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IL MALATO E LA SUA CURA

NELLE GRANDI RELIGIONI STORICHE1


La pretesa del titolo (la cura del malato nelle grandi religioni storiche) va ridotta in
quanto un tale argomento reclamerebbe la durata di un corso annuale. La pretesa in
realt solo quella di suscitare qualche interrogazione, qualche piccola suggestione
sul tema il malato e la sua cura nelle culture religiose altre, diverse da quella
cristiana. Il tema sufficientemente visitato a livello saggistico2, quivi si tratta di
mettere a fuoco alcuni aspetti convergenti e divergenti giustificati allinterno delle
culture religiose in questione.
La prospettiva delle mie osservazioni sul tema non di carattere n teologica, n
filosofica; il mio intento dunque quello di osservare, non di giudicare o valutare.
Lesito vuole essere, come detto, di aprire uninterrogazione, dunque nessuna
comparazione e nessuna questione di merito, come vuole lepistemologia della storia
delle culture religiose.
Una prima osservazione riguarda il processo di separazione delle culture religiose
rispetto al loro assetto specifico; da una parte stanno le cosidette culture religiose del
Libro (ebraismo, cristianesimo, islm),dallaltra le culture religiose della veggenza
(termine che non significa visione ma sapere mitologico, sapere archetipale)3. Si
tratta di due universi culturali e religiosi epistemologicamente diversi e quindi con
un pensiero diverso anche sulluomo nella sua esperienza di malattia e di malessere.
Volendo dire in modo semplificato (quasi semplicistico) la doppia assialit del tema
si pu dare questa indicazione.
LE CULTURE DEL LIBRO (Ebraismo-Cristianesimo)
In queste culture religiose lesperienza del male, della malattia, del malessere
reclama, invoca Dio come spazio di significazione, quanto alla sua origine e quanto
alla sua gestione positiva. Ma nellorizzonte delle religioni del Libro va fatta una
necessaria distinzione; nella cultura ebraico-cristiana il male come la sofferenza
coniugata al peccato inteso come destabilizzazione delluomo rispetto al disegno
divino , cos la sua liberazione legata a Colui che toglie il peccato ,Cristo, in
particolare al suo martirio in croce. La sofferenza pu essere giustificata e significata
1

Si tratta della trascrizione di una conferenza tenuta al Convegno dal titolo: Ospitalit e accoglienza, nel mese di
maggio del 2015, nella sala Teresiana dellUniversit di Pavia. Il contesto delliniziativa spiega il carattere sintetico e
divulgativo del tema.
2
Cfr., d esempio: AA.VV., Liberaci dal male. Male e vie di liberazione nelle religioni, ed. Emi, Bologna 1983;C.
Impera, Il significato della vita e della morte. Unanalisi critica dei pi importanti testi ind, ed. Guaraldi, Rimini
1995; G. Rizzardi, Lislm: il linguaggio della morale e della spiritualit, ed. Glossa, Milano2007, 65-96.
3
Cfr., G. Rizzardi, Luomo interroga se stesso,ed. Pime, Pavia 012, 19-46.

come consociazione al martirio archetipale di Cristo. Nella cultura islamica, che


manca del concetto di peccato originale ed attuale, la risoluzione del male rispetto a
Dio passa attraverso il principio o criterio istitutivo dellislm cio la sottomissione
(islm) alla Sua volont. Dio sa (esclamazione teologica fondamentale dellislm!) e
quindi conosce anche il perch del male che tocca alluomo e dalla comunit umana.
Il credente deve accettare nella sottomissione sia il bene che il male. Pertanto
lesperienza del male delluomo non gli assegna alcun merito, esso fa parte della
struttura dellesistenza storica, la quale tutta sotto il segno della sottomissione4.
Nelluno e nellaltro caso il male convoca in campo Dio in modo differente, ma
mentre nellorizzonte ebraico-cristiano si apre linterrogazione del perch (peccato),
in quello islamico si insegna solo il comportamento religioso, cio latto della totale
sottomissione.
LE CULTURE DELLA VEGGENZA
Lassialit del tema muta strutturalmente nelle culture della veggenza. Lapofaticit
di Dio (non come negazione, ma come non-poter-dire) rimanda la lettura
dellesperienza della malattia-malessere dentro lorizzonte della realt cosmicoantropologica. Ed allora la lettura e la significazione dellesperienza della malattiamalessere va cercata allinterno delle dinamiche interagenti tra cosmicit-socialitfenemenologia antropologica. In termini semplificati si pu dire che il contenimento
del malessere della sofferenza dipende dalla capacit e possibilit delluomo di
gestire una buona relazione con le dinamiche attive del cosmo e della socialit.
Bisogna soffermarci un attimo sulla questione lessicale in quanto i termini evocati
nelle culture della veggenza hanno una loro significazione specifica, a cominciare
dalla parola cosmo o cosmicit; non si tratta solo della realt dellenergia cosmica
nella sua materialit, ma del soffio o respiro della vita, cio della vitalit che fa essere
ogni realt esistente. La cosmicit (potremmo dire con esagerazione) un essere
vivente, la stessa Vita. Per questa ragione il male o malessere il venire meno
della vitalit e riguarda linterezza delluomo (jiva), la sua stessa struttura di
esistente. Per questo la definizione del male o del malessere va cercata nel processo
della relazione delluomo con il Soffio vitale. Il Male il venire meno del respiro
vitale dentro luomo, una mancanza di respiro.
La letteratura di riferimento per questa tematica la raccolta vedica denominata
AyurVeda (per quanto riguarda il Bramanesimo, che ha il suo compimento nelle
4

A-Rz, Guida del medico nomande del deserto. Precetti di medicina ecologica del IX secolo,edizioni di red./studio
redazionale, Como 1980.

Upanishad), il Discorso di Benares (per quanto riguarda la cultura buddhista) e la


Bagavad Ghita.5
Si d una diversa prospettiva del tema nella due tradizioni, quella vedica da una parte
e quella buddhista dallaltra; mentre nella prima (Brahamanesimo) lorizzonte di
diagnosi e di contenimento del male-malessere si rivolge al jiva nel suo rapporto con
tutta la realt cosmico-sociale (che costituisce lhabitat proprio delluomo), nella
seconda (discorso di Benares)6 lorizzonte centratamente ed esclusivamente
antropologico, come dice il discorso citato: la grande prima verit del dukkha
antropologico, lorigine del dukkha (la sete, la passione, la brama del vivere), il
contenimento del dukkha (smorzare il desiderio di vivere), infine la via verso
lestinzione (ottuplice sentiero: la consapevolezza di maya, la rettitudine del parlare,
del pensare, dellazionee cos via).
Il principio fondamentale che governa la teoria del dolore-malessere il seguente: il
malato non portatore di un organo malato ma un soggetto che soffre nella sua
interezza; la malattia la denuncia di una personalit olisticamente malata, di una
struttura antropologica olisticamente sofferente. Il male-malessere rimanda alla
denuncia di un dis-ordine strutturale, cio di una non-buona relazione (il non interesse) tra corpo e soffio antropologico, tra uomo e soffio cosmico.
Il secondo principio fondamentale, che d ragione dellorigine universale del malemalessere (oltre luomo): il male-malessere un accadimento procedurale inevitabile
(nel sistema delle esistenze) in quanto compare nel passaggio dallindeterminato (sat)
al determinato della realt (asat), dallOrdine (Dharma, come poter essere al disordine (dis-ordine, come non-ordine, cio il momento dellorganizzarsi nella
molteplicit della Realt). Il male-malessere dunque iscritto dentro la struttura del
samsara cio del divenire della realt. Per questa cultura il divenire la Realt, non si
d altra modalit di realt al di fuori del processo fenomenologico.
Il terzo principio fondamentale riguarda il processo di contenimento del malessere
cio la conoscenza-consapevolezza della advaita, che in negativo dice la nondualit della Realt (il malessere non mai dunque solo di una parte del cosmo ma
della sua totalit) ed in positivo suppone linterazione (nel senso etimologico di
inter-esse) tra tutti gli orizzonti della vita. Il malessere antropologico dunque non si
spiega guardando solo lin s delluomo, il microcosmo jivico (jiva), ma tutto il
processo della relazione del jiva con la totalit della vita universale. A partire da
questi presupposti generali si creano allinterno della cultura vedica diverse
5
6

Per uninformazione in merito, cfr., G. Rizzardi, Luomo interroga se stesso, cit., 19-36.
Cfr., G. Rizzardi, Luomo interroga, cit., 143-162.

modulazioni del tema, che non sono tutte rettamente giustificabili dentro il sistema
sebbene siano derivate dallo stesso. Nominiamo alcune forme.
a)La concezione sistemica della salute convergente attorno al concetto di energia: la
via del nirmnakaja tibetano.
Questa teoria gi dellayurveda condivisa dalla medicina cinese e tibetana nonch
dalla corrente contemporanea della New Age; essa parte dal principio dello stretto
rapporto tra macrocosmo e microcosmo; il macrocosmo si specchia nel micro-cosmo
che il corpo delluomo. C uno scambio di energia ed una correlazione permanente
che consente che lenergia cosmica venga partecipata allo spirito delluomo; nella
misura in cui luomo sa e vuole parteciparne trova la sua salute e la sua energia
positiva vitale. Questa energia che viene detta diversamente nelle culture (prana
nellinduismo, chi nella cultura cinese, ka nella cultura egiziana, oceano dellessere
nella cultura yogica) determina unequilibrio energetico grazie allo scambio e la
perfetta armonia tra elementi cosmici e corporei, dalla quale deriva la salutebenessere. Qui sta il fondamento dellecologia, secondo il quale la salute-benessere
una, cio simultaneamente del cosmo e del corpo e di conseguenza il benessere
cosmico fondante il benessere corporeo. Qui sta anche il fondamento del potere
terapeutico della natura come la grande guaritrice, professato dallAyurveda,
riflettuto e ripreso con un corredo culturale aggiornato da parte della New Age. Qui
sta il fondamento dellomeopatia come medicina alternativa (il simile guarisce il
simile), dello shiatzu, della pranoterapia, della cromoterapia, della fitoterapia, della
riflessologia e di altre tecniche terapeutiche. Al di sopra di tutte queste tecniche va
collocato lo yoga, la meditazione trascendentale, la meditazione zen, il training
autogeno, fondate sul principio che la mente ha un potere capace di ristabilire
lequilibrio determinato dalla stato disarmonico della malattia, in quanto capace di
riconciliare luomo con il cosmo.
b)La concezione psichica e mentale della salute derivante dalla potenza
incontrollabile della mente: il sambhoga Kya.
Nella letteratura dellAyurveda si sostiene il principio che tutto ha origine dalla mente
e le stesse cellule del corpo, dotate di intelligenza, collaborano a far crescere il potere
della mente. Questo principio suppone la visione del corpo come campo di energia
interagente con lenergia della mente, la quale, a sua volta, pu attingere la sua
energia dall infinito spirituale. Naturalmente la mente necessita di essere attivata
grazie alla meditazione, lo yoga, la preghiera; queste pratiche non producono sono
direttamente salute, ma aiutano il soggetto umano a percepire consapevolmente il

senso del vivere nellOrdine, ad infondere il coraggio di esistere per non essere
sopraffatti dal male-malessere.
c)La concezione animica, medianica della salute. Il dharma kya: la via dharmica
della visione tibetana
La malattia viene collegata con disturbi psichici, con la possessione di spiriti e di
demoni, ragion per cui la guarigione non avviene attraverso la forza della propria
mente ma attraverso lesorcismo, la recita dei mantra e le tecniche ipnotiche. Le
pratiche magico-spiritiche dellAtharva veda sono passate nellAyurveda e diffuse in
seguito in tutto il Tibet. Il concetto di malattia che presiede a questa terapia che essa
sia un blocco energetico, causato da forze occulte, soprattutto nel caso di malattie
psichiche, vinte da un medium che riesce a cacciare le forze malvagie individuate
attraverso laura che circonda il corpo.
d)La concezione totalmente spirituale della malattia e della salute:la conquista della
buddhit come sanazione sicura
La salute collegata con la ritualit di carattere religioso, alla quale (come al rito del
sacrificio) si attribuisce una forza straordinaria in ordine alla vita. Vi sono anzitutto
riti di de-contaminazione, fatti di abluzioni e bagni rituali; poi riti di purificazione
con la confessione, vomito dei peccati, esorcismi o sedute di de-possessione del
maligno; seguono riti di santificazione mediante la vestizione di abiti puri; si
aggiungono riti di protezione con il crocifisso, le candele, linvocazione della milizia
celeste; infine riti di liberazione psichica con danze, digiuni, astinenze e riti di
captazione del divino con la trance o la morte sacramentale (estasi). Dunque una
totale metamorfosi, una vera nuova nascita, che non si limita a produrre un processo
dinamico di cambiamento ma una trasformazione metafisica, una sorta di liberazione
dal tempo, spazio, condizionamenti per entrare in un mondo della buddhit. Come si
pu vedere alla fine il sistema originario si inquina obbedendo ad alcune istanze di
carattere popolare; il passaggio dalla questione di senso alla prassi evidenzia un
abbassamento di tono alla ricerca di modalit pratiche ordinate al fine.7
A modo di conclusione
1. Il senso della storia del tema
Lorizzonte dentro il quale le religioni e le culture religiose si sono interessate
alluomo nellesperienza della dolore-malessere principalmente quello della cura e
7

Un piccolo saggio di introduzione alle tecniche della terapia vedica: Tomio Hirai, Meditazione zen come terapia,
edizioni di red./studio redazionale, Como1984.

dellaccudimento. La domanda di carattere eziologico, in termini culturali o religiosi,


viene in seconda istanza. Nessuna religione storica ha elaborato una risposta ultima
circa il darsi del dolore-malessere delluomo e della creazione in genere. Anche la
cultura cristiana, debitrice verso la cultura giudaica, che mette in relazione il
peccato e la malattia non intende dare una risposta ultimativa del dolore-malessere
delluomo. Il peccato va inteso come il venir meno del credente rispetto alla Legge
(nel caso ebraico, la Torah), codice che non riguarda solo il benessere dello spirito
(aspetto morale) ma luomo nella sua totalit psico-fisica. La Legge in questo senso
presiede anche alla salute, al benessere fisico, allarmonia totale dellessere umano, di
conseguenza il peccato tutto ci che disattende gli orientamenti del benessere.
Le culture religiose pi che occuparsi dellorigine del malessere si applicano ad
indicare o ad istituire il capitolo della significazione dellesperienza del malessere
nelle sue varie forme, perch essa deve essere giustificata nel patrimonio culturalereligioso antropologico. Il fondatore della fede cristiana nel testimoniale scritturale
neotestamentario (nei Sinottici in particolare) presentato come il guaritore, il
taumaturgo, il benefattore; la sua identit si configura dentro la massima forma di
solidariet verso coloro che sono dentro lesperienza del dolore e della sofferenza
psichica e morale.
Il grande merito delle religioni storiche e principalmente della cultura vedica stato
quello di mettere al centro non tanto la malattia, come assenza di salute, quanto il
soggetto umano nella sua complessit antropologica. La malattia da episodio della
vita fisica diviene episodio del malessere cio interferisce con la sensibilit,
lemotivit umana, addirittura con limpianto dei significati esistenziali. Da questo
punto di vista lesperienza storica di Ges e la letteratura evangelica si presentano
come la ripresa di questa forte concezione olistica della salute.
Nessuna cultura religiosa educa ad esaltare o a dare valore allesperienza del male
quasi si trattasse di un momento esistenziale che dia una qualit in pi allesistere. La
letteratura vedica ed anche quella biblica hanno capitoli di deplorazione, di sgomento,
di rivolta verso lesperienza del male-malessere. Il grido della sofferenza e della
disperazione (senso etimologico) verso la condizione umana (vedismo) o addirittura
verso Dio (ebraismo) sovrabbondante. La preghiera dei salmi e soprattutto il
memoriale dellesperienza di Giobbe rappresentano bene il grido della disperazione;
Giobbe chiama addirittura Dio sul banco degli imputati!
Il capitolo della corresponsabilit delluomo rispetto allevento del male-malessere
presente trasversalmente in ogni cultura religiosa, sebbene con modalit differenti, o
nei termini di trasgressione rispetto al codice della vita indicato da Dio (ebraismo),

ovvero nella denuncia della mancata buona relazione delluomo con il cosmo e la
socialit (cultura vedica). Qui nasce la motivazione delleducazione allosservanza
delle regole della vita da parte delle religioni, lette e rivisitate come comandamenti
di Dio.
2. La memoria storica d pensare
La questione che il tema evocato storicamente sollecita non in s ma nella sua
modalit di pluralit di interrogazioni e di risposte : che cos la malattia e da quale
parte viene la risposta di senso? A livello antropologico, etico e religioso?
Siamo consapevoli che lesperienza della malattia oggi si profondamente
trasformata; il termine malattia quasi interamente scomparso dal linguaggio
culturale e scientifico, superando il concetto di corporeit come fisicit ed acquisendo
il concetto di organismo fisico o meglio di vita biologica, volendo salvare da una
parte lintegrit delluomo e dallaltra la sua dignit antropologica. Da questo punto
di vista la scienza medica, che si aperta verso la totalit della condizione fisica
delluomo e che ha acquisito una conoscenza profonda del tutto e delle parti
dellorganismo umano, accresce il suo potere sul malato fino al punto di espropriarlo
dalla gestione della sua malattia e di limitare lesercizio della sua libert rispetto ad
essa. Accanto al potere della medicina sul malato si sviluppato parimenti il peso che
la malattia esercita sulla coscienza del soggetto; il pensiero della salute e della
minaccia della malattia lo prende al punto di affidarsi a qualsiasi forma di
prevenzione ed allabuso degli stessi medicinali. Questa trasformazione in atto
rispetto allesperienza della malattia mette in crisi non solo i processi terapeutici
tradizionali ma anche quelli orientati a giustificare e a significare lesperienza della
sofferenza.
Laltro aspetto del problema: chi legittimamente candidato a sviluppare in questo
nuovo contesto la questione di senso? Pesa sulla questione una tradizione di
ispirazione ingombrante , quella rappresentata da una letteratura ascetica e devota che
ha elevato il valore della malattia e del malessere ai fini salutari, redentivi. Come
gi detto, qualsiasi nesso tra peccato e sofferenza colloca questultima in una
dimensione penitenziale. Alcune forme pastorali che hanno reso amabile il
conferimento dellolio santo celebrato comunitariamente lontano dalla malattia grave
non fanno che isolare il malato dalla sua angoscia e solitudine, soprattutto se questa si
trasforma alla fine in un pasto gioioso. E dunque la questione merita un ripensamento
sia a livello morale che teologico, il quale non pu contare sul patrimonio biblico,
limitato e debitore alla cultura epocale. Il rischio quello di affidare unicamente alle

scienze biologiche e psicologiche la gestione di fatto e di senso del dolore e del


malessere umano8.

Per una conoscenza dello status quaestionis del tema in ambito morale e teologico rimando a: G. Angelini, La
malattia, un tempo per volere. Saggio di filosofia morale, ed.Vita e Pensiero, Milano 2000.

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