k ronstadt 52
© Massimo Ghimmy
la vita è altrove
L’esperimento carcerario di
Stanford: vittime e carnefici.
di M.S.
Q uali sono le comples-
se dinamiche socia-
li che entrano in gio-
co in una situazione particolare
come la vita carceraria è sicu-
ramente una domanda che la
maggior parte delle persone
non si è mai posta e mai pense-
rà di porsi.
Probabilmente questa mancan-
za di curiosità è dettata da una
semplice motivazione: le per-
sone che non hanno mai avu-
to a che fare con una esperien-
za del genere non indagano sui
problemi della vita in carcere
e, similmente, quelle che han-
no sperimentato sulla propria
pelle la reclusione l’hanno o
accettata passivamente o rifiu-
tata con ostilità, ma raramen-
te analizzata in termini sociali
-con motivazioni più che legit-
time, sia ben chiaro-.
Uno psicologo, però, il dottor
Philip Zimbardo della Stanford
University di Palo Alto in Cali-
fornia, nel 1971 compì il più fa-
moso e sconcertante studio si-
mulato sulla psicologia della
vita in prigione mai condotto.
Zimbardo e la sua equipe,
nell’agosto di quell’anno, men-
tre la maggior parte degli stu-
denti era assente dalla struttu-
ra, ricostruirono nei sotterranei
dell’università una piccola pri-
gione, in tutto e per tutto con-
cettualmente simile alle pri-
gioni reali. Grazie all’ausilio di
alcuni annunci sui giornali loca-
li reclutarono una settantina di
studenti universitari che accet-
tarono di sottoporsi al loro espe-
rimento in cambio di una “paga”
di 15 dollari al giorno. Al termi-
ne dei test attitudinali, volti a
scartare individuali psicologica-
mente deboli o con dipenden-
ze o passate esperienze di dro-
ghe ed alcool, selezionarono 24
di questi studenti, divisi a loro
volta, tramite un sorteggio com-
pletamente casuale, in 12 guar-
die e 12 reclusi. Zimbardo sotto-
lineerà in seguito questo punto:
fino al momento della divisione
i partecipanti avrebbero potuto
essere indifferentemente agenti
carcerari o detenuti, erano per
così dire uguali, uomini adulti,
di buona estrazione sociale, sen-
za particolari propensioni per
nessuna delle due parti.
L’esperimento cominciò il giorno
successivo la distinzione. Grazie
agli accordi stesi tra il professo-
re e la polizia locale i 12 “colpe-
voli” vennero prelevati dalle loro
case con un reale arresto davan-
ti agli occhi dei genitori e dei vi-
cini di casa.
Continua a pagina 3
Sovraffollamento nelle
carceri italiane
di Makka
La misura del problema
Il Comitato Europeo per la Pre-
venzione della Tortura classifica
il sovraffollamento delle carce-
ri come “trattamento inumano”
in quanto priva l’individuo dello
spazio minimo vitale. Quest’ul-
timo, secondo le norme peni-
tenziarie adottate dal Consiglio
d’Europa, è stato stabilito in 7
mq ad individuo. Lo Stato Italia-
no non è generoso in questo sen-
so. La “capienza regolamentare”
delle nostre carceri prevede in-
fatti ben 8 mq per il primo dete-
nuto, a cui vengono sommati pe-
rò solo 2 mq per ogni successiva
Morire di carcere
di Isabella Bossolino
“P
erché ogni pena non
sia una violenza di
uno o di molti contro
un privato cittadino, dev’essere
essenzialmente pubblica, pronta,
necessaria, la minima delle pos-
sibili nelle date circostanze, pro-
porzionata a’ delitti, dettata dalle
leggi” – Cesare Beccaria, Dei delit-
ti e delle pene, 1764.
Ci sono molte situazioni che
non dovrebbero essere accetta-
bili in un paese civile ma in Ita-
persona presente in cella. In pra-
tica già una cella regolarmente
occupata da due persone preve-
de 5 mq a testa e risulta non ri-
spettare le norme europee.
La capienza regolamentare è ri-
sultata comunque cronicamen-
te insufficiente, per cui è stato
ideato il concetto di capienza
“tollerabile” (aggettivo che sarà
doverosamente virgolettato fino
al termine dell’articolo), attual-
mente fissata, per decreto, in
un numero di detenuti superio-
re del 47% rispetto alla capienza
regolamentare.
Continua a pagina 4
lia a volte diventano la norma:
dall’amministrazione alla politi-
ca, passando immancabilmente
per la giustizia; la più grave, pe-
rò, e forse anche la più invalsa, è
quella che si può riscontrare nel-
la gestione delle carceri italiane.
Costantemente sovraffollate, ca-
ratterizzate da condizioni di vi-
ta spesso inaccettabili, le prigioni
del nostro Paese riescono sempre
a far parlare di sé, e mai positiva-
mente.
Continua a pagina 5
periodico mensile
Numero 52
Martedì 26
Gennaio 2010
ISSN 1972-9669
Quid custodiet
ipsos custodes?
M
entre fac-
cio cola-
zione sono
solita legge-
re sul sito
di Repubblica le ultime noti-
zie di attualità, e ogni matti-
na ho meno voglia di affron-
tare la giornata. Qualche mese
fa mi sono svegliata con le fo-
to di Stefano Cucchi, e la nau-
sea è stata fisiologica: non
tanto per la crudezza delle im-
magini, quanto per l’abominio
della vicenda. Da un lato l’ef-
feratezza di un crimine com-
piuto da chi i criminali do-
vrebbe sorvegliarli, dall’altro
l’ingiustizia dell’ennesima in-
carcerazione di qualcuno che,
se proprio doveva essere man-
dato da qualche parte, avreb-
be dovuto trovare posto in una
comunità di recupero. Stefa-
no Cucchi è l’ennesima punta
d’iceberg di un sistema corrot-
to e antidemocratico che gior-
no dopo giorno prende a calci
i nostri diritti: vogliono inti-
tolare strade a ex latitanti, le
leggi ad personam sono prati-
ca consolidata, l’etica del me-
rito e del lavoro viene costan-
temente mortificata in favore
della legge del più forte -par-
don, del più ricco-. C’è un libro
meraviglioso che quasi nessu-
no legge più. È scritto sulla
nostra pelle, con il sangue e il
sudore dei nostri predecesso-
ri: parla di amore per la cono-
scenza, meritocrazia, rispetto,
tolleranza, accettazione, liber-
tà. C’è poi un branco di bestie
che non conosce questi valori
e conduce un’esistenza basata
sulla violenza, l’ignoranza, la
repressione, l’arricchimento
personale. Potrebbe sembrare
che la democrazia abbia falli-
to, poiché queste bestie attual-
mente sono i nostri legislatori,
i custodi dei nostri diritti, in
realtà io credo che non ci sia
nessun fallimento: siamo solo
un po’ addormentati. Su quel
libro c’è scritto che la sovrani-
tà dello Stato appartiene al po-
polo. Ed è il potere del popolo,
la democrazia, che dal popo-
lo nasce e per il popolo vive.
Ogni uomo e ogni donna sono
custodi dei custodi. Usciamo
tutti di casa e iniziamo a gri-
dare più forte, e poi più forte
ancora. Rompiamo con la no-
stra voce i vetri dei palazzi di
cristallo, e riprendiamoci i di-
ritti che ci spettano. Lo Stato è
nostro figlio, evitiamo che fre-
quenti cattive compagnie.
Ginevra Sanvitale
 2 k
L’intervista impossibile
Un leghista intervista Valerio Bianchini della cooperativa sociale Made in Jail.
E voi chi sareste?
Siamo la Cooperativa
Sociale Seriarte Ecolo-
gica e nasciamo nel 1988 a Ro-
ma, nell’Istituto Penitenziario
di Rebibbia, con l’obiettivo di
risolvere una questione fonda-
mentale: il reinserimento dei
detenuti nel mondo del lavoro
e nella società.
Ce l’avete il permesso di sog-
giorno?
Io l’ho lasciato sul comodino.
Possiamo fare comunque l’in-
tervista?
Sì ma ti tengo d’occhio, capel-
lone. Cos’è che fate lì a Roma
Ladrona?
Organizziamo corsi di formazio-
ne professionale all’interno dei
tre principali istituti penitenziari
romani. Il nostro corso più famo-
so è quello di stampa serigrafi-
ca, che dà modo ai nostri ragazzi
WWW. MADEINJAIL.IT
Intervista a Giovanni, 20 anni, due mesi -o quasi- in carcere
P erché e come sei stato
arrestato?
Spaccio di stupefacenti.
Mi hanno preso per una soffia-
ta. La maggior parte delle vol-
te succede così, per questioni
di droga, anche se chiaramen-
te per i giri grandi le intercet-
tazioni le usano. In ogni caso
quando mi hanno fermato non
avevo droga con me e non sono
stato neanche colto in fragran-
za di reato, però loro sapeva-
no tutto, dove la tenevo e cosa
avevo. Sono stato portato nel-
la cantina che utilizzavo come
magazzino e in effetti lì hanno
trovato quel che cercavano.
Cosa hanno trovato e che pe-
na hai ricevuto?
Hanno trovato 20 grammi di
Marijuana e 230 di Hashish,
più un bilancino di precisio-
ne e 220 Euro in contanti. So-
no stato fregato dall’articolo
80: ingente quantitativo di dro-
ga, inoltre mi hanno dato le ag-
gravanti accusandomi di essere
un capo promotore, per que-
sto motivo invece che da sei a
quindici anni la mia condanna
testimonianze
(sia detenuti che ex-detenuti) di
esprimersi sulla realtà carceraria
attraverso la stampa di immagini
e slogan sulle t-shirts.
I miei figli non comprereb-
bero mai una maglia fatta
in carcere. Loro preferiscono
quelle della Nike!
Forse le preferiscono perché la
pubblicità gli ha bevuto il cer-
vello. Michael Jordan volava
in aria con le Air Max e tutti a
comprare le Air Max… Cristia-
no Ronaldo palleggia nello spa-
zio e tutti a comprare quello
stesso pallone…
Vuoi mettere? Palleggiare
nello spazio è quantomeno
spettacolare! I miei figli fan-
no bene a farsi affascinare da
quelle pubblicità!
Sì, ha ragione anche lei… ma
rubare una macchina con un
pezzo di filo interdentale è al-
era da nove a trenta, senza pos-
sibilità di sospensione di pena.
All’inizio infatti mi avevano da-
to nove anni, poi ho patteggia-
to e sono sceso a tre.
Come hai scontato/sconterai
la condanna?
Sono stato due mesi ai domi-
ciliari, adesso mi restano da
A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
trettanto spettacolare. Posso as-
sicurarle che i ragazzi che stam-
pano queste maglie sanno tutti
rubare macchine col filo inter-
dentale. Adesso i suoi figli com-
preranno sicuramente una ma-
glia Made in Jail, visto il loro
modo di ragionare…
I miei figli sono per la lega-
lità! Non comprerebbero mai
niente da voi criminali!
Si ma vede: lei chiama noi cri-
minali, preferendo comprare
una t-shirt del costo di 70 euro,
fabbricata nel sud-est asiatico
da un bambino sfruttato e sot-
topagato, arricchendo una mul-
tinazionale senza scrupoli che,
per definizione, è criminale!
Sporco comunista capellone!
(Non vedo il nesso…)
Con 10 euro potrebbe portarsi
a casa una nostra t-shirt ed aiu-
tarci a reinserire questi ragazzi
nella società. Stampate t-shirt,
per loro, significa non tornare a
delinquere. Se hanno sbagliato
e hanno pagato per i loro erro-
ri, è giusto che abbiano una se-
conda possibilità.
Dargli una seconda possibili-
tà!?!? Voi siete pazzi! Come vi
viene in mente di cercare di
reinserirli nella società?
Lei è cattolico, giusto?
Cattolico e difensore della
morale Cristiana!
Mi pareva.
Stefano Di Santi
50 giorni
scontare due anni e otto mesi
con i servizi sociali, sono in at-
tesa della sentenza della cassa-
zione. Prima dei domiciliari ho
passato 50 giorni nel carcere di
osservazione di Chieti, in atte-
sa del processo. Sono stato an-
che abbastanza fortunato, c’è
gente che ci resta molto più
tempo, lì ad aspettare.
periodico mensile
Un prof dietro le sbarre
P resso quale carcere
hai insegnato?
Il carcere don Soria di
Alessandria. Quel carcere era
detto “Le quattro colonne” per-
ché l’androne da cui si dirama-
vano i vari bracci era sostenuto,
appunto, da quattro colonne.
In che periodo?
Metà degli anni 80.
Cosa insegnavi?
Matematica nella classe di
scuola media e scienze nella
classe di scuola superiore. Allo-
ra c’erano le “150 ore”, un cor-
so per lavoratori adulti che si
svolgeva di sera. Lo stesso pro-
gramma si teneva la mattina
per i carcerati.
Che ricordi ne conservi?
Ottimi. Gli studenti erano at-
Ti è stata proposta qualche ti-
pologia di pena alternativa?
Si, mentre ero a colloquio con
lo psichiatra del carcere lui mi
ha proposto di entrare in co-
munità, ma io ho rifiutato per-
ché non mi sento dipendente.
Ho utilizzato diverse droghe e
per diverso tempo, ma nella
mia vita c’era anche altro.
Com’era vivere in carcere?
In cella eravamo in sette. Io
leggevo, passeggiavo, scrivevo.
Ogni tanto cucinavamo perché
ne avevamo la possibilità e il
cibo della mensa era pessimo.
Chi era lì da più tempo lavora-
va anche. Fondamentalmente
stai lì, non fai altro.
E per quanto riguarda il rap-
porto con gli altri detenuti e
con le guardie?
Con gli altri eravamo come una
grande famiglia. Se sei educato
e rispettoso nessuno ti dà fasti-
dio. Anche se gli infami (quel-
li che hanno fatto delle soffiate
ndr.) e gli stupratori non sono
ben visti, quindi meglio se re-
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tenti, interessati, facevo mol-
tissimi interventi. Le lezioni si
svolgevano durante la mattina-
ta, quindi erano più partecipi
di chi seguiva i corsi presso le
scuole serali. È stata l’esperien-
za di insegnamento che mi ha
dato maggiori soddisfazioni.
Com’ era il clima?
In generale sereno, non sem-
brava neppure di trovarsi in
una prigione. Solo in un’occa-
sione c’è stata tensione: si par-
lava di diminuire i permessi e
si temeva che nascesse una ri-
volta come quella di dieci an-
ni prima dove, tra l’altro, tra gli
ostaggi c’era stato anche un in-
segnante.
Costanza Gaia
stano nelle loro celle. I secon-
dini erano tutte persone tran-
quille. Io ero in un carcere
piccolo, non c’erano particolari
episodi di violenza, ma ho sen-
tito storie di gente che è stata
in altre strutture più grandi in
cui le guardie che menavano
c’erano.
Credi che questa esperienza ti
sia stata utile?
Non proprio, perché anche se
dirlo ora è facile io avevo già
deciso di smettere. In ogni ca-
so socialmente cresci molto,
diventi più responsabile. Io
ho sbagliato perché ho infran-
to la legge ed è giusto che ab-
bia pagato. Ho sopravvaluta-
to tante cose e sono stato un
coglione, perché in queste si-
tuazioni ci rimetti solo. Ades-
so ho deciso di finire la scuo-
la, andare all’università e farmi
i fatti miei. L’importante è non
arrendersi, prendersi le pro-
prie responsabilità e uscirne in
maniera dignitosa. Io credo di
averlo fatto.
Ginevra Sanvitale
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L’esperimento carcerario di Stanford: vittime e carnefici.
continua dalla prima.
Dapprima condotti alla stazio-
ne di polizia vennero in segui-
to trasferiti nel finto carcere ri-
costruito in università, dove nel
frattempo le guardie si appre-
stavano a calarsi nel loro ruo-
lo. Non venne fatta ai secondi-
ni una particolare preparazione,
gli venne semplicemente detto
che spettava a loro mantenere
l’ordine nella struttura e che lo-
ro sarebbe stata la responsabilità
della prigione. Vennero esplici-
tamente negate le punizioni cor-
porali, escluse le quali ogni altra
azione venne considerata legitti-
ma. In breve tempo Zimbardo e
gli altri psicologi assistettero alla
trasformazione dei 24 individui.
Da una parte le guardie col pas-
sare dei giorni divennero sem-
pre più spietate, il potere di cui
erano state investite legittima-
va i comportamenti più negati-
TerraMare, davvero.
T erraMare, Sealand. Non
è una nazione ricono-
sciuta dall’ONU ma è
abbastanza per farci un paradi-
so fiscale. Non era un’idea co-
sì ritrita, infatti, negli anni ‘60,
quella di impadronirsi come
pirati di un atollo in acque in-
ternazionali e farci un paradi-
so fiscale. Adesso lo so che ci
abbiamo pensato tutti ma allo-
ra non era scontato.
La storia di TerraMare (appunto,
SeaLand) comincia una settanti-
na di anni fa, durante la seconda
guerra mondiale. Gli inglesi era-
no giustamente terrorizzati dalla
prospettiva che i nazisti entras-
sero in casa loro. Perché allora
non costruire un avamposto di
vedetta permanente nella Ma-
nica? E lo costruirono, nel 1943.
Si chiamava Fort Roughs: una
piccola piattaforma con una ba-
samento in cemento e due co-
lonne gigantesche, sempre in
cemento. Certo che metterlo
troppo vicino all’Inghilterra era
N egli ultimi vent’anni un
particolare settore non
ha affrontato momenti
di crisi anzi, al contrario, ha regi-
strato un fortissimo incremento.
Stiamo parlando dell’industria
della carcerazione privata che,
a partire dall’epoca dell’ammini-
strazione Reagan (anni ‘80), si è
espansa notevolmente, non solo
negli Stati Uniti ma anche in In-
ghilterra, Francia e Australia. Ma
di cosa si tratta?
Questo sistema carcerario è
edificato e gestito da enti priva-
ti che appaltano le proprie at-
tività specifiche a manodope-
ra carceraria. Manodopera che
produce capi di vestiario, mobi-
li, microfoni, materiali militari
-come placche di identificazio-
ne- cinture per munizioni, el-
metti.
Le padrone del business sono la
Corretional Corporation of Ame-
A guantanamo usavano britney spears per torturare i prigionieri.
vi nei confronti dei prigionieri.
Completamente immedesima-
te nel loro ruolo adottarono tec-
niche volte a dividere il gruppo
dei carcerati, mettendoli gli uni
contro gli altri. La responsabili-
tà della struttura e la loro posi-
zione sociale all’interno di quel
sistema chiuso spinsero que-
gli studenti a diventare dei veri
e propri aguzzini. Dall’altra par-
te il gruppo dei prigionieri si di-
mostrò altrettanto bene imme-
desimato nella parte, arrivando
in alcuni casi a non presentarsi
più con il proprio nome ma con
il numero di matricola loro asse-
gnato. Alcuni ragazzi ebbero cri-
si isteriche e vennero allontanati
dall’esperimento, altri nonostan-
te gli inviti rifiutarono a lungo
di andarsene per non fare, nei
confronti dei compagni, la parte
del “cattivo prigioniero”. Detta-
un rischio: e se non ci fosse sta-
to il tempo di avvertire, in caso
di invasione? Così -andando leg-
germente contro le regole- gli
inglesi installarono la piattafor-
ma di Fort Roughs in piene ac-
que internazionali, molto più in
là del limite delle tre miglia ma-
rittime che al tempo erano le ac-
que territoriali.
Poi la guerra finì e la piattafor-
ma fu abbandonata. Nel 1967
Paddy Roy Bates, un militare
britannico, salì su un motosca-
fo e arrivò fino alla piattaforma.
Ribattezzò Fort Roughs chia-
mandola Sealand, una nuova
nazione, di cui si autoproclamò
sovrano. Così da potersi fare le
sue leggi, i suoi passaporti, il
suo paradiso fiscale, i suoi fran-
cobolli e finanche i suoi atleti
per le competizioni internazio-
nali. Il lettore curioso troverà
in rete fatti documentati cir-
ca SeaLand, compreso il sito
governativo ufficiale (http://
www.sealandgov.org/).
Delitto & Castigo: un business.
rica (Cca), nata nel 1983 e la Wa-
ckenhut Corrections Corpora-
tion. Quest’ultima gestisce 11
carceri, ovvero il 22% del merca-
to e amministra due filiali in Au-
stralia, aspirando di espandersi
in Europa, Sud America e Asia.
La Cca si occupa di 21 prigioni,
in particolare modo negli Sta-
ti del Sud (cioè Texas, Tennesse,
Florida), è quotata nella borsa di
Wall Street ed è la quinta società
sul mercato newyorkese. Un set-
tore industriale che registra una
crescita annua del 35%. E che
combacia perfettamente con un
bisogno della società: spazzare
via i malviventi dalle nostre stra-
de. Pare, quindi, che entrambe
le parti ottengano il proprio tor-
naconto: i cittadini onesti vivono
tranquilli e i magnati alimenta-
no il proprio mercato.
Tuttavia il sistema lamenta delle
falle. In Pennsylvania, ad esem-
esteri
glio quantomeno sconcertante è
che lo stesso Zimbardo e diversi
membri della sua equipe abban-
donarono momentaneamente
il ruolo di psicologi e senza ren-
dersene conto nel frangente as-
sunsero veri comportamenti da
direttori della prigione.
L’esperimento venne concluso
6 giorni dopo l’inizio a causa dei
problemi sempre più gravi che
andavano manifestandosi, in
particolare durante le ore not-
turne, quando cioè le guardie
pensavano di non essere viste
dalle telecamere degli studiosi.
Avrebbe dovuto durare, nei pia-
ni di Zimbardo, due settimane.
Gli psicologi della Stanford Uni-
versity erano riusciti, senza fa-
re nulla di particolare, a ricreare
il clima di una vera prigione de-
Paddy Roy Bates è un avven-
turiero: giusto per citare due
eventi interessanti, nel 1978 Se-
aLand fu messa sotto assedio
e conquistata, il figlio di Bates
fu rapito. Bates riuscì a ricon-
quistarsi il suo regno a cazzot-
ti e impiegando un elicottero
da guerra; il figlio fu rilasciato
in Olanda. Nel 1997, invece, tut-
ti i passaporti di SeaLand furo-
no revocati a causa delle troppe
imitazioni circolanti.
Ma metterci dei server per il
gioco d’azzardo? Già fatto.
E per il file sharing, visto che,
in teoria, non esistono leggi sul
copyright su SeaLand? Nel 2007
il noto “The Pirate Bay” nego-
ziò l’acquisto dell’intera fortez-
za, ma la trattativa non andò a
buon fine.
Paddy Roy Bates azzardò al mo-
mento giusto: adesso un’opera-
zione simile non si può più fa-
re. Al tempo, le leggi in materia
erano abbastanza nebulose o ca-
renti (ad esempio, lo United Na-
pio, nel 2002 due giudici sono
stati condannati a 87 mesi di pri-
gione per avere accettato busta-
relle in cambio dell’incarcera-
zione di migliaia di minorenni.
Infatti le strutture ricevono sov-
venzioni statali in base al nume-
ro dei detenuti (non in base a
quanto costa mantenere un de-
tenuto). Inoltre l’aggravante è
che un’altissima percentuale dei
ragazzi processati si è presenta-
ta nell’aula priva di protezione
legale, provvista di una sempli-
ce firma su un documento del-
la Corte. Eppure una legge pro-
mulgata nel 1967 stabilisce che i
minori hanno diritto ad assisten-
za legale.
Per quanto riguarda la retribu-
zione, i detenuti sono pagati
tra i 23 centesimi e il dollaro e
quindici all’ora, per circa sei ore
al giorno, cinque giorni a setti-
mana. È una forza lavoro econo-
gli Stati Uniti di quegli anni: di-
videndo gli studenti in due grup-
pi distinti dalle diverse posizioni
nel sistema erano riusciti ad at-
tuare quel processo di de-indi-
vidualizzazione che induce una
perdita di responsabilità perso-
nale. Qualsiasi appartenente ai
due gruppi è portato a vedere le
proprie azioni come frutto del
“gruppo” e non più dell’”indivi-
duo. Un processo molto perico-
loso che ne innesca altri a catena
e che già molte volte nella storia
abbiamo incontrato, sempre in
occasione di fatti terribili e dram-
matici. Un processo che purtrop-
po non è estraneo nemmeno alle
nostre carceri italiane.
Per approfondire:
http://www.prisonexp.org/ si-
to dell’Esperimento Carcerario di
tions Convention on Law of the
Sea è solo del 1984), mentre ora
la disciplina è ben regolamen-
tata. Il limite delle acque terri-
toriali è di 12 miglia marittime
e le vere e proprie acque inter-
nazionali si raggiungono solo su-
perate le 200 miglia marittime
di distanza (370 chilometri) dal-
la costa. Quindi un’operazione
SeaLand è ancora in teoria pos-
sibile, ma solo su atolli o piat-
mica, che non rivendica tutele
o diritti sindacali; ogni trasgres-
sione è punita con 30 giorni ag-
giuntivi di detenzione.
Alcuni vantaggi, comunque, so-
no innegabili. I prigionieri sono
più tranquilli se impegnati e ri-
siedono in edifici nuovi, che ne-
cessitano di poco più di tre mesi
per essere edificati e costano al
contribuente decisamente me-
no di un carcere pubblico. Se il
servizio è buono e il prezzo con-
veniente, a chi paga le tasse in-
teressa poco se ad attivarlo è un
ente pubblico o privato. E non
inquina, ha un impatto positi-
vo sul tasso di disoccupazione,
soprattutto in aree rurali, dove
vengono offerti incentivi econo-
mici alle industrie del settore.
Aumenta il capitale e di rifles-
so l’indotto dei servizi, ristoranti,
motel, centri commerciali.
Tuttavia, stando ai dati, sembra
Stanford - contiene il resoconto
dell’esperimento, anche in lingua
italiana, foto e video. Particolar-
mente interessati i documenti e i
link alla fine delle slides -
Philip Zimbardo, L’effetto Lucife-
ro. Cattivi si diventa?
XXXVI-769 pag., ill., 34,80 € –
Edizioni Raffaello Cortina 2008
(Scienza e idee)
ISBN 978-88-60-30157-4
http://it.wikipedia.org/wiki/
Esperimento_carcerario_di_
Stanford, la pagina di Wikipedia
http://www.radio.rai.it/radio3/
lastoriaingiallo/view.cfm?Q_
EV_ID=285151, puntata de “La
Storia in Giallo” con un’intervista
allo psicologo e criminologo An-
gelo Zappala’.
M.S.
taforme sperduti negli oceani:
un’operazione che richiedereb-
be spese molto ingenti, non un
tizio incazzato con un fucile e un
motoscafo. Nel caso vogliate co-
stituire una cooperativa per pia-
nificare la dichiarazione di una
nuova nazione, mandatemi pu-
re un messaggio: marini.simo-
ne.dude@gmail.com
Simone Marini
www.simonemarini.com
che mai si sia verificato un au-
mento così vertiginoso delle car-
cerazioni. Nel giro di trent’anni,
solamente negli Stati Uniti, sono
aumentate sette volte. Pare, addi-
rittura, che nel 2003 si contasse-
ro due milioni di detenuti dietro
sbarre statunitensi e il periodo
di detenzione è uno dei più al-
ti, sedici mesi per un rapinatore,
contro cinque del Canada e sette
dell’Inghilterra. Rimanendo in
quest’ambito, il 97% dei carcera-
ti che si trovano in prigioni fede-
rali non hanno commesso crimi-
ni violenti. Senza contare che gli
azionisti, per interessi legati al-
le attività carcerarie, si impegna-
no a sostenere politiche a favore
dell’allungamento dei periodi di
detenzione.
Insomma, il sistema della pri-
gione privata non solo non è in
crisi, ma difficilmente lo sarà.
Costanza Gaia
 4 k
continua dalla prima.
Ad esempio in una cella da cin-
que persone (16 mq) è conside-
rato “tollerabile” ospitarne set-
te, che godranno di ben 2,3 mq
a testa, meno di un terzo del-
lo spazio minimo vitale che an-
drebbe garantito!
Nel 2009 il numero di detenuti
presenti in carcere ha superato
anche la capienza “tollerabile”.
Eppure all’indomani dell’indulto
del 2006 – l’ultimo dei 35 prov-
vedimenti di clemenza a cui è ri-
corso lo Stato Italiano nella sto-
ria repubblicana - le prospettive
sembravano buone. Nel giro di
un mese la popolazione carcera-
ria era scesa da 60.710 a 38.326
unità, riportando ad una situa-
zione che non si vedeva dal 1991
(all’indomani del precedente in-
dulto, appunto). Tutto lasciava
pensare che ci sarebbero voluti
di nuovo quindici anni per rag-
giungere nuovamente un nu-
mero tanto elevato di detenuti,
un tempo sufficiente a costruire
nuove carceri ed evitare il ripre-
sentarsi di emergenze.
In soli tre anni, però, gli effet-
ti dell’indulto si sono dissolti e
la popolazione carceraria è cre-
sciuta fino a toccare il record
di 65.355 detenuti, con una ca-
pienza regolamentare ferma a
Indulto e amnistia
E sistono solo due modi
di interpretare la giu-
stizia: è il mezzo con il
quale si cerca di individuare i
reati e far rientrare nella legali-
tà, intesa come insieme di rego-
le che consentono di far vivere
in armonia gli uomini, oppure
il modo di “fargliela pagare” a
prescindere dal fatto che serva
alla comunità. Ogni persona ra-
gionevole e con un minimo di
intelligenza può convenire su
quale sia l’interpretazione cor-
retta.
In Italia, tra l’aggravarsi dei pro-
blemi strutturali riguardanti la
lunghezza dei processi e l’af-
follamento delle carceri, i forti
dubbi sulla legittimità dell’attua-
le presidenza e più in generale
una diffusa impunità, ci si tro-
va da un lato con la necessità di
«Che differenza c’è tra un galeotto e l’uomo della strada?»
«il galeotto è un perdente che ha tentato.» C.Bukowski
vita da sarde
Sovraffollamento nelle carceri italiane
circa 43.000 ed una capienza
“tollerabile” di circa 64.000.
Le cause
La cronicità del sovraffollamen-
to delle carceri in Italia lascia
intendere che si tratti di un pro-
blema strutturale di cui non è
possibile identificare le respon-
sabilità nel breve respiro di una
legislatura. Il precipitare della
situazione dal 2006 ad oggi, pe-
rò, ha tutte le caratteristiche del
disastro annunciato che la po-
litica italiana sembra non aver
nemmeno tentato di evitare.
Certamente non è trascurabile,
come sostiene il Ministro Alfano,
il contributo delle recidive che
hanno riportato in cella una gros-
sa percentuale delle persone che
avevano usufruito dell’indulto.
È significativo però osservare
che mentre le carceri tornavano
a riempirsi in maniera allarman-
te non si è esitato ad introdurre
il reato di clandestinità, un prov-
vedimento di per sé controver-
so che andava, inoltre, a pesare
ulteriormente su di un sistema
carcerario evidentemente in cri-
si. Un aspetto totalmente ignora-
to dal governo, che non ha preso
nessuna iniziativa mirata a fre-
nare questo tipo di conseguenze
una riforma del sistema Giusti-
zia e dall’altro con una situazio-
ne che la rende un pericoloso
campo minato.
In particolare la questione del-
le carceri avrebbe potuto essere
già risolta in maniera più intelli-
gente e giusta se nel Parlamento
si fronteggiassero alla pari schie-
ramenti politici capaci e onesti.
Al contrario, nel luglio del 2006,
nonostante contrasti interni e
grazie al voto decisivo di Udc e
Forza Italia, l’allora maggioran-
za riuscì a far approvare [1] il più
idiota dei provvedimenti che si
potessero prendere e cioè l’in-
dulto. Soprattutto quell’indulto,
approvato solo grazie agli inciu-
ci tra i due schieramenti, senza
aver prima pensato in che mo-
do arginare il problema alla base
e cioè l’eccessivo afflusso di per-
-se si esclude il respingimento
in Libia delle navi della speran-
za cariche di immigrati, un fal-
limentare tentativo di limitare
l’emergenza carceri che ha sol-
tanto contribuito ad aggravare
un’altrettanto vergognosa emer-
genza umanitaria.
Allo stesso modo molti puntano
il dito sulla legge sulle droghe del
2008, fortemente voluta da un Fi-
ni ancora lontano dalle odierne
velleità di modernizzatore del-
la destra italiana. Interventi co-
me l’eliminazione della distinzio-
ne tra droghe leggere e pesanti,
a fronte di un’utilità tutta da di-
mostrare, sono andati ad incide-
re negativamente sulla situazioni
delle carceri. Lo stesso Giova-
nardi, co-firmatario a suo tempo
della legge, dichiara oggi che le
prigioni italiane ospitano un nu-
mero troppo elevato di tossico-
dipendenti, che dovrebbero usu-
fruire invece di pene alternative
finalizzate alla riabilitazione.
Proprio il mancato ricorso a mi-
sure alternative alla detenzione,
invece, potrebbe essere la chiave
di volta per capire cosa ha causa-
to l’esponenziale crescita di po-
polazione carceraria dal 2006 ad
oggi. Nel 2005 accanto a quasi
59.000 detenuti altre 50.000 per-
sone circa scontavano pene al-
sone nelle carceri. Nessun piano
per l’edificazione di nuove car-
ceri, nessun provvedimento per
migliorare l’integrazione degli
immigrati e l’aggregazione gio-
vanile o per migliorare e amplia-
re le strutture di recupero dei
tossicodipendenti. Tutte cose ov-
vie se ci si attiene alla definizio-
ne di giustizia che le persone in-
telligenti conoscono.
Provvedimento idiota, diceva-
mo, non solo per la sua ineffi-
cacia sul lungo periodo (oggi ci
si ritrova con la stessa condizio-
ne carceraria) ma anche per-
ché, proprio per il fatto di esse-
re un indulto, NON estingue il
reato ma solo la pena ed è quin-
di stato necessario che le pro-
cure continuassero i vari iter
giudiziari fino al loro completa-
mento; inoltre un’amnistia og-
periodico mensile
ternative al carcere. Il numero
si è ridotto bruscamente in se-
guito all’indulto (meno di 11.000
nel 2007) ma non ha più ripreso
a crescere negli anni successivi.
Si capisce allora che la differen-
za rispetto al passato è che i nuo-
vi ingressi dalla libertà negli ul-
timi anni hanno seguito la sola
via della detenzione quando in
passato venivano diluiti tra più
alternative. Basti pensare che la
voce “Assistenza e mantenimen-
to di detenuti tossicodipendenti
presso Comunità terapeutiche”
nel 2009 è stata addirittura eli-
minata dal bilancio dell’Ammi-
nistrazione Penitenziaria! I da-
ti mostrano inoltre che tutte le
altre voci riguardanti “il mante-
nimento, l’assistenza, la riedu-
cazione ed il trasporto dei de-
tenuti” hanno subito tagli (nel
periodo 2007-2010) che vanno
dal 9,9% al 79%.
Come sottolinea Maria Carme-
la Longo (direttrice della Casa
Circondariale di Reggio Cala-
bria), la gravità della situazio-
ne non è dovuta solo al numero
di persone presenti nelle cel-
le ma anche al fatto che, a dif-
ferenza di quanto accadeva in
passato, i detenuti non possono
più lasciare per qualche ora la
propria cella per partecipare a
programmi di reinserimento o
svolgere un lavoro. La causa è
la sempre maggiore carenza di
fondi ma anche di personale pe-
nitenziario. In alcune regioni i
dati sono sconcertanti: in Emi-
lia Romagna il numero di dete-
nuti è il 192% della capienza re-
golamentare mentre il numero
di agenti di Polizia Penitenziaria
è il 73% dell’organico previsto!
Il “piano carceri”
Per affrontare una situazione
che si fa ogni giorno più inso-
stenibile, il ministro della giu-
stizia Alfano aveva già presen-
tato, senza conseguenze, un
piano carceri nel gennaio del
2009.
gi sarebbe preferibile anche e
soprattutto a livello di pacifica-
zione sociale in un paese che
dimentica le stragi di stato ma
pretende l’estradizione di uno
che ha commesso dei reati 30
anni fa come Cesare Battisti,
giusto per “fargliela pagare”.
Numero 52
Martedì 26
Gennaio 2010
Il 13 gennaio 2010 il Consiglio
dei Ministri ha dato il via ad
un nuovo piano carceri e de-
cretato lo stato di emergenza
che rimarrà in vigore fino a di-
cembre. In questo periodo, se-
condo il Ministro Alfano, ver-
rà aumentata la capienza delle
prigioni italiane fino a poter
ospitare 80.000 individui, gra-
zie ad un monumentale inter-
vento “in stile Abruzzo” con co-
struzione di nuovi padiglioni
nelle carceri esistenti e attiva-
zione di strutture già realizza-
te e mai messe in condizione
di entrare in funzione. Il tutto
accompagnato dall’assunzione
di 2000 persone per aumenta-
re il personale penitenziario,
per un costo totale di 600 mi-
lioni di euro. Numeri giudicati
poco credibili, secondo Patrizio
Gonnella, dell’associazione An-
tigone: si tratterebbe di passa-
re da 43.000 a 80.000 posti letto
nell’arco di un solo anno, tra-
mite l’ampliamento di struttu-
re esistenti che dovrebbero in
questo modo quasi raddoppiare
di capienza, mentre per il per-
sonale di sorveglianza è previ-
sta l’assunzione di un numero
di agenti che non è nemmeno
sufficiente a coprire le carenze
attuali!
Come suggerisce Gonnella,
la decretazione dello stato di
emergenza sembra essere sem-
plicemente un escamotage per
ottenere la secretazione delle
procedure di appalto per le nuo-
ve costruzioni, una condizione
che offre un ampio ventaglio di
possibilità di lucro per parte di
persone dotate di molto potere
e pochi scrupoli; un timore che,
date le premesse, ci sentiamo di
condividere.
Makka
Jco
[1] I telegiornali e in particolare
quelli Mediaset posero l’accento
con tono critico su quello che in re-
altà fu l’unico vero punto a favore
di quell’indulto cioè la reiterazione
del reato che fu del 11.3 per cento
contro il 30 per cento solito.
 k 5
periodico mensile La libertà è sempre un buon bottino.
Numero 52

carcerieri coraggiosi
Martedì 26
Gennaio 2010

continua dalla prima.
Se da anni si discute della criti-
cità di questi ambienti, il 2009
si è probabilmente rivelato il
vero e proprio annus horribilis
del nostro sistema carcerario,
con casi eclatanti che hanno
raggiunto (evento raro quando
si tratta di tali questioni) i mez-
zi di comunicazione nazionali.
Ormai celeberrima è diventata
la storia di Stefano Cucchi, per
cui a buon diritto la famiglia
chiede giustizia. Ma ovviamen-
te i casi terribili, tali da farci
davvero rabbrividire, non man-
cano –anzi, a dare un’occhiata
anche rapida ai casi di morte
“per cause da accertare” di que-
sti ultimi mesi, se ne troveran-
no diversi, tutti altrettanto ag-
ghiaccianti [1].
Risalendo a qualche mese fa,
precisamente al 4 agosto scor-
so, si potrebbe ad esempio
parlare di Francesco Mastro-
giovanni, 58 anni, morto in cir-
Morire di carcere
costanze misteriose mentre si
trovava all’Ospedale di Vallo
della Lucania (SA) in TSO, Trat-
tamento Sanitario Obbligatorio.
La sua storia ha dell’incredibi-
le: il 31 luglio, letteralmente
braccato dalle forze dell’ordine
(vedette della Guardia Costie-
ra in mare, carabinieri e poli-
zia municipale a terra), l’uomo
viene arrestato e trasferito in
psichiatria. La motivazione di
tanto dispiegamento di forze?
“La notte precedente avrebbe
tamponato quattro autovettu-
re” dice Licia Musto Materaz-
zi, l’ultima ad aver sentito le
parole dell’uomo. Ma l’auto di
Franco è parcheggiata sotto ca-
sa, senza nessun danno. Per lui
ci sono anche delle aggravan-
ti: “noto anarchico”, personag-
gio “pericoloso socialmente, in-
tollerante ai carabinieri” –i suoi
crimini. Aggravanti a cosa? Mi-
stero. L’unica macchia nel pas-
sato di quest’uomo è un arresto
nel ’99 per oltraggio a pubblico
ufficiale ma fu poi assolto e ad-
dirittura risarcito per ingiusta
detenzione.
Edema polmonare provocato
da un’insufficienza ventricola-
re sinistra: questa la causa della
morte. Ma cosa l’ha scatenato?
Altro mistero. I medici legali e
gli inquirenti, però, hanno ri-
scontrato sul suo corpo profon-
de lesioni ai polsi e alle cavi-
glie, segni evidenti dell’utilizzo
di legacci spessi. Nulla dovreb-
be aver giustificato l’utilizzo di
un metodo di contenzione ta-
le, anche perché nella cartel-
la di Mastrogiovanni non c’è
nessun accenno a questa prati-
ca né, tantomeno, alcuna mo-
tivazione, come prevedrebbe la
legge. “Hanno ucciso un uomo
in un letto di contenzione”, di-
ce il PM nel suo atto di accusa.
Non ci sono ancora prove, ma
soprattutto non c’è chiarezza.
Un altro caso sconvolgente ri-
guarda un giovane di Parma:
Giuseppe Saladino, 32 anni,
morto il 6 novembre scorso per
cause ancora da accertare. La
Procura ha però aperto un fa-
scicolo, ipotizzando l’omici-
dio colposo. Non ci sono anco-
ra indagati, ma soprattutto non
ci sono ancora ipotesi concre-
te sull’improvvisa scomparsa
dell’uomo; i verbali della que-
stura parlano di “overdose da
stupefacenti”, la direzione del
carcere di “arresto cardiaco”.
Il risvolto inquietante della vi-
cenda, però, riguarda innanzi-
tutto il metodo di detenzione:
tempo fa era stato trasferito dal
carcere all’ospedale psichiatrico
di Reggio Emilia, diagnostican-
dogli “uno scompenso psichico
in disturbo psicotico”. Ma il le-
gale della famiglia, Letizia To-
noletti, ricorda: “Mi racconta-
va che lo tenevano contenuto,
cioè legato, oltre a sottoporlo ad
un trattamento di psicofarma-
ci. L’hanno curato come se fos-
se un paziente psichiatrico, ma
lui non lo era, e per questo ave-
vo chiesto di ricoverarlo in un
ospedale civile, ma inutilmen-
te”. Il medico legale non sembra
aver inizialmente riscontrato
segni di violenza sul corpo ma
la madre del giovane parla di
due ematomi, uno sulla fronte
e uno sulla tempia del figlio.
Un’interrogazione al Ministro
della Giustizia è stata portata
avanti da Rita Bernardini, se-
gretario dei Radicali, ma non
sembra ancora aver avuto alcu-
na risposta.
Storie e situazioni inaccettabi-
li non solo per un paese civile,
ma per la coscienza di ogni es-
sere umano.
Isabella Bossolino
[1] Per ulteriori approfondimenti
–e per avere un quadro oggettivo
e dettagliato della situazione– si
consiglia di visitare il sito www.
ristretti.it.

Intervista a Franco Corleone, garante per i diritti

dei detenuti del Comune di Firenze

P
roprio in questi
giorni si sta par-
lando molto del-
la situazione nel-
le carceri e del problema del
sovraffollamento. Cosa ne
pensa delle dichiarazioni del
ministro Alfano sull’amplia-
mento delle strutture carce-
rarie?
Il primo elemento degno di no-
ta è che il ministro ha usato
l’espressione “stato d’emergen-
za” ma trovo impropria que-
sta definizione in quanto evo-
ca scenari di rivolte e disordini,
quando non c’è nulla di tutto
ciò: questa situazione si protrae
da molto tempo, in attesa di un
evento che giustifichi l’inizio di
un iter speculativo.
Cosa intende per “iter specu-
lativo”?
Chiaramente per portare a com-
pimento le dichiarazioni fat-
te sarà necessario spendere del
denaro, il punto è che l’ammini-
strazione carceraria ha chiesto
un mandato di secretazione as-
soluta su bandi e decisioni: una
concezione inaccettabile e con-
tro ogni trasparenza.
Eppure quella di aumentare i
posti disponibili sembrereb-
be la soluzione più naturale
al problema del sovraffolla-
mento...
Non è così. Il ministro Alfa-
no ha dichiarato di voler arri-
vare a poter contenere fino a
ottantamila unità, attualmen-
te ne ospitiamo sessantamila,
la cui stragrande maggioran-
za è in prigione per questioni
di droga, immigrazione e reci-
diva. Dire di voler aumenta-
re la capienza delle carceri si-
gnifica che, invece di cercare
di risolvere il problema alla ra-
dice, la volontà è quella di cre-
are un modello sociale il cui
sistema carcerario sia basato
su questo tipo di soggetti lega-
ti alla piccola criminalità inve-
ce che sulla condanna di reati
gravi, ad esempio ambientali o
finanziari.
Dunque la soluzione al pro-
blema del sovraffollamento
quale potrebbe e dovrebbe es-
sere?
La via del recupero, delle pene
alternative, della prevenzione:
far uscire dalle carceri i tossi-
codipendenti e indirizzarli ver-
so delle comunità di recupero;
diminuire la carcerazione pre-
ventiva; verificare se sia pos-
sibile rimpatriare gli stranieri;
utilizzare misure alternative di
semilibertà; affrontare il pro-
blema di coloro che stanno per
uscire e devono essere rein-
seriti nella società. Purtroppo
non c’è la capacità di fare tut-
to ciò, e si è scelta la strada più
semplice e meno efficace: pro-
babilmente quando avremo fi-
nalmente i duemila posti in più
ne occorrerà il doppio.
Quali sono le dirette conse-
guenze della situazione attua-
le per i detenuti?
Una su tutte, la violazione dei
diritti elementari scritti nel-
la legge penitenziaria e nel re-
golamento sulla detenzione ri-
salente al 2000, mai applicato
per mancanza di fondi e vo-
lontà. Si va ad incidere su bi-
sogni basilari dell’essere uma-
no, dal poter fare una doccia
calda all’avere del cibo decen-
te, si ha addirittura difficoltà
nell’avere colloqui con avvo-
cati e famiglie. Vengono messi
in discussione i diritti esisten-
ti per i detenuti, come quello
al lavoro interno, allo studio,
alla socialità. Si dice che man-
chi la polizia, in realtà la man-
canza più grande è quella degli
educatori. Un sovraffollamen-
to del genere mette a rischio
anche la condizione di salute
delle persone, in quanto una
promiscuità così alta aumenta
la possibilità di trasmissione di
malattie che sembrano scom-
parse.
E per lo Stato invece cosa si-
gnifica?
Il riflesso più importante ri-
guarda la condizione della de-
mocrazia nel paese: avere più
di un certo numero di detenuti
significa che la sua qualità sta
iniziando a scarseggiare, poi-
ché si fa una scelta di alta pe-
nalità contro quella di un dirit-
to equo. Vorrei sottolineare che
abbiamo ancora in vigore il Co-
dice Rocco (1930), nonostante
le modifiche effettuate non si è
mai pensato di mettere a punto
un nuovo codice penale: la no-
stra visione resta collegata an-
cora a quella di uno stato eti-
co e non a quella di un diritto
penale minimo; oltre a ciò bi-
sogna aggiungere che per met-
tere in atto le misure alterna-
tive alla detenzione proposte
bisogna avere un welfare fun-
zionante e un impegno forte
da parte di comuni, province e
regioni per favorire il reinseri-
mento dei detenuti. Invece di
fare tutto ciò si sceglie, tutta- Legenda:
1. Associazione di stampo mafioso 13. Contro la personalità dello Stato
via, di murare le difficoltà die- 2. Legge sulle droghe 14. Contro l’amministrazione della giu-
tro al cemento e far diventare 3. Legge sulle armi stizia
le carceri luoghi di discarica so- 4. Ordine pubblico 15. Economia pubblica
ciale. 5. Contro il patrimonio 16. Contravvenzioni
6. Prostituzione 17. Legge sull’immigrazione
7. Contro la pubblica amministrazione 18. Contro il sentimento e la pietà dei
13 gennaio 2010 8. Incolumità pubblica defunti
Ginevra Sanvitale 9. Fede pubblica 19. Altri reati
10. Moralità pubblica
11. Contro la famiglia Fonte: www.garantedetenutilazio.it
12. Contro la persona
 6 k
L’Era del Diritto & il Luogo della Giusta Pena
Q ualsiasi sistema socia-
le minimamente orga-
nizzato prevede delle
regole. Anche se fosse, almeno
quella per cui di regole non ne
esistono. Qualsiasi regola posta
genera intrinsecamente la pos-
sibilità di essere infranta. Qual-
siasi infrazione prevede di con-
seguenza una pena.
Nel mondo attuale tutto ciò as-
sume concretezza tangibile:
esistono leggi, esistono fuori-
legge e, ovviamente, esistono
carceri.
In Italia il concetto di “pena da
scontare in carcere” è giuridi-
camente legato alla necessità
di istituire un percorso di ria-
bilitazione che ponga il sogget-
to incriminato nelle condizioni
di riscattare la propria libertà,
guadagnando il re-inserimento
nella società civile, evitando il
pericolo di re-iterazione del re-
ato.
Ovvio, se non scontato, ma di
fatto oggettivo: in Italia la teo-
ria si sposa sempre meno spes-
so con la pratica. Strutture fa-
tiscenti, carceri sovraffollate,
operatori carcerari esasperati e
violenti; paradossalmente an-
che l’opinione pubblica sem-
bra aver dimenticato il princi-
L’ammutinamento di Kronstadt - Botta e Risposta
Ciao,
su Kronstadt n° 50 Ginevra
spiega come il nome del vo-
stro giornale si riferisca alla
ribellione militare verificata-
si nel 1921 nella fortezza nava-
le di Kronstadt vicino a Pietro-
grado.
Nell’articolo, come in altri
punti di quel numero, si fa
spesso riferimento in modo
critico a Lev Trotskij. Il trotski-
smo ha storicamente una cer-
ta simpatia verso gli anarchici
e una vicinanza su molti te-
mi con l’anarchismo; in fondo
trotskisti e libertari, entrambi
sostenitori di un comunismo
molto diverso da quello di Sta-
lin e Mao, sono stati insieme
nelle prigioni e nei campi di
concentramento dei nazisti e
degli stalinisti in Germania,
Italia, Siberia, Spagna ecc.
Uno dei punti da sempre più
controversi su cui si accendono
discussioni fortemente appas-
sionate fra queste due correnti
è proprio la rivolta di Kronstadt
del ’21. L’apertura degli archivi
sovietici nel 1999 fornisce una
corposa documentazione che
permette uno sguardo chiari-
ficatore sull’antica disputa. La
mitologia anarchica su Kron-
stadt ne esce piuttosto malcon-
cia.
I marinai di Kronstadt era-
no “gli stessi” che erano sta-
ti in prima linea nella Rivo-
luzione d’Ottobre? In realtà
l’avanguardia degli operai-ma-
rinai era stata decimata su va-
ri fronti della Guerra Civile
(la Russia sovietica subì ap-
strumenti
pio principe della detenzione:
sempre più spesso si è pronti
ad invocare una pena esempla-
re per qualsivoglia reato più o
meno grave, non certo nell’ot-
tica di garantire all’individuo
il giusto ed utile periodo riabi-
litativo, quanto piuttosto nel-
la volontà di punire il più du-
ramente possibile il criminale,
impersonando un divino spiri-
to di vendetta, come se la can-
cellazione delle libertà di una
vita potesse giovare a qualco-
sa.
Per fortuna esistono delle ecce-
zioni o, quanto meno, ne esiste
una: il carcere di Bollate. Una
struttura imponente, comples-
sivamente per estensione il più
grande istituto carcerario d’Eu-
ropa, capace di contenere qua-
si mille detenuti, mantenuto
generalmente sotto-utilizzato
per ovvie ragioni, è stato rea-
lizzato allo scopo di ospitare un
progetto pilota di riabilitazione
carceraria, alternativo su più
fronti e con diverse sperimen-
tazioni in uso.
Vi finiscono detenuti che deb-
bano scontare una pena medio-
lunga, tipicamente tra i 4 e i 10
anni, che ne facciano esplici-
ta richiesta, sottoscrivendo, da
pena nata l’attacco congiunto
di oltre 20 eserciti su 4 fron-
ti) e nel ’21 era stata sommer-
sa da leve provenienti da zone
contadine politicamente mol-
to più arretrate. Il ’21 è l’anno
delle sollevazioni contadine
contro le requisizioni di grano
che i bolscevichi avevano do-
vuto introdurre per permette-
re di sfamarsi agli operai delle
città (e non ai ricchi, ai nobi-
li e agli alti prelati, che aveva-
no perduto tutti i loro privile-
gi). Kronstadt fu un tentativo
di colpo di Stato militare sulla
scia delle rivolte rurali che, co-
me rivelano molti documenti,
godette dell’appoggio delle po-
tenze imperialiste che spera-
vano cacciasse gli odiati bol-
scevichi.
Gli ammutinati di Kronstadt
erano i rappresentanti di una
rivoluzione senza ideologia e
partito che si ribellano al dog-
matismo e all’autoritarismo di
Lenin e Trotskij? La prima azio-
ne dei “libertari” dirigenti degli
ammutinati fu però l’arresto di
tutti i marinai comunisti, che
erano diverse centinaia. Due
leader dell’ammutinamento
erano membri del partito men-
scevico, uno del partito libera-
le cadetto; il capo, Stepan Pe-
trichenko, era un anarchico
piuttosto voltagabbana, che finì
per lavorare come agente GPU
per Stalin pochi anni dopo.
Nel primo assalto bolscevico
alla fortezza anarco-golpista
caddero almeno 10mila sol-
dati dell’Armata Rossa, inclu-
si dirigenti comunisti che par-
teciparono come volontari alla
pericolosissima operazione.
Non è tutto loro quel che luccica...
qui la prima novità, una sorta
di contratto tra il detenuto stes-
so e la struttura carceraria.
Per diverse ore al giorno, in al-
cune sezioni addirittura dal-
le 8 alle 20, le celle rimangono
aperte e i detenuti sono libe-
ri di circolare tra le aree del
carcere, celle altrui comprese.
Ogni reparto è dotato di una
cucina, ampi spazi comuni,
una palestra attrezzata, frigori-
feri ad ogni piano. Le celle con-
fortevoli, con angolo cottura e
possibilità di frigorifero, ospi-
tano da 1 a massimo 4 detenu-
ti. Praticamente tutti sono oc-
cupati, quasi la metà in attività
interne al carcere: chi nelle cu-
cine di reparto, chi nelle puli-
zie, chi nella biblioteca; altri su
commissione per ditte esterne
negli ampi laboratori interni al
carcere, mentre circa un deci-
mo lascia la struttura per lavo-
rare fuori, facendovi ritorno a
fine giornata. Numerosissimi i
progetti che impegnano a tem-
po più o meno pieno gli inqui-
lini del carcere, permettendo
contatti con l’esterno: incontri
con le scuole per la prevenzio-
ne alla devianza, ideazione di
giochi di ruolo in collaborazio-
ne con l’Università Bicocca, un
Gli insorti invece ebbero per-
dite quasi 20 volte minori gra-
zie alla posizione vantaggiosa
e all’artiglieria.
Siccome i marinai si trovava-
no ora in una condizione simi-
le a quella in cui si trovavano
i bolscevichi durante la Guer-
ra Civile, ossia la condizione di
una fortezza assediata da nemi-
ci ben armati, dovettero ricor-
rere sempre più a misure simili
a quelle che, superficialmente,
criticavano: arresti, censura po-
litica, violenza e anche requisi-
zioni forzate di cibo, perché il
grano mica cresce sulle navi,
così come non cresce nelle cit-
tà.
Il 18 marzo la fuga dei prin-
cipali capi anarchici spinse i
marinai a rivoltarsi arrestando
i golpisti che avevano susci-
tato un inutile bagno di san-
gue. Il golpe era fallito. I bol-
scevichi tuttavia riconobbero
le profonde motivazioni die-
tro questi eventi e vararono la
Nuova Politica Economica, al-
lo scopo di ripristinare la fidu-
cia dei contadini verso gli ope-
rai e verso i comunisti, che si
era rotta negli anni terribili
della Guerra Civile.
Viva Kronstadt, dunque, ma la
Kronstadt rossa del ‘17! Ciao!
Mauro Vanetti
un “trotskista” iscritto ai
Giovani Comunisti di Pavia
attivo laboratorio teatrale, so-
no solo alcuni semplici esem-
pi in una varietà di offerta che
davvero sorprende. Bollate si fa
inoltre carico di diversi casi di
detenuti per reati sessuali, che
non vengono isolati in apposi-
te sezioni come classicamente
avviene, ma che, oltre a segui-
re appositi programmi di riabi-
litazione, convivono con il re-
sto dei detenuti in un clima di
reciproco rispetto. Certo i casi
problematici, gli eventi critici,
in quasi dieci anni di gestione,
ci sono stati ma si contano sul-
le dita di una mano: rarissime
le denunce di maltrattamen-
to, nessun episodio che registri
l’uso della forza da parte degli
agenti, qualche sciopero della
fame volto ad attirare l’atten-
zione; un po’ più frequenti, ma
non certo all’ordine del giorno,
le risse tra detenuti, in gran
parte dovute al consumo di al-
colici all’interno della strut-
tura, cosa, anch’essa sorpren-
dentemente, quasi totalmente
consentita in maniera ufficia-
le. Un paio di casi di suicidio ci
sono stati ma nessuno nel pe-
riodo più recente, una volta av-
viati completamente i progetti
pilota. Come in altre carceri è
F orse il “problema Kron-
stadt” non esiste.
In fondo perché chi si
proclama ancora comunista
trozkista dovrebbe accalorarsi,
novant’anni dopo, per quella
che proprio Trotskij definì un’
“insurrezione dettata dal desi-
derio di ricevere una razione
da privilegiati”?
Sgombriamo subito il campo: ci
sembra male impostata la que-
stione di schierarsi pro o contro
Kronstadt, come se nella storia
fosse in atto una teleologica lotta
tra il bene e il male o comunque
ci fossero da assegnare patenti di
assoluzione e di condanna.
Ma visto il fervore e la passio-
ne di chi ha contestato la bre-
ve ricostruzione apparsa in un
precedente numero, ci sentia-
mo in dovere di fare alcune
brevi considerazioni.
Innanzitutto ci permettiamo
di contestare la presunta di-
stinzione di una posizione di
Trotskij e del trozkismo rispet-
to alla valutazione che fu data
della rivolta da parte del Parti-
to Bolscevico, anche nel corso
dello stalinismo. Trotskij rico-
nobbe infatti la “necessità do-
verosa” della repressione e an-
che successivamente, nel corso
dell’esilio, non ebbe nessun ri-
pensamento verso quella che
continuò a giudicare la mani-
festazione suprema del “Termi-
doro contadino.”
Riscontriamo poi una semplifi-
cazione piuttosto grossolana sul-
le ragioni e le parti in campo che
schiacciano la disputa sulla ma-
nichea linea di divisione bianchi
- rossi, rivoluzionari e controri-
voluzionari, arruolando surretti-
periodico mensile
Numero 52
Martedì 26
Gennaio 2010
presente una squadra di calcio
che partecipa al regolare cam-
pionato di calcio nazionale,
nella categoria di riferimento.
Da qualche tempo è stato av-
viato con successo anche un la-
boratorio di poesia, con la col-
laborazione della casa editrice
LietoColle, che ha prodotto sia
un lavoro ontologico, “Confes-
so che amo”, sia alcune pubbli-
cazioni personali di detenuti.
Errare è umano, ma altrettan-
to umano dovrebbe essere il
poter espiare le proprie colpe
con volontà di reintegrarsi al fi-
ne di uscire da una spirale de-
linquenziale che, a conti fatti,
non può giovare a nessun atto-
re della società: il cittadino, il
delinquente o lo Stato che sia.
A Bollate tutto questo è pos-
sibile, tanto che la struttura è
stata inaugurata 2 volte: nel di-
cembre del 2000 da Fassino;
un anno dopo, con il cambio
di governo, dall’allora ministro
Castelli.
Perché si sa: la vittoria ha mol-
ti padri, mentre la sconfitta è
orfana.
Matteo Bertani
ziamente da quest’ultima parte
(che è in questa prospettiva la
parte sbagliata) tutti coloro che
avevano motivi di contrasto coi
bolscevichi ma non necessaria-
mente con la rivoluzione.
Si cerca di insinuare così l’esi-
stenza di una coerente ideologia
controrivoluzionaria e antibol-
scevica che renderebbe Kron-
stadt un “golpe” alle spalle dei
buoni marinai (quei pochi ri-
masti), i quali, magari in buona
fede, avrebbero prestato credi-
to ad una cricca di opportunisti
politici. Il tutto rinfocolando in-
vece il mito della “Grande Rivo-
luzione Proletaria d’Ottobre”,
sulle cui barricate avrebbero
lottato coerentemente e con
grande consapevolezza milioni
di proletari comunisti, sotto la
guida geniale di Lenin e della
sua avanguardia storica, il Par-
tito Bolscevico.
Un’ultima questione dovrebbe
comunque interessare i trozki-
sti: se si deve parlare di “devia-
zione” della rivoluzione (anche
nella ristretta prospettiva bol-
scevica) è proprio qui che ne
troviamo l’origine.
Furono Lenin e Trotskij infatti,
memori di Kronstadt, a stabili-
re, al X Congresso del Pcus del
1921, che per “assicurare la co-
esione del partito bisogna vie-
tare l’opposizione.”
Chi si dice portatore di un mes-
saggio comunista libertario e al-
ternativo dovrebbe riflettere su
questo: la “libertà è sempre la li-
bertà di dissentire.” (e chi l’ha
detto non era certo un libera-
le...)
Emiliano Manzato
emiliano29@libero.it
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periodico mensile
Numero 52
Martedì 26
Gennaio 2010
Sintonizzatamente
Prima di chiamarlo “diverso” potremmo almeno conoscerlo
U tilizzare la radio per
cercare di dare voce a
chi la radio l’ha sem-
pre e solo sentita da lontano.
Lontano perché da quelle par-
ti non si sente, lontano perché
quella non è la loro radio o, più
semplicemente, parla di cose
che non sono le loro, che non li
rappresentano e che non sono.
È proprio su questo che stiamo
cercando di puntare con il pro-
getto Sinto-Nizzati iniziato qual-
che mese fa e ancora in viaggio
verso il mondo delle nuove tec-
nologie. A dirigere tutto questo
dieci ragazzi che non sempre
vengono considerati, dieci ra-
gazzi provenienti dalle due co-
munità sinte di Pavia, e al lo-
ro seguito uno staff che cerca
in tutti i modi possibili di inse-
gnare qualcosa di buono a li-
vello tecnologico per garantire
un più facile approccio o inseri-
mento nel mondo che tutt’oggi
è bombardato da media e tec-
nologia, e nessuno può permet-
tersi di restare indietro, nessu-
no può o vuole essere tagliato
fuori, nessuno e neanche lo-
ro. Allora insegniamo l’uso del
computer e il mondo del web,
l’utilizzo della strumentazione
come registratori, fotocamere e
Citadels
C
iao!!! Bentor-
nato lettore! In
questo numero
parliamo di un
gioco di carte ec-
cezionale. No, non ti voglio far
cadere nel vizio del gioco con
Texas Hold’Em: si tratta bensì
del ben più casalingo Citadels.
Il titolo originale di quest’ope-
ra artistica, ideata da Bruno
Faiutti, è “Ohne Furcht und
Adel, Citadelles” (chissà per-
ché i tedeschi sono i princi-
pali produttori di giochi da ta-
volo del pianeta...). Un fatto
curioso è che per avere la ver-
sione in inglese e poi quella
in italiano l’autore è stato co-
stretto a ricomprarsi i diritti
del suo gioco... pazzesco! Co-
munque, l’ambientazione è
quella di una cittadella medie-
vale fantasy nella quale i gio-
catori interpretano, di volta in
volta, un personaggio scelto
in modo tale che gli altri non
sappiano quale sia. Il turno di
ciascun giocatore inizia quan-
do viene chiamato il perso-
naggio segreto che interpreta.
Per prima cosa ognuno rivela
il suo personaggio il quale gli
darà delle abilità particolari
da sfruttare nel turno; succes-
sivamente può acquisire de-
naro e costruire edifici. Fini-
ti i turni di tutti i giocatori si
ricomincia daccapo, sceglien-
do segretamente i personag-
gi e svolgendo i turni. L’obiet-
tivo è quello di costruire un
parco edifici più prestigioso di
tutti entro la conclusione del-
Non sprecare il tuo tempo... sdraiati.
cultura
videocamere e, per ultimo ma
non meno importante delle al-
tre, abbiamo cercato di spinge-
re e spronare i ragazzi a met-
tersi in gioco per lavorare in
prima persona sulle interviste,
in modo tale da riuscire a idea-
re, comporre e dirigere un pro-
gramma, dove al suo interno
ci saranno le parole, i pensie-
ri, ma anche cultura e tradizio-
ni di questi ragazzi sinti, il tut-
to mixato nelle cinque puntate
che comporranno il program-
ma radiofonico Sinto-Nizzati.
Le frequenze ci sono state con-
cesse da “Radio Ticino Pavia“ e
tra i promotori troviamo l’asso-
ciazione “Onlus Cuoreclown”,
il “Centro Educazione Media”
e “l’Associazione Sinti Italiani
di Pavia”. Inoltre siamo forniti
di un sito internet dove pubbli-
chiamo tutti i materiali ineren-
ti al progetto stesso, ci trovate
all’indirizzo www.sociability.
it/sinto-nizzati.
Il nostro progetto Sinto-Nizza-
ti è finanziato dalla “Fondazio-
ne Cariplo” ed è anche grazie a
queste maniche rimboccate che
il nostro progetto è stato possi-
bile. Tra gli obiettivi puntiamo
sull’inserimento sociale di que-
sti ragazzi con bisogni specifi-
la partita, che avviene quan-
do uno dei giocatori costrui-
sce l’ottavo
edificio. Tra i vari personag-
gi che si possono scegliere vi
sono, ad esempio, l’Assassi-
no che “uccide” a scelta uno
degli altri personaggi (impe-
dendo al giocatore che lo in-
terpreta di svolgere il suo tur-
no), il Re che dà la possibilità
di scegliere per primi il per-
sonaggio che nel turno suc-
cessivo si vorrà interpreta-
re, la Strega che consente di
“possedere” un altro perso-
naggio e cioè svolgere il tur-
no al posto del giocatore che
lo ha scelto.
Il gioco è molto facile da im-
parare e consente di giocar-
vi da 2 a 7 giocatori; inoltre
non ha tabellone ma solo car-
te e gettoni e quindi consen-
te una preparazione veloce.
Le strategie utilizzabili non
sono moltissime ma l’effet-
to sorpresa della scelta segre-
ci, alla valorizzazione culturale
con scambi di curiosità e tipi-
cità concludendo con la forma-
zione professionale di questi
ragazzi su un settore nuovo e
in rapido sviluppo come la tec-
nologia. Con questo percorso
vogliamo far conoscere queste
persone alla società pavese con
un diverso modo di vedere le
cose, cercare di aprirsi verso il
prossimo piuttosto che puntar-
gli il dito contro, perché molto
spesso l’uomo ha paura di ciò
che non conosce ed è proprio
questo ciò che spaventa la no-
stra società.
A volte dovremmo fermarci a
riflettere che di pregiudizi ce
ne sono tanti, e sicuramente
non nascono senza motivo, ma
altrettanto spesso ci dimenti-
chiamo che come tutte le per-
sone possediamo o possiedo-
no delle qualità, ed è proprio
su quello che vogliamo punta-
re, per tirare fuori il meglio da
questi ragazzi perché domani
sappiano fare o essere un po’
diversi da come noi li etichet-
tiamo.
Daniele Saino
ta dei personaggi rende ogni
partita vivace e divertente. Si
tratta, in definitiva, di un otti-
mo gioco da fare in tanti, an-
che con amici non amanti dei
giochi da tavolo (ne esistono
ancora?! ... beh per fortuna!).
Ciao bello!
Jco
Da settembre senza trattative e senza possibilità di replica l’ammi-
nistrazione comunale ha imposto che nessun concerto sia svolto al
CSA Barattolo.
Per non interrompere questa fantastica esperienza, opportunità sia
per i pavesi che per tutti i gruppi indipendenti, vi chiediamo di sot-
toscrivere il seguente appello. Il “Manifesto della Musica Libera”
verrà utilizzato all’interno della campagna per restituire alla città
il diritto alla musica: una volta completata la petizione sarà conse-
gnata alla stampa locale e in consiglio comunale.
Cogliamo l’occasione per invitare chi abita in zona a partecipare
alle prossime mobilitazioni per riportare la musica al CSA Baratto-
lo. Chiediamo in oltre a tutti i gruppi / associazioni che firmeran-
no la lettera di mettere sul proprio space il logo della campagna.
Manifesto della Musica Libera
Come ogni pavese potrebbe facilmente dirvi, la città non eccel-
le nell’offerta di eventi culturali e ricreativi; questo nonostante
l’alto numero di studenti medi e universitari.
Per musicisti in erba sono pochissime le opportunità di esibir-
si dal vivo, come d’altra parte si contano sulle dita di una mano
i locali in tutta la provincia dove un appassionato può godersi
musica dal vivo .
Da quasi 12 anni ormai il C.S.A Barattolo ha organizzato e gesti-
to una fervente attività musicale, nella forma di concerti, jam
session, laboratori musicali e corsi per principianti.
Tutto questo è stato possibile grazie a molti giovani che hanno
creduto in un progetto aperto alla musica libera e si sono impe-
gnati attivamente, impiegando le proprie forze per organizzare
eventi stimolanti per la realtà giovanile della città.
I prezzi popolari, il lavoro volontario e l’autogestione sono le
prerogative per la rivitalizzazione di musica e cultura senza fi-
ne di lucro, volte ad ‘aprire il palco’ a band indipendenti ed arti-
sti che, seppur validi, spesso faticano a trovare spazi in cui esi-
birsi.
Il CSA Barattolo è riuscito ad offrire un servizio indispensabi-
le che sarebbe lecito aspettarsi dallo stesso Comune. A testimo-
nianza di ciò l’alta partecipazione alle iniziative musicali: mol-
te band anche alle prime armi hanno potuto esibirsi davanti un
vasto e partecipe pubblico.
Si è inoltre riusciti ad instaurare collaborazioni durature con as-
sociazioni, band o singoli e ad organizzare appuntamenti fissi
annuali, come il concorso ‘Sconcertante’ arrivato alla IV edizio-
ne.
Il CSA Barattolo è stato anche capace di attrarre artisti d’al-
to livello e noti: Ivan della Mea, Al Mukawama, Bisca, Dero-
zer, Arpioni, Succo Marcio, Giuliano Palma, DJ Scratchy (The
Clash),Camerini, Brusco,Vito War, Los Fastidios,Babaman, Ma-
scarimiri, Skruigners , Claudio Lolli , Folkabbestia e altri anco-
ra.
Alla luce di questo chiediamo che sia riconosciuto l’oggettivo
valore dell’attività musicale all’interno del C.S.A. Barattolo. Le
precedenti amministrazioni hanno realizzato negli anni diversi
interventi di insonorizzazione: bussola all’ingresso, muri fono-
assorbenti, controsoffittatura, pannelli alle finestre, porta antin-
cendio e adattando l’impianto elettrico allo scopo.
Oggi il Barattolo è luogo idoneo a sviluppare la nostra idea di
musica libera.
Perchè privare artisti, appassionati e giovani tutti di questa op-
portunità?
CSA BARATTOLO - Comitato di Liberazione Musicale
Sul sito http://www.csabarattolo.org/ saranno inserite le da-
te delle mobilitazioni.
Per firmare la petizione: http://www.petizionionline.it/fir-
me/musica-al-csa-barattolo/246
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Beato chi crede nella giustizia perché sarà giustiziato. periodico mensile
Numero 52

racconti
Martedì 26
Gennaio 2010
Reg. Trib. Pv n° 594 - ISSN 1972-9669 - Stampa: Industria Grafica Pavese SAS, Pavia - Chiuso in Redazione 19-01-2010 - Tiratura 2000 copie - 2009, Alcuni diritti riservati (Rilasciato sotto licenza Creative Commons 2.5 Ita by-nc-sa)

Heart’s Filthy Lesson

La strada che scorre, incoccian-
do nelle luci gialle dei lampioni.
La zona industriale immersa nel
buio di una notte di giovane pri-
mavera. Le ruote si consumano
sull’asfalto, il motore gira e gira e
gira, producendo rumore al car-
bonio, espirando fumo nero verso
l’alto, con gli occhi luminosi pro-
iettati in avanti, sul grigiore delle
fabbriche, sui marciapiedi orfani
individuo, seduto in un univer-
so isolato, inglobato nella real-
tà. Solo a respirare tra quelle
portiere, solo a guardare avan-
ti, a battere le ciglia, a sentire
il rumore del suo cervello, per-
so nella nicotina e nei pensieri
lontani. Con il suo terzo occhio
fissa il sedile alla sua destra.
Something in our Skyes...
chie rimbombandoci dentro.
Scarica di corrente, brucia come
il filo di una lampadina, come
un elettroshock al timpano fino
all’anima. Riaccendono i ricordi,
riavviano la mente. Il videoregi-
stratore è acceso... PLAY.
Il sedile vicino a lui non è più
vuoto.
Ooooooooh RAMONA!!!
tra le fabbriche morte, e senza ca-
lore. Nient’altro che la sera, chiu-
si in quell’universo a sé. Scuote ATTREZZATURE E MATERIALI
la testa, sulla faccia una smorfia. PER BIOEDILIZIA
L’acceleratore ora ha la faccia sul VERNICI ECOLOGICHE
tappetino, la lancetta è a terra, il
motore urla, come lo spirito san- 20081 ABBIATEGRASSO (MI)
guinante che lo sta portando. Era Via Dante, 110
solo una voglia, era solo una di- Tel.02-94699044 - 94699083
strazione... Si è spenta la passio- Fax 02 - 94696203
ne, si è spenta la passione. Siamo

Kronstadt
di uomini indaffarati, sulle corsie Something in our Skyes... If there was only something due estranei ora, non incrociamo
delimitate da linee bianche, sen- Something in our Skyes... between us... neppure più gli sguardi, siamo
za altri occhi elettrici da incrocia- Something in our skies estranei nella stessa vita. Lonta-
re. Un proiettile nella costola del- Nel cielo lontano solo qualche something in our skies... no, lontano, è tutto morto, la pri- cerca
la città. Il tachimetro rosso scala smorta stella e una luna piena SOMETHING IN OUR BLOOD mavera è ormai decaduta, e que-
i chilometri per poi cominciare pallida, con le occhiaie più grandi something in our skies... sta notte fa freddo. Solo ghiaccio, collaboratori!!
a discendere, si schiaccia l’acce- del solito. Si tocca la barba e ten- solo vento gelato. UN’ISPIRAZIO-
leratore, poi lo si rilascia libero. ta di trattenere le lenti a contatto. Passa un cartello stradale, riac- NE, un embrione per una nuova visto che perdi già
Tocca alla frizione piegarsi al pie- La lancetta del tachimetro conti- quista luce per perderla subito poesia. Un impulso inaspettato. tempo leggendolo,
de, scatta la marcia, l’acceleratore nua ad avanzare, e la marcia scat- dopo. Ritorna nel buio. “Avrei gi- Una curva in lontananza. Lascia valuta l’idea
torna a sfiorare il tappetino pol- ta di nuovo; dalla metà comincia rato là...” STOP. Scuote la testa, l’acceleratore, schiaccia il fre- di perderne
veroso. La scocca grigia è un in- a scendere l’altro versante del se- via quella strada, non voglio ri- no. Marcia, marcia, marcia... La anche realizzandolo!
volucro insonorizzato, il mondo micerchio. Salgono i giri, la lan- cordare. PLAY. La macchina au- lancetta torna indietro, inizia a non aspettare:
esterno non trapassa la lamiera, cetta scivola giù, non ci sono più menta di nuovo la velocità, esce scendere. Le linee stanche corro-
spia il conducente dal finestrino, marce ora. Le linee bianche scor- dalla zona industriale. Erba al- no sempre meno veloce, finchè,
info@kronstadt.it
solo per un attimo ne intuisce la rono sempre più veloci, nessuno ta, campi sterminati, nessun’al- in ginocchio, prendono a cam-
figura, poi lo segue, nel suo dis- nei paraggi, nessun’altra vettura tra luce, solo la luna cinerea. minare, poi si fermano del tut- Credits:
solversi nella lontananza. Due a inseguirlo, il mondo addormen- to. TLACK. Scatta la portiera, il Ringraziamo Frank Miller per la fo-
dita si staccano dalla marcia tra- tato è ignaro di quel pezzo di uni- I THINK I’VE LOST MY WAA- motore da un ultimo sospiro, poi to di copertina, Roberto Benigni per
scinando la mano e il braccio. La verso che mangia le sue strade e AAAAAAAAAAAAAAAAAAY. chiude gli occhi elettronici, dor-
la foto di pagina 4 e Buster Keaton
radio aumenta di volume, Bowie alza di nuovo la radio. me.Sigaretta.
per quella di pagina 2. Ringraziamo
urla ancora più forte. Tornava sempre di là, quando il
tutti i volenterosi che si sono gentil-
Heart’s Filthy lesson... sedile non era vuoto. La macchi- Heart’s Filthy lesson...
OOOOOOOOOOOOOOOH Ra- Heart’s Filthy lesson... na si spegneva, le sue mani ave- Heart’s Filthy lesson... mente sottoposti alle nostre doman-
mona... Heart’s Filthy lesson... vano un contatto, accarezzava Heart’s Filthy lesson! de. Le frasette in testa alle pagg. 5-6-
una pelle infreddolità. Riceveva- 7-8 sono liberamente tratte dagli
“Oh... Ramona...” sussura den- Sussurra la radio. Esce quel suo- no nuova linfa. Ne avevano biso- “L’amore mi ha fregato ancora...” slogan delle magliette di MadeIn-
tro se stesso quel misterioso no elettronico e colpisce le orec- gno entrambi. Poi rimanevano lì, Luca Viti Jail (rimandiamo nuovamente al si-
to www.madeinjail.it per vederle e
R di ROBIN HOOD
Evasioni Letterarie
acquistarle). La copertina di Evasio-
ni Letterarie (qui a fianco) è opera
LADRO GENTILUOMO
Pagine nate nella notte, dentro un carcere di Andrea Franzosi (www.franzro-
om.net). Il logo e il manifesto del-
Non tacciatemi, vi prego,
Pubblichiamo due estratti (la prefazione di Mino sene. la musica libera è opera dei ragazzi
come essere mostruoso.
Milani e una poesia di Paolo De Meo) da Evasioni Ma non è so- Ho rubato, non lo nego, del Barattolo.
Letterarie, opera collettiva realizzata dall’Istituto lo questa la no- ma in un modo rispettoso. Tutto il resto è google.
sup. A.Volta di Pavia e dai detenuti del carcere Ca- vità del libro; Quel mattino, come sempre, In attesa del nuovo sito potete trova-
sa Circondariale di Pavia. L’opera è stata pubblica- un’altra sta nel mi diressi al lavorare, re i pdf dei vecchi Krosta su
ta in copyleft nel marzo 2009 dalle EdizioniOMP. E’ fatto che esso, non credevo veramente www.scribd.com/kredazione
acquistabile o scaricabile gratuitamente dal sito ancora una vol- mi potesse capitare
www.edizioniomp.com ta, ricorda l’im- quell’incontro col mio amico
portanza, an- che mi fece la proposta.
Prefazione di Mino Milani zi direi la forza “Lascia stare,” io gli dico, Direttore editoriale
della poesia. A “questa cosa non è giusta”. Ginevra Sanvitale
Y come Yes. Sì, credo di avere capito. Questo è un quanti deplo- Direttore responsabile
Ma lui insiste e io mi alletto.
libro nuovo. Ci sono in giro, e lo sappiamo, mol- rano che nel- Qualche soldo in più non guasta, Salvatore Gulino
tissimi libri. Entri in una libreria e, ogni settimana la Scuola si fac- lo stipendio è assai pochetto, Vicedirettore
per no dire ogni giorno, ne trovi di nuovi: di auto- ciano imparare poesie a memoria, rispondo che non ne viene che la pasta. Matteo Bertani
ri importanti, di sconosciuti, di esordienti, di gen- quei versi, per la maggior parte di noi, costituisco- E così senza rimorsi Caporedattore
te che non sa come passare il tempo, che spera di no l’unico e solo nostro bagaglio poetico. E a chi imbracciammo quei fucili Emmanuela Pioli
diventare famosa, e via dicendo. Ti pare insomma mi dirà: ”A che cosa serve la poesia?”, invece di aspettando il signor Rossi Vicecaporedattore
che su di noi si riversino di continuo idee, propo- spendere parole a convincerlo, io mostrerò questo con intenti molto ostili. Isabella Bossolino
ste (messaggi, si usa dire) nuovi. Apri un nuovo li- libro. Anzi, questo caro libro. Lui passava per il viale Impaginatore
bro, poi, e di nuovo non trovi nulla; ne apri un al- Caro perché fatto di verità, di buoni pensieri, di pa- con addosso quel borsone, Marco Pisellonio
tro, ti pare di averlo già letto. Che delusione. role semplici; perché da altro non viene che dal voi credete sia normale
E io dico: apri questo, apri Evasioni letterarie e sentimento; perché ha commosso chi lo ha scritto che lì dentro abbia un milione?
trovi qualcosa di nuovo. Date un’occhiata all’in- e commuove chi lo legge. Ecco. Date un’occhiata a Signor giudice, mi creda, Kronstadt
dice: affetti, amore, aria, carcere, dono, famiglia, questo alfabeto e capirete a che cosa serva la poe- io non voglio far le farse, periodico mensile
fede, libertà, moglie, nostalgia, solitudine, tempo, sia; e se proprio non riuscite a capirlo, bene, non di- era proprio lui la preda, Numero 52
vuoto… Ma dov’è il nuovo? dirà qualcuno, non so- co: “peggio per voi”, ma “peccato”. Peccato che non l’esattore delle tasse.
no questi comuni argomenti? riusciate a negarvi alle voci di fuori e ad ascoltare La redazione di Kron-
E perciò Lei tenga conto, stadt è aperta ad ogni
Comuni, certo, lo sono. Quello che comune non le voci di dentro. A trovare in voi stessi, nel silenzio quando emette la sentenza,
è, quello che li rende nuovi, è il modo di parlarne. della notte o nella solitudine del giorno, momenti e tipo di collaborazione.
se si sente proprio pronto,
Chi, in questo libro, è “evaso” dalla sua realtà quo- parole di speranza. E d’amore. di espletare con clemenza, Potete contattarci a:
tidiana, infatti, lo ha fatto non per passare il tem- L’amore muove il mondo. Ma a chi lo dice, qual- perché come sanno tutti www.kronstadt.it
po, per diventare famoso, ma per se stesso. Per cuno ride in faccia, o risponde con disprezzo: (e già esposi nel mio quadro) kronstadt.splinder.org
tornare a trovarsi e a riconoscersi; lo ha fatto per parole, luoghi comuni, chiacchiere. qui ci voglion le attenuanti: info@kronstadt.it
se stesso, quindi non ha mentito. Se non impos- Ah sì? E a che cosa t’aggrappi, per restare a galla? ho rubato sì, ma a un ladro.
sibile, è difficile mentire a se stessi; non vi si rie- Lo sai che parole, luoghi comuni, chiacchiere non http://creativecommons.
E pertanto che ne dice org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/
sce quasi mai, e gli altri non faticano ad accorger- hanno mai fatto evadere nessuno? di una bella assoluzione? legalcode/
Io di Robin non son vice,
KRONSTADT: iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione A.C.ER.S.A.T. dell’Università di Pavia
nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali ricreative degli studenti. ma superba imitazione.
Altre entrate sono rappresentate da eventi culturali, feste, concerti, il sangue di chi collabora, libagioni e gozzoviglie varie.
Paolo De Meo