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Facolt di Scienze della Formazione

Corso di Laurea in Scienze delleducazione

Prof. LORENZO FOSSATI


Corso di Storia della filosofia
Materiali I

SOFIA VANNI ROVIGHI


Esiste la filosofia?
Rivista di filosofia neoscolastica, 1979 (71), pp. 485-496.

una domanda che ci pongono, talora maliziosamente, i nostri colleghi scienziati, un po stupiti
della variet delle filosofie, della opposizione tra luna e laltra e, sotto le espressioni cortesi, traspare il sospetto: una cosa seria far filosofia?
Ma una domanda che si pongono gli stessi filosofi; cos Kant, nei Prolegomeni: Se una metafisica esistesse (una metafisica che potesse affermarsi come scienza), se si potesse dire: ecco la metafisica; non avete che da impararla, ed essa vi convincer incontestabilmente e immutabilmente della
sua verit, allora questa domanda [la domanda se la metafisica sia possibile] sarebbe superflua
Ma in questo caso la ragione umana non stata cos fortunata. Non si pu indicare un solo libro, cos come si presenta un Euclide, e dire: questa la metafisica. Eppure chi vi parla persuasa che
esista la filosofia. Si sar osservato che Kant parla di metafisica, non di filosofia in genere, e torneremo subito su questa distinzione, ma prima vorrei tentare di rispondere ad unaltra obiezione preliminare che si muove allesistenza della filosofia (ad unaltra obiezione, oltre a quella accennata,
della molteplicit delle filosofie): i filosofi ricominciano sempre da capo, come se non ci fossero
stati altri filosofi prima di loro: Cartesio comincia col dubbio su tutto quello che gli uomini generalmente ammettono; Husserl, riprendendo un termine degli antichi scettici, parla di epoch, di sospensione dellassenso ad ogni affermazione per citare solo due nomi; e, se gli stessi filosofi hanno cos poca fiducia nellopera dei loro predecessori, come possono gli altri, i non-filosofi di professione, credere che la filosofia sia una cosa seria, un sapere, e non semplice espressione di un modo di sentire la vita? E, aggiungeva maliziosamente un filosofo, che per non voleva sentir parlare
di metafisica, come espressione di un modo di sentire la vita, preferisco una sinfonia di Mozart a un
discorso di metafisica.
Ora io vorrei cominciare la mia difesa della filosofia proprio dalla considerazione di questo atteggiamento di dubbio, di sospensione dellassenso, che deve essere latteggiamento filosofico.
Vorrei osservare intanto che il dubbio metodico non una caratteristica di Cartesio n lepoch una
caratteristica di Husserl: si pu risalire fino allironia di Socrate per trovare questo atteggiamento.
Ci si potrebbe chiedere allora come mai esso appare nuovo in certi momenti della storia della filosofia: novit il dubbio cartesiano, novit lepoch husserliana; anzi come mai esso appare nuovo, o
presentato come nuovo dagli stessi filosofi che ne richiamano la necessit. che non sono molti gli
uomini che pensano con la propria testa ossia che cercano di vedere coi propri occhi come stanno
le cose anche fra quelli che fanno di professione i filosofi, che sono professori di filosofia. Accade
cos che quando un autentico filosofo, un pensatore di genio invita a spogliarsi dai pregiudizi, da
quelli che ormai sono diventati luoghi comuni, invita a riesaminare ci che comunemente ammesso, si abbia limpressione che egli suggerisca qualcosa di nuovo, e il filosofo stesso ha
limpressione di proporre un atteggiamento nuovo. Che , s, nuovo rispetto a quello dei non pensanti, di coloro che ripetono ci che si dice intorno a loro come erano per esempio gli aristotelici
contemporanei di Galileo ma non nuovo nella tradizione degli autentici filosofi. E poich ho
nominato Galileo, permettetemi di citare ci che egli dice nel Saggiatore in polemica col Grassi:
Forse crede il Sarsi che di buoni filosofi se ne trovino le squadre intere dentro ogni ricinto di mura? Io, Signor Sarsi, credo che volino come laquile e non come gli storni []. Signor Sarsi, infinita

la turba de gli sciocchi, cio di quelli che non sanno nulla; assai son quelli che sanno pochissimo
di filosofia; pochi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; pochissimi quelli che ne sanno
qualche particella; un solo Dio quello che la sa tutta (che in buon toscano e in tono arguto una
breve descrizione del man di Heidegger). Nuovo, dunque, il richiamo alla spregiudicatezza, ma
per richiamare unesigenza antica.
Esigenza che segno, se mi si permette una espressione pascaliana, della miseria e della grandezza
della filosofia. Miseria, perch il filosofo deve sempre ricominciare da capo, non pu appoggiarsi
ad una tradizione e ritenerla valida senza riesaminarla di nuovo. Se dice: oramai stato provato
che senza riesaminare le prove o le pretese prove, non filosofo. In filosofia non ci sono questioni passate in giudicato. Ma lesigenza di riesaminare tutto da capo costituisce anche quella che oserei chiamare grandezza della filosofia, poich lesigenza di criticit, di andare a vedere come stanno le cose, di non ammettere per vero se non ci che si vede essere vero, senza delegare ad altri
questo compito.
Ho parlato di vedere, il che suppone che si possa vedere, che ci siano delle evidenze presupposto,
si dice, tipicamente dogmatico. Ora, prescindendo dal fatto che il termine dogmatico ha una cattiva stampa, un significato emotivo sfavorevole, e che un sapere (come cerca di essere la filosofia)
non si fa con significati emotivi, vorrei osservare che dubbio, esigenza critica non avrebbero senso
se non come ricerca di una evidenza: se non si ritenesse di poter vedere coi propri occhi, a che pro
mettere in dubbio ci che si dice intorno a noi? Si cerca per trovare. Se non si spera di trovare, inutile cercare. E vorrei richiamare lattenzione sul fatto che allevidenza si appellano tutti. Voglio
dire: alcuni filosofi affermano esplicitamente, in actu signato, si direbbe scolasticamente, che il criterio di verit levidenza, ma tutti la adoperano, in actu exercito. Fra i primi vorrei ricordare ancora Cartesio, con la sua prima regola del metodo, quella di non accettare per vero se non ci che
chiaro e distinto; e la spiegazione che chiaro ci che presente ad uno spirito attento; con la riduzione della deductio a intuitus nelle Regulae ad directionem ingenii. Tanto che un illustre studioso
ha potuto dire che per Cartesio savoir se rduit voir [sapere si riduce a vedere]. La cosa curiosa
che Laporte ritenga che questa sia una peculiarit di Cartesio e contrapponga il criterio cartesiano a
quello della fenomenologia, mentre il principio di tutti i principi di Husserl dice proprio la medesima cosa: Ogni intuizione che presenti originariamente qualche cosa di diritto fonte di conoscenza; ci che si offre originariamente nellintuizione (che presente in carne ed ossa, per dir cos)
deve essere assunto semplicemente cos come dato, ma anche soltanto nei limiti in cui dato (da
Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, 24). Ma, dicevo, anche coloro
che non fanno una teoria dellevidenza o magari la negano si appellano al criterio dellevidenza
ossia cercano di far vedere che le cose non stanno cos. La polemica sui protocolli, fra neopositivisti, le discussioni su cosa significhi verificare dimostrano che non facile sbarazzarsi dellevidenza.
O si cerca di vedere e di far vedere o, altrimenti, non resta altra alternativa che imporre la propria
tesi con la forza. E se mi si chiedesse: perch non la forza? risponderei che opto per il dialogo, ossia
per la ragione, per landare a vedere e cercare di far vedere come stanno le cose. E ammetto che
questa radicale opzione sta alla base della filosofia.
Ma altro negare che una qualunque evidenza si dia, altro determinare che cosa evidente e qui
nascono le divergenze fra le filosofie, quelle divergenze che inducono a negare lesistenza della filosofia.
Per giustificare la persuasione che la filosofia esiste, come una specie di vena profonda che alimenta
le filosofie, mi pare si debba distinguere nella filosofia una parte fenomenologica e una parte che io
chiamerei metafisica, ma che si pu chiamare anche, pi genericamente, inferenziale. La fenomenologia descrizione, mettere in luce, ma che cosa? Mi sia lecito qui citare una frase, anzi due frasi
di Heidegger, un po complicate, ma efficaci: ci che gi si mostra, sebbene non tematicamente,
nei fenomeni volgarmente intesi come qualcosa che loro presupposto e li accompagna, pu essere
portato a mostrarsi tematicamente, e questo che si mostra cos in se stesso il fenomeno della fenomenologia. E ancora: oggetto della fenomenologia ci che a prima vista e per lo pi non si
mostra; ci che nascosto rispetto a ci che si mostra a prima vista s da costituirne il senso e il
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fondamento. Ossia, la fenomenologia mette in luce, mette a fuoco quello che implicitamente tutti
gli uomini ammettono senza per farne oggetto di riflessione; mette in luce ci che implicito in
ogni affermazione e da ogni affermazione presupposto. Inutile dire, per chi abbia una qualche conoscenza della sua filosofia, che per Heidegger il fenomeno per eccellenza lessere, ma vorrei fare
qualche altro esempio: tutti adoperiamo e presupponiamo nei nostri discorsi il principio di noncontraddizione, ma Aristotele gli dedica quasi tutto il quarto libro della Metafisica; tutti viviamo nel
tempo e abbiamo coscienza del tempo, ma mi sembra sempre vera losservazione di S. Agostino:
Quid ergo est tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim, nescio [che
cos il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se volessi spiegarlo a chi lo chiedesse, non lo so]. E
la filosofia nella sua parte fenomenologica il tentativo di spiegare quello che si sa in qualche modo (scio) ma, per dir cos, quasi nello sfondo dei nostri discorsi.
A proposito di questo compito della filosofia vorrei osservare che, se ci sono due correnti diverse e
contrastanti nella filosofia contemporanea sono la fenomenologia di matrice pi o meno husserliana
e il neopositivismo, ma qualche volta mi sono chiesta se le loro rispettive concezioni della filosofia,
indicate sinteticamente da Husserl come un andare alle cose stesse (zu den Sachen selbst!) e da
Schlick come un domandarsi qual davvero il significato dei nostri discorsi (was meinst du eigentlich?) non esprimano la medesima esigenza di andare a vedere cosa sta alla base di tutti i nostri discorsi, che cosa sia in ultima analisi presupposto alle nostre persuasioni.
Come esempio di fenomenologia ho citato il quarto libro della Metafisica di Aristotele: curioso,
anche se storicamente spiegabile, che sia passata come espressione di un sistema dogmatico
unopera, come quella, costituita per la maggior parte di fenomenologia e di aporie: forse solo il dodicesimo libro largomentazione per dimostrare lesistenza del motore immobile metafisica in
senso stretto, teoria su una realt che trascende lesperienza; ma lopera tutta costellata di si dubita se, si deve cercare, e la maggior parte delle ricerche di carattere fenomenologico: avventure di uno spirito in cerca della verit, lha definita un commentatore, W.D. Ross, che per averne
curata anche filologicamente una edizione e averla tradotta, era in condizione di penetrarne bene il
senso.
Ora sul terreno fenomenologico non mi sembra che sia grande il dissenso tra i filosofi. Caso mai si
rimprovera a questa parte della filosofia di non insegnare nulla di nuovo, e in certo senso questo
vero, perch la filosofia come fenomenologia non fa che mettere in luce quello che in qualche modo
tutti sanno; ma forse non del tutto privo di importanza avere una precisa consapevolezza di quello
che implicitamente gi si sapeva.
A questa affermazione che sul terreno fenomenologico non c poi grande dissenso tra i filosofi
si possono muovere obiezioni. Ho ricordato sopra come esempio di analisi fenomenologica la difesa
del principio di non contraddizione nel quarto libro della Metafisica di Aristotele; ebbene, si dir,
Hegel ha proclamato: contradictio est regula veri, non contradictio falsi [la contraddizione la regola del vero, non la contraddizione del falso]. Ora non vi infastidir con un saggio sulla reale o
pretesa negazione del principio di non-contraddizione in Hegel, saggio che richiederebbe ben altro
che un accenno, come possibile fare qui, ma ricorder qualcosa di ci che Hegel dice a questo
proposito nel paragrafo sulla contraddizione nella Scienza della logica, che la sua grande metafisica. La contraddizione, dice, la radice di ogni movimento e vitalit; qualcosa si muove, ha un
impulso e unattivit, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione []. Il muoversi interno, il
vero e proprio muoversi, limpulso in generale (lappetito o il nisus della monade) non consiste se
non in ci che qualcosa in se stesso, s e la mancanza, il negativo di se stesso sotto un unico e medesimo riguardo. Ora la descrizione del mutamento, del divenire come implicante un non essere,
una potenza, una mancanza mi sembra in pieno accordo con quella aristotelica, secondo la quale il
moto implica una potenza, un poter non essere (Metaph. IX, 8), una privazione. Certo, dopo la descrizione le strade divergono, ma divergono quando dalla fenomenologia si passa allinferenza: in
divenire tutto il reale, e allora la contraddizione non mai superata, o quel negativo che c nel divenire sanato dallazione di un immutabile (che atto puro, ossia essere senza mancanza), senza
negazione? La divergenza segna un contrasto fondamentale nella storia della filosofia ma, ripeto,

un contrasto in sede metafisica, non in sede fenomenologica, e non intendo negare che ci siano contrasti nella storia della filosofia.
Un altro esempio famoso che sembrerebbe negare la verit pi ovvia, quella che spesso anche i filosofi hanno presentato come la prima evidenza, la tesi di Hume, secondo la quale lio penso non
una verit evidente, perch lio non dato, non c unidea dellio: noi non siamo altro che fasci e
collezioni di differenti percezioni La mente una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c altro che le percezioni successive. Come? vien fatto di chiedersi, non ho forse coscienza di essere
io a pensare, sentire, fare questo e questo? Ma Hume aggiunge subito: dobbiamo distinguere fra
lidentit personale in quanto riguarda il pensiero o limmaginazione ed in quanto riguarda le passioni o linteresse che prendiamo a noi stessi. Il che vuol dire: lio non unidea, non un oggetto
di conoscenza; la conoscenza presenza di cose, di quelle che Hume chiama impressioni e idee,
non presenza dellio. Dellio si ha originariamente coscienza come soggetto delle passioni, ossia
degli stati affettivi, e Hume lo dice chiaramente nel secondo libro del Trattato. Ora questo mi sembra pienamente vero e niente affatto paradossale.
E poich ho fatto il nome di Hume, ricorder anche la sua critica al cos detto principio di causa,
che fino ad un certo punto una critica alla metafisica pi precisamente: una negazione che si
possa inferire da ci che dato una causa trascendente ma per gran parte una teoria
dellinduzione. In questa parte, la parte positiva della teoria sul rapporto di causa ed effetto, Hume
mette in rilievo la differenza che c fra il modo in cui stabiliamo rapporti fra determinati fenomeni,
e crediamo che questi rapporti siano necessari, e il modo in cui cogliamo rapporti matematici, quei
rapporti che Hume chiama relazioni fra idee. Ossia sottolinea la differenza fra proposizioni necessarie, tali che il negarle implichi contraddizione, proposizioni tautologiche (ma senza nessun
significato dispregiativo del termine) e ipotesi da verificare. Il belief di cui parla Hume stretto
parente della Setzung di cui parla Reichenbach.
Paradossale si presenta anche laffermazione berkeleyana: esse est percipi [essere esser percepito], e Moore ne ha fatto una acuta critica nel famoso articolo Confutazione dellidealismo, articolo
che ha tra gli altri il pregio di distinguere chiaramente la presenza conoscitiva dalla presenza fisica,
ossia di ritrovare, in modo indipendente da Husserl, la nozione di intenzionalit. Ma forse se, prima
ancora di confutare la proposizione esse est percipi, cercassimo di capirla collocandola storicamente, essa ci apparirebbe meno paradossale. Ci il cui essere si risolve nellessere percepito non infatti per Berkeley tutto il reale, ma solo lidea. Ora nessuno pu negare che lessere di unidea si risolva nel suo essere percepita. E che gli oggetti che conosciamo immediatamente siano idee lo avevano detto prima di Berkeley due pensatori cos diversi come Locke e Cartesio, ed era ormai pacifico nellambiente filosofico da quando la nuova fisica si era affermata come scienza assumendo come proprio oggetto solo gli aspetti quantitativi, misurabili dei corpi e confinando le qualit nel campo del soggettivo. Quel soggettivo che era per Galileo il corpo sensitivo e che per Cartesio diventa
la res cogitans, per Locke la mente. Berkeley poi non traeva dalla sua tesi conclusioni soggettivistiche, perch interpretava le idee come il linguaggio col quale Dio parla alluomo. Metafisica discutibile, che dimentica la corporeit, ma non tesi assurda. E qui vorrei fare una osservazione: se le dottrine filosofiche sono ridotte a tesi: idealismo, realismo, materialismo, si presentano facilmente opposte fra loro e talora assurde, ma se si guarda a come sono presentate dai vari autori, sono molto
meno facili da catalogare e da confutare. Lidealismo come lo definisce Hegel, e cio come
laffermazione che il finito ideale, non ha molto a che fare, per esempio, con laffermazione che le
qualit corporee sono soggettive.
Talora non c accordo nelle soluzioni, ma c un costante ritorno di problemi che sembravano superati e che dimostrano, col loro non essere eliminabili, che non si tratta di pseudo-problemi. Un esempio dato dal problema degli universali (ci sono, e che valore hanno concetti universali, cio
applicabili a pi individui, o sono puri nomi per classificare esperienze diverse?). parso un problema esclusivamente medievale de generibus et speciebus con le sue diverse soluzioni: nominalismo, concettualismo, realismo e invece si ripresenta costantemente nella storia della filosofia.
Si ripresenta fra Sei e Settecento come problema delle idee generali ed ripreso in proprio da Hus4

serl che, dopo aver discusso varie teorie di quellepoca nella seconda delle Ricerche logiche, rivendica il carattere specifico delle nozioni universali, parla di unit ideale della specie e, nelle Ideen, di
intuizione delle essenze. A chi attribuisce questo ritorno di vecchi problemi a una nefasta influenza
della scolastica su Husserl, influenza mediata da Brentano (e sarebbe, credo, storicamente inesatto)
vorrei ricordare che al ritorno del problema degli universali si assiste anche nel neopositivismo e
nella filosofia analitica correnti assai lontane da Husserl, nonch dalla scolastica.
Anche certi vecchi problemi di ontologia si sono rivelati molto attuali. Ricordo che quando il mio
maestro Masnovo pubblic certi suoi scritti sul fondamento dei possibili, si disse che neppure a un
neoscolastico era lecito rifriggere quei vecchi problemi. Eppure, pochi anni dopo, un filosofo che
non aveva certo simpatie per la scolastica, N. Hartmann, pubblic un grosso volume su Possibilit e
attualit, in cui discuteva i medesimi problemi, sia pure dando loro una soluzione molto diversa.
Accade poi che dottrine che oserei dire metafisicamente innocenti, siano associate, storicamente,
con tesi metafisiche, e siano quindi sostenute o combattute per la vicinanza, diciamo cos, di quelle
tesi. Un esempio mi sembra offerto da quella teoria sui concetti universali che ho ricordata prima:
Berkeley nominalista perch ritiene che lammissione di concetti universali sia connessa col materialismo, con laffermazione che esista una materia inerte, indifferenziata, priva di qualit, mentre i
platonici di Cambridge affermano lesistenza e il valore dei concetti universali perch ritengono che
essi offrano un argomento in favore della spiritualit dellanima. Cos, per essere state associate a
tesi metafisiche, a discutibili tesi cosmologiche sono state respinte dottrine e analisi aristoteliche
che forse avrebbero meritato pi attenzione. Ho detto prima che lidentificazione di metafisica con
dogmatismo, identificazione che stupisce il lettore della Metafisica di Aristotele, per spiegabile
storicamente, poich laristotelismo stato spesso ritenuto verit indiscutibile, e talora imposto con
la forza.
Veniamo dunque a questa benedetta metafisica: non allopera di Aristotele che, dicevo, di metafisica ne contiene poca, ma alla metafisica come dottrina sul reale nella sua totalit, come inferenza da
ci che dato e descrivibile fenomenologicamente a ci che oltre il dato. In questo senso anche le
concezioni materialistiche sono metafisiche perch si pronunciano su tutto il reale, e quindi vanno
oltre il mondo dellesperienza, met t physik. Ora un primo argomento in difesa della metafisica
potrebbe partire dalla constatazione che, di fatto, una metafisica lhanno tutti: tutti hanno una concezione della realt; e allora forse pi critico latteggiamento del metafisico confesso, per dir cos,
che si assume lonere di cercare di giustificare la metafisica che professa sperimentando la fatica e i
limiti di una tale giustificazione.
Ma possibile una tale giustificazione?
Le divergenze per le metafisiche sono innegabili: ci sono metafisiche materialistiche e metafisiche
spiritualistiche; metafisiche teistiche, panteistiche e ateistiche: per riconoscere alla filosofia il carattere di sapere, non di opzione pura e semplice o espressione di un senso della vita, come diceva
Carnap, non bisogner amputarla delle escrescenze metafisiche? Lamputazione stata tentata pi
volte, ma sembra che la metafisica sia dura a morire. Una delle amputazioni pi famose stata quella kantiana, e a Kant si sono spesso richiamati anche pensatori pi recenti quando hanno cercato di
limitare le pretese della filosofia. Ma dopo la critica kantiana si avuta, con lidealismo dei primi
decenni dellOttocento, una esplosione di metafisica. Basti ricordare certe affermazioni di Hegel: un
popolo senza metafisica come un tempio riccamente ornato, ma privo di santuario. Poich
luomo un essere pensante, n il sano intelletto umano, n la filosofia si lasceranno impedire di elevarsi a Dio partendo dalla visione empirica del mondo []. Lelevarsi del pensiero oltre il sensibile, landare oltre il finito verso linfinito tutto questo il pensiero stesso, soltanto pensare. Se
non si deve compiere questo trapasso come dire che non si debba pensare. Ma, si potrebbe dire:
rinasce la metafisica o rinascono le metafisiche? E allora non la metafisica il campo di lotte senza
fine di cui parla Kant?
Una spiegazione di questa lotta senza fine potrebbe essere cercata nellinflusso che i fattori emotivi
hanno sulle tesi metafisiche per le ripercussioni che queste hanno sullimpegno morale. Leibniz diceva che se le proposizioni della geometria incidessero, come quelle della metafisica,
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sullorientamento da dare alla nostra vita, ci sarebbero tante divergenze nella geometria quante nella
metafisica. Questa opinione di Leibniz pu essere parzialmente vera, ma non mi sembra sufficiente
a spiegare la molteplicit delle filosofie, anche perch c talora accordo nellimpegno morale fra
persone che hanno concezioni metafisiche diverse.
Credo si debba riconoscere una oggettiva difficolt e oscurit nellinferenza metafisica. Le argomentazioni metafisiche non sono chiare come le dimostrazioni geometriche perch, come osservava
Kant in uno scritto precritico nel quale rispondeva appunto al problema proposto dallAccademia
delle Scienze di Berlino: se le verit metafisiche siano suscettibili di dimostrazioni tanto chiare
quanto quelle delle verit geometriche e rispondeva negativamente i concetti geometrici ce li
costruiamo noi e quindi sappiamo perfettamente cosa vogliono dire, mentre i concetti metafisici sono dati in modo confuso e non sufficientemente determinato. Bisogna suddividerlo [il concetto],
confrontare nei vari casi le note che si sono separate con il concetto dato, per poi determinare e render compiuta questa idea astratta. Esprimerei il significato di questa frase, spero senza tradirlo, dicendo che in filosofia non dobbiamo costruire una rete di definizioni, ma dobbiamo quasi sfaccettare in una molteplicit di concetti quel reale che vogliamo conoscere, che ci confusamente dato
nellesperienza e che sempre pi ricco di quello che riusciamo a cogliere. Di qui un margine inevitabile di oscurit.
Eppure non mi sembra che le inferenze metafisiche si riducano a pure e semplici opzioni, perch su
di esse si seguita a discutere, mentre non si discute sulle semplici opzioni. E quando non si discute,
ossia quando non si criticano le inferenze metafisiche una per una, vorrei dire, ma si dichiara, con
giudizio sommario, che la metafisica superata, lo si fa generalmente in nome di unaltra metafisica
acriticamente accettata.
Ma qui sento sorgere unobiezione: allora questa pretesa unit della filosofia c, entro certi limiti,
solo per la parte fenomenologica; c accordo finch ci si gingilla con sottili descrizioni, non c pi
quando si affrontano i problemi di fondo, quelli che impegnano la nostra vita. Risponderei che, certo, la filosofia non ha il compito di dare una fede agli uomini; caso mai ha il compito di chiarire
quale sia precisamente questa fede, e di vedere entro che limiti si possa giustificarla.
Unaltra obiezione al concetto di filosofia che ho proposto potrebbe essere il rimprovero di eclettismo. Ora eclettismo termine che ha un significato emotivo sfavorevole e, in genere, non credo che
in filosofia si debba curarsi dei significati emotivi (cos importanti, invece nella propaganda). Voglio dire, cio, se leclettismo fosse la strada per raggiungere la verit, non avrei paura del rimprovero. Ma non credo sia la strada buona se per eclettismo si intende un cogliere qua e l tesi dalle varie filosofie storicamente esistite per combinarle insieme. Quale sarebbe infatti il criterio della scelta? Non in questo senso intendevo lunit della filosofia quando accennavo a una vena profonda alla
quale le filosofie attingono. Intendevo dire che scavando una filosofia, cercando di pensarla o ripensarla a fondo, si ritrovano verit messe in luce da altre filosofie, si ritrovano convergenze talora inaspettate. Come nella vita il seguire la propria strada, le proprie convinzioni senza preoccuparsi troppo di ci che diranno gli altri, forse il modo che ci permette di trovare un accordo profondo su
problemi vitali anche con uomini ideologicamente avversi, cos mi sembra che il cercare di pensare
a fondo una filosofia ci aiuti a trovare un pensiero comune.

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