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FRANCO LO PIPARO
Teoria dei linguaggi
Anno accademico 2011-12-19
Corso triennale, 6 CFU
1. Il linguaggio: foglio di carta o nastro di Moebius?
(Versione italiana di Le signe linguistique est-il deux faces? Saussure et la topologie,
Cahiers Ferdinand de Saussure, 45, 1991, pp. 213-221).
3. La parola proposizione.
(Pubblicato in: Vincenzo Lo Cascio (a c. di), Parole in rete, Utet, Milano 2007, pp. 45-58).
4. Omonimia/Sinonimia/ Metafora.Una lettura linguistico-matematica.
(Pubblicato in: C. Rossitto (a c. di), Studies on Aristotle and the Ariatotelian, Edizioni di Storia
della Tradizione Aristotelica, Lecce 2011, pp. 31-57)
I
FRANCO LO PIPARO
Versione italiana di Le signe linguistique est-il deux faces? Saussure et la topologie,
Cahiers Ferdinand de Saussure, 45, 1991, pp. 213-221.
1.
Il segno linguistico leggiamo nel Cours di Saussure unentit
psichica a due facce (CLG, 99). Le due facce sono il concetto o significato,
l'immagine acustica o significante. Per rendere ancora pi evidente la intrinseca
bifaccialit del segno linguistico Saussure ricorre all'immagine esemplificativa,
diventata famosa, del foglio di carta: La lingua paragonabile a un foglio di
carta: il pensiero il recto ed il suono il verso; non si pu ritagliare il recto
senza ritagliare nello stesso tempo il verso; similmente nella lingua, non si
potrebbe isolare n il suono dal pensiero n il pensiero dal suono; non vi si
potrebbe giungere che per unastrazione il cui risultato sarebbe fare della
psicologia pura o della fonologia pura (CLG, 157).
La bifaccialit del segno linguistico un concetto cos radicato nel senso
comune della linguistica teorica da fare apparire temerario un qualsiasi tentativo
di metterlo in discussione. Eppure, la domanda si impone: quello di bifaccialit
concetto adeguato alla specifica complessit del linguaggio? Volendo restare
allinterno del paradigma saussuriano: la natura bifacciale del segno linguistico
compatibile con la lingua come sistema di valori relazionali o, nella terminologia
di Saussure, arbitrari?
Per rispondere alla domanda propongo di abbandonare il terreno delle
definizioni intuitive e utilizzare invece le definizioni rigorose che la geometria
topologica fornisce delle figure a una faccia e di quelle a due o pi facce.
2.
Una figura ha una sola faccia ci spiega la topologia quando due suoi
qualsiasi punti possono essere uniti tracciando una linea continua che soddisfi due
condizioni: (1) non fora la superficie; (2) non attraversa nessun bordo o frontiera.
Nessuna delle due condizioni soddisfatta dalle figure plurifacciali.
Dal momento che intuitivamente evidente che le considerazioni svolte
sulla bifaccialit a maggior ragione valgono per figure con un numero di facce
superiore a due, sufficiente restringere qui lattenzione alle sole figure
bifacciali. Sfera e foglio di carta sono esempi di figure a due facce. Chiamiamo A
fig. 1a
fig. 1b
In entrambi i casi, la linea che unisce il punto della faccia A con il punto
della faccia B deve uscire da una faccia e rientrare nell'altra. Quello che
chiamiamo l'entrare da una faccia e l'uscire dall'altra l'immagine visiva della
discontinuit ed eterogeneit radicale dei due insiemi dei punti A e B. come se
le due facce, nonostante la loro contiguit spaziale, potessero comunicare solo
mediante qualcosa di qualitativamente diverso da entrambe. Mediante qualcosa
che stia fuori sia della faccia A che della faccia B. Chiamiamo traduttori semiotici
le linee che congiungono i punti della faccia A coi punti della faccia B.
3.
Esaminiamo la bifaccialit del segno utilizzando i concetti topologici qui
richiamati. Seguendo Hjelmslev e la letteratura semiologica chiamo piano
dell'espressione la faccia esterna A, piano del contenuto la faccia interna B. Per
esemplificare mi riferisco a un esempio canonico: nell'insieme dei segnali
luminosi che formano il codice semiotico del semaforo, /luce rossa/ una
porzione (un insieme di punti equivalenti) del piano dell'espressione, il significato
che corrisponde nella lingua italiana alla proposizione divieto di percorrere un
determinato tratto di strada una porzione (un insieme di punti equivalenti) del
piano del contenuto.
Esaminiamo attentamente l'esempio. Le due facce appartengono a un
medesimo segno perch un osservatore esterno alle due facce traccia una linea
che in maniera continua unisce i punti della faccia A coi punti della faccia B. La
linea tracciata l'immagine metaforica della deduzione o implicazione semiotica
che, come gi Aristotele e gli stoici avevano spiegato, ha la forma logica se
questo, allora quest'altro: se questo punto della faccia A, allora quest'altro punto
della faccia B.
L'implicazione semiotica se questo, allora quest'altro la linea topologica
di congiunzione delle due facce. Rispetto alle due facce, dove si colloca la linea
topologica dell'implicazione? Evidentemente non sta interamente n in A n in B.
Parte da A (se questo) e arriva a B (allora quest'altro), o viceversa. Per
congiungere i due punti delle due facce deve attraversare un'area di frontiera che
non appartiene n ad A n a B. C' anche di pi: perch la linea di congiunzione
possa essere tracciata, il punto di osservazione deve essere esterno ad A e B.
L'osservatore che traccia la linea deve, per cos dire, stare a cavalcioni delle due
facce; solo a questa condizione pu bene osservare i due punti da congiungere.
Stare a cavalcioni delle due facce vuol dire stare nel punto X della figura 1b.
L'implicazione semiotica (= linea continua che unisce A e B) pu essere dedotta a
partire dal punto X, esterno sia a A che a B, in cui le due facce sono visibili.
La descrizione topologica delle superfici bi-facciali rappresenta
perfettamente la natura di quella linea di congiunzione che l'implicazione
semiotica. L'implicazione semiotica non appartiene a nessuna delle due facce che
mette in relazione. tracciata da un osservatore esterno che si trova a cavalcioni
delle due facce e che utilizza strumentazione estranea alle due facce: la linea
tracciata dal giudizio semiotico proviene di solito da un sistema altro che si
chiama linguaggio verbale.
Possiamo formulare il seguente corollario:
Le superfici e i segni a due facce non sono autosufficienti o, se si vuole,
non possono autoesplorarsi. L'avvio (a[rchv) e lo sviluppo dell'implicazione
semiotica che trasforma due entit differenti in facce di un medesimo segno sono
esterni al segno.
4.
Passiamo al linguaggio verbale e chiediamoci se la descrizione topologica
della bifaccialit sia adeguata alla spiegazione della relazione tra significato e
significante cos come la descrive Saussure.
Stando a una letteratura pi che bimillenaria le due facce sono facili da
identificare. Data una qualsiasi espressione verbale, ad esempio Il cane gioca a
palla, la faccia A la sequenza dei suoni o delle tracce scritte, la faccia B il
contenuto semantico che, seguendo le convenzioni canoniche, anche noi
indichiamo mettendo la frase tra apici Il cane gioca a palla.
Poniamo che sia tutto chiaro (ma non lo affatto) e che la identificazione
discontinua delle due facce non ponga alcun problema empirico e teorico.
Proviamo a tracciare la linea continua o implicazione semiotica che congiunga le
due presunte facce. La linea di congiunzione non altro che una sequenza di
parole del tipo:
La sequenza grafica o fonica /IL CANE GIOCA A PALLA/ significa che
un animale mammifero, quadrupede che abbaia si comporta con un oggetto
rotondo in modo che etc..
Come si pu facilmente costatare, il giudizio semiotico dello stesso tipo
dei due punti che mette in relazione. La linea di congiunzione non esce mai dalla
superficie. Nel linguaggio verbale non c' discontinuit tra significante e
significato e non c' discontinuit nemmeno tra significante e significato da una
parte e l'implicazione semiotica che li mette in relazione dall'altra. In termini
filosofici: i punti messi in relazione e la relazione medesima ricadono nella
medesima regione ontologica. Detto ancora pi chiaramente: la bifaccialit del
segno verbale solo una finzione, didatticamente e teoricamente fuorviante e
nociva. tra l'altro lo stesso Saussure a insistere pi sulla inseparabilit e
intrinseca unitariet che sulla differenza qualitativa delle due facce. Cito dal
Quaderno Constantin delledizione Engler:
[Nella lingua] le concept devient una qualit de la substance acoustique comme la
sonorit devient une qualit de la substance conceptuelle. (). On pourrait comparer
l'enitit linguistique un corps chimique compos, ainsi l'eau, o il y a de l'hydrogne e
de l'oxygne: <H2O>. Sans doute, la chimie, si elle spare les lments, a de l'oxygne
et de l'hydrogne, mais l'on reste dans l'ordre chimique. Au contraire, si on dcompose
l'eau linguistique <en prenant l'hydrogne ou l'oxygne>, on quitte l'ordre linguistique:
<on n'a plus d'entit linguistique>. Ce n'est que pour autant que subsiste l'association
que nous sommes devant l'objet concret linguistique (CLG, ed. Engler, p. 233).
5.
Se mettiamo insieme le definizioni rigorose della topologia e le
osservazioni teoriche di Saussure sul funzionamento del linguaggio verbale
bisogna concludere che le espressioni verbali non sono segni bifacciali e che il
foglio di carta un cattivo modello geometrico della teoria saussuriana oltre che,
naturalmente, delleffettiva natura delle lingue storiconaturali.
Preciser meglio questa tesi fornendo un esempio di superficie con una sola
faccia.
La figura qui disegnata possiede la caratteristica che la rende superficie a
una sola faccia: ciascun punto di essa pu essere raggiunto a partire da un
qualsiasi suo altro punto tracciando una linea continua che non fora in nessun
punto la superficie e non oltrepassa mai la sua frontiera. In altre parole essa pu
autoesplorarsi: un ipotetico viaggiatore situato sulla sua superficie pu percorrerla
interamente senza uscire mai da essa. Dal nome del suo inventore una superficie
siffatta si chiama nastro di Mbius. Ne riporto qui una delle raffigurazioni fatte
nel 1963 da Escher:
6.
Lingua verbale e nastro di Mbius condividono le medesime caratteristiche
topologiche. Sono universi autosufficienti, monofacciali, illimitati.
Sono autosufficienti. A partire da un punto, arbitrariamente scelto, dei loro
rispettivi universi possibile raggiungere un qualsiasi altro punto senza uscire
mai dalluniverso. Le lingue si possono autoesplorare senza ricorrere a sistemi
semiotici esterni.
Sono monofacciali. Significanti e significati non sono due facce separate e
da collegare mediante una implicazione semiotica (se questo allora quest'altro)
ma punti dinamici di un universo che unitario non perch diventa unitario ma
perch nasce unitario. In quanto universi monofacciali non sono divisibili in una
parte interna e in una parte esterna.
Sono illimitati ovvero senza bordi. Non possibile individuare un limite
esterno alle capacit espressive del linguaggio verbale. Linguaggio e nastro di
Mbius sono universi i cui abitanti non possono pensare universi che si trovino
effettivamente al di l. L'ineffabile un particolare modo di dire, l'al di l
condannato ad essere un continente dell'al di qua. Come dir Wittgenstein, noi
non possiamo dire ci che noi non possiamo pensare (T 5.61) e, pertanto, per gli
animali linguistici lunico modo per riferirsi allindicibile rappresentare
chiaramente il dicibile (4.115).
7.
Esaminiamo un'altra delle caratteristiche che differenziano le superfici
monofacciali da quelle bifacciali rispetto al rapporto tra il tutto e le sue parti. Se
di una superficie bifacciale (ad esempio, un foglio di carta) si ritagliano con delle
forbici delle parti, si ottengono ancora delle superfici bifacciali. Superfici
bifacciali si ottengono anche da tagli operati sul nastro monofacciale di Mbius.
Il corollario dell'esperimento sorprendente e suggerisce alcune considerazioni:
le superfici monofacciali hanno come parti proprie superfici bifacciali ma non
vale l'inverso. Ossia: la monofaccialit pu generare la bifaccialit ma non
viceversa.
La medesima caratteristica si ritrova nel linguaggio verbale. Data una
lingua sempre possibile esaminarne una sua parte propria come sistema
semiotico bifacciale. stato questo fatto a dare l'illusione del successo esplicativo
alle semiotiche linguistiche. Ai semiolinguisti sfuggiva il fatto fondamentale che
formuliamo in questo modo: la monofaccialit del linguaggio verbale la
matrice generativa delle semiotiche bifacciali. Dato un qualsiasi numero n di
sistemi semiotici bifacciali ritagliabili da una lingua verbale sempre possibile
mostrare che la lingua verbale sta altrove. Detto diversamente: una lingua verbale
n'est pas initial dans la langue. La distribution des ides dans les mots d'une langue nous
donne les contours de l'ide elle-mme; une fois que nous avons les contours, ce
schma {a doppia faccia}:
p. 264).
vuole dire che in francese un concetto juger unito allimmagine acustica juger;
insomma, esso simboleggia la significazione; ma resta inteso che questo concetto non
ha niente di originario, che esso solo un valore determinato dai suoi rapporti con altri
valori similari, e che senza tali valori la significazione non esisterebbe: Quando io
affermo semplicemente che una parola significa qualche cosa, quando io mi attengo
allassociazione dellimmagine acustica col concetto, faccio unoperazione che pu in
una certa misura essere esatta e dare unidea della realt; ma in nessun caso io esprimo
il fatto linguistico nella sua essenza e nella sua ampiezza (CLG, p.162; cors. mio).
8.
Ancora una considerazione. I sistemi bifacciali in quanto incapaci di
autofondarsi sono necessariamente convenzionali: i punti delle due facce A e B
sono collegabili mediante una linea di implicazione che, essendo qualitativamente
diversa da A e da B, stabilisce dall'esterno e convenzionalmente la connessione. Il
linguaggio verbale, invece, in quanto costituzionalmente monofacciale , volendo
usare la terminologia della fisica contemporanea, un sistema bootstrap: si tira su
reggendosi, per cos dire, sui tiranti dei propri stivali. Caratteristica questa che
alcuni interpreti di Saussure indicarono ricorrendo alla nozione di arbitrariet
radicale: non esiste un punto o un luogo non linguistico su cui fare leva per
spiegare il funzionamento del linguaggio, cos come non esiste un punto fuori
delluniverso fisico a partire da cui dedurre le leggi delluniverso. Il linguaggio,
come lUniverso, poggerebbe su quella che i fisici chiamano una singolarit, cio
su una discontinuit radicale con ci che lo precede.
9.
Larbitrariet radicale, cos intesa, non concetto diverso da quello di
irriducibile naturalit della specie-specificit degli animali linguistici.
laccezione naturalistica con cui Wittgenstein usa il termine: Nel linguaggio
l'unico correlato di una necessit naturale una regola arbitraria. l'unica cosa
che da questa necessit naturale si possa travasare in una proposizione (PU, I,,
372). Per spiegare questo strano ibrido di arbitrariet naturale e necessaria, la
Grammatica filosofica ( 133) ricorre al significato della parola non: dove trovare
le regole che ne governano il significato se non negli usi della parola medesima?
Il fatto che tre negazioni neghino (~~~p = ~p) e due negazioni affermino (~~p =
p) dato arbitrario nel senso che lunica spiegazione che se ne possa dare
descriverlo come fatto connesso con la natura della mente linguistica dellanimale
umano. La nostra natura connessa con entrambe e, pertanto, non pu esserci
nessuna discussione se le regole corrette per la parola non siano queste o
quest'altre (voglio dire se siano conformi al suo significato). Infatti, senza queste
regole, la parola non ha pi nessun significato; e se cambiamo le regole ha un
significato diverso (o nessun significato) e possiamo benissimo cambiare anche la
parola (PU, I, nota a 554; PG, I, 133).
Arbitrariet, probabilmente rispetto a questo ordine di questioni, termine
poco felice e, per questo, fonte di equivoci. Ma limportante intendersi sugli usi
che delle parole facciamo.
10.
Una lettura della linguistica aristotelica in termini di dimensioni, piuttosto che di facce o piani, ci siamo sforzati di
fare in Lo Piparo 2003.
II
Franco Lo Piparo
Archeologia del simbolo
Pubblicato in VS, n. 102, settembre-dicembre 2006, pp. 11-26
0. Peirce e Saussure
Del termine simbolo in epoca moderna possibile individuare almeno due
accezioni fondamentali, tra loro antitetiche, ciascuna illustrabile con le definizioni
datene dai due fondatori della semiotica novecentesca, Charles Sanders Peirce e
Ferdinand de Saussure2.
Peirce:
La parola Simbolo ha gi tanti significati che laggiungerne un altro costituirebbe uningiuria al linguaggio. Io credo che
il senso che io attribuisco alla parola Simbolo, cio quello di segno convenzionale, oppure di un segno istituito in base a
un abito acquisito o innato, non sia poi tanto un nuovo significato, quanto piuttosto un ritorno al significato originario.
(). I Greci () usavano molto spesso gettare insieme (sumbavllein) per significare listituzione di un contratto o
convenzione. E infatti troviamo che il simbolo (suvmbolon) fin dalle origini e spesso era usato per significare una
convenzione o contratto. Aristotele chiama un nome un simbolo, cio un segno convenzionale. In greco erano detti
simboli, cio segnali convenuti, i fuochi degli accampamenti, le bandiere e le insegne, le parole dordine, i distintivi, il
credo di una religione, poich serve come distintivo o segno di riconoscimento, un biglietto di teatro, ogni biglietto o
tagliando che autorizzasse una persona a ricevere qualcosa, e, inoltre, qualunque espressione di sentimento. Questi
erano i principali significati del termine nella lingua originale (CP 2.297).
Saussure:
Il simbolo ha per carattere di non essere mai completamente arbitrario: non vuoto, implica un rudimento di legame
naturale tra il significante e il significato. Il simbolo della giustizia, la bilancia, non potrebbe essere sostituito da
qualsiasi altra cosa, per esempio da un carro (CLG: 101).
Non difficile mettere daccordo Peirce e Saussure mediante unadeguata intertraduzione e interpretazione che esamini la questione andando oltre la superficie della
terminologia usata: quello che Saussure chiama simbolo Peirce lo denomina
icona; il simbolo di Peirce corrisponde nella terminologia saussuriana al segno.
Impostato cos, il problema verrebbe a essere solo terminologico e non concettuale.
Indubbiamente le cose stanno in questo modo se limitiamo lattenzione a Peirce e
Saussure e alla tradizione che essi rappresentano.
Il problema che vorrei sollevare altro. In questa breve nota mi propongo: (1)
mostrare che la parola simbolo nasce nella lingua greca con un significato che non
Per una disamina critica delle varie accezioni moderne della nozione di simbolo rimandiamo a Eco (1984: 199254).
n quello di Peirce n quello di Saussure; (2) mostrare i nuovi usi che del simbolo
vengono fatti in epoca tardo-antica e specificamente nella filosofia neo-platonica.
1. Due esempi di simboli naturali e non-iconici
Comincer con lesaminare due testi del V secolo a. C. in cui la parola simbolo
viene usata con unaccezione che non riconducibile a nessuna delle due definizioni
sopra riportate: un frammento di Anassagora, un passaggio dellEdipo re di Sofocle.
Anassagora, (frg. 19 Diels). Noi chiamiamo arcobaleno il riflettersi del sole nelle
nuvole. Esso dunque il suvmbolon del temporale: lacqua che versata tuttintorno
produce, infatti, vento o fa cadere pioggia.
Che qui suvmbolon non abbia il significato di segnale convenuto (accezione con
cui secondo Peirce in accordo con quasi tutti gli studiosi delle teorie linguistiche
della Grecia classica viene usato il termine nellantica Grecia) mi pare fin troppo
chiaro. 3 Per losservatore esterno indubbiamente larcobaleno segno di
riconoscimento, non convenuto ma naturale, di temporale. Ma il senso complessivo
del frammento va oltre: larcobaleno manifestazione naturale del temporale e
quindi, non essendo fenomeno staccabile dal fenomeno temporale, ne anche
naturale suvmbolon. La parola non ha nemmeno il significato saussuriano:
larcobaleno, simbolo naturale del temporale, non richiama per somiglianza il
temporale; tra larcobaleno e il temporale non vige nessuna relazione di iconicit del
tipo di quella che lega giustizia e bilancia.
Sofocle, Edipo re, 220-221. Siamo alle prime battute della tragedia. Edipo chiede
ai Tebani di aiutarlo a trovare il responsabile della morte di Laio perch dice
da solo non farei molta strada, non possedendo alcun simbolo <dellaccaduto> (mh;
oujk e[cwn ti suvmbolon). Edipo sta dicendo che gli manca uno straccio di segnale
convenuto? Non mi sembra proprio. Dai traduttori suvmbolon viene qui correttamente
reso con indizio o traccia. Ma gli indizi sono per lappunto fatti e/o eventi che,
essendo per loro intrinseca natura inseparabili dal fatto su cui si indaga, mostrano la
pista giusta per scoprire la verit. Gli indizi che cerca Edipo sono per lappunto
suvmbola nel senso che debbono stare in relazione necessaria (fuvsei) e non
convenzionale (qevsei) con la morte violenta di Laio.
Quindi, anche questo passo del V secolo confuta la lettura convenzionalista di
Peirce.4 Ma memmeno in questo caso simbolo ha il significato che Saussure gli
attribuisce. Tra il fatto da scoprire e lindizio che conduce al fatto c un legame
naturale ma non del tipo della relazione di somiglianza che sussiste tra la bilancia e la
3
Discutendo AeL, Gusmani (2004: 158-159), cieco allevidenza testuale, cita il frammento di Anassagora a sostegno
del fatto che nel V-IV secolo a. C. il termine suvmbolon indicava comunemente il segnale concordato tra pi
individui.
4
Gusmani (2004: 158) cita anche questo passo, insieme ad altri, a documentazione che spesso simbolo veniva
usato con la connotazione particolare di segnale convenuto.
Altra pagina trascurata dagli studiosi della storia della parola simbolo quella
dellEthica Eudemia (1239b 23-27) in cui Aristotele sostiene che la relazione di
amicizia vige tra soggetti contrari e non simili (Il contrario [to; ejnantivon] amico
del contrario in quanto gli utile; infatti il simile [to; o{moion] non utile a se stesso.
Questo il motivo per cui il padrone ha bisogno del servo e il servo del padrone, la
donna e luomo hanno bisogno luno dellaltro). A causa di questa contrariet
costitutiva gli amici vanno considerati simboli luno dellaltro: <I contrari
simbolici> si desiderano lun laltro in funzione di un punto di equilibrio: in quanto
simboli si desiderano lun laltro per generare in tal modo a partire da entrambi un
unitario punto di equilibrio (ojrevgetai ga;r ajllhvlwn dia; to; mevson: wJ" suvmbola ga;r
ojrevgetai ajllhvlwn dia; to; ou{tw givnesqai ejx ajmfoi`n e}n mevson).5
impossibile leggere i passi che abbiamo qui riportato con le definizioni di Peirce (simboloconvenzione) o Saussure (simbolo-icona). Maschio/femmina, umido/secco, caldo/freddo,
servo/padrone sono citati come esempi paradigmatici di coppie di simboli ma, per esemplificare su
una sola coppia, n il maschio segno convenzionale della femmina (o la femmina del maschio) n
maschio e femmina sono in relazione di iconicit. I simboli, in questa particolare accezione, non
sono n convenzionali n iconici ma reciprocamente contrari.
Dato il rilievo teorico che opere come De generatione et corruptione e Ethica Eudemia hanno nella filosofia
aristotelica, stupefacente che Gusmani (2004: 157) possa considerare occasionalmente (sic) presente in Aristotele
laccezione non convenzionalista con cui il termine simbolo viene in esse usato. Nessuno studioso della filosofia di
Aristotele considera occasionali i problemi che vi vengono trattati col ricorso alla nozione naturalistica di suvmbolon:
costituzione degli elementi naturali a partire da due coppie di simboli (caldo/freddo; umido/secco), nella prima opera;
differenza concettuale tra contrariet e somiglianza, nella seconda.
6
Marmo-Bonfiglioli (2003: 166-172), dissentendo da AeL, ritengono che il simbolo aristotelico rientri nella
categoria del relativo e non in quello della contrariet. Le osservazioni contenute in questo paragrafo sono state scritte
su sollecitazione delle loro obiezioni.
Riassumendo. Rispetto alla questione che stiamo trattando, i relativi sono distribuiti in due
classi: (1) relativi-simultanei; (2) relativi-non-simultanei. I simboli-contrari rientrano nella classe
(1): lesempio della relazione schiavo/padrone, che nellEthica Eudemia presentata come
relazione simbolica, ne la prova.
Anche se un passo della Metaphysica pone i relativi-contrari come esempi paradigmatici dei
relativi-simultanei (Le relazioni si possono dire in due modi diversi: o come lo sono i contrari o
come lo la conoscenza rispetto a ci che conosciuto 1056b 35-36), altrove il corpus
aristotelico propone una classificazione pi sottile. I relativi-simultanei vengono divisi a loro volta
in: (1a) relativi-simultanei-contrari; (1b) relativi-simultanei-non-contrari:
Nei relativi sussiste (uJpavrcei) anche contrariet: ad esempio, la virt contraria al vizio (ciascuno di essi esistendo in
quanto relativo allaltro [pro;" ti]) e la scienza contraria allignoranza. Ma non in tutti i relativi sussiste (uJpavrcei) il
contrario: infatti al doppio niente contrario, n al triplo, n ad alcuna delle cose di questo genere (6b 15-18).
3.2. Simbolo-battaglia
Suvmbolon nella lingua della Grecia classica non ha mai del tutto dismesso
laccezione con cui nella lingua greca arcaica viene usato il verbo sum-bavllein da
cui deriva: lazione di incontro-scontro di due o pi entit per qualche aspetto
differenti tra loro. Tale accezione ben documentata in Omero.
Iliade, XVI, 563-5: E quando dalle due parti ebbero strette le file, Teucri e Lici e Mirmidoni e Achei andarono gli uni
contro gli altri a combattere per il corpo del morto (suvmbalon ajmfi; nevkui katateqnhw`ti mavcesqai).
Il., XX, 54-55: Gli dei beati, spingendosi lun laltro, vennero a scontrarsi (suvmbalon).
Il., IV, 453. Viene descritto uno scontro tra due eserciti in battaglia: allo stesso modo due fiumi in piena, precipitando
dai monti, si incontrano-scontrano (sumbavlleton) a valle.
Il., V, 774: Giunsero () l dove le acque del Simoenta e dello Scamandro vengono a incontrasi-scontrarsi
(sumbavlleton).
C una profonda continuit tra questa pagina della Repubblica e quelle dellEthica Nicomachea (1132b 31 1133b 28) in cui Aristotele analizza la natura kata; sunqhvkhn della moneta. Se queste pagine si leggono per intero e
non a saltare (vedi ad esempio Gusmani 2004: 152-153) ci si accorge facilmente che in esse svolge un ruolo centrale la
nozione di unit di misura (mevtron) e le unit di misura per i Greci non erano stabilite per convenzione. Si perde quindi
il nocciolo teorico duro dellargomentare aristotelico se non si tiene nel giusto conto il contemporaneo dibattito
matematico e filosofico sulla natura dei mevtra di cui Platone e Aristotele sono stati attori principali. Vedi AeL, pp. 125133.
8
Diversamente da quanto sostiene Gusmani (2004: 159, nota 26) non c quindi alcuna incoerenza nel chiamare
simbolo lintera parola.
9
Informazioni e osservazioni critiche in Bonfiglioli e Marmo (2004), Bonfiglioli (2005).
Non discuto in questa sede se suoni della voce e affezioni che hanno luogo
nellanima rendano adeguatamente il testo greco10 e mi soffermo sul termine simbolo.
Se il simbolo ci che esiste solo in funzione di realt tra loro circolarmente
complementari (come il contratto o la moneta o le relazioni freddo/caldo,
umido/secco, maschio/femmina, servo/padrone), allora in queste righe Aristotele sta
suggerendo due importanti tesi teoriche.
(1) Le due facce che formano la parola (significante e significato, per usare i
termini di Saussure), essendo realt simultanee e complementari, non sono
ontologicamente separabili. la tesi che, per altre vie e con altra terminologia,
sosterr Saussure ricorrendo allesempio del recto e verso del foglio di carta: La
lingua paragonabile a un foglio di carta: il pensiero il recto ed il suono il verso;
non si pu ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo il verso; similmente
nella lingua, non si potrebbe isolare n il suono dal pensiero n il pensiero dal suono;
non vi si potrebbe giungere che per unastrazione il cui risultato sarebbe fare della
psicologia pura o della fonologia pura (CLG: 157).
(2) Lequilibrio instabile che significanti e significati volta per volta realizzano
nelle parole di una lingua, essendo il risultato mai definitivo di un movimento
circolare di relativi-contrari, soggetto a modifiche e riaggiustamenti. Ci spiega
perch la presa delle parole-simboli sui fatti di cui parlano non diretta e nemmeno
esente da errori:
Dal momento che non possibile discutere portando <direttamente> nella discussione i fatti di cui parliamo ma al
posto dei fatti ci serviamo delle parole in quanto simboli (toi`" ojnovmasin ajnti; tw`n pragmavtwn crwvmeqa wJ" sumbovloi"),
noi riteniamo <erroneamente> che ci che accade alle parole accada anche ai fatti [ejpi; tw`n pragmavtwn], come accade ai
sassolini <dellabaco> quando si fanno calcoli.
11
Per la precisione vi compare una sola volta lavverbio sumbolikw`". Si parla della difficolt di trovare un nome
adeguato per nominare lente supremo: Forse, anche il nome Uno non altro che la rimozione dei molti. Per questo i
Pitagorici fra loro lo chiamarono simbolicamente [sumbolikw`"] Apollo che significa negazione dei molti [apollon] (V, 6, 26-27).
12
Per questo aspetto rimandiamo a AeL, pp. 42-70.
Respublica
PLOTINO
Enneades = Ennades, ed. E. Brhier, Paris: Les Belles Lettres, 1924-1938.
PROCLO
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secondaria
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III
Franco Lo Piparo
La parola proposizione*
Pubblicato in: Vincenzo Lo Cascio (a c. di), Parole in rete, Utet, Milano 2007, pp. 45-58.
1.
Che cosa una parola? Quale il suo statuto cognitivo? Per
approssimarci a una risposta che miri a identificare le effettive operazioni
mentali di un normale parlante-ascoltatore, poniamoci preliminarmente unaltra
domanda: cosa facciamo quando non capiamo una parola? Poniamo che un
parlante italiano si imbatta per la prima volta nel termine cuneo fiscale
ascoltando la frase13:
Il governo ha promesso di tagliare il cuneo fiscale.
Se non conosce il significato del termine, il comportamento pi banale e
naturale chiedere allinterlocutore che cosa il termine significa (Puoi per
favore spiegarmi cosa il cuneo fiscale?). Seguir verosimilmente la
spiegazione del termine.
In questi comportamenti elementari si trova secondo Wittgenstein la
definizione di significato di una parola: Il significato <di una parola> quello
che spieghiamo nella spiegazione del significato della parola (BT, 9, p. 42).
Quindi: Il significato ci che la spiegazione del significato spiega; ovvero,
non domandiamo che cosa sia il significato, ma andiamo a vedere che cosa
chiamiamo spiegazione del significato (id., p. 39).
una definizione indubbiamente circolare ma che descrive bene quello
che i parlanti fanno quando commerciano con le lingue. Nessuno pu fornire il
significato di parole italiane come zio o sindaco oppure, a maggior ragione,
Dio, nessuno, tutti, forse, e, etc., se non spiegandone luso che se ne fa nella
lingua italiana. AncoraWittgenstein: Il significato di una parola il suo uso
nella lingua (PU, I, 43). E che cosa una spiegazione delluso? La risposta
inscritta nella pratica lessicografica: una o pi proposizioni. Nei nostri
primi due esempi, sicuramente i pi facili: zio il fratello del padre o della
madre o il marito della zia; sindaco il capo dellamministrazione di un
comune o, in riferimento alle societ finanziarie, il membro dellorgano di
controllo per il rispetto delle leggi e dello statuto nellattivit della societ14.
Ringrazio Enzo Lo Cascio per le osservazioni e i suggerimenti che ha voluto darmi dopo la lettura di una
prima versione dellarticolo.
13
User in questo saggio frase e proposizione come sinonimi.
14
Qui e nel seguito utlizzo definizioni e documentazione del Grande Dizionario Elettronico di Lo Cascio.
Quasi due millenni e mezzo fa Aristotele della questione aveva dato una
chiara formulazione teorica: il significato di una parola la proposizione (logos
in greco) che la definisce.
La definizione () la proposizione (lovgo") che esprime ci che
la parola significa [oJrismov" ... e[stai lovgo" tou` tiv shmaivnei to;
o[noma] (An. Post. 93b 29-31).
La definizione la proposizione (lovgo") di cui la parola segno [oJ
ga;r lovgo" ou| to; o[noma shmei`on oJrismo;" e[stai] (Met. 1012a 2425).
La parola segno della proposizione [shmei`on tou[noma ... tou`
lovgou] (Met. 1045a 26-27).
Una semantica proposizionale delle parole (to speak is to
propositionise asseriva lo psicolinguista Jackson alla fine dellOttocento15)
apre una strada che forse non stata mai percorsa fino in fondo. Alcuni dei
punti cardinali di questo paesaggio teorico sono stati fissati da Wittgenstein. Il
pi fondamentale lo enuncia in una delle Lectures tenute a Cambridge negli
anni 1930-1932: Non c, nella lingua, unit pi piccola della proposizione;
la prima unit che ha senso e non potete costruirla da altre unit che abbiano
gi senso (Lect. 1930-1932, B XIV). Pertanto, una lingua non la totalit
delle parole ma delle proposizioni che in essa si possono dire (TLP, 4.001). I
corollari sono molteplici:
Solo la proposizione ha senso (Sinn); solo nella tessitura (im
Zusammenhang) della proposizione un nome ha significato
(Bedeutung) (TLP, 3.3).
Pensare a una cosa pensare una proposizione nella quale quella
cosa ricorre (Lect. 1930-1932, B III, 1).
mai possibile capire (verstehen) qualcosa che non sia una
proposizione (Satz)? (). Ma il capire comincia soltanto con la
proposizione (BT, 1, p. 1).
Una parola ha significato soltanto nel suo nesso proposizionale (im
Satzverband): come se si dicesse che unasta solo nelluso (im
Gebrauch) una leva. Solo lapplicazione (Anwendung) ne fa una
leva (PB, 14).
15
1893, p. 205
2.
Se le parole sono esse stesse proposizioni contratte o, se si preferisce
limmagine biologica, cellule di potenziali proposizioni, la proposizione non
pu essere vista come una combinazione di parole. La proposizione e le sue
parti, in questa prospettiva, vengono a intrattenere tra loro una relazione che in
geometria frattale si chiama self-similarity: le parti sono simili tra loro e al tutto
di cui fanno parte. una relazione molto presente in natura e gi studiata dai
matematici greci in termini di relazione gnomonica 16 . La illustro con un
esempio della geometria frattale.
La figura qui riportata chiamata in letteratura curva o fiocco di neve di
Koch (dal nome del matematico che lha descritta):
fig. 1
La sua linea di confine appare cos frastagliata che sembra impossibile darne
una descrizione esatta. facile invece dimostrare che la complessit della
curva il risultato della iterazione di unoperazione semplicissima su un
triangolo equilatero: fig. 2a. Se si divide ciascun lato del triangolo in tre parti
uguali e, dopo aver rimosso la parte centrale, si costruisce un altro tiangolo
equilatero avente come base la parte rimossa, si ottiene la fig. 2b. La ripetizione
della medesima operazione su ogni lato della nuova figura (divisione in tre
parti uguali, rimozione della parte centrale, costruzione di un nuovo triangolo
equilatero) ha come risultato la fig. 2c. Lapplicazione delloperazione sulla fig.
2c genera la fig. 2d. Dopo un numero sufficientemente grande di iterazioni
della operazione iniziale si ottiene la complessa curva di Koch della fig. 1 che,
16
fig. 2a
fig
2b
fig. 2c
fig. 2d
fig.
3
17
La descrizione matematica della curva di Koch si trova in Mandelbrot 1975, pp. 36-9. Una esposizione
divulgativa e accessibile al non specialista in Stewart 2003.
da pi parole. Altri esempi: ferro da stiro, camera da letto, sala daspetto, sale
da cucina, etc. Chi pensa e parla nella lingua italiana non scompone le
locuzioni nei suoi costituenti lessicali ma le vive e le usa come uniche parole
semanticamente piene. Questo tipo di parole si trova in tutte le lingue. Alcune,
come il tedesco, tendono a trasformarle in ununica entit lessicale: le parole
polirematiche italiane citate corrispondono, ad esempio, alle singole parole
composte tedesche Pltt-eisen, Schlaf-zimmer, Warter-saal, Koch-salz. Ci
sembra questa una conferma dello statuto proposizionale delle parole:
proposizioni (ferro che serve a stirare, ad esempio) che diventano parole
(ferro-da-stiro) che, pur mantenedo la originaria polirematicit, si comportano
da singola parola. Lespressione ferro-da-stiro una parola nella misura in cui
globalmente definita da ununica proposizione. la proposizione, che spiega
luso dellunit lessicale (mono o polirematica), a mostrare i confini della
parola.
3.2 La metafora. Ciascuna parola-proposizione la cellula di un ampio
(infinito?) numero di usi metaforici in ragione del fatto che il meccanismo della
metafora inscritto nella costituzione proposizionale della parola: gi le prime
parole pronunciate dal bambino sono metafore.
Assumiamo la definizione di metafora che Aristotele d nella Poetica
(1457b 5-8):
La metafora lo spostamento di un nome altrui [metafora; d
ejsti;n ojnovmato" ajllotrivou ejpiforav]: o da genere a specie o da
specie a genere o da specie a specie o per analogia [kata; to;
avnavlogon].
Lo spostamento possibile grazie alla proposizione (logos) condensata
nella parola e produce un senso nuovo perch la parola si sposta con la
proposizione di cui essa traccia stenografica. Nella fig. 4 rappresentato lo
schema che riproduce i percorsi cognitivi sottesi alla produzione di due
metafore citate nella Poetica: sera della vita, vecchiaia del giorno.
vecchiaia
logos 1
sera
logos 2
logos 3
(Fine di un
ciclo)
fig. 4
proposizionale: (a) Il partito comunista prese molti voti; (b) Mario, il sacerdote,
prese i voti in tarda et; (c) Ha preso un buon voto agli esami; (d) Leo fece un
voto alla Madonna; eccetera.
Altro esempio. Si veda loccorrenza della parola generi in questa battuta
di Tot: Lei vuole sposare mia figlia? No, non se ne fa niente: a me i generi
non interessano, a meno che non siano alimentari. La stratificazione
proposizionale della parola generi (plurale tanto di genero che di genere)
consente a Tot di dire e non dire di non consentire al matrimonio della figlia:
se il futuro genero anche un genere alimentare (metafora di benessere) del
matrimonio della figlia se ne pu pure parlare.
Per finire, un motto di spirito analizzato da Freud (1905): quasi
impossibile portare la fiaccola della verit in mezzo alla folla senza
bruciacchiare la barba a qualcuno. Motto linguisticamente interessante e
complesso. (1) Una metafora logora (la verit come la luce irradiata da una
fiaccola) viene spogliata, nel momento stesso in cui viene usata come metafora,
dal suo carattere metaforico e presa alla lettera (il fuoco della fiaccola, oltre che
fare luce, brucia). (2) Il nuovo tratto proposizionale (il fuoco che brucia della
fiaccola) diventa fonte di nuova metafora e va a ricongiungersi alla prima: la
verit, come il fuoco della fiaccola, illumina (amplia la conoscenza) ma anche
brucia (pu infastidire qualche autorit identificata metonimicamente con la
barba).
4.
Se metafore e doppi sensi non sono eventi linguistici eccezionali ma
ordinaria e banale pratica linguistica bisogna concludere che la relazione tra
parola e ci di cui la parola parla non mai uno-a-uno ma uno-molti: qualsiasi
parola-proposizione si presta a trasformarsi in modo da riferirsi a sensi nuovi, a
volte imparentati a volte non imparentati coi vecchi. In altri termini, tutte le
parole hanno una tendenza naturale alla polisemia: un termine ha osservato
molto bene Antoine Culioli (1990, p. 86) non rinvia a un senso () ma a un
dominio nozionale, ossia a tutto un insieme di virtualit. Sviluppando e
rileggendo la prima pagina delle Categoriae di Aristotele, ci sembra utile
distinguere due tipi di polisemia: omonimica e sinonimica.
Polisemia omonimica. la pi semplice da identificare: una parola
portatrice di proposizioni tra loro non imparentate. Nella definizione delle
Categoriae: Sono detti omonimi <i dicibili> ai quali comune solo il nome
ma, <rispetto al nome comune>, invece diversa la proposizione che ne
definisce lidentit [lovgo" th`" oujsiva"] (Cat. 1a, 1-3) 18 . Sono esempi di
polisemia omonimica le parole italiane cappuccino (a. bevanda calda a base di
caff e latte scaldato a vapore; b. frate di una famiglia dellordine dei
Francescani minori), credenza (a. convinzione, opinione su qualcosa; b. mobile
18
Le definizioni di omonimia e sinonimia che qui riporto sono risultato di una lettura non canonica del testo
aristotelico (lavoro in corso di stampa).
((parolaproposizione)3
(parola-proposizione)2
Esempio di sinonimia:
uomo
bue
animale
OMONIMIA
(parola-proposizione)1
(parola-proposizione)2
parola1 = parola2
proposizione1 proposizione2
cappuccino2
cappuccino1 = cappuccino2
proposizione1 proposizione2
19
20
Non seguo la traduzione italiana che rende: la forma della proposizione visibile (p. 208).
24
In queste considerazioni un ruolo importante svolge la distinzione tra segno e simbolo. Sulla distinzione rimandiamo
a Carapezza 2005.
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Rusell
Dover
Franco Lo Piparo
La verit e la negazione come regole generatrici di senso
Pubblicato col titolo Cosa accade quando capiamo una frase. La verit come regola
generatrice di senso in Siculorum Gymnasium, gennaio-dicembre 1998, pp. 537-54.
1.
Non esistono societ e culture umane che non siano governate dalla regola
della verit. Mi spiego con un esempio. Nessun tribunale pu condannare al rogo
una strega che non risulti, in seguito ad accertamenti, essere una vera strega. Se una
donna che risultasse non essere una strega venisse bruciata in quanto strega,
rappresentanti della cultura e della societ di cui il tribunale parte sosterrebbero
che i giudici di quel tribunale hanno emesso una sentenza di condanna al rogo sulla
base di un giudizio falso: direbbero che non vero che la donna X una strega.
Naturalmente, i giudici del tribunale replicherebbero che quel giudizio di falsit
falso e che vero che la donna X una strega. Chi scrive e chi legge sanno che le
streghe non esistono e quindi sono convinti che una condanna al rogo per
stregoneria poggia comunque su giudizi falsi e, pertanto, sostengono che,
indipendentemente dallaccertamento dei fatti, non vero che la donna X una
strega.
La situazione descritta ci induce a due considerazioni.
1.1 Prima considerazione. Sia chi emette una sentenza di condanna al rogo per
stregoneria, sia chi, pur credendo allesistenza delle streghe, ritiene che quella
particolare donna X condannata al rogo non fosse una strega, sia chi persuaso che
nessuna donna una strega, tutti quanti, per esprimere e difendere i propri giudizi e
le proprie valutazioni, debbono ricorrere alla regola della verit. Le differenti
valutazioni presuppongono la condivisione della regola della verit. Gli uomini
aveva osservato Aristotele hanno una sufficiente disposizione naturale alla verit
e nella maggior parte di casi raggiungono il vero: per questo appartiene alla
medesima disposizione tendere mediante congetture (stocastikw`") verso opinioni
condivise (e[ndoxa) o verso la verit (Rhet., 1355a 15-18).
La regola della verit, in quanto disposizione naturale, ha lo statuto teorico
dellistinto: non acquisita mediante addestramento ma ciascun animale umano la
trova nel proprio corredo cognitivo naturale. Dalla costatazione che la regola della
verit unifica culture e societ tra loro molto distanti traiamo il seguente assioma:
(A1) Se una cultura o una societ sono umane, allora sono governate dalla
regola della verit.
1.2 Seconda considerazione. Le tre differenti valutazioni non sono governate solo
dalla verit ma anche dalla regola della giustizia: giusto / non giusto condannare
al rogo la donna X. I tre giudizi di verit sono riformulabili in termini di giustizia:
Per le riflessioni di Aristotele sulla presenza pervasiva del linguaggio nella cognitivit umana rimandiamo a Lo
Piparo 2003: 3-33.
26
Putnam (1992: 35-7) sostiene la stessa tesi di Wittgenstein: Levoluzione non ha progettato le idee dei cani in
modo che potessero essere vere o false, le ha progettate perch potessero avere successo o fallire (37).
proposizione ci che pu essere vero o falso non bisogna intenderla nel senso che
possediamo un concetto di vero e di falso, con laiuto del quale possiamo
determinare che cosa una proposizione e che cosa non lo . Il concetto di verit
svolgerebbe in questo caso il ruolo di una ruota dentata con cui distinguere le
proposizioni dalle non-proposizioni: proposizione ci che ingrana (come in una
ruota dentata) col concetto di verit. Ma questa una cattiva immagine. Cattiva
perch suggerisce un prima e un dopo: la proposizione, da una parte, e l'attribuzione
vero/falso che si adatta (pat) ad essa, dallaltra. Cos come nel gioco degli scacchi
non c da una parte il pezzo che si chiama re e poi la regola che dice che negli
scacchi il re il pezzo a cui si pu dare scacco. Non ci sono due entit (la figura del
re da una parte, la regola del dar scacco dallaltra) che dallesterno qualcuno
combina tra loro ma qualcosa come un nastro di Mbius che si autoarticola nella
regola che definisce una figura (il re) come quella a cui si d scacco. La medesima
considerazione per la proposizione: una proposizione pu essere vera non pu dire
altro che noi predichiamo vero e falso soltanto di quella cosa che chiamiamo
proposizione. Luso delle parole vero e falso parte costitutiva (Bestandteil)
del gioco linguistico e pertanto esso per noi appartiene (gehrt) alla proposizione ma
non si adatta (pat) ad essa (PU, I, 136).
Frege aveva sostenuto la medesima tesi: Vero si distingue dagli altri
predicati per il fatto che viene sempre implicitamente affermato ogniqualvolta si dice
qualcosa (Scritti postumi, p. 235).
4.
Dagli assiomi (A1)-(A4) e dai relativi corollari discende unasserzione teorica
che va provata:
(T1) Nessuna lingua storiconaturale pu parlare del mondo (e una lingua
che non parla del mondo non una lingua storiconaturale) se non
contiene un vocabolario e una sintassi con cui praticare le operazioni
della regola della verit.
Torniamo a Io ho mal di denti. Ci che rende evento altamente speciespecifica la proposizione non il suo comunicare o manifestare ad altri un dolore
vissuto in prima persona (questo risultato si potrebbe ottenere anche e meglio
mediante grida inarticolate) ma il fatto che, in linea di principio, la proposizione
possa non corrispondere a un mal di denti realmente vissuto: non avere mal di denti
e dire Io ho mal di denti. La medesima considerazione vale per lesempio da cui
siamo partiti: Maria una strega ha senso se chi la capisce sa che possibile
asserire la proposizione (Maria non una strega) che la nega.
Tra il contenuto della proposizione Io ho mal di denti e lesperienza del mal
di denti e, in genere, tra ci che una proposizione dice e i fatti di cui la proposizione
parla c una connessione intessuta di discontinuit. La negazione uno degli
operatori che rendono possibile la connessione discontinua che lega linguaggio e
realt. Proposizione (Satz) tutto ci che pu essere vero o falso osserva
Wittgenstein vuol dire la stessa cosa che Proposizione tutto ci che si pu
27
Uso il termine senso (Sinn) nellaccezione fregeana di pensiero espresso da una proposizione: Frege 1892.
Per le ragioni che consigliano di tradurre wie es sich verhlt con in quale relazione le cose stanno e was der Fall ist
con cosa il caso cfr. qui pp. 00-00.
Si allontana dal testo la traduzione di Ogden: therefore one can actually see in the proposition all the logical features
posseded by reality if it is true. La traduzione di Colombo un calco di quella inglese: perci possibile vedere nella
proposizione, se vera, la struttura logica della realt. Nel testo non si parla n di realt n tantomeno di logical
features posseded by reality o struttura logica della realt.
fig.1
Le traduzioni di Ogden, Colombo e Conte non consentono di apprezzare adeguatamente il pensiero di Wittgenstein:
The truth-conditions determine the range, which is left to the facts by the proposition (Ogden); Le condizioni di
verit determinano il campo che la proposizione lascia libero ai fatti (Colombo); Le condizioni di verit determinano
il margine che lasciato ai fatti dalla proposizione (Conte).
8.
Il valore di verit di ciascuna proposizione, tracciando lo Spielraum entro cui
la proposizione si rapporta ad una molteplicit indefinita di altre proposizioni, ha un
effetto sistemico. Se la proposizione La neve bianca vera, allora non solo la neve
effettivamente bianca ma debbono contemporaneamente essere falsi enunciati
come Quando nevica le montagne si tingono di rosso oppure La nevicata di questa
notte ha colorato di verde il tetto della casa, etc. La spiegazione wittgensteiniana fondata sugli effetti sistemici del valore di verit - del capire una proposizione
mostra ci che accomuna una battuta di spirito e una dimostrazione matematica.
Che la verit/falsit di una proposizione scientifica non sia una qualit privata
della singola proposizione fatto troppo ovvio per dedicargli molto spazio. Un
esempio, tratto dalla matematica della Grecia classica, ci consentir comunque di
chiarire il concetto.
8.1 Il lavoro di una dimostrazione consiste nella scoperta di spazi nascosti dello
Spielraum di un enunciato. I matematici greci con un procedimento sottile e
ingegnoso trovarono le ragioni dellincommensurabilit di lato e diagonale del
quadrato nelle pieghe nascoste dello Spielraum generato dalla verit della
proposizione che asserisce che un numero intero o pari o dispari. La dimostrazione,
a cui fa riferimento anche Aristotele (AP, 41a 23-27; 50a 37-38), riportata
nellAppendice 27 del Libro X delledizione critica degli Elementa di Euclide curata
da Heiberg. Ne riporto qui un mio riadattamento.
TEOREMA: Se vero che un numero intero o pari o dispari, allora anche
vero che lato e diagonale del quadrato sono incommensurabili. (Incommensurabile
vuol dire che il loro rapporto non esprimible mediante un rapporto tra due numeri
interi)32.
D
L
fig. 2
32
33
D:L=x:y
(In parole: la diagonale D sta al lato L come il numero intero x sta
al numero intero y).
D2 = 2L2
x2 = 2y2
2w = x
4w2 = x2 = 2y2
2w2 = y2.
Abbiamo visto che nella equazione (3) (x2 = 2y2), y deve necessariamente
essere numero dispari e x numero pari. Se applichiamo lo stesso ragionamento alla
equazione (6) (2w2 = y2), siamo costretti a concludere che y non pu non essere pari.
CONCLUSIONE: se D e L fossero commensurabili sarebbero misurati da
numeri contemporaneamente pari e dispari. Ma dal momento che un numero o pari
o dispari, D e L sono grandezze incommensurabili. Lo Spielraum generato dalla
verit della proposizione I numeri interi sono o pari o dispari contiene le ragioni
dellincommensurabilit di lato e diagonale del quadrato.
34
Numeri primi fra loro sono quelli che hanno soltanto lunit come misura (=divisore) comune (Euclide, El., Def.
VII, 12).
Se il senso della frase Berlusconi dice che nel governo ha le mani legate si
esaurisse nel fatto che la frase descrive e la rende vera o falsa - detto in altre parole:
se il senso fosse, per cos dire, una questione privata della singola frase -, allora ogni
35
36
Sospettiamo che il pensiero di Aristotele sia su questa questione pi articolato di quanto non appaia da una lettura
isolata del passo che abbiamo citato. Ma di ci in altra sede.
che realizzer un giorno un nuovo ordine spirituale, la cui Volont regge il mondo,
eccetera.
Ancora un esempio. Un bambino viene addestrato a pregare un Dio che non
ama i negri e gli omosessuali (Mio Dio proteggimi dalle cattiverie dei negri e dalle
impurit degli omosessuali). Divenuto adulto, controlla le asserzioni implicitamente
contenute nella preghiera (con che cosa le controlla potrebbe essere questione
secondaria), e si convince che quei pensieri-asserzioni sono falsi e cambia preghiera
e/o religione. Perch alla preghiera dovrebbe essere estranea la regola del vero/falso?
Altro esempio fatto in questo ordine di discorsi: gli ordini. Qualcuno mi ordina:
Chiudi la finestra! e io mi accorgo che nella stanza dove siamo non ci sono finestre.
Il contesto in cui il comando dovrebbe essere eseguito mi costringe a spostarmi su un
livello che precede quello di decidere se ubbidire o non ubbidire allordine.
Morale, se una morale possibile trarre in queste discussioni: il significare,
negli animali linguistci diversamente che negli altri animali, strettamente intrecciato
con la regola della verit.