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IN CHE COSA LUOMO SI DISTINGUE DAGLI ANIMALI

Tutti gli uomini che si studiano di superare ogni altro vivente, con somma energia conviene si adoprino per non trascorrere la vita nel
silenzio, come le bestie che la natura fece chine in terra e solo ubbidienti agli impulsi del ventre. Ora, tutta la nostra forza risiede
nell'animo e nel corpo; dell'animo usiamo il potere, del corpo l'ubbidienza; quello abbiamo in comune con gli Di, questo con gli animali.
Perci mi sembra pi giusto cercare la gloria con la forza dell'ingegno che con quella delle membra, e poich la vita di cui fruiamo
breve, rendere durevole quanto pi possibile la memoria di noi. Infatti la gloria della ricchezza e della belt fragile e fugace, la virt
dura splendida e eterna. Ma a lungo tra i mortali vi fu aspra contesa se la gloria militare provenisse dalla forza del corpo o dal valore
dell'animo. Infatti prima d'intraprendere bisogna decidere, e quando tu abbia deciso, si deve rapidamente operare. Cos entrambe le
cose, di per s difettose, necessitano ciascuna dell'aiuto dell'altra.
SALLUSTIO ABBANDONA LA VITA POLITICA E SI DEDICA ALLA STORIOGRAFIA
Dunque, allorch l'animo trov posa fra tante tribolazioni e pericoli, e decisi di trascorrere il resto della mia vita lontano dalle cure
pubbliche, non pensai di consumare un tempo prezioso nell'inerzia e nella pigrizia, n spenderlo dedicandomi all'agricoltura o alla
caccia, attivit da schiavi; ma tornato alla mia passione d'un tempo da cui mi aveva distolto la mala ambizione, decisi di narrare le gesta
del popolo romano per episodi, cos come mi risultavano degne di memoria, tanto pi che avevo l'animo scevro da speranze, timori,
passioni politiche. Dunque narrer in breve, con quanta pi verit potr, la congiura di Catilina; poich tale fatto stimo sopra tutti
memorabile per l'eccezionalit del delitto e del rischio. Ma prima di cominciare il racconto, mi corre l'obbligo di esporre qualcosa
sull'indole di costui.
IL PROTAGONISTA
L. Catilina, nato di nobile stirpe, fu di grande vigore d'animo e di membra, ma d'ingegno malvagio e vizioso. Fin dalla prima giovinezza
gli piacquero guerre intestine, stragi, rapine, discordie civili, e in esse spese tutta la sua giovent. Il corpo resistente alla fame, al gelo,
alle veglie oltre ogni immaginazione. Animo temerario, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualsivoglia cosa, avido
dell'altrui, prodigo del suo, ardente nelle cupidigie, facile di parola, niente saggezza. Spirito vasto, anelava sempre alle cose smisurate,
al fantastico, all'immenso. Dopo la dominazione di L. Silla, era stato invaso da una sfrenata cupidigia d'impadronirsi del potere, senza
farsi scrupolo della scelta dei mezzi pur di procurarsi il regno. Sempre di pi, di giorno in giorno quell'animo fiero era agitato dalla
povert del patrimonio e dal rimorso dei delitti, entrambi accresciuti dai vizi sopra ricordati. Lo incitavano, inoltre, i costumi d'una
cittadinanza corrotta, tormentata da due mali funesti e fra loro discordi, il lusso e l'avidit. L'argomento stesso sembra richiedere, poich
l'occasione mi ha richiamato ai costumi della citt, di riprendere le cose pi da lontano, ed esporre in breve gli istituti degli avi in pace e
in guerra, in qual modo abbiano governato la repubblica, e quanto grande l'abbiano lasciata, e come con lenta decadenza il pi bello e il
migliore degli Stati sia diventato il pi sciagurato e corrotto.
AVIDITA E BRAMOSIA DI POTERE CORROMPONO LE ANTICHE VIRTU
Ma come con travaglio e giustizia lo Stato crebbe, grandi re furono domati in guerra, nazioni barbare e grandi popoli furono sottomessi
con la forza, Cartagine rivale di Roma per dalle fondamenta, aperti ai vincitori tutti i mari e le terre, la fortuna cominci a incrudelire e a
rimescolare tutto. Quelli stessi che avevano sopportato travagli e pericoli, situazioni incerte e aspre, trovarono nella quiete e nelle
ricchezze, beni fino allora desiderabili, peso e miseria. Crebbe la cupidigia, prima di danaro, poi di potenza: ci fu, per cos dire, alimento
d'ogni male. Infatti l'avidit sovvert la lealt, la probit, i buoni costumi; in luogo di essi insegn la superbia, la crudelt, trascurare gli
Di, avere tutto per venale. L'ambizione spinse molti a divenire mendaci, ad avere una cosa sulle labbra, un'altra chiusa nel cuore, far
conto dell'amicizia e dell'inimicizia non del merito, ma dell'utile, essere buoni in volto pi che nell'animo. Queste iatture dapprima
crebbero lentamente, e furono talvolta punite; poi, quando il contagio dilag a guisa di pestilenza, la citt fu sconvolta, il governo, prima
sommamente giusto e buono, divent crudele e intollerabile.
AMBITIO E AVARITIA SI DIFFONDONO SOTTO LA DITTATURA DI SILLA
Ma dapprima l'ambizione pi che l'avidit tormentava l'animo degli uomini, poich tuttavia un vizio, ma alquanto pi vicino alla virt.
Infatti sia l'uomo valoroso sia l'ignavo desiderano gloria, onore, potere; ma il primo li persegue per la giusta via, l'altro, poich manca di
buoni mezzi, cerca di raggiungerli con inganni e menzogne. L'avidit reca in s la brama di denaro, che mai nessun saggio ha
desiderato: essa, quasi imbevuta di veleni perniciosi, effemina il corpo e l'animo virile; sempre infinita e insaziabile, non sminuita n
dall'abbondanza n dalla penuria. Ma dopo che Silla, conquistato con le armi il potere, da buoni inizi riusc a malvagit, tutti si diedero a
rapine, a ruberie, a desiderare chi una casa, chi una fattoria, e i vincitori a non avere n misura n moderazione, a compiere contro i
cittadini azioni turpi e crudeli. A ci aggiungi che Silla, per rendersi fido l'esercito che aveva guidato in Asia, contro il costume degli avi
lo aveva tenuto nelle mollezze e nel lusso eccessivo. Luoghi ameni e deliziosi avevano facilmente ammorbidito nell'ozio l'animo fiero dei
soldati. Ivi per la prima volta l'esercito del popolo romano si avvezz a fornicare, a bere, ad ammirare le statue, i quadri, i vasi cesellati,
a strapparli ai cittadini privati o alle comunit a spogliare i templi, a violare il sacro e il profano. Dunque quei soldati, ottenuta la vittoria,
non lasciarono nulla ai vinti. E certo se una condizione fortunata mette a prova l'animo dei saggi, tanto meno quelli di corrotti costumi
potevano moderarsi nella vittoria.
RICCHEZZE E SMANIA PER IL LUSSO SOVVERTONO TUTTI I VALORI MORALI
Dopo che le ricchezze cominciarono ad essere tenute in merito e le seguivano la gloria, il potere, la potenza, la virt prese a svigorirsi, la
povert ad essere considerata un disonore, innocenza una malattia. Perci in conseguenza delle ricchezze, il lusso e la brama con la
sfrontatezza occuparono a forza l'animo giovanile; rapinavano, danneggiavano i loro beni, li consideravano poca cosa, aspiravano a
quelli degli altri, disprezzavano senza alcuna differenziazione qualsiasi sentimento dell'onore e della discrezione, le leggi umane e quelle
divine, e non avevano nessuno scrupolo n ritegno. Varrebbe la pena, una volta viste le case e le ville costruite, simili a citt , visitare i
tempi degli dei che i nostri antenati, i pi religiosi tra gli uomini, costruirono. E' vero infatti che quelli abbellivano i tempi con la fede
degli dei e le loro case con la gloria; e non toglievano nulla ai vinti tranne la possibilit di nuocere. Ma gli uomini d'oggi al contrario, i pi
ignavi del genere umano, con estrema scelleratezza hanno tolto ai loro soci tutte le cose che pur vincitori quei fortissimi uomini avevano
loro lasciato: come se il fare un ingiuria, proprio questo fosse l'esercizio del potere.
I COMPLICI DI CATILINA
In questa grande e corrotta civilt Catilina, cosa che era facilissima a farsi, aveva attorno a s bande di depravati e di criminali, come
guardie del corpo. Infatti chiunque era spudorato, adultero, crapulone, aveva dilapidato col gioco, nei banchetti, nelle lussurie, le fortune
paterne, e chi aveva contratto un grande debito, per riscattarsi con esso da un'infamia o da un delitto e anche tutti gli assassini di ogni
provenienza, i pregiudicati, che temevano un giudizio processuale per le loro malefatte, oltre a ci, quelli che vivevano per la loro mano
e della loro lingua con lo spergiuro o con il sangue dei cittadini, tutti quelli che dei flagellati, quelli che erano agitati dal rimorso, di loro
Catilina era intimo e familiare. Questa se qualcuno ancora senza colpa cadeva nella sua amicizia, con la frequentazione giornaliera e con
le lusinghe, facilmente era reso del tutto simile agli altri. Ma maggiormente cercava di ottenere la compagnia dei giovani. I loro animi

ancora teneri e malleabili per let erano catturati non difficilmente con favori, infatti a seconda dei gusti per let di ciascuno, ad alcuni
procurava le donne, ad altri cani e comprava cavalli, non badava n a spese n alla sua reputazione, pur di farseli amici. So che ci fu
qualcuno che riteneva che la giovent che frequentava la casa di Catilina contaminasse il proprio pudore, ma questa diceria (ebbe)
credito pi a seguito di altri motivi pi che ci fosse conosciuto con certezza da qualcuno.

UN CONGIURATO PARTICOLARE: QUINTO CURIO


Ma in quella congiura vi era Q. Curio, nato da una nobile famiglia conosciuta, ma carico di azioni vergognose e di delitti; i censori lo
avevano espulso dal Senato per disonore. La leggerezza di quest'uomo non era minore in audacia; non sapeva tenere segreto ci che
aveva udito, n tenere nascosto egli stesso i propri delitti; in breve, non si curava n di dire n di fare. Aveva un antica relazione carnale
con una donna nobile, Fulvia; essendo divenuto a lei meno gradito, poich si trovo in ristrettezze economiche, poteva essere con lei
meno generoso, diventato improvvisamente superbo, cominci a promettere mari e monti e a minacciarla talvolta con la spada se non
fosse stata docile con lui; insomma si comportava pi brutalmente di quanto lo fosse. Fulvia, venuta a sapere la causa dell'arroganza di
Curio, certamente non tenne segreto un tale pericolo alla repubblica, ma, senza nominare lautore, rese noto a molti ci che aveva
sentito sulla congiura di Catilina, e il modo (in cui l'aveva sentito). Questa cosa accese soprattutto lo zelo degli uomini per mandare al
consolato M. Tullio Cicerone. Infatti fino ad allora la nobilt nella sua maggioranza bruciava di gelosia, e credevano che il consolato quasi
si sporcasse, se lo avesse ottenuto un uomo nuovo, per quanto onorevole. Ma quando il pericolo arriva, la gelosia e la superbia
(vennero) in seconda linea.
UNA DONNA TRA I CONGIURATI: SEMPRONIA
Ma tra quelle vi era Sempronia, che aveva commesso molti delitti con coraggio virile. Questa donna era stata molto fortunata per le sue
nobili origini, per la sua bellezza, e inoltre per il marito e per i figli; dotta nelle lettere Greche e Latini: suonava la cetra e danzava, pi di
quanto si addica ad una donna onorata e conosceva molte altre cose, che sono strumento di seduzione. Ma a lei sempre tutto fu assai
pi caro della dignit e dell'onest, chi avrebbe potuto distinguere se fosse meno parca di denaro o fama? Grande era la libidine: pi
spesso chiedeva uomini di quanto era chiesta. Ma prima di allora questa aveva tradito la fiducia, aveva negato il debito, era stata
complice di un omicidio. Eppure, il suo ingegno non era spregevole: nel poter comporre versi, nel suscitare il buon umore, nell'esprimersi
ora in maniera graziosa, ora provocante, insinuante; in una parola possedeva un grande spirito e molta grazia.
RITRATTO DI SILLA
Mentre si svolgono questi fatti, giunge al campo il questore Lucio Silla con un grosso contingente di cavalieri: era stato lasciato a Roma
per reclutarli nel Lazio e fra gli alleati. Dato che l'argomento ci ha portato a menzionare un personaggio di tale rilievo, mi parso
opportuno spendere poche parole sul suo carattere e sulla sua condotta. Non avr infatti altra occasione per parlare delle imprese di
Silla e d'altra parte, Lucio Sisenna, che fra quanti le narrarono, le tratt nel modo migliore e pi accurato, non ne ha parlato, mi sembra,
con sufficiente imparzialit. Silla, dunque, era di nobile gente patrizia, di famiglia quasi completamente decaduta per l'inettitudine dei
suoi antenati. Fu profondissimo conoscitore delle lettere latine e parimenti di quelle greche; uomo d'animo grande, amava i piaceri, ma
ancor pi la gloria. Bench fosse dissoluto nell'ozio, il piacere non lo distolse mai dai suoi doveri, anche se nella vita coniugale avrebbe
potuto comportarsi pi decorosamente. Era eloquente, astuto, disponibile con gli amici, assolutamente imperscrutabile quando doveva
dissimulare, prodigo di molte cose, ma soprattutto di denaro. Prima della vittoria nella guerra civile fu il pi fortunato degli uomini, ma la
fortuna non fu mai superiore alla sua energia, sicch molti si sono chiesti se sia stato pi valoroso o fortunato. Quanto a quello che fece
in sguito non so se sia pi vergognoso o ripugnante parlarne.
LA DENUNCIA DI CICERONE
Quando a Cicerone vennero riportate queste cose, egli, turbato dal duplice pericolo, visto che non poteva proteggere pi a lungo la citt
per iniziativa personale e che non era abbastanza informato su quanto fosse grande e quale intenzione avesse l'esercito di Manlio,
relazion la cosa in senato, della quale gi in precedenza si era impadronita l'opinione pubblica. E cos, come solito fare nelle situazioni
di eccezionale pericolosit, il senato ordin che i consoli si impegnassero affinch lo Stato non subisse alcun danno. Secondo la
tradizione Romana, ad un magistrato, attraverso il senato, viene conferita la massima autorit possibile, come allestire l'esercito, fare la
guerra, costringere in ogni maniera all'obbedienza gli alleati e i concittadini, avere il comando e il giudizio supremo in pace e in guerra;
altrimenti, senza il volere del popolo, il console non ha diritto a nessuna di queste cose.
CICERONE E CATILINA IN SENATO
Laspetto della citt era cambiato, la cittadinanza era agitata per queste cose. . Alla grande gioia e sfrenatezza che una pace lunga
aveva cagionato, segu subito una generale mestizia: un affrettarsi, un trepidare, un non credere abbastanza di ogni luogo e persona, un
non far guerra e non aver tranquillit, un valutare i pericoli ognuno dalla propria paura. Le donne, perci, per le quali con la grandezza
dello Stato si era diffuso linsolito timore della guerra, si battevano il petto, tendevano supplichevoli le mani al cielo, commiseravano i
figli, chiedevano tutte le cose, ad ogni rumore si spaventavano; dimenticavano ogni superbia e le dolci omissioni e diffidavano di loro
stesse e della patria. Ma il malvagio animo di Catilina non cessava quelle stesse cose, nonostante si preparavano i presidii, ed egli
stesso con la legge di Plozio era stato interrogato da Paolo. Infine, per dissimulare o per discolparsi, si present in Senato, come se fosse
lui ferito da una calunnia. Allora il console M. Tullio, sia temendo la sua presenza, sia commosso dall'ira, tenne unorazione magnifica e
utile alla repubblica, che poi egli stesso lasci scritto. Ma quando si sedette, Catilina, com'era pronto a fingere tutto, abbassato il volto,
con la voce supplichevole, cominci a supplicare i senatori che non credessero di dover temere niente da lui, origine di quella famiglia;
cos fin dall'adolescenza aveva condotto la vita affinch avesse nella speranza tutti i beni: e non pensassero che per lui, un patrizio, che
personalmente, oltre ai suoi antenati, aveva procurato tanti benefici alla cittadinanza romana, era necessario rovinare la repubblica,
salvandola M. Tullio, un inquilino della citt di Roma. E aggiungendo egli a ci altre ingiurie, tutti strepitarono e lo chiamarono nemico
pubblico e parricida. Allora egli adirato Ebbene, poich attorniato da nemici sono spinto nell'abisso, esclam, estinguer con la
rovina l'incendio condurr ai nemici i principi.
CESARE E CATONE A CONFRONTO: IL PUNTO DI VISTA DI SALLUSTIO
Quindi ebbero stirpe, et ed eloquenza quasi uguali; Identica la grandezza d'animo e la gloria, ma di natura diversa nelle altre cose.
Cesare era considerato grande per i benefici e la generosit, Catone invece per l'integrit di vit. Quello divenne famoso per la
clemenza e la misericordia, questo per il dignitoso rigore. Cesare consegu la gloria col dare, con l'aiutare, con il perdonare, Catone con il
concedere niente a nessuno. Nell'uno vi era il rifugio per i miseri, nell'altro la rovina per i malvagi; di quello era lodata la
condiscendenza, di questo l'inflessibilit. Insomma, Cesare si era proposto di adoperarsi, di vigilare, e, intento negli affari degli amici, di

dimenticare i suoi e di non rifiutare niente che fosse degno di dono; per s desiderava un grande potere, un esercito, una nuova guerra
dove la (sua) virt potesse risplendere. Al contrario Catone era incline alla giusta misura, al decoro, ma soprattutto all'inflessibilit. Non
combatteva con i ricchi in ricchezza, n in faziosit con il fazioso, ma in valore con il coraggioso, in pudore con il modesto, in probit con
l'onesto. Preferiva essere giusto pi che sembrarlo; e cos, quanto meno ricercava la gloria, tanto pi la gloria lo seguiva.
LA BATTAGLIA. MORTE DI CATILINA
Ma quando , dopo aver controllato ogni cosa , Petreio d il segnale con la tromba , egli ordina alle coorti di avanzare poco a poco;lo
stesso fa l'esercito dei nemici . Dopo che si giunse in quel punto da dove possibile , da parte dei ferentarii attaccare battaglia , con
grandissimo clamore,concorrono con le insegne ostili ; e pongono i dardi , affrontano la battaglia con le spade . I veterani , memori
dell'antico valore , incalzano acremente da vicino , a corpo a corpo, quelli impavidi resistono : si combatte con grande forza
(grandissimo accanimento) . Nel frattempo Catilina si aggira nella prima schiera con la fanteria leggera , soccorre quelli in difficolt ,
chiama al posto dei feriti soldato freschi , provvede a tutto , lui stesso combatte molto , spesso ferisce il nemico. Esercitava
contemporaneamente i compiti di un soldato coraggioso e di un valente comandante. Petreio , quando vide , contrariamente a quanto
aveva pensato , che Catilina si opponeva con grande forza , conduce la corte pretoria nel bel mezzo della schiera nemica e uccide sia
quelli confusi , sia quelli che cercavano di resistere chi di qua chi di l ; quindi aggredisce tutti gli altri da entrambi i lati . Manlio e
Fesolano tra i primi cadono combattendo . Catilina dopo che si rende conto che le sue armate si sono ormai sgretolate e vede se stesso
sopravissuto con pochi , memore della sua stirpe e della sua antica dignit , accorre nel folto dei nemici e l viene mortalmente trafitto
mentre combatte.
IL CAMPO DOPO LA BATTAGLIA
Ma quando fin la battaglia allora in verit avresti visto quanda audacia e forza d'animo c'era stata nell'esercito di Catilina. Infatti quasi
ognuno proteggeva, persa la vita, col corpo quel luogo che aveva ottenuto combattendo. Per i pochi che la coorte pretoriana aveva
diviso nel mezzo, erano caduti un po' pi in l; ma tutti con ferite. In verit Catilina fu trovato lontano dai suoi tra i cadaveri dei nemici,
che respirava ancora un po', tratteneva sul viso la fierezza d'animo che aveva avuto da vivo. Infine fra tutte le truppe nessun cittadino
libero fu preso nella battaglia o nella fuga. Cos tutti avevano risparmiato la vita dei loro nemici. E tuttavia l'esercito del popolo romano
non ottenne una vittoria facile o non cruenta: infatti ognuno, pi valoroso o era caduto in battaglia o era fuggito gravemente ferito.
Inoltre molti che erano venuti dagli accampamenti per vedere o spogliare (i cadaveri), rivoltando le salme dei nemici, trovavano uno un
amico, uno un ospite o un congiunto. Ci furono allo stesso modo quelli che riconobbero i loro nemici. Cos l'allegrezza, il dolore, il pianto,
e la gioia erano mescolati variamente per tutto l'esercito.
LA GUERRA GIUGURTINA: ANTEFATTO
Intendo narrare la guerra combattuta dal popolo romano contro il re dei Numidi Giugurta; in primo luogo perch essa fu lunga,
sanguinosa e dall'esito incerto; poi perch allora per la prima volta si fece fronte all'arroganza dei nobili. Questo conflitto, che sconvolse
leggi umane e divine, giunse a tale follia, che soltanto la guerra e la devastazione dell'Italia posero fine alle discordie civili. Ma prima di
iniziare questa narrazione, mi rifar un po' indietro, perch il complesso degli avvenimenti risulti pi chiaro e comprensibile. Nella
seconda guerra punica, in cui il comandante cartaginese Annibale aveva logorato pi di ogni altro le forze italiche da quando si era
imposta la grandezza del nome di Roma, il re di Numidia Massinissa, riconosciuto nostro alleato da quel Publio Scipione che fu poi detto
l'Africano per il suo valore, si era distinto in molte e gloriose azioni di guerra. Perci, quando furono vinti i Cartaginesi e fu fatto
prigioniero Siface, signore in Africa di un vasto e potente impero, il popolo romano fece dono al re di tutte le citt e le terre da lui
conquistate. Da allora Massinissa fu per noi sicuro e fedele alleato, ma con la sua vita fin anche il suo impero. In seguito regn da solo
suo figlio Micipsa, poich erano morti di malattia i suoi fratelli Mastanabale e Gulussa. Egli ebbe due figli, Aderbale e Iempsale, e accolse
in casa, educandolo come i propri figli, il figlio del fratello Mastanabale, Giugurta, che Massinissa aveva escluso dalla successione perch
nato da una concubina.
LA CITTA DI LEPTIS: GEOGRAFIA E LEGGENDA
78) La citt di Leptis fu fondata da Sidonii che, secondo quanto vuole la tradizione, dopo essere fuggiti a causa di discordie civili,
giunsero in quei luoghi per mare. Essa si trova fra le due Sirti, che prendono il nome da una loro caratteristica. Si tratta di due golfi
situati quasi all'estremit dell'Africa, diversi per ampiezza, ma di natura analoga: in prossimit della riva sono molto profondi, mentre
altrove, secondo i casi, sono ora profondi, ora guadabili, col mutare delle condizioni del tempo. Difatti, quando il mare comincia a
gonfiarsi e a farsi minaccioso a causa dei venti, le onde trascinano fango, sabbia e grandi macigni, sicch l'aspetto dei luoghi muta con il
vento. Da questo 'trascinare' prendono nome le Sirti. In questa popolazione solo la lingua mutata a causa dei contatti con i Numidi, ma
le leggi e i costumi sono ancora per la maggior parte sidonii e poterono tanto pi facilmente conservarli in quanto vivevano lontani
dall'autorit del re. Fra loro e le zone pi popolate della Numidia si stendevano ampi tratti desertici.
79) Dal momento che le vicende dei Leptitani ci hanno condotto a parlare di queste regioni, non sembra inopportuno narrare il gesto
nobile e straordinario di due Cartaginesi: questo luogo me lo ha ricordato. Nei tempi in cui Cartagine dominava sulla maggior parte
dell'Africa, anche Cirene era forte e potente. Erano divise da un territorio sabbioso e uniforme; non c'era n fiume n monte che
segnasse il confine e a causa di tale circostanza fra loro vi fu una guerra feroce e incessante. Su un fronte e sull'altro eserciti e flotte
erano stati pi volte battuti e messi in fuga e i due popoli si erano notevolmente logorati a vicenda. Temendo, perci, che prima o poi un
terzo aggressore piombasse su vinti e vincitori ugualmente indeboliti, durante una tregua raggiungono un accordo. Stabiliscono che in
un giorno determinato alcuni messi partano ciascuno dalla propria citt e che il luogo dell'incontro venga considerato il confine tra i due
popoli. Cartagine invi dunque due fratelli di nome Fileni, che marciarono speditamente; i Cirenesi invece corsero meno: non so se per
indolenza o per caso. Del resto in quei luoghi capita che le tempeste impediscano di avanzare proprio come in mare, perch quando si
alza il vento su quelle distese uniformi e prive di vegetazione, solleva la sabbia da terra e la sospinge con tanta violenza che riempie la
bocca e gli occhi, impedendo la vista e rallentando il cammino. I Cirenesi, quando si accorgono di essere rimasti piuttosto indietro,
temendo di essere puniti in patria per la cattiva riuscita dell'impresa, accusano i Cartaginesi di essere partiti dalla citt prima del tempo,
confondono i termini dell'accordo, insomma sono disposti a tutto tranne che a tornarsene vinti. Dichiarandosi i Punici disposti a nuove
condizioni, purch eque, i Greci propongono ai Cartaginesi questa scelta: si lasciassero seppellire vivi nel luogo che rivendicavano come
confine per la loro patria, o consentissero loro alle stesse condizioni di avanzare fin dove volessero. I Fileni, accolta la proposta,
sacrificarono s e la loro vita alla patria e furono sepolti vivi. In quel luogo i Cartaginesi dedicarono altari ai fratelli Fileni e altri onori
furono loro decretati in patria. Torno ora al mio argomento.
IL RITRATTO DI GIUGURTA
Costui, divenuto un giovane prestante e di bell'aspetto, ma soprattutto ragguardevole per intelligenza, non si lasci corrompere dai
piaceri e dall'ozio, ma, secondo gli usi della sua gente, cavalcava, lanciava il giavellotto, gareggiava con i coetanei nella corsa: e,
bench eccellesse su tutti, a tutti, nondimeno, era caro. Dedicava, inoltre, la maggior parte del suo tempo alla caccia, era il primo o fra i

primi a colpire il leone e simili fiere: quanto pi agiva, tanto meno parlava di s. Dapprima Micipsa era stato lieto di tutto questo,
pensando che dal valore di Giugurta sarebbe venuta gloria al suo regno; tuttavia, vedendo il prestigio di quel giovane aumentare
sempre pi, mentre lui era gi anziano e i suoi figli ancora piccoli, cominci a preoccuparsi gravemente di tale fatto, rivolgendo in s
mille pensieri. Lo atterriva la natura umana, avida di potere e pronta a soddisfare le proprie passioni, e inoltre l'opportunit della sua et
e di quella dei suoi figli, adatta a traviare, con la speranza di un facile successo, anche gli uomini meno ambiziosi; lo atterriva, infine, il
forte affetto dei Numidi per Giugurta, che gli faceva temere l'insorgere di una rivolta o di una guerra civile, se avesse ucciso con
l'inganno un tale uomo.

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