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Politecnico di Bari

Corso di Laurea in Ingegneria Informatica e


dellAutomazione

Fondamenti della Misurazione


Corso Prof. Ing. M. Savino
Dipartimento di Ingegneria Elettrica e dellInformazione
Politecnico di Bari

a cura di
Marco Salvatore Vanad`a

27 maggio 2016

ii

a Giulia

Il presente documento `e rilasciato sotto licenza cCreative Commons 3.0 bysa-nc cbna.
consentita la creazione di opere derivate, traduzioni, adattamenti, totali o parE
ziali, fatta salva lattribuzione dellautore originale e il mantenimento della licenza.
Marco Salvatore Vanad`a
Politecnico di Bari

Indice
I

Fondamenti della Misurazione

1 Misura e incertezza
1.1 Concetto di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Errori e incertezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Errori e loro propagazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Classificazione degli errori e correzione . . . . . . . . . . . . .
1.5 Accuratezza e precisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Taratura o calibrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7 Linearizzazione della curva di taratura . . . . . . . . . . . . .
1.8 Media polarizzazione e deviazione . . . . . . . . . . . . . . . .
1.9 Deviazione standard, varianza e momento centrale . . . . . . .
1.10 Concetti di frequenza e di probabilit`a . . . . . . . . . . . . . .
1.11 Leggi di distribuzione di probabilit`a . . . . . . . . . . . . . . .
1.12 Distribuzione uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.13 Distribuzione di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.14 Calcolo della funzione di distribuzione di Gauss . . . . . . . .
1.15 Deviazione standard della media . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.16 Definizione e calcolo dellincertezza . . . . . . . . . . . . . . .
1.16.1 Valutazione Tipo A (o di categoria A) dellincertezza .
1.16.2 Valutazione Tipo BA (o di categoria B) dellincertezza
1.16.3 Raccomandazioni sullincertezza . . . . . . . . . . . . .
1.17 Incertezza standard combinata e propagazione delle incertezze
1.17.1 Grandezze dingresso non correlate . . . . . . . . . . .
1.17.2 Grandezze dingresso correlate . . . . . . . . . . . . . .
1.18 Incertezza estesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.19 Livelli e intervalli di confidenza . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.20 Presentazione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.21 Prova del Chi-quadro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.22 Metodo dei minimi quadrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.23 Rette di regressione e coefficiente di correlazione . . . . . . . .

1
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2 Grandezze Unit`
a Campioni
59
2.1 Cenni storici introduttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
2.2 La conferenza generale dei pesi e delle misure (CGPM) . . . . . . . . 59
2.3 Unit`a di misura fondamentali e derivate . . . . . . . . . . . . . . . . 60
iii

iv

INDICE
2.4

Campioni metrici e sistema di certificazione . . . . . . . . . . . . . . 65

3 Fondamenti sui sensori


3.1 Introduzione e definizioni . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Il sensore intelligente . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Classificazione dei sensori . . . . . . . . . . . . .
3.4 Caratteristiche di un sensore . . . . . . . . . . . .
3.5 Le caratteristiche di qualit`a . . . . . . . . . . . .
3.6 Affidabilit`a dei sensori . . . . . . . . . . . . . . .
3.7 Caratteristiche metrologiche ambientali . . . . . .
3.8 Parametri fondamentali dei trasduttori . . . . . .
3.9 Rappresentazione dei sensori . . . . . . . . . . . .
3.10 Principi fisici dei principali sensori . . . . . . . . .
3.11 Effetti fotonici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.12 Effetto doppler . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.13 Effetti piezoelettrico piroelettrico e piezoresistivo
3.14 Effetti magnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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120

4 Strumenti digitali
127
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
4.2 Errori di campionamento e troncamento . . . . . . . . . . . . . . . . 128
4.3 Quantizzazione e conversione analogico-digitale . . . . . . . . . . . . 136

II

Esercizi
4.4
4.5

139
a

Esempi esercizi 1 prova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141


Esempi esercizi 2a prova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142

Parte I
Fondamenti della Misurazione

Capitolo 1
Misura e incertezza
1.1

Concetto di misura

Spesso non si fa distinzione tra le parole misurazione e misura, anche se a rigore


per misurazione sintende una serie di operazioni che hanno come fine la determinazione di un valore di una quantit`a, in altre parole il processo che porta alla
quantificazione di una grandezza, mentre la misura `e il risultato della misurazione.
La misurazione o pi`
u semplicemente, come si dir`a nel seguito, la misura `e quindi
un procedimento semplice o complesso, che permette di quantificare, assegnando dei
numeri, le propriet`a degli oggetti e degli eventi del mondo reale. Misurare permette
di conoscere, di descrivere e quindi di controllare qualsiasi sistema fisico nel miglior
modo possibile.
La scienza delle misure `e antica in quanto misurare `e unesigenza vitale delluomo.
Ci`o si pu`o evincere dalle parole sia di Galileo Galilei sia di Lord Kelvin.
Galileo Galilei afferm`o:
Contiamo ci`o che `e contabile, misuriamo ci`o che `e misurabile e rendiamo misurabile ci`o che non lo `e.
Lord Kelvin scrisse:
Io spesso affermo che quando puoi misurare ci`o di cui stai parlando e
lo puoi esprimere in numeri, tu conosci qualcosa di ci`o, ma quando non
puoi esprimerlo in numeri, la tua conoscenza `e povera e insoddisfacente.
Eseguire misure `e vitale per una comprensione del mondo fisico nel quale viviamo.
In tutte le branche delle scienze fisiche e ingegneristiche si ha costantemente da
operare con dei numeri che derivano dalle osservazioni sperimentali.
Negli ultimi anni molte industrie, ma anche diversi governi, nellambito delle
nazioni pi`
u progredite, stanno dedicando sempre maggiore attenzione alla scienza
delle misure riconoscendone una notevole importanza nella formazione dei quadri
dirigenti, per le implicazioni che essa ha nelle transazioni commerciali.
Esiste ununit`a metodologica nella scienza delle misure, purtroppo si deve superare il ritardo causato dalla scarsa considerazione in cui si `e tenuta questa realt`a
3

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

anche nel mondo accademico. Infatti, fino a non molto tempo fa si `e ritenuto che
ogni branca della tecnologia richiedesse lesecuzione di misure specialistiche e che
ogni specialista di quella branca fosse in grado di eseguirle, anche in assenza di
conoscenze specifiche sui fondamenti della misurazione.
Le misure sono fondamentali per la verifica di un modello, di una teoria; se il modello o la teoria sono errati, ci`o sar`a rivelato dalle misure. Viceversa
`
se la misura `e errata, non si avr`a conferma della validit`a o meno della teoria. E
quindi necessario imparare a capire se una misura `e stata o meno eseguita correttamente e pu`o essere impiegata per i fini che si intendeva perseguire. Occorre un
insegnamento propedeutico di base in cui si apprendano i fondamenti della misurazione prima di poter affrontare qualsiasi tipo di misura specialistica. I concetti
fondamentali da apprendere riguardano i principi base della scienza delle misure,
come lincertezza, lanalisi statistica dei dati, linterpretazione dei ri` , la certificazione, in specie quella di qualita
` , inoltre
sultati, laffidabilita
occorre imparare a conoscere la strumentazione di base che `e essenzialmente di tipo
numerico.
Per eseguire una misura ci si serve di opportuni strumenti costruiti in modo da
rendere semplice lesecuzione e facile la lettura. A questo scopo si sono molto diffusi
in tutti i campi gli strumenti elettrici, elettronici analogici e digitali.
In particolare negli ultimi trentanni si `e avuto uno straordinario impulso della strumentazione elettronica digitale, con la proliferazione di strumenti accurati, precisi,
sensibili, dedicati, intelligenti ed esperti. Gli strumenti digitali sono estremamente
flessibili e questo ha determinato una loro proliferazione e differenziazione. Inoltre lavvento dei sensori intelligenti ha notevolmente e ulteriormente espanso il loro
campo di applicazione. In Fig. 1.1 `e mostrato uno schema a blocchi semplificato di
un generico strumento digitale singolo. Il primo elemento della catena di misura `e
un sensore, ovvero un elemento di un sistema di misura che `e direttamente soggetto allazione di un fenomeno, di corpi o di sostanze che trasmettono la grandezza
da misurare. Come mostrato in figura il segnale in uscita al sensore `e condizionato
prima di essere inviato al convertitore analogico digitale (ADC) e a una memoria
dalla quale poi sono trasmesse le informazioni al sistema di visualizzazione, il tutto
operato in modo automatico tramite un sistema di controllo. Limportanza di avere
sensori precisi e accurati `e aumentata con lavvento di IoT (Internet of Things)
un sistema di condivisione in rete non solo di software, ma anche di dispositivi di
misura.
Una misura deve iniziare con unappropriata specificazione del misurando, del
metodo di misura e della procedura di misura. Per misurando si intende una
quantit`a soggetta a misura, valutata nello stato assunto dal sistema in osservazione
durante la stessa misura.
Per metodo di misura sintende la sequenza logica di operazioni, descritte in
modo generico, impiegate nellesecuzione delle misure.
Per procedura di misura sintende linsieme di operazioni, descritte in modo
specifico, utilizzate nellesecuzione di particolari misure, in accordo a un metodo
prefissato.
Con lo strumento di figura si esegue una misura con metodo diretto. Spesso

1.2. ERRORI E INCERTEZZA

Sensore

Sistema di
condizionamento
del segnale

ADC

Memoria

Visualizzatore
numerico

Sistema di
controllo
Figura 1.1: Schema semplificato di uno strumento digitale singolo

una prova consiste nellesecuzione di diverse misure dirette, ottenute mediante


luso di specifici strumenti. Un metodo diretto di misura permette di ottenere il
risultato della misura dalla lettura dello strumento senza necessit`a di conoscere
esplicitamente valori di altri parametri, eccetto quelli delle grandezze dinfluenza,
che saranno esaminate nel capitolo terzo.
Molto pi`
u diffusi sono sistemi che prevedono ingressi analogici e digitali multipli. I sistemi di acquisizione dati hanno la peculiarit`a di facilit`a di adattamento al
processo industriale da controllare. Si va sempre pi`
u affermando una nuova filosofia
di misura che, partendo dal punto di vista classico di misurare solo una grandezza
con uno strumento a ci`o dedicato, si sta orientando verso un vero e proprio sistema
di misura basato su un calcolatore in grado di elaborare una gran quantit`a di dati
provenienti da pi`
u sensori. A volte dalla combinazione di risultati di misure dirette
su parametri funzionalmente legati al misurando si risale, mediante lesecuzione di
calcoli, al risultato di una misura, in tal caso si parla di misure indirette o di
metodo indiretto di misura.
Qualunque sia la strumentazione utilizzata, lesecuzione corretta di una misura richiede sempre la conoscenza dellunit`a di misura, della metodologia seguita e
di alcune propriet`a della variabile da misurare, oltre che esperienza da parte delloperatore. Loperatore nel fornire il risultato della misura dovr`a essere sicuro di
aver operato correttamente ed esprimere in forma appropriata il numero, con le sue
cifre significative.

1.2

Errori e incertezza

La misurazione `e definita dal VIM (International vocabulary of basic and general


terms in metrology) il processo per ottenere sperimentalmente uno o pi`
u valori che
possono essere ragionevolmente attribuiti ad una grandezza. Essa richiede teoricamente un confronto tra una quantit`a incognita e una nota, assunta come campione.
Nessun risultato di una misura `e esente da incertezza. Quando si fornisce il risultato di una misura, occorre riportare unindicazione quantitativa sulla qualit`a del
risultato, in modo che gli utilizzatori possano valutarne la sua attendibilit`a. Senza
tale indicazione `e impossibile confrontare i risultati tra loro o con quelli forniti da
` stato quindi necessario standardizzare una procedura
uno strumento campione. E

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

per valutare ed esprimere la sua incertezza. Lincertezza di misura `e il parametro, associato al risultato di una misura, che caratterizza la dispersione dei valori
che potrebbero essere ragionevolmente attribuiti al misurando. Per misurando si
intende una quantit`a soggetta a misura, valutata nello stato assunto dal sistema
in osservazione durante la stessa misura. Le cause, facilmente intuibili, alle quali
addebitare queste incertezze possono essere:
1. la imperfezione strutturale nei componenti degli strumenti utilizzati;
2. la inadeguatezza del campione di confronto;
3. la limitatezza della scala o del sistema numerico di visualizzazione dello strumento;
4. fretta o eccessiva sicumera da parte delloperatore.
Daltra parte il solo fatto di esser obbligati ad inserire uno strumento di misura
in un sistema altera le condizioni iniziali del sistema stesso e non consente la misura
del valore che il misurando assumeva prima dellinserzione. Il processo di misura
disturba il sistema e altera il valore delle quantit`a fisiche da misurare. Lentit`a del
disturbo varia con il tipo di strumento usato per la misura. Lo studio dei mezzi per
minimizzare questo disturbo `e uno tra i principali scopi della scienza delle misure.
In letteratura si incontrano correntemente le dizioni di valore vero o valore
convenzionalmente vero, valore atteso e valore teorico a significare il
valore della grandezza che si tende a misurare. La scelta delluna o dellaltra dizione
o di dizione analoga `e stata oggetto di discussioni e dispute filosofiche, che qui non
`e il caso di esaminare; si preferir`a nel prosieguo far riferimento a quanto riportato
nella GUM Guide to the expression of uncertainty in measurement dellISO (International Organization for Standardization) stampata nel 1993, corretta nel 1995,
nel seguito indicata come Guida. La Norma europea ENV 13005 del 1999 recepisce larticolato della GUM dellISO e nel luglio del 2000 `e diventata norma italiana
sperimentale UNI CEI ENV 13005 Guida allespressione dellincertezza di misura.
In tale Norma alla definizione di errore si afferma: dato che un valore vero non si
pu`o determinare, in pratica si usa un valore convenzionale. In essa si afferma che
scopo di una misura `e di determinare il valore (non il valore vero) del misurando.
Oggi si assiste ad una netta distinzione tra un approccio classico (CA Classical Approach) alla teoria della misurazione, contrapposto a quello basato sullincertezza (UA Uncertainty Approach). Questa contrapposizione sta creando,
tra quanti si occupano di misurazioni, una pericolosa spaccatura, che vede da una
parte i difensori del CA e dallaltra i sostenitori dellUA. Si rischia, proseguendo
cos` le cose, sia di non far progredire ed affermare i nuovi concetti metrologici, legati
allincertezza, sia di far perdere un prezioso patrimonio di conoscenze, basato sugli
sviluppi che negli anni passati ha avuto la teoria degli errori. La teoria degli errori
ha consentito lo sviluppo di nuove metodologie scientifiche ed il raggiungimento di
eccellenti risultati in diversi campi del sapere. In particolare la tecnica di minimizzazione degli errori `e uno strumento di indubbia utilit`a, che continua ad essere
giustamente ancora molto usato in diversi settori della scienza e delle tecnologie.

1.3. ERRORI E LORO PROPAGAZIONE

1.3

Errori e loro propagazione

Prima di eseguire una misura si pu`o avere una stima, A, del valore del misurando.
Questa stima A pu`o essere assunta come valore convenzionalmente vero del
misurando; la sua valutazione pu`o derivare dalla disponibilit`a di un campione e dalla
conoscenza del suo valore e della sua incertezza, o anche dalla definizione convenzionale a priori del valore del misurando, o dal valor medio di misure precedentemente
eseguite con cura sullo stesso misurando, o da una indagine attraverso banche dati
su risultati di misure eseguite da altri sullo stesso misurando, o da altri casi ancora.
Allo scopo anche di operare alcune possibili correzioni alle misure eseguite, `e
tradizionalmente risultato utile introdurre il concetto di errore. Gli errori di
misura possono essere espressi come: assoluto, relativo, percentuale.
Nel caso specifico esaminato precedentemente, lerrore assoluto, E, `e definito come la differenza fra il valore misurato, X, e il valore di una grandezza di
riferimento A, assunta come valore convenzionalmente vero:
E =X A

(1.1)

`e evidente che essendo A solo una stima del valore del misurando, lerrore E `e
un concetto idealizzato e non pu`o essere mai conosciuto esattamente, quindi la
correzione non potr`a mai essere completa.
Ne deriva che una misura sar`a sempre affetta da incertezza. Occorre distinguere
le parole errore e incertezza, che non sono assolutamente dei sinonimi, ma
rappresentano concetti completamente differenti, come sar`a chiarito in seguito. Essi
non devono essere confusi luno con laltro, ne scambiati tra loro.
Lerrore relativo, e, `e definito come il rapporto tra lerrore assoluto, E, e il
valore A:
X A E
(1.2)
e=
=
A
X
Lerrore percentuale, e% , `e definito come lerrore relativo, e, espresso in
percento:
X A
e% =
100
(1.3)
A
Si vuole ora esaminare come si propagano gli errori in misure indirette.
La valutazione del modo in cui si propagano gli errori pu`o risultare utile in una fase
iniziale di scelta del metodo pi`
u corretto per lesecuzione di una misura e non va
confusa con la procedura necessaria allindicazione del risultato finale di una misura
indiretta, per cui occorre far riferimento alla propagazione dellincertezza, che sar`a
esaminata in seguito.
Si consideri una grandezza X = f (a, b, c, . . . ) funzione di diverse grandezze misurabili: a, b, c, . . . . Gli errori da cui sono affette le misure di a, b, c, . . . si propagano su
X e tale propagazione pu`o essere studiata mediante semplici tecniche matematiche.
Nellipotesi che gli errori siano sufficientemente piccoli e che sia possibile confondere lerrore assoluto, dato dallEq. 1.1, con il differenziale totale della
funzione X:
f
f
f
da +
db +
dc + . . .
(1.4)
dX =
a
b
c

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

si pu`o scrivere la seguente relazione tra lerrore assoluto sulla X, Ex , e quelli sulle
grandezze misurabili, Ea , Eb , Ec , :
Ex =

f
f
f
Ea +
Eb +
Ec + . . .
a
b
c

(1.5)

In base allEq. 1.4 `e facile esprimere lerrore relativo sulla X, in funzione degli
errori relativi su a, b, c, . . . :
ex =

a f
b f
c f
ea +
eb +
ec + . . .
X a
X b
X c

(1.6)

La validit`a dellEq. 1.6 pu`o essere dimostrata con riferimento, ad esempio, al


prodotto di due grandezze: X = ab. In base allEq. 1.2 `e possibile esprimere
il valore del misurando della grandezza X in funzione del suo errore relativo:
Ax = X(1 ex )

(1.7)

Considerando le espressioni dei valori dei misurandi delle grandezze misurabili,


a e b, in funzione degli errori relativi delle grandezze stesse, si ha:
Ax = Aa Ab = a(1 ea )b(1 eb ) = ab(1 ea eb )

(1.8)

lultima uguaglianza deriva dal fatto che il prodotto ea eb risulta trascurabile rispetto
ai singoli fattori ea ed eb . Dal confronto tra lEq. 1.7 e lEq. 1.8 si ottiene la seguente
uguaglianza:
ex = ea + eb
(1.9)
Si pu`o pertanto affermare che lerrore relativo di una grandezza X, ottenuta dal
prodotto di due grandezze misurabili a e b, `e dato dalla somma degli errori relativi
di a e b. Lo stesso risultato poteva ottenersi dallapplicazione dellEq. 1.6. Infatti:
ex =

ab
ba
ea eb = |ea | + |eb |
X
X

(1.10)

Il risultato ottenuto pu`o essere facilmente esteso ad altri casi analoghi. Ponendo
a = b si ha che lerrore relativo su un quadrato `e due volte lerrore relativo
sulla base. Se si considera X grandezza misurata e a grandezza incognita, si ha
che lerrore relativo su una radice quadrata `e la met`a dellerrore relativo
` fattori `e
sul radicando. Inoltre lerrore relativo su un prodotto di piu
dato dalla somma degli errori relativi sui singoli fattori. Cos` lerrore relativo
su una potenza con esponente n `e pari a n volte lerrore relativo sulla base, il
che `e valido per valori di n sia positivi sia negativi. Applicando lEq. 1.6, ovvero il
principio di sovrapposizione degli errori, al rapporto X = a/b, si ha:
ex =

a
ba
ea
eb = ea eb
Xb
Xb2

(1.11)

dalla quale si ricava che lerrore relativo su un rapporto `e dato dalla differenza degli errori relativi su dividendo e divisore. Poiche spesso accade in pratica

1.4. CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI E CORREZIONE

che gli errori relativi non siano noti con esattezza in entit`a e segno, se ne fissano i
limiti che delimitano la fascia di incertezza. Si preferisce quindi in genere fornire
una stima del valore massimo dellerrore relativo, ponendosi nellipotesi del caso
peggiore e sommando i moduli dei due errori relativi. Alternativo al criterio del
caso peggiore `e quello del valore pi`
u probabile, che consiste nel calcolo della
radice
quadrata della somma dei quadrati dei valori pi`
u grandi degli errori relativi:
p
(e2a + e2b ). Questa quantit`a `e maggiore di ea o di eb , ma minore della loro somma.
Si consideri ora la somma di due grandezze X = a + b; dallapplicazione dellEq. 1.6 si ha:
a |ea | + b |eb |
ex =
(1.12)
a+b
questa uguaglianza diventa ex = ea nel caso in cui ea = eb .
Infine si consideri la differenza di due grandezze X = a b; dallapplicazione
dellEq. 1.6 si ha:
a ea b eb
ex =
(1.13)
ab
LEq. 1.13 si modifica nel caso in cui si applichi il criterio del caso peggiore nella
seguente espressione:
a |ea | + b |eb |
(1.14)
ex =
ab
in base alla quale lerrore relativo su una grandezza ottenuta per differenza `e tanto
maggiore quanto pi`
u le grandezze misurabili a e b sono vicine tra loro. Ne risulta
che un metodo di misura basato sulla differenza fra due grandezze misurabili va
applicato solo in casi particolari.

1.4

Classificazione degli errori e correzione

Normalmente si distinguono due categorie di errori: accidentali e sistematici. A


queste due categorie se ne pu`o aggiungere una terza quella degli errori grossolani.
Gli errori grossolani sono quelli addebitabili a imperizia delloperatore o a
sua distrazione. Essi possono derivare da letture errate o da un uso improprio degli
strumenti, da trascrizioni non corrette dei dati sperimentali, da errori nellelaborazione dei risultati. Questi errori sono assenti dagli esperimenti condotti con cura e
attenzione: possono essere eliminati ripetendo lesperimento.
Gli errori non sistematici o accidentali , Ea , o random sono quelli che
permangono anche nellipotesi di essere riusciti a correggere tutti gli errori grossolani e sistematici. Gli errori accidentali si calcolano come la differenza tra il risultato
di una misura e la media di una serie di misure ripetute. Essi sono linsieme di
un gran numero di effetti. Le cause degli errori accidentali sono prevalentemente
imprevedibili fluttuazioni nelle condizioni operative, strumentali e ambientali. Gli
errori accidentali possono essere analizzati statisticamente, in quanto si `e trovato
empiricamente che essi sono frequentemente distribuiti secondo leggi semplici. Se
si ipotizza che le cause di errore agiscano in modo completamente aleatorio, esse
determineranno scarti dal valore medio sia positivi sia negativi. Globalmente `e da

10

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

attendersi che gli effetti mediamente si annullino, ovvero il valore atteso degli errori
accidentali `e nullo. Quindi, al limite, se si sono corretti tutti gli errori sistematici e
gli errori accidentali seguono leggi simili di variazione, il valore del misurando
tende alla media aritmetica di un numero molto elevato di osservazioni. Quanto pi`
u piccoli risultano gli errori accidentali, tanto pi`
u si dice che la
misura `e precisa.
Gli errori sistematici sono quelli che si ripresentano sempre con lo stesso
segno e la stessa ampiezza, ripetendo la misura di una grandezza con la stessa strumentazione quando siano immutate le condizioni operative e ambientali. Il VIM
definisce errore sistematico la componente dellerrore di misura che in misure
ripetute resta costante o varia in modo prevedibile. Gli errori sistematici si calcolano attraverso la differenza tra il risultato della misura o il valor medio di una serie
ripetuta di misure e una stima nota del valore del misurando o il valore convenzionalmente vero del misurando. Essi sono in genere dovuti ad una non corretta
taratura o a difetti degli strumenti. I difetti possono essere costruttivi, oppure
derivare dallavere sottoposto lo strumento a particolari condizioni o ambientali od
operative. Particolarmente temibili sono elevate temperature, forti campi elettrostatici o elettromagnetici, sovraccarichi. Gli errori strumentali possono essere ridotti
attraverso una regolazione della curva di taratura dello strumento, usandolo in
modo appropriato, maneggiandolo con cura e sottoponendolo a una frequente manutenzione. Gli errori sistematici dipendono anche dallambiente in cui si esegue
la misura. Infatti variazioni di temperatura, la presenza di campi elettromagnetici
possono influenzare in modo continuativo sia la strumentazione sia il misurando. In
tal caso si asserisce che esiste una interferenza esterna sul sistema di misura e gli
errori prendono il nome anche di condizionati. Gli errori sistematici sono difficili
da valutare e solo un operatore esperto pu`o prevenirli o correggerli. Essi possono rivestire maggiore importanza di quelli accidentali, in quanto essenzialmente da
loro dipende laccuratezza della misura. Mentre la riduzione degli errori accidentali consente di migliorare la precisione, quella degli errori sistematici permette di
migliorare laccuratezza.
Per evidenziare la presenza e lentit`a degli errori sistematici `e utile confrontare i
risultati utilizzando strumenti o metodi di misura pi`
u accurati. Si definisce correzione il valore da aggiungere algebricamente al risultato non corretto di una misura
per compensarne lerrore sistematico. Indicata con C la correzione, pari al valore
negativo dellerrore sistematico stimato, ES :
C = ES

(1.15)

una stima corretta del valore del misurando si potr`a ottenere dalla relazione:
A=X +C

(1.16)

poiche non possono essere noti perfettamente ne lerrore sistematico, ne quindi la


correzione, la compensazione non pu`o essere completa. Si definisce anche un fattore di correzione CF , per il quale va moltiplicato il risultato, X, di una misura
per compensare un errore sistematico. In tal caso lEq. 1.16 si modifica nel modo

1.5. ACCURATEZZA E PRECISIONE

11

seguente:
A = CF X

(1.17)

` ora opportuno sottolineare che lincompleta conoscenza del valore richiesto per
E
la correzione contribuisce allincertezza del risultato e che il risultato della misura, dopo la correzione, `e ancora solo una stima del valore del misurando a causa
dellincertezza, dovuta sia allimperfetta correzione, sia alla presenza degli effetti accidentali. Dopo la correzione il risultato di una misura potrebbe essere molto vicino
al valore del misurando, ovvero lerrore sistematico residuo potrebbe essere molto
piccolo, ma lincertezza di misura potrebbe essere molto grande, in quanto i fattori
che la determinano (come per esempio lincertezza sulla correzione effettuata) non
vanno confusi con gli errori. Per dirla in altri termini, lincertezza del risultato di
una misura non va confusa con lerrore sistematico residuo non corretto.

1.5

Accuratezza e precisione

Qualsiasi misura `e soggetta a limitazioni, quando si fornisce il risultato di una misura `e necessario dare anche unindicazione sullincertezza della misura stessa. In
letteratura per qualificare la bont`a di una misura si incontrano diversi termini, come
quelli di accuratezza e precisione, sui quali non si `e pervenuti a una definizione
univoca.
`
Molto spesso si usa un termine per laltro, dando luogo a grande confusione. E
bene quindi chiarire luso che di questi due termini si far`a nel seguito. Si intender`a
per accuratezza il grado di approssimazione fra un valore di una grandezza misurata e il valore convenzionalmente vero di un misurando. In tal modo si
riprende la definizione, riportata nella maggior parte dei testi in lingua inglese, di
accuracy, termine che molti traducono in lingua italiana con la parola precisione, favorendo in tal modo la confusione. Le norme internazionali consigliano di
considerare laccuratezza come un concetto qualitativo e non quantitativo. Spesso
per`o sui cataloghi e su alcuni testi si trova quantificata laccuratezza. Si trova scritto
o si sente dire che uno strumento presenta unaccuratezza dello 0, 5%, il che, se preso
alla lettera, starebbe a significare che lo strumento fornisce delle pessime prestazioni. Probabilmente invece si voleva far riferimento allincertezza. Se cos` fosse, in
modo del tutto qualitativo si dovrebbe dire semplicemente che lo strumento presenta
unottima accuratezza.
La precisione di una misura `e intesa come il grado di approssimazione fra
le indicazioni o i valori della grandezza misurata ottenuti da misure ripetute sullo
stesso oggetto o su oggetti simili in condizioni specificate.
` dei risultati delle
Il VIM riporta altri concetti simili come quelli di ripetibilita
` . La precisione di una misura a volte `e espressa numemisure e di riproducibilita
ricamente attraverso limprecisione, quantificata mediante la deviazione standard
(scarto tipo nella norma italiana) o la varianza o un coefficiente di variazione, calcolati in condizioni specificate delle misure ripetute. Il VIM associa al concetto di precisione quelli di ripetibilit`a e di riproducibilit`a dei risultati delle misure. Si definisce
` la precisione ottenuta operando in un insieme di condizioni ripetibili.
ripetibilita

12

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Si intendono condizioni ripetibili quelle che comprendono misure eseguite sullo stesso oggetto o su oggetti simili in un breve periodo di tempo, nella stessa postazione e
nelle stesse condizioni operative, seguendo la stessa procedura, impiegando gli stessi
` la
operatori e lo stesso sistema di misura. Si definisce inoltre riproducibilita
precisione ottenuta operando in un insieme di condizioni riproducibili. Si intendono
condizioni riproducibili quelle che comprendono misure ripetute sullo stesso oggetto
o su oggetti simili, in diverse postazioni, utilizzando diversi sistemi di misura che
possono seguire anche procedure differenti, con limpiego anche di vari operatori. Il
VIM introduce inoltre la definizione di precisione intermedia di misura, per cui
le condizioni di misura includono la stessa procedura, la stessa postazione e misure
ripetute sullo stesso oggetto o su oggetti simili, in un periodo di tempo esteso, ma
che possono includere altre condizioni, comprendenti anche variazioni, come nuove
tarature, nuovi calibratori, nuovi operatori o nuovi sistemi di misura.
` bene chiarire che laccuratezza e la precisione di una misura sono concetti
E
qualitativi e si sono voluti distinguere per rimarcare, come sar`a evidente in seguito,
che una bassa incertezza di misura si pu`o ottenere solo quando entrambe queste
caratteristiche sono elevate.
Esse dipendono sia dalla qualit`a degli strumenti utilizzati, sia della cura esercitata dalloperatore nellesecuzione della misura.
La precisione, in una visione estensiva, implica sia ripetibilit`a di una serie di
misure, sia un sufficiente numero di cifre significative. Quanto maggiore `e
la precisione della misura tante pi`
u cifre significative la rappresentano e gli scarti
tra le misure sono piccoli tra loro. Viceversa una misura non `e precisa, anche se
gli scarti tra pi`
u misure sono piccoli, quando sono poche le cifre significative che la
rappresentano. Per esempio se si disponesse di uno strumento digitale che consentisse
la lettura di sole due cifre della grandezza da misurare, si avrebbe una serie di misure
probabilmente ripetibili, ma non precise.
Sorge ora il problema se una misura precisa `e anche accurata e viceversa. Ebbene
si pu`o affermare che la precisione `e un requisito auspicabile ma non sufficiente per
assicurare accuratezza. Ovvero si auspica che una misura accurata sia anche precisa
e rappresentabile con un sufficiente numero di cifre significative, ma una misura
precisa non `e detto che sia anche accurata. Infatti si ipotizzi di avere uno strumento
digitale che permetta di leggere sei cifre della grandezza da misurare e inoltre di
eseguire diverse misure abbastanza vicine tra loro. Si pu`o affermare di avere eseguito
una misura precisa, nellipotesi che pi`
u misure si scostino poco tra loro, ma non `e
detto che essa sia accurata, potendo lo strumento risultare non correttamente tarato
o potendo aver perso le sue caratteristiche nel tempo a causa di degradazione di
componenti o per motivi accidentali. In alcune applicazioni, come per esempio nel
controllo di processo, spesso si richiede ripetibilit`a delle indicazioni, ovvero unottima
precisione, che risulta pi`
u importante dellaccuratezza.
Per una semplice comprensione della differenza tra accuratezza e precisione spesso si fa riferimento al tiro con larco. Si pensi ad un bersaglio costituito da tante
corone circolari attorno al cerchio centrale, che simula il misurando, mentre i tiri
sono le misure. Quando si effettuano diversi tiri e le frecce si concentrano nel cerchio
centrale le misure sono accurate e precise, se invece sono sparse su tutte le corone

1.5. ACCURATEZZA E PRECISIONE

13

circolari, dalle pi`


u centrali alle pi`
u estreme, allora le misure non sono ne accurate ne
precise. Pu`o per`o capitare che le frecce, pur essendo distanti dal cerchio centrale,
siano molto vicine tra loro, in tal caso le misure saranno precise, ma non accurate.
Soffermiamoci su questa condizione. Le frecce vicine tra loro lasciano supporre buona abilit`a da parte del tiratore. Perche allora le frecce non sono finite nel cerchio
centrale? Probabilmente a causa di un effetto sistematico dellarco, per esempio
di un non corretto allineamento del mirino (se larco ne dispone di uno) o della
corda non tesa bene. Correggendo questi effetti sistematici, ovvero nel caso di uno
strumento, effettuando una sua regolazione, si potranno avere tiri, ovvero risultati,
precisi ed accurati. Daltra parte il costruttore dellarco pu`o anche aver evidenziato leffetto sistematico nel foglio di accompagnamento dello strumento, indicando la
correzione da apportare, in termini di scostamento del tiro dal cerchio centrale. Larbitro della gara pu`o allora accettare come validi i tiri, se riscontrasse che, una volta
apportata la correzione, i tiri risulterebbero tutti nel cerchio centrale. Unultima
condizione si pu`o verificare quando il livello di accuratezza richiesto non `e elevato e
si ritengono accettabili i tiri allinterno non solo del cerchio centrale, ma anche della
prima corona circolare vicina al cerchio centrale. Se le frecce sono sparse lungo la
circonferenza della suddetta corona circolare, ma ne cadono allinterno, i tiri, ovvero
i risultati, saranno accurati, ma non precisi. Questa condizione permette di chiarire
un aspetto importante della sensoristica in campo industriale. Il fine del costruttore
`e certamente quello di realizzare sensori con le migliori prestazioni possibili, tenendo
sempre in conto il bilancio costi benefici. Tutto sta ad intendersi su quali sono le
prestazioni del sensore che lo rendono idoneo alluso. Un sensore `e idoneo quando
rispetti la sua classe di accuratezza (quasi sempre nei testi italiani indicata come classe di precisione), indicata con un numero o un simbolo, ovvero soddisfi
requisiti metrologici stabiliti, tesi a mantenere gli errori di misura o le incertezze
strumentali entro limiti specificati in relazione a determinate condizioni operative.
Quindi `e importante che il sensore rispetti le specifiche indicate dalla normativa
vigente per la particolare applicazione in cui esso sar`a impiegato. Riprendendo la
metafora del tiro con larco, larco sar`a idoneo se assicurer`a ai tiri di cadere nel cerchio centrale e nella prima corona ad esso adiacente, quando questo `e previsto dal
` inutile perfezionare larco perche i tiri cadano nel cerchio
regolamento della gara. E
centrale, specie se ci`o comporta una spesa aggiuntiva. Tale perfezionamento sar`a
necessario solo se il regolamento della gara riterr`a validi solo i tiri che raggiungono il
cerchio centrale. Non va sottaciuta a questo punto la necessit`a di abilit`a, che deriva
dallesperienza, da parte del tiratore. Un arco idoneo nelle mani di un inesperto non
fornir`a risultati soddisfacenti. Un sensore nelle mani di chi non lo sa usare serve
a molto poco. Per passare da indicazioni prevalentemente qualitative sulla bont`a
di una misura, ottenibili attraverso laccuratezza e la precisione, a rappresentazioni
quantitative del risultato di una misura, occorre quantificare lincertezza che `e un
parametro sia qualitativo sia quantitativo.
La definizione dellincertezza presuppone lesistenza del misurando allinterno
di una fascia di valori, che dipende da una deviazione standard, stabilita in base
ad un ben preciso livello di confidenza. Ne deriva chiaramente che lanalisi dellincertezza richiede semplicemente il ricorso ai principi noti della probabilit`a e della

14

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

statistica. Labbandono dellapproccio deterministico rende superata e inutile la definizione di valore vero del misurando, che `e unentit`a inconoscibile, ma rende pi`
u
difficile la comprensione di come migliorare laccuratezza di una misura. Infatti per
accuratezza si intende il grado di concordanza tra il risultato di una misurazione e
il valore convenzionalmente vero del misurando.
Normalmente si parte dal concetto di accuratezza per introdurre la taratura
di uno strumento e per far comprendere che ottenere una misura precisa, ovvero
ripetibile non fornisce assicurazioni sulla bont`a della misurazione e dello strumento,
se non `e stata regolata recentemente la sua curva di taratura e se la misura non `e
stata corretta, ovvero depurata dagli errori sistematici.
Si `e detto in precedenza che lincertezza del risultato di una misura riflette la
mancanza dellesatta conoscenza del valore del misurando e si `e anche sottolineato
che il risultato di una misura dopo la correzione `e solo una stima del valore del
misurando. Per poter quantificare lincertezza occorre introdurre alcuni semplici
concetti di statistica, che sono esaminati nei successivi paragrafi.

1.6

Taratura o calibrazione

Per stabilire in modo compiuto il valore del segnale di uscita di uno strumento di
misura, di un sensore, in condizioni di regime stazionario del misurando occorre
che sia nota una serie di parametri che definiscono le caratteristiche metrologiche
in regime permanente. La pi`
u importante fra queste caratteristiche `e la curva di
taratura o calibrazione. Purtroppo spesso si fa confusione tra taratura e regolazione
della caratteristica, per cui nel seguito si cercher`a di chiarire la loro differenza. Per
taratura o calibrazione si intende loperazione che, in condizioni specificate, in
una prima fase stabilisce una relazione tra i valori della grandezza misurata con dei
campioni di misura (tenendo conto delle loro incertezze di misura) e le corrispondenti
indicazioni dello strumento o del sensore, con associate le sue incertezze strumentali,
e in una seconda fase utilizza questa informazione per stabilire una relazione, che
consenta di ottenere il risultato di misura da unindicazione dello strumento. Attraverso la taratura si determina lincertezza strumentale dello strumento
o del sensore, valutata in genere come semi ampiezza dellintervallo di massimo
scostamento tra i valori del misurando corrispondenti ad una stessa indicazione dello
strumento o del sensore. Perche la taratura sia effettuata correttamente lincertezza
strumentale deve essere grande in confronto con le incertezze di misura associate ai
valori della grandezza ottenuti dai campioni di misura. Il costruttore `e tenuto ad
indicare le condizioni operative di riferimento definite come quelle prescritte
per la valutazione delle prestazioni del dispositivo o per il confronto dei risultati di
misura. La specifica delle condizioni operative durante la taratura richiede che siano
forniti gli intervalli dei valori sia del misurando sia delle grandezze dinfluenza.
Lespressione grafica, per esempio su un piano cartesiano, della relazione tra lindicazione dello strumento, posta su un asse, e il corrispondente risultato di misura,
posto sullaltro asse, `e definita come diagramma di taratura. In genere ad una
stessa indicazione dello strumento corrispondono diversi valori della grandezza mi-

1.6. TARATURA O CALIBRAZIONE

15

surata, i cui valori limite superiori ed inferiori definiscono la fascia dincertezza


(a volte erroneamente denominata banda derrore) e permettono la valutazione dellincertezza strumentale dello strumento. Per eseguire la taratura si deve disporre
di un generatore variabile del misurando, in grado di fornire valori in tutto il campo
di misura del dispositivo, e di uno strumento di misura, assunto come campione
e, quindi, con unincertezza strumentale molto minore di quella del dispositivo in
prova. Si fa variare il misurando entro tutto il campo di misura del dispositivo e si
ripete il ciclo diverse volte, registrando su un grafico e in una tabella per ogni indicazione del dispositivo la corrispondente misura fornita dallo strumento assunto come
campione. Per facilitare la raccolta dei dati si possono fissare in genere da otto a
dodici valori dellindicazione del dispositivo e si opera sul generatore variabile finche
non si abbiano quelle indicazioni in uscita al dispositivo, in corrispondenza delle
quali si registrano le misure fornite dallo strumento campione. Si eviti di fissare, in
modo alternativo, i valori del misurando e di registrare le corrispondenti indicazione del dispositivo, in quanto queste hanno meno cifre significative dello strumento
campione. Raccordando i punti superiori del grafico, in corrispondenza delle diverse
indicazioni del dispositivo precedentemente fissate, e i punti inferiori, si delineano
due curve che delimitano la fascia dincertezza. Allinterno di tale fascia dincertezza si pu`o ricavare una relazione biunivoca, in modo tale che ad una indicazione del
dispositivo corrisponda uno ed un sol valore della grandezza misurata, generalmente
il valor medio fra quelli relativi ad ogni singola indicazione del dispositivo.
Questa curva `e definita curva di taratura e non d`a indicazioni sullincertezza. Pertanto quando si fornisce la curva di taratura ad essa va associata lincertezza
strumentale del dispositivo o una tabella di taratura o una serie di funzioni che
consentano di delimitare la fascia dincertezza. In realt`a lutente `e interessato principalmente a conoscere lincertezza strumentale del dispositivo sullintero campo di
misura. Il costruttore quindi in genere fornisce semplicemente il valor massimo della
semi ampiezza della fascia dincertezza, esprimendo tale incertezza strumentale o in
valore assoluto o in valori percentuali riferiti alla portata o valore di fondo scala (%
FSO). Il diagramma e la curva di taratura forniscono informazioni sul comportamento del dispositivo in condizioni di regime permanente. Quando la curva di taratura
`e riconducibile ad una retta, il dispositivo `e caratterizzato da ununica costante che
lega ingresso e uscita, denominata costante di taratura del dispositivo.
Uno strumento e un sensore ideali presentano una relazione tra ingresso e uscita
ben definita data da una curva di taratura teorica, che, come si `e detto, pu`o essere
fornita dal costruttore in forma di equazione matematica, di grafico o di tabella di
valori. La curva teorica ideale `e quella rappresentata da una linea retta. Lo scostamento della curva reale da quella ideale `e dovuto a varie cause di errore, le pi`
u
frequenti fra le quali sono la non linearit`a, la deviazione dallo zero e le variazioni di
sensibilit`a. La conoscenza degli effetti di queste cause di errore pu`o consentire di effettuare la loro correzione mediante unopportuna regolazione e quindi di aumentare
la veridicit`a delle misure.
Si `e detto che il legame y = f (x) tra il misurando x e lindicazione dello strumento o sensore y in condizioni di regime stazionario potrebbe essere rappresentato
da una costante, condizione auspicabile, in quanto presupporrebbe una relazione

16

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

lineare tra i segnali dingresso e di uscita, rendendo applicabile limportante principio di sovrapposizione degli effetti. Limportanza di avere una relazione lineare
tra misurando e indicazione `e tale che, come sar`a meglio evidenziato nel paragrafo
successivo, spesso gli strumenti o semplicemente i sensori sono dotati di una serie
di componenti aggiuntivi per la linearizzazione della caratteristica. Le relazioni fra
i due segnali possono essere scritte nel modo seguente:
y = kx

x = kt y

` definita come il rapporto tra la variazione delIl parametro k `e la sensibilita


lindicazione del dispositivo e la corrispondente variazione del valore della grandezza
misurata. Essa `e legata alla pendenza della curva di taratura. Uno strumento `e
tanto pi`
u pregiato quanto pi`
u `e elevata la sua sensibilit`a, in quanto ci`o implica che
`e sufficiente una piccola variazione del misurando per avere unelevata indicazione
facilmente misurabile. La sensibilit`a non va confusa con la risoluzione, definita
come la minima variazione del misurando che d`a luogo a una variazione percettibile
della corrispondente indicazione. La risoluzione pu`o essere espressa come valore assoluto o percentuale, riferito alla massima indicazione (FSO) del sensore e in genere
pu`o avere diversi valori in differenti parti del campo di misura. Il VIM precisa che
per la determinazione della sensibilit`a la variazione da dare al misurando deve essere
superiore a quella che serve a valutare la risoluzione. La risoluzione, a sua volta `e
spesso confusa con la banda morta (termine molto diffuso tra i tecnici dellindustria), definita come lintervallo massimo allinterno del quale si pu`o far variare il
misurando in entrambi i sensi senza che si produca una variazione rivelabile nella
corrispondente indicazione dello strumento. La sensibilit`a non va neanche confusa
` , definita come la propriet`a del dispositivo, impiegato in una
con la selettivita
specifica procedura di misura, nella quale esso fornisce i valori della grandezza da
misurare, in presenza di uno o pi`
u misurandi, in modo tale che i valori di ogni misurando siano indipendenti dagli altri misurandi o da altre grandezze presenti nel
fenomeno, nel corpo o nella sostanza oggetto dellesame. Per esempio se il dispositivo
`e impiegato per misurare una sola componente di un segnale multifrequenziale, esso
sar`a tanto pi`
u selettivo quanto meno la sua indicazione sar`a disturbata dalle altre
componenti o da altri segnali a frequenza differente da quella che si vuole misurare.
Il parametro kt `e la costante di taratura dello strumento o del solo sensore che
`e il rapporto tra il segnale di ingresso e il segnale di uscita in risposta allingresso.
Essa `e un parametro che ha dimensioni date dal rapporto delle unit`a di misura del
misurando e di quella di uscita (per esempio nel caso di un sensore di spostamento
con in uscita una tensione elettrica si ha che la costante di taratura `e espressa in
metri al volt o, con una dizione preferita a livello internazionale, metri per volt).
La costante di taratura `e il fattore per cui va moltiplicata lindicazione dello strumento o del solo sensore al fine di ottenere il valore del misurando e che, in base
alle relazioni precedentemente scritte, risulta linverso della sensibilit`a. Le relazioni
scritte precedentemente presuppongono che la curva di taratura non solo sia una
retta, ma che passi anche per lorigine degli assi cartesiani, caratterizzanti il piano
(x, y). Questa condizione non sempre si verifica a causa della presenza di soglie,
grandezze note anche con il termine inglese molto diffuso di offset. Il VIM defini-

1.6. TARATURA O CALIBRAZIONE

17

sce una soglia di discriminazione come la pi`


u grande variazione del valore del
misurando che non produce alcuna variazione rivelabile nella corrispondente indicazione dello strumento o del solo sensore. In realt`a le oscillazioni della caratteristica
intorno allo zero possono causare linsorgere sia di una soglia sia di unindicazione
del sensore presente anche in assenza di segnale in ingresso, in alcuni testi inglesi
indicato come piedistallo, che pu`o essere sia positivo sia negativo. Linsorgere di
una soglia di discriminazione pu`o essere causato dalla deriva strumentale dello
strumento o del solo sensore, ovvero da una variazione continua o incrementale nel
tempo di unindicazione, dovuta ad alcune variazioni nelle propriet`a metrologiche
dello strumento o del solo sensore.
Quando, come spesso accade, lindicazione a esempio di un sensore `e di natura
elettrica `e possibile controllare la deriva e correggere gli effetti sistematici dovuti agli
offset, riportando la curva di taratura del sensore a ripartire dallorigine. Questo
aggiustamento rientra nella regolazione del sensore, definita come linsieme di
operazioni eseguite sul sensore in modo che esso fornisca le indicazioni prescritte
corrispondenti a determinati valori del misurando. La regolazione non dovrebbe
essere confusa con la taratura, che `e un suo prerequisito, anzi a rigore, dopo la
regolazione il sensore dovrebbe essere ritarato. Per effettuare la regolazione baster`a
aggiungere o sottrarre, mediante un dispositivo sommatore-sottrattore, in uscita al
sensore una grandezza uguale ed opposta a quella di offset, in modo da riportare la
retta nella posizione iniziale. La deriva strumentale del sensore pu`o causare non
solo problemi di offset, ma anche di variazioni della pendenza della retta con una
conseguente modifica della costante di taratura. Per comprendere come effettuare
la correzione di questo ulteriore effetto sistematico, si consideri la relazione y = kx.
Quando lindicazione del sensore `e di natura elettrica il contributo prevalente alla
sensibilit`a k `e dato dal guadagno di un amplificatore o di una catena di amplificatori,
posti a valle del sensore. Sar`a quindi sufficiente dotare tale catena di un amplificatore
a guadagno variabile, in modo che con una sua opportuna regolazione si riporti il
valore della pendenza della retta, ovvero della sensibilit`a e quindi della costante di
taratura, che `e il suo inverso, ai valori iniziali o nominali, indicati nelle specifiche
del sensore.
Quando il campo nominale del sensore non comprenda lo zero, la regolazione,
ovvero le correzioni da apportare in seguito alla deriva strumentale del sensore, risultano leggermente pi`
u complesse. In tal caso `e necessario conoscere i valori limite
del campo di misura e le corrispondenti indicazioni del sensore. Si indichino con
(xmin , ymin ) e (xmax , ymax ) le coordinate dei punti relativi ai suddetti valori. Per apportare la correzione generalmente si applica allingresso del sensore il valore xmin
del misurando e si aggiunge o sottrae a monte dellamplificatore una grandezza tale da render nullo il segnale in ingresso allamplificatore e quindi lindicazione del
sensore. Con questa operazione si `e fatta traslare la retta facendola passare per il
punto di coordinate (xmin , 0). Allingresso dellamplificatore si ha tensione nulla che
non influenza il valore del suo guadagno. Poiche al valore del misurando xmin deve
corrispondere lindicazione nota ymin del sensore, occorre attraverso un sommatore
aggiungere in uscita allamplificatore una tensione pari proprio a ymin , in modo tale
che al valore xmin del misurando corrisponda lindicazione ymin del sensore. A questo

18

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

punto si applica al sensore un valore del misurando pari a xmax e, agendo sullamplificatore a guadagno variabile, si fa assumere alla retta la pendenza corrispondente
alla sua costante di taratura nominale, condizione raggiunta quando la tensione in
uscita allamplificatore risulta pari a ymax ymin , in modo tale che la corrispondente indicazione del sensore sia ymax , visto che alluscita dellamplificatore `e sempre
sommata una tensione pari a ymin . Quindi, anche in questo caso, impiegando due
semplici sommatori-sottrattori, uno a monte e uno a valle dellamplificatore, con
una sola traslazione della caratteristica e una sola variazione del guadagno si sono
apportate le correzioni necessarie a riportare il sensore allinterno delle sue specifiche. Al termine di queste operazioni il sensore `e stato regolato. Quando queste
operazioni sono effettuate automaticamente, si dice che il sensore `e dotato della
funzione di autoregolazione della curva di taratura. Spesso questa operazione
`e detta impropriamente autotaratura. Poiche lautoregolazione pu`o essere eseguita
frequentemente e allo scopo di non sollecitare indebitamente il sensore con il valore
massimo del suo misurando si scelgono coppie di valori misurando-indicazione differenti da quelle limiti del campo nominale. Ci`o presuppone che la caratteristica non
si discosti da un andamento lineare, il che consente di considerare due punti qualsiasi, purche non troppo vicini tra loro, per le inevitabili incertezze che accompagnano
tutti i processi di misura.
Un altro effetto sistematico pi`
u difficile da correggere `e rappresentato dallisteresi
che `e la massima differenza tra le indicazioni dello strumento o del solo sensore corrispondenti al medesimo misurando quando la misura `e eseguita procedendo per valori
prima crescenti e poi decrescenti del misurando stesso nellambito del suo intervallo
di misura. Essa d`a luogo ad un errore sistematico in genere espresso in per cento
del fondo scala, `e presente in diversi componenti ed `e causata da un ritardo nellazione di un elemento. Valori diversi dellisteresi si presentano al variare del campo
di escursione del misurando. Essa `e massima quando il misurando varia dallinizio
della scala fino al fondo scala e viceversa. Un errore analogo a quello causato dalla
presenza dellisteresi `e quello di frizione, presente ad esempio nei potenziometri dove
una spazzola scorre su delle spire.
Al costruttore si richiede di assicurare la ripetibilit`a delle misure durante tutta
la vita utile dello strumento o del solo sensore, quali che siano le grandezze din`,
fluenza che su esso possano agire. La ripetibilit`a nel tempo `e detta stabilita
definita come la propriet`a dello strumento o del solo sensore di conservare le sue
caratteristiche metrologiche costanti nel corso del tempo. Quanto pi`
u sar`a stabile
il dispositivo tanto minore sar`a nel tempo il numero di regolazioni da apportare
alla curva di taratura. Per ottenere la curva di taratura, una volta disponibile il
diagramma di taratura, si possono utilizzare diversi algoritmi matematici, il metodo
pi`
u utilizzato `e quello dei minimi quadrati, noto anche con lacronimo inglese LSM
(least square method ), che sar`a esaminato nellultimo paragrafo di questo capitolo.
Lalgoritmo LSM `e ormai disponibile non solo tra i pacchetti software di statistica,
ma anche nelle calcolatrici scientifiche tascabili. Si assume per ogni indicazione dello
strumento o del solo sensore il valor medio fra quelli del misurando relativi alla suddetta indicazione. Operando in tal modo si ottengono tante coppie di coordinate,
in numero n, quante sono le indicazioni del dispositivo prefissate in sede di taratura

1.6. TARATURA O CALIBRAZIONE

19

(come si `e detto in precedenza, in genere si fissano da otto a dodici indicazioni),


ottenendo altrettanti punti sperimentali sul piano cartesiano. Si inizia con il fissare
come curva teorica una retta di equazioni y = k1 x + q, dove k1 `e la sensibilit`a di
misura e q rappresenta il valore del possibile offset. Per il calcolo dei due parametri
k1 e q, si applica lLSM, minimizzando la somma degli scarti quadratici fra i punti
sperimentali sul piano cartesiano e la retta di equazione data, tale somma `e definita
funzione obiettivo, F. Si passa poi a fissare come curva teorica una quadratica,
per esempio del tipo y = k2 x2 + k1 x + q, e si applica nuovamente lLSM. Se il minimo della nuova funzione obiettivo `e inferiore a quello ottenuto per la retta vorr`a
dire che la funzione quadratica raccorda i punti sperimentali meglio di quanto non
avvenga con la retta. Si passa quindi a fissare come curva teorica una cubica, per
esempio del tipo y = k3 x3 + k2 x2 + k1 x + q, e si applica nuovamente lLSM. Se il
minimo della nuova funzione obiettivo `e inferiore a quello ottenuto per la funzione
quadratica vorr`a dire che la funzione cubica raccorda i punti sperimentali meglio di
quanto non avvenga con le due curve precedenti. Il processo si ferma non appena
la curva di taratura rientra allinterno della fascia di incertezza, specie se tale funzione `e una retta, in quanto la caratteristica rettilinea `e particolarmente apprezzata
negli strumenti di misura. Si pu`o anche verificare che lo scarto tipo o deviazione
standard della funzione obiettivo, calcolata come la radice quadrata della stessa
funzione diviso per il numero n di punti sperimentali, = (F/n)1/2 , risulti minore
della semi ampiezza del massimo scarto misurato sulla fascia dincertezza, ovvero
dellincertezza strumentale del dispositivo.
Quando si effettua la verifica della taratura si assume come curva teorica di
riferimento per lapplicazione per esempio dellLSM quella fornita dal costruttore.
La verifica della taratura `e positiva se lampiezza massima della fascia dincertezza
misurata `e inferiore al doppio dellincertezza strumentale indicata dal costruttore.
Tra i dati della verifica che si forniscono vi `e anche il massimo scarto tra la curva di
taratura sperimentale ricavata e quella fornita dal costruttore.
`,
Quando la curva di riferimento `e una retta si fornisce lerrore di linearita
che `e unindicazione di quanto la curva di taratura si discosti dallandamento rettilineo. A significare la sua rilevanza si fa presente che lerrore di linearit`a `e una delle
caratteristiche indicate dal costruttore nel foglio illustrativo o nel manuale di accompagnamento dello strumento o del sensore. Lerrore di linearit`a, indicato molto
spesso semplicemente come linearit`a, `e espresso in funzione del valor massimo dello
scostamento dei singoli punti della curva di taratura da una retta di riferimento
opportunamente definita.
Esistono tanti tipi di linearit`a quanti sono i modi di stabilire la retta di riferi` riferita alla retta teorica `e relativa ad una retta di
mento. La linearita
equazione y = kx, che passa per lo zero e per il punto che ha coordinate prefissate, senza alcun riferimento a valori misurati. Se queste coordinate corrispondono al
cento per cento del fondo scala sia del misurando sia dellindicazione dello strumento
` terminale. La linearita
` riferio del sensore, si ha la cosiddetta linearita
ta agli estremi `e relativa alla retta che si ottiene congiungendo i punti estremi
ottenuti durante la taratura dello strumento o del sensore. In tal caso in genere si richiede che siano fornite le incertezze con cui sono stati ottenuti questi punti estremi.

20

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

` indipendente `e riferita alla retta migliore ottenuta come linea


La linearita
media tra due rette parallele il pi`
u vicino possibile tra loro e in grado di avere al loro
` secondo i
interno tutti i valori misurati nel corso della taratura. La linearita
minimi quadrati fa riferimento alla retta ottenuta applicando il metodo dei minimi
quadrati, ovvero minimizzando la somma dei quadrati degli scostamenti. Si trovano
anche altri tipi di linearit`a ottenute imponendo il passaggio della retta da punti
`
prefissati, come ad esempio quello corrispondente al misurando nullo (linearita
riferita allo zero), ma quelle precedentemente esaminate sono le pi`
u utilizzate.

1.7

Linearizzazione della curva di taratura

Da quanto esposto precedentemente `e evidente la rilevanza che assume la linearit`a


nella definizione delle caratteristiche dello strumento o del sensore. Con una funzione
lineare `e possibile sia applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, sia risalire
al valore del misurando dallindicazione del dispositivo attraverso facili operazioni
di prodotti o divisioni e somme o sottrazioni, tutte disponibili in semplici strutture
elettroniche o nelle prestazioni di un elaboratore numerico. Purtroppo raramente
la funzione y = f (x) che lega il misurando x allindicazione y dello strumento o del
sensore `e di tipo lineare. In molti casi, per`o, con opportuni accorgimenti `e possibile
ricondurre la curva di taratura ad una retta o, per meglio dire, far rientrare una
retta allinterno della fascia dincertezza e fornire lerrore di linearit`a in funzione
dello scostamento massimo tra tale retta e la reale curva di taratura. Si pensi, per
fare semplici esempi, a funzioni quadratiche o esponenziali, `e possibile effettuare loperazione descritta in zone limitate delle curve rappresentative di tali funzioni. Ne
scaturiscono due possibili soluzioni per la linearizzazione o considerare un intervallo
di misura limitato o linearizzare a tratti la caratteristica, suddividendo il campo in
tanti intervalli di misura ciascuno caratterizzato da una diversa costante di taratura. Questa soluzione attualmente `e la pi`
u adottata per la facilit`a di realizzazione
attraverso lelaborazione numerica. Infatti, in genere molti strumenti e sensori sono dotati di un sistema automatico di scelta della portata. Il microprocessore in
corrispondenza della portata scelta ricava il valore del misurando x in genere da
unequazione del tipo y = kx + q, avendo memorizzati in corrispondenza di quella
portata i corrispondenti valori di k e q.
Molti dispositivi hanno un segnale in uscita di tipo elettrico ed integrano al loro
interno circuiti elettronici che presentano caratteristiche non lineari. Nei dispositivi
` si utilizzano diverse
integrati, molto spesso, per ridurre lerrore di linearita
soluzioni di tipo analogico che permettono la linearizzazione delle caratteristica stazionaria. Una tecnica molto semplice consiste nel porre un derivatore in parallelo o
un resistore addizionale in serie al dispositivo o al componente non lineare allinterno
di un trasduttore, in modo tale che, a parit`a di indicazione, circoli nel dispositivo
o nel componente non lineare una corrente inferiore, nel caso di derivatore in parallelo, o superiore, nel caso di resistore in serie, rispetto a quella che circolerebbe
in assenza della resistenza. La scelta del derivatore in parallelo `e operata quando il
componente presenta una buona linearit`a a bassi valori di corrente e la perde con il

1.7. LINEARIZZAZIONE DELLA CURVA DI TARATURA

21

superamento di una soglia di corrente, condizione detta di saturazione. Si fa in modo


che il derivatore assorba una corrente tale che nel campo di misura del dispositivo
questo non raggiunga mai la condizione di saturazione. In genere quando si opera
la linearizzazione con derivatore in parallelo i dispositivi sono schematizzati con un
generatore equivalente di corrente. Nel caso si predisponga il sensore addizionale in
serie al componente non lineare, la tecnica funziona a condizione che il segnale di
uscita sia prelevato ai capi del resistore addizionale ed `e analoga a quella impiegata
per la linearizzazione della caratteristica di un diodo, come mostrato nella Fig. 1.2.
La scelta del resistore addizionale in serie si opera quando, come nel caso del diodo,
la non linearit`a del componente `e relativa al primo tratto della caratteristica, per
cui si fa in modo che la prima indicazione del dispositivo si abbia quando la corrente
che in esso circola supera il valore da cui inizia la caratteristica lineare. In genere
quando si opera la linearizzazione con resistore addizionale in serie i dispositivi sono
schematizzati con un generatore equivalente di tensione.
In Fig 1.2 `e mostrato come linserimento del resistore di resistenza RS1 migliora la linearit`a del diodo. Durante la semionda positiva il diodo D1 non conduce e
lamperometro A, di resistenza interna Rm , sar`a attraversato da una corrente caratterizzata solo dalle semionde positive, per effetto dellazione raddrizzatrice del
diodo D2 . Durante la semionda negativa il diodo D1 conduce, in modo che ai capi
del circuito a valle sia applicata una tensione trascurabile. Come risultato si ha che
si riduce considerevolmente leffetto della corrente inversa e inoltre non vi `e possibilit`a di scarica del diodo D2 . Lo scopo del resistore addizionale RS1 in serie al
diodo `e quello di far s` che durante la semionda positiva circoli nel diodo D2 una
corrente superiore rispetto a quella misurata dallamperometro. In tal modo il diodo
D2 potr`a operare in zona lineare della sua caratteristica, anche in corrispondenza di
bassi valori di tensione e quindi di corrente.
` bene evidenziare che la presenza del derivatore in parallelo o del resistore adE
dizionale in serie degrada sia la risoluzione sia la sensibilit`a del dispositivo in quanto
aumenter`a la variazione del misurando che dia luogo a una variazione percettibile
della corrispondente indicazione del dispositivo ed inoltre per avere la stessa variazione dellindicazione del dispositivo, che si aveva prima dellinserimento del resistore,
occorrer`a una maggiore variazione del valore della grandezza misurata. La resistenza del derivatore in parallelo o del resistore addizionale in serie deve essere scelta
in modo da rendere piccolo lerrore di linearit`a rispetto allincertezza strumentale
del dispositivo senza che ci`o comporti un degrado eccessivo della risoluzione e della
sensibilit`a.
Non va neanche sottaciuto che la tecnica analogica di linearizzazione esposta `e
applicabile quando, come nel caso del diodo, la caratteristica y = f (x) presenta una
concavit`a verso il basso. Nel caso la concavit`a fosse verso lalto infatti occorrerebbe
una resistenza negativa, che richiede il ricorso a circuiti elettronici pi`
u complessi di
quelli rappresentati da un semplice resistore. Un altro sistema di linearizzazione
della caratteristica con tecniche analogiche `e quello di ricorrere a sistemi con controreazione negativa, infatti `e noto che una controreazione negativa consente di limitare
le distorsioni e di linearizzare la risposta. Anche in questo caso si ha una riduzione
della sensibilit`a che `e tanto pi`
u accentuata quanto maggiore `e il fattore di reazione.

22

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA


RS
a

D1

RS1

D2
Rm

b
Figura 1.2: Linearizzazione della caratteristica di un diodo raddrizzatore

Molto spesso si impiegano blocchi analogici con caratteristica inversa a quella del
dispositivo. Per esempio sono ampiamente impiegati amplificatori logaritmici con
caratteristiche esponenziali. Un metodo pi`
u recente che si `e molto diffuso negli smart
sensor `e quello di impiegare un convertitore analogico digitale, ADC, con caratteristica non lineare tale da compensare la non linearit`a del sensore, in questo modo
la conversione e la linearizzazione sono effettuate contemporaneamente utilizzando
ununica unit`a fisica. Sono stati proposti al riguardo diversi schemi di conversione
che in genere si basano sul principio di adattare la conversione alle caratteristiche
non lineari del sensore. Unaltra tecnica `e quella di realizzare un ADC con una
caratteristica che a tratti approssimi la caratteristica inversa del sensore.

Come si `e accennato inizialmente le tecniche che si vanno pi`


u diffondendo per
la linearizzazione della caratteristica stazionaria dei dispositivi sono quelle di tipo
numerico. La pi`
u semplice `e realizzata col memorizzare in una ROM (read only
memory) la caratteristica inversa del dispositivo con associati gli errori di linearit`a
e di indirizzare luscita dellADC in quella zona di memoria per apportare la correzione. Tecniche pi`
u evolute si basano su un approccio adattativo costituito da due
fasi. La prima delle quali consiste nellinvertire la caratteristica del sensore e nel
suddividerla in diversi tratti, a questo scopo `e molto usato lo schema iterativo di
Newton-Raphson. La seconda fase consiste nella implementazione di un algoritmo
iterativo in grado di migliorare con continuit`a la linearit`a dei tratti in cui `e stata
suddivisa la caratteristica inversa di uno strumento o del semplice sensore, utilizzando una procedura basata sulla minimizzazione dellerrore di linearit`a relativo ai
diversi tratti. Lalgoritmo inoltre aggiorna continuamente la tabella delle correzioni,
rendendo trascurabile nei risultati forniti lerrore di linearit`a.

1.8. MEDIA POLARIZZAZIONE E DEVIAZIONE

1.8

23

Media polarizzazione e deviazione

Se si considera un insieme Xi di n misure, dove con Xi si `e indicato il risultato della


i-esima misura, si definisce media aritmetica, X, delle n misure:
n

1X
Xi
n i=1

X=

(1.18)

Nel calcolo della media a volte pu`o essere conveniente attribuire maggiore rilievo
a delle misure pi`
u attendibili o maggiormente significative. Allo scopo si moltiplica
ciascuna misura per un appropriato fattore peso, wi , e si divide la somma di questi
prodotti per la somma dei fattori peso ottenendo una media pesata, Xp :
n
P

Xp =

wi X i

i=1
n
P

(1.19)
wi

i=1

Si noti che lEq. 1.19 coinciderebbe con lEq. 1.18 nel caso in cui tutti i pesi
fossero uguali. Si pu`o utilizzare come i-esimo peso la quantit`a 1/2u2i , dove ui `e
lincertezza relativa della i-esima misura.
In base alle considerazioni fatte sugli errori, prescindendo momentaneamente
dallincertezza di misura, indicati con Esi e Eai gli errori sistematici e accidentali
relativi alla i-esima misura, questa potrebbe essere scritta nel modo seguente:
Xi = A + Esi + Eai

(1.20)

che sostituita nellEq. 1.18 consente di esprimere la media nella forma seguente:
n

1X
1X
X =A+
Esi +
Eai
n i=1
n i=1

(1.21)

Gli errori accidentali Eai rappresentano una tipica variabile aleatoria con valor
medio che si approssima a zero per n che tende allinfinito. DallEq. 1.21 si ricava
quindi che la media aritmetica di un insieme di misure `e una stima del valore del
misurando, tanto migliore quanto maggiore `e il numero di misure e quanto pi`
u sono
stati corretti gli errori sistematici. Si noti inoltre che lEq. 1.21 si pu`o esprimere
anche nella forma:
n
1X
X A=
Esi
(1.22)
n i=1
La differenza fra il valor medio e la stima A del misurando si definisce bias, che
ha una difficile traduzione in italiano, da alcuni `e tradotto come polarizzazione,
da altri distorsione ed `e un indice dellinaccuratezza di una misura.
La polarizzazione rappresenta la media degli errori sistematici e sar`a tanto pi`
u
piccola, quanto migliori saranno le correzioni apportate alle misure. Essa `e detta
anche errore sistematico e con il segno meno rappresenta la correzione totale

24

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

da apportare alle misure per migliorarne laccuratezza. Tale correzione `e sempre


accompagnata da una propria incertezza.
La dispersione delle misure intorno al valor medio si pu`o valutare introducendo
la definizione di deviazione della misura Xi come la seguente differenza:
di = Xi X

(1.23)

essa `e denominata anche residuo e a volte `e definita come la somma tra Xi e la


media.
Per quantificare la dispersione dellinsieme delle misure si potrebbe pensare di
valutare la media delle deviazioni, ma, in base alla definizione data di deviazione, la
sua media `e sempre zero:
n

1X
1X
1X
di =
(Xi X) =
Xi X = 0
n i=1
n i=1
n i=1

(1.24)

e quindi non pu`o essere un indice della dispersione. Si pu`o ovviare a ci`o considerando
la deviazione media come la media dei valori assoluti delle deviazioni:
=

n
n

1X
1 X
Xi X
|di | =
n i=1
n i=1

(1.25)

anche se non utilizzata tanto quanto la deviazione standard.

1.9

Deviazione standard, varianza e momento centrale

La pi`
u importante misura della dispersione `e la deviazione standard, normalmente indicata con . La deviazione standard del campione di dati in esame `e
definita in termini dei quadrati delle deviazioni della media nel modo seguente:
v
v
u n
u n
u1 X 2 u1 X

(1.26)
di = t
(Xi X)2
=t
n i=1
n i=1
Si definisce invece come varianza del campione delle misure il quadrato della deviazione standard, ovvero la somma delle deviazioni quadratiche delle misure dal
loro valor medio diviso per il numero delle misure:
n

1X 2
1X

di =
(Xi X)2
=
n i=1
n i=1
2

(1.27)

la presenza del segno di allincirca uguale presente nelle Eq. 1.26 e Eq. 1.27 deriva
dal fatto che la varianza di un campione di una popolazione cos` come la deviazione
standard, definite dalle precedenti equazioni, rappresentano stime distorte dei loro
valori attesi. Infatti il numero di deviazioni indipendenti ovvero il grado di

`
1.10. CONCETTI DI FREQUENZA E DI PROBABILITA

25

` non `e = n bens` = n 1, in quanto per il calcolo della deviazione


liberta
standard e della varianza occorre valutare la media, servendosi dello stesso insieme
di dati. I gradi di libert`a di una variabile aleatoria o di una statistica in genere,
esprimono il numero di dati effettivamente disponibili per valutare la quantit`a dinformazione contenuta nella statistica. Infatti, quando un dato non `e indipendente,
` poslinformazione che esso fornisce `e gi`a contenuta implicitamente negli altri. E
sibile quindi calcolare le statistiche utilizzando soltanto il numero di osservazioni
indipendenti, consentendo in questo modo di ottenere stime non distorte dei risultati. Il concetto di gradi libert`a fu introdotto in statistica da Ronald Fisher negli
anni 1920. Stime non distorte della deviazione standard e della varianza sono date
dalle seguenti espressioni:
v
u
n
u 1 X
t
(Xi X)2
(1.28)
s=
n 1 i=1
n

1 X
s =
(Xi X)2
n 1 i=1
2

(1.29)

Esse sono note anche come stime corrette di Bessel. La sostituzione di n


con n 1 non ha importanza pratica, in quanto, per avere una buona precisione, n
` bene sottolineare, in base
deve essere abbastanza grande, come in genere accade. E
alle Eq. 1.28 e Eq. 1.29, che sia la deviazione standard sia la varianza decrescono al
ridursi degli errori accidentali, il che chiarisce limportanza dellapproccio statistico
per la minimizzazione di questi errori e per ridurre lincertezza La varianza `e anche
comunemente indicata come scarto quadratico medio. Si definisce momento
centrale di ordine q la media aritmetica della potenza q-esima della differenza tra
i valori misurati e la loro media:
n

1X
(Xi X)q
n i=1

(1.30)

` evidente in base alle equazioni precedenti che il momento centrale di ordine 1


E
`e uguale a zero e che la varianza di un campione di misure `e il momento centrale di
ordine 2 del campione stesso.

1.10

Concetti di frequenza e di probabilit`


a

La comprensione di un fenomeno fisico pu`o essere facilitata da un esame visivo dei


risultati di misure ripetute di una grandezza o pi`
u in generale di dati statistici. Sorge
il problema sul modo migliore di rappresentare graficamente i dati disponibili. Un
ausilio pu`o rivenire dalla frequenza, Fi , delle misure, ovvero dal numero di volte
che si ripete la generica misura Xi delle n eseguite. Si definisce inoltre, frequenza
relativa, fi , la frequenza, Fi , divisa per il numero n di prove eseguite. Nel caso in
cui tutte le misure fossero diverse le une dalle altre, la frequenza relativa risulterebbe

26

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

uguale per tutte e pari a 1/n. Ad evitare ci`o `e preferibile raggruppare le misure in
k gruppi o classi. La frequenza relativa `e allora rappresentata dal numero di misure
che cadono in ogni classe, diviso per n. In un istogramma la frequenza relativa
rappresenta larea di un generico intervallino, in quanto si assume unitaria lampiezza
delle singole classi in cui sono suddivise le misure, come mostrato in Fig. 1.3. Inoltre
larea sottesa dallistogramma `e unitaria, in quanto la somma di tutte le frequenze
relative `e lunit`a:
k
k
X
1X
ni = 1
(1.31)
fi =
n i=1
i=1
dove con ni si `e indicato il numero di risultati che cadono nella generica classe o
intervallino Xi = (Xmax Xmin )/K, dove con Xmax e Xmin si sono indicati rispettivamente i valori massimo e minimo dellinsieme dei risultati e con k il numero di
classi. Nel caso sia difficile porre uguale ad 1X, si definisce una frequenza specifica
data da fi diviso per lampiezza delli-esimo intervallino, in modo che fi sia sempre
uguale allarea delli-esimo rettangolo costituente listogramma. Listogramma di
Fig. 1.3 si modifica in quello di Fig. 1.4, nel caso in cui i risultati delle n prove si
ripetano singolarmente, come avviene, per esempio, quando si considerino i risultati
del lancio di due dadi (intero compreso tra due e dodici). La media degli eventi `e
ottenibile dalla somma dei prodotti fra i risultati delle prove e il numero delle volte
che essi possono verificarsi, ni = nfi , diviso per il numero delle prove eseguite, pari
a n:
k
k
X
1X
X=
Xic nfi =
Xic fi
(1.32)
n i=1
i=1
dove Xic `e il valor medio delle misure nellintervallino Xi . La media risulta pertanto
indipendente dal numero n di prove eseguite. In base allEq. 1.32 si pu`o affermare
che la media di una serie di eventi ripetibili `e una media pesata i cui pesi sono
rappresentati dalle frequenze relative fi . Nel caso in cui i risultati siano raggruppati
in classi, si assumer`a per Xic , da porre nellEq. 1.30, come si `e detto il valor medio
dei risultati relativi alla generica classe o intervallino Xi . La deviazione media,
la deviazione standard e la varianza assumono le seguenti espressioni:
v
u k
k
uX
X
X

=
fi Xic X
=t
fi (Xic X)2
2
fi (Xic X)2 (1.33)
=
i

i=1

i=1

In genere le frequenze relative variano con il numero delle prove eseguite e tendono ad assumere valori sempre pi`
u stabili quanto pi`
u n aumenta, fino ad un valore
` dellevento.
limite ben definito detto probabilita
Indicato con X un evento qualsiasi dellinsieme S di eventi aleatori, la probabilit`a
che si verifichi levento X `e sempre compresa tra 0 e 1. La probabilit`a di tutti gli
eventi `e la certezza:
0 < Pr(X) < 1
Pr(S) = 1
(1.34)
In genere se pr `e la probabilit`a che levento X assuma il risultato xr si scriver`a:
pr = Pr(X = xr )

`
1.10. CONCETTI DI FREQUENZA E DI PROBABILITA

27

fi

Figura 1.3: Istogramma dei risultati di una prova

fi

x
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Figura 1.4: Probabilit`a relative al lancio di una prova di due

Si consideri ora la variabile discreta xi e siano pi le corrispondenti probabilit`a,


` di massa di X
per cui Pr(X = xi ) = pi . Si definisce funzione di probabilita
la seguente funzione:
(
pi quando x = xi , (i = 1, . . . , n)
(1.35)
p(x) =
0, altrove
per cui risulta in base alla seconda dellEq. 1.34:

X
p(xi ) = 1

(1.36)

i=1

In Tabella 1.1 sono riportate le probabilit`a relative ai risultati del lancio di due
dadi. Si pu`o verificare facilmente che la somma di tutte le probabilit`a `e pari ad 1.

28

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA


x
pi
xpi
2 1/36 1/18
3 1/18 3/18
4 1/12 1/3
5 1/9
5/9
6 5/36 5/6
7 1/6
7/6
8 5/36 10/9
9 1/9
1
10 1/12 5/6
11 1/18 11/18
12 1/36 1/3
Tabella 1.1: Probabilit`a del lancio di due dadi

1.11

Leggi di distribuzione di probabilit`


a

` si consideri una serie


Per introdurre il concetto di distribuzione di probabilita
di prove molto estesa, i cui risultati numerici siano rappresentati dallinsieme xi
di n elementi. Esister`a una certa probabilit`a Pr(X x), tale che la variabile
X, non necessariamente discreta, assuma qualsiasi valore pi`
u piccolo o uguale a x.
Questa funzione prende il nome di funzione di distribuzione cumulativa della
variabile X e sar`a indicata nel seguito con F (x):
F (x) = Pr(X x)

(1.37)

Se ora si considerano due numeri reali a e b si avr`a:


Pr(a < X b) = P (X b) P (X a) = F (b) F (a)

(1.38)

Si ipotizzi ora che X sia una variabile aleatoria continua, in tal caso `e necessario introdurre una nuova funzione, la densit`a della distribuzione di probabilit`a o,
` di probabilita
` , definita come la derivata della
brevemente, funzione densita
funzione di distribuzione: p(x) = dF (x)/ dx, per cui:
Z x
F (x) =
p(x) dx
(1.39)

la funzione densit`a di probabilit`a `e indicata a volte anche con f (x). In base allEq. 1.39 si ha:
Z +
F (x) =
p(x) dx = 1
(1.40)

Se `e soddisfatta lEq. 1.40 si dice che la funzione p(x) `e normalizzata. Nota la p(x)
`e possibile calcolare ad esempio la probabilit`a che x cada nellintervallo (x, x + x)
mediante il seguente integrale:
Z x+x
Pr(x < X < x + x) = F (x + x) F (x) =
p(x) dx
(1.41)
x

`
1.11. LEGGI DI DISTRIBUZIONE DI PROBABILITA

29

la probabilit`a `e uguale allarea sottesa dalla curva della densit`a p(x) compresa tra
x e x + x.
La funzione densit`a di probabilit`a, se nota a priori completamente o parzialmente, pu`o essere utilizzata per migliorare la precisione della misura e anche per ridurre
lincertezza.
Essa `e stata considerata una funzione continua, in cui la variabile x pu`o assumere
tutti i valori nel campo [, +], il che contrasta con il campione limitato da cui
si `e partiti.
In realt`a un numero finito di osservazioni pu`o essere considerato solo un campione di un insieme infinito che presenta una certa funzione densit`a di probabilit`a.
Listogramma delle probabilit`a di occorrenza degli eventi relativi al campione `e una
approssimazione della curva p(x) e il grado di approssimazione dipende dal numero
di prove e dallampiezza in cui i risultati sono raggruppati.
Per distinguere i risultati ottenuti con un piccolo numero di prove da quelli relativi ad un numero molto grande, si usa considerare i risultati derivanti da un numero
limitato di prove come una stima di queste funzioni. In termini statistici il valore
atteso, o speranza matematica, o semplicemente laspettazione, o la media
statistica di una variabile aleatoria discreta {xi } si esprime simbolicamente come E[xi ]. A tale funzione si applicano le stesse propriet`a della sommatoria per le
variabili discrete e dellintegrale per le variabili continue:
x = E [X] =

k
X

p i xi

(1.42)

i=1

la grandezza x prende anche il nome di media della distribuzione della variabile aleatoria. Nel caso di variabili aleatorie continue qualora sia nota la funzione
densit`a di probabilit`a p(x) della variabile continua X, laspettazione se esiste `e:
Z +
xp(x) dx
(1.43)
x = E [X] =

la deviazione media, la deviazione standard e la varianza della distribuzione assumono le seguenti espressioni:
Z
=
sZ

(1.44)

(x )2 p(x) dx

(1.45)

(x )2 p(x) dx

(1.46)

=
2 =

|x | p(x) dx

Z +

Si noti quindi che per il calcolo delle aspettazioni `e necessario conoscere, per
variabili aleatorie discrete, la funzione di probabilit`a di massa, per variabili aleatorie
continue, la funzione densit`a di probabilit`a. Si `e detto che la media aritmetica

30

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

rappresenta una stima del valore del misurando quando siano stati corretti gli errori
` bene precisare che mentre la media aritmetica `e una
sistematici correggibili. E
stima dellaspettazione , la grandezza A, che compare nellEq. 1.1, `e una stima
dellaspettazione del misurando.

1.12

Distribuzione uniforme

Si consideri un intervallo (a, b) della variabile aleatoria X, si dice che la funzione di


distribuzione `e uniforme se la probabilit`a Pr(X x) aumenta in modo uniforme al
crescere di x tra a e b:

0
x<a

x a
a<xb
(1.47)
F (X) =

ba

1
x>b
E presenta quindi una funzione densit`a di probabilit`a data da:

1
p(X) =

ba

x<a
a<xb
x>b

In Fig. 1.5 `e riportato landamento di tali funzioni


p(x)
1
ba

F (x)
1

Figura 1.5: Funzione di distribuzione di probabilit`a con legge uniforme

La media e la varianza di tale distribuzione sono pari a:

(1.48)

1.13. DISTRIBUZIONE DI GAUSS

31

Z b
1
b 2 a2
a+b
=
x dx =
=
ba a
2(b a)
2
Z b
Z b
1
1
2 =
(x )2 dx =
x2 dx1 =
ba a
b a a 1
"
3 
3 #
(b )3 (a )3
1
ba
ba
(b a)2
=
=
+
=
3(b a)
3(b a)
2
2
12

1.13

(1.49)

Distribuzione di Gauss

La distribuzione detta normale fu derivata da Demoivre nel 1733 studiando i problemi associati con il lancio di monete.
Pi`
u tardi, in modo autonomo, essa fu ricavata da Laplace e da Gauss, dal quale
prende il nome. Fu Gauss che lapplic`o per primo alla distribuzione degli errori
accidentali su dati astronomici e scientifici in genere.
La distribuzione di Gauss ha grande importanza pratica, nel campo della teoria
degli errori e delle incertezze, per diverse ragioni. In particolare essa descrive, in
molti gruppi di misure effettuate in diversi campi, la distribuzione degli errori
aleatori e permette la valutazione di tipo A delle incertezze.
Per questo motivo essa prende anche il nome di funzione errore normale.
La distribuzione di Gauss da alcuni `e considerata un risultato derivato matematicamente da considerazioni elementari, da altri una formula empirica che bene si
raccorda con la teoria degli errori aleatori. Questo secondo punto di vista appare,
pur se pragmatico, sostenuto dal fatto che molti insiemi di osservazioni sperimentali presentano una distribuzione degli errori aleatori che `e bene approssimata dalla
curva di Gauss.
Daltra parte `e bene sottolineare che una distribuzione binomiale approssima
molto bene la curva di errore normale quando n `e molto grande, anche se vi `e
la differenza sostanziale che la distribuzione binomiale `e discreta, mentre quella
normale `e continua.
La distribuzione di Gauss ha per funzione densit`a:
2 (xm)2

p(x) = Aeh

(1.50)

dove A, h e m sono delle costanti.


In Fig. 1.6 `e riportata tale tale funzione che ha un valor massimo pari ad A, in
corrispondenza di x = m.
Inoltre la curva `e simmetrica rispetto alla retta x = m.
Per x = m 1/h la funzione assume lo stesso valore pari a A/e.
La costante h fornisce unindicazione della maggiore o minore larghezza della
curva a forma di campana. Un valore elevato di h corrisponde a una curva appuntita
con un picco pronunciato, mentre un piccolo valore di h d`a luogo a una curva pi`
u
piatta con una maggiore dispersione dei risultati intorno alla media. Per questo h
prende il nome di costante o indicatore di precisione della distribuzione.

32

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Perche la distribuzione sia normalizzata deve risultare verificata lEq. 1.40, dalla
cui applicazione `e possibile ricavare il valore della costante A:
Z
Z
A z2
h2 (xm)2
Ae
dx =
e dz = 1
(1.51)
h

dove si `e introdotta la variabile z = h(x m). Ricordando che:


Z

2
ez dz =

(1.52)

si ricava:

h
(1.53)
A=

Per la simmetria della curva tracciata in Fig. 1.6 `e ovvio che m coincide con la
media della distribuzione, ma ci`o pu`o essere verificato matematicamente, in base
allEq. 1.43:
Z +
Z
h
2
2
=
x p(x) dx =
x eh (xm) dx =

Z 

z
1
2
+ m ez dz =
=
h
(1.54)
Z
Z
1
z z2
m
2
e dz +
ez dz =
=
h

m
=m
=

Nellequazione precedente lintegrale


Z
2
zez dz = 0

`e nullo per la simmetria della funzione p(z) rispetto allascissa zero. Il calcolo della
varianza procede in modo analogo; in base alla terza espressione dellEq. 1.46
Z
Z +
h
2
2
2
2
(x )2 eh (x) dx
=
(x ) p(x) dx =

Z
1
1

1
2 z 2
= 2
z e dz = 2
= 2
2h
h
h 2
da cui si ricava
1
=
h 2
(1.55)
La deviazione standard `e inversamente proporzionale alla costante di precisione h, quindi quanto pi`
u `e piccolo tanto pi`
u la curva `e appuntita e minore `e la
dispersione intorno alla media.

1.13. DISTRIBUZIONE DI GAUSS

33

Ci`o `e evidenziato nella Fig. 1.6 dove sono mostrate diverse curve della p(x) al
variare della deviazione standard.
In base alle equazioni precedenti la funzione densit`a di probabilit`a, data dallEq. 1.50, pu`o essere scritta nella seguente forma:
(x)2
1
p(x) = e 22
2

(1.56)

Questa funzione `e rappresentativa di una distribuzione normale della variabile


x la cui deviazione standard `e .
k p(x)

k/e

1
h

1
h

Figura 1.6: Funzione di densit`a di probabilit`a(k = A = h/ )

2/ 2 p(x)
0 = 0,5

1/ 2

1 = 1
2 = 2

1/2 2

Figura 1.7: Curve di densit`a di probabilit`a

34

1.14

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Calcolo della funzione di distribuzione di Gauss

In base allEq. 1.39 ed Eq. 1.56 `e possibile calcolare la funzione di distribuzione


normale:
Z x
(x)2
1
F (x) =
e 22 dx
(1.57)
2
e quindi la probabilit`a che una misura cada nellintervallo compreso tra due valori
x1 e x2 :
Z x2
(x)2
1
Pr(x1 < X x2 ) = F (x2 ) F (x1 ) =
e 22 dx
(1.58)
2 x1
pari allarea sottesa dalla curva p(x) fra le suddette ascisse. Lintegrale presente
nellEq. 1.57 ed Eq. 1.58 non pu`o essere calcolato con i metodi elementari, ma pu`o
essere espresso come differenza di due integrali del seguente tipo:
Z z
z2
1
e 2 dz
(1.59)
(z) =
2
che `e la funzione di distribuzione normale standard ovvero la distribuzione
normale con media 0 e varianza 1, le cui soluzioni, ottenute mediante approssimazioni numeriche, sono tabulate. In base allEq. 1.58 ed Eq. 1.59, posto z1 = (x1 )/
e z2 = (x2 )/, si pu`o verificare che sussiste limportante relazione:
Pr(x1 < X x2 ) = F (x2 ) F (x1 ) = (z2 ) (z1 )

(1.60)

La funzione di distribuzione normale standard `e mostrata in Fig. 1.8. In Tabella 1.3 sono riportate le soluzioni dellintegrale nellEq. ?? per diversi valori di z, i
dati forniti si intendono preceduti dalla virgola decimale.
` interessante notare anche dalla Fig. 1.8 che la funzione distribuzione normale
E
gode la seguente propriet`a: (z) = 1 (z). Inoltre quando x1 = si ha
z1 = 1 e quando x2 = + si ha z2 = 1; pi`
u in generale quando x1 = k si
ha z1 = k e quando x1 = + k si ha z2 = k e pertanto si pu`o scrivere:
Z k
z2
1
Pr( k < X + k) =
e 2 dz = 2(k) 1
(1.61)
2 k
In base alla precedente e ai dati riportati in Tabella 1.2 si possono calcolare
alcune probabilit`a di particolare interesse:
Pr( < x < + ) = 2(1) 1 = 0, 683
1 Pr( < x < + ) = 0, 317
Pr( 2 < x < + 2) = 2(2) 1 = 0, 954
1 Pr( 2 < x < + 2) = 0, 046
Pr( 3 < x < + 3) = 2(3) 1 = 0, 997
1 Pr( 3 < x < + 3) = 0, 003
Quindi la probabilit`a che le misure cadano nellintervallo di confidenza
x = ovvero il livello di confidenza, `e circa il 68%, nellintervallo x = 2
`e circa il 95%, mentre la probabilit`a che le misure cadano al di fuori dellintervallo
x = 3 `e solo dello 0, 3%.

1.14. CALCOLO DELLA FUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI GAUSS

35

Tabella 1.2: Valori della funzione distribuzione normale


z
0,01
0,02
0,03
0,04
0,05
0,06
0,07
0,08
0,09
0,1
0,11
0,12
0,13
0,14
0,15
0,16
0,17
0,18
0,19
0,2
0,21
0,22
0,23
0,24
0,25
0,26
0,27
0,28
0,29
0,3
0,31
0,32
0,33
0,34
0,35
0,36
0,37
0,38
0,39
0,4
0,41
0,42
0,43
0,44
0,45
0,46
0,47
0,48
0,49
0,5

(z)
0,5040
0,5080
0,5120
0,5160
0,5199
0,5239
0,5279
0,5319
0,5359
0,5398
0,5438
0,5478
0,5517
0,5557
0,5596
0,5636
0,5675
0,5714
0,5753
0,5793
0,5832
0,5871
0,5910
0,5948
0,5987
0,6026
0,6064
0,6103
0,6141
0,6179
0,6217
0,6255
0,6293
0,6331
0,6368
0,6406
0,6443
0,6480
0,6517
0,6554
0,6591
0,6628
0,6664
0,6700
0,6736
0,6772
0,6808
0,6844
0,6879
0,6915

z
0,51
0,52
0,53
0,54
0,55
0,56
0,57
0,58
0,59
0,6
0,61
0,62
0,63
0,64
0,65
0,66
0,67
0,68
0,69
0,7
0,71
0,72
0,73
0,74
0,75
0,76
0,77
0,78
0,79
0,8
0,81
0,82
0,83
0,84
0,85
0,86
0,87
0,88
0,89
0,9
0,91
0,92
0,93
0,94
0,95
0,96
0,97
0,98
0,99
1

(z)
0,6950
0,6985
0,7019
0,7054
0,7088
0,7123
0,7157
0,7190
0,7224
0,7257
0,7291
0,7324
0,7357
0,7389
0,7422
0,7454
0,7486
0,7517
0,7549
0,7580
0,7611
0,7642
0,7673
0,7704
0,7734
0,7764
0,7794
0,7823
0,7852
0,7881
0,7910
0,7939
0,7967
0,7995
0,8023
0,8051
0,8078
0,8106
0,8133
0,8159
0,8186
0,8212
0,8238
0,8264
0,8289
0,8315
0,8340
0,8365
0,8389
0,8413

z
1,01
1,02
1,03
1,04
1,05
1,06
1,07
1,08
1,09
1,1
1,11
1,12
1,13
1,14
1,15
1,16
1,17
1,18
1,19
1,2
1,21
1,22
1,23
1,24
1,25
1,26
1,27
1,28
1,29
1,3
1,31
1,32
1,33
1,34
1,35
1,36
1,37
1,38
1,39
1,4
1,41
1,42
1,43
1,44
1,45
1,46
1,47
1,48
1,49
1,5

(z)
0,8438
0,8461
0,8485
0,8508
0,8531
0,8554
0,8577
0,8599
0,8621
0,8643
0,8665
0,8686
0,8708
0,8729
0,8749
0,8770
0,8790
0,8810
0,8830
0,8849
0,8869
0,8888
0,8907
0,8925
0,8944
0,8962
0,8980
0,8997
0,9015
0,9032
0,9049
0,9066
0,9082
0,9099
0,9115
0,9131
0,9147
0,9162
0,9177
0,9192
0,9207
0,9222
0,9236
0,9251
0,9265
0,9279
0,9292
0,9306
0,9319
0,9332

z
1,51
1,52
1,53
1,54
1,55
1,56
1,57
1,58
1,59
1,6
1,61
1,62
1,63
1,64
1,65
1,66
1,67
1,68
1,69
1,7
1,71
1,72
1,73
1,74
1,75
1,76
1,77
1,78
1,79
1,8
1,81
1,82
1,83
1,84
1,85
1,86
1,87
1,88
1,89
1,9
1,91
1,92
1,93
1,94
1,95
1,96
1,97
1,98
1,99
2

(z)
0,9345
0,9357
0,9370
0,9382
0,9394
0,9406
0,9418
0,9429
0,9441
0,9452
0,9463
0,9474
0,9484
0,9495
0,9505
0,9515
0,9525
0,9535
0,9545
0,9554
0,9564
0,9573
0,9582
0,9591
0,9599
0,9608
0,9616
0,9625
0,9633
0,9641
0,9649
0,9656
0,9664
0,9671
0,9678
0,9686
0,9693
0,9699
0,9706
0,9713
0,9719
0,9726
0,9732
0,9738
0,9744
0,9750
0,9756
0,9761
0,9767
0,9772

z
2,01
2,02
2,03
2,04
2,05
2,06
2,07
2,08
2,09
2,1
2,11
2,12
2,13
2,14
2,15
2,16
2,17
2,18
2,19
2,2
2,21
2,22
2,23
2,24
2,25
2,26
2,27
2,28
2,29
2,3
2,31
2,32
2,33
2,34
2,35
2,36
2,37
2,38
2,39
2,4
2,41
2,42
2,43
2,44
2,45
2,46
2,47
2,48
2,49
2,5

(z)
0,9778
0,9783
0,9788
0,9793
0,9798
0,9803
0,9808
0,9812
0,9817
0,9821
0,9826
0,9830
0,9834
0,9838
0,9842
0,9846
0,9850
0,9854
0,9857
0,9861
0,9864
0,9868
0,9871
0,9875
0,9878
0,9881
0,9884
0,9887
0,9890
0,9893
0,9896
0,9898
0,9901
0,9904
0,9906
0,9909
0,9911
0,9913
0,9916
0,9918
0,9920
0,9922
0,9925
0,9927
0,9929
0,9931
0,9932
0,9934
0,9936
0,9938

z
2,51
2,52
2,53
2,54
2,55
2,56
2,57
2,58
2,59
2,6
2,61
2,62
2,63
2,64
2,65
2,66
2,67
2,68
2,69
2,7
2,71
2,72
2,73
2,74
2,75
2,76
2,77
2,78
2,79
2,8
2,81
2,82
2,83
2,84
2,85
2,86
2,87
2,88
2,89
2,9
2,91
2,92
2,93
2,94
2,95
2,96
2,97
2,98
2,99
3

(z)
0,9940
0,9941
0,9943
0,9945
0,9946
0,9948
0,9949
0,9951
0,9952
0,9953
0,9955
0,9956
0,9957
0,9959
0,9960
0,9961
0,9962
0,9963
0,9964
0,9965
0,9966
0,9967
0,9968
0,9969
0,9970
0,9971
0,9972
0,9973
0,9974
0,9974
0,9975
0,9976
0,9977
0,9977
0,9978
0,9979
0,9979
0,9980
0,9981
0,9981
0,9982
0,9982
0,9983
0,9984
0,9984
0,9985
0,9985
0,9986
0,9986
0,9987

36

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA


1 (z)

0.5

x
2

Figura 1.8: Grafico della funzione distribuzione normale standard

1.15

Deviazione standard della media

In genere, come si `e accennato in precedenza, un insieme finito di dati `e considerato


un campione di una popolazione molto pi`
u numerosa.
Cos` n misure di una quantit`a fisica possono essere considerate come un campione
limitato di un numero molto grande di misure, rappresentanti la popolazione.
Sorge ora il problema di stabilire quale sia la precisione della media e della
deviazione standard del campione di n misure. Ovvero ci si pu`o chiedere se valori pi`
u
attendibili della media e della deviazione standard si possano ottenere considerando
altri campioni della popolazione.
Per due insiemi di n misure, in genere, le medie e le deviazioni standard non
coincideranno. Quindi per m insiemi di n misure sar`a possibile calcolare la devia` della media.
zione standard delle medie, che `e un indicatore della attendibilita
Tenendo conto che il numero totale delle misure `e nm, si indichi con:

Xj =

1
n

n
X

Xji

la i-esima misura dellinsieme j-esimo

Xji

la media dellinsieme j-esimo

i=1

la aspettazione della media di tutte le misure


dji = Xji

la deviazione della misura Xji

Dm = X j

la deviazione della media X j

La varianza dellinsieme delle misure `e data da:


m
n
1 XX 2
2
=
d
mn j=1 i=1 ji

(1.62)

mentre la varianza delle medie risulta:


m

2
m

1 X 2
=
D
m j=1 mj

(1.63)

1.15. DEVIAZIONE STANDARD DELLA MEDIA

37

La deviazione Dmj pu`o essere espressa in funzione di dji :


n

Dmj

1X
1X
1X
= Xj =
Xji =
(Xji ) =
dji
n i=1
n i=1
n i=1

(1.64)

In base allEq. 1.64, se sipotizza che la variabile aleatoria discreta X presenti i


valori di Xji mutuamente incorrelati, lEq. 1.63 diventa:
m

1 X
2
=
m
m j=1

1X
dji
n i=1

!2

m
n
1 X X
=
dji
mn2 j=1 i=1

!2

m
n
s2
1 XX 2
=
d
=
mn2 j=1 i=1 ji
n

(1.65)

La penultima uguaglianza nellespressione precedente deriva dalla possibilit`a di


ritenere il quadrato della sommatoria degli scarti coincidente con la sommatoria dei
quadrati degli scarti.
Questa condizione `e facilmente comprensibile nel caso della distribuzione normale, infatti per la sua simmetria, nellipotesi che il numero mn sia molto elevato,
i termini a prodotto di differenti dij tenderanno a cancellarsi vicendevolmente e la
loro somma risulter`a pertanto uguale a zero.
In base allultima uguaglianza si ottiene il seguente risultato:

m =
n

(1.66)

ovvero la deviazione standard della media di m campioni di n misure `e uguale


alla deviazione standard di tutta la popolazione diviso per il numero n di misure.
La misura appropriata dellincertezza del risultato di una misura `e proprio
legata alla varianza della media delle osservazioni m , piuttosto che alla varianza
delle singole osservazioni .
Lesame dellEq. 1.66 induce a ritenere che sia preferibile aumentare il numero
di misure relative ad un solo campione di una popolazione invece del numero m di
campioni. Solo che con riferimento ad un solo campione si avranno delle stime sia
della media, sia della deviazione standard o incertezza. In particolare il valore teorico
della varianza della media fornito dallEq. 1.66 non `e noto, in quanto non `e nota
laspettazione , e di esso si pu`o ricavare una stima dalla varianza sperimentale
della media aritmetica delle n misure indipendenti:
n

X
s2 (Xi )
1
=
(Xi X)2
s (X) =
n
n(n 1) i=1
2

(1.67)

La radice quadrata dellEq. 1.67 `e la deviazione standard sperimentale


della media e costituisce anche una stima dellattendibilit`a della media aritmetica
di n misure come stima della media della popolazione dei risultati della grandezza
misurata:
v
u
n
X
s(Xi ) u
1
s(X) = = t
(Xi X)2
(1.68)
n(n 1) i=1
n

38

1.16

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Definizione e calcolo dellincertezza

Si `e detto precedentemente che le parole accuratezza e precisione sono dei parametri


qualitativi e stanno a rappresentare il grado di approssimazione di misure ripetute rispettivamente al valore del misurando e alla media aritmetica dellinsieme di
misure. Lincertezza invece `e un parametro sia qualitativo sia quantitativo.
Qualitativamente essa rappresenta il grado di dubbio sulla validit`a del risultato di una misura, quando invece essa deve fornire unindicazione quantitativa va
accompagnata dallaggettivo appropriato.
Il risultato di una misura dovrebbe essere la migliore stima del valore del misurando e va sempre accompagnato dallindicazione dellincertezza, che, come si `e detto,
caratterizza la dispersione dei risultati ragionevolmente attribuibili al misurando.
Lincertezza di misura in generale comprende pi`
u componenti ed `e data da una
deviazione standard o dalla semi-ampiezza di un intervallo, avente un livello dincertezza stabilito, come sar`a chiarito in seguito. Essa, in alcuni casi particolari, pu`o
anche essere espressa, in modo tradizionale, semplicemente dallerrore possibile da
cui `e affetto il valore stimato del misurando o da una stima di una fascia di valori
in cui `e presumibile che cada il valore del misurando.
Si definisce incertezza standard (o tipo) quella espressa come deviazione
standard.
Il modo di valutazione dellincertezza pu`o essere di due Tipi A e B, il che
non significa che le incertezze siano classificabili in questo modo.

1.16.1

Valutazione Tipo A (o di categoria A) dellincertezza

La valutazione Tipo A dellincertezza `e ottenuta utilizzando i metodi dellanalisi


statistica di serie di osservazioni. Per esempio la valutazione Tipo A di unincertezza standard `e ottenuta prendendo la radice quadrata della varianza valutata
statisticamente.
Come si `e detto in molti casi la migliore stima x disponibile del valore atteso
di una grandezza X, che varia casualmente, e della quale sono state ottenute n
osservazioni indipendenti nelle stesse condizioni sperimentali `e la media aritmetica
X o valor medio delle n osservazioni, dato dallEq.1.8, come dimostrato nel paragrafo
1.9.
Le singole osservazioni differiscono a causa di effetti aleatori o variazioni casuali
delle grandezze dinfluenza, ovvero di grandezze che non sono il misurando, ma
che alterano il risultato della misura.
La varianza sperimentale delle osservazioni, che stima la varianza della distribuzione di probabilit`a di x `e data da s2 espresso nellEq. 1.29. Questa stima della
varianza e la sua radice quadrata positiva s, denominata deviazione standard
sperimentale, caratterizzano la variabilit`a dei valori osservati Xi o, pi`
u specificamente la loro dispersione intorno alla media X. La migliore stima della varianza
di X `e data dallEq. 1.67, che insieme con la sua radice, ovvero con la deviazione
standard della media, data dallEq. 1.68, quantificano quanto bene X stimi il valore
dellaspettazione di x, ed entrambi possono essere adottati come incertezza della

1.16. DEFINIZIONE E CALCOLO DELLINCERTEZZA

39

misura di X :
v
u
n
X
1
s(Xi ) u
t
(Xi X)2
u(x) = s(X) = =
n(n 1) i=1
n
2

u2 (x) = s2 (X) =

s (Xi )
1
=
n
n(n 1)

(1.69)

n
X
(Xi X)2
i=1

le quantit`a u(x) e u2 (x) sono spesso chiamati deviazione standard di Tipo A


e varianza di Tipo A.
Sebbene la grandezza primitiva fondamentale sia la varianza, la deviazione standard `e pi`
u conveniente nelluso pratico in quanto ha la stessa dimensione di x e il
suo valore `e pi`
u facilmente interpretabile di quello della varianza.
Quando si forniscono valutazioni di tipo A dellincertezza occorre sempre indicare
il numero di gradi di libert`a.
` `e
Si ricorda che per una variabile discreta il numero dei gradi di liberta
quello degli addendi di una somma meno il numero dei vincoli sugli addendi della
somma. Quindi i gradi di libert`a della media aritmetica ottenuta da n osservazioni
indipendenti sono = n 1.
La trattazione precedente non intende essere esauriente, in quanto esistono molte
situazioni, alcune molto complesse, che possono essere trattate con metodi statistici
e che dovranno essere esaminate di volta in volta.

1.16.2

Valutazione Tipo BA (o di categoria B) dellincertezza

La valutazione Tipo B dellincertezza `e ottenuta utilizzando metodi diversi da quelli


dellanalisi statistica di serie di osservazioni. Per esempio la valutazione tipo B di
unincertezza standard `e ottenuta valutando per via non statistica una deviazione
standard equivalente e calcolando la varianza equivalente, elevando tale deviazione
al quadrato.
Per una stima x di una grandezza X non ottenuta da osservazioni ripetute,
le incertezze, valutate come deviazione standard e varianza stimate u(x) e u2 (x),
chiamate anche deviazione standard di Tipo B e varianza di Tipo B sono
ottenute attraverso un giudizio scientifico basato su tutte le informazioni disponibili
sulla possibile variabilit`a di X. Linsieme delle informazioni pu`o comprendere:
dati di misure precedenti;
esperienza o conoscenza generale del comportamento e delle propriet`a dei
materiali e degli strumenti dinteresse;
specifiche tecniche del costruttore;
dati forniti in certificati di taratura o altri;
incertezze assegnate a valori di riferimento presi da manuali o da banche dati.

40

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Quando x `e ottenuta da una distribuzione a priori, la varianza associata


`e scritta in modo appropriato come x2 (X), ma si pu`o anche indicare normalmente come u2 (x). Luso delle informazioni disponibili per una valutazione Tipo B
dellincertezza standard richiede notevole esperienza da parte delloperatore.
` di una valutazione di Tipo B pu`o essere analoga a quella
Lattendibilita
di Tipo A, specie se questultima si basa su un numero relativamente ridotto di
osservazioni.
Se la stima x `e ottenuta da una specifica del costruttore dello strumento impiegato, da un certificato di taratura, da un manuale o da una fonte simile e se la sua
incertezza `e definita come un particolare multiplo di una deviazione standard, lincertezza standard u(x) si calcola semplicemente dal valore dichiarato diviso il moltiplicatore della deviazione standard, mentre la varianza stimata u2 (x) `e il quadrato
di tale rapporto.
A volte lincertezza indicata nelle specifiche che accompagnano uno strumento `e
data da un intervallo con il suo livello di confidenza. Qualora non sia dichiarato il
tipo di distribuzione si pu`o ipotizzare che questa sia di tipo normale e quindi ricostruire lincertezza standard, dividendo lincertezza dichiarata per il fattore
appropriato relativo alla distribuzione normale, riportato in Tab. 1.3.
Cos`, se per esempio si afferma in un foglio di accompagnamento dello strumento
che la grandezza X pu`o cadere con uguale probabilit`a allinterno o allesterno dellintervallo compreso tra a e b (ovvero che la probabilit`a che X giaccia allinterno
dellintervallo `e del 50%) e si ritiene che la distribuzione dei valori possibili di X sia
normale, si pu`o prendere come migliore stima x di X il punto medio dellintervallo
x = (a + b)/2 e come incertezza standard u(x) = 1, 49(b a)/2 (infatti per una
distribuzione normale un intervallo di confidenza 0, 67 ha un livello di confidenza del 50%, pertanto: a = 0, 67; b = + 0, 67; = (1/0, 67)(b a)/2
).
Un altro caso che si pu`o presentare frequentemente `e quello in cui siano noti
semplicemente i limiti superiore, b, e inferiore, a, dellintervallo nel quale la probabilit`a che il valore di X cada `e pari a 1, ai fini pratici, mentre `e praticamente zero
quella che ne cada al di fuori. Se non vi `e altra informazione sulla distribuzione di
X allinterno dellintervallo si pu`o solo ipotizzare una distribuzione uniforme o rettangolare. In tal caso la stima x coincide con laspettazione o speranza di X ed `e il
punto medio dellintervallo, mentre il quadrato dellincertezza `e dato dalla varianza
secondo lEq.1-70:
(b a)2
a+b
u2 (x) =
(1.70)
x=
2
12
Un esempio di questo tipo di distribuzione pu`o essere dato nel caso della risoluzione di unindicazione digitale. Se sipotizza che misure ripetute fossero tutte
identiche, lincertezza della misura attribuibile alla ripetibilit`a non sarebbe zero, in
quanto vi `e un insieme di segnali dingresso, allinterno di un intervallo noto, che
produce la stessa indicazione in uscita.
Se la risoluzione dello strumento `e x, il valore della sollecitazione che produce unindicazione data X pu`o giacere con uguale probabilit`a in qualunque punto
dellintervallo compreso tra i valori X x/2 e X + x/2. La sollecitazione `e

1.16. DEFINIZIONE E CALCOLO DELLINCERTEZZA

41

allora descritta da una distribuzione di probabilit`a rettangolare di ampiezza x


con varianza u2 (x) = (x)2 /12 e incertezza standard u(x) = 0, 29x per qualsiasi
indicazione.
Un altro esempio si ha nel caso di arrotondamento o troncamento di numeri che
si verifica nellelaborazione automatica dei dati su calcolatore. Se per esempio un
calcolatore ha una lunghezza di parola di 16 bit e nel corso dellelaborazione un
numero `e sottratto da un altro da cui differisce solo nel sedicesimo bit, resta un solo
bit significativo.

1.16.3

Raccomandazioni sullincertezza

` importante sottolineare che le incertezze non possono essere classificate come


E
gli errori in sistematiche e accidentali (o aleatorie), ne si pu`o associare a un errore
sistematico una valutazione di Tipo B dellincertezza, ne a un errore accidentale una
valutazione di Tipo A dellincertezza. Infatti lincertezza associata alleffettuazione
di una correzione e quindi a un errore sistematico pu`o essere valutata con i metodi
caratteristici di Tipo A o anche con quelli di Tipo B. Cos` viceversa lincertezza
associata a un errore accidentale pu`o essere valutata con i metodi tipici di Tipo B,
invece che con quelli di Tipo A.
Proprio allo scopo di evitare queste possibili fonti di confusione, si classificano i
metodi per valutare le componenti dellincertezza piuttosto che le componenti stesse.
` bene sottolineare che la classificazione delle modalit`a di valutazione dellinE
certezza in due tipi ha solo utilit`a didattica, non essendoci differenza nella natura
dellincertezza calcolata nei due modi sopra indicati, infatti come si `e visto entrambi i tipi di valutazione sono basati su distribuzioni di probabilit`a e le componenti
dellincertezza risultanti da ambedue i metodi sono quantificate mediante varianze
o deviazioni standard.
Unincertezza con valutazione di Tipo A `e ottenuta da una funzione densit`a di
probabilit`a derivata da una distribuzione di frequenza osservata, mentre unincertezza con valutazione di Tipo B `e ottenuta da una funzione densit`a di probabilit`a
ipotizzata sulla base del grado di fiducia nel verificarsi di un evento, sovente chiamata
` soggettiva. Ambedue i metodi utilizzano le conoscenze statistiche
probabilita
precedentemente esaminate ed altre note in letteratura.
Nellipotesi che per il calcolo dellincertezza della stima x di una misura ci si
sia avvalsi di valutazioni sia di Tipo A sia di Tipo B, si deve procedere alla loro
combinazione in un unico valore di incertezza standard u(x), a volte con lindicazione
di una stima della sua incertezza.
Indicati per semplicit`a di trattazione con uA (x) e uB (x) le incertezze standard
con valutazioni di Tipo A e B e le varianze con i quadrati delle stesse grandezze,
lincertezza totale sulla stima x sar`a data da:
q
(1.71)
u(x) = u2A + u2B
Per mostrare un possibile esempio, si pu`o far riferimento al classico caso di n
misure ripetute dello stesso misurando, X, che ha media aritmetica X, e speranza

42

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

matematica o aspettazione X . X rappresenta il risultato della misurazione e si


avviciner`a tanto pi`
u alla sua aspettazione, X , quanto maggiore `e il numero delle
misure; esso va accompagnato dallindicazione dellincertezza: X = X u(X).
Si pu`o avere un miglioramento dellaccuratezza della misura e quindi della stima
del misurando rappresentata da X mediante leffettuazione della correzione. Si
supponga di conoscere una stima, A, del valore del misurando, o, ancora meglio, della
sua speranza matematica, o della sua aspettazione, A . Infatti, avendo abbandonato
il concetto di valore vero, il misurando va considerato appartenente ad un intervallo
di valori, allinterno di una distribuzione di probabilit`a, e la sua migliore stima `e data
u prossimo allaspettazione,
proprio dalla media aritmetica, X, che `e il valore pi`
X , di quellinsieme di misure effettuate sullo stesso misurando.
u saranno stati corretti
La stima del misurando, X, sar`a tanto migliore quanto pi`
gli errori sistematici, in quanto in tal caso essa si avviciner`a ad A e quindi a A . Cio`e
si hanno due valori conoscibili X ed A appartenenti entrambi a due distribuzioni di
probabilit`a con medie statistiche rispettivamente X e A .
Nel caso specifico, in base a quanto precedentemente esposto, lerrore assoluto, E, si pu`o definire come la differenza fra il valore misurato, X, e la stima A:
E = X A; `e evidente che essendo A solo una stima del valore del misurando,
la correzione dellerrore E potr`a semplicemente portare ad avvicinarsi alla migliore
stima del misurando, o alla sua aspettazione, A , ovvero la correzione non potr`a
mai essere completa, ma contribuir`a alla quantificazione dellincertezza con una sua
componente che si indicher`a con us (X).
Indicati con Esi e Eai gli errori sistematici e accidentali relativi alla i-esima
misura, questa pu`o essere scritta come: Xi = A+Esi +Eai , che consente di esprimere
la media aritmetica nella forma seguente:
n

1X
1X
X =A+
Esi +
Eai
n i=1
n i=1

(1.72)

Gli errori accidentali Eai rappresentano una tipica variabile aleatoria con valor medio che si approssima a zero per n che tende allinfinito. Lerrore sistematico `e
assimilabile ad uninterferenza e quello aleatorio a un rumore, il che permette
di considerare la tecnica dellaveraging o della media, come strumento elementare
per ridurre gli effetti del rumore.
Anche gli errori aleatori non sono completamente eliminabili e contribuiscono
allincertezza con una componente ur (X). Ipotizzando lesistenza delle sole due
incertezze precedentemente indicate lincertezza tipo, complessiva sar`a data da:
p
(1.73)
u(X) = u2s (X) + u2r (X)
La valutazione delle componenti dellincertezza us (X) e ur (X) pu`o essere di tipo
A o B indifferentemente per luna o per laltra, in base alla metodologia di misura
seguita.
Lincertezza, come lerrore, pu`o essere espressa in valori assoluto, dato dallEq. 1.71, relativo u(x)/x o percentuale [u(x)/x]100.

1.17. INCERTEZZA STANDARD COMBINATA E PROPAGAZIONE DELLE INCERTEZZE43


` importante sottolineare unultima raccomandazione riportata nella Guida: esE
sa `e da considerarsi un quadro di riferimento generale per la valutazione dellincertezza, ma non pu`o sostituirsi al pensiero critico, allonesta intellettuale, alla capacit`a
e, aggiungerei, alla deontologia professionale delloperatore.
La valutazione dellincertezza non `e un compito di routine, ne un esercizio puramente matematico, ma dipende dalla conoscenza approfondita della natura del
misurando e del metodo di misura. Le capacit`a di analisi critica e lonesta di chi
`e chiamato ad assegnare il valore dellincertezza determinano la qualit`a e lutilit`a
dellincertezza attribuita al risultato di una misura.

1.17

Incertezza standard combinata e propagazione delle incertezze

Si definisce incertezza standard combinata di un risultato di una misura,


quando questa `e ottenuta in funzione di altre grandezze misurabili, come avviene
nei metodi di misura indiretti, la radice quadrata positiva di una somma di addendi,
rappresentati dalle varianze o covarianze delle grandezze stesse, pesate in base alla
variazione del risultato della misura al variare delle grandezze stesse. Essa `e indicata
con uc (x) e si basa sulla legge di propagazione dellincertezza.
Si consideri un misurando
Y = f (X1 , X2 , X3 . . . , XN )

(1.74)

funzione di diverse quantit`a misurabili: X1 , X2 , X3 . . . , XN , le quali prendono il


nome di grandezze dingresso e in genere dipendono da altre quantit`a, incluse
tutte le correzioni e i fattori di correzione, che possano originare sul risultato della
misura una componente dincertezza significativa.
Le incertezze da cui sono affette le misure delle grandezze X1 , X2 , X3 . . . , XN si
propagano su Y , che prende il nome di grandezza duscita, e tale propagazione
pu`o essere studiata mediante semplici tecniche matematiche.
Le grandezze dingresso possono, con le loro incertezze, essere determinate direttamente da misure effettuate sul misurando. Possono essere ottenute da una singola
osservazione, o da misure ripetute, o da un giudizio basato sullesperienza.
Tra le grandezze dingresso e le loro incertezze possono essere incluse anche informazioni esterne, come grandezze associate con campioni di misura tarati, materiali
di riferimento certificati, dati di riferimento ricavati da manuali o da banche dati.
Una stima del misurando Y , indicata con y, pu`o essere facilmente ricavata dalle
stime x1 , x2 , x3 . . . , xN delle N grandezze X1 , X2 , X3 . . . , XN :
y = f (x1 , x2 , x3 . . . , xN )

(1.75)

In alcuni casi la stima y pu`o essere ottenuta dalla media aritmetica di n misure indipendenti di Y , basate su un insieme completo di valori osservati delle N
grandezze dingresso:
n
n
1X
1X
Yi =
f (X1,i , X2,i , . . . , XN,i )
(1.76)
y=Y =
n i=1
n i=1

44

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Questo modo di ottenere la stima in genere, quando f `e una funzione non lineare delle grandezze dingresso, `e preferito allaltro, basato sul calcolo delle medie
aritmetiche delle singole grandezze dingresso:
y = f (X1 , X2 , . . . , XN )

(1.77)

I due metodi sono identici quando f `e funzione lineare delle grandezze dingresso.
Lincertezza standard combinata, indicata con uc (y), `e determinata dalla deviazione standard stimata, associata a ciascuna delle stime dingresso xi , denominate incertezze standard e indicate con u(xi ). Ciascuna stima delle grandezze
dingresso xi e ciascuna incertezza standard u(xi ) sono ricavate da una distribuzione
di valori possibili delle grandezze dingresso Xi .
Queste distribuzioni di probabilit`a possono essere basate su valutazioni Tipo A,
ovvero su una serie di osservazioni e sulle relative distribuzioni di frequenza, o su
valutazioni Tipo B, ovvero su distribuzioni a priori.
Nel paragrafo 1.3 si `e considerata la propagazione dellerrore su misure indirette, si vuole ora mostrare come sia possibile calcolare la incertezza standard
combinata di grandezze misurate indirettamente quando siano note sia le stime
x1 , x2 , x3 . . . , xN delle N grandezze X1 , X2 , X3 . . . , XN misurate, sia le incertezze
standard u(x1 ), u(x2 ), u(x3 ), . . . , u(xN ).
Lincertezza standard combinata uc (y) della stima y del misurando `e la radice
quadrata positiva della varianza standard combinata. Lo sviluppo dellEq. 1.75 in
serie di Taylor intorno ai valori di aspettazione delle xi , E [xi ] = i , troncato al
primo ordine, consente di confondere la differenza con il differenziale. Quindi per
piccoli scostamenti di y intorno alla y in funzione di piccoli scostamenti delle xi
intorno alle i `e possibile scrivere:
#2
N
X
f
(xi i ) =
(y y )2 =
x
i
i=1
(1.78)
2
N 
N
1 X
N
X
X
f
f
f
=
(xi i )2 + 2
(xi i )(xj j )
x
x
x
i
i
j
i=1
i=1 j=i+1
"

Passando dal quadrato dello scostamento (y y )2 al suo valore atteso, che `e la


varianza di y y2 = E [(y y )2 ], indicando con i2 = E [(xi i )2 ] la varianza di xi
e con covij = E [(xi i )(xj j )] la covarianza di xi e xj , dallEq. 1.78 si ha:
y2

2
N 
X
f
i=1

xi

i2

+2

N
1
X
i=1

N
X
f f
i j %ij
x
x
i
j
j=i+1

(1.79)

dove % = covij /i j `e il coefficiente di correlazione in funzione della covarianza covij di xi e xj . DallEq. 1.79 si ricava come si vedr`a in seguito la legge di
propagazione delle incertezze.

1.17. INCERTEZZA STANDARD COMBINATA E PROPAGAZIONE DELLE INCERTEZZE45

1.17.1

Grandezze dingresso non correlate

In una prima analisi si ipotizzi che le grandezze dingresso siano tutte indipendenti.
In tal caso le variabili casuali associate alle grandezze dingresso possono essere
ritenute scorrelate.
Ci`o pu`o accadere quando le grandezze dingresso siano state misurate ripetutamente, ma non simultaneamente in esperimenti indipendenti distinti, o perche
rappresentano grandezze risultanti da valutazioni distinte fatte indipendentemente,
o se le grandezze dingresso possono essere trattate come costanti, o se vi `e informazione insufficiente per valutare la covarianza associata alle stime delle grandezze
dingresso.
Nei casi esemplificati lEq. 1.79 si semplifica nella seguente:
y2


N 
X
f
i=1

xi

i2

(1.80)

LEq. 1.80 fornisce la relazione tra la deviazione standard della grandezza misurata indirettamente e le deviazioni standard delle grandezze dingresso indipendenti
di cui essa `e funzione.
` importante sottolineare lesistenza del teorema del limite centrale che
E
afferma la possibilit`a di approssimare la distribuzione di Y a quella normale anche
se le distribuzioni delle X non risultino perfettamente normali, qualora la varianza
u grande di ogni singola componente della varianza c2i i2 delle grany2 sia molto pi`
dezze dingresso con distribuzioni che si discostino da quella normale, dove ci `e il
coefficiente di sensibilit`a, derivata parziale della funzione rispetto a xi .
Poiche si `e detto che le incertezze standard sono calcolate ricorrendo alle varianze,
o meglio lincertezza standard combinata uc (y) della stima y del misurando `e la
radice quadrata positiva della varianza standard combinata, questa per grandezze
dingresso non correlate, in base all 1.80 si pu`o scrivere:
u2c (y)


N 
X
f
i=1

xi

u2 (xi )

(1.81)

Ciascuna incertezza u(xi ) `e standard ottenuta con valutazioni sia di tipo A sia
di Tipo B. Le derivate parziali presenti nellEq. 1.81 sono pari alle derivate parziali
rispetto alle grandezze dingresso, valutate nei valori di aspettazione delle Xi , anche
se si calcolano per X1 = x1 :

f
f
ci =
=
(1.82)
xi
Xi x1 ,x2 ,...,xN
Le derivate presenti nellEq. 1.82 sono chiamate anche coefficienti di sensi` , indicati con ci , e descrivono come la stima della grandezza duscita y varia
bilita
al variare dei valori delle stime delle grandezze dingresso x1 , x2 , x3 . . . , xN . La incertezza combinata quadrata pu`o pertanto essere scritta come la seguente somma

46

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

di termini costituiti dalle incertezze quadrate delle grandezze dingresso:


u2c (y)

N
X

c2i u2 (xi )

i=1

N
X

[ci u(xi )] =

i=1

N
X

u2i (y)

(1.83)

i=1

dove si sono indicate con ui (y) = |ci | u(xi ) le incertezze standard della stima y generate dalle incertezze standard delle stime xi . Ci`o `e valido in quanto nelle ipotesi di
piccole variazioni di xi , cui corrisponda una variazione di y, si ha (y)i = ci xi . Pertanto, in base allEq. 1.83, la incertezza combinata quadrata pu`o essere vista come
la somma delle incertezze della stima duscita y generate dalle incertezze quadrate
stimate associate alle stime dingresso xi .
` , ci , a volte invece di essere calcolati in base alla
I coefficienti di sensibilita
conoscenza della funzione f , possono essere valutati sperimentalmente. In tal caso
si misura la variazione prodotta su Y da una variazione di una specifica grandezza
dingresso Xi , mantenendo costanti le altre grandezze dingresso: ci = y/xi
(costanti tutte le grandezze dingresso diverse da xi ).

1.17.2

Grandezze dingresso correlate

LEq 1.82 e le sue derivate sono valide solo se le grandezze dingresso, Xi , sono
indipendenti o scorrelate.
Se alcune delle Xi sono correlate in misura significativa, bisogna tener conto
delle correlazioni e in base allEq. 1.12 lespressione della varianza combinata risulta:
u2c (y)

2
N 
X
f
xi

i=1

N 
X
i=1

N
X

f
xi

N
1
X

N
1
X

u (xi ) + 2

i=1

2

u (xi ) + 2

i=1

c2i u2 (xi ) + 2

i=1

N
1
X

N
X

N
X
f f
u(xi , xj ) =
x
x
i
j
j=i+1
N
X
f f
u(xi )u(xj )r(xi , xj ) =
xi xj
j=i+1

(1.84)

ci cj u(xi )u(xj )r(xi , xj )

i=1 j=i+1

dove u(xi , xj ) = u(xj , xi ) `e la covarianza stimata associata a xi e a xj .


Il grado di correlazione `e caratterizzato dal coefficiente di correlazione r(xi , xj ) =
r(xj , xi ), compreso tra 1 e 1.
Nel caso le stime xi e xj siano indipendenti r(xi , xj ) = 0, se invece si presenti
il caso particolarissimo di tutti i coefficienti di correlazione pari a r(xi , xj ) = 1, la
precedente equazione si ridurrebbe alla seguente:
"
u2c (y)


N 
X
f
i=1

xi

#2
u(xi )

"
=

N
X

#2
ci u(xi )

(1.85)

i=1

La covarianza stimata di due grandezze dingresso (Xi , Xj ) correlate, stimate


dalle medie determinate da n coppie indipendenti di osservazioni simultanee ripetute

1.18. INCERTEZZA ESTESA

47

`e data da:
n

X
1
u(xi , xj ) = s(Xi , Xj ) =
(Xik Xi )(Xjk Xj )
n(n 1) k=1

(1.86)

dove la coppia (Xik , Xjk ) `e la k-esima delle n coppie di osservazioni.


Le correlazioni esistenti e significative tra grandezze dingresso possono essere
valutate sia sperimentalmente (valutazione di Tipo A della covarianza), sia teoricamente, utilizzando linsieme di informazioni disponibili sulla variabilit`a correlata
delle grandezze in questione (valutazione di tipo B della covarianza).
Una formula semplificata per il calcolo del coefficiente di correlazione con valutazione di tipo A `e la seguente:
r(xi , xj )

u(xi )j
u(xj )i

(1.87)

dove i `e la variazione in xi che produce una variazione j in xj . LEq. 1.87 pu`o anche
essere usata per calcolare la variazione approssimata indotta su una stima dingresso
da una variazione di unaltra, quando sia noto il loro coefficiente di correlazione.
Quando si deve valutare la correlazione tra una grandezza dingresso e una grandezza dinfluenza, come la temperatura ambiente, la pressione atmosferica e
lumidit`a, occorre molta esperienza da parte delloperatore.
Fortunatamente spesso tali correlazioni sono trascurabili, se cos` non fosse, si
pu`o evitare di introdurre le correlazioni se le grandezze dinfluenza sono considerate
come grandezze dingresso indipendenti aggiuntive, note che siano le loro incertezze
standard indipendenti.

1.18

Incertezza estesa

Nel campo industriale e commerciale, cos` come in quello sanitario o l` dove siano
coinvolte la salute e la sicurezza pubbliche, `e preferibile introdurre lincertezza
estesa U , ottenuta moltiplicando lincertezza standard combinata uc per un fattore di copertura k:
U = k uc (y)
(1.88)
Lincertezza estesa `e quella grandezza che definisce un intervallo, intorno al risultato della misura, che ci si aspetta contenga una frazione rilevante della distribuzione
di valori, ragionevolmente attribuibili al misurando.
La scelta del fattore k, di solito compreso tra 2 e 3, `e basata sulla probabilit`a di
copertura o livello di confidenza o ancor meglio grado di confidenza richiesto allintervallo. Tale fattore deve essere dichiarato, in modo che si possa ricavare
lincertezza standard della grandezza misurata, da usarsi nel calcolo dellincertezza
standard combinata di altri risultati di misure eventualmente dipendenti da quella
grandezza.
Il risultato di una misura `e espresso in modo appropriato come:
Y =yU

(1.89)

48

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

LEq. 1.89 sta a significare che la migliore stima del valore attribuibile al misurando Y `e y e che ci si aspetta che lintervallo [y U, y + U ] comprenda una gran
parte della distribuzione di valori ragionevolmente attribuibili a Y . Un intervallo di
questo tipo `e anche espresso come:
yU Y y+U

(1.90)

Il termine livello di confidenza sarebbe appropriato solo se le incertezze fossero ottenute con valutazioni di tipo A, poiche lincertezza estesa non fa riferimento
specifico a un tipo di valutazione dellincertezza, `e pi`
u corretto parlare di grado
di confidenza. Si pu`o quindi affermare che U definisce, intorno al risultato della
misura, un intervallo che comprende una gran parte p della distribuzione di probabilit`a caratterizzata dal risultato stesso e dalla sua incertezza standard combinata,
` chiaro
dove p `e la probabilit`a di copertura o grado di confidenza dellintervallo. E
che dovrebbe essere buona norma nella dichiarazione della incertezza estesa indicare
anche il grado di confidenza p associato alla fascia dincertezza definita da U .
Nel caso in cui la distribuzione di probabilit`a delle stime del misurando e delle
incertezze standard combinate siano di tipo normale, o approssimativamente tali,
e il numero di gradi di libert`a sia sufficientemente elevato, si pu`o ritenere che per
k = 2p 95% e per k = 3p 99%.
Spesso la definizione di p non `e facile, in quanto non si riesce ad avere una
conoscenza approfondita della distribuzione di probabilit`a delle stime del misurando.

1.19

Livelli e intervalli di confidenza

Lintervallo di confidenza sta a indicare una fascia di valori entro la quale


si pu`o presumere che cadano i risultati di misure di una stessa grandezza, ottenuti an` di copertura
che con metodi diversi, una volta prefissata una certa probabilita
o grado di confidenza.
Cos`, per esempio, nel caso particolare di una distribuzione gaussiana si `e trovato
che, fissato un livello di confidenza del 99, 73%, i risultati sono contenuti in una fascia
di valore con scarti da quello centrale non superiori a 3.
Nella Tabella 1.3 sono riportati i valori del fattore di copertura k che produce
un intervallo avente un grado di confidenza p, nellipotesi di distribuzione normale.
In modo analogo si pu`o definire un fattore di copertura per una qualsivoglia
distribuzione.
Cos` per esempio nel caso di una distribuzione di probabilit`a rettangolare
si

ricorda che fissato un intervallo (a, b) la deviazione standard risulta = c/ 3, dove


c = (b a)/2 `e la mezza ampiezza della distribuzione. Il livello di confidenza
p `e:
57, 74% per k = 1;
95% per k = 1, 65; 99% per k = 1, 71; 100% per k 3. Il
valor massimo k = 3 = 1, 735 deriva dalluguaglianza + k = b od anche dalla
k = a. Si dice che la distribuzione rettangolare `e pi`
u stretta di quella normale,
nel senso che essa `e di estensione finita e non ha code.
Nellintervallo di confidenza dovrebbe rientrare, con un prefissato grado
di confidenza, il parametro da stimare o misurando.

1.20. PRESENTAZIONE DEI RISULTATI

49

Tabella 1.3: Valori del fattore di copertura e del livello di confidenza nel caso di una
distribuzione di tipo normale

Livello o grado di confidenza p (percento)


68,27
90
95
95,45
99
99,73

1.20

Fattore di copertura k
1
1,645
1,960
2
2,576
3

Presentazione dei risultati

Il risultato di una misura, ovvero il valore attribuito a un misurando ottenuto dalla


misura, va inteso come unapprossimazione o una stima del valore del misurando e
quindi `e completo solo quando `e accompagnato dallindicazione dellincertezza
di quella stima.
Nella presentazione del risultato di una misura le cifre riportate devono contenere
tutte le informazioni che possono correttamente essere utilizzate.
` compito delloperatore escludere le cifre che non contengano utili indicazioni
E
e che appesantirebbero inutilmente uneventuale successiva elaborazione dei dati.
Loperatore inoltre `e la persona pi`
u qualificata a stabilire laccuratezza del risultato ottenuto, ovvero quanto esso si avvicini al valore del misurando. Il risultato della
misura `e generalmente scritto come somma e differenza di due grandezze: il valore
` U dellampiezza
centrale y della fascia di incertezza del misurando e la meta
di tale fascia:
Y =yU
lincertezza estesa U `e riportata con una o preferibilmente, se possibile, due
cifre significative, sebbene sia talvolta opportuno nel calcolo delle componenti
dellincertezza conservare ulteriori cifre per evitare errori di arrotondamento nei
calcoli successivi.
I coefficienti di correlazione dovrebbero essere scritti con tre cifre significative se i loro valori assoluti sono prossimi a uno.
Esistono delle convenzioni sulle cifre significative da riportare nella presentazione
di un risultato. Anche se non vi `e un accordo internazionale ben definito, alcune
scelte sono accettate da tutti. Normalmente lultima cifra significativa di un
risultato `e quella su cui ricade lincertezza della misura. Inoltre nellarrotondamento di un numero, lultima cifra che si conserva `e aumentata di una unit`a se la
prima cifra eliminata `e maggiore di 5 o `e 5. Ovvero lultima cifra non `e variata solo
quando la prima cifra eliminata `e inferiore a 5. Nella presentazione dellincertezza
si pu`o in alcuni casi arrotondare per eccesso anche quando la prima cifra
eliminata `e inferiore a 5.

50

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Tabella 1.4: Elenco dei prefissi

Simbolo
Y
Z
E
P
T
G
M
k
h
da
d
c
m

n
p
f
a
z
y

Nome
Y
Z
E
P
T
G
M
k
h
da
d
centi
m

n
p
f
a
z
y

Potenza
1 1024
1 1021
1 1018
1 1015
1 1012
1 109
1 106
1 103
1 102
10
1 101
1 102
1 103
1 106
1 109
1 1012
1 1015
1 1018
1 1021
1 1024

Esempi1

1 PHz
1 TW h
1 GHz
1 MW
1 kV
1 hg
1 dm
1 crad
1 mA
1 s
1 pF

1.20. PRESENTAZIONE DEI RISULTATI

51

Unaltra convenzione correntemente accettata `e quella relativa agli zeri significativi. Nella presentazione di un numero non si considerano significativi quegli
zeri che hanno la sola funzione di indicare lentit`a numerica del dato presentato,
ovvero la corretta posizione delle cifre significative alla destra o alla sinistra degli
zeri. I numeri 512 000 e 0,003 18 hanno, ad esempio, solo tre cifre significative,
mentre 0,051 300 ne ha cinque, in quanto gli ultimi due zeri sarebbero superflui se
servissero a posizionare le cifre 513 e quindi sono riportati unicamente per stabilire
la precisione della misura.
Ad evitare incomprensioni nella presentazione di risultati di esperienze scientifiche, si `e convenuto di non riportare alla destra delle cifre significative zeri che
non siano anchessi significativi, utilizzando opportuni prefissi che rappresentano
determinate potenze del 10 e che sono riportati in Tabella 1.4.
Un modo molto utilizzato per la presentazione delle misure eseguite e dei risultati ottenuti `e quello delle tabelle. Una tabella di misure e di calcoli dovrebbe
rispettare determinate regole.
Essa deve avere un titolo esplicativo dei dati presentati.
Ogni colonna di cifre dovrebbe far riferimento a risultati, ottenuti da misure
dirette o indirette, associati ad una sola quantit`a, essa inoltre in testa deve riportare
un titolo che consenta di identificare i dati contenuti nella colonna stessa.
` importante anche non dimenticare di riportare sotto il titolo della colonna
E
` di misura dei dati, racchiusa in parentesi tonde o quadre. Il titolo della
lunita
tabella e i titoli delle colonne con le unit`a di misura vanno separati tra loro e dai
dati numerici mediante linee orizzontali.
` buona norma infine associare ad ogni colonna di dati le incertezze da cui
E
essi sono affetti, con la loro denominazione, o utilizzando una colonna aggiuntiva
o facendo riferimento solo al valor massimo della fascia dincertezza e in tal caso
questo si riporter`a in coda alla rispettiva colonna.
A volte la presentazione dei dati avviene in forma grafica, anche se si perdono
inevitabilmente informazioni dettagliate sullaccuratezza dei risultati. Vi sono degli
innegabili vantaggi di tale presentazione su quella tabellare.
In particolare i grafici forniscono una rappresentazione visiva dei risultati
che consente una comprensione pi`
u immediata del fenomeno fisico. Inoltre `e possibile
verificare in modo immediato e sintetico il tipo di relazione esistente fra due variabili.
Come per il caso della compilazione di tabelle, esistono determinate regole per
una rappresentazione appropriata dei dati in forma grafica.
Il grafico deve innanzi tutto contenere indicazioni, attraverso unintestazione,
un titolo, una didascalia, sul tipo di misure eseguite, sulla apparecchiatura in
prova e sulle condizioni nelle quali sono state eseguite le misure.
Le curve vanno tracciate con cura scegliendo in modo opportuno le scale. Su
uno stesso grafico si possono tracciare pi`
u curve e in tal caso su ciascuna sinteticamente va indicata la grandezza rappresentata.
La scelta delle scale sia in ascisse sia in ordinate deve essere fatta in modo da
rendere facile la lettura dei valori relativi a un determinato punto della curva,
nel senso che la grandezza sia letta direttamente senza che venga richiesta alcuna
operazione ausiliaria di moltiplicazione o divisione.

52

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

` importante non dimenticare lindicazione, attraverso il simbolo, racchiuso in


E
` di misura sia sullasse delle ascisse sia su
parentesi tonde o quadre, delle unita
quella o quelle delle ordinate.
La scala inoltre deve consentire la lettura dei dati con lapprossimazione
derivante dallincertezza di misura associata a quella grandezza.
Cos` per esempio se i risultati di una misura sono conosciuti con unincertezza
dellun per cento non `e corretto scegliere una scala che consenta una lettura con
unapprossimazione intorno a frazioni dellunit`a per cento o a decine per cento.
La scala non va riportata a margine del grafico, ma deve essere comprensibile
dalla lettura dei valori numerici riportati sugli assi. Questi valori numerici
devono essere possibilmente interi, equispaziati sullasse e in numero di tre o
quattro per ragioni estetiche.
I punti sperimentali vanno evidenziati sul grafico, senza lindicazione dei
valori delle coordinate, e nel caso si riportino pi`
u curve sullo stesso grafico `e bene
distinguere i punti relativi a ciascuna di loro con segni differenti.
Poiche i fenomeni macroscopici sono continui, i punti sperimentali vanno raccordati con curve continue, salvo quando si tratti di caratteristiche discontinue, nel qual caso si pu`o ricorrere anche a una spezzata o a un istogramma.
Quando il raccordo dei diversi punti risulta difficoltoso `e necessario interpolarli, il che lo si pu`o fare ad occhio o ricorrendo a particolari algoritmi ai quali si
accenner`a in seguito.
` importante sottolineare al riguardo che ogni linea che raccordi i punti speE
rimentali `e matematicamente accettabile come una rappresentazione grafica del fenomeno fisico in esame se la massima deviazione dei punti sperimentali dalla
curva `e inferiore ai valori limite delle possibili incertezze di misura. Tuttavia
fra le varie curve che si possono tracciare ve ne `e una che risulta la migliore, in
grado di minimizzare la somma algebrica degli scarti tra i punti sperimentali e quelli corrispondenti giacenti sulla curva stessa. Il miglior accordo tra curva e punti
sperimentali si ottiene mediante opportune tecniche di regressione.

1.21

Prova del Chi-quadro

Uno speciale tipo di prova, spesso utilizzata per verificare la equivalenza tra una
funzione di densit`a di probabilit`a di dati, relativi a un campione di una popolazione,
`
e una funzione teorica di densit`a di probabilit`a, `e la prova del 2 o della bonta
dellapprossimazione. Un esempio pu`o chiarire il significato della prova.
Al paragrafo 1.8, in Tabella 1.1, sono stati forniti i dati relativi alla legge di
probabilit`a, pi, relativa al lancio di due dadi.
La validit`a di tale legge `e legata allipotesi di perfetta realizzazione dei dadi. Nel
caso si esegua un gran numero di lanci e i risultati siano tali da non rispettare la
suddetta legge di probabilit`a, sorge il dubbio che i dadi siano truccati.
Il problema `e quello di stabilire un criterio per quantificare il disaccordo tra le
due leggi. Con riferimento alle variabili discrete, la funzione di probabilit`a `e in
genere espressa in termini di frequenze dei vari eventi F (x).

1.22. METODO DEI MINIMI QUADRATI

53

In particolare si consideri un campione di n misure della variabile x e si presuma


di conoscere la funzione di probabilit`a p(x) (nel caso di variabili continue si far`a
riferimento alla densit`a di probabilit`a).
Le n misure si raggruppino in k intervalli, o classi, di prefissata ampiezza
x, che insieme formano un istogramma delle frequenze. Il numero di misure che
cadono allinterno delli-esima classe `e chiamato la frequenza misurata nelli-esima
classe e sar`a indicata con Fi (x).
Il numero di osservazioni, che si attenderebbe cadere entro la i-esima classe
in base alla funzione di probabilit`a attesa, sar`a dato dal prodotto del numero di
osservazioni n per la probabilit`a che la misura cada nellintervallo i-esimo, detta
frequenza attesa: npi (x).
La differenza tra la frequenza attesa e quella misurata `e data da npi (x)Fi (x)
per la i-esima classe. Un indicatore della differenza totale, relativa a tutte le classi,
`e il 2 definito nel modo seguente:
2

k
X
[npi (x) Fi (x)]2
i=1

npi (x)

(1.91)

Si tratta ora di interpretare il risultato della prova. Chiaramente, al limite, se la


funzione di probabilit`a relativa al campione preso in esame riproponesse esattamente
quella attesa, si avrebbe 2 = 0, il che `e estremamente improbabile, ma fornisce
lindicazione di massima che la discrepanza fra le distribuzioni cresce allaumentare
del 2 .
Un criterio per stabilire la bont`a di approssimazione delle distribuzioni `e quello
di verificare che il 2 sia inferiore al numero k di classi, ma per meglio quantificare
il risultato della prova conviene introdurre il concetto di grado di libert`a della
distribuzione fornita dallEq. 1.91. Esso `e definito dal numero di quadrati indipendenti che sono presenti nellEq. 1.91 ed `e dato da k meno il numero di vincoli lineari
indipendenti imposti sulle misure.
Un vincolo `e dato dal fatto che la frequenza relativa alla classe k-esima `e nota
una volta raggruppati i dati nelle rimanenti k 1 classi, essendo noto n. Nel caso
in cui la densit`a di probabilit`a attesa sia quella normale, con media e varianza
incognita, vi saranno altri due vincoli in quanto i dati dovranno essere utilizzati per
il calcolo della media e della deviazione standard. Pertanto, nel caso molto comune
in cui la prova del 2 sia utilizzata per una verifica di normalit`a della funzione di
distribuzione, i gradi di libert`a risultano = k 3.
In Tabella 1.4 sono riportati i valori delle probabilit`a dellevenienza che 2 superi
un determinato valore, riportato in tabella, in funzione di , con probabilit`a variabile
tra 0, 99 e 0, 001. Ad esempio per = 25 la probabilit`a che 2 abbia un valore
maggiore o uguale a 11, 524 `e pari a 0, 99.

1.22

Metodo dei minimi quadrati

Il principio dei minimi quadrati fu formulato inizialmente da Legendre il quale afferm`o che il valore pi`
u probabile di qualunque quantit`a misurata `e tale che la somma

54

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

dei quadrati delle deviazioni delle misure da questo valore `e minimo.


Assegnato quindi un insieme di n misure il valore pi`
u probabile x della variabile
`e quello che minimizza la seguente sommatoria:
n
X
(x xi )2

(1.92)

i=1

il che si ottiene imponendo la condizione:


n
d X
(x xi )2 = 0
dx i=1

(1.93)

LEq. 1.93 pu`o essere considerata come una procedura di minimizzazione della
varianza, da essa si ha:
n
n
n
X
X
X
d
d
2
(x xi ) = 2
(x xi ) = 2nx 2
xi = 0
dx
dx
i=1
i=1
i=1

da cui

(1.94)

1X
xi
=
n i=1

(1.95)

Dallapplicazione del principio dei minimi quadrati deriva dunque, in modo conforme a quanto esaminato in precedenza, che il valore pi`
u probabile di una quantit`a
misurata `e la media aritmetica delle misure. Legendre applic`o il metodo dei minimi
quadrati alle equazioni lineari in due variabili. Si consideri lequazione:
y = mx + q

(1.96)

e si supponga di aver eseguito diverse misure delle variabili x e y per aumentare la


precisione nellidentificazione parametrica dellEq.1-140. Il numero n di misure deve
essere maggiore di 2, in questo caso in cui le incognite m ed q sono in numero di 2.
Le n equazioni trovate in genere non saranno consistenti e quindi esisteranno delle
deviazioni che, con riferimento alla generica coppia (xi , yi ), possono essere espresse
come segue:
di = mxi + q yi
(1.97)
Se i punti sperimentali sono raccordabili con una retta, lesistenza di valori non
nulli delle deviazioni deriva dalla presenza di errori sperimentali sulle variabili x e y.
I valori pi`
u probabili di m e q, ovvero quelli che consentono di individuare la retta
che meglio raccordi i punti sperimentali, sono ottenibili dalla minimizzazione della
seguente quantit`a:
n
n
X
X
2
di =
(mxi + q yi )2
(1.98)
i=1

i=1

Per minimizzare la funzione a due variabili si possono uguagliare a zero le derivate


parziali della funzione rispetto a ciascuna delle incognite:
n
X 2
d =0
m i=1 i

n
X 2
d =0
q i=1 i

(1.99)

1.23. RETTE DI REGRESSIONE E COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE 55


Si ottengono in tal modo due equazioni che risolte simultaneamente forniscono i
valori attesi di m e q. DallEq. 1.99 si ottiene il seguente sistema:
(P
( P
Pn
P
n

2
d
=
2x
(mx
+
q

y
)
m ni=1 x2i + qnx = ni=1 xi yi
i
i
i
i
i=1
i=1 m
Pn 2
P
= ni=1 2(mxi + q yi )
mx + q = y
i=1 q di
(1.100)
le cui soluzioni sono:
Pn
Pn
(
xi yi nxy
i=1 xi yi nxy
=
m = Pi=1
n
2
2
2
nP
x
nx
x
i=1
i
P
Pn
Pn
n
(1.101)
2 x
2
y n
x
x
y
y
i
i
i=1
i=1 xi n
i=1 xi yi
Pn i 2 i=1
q=
=
2
2
n
x nx
i=1

Il metodo dei minimi quadrati pu`o essere generalizzato al caso in cui la relazione
tra le variabili x e yc non sia lineare. Questa per esempio pu`o avere una relazione
del tipo:
y = a0 + a1 x + a2 x 2 + + am x m
(1.102)
che comporta la determinazione di m + 1 incognite. In tal caso le coppie di misure
(xi , yi ) devono essere in numero n maggiore di m + 1. Le costanti ak possono essere
valutate imponendo che sia minima la somma delle seguenti deviazioni:
n
X
i=1

d2i

n
X
2
=
(yi a0 a1 xi a2 x2i am xm
i )

(1.103)

i=1

La procedura comporta la soluzione di m + 1 equazioni ottenute uguagliando a


zero le derivate parziali della somma delle deviazioni al quadrato rispetto a ognuna
delle incognite ak . I tempi di calcolo possono essere lunghi, anche utilizzando dei
calcolatori numerici, quando il numero delle incognite risulti elevato.
Ci`o ha portato alla messa a punto di una serie di algoritmi che consente di accelerare la minimizzazione di funzioni obiettivo del tipo di quelle date dallEq. 1.103.
Queste procedure vanno sotto il nome di tecniche di ottimizzazione mediante lLSM
(acronimo delle parole inglesi Least Squares Method ).
` sempre possibile considerare, al solito, opportuni pesi che possono servire sia ad
E
accelerare la convergenza del metodo, sia a dare maggiore risalto ad alcuni risultati
che si ritengano pi`
u attendibili di altri.

1.23

Rette di regressione e coefficiente di correlazione

Nel paragrafo precedente si `e ipotizzato di conoscere a priori il legame funzionale


tra x e y, a volte si pu`o non essere certi su questa relazione funzionale.
Allo scopo di trovare la legge che meglio raccordi i punti sperimentali sono state
concepite procedure iterative di identificazione.
Si ricorre in particolare a tecniche di regressione che consistono nel ricercare
una relazione matematica fra le misure di due variabili, in modo tale che il valore
di una variabile possa essere predetto dalla misura dellaltra variabile.

56

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA

Senza entrare nel merito delle tecniche di regressione, si sottolinea che la verifica
pi`
u semplice `e quella della correlazione lineare. Per questa verifica si procede al solito
ipotizzando la validit`a dellEq. 1.96. In genere si preferisce esprimere questa in altra
forma, tenendo conto, come `e facile verificare, che la coppia di punti, costituiti dalle
medie dei dati sperimentali, cade sulla retta di Eq. 1.96 per cui si pu`o scrivere:
y = mx + q

(1.104)

Sottraendo lEq. 1.104 dallEq. 1.96si ha lequazione:


y y = m(x x)

(1.105)

che prende anche il nome di retta di regressione di y su x. LEq. 1.104 pu`o anche
essere posta nella forma:
xx=

1
(y y) = m0 (y y)
m

(1.106)

che fornisce la retta di regressione di x su y.


Dal confronto tra lEq. 1.105 e lEq. 1.106 dovrebbe risultare verificata la uguaglianza mm0 = 1, nel caso di perfetta correlazione.
La relazione lineare in genere `e vera solo approssimativamente.
p Si definisce
pertanto come coefficiente di correlazione la quantit`a r = (mm0 ).
Nel caso in cui questo coefficiente risulti pari a 1 vi `e perfetta correlazione tra
x e y. Nel caso in cui r sia uguale a zero, dovr`a essere nullo o m o m0 . Nel primo
caso dallEq. 1.105 si ha y = y , ovvero non vi `e correlazione tra i punti e la retta di
regressione `e parallela allasse delle x, nel secondo caso, in base allEq. 1.106 si ha
x = x e la retta di regressione `e parallela allasse delle y.
In genere r (compreso tra 0 e 1) non `e mai perfettamente uguale a 1, per cui le
due rette, le cui equazioni sono date dallEq. 1.105 e Eq. 1.106, non coincideranno,
ma passeranno ambedue per il punto di coordinate (x, y). Si assume come retta che
meglio approssima i dati sperimentali la bisettrice dellangolo acuto fra le suddette
rette.
Allo scopo di fornire unespressione per il calcolo del coefficiente di correlazione
si minimizzi la somma degli scarti al quadrato calcolati in base allEq. 1.106 per il
calcolo di m0 , che consente di ottenere la seguente espressione di r:
Pn

xi yi nxy
0
(1.107)
r = mm = i=1
nx y
A volte le rette di regressione sono espresse in funzione del coefficiente di correlazione e in tal caso `e facile che assumono la seguente forma:
yy
xx
=r
y
x

xx
yy
=r
x
y

(1.108)

Purtroppo in molti casi lesame su un grafico dei punti sperimentali mostra che
non esiste una relazione lineare tra i punti sperimentali. Tuttavia la conoscenza delle

1.23. RETTE DI REGRESSIONE E COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE 57


leggi fisiche che governano il processo possono spesso suggerire trasformazioni tali
da ottenere una rappresentazione grafica approssimabile con una relazione lineare.
Tipico `e il caso in cui le due variabili siano legate da una legge di tipo esponenziale, in quanto diagrammando, sui due assi cartesiani, i logaritmi delle due variabili
si ottiene una relazione lineare che pu`o essere stimata da una regressione lineare ai
minimi quadrati.
Quando non `e nota la legge fisica che lega le due variabili e la rappresentazione
grafica mostra che i dati non siano raccordabili con una retta, le tecniche di regressione vanno applicate stimando i parametri di polinomi di ordine superiore, finche
si ottiene una curva che approssimi i dati sperimentali in modo soddisfacente.
Uno dei requisiti fondamentali nelle tecniche di regressione `e che la massima deviazione fra i diversi dati e la curva calcolata sia inferiore allincertezza di misura
calcolata e che determina la fascia di incertezza. Questa condizione non sempre `e
soddisfatta, per cui occorre un criterio che consenta di stabilire quale curva approssimi meglio di unaltra i dati sperimentali. Si tratta anche in questo caso di trovare un
opportuno coefficiente di correlazione o qualcosa di analogo. Le cosiddette prove di
confidenza, tese a questo scopo, sono diverse, una di queste consiste nel calcolare la
somma S delle deviazioni quadratiche relative ad un dato polinomio, che leghi le due
variabili x e y e con il quale si `e tentato di raccordare i dati, e nel confrontarlo con il
valore di S calcolato per la curva di regressione di un ordine superiore. La curva che
si riterr`a raccordare meglio delle altre i dati sperimentali sar`a quella che presenter`a il
valore di S, tale che tutti i dati cadano allinterno della fascia dincertezza. Esistono
altre prove di confidenza che vanno oltre gli scopi del corso.

58

CAPITOLO 1. MISURA E INCERTEZZA


Tabella 1.5: Valori del chi-quadro per diversi gradi di libert`a

1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
7
7
7
7
7
7
7
7
7
7
7
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
13
16
19
22
25
28

2
.003157
.003628
.00393
.0158
.0642
1.642
2.706
3.841
5.412
6.635
10.827
.297
.429
.711
1.064
1.649
5.989
7.779
9.488
11.668
13.277
18.465
1.239
1.564
2.167
2.833
3.822
9.803
12.017
14.067
16.622
18.475
24.322
2.558
3.059
3.940
4.865
6.179
13.442
15.987
18.307
21.161
23.209
29.588
4.107
5.812
7.633
9.542
11.524
13.565

Pr
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.99
.99
.99
.99
.99

2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
14
17
20
23
26
29

2
.0201
.0404
.103
.211
.446
3.219
4.605
5.991
7.824
9.210
13.815
.554
.752
1.145
1.61
2.343
7.289
9.236
11.07
13.388
15.086
20.517
1.646
2.032
2.733
3.49
4.594
11.03
13.362
15.507
18.168
20.09
26.125
3.053
3.609
4.575
5.578
6.989
14.631
17.275
19.675
22.618
24.725
31.264
4.660
6.408
8.26
10.196
12.198
14.256

Pr
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.99
.99
.99
.99
.99

3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
9
9
9
9
9
9
9
9
9
9
9
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
15
18
21
24
27
30

2
.115
.185
.352
.584
1.005
4.642
6.251
7.815
9.837
11.341
16.268
.872
1.134
1.635
2.204
3.07
8.558
10.645
12.592
15.033
16.812
22.457
2.088
2.532
3.325
4.168
5.38
12.242
14.684
16.919
19.679
21.666
27.877
3.571
4.178
5.226
6.304
7.807
15.812
18.549
21.026
24.054
26.217
32.909
5.229
7.015
8.897
10.856
12.897
14.953

Pr
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.98
.95
.90
.80
.20
.10
.05
.02
.01
.001
.99
.99
.99
.99
.99
.99

Capitolo 2
Grandezze Unit`
a Campioni
2.1

Cenni storici introduttivi

La metrologia `e, in senso lato, la scienza della misurazione delle grandezze fisiche
e, pi`
u propriamente, lo studio storico dei sistemi metrici utilizzati dai vari popoli
nelle diverse nazioni.
Essa `e scienza antica e le sue origini sono difficilmente databili, in quanto pur
avendo certezza sullesistenza di diverse unit`a di misura, utilizzate anche prima della
nascita di Cristo, non ne conosciamo ne il valore ne chi le propose.
` da ricordare la data del 7 aprile 1795, quando con decreto legge in Francia
E
la Convenzione Nazionale istitu` il Sistema Metrico Decimale, che riconduceva
tutte le unit`a di misura a soltanto quattro grandezze fondamentali e permetteva
luso di soli multipli e sottomultipli decimali.
Il metro, unit`a di lunghezza, era definito come la decimilionesima parte di
quadrante di un particolare meridiano terrestre passante nei pressi di Parigi e serviva
a definire anche lunit`a di superficie. Il kilogrammo, unit`a di massa, era definito
come la massa di un decimetro cubo di acqua distillata alla temperatura della sua
massima densit`a (4 C). Il litro, unit`a di capacit`a o di volume, era definito come
il volume di un kilogrammo di acqua distillata sempre alla temperatura di 4 C.
La poca praticit`a delle unit`a di misura cos` definite port`o allaccordo di costruire
dei campioni materiali disponibili in laboratorio. Il 29 giugno 1799 una delegazione dellIstituto Nazionale delle Scienze e delle Arti presentava al Consiglio dei
Cinquecento e deponeva negli archivi francesi i prototipi metallici del metro e del
kilogrammo, detti degli Archivi.

2.2

La conferenza generale dei pesi e delle misure


(CGPM)

Nel 1875, con la partecipazione di rappresentanti provenienti da 17 paesi, veniva


istituita la Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM), dove
per misure si intendevano le lunghezze e le loro grandezze geometriche derivate.
Inoltre si formavano sia il CIPM (Comite International des Poids et Mesures),
59

` CAMPIONI
CAPITOLO 2. GRANDEZZE UNITA

60

braccio esecutivo della CGPM, organizzato in Comitati Consultivi, sia il BIPM


(Bureau International des Poids et Mesures), la cui sede `e S`evres con compiti di
ricerca e coordinamento internazionale.
La CGPM `e ancora operante e mentre inizialmente si riuniva ogni sei anni,
attualmente `e convocata a S`evres ogni quattro anni.
Fu la undicesima CGPM, tenutasi a Parigi dall11 al 20 ottobre 1960 che,
considerata sia la sesta risoluzione della decima CGPM, con la quale erano state
adottate sei unit`a di un sistema pratico di misure per le relazioni internazionali, sia
la terza risoluzione adottata nel 1956 dal CIPM, sia le raccomandazioni adottate dal
CIPM nel 1958, concernenti labbreviazione del nome di questo sistema e i prefissi
per la formazione dei multipli e sottomultipli delle unit`a, decise:
1. Il sistema metrico fondato sulle sei unit`a di misura base: metro; kilogrammo; secondo; ampere; kelvin; candela, `e designato con il nome
` ;
di Sistema Internazionale di Unita
2. Labbreviazione internazionale di detto sistema `e SI.
Nel 1971 la quattordicesima CGPM aggiunse nellSI una settima unit`a base per le
quantit`a di sostanza, costituita dalla mole. Il Sistema Internazionale `e stato legalmente adottato in Italia con la legge n.122 del 14 aprile 1978 e con il D.P.R. n.802
del 12 agosto 1982 ed ha avuto lapprovazione oltre che dallIEC anche dallISO
(International Standards Organization).

2.3

Unit`
a di misura fondamentali e derivate

Una qualsiasi grandezza fisica o chimica, per poter essere compiutamente espressa e
quindi confrontata con altre o perche su di essa possano essere eseguiti dei calcoli,
deve essere definita sia qualitativamente sia quantitativamente.
La misurazione come si `e detto `e un processo che porta ad ottenere sperimentalmente uno o pi`
u valori che possano ragionevolmente essere attribuiti al misurando
` di
e pu`o essere intesa come il rapporto tra la grandezza fisica osservata e lunita
misura della grandezza stessa, essa deve avere lindicazione dellunit`a ed `e il mezzo
utilizzato in tutto il mondo per fornire le informazioni necessarie sia sul tipo o specie
` di misura si intende
sia sullampiezza della grandezza fisica in oggetto. Per unita
quella grandezza reale scalare definita ed adottata per convenzione, con la quale
pu`o essere confrontata qualsiasi altra grandezza della stessa natura, per esprimere
il rapporto di due grandezze come un numero.
Priva di unit`a la misura non ha alcun significato fisico. Questo mezzo efficiente
di cui oggi si dispone, che ci consente di parlare la stessa lingua, anche se si lavora in
continenti diversi, e che ci appare cos` logico e naturale, `e in realt`a, come si `e tentato
di mostrare sinteticamente nel paragrafo precedente, il frutto di un lavoro antico e
faticoso di unificazione e razionalizzazione al quale hanno partecipato scienziati di
tutto il mondo. E questo lavoro spesso sommerso continua e procede di pari passo
con lo sviluppo ad abbracciare tutti i campi e i settori scientifici e tecnologici in
rapida espansione.

` DI MISURA FONDAMENTALI E DERIVATE


2.3. UNITA

61

` di misura si suddividono in unita


` base o fondamentali e unita
`
Le unita
` base o fondamentale si intende lunit`a di misura adottata
derivate. Per unita
` derivata `e lunit`a di misura
per convenzione come grandezza base, mentre unita
di una grandezza derivata, definita, in un sistema di grandezze, in funzione delle
` derivata si definisce coerente
grandezze base dello stesso sistema. Ununita
quando `e un prodotto di potenze di unit`a base senza altro fattore di proporzionalit`a
`,
che non sia lunit`a. Le unit`a base e derivate costituiscono un sistema di unita
inteso appunto come linsieme delle unit`a base e derivate, con i loro multipli e
sottomultipli, definito in accordo con regole fornite, in relazione a un dato sistema
` si definisce coerente quando tutte le unit`a
di grandezze. Un sistema di unita
derivate comprese in esso siano coerenti.
La scelta di alcune grandezze fisiche, da assumere come fondamentali e dalle
quali, attraverso le leggi fisiche note, ricavare quelle derivate, non `e stato affatto
` evidente, infatti, che da questa
semplice ed `e tuttora oggetto di discussione. E
scelta dipende ladozione di un certo sistema di unit`a di misure invece di un altro.
Inoltre `e da precisare che fra le grandezze fondamentali ve ne sono alcune cosiddette
indipendenti in quanto non richiedono la definizione preventiva di alcuna unit`a.
Le grandezze e quindi le unit`a derivate possono essere definite o mediante
le loro dimensioni, espresse in funzione delle unit`a base, o con nomi propri. Per
esempio nellSI lunit`a di superficie `e il metro quadro (m2 ), mentre quella di forza `e
il newton (N) che dimensionalmente risulta pari a kg m s2 .
Si riportano di seguito le unit`a base di misura del Sistema Internazionale, che `e un
sistema di unit`a coerente, con le definizioni e il simbolo, oltre che con le indicazioni
sia della CGPM in cui tale definizione `e stata adottata, sia dellanno in cui si `e
tenuta la Conferenza. Grandezze fondamentali dellSI:
1. Il metro (m) `e la lunghezza del tragitto compiuto nel vuoto dalla luce in un
intervallo di tempo pari a 1/299 792 458 di secondo (diciassettesima CGPM
del 1983)
2. Il kilogrammo (kg) `e la massa del prototipo internazionale conservato al
Pavillon de Breteuil in S`evres (terza CGPM del 1901)
3. Il secondo (s) `e lintervallo di tempo che contiene 9 162 631 770 periodi della
radiazione corrispondente alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato
fondamentale dellatomo di cesio 133 (dodicesima CGPM del 1966)
4. Lampere (A) `e lintensit`a di corrente elettrica che, mantenuta costante in
due conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare
trascurabile e posti alla distanza di 1 m luno dallaltro nel vuoto, produce tra
i due conduttori la forza di 2 107 N su ogni metro di lunghezza (nona CGPM
del 1948)
5. Il kelvin (K) `e la frazione pari a 1/273,16 della temperatura termodinamica
del punto triplo dellacqua (tredicesima CGPM del 1968)

62

` CAMPIONI
CAPITOLO 2. GRANDEZZE UNITA
6. La candela (cd) `e lintensit`a luminosa in una assegnata direzione di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540 1012
Hz e la cui intensit`a energetica in quella direzione `e di 1/683 W/sr (sedicesima
CGPM 1979)
7. La mole (mol) `e la quantit`a di sostanza di un sistema che contiene tante entit`a
elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12 (quattordicesima
CGPM del 1971).
` supplementari relative agli angoli:
Vi sono inoltre due unita
8. Il radiante (rad) `e langolo piano fra due raggi di un cerchio che sottende
sulla circonferenza un arco di lunghezza pari al raggio (undicesima CGPM del
1960)
9. Lo steradiante (sr) `e langolo solido che avendo il suo vertice al centro di
una sfera sottende una calotta sferica avente unarea di dimensioni pari al
quadrato del raggio (undicesima CGPM del 1960).

Nel 1980 il CIPM ha precisato che nellSI le grandezze angolo piano e angolo solido devono esser considerate come grandezze derivate adimensionali e
che, di conseguenza, le unit`a supplementari radiante e steradiante sono unit`a derivate adimensionali che possono o meno essere utilizzate nelle espressioni delle unit`a
derivate.
Risulta evidente che con lintroduzione della nuova definizione del metro del 1983
oltre a dover fissare 0 = 4107 m kg/s2 A2 la permeabilit`a del vuoto `e stato necessario definire unaltra costante fondamentale, in particolare, la velocit`a della luce
nel vuoto c = 2, 99792458 108 m/s. In tal modo, per la legge di Maxwell, resta fissata
anche la permettivit`a del vuoto 0 = 1/0 c2 = 8, 8541878176 1012 s4 A2 /kg m3 . In
realt`a per la definizione della mole `e stata implicitamente fissata anche la costante
di Avogadro.
Le grandezze base indipendenti attualmente sono il kilogrammo, il secondo
e il kelvin. Infatti la definizione del metro richiede quella del secondo, lampere
`e definito sulla base del kilogrammo e del metro, la mole utilizza la definizione del
kilogrammo e la candela `e definita in base al secondo al kilogrammo e al metro.
` interessante inoltre notare che le attuali unit`a base possono essere raggruppaE
te in tre distinte categorie. La prima categoria `e quella che fa riferimento a un
prototipo e in essa `e compreso esplicitamente il kilogrammo e in parte anche
la mole, per il suo riferimento al kilogrammo. La seconda categoria `e quella
che fa riferimento alla caratteristica di un fenomeno o di uno stato fisico.
Appartengono a questo gruppo esplicitamente il secondo e il kelvin e in subordine la candela. La terza categoria `e quella che fa riferimento a costanti
fondamentali e in essa rientrano il metro e lampere.
` estremamente difficile prevedere come si evolver`a e si modificher`a il gruppo
E
delle unit`a base nellSI. Certamente il vincolo attuale dellampere a una grandezza meccanica quale il kilogrammo, definito tramite il prototipo, limita laccuratezza

` DI MISURA FONDAMENTALI E DERIVATE


2.3. UNITA

63

delle misure di grandezze elettriche, in contrasto con le disponibilit`a oggi offerte dalla strumentazione in commercio. Questo lascia presumere che si possa andare presto
alla sostituzione con altra dellunit`a elettrica fondamentale. Gi`a il CCE, nella diciottesima sessione del 1988, ha raccomandato la riproduzione del volt con leffetto
Josephson, fissando la costante 2e/h = 483 597, 9, GHz/V, con unincertezza di 4
parti in 107. Una giunzione fra due materiali superconduttori costituita da un sottilissimo strato di materiale isolante quando sia irradiata con energia a radiofrequenza
di frequenza f presenta una caratteristica tensione frequenza a gradinata indipendente dalle condizioni sperimentali, con una netta distinzione fra i livelli relativi a
due gradini successivi. Lampiezza di un gradino di tensione `e data da:
V =

h
f
2e

(2.1)

dove h `e la costante di Planck, e la carica dellelettrone. Per mezzo di questa relazione


`e possibile effettuare una misurazione di tensione elettrica, indirettamente, con una
misurazione di frequenza. La giunzione isolante pu`o essere prodotta in diversi modi e
in genere per frequenze di qualche decina di gigahertz manifesta livelli di tensione di
diverse decine di microvolt. Il volt `e quindi il possibile futuro sostituto dellampere
tra le unit`a fondamentali.
Nella Tabella 2.1 sono riportate alcune importanti unit`a derivate nellSI, il loro
nome, il simbolo, la dimensione e la derivazione.
Nella Tabella 2.1 sono riportate anche le dimensioni fisiche delle grandezze derivate, avendo indicato le dimensioni della lunghezza con L, della massa con M , del
tempo con T e della corrente elettrica con I.
Lindicazione dimensionale di una grandezza ha un duplice scopo, sia di facilitare
il passaggio da un sistema di misura a un altro, sia di verificare la correttezza
qualitativa di una relazione. Infatti per passare da un sistema di misura a un altro
basta assegnare a ogni dimensione lunit`a corrispondente e trasformare le unit`a
da un sistema allaltro, il che risulta molto utile nel passaggio da vecchi sistemi
allSI. Inoltre per un rapido esame della correttezza formale di una relazione si pu`o
` dimensionale, in base al quale il primo e
utilizzare il principio dellomogeneita
il secondo membro di una determinata uguaglianza devono essere dimensionalmente
identici.
` bene precisare che il CIPM ha anche fissato il modo in cui scrivere le unit`a di
E
misura e i relativi simboli.
` anche se derivate da nomi propri devono essere scritte in carattere
Le unita
tondo, minuscolo e prive di accenti.
I simboli vanno scritti con liniziale maiuscola se derivati da nomi propri, minuscola in tutti gli altri casi, inoltre, essendo simboli e non abbreviazioni, non devono
mai essere seguiti dal punto e infine vanno scritti sempre dopo il valore numerico.
` di misura, quando non accompagnata dal valore numerico, nel contesto
Lunita
di una frase va riportata per esteso e mai in simbolo.
` derivate, composte da due o pi`
Per le unita
u altre, nella scrittura del simbolo
non si devono usare trattini, ma o uno spazio vuoto o un punto a mezza altezza.
Per quanto riguarda il prefisso kilo-, la scrittura riportata si preferisce in italiano a

64

` CAMPIONI
CAPITOLO 2. GRANDEZZE UNITA

Figura 2.1: Effetto Josephson in corrente alternata: Relazione tra la tensione (asse
orizzontale) e la corrente (asse verticale) ai capi di una giunzione. In rosso sono evidenziati
gli intervalli di valore di corrente (gradini) in cui il valore della tensione `e costante e
dipende solamente dalla frequenza del segnale con cui la giunzione viene irradiata.

2.4. CAMPIONI METRICI E SISTEMA DI CERTIFICAZIONE

65

quella chilo-, inoltre esso nel simbolo va scritto con la lettera minuscola. Si consiglia
infine, nella scrittura di un numero, di suddividere le terne di cifre partendo dalla
virgola.
` ausiliarie il cui uso `e
Nella Tabella 2.2 sono invece riportate alcune unita
ancora temporaneamente ammesso o riservato solo a campi specifici.
Per concludere questo paragrafo si riportano sinteticamente alcune definizioni
` di misura.
relative ai sistemi di unita
Un sistema si dice completo quando le sue unit`a fondamentali siano tali da
consentire di rappresentare tutti i fenomeni osservabili.
Laggettivazione di assoluto compete ai sistemi caratterizzati dallinvariabilit`a
temporale e spaziale delle unit`a per la cui definizione non occorre quindi ricorrere a
sperimentazioni.
Un sistema, come si `e detto, `e coerente quando il prodotto e il quoziente di
pi`
u unit`a danno luogo a una nuova unit`a di valore unitario.
Decimale `e il sistema i cui multipli e sottomultipli delle sue unit`a sono potenze
del dieci.
Un sistema si dice razionalizzato quando i coefficienti numerici che legano
le diverse grandezze contengono il numero irrazionale solo in formule relative a
configurazioni circolari, sferiche o cilindriche. Si ricorda che la razionalizzazione dei
sistemi di unit`a `e dovuta allacume di Giovanni Giorgi, che includendo il fattore
4 nellespressione della permeabilit`a del vuoto, consent` di far scomparire il numero
irrazionale dalle equazioni dei campi non circolari scritte in unit`a CGS.
Unultima notazione va fatta a proposito della temperatura, per la quale oltre
al kelvin `e previsto anche luso del grado celsius che ha per simbolo C, detto anche meno propriamente grado centigrado. Per definire la scala fondamentale delle
temperature termodinamiche si fa riferimento al punto dello zero assoluto, al quale i
corpi posseggono unenergia termica nulla. A scopi pratici sono stati fissati due punti
sulla scala di temperatura Kelvin, precisamente 273.15 K e 373.15 K, che definiscono
la scala pratica internazionale di temperatura, ovvero le temperature di riferimento,
0 C e 100 C, della scala Celsius. Cos` in termini di intervalli di temperatura si ha
la seguente uguaglianza 1 K = 1 C, mentre come livelli di temperaura per ottenere
dai gradi Celsius i kelvin occorre aggiungere 273.15.

2.4

Campioni metrici e sistema di certificazione

Uno dei problemi pi`


u delicati e di pi`
u difficile soluzione nellambito della metrologia
`e quello di definire e realizzare opportuni campioni delle unit`a di misura adottate,
in modo da ottenere riferimenti precisi e accessibili a chiunque avesse interesse a
utilizzarli. Inizialmente i campioni erano dei prototipi che consentivano essi stessi la
definizione delle unit`a di misura. Si ricordino il metro e il kilogrammo degli archivi.
Oggi, come si `e visto, questo `e valido solo per il kilogrammo, in quanto i prototipi
hanno svariati difetti quali la variazione delle caratteristiche con il tempo, linfluenza
delle condizioni ambientali, il limite nellaccuratezza della loro misura. Attualmente
i migliori campioni sono quelli atomici per linvariabilit`a delle propriet`a degli atomi

66

` CAMPIONI
CAPITOLO 2. GRANDEZZE UNITA

in un isotopo di un dato elemento. Infatti i requisiti di un buon campione sono


` , ovvero di invariabilit`a
soprattutto quelli di elevata accuratezza e di stabilita
`
`.
con il tempo, e quindi quelli di accessibilita e riproducibilita
Laccuratezza `e requisito indispensabile perche si possa contare su un riferimento certo, per tutti coloro che avessero necessit`a di controllare la taratura dei
` come si `e detto `e notevolmente mipropri strumenti di laboratorio. La stabilita
gliorata con ladozione dei campioni atomici, che, a differenza di altri, risentono in
minima parte leffetto delle grandezze di influenza. In tal modo risulta anche meno
` al campione a scopi di confronto. La riproduciproblematica laccessibilita
` di un campione, necessaria per cautelarsi da accidentali danneggiamenti,
bilita
richiede che siano precisati nei minimi particolari i dati di progetto e di costruzione.
Poiche non `e pensabile poter disporre di campioni metrici che presentino le precedenti caratteristiche in tutti i laboratori dove si eseguono tarature, si `e pensato di realizzare diversi tipi di campioni di misura. Come per le unit`a di misura esistono quelle
fondamentali e quelle derivate, cos` i campioni si classificano in:internazionali,
nazionali, primari, secondari, di riferimento, di lavoro (o operativi),
da trasporto e intrinseci.
I campioni internazionali di misura sono quelli definiti come riconosciuti
dai sottoscrittori di un accordo internazionale ed intesi al servizio del mondo intero.
Basati su un accordo internazionale sono valutati e controllati mediante misure
assolute, in termini delle unit`a fondamentali. Questi campioni sono conservati
dal BIPM (Bureau International des Poids et Mesures) e non sono disponibili per
lordinaria taratura degli strumenti di misura.
I campioni nazionali di misura sono quelli riconosciuti da una autorit`a nazionale per essere utilizzati nello Stato o nelleconomia come strumento base per
lassegnazione dei valori delle grandezze ad altri campioni di misura della stessa
natura. Essi sono quelli disponibili presso i laboratori metrologici dei paesi
aderenti alla Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM). Essi rappresentano dei campioni primari, definiti come quelli impiegabili per una procedura di
misura primaria, o creati come oggetto, scelto per convenzione, e sono tarati indipendentemente, mediante misure assolute in ognuno dei laboratori nazionali. I
risultati delle misure sono confrontati con quelli ottenuti dagli altri laboratori, per
giungere a un valore medio mondiale relativo a quel campione, con la definizione
dellincertezza. I Cicli internazionali di confronto sono organizzati dai singoli
comitati consultivi del CIPM e, in ambito della Unione Europea (UE), dal Bureau Communautaire de Reference (BCR). I campioni primari hanno lo scopo di
consentire la verifica e la taratura dei campioni secondari. In Italia, la realizzazione dei campioni metrici primari `e affidata allIstituto Elettrotecnico Nazionale
Galileo Ferraris (IENGF) e allIstituto di Metrologia Gustavo Colonnetti (IMGC),
che sono confluiti nellINRiM (Istituto nazionale di ricerca metrologica) con Decreto
Legislativo n. 38 del 21 gennaio 2004. Uno degli istituti metrologici pi`
u famosi nel
mondo `e quello allogato a Gaithersburg e Boulder negli USA, che dal 1988 ha assunto il nome di National Institute of Standards and Techonology (NIST), cambiando
quello pi`
u noto di National Bureau of Standards (NBS), istituito nel 1901.
I campioni secondari (detti anche campioni di prima linea) sono quelli tara-

2.4. CAMPIONI METRICI E SISTEMA DI CERTIFICAZIONE

67

ti attraverso un confronto con i campioni primari relativi alla grandezza in esame


e rappresentano, insieme con i campioni primari, i cosiddetti campioni di riferimento, definiti come quelli destinati alla taratura di altri campioni di misura
per grandezze della stessa natura in una determinata organizzazione o in un dato
ambiente. Essi sono utilizzati nei laboratori di misura dellindustria e dei centri di
taratura, cui `e demandato il compito del loro mantenimento e della verifica periodica. Essi con una certa frequenza sono inviati presso gli istituti primari per una
verifica della taratura, inoltre dispongono di un certificato attestante la data della
verifica e lo scostamento del valore da quello del campione primario.
I campioni di lavoro o operativi (detti anche campioni di seconda linea)
definiti come quelli impiegati di routine per tarare o verificare la taratura di strumenti o sistemi di misura. Sono quelli disponibili sul mercato a prezzi contenuti
in un ampio campo di valori, per consentire il controllo e la taratura di strumenti
da laboratorio impiegati per svariate applicazioni industriali. La loro accuratezza `e
in genere dellordine di parti per milione (ppm). La loro utilizzazione `e aumentata
notevolmente con lavvento dei sistemi automatici di prova e di quelli di controllo
della qualit`a. In questi casi consentono diverificare che il sistema di misura operi
nei limiti di accuratezza richiesti. I campioni operativi sono controllati in sequenza
e con una certa periodicit`a allinterno dei laboratori industriali mediante i campioni
secondari.
I campioni da trasporto sono quelli realizzati con tecniche particolari in
modo che possano essere trasportati fra luoghi diversi senza danneggiarsi o perdere
le loro caratteristiche.
I campioni intrinseci sono quelli basati su una propriet`a intrinseca e riproducibile di un fenomeno o di una sostanza. Cos` ad esempio una cella dove `e conservato
il punto triplo dellacqua costituisce un campione intrinseco della temperatura termodinamica. Cos` un riferimento di tensione ad effetto Josephson rappresenta
un campione intrinseco di differenza di potenziale elettrico, ovvero di tensione.
A causa della difficolt`a di realizzazione di un campione di ampere, in base alla
definizione di esso data nellSI, la maggior parte degli istituti metrologici nazionali
utilizza banchi di pile campione e resistori per il mantenimento dei campioni primari
dellampere. Il confronto degli standard nazionali `e fatto regolarmente attraverso il
BIPM a Sevres in Francia. Quindi il campione di intensit`a di corrente elettrica `e
ricavato dalla legge di Ohm mediante due campioni, uno di f.e.m. e uno di resistenza. In Italia entrambi i campioni sono custoditi presso lINRIM di Torino.
Il campione di f.e.m. `e un gruppo di pile Weston sature, controllate mediante
leffetto Josephson, il che assicura unincertezza intorno a 107 ; quello di resistenza elettrica `e definito come la resistenza media di un gruppo di 10 resistori
campione in manganina da 1 , con unincertezza di 1 107 rispetto a quello del
BIPM. Allo scopo di evitare linfluenza delle resistenze di contatto tra resistore e
circuito di misura, i resistori campione presentano una particolare realizzazione a
quattro morsetti, due amperometrici esterni, in genere di dimensioni geometriche
maggiori degli altri due, attraverso i quali il resistore `e soggetto al passaggio della
corrente elettrica, e due voltmetrici interni rispetto a quelli amperometrici, dai quali
si preleva la caduta di tensione causata dalla circolazione della corrente elettrica.

68

` CAMPIONI
CAPITOLO 2. GRANDEZZE UNITA

Il confronto tra le pile campione, nonostante mostri che esse presentano un elevato livello di precisione e stabilit`a, non garantisce il valore assoluto delle pile stesse.
Per far questo attualmente nei laboratori primari si ricorre sempre pi`
u frequentemente alleffetto Josephson. Sfruttando leffetto Josephson si riesce a correggere la
deriva delle f.e.m. delle pile campione il che ha permesso di ottenere una maggiore
uniformit`a nelle misure del volt tra i diversi laboratori primari.
Per quanto attiene ai resistori campioni a essi si richiede stabilit`a, basso coefficiente di temperatura e linsorgere di f.e.m. termoelettriche di entit`a trascurabile
nel contatto tra materiali diversi. I migliori risultati in tal senso si sono ottenuti con
leghe di rame, manganese e nickel, immerse in olio.
` metrologica delle misurazioni `e la propriet`a che ha un risulLa riferibilita
tato di misura solo quando tale risultato possa essere ricondotto a un riferimento
attraverso una catena ininterrotta e documentata di tarature, le quali contribuiscono ciascuna alla determinazione dellincertezza di misura. La riferibilit`a ai campioni
nazionali o internazionali delle unit`a del Sistema Internazionale (SI) delle unit`a di
misura, con riferimento alle misure eseguite nei laboratori dellindustria e dei centri
di ricerca `e oggi garantita dal Servizio di Taratura in Italia (SIT), che opera
secondo quanto previsto dalla normativa tecnica, dagli accordi internazionali siglati
dal SIT e dalla legge no 273/91 sul Sistema Nazionale di Taratura. La certificazione
rilasciata dal SIT ha una validit`a che supera lambito nazionale, in quanto il SIT `e
consociato alla WECC (Western European Calibration Cooperation) che vede dal
1975 la partecipazione di pi`
u di una decina di paesi europei. Con funzioni analoghe al SIT in Italia operano il BCS (British Calibration Service) in Inghilterra e il
DKD (Deutscher Kalibrierdienst) in Germania, questi servizi hanno concordato il
mutuo riconoscimento dellequivalenza tecnica dei rispettivi certificati di taratura.
Nel 1991 `e stato istituito lSNT (Sistema Nazionale di Taratura) con il compito di
disseminazione delle diverse unit`a di misura sul territorio nazionale. Esso `e composto dai laboratori primari dellINRIM, dellENEA (Ente Nazionale per la Ricerca e
per lo Sviluppo dellEnergia Nucleare e delle Energie Alternative) e dellISS (Istituto
Superiore di Sanit`a ), dal SIT e da una serie sempre crescente di laboratori accreditati dagli istituti primari di metrologia. Questi laboratori, detti anche Centri
di Taratura, operano come laboratori secondari, riconosciuti idonei ad affiancare gli istituti primari nella disseminazione delle unit`a di misura. Ogni centro di
taratura `e dotato di campioni secondari o di prima linea, che vanno verificati negli
istituti primari e quindi devono assicurare stabilit`a anche se soggetti a trasporto.
Per accreditamento si intende attestazione dellacquisizione delle competenze
e consiste in un procedimento con cui un organismo riconosciuto attesta formalmente la competenza di un altro organismo (o di una persona) a svolgere specifiche
funzioni. I centri di taratura autorizzati devono quindi avere laccreditamento SIT.
Gli enti normatori in Italia sono lUNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) e il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano). Questi enti sono i rappresentanti
italiani nei principali organismi di normazione e certificazione internazionali, lUNI
nellISO e il CEI in: IEC, CENELEC, IECQ, IECEE, CIGRE, AVERE. Il CEI inoltre, tramite il CONCIT, partecipa allattivit`a dellETSI, ente normatore europeo
nel settore delle telecomunicazioni.

2.4. CAMPIONI METRICI E SISTEMA DI CERTIFICAZIONE

69

Nel 1988 lUNI e il CEI, con il patrocinio del Ministero dellIndustria del Commercio e dellArtigianato (MICA), del CNR, dellENEA e delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, hanno dato vita al SINAL (Sistema
Nazionale per lAccreditamento dei Laboratori ). Laccreditamento, ovvero laccettazione in ambito nazionale dei risultati delle prove eseguite, `e concesso ai laboratori
di prova nazionali ed esteri che operano in conformit`a alle norme UNI CEI EN 45001
ed alle prescrizioni dello stesso SINAL. Nel 1991, sempre per iniziativa dellUNI e
del CEI, con la partecipazione di MICA, CNR ed ENEA, `e stato costituito un altro
ente di accreditamento, il SINCERT (Sistema Nazionale per lAccreditamento degli
Organismi di Certificazione). Il compito specifico di questente `e quello di accreditare organismi di certificazione di sistemi di qualit`a, prodotti, personale, sistemi di
gestione ambientale e organismi di ispezione. A seguito di una direttiva comunitaria
(regolamento CE 765/2008) che prevede in ogni nazione un unico istituto di accreditamento, nel 2009 il SINAL e il SINCERT si sono fusi in ACCREDIA ed `e sorto
il COPA (Consorzio pubblico per laccreditamento).

70

` CAMPIONI
CAPITOLO 2. GRANDEZZE UNITA
Tabella 2.1: Unit`a derivate del SI

Quantit`a
Area
Volume
Densit`a di massa

Nome
Simbolo Dimensioni
metro quadro
L2
metro cubo
L3
kilogrammo per (o al) metro
L3 M
cubo
Velocit`a lineare
metro per (o al) secondo
LT 1
Velocit`a angolare
radiante per (o al) secondo
T 1
Accelerazione lineare metro per (o al) secondo
LT 2
quadro
Accelerazione ango- radiante per (o al) secondo
T 2
lare
quadro
Frequenza
hertz
Hz
T 1
Forza
newton
N
LM T 2
Pressione
pascal
Pa
L1 M T 2
Potenza
watt
W
L2 M T 3
Energia
joule
J
L2 M T 2
Carica elettrica
coulomb
C
TI
Potenziale elettrico
volt
V
L2 M T 3 I 1
Flusso magnetico
weber
Wb
L2 M T 2 I1
Densit`a flusso ma- tesla
T
M T 2 I1
gnetico
Resistenza
ohm

L2 M T 3 I 2
Conduttanza
siemens
S
L2 M 1 T 3 I 2
Capacit`a
farad
F
L2 M 1 T 4 I 2
Induttanza
henry
H
L2 M T 2 I2
Flusso luminoso
lumen
lm
Illuminamento
lux
lx
Luminanza
nit
nt
Concentrazione
mole per (o al) metro cubo
Campo elettrico
volt per (o al) metro
LM T 3 I 1
Campo magnetico
ampere per (o al) metro
L1 I
Coppia
newton metro
L2 M T 2
Viscosit`a dinamica
pascal secondo
L1 M T 1
Tensione superficiale newton per (o al) metro
M T 2
Densit`a di potenza
watt per (o al) metro quadro
M T 3
1
Densit`a di energia
joule per (o al) metro cubo
L M T 2
Capacit`a termica
joule per (o al) kelvin
L2 M T 2 K 1
Resistivit`a
ohm metro
L3 M T 3 I 2
Permettivit`a
farad per (o al) metro
L3 M 1 T 4 I 2
Permeabilit`a
henry per (o al) metro
LM T 2 I 2
Densit`a di corrente
ampere per (o al) metro
L2 I
quadro
Forza magneto mo- amperspira
I
trice

Derivazione
m2
m3
kg/m3
m/s
rad/s
m/s2
rad/s2
1/s
kg m/s2
N/m2
N m/s
N m (W s)
As
W/A
Vs
Wb/m2
V/A
A/V
As/V (C/V)
Vs/A (Wb/A)
cd sr
lm/m2
cd/m2
mol/m3
V/m
A/m
Nm
Pa s
N/m
W/m2
J/m3
J/K
Wm
F/m
H/m
A/m2
A

2.4. CAMPIONI METRICI E SISTEMA DI CERTIFICAZIONE

Tabella 2.2: Unit`a derivate del SI

Quantit`a
giorno
ora
minuto (tempo)
grado (angolo)
minuto (angolo)
secondo (angolo)
ara
ettaro
barn
atmosfera standard
bar
litro
tonnellata
unit`a di massa atomica
angstrom
elettron-volt
curie
rontgen

Simbolo
d
h
min

a
ha
b
atm
bar
l
t
u

A
eV
Ci
R

Equivalente SI
86 400 s
3600 s
60 s
/180 rad
/10 800 rad
/648 000 rad
1 dm2 = 100 m2
1 hm2 = 104 m2
100 fm2 = 1028 m2
101 325 Pa
0, 1MPa = 105 Pa
1 dm3 = 103 m3
103 kg = 1 Mg
1, 660 53 1027 kg
0, 1nm = 1010 m
1, 602 19 1019 J
3, 7 1010 s1
2, 58 104 C/kg

71

Capitolo 3
Fondamenti sui sensori
3.1

Introduzione e definizioni

Le grandezze fisiche da misurare nella maggior parte dei casi risultano non
elettriche. Daltra parte i metodi di misura che assicurano la migliore accuratezza dei risultati e che consentono lottimizzazione nella progettazione della strumentazione di misura e controllo sono quelli elettrici. Allo scopo di utilizzare i metodi
e le tecniche delle misure elettriche, la quantit`a non elettrica deve essere convertita
in un segnale elettrico, il che avviene utilizzando un dispositivo che prende il nome
di sensore o trasduttore. Non esiste ancora a livello internazionale un accordo
sulle definizioni da attribuire ai termini trasduttore e sensore che molto spesso sono
utilizzati in modo indifferenziato. Per cercare di distinguere i due termini, nel seguito si fornisce per essi una definizione riportata nellultima edizione, la terza, del
VIM (International Vocabulary of Metrology).
I termini sensori e trasduttori sono molto spesso utilizzati in modo indifferenziato. Per sensore si intende un elemento di un sistema di misura che `e direttamente
soggetto allazione di un fenomeno, di corpi o di sostanze che trasmettono la grandezza da misurare. Nella nota del VIM a questa definizione si precisa che in alcuni
campi lo stesso concetto `e espresso con il termine rivelatore, che `e un dispositivo o
una sostanza in grado di indicare la presenza sempre di un fenomeno, di corpi o di
sostanze, quando si ecceda un valore di soglia della grandezza dinteresse.
Nel VIM si definisce trasduttore di misura un dispositivo impiegato nelle
misurazioni, che fornisce una grandezza in uscita avente una specificata relazione
con la grandezza dingresso. La parola trasduttore deriva dal verbo latino traducere
che significa convertire, pertanto per trasduttore si pu`o intendere un dispositivo che
riceva energia da un sistema e la ritrasmetta, in genere in forma differente, ad un
altro sistema. Per sensore si pu`o intendere un dispositivo sensibile alla grandezza
da misurare e che rappresenta il primo elemento di una catena di misura o di
un sistema di controllo, dove per catena di misura si intende una serie di elementi
di un sistema di misura costituenti un singolo percorso del segnale dal sensore ad
un elemento di uscita. Quindi il sensore svolge le stesse funzioni dei nostri sensi,
rivelando lesistenza di una grandezza al suo ingresso. Il sensore sar`a tanto pi`
u
pregiato quanto meno il contenuto dellinformazione, che esso trasmette in genere
73

74

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

al trasduttore, `e alterato. Poiche le capacit`a dei trasduttori si vanno sempre pi`


u
estendendo, si pu`o affermare, in base alle definizioni date, che un trasduttore molto spesso ingloba al suo interno diversi sensori, oltre che reti di compensazione e
di controllo. In particolare `e molto diffuso in diversi trasduttori il controllo della
temperatura utilizzando un apposito sensore. Inoltre si va sempre pi`
u diffondendo
lutilizzazione della tecnologia a semiconduttore nella realizzazione dei trasduttori,
il che sta comportando non solo una sempre pi`
u diffusa miniaturizzazione, ma anche
una sensibile riduzione dei costi.
In base alla definizione data di trasduttore, si pu`o asserire che in un sistema di
misura o di controllo trasduttori si trovano sia negli stadi iniziali sia in quelli finali.
Negli elementi di ingresso di un trasduttore si troveranno dei sensori in quelli di
uscita il trasduttore conterr`a un elemento, che prende il nome di attuatore. Il
processo `e molto simile a quello che avviene nel corpo umano. Ad ogni contatto
con oggetti i nostri sensori tattili rivelano la loro presenza e tramite le sinapsi inviano messaggi bioelettrici ai nuclei dei neuroni, nel sistema nervoso centrale, che
elabora linformazione e assume delle decisioni, trasmesse attraverso dei neurotrasmettitori agli attuatori corporali, come muscoli, arti, bocca. Poiche le definizioni
date di sensore e trasduttore sono abbastanza ampie, in realt`a come `e accaduto,
sta accadendo e probabilmente accadr`a i sensori e i trasduttori continueranno ad
essere denominati molto spesso in modo differente. In molti processi industriali essi
sono chiamati trasmettitori (di pressione, di temperatura, ecc.). In molti campi,
come daltra parte indicato anche nel VIM, in particolare nellarea dei dispositivi
elettro-ottici, essi sono chiamati rivelatori (ad intensit`a di luce infrarossa, ecc.).
Un altro termine molto utilizzato `e quello di cella (cella di carico invece di sensore
di forza, ecc.). Altre parole inglesi molto usate sono gage (scritto anche gauge,
che significa misuratore) e pickup (nel senso che qui si vuol dare alla parola non pu`o
che essere tradotta come sensore). Molto spesso alcuni trasduttori sono denominati
aggiungendo la desinenza -metro al misurando. A volte i sensori prendono il nome
di sistema sensorio, ci`o proprio per la necessit`a di adattare il sensore al processo
industriale che si vuole governare.
Se si accetta la distinzione fatta precedentemente tra sensore e trasduttore e si
conviene di utilizzare correttamente questo termine, a esso `e necessario far riferimento quando si tratti di applicazioni industriali. Non `e neanche da sottacere che `e
rilevante il valore aggiunto nel passaggio da sensore a trasduttore o, come anche sar`a
` chiaro allora che uno
meglio spiegato nel seguito, da sensore a sensore intelligente. E
stesso sensore potr`a essere utilizzato per differenti trasduttori e, reciprocamente, lo
stesso trasduttore pu`o utilizzare diversi sensori. In genere, mentre il sensore `e definito esclusivamente dalla grandezza da misurare, il trasduttore dipende dal processo
e dallambiente in cui opera.
I sensori possibilmente convertono la grandezza fisica da misurare in un segnale
elettrico. La preferenza per un tale tipo di conversione deriva dalla facilit`a di condizionare, trasmettere, elaborare, memorizzare, visualizzare il segnale o il dato con le
tecniche che lelettronica e linformatica mettono a disposizione al giorno doggi. La
natura delluscita elettrica dal trasduttore dipende dal principio base utilizzato nel
progetto. Luscita pu`o essere analogica, digitale o modulata in frequen-

3.1. INTRODUZIONE E DEFINIZIONI

75

za. I trasduttori nellindustria e nella medicina misurano pressioni, forze, velocit`a,


accelerazioni, flussi, suoni, temperature, parametri chimici come il pH, impedenze
elettriche e tante altre grandezze. Inoltre, `e solo il caso di ricordarlo, il segnale
elettrico ha la prerogativa che con opportuna elaborazione permette lautomazione
del processo da controllare e la verifica della taratura. I sensori ormai si vanno sempre pi`
u diffondendo e non si limitano a quelli necessari per il controllo di robot, di
macchine, di vari dispositivi, ma si espandono in tanti altri campi, come quelli della
biomedicina e del monitoraggio ambientale. Essi molto spesso sono inseriti in uno
strumento di misura e, anche se genericamente il valore della grandezza fornita dal
sensore `e definito indicazione, i sensori possono espletare, oltre a quella indicativa,
altre funzioni quali: registrazione; controllo; diagnostica (sia industriale,
sia medica).
La funzione indicativa, come indicato in Fig. 3.1 pu`o avvenire attraverso un
indice mobile su scala graduata o delle cifre su un display numerico o unimmagine
sullo schermo di un oscilloscopio.

Figura 3.1: A) indice mobile su scala graduata; B) display; C) schermo

Si ricorre ad una registrazione quando `e necessario avere una cronistoria dellevoluzione di un fenomeno. Essa si espleta, come mostrato in Fig. 3.2 sia attraverso
una registrazione su carta o su un supporto magnetico o su un disco ottico o su un
compact disk, sia attraverso la stampa su carta di una schermata sul monitor di un
calcolatore.
Un sistema di controllo, come mostrato nelle Fig. 3.3 e 3.4, richiede la
presenza di uno o pi`
u sensori. Questi sono sensibili in ingresso alla grandezza da
controllare e forniscono in uscita in genere un segnale elettrico che aziona un attuatore, il quale consente di trasformare lenergia in ingresso in altra forma utile

76

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

Figura 3.2: A) registratore su carta; B) plotter; C) RAM; D) supporto magnetico

al processo di controllo e di misura in atto nel sistema, si pensi ad esempio al termometro che `e parte del sistema di controllo del riscaldamento di un ambiente. Per
comprendere la funzione di un attuatore si pu`o ancora una volta far riferimento
al corpo umano che possiede diversi attuatori, di natura sia meccanica come per
esempio i muscoli, sia acustica come per esempio la voce.
Mediante un opportuno trasduttore e un controllo in retroazione una termocoppia consente non solo la misura della temperatura, ma anche la regolazione della
potenza immessa nellelemento riscaldante, in modo che si abbia la costanza della
temperatura entro limiti prefissati. Campi tipici di applicazione dei trasduttori sono
i sistemi di controllo di processo, la robotica, le catene di produzione assistite dal
calcolatore. Lutilizzazione dei sensori sempre pi`
u diffusa si `e accompagnata al passaggio sempre pi`
u massivo dal controllo manuale dei processi a quello automatico.
Lottimizzazione del processo si ha mediante linvio da parte del sensore del segnale
di controllo ad un opportuno attuatore.
La diagnostica industriale si pone lobiettivo di acquisire tutte le informazioni possibili sullo stato sia delle macchine sia dei processi automatici e consente
di individuare sul nascere potenziali guasti marginali incipienti o gi`a in atto, di
seguirne levoluzione nel tempo e di programmare con largo anticipo e flessibilit`a
le necessarie azioni correttive. Tecniche di diagnostica industriale si vanno sempre
pi`
u diffondendo in svariati settori in quanto, operando in tempo reale, consentono una riduzione dei costi di manutenzione preventiva, ma soprattutto migliorano
la disponibilit`a delle macchine e dei processi produttivi e quindi la continuit`a del
servizio. La diagnostica industriale richiede molti sensori predisposti nelle diverse
parti del sistema in osservazione, sensori intelligenti, ovvero dotati di intelligenza

3.1. INTRODUZIONE E DEFINIZIONI

77

distribuita e di sistemi di trasmissione ed elaborazione dei dati.


La diagnostica medica prevede non solo la definizione della malattia, ma
anche la misura della sua gravit`a, la determinazione dei fattori sia prognostici sia
predittivi di risposta della cura. Quanto meno la struttura ospedaliera `e dotata di
sistemi sensori in grado di fornire in tempi brevi tutte le informazioni necessarie
ad una rapida diagnosi, tanto pi`
u elevata sar`a lincertezza con la quale il medico
assumer`a le decisioni sul da farsi.
Il mercato dei sensori si va allargando quindi con lautomazione di fabbrica
anche nel nostro paese, interessando non solo aree nelle quali lautomazione `e stata
attuata ormai da tempo, ma anche nuovi settori emergenti quale ad esempio quello
delle industrie manifatturiere. Definire il valore del mercato in un settore in rapida
espansione tecnologica quale quello dei sensori e degli attuatori risulta estremamente difficile oltre che azzardato. Si tratta di un settore di una notevole vastit`a ed
inoltre si va dal costo del sensore e dellattuatore che pu`o essere irrisorio a quello del
trasduttore completo che risulta decisamente superiore e che permette i maggiori
guadagni da parte delle imprese costruttrici. Questo `e senza dubbio uno dei motivi
per cui nelle statistiche ufficiali non vengono distinti i termini sensori e trasduttori.
Nel seguente istogramma si riporta la crescita impetuosa dei sensori wireless e dei
relativi trasmettitori di segnale.

Figura 3.3: Mercato dei sensori wireless e dei trasmettitori dei relativi segnali

Le tecnologie utilizzate per la realizzazione di sensori attuatori e trasduttori


sono le pi`
u disparate per cui si assiste a una forte specializzazione da parte dei
costruttori. Chi produce sensori per termocoppie difficilmente commercializza altri
tipi di sensori, a meno che questi non si basino sulla stessa tecnologia utilizzata per
la termocoppia. Per affrontare lo studio, la progettazione, la realizzazione di sensori
occorre avere a disposizione competenze multidisciplinari, utilizzare ricerca di
base molto specializzata e conoscere come sfruttare un particolare fenomeno per

78

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

ricavare un elemento sensibile a un determinato misurando. I sensori diventano


sempre pi`
u piccoli, meno costosi, pi`
u affidabili, pi`
u intelligenti, meno attaccabili
da ambienti ostili e utilizzano sempre pi`
u semiconduttori e materiali ottici. Altre
tendenze sono quelle di portare il sensore pi`
u vicino al processo e lintelligenza pi`
u
vicina al sensore. Tecnologie avanzate per la realizzazione di sensori impiegano
la interferometria laser, le fibre ottiche, i radar modulati, linterferenza ottica, i
sensori di forza e movimento a sei assi. Molti di questi sono necessari nella fabbrica
automatica e nella robotica (specie i sensori di forza con elevata risoluzione).

3.2

Il sensore intelligente

Le nuove tecnologie dei moderni microsistemi rendono possibile la realizzazione di


sensori in cui lelemento sensibile `e integrato sullo stesso chip, in scala microscopica,
con lelettronica di controllo, di misura e di elaborazione dei segnali. Nel campo
della microelettronica e dei sistemi a larga scala dintegrazione (VLSI) il materiale
tecnologicamente pi`
u conosciuto `e il silicio, che ha alcune propriet`a tali da renderlo
adatto alla realizzazione di sensori per diverse grandezze. Si parla correntemente
di sensori integrati con riferimento a quei dispositivi in cui sono predisposti
sullo stesso substrato, molto spesso di silicio, i sistemi sensori e lelettronica di
condizionamento del segnale. Nellambito dei sensori integrati `e sorta lesigenza
di caratterizzarne un sottoinsieme che presenti oltre al sistema di condizionamento
anche un sistema di elaborazione mediante un microprocessore. A questi dispositivi,
che richiedono molto spesso ununit`a fisica e anche una progettazione dedicata, si `e
dato il nome di sensori intelligenti o smart sensor. I sensori intelligenti hanno
consentito una notevole semplificazione della misura oltre che lottimizzazione delle
prestazioni dei sensori stessi. Lo sviluppo dei sensori intelligenti `e legato non solo
alle prestazioni che essi offrono, ma anche al notevole valore aggiunto rappresentato
dal sistema di elaborazione e controllo. La riduzione delle dimensioni dei sensori ha
comportato anche un notevole miglioramento delle prestazioni. Oggi, con lavvento
dei sensori ottici, si stanno sperimentando nuovi materiali in sostituzione del silicio.
Si ha un uso sempre maggiore di sensori basati sulle fibre ottiche e nel campo della
microfluidodinamica si impiegano vetro e plastica, oltre ad un particolare polimero,
il polidimetilsilossano (PDMS).
Con le nanotecnologie molti ritengono che si sia raggiunto un limite che pone
una serie di quesiti sui benefici di un ulteriore riduzione delle dimensioni del sensore,
discutibile se non accompagnata da una possibile contestuale miniaturizzazione del
sistema sul quale esso agisce. Per esempio il passaggio delle pompe da una scala macro ad una micro ha comportato grandi benefici alle industrie biochimiche e mediche,
permettendo la realizzazione dei lab on a chip (LOC), veri e propri laboratori
chimici in miniatura, con riduzione dei costi di fabbricazione e dei reagenti, analisi
pi`
u accurate e pi`
u veloci, maggiore sicurezza nellesame di contaminanti e di sostanze radioattive, possibilit`a di analisi contemporanee di diversi campioni. Nei LOC
sono pompate quantit`a di fluido contenente campioni biologici quali proteine, cellule, reagenti, dellordine dei micro e nanolitri, ma se si considera che particelle come

3.2. IL SENSORE INTELLIGENTE

79

i globuli rossi possono avere un diametro di qualche micron, si rischia limpossibilit`a


che esse fluiscano in condotti di dimensioni ad esse paragonabili.
In uno smart sensor, il sensore stesso pu`o essere solo una piccola parte del
chip e quindi lulteriore riduzione delle sue dimensioni dovrebbe essere presa in
considerazione solo se si possono prevedere vantaggi in termini di funzionalit`a, in
quanto in genere vi `e pi`
u interesse ad ottenere migliori prestazioni che non a ridurre
ulteriormente le dimensioni. Infatti in alcuni casi si `e riscontrato che al di sotto di
certe dimensioni il sensore riduce la sua sensibilit`a. In definitiva nel campo della
sensoristica andranno esaminati caso per caso i vantaggi legati allimpiego delle
nanotecnologie.
Limpetuoso sviluppo delle tecnologie elettroniche e informatiche, della elaborazione dei segnali ed il suo utilizzo nella strumentazione programmabile si sta
riversando quindi anche nellambito della sensoristica. Particolare attenzione va
posta a tutte quelle tecniche che consentono di operare in tempo reale e quindi alle
problematiche del campionamento, delle conversioni dal continuo al discreto, della
trasmissione dei segnali. Le potenzialit`a di un sensore intelligente sono notevoli e nel
` possibile stabilire, in base al tipo di grandezza
seguito se ne accenna ad alcune. E
in esame, il miglior metodo di misura, la portata, la frequenza di campionamento,
laccuratezza della misura, il modo di presentazione del risultato. Spesso i sensori
intelligenti hanno la capacit`a di comunicare con altri sensori, con sistemi di supervisione e con loperatore, di adattarsi a diverse esigenze autoriconfigurandosi, di
regolare automaticamente la curva di taratura, di eseguire lautodiagnosi.
Nella Fig. 3.3 si mostra una tipica applicazione di un sensore al test (DUT,
device under test) e al controllo (DUC, device under control ) di un dispositivo.
Come mostrato in figura il segnale in uscita al sensore `e condizionato prima di essere
inviato al microprocessore (P ), dal quale poi sono trasmesse le informazioni sia al
sistema di visualizzazione, registrazione e comunicazione dei dati, sia, tramite un
convertitore da digitale in analogico, allattuatore che chiude la catena di controllo.
I segnali in uscita a un sensore sono in genere tensioni elettriche con ampiezza
variabile da pochi microvolt fino a qualche volt, possono cio`e essere di piccola entit`a
ed inoltre pu`o anche essere presente un elevato rumore causato da interferenze e
rumori esterni o generato allinterno dei circuiti elettronici del sensore, tale rumore pu`o contenere componenti ad elevata frequenza di natura random. La tensione
dei segnali in uscita dai sensori deve essere amplificata, filtrata, convertita in forma
digitale. Quindi allinterno del sistema di condizionamento del segnale si trovano
amplificatori, filtri e convertitori analogico digitali (ADC). Inoltre il sensore
deve essere schermato da possibili rumori od interferenze esterne. Come si dir`a in
seguito spesso il segnale in uscita al sistema `e trasmesso in forma digitale ad una
stazione remota, per cui si prevede anche un sistema di modulazione e demodulazione del segnale. La funzione del microprocessore `e quella di elaborare il segnale
proveniente dal sensore e di sovrintendere a tutte le operazioni del sistema.
Perche il segnale possa essere visualizzato su monitor o essere registrato si richiede spesso una sua forte amplificazione. Quindi gli amplificatori possono avere
guadagni molto elevati anche superiori a 1000. Molto spesso il guadagno di un amplificatore `e misurato in decibel (dB). Il guadagno lineare pu`o essere trasformato in

80

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

Sensore
DUT
DUC
Attuatore

Sistema di condizionamento
del segnale

DAC

P
Sistema di Visualizzazione
Registrazione
Comunicazione
Dati

Figura 3.4: Sensore inserito in una catena di test e controllo

decibel mediante il logaritmo in base 10: Guadagno(dB)=20 lg(guadagno lineare).


Lampiezza di banda nel dominio della frequenza di un amplificatore per sensori `e
data dalla differenza tra le frequenze di taglio superiore ed inferiore. Il guadagno
a queste frequenze `e 0,707 del guadagno in corrispondenza della frequenza centrale
della banda. Si dice che tale guadagno `e normalizzato ed ha un decremento rispetto
al valore massimo del 70, 7%. Poiche 3 dB = 20 lg(0, 707), i punti corrispondenti alle frequenze di taglio sono denominati anche punti a 3 dB e presentano una
potenza pari a met`a di quella massima dellamplificatore. Un altro parametro importante da tener presente in uno smart sensor `e il rapporto segnale rumore
o SNR (signal-to-noise ratio), definito come il rapporto tra la potenza del segnale e
la potenza totale del rumore ipotizzate agenti sullo stesso sensore, assimilato ad una
resistenza elettrica, pertanto indicate con Ps e Pn le potenze del segnale e del rumore
e con Vs e Vn le rispettive tensioni, si ha: SNR = Ps /Pn = Vs2 /Vn2 . Esso `e espresso
quasi sempre in decibel e simbolicamente anche con una barra tra S ed N (S/N ),
per cui si pu`o scrivere: S/N = 10 lg(Ps /Pn ) = 20 lg(Vs /Vn ). LSNR pu`o variare
da punto a punto del sistema di misura e quindi `e opportuno misurarlo nei punti
in cui si teme che possa essere particolarmente basso. Spesso dal segnale prelevato
dal sensore `e sottratta una tensione di riferimento, proveniente da un sensore non
sollecitato dal misurando, identico a quello di misura e a questo posto in vicinanza, in modo che sia soggetto alle stesse interferenze e agli stessi rumori. Il segnale
differenza risultante `e amplificato e filtrato mediante un processo di smoothing per
ridurre il rumore. La risposta relativamente bassa del sensore rende indispensabile
il filtraggio del rumore. Normalmente il segnale analogico `e convertito in digitale e
ci`o permette di migliorare lSNR attraverso lelaborazione successiva, comprensiva
anche del filtraggio numerico, in quanto i filtri digitali sono pi`
u flessibili ed efficaci
di quelli analogici.
In realt`a per effettuare correttamente una serie di operazioni occorrono pi`
u sensori i cui segnali siano convertiti dal dominio del continuo in quello del discreto. Pi`
u
il sistema da provare o controllare diventa complesso pi`
u cresce il numero di sensori,
e si parla di sistema multisensoriale, in cui le informazioni di pi`
u sensori (sensor
fusion) concorrono a definire la conoscenza di un fenomeno, di una macchina, di
un ambiente. La ricerca e lo sviluppo nellambito dei sensori intelligenti tendono a
intensificarsi in quanto forte `e la domanda che proviene dal mondo industriale. Le

3.2. IL SENSORE INTELLIGENTE

81

linee di tendenza di questo sviluppo stanno essenzialmente in una maggiore integrazione tra sistema sensorio e sistema di elaborazione, in un trasferimento dei risultati
conseguiti nellambito dellintelligenza artificiale alla sensoristica. Probabilmente
presto si passer`a dal sensore intelligente al sensore esperto.
Le fabbriche moderne sono fornite di un gran numero di sensori che permettono il monitoraggio delle variabili ambientali, oltre che dalcune variabili specifiche
allinterno delle macchine, in un sistema integrato, assistito da calcolatore. In tal
modo si ha la possibilit`a di rilevare situazioni anomale ed anche davere indicazioni
in tempi rapidi, sia di situazioni pericolose per le persone, sia di parti di macchine
in avaria. In sistemi intelligenti, assistiti da calcolatori si `e in grado anche di avere
indicazioni sugli interventi da operare, sui tempi e sulle modalit`a dintervento. In
Fig. 3.4 `e mostrato lo schema a blocchi di un sistema multisensoriale, in cui sono
distinte le funzioni di autotest e di controllo. Certamente il modo pi`
u diffuso
per passare dal continuo al discreto `e, come mostrato in figura, quello di utilizzare
un convertitore analogico digitale (ADC) e su questo principio si basa la
maggior parte dei sensori intelligenti disponibili sul mercato. Essi prevedono nel
sistema di condizionamento oltre allamplificatore, un adattatore dimpedenza, un
filtro per ridurre il rumore e un filtro anti-aliasing, per evitare gli errori dovuti
al campionamento. I segnali in uscita agli ADC, attraverso un multiplatore digitale (MUX) da paralleli diventano seriali, il che ne facilita la trasmissione. Dal
MUX i segnali sono convogliati sia su un processore di segnali digitali (DSP) sia su
un bus di comunicazione. Il DSP governa sia il controllo della macchina tramite un
controllore locale dedicato, un DAC e un attuatore, sia la funzionalit`a dei sensori. A
questo scopo sono necessari ancora i DAC, filtri e regolatori, oltre ad una tensione di
riferimento (in genere ottenuta stabilizzando una tensione continua con un diodo
ed interruttori non mostrati in figura. La catena di controllo del
zener), a rele
sistema multisensoriale consente la scelta della portata dei sensori e della polarit`a,
della frequenza di campionamento oltre che lautoconfigurazione.
Il bus di comunicazione interna permette ai segnali di raggiungere la stanza
centralizzata di controllo dove si ha a disposizione un host-computer. Il sistema
di comunicazione `e molto importante non solo nella fase di esercizio del sensore, ma
anche in quella iniziale di verifica della taratura. Infatti a questo scopo si utilizza
quasi sempre un sistema automatico di regolazione della curva di taratura gestito
dallhost-computer che ha una notevole capacit`a di calcolo per poter eseguire tutte
le operazioni necessarie allo scopo. Il bus di comunicazione pu`o trasmettere i segnali
anche allesterno.
Oggi si vanno sempre pi`
u affermando reti di sensori distribuiti spazialmente, anche in luoghi diversi, detti web sensor, che trasmettono i segnali ad un computer
remoto per lelaborazione, utilizzando protocolli di comunicazione e interfacce standard (come ad esempio la IEEE 1451). Essi sono gi`a impiegati, a volte ancora in fase
sperimentale, in diversi campi quali il monitoraggio ambientale, il telerilevamento da
satellite, la gestione dei trasporti, le informazioni per le forze dellordine, la gestione
di impianti di sicurezza non presidiati, il monitoraggio di situazioni calamitose, operazioni SCADA (Supervisory Control And Data Acquisition), controlli industriali,
e si stanno molto sviluppando nel campo della telemedicina, con svariate applica-

82

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI


MACCHINA CONTROLLATA
SENSORE SENSORE SENSORE

REGOLATORE ATTUATORE

FILTRO

FILTRO

FILTRO

FILTRO

FILTRO

ADC

ADC

ADC

DAC

DAC

MUX

DSP
CONTROLLORE
LOCALE
BUS COMUNICAZIONE

HOST
MEMORIA ESTERNA
CPU
STANZA CENTRALIZZATA DI CONTROLLO
Figura 3.5: Sensore inserito in una catena di test e controllo

zioni. Lapproccio utilizzato `e del tipo orientato agli oggetti (object-oriented ), un


modo molto efficiente per generare schemi standard di gestione ed interpretazione
dei dati provenienti dai sensori. I sensori intelligenti possono avere anche una codifica digitale diretta e in tal caso il segnale digitale, in genere disponibile in forma
parallela, `e prelevato alluscita del sensore e inviato in ingresso al microprocessore.
Dispositivi di questo tipo sono rari. Come esempio si pu`o considerare un encoder,
un misuratore di spostamento lineare o angolare costituito da un disco circolare sul
quale `e stampigliato un opportuno schema, che consente la codifica diretta. Il disco
`e normalmente calettato su un albero e come questo ruota si genera una codifica
differente per ogni posizione misurabile. La codifica pu`o avvenire per contatto, per
via magnetica o per via ottica. Quella per contatto richiede la presenza di spazzole
con tutti i problemi che queste comportano. Quella magnetica utilizza dei sensori
ad effetto Hall, sensibili alla presenza o meno di un campo magnetico. Questo
tipo di codifica non soffre dellusura delle spazzole e quindi assicura una vita utile
maggiore al sensore. La codifica ottica, mostrata nella figura seguente `e quella che
si va diffondendo sempre pi`
u in quanto consente i maggiori livelli di accuratezza.
In Fig. 3.6 sono mostrati i tre componenti fondamentali di un encoder ottico: un
disco segmentato composto da parti trasparenti e opache; una sorgente di luce LED
(light emitting diode) con un sistema di lenti ottiche, dei rivelatori di luce costituiti
da tante cellule ad esempio fotodiodi o fototransistor, in grado di captare il
fascio fornito dal LED.

3.2. IL SENSORE INTELLIGENTE

83

Figura 3.6: a) codifica con 8 settori b) sistema ottico c) disco segmentato

II circuito di rivelazione fornisce lo 0 logico in corrispondenza della zona opaca


ed 1 logico in corrispondenza della zona trasparente. In presenza di zona opaca la
luce emessa dal LED, `e interrotta, il corrispondente fotodiodo non `e illuminato e la
tensione ai capi della resistenza in serie al fotodiodo `e nulla (0 logico). Se la zona `e
trasparente la luce emessa dal LED colpisce il fotodiodo, la fotocorrente scorre anche
nella resistenza ai cui capi si manifesta una tensione (1 logico). La risoluzione del
sensore dipende dal numero di settori circolari costituenti il disco che corrispondono
ai bit del dispositivo a ciascuno dei quali `e associato un fotorivelatore e un bit, questi
tipi di codificatori sono in grado di rivelare spostamenti dellordine del micron. Con
8 settori `e possibile discriminare 28 = 256 posizioni. Questi tipi di codificatori sono
in grado di rivelare spostamenti dellordine del micron con una risoluzione superiore
a 14 bit.
Negli encoder a codice binario naturale si pu`o avere linsorgenza di glich quando
il sensore, passando da una posizione alla successiva determina la commutazione di
almeno due bit. Il sistema di lettura deve essere ben allineato ai settori circolari
altrimenti si genera un codice errato durante il passaggio da una posizione allaltra
(la cosiddetta corsa critica). Ad esempio, nel passaggio tra il codice 5 (101) e 6
(110), si potrebbe generare per un momento il codice 100 oppure 111. Risulta facile
ovviare a tale inconveniente codificando il nastro, o il disco, con un codice binario a
distanza di Hamming unitaria, come il codice Gray.
Altri tipi di sensori convertono la grandezza fisica da misurare in una serie di
impulsi che sono inviati ad un contatore digitale (counter) che fornisce in uscita il
segnale digitale disponibile in forma parallela in ingresso al microprocessore. Un
esempio tipico `e rappresentato da un misuratore di velocit`a angolare, costituito da
un disco forato, calettato sullasse di un organo in movimento. Una sorgente di luce
invia un segnale rilevabile dallaltra parte del disco mediante una cella fotoelettrica
che converte il segnale di velocit`a del disco in una serie di impulsi a frequenza
variabile in dipendenza della velocit`a stessa. In Fig. 3.7 `e mostrato il disco e gli
impulsi inviati al counter, oltre al sistema di illuminazione e rivelazione. Nel caso si
effettuassero 60 fori la misura sarebbe espressa in giri al minuto.

84

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

Figura 3.7: Misura di velocit`a angolare con un counter

Grande sviluppo alla sensoristica industriale specie nei settori militare, biomedico, automobilistico e aeronautico `e stata data dai MEMS (Micro-Electro-Mechanical
Systems). I MEMS sono lintegrazione di elementi meccanici, di sensori, di attuatori
e dellelettronica per il condizionamento e lelaborazione del segnale su un unico substrato di silicio, ottenuto attraverso le moderne tecnologie di microfabbricazione. I
MEMS quindi rappresentano unimportante fusione della tecnologia dei circuiti integrati (IC) con la pi`
u avanzata tecnologia micromeccanica. Lacronimo MEMS risale
agli anni Novanta anche se la tecnologia per la realizzazione di micro macchinari `e
nota gi`a dagli anni Cinquanta, quando si scopr` che silicio e germanio manifestavano
un effetto piezoelettrico. Questa tecnologia comprende un insieme piuttosto
vario di processi che consentono di modellare sulle tre dimensioni uno o pi`
u wafer
di silicio. Anche se il silicio `e il materiale pi`
u utilizzato, sono stati impiegati anche wafer di vetro e di quarzo. Nei MEMS ai noti processi per la realizzazione di
circuiti integrati si affiancano quelli di micromacchine in grado di realizzare componenti meccanici in scala micro per la fabbricazione di dispositivi elettromeccanici
denominati systems on a chip, tra i quali anche i gi`a citati lab on a chip. La presenza dei microsensori, in grado di rivelare la presenza di grandezze meccaniche,
termiche, biologiche, chimiche, ottiche ed elettromagnetiche, insieme con quella dei
microattuatori, capaci di muovere, posizionare, regolare, pompare e filtrare, fornisce
ai MEMS straordinarie capacit`a di percezione e controllo e ne amplia le possibilit`a
dimpiego in diversi campi con la realizzazione di dispositivi a pi`
u basso costo e con
pi`
u elevati livelli di funzionalit`a ed affidabilit`a rispetto a quelli realizzati in scala
macro. Questi benefici sono ottenuti proprio dalla riduzione dei costi di sensori ed
attuatori, che tra laltro nei MEMS raggiungono laffidabilit`a dei circuiti integrati.
Si sta ottenendo un ulteriore miglioramento delle prestazioni attraverso sistemi sia
di trasmissione dati senza fili, sia di protezione dalle elevate temperature.
Senza dubbio uno dei maggiori benefici derivante dalla simbiosi tra elementi elettronici e meccanici `e quello di permettere a molti circuiti MEMS di non richiedere
limpiego di batterie per lalimentazione elettrica dei sensori. Come sar`a meglio

3.2. IL SENSORE INTELLIGENTE

85

chiarito in seguito, la maggior parte dei sensori `e di natura passiva, per cui si richiede limpiego di una alimentazione esterna, costituita in genere da una batteria,
con tutti i problemi legati ai costi di manutenzione della batteria e ai rischi di mal
funzionamento dovuti a un deterioramento della stessa. La possibilit`a di utilizzare
sensori auto alimentanti ne amplia enormemente luso. Lauto alimentazione deriva
dalla conversione effettuata nei MEMS di energia meccanica in elettrica, energia
quasi sempre pi`
u che sufficiente dato il bassissimo consumo di potenza richiesto al
funzionamento dei circuiti integrati. Lenergia meccanica convertita in elettrica `e
quella che deriva dal movimento delloggetto su cui `e montato il sensore. Quando il sensore opera su un automobile o un aeromobile o un qualsiasi motore o un
braccio o una gamba di un essere vivente la trasformazione di energia `e semplice,
pi`
u complessa quando il misurando `e rappresentato da un oggetto apparentemente statico. In realt`a in natura tutto `e in movimento, in particolare il pavimento
sul quale camminiamo `e sollecitato da vibrazioni che diventano pi`
u intense con il
passaggio di autoveicoli nelle strade adiacenti alledificio nel quale ci troviamo. I
MEMS pi`
u moderni iniziano a sfruttare lenergia di queste vibrazioni per la loro
auto alimentazione, rendendo, come si pu`o intuire, il futuro di questi dispositivi
sempre pi`
u affascinante. In sintesi i vantaggi dei MEMS rispetto ai dispositivi tradizionali riguardano un minore consumo energetico con possibilit`a di auto alimentarsi,
migliori caratteristiche di funzionamento, un peso ridotto e costi inferiori, in quanto
la fabbricazione in serie riduce i costi di produzione e di assemblaggio. I principali materiali utilizzati per la fabbricazione dei mems sono: silicio, materiali vetrosi,
metalli, polimeri. I MEMS nel campo medico prendono il nome di BIOMEMS e tendono sempre pi`
u a rimpiazzare i dispositivi biomedicali gi`a esistenti. La diffusione
dei BIOMEMS `e dovuta anche al fatto che la maggior parte dei materiali utilizzati
sono biocompatibili (silicio, ossido di silicio, metalli preziosi: oro e titanio, polimeri
: polydimethiylsiloxane (PDMS), parylene).
Le tecnologie di fabbricazione dei MEMS in gran parte sono quelle impiegate nella
realizzazione dei circuiti integrati come per esempio luso di basette di silicio, di film
sottili e dei metodi foto litografici. Sulla superficie di un wafer di silicio si realizzano
in scala micrometrica i componenti del dispositivo rimuovendo chimicamente strati
di ossido. Con la sempre maggiore diffusione dei MEMS si sono gi`a messi a punto
diversi processi di fabbricazione alcuni dei quali anche differenti da quelli tipici degli
IC. I tre processi principali sono quelli di deposizione di film sottili di materiale su
un substrato, di applicazione di una maschera con lo schema circuitale sulla
base del film attraverso la fotolitografia e di incisione della maschera sul
film. Lo spessore dei film sottili varia in genere da un centinaio di micrometri fino
a pochi nanometri. Per la fabbricazione di un dispositivo mems si possono avere
da 1 a 15 cicli consecutivi. Per la fabbricazione in tecnologia CMOS si richiede
necessariamente un numero di cicli maggiore di 30.
Il processo di deposizione pu`o avvenire per reazione chimica o fisica. Nel caso si
impieghi una reazione chimica le tecniche pi`
u utilizzate sono lelettrodeposizione
se i film sono di materiale conduttivo, come rame, oro o nichel e la crescita epitassiale
su un substrato isolante sul quale si diffonde il silicio o larseniuro di gallio, tecnica
che ha il vantaggio di essere molto rapida e di consentire la realizzazione di film

86

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

di spessori variabili da pochi micrometri a un centinaio di micrometri. Nel caso


si impieghi una reazione fisica le tecniche pi`
u utilizzate sono levaporazione e lo
sputtering. Levaporazione pu`o avvenire o impiegando un fascio di elettroni o un
riscaldamento resistivo. Nello sputtering il materiale `e rilasciato dalla sorgente ad
una temperatura molto pi`
u bassa di quella che si ha nellevaporazione. In questa
tecnica un gas inerte, di solito argon, `e portato allo stato plasmatico tramite una
radiazione in genere a radiofrequenza. Gli ioni di argon, colpendo la superficie
della sorgente, estraggono atomi che condensano su tutte le superfici compreso il
substrato.
La fotolitografia nei MEMS prevede il trasferimento di uno schema circuitale su un materiale fotosensibile, in grado di modificare le sue propriet`a fisiche
quando `e sottoposto allesposizione selettiva ad una sorgente di radiazione luminosa.
Ovvero si realizza lo schema desiderato in quanto il materiale fotosensibile mostrer`a
caratteristiche diverse nelle regioni che sono state esposte alle radiazioni, da quelle
non esposte. Il materiale fotosensibile `e un polimero che varia la propria solubilit`a
in base allazione della radiazione agente su di esso. La parte non esposta pu`o essere
selettivamente rimossa nella successiva fase di lavorazione. I MEMS sono realizzati
strato dopo strato per successive litografie. Particolarmente delicate nelle tecniche
litografiche sono le fasi sia di allineamento al wafer delle diverse maschere necessarie alla realizzazione dei componenti, sia di esposizione alle radiazioni del materiale
fotosensibile, perche questo modifichi le sue propriet`a nel modo desiderato.
Lincisione della maschera sul film `e una tecnologia basata sullasportazione
di materiale e pu`o avvenire per via chimica, dissolvendo il materiale da asportare
mediante una soluzione liquida, o a secco, impiegando ioni reattivi o lo sputtering
o corrodenti in fase vaporosa. La tecnologia per via chimica `e pi`
u semplice e meno
costosa, purche si disponga di una soluzione in grado di dissolvere selettivamente
il materiale da asportare. Purtroppo nel caso del silicio facce diverse del cristallo
presentano caratteristiche chimiche diverse, il che pu`o portare ad un errore nello
spessore asportato con alterazioni nelle caratteristiche previste in sede di progetto.
Lincisione a secco con ioni reattivi `e ottenuta mediante un plasma che produce
ioni reagenti con il materiale da asportare. Il processo per sputtering `e analogo a
quello esaminato per la deposizione, solo che in questo caso il substrato sostituisce la
sorgente e subisce il bombardamento degli elettroni. Infine lincisione in fase vapore
prevede lintroduzione in unapposita camera di uno o pi`
u gas reattivi, che formano
prodotti gassosi per il substrato da asportare. In genere si usa acido fluoridrico
gassoso per lasportazione dellossido di silicio o fluoruro di xenon per lincisione del
silicio.
Attualmente i sensori basati sui MEMS sono principalmente quelli di pressione,
di accelerazione, di velocit`a, di forza e di flusso oltre ai gi`a citati biosensori. I
sensori di pressione trovano largo impiego nel settore automobilistico e in quello
biomedicale, dove si stanno diffondendo dispositivi usa e getta, dopo il successo dei
misuratori di glucosio. I MEMS per misurare laccelerazione e i giroscopi hanno
trovato il mercato pi`
u ampio nellambito degli airbag per autovetture. I sensori
di velocit`a hanno trovato il principale mercato nei GPS su automobili, cellulari e
palmari, mentre quelli di forza sono impiegati nella fabbricazione di bilance. Nel

3.3. CLASSIFICAZIONE DEI SENSORI

87

seguito si accenner`a ad altre applicazioni dei MEMS, in fase di sviluppo. A titolo


di esempio si riportano nella seguente tabella 3.1 i MEMS attualmente impiegati in
campo automobilistico.
Tabella 3.1: Applicazioni di sensori MEMS alle autovetture

MEMS Sensors
Pressure sensor

Auto Parts
Engine assembly

Pressure sensor

Engine assembly

Oxygen sensor

Engine assembly

Cranshaft
sensor

position Engine assembly

Throttle
position Engine assembly
sensor
Speed sensor
Engine assembly
Water
sensor

temperature Engine assembly

Acceleration sensor

Air bag

Pressure sensor

Air bag

Pressure sensor

Braking system

Pressure sensor

Suspension system

Pressure sensor
Wheel speed sensor
Tilt sensor

Tire
ABS/TCS/ESP
Chassis systems

Gyro

Navigation
equipment

3.3

Application
To reflect the air-intake volume
and control the fuel injection
To measure the internal pressure
of cylinder
To reflect the concentration of the
engines combustible gas
To reflect the engine cranshaft
speed and angle and top-deadcenter piston position
To reflect the engine load
To reflect the auto speed and
control the fuel injection
To measure and control the engine coolant temperature as well as
the fuel injection
To test and control the airbag
popping-up time
To test and control the airbag
inflation pressure
To control the oil pressure of the
braking system
To test and control the suspension hydraulic pressure
To test the tire pressure
Traction control
To measure and control the
vehicle seat angle
To measure and control the
angular velocity

Classificazione dei sensori

Nella trattazione dei sensori si trovano diversi modi di classificazione: per tecnologia e principio fisico che essi utilizzano (ottico, piezoelettrico, fotoelettrico,

88

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

fotovoltaico, ecc.); per funzione che essi svolgono o per grandezza da misurare
(lunghezza, temperatura, pressione, vibrazione, ecc.); per settore cui essi sono
destinati (agricoltura, siderurgia, chimica, manufatturiero, ecc.); per dispositivo
interessato alla misurazione (macchine utensili, motori, variatori, cuscinetti, pompe,
compressori, valvole, saldatrici, forni, ecc.).
Le diverse classificazioni sono adottate in modo alternativo in diversi testi. La
prima, quella per tecnologie, riesce a dare una visione ragionevolmente integrata
dei processi utilizzatinella realizzazione dei sensori e risulta particolarmente utile al
progettista di sensori. Essa evidenzia lo stato dellarte e le possibilit`a che un dato
principio fisico soddisfi una determinata richiesta, purtroppo `e poco utile quando
uno desideri comparare i pregi e i difetti di sensori in grado di misurare una stessa
grandezza. Per esempio se si ha da scegliere un termometro occorrerebbe andare ad esaminare separatamente le sessioni riguardanti i dispositivi resistivi, quelli
termoelettrici, quelli a semiconduttore, i pirometri.
Anche una classificazione per settore pu`o risultare utile a chi operi in un certo
campo, ma, a parte la difficolt`a di individuazione dei tanti settori in cui si utilizzano
i sensori, essa darebbe luogo a ripetitivit`a o a continui rinvii, in quanto uno stesso
sensore viene correntemente adoperato in diverse aree. La classificazione per dispositivo interessato alla misurazione, mettendo in evidenza i particolari requisiti dei
sensori in relazione alle differenti applicazioni e fornendo una panoramica dei sensori utilizzabili per eseguire misure su un determinato macchinario, `e particolarmente
utile agli specialisti. Da un punto di vista dellutente senza dubbio la migliore classificazione `e quella per grandezze da misurare in quanto consente di stabilire subito
` evidente che una clasquali siano i sensori disponibili con le loro caratteristiche. E
sificazione per funzioni deve soprattutto mettere in evidenza i particolari requisiti
dei sensori in relazione alle differenti applicazioni, dando una panoramica delle varie
propriet`a fisiche utilizzabili per eseguire una determinata misura. In tal modo lutente potr`a operare la sua scelta in base alle necessit`a, tenendo conto del rapporto
costi benefici. Purtroppo molti testi classificando i sensori per grandezze da misurare spesso tendono ad assumere la veste di un catalogo con la giustapposizione di
dispositivi privi di un minimo di correlazione, perdendo molto spesso di scientificit`a.
Nel prosieguo si fornisce una sintetica visione dei processi fisici che presiedono
alla trasformazione da una forma di energia allaltra nei diversi trasduttori. Si
descriveranno sensori da anni utilizzati a livello industriale e alcuni che si affacciano
in maniera promettente sul mercato. Infine si cercher`a di dare un quadro dei possibili
futuri sviluppi nel campo della sensoristica.
Solo per completezza di trattazione si accenna a un altro tipo di classificazione dei
sensori che si trova in alcuni testi, riprendendo un concetto presente nellelettronica.
I sensori possono suddividersi in passivi (detti anche a modulazione) quando
richiedono potenza dallesterno per fornire un segnale di tensione o di corrente e in
attivi (detti anche ad auto-generazione) quando non richiedono una potenza
esterna (a esempio in forma di energia elettrica) per fornire il segnale in uscita
derivato dalla grandezza fisica da misurare.
I sensori passivi agiscono come impedenze elettriche. Il misurando pu`o produrre una variazione nei parametri geometrici (volume, superficie, lunghezza, ecc.)

3.4. CARATTERISTICHE DI UN SENSORE

89

o una variazione delle propriet`a elettriche (resistivit`a, permettivit`a, permeabilit`a,


ecc.).
Anche se `e molto importante tener conto che le variazioni nei parametri geometrici frequentemente producono anche variazioni nelle propriet`a elettriche.
Di queste variazioni occorre tener conto in quanto esse possono alterare sensibilit`a
e accuratezza del sensore.
La variazione nei parametri geometrici pu`o essere dovuta a una forza, a uno
spostamento, a una vibrazione, a una velocit`a, ecc. La variazione nelle propriet`a
elettriche `e dovuta generalmente a umidit`a, temperatura, pressione, forza, coppia,
radiazione luminosa.
Un esempio di classificazione sulla base della natura passiva dei sensori `e fornito nella Tabella 3.2, dove sono riportate alcune delle pi`
u importanti applicazioni
relative ai pi`
u diffusi sensori passivi basati sui tecnologie mature. Si pu`o cos` riscontrare che un semplice resistore pu`o consentire misure di spostamento, di velocit`a,
di vibrazione, di sforzi, di forze, di coppie, di pressioni, di temperature, di flussi, di
portate, di umidit`a, di dimensioni, solo per fare alcuni esempi.
I sensori attivi forniscono un segnale elettrico in uscita derivato semplicemente
dalla grandezza fisica in ingresso. I trasduttori di questo tipo sfruttano diversi
effetti fisici quali quelli piezoelettrico, fotoelettrico, fotovoltaico, elettromagnetico e
termoelettrico. Poiche luscita elettrica `e limitata dal misurando fisico, questi tipi di
trasduttori tendono ad avere una uscita a bassa energia, per cui in genere richiedono
una amplificazione. Un esempio di classificazione sulla base della natura attiva dei
sensori `e fornito nella Tabella 3.3.
In alcuni testi accanto ai sensori passivi (o a modulazione) e a quelli attivi (o
ad autogenerazione) si contempla un terzo gruppo cui appartengono i sensori noti
come modificatori (in alcuni testi sono classificati come convertitori), che
hanno la prerogativa di avere la stessa forma di energia allingresso e alluscita con
caratteristiche modificate.

3.4

Caratteristiche di un sensore

Si `e gi`a accennato che per un corretto impiego dei sensori `e necessario conoscere le
loro prestazioni. A loro fa riferimento sia il progettista del sistema nel definire le
specifiche necessarie per il buon funzionamento, sia il costruttore quando indica la
qualit`a del prodotto.
Nel definire le caratteristiche di un sensore, si pu`o rappresentarlo come un blocco in grado di trasferire linformazione e lenergia in ingresso alluscita in forma
invariata o convertita. Allo scopo di studiare nel modo pi`
u completo possibile il
funzionamento di un sensore, nel seguito si esamineranno le seguenti caratteristiche:
` e affidabilita
`.
stazionarie, dinamiche, ambientali, di qualita
Le caratteristiche metrologiche stazionarie sono quelle che fanno riferimento alle condizioni di regime permanente definite come quelle condizioni
operative del sensore nelle quali la relazione ottenuta durante la taratura resti valida anche quando il misurando vari nel tempo. Esse descrivono il comportamento

90

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

di un sensore in condizioni di funzionamento normale, quando il misurando subisce


variazioni molto lente e in assenza di urti, vibrazioni o accelerazioni (a meno che
una di queste non debba essere oggetto di misura).
Le caratteristiche metrologiche dinamiche sono relative alla risposta
del sensore alle variazioni con il tempo del misurando, quando non `e pi`
u valida la
relazione tra i segnali di ingresso e di uscita ottenuta durante la taratura. La caratteristica dinamica `e definita mediante unopportuna funzione di trasferimento. Mentre la maggior parte delle prestazioni pu`o essere riferita alla caratteristica
in regime stazionario, `e opportuno conoscere anche la caratteristica dinamica per
una corretta utilizzazione del sensore, anche nelle condizioni di funzionamento in
condizioni di regime permanente.
Le caratteristiche metrologiche di qualit`a e affidabilit`a sono relative alla vita
operativa (o al cosiddetto numero di cicli) di un sensore, alle possibili cause del suo
malfunzionamento e alla sua capacit`a di soddisfare le esigenze del cliente.
Le caratteristiche metrologiche ambientali si riferiscono al comportamento di
un sensore dopo lapplicazione (caratteristiche ambientali non operative) o durante lapplicazione (caratteristiche ambientali operative) di una o pi`
u grandezze di
influenza.
` bene precisare che solo raramente accade che lindicazione y del sensore sia
E
funzione, oltre che del tempo, della sola variabile in ingresso x (misurando), in genere
essa dipende, anche se in misura ridotta, da altre grandezze fisiche denominate
grandezze dinfluenza o a volte anche fattori perturbanti, capaci di modificare pi`
u
o meno e in modo generalmente non desiderato la relazione tra lindicazione del
sensore e il misurando. Il VIM definisce dinfluenza quella grandezza che in una
misura diretta, come sinteticamente mostrato in Fig.3.7, non ha un effetto sulla
grandezza che si sta misurando, ma altera la relazione tra lindicazione, in questo
caso del sensore, e il risultato di misura.
` bene chiarire quanto esposto, prendendo a riferimento per esempio leffetto
E
termico. La temperatura agir`a sia sul misurando sia sul sistema di misura, mentre
la variazione sul misurando `e legata a una propriet`a del sistema sotto osservazione
e rappresenta quindi qualcosa che va rivelata, leffetto di temperatura sul sensore `e
indesiderato e quindi va effettuata la correzione dellerrore derivante da tale effetto.
Per eseguire la correzione non `e sufficiente misurare le variazioni di temperatura, ma
`e anche necessario conoscere con precisione la legge di dipendenza dalla temperatura
della curva di taratura del sensore.
Nella figura `e evidenziato anche come la presenza del sensore alteri le condizioni
iniziali del sistema in cui esso `e inserito e non consenta la misura del valore che il
misurando assumeva prima dellinserzione. Lentit`a dellinterazione varia con il tipo
di sensore usato per la misura. Se il sensore `e passivo ha bisogno di un sistema
di alimentazione, il quale introduce quasi sempre del rumore. Una misura inoltre
richiederebbe sempre un attento monitoraggio ambientale, per definire la sensibilit`a
del sistema alle grandezze dinfluenza.
Quando non sia possibile trascurare nella risposta del sensore gli effetti indesiderati, attribuibili alle grandezze dinfluenza, occorre introdurre delle correzioni,
che possono essere effettuate in fase di elaborazione del segnale in uscita, noti che

`
3.5. LE CARATTERISTICHE DI QUALITA

91

Grandezze dinfluenza

x1

x2

x1

Flusso di informazione X
Sensore
Misurando
interazione x3

x2
y

x5
Sistema di alimentazione
Figura 3.8: Schema di un sensore con alcune possibili interazioni

siano gli effetti delle grandezze di influenza sul sensore stesso. Dalla figura si nota
che le grandezze dinfluenza agiscono anche sul misurando, alterandone le caratteristiche. Come si `e detto, tali alterazioni sono molto spesso oggetto della misura e
il sensore sar`a tanto pi`
u pregiato quanto pi`
u riuscir`a a distinguere le variazioni del
segnale in uscita, attribuibili a fluttuazioni del misurando, da quelle addebitabili al
suo normale funzionamento influenzato da perturbazioni dellambiente esterno.
Le crescenti potenzialit`a dei microprocessori rendono possibili tali correzioni, si
richiede semplicemente lutilizzazione di altri sensori, sensibili alle grandezze dinfluenza i cui effetti sul sensore collegato al misurando non siano trascurabili, nel senso
che le variazioni nel segnale in uscita, determinati da queste grandezze, risultino superiori allincertezza strumentale del sensore stesso. Per esempio la temperatura
`e un parametro che `e sempre presente nei fenomeni fisici e chimici, pertanto nella
quasi totalit`a dei casi, quando si misura una grandezza bisogner`a tener conto dellinfluenza della temperatura sul sensore e quindi sulla relazione esistente tra i segnali
x ed y. Ecco perche `e ormai invalso nelluso dotare tutti i sistemi automatici di
misura di un sensore termico.

3.5

Le caratteristiche di qualit`
a

Molto spesso gli utilizzatori di sensori sono interessati alla loro qualit`a a lungo
termine. I sensori impiegati nellindustria, nel commercio, in agricoltura, nei servizi,
con particolare riguardo a quelli in campo medico, nei laboratori di ricerca devono
essere in grado di soddisfare pienamente le esigenze del cliente. La globalizzazione
delleconomia, il crescente interesse al commercio elettronico hanno determinato una
maggiore offerta di sensori con conseguente aumento della competizione su tutti i
mercati. I clienti diventano sempre pi`
u esigenti e consapevoli della necessit`a di
svolgere con competenza le proprie scelte. Essi valutano, con cognizione di causa, la
qualit`a del prodotto offerto e quindi sono in grado di conoscere quali informazioni
pretendere dai fornitori, in particolare le prestazioni qualificanti ed i relativi livelli.

92

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

La competizione impone ai produttori di sensori la realizzazione di sistemi organizzativi sempre pi`


u efficaci ed efficienti, che consentano il miglioramento continuo
della qualit`a, mirata alla soddisfazione dei clienti. Lottimizzazione dellorganizzazione deve coinvolgere tutte le fasi dei processi di marketing, progettazione, produzione e commercializzazione, anche se si tende sempre pi`
u a concentrare nella parola marketing tutte le fasi di ingegnerizzazione e commercializzazione del prodotto,
comprensive di quella del controllo della qualit`a.
I requisiti richiesti dal cliente sono definiti nelle specifiche. Le specifiche devono essere chiaramente quantificate, sistematicamente verificate e validate, attraverso
` proprio nella fase di validazione
opportune misure, e continuamente controllate. E
che il metrologo gioca un ruolo fondamentale allinterno del controllo della qualit`a.
Molti paesi richiedono la certificazione di qualit`a perche un prodotto possa essere
commercializzato al loro interno. Per esempio, la marcatura CE `e una sigla che
deve essere apposta in modo visibile e indelebile su un prodotto per attestare che
esso possiede i requisiti essenziali fissati da una o pi`
u direttive comunitarie. La mar` ai requisiti prescritti dalle direttive. Le specifiche
catura CE attesta la conformita
rappresentano una variabile da aggiornare in modo continuo sulla base di indagini
di mercato. Per il sistematico aggiornamento delle specifiche e, contestualmente, del
prodotto realizzato lorganizzazione si deve dotare di un sistema di gestione adeguato
a fornire e sostenere il prodotto stesso e quindi a fronteggiare, anche nel corso della
fornitura, la richiesta di variazioni. In modo sintetico ed efficace si pu`o affermare che
la qualit`a di un sensore `e la sua adeguatezza alluso. Poiche luso che si pu`o fare di un
sensore `e vastissimo, non si deve confondere qualit`a con eccellenza, si restringerebbe
in tal modo inesorabilmente il mercato, che invece dovrebbe allargarsi quanto pi`
u
possibile sempre nel rispetto delle diversit`a, delle attese, delle esigenze e dei gusti
dei clienti, anche in base alle loro capacit`a di spesa. Convenzionalmente si parla
di un sistema qualit`a costituito da un certo numero di elementi, attuato mediante
processi che si svolgono sia allinterno delle singole funzioni sia attraverso le stesse.
Perche un sistema qualit`a sia efficace questi processi (e le relative responsabilit`a, le
procedure e risorse) dovrebbero essere definiti e distribuiti in modo coerente. Un sistema `e la somma e linterazione di pi`
u processi. Perche un sistema sia efficace sono
indispensabili coordinamento e compatibilit`a delle diverse fasi che lo compongono e
la definizione delle loro interfacce. In Fig. 3.8 `e riportato un esempio di cerchio della
qualit`a che comprende tutte le fasi di un ciclo produttivo, a partire dalle indagini
di mercato, fino ad arrivare alla commercializzazione e allo smaltimento attraverso
leliminazione o il riciclaggio del prodotto in disuso.
La prima fase `e quella di ricerca di mercato, che pu`o essere commissionata allesterno a ditte specializzate, le quali abbiano mostrato particolare esperienza nel
settore dinteresse. Questa prima indagine serve a stabilire le attese e i bisogni dei
clienti, la loro ubicazione geografica e soprattutto i pesi percentuali delle attese,
che consentiranno non solo di definire le specifiche, ma anche di attribuire a queste,
attraverso alcuni coefficienti, una maggiore o minore importanza. In tal modo si
potranno programmare le attivit`a dei vari processi, tese al rispetto delle specifiche
nel loro ordine di priorit`a. Questa prima fase `e senza dubbio la pi`
u delicata, in
quanto prevede la programmazione del marketing, che come si diceva inizialmente

`
3.5. LE CARATTERISTICHE DI QUALITA

93

comprende non solo le politiche di penetrazione nei mercati, ma anche quelle di


controllo della qualit`a e di verifica della soddisfazione dei clienti.
La seconda fase `e quella che prelude allingegnerizzazione dei prodotti o dei servizi attraverso la progettazione e lo sviluppo. Esiste una tecnica di progetto
particolarmente efficiente, quella del concurrent engineering, che permette di ridurre drasticamente i tempi di sviluppo e i costi connessi. Essa `e sorta anche per
consentire maggiore flessibilit`a alla progettazione e alla produzione, oltre che per
migliorare la qualit`a dei prodotti. Si basa su tre fasi distinte, cos` esemplificabili:
modello complesso; progetto orientato allassemblaggio; gestione dei dati aziendali. Per quanto attiene al modello complesso, si ha che diversi gruppi di lavoro
con competenze in campi differenti collaborano tra loro in un approccio interdisciplinare alla soluzione del problema. Nel campo specifico dellorganizzazione del
lavoro in fabbrica le competenze richieste sono molteplici e si affiancano a quelle tipiche di natura tecnico-scientifica alcune di tipo socio-economico quali per esempio:
gestione aziendale; marketing; sociologia; psicologia sperimentale e applicata; scienza del comportamento; dinamica di gruppo. Il modello dellorganizzazione
aziendale entra a far parte del modello complessivo della produzione consentendo
di ottimizzare le risorse e lefficienza del sistema globale di fabbrica. Il sistema se
efficiente permette di superare la iper-specializzazione e di enfatizzare le capacit`a del
gruppo di gestire situazioni complesse. Il sistema se ben progettato `e in grado non
solo di dare risposte corrette, ma di essere un ottimo agente della trasformazione
del prodotto e del suo adeguamento alle esigenze del cliente. Il modello complesso
ha permesso di superare la tecnica seriale, in quanto si ha la contemporanea azione
degli esperti sul modello in modo parallelo. La comunicazione tra i diversi gruppi
di lavoro, che operano allo stesso progetto, `e favorita dalla tecnica di Definizione
Elettronica del Prodotto [Electronic Product Definition (EDP)], un pacchetto di
moduli software, in grado di rendere visibile ai gruppi di specialisti un albero di
componenti. Le connessioni che legano tra loro le diverse parti dellintero obiettivo
assemblato sono facilmente accessibili. Ogni progettista pu`o operare sulla propria
parte considerando i vincoli posti dagli altri progettisti e dalle altre fasi del ciclo di
produzione. Essi sono in grado di simulare tutte le fasi di produzione, inserendo i
dati relativi alla loro parte di programma in modo da avere unidea del prodotto
finito derivante dalle variazioni progettuali da loro introdotte. Se si tiene conto che i
costi di progettazione coprono pi`
u del 50% del bilancio complessivo della produzione
di un oggetto, `e evidente il beneficio derivante al ciclo completo dallottimizzazione
della progettazione. La nuova tecnica messa a punto consente di: ridurre i costi di
progettazione; ottimizzare i tempi di produzione; seguire le fluttuazioni del mercato.
Il sistema di gestione dellinformazione `e strategico.
Ad esso hanno accesso in tempo reale tutte le persone autorizzate, seguendo
una logica di estensione del sistema aziendale. I dati disponibili riguardano ogni
variazione e sviluppo della progettazione e realizzazione dei prodotti. Le informazioni disponibili in rete possono al limite vedere coinvolti anche i clienti, in genere
una particolare categoria di clienti privilegiati. Il sistema pu`o essere reso interattivo, in modo da recepire indicazioni, suggerimenti, critiche provenienti da quanti
direttamente impiegano il prodotto e potenzialmente possono essere interessati a

94

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

suoi aggiornamenti, a modifiche, in base a loro esigenze specifiche o implicite, attraverso un rapporto continuativo con il cliente. In ambito aziendale `e divenuta
fondamentale lergonomia gestionale dimpresa, che vede il lavoratore non pi`
u
come un fattore condizionante la produttivit`a, ma come portatore di conoscenze e
di efficienza quando se ne assecondino i bisogni e se ne riconoscano i limiti lavorativi
` noto lapporto che i lavoratori sono stati in grado di fornire in molte
nel tempo. E
nostre aziende al miglioramento della qualit`a dei prodotti. I pi`
u capaci in questo
processo si sono rivelati i lavoratori con maggiore esperienza e con maggiore integrazione nella filosofia di sviluppo aziendale, in quanto soddisfatti del loro lavoro. La
competitivit`a sul mercato globale richiede che siano sfruttate tutte le potenzialit`a
umane presenti in azienda, abituandole allinterdisciplinarit`a. Nellambito della fase
di progettazione `e fondamentale la sua validazione, per assicurarsi che il prodotto
soddisfi definite esigenze e requisiti dellutilizzatore; `e importante che la validazione
sia eseguita su un prototipo del prodotto finale (o in una fase intermedia di sviluppo)
dopo una positiva verifica della progettazione, in condizioni operative definite. Si
richiede anche che tutte le varianti o modifiche siano documentate.
Terminata la fase di progettazione si passa alla pianificazione e allo sviluppo dei
processi. Il concetto di pianificazione della qualit`a risponde alle necessit`a di innovazione e di dinamica produttiva delle imprese inserendo il sistema qualit`a nel quadro
organizzativo e gestionale costituito dalla compagine aziendale. A questo scopo `e
compito della organizzazione predisporre, documentare e mantenere attivo un sistema di gestione per la qualit`a inteso come strumento perche il prodotto sia conforme a
requisiti specificati, assicuri la soddisfazione del cliente ed il suo miglioramento continuo. La organizzazione deve predisporre un manuale della qualit`a che contenga o
richiami le procedure del sistema qualit`a e delinei la struttura della documentazione
relativa al sistema stesso. Particolare rilevanza assume poi la produzione del prodotto. Subito dopo la seconda guerra mondiale si ebbe lintroduzione di macchine
di elevata complessit`a e sorse la necessit`a di incrementare lautomazione prima delle
macchine e poi dei processi produttivi, assegnando alluomo semplicemente compiti
di controllo e coordinamento.
Lautomazione dei processi produttivi `e stata favorita dallavvento di sistemi
assistiti da calcolatore e dagli sviluppi della robotica. La possibilit`a di corredare
la macchina con sensori in grado di trasmettere le informazioni a distanza ha dato
la possibilit`a di rilevare situazioni anomale ed anche di avere indicazioni in tempi
rapidi sia di situazioni pericolose per le persone sia di parti di macchine in avaria.
In sistemi intelligenti, assistiti da calcolatori si `e in grado anche di avere indicazioni sugli interventi da operare, sui tempi e sulle modalit`a di intervento. Al fine di
soddisfare gli elevati requisiti di qualit`a che debbono essere garantiti sia per quanto
attiene alla produzione sia per quanto si riferisce ai materiali di base utilizzati nei
processi produttivi, sono introdotti sistemi di controllo e di garanzia della qualit`a
che accompagnano tutte le fasi di produzione. Si pu`o quindi affermare che il sen` soggetto e oggetto della qualita
` , nel senso che un sensore `e parte
sore e
integrante di quasi tutti i sistemi di produzione in qualit`a ed al tempo stesso anche
la sua produzione richiede unorganizzazione in qualit`a. Particolare cura va posta
alle prove, ai controlli e ai collaudi. Il fornitore dei sensori deve predisporre

`
3.5. LE CARATTERISTICHE DI QUALITA

95

e mantenere attive procedure documentate per le attivit`a di prova, controllo e


collaudo allo scopo di validare i requisiti specificati per il sensore. Le prove, controlli e collaudi richiesti e le registrazioni da eseguire devono essere indicati nel piano
` o in procedure documentate. Il fornitore deve assicurarsi che il
della qualita
prodotto in arrivo non sia utilizzato o messo in lavorazione senza essere stato con` ai requisiti
trollato, ovvero che si sia accertato in altro modo la sua conformita
specificati. Lorganizzazione deve anche predisporre e mantenere attive procedure documentate per evitare che venga involontariamente utilizzato o installato un
prodotto non conforme. Devono essere definite le responsabilit`a per lesame del prodotto non conforme e lautorit`a per le relative decisioni. Il prodotto non conforme
deve essere esaminato secondo procedure documentate. Inoltre si devono predisporre e mantenere attive procedure per identificare il prodotto con mezzi adeguati, a
partire dal ricevimento e durante tutte le fasi di produzione, consegna e installazione. Lorganizzazione deve conservarne le registrazioni, che devono identificare il
responsabile del controllo e collaudo per il rilascio del prodotto. Le apparecchiature
per prova, misurazione e collaudo vanno periodicamente controllate, tarate e
sottoposte a manutenzione. La taratura `e solo una delle fasi della conferma metrologica di tali apparecchiature. Per assicurare la loro conformit`a ai requisiti
metrologici occorre seguire le indicazioni contenute nella norma UNI EN ISO 10012,
sia nella fase della loro messa in servizio, sia quando si siano verificate condizioni
che possono aver pregiudicato il loro corretto funzionamento (urti, sovraccarichi,
grandezze dinfluenza temibili, ecc.), sia quando si teme che la deriva strumentale
possa aver ridotto la loro accuratezza. La verifica della taratura deve essere eseguita ad intervalli prefissati e prima delluso, impiegando strumenti certificati
riferibili a campioni di misura riconosciuti nazionali o internazionali. In mancanza
di tali campioni di misura il criterio utilizzato sia per la taratura, sia per la verifica
deve essere documentato. Data la sempre maggiore rilevanza dei sistemi di prova
automatici, si richiede che le procedure di verifica siano estese anche al software di
prova. Le apparecchiature di prova, misurazione e collaudo devono essere scelte ed
utilizzate in modo da assicurare che la loro incertezza strumentale di misura
sia conosciuta e compatibile con le esigenze di misurazione richieste. Esse devono
essere verificate prima della loro utilizzazione in produzione, installazione o assistenza e devono essere ricontrollate a intervalli di tempo e di uso prefissati solitamente
dal costruttore dellapparecchiatura di misura. Lorganizzazione deve conservare le
relative registrazioni.
` bene anche sottolineare la necessit`a di verifiche ispettive interne della
E
qualit`a. Lorganizzazione deve predisporre e mantenere attive procedure documentate per la pianificazione e lesecuzione di verifiche ispettive interne per la qualit`a,
allo scopo di accertare se le attivit`a inerenti alla qualit`a e i relativi risultati siano
in accordo con quanto pianificato e per valutare lefficacia del sistema qualit`a. Le
verifiche ispettive interne per la qualit`a devono essere programmate in funzione della
importanza della attivit`a da verificare e devono essere eseguite da personale indipendente da chi ha diretta responsabilit`a delle attivit`a da sottoporre a visita ispettiva.
I risultati devono essere registrati e portati allattenzione di chi ha la responsabilit`a
dellarea verificata perche questi intraprenda tempestive azioni correttive.

96

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

` importante anche la gestione del magazzino, che pu`o risultare molto diE
spendiosa. Con la politica del just in time si cerca di rendere minime le giacenze di
magazzino in termini sia di materie prime, sia di prodotto finito. Per quanto attiene alla gestione del magazzino lorganizzazione deve predisporre e mantenere attive
procedure documentate sia per la movimentazione, allo scopo di impedire danni
o deterioramenti, sia per limmagazzinamento o deposito, allo scopo di evitare il
danneggiamento o il deterioramento del prodotto in attesa della sua utilizzazione o
consegna, sia per limballaggio, la conservazione e la consegna del prodotto.
Per la vendita e distribuzione lorganizzazione si deve dotare di una rete quanto
pi`
u estesa possibile di venditori nelle aree geografiche, nelle quali dalle indagini di
mercato `e risultata la presenza di potenziali clienti.
Cura va posta anche allinstallazione del sensore, che in genere `e demandata
direttamente al cliente, quando risulti semplice, accompagnando il sensore con un
piccolo manuale di installazione, che deve risultare facilmente comprensibile o, come
`e ormai invalso dire, amichevole nelluso. Nel caso linstallazione sia demandata in
` bene sottofase contrattuale ai fornitori, sar`a necessario porre molta attenzione. E
lineare la delicatezza di questa fase, in cui si `e a diretto contatto con il cliente. Un
cattivo servizio pu`o vanificare completamente quanto fatto in precedenza per assicurare la soddisfazione del cliente. Linstallatore deve essere non solo qualificato,
ma anche a conoscenza delle procedure richieste dal manuale di qualit`a aziendale
o, come si dice anche, dello stile dellazienda, a salvaguardia del suo marchio o
brand. Il manuale duso del sensore deve contenere istruzioni in merito anche alla
manutenzione del prodotto. Il cliente si sentir`a pienamente soddisfatto se potr`a confidare nella continuit`a duso del sensore e, quindi, in un rapido intervento
di personale qualificato, qualora trovi difficolt`a nelluso del prodotto o ritenga che
questo abbia subito un guasto. Il manuale distruzioni deve contenere indicazioni
dettagliate sulla migliore manutenzione del prodotto, ma `e sempre bene addestrare
personale qualificato per un eventuale pronto intervento. A tal proposito lorganizzazione deve predisporre e mantenere attive procedure documentate per individuare
le necessit`a di addestramento del personale che svolge attivit`a che hanno influenza sulla qualit`a. Il personale che svolge compiti particolari deve essere qualificato.
La qualificazione si acquisisce attraverso unadeguata istruzione, laddestramento e
lesperienza acquisita.
Una fase delicata nel ciclo delle attivit`a tese alla qualit`a `e quella relativa ad
attivit`a e verifica ex post. Pu`o essere considerata come il bilancio di tutte
le procedure seguite, finalizzato, in un processo dialettico, ad attivare tutte quelle
azioni correttive e preventive tese al miglioramento nellorganizzazione della qualit`a. Ogni azione correttiva o preventiva intrapresa per eliminare le cause di non
conformit`a effettive o potenziali deve essere di livello appropriato allimportanza dei
problemi e commisurata ai rischi relativi. Lorganizzazione deve attuare tutte le
modifiche derivanti dalle azioni correttive e preventive, registrandole nelle procedure documentate. A questo proposito sar`a necessario attivare procedure documentate per lidentificazione, la raccolta, la catalogazione, laccesso, larchiviazione, la
conservazione, laggiornamento e leliminazione delle registrazioni della qualit`a.
Ultima fase non meno delicata delle precedenti `e quella attinente alleliminazione

` DEI SENSORI
3.6. AFFIDABILITA

97

o al riciclaggio del prodotto da sostituire. Le previsioni pi`


u ottimistiche sono che
il terzo millennio sar`a dedicato al benessere delluomo e alla prevenzione dei disagi.
Questo progetto richiede una rivoluzione culturale che veda coinvolti i governanti,
i lavoratori, i cittadini, gli insegnanti. Un ausilio considerevole a questo progetto
potrebbe derivare da un cambiamento culturale, che consideri al centro di qualsiasi
processo produttivo i bisogni delluomo e lumanizzazione della tecnologia. In questi
ultimi anni, molte grandi industrie e governi dei paesi pi`
u industrializzati incominciano a dedicare attenzione sempre crescente ai problemi dellambiente e della sua
tutela, riconoscendone notevole importanza per le implicazioni non solo sociali, ma
anche economiche e aziendali. Linquinamento ambientale `e un problema ormai noto
a tutti, in un certo periodo storico i lavoratori si sono sentiti minacciati dal movimento ecologista, per timore di perdita del posto di lavoro. Oggi la qualit`a della
vita e la difesa dellambiente non sono pi`
u in antitesi al mantenimento del posto di
lavoro e alla promozione della sicurezza, in quanto si `e chiaramente compreso che
non vi sono pi`
u motivi per pensare che il miglioramento delle condizioni ambientali
possa causare chiusura di impianti o perdita dei posti di lavoro, anzi il controllo
dellinquinamento ambientale anche fuori dalle aziende e la difesa del suolo possono determinare nuovi profitti e nuova occupazione. Unazienda quindi che si faccia
carico delleliminazione o del riciclaggio dei sensori in disuso o del riutilizzo di loro
parti acquisisce meriti in campo sociale ed `e fortemente apprezzata da una clientela,
sempre pi`
u numerosa, attenta alla conservazione dellecosistema. Non va sottaciuto
che lUnione europea ed alcuni enti pongono il vincolo del riciclaggio o riuso tra le
clausole di molti loro bandi di gara. Una procedura operativa per la realizzazione
di un prodotto o servizio deve essere realizzata nel rispetto dei requisiti di qualit`a
del processo, tutelando lambiente oltre alla sicurezza e alla salute dei lavoratori. Si
potrebbe, quindi, unificare e giungere a una sola politica aziendale per la qualit`a, la
sicurezza e la difesa dellambiente.

3.6

Affidabilit`
a dei sensori

Uno dei requisiti richiesti ad un sensore di qualit`a `e unelevata affidabilit`a. Limitazioni e difetti nella progettazione e realizzazione di un sensore, deterioramenti
legati al suo uso intenso o a condizioni operative anomale, linfluenza delle condizioni ambientali sono fattori che possono causare incertezze ed errori nella risposta del
sensore. Allo scopo di studiare linfluenza di questi fattori sul suo funzionamento e
sulle sue caratteristiche nel tempo, in modo da poterla quantificare, `e stato introdotto il concetto di affidabilit`a. Si associa un elevato grado di affidabilit`a di un sensore
a un buon progetto, a una corretta costruzione, allutilizzazione di componenti di
qualit`a.
Linizio dello studio dellaffidabilit`a si pu`o far risalire intorno al 1930. Il maggiore sviluppo `e avvenuto in campo militare e aerospaziale. Con gli inizi degli anni 70
si `e avuta una significativa incidenza anche in campo industriale. Oggi laffidabilit`a
`e presa in considerazione in diverse discipline soprattutto in campo ingegneristico,
biomedico e scientifico in generale. Senza tema di smentita `e per`o opportuno sot-

98

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

tolineare che le maggiori applicazioni dellaffidabilit`a si sono avute e continuano ad


aversi nel campo dellelettronica e dellinformatica.
Al concetto di affidabilit`a `e legato il controllo di qualit`a che si `e diffuso negli
ultimi anni soprattutto nel campo dei processi manufatturieri. La necessit`a di assicurare il corretto funzionamento di un dispositivo per tempi prefissati, ha indotto
a quantificare i valori dellaffidabilit`a. Ci`o richiede una serie di misure o prove di
affidabilit`a tese a evidenziare linsorgere di guasti o di malfunzionamenti al di fuori
delle specifiche. Per guasto si intende la cessazione dellattitudine di un oggetto ad
adempiere alla funzione richiesta. Si definisce invece avaria lo stato delloggetto,
caratterizzato dallinabilit`a di adempiere alla funzione richiesta. Si noti che il guasto
`e un evento, mentre lavaria si riferisce a uno stato. Per cui si dice che un sensore
guasto `e in avaria. I costruttori seri specificano tra i dati tecnici di un sensore i
valori di affidabilit`a o altri parametri ad essa legati. In genere il raggiungimento di
elevati livelli di affidabilit`a in un sensore `e vincolato al contributo congiunto del progettista, del costruttore, del collaudatore, del controllore di qualit`a, dellinstallatore
e dellutilizzatore.
I concetti precedentemente esposti, in sintesi, sono riassumibili nelle varie de` , considerata linsieme dei concetti, teorie matematiche,
finizioni di affidabilita
modelli, analisi di comportamenti fisici, aventi lo scopo di descrivere, prevedere e
dominare il comportamento degli oggetti nel tempo. Le norme UNI (Ente Nazionale
Italiano di Unificazione) la definiscono lattitudine di un oggetto ad adempiere alla
funzione richiesta nelle condizioni fissate e per un periodo di tempo stabilito. Per
affidabilit`a di un sensore si pu`o quindi intendere la probabilit`a che esso esplichi la
funzione richiesta in condizioni stabilite per un periodo di tempo specificato. Una
probabilit`a zero o affidabilit`a nulla sta a significare che il sensore `e guasto o non funzionante secondo le specifiche. Una probabilit`a uno o massima affidabilit`a significa
che un guasto del sensore `e una evenienza molto improbabile.
Una caratteristica importante `e anche quella di ciclo o tempo di vita di un
sensore. Per esso si intende il tempo totale tra la nascita e la morte del sensore
quando operi nelle condizioni definite da uno specificato schema di manutenzione,
prefissato a priori.
La vita operativa (o tempo di funzionamento) `e il minimo intervallo di
tempo nel quale il sensore operer`a in modo continuativo o intermittente, con cicli
di lavoro prefissati, senza variazioni nelle sue caratteristiche di funzionamento entro
limiti di errore definiti. Il numero di cicli `e il numero di escursioni del misurando
da un estremo allaltro del campo di misura o fra due limiti diversamente specificati
cui si sottopone il sensore senza che si presentino variazioni nelle sue caratteristiche
di funzionamento entro limiti di incertezza strumentale definiti.
Le caratteristiche di affidabilit`a del sensore dipendono molto dalla cura con cui
esso `e utilizzato, dal rispetto delle condizioni di sicurezza, dallassenza o dal controllo
` evidente che esiste una relazione
di condizioni ambientali particolarmente avverse. E
stretta tra la filosofia di produzione di un sensore e la sua affidabilit`a. Fortunatamente sempre pi`
u in ambito industriale si sta affermando il principio propugnato
da alcune aziende americane del pay now, save later (tradotto letteralmente paga
ora, risparmi pi`
u tardi). Infatti il buon nome di un marchio (brand ) si conquista

` DEI SENSORI
3.6. AFFIDABILITA

99

negli anni, immettendo sul mercato prodotti sempre pi`


u affidabili oltre che naturalmente sicuri per le persone e per le cose. Spesso inoltre in un sistema complesso
le conseguenze di un guasto ad un sensore o ad un suo componente sono difficilmente prevedibili e possono determinare blocchi e danni inimmaginabili. A questo
proposito in seguito si introdurr`a unaltra caratteristica importante che `e quella di
disponibilit`a.
Per quantificare quanto espresso precedentemente e per chiarire meglio che laffidabilit`a `e una caratteristica temporale della qualit`a, si considerino N componenti in
numero molto elevato e si provino per un tempo t. Se si indicano con Ns il numero
di componenti che non hanno subito guasti e con Nf il numero di quelli che hanno
` R(t) e inaffidabilita
` Q(t) le seguenti
subito guasti, si definiscono affidabilita
quantit`a:
N Nf
Nf
Ns
=
Q(t) =
(3.1)
R(t) =
N
N
N
poiche il numero totale dei componenti `e la somma di quelli guasti e di quelli sani,
N = Nf + Ns , dalle precedenti equazioni si desume che la somma dellaffidabilit`a e
dellinaffidabilit`a `e pari ad uno: R(t) + Q(t) = 1. Laffidabilit`a `e una funzione che
varia con il tempo da 1, allinizio della prova quando tutti i componenti sono integri
(t = 0), fino a 0, quando tutti i componenti hanno subito un guasto. In realt`a, come
si verificher`a anche in seguito, con Nf si pu`o indicare sia il numero di guasti di un
dispositivo, sia il numero di componenti in prova che subiscono guasti.
I guasti possono essere dovuti a difetti costruttivi o a errata utilizzazione. In
genere si distinguono come si `e detto precedentemente i guasti e le conseguenti avarie. I guasti possono essere catastrofici e marginali. I guasti catastrofici sono
improvvisi e completi e impediscono completamente lespletamento della funzione
del componente. I guasti marginali (definiti anche da degrado) sono sia graduali
sia parziali e non consentono un funzionamento pienamente rispondente alle specifiche; essi sono dovuti nella maggior parte dei casi a perdita delle caratteristiche
metrologiche e a degradazione dei materiali costituenti un sensore, uno strumento,
un sistema. In genere i guasti marginali sono pi`
u temibili in quanto possono dar
luogo a errori difficilmente valutabili. Quando si individua un guasto in un sensore,
in uno strumento `e sempre bene che lutilizzatore lo annoti e lo faccia presente al costruttore. Queste informazioni possono risultare estremamente utili per individuare
punti deboli in modo tale che nella revisione del progetto si migliori il manufatto
eliminando i componenti del sensore che per esempio non sopportano determinati
sovraccarichi.
` evidente che laffidabilit`a richiesta ad un sensore dipende molto dallutilizzaE
zione che se ne vuole fare. Per esempio i sensori utilizzati nel campo aerospaziale
e biomedico devono avere unaffidabilit`a molto elevata, che comporta naturalmente
alti costi. I fattori o parametri che caratterizzano laffidabilit`a e la qualit`a di un sensore si suddividono in costruttivi, operativi e ambientali. I fattori costruttivi
sono legati al progetto del sensore. Ad esempio nei sensori che presentano organi
mobili, la presenza degli attriti pu`o determinare guasti marginali difficilmente rilevabili oltre che prevedibili in sede di progetto. Un difetto nellunit`a aritmetica
in un sensore intelligente pu`o essere causa di errori e malfunzionamenti non pre-

100

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

visti. Il miglioramento dellaffidabilit`a o delladeguatezza, in relazione a possibili


difetti costruttivi, `e legato a una corretta progettazione e a una buona realizzazione
del sensore. I fattori operativi sono legati al funzionamento del sensore. Guasti
marginali possono insorgere a causa di variazioni delle caratteristiche dei componenti, dovute a deterioramento fisico o chimico dei materiali. Questo deterioramento
`e naturale, ma pu`o essere accelerato da una utilizzazione del sensore oltre i limiti
imposti in sede di progetto. In questo caso verifiche della taratura, regolazioni e
collaudi frequenti possono aumentare laffidabilit`a e la disponibilit`a del sensore. I
fattori ambientali sono spesso i pi`
u temibili. Unelevata affidabilit`a `e sempre
assicurata solo quando il sensore operi in laboratorio in condizioni ambientali controllate. Forti gradienti di temperatura riducono laffidabilit`a per gli effetti deleteri
sui materiali. Lalta umidit`a `e unaltra causa di incremento del tasso di guasto,
specie se associata con elevate temperature.
In un sensore o in un sistema sensorio si possono distinguere alcune parti che
dopo un certo tempo devono essere sostituite, altre che richiedono una periodica
manutenzione per assicurare prefissate prestazioni. Alcune parti inoltre in caso di
` ovvio allora che il lavoro di
guasto vanno sostituite, altre possono essere riparate. E
un responsabile della manutenzione risulta notevolmente facilitato quando abbia a
disposizione i tempi medi entro i quali occorre intervenire, per sostituire o riparare,
in modo da assicurare il corretto funzionamento di un sensore. Con riferimento alle
parti non riparabili si definisce un MTTF (acronimo di Mean Time To Failure,
ovvero tempo medio al guasto) come la misura del tempo medio al guasto di un
gran numero di sensori o componenti uguali che operano tutti nelle stesse condizioni
operative e ambientali. In base a tale definizione se N sono i componenti in prova
e ti `e il tempo necessario perche il generico componente i-esimo subisca un guasto,
si ha:
Z
N
1 X
R(t) dt
(3.2)
ti =
MTTF =
N i=1
0
La misura dellMTTF `e in genere eseguita su un numero ridotto di componenti, ma
pu`o richiedere un tempo proibitivo. Per questo in molti casi si preferisce provare un
numero di componenti di uno o di due ordini di grandezza maggiore del precedente,
per un periodo pi`
u breve, e determinare il numero totale di guasti nel tempo cumulativo delle prove alle quali sono sottoposti i componenti. Se questi sono Np e
sono provati tutti per uno stesso tempo tp , il tempo cumulativo tc risulta pari a Np tp
Nellipotesi che nel tempo tc siano Nf i componenti che subiscono guasti, si ha che
lMTTF pu`o essere espresso come rapporto tra il tempo cumulativo e il numero di
` evidente
componenti che in quel periodo di tempo si guastano: M T T F = tc /Nf . E
che lequazione precedente fornisce semplicemente una stima dellMTTF effettivo.
Si definiscono pertanto un intervallo e un limite di confidenza, stabiliti in funzione
di Np e tp . Perche si abbia un elevato livello di confidenza il numero di componenti
Nf che subiscono guasti deve essere significativo.
Per quei dispositivi che dopo aver subito un guasto possono essere riparati si definisce un MTBF (acronimo di Mean Time Between Failures, tempo medio tra guasti)
che si calcola nello stesso modo dellMTTF definito precedentemente. LMTBF `e

` DEI SENSORI
3.6. AFFIDABILITA

101

legato alle condizioni operative cui `e soggetto il sistema oltre che a quelle ambientali.
A volte accanto allMTBF `e fornito anche lMTTFF (acronimo di Mean Time To
First Failure), che `e il tempo al primo guasto di un sistema riparabile.
` , D, definita come latUn altro parametro legato allMTBF `e la disponibilita
titudine di un oggetto ad essere in grado di svolgere una funzione richiesta a un dato
istante o durante un dato intervallo di tempo, in condizioni determinate, supponendo
che siano assicurati i mezzi esterni eventualmente necessari:
MTBF
(3.3)
D=
MTBF + MTTR
dove lMTTR (acronimo di Mean Time To Repair, tempo medio alla riparazione)
`e il tempo medio necessario alla riparazione del guasto, includendo il tempo per la
diagnosi, per la localizzazione del guasto e per il lavoro meccanico. Dallequazione
precedente risulta che si ha massima disponibilit`a, a parit`a di MTBF, quanto minore
`e lMTTR. Un metodo per migliorare la disponibilit`a di un sensore `e quello della
ridondanza, che consiste nellaggiungere un dispositivo addizionale in parallelo a
uno gemello, in modo che lo rimpiazzi in caso di guasto. In tal modo il guasto del
sensore non causa landata fuori servizio dellintero sistema. Quando in un sistema
ridondante si ha la commutazione di un componente sano su uno guasto, in tempi
brevissimi, si aumenta notevolmente la disponibilit`a del sistema.
Sono state sviluppate diverse tecniche matematiche per il calcolo sia della affidabilit`a sia della disponibilit`a. Nel caso di sistemi riparabili le tecniche pi`
u utilizzate
sono quelle markoviane, in grado di descrivere il comportamento stocastico del sistema nel caso di una gran variet`a di guasti e di condizioni di riparabilit`a. Quella
di una elevata disponibilit`a `e una qualit`a che molti utilizzatori richiedono ai componenti, ai sensori, agli strumenti, ai sistemi. Infatti a volte anche poche ore di non
utilizzabilit`a di questi possono comportare rilevanti danni alla produzione, per non
dire che a volte occorrono diverse settimane per la riparazione di un componente
` ovvio quindi che anche se un dispositivo presenta
reso alla ditta costruttrice. E
elevati gradi di affidabilit`a, ovvero basse probabilit`a che subisca guasti, non `e detto che soddisfi pienamente alle esigenze dellutente se la sua disponibilit`a risulta
bassa, ovvero `e notevole il tempo che rimane non utilizzabile quando si guasta. I
sensori intelligenti, in cui sia prevista la autodiagnosi, quindi la localizzazione del
guasto, e che siano in grado di fornire indicazioni sul modo di ripararlo, consentono
di aumentare notevolmente la disponibilit`a. Allo stesso scopo `e necessario istruire
in fabbrica gli addetti al servizio riparazioni che devono avere conoscenze nel campo
delle misure e della componentistica. Inoltre `e auspicabile che il reparto acquisti
della fabbrica si accerti che i componenti necessari alla riparazione siano forniti da
buoni costruttori e rispondano alle specifiche fornite. A questo fine `e raccomandabile una prova dei componenti per campioni. Non bisogna neanche sottovalutare la
giacenza in magazzino dei componenti occorrenti alla riparazione; essa non dovrebbe mai essere molto lunga, perche, a parte i costi del magazzino, i componenti nel
tempo modificano le loro caratteristiche. A volte si richiede che siano tenute sotto
controllo la temperatura e lumidit`a del magazzino.
Una particolare categoria di sensori `e quella dei tolleranti al guasto (anche se `e diffuso dire con la dizione inglese fault tolerant). I sensori ed attuatori

102

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

tradizionali sono vulnerabili, soggetti a possibili guasti. Questi guasti possono causare malfunzionamenti in tutta la catena di produzione, con gravi conseguenze al
ciclo produttivo. Un sensore che abbia subito nel tempo una variazione delle sue
caratteristiche in genere non determina il blocco della catena di produzione, ma
non ne consente il corretto funzionamento. Per esempio, in uno stabilimento di
imbottigliamento automatico del vino se un sensore di posizione non funziona correttamente pu`o determinare il non allineamento tra il collo della bottiglia e il tubo
di immissione del vino, con una notevole perdita del liquido. Stesse considerazioni
possono essere fatte per il sensore di livello, destinato ad arrestare il flusso del vino
quando ha raggiunto il giusto livello. Lo scopo principale di un sensore fault tolerant
`e evitare che avarie localizzate possano ripercuotersi su tutto il processo produttivo,
portando a gravi rischi. Sensori tolleranti al guasto sono impiegati anche in campo
medico per assicurare la sicurezza e la salute dei pazienti. Questi sensori sono in
grado di rivelare, stimare e compensare possibili malfunzionamenti al loro interno,
in modo da non interrompere il funzionamento del sistema dove sono inseriti. Essi
segnalano anche la condizione di avaria in modo che il gestore del sistema possa
ripristinarne appena possibile la piena funzionalit`a del sensore senza compromettere il ciclo produttivo. Essi dispongono di un rivelatore di limite di errore.
Come si `e detto, questo limite, indicato anche come errore di misura massimo
ammissibile, `e definito come il valore estremo dellerrore di misura in rapporto a
un valore noto di una grandezza di riferimento, permesso dalle specifiche o dalle
regolazioni di un sensore. Quando si `e raggiunto questo valore di soglia si procede
alla commutazione automatica su un componente sano, interno al sensore che ne
permette il ripristino del funzionamento secondo le sue specifiche.
Spesso la commutazione fra i diversi componenti uguali allinterno del sensore
avviene con una certa frequenza prestabilita, questa procedura rende molto improbabile levenienza di commutazione su un elemento in avaria quando si sia rivelata
` ovvio
la presenza dellerrore massimo ammissibile in uno dei due componenti. E
che la commutazione `e bloccata quando uno dei due componenti `e in avaria. La
condizione `e segnalata, in modo che appena possibile si sostituisca o si ripari tale
componente, quando `e fermo il ciclo produttivo. Questa tecnica `e molto costosa in
quanto richiede la presenza allinterno dei sensori o dei sistemi sensori del doppio
dei componenti strettamente necessari per la loro realizzazione. Una tecnica meno
costosa anche se meno affidabile `e quella di sottoporre il sensore a frequenti autoregolazioni che ne correggano gli errori in modo che non si raggiunga lerrore di misura
massimo ammissibile e quando questo non `e possibile si ferma automaticamente il
ciclo inviando contemporaneamente un segnale al gestore del sistema in modo che
sappia dove si `e verificato il guasto e si possa ridurre al minimo lMTTR. Questo
ultimo tipo di sensore `e detto a controllo di guasto (fail controlled ).
Un altro parametro utile per lo studio dellaffidabilit`a di un sensore `e il tasso di
guasto (t) definito nel modo seguente:
=

1 dNf
Ns dt

(3.4)

dove dNf `e il numero di guasti che si verifica nel tempo dt. Il modo in cui (t) varia

` DEI SENSORI
3.6. AFFIDABILITA

103

nel tempo dipende sia da parametri costruttivi (eventuali difetti in parti del sensore),
sia da parametri operativi (condizioni anomale di funzionamento del sensore), sia
da parametri ambientali (particolari condizioni termiche o di umidit`a o di salinit`a,
ecc.). In molti casi landamento nel tempo di assume la forma tipica di una vasca
da bagno, come indicato in Fig. ??.
todo:inserire figura tasso di guasto
Nella vita di un sensore, o di un dispositivo in genere, si distinguono tre fasi.
La prima, detta infantile termina al tempo t1 ed `e caratterizzata dai guasti di molti
componenti a causa di materiali difettosi o di imperfezioni nel processo di lavorazione. In genere i componenti difettosi sono sostituiti in una fase iniziale (equivalente
per esempio a quella di rodaggio). Terminata questa prima fase, ne segue una seconda, caratterizzata da un tasso di guasto costante, fase in cui il sensore `e impiegato al
meglio, in quanto `e bassa la probabilit`a che si verifichino guasti, dovuti quasi esclusivamente a fortuite combinazioni di parametri operativi che danno luogo allinsorgere
di pericolose sollecitazioni. La terza e ultima fase inizia dopo il tempo t2 , prende
il nome di periodo senile ed `e caratterizzata da un crescente tasso di guasto. Se si
vuole aumentare la disponibilit`a del sensore dopo il tempo t2 , occorre intervenire
nella fase in cui il tasso di guasto si mantiene costante, provvedendo a unaccurata
manutenzione con sostituzione dei componenti pi`
u facilmente deteriorabili con luso.
Il tempo intercorrente tra t1 e t2 `e detto anche vita utile del sensore e in tale
periodo esiste uninteressante relazione tra il tasso di guasto costante e laffidabilit`a
R(t). Infatti integrando (t) tra 0 e t, tempo in cui si sono verificati Nf guasti,
ricordando la relazione tra numero N complessivo di componenti provati, il numero
Nf dei componenti che si guastano e il numero Ns dei componenti sani, si ha:
Z

Nf

Nf
= et
N
0
0
(3.5)
Lequazione precedente di R(t) mostra come sia possibile calcolare in modo semplice laffidabilit`a di un dispositivo durante la sua vita utile, noto il tasso di guasto,
quando questo sia costante. Precedentemente si `e indicato con Nf sia il numero di
guasti di un dispositivo, sia il numero di componenti in prova che subiscono guasti.
Infatti, essendo il tasso di guasto costante `e indifferente provare un componente per
t0 ore o N componenti uguali per t0 /N ore, in quanto la probabilit`a di guasto in
un tempo prefissato sar`a la stessa nei due casi. Ne consegue intuitivamente che il
tasso di guasto costante (che ha le dimensioni dellinverso di un tempo) risulta coincidere con linverso dellMTTF per i componenti non riparabili e dellMTBF per le
parti del sensore riparabili. Allo stesso risultato si pu`o pervenire matematicamente
ricordando la definizione di MTBF, coincidente con quella data per lMTTF:

dt =

1
dNf
N Nf

t = ln(N Nf ) ln N

Z
N
1
1 X
ti =
R(t) dt =
MTBF =
Ns i=1

R(t) = 1

(3.6)

` importante introdurre unaltra definizione che consente di semplificare spesso


E
i calcoli, quella del tasso di riparazione. Questo `e definito come la frequenza

104

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

per unit`a di tempo con la quale si effettuano le operazioni di riparazione e si indica


` interessante notare che il
con , spesso espresso in inverso di numero di ore. E
valore reciproco di `e lMTTR, il che `e in completa analogia con il tasso di guasto
e lMTBF.
La legge di distribuzione esponenziale dellaffidabilit`a si rivela particolarmente
utile nei sistemi sensori costituiti da catene di componenti, funzionalmente posti in
serie e dove quindi il guasto su un componente non dipende dalle operazioni svolte
dalle altre parti del sistema. In tal caso il guasto di un componente causa landata
fuori servizio dellintero sistema. Per i sistemi in serie o in cascata, laffidabilit`a del
sensore `e data dal prodotto delle affidabilit`a dei singoli componenti, per cui si ha:

Rs (t) =

N
Y

Ri (t) = e

N
X
i=1

i t
= et

(3.7)

i=1

dove Rs (t) `e laffidabilit`a del sistema, Ri (t) quella del generico componente i-esimo,
i il tasso di guasto relativo alli-esimo componente e quello del sistema. Dalla
precedente si ha:
1
= 1 + 2 + 3 + + N =
(3.8)
MTBF
Dalla relazione precedente si desume che un sistema serie, anche se economico,
in quanto non vi sono ridondanze, presenta un aumento del tasso di guasto e una
riduzione del tempo medio al primo guasto, ovvero peggiora laffidabilit`a. Il contrario avviene nel caso di componenti in parallelo, cio`e di un sistema ridondante,
dove sono le inaffidabilit`a delle singole parti del sistema che si moltiplicano per determinare linaffidabilit`a di quel componente costituente il sistema sensorio; in altre
parole nel caso di componenti in serie si ha un prodotto di valori di affidabilit`a, nel
caso di componenti in parallelo si ha un prodotto di inaffidabilit`a. Quindi in un
sistema ridondante si ha un miglioramento dellaffidabilit`a tanto maggiore quanto
pi`
u elevato `e il numero di componenti in parallelo.

3.7

Caratteristiche metrologiche ambientali

Le condizioni ambientali quando un sensore operi sia al chiuso di un laboratorio sia


allaperto possono alterarne il funzionamento. Si ricorda che il costruttore nel fornire le condizioni operative assegnate o di targa, deve indicare quelle relative
non solo al misurando, ma anche alle grandezze dinfluenza e lo stesso deve fare per
le condizioni operative limite. Il costruttore `e tenuto inoltre, nellindicare le
condizioni operative di riferimento, a fornire gli intervalli dei valori sia del
misurando sia delle grandezze dinfluenza. Per cui quando sia prevista la possibilit`a
che un sensore funzioni in condizioni ambientali differenti da quelle operative assegnate o, durante la verifica, da quelle in cui `e stato tarato, `e necessario che siano noti
gli effetti causati dalle grandezze di influenza in modo da poter stabilire opportuni
limiti di errore delle caratteristiche o fattori di correzione.

3.7. CARATTERISTICHE METROLOGICHE AMBIENTALI

105

Il VIM definisce variazione dovuta ad una grandezza dinfluenza, la


differenza nellindicazione del sensore per uno stesso valore del misurando, allorquando una grandezza dinfluenza assume successivamente due valori differenti.
Per esempio leffetto di temperatura deve essere noto e portato in conto
in tutti i tipi di sensori. Come si `e detto gi`a in precedenza, molti costruttori incorporano nella strumentazione degli elementi dedicati a compensare gli effetti della
temperatura. Gli effetti termici possono determinare sia deriva delloffset, ovvero
uno scostamento termico dallo zero della curva di taratura, sia una alterazione della sua pendenza, ovvero una variazione termica della sensibilit`a. La conoscenza di
questi errori `e utile quando si vogliano apportare le appropriate correzioni ai dati
finali o quando si voglia regolare la curva di taratura in modo da riportare lerrore
al di sotto dellincertezza strumentale. Un modo pi`
u generale per stabilire lentit`a
delleffetto termico `e quello di definire un possibile incremento dellampiezza della
fascia dincertezza addebitabile alla temperatura. Il costruttore potrebbe riportare un valore dellincertezza strumentale maggiorato per un campo di valori della
temperatura superiore a quello indicato nelle condizioni di targa.
Considerazioni analoghe a quelle fatte per la temperatura valgono per gli effetti della pressione ambientale, che si possono presentare in alcuni strumenti
progettati per funzionare alla pressione atmosferica al livello del mare e utilizzati a
grandi altitudini, o negli aeromobili o nelle navicelle spaziali (dove la pressione dellambiente si avvicina a quella del vuoto) o a grandi profondit`a sottomarine (dove
la pressione `e molto alta). Il funzionamento del sensore pu`o essere alterato a causa delle deformazioni del contenitore o delle variazioni della geometria interna del
sensore. Anche in questo caso pu`o essere fornito lerrore nellindicazione del sensore
dovuto al superamento dei valori di pressione ambientale indicati nelle condizioni
operative di targa perche si possa effettuare la correzione.
Esistono diverse altre grandezze di influenza, come per esempio lumidit`a e la
vibrazione. Poiche `e difficile poterle prendere tutte in esame, in sintesi si pu`o dire
che sarebbe buona norma che il costruttore fornisse alcuni campi di valore delle
grandezze dinfluenza pi`
u temibili, che potrebbero inficiare il corretto funzionamento del sensore. In particolare si potrebbero indicare i seguenti campi. Il campo di
riferimento `e quello entro il quale deve essere compresa la grandezza di influenza
durante la taratura o una successiva verifica. Il campo assegnato o di targa
o di normale funzionamento `e quello entro il quale deve essere compresa la
grandezza di influenza durante lutilizzazione di un sensore perche siano rispettate
le caratteristiche metrologiche. Il campo limite o di sicurezza `e quello entro
il quale deve essere compresa la grandezza di influenza durante lutilizzazione del
sensore perche esso non subisca guasti. Il campo di magazzino si riferisce alle condizioni ambientali del magazzino da rispettare per evitare un precoce invecchiamento
del sensore.

106

3.8

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

Parametri fondamentali dei trasduttori

La scelta di un trasduttore che ha il compito di conservare inalterata linformazione


contenuta nel segnale dingresso, rendendola disponibile in uscita, si basa su una serie
di considerazioni che si `e tentato di parametrizzare. Senza entrare nel merito della
caratterizzazione statica e dinamica di un trasduttore qui si vuole semplicemente
accennare ad alcuni parametri fondamentali che `e indispensabile conoscere per una
scelta meditata del sensore.
Il primo problema che si pone `e ci`o che si intende misurare. Per questo bisogna
definire la specie del misurando, ovvero la natura della grandezza fisica o chimica
da misurare e il campo di misura. Per questultimo definito anche portata o
valore di fondo scala (FSO) si intende linsieme di valori che pu`o assumere il
misurando senza che il sensore esca dalle specifiche fornite dal costruttore, ovvero
funzioni correttamente, senza subire particolari degradazioni dei componenti. Al
misurando `e legato anche il valore di sovraccarico, inteso come il valore limite che pu`o
assumere il misurando senza che il funzionamento del sensore resti permanentemente
alterato rispetto alle specifiche.
Un altro problema che si pone `e legato al principio di funzionamento del trasduttore ad esso sono strettamente legate le problematiche relative allelemento che
allinterno del trasduttore risponde direttamente al misurando (elemento sensibile) e
alle particolari funzioni svolte dal trasduttore. Solo una buona conoscenza dei principi fisici alla base del funzionamento del trasduttore e del sensore pu`o consentire un
loro uso corretto. Purtroppo non sempre dalle specifiche fornite dal costruttore `e facile evincere in modo inequivocabile il principio di funzionamento di un trasduttore.
Solo lesperienza personale gioca un ruolo fondamentale in questo campo.
` necessario inoltre precisare i parametri di uscita del sensore e quindi la
E
sua natura (in genere elettrica di tipo analogico o digitale), il campo di normale
funzionamento (legato al campo di misura dellingresso), il sovraccarico (valore
massimo in uscita legato al massimo valore della grandezza applicata allingresso).
Altri parametri utili sono la potenza erogabile che il sensore pu`o fornire in uscita
allinterno delle sue specifiche, limpedenza di uscita che il sensore presenta ai morsetti di uscita (utile soprattutto per poter progettare correttamente un dispositivo
di adattamento di impedenze).
Nel caso di sensori passivi un parametro importante `e rappresentato dal valore
della tensione o della corrente che deve essere fornita da una sorgente di alimentazione esterna o ausiliaria per consentire il corretto funzionamento del
sensore.
Quando si tratti, come avviene quasi sempre, di trasduttori lineari un parametro
importante `e rappresentato dalla costante del sensore definita come rapporto tra il
segnale di ingresso e il segnale di uscita in risposta allingresso. Essa `e un parametro
che ha dimensioni date dal rapporto delle unit`a di misura della grandezza di ingresso
e di quella di uscita (nel caso di un trasduttore di spostamento con in uscita una
tensione elettrica si ha metri al volt).

3.9. RAPPRESENTAZIONE DEI SENSORI

3.9

107

Rappresentazione dei sensori

Come si `e accennato in precedenza diversi sono gli effetti fisici che si utilizzano nei
sensori. Proprio la loro attuale espansione non consente di essere esaustivi nellesame dei principi fondamentali di funzionamento su cui si basano tutti i sensori oggi in
commercio. Le possibilit`a offerte dallintelligenza artificiale hanno infatti permesso
di far ricorso a principi e tecniche operative un tempo abbandonate. Le innovazioni
tecnologiche nellambito dei materiali fanno intravedere il superamento degli attuali
limiti di alcuni sensori. Nel seguito si propone semplicemente una sintesi dei principi
di funzionamento sui quali si basa una larga parte dei trasduttori oggi disponibili
in commercio. Lesame degli effetti fisici utilizzati nei sensori richiede una schematizzazione delle varie forme in cui lenergia si manifesta. Una interessante e ormai
famosa rappresentazione tridimensionale dei sensori `e stata proposta nel 1981 da
Middelhoek e Noorlag. In essa sono considerate le seguenti sei forme di energia:
1. energia elettromagnetica radiante;
2. energia meccanica;
3. energia termica;
4. energia elettrica;
5. energia magnetica;
6. energia chimica.
Queste forme di energia si possono presentare sia in ingresso (in tal caso sono
riportate lungo lasse x di uno spazio cartesiano) sia in uscita (in tal caso si riportano
lungo lasse y dello spazio cartesiano) sia come fonte ausiliaria esterna per consentire
il funzionamento del sensore (in tal caso si riportano lungo lasse z dello spazio
cartesiano).
In base a questa rappresentazione `e evidente che nel piano xy saranno contenuti
tutti i sensori attivi. In totale nel piano xy si possono presentare 36 combinazioni
tra le energie del misurando e del segnale in uscita al sensore. Trenta di queste
trentasei combinazioni sono scambi energetici che si riferiscono a forme diverse di
energia tra segnali di ingresso e uscita, mentre sei a forme uguali di energia (si tratta
in tal caso di modificatori o convertitori). Tra i trenta scambi di energie diverse i
pi`
u importanti sono cinque e precisamente quelli che prevedono in uscita energia
elettrica, anche se assumeranno in futuro rilevanza i cinque scambi che presentano
in uscita energia elettromagnetica radiante.
Se risulta indispensabile per il funzionamento del sensore un apporto esterno
di energia, occorre considerare nella rappresentazione del sensore la componente
dellenergia lungo lasse z. In tal caso si tratta di sensori passivi e le possibili
combinazioni tra le componenti in gioco dellenergia lungo i tre assi risultano duecentosedici. Ancora una volta i sensori pi`
u diffusi sono quelli che prevedono un
apporto di energia elettrica dallesterno.

108

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI


Figura 3.9: Fig.3.10 Rappresentazione tridimensionale dei sensori

In Fig.3-10 sono rappresentati a titolo di esempio, tra i tanti possibili, i sensori


con energia elettrica in uscita. Uno attivo nel piano xy con energia termica in
ingresso ed elettrica in uscita `e a esempio una termocoppia. Uno passivo nello
spazio xyz con energia meccanica in ingresso ed elettrica sia in uscita sia come fonte
ausiliaria `e a esempio un potenziometro.

3.10

Principi fisici dei principali sensori

Diversi sono i principi sui quali si basano i sensori. Lungi dal voler essere esaustivi,
nel seguito si accenna ad alcuni tra i pi`
u diffusi tra questi principi. Data lespansione che i sensori ottici hanno avuto recentemente, si esaminano inizialmente
i principi su cui essi si basano. Tali sensori sono impiegati in diversi settori, possono sfruttare differenti fenomeni, ed utilizzano unampia gamma di frequenze di
radiazione. A quelli di concezione tradizionale, basati sullimpiego della luce visibile
e di rivelatori a variazione di resistenza, si sono sostituiti quelli con emettitori a
LED (light emitting diode) e rivelatori al silicio, che possono essere fotodiodi, in
particolare quelli PIN (caratterizzati da uno spessore della regione di svuotamento
controllato giustapponendo del semiconduttore intrinseco fra gli strati di tipo p e di
tipo n), o fototransistor. Molto impiegato per la realizzazione dei LED `e larseniuro di gallio che ha una banda di emissione (circa 0,7 0,9 m) bene adattabile
alla regione di assorbimento del silicio. Per permettere una emissione di luce pi`
u
efficiente si pone larseniuro di gallio su un substrato di fosfuro di gallio. Inoltre si
stanno diffondendo anche sensori ottici basati sulle fibre ottiche, le quali non solo
sono sensibili a diverse grandezze fisiche e chimiche, ma hanno permesso di risolvere
problemi particolari di trasmissione dei dati in ambienti industriali ostili caratterizzati dalla presenza di intensi rumori elettromagnetici. Infatti le fibre ottiche oltre
ad avere un livello di attenuazione incredibilmente basso ed una elevata velocit`a di
trasmissione sono intrinsecamente immuni al rumore elettromagnetico, essendo realizzate in vetro e in altri materiali non conduttori. Infatti i campi elettromagnetici
non possono indurre correnti elettriche nel vetro che `e un materiale dielettrico, come
invece accade in presenza di cavi in materiale conduttore come il rame. Inoltre i
campi elettromagnetici non modificano le caratteristiche della luce che attraversa la
fibra ottica.
Si esamina quindi leffetto Doppler, che consiste nella variazione di frequenza delle onde acustiche, ottiche o radio dovuta al moto relativo tra sorgente
e ricevitore delle onde. Tale effetto `e impiegato in svariati campi come quello dei
sensori radar di velocit`a, diffusi in campo sia automobilistico, sia militare, dove tra
laltro servono per avere indicazioni sulla velocit`a radiale dei bersagli aerei. I sensori
sonar ad effetto Doppler acustico sono quelli pi`
u indicati per la determinazione della velocit`a di un veicolo sottomarino. Molti sensori di flusso si basano sugli effetti
prodotti dalla propagazione di onde ad ultrasuoni, con trasmettitore e ricevitore ge-

3.10. PRINCIPI FISICI DEI PRINCIPALI SENSORI

109

neralmente di tipo piezoelettrico, o di onde appartenenti al campo ottico. Svariate


sono le applicazioni in campo medico, come in quello della pletismografia, per lo studio delle variazioni di volume degli arti in funzione del ciclo o del deflusso venoso. I
sensori Doppler, in questo settore servono per misurare le variazioni di volume delle
arterie, delle vene periferiche, della carotide o per la misura della pressione sistolica.
Un altro effetto preso in esame `e quello piezoelettrico che si presenta in certi
cristalli, i quali sottoposti a pressione generano sulle facce opposte cariche elettriche proporzionali allo sforzo esercitato su di loro. Leffetto piezoelettrico diretto
pu`o essere utilmente sfruttato nella realizzazione di sensori impiegati in tutte quelle
applicazioni che richiedono misure accurate di variazioni di forze, pressioni e accelerazioni. Leffetto piezoelettrico inverso `e sfruttato nella realizzazione di risonatori
piezoelettrici e di attuatori. I sensori piezoelettrici sono sensibili sia alla forza lungo
un asse, sia alla coppia intorno allasse stesso, il che li rende particolarmente idonei
al controllo in tempo reale sia dellintensit`a, sia della direzione delle forze e delle
coppie applicate per esempio da un robot agli oggetti manipolati. Sensori piezoelettrici di forza e di coppia sono denominati anche celle di carico. Le applicazioni
nei laboratori e nei processi industriali continuano a crescere, soprattutto in campo
aerospaziale, biomedico, strutturale e meccanico.
Si esamina poi leffetto piroelettrico che consiste nella polarizzazione di particolari cristalli quando siano soggetti a variazione di temperatura, in quanto lespansione del cristallo per effetto termico determina variazioni nella lunghezza dei
dipoli elettrici. Naturalmente leffetto `e rivelabile solo quando il riscaldamento del
cristallo `e tale da determinare una sensibile variazione della polarizzazione. Questo
effetto `e utilizzato nei bolometri, che sono sensori di intensit`a luminosa basati
sul riscaldamento prodotto dallassorbimento di fotoni che genera una variazione
` preso quindi in consideradi polarizzazione dielettrica nel cristallo piroelettrico. E
zione leffetto piezoresistivo, che consiste nella variazione della resistivit`a di un
materiale, e quindi della resistenza del sensore, quando `e soggetto ad una deformazione dovuta ad uno sforzo ad esso applicato. Leffetto `e molto piccolo nei metalli
e pi`
u consistente nei materiali semiconduttori. Questo effetto `e sfruttato nei sensori estensimetrici o strain-gauge. Prima dellimpiego delleffetto piezoresistivo gli
estensimetri erano di natura meccanica e lamplificazione avveniva per mezzo di viti
micrometriche, leve, ingranaggi e altri sistemi. Si tratta di estensimetri sviluppati
negli anni tra il 1870 e il 1890. I primi sensori commerciali di deformazione, costituiti
da resistenze elettriche, furono introdotti tra il 1930 e il 1938. Si fa risalire per`o al
1938 la reale invenzione degli estensimetri elettrici a resistenza, ad opera indipendente di due statunitensi: E. E. Simmons del California Institute of Technology ed
A. C. Ruge dellM.I.T. (Massachussetts Institute of Technology), in quanto fu loro
lidea di impiegare per la realizzazione dei sensori estensimetrici sottili fili di metallo,
Simmons utilizz`o costantana, incollati mediante un foglio di carta, che faceva da supporto, sulla struttura da controllare. Lanno 1938 `e importante perche da pi`
u parti
lo si considera quello della nascita della sensoristica industriale. Infatti gli
estensimetri elettrici a resistenza da quellanno ebbero una vastissima diffusione con
vari impieghi, per lanalisi sperimentale degli sforzi nelle strutture (molto utilizzati
nelle gru), per la caratterizzazione meccanica dei materiali e per la realizzazione di

110

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

sensori di diverse grandezze.


La magnetostrizione `e una propriet`a dei materiali ferromagnetici, come ferro
nichel e cobalto, i quali modificano la loro dimensione o forma, quando sono sottoposti ad un campo magnetico. Reversibilmente quando si applichi uno sforzo ad
un materiale magnetostrittivo varia la sua permeabilit`a magnetica, per il cosiddetto
effetto magnetoelastico o Villary. La distorsione elastica `e detta anche effetto Wiedemann. Su questi effetti si basano efficaci sensori di posizione, di sforzo
e di coppia. Alcuni materiali anisotropi, come lantimoniuro di indio o come leghe
nichel ferro, presentano un effetto magnetoresistivo, che rientra tra quelli
magnetogalvanici. In un materiale magnetostrittivo la resistivit`a e quindi la resistenza elettrica varia quando esso `e sottoposto ad un campo magnetico esterno.
Sensori di questo tipo sono impiegati per la lettura e scrittura di dati digitali sui
dischi rigidi dei computer a costi ancora pi`
u contenuti rispetto a quelli di tipo ottico.
Leffetto galvanomagnetico pi`
u conosciuto `e quello Hall, che si manifesta in
materiali sia conduttori sia semiconduttori con linsorgere di una tensione elettrica
in un materiale sottoposto ad un campo di induzione magnetica normale al flusso
di una corrente elettrica che lo attraversa. Diverse sono le applicazioni di questo
effetto che vanno dai sensori di campo magnetico e di corrente, tensione e potenza
elettriche ai tachimetri.
Diversi sensori, per esempio di spostamento, forze, accelerazioni, basano il loro
funzionamento su altri effetti elettromagnetici. Questi sensori presentano
rispetto a quelli di natura resistiva in genere il vantaggio di non richiedere un contatto
fisico con il misurando, il che assicura minore usura e maggiore durata, inoltre
possono essere sensori attivi. Daltra parte risultano pi`
u complessi nella parte di
condizionamento ed elaborazione del segnale.
Leffetto termoelettrico pi`
u noto, che `e quello Seebeck, si presenta quando
due materiali conduttori di differenti caratteristiche energetiche sono saldati fra loro
a due estremit`a e d`a luogo ad una termocoppia. Quando una estremit`a della
termocoppia `e posta ad una temperatura maggiore dellaltra estremit`a, il circuito
diventa sede di un passaggio di energia dalla parte calda alla parte fredda, che si
manifesta con linsorgere di un campo elettrico e la circolazione di corrente elettrica.
Nel seguito si accenner`a a diverse applicazioni delle termocoppie, specie con lutilizzo
della tecnologia MEMS.
Leffetto termoresistivo consiste nella variazione della resistivit`a di un
` presente sia nei metalli sia nei composti metallo
materiale con la temperatura. E
ceramici sia nei semiconduttori, che presentano a differenza dei materiali metallici
un coefficiente di temperatura negativo (NTC). Con un opportuno drogaggio anche i materiali semiconduttori possono essere resi tali da avere un coefficiente di
temperatura positivo (PTC), come quelli metallici.
Gli effetti capacitivi hanno avuto recentemente un notevole sviluppo nei
sensori realizzati con le tecnologie MEMS. Questi sensori presentano almeno un elemento in grado di muoversi al variare di un misurando, come ad esempio pressione,
accelerazione o velocit`a. La configurazione pi`
u semplice `e quella composta da un
condensatore ad armature piane e parallele di cui una mobile. In realt`a le configurazioni sono svariate, in dipendenza dellapplicazione, per esempio anche molto

3.11. EFFETTI FOTONICI

111

Figura 3.10: Fig. 3.11 - Fotoemissione nei metalli

diffusa `e quella a pettine, costituita in una delle sue realizzazioni da tre armature
due periferiche collegate metallicamente tra loro ed una centrale in grado di scorrere
allinterno delle altre due.

3.11

Effetti fotonici

La fotoemissione consiste nellemissione di elettroni da un materiale provocata


da radiazioni elettromagnetiche appartenenti alla zona visibile e ultravioletta dello
spettro, ma anche da radiazioni infrarosse, da raggi X e raggi . La fotoemissione si riscontra pi`
u facilmente in materiali solidi ed `e denominata anche effetto
fotoelettrico esterno.
Si consideri una superficie metallica investita da un fascio di luce di opportuna
lunghezza donda. La superficie investita `e caratterizzata da una funzione lavoro
EL , che `e la quantit`a di energia richiesta per estrarre un elettrone da esso. Se
la luce `e monocromatica di frequenza f e lunghezza donda , la condizione per
lemissione di un elettrone `e: hf > EL , dove h `e la costante di Plank. I sensori che
utilizzano leffetto fotoelettrico sono noti come rivelatori fotoemissivi. Questi
sono realizzati mediante un catodo di un opportuno materiale e da un anodo tra i
quali `e applicata una elevata d.d.p. (intorno alle centinaia di volt) chiusi in un tubo.
Leffetto di fotoemissione nei metalli `e rappresentato in Fig.3.11.
Laspetto pi`
u importante della fotoemissione `e che non vi `e alcun ritardo tra
lirradiazione di un emettitore e lemissione di fotoelettroni. Ci`o `e dovuto al fatto
che il fotone interagendo con lelettrone gli cede tutta la sua energia senza ritardi
temporali. Inoltre ad una data frequenza il numero di fotoelettroni emessi per
secondo `e proporzionale allintensit`a della radiazione incidente. Infine i fotoelettroni
hanno energia cinetica con valori compresi tra zero e un massimo ben definito,
proporzionale alla frequenza della radiazione incidente e indipendente dallintensit`a.
Lenergia cinetica degli elettroni liberi risulter`a pertanto uguale o inferiore a un
massimo dato dalla differenza hf EL (valore che deve risultare necessariamente
positivo perche lelettrone possa liberarsi dal materiale). Si definisce inoltre efficienza
quantica il numero di elettroni emessi per ogni fotone incidente. Lefficienza quantica
dipende naturalmente dal tipo di metallo e dalla lunghezza donda della radiazione
incidente.
Nei sensori fotoemissivi purtroppo leffetto della temperatura non `e trascurabile in quanto il valore della soglia fotoelettrica non `e pi`
u ben definito quando la
temperatura del metallo si scosta dallo zero assoluto. Vi sono dei coefficienti di
correzione delleffetto di temperatura proposti da Fowler e da De Bridge. Per
sfruttare la fotoemissione si potrebbero utilizzare anche dei semiconduttori, ma a
questi sono preferiti i metalli che presentano unenergia di soglia fotoelettrica inferiore a quella dei semiconduttori. I rivelatori fotoemissivi trovano scarsa utilizzazione
nei sensori, mentre pi`
u diffusa `e lapplicazione nei fotomoltiplicatori nei quali

112

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

si crea una corrente elettrica incrementando leffetto fotoelettrico mediante una serie
di elettrodi secondari.
Leffetto fotoconduttivo determina un passaggio di corrente elettrica in
materiali investiti da radiazioni di varia lunghezza donda. Esso `e dovuto alla variazione delle caratteristiche elettriche nel materiale investito dalla radiazione, in
particolare della conduttivit`a per quanto riguarda materiali isolanti e semiconduttori. Il fenomeno prende anche il nome di effetto fotoelettrico interno per
distinguerlo da quello esterno che attiene alla fotoemissione.
La radiazione incidente consente il passaggio degli elettroni da uno stato di legame a uno libero. Gli elettroni liberi non hanno energia sufficiente per uscire dal
materiale (come avviene nel caso della fotoemissione) ma contribuiscono alla conduzione facendo diminuire la resistivit`a del materiale, ovvero aumentare la conduttivit`a. In questo tipo di fenomeno, per avere un flusso di corrente elettrica, variabile
con la radiazione incidente, `e necessario collegare lelemento fotoconduttivo a un
generatore di tensione elettrica, dando quindi luogo a sensori passivi.
Tra i materiali fotoconduttivi si annoverano anche i materiali semiconduttori,
nei quali, come `e noto, vi `e una separazione fisica dei portatori di carica. Per questi
materiali `e necessario fare una distinzione. Vi `e un effetto fotovoltaico (che sar`a
esaminato in seguito) in cui senza un apporto di energia dallesterno del materiale si
ha il verificarsi di una d.d.p. per il passaggio di elettroni dalla banda di valenza (BV)
a quella di conduzione (BC); leffetto fotoconduttivo invece comporta semplicemente
una variazione di conduttivit`a nel materiale, per quantificare la quale occorre un
apporto di energia dallesterno. La conduttivit`a in un materiale semiconduttore
`e data da = Ne , dove N `e il numero totale di elettroni in BC, e `e la carica
dellelettrone e la mobilit`a dei portatori di carica.
Purtroppo anche leffetto fotoconduttivo `e influenzato dalleffetto termico. Infatti il numero N di elettroni in BC `e fortemente influenzato dalla temperatura in
accordo alla formula seguente: N = N0 exp(Eg /2kT ), dove N0 `e il numero totale
di elettroni nel materiale (cio`e in banda di conduzione, BC, e banda di valenza,
BV), Eg `e il gap di energia tra le due bande, k `e la costante di Boltzmann e T `e la
temperatura della giunzione. N quindi aumenta con T ed `e zero allo zero assoluto.
Un altro fenomeno che riduce lentit`a delleffetto fotoconduttivo `e il tempo di vita
limitato degli elettroni in BC, mentre sarebbe auspicabile che esso fosse pi`
u lungo
possibile per aumentare la sensibilit`a. Per un calcolo della corrente di fotoconduzione
si pu`o considerare un cubo di germanio avente lo spigolo di 1 cm con due elettrodi,
necessari per creare il campo elettrico, posti su due facce opposte. Se NF sono
i fotoni assorbiti in un secondo, il numero di elettroni e lacune liberi in eccesso
raggiunge una concentrazione costante NF t per ciascun tipo di carica. Il numero
di elettroni Ne che fluiscono nel tempo t attraverso la batteria nel circuito esterno
`e dato da: Ne = V NF t(e + b ), dove V `e la tensione applicata e e e b sono le
mobilit`a di elettroni e lacune rispettivamente.
Leffetto fotoconduttivo si presenta in molti materiali come gli alogenuri alcalini,
il germanio, il solfuro di cadmio, il seleniuro di cadmio, il solfuro di piombo, il seleniuro di piombo. Lentit`a delleffetto nei diversi materiali fotoconduttivi e quindi la
sensibilit`a del sensore che utilizzi un determinato materiale variano con la lunghezza

3.11. EFFETTI FOTONICI

113

donda della radiazione incidente. Pertanto si assegna a ciascun materiale fotoconduttivo un particolare campo di frequenze, compreso nella banda fondamentale di
assorbimento ottico, nel quale si manifesta la sua migliore attitudine. Ad esempio
gli alogenuri alcalini sono particolarmente indicati nella regione rossa dello
spettro (avendo un picco di assorbimento ottico nellintorno di 1,6 eV), mentre il
germanio `e indicato per radiazioni nellinfrarosso (avendo massimo assorbimento
ottico intorno a 0,7 eV), ma pu`o essere utilizzato anche nel visibile e nellultravioletto. Le propriet`a di conduttivit`a dei fotoconduttori sono notevolmente migliorate
con il drogaggio consistente nellintroduzione di una quantit`a controllata di impurezze. Il fotoconduttore `e di solito preparato sotto forma di sottile pellicola, per
evaporazione del materiale sotto vuoto, per precipitazione chimica o per compressione del materiale polverizzato. Le celle di solfuro di cadmio sono molto usate per
applicazioni industriali, per la loro alta sensibilit`a nello spettro visibile. Tuttavia
esse presentano errori di isteresi (la risposta dipende dalla esposizione alla luce avvenuta in precedenza) e di piedistallo (presenza di correnti nel circuito anche in
assenza di luce). Le celle di solfuro di piombo e seleniuro di piombo sono
particolarmente sensibili alla radiazione infrarossa e la sensibilit`a aumenta alle basse
temperature con il crescere delle lunghezze donda delle radiazioni. Per utilizzarle nel
lontano infrarosso `e necessario raffreddare le celle con idrogeno liquido (si portano
a temperature intorno a 250 C). Le celle fotoconduttrici sono caratterizzate dalla
loro sensibilit`a nellinfrarosso ( = 1 2m) e dal loro breve tempo di risposta.
Il loro utilizzo si ha nei sistemi di registrazione ad alta velocit`a, nei microscopi ad alta risoluzione, nellelettrografia e nei rivelatori di radiazioni
infrarosse.
La fotoionizzazione `e un effetto che consente di produrre in un gas la ionizzazione per azione di una radiazione elettromagnetica. La ionizzazione consiste nella
modificazione di una molecola o di un atomo neutro in uno ione positivo o in un
elettrone libero. In casi pi`
u complessi una molecola pu`o essere modificata in uno
ione positivo o in uno negativo, separati tra loro. Lenergia necessaria perche possa manifestarsi il processo di fotoionizzazione `e fornita per irraggiamento di fotoni
contenuti in radiazioni X od ottiche. Tali radiazioni agiscono in genere in un gas,
ma possono anche essere applicate alla superficie di materiali solidi e danno luogo
ad atomi ionizzati o a elettroni liberi. La fotoionizzazione `e utilizzata nel campo
della misura delle radiazioni.
I due effetti precedenti danno luogo a sensori passivi, mentre quello fotovoltaico `e riferito a sensori attivi ed `e conseguente alla conversione dellenergia radiante in
energia elettrica. Tale effetto consente la realizzazione di celle solari, notissime
per la loro utilizzazione sempre pi`
u diffusa in diversi campi, come quello dei satelliti.
Leffetto fotovoltaico si presenta nelle giunzioni p-n dei semiconduttori, sottoposte a radiazioni che danno luogo alla comparsa di una forza elettromotrice (f.e.m.).
Come mostrato in Fig. 3.12, illuminando la giunzione si producono coppie elettronilacune; le coppie vengono separate dal campo della barriera (gap) e danno origine a
una f.e.m.. La giunzione p-n altri non `e che un diodo caratterizzato da una elevata
corrente inversa. Naturalmente si vengono a creare una lacuna o buca in BV ed
un elettrone in BC, solo se lenergia hf del fotone `e superiore a quella Eg caratte-

114

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI


Figura 3.11: Fig.3.12 Effetto fotovoltaico in una giunzione p-n

Figura 3.12: Fig.3.13 Caratteristica e circuito equivalente di un diodo fotovoltaico

rizzante la barriera di potenziale tra le due bande. La lacuna e lelettrone liberati


`
si muovono liberamente nelle due bande e possono fluire nel circuito esterno. E
opportuno notare che la direzione della corrente `e la stessa della corrente inversa in
un diodo normale.
Cos` la corrente IL , dovuta alla radiazione luminosa, pu`o considerarsi, come
mostra la Fig. 3.13, una grandezza che determina un aumento della corrente inversa.
Quindi in condizioni di cortocircuito allesterno fluir`a una corrente IL, mentre in
condizioni a vuoto ai morsetti AB si avr`a una tensione V0 . Nel circuito equivalente
sono presenti oltre al generatore di corrente IL , una resistenza Rd (che limita la
corrente di cortocircuito) e una capacit`a C (che pu`o limitare la risposta in frequenza).
Lentit`a della corrente IL `e una funzione dellenergia W associata alla radiazione e
della frequenza f della radiazione monocromatica. Il numero di fotoni al secondo `e
dato da W/hf per cui: IL = keW/hf , dove k `e un fattore di efficienza del materiale
utilizzato per il diodo. Materiali tipici per la costruzione delle giunzioni nelle celle
fotovoltaiche sono: silicio-(borato di silicio); selenio-ferro; rame-(ossido di rame). La
misura della radiazione incidente pu`o avvenire attraverso la misura della corrente
IL . Celle fotovoltaiche sono usate anche nei rivelatori di particelle, in particolare
per i raggi e hanno trovato applicazione nelle ricerche sui raggi cosmici compiute
con i satelliti.
Fotodiodi e fototransistor sono elementi fotovoltaici nei quali laltezza
della barriera di potenziale in corrispondenza della giunzione `e modulata dalla luce
incidente. Nei fotodiodi per aumentare la sensibilit`a si effettua una polarizzazione
inversa che fa circolare una corrente piccola al buio, crescente con la quantit`a di luce
incidente sul fotodiodo. I fototransistor sono diversi dai fotodiodi perche la corrente
fotoelettrica `e amplificata con un notevole aumento della sensibilit`a alla radiazione
incidente. Alcuni tipi di fototransistor sono usati come interruttori o dispositivi
bistabili. Piccole quantit`a di luce sono in grado di produrre la commutazione del
circuito dalla condizione di minima corrente a quella di corrente elevata.

3.12

Effetto doppler

Questo effetto fu scoperto nel 1842 dal tedesco C. Doppler e consiste nella variazione di frequenza delle onde acustiche, ottiche, radio, dovuta al moto relativo tra
sorgente e ricevitore delle onde. Occorre distinguere gli aspetti salienti del fenomeno nel campo acustico e in quello ottico in quanto si presentano alcune differenze.
Nel campo acustico leffetto `e facilmente percepibile quando una tromba attivata
di una autoambulanza si avvicini ad un ascoltatore fermo. Anche se lintensit`a e la
frequenza dellonda sonora emessa dalla tromba restano costanti, lascoltatore percepir`a lavvicinarsi o lallontanarsi dellautoambulanza perche aumenter`a o diminuir`a

3.12. EFFETTO DOPPLER

115

la frequenza dellonda sonora (numero di suoni nellunit`a di tempo) che giunge al suo
orecchio. Quando, come in genere accade, la velocit`a, vu , di propagazione del suono
`e molto pi`
u grande della velocit`a, vr , del moto relativo tra sorgente e ricevitore, la
variazione di frequenza tra la frequenza, fs , dellonda emessa dalla sorgente e
quella dellonda percepita dal ricevitore risulta:
f = fs

vr
vu

(3.9)

Se il moto non avviene lungo la retta di congiunzione della sorgente e del ricevitore,
nella precedente equazione occorre considerare per vr la componente della velocit`a
secondo la suddetta retta. Leffetto Doppler nel campo acustico `e quindi un effetto
tipicamente longitudinale, non si presenta quando la direzione del moto `e ortogonale alla congiungente sorgente-ricevitore. Nel campo acustico la variabilit`a della
velocit`a di propagazione delle onde influisce sulla variazione di frequenza f , il che
non accade nel campo delle onde elettromagnetiche.
Leffetto Doppler, relativo alle onde elettromagnetiche `e molto utilizzato
sia in cosmologia sia nei radar. Se una stella si muove rispetto a un osservatore
si ha una variazione nella frequenza delle onde ricevute. Tale variazione d`a luogo a
una dispersione delle righe spettrali in un ricevitore sincronizzato con le frequenze
delle onde emesse dalla stella. Dalla dispersione delle righe spettrali `e possibile
risalire al moto dei corpi celesti il cui spettro sia rivelabile. Leffetto Doppler nel
campo delle onde elettromagnetiche d`a luogo a una variazione di frequenza,
che ha la seguente forma generale:

q
2
1 vcr
(3.10)
1
f = fs
1 vcr cos
dove c `e la velocit`a della luce e `e langolo che la congiungente sorgente-ricevitore
forma con la direzione del moto. Pertanto nel campo delle onde elettromagnetiche
si hanno due effetti:
effetto Doppler longitudinale, nellequazione precedente = 0, vr <<
c, per cui si ha:


1
vr
(3.11)
fl = fs
vr 1 = fs
1 c
c
con una variazione di frequenza di segno negativo nel caso di allontanamento
della sorgente dal ricevitore;
effetto Doppler trasversale, nellequazione generale si deve porre =
/2, vr  c:
"r
#
 v 2
fs  vr 2
r
ft = fs
1
1
(3.12)
=
c
2 c
Dallesame delle due equazioni precedenti si evince facilmente che essendo il rapporto vr /c molto piccolo leffetto Doppler trasversale, proporzionale al quadrato di

116

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

tale rapporto, `e decisamente inferiore a quello longitudinale, proporzionale solo al


suddetto rapporto, per cui nei sensori in cui non `e richiesta unaccuratezza molto
elevata, si trascura leffetto trasversale quando si presenta insieme con quello longitudinale. Nel caso delle applicazioni radar si misura la variazione della frequenza
tra un segnale trasmesso e il segnale delleco, dovuto a un bersaglio mobile. Poiche
il trasmettitore e il ricevitore si trovano nella stessa posizione e il segnale ottico
va prima dal trasmettitore al bersaglio e poi `e riflesso verso il ricevitore, leffetto
longitudinale `e doppio rispetto alla situazione precedente, per cui la sua espressione
si modifica nel modo seguente:
vr
(3.13)
fl = 2fs
c
dove vr `e la velocit`a relativa del bersaglio nella direzione del radar. La variazione
di frequenza `e positiva nel caso in cui il bersaglio si avvicini al radar, negativa
nel caso si allontani. Luso pi`
u diffuso del radar Doppler `e quello di misuratore
della velocit`a degli oggetti (radiotachimetro), ma applicazioni si hanno anche
nei radiogoniometri. Leffetto Doppler `e molto utilizzato anche nei sensori di
flusso nei quali si pu`o fare ricorso a onde nel campo degli ultrasuoni, dei radar e dei
laser con realizzazioni ben differenti luna dallaltra.

3.13

Effetti piezoelettrico piroelettrico e piezoresistivo

Leffetto piezoelettrico d`a luogo a una differenza di potenziale (d.d.p.) fra le due
facce di particolari cristalli, quando su di esse siano applicate delle sollecitazioni
meccaniche. Il fenomeno osservato dai fratelli Pierre e Jacques Curie nel 1880 pu`o
` ). Leffetto piezoelettrico diretto
manifestarsi anche in senso inverso (reversibilita
fu riscontrato dai due fratelli Courie in diversi cristalli come il clorato di sodio, la
boracite, la tormalina, il quarzo, il sale di Rochelle.
Si possono presentare deformazioni meccaniche in particolari cristalli ferroelettrici sottoposti ad un campo elettrico. Il segno della d.d.p. segue quello
della deformazione e viceversa. Utilizzando leffetto piezoelettrico si realizzano sensori che convertono una deformazione in cariche elettriche. Leffetto non si verifica
in materiali che presentano una distribuzione di cariche simmetriche o meglio che
abbiano un centro di simmetria nella struttura cristallina. Fu Voigt nel 1910 che
scopr` che tra le trentadue classi cristallografiche sono ben ventuno quelle che
non hanno centro di simmetria e che, a eccezione di una, presentano caratteristiche
piezoelettriche.
Nei cristalli non conduttori la piezoelettricit`a `e interpretata come una alterazione
dellequilibrio dei momenti di dipoli elettrici. Quindi una sollecitazione meccanica
che provoca una deformazione modifica i momenti di dipolo con conseguente variazione di cariche in superficie dando luogo a una differenza di potenziale. Si possono cos`
realizzare sensori di pressione, di vibrazione e di onde acustiche. La polarizzazione
piezoelettrica `e legata al processo di orientazione dei dipoli elettrici tendenzialmente
nella direzione della forza applicata e non `e limitata ad un unico asse, ma in molte

3.13. EFFETTI PIEZOELETTRICO PIROELETTRICO E PIEZORESISTIVO117


classi di cristalli si presenta solo su un unico piano. La relazione matematica tra le
sei componenti del tensore degli sforzi (tre componenti per la tensione e tre per la
compressione) e le tre componenti del vettore di polarizzazione P `e rappresentata
da una matrice a 18 elementi piezoelettrici, i cui valori sono funzioni della maggiore
o minore simmetria del cristallo. Per semplificare la forma della matrice si scelgono
come assi di riferimento quelli di simmetria naturale del cristallo.
La prima applicazione della piezoelettricit`a `e dovuta a Pierre Curie, che realizz`o
un misuratore di cariche elettriche, ma le prime utilizzazioni in campo industriale
sono successive e si fanno risalire alle prime decadi del Novecento, quando furono
generate onde acustiche con risonatori al quarzo, impiegati come sonar per individuare i sottomarini in immersione. Altre applicazioni riguardano la costruzione di
interferometri acustici per la misura della velocit`a del suono e di filtri selettivi
impiegati in radiotecnica. Il materiale piezoelettrico pi`
u diffuso `e il quarzo, in virt`
u
delle sue eccellenti caratteristiche, quali lelevata resistenza allo sforzo meccanico, la
possibilit`a di funzionare a temperature fino a 500 C, lottima linearit`a, listeresi trascurabile, la sensibilit`a costante in un ampio campo di temperature e la bassissima
conducibilit`a. Leffetto piezoelettrico `e presente, come si `e accennato a proposito
dei microsensori e dei MEMS, anche nel silicio e nel germanio, oltre che in elementi piezoceramici, ed inoltre pu`o essere ottenuto artificialmente nei materiali
ferroelettrici (come a esempio nel titanato-zirconato di piombo e nel titanato di bario) riscaldandoli in presenza di intensi campi elettrici. Quando si
applichi un campo elettrico ad una lastra di materiale ferroelettrico sinterizzato a
temperatura superiore a quella di Curie e quindi si abbassi progressivamente la temperatura, mantenendo costante il campo elettrico, si induce allinterno del materiale
una microstruttura permanente che presenta effetti piezoelettrici. Come il quarzo,
anche i materiali ferroelettrici sono molto utilizzati in quanto presentano unelevata
sensibilit`a della polarizzazione al campo elettrico esterno e valori di accoppiamento piezoelettrico superiori a quelli relativi agli altri cristalli piezoelettrici, anche se
presentano un errore disteresi non sempre trascurabile. Altri materiali usati nella
realizzazione di sensori piezoelettrici, per la loro sia convenienza economica sia resistenza agli urti, sono quelli polimerici, come ad esempio il fluoruro di polivinildene,
in cui si ottengono caratteristiche piezoelettriche permanenti estendendo il materiale
quando `e sottoposto allazione di un campo elettrico esterno.
I sensori che impiegano il quarzo consistono essenzialmente in sottili lastre di
cristallo tagliate in modo opportuno, rispetto agli assi del cristallo, in dipendenza
della specifica applicazione. il quarzo genera una carica di pochi pC (pico Coulomb)
che `e proporzionale alla forza applicata. Si consideri ora un piccolo disco di quarzo o
di altro materiale piezoelettrico, la densit`a di carica q `e funzione della forza applicata
F : q = kq F , dove kq `e la sensibilit`a alla carica elettrica o coulombiana e risulta pari
a 2 1012 C N1 per il quarzo e a circa 150 1012 C N1 per il titanato-zirconato
di piombo. Le superfici sulle quali agiscono le forze applicate al materiale sono
metallizzate e danno luogo a un condensatore di capacit`a C = r 0 A/s dove r
` o costante dielettrica relativa, pari circa a 4,5 per il
`e la permettivita
quarzo e a 1800 per il titanato-zirconato di piombo, 0 `e la permettivit`a del vuoto
pari a (1/36)1019 F m1 , A `e larea della superficie metallizzata ed s `e lo spessore

118

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

del disco. La d.d.p. V corrispondente alla carica `e proporzionale alla pressione,


p = F/A, applicata secondo la relazione:
V =

q
sF
= kq
= kV sp
C
A0 r

(3.14)

dove kV = kq /0 r `e la sensibilit`a voltmetrica, che ha un valore di circa 5 102 V m N1


per il quarzo e di circa 102 V m N1 per il titanato zirconato di piombo. La conversione della carica elettrica in tensione elettrica avviene attraverso un semplice
convertitore elettronico. La sensibilit`a voltmetrica pu`o essere facilmente migliorata impiegando un amplificatore. Luso di questi dispositivi elettronici, che hanno
bisogno di unalimentazione esterna, toglie per`o al sensore piezoelettrico la caratteristica di essere attivo. La tensione in uscita al sensore `e proporzionale oltre che alla
sensibilit`a voltmetrica e alla pressione applicata anche allo spessore della piastrina
del materiale piezoelettrico, per cui spesso per aumentare la sensibilit`a del sensore si
sovrappongono tre piastrine uguali e si sommano le tre tensioni elettriche in uscita
a ciascuna di esse.
I sensori piezoelettrici sono ampiamente utilizzati per misure di forza
e pressioni, ma `e opportuno sottolineare che la risposta alla deformazione non
si estende alla componente continua, a causa della capacit`a C. Leffetto piezoelettrico `e anche impiegato per misure accelerometriche per la conversione di
segnali meccanici o acustici in segnali elettrici in microfoni, pick-up per giradischi,
misuratori di rugosit`a.
Tra i cristalli piezoelettrici ve ne sono alcuni, in particolare quelli appartenenti a
dieci delle 32 classi cristalline, che presentano un unico asse di polarizzazione, ovvero
una direzione privilegiata per la orientazione dei momenti elettrici delle molecole.
Questi cristalli manifestano un ulteriore effetto, detto piroelettrico, consistente nella
variazione della polarizzazione elettrica spontanea o indotta, che insorge in seguito
a variazioni di temperatura dovute ad esempio ad assorbimento di radiazioni.
Il vettore polarizzazione `e legato alla variazione di temperatura attraverso una
serie di coefficienti piroelettrici, variabili con lorientazione degli assi di riferimento.
Fra i cristalli che presentano il fenomeno vi sono la tormalina, lacido tartarico, il
solfato di litio e sodio, il titanato di bario, il titanato-zirconato di piombo, il niobato
di litio, con coefficienti piroelettrici variabili intorno a valori di 1013 C2 m1 K.
Leffetto piroelettrico si manifesta in due modi, uno primario, quando
il cristallo `e tenuto a volume costante in modo che non si verifichino fenomeni di
dilatazione termica, e uno secondario, quando non si esercitano azioni meccaniche
e si possono quindi verificare deformazioni per la dilatazione termica. Nel secondo
caso leffetto piezoelettrico, dovuto alla dilatazione, fornisce un ulteriore contributo
alla variazione dei momenti di dipolo. I coefficienti piroelettrici variano in funzione
di T 2 (con T temperatura assoluta) per leffetto primario e con T 4 per leffetto
secondario, a indicare che leffetto secondario `e maggiore di quello primario.
Leffetto piroelettrico `e ampiamente sfruttato nei bolometri, ovvero nei rivelatori termici di radiazioni, e specie nel campo delle radiazioni infrarosse
questi sono preferiti a quelli basati sulleffetto fotoelettrico o fotoconduttivo, per il
pregio di poter funzionare anche a temperatura ambiente, senza necessit`a di corre-

3.13. EFFETTI PIEZOELETTRICO PIROELETTRICO E PIEZORESISTIVO119


zioni, essendo insensibili alla radiazione di fondo stazionaria nel tempo, in quanto
se lilluminamento `e costante si portano in equilibrio termico e il segnale in uscita
si azzera. Essi inoltre, come tutti i sensori termici, hanno unampia banda passante ovvero una sensibilit`a spettrale praticamente piatta, in un intervallo di frequenze
limitato solo dalle caratteristiche delle lenti ottiche di protezione utilizzate. Nei rivelatori termici di radiazione basati sulleffetto piroelettrico la radiazione `e diretta su
un piccolo disco di materiale le cui facce sono metallizzate e sulle quali si manifesta
una tensione elettrica. Il sensore piroelettrico si pu`o considerare, in modo analogo al
piezoelettrico, un condensatore sulle cui armature si addensano cariche indotte dal
dielettrico polarizzato. Quando la temperatura del sensore varia anche la polarizzazione e le cariche sul condensatore variano, producendo una debole corrente, che al
solito pu`o essere convertita in tensione mediante un amplificatore operazionale con
` quasi sempre necessario amplificare il segnale
elevata resistenza di retroazione. E
che deve essere applicato ad una impedenza molto elevata. A tale scopo il cristallo
piroelettrico `e collegato con un amplificatore MOS-FET, che notoriamente presenta
impedenze di ingresso superiori anche alle decine di megaohm, in modo da assorbire
una minima frazione della corrente generata dal sensore piroelettrico montato sullo stesso supporto. Anche leffetto piroelettrico come quello piezoelettrico gode di
` , ovvero si pu`o presentare un effetto detto elettrocalorico
reversibilita
lineare. Quando si ha una variazione della polarizzazione a causa della applicazione
di un campo elettrico esterno, il cristallo subisce una variazione di temperatura. I valori di questa variazione raggiungibili in tipici materiali piroelettrici sono dellordine
di grandezza di 0.01 C.
` leffetto di
Leffetto piezoresistivo fu scoperto da Lord Kelvin nel 1856. E
` di un opportuno materiale quando `e soggetto a
variazione della resistivita
una deformazione, dovuta a uno sforzo ad esso applicato. Leffetto `e correntemente
utilizzato nei sensori estensimetrici (strain-gage). Nei materiali metallici leffetto si manifesta in modo ridotto rispetto ai semiconduttori. Fu nel 1954 che si
scopr` la caratteristica di alcuni materiali semiconduttori di presentare un effetto
piezoresistivo molto maggiore dei metalli. I cristalli di semiconduttori dai quali si
ottengono gli elementi sensibili dei sensori sono in genere opportunamente drogati
e il contenuto di impurit`a deve essere accuratamente controllato perche si abbiano
le caratteristiche desiderate. Con luso di semiconduttori si ottengono notevoli vantaggi quali: una elevata sensibilit`a (superiore quasi di cento volte a quelle relative
agli estensimetri metallici); piccole dimensioni (0.5x0.25 mm); un elevato valore di
resistenza (da 60 a 1 k); un elevato numero di cicli (superiore a 107 ); piccola
isteresi. I valori di sensibilit`a indicati stanno a significare che leffetto piezoresistivo produce nel silicio, a parit`a di sforzo, una variazione di resistenza maggiore di
quasi 2 ordini di grandezza rispetto a quella che si ha nei metalli. Ad esempio, se
il sensore fosse soggetto ad un allungamento unitario per trazione dello 0, 1%, la
sua variazione di resistenza per un metallo sarebbe intorno allo 0, 2%, mentre la
resistenza del silicio cambierebbe di circa il 10%. Sfortunatamente i semiconduttori
hanno anche un elevato coefficiente di temperatura (effetto termoresistivo) per cui
il loro uso negli estensimetri richiede spesso il ricorso a speciali tecniche di compensazione della temperatura. I sensori piezoresistivi si utilizzano per misurare la

120

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

Figura 3.13: Fig. 3.14 Schema di un resistore potenziometrico (a)lineare; (b) angolare

pressione, laccelerazione e la forza. Leffetto piezoresistivo `e utilizzato anche nei


MEMS negli accelerometri e nei microfoni. Oggi si fa un uso esteso di sensori
di deformazione in campo edile, aeronautico, automobilistico.
Una variazione di resistenza conseguente a uno spostamento si pu`o ottenere oltre che con elementi piezoresistivi, anche con materiali conduttori, facendo scorrere una spazzola su un filo o su un reostato come avviene nei sensori
potenziometrici.
Un trasduttore resistivo pu`o essere realizzato mediante un potenziometro connesso ad una parte in movimento. In esso la tensione di uscita `e funzione dei valori
di resistenza del partitore di tensione e quindi dello spostamento del cursore. In
base alla Fig. 3.14. si ha:
R2
(3.15)
Vu = Vi
R1 + R2
Il movimento pu`o essere lineare o angolare, come nei potenziometri a rotazione;
la grandezza di uscita pu`o avere andamento lineare, logaritmico od esponenziale (in
teoria `e possibile realizzare qualsiasi tipo di funzione). I trasduttori potenziometrici
hanno i seguenti vantaggi: semplicit`a; basso costo; elevate tensioni di uscita; alimentazione sia in continua sia in alternata; facilit`a di taratura. Sono molto impiegati
nel campo della misura di spostamenti lineari e angolari (per esempio nei serbatoi),
di posizioni. Luso nel campo di velocit`a, accelerazioni e vibrazioni `e limitato dallelevato attrito e usura della spazzola, dalla bassa sensibilit`a e dal rumore esterno
causato principalmente da possibili vibrazioni cui `e soggetto il sensore.

3.14

Effetti magnetici

La magnetostrizione `e quel fenomeno fisico che determina variazioni di dimensioni e forma in un materiale magnetico soggetto a magnetizzazione ed `e detta anche
effetto Wiedemann. Lentit`a del fenomeno dipende dalla direzione in cui agisce il
campo e dal grado di magnetizzazione del materiale. Reversibilmente si hanno variazioni nella caratteristica di magnetizzazione a causa di deformazioni meccaniche
del materiale e leffetto `e denominato magnetoelastico o Villary.
La magnetostrizione `e dovuta alla dipendenza della energia di anisotropia del
cristallo dallo stato di deformazione del reticolo cristallino. Nelleffetto magnetoelastico sollecitazioni contenute entro il limite di elasticit`a del materiale pos` , in relazione alla
sono produrre una diminuzione o un aumento di permeabilita
particolare natura del materiale. Ad esempio il nichel soggetto a sollecitazioni che
producono deformazioni elastiche presenta permeabilit`a tanto minore quanto pi`
u `e
elevata la sollecitazione, mentre il permalloy 68 (lega Ni 68%, Fe 32%) ha permeabilit`a che aumenta trenta volte per sollecitazioni di trazione pari a 11 kg2 mm1 , corrispondenti al limite di elasticit`a, superato questo limite la permeabilit`a diminuisce
rapidamente.

3.14. EFFETTI MAGNETICI

121

Il nichel `e sfruttato nei trasduttori a magnetostrizione, utilizzati per ricezione o


trasmissione di vibrazioni sonore ad alta frequenza. Lo stesso fenomeno si sfrutta
per misure di forza, pressione, accelerazione utilizzando la variazione di permeabilit`a di un nucleo di nichel, dovuta alle deformazioni del materiale. Se un intero
circuito magnetico o una sua parte `e di materiale magnetostrittivo, le variazioni di
permeabilit`a che si producono per sollecitazioni meccaniche del circuito magnetico
danno luogo a variazioni dellinduttanza di bobine avvolgenti il nucleo.
Nei sensori di posizione pi`
u recenti si impiegano speciali leghe metalliche e si
sfrutta leffetto Wiedemann. In alcuni di essi lelemento, la cui posizione `e variabile,
`e solidale con un magnete permanente, che produce un campo magnetico longitudinale, cui `e sottoposto il materiale ferromagnetico, nel quale si verifica leffetto
magnetostrittivo. La barra di materiale ferromagnetico `e ferma ed `e attraversata da impulsi di corrente, che variano le loro caratteristiche in dipendenza della
posizione del magnete permanente mobile rispetto alla barra. Dalla elaborazione
delle informazioni contenute negli impulsi di corrente si risale alla posizione dellelemento mobile. Lassenza di contatto tra il magnete permanente di posizione e
lelemento sensibile, costituito dal materiale ferromagnetico, rende minima lusura,
caratteristica precipua della maggior parte dei sensori basati sugli effetti magnetici.
Gli effetti galvanomagnetici si presentano in alcuni materiali quando siano
posti in un campo magnetico e siano percorsi da corrente elettrica. Il fenomeno `e
dovuto sostanzialmente al fatto che gli elettroni che si muovono allinterno del materiale per la circolazione della corrente elettrica sono deviati per effetto del campo
magnetico cui sono sottoposti. Lentit`a di questa deviazione `e condizionata dalla
struttura cristallina reticolare del solido e pu`o determinare variazioni della condu` elettrica e la comparsa di un campo elettrico in direzione ortogonale
cibilita
a quella del flusso primario. Leffetto inoltre pu`o essere o trasversale (quando si
presenti perpendicolarmente sia alla corrente elettrica sia al campo magnetico) e in
tal caso risulta di maggiore interesse, o longitudinale (quando si presenti nella stessa
direzione della corrente elettrica).
Gli effetti galvanomagnetici hanno molta analogia con quelli termomagnetici
che si verificano quando un flusso di calore attraversa un materiale solido immerso
in un campo magnetico. La variazione di conducibilit`a in un materiale conduttore o
semiconduttore quando `e percorso da corrente ed `e soggetto a un campo magnetico
H `e dovuta alleffetto magnetoresistivo che si presenta con la direzione del
campo magnetico sia parallela sia trasversale alla direzione in cui fluisce la corrente.
La conseguente variazione di resistenza pu`o essere proporzionale al quadrato dellintensit`a del campo magnetico per campi deboli, mentre varia linearmente con H per
i valori pi`
u intensi del campo. Leffetto magnetoresistivo si manifesta sia nei metalli
e in leghe di metalli nobili, sia nei semiconduttori in cui `e utilizzato per determinare
la struttura delle bande. Una delle applicazioni dei sensori magnetoresistivi `e quella di rivelatore del campo magnetico terrestre o bussola, che pu`o essere utilizzata
allinterno dei ricevitori GPS (Global Positioning System). La bussola permette al
GPS sia di stabilire la direzione in cui si sposta, sia di fornire informazioni utili alla
guida anche in assenza di segnale satellitare, come avviene ad esempio nelle gallerie.
Lapplicazione attualmente pi`
u diffusa dei sensori magnetoresistivi `e quella nelle

122

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI


Figura 3.14: Fig. 3.15 - Effetto Hall

testine di lettura e scrittura dei dischi rigidi, che sono di alluminio o vetro rivestiti
di materiale ferromagnetico e dove sono disponili su film sottili le tracce su cui
sono memorizzati i dati. Nel sensore magnetoresistivo di lettura, costituito, per
esempio, da una lega nichel ferro e da una o pi`
u testine leggerissime e velocissime
che sfiorano la superficie del disco a distanza di frazioni di micron, due contatti
galvanici, per ogni testina, conducono la corrente di polarizzazione e rivelano le
variazioni di resistenza causate dalle tracce sul disco. In base al verso del campo
magnetico che caratterizza la zona della traccia sulla quale `e posizionato lelemento
sensibile, questo varier`a la sua resistenza da un valore elevato ad uno basso. Si fa
circolare nel sensore una corrente costante in modo che a resistenza alta corrisponda
un segnale di tensione alto, equivalente al livello 1 e a resistenza bassa un segnale
di tensione basso, equivalente al livello 0. Si utilizzano particolari tecniche per
la linearizzazione della curva di taratura del sensore. Nonostante le tensioni in
uscita dal sensore siano opportunamente amplificate, le dimensioni delle testine non
possono essere ridotte oltre certi limiti, che definiscono la soglia minima di sensibilit`a
e di SNR per una sicura distinzione tra i livelli 1 e 0. Una testina di scrittura ha
invece il compito di trasferire linformazione sulle tracce del disco magnetizzandole,
mediante un polo magnetico, in due versi opposti, caratteristici dei livelli 1 e 0.
Lavvento della tecnologia MEMS sta permettendo la realizzazione di dischi rigidi
di piccole dimensioni, tali da poter essere inseriti allinterno di dispositivi portatili.
Sensori per misure di intensit`a di corrente o di campo magnetico potrebbero utilizzare leffetto magnetoresistivo, ma in genere per tali sensori si preferisce
attualmente sfruttare leffetto galvanomagnetico pi`
u conosciuto che `e quello Hall.
Leffetto Hall fu scoperto da Edwin Hall nel 1879. In un materiale conduttore sottoposto a un campo di induzione magnetica Bz normale al flusso di una
corrente elettrica di intensit`a Ix , si manifesta una d.d.p. Vy in direzione perpendicolare alle direzioni sia di Bz sia di Ix , come mostrato in Fig.3.15. Il fenomeno `e
dovuto al fatto che le cariche elettriche, in movimento per la presenza della corrente
Ix , si accumulano su una faccia del materiale per effetto del campo magnetico, finche
si determina un campo elettrico Ey che d`a luogo a una forza agente sugli elettroni
tale da opporsi e compensare la forza dovuta al campo magnetico. Il campo elettrico Ey (campo di Hall), che `e legato alla tensione Vy (tensione di Hall) dalla
relazione Ey = Vy /d, `e proporzionale al prodotto della corrente e della induzione
ovvero al prodotto delle cause che lo hanno determinato. Il segno della tensione di
Hall che si manifesta su due facce opposte del materiale dipende dalla direzione del
campo magnetico, da quello della corrente e dal segno delle cariche elettriche.
Leffetto Hall pu`o essere spiegato mediante la teoria degli elettroni liberi. Sia vx
la velocit`a media di spostamento degli elettroni lungo la direzione x. Ogni elettrone
sar`a soggetto nel piano xy alla forza di Lorentz che `e generata sia dal campo di Hall,
sia dal campo magnetico agente normalmente al piano xy.
Come si `e detto questa forza tende ad annullarsi, in quanto leffetto dei due campi
`e opposto: FL = e(Ey vx Bz ) = 0, dove e `e la carica dellelettrone. Ricordando

3.14. EFFETTI MAGNETICI

123

che la velocit`a degli elettroni si pu`o esprimere mediante il prodotto della mobilit`a
x per il campo elettrico nella direzione x, dallequazione precedente si ricava la
seguente espressione: Ey = vx Bz = x Ex Bz . Poiche il campo elettrico `e legato alla
densit`a di corrente attraverso la resistivit`a del materiale, lespressione precedente
pu`o scriversi in funzione di tale densit`a e da essa ricavare la tensione di Hall:
Ey = x Jx Bz = x

Ix
Bz
td

Vy = Ey d = x

Ix
Ix
Bz = kH Bz
t
t

(3.16)

con t spessore della lamina di materiale e kH = x coefficiente di Hall. Risultato


analogo si sarebbe ottenuto risolvendo lequazione del trasporto di Boltzmann.
La tensione di Hall pu`o essere prelevata con opportuni elettrodi. Essa `e estremamente bassa nei conduttori e negli isolanti. Infatti il coefficiente di Hall dipende dal
prodotto della mobilit`a dei portatori di carica e della resistivit`a del materiale, nei
materiali conduttori si ha una bassa resistivit`a, nei materiali isolanti si ha una bassa
mobilit`a. Leffetto Hall assume valori tali da consentirne la realizzazione pratica nei
semiconduttori, fra i quali sono particolarmente usati larseniuro di indio e larseniuro di gallio. Poiche la tensione Hall `e inversamente proporzionale allo spessore della
striscia di materiale utilizzato, si impiegano strisce molto sottili, talvolta ottenute
per evaporazione in spessori dellordine di 1 m.
Leffetto Hall pu`o essere influenzato dalla temperatura, specie in presenza di correnti continue, a causa delleffetto Ettingshausen, che consiste nellinsorgere
`
di un gradiente di temperatura nella stessa direzione del campo elettrico di Hall. E
bene sottolineare che quando la corrente Ix `e alternata il gradiente di temperatura
`e meno significativo del caso di correnti continue. I sensori ad effetto Hall possono
essere con segnale in uscita sia analogico sia digitale. Le applicazioni dei sensori
analogici ad effetto Hall si hanno prevalentemente nei misuratori di campo magnetico, di corrente elettrica, e di potenza elettrica. Da queste misure
si pu`o naturalmente risalire a grandezze ad esempio meccaniche legate alle grandezze elettriche da determinate relazioni funzionali. Un dispositivo commerciale che
utilizza arseniuro di indio ha una corrente di controllo di 0.1 A e presenta una tensione di Hall pari a 0.15 V in corrispondenza di un campo di induzione magnetica di
1 Wb2 m1 . Unaltra applicazione dei sensori analogici `e quella di misurare deboli
correnti continue che sono convertite, applicando un campo magnetico alternativo, in tensioni Hall alternate, pi`
u facilmente amplificabili. Vi sono applicazioni
di wattmetri ad effetto Hall nel campo delle alte frequenze. Proprio la prerogativa
di funzionare in unampia banda di frequenze ha permesso lo sviluppo dei sensori
ad effetto Hall nei trasformatori di correnti alternate e continue e nei
trasformatori di tensione. Nei sensori digitali ad effetto Hall la tensione in
uscita `e applicata ad uno squadratore elettronico, che fornisce in uscita due soli
livelli di tensione, uno alto, quando la tensione di Hall supera il valore di una soglia
predefinita, e uno basso, quando la tensione di Hall scende al di sotto di unaltra
soglia. La differenza tra le due soglie definisce limmunit`a al rumore dello squadratore. Unapplicazione si ha negli encoder, esaminati nel paragrafo 3.3, dove magneti
permanenti e sensori ad effetto Hall sostituiscono le funzioni dei LED e PIN. Unaltra applicazione si ha nei sensori di velocit`a angolare o tachimetri, dove un magnete

124

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

permanente solidale con lorgano in rotazione induce una tensione di Hall ogni volta
che incontra il sensore posto in posizione fissa rispetto al magnete rotante. In tal
modo il numero di giri `e convertito in un treno dimpulsi di frequenza tanto maggiore quanto pi`
u alta `e la velocit`a di rotazione. Utilizzando un semplice contatore
digitale dimpulsi si pu`o facilmente risalire alla velocit`a. Questo sensore `e applicato
per esempio su alcune biciclette, dove il magnete `e solidale con la ruota e il sensore
di Hall `e fisso sul telaio. Noto il raggio della ruota e quindi la sua circonferenza `e
possibile misurare oltre alla velocit`a anche la distanza percorsa.
Gli effetti dellinterazione di un campo elettrico con uno magnetico sono molti e
molti sensori ne sfruttano diversi di questi. Altri due di questi effetti che danno luogo
a svariate applicazioni sensoristiche sono: la legge dinduzione di Faraday; le
variazioni di una induttanza in una bobina avvolta su un circuito magnetico
perturbato. La legge di induzione di Faraday stabilisce che quando una bobina di
n spire `e soggetta a un flusso magnetico variabile nel tempo, che si concateni con le
sue spire, si induce in essa una f.e.m. la cui espressione `e la seguente:
e = n

d
dt

(3.17)

Questa legge `e del tutto generale, nel senso che `e valida qualunque sia la causa determinante la variazione del flusso concatenato, e pu`o essere utilizzata nei
sensori di campi magnetici variabili nel tempo. In tal caso il sensore o sonda `e costituito dalla bobina di n spire ferma. Quando invece si vogliano misurare campi
magnetici statici occorre far ruotare la bobina a una velocit`a nota, ma in tal caso
leffetto si dice elettrodinamico. Linduttanza di una bobina di n spire avvolte
su materiale magnetico varia in dipendenza non solo delle n spire, ma anche della
riluttanza del circuito magnetico. Se questo `e dotato di un traferro si pu`o facilmente variare la riluttanza modificando le caratteristiche del circuito magnetico stesso.
Dalle variazioni di induttanza si pu`o risalire a spostamenti, deformazioni, forze, pressioni. Tra gli effetti elettromagnetici si annoverano anche quelli
elettrodinamici. Quando un conduttore di lunghezza l si muove con velocit`a v,
perpendicolarmente a un campo magnetico di induzione B `e facile verificare che si
manifesta una f.e.m. data da: e = Blv. In modo reversibile quando il conduttore `e
attraversato da corrente elettrica i e perpendicolarmente agisca un campo magnetico
di induzione B si genera una forza F data da: F = Bli.
La presenza nelle due formule precedenti del prodotto Bl `e molto utile per la
taratura dei cosiddetti sensori a equipaggio mobile che operano con un campo
magnetico generato da un magnete permanente.
Sugli effetti elettrodinamici (alla base del funzionamento delle macchine elettriche) si basano alcuni sensori tachimetrici e i microfoni elettrodinamici.

3.14. EFFETTI MAGNETICI

125

Tabella 3.2: Sensori passivi

Classi ed esempi
Resistore a filo
Strain gage
Termometri a resistenza
Sensore a spira calda

Natura del sensore


Resistenza variabile

Misurando e applicazioni
Dimensioni, spostamento in un
potenziometro
Resistenza variabile Sforzi, forze, coppie, con lo sforzo
pressioni
Spira o termistore Temperatura, effetti termici, cacon variazioni di re- lore irradiato
sistenza
Spira riscaldata elet- Variazioni di flusso, turbolenze,
tricamente
densit`a gas
Variazioni di resisti- Umidit`a relativa
vit`a con lumidit`a
Radiazioni focalizza- Inseguimento di missili e satelliti
te su un bolometro
Misura di resistenza Spessore di fogli, livello di liquidi

Igrometro a resistenza
Radiometro a termistore
Misuratore di spessori del contatto
Cellule fotocondutti- Resistenze variabili
ve
con radiazioni incidenti
Tubi fotoemissivi
Emissione di elettroni con le radiazioni
Misuratori di ioniz- Flusso di elettroni
zazione
con la ionizzazione
Misuratori di trafer- Variazioni di indutro
tanza
Sensore a riluttanza Variazioni di riluttanza con posizione,materiale
Sensore a correnti- Variazioni di indutparassite
tanza
Trasformatori diffe- Nucleo
magnetico
renziali
mobile in speciali
avvolgimenti
Sensore a magneto- Propriet`a
magnestrizione
tiche variabili con
sforzi
Sensore a effetto Hall Interazioni
campo
magnetico corrente
Condensatore varia- Variazioni capacit`a
bile
lunghezza o area
Microfono a conden- Variazioni capacit`a
satore
per pressione del
suono
Dielettrico
Variazioni nel dielettrico

Rel`e sensibili alla luce o a


radiazioni infrarosse
Rel`e fotosensibili
Conteggio di radiazioni e particelle
Spessori, spostamenti, con campo
magnetico pressioni
Posizione, spostamenti, vibrazioni, pressioni
Spessori, spostamenti con lavvicinamento
Spostamenti, posizioni, pressioni,
forze
Suoni, pressioni, forze

Forza del campo, correnti


Spostamenti, pressioni
Voce, musica, rumori, vibrazioni

Livelli, spessori

126

CAPITOLO 3. FONDAMENTI SUI SENSORI

Tabella 3.3: Sensori attivi

Classi ed esempi
Natura del sensore
Sensori a equipaggio Movimento relativo
mobile
tra magnete ed equipaggio
Termocoppie
Metalli dissimili a
diverse temperature
Sensori piezoelettrici Compressione
del
quarzo
o
altro
cristallo
Cellule fotovoltaiche Generazione in semiconduttori di tensione dalla luce solare

Misurando e applicazioni
Velocit`a di vibrazione, velocit`a di
spostamento
Temperature, radiazioni flussi di
calore
Vibrazioni,accelerazioni, suoni,
pressioni
Esposizione, luce

Capitolo 4
Strumenti digitali
4.1

Introduzione

Gli strumenti digitali possono essere considerati combinazioni di porte logiche che
variano stato a velocit`a molto elevata. Sono utilizzati in diversi settori quali quelli
delle misure, dei sistemi di controllo, delle telecomunicazioni, dellinformatica, per
citarne solo alcuni. Essi si stanno diffondendo in modo estensivo e tendono nella
maggior parte delle applicazioni a sostituire quelli di natura analogica. Presentano
infatti rispetto a questi diversi vantaggi molto attrattivi che saranno di seguito
sintetizzati, ma la loro diffusione `e dovuta essenzialmente al costo. Si pu`o affermare
che a parit`a di costo laccuratezza e la risoluzione risultano di un ordine di grandezza
superiori a quelle di uno strumento analogico che svolga le stesse funzioni.
I pregi della strumentazione digitale sono: la facilit`a di lettura e quindi lattendibilit`a dei risultati, dovute alla presentazione dei dati su un visualizzatore numerico;
gli alti livelli di accuratezza e risoluzione, dovuti alla disponibilit`a oggi sul mercato
di componenti veloci ad elevato numero di bit; gli alti valori di velocit`a sia di campionamento sia di conversione, che rendono possibile il processo in tempo reale; lelevata
immunit`a al rumore e ai processi di deriva tipici dei componenti elettronici, il che
insieme con la facilit`a di trasmissione dei dati numerici ha favorito lo sviluppo degli
strumenti digitali nel campo delle telecomunicazioni; la facile realizzabilit`a dellisolamento galvanico, specie con il ricorso agli optoisolatori; la possibilit`a e la facilit`a
di ulteriore elaborazione dei dati acquisiti; la sempre pi`
u diffusa intelligenza interna
agli strumenti cosiddetti esperti; la sovraccaricabilit`a; lindicazione della polarit`a;
la scelta automatica del campo; le possibilit`a sempre pi`
u utilizzate di auto test,
ovvero di autoregolazione della curva di taratura, di autoriconfigurazione, di facilit`a
nellindicazioni di situazioni anomale; linclusione in sistemi ATE (Automatic Test
Equipment); la possibilit`a di essere programmati in ambito CAT (Computer Aided
Testing); lottimizzazione nellinterazione uomo-strumento. Naturalmente esistono
anche alcuni limiti dipendenti principalmente da: dipendenza delle prestazioni dalla
temperatura; sensibilit`a ai campi elettromagnetici; presenza di errori di aliasing, di
troncamento e di quantizzazione; necessit`a di particolari algoritmi di interpolazione
per valutare i valori intermedi tra un campione e quello successivo; mancanza di
esperienza consolidata nella progettazione e realizzazione.
127

128

CAPITOLO 4. STRUMENTI DIGITALI

Gli strumenti digitali sono estremamente flessibili e questo ha determinato una


loro proliferazione e differenziazione. Inoltre lavvento dei sensori intelligenti ha
notevolmente e ulteriormente espanso il loro campo di applicazione. In Fig.1.1 `e
mostrato uno schema a blocchi semplificato di un generico strumento digitale singolo.
Molto pi`
u diffusi sono sistemi che prevedono ingressi analogici e digitali multipli. I sistemi di acquisizione dati hanno la peculiarit`a di facilit`a di adattamento al
processo industriale da controllare.
Da quanto esposto in precedenza si evince quanto risulti difficile fornire indicazioni sui prototipi pi`
u diffusi di strumenti digitali. Nel seguito si esamineranno alcuni
fra i dispositivi pi`
u impiegati nel campo delle misure, fornendo alcune specifiche.

4.2

Errori di campionamento e troncamento

Il processo di campionamento di un segnale analogico, variabile nel tempo, riveste


una notevolissima importanza nella maggior parte dei sistemi elettronici di misura e
di controllo. Esso infatti consente il passaggio dal dominio del continuo a quello del
`
discreto, operazione che facilita la conversione dei segnali da analogico in digitale. E
bene precisare che non tutti gli strumenti digitali richiedono il campionamento del
segnale di misura. Si pensi ai frequenzimetri, ai voltmetri in c.c., o ad alcuni in c.a.
che forniscono semplicemente la misura del valore efficace, per accennare a dispositivi
che non sempre richiedono la presenza di un campionatore. Esiste daltra parte
una serie consistente di strumenti, in cui il campionamento o la discretizzazione del
segnale `e la prima operazione di un processo, che pu`o risultare pi`
u o meno complesso.
Solo lesecuzione corretta del campionamento pu`o evitare errori che vanificherebbero
il ricorso alla strumentazione digitale. Si ritiene quindi importante soffermarsi sul
teorema del campionamento.
Le conversioni digitale-analogico e analogico-digitale consentono il collegamento
fondamentale tra il mondo delle quantit`a analogiche e quello dei segnali numerici o
digitali. Lo sviluppo dei DAC (acronimo di Digital Analog Converter ) `e stato reso
possibile dallavvento degli interruttori elettronici ad alta velocit`a. Questi convertitori hanno lo scopo di ricostruire un segnale analogico in uscita a un dispositivo
digitale dopo per esempio una elaborazione o limmagazzinamento in una memoria
numerica o semplicemente una trasmissione di segnali in forma digitale. Gli ADC
(acronimo di Analog Digital Converter ) hanno il compito di convertire il segnale
analogico in ingresso a un dispositivo nella sua equivalente forma digitale. Essi sono disponibili sul mercato in diverse forme realizzative utili per una vasta serie di
applicazioni.
Nei moderni sistemi digitali `e spesso necessario collegare componenti o parti che
possono essere lontane tra loro. Questa tendenza `e favorita dal fatto che i segnali
digitali sono meno soggetti di quelli analogici allinfluenza dei disturbi e del rumore.
Ci`o nonostante `e importante utilizzare linee di trasmissione progettate ad hoc per
` infatti
evitare una degradazione del contenuto informativo dei segnali digitali. E
importante sottolineare che i segnali digitali hanno frequentemente tempi di tran-

4.2. ERRORI DI CAMPIONAMENTO E TRONCAMENTO

129

sizione dellordine dei nanosecondi, per cui richiedono linee in grado di trasmettere
segnali a elevata frequenza
La fase iniziale e spesso la pi`
u critica dellelaborazione digitale di un segnale
analogico `e quella del campionamento. Se questa operazione non `e eseguita correttamente, tenendo presenti le caratteristiche spettrali del segnale in esame, si ottengono dei risultati errati anche se apparentemente attendibili, in quanto il contenuto
delle informazioni del segnale campionato risulta diverso da quello del segnale di
partenza.
Loperazione di campionamento consiste nel prodotto fra il segnale continuo e
una serie di impulsi unitari e periodici, di periodo Tc , che prende anche il nome di
intevallo di campionamento o tempo fra campioni. In Fig. 4.1 `e mostrato
questo processo che porta come risultato finale a una sequenza di campioni rappre` bene precisare subito, che un numero
sentativi della forma donda di partenza. E
finito di campioni pu`o rappresentare in modo accurato un segnale analogico solo se
questo `e a banda limitata ed `e rispettato il teorema del campionamento. Si ricorda
che un segnale a banda limitata ha uno spettro in frequenza con ampiezza nulla
in tutto il campo eccetto una banda ben definita. Segnali ad ampiezza di banda
limitata possono derivare da un processo di filtraggio o dalle limitazioni in banda
imposte da sensori, amplificatori o altri componenti del sistema.
Si definisce fc , frequenza o velocit`a di campionamento, il reciproco di Tc . Un
altro parametro importante `e la durata del campionamento o finestra di
osservazione, data dal tempo totale del campionamento.
Il campionamento pu`o portare a incorrere in due errori, uno di aliasing, come
`e ormai invalso dire anche in lingua italiana per la difficolt`a di traduzione e laltro
di troncamento (o truncation).
Perche il segnale campionato contenga le stesse informazioni di quello originale
non `e possibile scegliere in modo casuale la frequenza di campionamento, ma deve essere rispettato il teorema del campionamento o di Shannon. Questo
afferma che: un segnale analogico il cui spettro si estenda dalla frequenza nulla
a quella fM pu`o essere completamente rappresentato da una sequenza di campioni
regolarmente spaziati, ottenuti con una frequenza di campionamento non inferiore a
2fM , ovvero quando sia verificata la condizione f c 2fM .
La frequenza critica fc /2 prende il nome di frequenza di folding, mentre la frequenza minima di campionamento richiesta per prevenire laliasing, ovvero due volte
la frequenza pi`
u elevata contenuta nel segnale prima del campionamento, prende il
nome di Nyquist rate. La met`a della Nyquist rate, ovvero la massima frequenza della componente armonica contenuta nello spettro, prende il nome di Nyquist
frequency. Il non rispetto del teorema del campionamento comporta linsorgere dellerrore dellaliasing. Per interpretare il campionamento si pu`o considerare il segnale
analogico x(t) a banda limitata, modulato mediante un treno periodico di impulsi
s(t) aventi durata infinitesima rispetto al periodo di campionamento Tc :
s(t) =

X
k=

(t kTc )

(4.1)

130

CAPITOLO 4. STRUMENTI DIGITALI


1

x(t)

3
2

1 s(t)

12

3
2

3
2

x(t)

t
2

Figura 4.1: Esempio di segnale campionato

dove `e la funzione impulso unitario, in modo da fornire un segnale modulato in

4.2. ERRORI DI CAMPIONAMENTO E TRONCAMENTO


ampiezza o PAM:
xc (kTc ) =

x(t)(t kTc )

131

(4.2)

k=

Poiche alla moltiplicazione nel dominio del tempo corrisponde la convoluzione


nel dominio della frequenza la trasformata di Fourier di xc (nTc ) `e data da:
Xc () = X() S()

+
X
2k
2 X
) = x
( kc )
(
S() =
Tc k=
Tc

Xc () = c

(4.3)

X(kc )( kc )

k=

dove X() e S() sono le trasformate di Fourier del segnale di ingresso e del treno
dimpulsi, k sono solo numeri interi e inoltre si `e posto c = 2fc = 2/Tc .
Il segnale campionato ha quindi come spettro quello del segnale analogico ripetuto periodicamente a frequenze multiple di quelle di campionamento. In Fig. 4.2 sono
riportati sia un singolo possibile spettro di un segnale analogico a banda limitata
(a), la sua replica traslata di multipli interi della fc nel caso di assenza di aliasing
(b) e le repliche sovrapposte nel caso di non rispetto del teorema del campionamento
(c).
La Fig. 4.2 (c) mostra che nel caso in cui la frequenza di folding sia inferiore alla
frequenza fM si ha la sovrapposizione, anche se parziale, delle ripetizioni periodiche
dello spettro del segnale, ovvero si ha laliasing delle frequenze pi`
u elevate (comprese tra la Nyquist rate e la frequenza fM ) con frequenze inferiori alla frequenza
fc /2. In particolare si ha una rotazione di 180 delle frequenze superiori a quella
di folding intorno a questa. I nuovi valori delle frequenze false dovute allaliasing
si ottengono facilmente dalla differenza fra la frequenza di campionamento e quelle
comprese tra la frequenza di folding e la fM . Nel caso in cui queste nuove frequenze
si sovrappongano a frequenze gi`a esistenti nello spettro del segnale analogico, si ha
il fenomeno dellinterferenza armonica.
Una pi`
u facile comprensione dellerrore di aliasing si ha se si considerano segnali o
con una sola armonica o con uno spettro discreto costituito da poche armoniche. Per
esempio in Fig.4.3 (a) e (b) sono mostrati un segnale sinusoidale a 50 Hz campionato
a 75 Hz con la ricostruzione del segnale campionato, che presenta una frequenza falsa
di 25 Hz (Fig.3.4a), e gli spettri di un segnale con componenti armoniche a 50 Hz,
100 Hz e 150 Hz, e di quello campionato con una frequenza di campionamento pari
a 180 Hz (Fig.3.4b). In Fig.3.4(b) `e quindi mostrato come un campionamento a
180 Hz di un segnale contenente componenti a 50 Hz, 100 Hz e 150 Hz d`a luogo a
un segnale campionato che presenta frequenze spurie a 30 Hz e 80 Hz. Si `e avuta
cio`e una traslazione delle frequenze pi`
u elevate verso le basse frequenze, anche se
la componente fondamentale a 50 Hz non ha subito interferenze, cosa che sarebbe
accaduta se si fosse campionato a 150 Hz o a 200 Hz.
Unestensione del teorema del campionamento `e relativa a segnali con banda non
comprendente la frequenza nulla. Per essi `e possibile ricostruire il segnale senza per-

132

CAPITOLO 4. STRUMENTI DIGITALI


x(t)

t
2

x(t)

t
2

x(t)

t
2

Figura 4.2: Spettri in frequenza del segnale campionato

dita dinformazione campionando con una frequenza doppia dellampiezza di banda


del segnale. Questa estensione permette di ridurre considerevolmente la frequenza
di campionamento nel caso di segnali a banda stretta. Cos` per esempio se lo spettro
di un segnale ha unampiezza di banda di 500 Hz, una frequenza di campionamento
di 1 kHz dovrebbe essere sufficiente a ricostruire il segnale, quale che sia la localizzazione della suddetta ampiezza di banda nel campo delle frequenze. Un semplice

4.2. ERRORI DI CAMPIONAMENTO E TRONCAMENTO

133

ribaltamento dello spettro del segnale campionato intorno alla frequenza di folding
consente la ricostruzione dello spettro del segnale originario. Per esempio un segnale
il cui spettro abbia frequenze comprese tra 1 kHz e 1.5 kHz, se campionato a 2 kHz,
presenter`a lo spettro del segnale campionato con ampiezza di banda compresa tra
500 Hz e 1 kHz. Lo spettro del segnale originario si otterr`a ribaltando lo spettro del
segnale campionato intorno alla frequenza di folding, in questo caso pari a 1 kHz.
` bene per`o sottolineare che la eventuale presenza di componenti al di fuori delE
la banda di frequenza considerata potrebbe determinare fenomeni di interferenza
armonica, rendendo difficile la ricostruzione accurata del segnale originario.
1 x(t)
t

1
1 x(t)
t

1
Figura 4.3: Due esempi di aliasing

Il rispetto del teorema del campionamento consente di evitare gli errori di aliasing. Purtroppo sorgono diverse difficolt`a quando si deve operare concretamente.
Infatti la finestra di osservazione determina una limitazione nel tempo del segnale
analogico da analizzare, dando luogo a un segnale teoricamente con spettro infinito,
il che causerebbe inevitabilmente una sovrapposizione delle repliche traslate dello
spettro del segnale. In altri termini lerrore di aliasing `e teoricamente sempre presente. Lunico modo per evitare la sovrapposizione delle repliche traslate dello spettro
del segnale `e quello di limitarlo in banda prima di campionarlo, il che pu`o avvenire
con opportuni filtri. Solo un preventivo filtraggio del segnale analogico permette
la successiva corretta discretizzazione. Naturalmente il filtro dovrebbe sopprimere
solo le componenti spettrali che abbiano contenuto energetico minimo, in modo da
limitare le distorsioni del segnale filtrato. Il filtro analogico in ingresso al sistema
digitale sar`a del tipo passabasso nel caso in cui la potenza del segnale sia concentrata alle basse frequenze, decadendo rapidamente a valori dampiezza trascurabile
oltre una certa frequenza, e un passabanda in caso contrario, per esempio quando si
tratti di segnali modulati.
Si `e detto che oltre allerrore di aliasing il campionamento comporta anche lerrore di troncamento, legato al numero di campioni necessariamente finito per le

134

CAPITOLO 4. STRUMENTI DIGITALI

limitazioni sia della memoria sia del tempo di esecuzione della misura. Ci`o determina spesso una perdita di informazioni, contenute nella parte troncata del segnale.
Mentre per segnali transitori lerrore `e di scarsa rilevanza se si `e in presenza di un
rapido decadimento, come per esempio negli esponenziali e nei segnali gaussiani,
per segnali sinusoidali o multifrequenziali o transitori con valore a regime non nullo
lerrore di troncamento pu`o essere notevole. In Fig. 4.4 sono riportati alcuni esempi
di segnali troncati dove si `e indicato con Tw la durata della finestra di osservazione.
1 x(t)

Figura 4.4: Esempi di troncamento di segnali con una finestra rettangolare

Gli spettri dei segnali finestrati sono in genere differenti da quelli dei segnali analogici originari, a causa sia della fase iniziale del campionamento sia dellinterruzione
pi`
u o meno brusca del segnale al termine della finestra di osservazione. Vengono infatti introdotte delle false discontinuit`a al segnale analogico che causano linsorgere
di frequenze spurie nello spettro.
Da un punto di vista matematico loperazione di finestratura equivale a limitare
ad un numero pari ad N i campioni e a moltiplicare ogni campione del segnale per
una funzione peso wrett (t), con t compreso per esempio tra Tw /2 e Tw /2, dove
Tw = N Tc . La finestra `e inoltre di durata limitata definita dalla relazione:
wrett (kTc ) =

1 |k| N/2
0 |k| > N/2

(4.4)

il che equivale a dover considerare un nuovo segnale campionato e finestrato dato


da:
N/2
X
xcw (kTc ) =
x(t)wrett (kTc )(t kTc )
(4.5)
k=N/2

Lo spettro del nuovo segnale `e ottenuto dalla convoluzione di tre segnali:


Xcw () = X() Wrett () S()

(4.6)

che `e la convoluzione tra lo spettro del segnale, quello della funzione finestra campionata W () e quelli della finestra rettangolare e del treno dimpulsi. Tale convoluzione pu`o essere eseguita sequenzialmente in quanto la convoluzione nel dominio

4.2. ERRORI DI CAMPIONAMENTO E TRONCAMENTO

135

della frequenza `e unoperazione lineare. Si pu`o verificare che questultimo spettro


risulta continuo e periodico. In particolare nel caso si tratti di finestra rettangolare
si ha:
sen(N Tc /2)
(4.7)
Wrett () = N Tc
N Tc /2
che `e la nota funzione sinc x = sen x/x. In definitiva risulta che lo spettro del segnale
originario `e alterato dalla presenza della Wrett (), ovvero `e impossibile determinarlo
esattamente dallo spettro del segnale finestrato, ma attraverso questo si pu`o semplicemente fornire una stima dello spettro del segnale originario. La stima sar`a tanto
pi`
u attendibile quanto meno peser`a linfluenza di W rett() sulla X(). La Wrett ()
causa una dispersione spettrale (o leakage) delle righe dello spettro originario.
La dispersione spettrale interessa tutte le componenti armoniche del segnale e pu`o
dar luogo allinterferenza armonica, ovvero alla sovrapposizione delle righe spettrali
relative a diverse componenti, il che pu`o causare il mascheramento di quelle pi`
u
deboli. Unaltra conseguenza del troncamento `e che si pu`o presentare lerrore di
aliasing anche se la frequenza di campionamento `e stata scelta nel rispetto del teorema di Shannon. Infatti pu`o capitare che la componente di pi`
u elevata frequenza
nello spettro del segnale originario si venga a trovare oltre la frequenza di folding,
fc /2.
Vi sono diverse tecniche per ridurre gli effetti della dispersione. Quella pi`
u
utilizzata consiste nel cercare di attenuare le discontinuit`a che vengono introdotte
nel segnale originario, sostituendo la finestra rettangolare con una funzione peso che
presenti derivate nulle agli estremi dellintervallo di osservazione, con equazione nel
tempo e con la sua trasformata del tipo:
w(t) =

M
1
X

(1)m Am cos

m=0

W () =

M
1
X
m=0

(1) Am Wrett

2
mt
Tw

2 Tw

(4.8)


(4.9)

Nella tabella che segue sono riportate le funzioni finestra pi`


u note con i rispettivi
coefficienti Ak si ricordano quelle di Hanning, di Hamming, di Harris, di Blackman, di Kaiser. Esse presentano rispetto alla finestra rettangolare uno spettro con
dei lobi laterali la cui ampiezza decade pi`
u rapidamente, il che consente di limitare
gli effetti sia della dispersione spettrale sia dellinterferenza armonica. Esiste anche
la possibilit`a di ottimizzare le finestre al particolare segnale da analizzare. Tra le
finestre ottime si annovera una particolare classe di finestre dette flat-top, caratterizzate da un lobo principale praticamente piatto, che permette di non avere alcuna
attenuazione di ampiezza nelle righe spettrali interne al lobo.
` interessante sottolineare che per segnali sinusoidali il fenomeno della dispersioE
ne spettrale dovuta al troncamento `e evitato nel caso in cui si riesca a campionare un
numero intero di periodi, ovvero sia verificata la relazione: Tw = N Tc = mTs , dove
si `e indicato con m il numero di periodi campionati e con Ts il periodo del segnale

136

CAPITOLO 4. STRUMENTI DIGITALI


FINESTRA

COEFFICIENTI

AMPIEZZA
DEL LOBO
PRINCIPALE
dB
-13,3
-31,5
= -43,1

Rettangolare A0 = 1
Hanning
A0 = A1 = 0, 5
Hamming
A0 = 0, 54 A1
0, 46
Blackman
A0 = 0, 42 A1 = 0, 5 -71,5
A2 = 0, 08
BlackmanA0
=
0, 42323 -98,1
Harris
A1
=
0, 49755
A2 = 0, 07922

AMPIEZZA ERRORE
BANIN AMDA
DI PIEZZA
RUMORE
1
1,5
1,37

-36,3
-15,1
-18,1

1,7

-12,2

1,98

-9,32

sinusoidale. In base al tipo di segnale troncato `e necessario studiare particolari tecniche di compensazione per ridurre lerrore di troncamento ovvero per stimare nel
miglior modo possibile lo spettro del segnale originario.
Come indicazione conclusiva si pu`o affermare che prima di eseguire un campionamento `e necessario conoscere, almeno in modo indicativo, il tipo di segnale da
analizzare e il suo spettro. Quindi in base a queste informazioni si deve operare per la migliore scelta sia della frequenza di campionamento sia della finestra di
osservazione.

4.3

Quantizzazione e conversione analogico-digitale

La quantizzazione `e il processo di trasformazione di un segnale analogico in un


insieme di stati discreti. Essa rappresenta una delle due fasi della conversione di
un segnale da analogico a digitale. Laltra fase `e costituita dalla codifica, che
`e il processo di assegnazione di un codice numerico a ciascuno degli stati discreti di
una parola. La quantizzazione quindi `e il tramite tra il mondo dei segnali analogici
e quello delle quantit`a numeriche o digitali.
La quantizzazione di un segnale analogico campionato `e basata sullassegnazione
a ciascun campione analogico di un numero finito di livelli o di canali di uguale
ampiezza, q, detti anche quanti (da cui la parola quantizzazione). Il risultato di
una misura ottenuta con strumentazione digitale pu`o essere considerato teoricamente come un multiplo intero di questa quantit`a elementare q, che costituisce anche
la risoluzione del dispositivo di misura. Il multiplo pi`
u grande della quantit`a q
rappresenta anche la portata dello strumento.
La quantizzazione e la codifica sono eseguite da appositi convertitori analogicodigitali (ADC). Ogni campione analogico deve essere quantizzato a uno dei livelli
permessi. Infatti ogni convertitore ha un numero massimo di quanti, in cui pu`o
suddividere il segnale analogico in ingresso, in dipendenza del suo numero di bit.

4.3. QUANTIZZAZIONE E CONVERSIONE ANALOGICO-DIGITALE

137

Nonostante vi siano diverse strategie sviluppate per il processo di quantizzazione,


lapproccio pi`
u comune `e quello di assegnare a ogni campione analogico linsieme di
quanti che meglio lo approssimi. Il confronto tra il campione analogico e linsieme
dei quanti permette di definire lo scostamento tra le due grandezze. Quando questo scostamento risulti nullo o inferiore a un minimo, dipendente dalla risoluzione
dellADC, si avr`a che il processo di quantizzazione `e terminato. Se si indica con
X lampiezza del campione analogico, la portata o valore di fondo scala, XFS , del
convertitore e la risoluzione o valore minimo, Xmin , sono dati da:
XFS = qM = q2n

Xt extmin = q =

XFS
2n

(4.10)

dove M `e il modulo del convertitore. per esempio convertitori da 3, 8 o 12 bit hanno


rispettivamente risoluzioni pari a 0, 125XFS , 0, 0039XFS , 0, 000244XFS . Inoltre si ha:
X = XFS

n1
X
Ai
2ni
i=0

(4.11)

dove le cifre A possono assumere valori 0 e 1; nella codificazione alla risoluzione


corrisponder`a lLSB, ovvero il bit meno significativo del dato digitale.
Nel rappresentare in un diagramma cartesiano una grandezza quantizzata si pongono sullasse delle ascisse i valori del segnale analogico in ingresso e sullasse delle
ordinate il segnale digitale in codice. Con riferimento a un ADC a 3 bit, in Fig. 4.5
`e riportata la funzione a scalinata che meglio approssima la caratteristica di trasferimento ideale di un convertitore, rappresentata dalla linea retta che congiunge
lorigine con il punto che ha come ascissa la massima tensione applicabile in ingresso
allADC e in ordinata il pi`
u elevato stato di uscita digitale. In figura agli otto stati
possibili in uscita sono assegnate le sequenze di numeri binari da 000 a 111. Sono
inoltre mostrati due tipi di convertitori, uno unipolare, in Fig. 4.5(a), in cui il valor
minimo raggiungibile `e zero, laltro bipolare, in Fig. 4.5(b), con un campo di valori
simmetrico rispetto allo zero, utile quando la grandezza analogica possa assumere
anche valori negativi. Nel caso di convertitore unipolare lescursione del segnale
analogico `e compresa tra 0 e XFS , nel caso di convertitore bipolare tra XFS /2 e
XFS /2.
` interessante notare che a fronte di 2n possibili stati di uscita vi siano solo 2n1
E
livelli di decisione analogica o livelli di soglia nella funzione di trasferimento, per cui
il valor massimo che pu`o assumere la funzione analogica risulta:
Xmax = XF S q

(4.12)

Inoltre la particolare caratteristica tracciata in Fig. 4.5, dove si `e avuta una


traslazione di q/2, allo scopo di ridurre lerrore di quantizzazione, comporta che le
equazioni precedenti devono essere corrette come segue:
!
n1
n1
X
X
Ai
1
q
3q
Ai q
= XFS
n+1
Xmax = XFS q = XFS
X = XFS
n1
n1
2
2
2
2
2
2
i=1
i=1
(4.13)

138

CAPITOLO 4. STRUMENTI DIGITALI

stati in uscita

8
7
6
5
4
3
2
1

codice di uscita

Questa differenza tra valor massimo e valore di fondo scala non crea particolari
problemi, in quanto di essa si tiene conto nel corso della taratura del convertitore.
In Fig. 4.5 si `e indicato con FS il valore di fondo scala, per semplicit`a di scrittura,
inoltre si `e scelto come primo livello di soglia analogica FS/16, mentre i successivi
risultano: 3FS/16; 5FS/16; 7FS/16; 9FS/16;11FS/16; 13FS/16. La funzione di
trasferimento ideale `e quella che passa per i punti di ascisse FS/8, FS/4, 3FS/8,
FS/2, 5FS/8, 3FS/4, 7FS/8, ai quali corrispondono i 7 stati digitali tra gli otto
possibili, in quanto il primo `e assegnato al livello nullo di tensione in ingresso.

111
110
101
100
011
010
001
000

LSB
2

111
110
101
100
010
001
0

FS
8

F S 3F S F S 5F S 3F S 7F S
4
8
2
8
4
8

F2S 3F8 S F4S F8S 0

FS
LSB
2

ingresso analogico (V)

LSB
2

LSB
2

F S F S 3F S F S
8
4
8
2

ingresso analogico (V)

Figura 4.5: Caratteristiche di trasferimento e errore di quantizzazione in ADC a 3 bit con


codifica BCD relative a convertitori unipolari (a) e bipolari (b)

Dallesame della Fig. 4.5 si evince che la conversione analogico digitale comporta sempre una perdita dinformazione tra i livelli di soglia analogici e quindi una
distorsione in uscita del segnale analogico dingresso. Lerrore di quantizzazione `e
intrinseco alla natura del processo di conversione e non `e eliminabile in alcun modo. Esso pu`o considerarsi un rumore dinamico o di quantizzazione che si somma al
segnale utile. Il rumore di quantizzazione ha un andamento tipico a dente di sega
con ampiezza variabile tra 0 e q/2 per la particolare scelta del primo livello di
soglia analogica, operata in Fig. 4.5. Poich`e lampiezza dellerrore di quantizzazione
`e inversamente proporzionale alla potenza 2n , lunico modo per ridurre il rumore di
quantizzazione `e quello di aumentare il numero di bit, ovvero di migliorare la sua
risoluzione. Il valor medio del rumore di quantizzazione `e nullo, mentre la sua deviazione standard e la varianza risultano, come `e facile verificare in base allandamento
di tale rumore riportato in Fig. 4.5 rispettivamente:

Parte II
Esercizi

139

4.4. ESEMPI ESERCIZI 1a PROVA

4.4

141

Esempi esercizi 1aprova

Esercizio 4.4.1. Misura di una resistenza elettrica con media aritmetica di pi`
u misure
pari a x,y. Alla media si pu`o attribuire unincertezza dello z% inoltre si `e valutato
un bias di t, d, con unincertezza del r%. Dopo aver effettuato la correzione e
valutato lincertezza complessiva si esprima il risultato della misura.
Esercizio 4.4.2. Misura di resistenza con metodo voltamperometrico. La tensione
misurata risulta di y, cV, con un errore dello x, g%, la corrente `e pari a k, sA,
misurata con lo stesso errore. Si calcoli lerrore sulla resistenza impiegando i metodi
del caso peggiore e del caso pi`
u probabile.
Esercizio 4.4.3. Misura di tre grandezze a = s y%; b = z t%; c = u v%, si
calcoli lerrore relativo sulla quantit`a x = f (a, b, c)
Esercizio 4.4.4. Nel calcolo del prodotto a b, il calcolatore sommi b volte a. Se
lerrore di troncamento per ogni iterazione `e dello t, z%, si calcoli lerrore finale sul
prodotto.
Esercizio 4.4.5. Misurare con una termocoppia una temperatura di x, y C. Lo strumento misuri una tensione di t, zV. Il candidato calcoli sia la costante di taratura
dello strumento, sapendo che esso `e un numero intero, sia lincertezza percentuale
da cui `e affetta la misura e fornisca il risultato finale.
Esercizio 4.4.6. Dal foglio illustrativo dello strumento si evince che il costruttore
assicura unincertezza dello x% per tre anni. Da una serie di misure ripetute di
resistenza elettrica risulta un valor medio pari a y, z, con t scarti dello w, f %. Si
dia unindicazione della imprecisione delle misure e si dica cosa occorre fare dopo
tre anni.
Esercizio 4.4.7. La misura di tre resistenze elettriche in serie abbia fornito i seguenti
risultati, con accanto gli errori di misura: x y; ; 3 . Il candidato
calcoli il valore della resistenza equivalente e lerrore relativo.
Esercizio 4.4.8. Misura di una resistenza elettrica con media aritmetica di pi`
u misure
pari a y, x, se alla media si pu`o attribuire unincertezza dello u, v% ed inoltre si `e
valutato un bias di h, con unincertezza del m%, il candidato calcoli laspettazione
sia della media sia del misurando, ipotizzando le incertezze positive.
Esercizio 4.4.9. Ipotizzando di aver effettuato v misure, che la media aritmetica
risulti y, xmV, che gli scarti per quattro misure siano bmV, per tre cmV e per le
altre tre dmV, calcoli i momenti centrali di ordine 0, 1, 2e3.
Esercizio 4.4.10. Si ipotizzi di aver effettuato x lanci di due dadi e di aver ottenuto
y volte il risultato a, z volte il risultato b, t volte il risultato c, p volte il risultato
d, s volte i risultati e, f eg, e k volte i risultati h, i, lem. Si calcolino le frequenze
relative dei dodici risultati e se ne faccia il confronto con le probabilit`a teoriche.
Esercizio 4.4.11. Si ipotizzi di avere una p(x) = f (x, q) nellintervallo (a, b) e 0
altrove. Si calcolino q, in modo che sia rispettato il principio di normalizzazione, e
laspettazione .

142
Esercizio 4.4.12. Valore atteso e varianza di misure di tensione elettrica con i seguenti risultati: a, b, c, d, e, f, g, hmV (si ipotizzi una probabilit`a uguale per tutti i
dati). Si valuti quindi lincertezza con valutazione di tipo A e si esprima il risultato
di misura con un fattore di copertura k = t.
Esercizio 4.4.13. Si valuti il valore del fattore di copertura che assicuri una probabilit`a di occorrenza della misura pari al d% per una distribuzione uniforme.
Ricordando che ad una probabilit`a del g% in

4.5

Esempi esercizi 2aprova

Esercizio 4.5.1. Un voltmetro digitale x1/2 digit con portata massima di yV ha


un errore relativo di lettura di z%, mentre quello assoluto di portata `e di t digit.
Con il voltmetro si deve misurare una tensione su un resistore di d percorso da una
corrente di f A. Si illustri il circuito di misura e si dia il risultato finale, considerando
lincertezza coincidente con lerrore.
Esercizio 4.5.2. Si ipotizzi che un segnale con quattro componenti armoniche a xkHz,
ykHz, zkHz, tkHz, sia campionato a skHz e commenti ci`o che accade, illustrando le
misure da adottare nel caso dinsorgenza di errori.
Esercizio 4.5.3. Si ipotizzi di dover elaborare un segnale con frequenza massima pari
a xkHz e di disporre di un campionatore con una frequenza massima di campionamento di yMHz. Si illustrino le scelte da adottare per evitare errori con particolare riguardo a quello di troncamento. Una volta stabilita la migliore frequenza di
campionamento, si indichi il numero di periodi da campionare se `e richiesta una
risoluzione in frequenza di tkHz.
Esercizio 4.5.4. Si ipotizzi di avere a disposizione un ADC a xbit con codifica BCD
e con valore di fondo scala pari a kV e ne calcoli risoluzione ed errore massimo di
quantizzazione. Si indichi poi come `e rappresentato in forma digitale con codifica
BCD un segnale di ampiezza pari a zV e quanto vale lerrore di quantizzazione.
Esercizio 4.5.5. Si ipotizzi di avere a disposizione un ADC unipolare a xbit con codifica BCD e con valore di fondo scala pari a yV e velocit`a di conversione equivalente
a hMHz, ne illustri graficamente le caratteristiche di trasferimento e dellerrore di
quantizzazione, giustificando le scelte operate. Si calcoli, dopo averli definiti: risoluzione; errore massimo di quantizzazione; campo dinamico, massima frequenza del
segnale in ingresso che non richieda luso di un campionatore.
Esercizio 4.5.6. Si ipotizzi di avere a disposizione un ADC con portata massima di
xV. Si progetti un partitore di tensione resistivo che consenta misure di yV, zV,
tV, rV, sV. Si disegni il circuito di misura con visualizzatore finale, si indichino
i fattori di partizione in corrispondenza delle diverse portate e si chiariscano le
caratteristiche dei circuiti a valle dellADC per la loro validit`a. Si indichi poi la
soluzione da adottare quando si vogliano misurare tensioni inferiori a xV.
Esercizio 4.5.7. Si ipotizzi di voler misurare con un multimetro correnti variabili
tra xA, ymA, zmA, con un ADC che ha una tensione di fondo scala pari a tV. Si

4.5. ESEMPI ESERCIZI 2a PROVA

143

progetti il convertitore corrente-tensione e si indichino le soluzioni circuitali atte a


permettere la validit`a dei coefficienti di ripartizione. Si ipotizzi poi che una tensione
v = x sen(wt)V con zrad s1 , attraversi un resistore di t. Si disegni il circuito di
misura e si forniscano i valori misurati dal multimetro in funzione sia di voltmetro
sia di amperometro.
Esercizio 4.5.8. Si ipotizzi di voler visualizzare con un oscilloscopio un segnale di
equazione v = x sen(wt)V con wrad s1 . Si dispone di un display r tcm, di una
base tempi da yms a zsecond (con variazioni di un ordine di grandezza) e una base
di tensione da cmV a dV (con variazioni di un ordine di grandezza). Il candidato
operi le scelte di tempo e tensione, indicandole, in modo che si visualizzino j periodi
del segnale e lescursione in ampiezza sia la massima possibile, fornisca inoltre sia le
misure dello spazio occupato dal segnale in ascisse e in ordinate sia il valore efficace
del segnale. Ipotizzi poi di voler misurare il duty cycle pari a k%.
Esercizio 4.5.9. Si ipotizzi di disporre di un condensatore in aria ad armature piane
e parallele, con superficie pari a vcm2 , e distanza fra le armature pari a jcm inserito
in un ponte in alternata alimentato a xkHz con rapporto unitario di due impedenze contigue. Ricordando che la costante dielettrica del vuoto `e pari allincirca a
8.85 1012 F m1 , si disegni il circuito di misura e si calcoli lo spostamento delle
armature, se il valore dellimpedenza che equilibra il ponte vale nM.
Esercizio 4.5.10. Si ipotizzi di avere un encoder con misuratore ottico di angoli di
rotazione a codifica digitale diretta BNC a xB il quale fornisca i risultati in radianti,
si calcolino gli angoli di rotazione in radianti nel caso di rotazione massima a z e
quando lo strumento dia le seguenti indicazioni: k; h; b; j. Si illustri poi il circuito
di misura.
Esercizio 4.5.11. Si ipotizzi di avere una termocoppia con sensibilit`a di xmV C1 ,
che misura ai morsetti freddi una tensione di ymV per una temperatura del giunto
caldo pari a k C. La resistenza interna del voltmetro `e di mk, il candidato calcoli
lerrore percentuale, la resistenza equivalente della termocoppia e la costante di
taratura del sensore.
Esercizio 4.5.12. Si consideri un sensore con in uscita energia elettromagnetica radiante a vnm, basato sulleffetto Doppler. Si ipotizzi una variazione della frequenza
di k% dellonda riflessa da un mezzo mobile che si avvicina alla sorgente in senso
longitudinale. Assumendo per la velocit`a della luce nel vuoto il valore di 3108 m s1
si calcoli la variazione di frequenza e la velocit`a di avvicinamento longitudinale del
mezzo mobile alla sorgente.
Esercizio 4.5.13. Si consideri un sensore basato sulleffetto fotoconduttivo che abbia
una costante di taratura di y eV/mA e una tensione di alimentazione di z V. La
portata massima del sensore `e di t eV. Si calcoli la resistenza del sensore quando `e
investito da una radiazione di p eV e quando si trova alla massima portata.
Esercizio 4.5.14. Si supponga di avere un fotomoltiplicatore che incrementi di x volte
la sensibilit`a del sensore fotoemissivo pari a bmW cm2 nel vicino infrarosso. Se il
sensore ha dimensioni pari a Acentimetresquared si calcoli la corrente massima che
circola in un resistore da m quando una radiazione nel vicino infrarosso colpisca
lintera superficie del sensore. Si disegni il circuito di misura.

144
Esercizio 4.5.15. Si consideri una radiazione con una lunghezza donda pari a y m
e contenuto energetico pari a zJ. Assumendo per la carica dellelettrone 1, 61019 C,
la costante di Plank il valore di 6, 61034 J s e la velocit`a della luce nel vuoto il valore
di 3108 m s1 ipotizzando un fattore di efficienza del materiale impiegato pari a t, si
fornisca la corrente misurata dalla cella fotovoltaica e la sua costante di taratura.
Esercizio 4.5.16. Si supponga di avere un sensore al quarzo misuratore di forze con
costante di taratura pari a bN V1 . La superficie del sensore `e di Acm2 . Ricordando
che la sensibilit`a del quarzo `e di 5 102 V m N1 , il candidato calcoli lo spessore
della piastrina e spieghi cosa fare per triplicare la sensibilit`a di misura.
Esercizio 4.5.17. Si consideri un bolometro di dimensioni a b c con un fattore k
di efficienza di assorbimento del materiale impiegato pari a y rispetto al corpo nero
(k = 1) e coefficiente piroelettrico pari a mV K1 . Ricordando che nella legge di
Stefan Boltzmann `e allincirca uguale a 5.67 108 W/m2 K4 , si calcoli la costante
di taratura del bolometro e la quantit`a di calore irradiata da un corpo caldo che porta
la temperatura del bolometro a nK.
Esercizio 4.5.18. Si dispone di quattro estensimetri con costante estensimetrica pari
a x e di resistenza pari a nk ai quali pu`o essere applicato un allungamento unitario
pari a t con sforzi di segno opposto. Per la misura della variazione di resistenza si
dispone di un ponte con alimentazione a mV. Si scelgano le resistenze per la configurazione a ponte intero, fornendo la tensione di squilibrio misurata ed evidenziando
come sia possibile eliminare leffetto della temperatura.
Esercizio 4.5.19. Si abbia un sensore ad effetto Hall che in presenza di un campo
dinduzione magnetica di xWb m2 d`a luogo con la circolazione di una corrente
di kmA, a una tensione di Hall pari a pV. La piastrina di arseniuro di indio ha
dimensioni a b cm. Si determinino la costante di taratura del sensore impiegato
come misuratore di induzione magnetica, la densit`a di corrente nella piastrina, il
campo di Hall e linduzione magnetica quando il voltmetro segna nV.
Esercizio 4.5.20. Si abbia un sensore ad effetto Hall che in presenza di un campo
dinduzione magnetica di xWb m1 d`a luogo con la circolazione di una corrente
di kmA, a una tensione di Hall pari a pV. La piastrina di arseniuro di indio ha
dimensioni a b cm. Si ipotizzi che il sensore sia impiegato come misuratore
del numero di giri di una ruota che ha un magnete mobile che eccita la piastrina di
arseniuro con un campo dinduzione magnetica di tWb m1 ogni giro. Si calcolino
la frequenza e lampiezza degli impulsi quando la ruota compie duecento giri in un
minuto e il tragitto percorso se la ruota ha un raggio di bcm.
Esercizio 4.5.21. Un sensore con coefficiente di temperatura pari a xC1 e di resistenza a 0C pari a n k `e applicato su una superficie a tC. Per la misura della
variazione di resistenza si dispone di un ponte con alimentazione a bV. Si scelgano
le resistenze per lequilibrio iniziale del ponte con valore della resistenza a 0C, fornendo la tensione di squilibrio misurata quando il sensore `e applicato al corpo caldo
e si evidenzi come sia possibile eliminare leffetto di variazione della temperatura
ambiente.
Esercizio 4.5.22. Si consideri un resistore lineare di cermet lungo xcm e di resistenza
pari a y. Il resistore potenziometrico `e alimentato da una batteria di zV. Il

4.5. ESEMPI ESERCIZI 2a PROVA

145

candidato indichi le posizioni del cursore quando il voltmetro segna aV; bV; cV; dV.
Illustri poi il circuito di misura chiarendo le caratteristiche dei componenti impiegati
e fornisca la costante di taratura del misuratore di spostamenti.
Esercizio 4.5.23. Si sono provati x dispositivi uguali per y mesi e si sono verificati t
guasti si calcolino laffidabilit`a del dispositivo, il tasso di guasto durante la sua vita
utile, stimata a l mesi, e la disponibilit`a, sapendo che lMTTR `e di p giorni.

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