a spirale (Tokitsu 2005b: 43).
Per concludere, nelle caratteristiche di movimento principali di taijiquan e karate
troviamo due punti di partenza piuttosto differenti, e tuttavia secondo me difficile, se
non impossibile, trovare una netta linea di demarcazione tra le due. Se immaginiamo
che la manifestazione prototipica, ammesso che esista, delle due arti, sia rappresentata
da due opposti poli, uno di colore nero e uno di colore bianco, la totalit dei praticanti di
alto livello va a mio parere ad occupare posizioni corrispondenti alle pi disparate
gradazioni di grigio.

3.4 Lo spirito del taijiquan e del karate.


Dopo aver analizzato i principali princpi di movimento, tentiamo ora una
comparazione tra i princpi spirituali e filosofici delle due arti 53. Il punto di partenza del
51 Vedi paragrafo 1.3.4.
52 Questo succede perch dal punto di vista biomeccanico i segmenti ossei si muovono naturalmente a
spirale; l'analisi della biomeccanica del movimento non rientra per nel campo di indagine di questo
lavoro.
53 Naturalmente gli aspetti mentali ed emotivi sono strettamente connessi al modo di utilizzare il corpo;
la distinzione quindi da interndersi in termini relativi.

46

taijiquan senza dubbio il wuwei, e cio un approccio che privilegi la strada pi


naturale, quella dove si incontra resistenza minore. In modo lento, con pazienza, il
praticante studia come muoversi in modo sempre pi naturale, meno faticoso, lavorando
sul proprio sistema nervoso fino a sentire il corpo come un tutt'uno; allo stesso tempo
porta avanti tentativi sempre pi raffinati di integrare yin e yang in ogni movimento, in
ogni segmento corporeo54.
Lo zen, d'altra parte, come gi visto55, propone un approccio pi virile, combattivo,
con un'idea di pratica vissuta come una lotta contro s stessi; questa stessa idea
contenuta anche nel karate: il praticante si sfida in continuazione per migliorare sempre
di pi.
Alla base del daoismo e del taijiquan troviamo un approccio conservativo: l'energia
che abbiamo a disposizione limitata, e l'uomo si impegna per trovare il modo di
esaurirla il pi lentamente possibile; da qui le cosiddette pratiche energetiche di lunga
vita, che contengono anche parecchie limitazioni relative alla vita sessuale (Wong
1997: 184), visto che l'attivit sessuale rappresenta il motivo principale di perdita di
jing, soprattutto per l'uomo (Mitchell 2011: 150)56.
Dallo zen pare che arrivino indicazioni differenti: Se si scarica totalmente la propria
energia, si pu assorbirne di fresca, che fluisce come la corrente di un fiume
(Deshimaru 1995: 30,31). Anche ne karate troviamo spesso questo spirito: Bishop,
parlando del maestro Nagamine Shoshin ( ) (1907-1997), lo descrive come
qualcuno che crede negli allenamenti duri e nel sudore (Bishop 1994: 102). Questa
rappresenta sicuramente pi la regola che l'eccezione: all'approccio duro che abbiamo
visto essere una caratteristica degli stili cosiddetti esterni, si uniscono elementi tipici
della cultura giapponese: pensiamo per esempio al kaizen (), miglioramento, la
famosa metodologia giapponese di business che prevede il continuo miglioramento dei
processi di lavoro. In essa riflessa la continua tensione verso il perfezionamento della
realt e, di riflesso, di s stessi. Una lotta continua, appunto.
Sono personalmente del'idea che la modalit suggerita dal karate o almeno da un
certo tipo di karate - per il raggiungimento del vuoto, ovvero lo stato di assenza di
pensiero che l'essenza dell'insegnamento zen, sia l'esaurimento delle energie mediante
54 Vedi paragrafo 1.3.
55 Vedi paragrafo 2.1.2.
56 peraltro interessante riflettere su un passaggio del Daodejing che mal si accorda con questa visione:
Prolungare la vita non armonioso. Controllare il respiro innaturale. (Daodejing: 55)

47

allenamenti estenuanti. Il praticante si ritrova a quel punto non solo esausto fisicamente,
ma anche privo di processi di pensiero, perch il proprio corpo non ha pi energie per
alimentarli; allora che la dimensione silenziosa del k si rivela. Un simile stato
probabilmente quello a cui fa riferimento Funakoshi Gichin, quando ricorda come il suo
unico desiderio, dopo una fiera sessione di allenamento di karate, fosse quello di
camminare in solitudine (Funakoshi 1975: 86).
Naturalmente anche in questo caso si deve evitare il rischio di una eccessiva
stereotipizzazione: anche nel taijiquan i praticanti, in caso di confronto, manifestano
atteggiamenti oppositivi, oppure, soprattutto in caso di praticanti giovani, addirittura
nervosi; un esperto praticante di karate, allo stesso modo, pu essere calmo, fluido,
morbido ed in possesso di abilit fisiche talmente sottili da poter essere scambiato per
un praticante di uno stile interno.

3.5 Conclusione
La comparazione delle caratteristiche fisiche e spirituali dei due stili porta, a mio
parere, alla necessit di superare le rigide classificazioni di cui taijiquan e karate sono
spesso oggetto. Le due arti rappresentano indubbiamente punti di partenza e approcci
diversi, e tuttavia il singolo praticante che, lungo il suo percorso marziale, esplora e
cerca di integrare continuamente gli opposti, ottenendo come risultato un insieme unico
di variabili fisiche, mentali, energetiche. Entrambe le discipline, in fondo, mirano ad
arricchire di significato l'esperienza umana, entrambe rappresentano la volont di
comprendere i meccanismi fondamentali di funzionamento dell'esistente, per giungere
ad una fusione con la natura. E come recita un famoso poema del maestro zen Ikky
Sjun () (1394-1481):
Molti sono i percorsi che partono
dai piedi della montagna,
ma sulla cima
tutti ammiriamo
un'unica, luminosa, luna.

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