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dissolversi. Ecco,
di rinfrescamento
continuit.
Alla fine per, in Fichte c' il riconoscimento di una sconfitta, in cui si riconosce
che non si pu fondare l'identit personale, perch qualcosaltro che io
presuppongo, l'essere o la vita, che condiziona il pensiero. Il risultato
dell'idealismo tedesco, di Fichte - non di Hegel - quello di dichiarare che io
non posso girare attorno a me stesso, rincorrere me stesso come in una
specie di rond e riacchiapparmi per la coda perch il pensiero
non autosufficiente. Prima del pensiero c' la vita o l'essere, cio
qualcosa di indeducibile.
Che cosa implica la riduzione dell'identit personale a filo della
memoria, per dirla con Locke, o a fascio di percezioni, per dirla con
Hume?
Implica che il passaggio degli individui, degli uomini, delle donne,
attraverso il tempo, un passaggio precario. Esso legato, in Locke,
a questo elemento del filo, che pu essere continuamente tagliato,
come dire, da una Parca maligna con la conseguenza che noi facciamo
una gran fatica ad essere noi stessi. C' una battuta di Adorno che molto
bella: chiamarsi io molto spesso un atto di presunzione, perch l'essere
individui non un dato naturale, ma il risultato di uno sforzo.
In Hume, poi, la cosa diventa ancora pi drammatica: se io mi colgo
sempre istantaneamente, se sono certo di me stesso solo nel momento in
cui ci penso e per il resto mi lascio vivere, allora questo vuol dire che la
mia identit qualcosa che sfugge ad ogni mio controllo. Cos, in tutta la
tradizione inglese, e soprattutto in quella dei padri fondatori, in Locke e
in Hume, c' il senso della precariet dell'esistere e della impossibilit, per
cos dire, di riassumersi ad ogni istante della vita; c' l'idea che la nostra
identit, perdendo sempre qualche cosa, unidentit per tracce.
Qual l'esito dei tentativi di Kant e di Fichte di congiungere la
coscienza con se stessa, nella forma circolare, come lei diceva,
dell'autocoscienza, per salvarla dalla inconsistenza e dalla fragilit
alla quale Hume la condannava?
L'esito quello che accennavo prima, cio la constatazione di un
fallimento, fallimento fruttuoso e utile, le cui somme saranno tirate da
Schopenhauer, che parla dell'Io come di una voce che rimbomba in una
sfera cava di vetro: se io cerco di afferrare questa voce che sembra mia, ma
non lo , abbraccio un vano fantasma. Per Schopenhauer, noi, come
individui, non siamo nient'altro che un capriccio della volont di vivere, di
questa entit anonima che parla in tutti gli esseri viventi, dalle formiche
all'uomo; siamo una voce o - per meglio dire, come si afferma ne Il mondo
come volont e rappresent azione - siamo come dei ghirigori che la volont
di vivere traccia nella lavagna infinita dello spazio e del tempo.
Quali altre strategie vengono messe in atto per spiegare il fatto che
l'uomo non sia padrone in casa sua, per dirla con Freud, ossia che la
sua coscienza sia divisa, mutevole e molteplice, accanto alla risposta
heideggeriana?
Vi una strategia che nasce nella psicopatologia francese di fine Ottocento, con
dei filosofi medici, i cui nomi sono oggi pressoch dimenticati, ma che hanno
avuto una enorme importanza per gli sviluppi dei loro studi: si tratta di Ribot,
Janet e Binet - quest'ultimo l'inventore del quoziente di intelligenza.
Questi pensatori sostenevano appunto che l'anima non una ma molteplice,
e cio che noi siamo formati da un arcipelago di isolotti di coscienza,
dicevano loro, e quindi la nostra personalit all'inizio plurima e poi diventa
una, se lo diventa, perch c' un Io egemone, che capace di controllare
tutti questi arcipelaghi riottosi di essere uno, nessuno e centomila. In quest o
modo il mantenimento dell'identit personale a partire da questa pluralit
che noi siamo, da tutto quello che avremmo potuto essere e non siamo
stati, tutta questa pluralit viene mantenuta in tiro, in forza, da un Io
egemone.
Pensiamo a Pirandello. Ho appena citato Uno, nessuno, cent omila, ma egli ha
scritto ben sessanta opere, romanzi, novelle, pices teatrali che riguardano la
scissione della personalit. Prendiamo ad esempio una novella intitolata L'Ave
Maria di Bobbio, che parla di un signore che fa il notaio in un piccolo
paese. Questi, da piccolo, sviluppa una personalit da seminarista, diviene
molto pio, pronto per una vita di sacrifici e di ascesi; poi a un certo punto
ateo,
mangiapreti
e
cambia completamente, diventando massone,
repubblicano. Accade poi che un giorno viene preso da un gran mal di
denti, che non gli vuole passare. Ma passando davanti a un'edicola e
vedendo l'immagine della Madonna, il suo Io precedente lo induce a farsi il
segno della croce e, quasi per miracolo, il mal di denti svanisce. A questo
punto per non vuole credere alla cosa e quando, dopo qualche settimana, il
mal di denti gli ritorna, da buon personaggio pirandelliano, piuttosto
che dar soddisfazione al suo vecchio Io, va dal suo amico dentista e si fa
estirpare tutti i denti.
Questo apologo indica che dentro di noi ci sono una quantit di
personalit plurime, che, in genere, negli individui normali sono latenti; ma
quando la tensione si allenta, l'Io egemone viene costretto ad abdicare e
questi Io, che prima erano dei comprimari, prendono successivamente o
alternativamente il comando.
A Janet era capitato il caso di una donna con sedici personalit, Lucie, e
nel 1960 persino la legislazione americana aveva assolto un omicida - si
chiamava Billy Mulligan - che aveva ventitr personalit, tredici in servizio
permanente effettivo e dieci, come dire, dismesse perch il tribunale americano
aveva riconosciuto che il delitto era stato compiuto da una di queste personalit
non pi esistenti.
Per esempio,
parlando
con degli indiani, capita di osservare che
questa idea della perdita dell'identit nel tutto per loro non una
perdita, ma una fusione potenziante l'individualit. In Inghilterra, che ha
avuto molti pi contatti storicamente col mondo orientale e in particolare
col mondo indiano, c' un filosofo che ho gi citato, Derek Parfit, il quale ha
scritto un libro, Ragioni e persone, in cui argomenta in favore di questo
abbandono dell'idea d'identit personale: identity doesn't matter, lident it
non quello che conta.
In realt - egli sostiene - noi non ci interessiamo all'identit in quanto
tale, ma a qualcosa che l'identit ci promette, e cio la continuazione delle
nostre esperienze non soltanto nella nostra vita biologica, ma anche nel futuro.
In questo modo egli arriva a una specie di consolazione privata, una specie
di filosofia buddhista o zen, per cui invece di dire che domani sar morto,
dico che domani le mie esperienze personali non si ricongiungeranno pi,
non saranno pi continue a nessuna esperienza successiva.
Perch, secondo lui, c' da consolarsi di questo? Perch io, abbandonando il
principio di individuazione, la mia identit personale, e pensando alle
mie esperienze come qualcosa che non mi appartiene in quanto individuo, ma
come un flusso, per cos dire, in cui io sono immerso, anche sapendo che
queste mie esperienze domani passeranno a qualche altro - per esempio
con un ipotetico trapianto del cervello - ho la possibilit che i miei fluss i di
pensiero, i miei valori, le mie idee continuino anche negli altri.
C' un'altra considerazione che dobbiamo fare, professor Bodei, a
proposito dell'identit personale. Michel Foucault, sicuramente ha
offerto una delle pi acute ricostruzioni della nascita del soggetto - e
naturalmente della coscienza - che si abbiano nella cultura
dell'Occidente. Come si potrebbe oggi descrivere e recuperare la
lettura che Foucault ha fatto della nascita della coscienza?
Direi innanzi tutto che in Foucault non esiste un soggetto spontaneo; gli
uomini non diventano soggetti o identici a se stessi per un processo
naturalistico, ma lo diventano perch in tutte le societ esistono delle
operazioni che egli chiama di partage, cio di separazione: io mi
definisco in quanto tale perch, a un certo punto, escludo, ad esempio, che
il mio Io della veglia sia uguale all'Io del sogno. Sono i primi studi di
Foucault negli anni Cinquanta intitolati Sogno ed esist enza.
Successivamente, nella St oria della follia, Foucault mostra come si
definisca l'individuo sano in opposizione al pazzo. I pazzi circolavano
tranquillamente nel Medioevo; nei quadri della tradizione medievale, li si
vede girare per le citt. Successivamente, quando finiscono i grandi cicli
epidemici, gli edifici che servivano per mantenere in quarantena i malati di
peste vengono trasformati in manicomi; quindi il problema della pazzia viene in
un certo modo tematizzato, problematizzato, in una determinata epoca.
R. Bodei lidentit personale e la coscienza pa g. 7