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CERAMICA A VERNICE NERA

ETRUSCO - ROMANA
DALLARCO DEL MIGNONE

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Antonio Maffei
Lesperienza di ricognizione archeologico-topografica che sta conducendo sin dal 1911
lAssociazione Archeologica Centumcellae (Bastianelli 1988) rivolta allunitario ed
omogeneo contesto antropo-geografico, situato nellantica Tuscia Romanorum e definito
come Arco del Mignone (Maffei 1990; Maffei 2006 b; Maffei-Nastasi 2006), che in et
romana costitu il territorio di Centumcellae, cio della citt ove, per volont dellimperatore Traiano, fu costruito un porto monumentale, tuttora in piena efficienza, per le
necessit di Roma e della Tuscia.
LArco del Mignone si estende per circa 600 chilometri quadrati ed relativo al territorio dei Comuni di Civitavecchia, Santa Marinella, Santa Severa,Allumiere,Tolfa e parte di
Tarquinia.
La A. A. Centumcellae, molto prima che le ricognizioni topografiche di carattere
archeologico costituissero la moda a seguito delle esemplari ricerche anglosassoni, ha
sviluppato delle particolari tecniche dindagine per arrivare ad unevoluzione del concetto stesso dellesame territoriale ed avere, in tal modo, un prodotto finale di elevato
interesse storico-archeologico- ambientale, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo, che pu trovare interessanti confronti con le recenti esperienze dindividuazione
dei Paesaggi Culturali (DallAglio 2000; Cambi 2003;Valenti 2005).
Nellattuale lavoro viene presentata una selezione dei frammenti ceramici a vernice nera
rinvenuti durante lattivit di ricognizione effettuata sulle ville rustiche romane disseminate nellArco del Mignone, nella citt etrusca ubicata alla Castellina sul Marangone e,
sporadicamente, nei siti storici delle citt di Caere,Tarquinia,Vulci.
In questa nota sento il
dovere di ricordare la
memoria di due amici
scomparsi prematuramente.
Le ricerche di Franco
Capuani e di Mario
Galimberti attuate,
rispettivamente, sulla
Castellina ed alle
Greppe di Santangelo
a Cerveteri, hanno
permesso infatti il rinvenimento di significativi reperti ceramici a
vernice nera.
Franco Capuani, in
particolare, seguendo
le orme di Salvatore
Bastianelli, stato un
assiduo esploratore
della Castellina.

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Le sue ricerche effettuate per molti anni con metodo ed assiduit negli smottamenti del
terreno, nei carracci provocati dalle piogge, nella terra scavata dagli animali selvatici
lungo le pendici e nel butto della Castellina, gli hanno permesso di recuperare interessanti reperti archeologici.
Una parte di tali materiali, ovvero le terrecotte architettoniche rinvenute nel 1974 relative alla presenza di un importante tempio etrusco sul poggio della Castellina, stata gi
pubblicata (Gentili 1990). Altri materiali protostorici che testimoniano, con un fenomeno unico in Etruria, una continuit abitativa che dallEt del Bronzo Medio perdura sino
alla fondazione di una cittadina etrusca, sono in corso di pubblicazione (Maffei 2006 a).
I ritrovamenti effettuati alla Castellina della ceramica a vernice nera, presentati in questa nota, sono stati effettuati sul versante del poggio scosceso ed esposto a sud, considerato per la sua posizione e morfologia, iniziando da Salvatore Bastianelli, come il
butto, ovvero la discarica, limmondezzaio della citt.
La mia personale esperienza con la ceramica a vernice nera iniziata nella primavera del
1970 durante le ricognizioni archeologiche effettuate con altri giovani soci
dellAssociazione Archeologica Centumcellae.
In quei primi sopralluoghi nel territorio di Civitavecchia eravamo accompagnati dal
dott. Odoardo Toti, da alcuni soci anziani pi esperti e da Fabrizio Pirani, Basilio Pergi e
Fabrizio Ferrrari, rispettivamente Presidente,Vicepresidente e Segretario del sodalizio.
Basilio Pergi, in particolare, geometra dellEnte Maremma e discendente da una famiglia
che per generazioni ha esercitato larte dei gromatici nellArco del Mignone, evidenziando la grande esperienza acquisita durante la sua attivit professionale, oltre a farci
assorbire le giuste modalit e la cultura adatta per intraprendere ricognizioni archeologiche sui monti di Allumiere e Tolfa nel rispetto delle tradizioni millenarie che legano
luomo al territorio, ci ha dato i primi rudimenti per riconoscere i reperti archeologici.
Passeggiando sulle stoppie, sulle maggesi, nelle macchie o nelle radure a pascolo, dopo
aver individuato i resti di una villa rustica romana, iniziava loperazione di raccolta dei
reperti pi significativi che dovevano essere poi studiati durante lelaborazione della
carta archeologica.
Basilio Pergi, da noi chiamato affettuosamente il sor Basilio o mezzo sigaro per il
mozzicone di sigaro toscano che, acceso o spento, teneva immancabilmente in bocca,
quando rinveniva un frammento di ceramica a vernice nera lo raccoglieva e lo sottoponeva allattenzione dei presenti affermando con voce alta e solenne etrusco campano,
dopo di che lo riposizionava rapidamente nel punto preciso del rinvenimento.
Incuriosito da questo comportamento, durante una delle discussioni di carattere
archeologico che tenevamo frequentemente nella sede dellAssociazione, vincendo limbarazzo collegato ai rapporti tra diverse generazioni, chiesi agli anziani soci le motivazioni di quel modo insolito di considerare i frammenti a vernice nera.
Salvatore Bastianelli, con i suoi soliti modi semplici e schietti, mi rispose che la classe
ceramica dei vasi etrusco-campani, anche se era stata gi studiata dal Gamurrini e dalla
Lake, necessitava per la variet e vastit delle produzioni di un notevole lavoro di approfondimento e, conseguentemente, non conveniva al momento togliere dal contesto originario quei materiali in attesa di futuri studi che si augur venissero attuati dai giovani
soci della Centumcellae.
Rammentando quelle parole non senza commozione che sottopongo agli amici lattuale nota, precisando che essa costituita da una serie di appunti elaborati durante le mie
ricerche. Formulo pertanto laugurio che possa essere utilizzata per arrivare ad una
migliore definizione ed identificazione delle officine, dei centri di produzione e della
seriazione cronologica di quel vasellame a vernice nera, erede diretto della ceramica

greca, che vorrei denominare etrusco-romano, considerando lambito geografico e le


vicissitudini storiche che hanno caratterizzato il periodo della sua diffusione.

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Produzioni ceramiche a vernice nera.


Gli aspetti essenziali di questa classe ceramica, citando solamente i contributi fondamentali, sono stati definiti dalle ricerche effettuate dal Gamurrini (Gamurrini 1879), dal
Lamboglia (Lamboglia 1952), dal Morel (Morel 1981), dallo Schippa (Schippa 1980), e, pi
recentemente, da Enrico Angelo Stanco che ha individuato, con acume, nuovi aspetti
caratteristici di queste produzioni, proponendo, in particolare, una seriazione cronologica molto articolata dei materiali provenienti dallambito geografico etrusco-laziale
(Stanco 1994 ; 2005).
Le indagini effettuate da vari ricercatori sulla vernice nera, oltre a definire le peculiarit
tipologiche e della sintassi decorativa di questa classe ceramica, hanno anche individuato gruppi di materiali omogenei che sono stati attribuiti alla produzione di singole officine operanti in vari centri (Caere,Tarquinia, area falisca ecc.).Tali attribuzioni tuttavia,
bene precisarlo, sono da considerare solo a livello di proposta.
In carenza di riferimenti stratigrafici inconfutabili (in questa fase storica oltre alla ceramica a vernice nera ben pochi altri materiali si prestano a definire cronologicamente un
deposito antropico) e di raffronti archeologici indiscutibili con reperti da mettere in
relazione con fornaci ceramiche od a scarti di cottura, ad eccezione di pochissimi fortunati casi, non possibile definire, ancora, con certezza gli aspetti delle singole produzioni e la precisa identificazione dei luoghi dimpianto delle officine.
Un altro aspetto che allo stato attuale delle ricerche non stato sufficientemente sviluppato relativo alle regole di commercio di questi prodotti a livello locale, comprensoriale e su vaste aree geografiche.
Secondo unopinione molto diffusa le produzioni di minor qualit erano riservate al
mercato locale od al massimo comprensoriale e solo i vasi di pregiata fattura erano
destinati al commercio su vaste aree geografiche.
Non sappiamo se questo punto di vista corrisponde alla realt del commercio antico,
anche se, con lattuale concezione della domanda e dellofferta, possiamo supporre che
le innumerevoli officine esistenti saturassero il mercato locale con le produzioni a basso
prezzo.
Un altro aspetto da valutare con attenzione legato alla cronologia delle produzioni
ceramiche.Alla fine del IV ed allinizio del III sec. a.C. le citt-stato etrusche erano ancora attive ed ognuna di esse dominava un territorio ben circoscritto ove poteva anche
imporre un monopolio mercantile. I traffici potevano essere inoltre estesi, per determinati prodotti, nei territori controllati da altre citt-stato alleate.
In questa fase anche le migliori ceramiche prodotte a Roma dovevano, conseguentemente, rientrare nella logica mercantile delle citt-stato. Sulla base di simili concetti molto
difficile identificare la produzione dellatelier des petites estampilles come lespressione di
una singola officina (o di un gruppo ravvicinato) da localizzare a Roma come proposto
da Morel (Morel 1969, 113).
Come ha evidenziato lo stesso Morel (Morel 1985, 176) la ceramica decorata a piccoli
stampigli stata rinvenuta in Italia centrale in moltissimi siti antichi, sia grandi, sia piccoli.
La sintassi decorativa di questi vasi molto variegata e comprende stampigli definiti
come palmette, rosette, ovuli, boccioli ecc. disposti, nella maggioranza dei casi, in modo
diversificato sul fondo interno del recipiente.
Gli stampigli, pur non rappresentando un marchio di fabbrica vero e proprio, rappresentano motivi ornamentali che, costituendo un chiaro messaggio visivo, contraddistinguo-

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no le produzioni di ogni singola officina. Individuati in quantit molto elevata sono caratterizzati dallestrema variabilit del motivo decorativo. Nella ceramica a vernice nera rinvenuta nellArco del Mignone solo pochissimi vasi presentano lo stesso stampiglio e si
possono ricondurre conseguentemente alla stessa officina.
La variabilit dei motivi stampigliati offre una precisa testimonianza sia della vita breve
della matrice, forse un punzone ceramico, che usurandosi doveva essere rinnovato
periodicamente, sia dellesistenza di moltissime officine ceramiche.
Tali botteghe artigianali, distribuite nellarea etrusca, romana, falisca, producevano vasellame decorato con petites estampilles seguendo una moda e, evidentemente, incontrando i favori dei consumatori che acquistavano i recipienti per le loro esigenze alimentari.
La quantit, la variet e la vivacit delle produzioni indica che le officine traevano beneficio da un ottimo livello di competitivit e si svilupparono in condizioni di mercato
estremamente concorrenziali, che in certi ristretti raggiunse posizioni parossistiche per
la rapidit di diffusione delle informazioni sulle caratteristiche tecniche ed artistiche dei
prodotti che non permetteva a nessuna bottega di procurarsi un superiorit solida da
poter mantenere per tempi prolungati. La notevole circolazione di questa ceramica
rende spesso molto difficile valutare, in modo inequivocabile, le produzioni sulla base de
solo esame morfologico e la localizzazione delle officine.
In una successiva fase produttiva, come ha proposto Enrico Stanco (Stanco 1994, 23 ;
Stanco 2005), le dimensioni degli stampigli aumentano molto sino a raggiungere due-tre
centimetri di diametro ed il repertorio vascolare notevolmente semplificato.
I notevoli ritrovamenti effettuati a Genova, Murcia, in Provenza, in Catalogna, in Corsica,
in Sardegna, in Sicilia ed in Africa ad Utica, a Leptis Magna, a Cartagine, testimoniano,
inoltre, un commercio massiccio a lunga distanza via mare di questa produzione (Morel
1985, 176).
Lesportazione dei vasi a vernice nera nel Mediterraneo occidentale e nellAfrica, assumendo aspetti imponenti (nessunaltra ceramica prodotta in Italia cos diffusa come
quella a piccoli stampigli), testimonia la validit, anche se in una fase terminale, dei vecchi scenari commerciali etruschi, perch si deve supporre nel IV inizio III secolo a.C. un
trasporto di questi vasi su navi salpate dagli scali del Tirreno centrale, come merce di
accompagno di generi alimentari e di altri prodotti realizzati nei siti costieri.
La maggior quantit di vasi a piccoli stampigli, bene rammentarlo, stata rinvenuta tuttavia nei siti archeologici relativi alle piccole, medie e grandi citt dellItalia centrale.
Per il commercio via terra di questa ceramica non concepibile un trasporto come
merce daccompagno per svariati motivi, non ultimo il cattivo stato delle strade dellepoca. Solo in una fase avanzata della romanizzazione fu impiantata unefficiente e capillare rete stradale che permise un valido sistema di comunicazione.
Lattivit mercantile che si svolgeva nellantichit era relativa a molti prodotti che sulla
base della domanda, dellofferta e del tipo di mercato, circolavano separatamente o in
comune su percorsi pi o meno lunghi. Oggetti di metallo semilavorati o finiti, armi,
attrezzi, monili, cuoio, finimenti per animali, pellami, lana, lino, tessuti, miele, canestri, calzature, ceramica, erano trasportati con carri, bestiame da soma o a dorso duomo.
Giovanni Porri, un anziano vasaio discendente da una famiglia che per generazioni ha
svolto tale mestiere, mi ha raccontato che, ancora al tempo di suo nonno, i vasi prodotti erano venduti direttamente nella bottega. Nei diversificati giorni di mercato settimanale o nelle fiere di merci e bestiame che si svolgevano in occasione di ricorrenze civili
e religiose, il vasellame, trasportato con un carro tirato da un mulo o a dorso dasino,
veniva venduto nei paesi del circondario entro un raggio di trenta chilometri. Il trasporto con bestiame da soma era motivato spesso dal cattivo stato delle strade carrozzabili e dalla riduzione delle distanze che si otteneva percorrendo i sentieri collinari e montani del territorio. Nei secoli scorsi anche i grossisti ambulanti di ceramica della Corsica

per raggiungere i mercati di vendita trasportavano il vasellame prodotto a dorso dasino (Peacock 1997, 30).
Nei tempi antichi il mercato non era solamente uno spazio ove avveniva il baratto o, con
luso sempre maggiore del denaro, la compra-vendita delle merci, ma anche un luogo
dincontro che favoriva la comunicazione e la diffusione delle esperienze singole o collettive e delle novit politiche, culturali, tecnologiche. Il baratto, sino ai nostri giorni,
stato sempre utilizzato durante i periodi di cattiva circolazione o di scarso valore nominale della moneta.
Unimportante via naturale, utilizzata anche per la transumanza, collegava la maremma
con la catena appenninica. Dalle pianure costiere di Civitavecchia, Santa Marinella, Santa
Severa,Tarquinia, le greggi, seguendo le fasi stagionali, attraversavano le campagne viterbesi e superavano il fiume Tevere allaltezza della citt di Orte per raggiungere le montagne umbre o marchigiane.
Questa direttrice naturale, tuttora seguita dalle moderne arterie stradali, era utilizzata
anche, da tempo immemorabile, per il commercio del prezioso sale prodotto sulle fasce
costiere tirreniche.
Dopo la romanizzazione dellEtruria meridionale costiera si deve supporre che si apra
una nuova fase mercantile che in pochi decenni favorisce una produzione controllata,
quasi esclusivamente, dalle famiglie patrizie romane od etrusche.
Le officine ceramiche a conduzione famigliare si trasformano, progressivamente, in
manifatture che, producendo una dissociazione sociale, favorirono una netta sconnessione tra gli operai valenti da quelli aventi scarsa abilit. Secondo il pensiero marxista
loperaio nella bottega del capitalista diventa un semplice accessorio.

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I materiali rinvenuti.
Lo studio dei reperti rinvenuti nellArco del Mignone stato indirizzato verso settori di
ricerca differenziati che hanno permesso la raccolta e lelaborazione di dati relativi alle
caratteristiche tecniche, formali, decorative, dinamiche, cronologiche di questa particolare ceramica prodotta e commercializzata in un periodo contraddistinto da radicali
mutamenti sociali, economici, storici che porteranno alla romanizzazione dei territori
conquistati alle popolazioni italiche.
La prima fase di studio dei materiali archeologici presentati, costituenti una selezione dei
reperti rinvenuti, ha permesso dinquadrare questa classe ceramica che, attraverso confronti sistematici, stata catalogata utilizzando le tipologie riportate nellopera colossale di J.P. Morel (Morel 1981).
Trattandosi di frammenti ceramici la seriazione tipologica riportata nelle tavole costituisce solo una proposta indicativa. In caso di elevata frammentazione che non ha permesso la ricostruzione della forma complessiva dei reperti o nei casi di dubbia interpretazione, stata indicata genericamente la specie o la serie sempre riferita allopera di
Morel.
Senza effettuare uninfinit di micro confronti, che spesso sono se non fuorvianti quanto mai dispersivi, nello studio dei reperti stato deciso di non inserire nella tipologia
aperta, proposta da Morel, altre nuove variazioni di forme. Ogni vaso un oggetto
a se stante essendo il risultato di unattivit artigiana manuale che porta, inevitabilmente, alla differenziazione di ogni singolo pezzo prodotto. Altri studiosi si sono gi espressi nello stesso modo (Niro Giangiulio 1999, 205), estendendo tali concetti si arriverebbe, attuando la proposta di Morel, ad articolare una tipologia interminabile.
Tali differenziazioni sono spesso minime, appena percettibili, altre volte pi vistose. Per rendersi conto di tale fenomeno sufficiente frequentare una moderna bottega da vasaio.

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Ogni singolo ceramista ha uno stile personale e la sua stessa produzione, anche se
omogenea secondo certi parametri, quotidianamente differenziata. Le micro-differenze sono evidenti inoltre nei vasi realizzati, sempre con le stesse tecniche ceramiche, dagli
altri artigiani della stessa bottega, che spesso hanno la stessa formazione professionale.
Giovanni Porri, cocciaro e figlio di cocciari da molte generazioni, mi ha detto che, a
distanza di decenni, ancora in grado di riconoscere a colpo docchio, tra mille altri, i
vasi tirati su con la creta da lui stesso o dal padre o dal fratello.
In una successiva fase di studio i materiali rinvenuti sono stati nuovamente esaminati nel
tentativo di evidenziare gli aspetti tecnici e tecnologici legati alla modellazione, decorazione, cottura dei vasi effettuando inoltre
molte prove di archeologia sperimentale.
I ricercatori che negli anni recenti si sono
interessati allo studio della ceramica a vernice nera, hanno cercato anche di evidenziare le caratteristiche tecniche di questa
produzione attraverso indagini macroscopiche.
La lettura della pubblicazione di queste
ricerche, tuttavia, evidenzia immediatamente lassoluta non omogeneit dei criteri
interpretativi e della terminologia utilizzata.
Argilla, impasto, pasta, corpo ceramico, vernice, rivestimento, ingubbiatura, degrassante, minerali aggiunti ecc. sono i termini
aventi spesso un significato simile e pi
ricorrenti
nei
lavori
consultati.
Lutilizzazione di una terminologia diversificata, tuttavia, non preoccupante.
Limportante capire largomento trattato,
anche se sarebbe consigliabile uniformare
tali termini.
Quello che desta molta preoccupazione
linterpretazione di alcuni aspetti costruttivi della ceramica, derivanti da un esame
macroscopico effettuato ad occhio nudo
o al massimo con una lente dingrandimento, utilizzando criteri desame soggettivi e
non avendo, spesso, una specifica formazione tecnica, scientifica e professionale nel
campo della produzione ceramica.
Per la ceramica a vernice nera non ha nessun senso pratico parlare del colore della
pasta (il corpo ceramico in questo studio
sar indicato con tale termine che coincide
con quello espresso in vocabolo, cio dalla
viva voce dei maestri vasai) e della vernice
attraverso una personale valutazione o
facendo riferimento, nei casi migliori, alle
sigle di prontuari cromatici elaborati per
altri scopi.

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Un tentativo di affinamento di queste tecniche interpretative stato fatto triturando


una serie di frammenti ceramici per ottenere dei provini che, in tal modo, evidenziavano la granulosit e la scala tonale del colore della pasta (Mazzuccato 1983, 148).
Questo metodo, tuttavia, anche se si rivelato molto efficace per verificare alcuni
aspetti macroscopici di certe categorie
ceramiche cotte in modo omogeneo, si presta sempre ad interpretazioni soggettive.
In particolare la ceramica a vernice nera,
cotta in forni a fiamma libera, presenta una
pasta ed una vernice di colore variegato.
Basta osservare un qualsiasi frammento di
questa produzione per riscontrare il progressivo variare delle tonalit cromatiche,
che dal rosso mattone virano gradualmente verso il marrone, il nocciola, il grigio
sino ad arrivare ad un nero carbone (Tav.
12-13-14-15).
Parlare del colore di questa ceramica, quindi, non ha senso. Eventualmente, riportando
a supporto una valida e fedele documentazione di macro fotografie, si dovrebbe parlare del variare delle tonalit cromatiche
per proporre un tipo di cottura.
Il colore della ceramica a vernice nera, non
pu essere inoltre utilizzato quale termine
di paragone per i confronti con altre produzioni simili perch deriva da fenomeni
incontrollabili che avvengono durante la
cottura allinterno di un forno a fiamma
diretta.
Larcheologia sperimentale in questi casi si
presta ad interessanti osservazioni. Se si collocano dei ritagli di uno stesso vaso crudo in
varie parti di un forno a fiamma diretta, si
potranno costatare i diversi gradi di colore
assunti dai singoli frammenti dopo la cottura. Ripetendo loperazione, sempre con ritagli del medesimo vaso, in una successiva
infornata, pur disponendo i pezzi nelle stesse posizioni del precedente esperimento, si
otterranno oggetti con nuove gradazioni di colore.
I risultati di questi e di altri esperimenti archeometrici, effettuati per individuare, oggettivamente, produzioni omogenee riferibili a specifiche officine ceramiche ed anche per
capire le motivazioni che hanno favorito le diversificate caratteristiche del rivestimento,
cio della vernice nera, saranno discussi in una successiva ed appropriata pubblicazione.
Dopo questa indispensabile premessa che ha evidenziato limpostazione metodologica

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utilizzata nelle ricerche saranno di seguito presentati, sempre in via preliminare, anche
dei frammenti ceramici a vernice nera che presentando delle decorazioni impresse sui
fondi prima della cottura dei vasi, rientrano nel gruppo dei piccoli stampigli.
Questi vasi diretti eredi della ceramica greca a vernice nera, databili alla fine del IV e linizio del III secolo a.C. sono stati prodotti da molte botteghe artigiane attive, si suppone,
non solo nelle pi importanti citt centro italiche, cio a Tarquinia,Tuscania, Caere, Pyrgi,
Vulci, Roma, Lucus Feroniae ecc. ma anche in numerosi centri minori. Lo studio di tale
ceramica ha permesso di evidenziare le singole produzioni omogenee solamente a grandi linee e di proporre con molte incertezze le localit ove erano impiantate le officine.
Con altri amici da molti anni inseguiamo la ceramica a vernice nera, nel tentativo di
individuare gruppi omogenei di vasellame prodotti da officine inquadrabili sia dal punto
di vista cronologico, sia geografico.
Queste ricerche, tuttavia, hanno evidenziato anche gli aspetti limitanti dellimpostazione
metodologica basata esclusivamente su di un esame tipologico.
Per tali motivi stiamo lavorando ad un progetto che prevede un censimento delle cave
di creta esistenti nelle adiacenze di Caere,Tarquinia,Vulci,Tuscania, la Castellina e di altri
centri etruschi minori.
La fase di studio successiva prevede un confronto tra i risultati delle analisi chimiche
(costosissime) dei campioni prelevati in cava con i risultati dellanalisi dei reperti ceramici, per poter individuare i centri di produzione. Quale tipo di analisi chimica consigliabile per ottenere risultati sicuri?
Le ricerche di laboratorio effettuate sulla ceramica etrusco-campana, sono stati pubblicati da alcuni studiosi (Morel-Picon 1994, 23; di Caprio 1986, 111; di Caprio 1994,
153). Pur definendo alcuni aspetti della composizione chimica dei reperti, tali ricerche
hanno anche evidenziato le difficolt incontrate per luniformit della composizione chimica dei banchi dargilla presenti in Italia centrale.
Per superare questi fattori limitanti abbiamo pensato di coinvolgere ricercatori che da
molti anni sinteressano a questi argomenti per trovare nuove prospettive di ricerca,
considerando che il censimento e lesame delle antiche cave di creta della Tuscia potrebbe fornire dati interessanti anche per lo studio della ceramica comune romana, altomedievale, medievale, rinascimentale.
Archeologia sperimentale.
Avendo personalmente effettuato molte prove di archeologia sperimentale e frequentato vari laboratori specializzati nella riproduzione di antiche ceramiche, conosco bene
gli aspetti legati alla composizione chimica, e mineralogica della materia prima utilizzata
dai vasai.
Spronati da una grande passione, con Sandro Scotti, Giovanni Curreli e Gianni Amicizia,
allinterno della A. A. Centumcellae abbiamo formato un Centro Studi di archeologia
sperimentale e dal 1970 al 1975 frequentato le botteghe dei vasai di Cerveteri,Tarquinia
e della Repubblica dei Ragazzi di Civitavecchia, sperimentando poi le tecniche di produzione delle antiche ceramiche.
Gianni Amicizia, un amico purtroppo scomparso prematuramente, unendo inoltre alla
passione notevoli capacit espressive stato considerato nellambiente dei ceramisti
come lultimo grande artista etrusco.
Limpasto ceramico, o pasta come la definiscono i vecchi ceramisti, conserva solo in
parte le caratteristiche dellargilla presente nei banchi di cava. Le varie manipolazioni
effettuate dopo lestrazione hanno prodotto un manufatto che si differenziato moltissimo nel tempo, per aree geografiche e per tecniche di cottura.
Altre prove sono state effettuate per individuare, oggettivamente, produzioni omogenee riferibili a specifiche officine ceramiche e per capire le motivazioni che hanno favorito le diversificate caratteristiche e composizione chimica del rivestimento, cio della vernice nera.

La vernice nera.
Il rivestimento ceramico denominato impropriamente vernice nera appartiene alla
categoria degli ingobbi semi-vetrosi ed costituito da un veicolo di sottilissime particelle colloidali di creta molto raffinata, contenente unelevata percentuale di ossidi di ferro
e di sali alcalini, che durante la cottura fonde parzialmente ed in ambiente riducente
assume un colore nero lucido.
Questo trattamento termico denominato sinterizzazione (Lee et alii 1995) favorisce
in un compatto di polveri, e nel nostro caso in un composto argilloso, ad una temperatura tra 870-920, relativa al 70-90% il punto di fusione del costituente prioritario, la
grande riduzione della porosit, laumento di volume delle particelle, lorigine di un flusso viscoso caratterizzato da robusti collegamenti e da una notevole durezza superficiale. Nel prodotto sinterizzato la microstruttura ottenuta formata da particelle cristallizzate immerse nel composto fuso.
Le analisi di laboratorio (Maggetti et alii 1981;Tite et alii 1982; Calogero-Lazzarini 1984)
hanno confermato tale fenomeno chimico-fisico. Ninina Cuomo di Caprio, facendo riferimento a queste analisi di laboratorio, in modo autorevole ritiene che la vernice nera
sia composta da argilla molto fina (una barbottina peptizzata), ricca di ossidi di ferro, che
durante la cottura ha subito una parziale vetrificazione, assumendo colore nero pi o
meno intenso e lucente a secondo della composizione chimica e dello spessore dello
strato in cui essa stata applicata, nonch della temperatura di cottura e dellintensit
del processo di riduzione avvenuto durante la fase finale della cottura. Traendo spunto
da queste considerazioni, i risultati delle misurazioni eseguite per mezzo del SEM/EDS
sono stati elaborati prendendo come riferimento il ferro (Fe), data la sua qualit di componente fondamentale della vernice nera (di Caprio 1986, 124).
Il colore di questa vernice attribuibile, infatti, alla presenza di particolari composti di
ferro. Nellanalisi chimica qualitativa, per rivelare la presenza del ferro, si inserisce in una
soluzione idrossido di sodio o di potassio favorendo in tal modo la formazione di idrossido ferroso, che a sua volta, in contatto con lossigeno dellaria, si trasforma in una
miscela di idrossido ferroso-ferrico di colore nero (Giordani 1961, 58).
Le indagini di laboratorio effettuate dalla Cuomo di Caprio su frammenti ceramici provenienti da Tarquinia, hanno individuato nel sodio, nel potassio e nel calcio i fondenti
principali della vernice nera.
Alcuni campioni di Tarquinia sono caratterizzati dalla presenza prevalente di calcio e
potassio con tracce di sodio, altri campioni da sodio e potassio con tracce di calcio. Un
ultimo campione infine caratterizzato dal solo calcio (di Caprio 1986, 124).
Questi riscontri testimoniano la presenza, forse, di banchi dargilla diversificati e contraddistinti dai raggruppamenti di fondenti individuati. Tenendo presente, tuttavia, che
limpasto di creta utilizzato dal vasaio un manufatto con caratteristiche chimico-fisiche
volutamente diverse dalle peculiarit naturali che caratterizzano largilla del banco sfruttato, si deve prendere in considerazione anche laggiunta artificiale di fondenti specifici
come avviene nella pratica attuale.

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Preparazione della vernice.


Argilla rossa ricca di ossidi di ferro molto grassa e plastica, con scarse quantit di scheletro detritico, deve essere mescolata con abbondante acqua (piovana o distillata) in un
recipiente stretto ed alto. Dopo un periodo di riposo, variabile secondo il tipo di argilla
utilizzato, per effetto della diversificata velocit di caduta delle particelle provocata dal
variare della granulometria, sul fondo si depositano le sabbie silicee, le parti grossolane ed
i grumi non disciolti. Successivamente con un sifone si aspira lentamente e con molta cura
la sospensione acquosa posta in alto e si versa in un nuovo recipiente alto e stretto.

Dopo un altro periodo di riposo, sempre variabile da poche ore a pi giorni, sul fondo
del recipiente si forma un deposito composto da argilla finissima ricca di sali alcalini e di
ossido di ferro. Nella pratica attuale per accelerare la concentrazione e migliorare la
qualit della vernice si aggiungono alcune gocce di acido cloridrico e si aggiunge un fondente alcalino, costituito da una piccola dose di idrossido di sodio (soda caustica), in
modo da rendere il prodotto finale brillante e molto simile alla vernice nera attica.
La vernice poi applicata sul vaso a gocce con la punta di un pennello o ad aspersione
(nelle versioni pi scadenti), escludendo lapplicazione per immersione per le limitate
quantit prodotte in vari recipienti a garanzia della qualit e non raggiungendo mai la vernice un grado di liquidit sufficiente ad una simile operazione.
Cottura della ceramica a vernice nera.
Largomento stato trattato da Maurice Picon (Picon 1973, 62) che ha proposto di
distinguere la cottura della ceramica nel seguente modo :
cuisson

post-cuisson

- MODE A: rductrice
- MODE B: rductrice
- MODE C: oxsydante

oxsydante
rductrice
oxsydante

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Successivamente Ninina Cuomo di Caprio (di Caprio 1994, 153), perfezionando le


modalit indicate da Picon ha proposto i seguenti sistemi di conduzione del forno:
ambiente di cottura

raffreddamento

- MODO A: ossidante/riducente
- MODO B: ossidante/riducente
- MODO C: ossidante

ossidante
riducente
ossidante

Queste indicazioni pur definendo in linea di massima le metodologie e le fasi di cottura


della ceramica devono essere ulteriormente chiarite per valutare i fenomeni chimicofisici che avvengono in pratica nelle fornaci.
La ceramica a vernice nera, bene precisarlo, anticamente era cotta in forni a fiamma libera. Attualmente si utilizzano, con
particolari accorgimenti, anche forni a gas.
Sopra una lastra di terracotta corinzia a
vernice nera raffigurato con molta chiarezza un primitivo forno greco di tipo verticale (Fig. 3). Il piccolo manufatto composto da una bocca di alimentazione per il
combustibile, una camera di cottura a
cupola provvista di una finestra, sigillata
ermeticamente, per il caricamento dei vasi.
Lo sportello di chiusura della finestra presenta un piccolo foro dispezione che consente di osservare linterno del forno per
valutare la temperatura ottimale da rag-

giungere basandosi sulla gradazione del


colore che assume la camera durante la
variazione delle fasi di cottura. Sulla sommit della cupola stata praticata infine
unapertura per la fuoriuscita dei fumi prodotti.
In questi forni il combustibile utilizzato sino
ai nostri giorni costituito da piccole fascine di frasche e rami secchi che produce ,
dopo laccensione, lunghe lingue di fuoco.
Esaminando la struttura di una fiamma
(Fig. 2) sintuisce immediatamente perch
necessario utilizzare, in questi casi, un
combustibile che possa generare un fuoco
notevolmente lungo.
La parte terminale della fiamma, la pi
calda, estendendosi sino alla camera di cottura permette alla trappola, costituita
dalla conformazione della cupola di copertura, di accumulare il calore generato dalla
combustione sino a raggiungere una temperatura ottimale.
Prima fase. Riscaldamento in ambiente prevalentemente ossidante.
Nei forni a fiamma libera, il combustibile,
introdotto poco alla volta per non provocare sbalzi di temperatura, bruciando in
eccedenza di aria produce gas incandescenti aventi caratteristiche prevalentemente
ossidanti che raggiungono il massimo potere calorifero. Questa fase indispensabile per
la conduzione del forno. Nei piccoli forni, bene precisarlo, pur essendo lambiente prevalentemente ossidante, si ha una continua alternanza di fasi riducenti-ossidanti per lagitazione termica delle fiamme. I vasi che sono investiti dalla parte ossidante o riducente
delle fiamme possono assumere, per lalta temperatura, una patina biancastra dovuta alla
calcinazione dei sali di calcio posti in superficie.
Osservando dal foro dispezione il colore che assume la camera di cottura possibile
valutare la temperatura raggiunta sulla base della seguente tabella utilizzata un tempo
nelle fonderie e tuttora dai Vigili del Fuoco per riconoscere il combustibile di un incendio (Sito internet http://it.wikipedia.org/wiki/Fiamma):

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COLORE FIAMMA
TEMPERATURA IN C
Amaranto pallido
Amaranto
Rosso sangue
Rosso scuro
Rosso
Rosso chiaro

480
525
585
635
675
740

Rosso pallido
Rosa
Arancione
Giallo
Giallo pallido
bianco
Celeste Azzurro - Blu

845
900
940
995
1080
1205
1400 1500 - 1600

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Seconda fase. Riscaldamento in ambiente prevalentemente riducente.


Prima di raggiungere la temperatura considerata ottimale (nel caso in esame 845 - 940
C), si limita al minimo lafflusso dellaria nella bocca di alimentazione e si chiude quasi del
tutto la valvola di tiraggio dei fumi. In questa fase il fuoco ha un potere calorifero ridotto ed il cattivo miscelamento tra il comburente (ossigeno) ed i gas caldi emanati dal
combustibile provoca la formazione di ossido di carbonio avente caratteristiche riducenti. Questi gas a contatto con i vasi producono la reazione chimica che, trasformando lossido di ferro, di tutta la ceramica presente nel forno, fa virare il colore da rosso a
nero (non evidente otticamente in questa fase di cottura). Continuando a introdurre
combustibile, la temperatura del forno aumenta, pi lentamente rispetto alla prima fase,
sino a provocare il fenomeno fisico-chimico di sinterizzazione della vernice che si trasforma in una pellicola vetrosa impermeabile allaria.
Durante questa fase, per accelerare le reazioni chimiche, si possono introdurre nella
bocca di alimentazione anche delle frasche verdi che producono molto fumo. Questo
intervento deve essere effettuato tuttavia da un fornaciaro molto esperto per evitare
la formazione sui vasi di aloni brunastri.
Terza fase. Raffreddamento in ambiente riducente.
Raggiunta la temperatura ottimale si chiudono completamente sia la bocca di alimentazione, sia la valvola di tiraggio per evitare lingresso anche di minime quantit daria.
Il forno, non pi alimentato, lentamente si raffredda in ambiente riducente perch il
fuoco residuo brucia totalmente lossigeno presente allinterno.
Quarta fase. Raffreddamento in ambiente ossidante.
Osservando il colore della camera di cottura, stimando una temperatura di 750-800
C, si aprono nuovamente la bocca di alimentazione e la valvola di tiraggio per facilitare
lafflusso dellaria allinterno del forno. I composti di ferro presenti nei vasi torneranno
ad ossidarsi ed a diventare rossi, con leccezione di quelli presenti nella vernice che
resteranno neri essendosi formata una pellicola vetrosa che a queste temperature
impermeabile allaria. Sempre in questa fase delicatissima, per il cattivo funzionamento
del forno, per la poca esperienza pratica, per la cattiva distribuzione o qualit della vernice, si possono formare sui vasi macchie rosse viranti verso il nero. Un veloce raffreddamento del forno, diminuendo la porosit delle pareti, pu rallentare o bloccare lossigenazione della parte interna del corpo ceramico producendo un colore grigiastro od il
cuore nero tipico dei vasi molto spessi cotti in fasi ossidanti-riducenti-ossidanti.
Fornaciari molto esperti, per non avere tali inconvenienti, in questa fase bruciano una
piccola quantit di combustibile (ginestra) in ambiente ossidante per rallentare il raffreddamento veloce del forno.
Nei piccoli forni antichi alla sommit del camino si disponeva un vaso od una lastra ceramica che, limitando la sezione dellapertura e funzionando come valvola di tiraggio, permetteva la fuoriuscita dei fumi in maggiore o minore quantit.
Nelle prove sperimentali con una fase di cottura e di raffreddamento esclusivamente
ossidante, la stessa vernice nera utilizzata in precedenza ha permesso di ottenere vasi di

un bel rosso corallino simili alla prima sigillata italica. Risultati migliori sono stati ottenuti con un forno a muffola avente degli sfiati per la libera circolazione dellaria.
Il bucchero.

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Il Centro studi di archeologia sperimentale della A. A. Centumcellae si interessato


anche delle tecniche di realizzazione del bucchero etrusco.
Gli antichi metodi di cottura a cielo aperto, essendo incontrollabile lossido-riduzione
dei sali di ferro, conferivano alla superficie dei vasi un colore variegato rosso-nerastro
producendo la cos detta ceramica buccheroide.
Su quelle esperienze si sono evolute le tecniche produttive sino ad arrivare, con linvenzione dei forni, alla realizzazione di vasi che dopo la cottura assumevano, in superficie ed
in sezione, un colore nero: il bucchero.
La creta utilizzata per confezionare i vasi preferibilmente dovrebbe essere rossa, tuttavia anche le crete grigiastre, sempre contenenti una buona percentuale di ossidi di ferro,
possono dare dei buoni risultati.
La cottura:
Prima fase. Riscaldamento in ambiente prevalentemente ossidante.
La prima fase del funzionamento ottimale dei forni a fuoco libero deve essere sempre
condotta in questo modo per ottenere il massimo potere calorifero del combustibile,
altrimenti non si raggiungono mai le temperature di cottura ottimali. Il combustibile,
sempre introdotto poco alla volta per non provocare sbalzi di temperatura, bruciando
in eccedenza di aria produce gas incandescenti aventi caratteristiche prevalentemente
ossidanti.
Seconda fase. Riscaldamento in ambiente prevalentemente riducente.
Poco prima di raggiungere la temperatura desiderata, variabile secondo il tipo di bucchero da produrre ma sempre superiore ai 650 per rendere irreversibile la cottura della
ceramica, si limita al minimo lafflusso dellaria nella bocca di alimentazione e si chiude
quasi del tutto la valvola di tiraggio dei fumi (come per la vernice nera). Il combustibile,
bruciando in carenza di ossigeno, provoca la formazione di ossido di carbonio, avente
caratteristiche riducenti, che fa virare lossido di ferro da rosso a nero anche allinterno
del corpo ceramico. Nella momento terminale di questa fase per raggiungere la massima temperatura necessaria alcuni fornaciari di grande esperienza fanno bruciare fascine
di ginestra verde. Gli oli essenziali contenuti da questa pianta bruciano rapidamente producendo lunghissime fiammate. Lazione successiva consiste nellalimentare il forno con
frasche verdi, preferibilmente di olivo, che durante la combustione producono un fumo
denso ed oleoso ricco di particelle carboniose semicombuste che depositandosi nei pori
della ceramica contribuiscono a conferire il caratteristico nero di questi vasi.
Terza fase. Raffreddamento in ambiente riducente.
Raggiunta la temperatura ottimale si chiudono completamente la bocca di alimentazione e la valvola di tiraggio per evitare lingresso anche di minime quantit daria.
Il forno, non pi alimentato, lentamente si raffredda in ambiente riducente perch il
fuoco residuo fa reagire totalmente lossigeno presente allinterno.
In questo tipo di cottura della ceramica avviene un fenomeno chimico-fisico molto simile a quello che consente nelle carbonaie la trasformazione della legna in carbone.
Durante le prove di archeologia sperimentale Gianni Amicizia ha ottenuto dei vasi nerolucidi, molto simili a bucchero nobile, disponendo prima della cottura sulle superfici uno
strato di vernice nera.
Attualmente alcuni ceramisti producono il bucchero mettendo i vasi crudi e segatura di
legna in una cassa di ferro avente uno sportello a chiusura ermetica. Allinterno della
cassa, posta in un forno elettrico o a gas, la segatura bruciando in carenza di ossigeno
produce fumi con caratteristiche riducenti.

Le forme.

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Alcune riflessioni.
Lesame morfologico ha interessato la quasi totalit della ceramica a vernice nera rinvenuta durante lattivit di ricognizione. In questa nota presentata tuttavia solamente una
selezione pi rappresentativa dei materiali studiati, riservando la descrizione dettagliata
dei reperti individuati su ogni sito alle schede analitiche della Carta Archeologica in
corso di elaborazione.
Nelle tavole le tipologie dei vasi e degli stampigli sono state raggruppate in due parti.
La prima parte (Tav. 1-19) relativa ai ritrovamenti effettuati esclusivamente alla
Castellina butto. La seconda parte (Tav. 20-58) attinente invece alla ceramica rinvenuta sulle ville rustiche romane disseminate nellArco del Mignone, e, in minor quantit, nei siti delle antiche citt di Caere, Tarquinia e in una villa rustica di Montalto di
Castro.
Nelle tavole il numero con caratteri pi grandi (ad esempio 1124) indica la specie, la
serie o il tipo dei vasi presentati sempre riferiti alla tipologia di Morel (Morel 1981). Il
numero con caratteri pi piccoli (ad esempio C 312) indica la sigla che identifica un
reperto della Castellina, od il sito archeologico di provenienza (ad esempio sito 836)
Uno studio circostanziato sul nome antico e sulla funzione dei diversificati recipienti a
vernice nera non stato ancora affrontato in modo settoriale. Possiamo supporre un
impiego individuale o collettivo come vasellame da mensa o da conserva, escludendo
luso diretto sul fuoco. Il confronto con i recipienti utilizzati attualmente permette di
effettuare delle considerazioni pratiche. Le forme aperte sono idonee a contenere pietanze calde a base liquida che si devono raffreddare velocemente, quelle chiuse a conservare il pi possibile il calore del cibo e per le forme aventi un maggior diametro possiamo presumere un utilizzo collettivo come vasi da portata.
Considerando il vasellame da tavola come rivelatore economico e sociale, il rinvenimento, in particolare nel sito omogeneo della Castellina butto, di una notevole quantit di
recipienti a vernice nera che possiamo considerare da mensa individuali, fa supporre,
per la fine del IV e linizio del III secolo a.C. buone condizioni di vita anche per i ceti pi
bassi della popolazione.
Come ho gi detto, nella fase attuale di studio di tali vasi bene considerare con cautela i raggruppamenti di materiali individuati da alcuni ricercatori sulla base del solo esame
morfologico. Pur essendo omogenei secondo alcuni parametri non possiamo, con certezza, ritenerli di produzione locale per la grande variet e circolazione di questa classe
ceramica.
Lo stesso atteggiamento di grande prudenza si deve avere anche per i materiali provenienti dagli scavi effettuati a Tarquinia (Giangiulio 1999, 246) che sono stati sottoposti ad
analisi di laboratorio (di Caprio 1986).
Tali indagini, effettuate con quattro diversificate tecniche analitiche, si sono rivelate di
enorme interesse scientifico ed hanno permesso lindividuazione, certa, di caratteristiche chimiche simili per alcuni reperti che sono stati inquadrati in gruppi omogenei ritenuti, in alcuni casi, come prodotti locali (di Caprio 1986, 122).
Pur considerando tale proposta in modo molto significativo, in assenza di confronti sistematici con i dati risultanti dalle analisi di laboratorio condotte su campioni prelevati nei
banchi di argilla presenti nella zona, non abbiamo nessuna certezza che i vasi rinvenuti a
Tarquinia e sottoposti ad analisi siano stati realizzati da officine del luogo.
Recentemente per lo studio archeometrico della ceramica sono state proposte analisi
chimico-fisiche non distruttive, che sono state condotte utilizzando una sorgente di raggi
X, un rivelatore al silicio-litio ed un apparato di acquisizione elettronico dei dati
(Bonincontro 1998, 223). Questi metodi analitici, oltre ad avere costi molto limitati, si

possono effettuare in tempi brevi ripetendo pi volte lesperimento a garanzia dei risultati ottenuti.
Lesame morfologico dei reperti non deve essere tuttavia sottovalutato. Come sostiene
Giovanni Porri, cocciaro e figlio di cocciari, le peculiarit delle ceramiche pur essendo
pezzo per pezzo diversificate, sono simili per ogni artigiano e per ogni officina. E
necessario individuare, conseguentemente nelle varie produzioni caratteristiche veramente significative ed omogenee.
Piatti ed altre forme aperte.
La serie 1111, 1124, 1174, 1271, 1281, 1321,
1323, 1441, 1514, 1534, 1542, 1545, 1624
bene documentata nei ritrovamenti della
Castellina butto e nelle ville rustiche
romane ubicate in territori appartenenti un
tempo sia a Caere, sia a Tarquinia.
I vasi della serie 1111, spesso conservanti
un alto piede, pur non essendo figurati
sono molto simili ai piattelli del gruppo
Genucilia. Il reperto rinvenuto nel sito
332/D (Tav. 20), solamente per citare alcuni esempi, si avvicina moltissimo a quello
rinvenuto a Tarquinia nella tomba 1786
(Cavagnaro Vanoni 1996, fig. 47 n. 19). La
forma dei reperti rinvenuti nei siti 44/D,
60/D, 292/D, 904/D (Tav. 20) richiama apertamente i piatti presenti nella tomba 5654
(Cavagnaro Vanoni 1996, fig. 98 n. 9-10).
La forma serie 1174 del sito 60/D trova un confronto preciso sempre a Tarquinia con
reperti delle tombe 1686 e 5512 (Cavagnaro Vanoni 1996, fig. 36 n. 29 ; fig. 75 n. 36).
La forma serie 1281 rinvenuta nei siti 340/D, 724/D, 771/D si pu confrontare sia con i
materiali di Tarquinia della tomba 1686 (Cavagnaro Vanoni 1996, fig. 36 n. 26-27-28), sia
con i reperti di area falisca (Schippa 1980, n. 342-343).

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Coppe ad orlo svasato. Coppe carenate, Coppe ad orlo ingrossato. Coppe


biansate.
Per un esame statistico nelle tombe tarquiniesi di et ellenistica le forme ceramiche pi
rappresentate sono:
Serie
1281 n. 5 vasi

1443 n. 4

1540 n. 4

1646 n. 5

2271 n. 6

2273 n. 4

2284 n. 6

2784 n. 10

4253 n. 6

5222 n. 9

Gli stampigli.

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Per migliorare la qualit delle immagini degli


stampigli e rendere i confronti pi sicuri,
vengono presentate macro fotografie
molto nitide in scala 3:1-5:1 o calchi attendibili, in scala 1:1-3:1, effettuati con carta
carbone, limitando al massimo i grafici che
costituiscono sempre uninterpretazione
soggettiva della decorazione.
Sotto limmagine stata riportata una grafica che evidenzia la disposizione dello
stampiglio sul fondo del vaso.
Lesame dettagliato dei reperti ha evidenziato che gli stampigli non furono impressi
sulla creta molle, ma dopo la tornitura
effettuata sui vasi essiccati che avevano raggiunto lo stato di durezza cuoio. Questa
tecnica dovr essere verificata con larcheologia sperimentale, considerando la
difficolt di imprimere stampigli sul vaso essiccato.
La quantit maggiore di vasi che presentano lo stesso stampiglio, relativo ad una palmetta, stata rinvenuta alla Castellina butto su sette reperti (Tav. 1. C 12-C 16-C 18-C
25-C 69-C 75-C 76).
Dal sito 435/D proviene uno stampiglio raffigurante una faccia vista di profilo (Tav. 39
bis), forse da conio monetale, che si avvicina moltissimo ad un reperto rinvenuto a
Lucus Feroniae (Stanco 2005).
Unaltra faccia vista di fronte presente sopra un frammento della Castellina butto
(Tav. 10, C 68).

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Ercole raffigurato in modi diversi presente su reperti provenienti da vari siti (Tav. 6
bis, C 111 ;Tav. 29, sito 34/D n. 3 ;Tav.
58, Fontanaccia).
La palmetta del vaso Cae 16 (Tav. 50) e la
stessa di Mt 3 (Tav 58).
Lo stampiglio a forma di palmetta di C 71
(Tav. 6 bis) presente anche a Tarquinia
ove impresso al centro di un vaso forma
Morel specie 1540 (Cavagnaro Vanoni 1996,
tomba 5512, fig. 75 n. 43 ; tav. XLV b).
La decorazione di Cae 12 (Tav. 47) si avvicina moltissimo a quella di alcuni frammenti di Tarquinia (Giangiulio 1999,Tav. 79 n. 1112-13-14).
Sul fondo interno di alcuni vasi a vernice
nera della Castellina presente un cerchio

rosso sovradipinto (Tav. 5, C 01 ;Tav. 7 bis, C 49-C 61), disposto anche sopra uno
stampiglio rinvenuto su una villa rustica romana e a Caere-Greppe di Santangelo (Tav.
30, sito 38/D ;Tav. 40, Cae 14). La tecnica di sovradipingere vasi a vernice nera non
prevedeva due fuochi e si utilizzava una vernice preparata nel modo descritto in precedenza, avendo laccortezza di aggiungere piccolissime quantit di alcali. La fusione di
queste sostanze presenti in eccesso, rendendo impermeabile lo strato, favorirebbe un
colore nero, mentre la riossidazione trasforma in rosso il ferro. Per le vernici biancastre
si deve presumere lutilizzazione di terre povere di ferro.Anche queste tecniche dovranno essere ulteriormente verificate con larcheologia sperimentale.

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Considerazioni di carattere storico.


La Castellina sul Marangone e la
romanizzazione della fascia costiera
tirrenica.
A met strada tra Civitavecchia e Santa
Marinella, sopra un poggio scosceso posto
in prossimit della foce del torrente
Marangone, sorgeva unantica citt etrusca
di cui non si conosce con precisione il
nome.
Salvatore Bastianelli, il fondatore della
Associazione Archeologica Centumcellae,
dopo numerosi sopralluoghi iniziati nel
1911 e brevi campagne di scavo eseguite
tra il 1928 ed il 1935, individu il perimetro
delle mura difensive ed alcuni resti interrati di questa antica citt etrusca fortificata
(Bastianelli 1981, 15).
La Castellina sul Marangone, questo il
nome con il quale, per una pi appropriata
identificazione e collocazione toponomastica, viene attualmente identificato il sito in
virt della sua posizione strategica dovuta al fatto che si erge su una ripida altura, stata
un importante centro che, con un fenomeno insolito in Etruria, testimonia una continuit abitativa durante lEt del Bronzo Medio, del Bronzo Recente, del Bronzo Finale e le
fasi villanoviane ed etrusche (Maffei 2006).
Posta tra le due pi potenti citt di Caere e Tarquinia, di cui forse segnava il confine, la
Castellina sul Marangone, anche se non riuscita mai a raggiungere la notoriet ed a
guadagnarsi un posto ufficiale nella storia come le due celeberrime citt limitrofe, durante i periodi protostorici ed etrusco-arcaici occup una posizione predominante nel quadro dellEtruria costiera e nei commerci marittimi che avvenivano nel Tirreno.
La Centumcellae, pi volte si interessata del sito (Toti 1967; Maffei 1988) e nel 1975
durante delle ricognizioni topografiche ha recuperato ceramica protostorica (Maffei
2006) e delle terrecotte architettoniche relative ad un tempio etrusco (Gentili 1990,
285).
Questi ritrovamenti hanno stimolato linteresse dellquipe franco-tedesca che dal 1995
ha effettuato delle ricerche archeologiche sulla Castellina sotto la direzione del professor Friedhelm Prayon, delluniversit di Tubinga, e del dott. Jan Gran-Aymerich, della
Scuola Normale Superiore di Parigi.
Durante le numerose ricognizioni effettuate dalla Centumcellae, prima dei recenti
scavi, stato possibile recuperare sul poggio anche un significativo materiale metallico,
che, unitamente al ritrovamento di ceramica greca arcaica, attesta che la Castellina sul
Marangone stata, a partire almeno dallottavo secolo a.C., un importante centro per la
lavorazione dei metalli ed un fiorente scalo marittimo per gli scambi commerciali
(Bastianelli 1981, 15- Toti 1967).
Limportanza ed il benessere economico di questa piccola citt sono testimoniate dai
ritrovamenti effettuati nella sua necropoli ove furono costruiti numerosi tumuli aventi
un diametro di 45 metri. I ricchi corredi di queste tombe comprendevano anche idoletti egiziani in pasta vitrea, vasellame protocorinzio, corinzio, attico e raffinate orificerie.

Il declinare della autorit sul mare degli Etruschi provoc la graduale decadenza di questo abitato fortificato. La romanizzazione delle pianure costiere tirreniche e la deduzione della colonia romana di Castrum Novum nei primi decenni del III sec. a.C. provoc, si
suppone, labbandono della Castellina (Bastianelli 1981, 29) ed il trasferimento degli abitanti nella nuova citt posta sul mare a breve distanza dal centro etrusco indicato genericamente come Castrum Vetus (Bastianelli 1954, 99).
Nella mappa topografica La Castellina, allegata a questa nota, riportata lubicazione dellantico pagus fortificato e delle ville rustiche romane impiantate nelle immediate vicinanze del sito etrusco.
Alla Castellina butto e nelle ville rustiche sono stati rinvenuti numerosi frammenti
ceramici a vernice nera. Lesame di questi reperti, inquadrabili tipologicamente ed in
alcuni casi decorati a piccoli e medi stampigli, porta ad effettuare considerazioni di carattere storico e cronologico sulla fase pi antica della romanizzazione di questi territori.
Le ville rustiche distribuite intorno alla Castellina n. 420/D, 435/D, 476/D, 972/D, 996/D,
1032/D, 1035/D, 1050/D, 1060/D, 1064/D, 1076/D, 1078/D (la numerazione dei siti quella definitiva riportata nella carta archeologica in corso di elaborazione), hanno fornito
numerosi materiali a vernice nera riferibili alla serie Morel 1111-1124-13231514-21662539-2564-2621-2775-2783-2981-4253 databili allinizio del III se non alla fine del IV sec.
a.C.
Questi reperti inducono, con le cautele del caso, a ritenere che la prima fase della vastissima operazione politica, militare, agricola intrapresa da Roma sulla fascia costiera tirrenica e limpianto degli edifici rustici sui territori tolti agli Etruschi, inizi a cavallo tra il
IV ed il III sec. a.C.
I ritrovamenti della Castellina testimoniano invece che il pagus non fu immediatamente
abbandonato durante la prima fase della romanizzazione. I grandi stampigli (Tav. 9)
disposti al centro del fondo interno del vaso e riconducibili ad una quarta fase della produzione a vernice nera databile tra il 265 ed 240 a.C. (Stanco 2005), confermerebbero,
indirettamente, la data del 264 a.C. per la deduzione della colonia romana di Castrum
Novum (Torelli 1970-71, 435 ; Gianfrotta 1972, 18) ed il conseguente abbandono del vecchio abitato etrusco.
Unaltra conferma data dai materiali rinvenuti nel sito 1038/D ubicato alle pendici della
Castellina. I frammenti a vernice nera serie 1443, 2321, 2252, 2526, 2812 forniscono la
testimonianza che il vasto e ricco edificio romano, abitato per tutta let repubblicana ed
imperiale, fu impiantato, successivamente alle altre ville rustiche, tra la fine del III e linizio del II sec. a.C. nellarea di rispetto che, possiamo supporre, nella prima fase della
romanizzazione fu destinata agli usi agricoli degli abitanti della Castellina.
** Importante raccolta fotografica dei reperti dopo la bibliografia
Bibliografia
Bastianelli 1954

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Bastianelli 1981
Bastianelli 1988
Bonincontro 1998

Salvatore Bastianelli, Centumcellae-Castrum Novum, Istituto


di Studi Romani, Roma 1954
Salvatore Bastianelli, Labitato etrusco sul poggio detto La
castellina, Ass. Arch. Centumcellae, Civitavecchia 1981
Salvatore Bastianelli, Appunti di campagna, a cura Ass.Arch.
Centumcellae, Roma 1988
Ilaria Bonincontro, Nuove possibilit di studio dei materiali
offerte dalle analisi chimico-fisiche: lesempio della ceramica a
bande, in Le ceramiche di Roma e del Lazio in et medie

Calogero-Lazzarini 1984

Cambi 2003
Cavagnaro Vanoni 1996
DallAglio 2000
di Caprio 1986

di Caprio 1994

Gamurrini 1879
Gentili 1990

Gianfrotta 1972
Giangiulio 1999

Giordani 1961
Lamboglia 1952

Lee et alii 1995

Maffei 1988
Maffei 1990

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Maffei 2006 a

Maffei 2006 b

vale e moderna III (a cura di Elisabetta De Minicis),


Edizioni Kappa, Roma 1998
S. Calogero ; L. Lazzarini, Caratterizzazione chimico-fisica di
ceramiche grigie dallo scavo dellarea ex Pilsen a Padova, in
Archeologia Veneta VII, 1984
F. Cambi, Archeologia dei paesaggi antichi: fonti diagnostiche,
Carocci, Roma 2003
Lucia Cavagnaro Vanoni, Tombe tarquiniesi di et
ellenistica,Ed. LErma di Bretschneider, Roma 1996
P.L. DallAglio (a cura di), La Topografia antica, ed. CLUEB,
Bologna 2000
Ninina Cuomo Di Caprio, Tecniche analitiche applicate a
campioni ceramici di Tarquinia, in Tarquinia: ricerche, scavi e
prospettive (a cura di Maria Bonghi Jovino e Cristina
Chiaramonte Trer), Milano 1986
Ninina Cuomo di Caprio, Tecniche di cottura, in Ceramica
romana e archeometria: lo stato degli studi (a cura di
Gloria Olcese), Edizioni allinsegna del Giglio, Firenze 1994
G. F. Gamurrini, Les vases trusco-campanies, in Gazette
Archologique, 1879
Maria Donatella Gentili, Nuovi dati sui luoghi di culto nei
monti della Tolfa, in Caere e il suo territorio, da Agylla a
Centumcellae (a cura di Antonio Maffei e Francesco
Nastasi), Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1990
Piero Alfredo Gianfrotta, Castrum Novum, Forma Italiae,
Roma 1972
Magda Niro Giangiulio, La vernice nera di et ellenistica, in
Tarquinia, scavi sistematici nellabitato. Campagna 1982-88.
I materiali I. A cura di C: Chiaramonte Trer, Tarchina II,
Roma 1999
Mario Giordani, Guida allanalisi chimica qualitativa, ed.
Studium, Roma 1961
Nino Lamboglia, Per una classificazione preliminare della
ceramica campana, in Atti del I Congresso Internazionale di
Studi Liguri, Bordighera 1952
W.Y. Lee ;Y.W. Bae ; K. L. More, Synthesis functionally grad
ed metal-ceramic microstructures by chemicalvapor deposition,
Journal of materials reserch, 1995
Antonio Maffei, Progetto di ricerca Gli etruschi dellArco del
Mignone, tra i monti e sul mare, Roma 1988
Antonio Maffei, Progetto di ricerca archeologico-topografica
Arco del Mignone, in Caere e il suo territorio, da Agylla
a Centumcellae, (a cura di Antonio Maffei e Francesco
Nastasi), Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1990
Antonio Maffei, Civitavecchia-Centumcellae.Testimonianze
protostoriche dalla Castellina sul Marangone, in BOLLETTI
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Antonio Maffei, La minaccia islamica e le fortificazioni medie
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Maffei-Nastasi 2006

Maggetti et alii 1981

Mazzuccato 1983

Morel 1969

Morel 1981
Morel 1985

Morel-Picon 1994

Peacock 1997

Picon 1973

Schippa 1980
Stanco 1994
Stanco 2005

Tecnologia 1966
Tite et alii 1982

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Torelli 1970-71
Toti 1967
Valenti 2005

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