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Il rapporto anima-corpo

1. La proposta di Bergson
La posizione del filosofo francese Henri Bergson (1859-1941), sulla questione dei rapporti
tra anima e corpo merita un interesse particolare, poich si colloca nellambito di una filosofia che
intende mantenere un dialogo serrato con le scienze del tempo. Il contesto storico costituito dal
positivismo, a cui in un primo tempo ader lo stesso Bergson, che consent uno sviluppo notevole
degli studi di psicologia sperimentale e vide le neuroscienze muovere i primi passi significativi. In
ambito neurologico, Paul Pierre Broca (1824-1880), grazie agli studi sulle afasie, aveva elaborato la
cosiddetta teoria delle localizzazioni cerebrali, che identificava la sede del linguaggio in una zona
precisa della corteccia cerebrale, inaugurando la cosiddetta neuropsicologia del linguaggio1. In
ambito psicopatologico, Jean Marie Charcot (1825-1893) svilupper ulteriormente la teoria di
Broca, giungendo a identificare le aree corticali della sensibilit motoria e della vista; allo stesso
tempo, per, attraverso la cura dellisteria, porr inconsapevolmente le premesse dellintuizione che
condurr il suo discepolo Freud ad affermare che non tutte le patologie psichiche hanno origine
organica.
Nel terreno della psicologia, Thodule Ribot (1839-1916), Pierre Janet (1859-1947) e Alfred
Binet (1857-1911), erano convinti assertori del metodo sperimentale e la loro posizione riguardo
alla struttura della persona umana si manifestava in affermazioni nettamente positiviste, come
quella che lio non una sostanza, ma solo una serie di eventi mentali che, dissociandosi, danno
luogo alle malattie della mente.
In tale clima, la questione dellidentificazione tra cervello e coscienza, dellorigine del
pensiero e dei rapporti tra il corpo e lo spirito divenne il punto focale di accesi dibattiti, tanto in
ambito scientifico che filosofico.
Henri Bergson, inizialmente positivista spenceriano, ma ben presto convinto sostenitore
della realt dello spirito e della libert umana2, dedicher ai rapporti tra il corpo e lo spirito un
intero saggio, oltre a vari altri scritti di minore estensione. Si tratta di Materia e Memoria (1896), in
cui egli sceglie il tema della memoria come osservatorio privilegiato per analizzare quale sia la
relazione tra il corpo e lanima. Lottica quella del dialogo con la scienza del tempo, in questo
caso con la psicologia sperimentale, che egli considera uninterlocutrice diretta, pur nella necessaria
diversit dei punti di vista, come ribadisce nella prefazione alla settima edizione del saggio (1911):
Senza contestare alla psicologia, non pi che alla metafisica, il diritto ad ergersi a scienza
indipendente, riteniamo che ciascuna di queste due scienze debba porre dei problemi allaltra e, in
certa misura, possa aiutare a risolverli. Come potrebbe essere diversamente, se la psicologia ha per
oggetto lo studio dello spirito umano in quanto utilmente funzionante per la pratica, e se la
metafisica non altro che questo stesso spirito umano che compie lo sforzo per emanciparsi dalle
condizioni dellazione utile, e per tornare in possesso di s come pura energia creatrice?3.
Sin dalla prefazione, lautore precisa di aver condotto la propria indagine in risposta a due
impostazioni del rapporto tra corpo e spirito, ritenute ugualmente inesatte.
1

La cosiddetta scoperta del centro del linguaggio da parte di Broca avvenne nel 1861, grazie a unautopsia su un uomo
che per molti anni era stato incapace di parlare, che rivel una lesione al piede della terza circonvoluzione frontale
sinistra della corteccia. Dal punto di vista scientifico, tale teoria stata ampiamente superata dalle successive indagini
che hanno individuato, invece, nel cervello un complesso di aree polivalenti, deputate ciascuna a varie funzioni.
2
Il distacco dal positivismo si era manifestato esplicitamente con il Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), in
cui il filosofo, partendo dallanalisi del tempo, giungeva ad affermare lesistenza di un tempo della coscienza, la
cosiddetta durata, irriducibile al tempo spazializzato, oggetto della scienza e dunque segno dellirriducibilit dello
spirito alla materia. Con il successivo saggio Introduzione alla metafisica (1903), Bergson aveva riproposto lattualit
della metafisica, che invece il positivismo aveva giudicato nettamente superata.
3
Materia e memoria, a cura di A. Pessina, Laterza, Bari 1996, p. 10.

La prima quella del parallelismo psico-fisico, sostenuto in passato da alcuni filosofi


razionalisti, come Spinoza e Leibniz e, allepoca di Bergson riproposto, seppure sulla base di
premesse diverse. Secondo tale teoria, i fenomeni psichici e quelli fisici devono essere considerati
come due insiemi di fatti separati e disomogenei, che non interagiscono mai reciprocamente, ma
che, tuttavia, procedono parallelamente, in modo tale che a ogni evento psichico o mentale
corrisponda sempre, in modo costante, un evento neurofisiologico e viceversa.
Per i razionalisti questa teoria si collocava allinterno di una visione metafisica, ossia si
fondava sullidea cardine che le due sostanze esistenti, quella spirituale e quella materiale, fossero
realt qualitativamente eterogenee e come tali incomunicabili. Il parallelismo, denominato cos da
Spinoza e armonia prestabilita da Leibniz, veniva a spiegare quei fenomeni, come la conoscenza o
lespressione delle emozioni, dove comunque evidente linterazione tra corpo e spirito.
Tra fine Ottocento e primi del Novecento, la teoria del parallelismo psicofisico viene
riproposta invece come un postulato metodologico4, che metteva in salvo da due rischi, quello del
dualismo e quello del riduzionismo. Da un lato, infatti, non escludeva lesistenza n del fisico n del
mentale, pur non pronunciandosi sui loro rapporti; dallaltro, autorizzava sia la psicologia che la
neurofisiologia a svolgere le rispettive indagini in modo indipendente e senza preoccupazioni di
carattere filosofico.
La seconda posizione quella del riduzionismo materialistico, tipico dei positivisti
dellepoca. Esso considerava lintera attivit psichica come la funzione complessa della corteccia
cerebrale, per cui la cosiddetta anima o spirito, dotata delle facolt di intendere e di volere, non
sarebbe altro che un epifenomeno dei processi nervosi. Per K. Vogt, ad esempio, i pensieri si
trovano rispetto al cervello nello stesso rapporto della bile rispetto al fegato o dellorina rispetto ai
reni. Jakob Moleschott riteneva la vita psichica il momento della massima strutturazione della
materia; per Ludwig Buchner, il pensiero prodotto dalla materia dotata di forza, cos come il
movimento prodotto dalla macchina a vapore5.
Anche il medico Claude Bernard, in un articolo scritto alla fine della sua carriera,6dichiarava
il suo ferreo determinismo: tra sistema nervoso e attivit psichica bisogna postulare lo stesso
necessario rapporto organo-funzione che esiste tra sistema vascolare e circolazione sanguigna,
anche se il meccanismo del pensiero non ancora del tutto conosciuto. Ciecamente fiducioso nella
scienza sperimentale, Bernard ritiene che si tratti di unignoranza relativa, che si ridurr
gradualmente con i progressi della fisiologia: Come concepire infatti che al fisiologo sia data la
possibilit di spiegare i fenomeni che si realizzano in tutti gli organi del corpo, eccetto una parte di
quelli che avvengono nel cervello? Distinzioni simili non possono esistere nei fenomeni della vita.
Questi fenomeni presentano senza dubbio gradi di complessit assai diversi, ma essi sono tutti allo
stesso titolo accessibili o inaccessibili alle nostre investigazioni, e il cervello, per quanto
meravigliose ci appaiono le manifestazioni metafisiche di cui la sede, non pu costituire
uneccezione tra gli organi del corpo7.
Il saggio Materia e Memoria tiene esplicitamente conto di tale clima, nellintento di
mantenere lirriducibilit dello spirito al corpo e, allo stesso tempo, di coglierne il punto di contatto,
la possibile interazione, evitando di cadere tanto nel materialismo come nello spiritualismo.
Lo scritto prende le mosse da una teoria della percezione, per analizzare la differenza che
esiste tra percezione e memoria. Bergson si propone di mostrare che tra percezione e memoria non
c solo una differenza di intensit, ma c una differenza di natura, per cui il ricordo non una
percezione sbiadita, ma qualcosa di essenzialmente diverso da essa. Questa distinzione sta a cuore
al filosofo, perch se latto del ricordare riguarda una realt diversa da quella fisica, non soltanto

Sostenitori di tale teoria furono, tra gli altri, Gustav Fechner (1801-1877)e lo psicologo Wilhelm Wundt (1832-1920).
Cfr. G. Cimino, La mente e il suo substratum. Studi sul pensiero neurofisiologico dellOttocento, Domus Galileiana,
Pisa 1984, pp. 92-93.
6
Des fonctions du cerveau, in Revue des deux mondes , a. XLII, vol. XCVIII, 15 marzo 1872, pp. 372-385.
7
Ivi, p. 385.
5

sfuggir a qualsiasi localizzazione cerebrale ma, anzi, costituir la dimostrazione stessa


dellesistenza dello spirito.
Nella percezione, che si d solo in presenza degli oggetti, il corpo non passivo come una
lastra fotografica o uno specchio, ma reagisce attivamente allo stimolo (affezione) che gli oggetti
esterni esercitano su di esso; dalla percezione scaturisce poi lazione.
La rappresentazione, invece, o ricordo, si d anche quando loggetto assente: i materialisti
la consideravano invece una percezione indebolita, sostenendo che la memoria fosse una semplice
funzione del cervello e che i ricordi visivi, auditivi, motori fossero depositati allinterno della
corteccia cerebrale. Per Bergson, invece, il ricordo qualitativamente diverso dalla percezione: per
provarlo, egli si serve degli studi personalmente condotti su vari casi di amnesie e di afasie o delle
osservazioni di studiosi contemporanei sulle malattie del riconoscimento. Ora, se ci sono
veramente dei ricordi depositati nelle cellule della corteccia, si constater, per esempio nellafasia
sensoriale, lirreparabile perdita di certe determinate parole, la conservazione integrale di altre. Di
fatto non cos che vanno le cose. Talvolta la totalit dei ricordi che scompare, essendo
puramente e semplicemente abolita la facolt di udizione mentale, talvolta si assiste a un
indebolimento generale di questa funzione; ma normalmente la funzione che diminuisce e non il
numero dei ricordi. Sembra che il malato non abbia pi la forza di riafferrare i suoi ricordi acustici,
che giri attorno allimmagine verbale senza giungere a posarsi su di essa. Spesso, per fargli ritrovare
una parola, basta che lo si metta sulla buona strada, che gli si indichi la prima sillaba, o
semplicemente che lo si incoraggi8.
Se, come asserivano i materialisti, i ricordi fossero inscritti in determinate zone del cervello,
una lesione di queste ultime dovrebbe distruggerli in modo totale e irreversibile. Invece, le indagini
cliniche sulle afasie dimostrano che le amnesie seguono un ordine particolare e che, laddove si
recupera la funzione mnestica, i ricordi riemergono tutti o almeno in parte: Le parole, per
scomparire, seguono un ordine metodico e grammaticale, quello stesso che indica la legge di Ribot9:
prima si eclissano i nomi propri, poi i nomi comuni, infine i verbi. () Come spiegare il fatto che
lamnesia segua un corso metodico, incominciando con i nomi propri e finendo con i verbi? Non se
ne vedrebbe molto il modo, se le immagini verbali fossero veramente deposte nelle cellule della
corteccia: in effetti, non sarebbe strano che la malattia intaccasse sempre queste cellule, nello stesso
ordine?10.
Ci dimostra che i ricordi non hanno sede nel cervello, che la memoria non una funzione
esclusivamente cerebrale e che la coscienza ha bisogno del cervello per esprimersi, ma non per
essere. Anzi, si pu affermare che il corpo, pi che organo della memoria, organo delloblio.
Infatti, essendo, come si detto, centro di azione e non di rappresentazione, ha il ruolo non di
conservare i ricordi, ma di selezionarli: conserva, cio, solo quegli schemi motori e rievoca
solamente quelle immagini che sono funzionali allazione. I ricordi, per attualizzarsi, hanno
bisogno di un coadiuvante motorio ed esigono, per essere richiamati, una specie di atteggiamento
mentale esso stesso inserito in un atteggiamento corporeo11.
Significative, a tale riguardo, sono alcune immagini utilizzate da Bergson, per esemplificare
la relazione tra corpo e spirito. La prima quella del chiodo e dellabito che vi viene appeso: al
cadere il primo, cadr inevitabilmente anche laltro, ma grottesco pretendere di ricostruire, come
vorrebbero i sostenitori del parallelismo psicofisico, dalla forma del chiodo, ossia dalle funzioni del
cervello, quella dellabito, poich in una coscienza umana c infinitamente di pi che nel
cervello12. Allo stesso modo, dai movimenti della bacchetta di un direttore dorchestra, peraltro
indispensabili per lesecuzione della sinfonia, sarebbe impossibile risalire allintera melodia, che
8

Materia e memoria, cit., p. 100.


Thodule Ribot, considerato il fondatore della psicologia positiva, nel 1881 aveva pubblicato Le malattie della
memoria.
10
Materia e memoria, cit., pp. 100-101.
11
Ibidem.
12
Cfr. Ivi, pp. 7-8.
9

eccede non solo la materialit dei gesti, ma anche il loro valore simbolico13. Infine, il ruolo del
cervello in relazione alle operazioni della coscienza si pu dire che sia quello di un ufficio
telegrafico, la cui funzione passare la comunicazione oppure farla attendere, necessaria per lo
smistamento dei messaggi ma non origine di essi14; oppure di un interruttore, che permette di
erogare la corrente di un circuito, ma che non la produce da se stesso15.
La posizione di Bergson si pu dunque riassumere in queste due asserzioni. La prima si
trova programmaticamente nella prefazione del 1911 di Materia e memoria: La relazione tra il
mentale e il cerebrale non una relazione costante, non pi di quanto sia una relazione semplice16.
La seconda appare nella conclusione, come epilogo della sua indagine: Il ricordo non poteva
risultare da uno stato cerebrale. Lo stato cerebrale prolunga il ricordo; gli dona presa sul presente,
grazie alla materialit che gli conferisce; ma il puro ricordo una manifestazione spirituale. Con la
memoria siamo veramente nel campo dello spirito17.
2. Il rapporto mente-corpo oggi tra neuroscienze, intelligenza artificiale, scienze cognitive
Con lespressione rapporto mente-corpo non sintende la semplice riproposta dellantico
dibattito sul rapporto anima-corpo. Questultimo, che, come si visto, si sviluppato nella storia
del pensiero dallantichit fino allet moderna, si caratterizzava per un approccio
fondamentalmente metafisico. Lanima era considerata unentit, designata come sostanza,
entelecha o res, per utilizzare i termini tradizionali, principio di una serie di funzioni come il
pensare e il volere.
Con lespressione pi recente di rapporto mente-corpo, la problematica subisce quella che
stata definita una riduzione epistemologica: il termine mente, infatti, cos come viene utilizzato, non
equivale ad anima nel senso tradizionale del termine. Esso si rif allinglese mind che, nel Trattato
sulla natura umana del filosofo empirista D. Hume, indicava linsieme degli stati e/o delle funzioni
coscienti delluomo.
Rapporto mente-corpo, dunque, significa relazione tra le funzioni, fondamentalmente
psicologiche e neurofisiologiche, non relazione tra i soggetti (anima-corpo) di tali funzioni18.
Questa riduzione epistemologica risponde allintento metodologico della scienza moderna che, da
Galileo in poi, ha delimitato il suo campo dindagine al misurabile e quantificabile: si tratta,
dunque, di una nuova impostazione che esclude la dimensione metafisica. Se tale esclusione non
comporta una negazione, pu senzaltro dialogare serenamente con lantica e, anzi, pu mettere in
salvo dal rischio del dualismo. Se, invece, la riduzione giunge a negare che esista una dimensione
metafisica del problema, affermando che la nozione di anima sia frutto di semplici costruzioni
linguistiche o di provvisorie ipotesi di lavoro, siamo in presenza di un riduzionismo vero e proprio.
In questi casi, la questione subisce spesso unaltra riduzione: quella di intendere il rapporto mentecorpo come rapporto mente-cervello, escludendo arbitrariamente quegli aspetti della corporeit
umana che invece hanno una notevole importanza nellespressione delle facolt psichiche e
intellettive, come, ad esempio, la funzione delle mani.
13

Cfr. Fntomes de vivants, conferenza pronunciata il 28 maggio 1913, in Mlanges, a cura di A. Robinet, PUF, Paris
1972, p. 1013. La stessa immagine si trova anche nella conferenza del 9 maggio 1919, Sur lme humaine, in Mlanges,
p. 1319.
14
Materia e Memoria, cit., p. 85.
15
Cfr. Histoire des thories de la mmoire, corso al Collge de France 1903-1904, in Mlanges, cit., p. 622.
16
Materia e Memoria, cit., p. 26.
17
Ivi, p. 201. La teoria di Bergson sui rapporti tra corpo e spirito suscit vivaci reazioni, di accoglienza e di critica.
Sebbene in alcuni punti saranno suscettibili di correzioni da parte delle successive indagini neurofisiologiche, esse
furono in molti aspetti confermate dagli studi di fisiologi come P. Marie, K. N. Monakow e R. Mourgue. Lo psichiatra
E. Minkowski dichiarer esplicitamente di essere debitore a H. Bergson per molte delle sue ricerche sulla temporalit
dellesistenza (cfr. Il tempo vissuto, Einaudi, Torino 1971, p. 7).
18
Cfr. G. Basti, Il problema mente-corpo, in Corpo e anima. Necessit della metafisica. Annuario di filosofia 2000,
Mondadori, Milano 2001, pp. 267-268.

Riassumiamo di seguito, senza pretesa di completezza, le principali teorie che hanno


animato il dibattito sul rapporto mente-corpo:
TEORIA

ESPONENTI

Comportamentismo metodologico
Comportamentismo logico
Eliminativismo: fisicalismo e
teoria dellidentit dei tipi
Funzionalismo computazionale
Funzionalismo psicologico
Emergentismo
Dualismo interazionistico

Burrhus Frederik Skinner (1904-1987)


Gilbert Ryle
(1900-1976)
Willard van Orman Quine (1908-1990)
Herbert Feigl
(1902-78)
Alan Turing
(1912-1954)
Hilary Putnam*
(1926-)
John Searle (1932-), Mario Bunge (-)
Karl Popper
(1902-1994)
John C. Eccles
(1903-2000)
*Putnam in seguito ripudier il funzionalismo

a) Il comportamentismo (behaviorismo), iniziatosi negli anni Trenta con i lavori di J. Watson


e poi con gli esperimenti di B. F. Skinner, sosteneva un rigido determinismo, affermando che il
comportamento delluomo fosse regolato dal meccanismo stimolo-risposta. Questa teoria acquist
dignit filosofica grazie al pensiero di Gilbert Ryle, con la sua opera The Concept of Mind (1949).
Considerato liniziatore del cosiddetto comportamentismo metodologico, G. Ryle denunci come
fumosa ogni teoria che intendesse spiegare la mente e la coscienza ricorrendo ad un elemento
indeterminato, sia esso lo spirito o la mente, definendola come il dogma del fantasma della
macchina. Egli espone tale spiegazione in modo caricaturale: Il corpo umano non un congegno,
ma certo non come gli altri, giacch alcune delle sue opere sono governate da un altro congegno di
tipo specialissimo, nascosto dentro al primo, indivisibile, affatto silenzioso, senza misura e peso,
non riducibile a pezzi, non soggetto alle leggi degli ingegneri. Non si sa nulla del modo in cui
governa il motore corporeo.
Ryle sostiene, invece, che lessere umano non sia altro che una macchina particolarmente
complessa, le cui leggi ed operazioni possono essere dedotte totalmente dallosservazione
scientifica e dal comportamento esterno. In definitiva, per Ryle il problema del rapporto mentecorpo un falso problema, in quanto non esiste la mente: ci che attribuiamo solitamente alla
mente, considerandolo come sue propriet, indica semplicemente un insieme di comportamenti (la
timidezza, la gelosia, la capacit di risolvere problemi, ecc.) o un complesso di disposizioni a
comportarsi in un certo modo. Per risolvere il problema, sufficiente, dunque, eliminare come
logicamente ridondanti tutti i termini mentalistici, perch ci che viene indicato come mente o io
non sarebbe oggettivabile: sono invece oggettivabili solo le disposizioni ad agire di un insieme di
organi e i comportamenti corrispondenti.
Le obiezioni al comportamentismo logico non tardarono ad arrivare, perch esso trascura
radicalmente lesperienza soggettiva. Per Ryle, non ci sarebbe differenza tra una persona che prova
realmente dolore, un attore che si comporta come se provasse dolore e un clown che imita chi prova
dolore. Lelemento soggettivo, costituito dal fatto che il dolore fa male, diviene assolutamente
superfluo19. E vero che non sempre unesperienza soggettiva si pu rendere oggettiva, come, ad
esempio, spiegare esattamente in cosa consista la personale esperienza dellinnamoramento o del
godimento artistico: tuttavia, il fatto che io abbia questa esperienza attesta che sono un essere
consapevole; in pi, il fatto che altri mi chiedano cosa provo, attesta che ha un senso rivolgermi tale
domanda, che invece non avrebbe senso rivolgere a un computer.
b) La teoria dellidentit dei tipi, definita anche monismo fisicalistico o eliminativismo,
stata elaborata anche in risposta al comportamentismo logico, pur presentando la stessa radicalit.
19

Cfr. H. R. Wulff- S. A. Pedersen, R. Rosenberg, Filosofia della medicina, Raffaello Cortina, Milano 1995, p. 256.

Essa stata proposta fin dagli anni Trenta da Herbert Feigl, esponente del Circolo di Vienna e poi
ripresa negli anni Sessanta da Ullin Place e David Armstrong, appartenenti alla scuola australiana di
filosofia della mente. Feigl, nellopera The Mental and the Physical (1959), ribadisce
lesistenza reale della mente umana, affermando che luomo molto di pi di un meccanismo
automatico, che si regola in base a stimoli e risposte. Tuttavia, lio o mente, per Feigl, si identifica
con il cervello. Fra tipi di stati mentali e tipi di stati fisici sussisterebbe una relazione didentit:
essere in un certo tipo di stato mentale, come, ad esempio, provare dolore, equivale ad essere in un
certo tipo di stato fisico, costituito dallo stato di stimolazione di particolari fibre nervose.
Addirittura, per Feigl, se si potessero descrivere e analizzare i processi cerebrali con sufficiente
precisione, si potrebbero prevedere senza alcuna difficolt le azioni umane e il loro sviluppo.
Lobiezione pi rilevante che si pu muovere alla teoria dellidentit dei tipi la seguente:
se ad ogni tipo di stato mentale corrisponde un tipo di stato fisico, come possibile che due persone
che si trovano nel medesimo stato cerebrale (ad esempio, percepire lo stesso profumo o sentire lo
stesso suono) siano contemporaneamente in stati mentali diversi (ossia, in presenza della stessa
stimolazione neurale, associno il profumo o il suono a cose diverse)? O ancora: come risolvere
quello che Francis Crick chiama il problema del collegamento (binding problem), ossia la
questione di cosa mantenga le strutture dellorganismo al loro posto e di come esse si siano
formate?20
Per il filosofo del linguaggio John Searle, la cui posizione sul rapporto mente-corpo verr
analizzata pi tardi, il riduzionismo fisicalista ha ignorato quattro aspetti fondamentali dei fenomeni
mentali: la coscienza, lintenzionalit, la soggettivit, la causalit mentale. La coscienza continua a
rimanere inspiegabile in una prospettiva fisicalista: lespressione io mi ricordo, ad esempio, non
si pu ridurre alla semplice operazione neurologica dellattivazione della memoria, ma anche
autodesignazione del soggetto21.
In secondo luogo, lintenzionalit, ossia quella propriet per cui i nostri stati mentali si
riferiscono sempre a qualcosa, non esprimibile in termini fisicalistici, come si vedr in seguito.
La soggettivit si riferisce al fatto che nessun altro pu provare il mio stesso dolore e che il
vissuto del dolore irriducibile alla semplice reazione neurofisiologica del dolore. La causalit
mentale si manifesta nel fatto che i nostri stati mentali hanno effetti causali sul mondo fisico: ad
esempio, la decisione di alzare un braccio fa s che il mio braccio si alzi22.
Lo stesso W. V. O. Quine, pur nella sua posizione eliminativista, si vede costretto ad
ammettere che la riduzione del mentale al fisico non riesce a rendere commensurabili tra loro un
processo cerebrale, come pensare, con il corrispondente fatto psichico, che sempre pensare-aqualcosa, per cui il linguaggio della neurofisiologia risulter sempre incommensurabile con il
linguaggio soggettivo dellindividuo. Facciamo un esempio. Ogni episodio individuale di qualcuno
che sta pensando a Vienna, per esempio, un evento neurale, che potrebbe essere descritto con
termini strettamente neurologici, se conoscessimo abbastanza circa il caso specifico e il suo
meccanismo. Ci quanto afferma convenzionalmente la mentalit comune odierna. Nondimeno
non esiste, n esister mai, alcuna possibilit di tradurre il predicato mentalistico generale pensare
a Vienna in termini neurologici. Gli eventi mentali sono eventi fisici, ma il linguaggio mentalistico
li classifica in modi incommensurabili con le classificazioni che possono essere espresse in
linguaggio fisiologico23. La critica estremamente centrata, anche se evidente che Quine ritenga
che il problema mente-corpo sia, in fin dei conti, un problema esclusivamente logicoepistemologico e non metafisico.
Infine, come ulteriore critica alleliminativismo, vanno citati i recenti studi su alcune
neuropatologie, come lagnosognosia, ossia lincapacit di riconoscere come propria una parte del
20

Cfr. La scienza e lanima. Unipotesi sulla coscienza, Rizzoli, Milano 1994.


Cfr. P. Ricoeur, La memoria, la storia, loblio, Raffaello Cortina, Milano 2003, pp. 37-66.
22
Cfr. J. Searle, La riscoperta della mente, Boringhieri, Torino 1994 (tit. orig.: The Rediscovery of the Mind, MIT
Press, Cambridge (Mass.) 1992).
23
W. V. O. Quine, Quidditates, Garzanti, Milano 1991, p. 133.
21

corpo paralizzata dopo un ictus, che mostrano come si produca un fenomeno dissociativo tra mente
e corpo. Di fronte, infatti, a un cambiamento brusco della propria corporeit, come la perdita di
funzionalit in un arto, i processi mentali richiedono un certo periodo di adattamento, per cui il
soggetto inizialmente non riesce a riconoscere che quella parte del corpo divenuta inabile sua. Ci
costituisce una prova che mente e corpo non si identificano.
c) Il funzionalismo ha inteso correggere il monismo della teoria dellidentit dei tipi,
proponendo di considerare il rapporto mente-corpo come la relazione tra software e hardware di un
computer. Il sistema nervoso centrale possiede propriet fisiche, ma ha anche altre propriet di
natura non fisica, funzionali appunto, che sono definibili senza far ricorso alla fisiologia e
allanatomia del cervello. Allo stesso modo, un computer una macchina dotata di propriet fisiche,
i suoi circuiti elettronici, ma anche di propriet funzionali, le operazioni che i suoi programmi sono
capaci di compiere.
Il funzionalismo computazionale fu sostenuto dal matematico inglese A. Turing, che elabor
negli anni Cinquanta la teoria conosciuta come Macchina di Turing (MT), secondo la quale un
computer debitamente programmato sarebbe in grado di simulare artificialmente lo stesso
comportamento intelligente umano e quindi vi sarebbe un fondamentale isomorfismo
(corrispondenza biunivoca) tra luno e laltro. Per Turing, dunque, in un confronto diretto tra un
essere umano e un computer, non si riuscirebbe a distinguere le risposte date dal computer da quelle
date dalluomo: ci significa che legittimo asserire che anche le macchine pensano24.
Le due obiezioni pi note alla teoria di Turing si devono a John Searle e a Karl Popper.
Il primo ha opposto alla MT il cosiddetto argomento della stanza cinese. Per Searle, quando
si parla di IA (Intelligenza Artificiale), fondamentale distinguere tra IA debole e IA forte: se si
considera il computer semplicemente come un utile strumento per lo studio della mente umana,
ossia un IA debole, non c nulla da obiettare; problematica , invece, la nozione di IA forte, ossia
lassimilazione del computer alla mente, contro la quale Searle utilizza lesperimento mentale della
stanza cinese. Se un uomo di lingua inglese venisse chiuso in una stanza e ricevesse un pacco di
fogli scritti in cinese, lingua a lui sconosciuta, seguito da un secondo pacco di fogli in cinese e
infine da un foglio di istruzioni in inglese per mettere in relazione i due pacchi, questa persona sar
in grado di collegare i due pacchi, sulla base delle istruzioni. Sar anche capace, sulla base di altre
istruzioni in inglese, di rispondere ad eventuali domande manipolando i simboli cinesi, ma sempre
ignorando la lingua. Dallesterno, le sue risposte alle domande non saranno dissimili da quelle di un
cinese madrelingua, mentre vi una differenza fondamentale: sta manipolando dei simboli formali
senza interpretarli. Se, invece, le stesse domande gli venissero rivolte in inglese, le sue risposte
sembrerebbero dallesterno ugualmente buone come quelle in cinese, ma in questo caso, egli sta
interpretando i simboli e non li sta soltanto manipolando. La conclusione chiara: per quanto
riguarda il cinese, mi comporto semplicemente come un computer: eseguo operazioni calcolabili su
elementi formalmente specificati. Per il caso del cinese, io sono semplicemente unistanziazione di
un programma del computer25.
K. Popper ha utilizzato un argomento simile a quella di Searle contro la teoria di Turing,
mettendo in guardia dal tranello nascosto nella sfida del matematico inglese: dimmi in che cosa
esattamente il comportamento umano differisce da quello di un computer, dimmi con precisione
quello che un essere umano pu fare e quello che un computer non pu e io programmer un
computer in grado di farlo. La sfida, secondo Popper, fa cadere linterlocutore in una trappola
intellettuale, costringendolo ad offrire allantagonista quelle indicazioni che gli consentiranno di
costruire un programma di computer corrispondente. Sono i concetti indefiniti come la creativit,
lobiettivit e la ricerca della verit, nonch la valutazione critica delle proprie asserzioni a
caratterizzare il comportamento umano e ad essere impossibili per un computer.

24

Cfr. A. Turing, Calcolatori e intelligenza, in D. Hofstadter e D. Dennett, Lio della mente, Adelphi, Milano 1985, pp.
61-68.
25
J. Searle, Menti, cervelli e programmi. Un dibattito sullintelligenza artificiale, ClupClued, Milano 1984.

Anche i recenti studi neurofisiologici sulla sundattila (malattia per cui tutte le dita della
mano sono fuse insieme) costituiscono un ulteriore argomento contro lIA forte. Se, dopo aver
separato chirurgicamente le dita, si effettua una mappatura del cervello, attraverso una risonanza
magnetica funzionale, per osservare come si modifica la rappresentazione della mano, si nota,
infatti, che il recupero della funzionalit delle dita si produce grazie alla plasticit delle mappe
corticali in seguito allesperienza, cosa che non si potrebbe mai dare in un computer.
In definitiva, il funzionalismo non coglie la nozione di esperienza soggettiva qualitativa.
Uno stato mentale e fisico, come il mal di testa, potrebbe anche essere analogo dal punto di vista
funzionale al programma di un computer: ma la dolorosit del mal di testa e la diversit con cui esso
viene vissuto dai diversi soggetti mostra che ogni fenomeno mentale possiede una dimensione
soggettiva innegabile e, come tale, non assimilabile al programma di un computer.
Lo stesso filosofo americano Hilary Putnam, dopo aver contribuito allelaborazione del
cosiddetto funzionalismo psicologico26, ha in seguito completamente ripudiato tale teoria. Nel
saggio Representation and Reality27, d prova di onest intellettuale, mettendo in luce i limiti del
funzionalismo da lui stesso teorizzato28 Secondo Putnam, il funzionalismo, soprattutto quello di
Turing, non d ragione della psicologia umana, che non un semplice contenitore di significati.
Basti pensare ai problemi relativi alla traduzione di un intero testo, pi che delle singole parole, da
una lingua allaltra, per comprendere come il linguaggio sia qualcosa di molto complesso, in quanto
espressione dellintelligenza umana.
Identificare il mentale con il programma di un computer esclude quella capacit
fondamentale dellintelligenza che la capacit di simbolizzazione e la capacit di ragionamento.
Ci significa ammettere che lautoriflessione una caratteristica essenziale della mente umana, per
cui postulare lesistenza di un io che sa di sapere e di non sapere finisce per essere
inevitabilmente necessario.
d) La teoria emergentista si propone come unalternativa sia alleliminativismo che al
funzionalismo. Con il termine emergenza, si intende un livello superiore di organizzazione della
materia, che richiede la formulazione di nuove leggi, pur rimanendo valide le leggi del livello
inferiore. In questottica, i fatti psicologici emergerebbero con le loro leggi come un livello
superiore di organizzazione di un medesimo sostrato fisico.
J. Searle, che, come si visto, ha contribuito notevolmente a demolire sia il riduzionismo
che il funzionalismo, sostiene una tesi del genere, che si ispira in fin dei conti a un certo naturalismo
biologico: La coscienza una propriet di alto livello, o emergente, del cervello nello stesso senso
in cui la solidit una propriet emergente delle molecole di H20 quando assumono la struttura di
un reticolo (ghiaccio) o la liquidit una loro propriet emergente quando esse, per cos dire,
ruzzolano le une sulle altre in tutte le direzioni (acqua)29.
La coscienza, in definitiva, per Searle un normale fenomeno biologico30, una propriet
di alto livello del cervello, nel senso che emerge dallinterazione causale delle cellule cerebrali:
non si pu dedurre dalla semplice analisi della struttura e della localizzazione dei neuroni, ma dalle
relazioni che i neuroni hanno luno con laltro.
Lemergentismo di Mario Bunge , invece, nettamente materialista, pur intendendo superare
il riduzionismo di Feigl: ci che esiste solo materia, ma questa si esprime in livelli qualitativi
differenti, di cui il superiore presuppone linferiore e lo supera. Per Bunge, la mente si identifica
con il cervello, ma nellessere umano il cervello dotato di plasticit, ossia dellattitudine a
programmarsi e a organizzarsi31. Pur tentando una soluzione al problema pi articolata di quella
26

Cfr. H. Putnam, Minds and Machines, in S. Hook (a cura di), Dimensions of Mind, New York 1960.
Cfr. H. Putnam, Rappresentazione e realt, Garzanti, Milano 1993 (tit. orig.: Representation and Reality,
Massachusetts Institute of Technology, Massachusetts 1988).
28
E significativo il titolo del capitolo 5: Perch il funzionalismo non ha funzionato.
29
J. Searle, La riscoperta della mente, cit., p. 30.
30
Cfr. Ivi, p. 101.
31
Cfr. The Mind-Body Problem. A Psychobiological Approach, Oxford University Press, Oxford 1980.
27

offerta dalleliminativismo, anche lemergentismo in fin dei conti presuppone una visione monista
della realt, in cui le differenze tra i livelli di vita di fatto sono pi quantitative che qualitative, come
essi vorrebbero.
e) La posizione di Karl Popper e del neurofisiologo John C. Eccles, premio Nobel per la
medicina, stata, invece, definita come dualismo interazionistico. Nel loro saggio Lio e il suo
cervello32, la questione del rapporto mente-corpo viene collocata allinterno della teoria popperiana
dei tre mondi. Com noto, per Popper, il Mondo 1 il mondo materiale, il Mondo 2 quello dei
fenomeni mentali e della coscienza, il Mondo 3 costituito dai prodotti della mente, come la storia,
le teorie scientifiche, le opere darte, ecc. Dellesistenza del Mondo 1 non si pu dubitare, ma anche
di quella degli altri Mondi, che hanno effetti nel Mondo gerarchicamente inferiore. Il Mondo 2
(mente) interagisce sia con il Mondo 1 (mondo materiale) che con il Mondo 3 (prodotti culturali),
mentre il Mondo 1 e il Mondo 3 interagiscono sempre attraverso la mediazione del Mondo 2. La
mente non pu quindi identificarsi con il cervello e le sue operazioni, anche se interagisce con esso:
lio a possedere il cervello e non viceversa. Questa teoria avvalorata dallesperienza che la
privazione del Mondo 3 (ad esempio degli stimoli culturali e linguistici) influisce sullo sviluppo del
Mondo 2 (le funzioni mentali: autocoscienza, memoria, ecc.), per il quale lesistenza del Mondo 1
(il cervello) condizione necessaria, ma non sufficiente.
Eccles cita il caso, ad esempio, di bambini cresciuti in una situazione di isolamento
linguistico, come la bambina Genie, scoperta a 13 anni, dopo essere stata confinata da un padre
psicotico in una stanza senza contatti con il mondo esterno, fin dallet di 20 mesi. Ricoverata in
ospedale, Genie era muta e incapace di esprimersi: lemisfero cerebrale sinistro, che normalmente
dominante nel linguaggio, in lei era completamente atrofizzato dal punto di vista funzionale, mentre
quello destro era molto efficiente. Dopo anni di cure e di stimoli, Genie, pur non recuperando del
tutto la funzionalit dellemisfero cerebrale sinistro, si rivel come un essere umano sensibile e
dotato di emozioni, il che prova sia la plasticit del cervello umano che la capacit di reazione dello
spirito33. Conclude Eccles: un bambino privato del Mondo 3 non si sviluppa. E sappiamo che in un
ambiente culturale fortemente impoverito i bambini maturano divenendo partecipi delle severe
limitazioni di quella cultura, senza essere consapevoli delle limitazioni subite. Tuttavia, se vengono
trasferiti in un ricco ambiente del Mondo 3, i bambini di popolazioni primitive possono svilupparsi
fino a partecipare pienamente di tale ricchezza culturale34.
Si tratta di una teoria che mette in salvo sia lirriducibilit della mente al corpo che la libert
delluomo, ma si caratterizza per un dualismo di fondo, che ripropone il problema cartesiano di
come possano essere unite le due realt del corpo e della mente.
Ci che appare evidente nel dibattito sommariamente presentato linadeguatezza di
applicare concetti tipici delle scienze, siano esse sperimentali, come la neurofisiologia, o formali,
come la matematica, a fenomeni che eccedono il metodo e lambito di tali scienze. Forse la
conclusione pi adeguata, purch non rappresenti una soluzione di comodo, affermare che tra la
mente e il corpo, tra il fisico e il mentale vi sar sempre un explanatory gap (lacuna esplicativa),
secondo lespressione di J. Levine35. Il mistero della coscienza umana potrebbe essere destinato a
rimanere tale, per cui la conclusione pi onesta per lo scienziato che constata i limiti della propria
indagine non tanto negare lesistenza della realt che sfugge alle sue categorie, quanto ammettere
di trovarsi di fronte allinspiegabile. Ci che inspiegabile nella prospettiva parziale di una scienza
pu tuttavia essere ancora attingibile in una visione unitaria delluomo.

32

K. Popper-J. Eccles, Lio e il suo cervello, Armando, Roma 1984.


Cfr. J. Eccles, Il mistero uomo, cit., pp. 166-169.
34
Ivi, p. 171.
35
Cfr. J. Levine, Materialism and Qualia: The Explanatory Gap, in Pacific Philosophical Quarterly 64 (1983), pp.
354-361.
33

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