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Indice generale
Introduzione.......................................................................................................................1
Capitolo 1: Daoismo e taijiquan........................................................................................3
1.1 Caratteri principali del daoismo.............................................................................3
1.1.1 Origini............................................................................................................3
1.1.2 Dao.................................................................................................................4
1.1.3 Wuji, taiji, yin e yang.....................................................................................5
1.1.4 Wuwei.............................................................................................................6
1.1.5 Daoismo alchemico........................................................................................7
1.2 Storia del taijiquan.................................................................................................9
1.2.1 Il neijia e Zhang Sanfeng...............................................................................9
1.2.2 Taijiquan di stile Chen..................................................................................10
1.3 Taijiquan e daoismo.............................................................................................12
1.3.1 Identit di princpi........................................................................................12
1.3.2 Taijiquan e yin-yang.....................................................................................13
1.3.3 Taijiquan e wuwei.........................................................................................14
1.3.4 Taijiquan e movimento a spirale..................................................................15
1.3.5 Taijiquan e alchimia interna.........................................................................16
Capitolo 2: Buddismo zen e karate..................................................................................18
2.1 Caratteri principali del buddismo zen..................................................................18
2.1.1 Le radici della scuola zen: il buddismo chan in Cina..................................18
2.1.2 Nascita e caratteristiche dello zen giapponese.............................................21
2.1.3 Il cuore dello zen: zazen () , kan ()............................................25
2.2 Origini ed evoluzione del karate.........................................................................26
2.2.1 Il karate ad Okinawa....................................................................................26
2.2.2 Il karate diventa un'arte marziale giapponese..............................................28
2.3 Zen e karate..........................................................................................................31
2.3.1 Presupposti della comparazione...................................................................31
2.3.2 Zen e bud....................................................................................................32
2.3.3 Zen e karate nel periodo giapponese............................................................34
Capitolo 3: Taijiquan e karate..........................................................................................37
3.1 Due mondi incompatibili?....................................................................................37
3.2 Stili interni, stili esterni........................................................................................37
3.3 Alcune carattteristiche del movimento nel taijiquan e nel karate........................41
3.3.1 Movimento continuo, kime...........................................................................41
3.3.2 Il rapporto con la forza di gravit.................................................................43
3.3.3 Altri princpi.................................................................................................45
3.4 Lo spirito del taijiquan e del karate. ...............................................................46
3.5 Conclusione..........................................................................................................48
Bibliografia......................................................................................................................49
Introduzione
Le arti marziali tradizionali parlano un linguaggio oscuro: dietro all'apparente
semplicit di alcuni gesti si nasconde un percorso esperienziale con profondit
inimmaginabili per il profano. Se solo si ha la pazienza di apprenderne il linguaggio, le
arti marziali ci offrono da una parte una porta di accesso ai lati pi nascosti
dell'esperienza umana, dall'altro un sistema per comprendere le culture da cui queste arti
sono state prodotte: praticare con metodo le arti marziali tradizionali significa
inevitabilmente essere plasmati dalla loro costante attivit di mediazione culturale. Quel
modo particolare di vedere il mondo che proposta implicita di ogni arte marziale
comprende anche degli aspetti che possiamo definire spirituali; su questi aspetti che il
mio lavoro si concentrato. Il daoismo e il buddismo zen hanno informato in larga
misura le tradizioni marziali della Cina e del Giappone, in un fluire incessante che,
anche se in forma diversa, prosegue ancora oggi; ho provato in particolare a capire quali
riverberi di tali tradizioni fossero e siano presenti nel taijiquan e nel karate, discipline
che pratico da tempo.
Il primo capitolo si concentra sulle relazioni tra daoismo e taijiquan. Per ci che
concerne il daoismo mi sono concentrato sugli aspetti filosofici e alchemici, ignorando
ci che non trova nel taijiquan un'eco che a parer mio valga la pena analizzare; ho
ritenuto di procedere prendendo come punto di riferimento i componenti fondamentali
del puzzle daoista. Per il taijiquan la base di partenza stata la storia e la teoria di quello
che sembra essere lo stile codificato pi antico, ovvero il Chen; ho cercato per di
tenere in considerazione gli altri stili, tutti peraltro legati al Chen da rapporto di
parentela pi o meno stretto. Per il confronto tra il daoismo e il taijiquan le fonti
utilizzate sono interamente rappresentate da testi di autori che hanno una lunga
esperienza di pratica marziale.
Nel secondo capitolo sono descritte le relazioni tra buddismo zen e karate. Per lo zen
ho ritenuto necessario prendere come punto di partenza il chan, progenitore cinese dello
zen; la sua analisi si rivelata utile anche per le connessioni che presenta con il
daoismo. A causa della maggiore difficolt nel presentare un chiaro impianto dottrinale
che potesse fornire una base solida per il confronto con il karate, la descrizione del chan
prima e dello zen poi danno spazio alla narrazione storica, fornendo via via spunti di
riflessione pi che un quadro organico. Per il karate stato necessario risalire alle
1
origini, che per quest'arte si collocano nell'isola di Okinawa; stato altres inevitabile
tenere in considerazione le numerose influenze subite dalle discipline di combattimento
cinesi. Solo dopo aver gettato queste basi stato possibile descrivere il karate come arte
marziale giapponese. Anche per il confronto tra zen e karate ho ritenuto di dover
ricorrere alla mediazione delle discipline marziali giapponesi, categoria in cui, come
appena accennato, il karate entrato in tempi relativamente recenti.
L'ultimo capitolo mette in relazione taijiquan e karate in modo credo inedito: tenendo
in considerazione l'impronta fisica e mentale del daoismo e dello zen, ho provato a
confrontare le principali caratteristiche di ogni stile, nel tentativo di superare gli
stereotipi e di evitare di cadere in facili dichiarazioni di inconciliabilit.
indubbiamente e necessariamente la parte pi soggettiva del mio lavoro, e tuttavia credo
di poter dire che le mie considerazioni non si allontanano troppo dagli indizi offerti
dalle fonti; sono tuttavia ovviamente cosciente del fatto che le mie conclusioni non
rappresentano l'unica risposta possibile al problema da me posto.
Quello che mi pare di poter affermare che le due diverse arti non rappresentano due
contenitori ben definiti, a compartimenti stagni: cos come lo zen giapponese porta in s
l'essenza, seppure trasformata, del chan e del daoismo, cos le due arti del taijiquan e del
karate presentano confini sfumati, sovrapposizioni e variazioni potenzialmente infinite.
Diventa allora possibile immergersi nello studio di entrambe, ricordandosi che le
classificazioni devono rappresentare degli strumenti funzionali e flessibili, un aiuto per
chi ne fa uso piuttosto che un vincolo rigido, che abbia perso contatto con l'incessante
mutare delle cose.
1 Daoismo e taijiquan
1.1 Caratteri principali del daoismo
1.1.1 Origini
Il daoismo una delle tre grandi tradizioni filosofico-spirituali della Cina, insieme al
confucianesimo ed al buddismo. Darne una definizione univoca risulta un esercizio
difficile e potenzialmente fuorviante. Si pu parlare di filosofia o, in alcuni casi, di
religione; in realt il daoismo rimanda ad una categoria all'interno della quale trovano
collocazione dottrine di natura diversa, accomunate da una certa attenzione per la natura
e per gli elementi di sacralit che la caratterizzano (Stanford Encyclopedia of
Philosophy Daoism).
Proprio l'elemento di attenzione alla sacralit della natura spinge molti degli studiosi
ad individuare l'origine del daoismo, o per lo meno un importante precedente, nelle
pratiche sciamaniche di epoca protostorica (Wong 1997: 3). La vera nascita del
daoismo, per, universalmente ricondotta a quello che ne rimane tuttora il testo di
riferimento principale: il Daodejing (Dodjng ), uno scritto sapienziale e di
talvolta difficile interpretazione tradizionalmente attribuito a Laozi (lozi ),
appellativo di una autore a cavallo tra mito e storia, attivo nel periodo delle Primavere e
degli Autunni (770-456 a.C.). In realt questo testo sembra essere stato redatto,
probabilmente da pi autori, nel III secolo a.C. (Schipper 1993: 5); sempre in tale
periodo che i primi oggetti con chiari riferimenti al naturalismo daoista fanno la loro
comparsa nelle tombe cinesi (Schipper 1993: 7).
Altro importante testo il Zhuangzi (Zhungzi ), attribuito all'omonimo Maestro
Zhuang e redatto anch'esso nel periodo degli Stati Combattenti (456-221 a.C.); lo
Zhuangzi un testo discorsivo, poetico, caratterizzato da un umorismo leggero, che
riprende, seppur con lievi differenze, i messaggi fondamentali del Laozi.
I due testi sopracitati sono il fusto dal quale numerosi rami sono nati nel corso dei
secoli: Wong parla di daoismo filosofico, magico, divinatorio, cerimoniale o religioso,
alchemico, per citare solo le ramificazioni maggiormente rilevanti (Wong 1997: 5). Ai
fini di un successivo confronto tra daoismo e taijiquan, il daoismo filosofico e quello
alchemico costituiscono il nucleo fondamentale di interesse: le componenti magiche,
3
Figura 2
Figura 1
1.1.4 Wuwei
azione. Il dao non agisce, eppure non c' nulla che non compia (Daodejing: 37)
un'espressione che potrebbe far pensare ad un inno alla passivit, alla mera inerzia.
Interpretando questa frase alla luce dei numerosi inviti rivolti dai testi daoisti ad un
agire naturale e senza sforzo, sembra che il non agire possa far riferimento ad un
operare talmente in armonia con la legge naturale da risultare, appunto, privo di sforzo,
e cos simile alla quiete. Tutti gli autori delle opere prese in esame sono d'accordo su
questa interpretazione5. Agendo in accordo con la corrente, sospinti dal vento, tutto
diventa semplice, e governare uno stato si rivela essere impresa non pi difficile di
cuocere un piccolo pesce (Daodejing: 60).
Il saggio daoista come una palla che rotola a valle, un torrente d'acqua che segue
istintivamente la via pi breve per raggiungere il mare. La forza di gravit della legge
universale il suo potere; anzi, per essere pi precisi, quel potere impersonale, e il
saggio vi si abbandona.
Il pi famoso esempio uno di quelli forniti dallo Zhuangzi: un macellaio talmente
abile nel suo lavoro che non ha mai bisogno di affilare il coltello, n tantomeno di
sostituirlo. Interrogato su come sia possibile, egli risponde che con la lama del suo
coltello cerca gli spazi vuoti e solo in quelli opera. Di fronte agli ostacoli pi duri, il
coltello si muove con delicatezza, i movimenti rallentano, finch all'improvviso,
inconsapevolmente, il lavoro compiuto (Zhuangzi: 22).
1.1.5 Daoismo alchemico
Sono esistiti storicamente, ed esistono tuttora, due tipi di alchimia daoista: quella
esterna e quella interna. Della prima, che non costituisce oggetto di analisi in quanto
scarsamente rilevante ai fini del presente lavoro, baster dire che consiste nell'ingestione
di elementi esterni (spesso erbe, ma anche minerali e composti di ogni natura) al fine di
ottenere l'immortalit; l'alchimia esterna si afferm come branca specifica del daoismo
fin dall'epoca Han (206 a.C. - 265 d.C.) e vide il suo apice in epoca Tang (618 - 960
d.C.), quando pare che molti sovrani morirono insieme ai loro consulenti per avere
ingerito composti a base di piombo o di mercurio, solo per citare alcune sostanze di cui
si era soliti fare uso (Wong 1997: 73).
L'alchimia interna, affermatasi in epoca Song (960 1279 d.C.) in seguito ai dubbi
5 Va tra l'altro ricordato che il daoismo filosofico ha le sue radici nel periodo degli Stati Combattenti; il
consiglio di non fare nulla sarebbe stato sicuramente rischioso per un qualsiasi governante a cui i
saggi daoisti dispensavano consigli (Watts 2011: 78).
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Sembra assodato che a Chenjiagou si praticassero arti marziali anche prima della
creazione del taijiquan (Sim-Gaffney 2002: 12); a causa della prossimit al monastero di
Shaolin probabile che potesse essere qualche forma di arte marziale esterna10.
Il leader di nona generazione della famiglia Chen fu Chen Wangting, esperto di arti
marziali ma anche colto letterato. Secondo gli annali dell'epoca Chen Wangting prest
servizio come ufficiale nell'esercito Ming ma, in seguito alla caduta della dinastia, si
ritir nel villaggio di Chenjiagou dove visse una vita tranquilla e ritirata. Fu dopo il suo
ritiro che Chen Wangting si dedic allo sviluppo di una nuova arte marziale,
combinando l'essenza di diversi metodi di combattimento esistenti in quel periodo. Egli
un alla teoria dello yin e dello yang le pratiche daoiste di respirazione e di guida
dell'energia ( doyn), la teoria dei meridiani (jnglu ) (canali energetici che
attraversano il corpo) e gli insegnamenti contenuti nel Ji Xiao Xin Shu (J xio xn sh
) di Qi Jiguang ( ), famoso generale del sedicesimo secolo, la cui
strategia prevedeva spesso di fingere debolezza con una ritirata, a cui seguiva un
improvviso e decisivo contrattacco; nel capitolo relativo al pugilato questo testo
riportava un repertorio tecnico proveniente da sedici differenti arti marziali dell'epoca.
Chen Wangting svilupp anche il tui shou (tu shu ), mani che spingono, tipico
esercizio a due del taijiquan che mira al miglioramento della percezione delle intenzioni
dell'avversario. Contributi alla creazione del taijiquan arrivarono probabilmente da
Jiang Fa (), con il quale Chen Wangting aveva combattuto una rivolta anti-Qing e
che, dopo la sconfitta totale, si era rifugiato nel villaggio di Chenjiagou rimanendovi per
anni.
Chen Changxing ( ) (1771-1853), della quattordicesima generazione,
intervenne sulle forme a solo sistematizzandole e togliendo le parti pi acrobatiche e
fisicamente impegnative, in modo da permetterne la pratica anche in et avanzata. Chen
Changxing fu il primo ad insegnare ad un esterno alla famiglia: Yang Luchan ()
(1799-1871), che fond successivamente lo stile Yang.
L'esclusivit della tradizione orale del taijiquan di stile Chen termin con la
redazione da parte di Chen Xin ( ) (1849-1929), esponente della sedicesima
generazione, del primo manuale manoscritto sul taijiquan, in quattro volumi, la cui
compilazione inizi nel 1908 e termin nel 1919.
10 Vedi paragrafo 3.2.
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ricercare un modo di muoversi con il grado minore possibile di resistenza interna. Ecco
perch la lentezza nell'allenamento importante: si tratta di dirigere all'interno gli occhi
della mente per percepire le variazioni toniche dei nostri muscoli (Daniele 2004:
117), per rendere i movimenti essenziali, senza sprechi, fluidi (Daniele 2004: 118).
Per ultimo, ma non certo per ordine d'importanza, lo stato di coscienza a doversi
trovare in uno stato di wuwei: il praticante esperto conosce la differenza tra l'agire
intenzionale della mente e l'agire impersonale dello spirito [], tra [] allenamento
tecnico-atletico e qualcosa che accade da s, senza un io agente (Daniele-Carboni
2012).
1.3.4 Taijiquan e movimento a spirale
Abbiamo visto che il taijitu maggiormente utilizzato dal taijiquan di stile Chen
presenta un cerchio centrale (wuji) dal quale yin e yang vengono generati in un
movimento spiraleggiante. Mitchell definisce esplicitamente il taiji come un'onda
energetica spiraleggiante (Mitchell 2011: 29). Se volessimo dilungarci in un'analisi di
altri simboli e rappresentazioni del movimento nel taijiquan troveremmo sempre un
riferimento a questo concetto.
Il movimento a spirale in questa arte marziale spesso definito chan si jing (chn s
jng ), espressione che indica l'azione del raccogliere il filo di seta dal bozzolo.
La visualizzazione di questa operazione da parte del praticante fa s che i movimenti
diventino fluidi, gentili, privi di brusche interruzioni che avrebbero come risultato la
rottura del sottile filo di seta. Nel primo manuale sul taijiquan, Chen Xin scriveva che il
taijiquan forza a spirale [...] se non conosci la forza a spirale, non conosci il
taijiquan (Sim-Gaffney 2002: 47). Il movimento a spirale coinvolge tutti i segmenti
corporei, che devono muoversi all'unisono, ottenendo come effetto un miglioramento
dell'elasticit e flessibilit, oltre a costituire un requisito indispensabile per l'efficacia
marziale di ogni tecnica. Il movimento pu essere diviso in due fasi: nella prima la forza
dell'avversario viene portata verso il centro del proprio corpo, nella seconda la spirale
riparte dal dantian basso per essere convogliata verso le estremit. Il movimento a
Mutazioni; lo spostamento in avanti corrisponde all'elemento Acqua (Sim-Gaffney 2002: 36), ad
indicare come l'attacco sia da concepire come un'entrata fluida nella guardia avversaria, che privilegi
la ricerca degli spazi vuoti pi che l'opposizione. L'utilizzo del paradigma dei wu xing nel taijiquan
comunque secondario, in quanto tradizionalmente associato ad un'altra arte marziale interna: lo Xing
Yi Quan (xng y qun ).
15
spirale, man mano che il praticante migliora, diventa sempre pi complesso e sottile:
dapprima i muscoli si avvolgono intorno alle ossa, poi, quando anche le ossa sviluppano
la capacit di muoversi a spirale, ossa e muscoli si muovono in spirali contrapposte.
L'ultimo stadio non pi fisico: l'intento della mente muove a spirale l'energia (Daniele
2004: 154).
1.3.5 Taijiquan e alchimia interna
Fino ad ora abbiamo parlato di come i diversi concetti trattati nella sezione dedicata
al daoismo siano applicati all'uso del corpo, cos come ad aspetti mentali e strategici;
l'ultima affermazione del paragrafo precedente ci consente invece di spostarci dalla
dimensione fisica a quella energetica. Prima di farlo, per necessario ricordare come
nell'alchimia interna daoista il primo stadio preveda la preparazione del corpo e
l'acquietamento della mente15; questo esattamente ci che succede anche nel taijiquan.
In una prima fase il praticante si dedica in principio ad un tipo di lavoro esterno
(wigng ), che prevede l'elasticizzazione del corpo mediante rilassamento della
muscolatura esterna, rafforzamento di quella pi interna, elasticizzazione ed
irrobustimento dei tendini e dei legamenti, allineamento e irrobustimento delle ossa.
Solo quando il corpo stato preparato in questo modo, e la mente acquietata, il lavoro
diventa sempre pi interno (nigng ).
Bisogna dire che l'analisi delle diverse a fonti a disposizione rivela, a questo punto,
che ci troviamo di fronte ad un territorio molto pi difficile da esplorare: tutti i testi,
anche se fondamentalmente richiamano la teoria dell'alchimia daoista con la
tripartizione jing-qi-shen, forniscono generalmente informazioni diverse, sia nella
struttura che nel contenuto delle pratiche necessarie per la raffinazione di queste
sostanze misteriose. In parte ci pu essere dovuto alla difficolt di trattare con
chiarezza argomenti in cui le sensazioni, la mente, le emozioni parole che si rifanno
peraltro a concetti estremamente soggettivi giocano un ruolo primario; in parte, e ci
mi pare comprensibile, credo derivi dal fatto che per descrivere con cognizione
un'esperienza necessario prima esservi passati, e le vette pi alte di questo tipo di
pratica sono probabilmente alla portata di pochi; il modesto livello di comprensione di
chi scrive sicuramente ulteriore fonte di difficolt.
Ci che, secondo le fonti, sicuro, che quando corpo e mente, opportunamente
15 Vedi paragrafo 1.1.5.
16
preparati, sono pronti, il praticante comincia a sentire una sensazione diffusa, il qi, in
tutto il corpo. Possiamo dire che ci costituisce il corpo energetico, energia che
fluisce liberamente. Che il movimento del dantian inferiore costituisca il fondamentale
punto di partenza per questo processo assodato; e tuttavia ci sono differenze su ci che
succede a questo livello. Per Mitchell la trasformazione del jing in qi segnalata da un
calore molto intenso, che provoca una sudorazione copiosa (Mitchell 2011: 148),
Daniele preferisce concentrarsi su un requisito fondamentale per innescare il processo, e
cio l'armonizzazione di xin (xn ), le emozioni e i pensieri nascosti, con yi (y ),
ovvero la volont cosciente (Daniele 2004: 37). Nelle applicazioni marziali necessario
saper trasformare il qi in jin, e cio in forza che si possa emettere, e quindi nel taijiquan,
rispetto alle pratiche daoiste pure, c' uno spostamento di attenzione sulla generazione
di forza da utilizzare contro un avversario, piuttosto che sul movimento in direzione di
ritorno al dao. Questa dunque probabilmente la differenza pi importante tra un
daoista che coltiva le proprie energie interiori e un praticante di taijiquan: al di l della
definizione di qi o shen, l'artista marziale ha necessit di sviluppare capacit di
gestione dell'energia applicabili in una situazione di scontro. Il qi dell'artista marziale,
guidato da yi (intenzione cosciente) usato, in accelerazione, per produrre jin (SimGaffney 2002: 45); il qi del monaco daoista, quieto e privo necessit di gestione di forze
oppositive esterne, sale verticalmente verso ulteriori stadi di raffinazione.
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controllo del respiro (Arena 1992: 50), e fu proprio a queste opere che la setta chan, il
cui nome deriva dal sancrito dhyna, meditazione, cominci ad attribuire particolare
importanza. Le pratiche meditative erano gi conosciute dai cinesi grazie al daoismo,
che svolse un'importante funzione di mediatore culturale nel chiarire concetti altrimenti
troppo estranei alla cultura cinese per essere compresi 18. La concezione della vita dei
buddisti e dei daoisti era in effetti piuttosto simile: entrambe le dottrine orientavano
verso una vita tranquilla e scevra di desideri (Arena 1992: 52).
Altro ingrediente fondamentale per lo sviluppo del chan, che avrebbe acquisito una
identit ben definita solo nel VII sec. d.C. (Tollini 2012: 25), furono le teorie della
Scuola del vuoto, di cui l'indiano Ngrjuna, filosofo e alchimista attivo nel II sec.
d.C., fu il principale esponente. Ngrjuna dimostrava l'incapacit del linguaggio e
della logica di giungere alla verit assoluta; solo con il superamento della logica si
sarebbe potuto giungere al vuoto (kng ), la vera realt, concreta e totalmente
illogica (Arena 1992: 34).
Importanti personaggi, precursori del vero e proprio chan, furono Sengzhao ()
(374-414) e Daosheng ( ) (355-434). Il primo, attivo all'inizio del V sec. d.C.,
rivoltosi al buddismo perch deluso dal daoismo, sottolineava la necessit di superare il
pensiero dualistico, evitando l'opposizione tra quiete e movimento, ed in generale
esortando a non ragionare per opposti (Arena 1992: 61). Il secondo, di pochi anni pi
giovane di Sengzhao, era conosciuto per il ritenere che da una buona azione non
derivasse alcun merito, e per la teoria secondo la quale l'illuminazione si raggiunge
istantaneamente (Arena 1992: 65). Il superamento del dualismo e l'assenza di merito per
le proprie buone azioni sono presenti anche nell'aneddotica e nei testi attribuiti a
Bodhidharma.
Con il successore di Bodhidharma, il secondo patriarca Huike ( ) (487-593), si
esce dalla leggenda e comincia la vera storia del movimento chan. Fu un'epoca, quella,
in cui gli elementi di origine cinese erano ancora accompagnati da immagini e stile di
sapore indiano (Arena 1992: 99), nonostante i richiami alla tradizione daoista siano
frequenti. I testi prodotti in quel periodo presentano un linguaggio paradossale;
l'obiettivo era quello di sottolineare la falsit della realt fenomenica, le cui
18 Diversi furono i traduttori che fecero esplicito riferimento agli insegnamento di Laozi o al Zhuangzi,
ovviamente presupponendo che daoismo e buddismo fossero in qualche modo accomunabili (Arena
1992: 51).
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parola, ritenuta fuorviante. L'uso dell'urlo e del bastone, l'esaltazione della non azione
daoista e la valorizzazione del quotidiano erano elementi accomunanti tutti i maestri di
questo periodo; la meditazione non era uno strumento necessario per raggiungere la
liberazione, ma un'attivit fine a s stessa (Arena 1992: 183).
Altro importante spartiacque nella storia del chan quello della persecuzione del
buddismo da parte dell'imperatore Wuzong () (814-846), avvenuta tra l'841 e l'846,
e che vide il suo apice nell'845; il chan evit le accuse di parassitismo, motivazione
principale alla base della persecuzione, grazie alla cultura diffusa del lavoro all'interno
dei monasteri. Da questo momento in poi si parla di chan delle Cinque case (wji
), in riferimento a cinque diverse posizioni dottrinali che, pur nella comunanza delle
concezioni sostanziali, si andarono sviluppando (Arena 1992: 187).
Il buddismo di epoca Song fu profondamente sincretico 22: non solo incorpor
elementi neoconfuciani, ma vide anche la fuzione tra chan e dottrina della Terra Pura
(Arena 1992: 261); queste ultime due correnti del buddismo erano le uniche
sopravvissute alla persecuzione di Wuzong. A questa sorta di perdita di identit si
aggiunse poi un forte processo di politicizzazione: i monasteri avevano stretti rapporti
con il potere, dal quale non temevano pi di essere contaminati (Arena 1992: 230). in
quel periodo che nacque il gong'an23 (gng'n , giapp. kan), un dialogo tra
maestro e discepolo in cui quest'ultimo raggiunge l'illuminazione (w , giapp. satori);
poteva anche semplicemente consistere nelle parole del maestro.
Le tendenze sincretiche, la politicizzazione dei chiostri e la critica da parte dei
neoconfuciani, che attaccarono la pretesa del chan di rivendicare la natura di religione
cinese, affossarono questa scuola buddista, che al termine dell'epoca Song aveva
ormai iniziato, in Cina, un processo di inesorabile decadenza; in epoca Ming il chan era
ormai giunto al tramonto (Arena 1992: 261).
2.1.2 Nascita e caratteristiche dello zen giapponese
Con l'istituzione del governo militare (bakufu ) da parte di Minamoto no
Yoritomo24 () (1147-1199) incominci in Giappone il periodo Kamakura (1183
22 Il sincretismo era una caratteristica del pensiero cinese presente gi in precedenza: in epoca Tang si
tendeva a fondere confucianesimo, daoismo e buddismo (arena 1992: 261).
23 Il termine significa caso o notifica pubblica; il termine giuridico perch il gong'an attesta il
raggiungimento dell'illuminazione (Arena 1992: 233).
24 In questo lavoro, secondo l'uso giapponese, i nomi giapponesi sono riportati seguendo l'ordine
21
1333); al centro della societ giapponese si colloc la casta dei guerrieri, molto diversa
dalla raffinata nobilt che era stata la protagonista del periodo Heian. Fu un'era incerta,
colma di violenza, e la difficile realt circostante spingeva l'uomo verso pensieri meno
mondani e pi ultraterreni (Tollini 2012: 101), con la portata di un vero e proprio
risveglio religioso generale. Questo port ad un ripensamento del ruolo del buddismo,
arrivato in Giappone dalla Cina ormai da alcuni secoli, ma fino a quel momento mai
veramente nipponizzato (Tollini 2012: 104). A questo si un il supporto dei reggenti
militari, gli shgun (), che erano interessati a contrastare il potere dei grandi templi
delle scuole esoteriche buddiste Shingon e Tendai, peraltro legate da stretti vincoli
rispettivamente con la corte e la nobilt Heian (Tollini 2012: 113). I primi monaci zen
furono in realt, per la maggior parte, monaci Tendai 25 desiderosi di un buddismo pi
consono al loro sentire. Le nuove tendenze portarono da una parte verso forme popolari,
come quelle del buddismo amidista (della Terra Pura), dal'altra a forme pi elitarie come
lo zen, ma comunque affini alla sensibilit autoctona (Tollini 2012: 109); tutte le scuole
misero al centro una pratica esperibile dalla gente comune, che per la scuola zen era
rappresentata dalla pratica della meditazione seduta (zazen ).
Lo zen era la versione nipponica del chan, e tuttavia con il tempo le connotazioni
iniziali lasciarono il posto a caratteristiche tipicamente giapponesi, al punto tale che
proprio nello zen che possiamo trovare la sorgente dei princpi ispiratori dell'animo
giapponese (Tollini 2012: 117). Quali furono questi elementi di novit? Nei testi chan
ritroviamo spesso l'eco della dottrina yin-yang e del wuwei, con palesi accostamenti del
saggio buddista a quello daoista. In Giappone lo zen divenne pi virile, marziale; il
raggiungimento del proprio obiettivo non era pi spontaneo, come un fiume che
naturalmente sfocia nel mare, ma il frutto di una lunga e dura lotta contro s stessi e i
propri attaccamenti (Tollini 2012: 119). Questo considerare il proprio io un nemico
da sconfiggere port la pratica giapponese a dei livelli di grande severit, proprio perch
la condizione di naturalit raccomandata dal chan divent, nell'esperienza dei
guerrieri26 (bushi ), il risultato della distruzione delle proprie sovrastrutture mentali
(Tollini 2012: 120). Scrive inoltre Deshimaru che lo zen in Giappone, libero dal
cognome e nome.
25 La scuola Tendai era in realt un ambiente sincretico in cui diverse tendenze convivevano senza
particolari problemi; proprio questa tendenza al sincretismo avrebbe, secondo Tollini, spinto i giovani
monaci a cercare pi autentiche espressioni della religiosit (Tollini 2012: 116).
26 In Cina il chan era stato invece legato alle classi dei letterati e dei pensatori (Tollini 2012: 120).
22
23
24
grazie al movimento del ritorno a Dgen, sviluppatosi intorno alla met del XVIII
sec.d.C. con l'obiettivo di ricondurre la scuola alla purezza del suo spirito originario; il
St moderno in larga parte il risultato di questo movimento (Tollini 2012: 264).
2.1.3 Il cuore dello zen: zazen () , kan ()
Sebbene gi tratteggiati nei paragrafi precedenti, vale la pena di tornare brevemente
sui due strumenti principali della pratica zen: lo zazen ed il kan.
Lo zazen prevede, secondo la descrizione che Dgen ne d nello Shbgenz, di
sedersi su un cuscino, possibilmente con le gambe in posizione del loto, ponendo le
proprie mani all'altezza dell'ombelico con i pollici a contatto; la spina dorsale deve
essere eretta, gli occhi aperti ma non spalancati, il respiro profondo e regolare. Dgen
invita poi al senza-pensiero (mushin ): non si tratta di sopprimere i propri
pensieri con la forza (questo rafforzerebbe ulteriormente il proprio io) ma di giungere ad
una condizione in cui i pensieri non sorgono per il semplice fatto che la mente ha
semplicemente lasciato cadere qualsiasi interesse (Tollini 2012: 70-72). lo spirito del
mushotoku ( ), il non-profitto (Deshimaru 2004: 24), di una presa di distanza
totale da ci che accade, l'ignorare consapevolmente il mondo degli inevitabili stimoli
esterni. necessario tuttavia non scambiare questa presa di distanza con una comoda
apata: la pratica deve essere intensa e l'atmosfera nel luogo della Via (dj ),
forte e solenne (Deshimaru 2004: 42).
Il kan viene spesso associato al termine nonsense: si tratta di un problema che
non pu trovare soluzione mediante l'utilizzo della logica. La sua funzione quella di
promuovere il dubbio e spingerlo fino all'estremo, di spingere il discepolo a
sperimentare una realt diversa mediante la messa in scacco delle sue normali facolt
intellettive (Tollini 2012: 75). La lingua viene utilizzata in maniera atipica, cercando di
dimostrare la sua incapacit di cogliere l'essenza vera delle cose. Il corto circuito che ne
deriva la distruzione dell'io, un'esplosione che porta all'illuminazione e che deriva
dall'essersi spinti fino allo stremo delle forze nell'esplorazione della dimensione
razionale del kan (Arena 1992: 235).
Zazen e kan sono strumenti apparentemente molto diversi, e tuttavia c' un punto in
cui si incontrano: entrambi rappresentano delle zattere per traghettare il praticante al
di l della realt illusoria e giungere al k (), il vuoto. Questa sembra essere lo zen,
25
in ogni ambito in cui si manifesta: il vuoto che entra nella chiassosa realt che
crediamo ordinaria per ricondurci al satori, il nostro stato naturale (Deshimaru 2004:
66).
27
Giappone ed Okinawa erano debitori di tratti fondamentali della loro cultura. Dopo la
prima guerra sino-giapponese, un allievo di Matsumura Skon, Itosu Ank ()
(1831-1915), riusc a fare accettare il karate, in una versione modificata da lui 32, nelle
scuole elementari, come strumento di educazione fisica; questo grazie al fatto che i
medici militari avevano riscontrato che molti praticanti di karate avevano un corpo
particolarmente ben sviluppato (Tokitsu 2005a: 56). Era il 1901; quattro anni dopo il
karate venne introdotto anche al liceo e nell'istituto magistrale. Ad aiutare Itosu nella
sua opera erano state le imprese di Yabu Kents () (1866-1937), un suo allievo
che, distinguendosi in guerra, aveva contribuito alla popolarizzazione del karate.
L'introduzione di questa disciplina delle scuole port all'adozione di metodi di
allenamento di massa, standardizzati, con uno stile simile a quello importato dagli
occidentali per l'allenamento dei soldati (Tokitsu 2005a: 58). Fu Yabu ad introdurre la
maggior parte delle convenzioni adottate ancora oggi nell'allenamento del karate
(Tokitsu 2005a: 65).
2.2.2 Il karate diventa un'arte marziale giapponese
Fino al 1921 il karate non era mai stato insegnato e praticato al di fuori dell'isola di
Okinawa. In quell'anno, per, il Principe imperiale, in viaggio per l'Europa, si ferm ad
Okinawa, e l ebbe occasione di assistere ad una dimostrazione dell'arte marziale
indigena, rimanendone impressionato. A dirigere la dimostrazione era stato Funakoshi
Gichin () (1868-1957), un altro allievo di Itosu allora cinquantatreenne, che
lavorava come maestro di scuola.
Nel 1922 Kan Jigor () (1860-1938), creatore del jd e personalit di
spicco nella societ giapponese del periodo, invit Funakoshi a Tokyo affinch
presentasse il karate nel suo dj (Tokitsu 2005a: 70)33. Ad Okinawa non esisteva
alcuna uniforme ufficiale per l'allenamento, e siccome faceva molto caldo ci si allenava
spesso a torso nudo, in biancheria intima (Tokitsu 2005a: 88); per la dimostrazione si
utilizzarono quindi delle uniformi bianche e delle cinture mutuate dal jd. Non
esistevano neppure luoghi formali per l'allenamento e spesso ci si allenava in giardino,
32 In generale le tecniche vennero rese meno pericolose, visto che dovevano essere insegnate a dei
bambini (Tokitsu 2005a: 61). Questo provoc e provoca critiche in quanto, dal punto di vista
dell'efficacia in combattimento, difficile considerare in modo positivo le innovazioni di Itosu .
33 Preso in prestito dalla tradizione buddista, il dj, o luogo della Via, dopo il 1868 (anno della caduta
dello shogunato) fu utilizzato dai samurai come luogo di pratica e di trasmissione delle arti marziali in
cui erano versati (Clarke 2011: 9).
28
perch era raro che si potesse dedicare un locale della casa al solo allenamento (Mabuni
2009: 33). A seguito dell'incoraggiamento di Kan, Funakoshi decise di rimanere a
Tokyo per diffondere il karate. I primi anni furono duri e Funakoshi fu costretto a
lavorare come custode in un pensionato per studenti; fu solo nel 1936 che riusc ad
aprire il suo primo dj.
Nel 1933 il karate fu finalmente accettato come arte marziale giapponese dalla Dai
Nippon Butokukai ( ), associazione nata nel 1895 con l'obiettivo di
standardizzare i sistemi e le discipline marziali di tutto il Giappone.
Funakoshi si dedic anche alla divulgazione scrivendo diversi libri. importante
descrivere un altro passaggio fondamentale per la trasformazione del karate in un arte
specificamente giapponese: la modificazione dei caratteri con cui il termine era scritto.
Nei suoi primi due libri Funakoshi aveva utilizzato, come da tradizione, i caratteri
l'integrazione del karate nelle arti marziali giapponesi. Cominci quindi ad utilizzare i
caratteri (mano vuota)35. Nel suo testo Karate-d kyhan () egli
giustific la sua scelta adducendo diverse ragioni: la prima era che il vuoto si riferiva
al fatto che il karate permetteva di difendersi senza l'utilizzo di armi; altra ragione era
che il praticante doveva svuotarsi di ogni pensiero egoista e malvagio. Come ultima
ragione, e non per ordine di importanza, egli riport due frasi dell'insegnamento
buddista zen: tutti gli aspetti della realt visibile equivalgono al vuoto (nulla) (
shiki soku ze k) e Il vuoto (nulla) l'origine di tutta la realt ( k soku
ze shiki) (Funakoshi 1973: 4). Altra operazione importante fu l'aggiunta del carattere
(d) a quelli che componevano la parola karate; questo era il linea con la
trasformazione che le arti marziali giapponesi avevano subito in un passato recente 36:
l'enfasi non era pi sulla tecnica e sul combattimento, ma sul cammino di evoluzione
spirituale che la pratica dell'arte rappresentava. Funakoshi scriveva che chi si allena
davvero in questo d e capisce davvero il Karate-d non si lascia mai facilmente
trascinare in un confronto fisico (Funakoshi 1973: 5). Questa via significa anche
34 Questi caratteri venivano pronunciati tde o karate. Il primo carattere, che ha il significato di Tang
in cinese e che fa appunto riferimento all'omonima dinastia, era utilizzato nella cultura di Okinawa
con il generico significato di Cina.
35 La pronuncia di questi caratteri era univoca: karate.
36 Jigoro Kan aveva creato il jd partendo dal jjutsu () e il kend () rappresentava
l'evoluzione del kenjutsu ().
29
30
praticante, perch allenarsi per la guerra significa cercare tecniche efficaci senza
preoccuparsi, per esempio, degli effetti nocivi sul proprio fisico di una pratica troppo
dura o comunque non ottimizzata; 'morire a vent'anni' era un'idea profondamente
radicata nei giovani giapponesi dell'epoca (Tokitsu 2005a: 82), proprio a causa della
prospettiva di una vita breve a a causa della guerra. Tale atmosfera ha caratterizzato,
seppur in misura minore, anche il modello di allenamento del periodo postbellico,
specialmente per la scuola Shtkan. Negli anni successivi sono nati altri stili di karate
giapponese, ma l'elenco e l'analisi degli stessi esula dall'obiettivo di questo lavoro.
31
giapponese (Tokitsu 2005a: 72): nel famoso incontro38 avvenuto nel 1936 il maestro
Shimabukuro Zenpatsu disse di aver sentito della nuova usanza di usare il suffisso d
per il termine karate, e chiese conferma del fatto che ci fosse dovuto alla volont di
dare pi importanza all'allenamento spirituale (Clarke 2011: 59).
Per trovare una relazione tra karate e zen, quindi, dobbiamo partire da una fase
successiva: l'assimilazione di quest'arte alle altre discipline del bud giapponese.
Avendo per visto come questo sia avvenuto in un passato piuttosto recente, conviene
fare un passo indietro per capire quale sia, in generale, il rapporto tra bud giapponese
e buddismo zen.
2.3.2 Zen e bud
Le arti marziali giapponesi erano in origine la base della formazione dei guerrieri di
professione, i bushi. quindi attraverso l'analisi dell'apporto che i bushi diedero alle
discipline di combattimento, che possibile comprendere il punto di incontro tra zen e
arti marziali.
Grazie al supporto ricevuto da parte del potere shogunale, lo zen era rapidamente
filtrato in tutta la classe guerriera, tanto che gi in periodo Kamakura c'era il detto
Tendai per la corte imperiale, Shingon per la nobilt, zen per le classi guerriere, Terra
Pura per le masse (Mann 2012: 61). I guerrieri, tra l'altro, portavano nella pratica quel
senso di determinazione e di urgenza che caratterizzava la loro vita, sempre appesa ad
un filo. Tale relazione tra zen e bushi si intensific ancora di pi nel periodo
Muromachi, specialmente con Ashikaga Yoshimitsu (1358-1408) e Ashikaga Yoshimasa
(1443-1490) (Mann 2012: 63). Quale era il beneficio che i guerrieri trovavano nella
pratica dello zen? L'acquietamento della mente ottenuto grazie allo zazen produceva lo
stato di coscienza ideale per poter essere efficaci in battaglia: solo una mente pacificata
pu reagire istintivamente, con la velocit di un lampo, ad ogni stimolo esterno; come
uno specchio d'acqua riflette la luna, cos la mente del guerriero riflette le intenzioni
dell'avversario. L'idea dell'illusoriet del reale, inoltre, toglieva importanza alla morte
fisica, che poteva allora essere affrontata con animo sereno.
Come afferma Tollini39, lo zen in Giappone divent molto pi maschile, superando
il modello del quieto saggio daoista; Mann fa notare come questa caratteristica si ritrova
38 Vedi paragrafo 2.2.2.
39 Vedi paragrafo 2.1.2
32
34
particolarmente attento al rispetto della tradizione, immerso nella sua pratica quotidiana
dello zazen, non suscita ormai pi domande n dubbi.
36
3 Taijiquan e karate
3.1 Due mondi incompatibili?
Ad una prima occhiata un praticante tipico di taijiquan ed uno di karate che si
muovono da soli nello spazio offrono uno spettacolo molto diverso; anche se movimenti
fulminei e potenti si riscontrano, per esempio, nel taijiquan di stile Chen, il praticante di
taijiquan sar normalmente impegnato in movimenti lenti finalizzati allo sviluppo del
suo sistema propriocettivo e all'integrazione dei numerosi principi cinestesici che
devono essere gestiti in simultanea. Il praticante di karate, invece, pur con le dovute
eccezioni che verranno meglio descritte in seguito, sar solitamente impegnato in
movimenti veoci, che richiedono l'utilizzo di maggiore forza muscolare, un lavoro di
tipo aerobico che richiede a chi lo esegue un notevole dispendio di energia.
Non esistendo alcun studio accademico che pone in comparazione diretta taijiquan e
karate, compito di chi scrive avanzare una proposta; l'approccio, nell'accostare queste
due discipline, quello di cercare le similitudini tra le differenze, considerando le
eccezioni, nella ricerca di una risposta fuori dallo stereotipo.
Poich nell'impostazione di questo lavoro i punti di partenza sono rappresentati dal
daoismo e dallo zen, la comparazione ispirata dalla base dottrinale che queste
tradizioni hanno offerto al taijiquan e al karate; importante cio tenere presente quanto
esposto nei capitoli precedenti. Gli argomenti trattati di seguito sono per loro natura
interconnessi, e la suddivisione in paragrafi proposta di seguito non costituisce l'unico
possibile approccio di analisi.
37
comparazione tra le due arti. Cosa si intende per stile interno o stile esterno? Nel
paragrafo 1.2.1 abbiamo accennato all'epitaffio di Wang Zhengnan, la prima fonte che
certifica l'esistenza di uno stile interno (niji), opposto ad uno stile esterno
(wiji). Abbiamo anche visto che, secondo Henning 43, tale distinzione non era da
ricondursi alle caratteristiche dello stile quanto piuttosto alla volont di identificare tale
stile come prettamente autoctono.
La concezione attuale per differente; per fornirne un quadro generale necessario
partire dall'anno 1894; secondo l'introduzione del libro Xingyiquan Xue (Xngyqun
xu ) ovvero Studio dello xingyiquan, di Sun Lutang, fu in quell'anno che il
maestro Cheng Tinghua () (1848-1900) dello stile baguazhang (Bguzhng
), il maestro di taijiquan Liu Dekuan () (1826-1911), e i maestri Li Cunyi
( ) (1847-1921) e Liu Weixiang ( ) (1862-1936) dello stile xingyiquan
(Xngyqun )44, decisero di creare un sodalizio con lo scopo di favorire il crosstraining in queste discipline. Secondo questi maestri il taijiquan, il baguazhang e lo
xingyiquan avevano la caratteristica di basarsi sui medesimi princpi; alla loro
associazione si faceva riferimento utilizzando il nome di neijiaquan, ovvero scuola
interna (Sun 2001: 7).
Sun Lutang, nel medesimo testo, formul per la prima volta una definizione delle
caratteristiche di quelli che definiva appunto stili interni: la prima era quella di utilizzare
la mente per sfruttare i vantaggi di un corpo rilassato, senza l'utilizzo della forza; la
seconda consisteva nello sviluppo del qi e nella capacit di farlo circolare. Come ultima
caratteristica, infine, Sun faceva riferimento all'utilizzo delle pratiche daoyin, del
qigong (qgng ), ovvero il lavoro sul qi e del neigong (nigng ), il lavoro
interno, che costituisce la variante pi fisica del qigong (Sun 2001: 20). Questa
differenziazione tutt'oggi ampiamente utilizzata, e tuttavia si sono unite altre
descrizioni pi o meno aderenti a quella di Sun. Nell'esperienza di chi scrive si possono
sostanzialmente elencare le seguenti distinzioni: la riconduzione dei movimenti lenti e
morbidi alle arti interne e dei movimenti veloci e duri a quelle esterne, la concezione del
combattimento come distruzione dell'avversario come caratteristica delle arti esterne,
mentre quelle interne cercherebbero di neutralizzare unicamente il proprio antagonista,
43 Vedi paragrafo 1.2.1.
44 In realt ciascuno di questi maestri era esperto di numerosi stili.
38
39
quella tra stile Shrin e tra stile Shrei. Il primo viene definito uno stile agile e veloce,
adatto a persone di corporatura snella, mentre il secondo, pi statico e basato sulla forza
fisica e muscolare, viene descritto come adatto a persone di corporatura robusta
(Funakoshi 1973: 8). Per quanto riguarda l'origine dei due nomi, il primo corrisponde
alla pronuncia giapponese del nome Shaolin, e fa quindi riferimento alla tradizione
marziale del famoso monastero cinese; il secondo, secondo Tokitsu, deriva
probabilmente da una storpiatura della pronuncia del primo (Tokitsu 2005a: 94).
Successivamente Funakoshi arriv anche ad affermare l'antica relazione tra le scuole
cinesi Wudang e Shaolin e i due stili di Okinawa, senza per precisare il rapporto tra gli
stessi (Funakoshi 1975: 38). Ci che mi sembra importante sottolineare, per, un certo
rifiuto delle distinzioni e la tendenza ad integrare le polarit dimostrata dai primi
esponenti del karate moderno. Lo stesso Funakoshi, dopo aver elencato le differenza tra
i due stili, afferma che tutte le scuole dovrebbero essere integrate in una (Funakoshi
1975: 38). Diversi allievi di Mabuni, considerato il fondatore dello Shit-ry, affermano
inoltre che egli neg l'esistenza di diversi stili di karate. Lo stile di Miyagi, infine,
contiene nel suo stesso nome la volont di superare la dicotomia: Gj-ry significa
infatti stile del duro e del morbido. Il karate si presenta oggi frammentato in una
grande quantit di stili che talvolta lavorano su princpi apparentemente molto diversi
tra di loro: a fronte di alcuni apparentemente molto duri ne esistono altri che si
concentrano maggiormente sulla flessibilit e sulla morbidezza. Tra questi ultimi va
citato lo stile, sviluppatosi in Giappone, che meglio rappresenta la ricerca della
morbidezza e della coltivazione dell'energia: lo Shtkai () del maestro Egami.
Egami Shigeru () (1912-1981) afferm di essersi accorto, ad un certo punto della
sua pratica marziale, di aver confuso la durezza con la forza; realizz che indurire il
corpo equivale a bloccare il movimento 46 (Tokitsu 2005a: 171). Cominci cos a
massaggiare e sciogliere il suo corpo, e a ricercare l'efficacia - trovandola, pare - in
movimenti naturali, simili a quelli di un principiante. Le riflessioni del maestro Egami
sono importanti perch rappresentano l'estremizzazione di un percorso che molti
praticanti si trovano a fare: ampio utilizzo della forza in giovane et, ricerca di un
movimento pi naturale e attenzione agli aspetti energetici in et pi avanzata; il corpo
cambia e naturalmente richiede di essere utilizzato in maniera diversa.
46 Sulla continuit del movimento vedi paragrafo 3.3.
40
Per concludere, per quanto sia utile mantenere il punto di vista che definisce il
taijiquan come uno stile che richiede un approccio interno e il karate uno stile che
parte da un approccio esterno, ritengo che la distizione debba essere utilizzata in
maniera elastica, soprattutto alla luce del fatto che il taijiquan, ma soprattutto il karate,
non si presentano come pratiche univoche; sono al contrario espressione delle numerose
contaminazioni che per alcuni ne causano lo snaturamento, per altri ne esaltano invece
la capacit di adattarsi alle persone, ai luoghi, ai tempi.
decisione, quindi. Ci significa che nel termine non incluso alcun riferimento alla
contrazione; quello a cui fa riferimento la giusta focalizzazione fisica e mentale che
permette al colpo di essere efficace. Per capire per quale motivo l'idea della tensione
muscolare sia stata associata al kime, si pu a parer mio ricorrere ad un passaggio del
maestro Nakayama Masatoshi ( ) (1913-1987), responsabile della nascita e
della diffusione dello Shtkan moderno. Egli spiega che kime significa eseguire un
attacco esplosivo diretto al bersaglio impiegando [] la massima potenza (Nakayama
2007: 11). Il problema che non specificato come questa potenza debba essere
sviluppata. Poco dopo per Nakayama ci d un indizio importante: ci dice che poich
nelle gare contrario alle regole giungere al contatto vero e proprio per il pericolo che
ci comporta si introdotto il sistema del sun-dome (), ovvero del bloccaggio
della tecnica prima del contatto con il bersaglio47. Egli prosegue dicendo che esiste una
contraddizione tra kime e sun-dome, e che per sanare tale contraddizione il bersaglio si
stabilisce convenzionalmente appena prima del punto vitale dell'avversario
(Nakayama 2007: 11). Insomma, la decelerazione che il colpo naturalmente subisce al
momento dell'impatto viene invece provocata da chi colpisce, mediante la tensione dei
muscoli antagonisti; questo per non in nome dell'efficacia del colpo, ma per evitare di
creare danni all'avversario. A confermare la dannosit della contrazione muscolare per
l'efficacia del colpo, contribuiscono non solo le leggi fisiche, ma anche opinioni di altri
maestri che hanno dato suggerimenti diversi. Asai Tetsuhiko () (1935-2006),
famoso maestro dello stile Shtkan che fece del movimento continuo un suo elemento
distintivo. A quanto pare egli afferm che la tensione alla fine della tecnica non serve,
e non niente altro che pseudo-scienza (Stone, Banfield, visitato il 12/06/13).
Un'altra ragione per l'affermarsi di uno stile di movimento caratterizzato
dall'intervallarsi di contrazioni e rilasci di tensione pu essere individuata nel concetto
di ikken hissatsu ( ), ovvero un pugno, uccisione certa. Questo concetto,
affermatosi soprattutto nel karate Shtkan, stato mutuato dall'ichigeki hissatsu (
), cio un colpo, uccisione certa, che si immagina regolasse i confronti di spada
di epoca Tokugawa (Mann 2012: 91). L'idea che la tecnica che si sta eseguendo sia
quella definitiva, tra l'altro evidentemente molto pi plausibile in un confronto di spada
piuttosto che in uno a mani nude, porta con s il rischio che chi la esegue non sia pronto
47 Un sun equivale a circa tre centimetri.
42
43
consisteva nel lasciarsi cadere in avanti, aiutati da un compagno che aveva il compito di
arrestare la caduta (Mabuni 2009: 40). L'obiettivo dell'esercizio era quello di imparare
ad utilizzare la forza di gravit nelle proprie tecniche, in un metodo che rappresentava il
livello pi alto di controllo del proprio corpo; questo metodo che insegna a non resistere
alla forza di gravit era chiamato, nello stile di Itosu, prendere in prestito la forza della
terra (Mabuni 2009: 40). Ma Mabuni arriva addirittura ad affermare che l'ottenimento
dell'unificazione con le energie della terra rappresenta l'essenza stessa del bud
giapponese (Mabuni 2009: 116); la concezione dell'uomo come una sorta di macchina
deriva invece, sempre secondo l'autore, da una concezione del corpo occidentalizzata e
dalle moderne metodologie sportive, che non rappresentano lo spirito delle arti marziali
giapponesi (Mabuni 2009: 117-118).
Mi sembra di poter affermare, a questo punto, che nemmeno le dinamiche
fondamentali di spostamento rappresentino un elemento sopra il quale si possa costruire
un filo di demarcazione netto tra le due arti.
44
45
46
47
allenamenti estenuanti. Il praticante si ritrova a quel punto non solo esausto fisicamente,
ma anche privo di processi di pensiero, perch il proprio corpo non ha pi energie per
alimentarli; allora che la dimensione silenziosa del k si rivela. Un simile stato
probabilmente quello a cui fa riferimento Funakoshi Gichin, quando ricorda come il suo
unico desiderio, dopo una fiera sessione di allenamento di karate, fosse quello di
camminare in solitudine (Funakoshi 1975: 86).
Naturalmente anche in questo caso si deve evitare il rischio di una eccessiva
stereotipizzazione: anche nel taijiquan i praticanti, in caso di confronto, manifestano
atteggiamenti oppositivi, oppure, soprattutto in caso di praticanti giovani, addirittura
nervosi; un esperto praticante di karate, allo stesso modo, pu essere calmo, fluido,
morbido ed in possesso di abilit fisiche talmente sottili da poter essere scambiato per
un praticante di uno stile interno.
3.5 Conclusione
La comparazione delle caratteristiche fisiche e spirituali dei due stili porta, a mio
parere, alla necessit di superare le rigide classificazioni di cui taijiquan e karate sono
spesso oggetto. Le due arti rappresentano indubbiamente punti di partenza e approcci
diversi, e tuttavia il singolo praticante che, lungo il suo percorso marziale, esplora e
cerca di integrare continuamente gli opposti, ottenendo come risultato un insieme unico
di variabili fisiche, mentali, energetiche. Entrambe le discipline, in fondo, mirano ad
arricchire di significato l'esperienza umana, entrambe rappresentano la volont di
comprendere i meccanismi fondamentali di funzionamento dell'esistente, per giungere
ad una fusione con la natura. E come recita un famoso poema del maestro zen Ikky
Sjun () (1394-1481):
Molti sono i percorsi che partono
dai piedi della montagna,
ma sulla cima
tutti ammiriamo
un'unica, luminosa, luna.
48
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