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La teoria del tragico nel Giraldi

(con incursioni nellepico)


di Rosanna Morace

Il 20 aprile del 1543 Giovan Battista Giraldi Cinzio termina il Discorso intorno al comporre delle comedie e delle tragedie1. In quegli stessi giorni conclude
anche la tragedia Altile2, nel cui Prologo esplicita i cardini attorno a cui ruota
la sua riforma tragica: una rivisitazione del genere che si spinge ben oltre i
modi senecani, gi sperimentati nellOrbecche3, e che costituir i prodromi
del teatro italiano ed europeo del Seicento:

1
G. B. Giraldi Cinzio, Discorso over lettera di Giovambattista Giraldi Cinzio intorno al
comporre delle comedie e delle tragedie, a Giulio Ponzo Ponzoni, in Id., Scritti critici, a cura
di C. Guerrieri Crocetti, Milano: Marzorati, 1973. La prima edizione venne stampata nel 1554
insieme agli altri Discorsi giraldiani (Discorso di Giovambattista Giraldi Cinzio intorno al
comporre de romanzi, a G.B. Pigna e Lettera overo Discorso di Giovambattista Giraldi Cinzio
sovra il comporre le satire atte alla scena, a Messere Attilio dallOro, terminati rispettivamente
il 29 aprile 1549 e il 1 agosto 1548): G.B. Giraldi Cinzio, Discorsi di M. Giovanbattista Giraldi
Cinzio intorno al comporre dei romanzi, delle comedie e delle tragedie, e di altre maniere di
poesia, Venezia: Gabriel Giolito de Ferrari, 1554.
2
Il termine di composizione ante quem dellAltile il 29 aprile 1543, giorno in cui la
tragedia sarebbe dovuta andare in scena per celebrare la visita di Paolo III a Ferrara (cfr., a
proposito: C. Guerrieri Crocetti, G.B. Giraldi e il pensiero critico del XVI sec., Milano-GenovaNapoli-Roma: Societ Anonima Editrice Dante Alighieri, 1932, p. 718); la morte dellattore
principale, il Flaminio, avvenuta proprio il 29 aprile, non ne permise per la rappresentazione.
La prima edizione (da cui si cita) sar pubblicata ben quarantanni dopo: G. B. Giraldi Cinzio,
Altile. Tragedia di m. Gio. Battista Giraldi Cinthio, nobile ferrarese, Venezia: Giulio Cesare
Cagnacini, 1583. Non esiste, a tuttoggi, unedizione moderna. Sulla tragedia cfr. Altile. The
birth of a new dramatic genre in Renaissance Ferrara, a cura di P. Osborn, Lewiston: E.
Mellen Press, 1992.
3
G. B. Giraldi Cinzio, Orbecche. Tragedia di m. Giouanbattista Giraldi Cinthio da Ferrara, Venezia: eredi Aldo Manuzio, 1543. Lopera fu composta, in circa due mesi, nel 1541 e
rappresentata nello stesso anno in casa dellautore, alla presenza del Duca Ercole II con ricco
apparato scenico dovuto a Girolamo Cotugno (C. Guerrieri Crocetti, G.B. Giraldi, cit., p. 710).

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Ci che accomuna il Prologo dellAltile4 e il Discorso va ben oltre lattigua


data di composizione, tanto che possibile affermare che luno sia la palinodia dellaltro: lipotesto di entrambi la Poetica di Aristotele, ma lassunto
fondamentale la necessit di affrancare il genere tragico da tale autorit e
dallesempio classico, per assecondare le mutate esigenze del proprio tempo
e degli spettatori5. Inoltre, concordemente con quanto teorizzato nel Discorso, la trasposizione in endecasillabi sciolti ha un andamento prosastico,
a tratti quasi canterino, che la rende ben lontana dallaustera gravit della
Sofonisba trissiniana6, della Canace dello Speroni7 e, in generale, dalla lingua
illustre prescritta dal genere. Nel registro, nella lingua e nel destinatario
si evidenziano, dunque, i primi scarti netti rispetto ai precedenti modelli
cinquecenteschi: composte per una lettura solitaria, accademica e dotta, le
tragedie del vicentino e del padovano; programmaticamente pensate per un
pubblico cortigiano e per la viva rappresentazione teatrale, quelle del Giraldi8; la rigida adesione ai dettami aristotelici per gli uni; la commistione tra
commedia e tragedia ovvero due generi tenuti distanti da Aristotele per
laltro. In ragione di questo accostamento, fin dal titolo il Discorso intorno al
comporre delle tragedie e delle comedie in aperta controtendenza aristotelica.
Eppure, nel rendere la tragicommedia sinonimo di tragedia, e, pochi
anni pi tardi, il romanzo cavalleresco sinonimo di epos (nel Discorso sopra il
comporre de romanzi), Giraldi mette in atto una coerente strategia di riforma
dei generi allinterno della nuova lingua volgare, ritenuta oramai pienamente
degna di sviluppare una propria tradizione letteraria, indipendente e affrancata
da quella antica. La questione della lingua e gli esperimenti di rinnovamento
4
Si propone in Appendice ledizione del Prologo dellAltile, poich, come si sopra detto,
non esiste unedizione moderna della tragedia.
5
Tale presupposto verr ribadito anche nei pi tardi Discorso intorno al comporre de romanzi
e sovra il comporre le satire atte alla scena. Sullipotesto aristotelico e oraziano del Discorso
sulle Satire, cfr. Angela Maria Andrisano, La lettera overo discorso di G. Giraldi Cinzio sovra
il comporre le satire atte alla scena: tradizione aristotelica e innovazioni, in Giovan Battista
Giraldi Cinzio gentiluomo ferrarese, a cura di P. Cherchi, M. Rinaldi e M. Tempera, Firenze:
Olschki, 2008, pp. 17-27.
6
G. G. Trissino, Sofonisba. Tragedia di m. Giouan Giorgio Trissino, Venezia: Francesco
Rampazetto, 1562.
7
S. Speroni, Canace. Tragedia di messer Sperone Speroni nobile padouano, Venezia: Vincenzo
Valgrisi, 1546.
8
Ampio spazio dedica Giraldi, nel Discorso intorno al comporre delle comedie, allallestimento dellapparato scenico: cfr. pp. 219-221. Sappiamo, inoltre, che per la prima rappresentazione
dellOrbecche fu allestita una costosa e sontuosa scenografia da Girolamo Contugo, che riusc
a dare alla tragedia quella grandezza e quella maest che alla qualit della favola era convenevole: G. B. Guerrieri Crocetti, G.B. Giraldi, cit., p. 710; e Nicola Savarese,Per unanalisi
scenica dellOrbecchedi G. B.Giraldi Cinzio, in Biblioteca teatrale, 2 (1971), pp. 113-157.

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della lirica degli anni 20 avevano gi aperto la strada; il Furioso (nonostante le


polemiche che lo vedranno oggetto) era indubbiamente qualcosa che andava
oltre il Pulci ed il Boiardo, combinando fonti classiche e romanze e ponendo
cos le basi per una tradizione epica volgare. La commedia aveva, poi, ampiamente sperimentato un modello volgare autonomo, intarsiando Plauto e
Terenzio con situazioni e spunti della novellistica boccacciana: la Calandria
del Bibbiena, la Mandragola del Machiavelli e tutte le commedie ariostesche.
Mancava una riforma che coinvolgesse la tragedia e il poema epico, ovvero
i due generi maggiormente sottoposti ad Aristotele; e la novit del pensiero
del Giraldi fu tanto pi ardita in quanto li affranc da tale autorit, cogliendo
con lungimiranza assoluta tendenze innovatrici gi in atto. Ne scaturisce un
tentativo di conciliazione tra istanze e generi diversi, che si protrarr fino al
Seicento e interesser largamente il Tasso, ma dal quale non sono immuni,
in fondo, nemmeno i pi ortodossi Speroni e Trissino. A ben guardare, infatti,
tutti i maggiori tragediografi e/o teorici del tragico medio-cinquecentesco
sono stati anche autori di poemi epici e/o di trattati sullepos (si pensi, oltre
ai gi citati Giraldi e Speroni e Trissino, anche al Dolce, allAlamanni, al
Ruccellai, oltre ovviamente a Torquato Tasso); e, in tutti, il primato conferito
da Aristotele alla tragedia9 si sposta decisamente sul poema, che uniformemente ritenuto il genere tragico e illustre per eccellenza.
Tratter del poema solo per brevi accenni, nella convinzione che unanalisi
sincronica tra la teoria tragica ed epica possa portare alla luce, quantomeno per
il Giraldi (ma probabilmente non solo), interessanti aspetti, finora non del tutto
chiariti. Spesso, infatti, le due speculazioni sono state analizzate separatamente,
mentre, in realt, corrono parallele, si intersecano e si sovrappongono lungo
tutto larco del secolo. E vi unimportante spia linguistica di questo rapporto
incrociato tra la riforma dei generi e quella linguistico-poetica inaugurata dal
Bembo, che sar il caso di seguire partendo proprio dal Prologo dellAltile.
La novit de la tragedia | pur test nata, recita il Prologo, si fonda sulla
rivendicazione che s ferme non sian le leggi poste, che non gli sia dato |
uscir fuor del prescritto in qualche parte. La necessit, quindi, di ammettere deroghe ai principi aristotelici, per servire a let, agli spettatori, a la
materia nuova non , infatti, in antitesi con quanto fecero gli antichi, dal
momento che anche i romani assecondarono la diversit della propria lingua e del proprio tempo introducendo varianti al modello greco: cos, per
esempio, Virgilio aveva rivisitato lepos omerico10 come Seneca il tragico di
Aristotele, Poetica, V 10-15: tutto quel che ha lepopea appartiene anche alla tragedia,
mentre quello che appartiene alla tragedia non si trova tutto nellepopea.
10
G. B. Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre de romanzi, in Id., Scritti critici, cit.,
9

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Sofocle11. In ragione di queste constatazioni, Giraldi si spinge ad affermare


persino che sora fusser qui i poeti antichi, | cercherian sodisfare a questi
tempi, | a spettatori, a la materia nova, e quindi a giustificare il suo usar se
stesso, uscir de luso antico. Una prima deroga al modello lintroduzione
di un prologo non canonico (perch non facente parte della fabula): prassi
appena accennata nellAltile, ma meglio argomentata nel Discorso12, dove Giraldi fa ricorso a Plauto e Terenzio, ipotizzando due diversi tipi di prologo13
e trattando insieme, quasi come un unico genere, commedia e tragedia. E
anzi, se il lieto fine della tragedia era stato gi sperimentato dai greci (Tal
lIon dEuripide e lOreste, | Elena e Alceste, con lIfigenie, | e alcune altre
che tacendo io passo), proprio Plauto nellAnfitrione ad usare il termine
di tragicommedia:
Bench ci mostr Plauto, prima di me, che alle tragedie di fin lieto, come
ve ne sono alquante delle mie, non disconveniva il prologo, avendolo egli,
contra luso de Greci, preposto al suo Anfitrione, il quale con disusata
voce chiam egli tragicomedia14.

Proprio sul termine tragicomedia, postilla:


la qual voce non poscia stata accettata n dai Greci, n dai Latini, n dai
nostri altres, se non da coloro che si hanno creduto che le tragedie non
pp. 62-63: per let nella quale Omero scrisse, semin tra i lumi della poesia molte cose che poi
sono rimaste biasimevoli nellet che sono venute dappoi, mentre Virgilio si pot veramente
chiamare la regola del giudizio delle cose gravi e magnifiche [] come veracissimo esempio
del compimento della grandezza eroica. Perch a quel tempo nacque Virgilio che la maest romana era in guisa cresciuta che non poeta pi oltre andare, e le cose della poesia, sparse nella
moltitudine delle composizioni degli altri, erano tali che solo vi mancava uno che le levasse
dalle tenebre e le facesse conoscere tutte insieme raccolte e maravigliosamente disposte in un
bellissimo corpo.
11
G. B. Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre delle comedie, cit., p. 173.
12
Ivi, p. 203: Vero chio sono stato un poco pi ardito che non sono stati gli altri compositori
di tragedie che hanno scritto prima di me, in porre il prologo innanzi alle tragedie mie distinto
dalle parti della favola, come fecero i Romani e doppo loro gli Italiani nella nostra lingua alle
comedie. Il che mi ha fatto ardire la qualit de tempi nostri e il vedere che ci non scema n
grazia, n virt alla tragedia, anzi apparecchia lauditore allattenzione della favola, dandogliene
un poco di gusto innanzi che pi oltre si vada.
13
Ivi, p. 202: E forse ci accenn Cornuto, bench brevemente, queste due maniere di prologo, quando ci disse i Greci, secondo il costume dei Romani, non han prologo del modo che
abiam noi: quasi che ci volesse dire che i Romani, oltre il prologo che hanno i Greci, ne hanno
un altro che appresso i Greci non si ritrova, ancora che i Romani da essi togliessero le favole.
Laccenno desunto non da Cornuto, ma da Evanzio (De fabula, 3, 2), come rileva Susanna
Villari, Introduzione a L. Dolce, Marianna, a cura di ead., Torino, RES, 2011, p. XV.
14
Ivi, p. 203.

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possano aver felice fine come avere il ponno, e per lesempio di Sofocle
e di Euripide e per lautorit di Aristotile. Bench chi considera la voce
di Plauto non giudicher che egli abbia voluto domandare la favola di
un sol nome tragicomedia, ma volle egli dire che egli mescolerebbe ad
una materia tragica un fine comico, epper disse: Faciam ut comixta
sit tradicomedia15.

Fondamentale assunto su cui poggia la riforma giraldiana , comunque,


il continuo mutare delle lingue, delle leggi, dei costumi, ma anche il fatto
ch luomo nel mondo | di libero volere, e ch in suo arbitrio | ove meglio
gli par, piegar la mente. Difficile non cogliere, in questo accenno al libero
arbitrio umano, una sottile contestazione della Riforma luterana: e ricordo
che ci troviamo nella Ferrara di Renata di Francia, negli anni che precedono
la Controriforma, quando la necessit del rinnovamento spirituale non era
stata ancora repressa nei dogmi dellortodossia, e quando la fiducia nelle
potenzialit della nuova era permisero uno sperimentalismo inconcepibile
solo pochi anni dopo. Dal clima di rinnovamento e apertura era emersa
la riforma bembiana; da questo spirito nasceranno le tragedie giraldiane
e i numerosi tentativi epico-romanzeschi dellet di mezzo tra Ariosto e
Tasso; e tutti si fondano sul comune assunto della necessit di soddisfare
alle esigenze di unepoca mutata, di costumi, modi, attanti e spettatori che
non sono pi quelli antichi, e a cui necessario rivolgersi onde evitare di
parlare ai morti.
Scriveva il Bembo, in un capitale passo delle Prose:
Perch le scritture, s come anco le veste e le arme, accostare si debbono
e adagiare con luso de tempi ne quali si scrive, con ci sia cosa che esse
dagli uomini che vivono hanno ad esser lette e intese, e non da quelli
che son gi passati [...].
Ora vi dico che s come al Petrarca e al Boccaccio non sarebbe stato
dicevole che eglino si fossero dati allo scrivere nella lingua di quegli antichi, lasciando la loro, quantunque essi lavessero e potuto e saputo fare,
cos n pi n meno pare che a noi si disconvenga, lasciando questa del
nostro secolo, il metterci a comporre in quella del loro, ch si potrebbe
dire, messer Carlo, che noi scriver volessimo a morti pi che a vivi16.

Proprio il sintagma scrivere a morti ci riporta al Giraldi e a Bernardo


Tasso, con due citazioni esplicite che non possono essere casuali.
15

Ivi, pp. 281-282.

P. Bembo, Prose della volgar lingua, Gli Asolani, Rime, a cura di C. Dionisotti, Milano:
TEA, 1989, 1, XVII, p. 17.
16

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Bernardo Tasso comincia a comporre lAmadigi nel 154317, lo stesso


anno dellAltile, avendo in mente di fare un poema epico sulle orme degli
antichi; muta poi progetto, cercando di combinare una dispositio sulle orme
ariostesche con unelocutio volgare plasmata sulla gravit epica classica. La
Prefazione al poema del 1560, quando il ventennale lavoro ebbe compimento, ed firmata dal Dolce18, anche se alcuni elementi farebbero pensare
che autore ne sia lo stesso Bernardo: pur vero che il Dolce era certamente
luomo che meglio avrebbe potuto difendere le ragioni della scelta romanzesca di Bernardo, ma due elementi interni al testo sembrerebbero suggerire
quantomeno una massiccia revisione del pi anziano Tasso19. Innanzi tutto
lanaliticit e la chiarezza con cui la Prefazione esplicita tanto le istanze da
cui lAmadigi aveva avuto origine, nel 43, quanto le ragioni della riforma
romanzesca, avvenuta nei primi anni del 50; e in secondo luogo la stringente
consonanza di termini che accomuna il passo citato delle Prose (e Bernardo
Tasso si era formato a Padova sotto il magistero bembiano), una lettera del
Giraldi a Bernardo e, appunto, la Prefazione dellAmadigi20:
17
SullAmadigi epico, ovvero il primo abbozzo autografo dellopera tramandatoci dal codice oliveriano 1399, cfr. V. Corsano, LAmadigi epico di Bernardo Tasso, in Studi tassiani,
LI (2003), pp. 43-73; ledizione proposta da R. Morace, Lautografo oliveriano dellAmadigi
epico di Bernardo Tasso, in Nuova Rivista di Letteratura Italiana XI, 1-2 (2008), pp. 155-181.
18
L. Dolce, Ai lettori, in B.Tasso, Amadigi, Venezia: Gabriel Giolito de Ferrari, 1560.
19
Vanno, poi, ricordati i profondi dissidi sorti tra Bernardo Tasso e il Dolce a seguito dellinterpolazione arbitraria e gratuita di alcune rime nelledizione Giolito Degli Amori del 1555
(B. Tasso, I tre libri degli amori di messer Bernardo Tasso ai quali nuovamente dal proprio
autore si aggiunto il quarto libro per adietro non pi stampato, Venezia: Gabriel Giolito de
Ferrari, 1555, per i quali si veda V. Martignone, Un caso di censura editoriale: ledizione Dolce
(1555) delle Rime di Bernardo Tasso, in Studi Tassiani, XLIII (1995), pp. 93-112). Tale fu
il risentimento di Bernardo, che chiese al Ruscelli di curarne ledizione successiva, e la scelta
non fu certo casuale: Girolamo Ruscelli era stato lautore, pochi anni prima, di una clamorosa
stroncatura nei confronti del Dolce, mentre a Venezia gli era rivale come curatore e chiosatore
del Furioso per leditore Valgrisi (G. Ruscelli, Tre discorsi di Girolamo Ruscelli, a M. Lodouico
Dolce. Luno intorno al Decamerone del Boccaccio, laltro allOsseruationi della lingua volgare,
ed il terzo alla tradottione dellOvidio, Venezia: Pietrasanta, 1553; L. Ariosto, Orlando Furioso.
Di M. Lodovico Ariosto, tutto ricorretto et di nuove figure adornato. Al quale di nuovo sono
aggiunte tutte le annotazioni, gli avvertiomenti, et le dichiarazioni di Girolamo Ruscelli, la vita
dellautore descritta dal Signor Giouan Battista Pigna, gli scontri de luoghi mutati dallautore
doppo la sua prima impressione, la dichiarazione di tutte le favole, il vocabolario di tutte le
parole oscure, et altre cose utili e necessarie, Venezia: Vincenzo Valgrisi, 1556).
20
Di contro agli argomenti appena riportati sulla possibilit che autore della Prefazione allAmadigi sia lo stesso Bernardo Tasso, dobbiamo segnalare almeno due contrari fattori non trascurabili: il Dolce era stato il primo difensore dellAriosto nella celebre Apologia (L. Ariosto,
Orlando Furioso di messer Lodovico Ariosto con la giunta, novissimamente stampato e corretto.
Con unapologia di Lodovico Dolcio contra ai detrattori dellautore, e un modo brevissimo di
trovar le cose aggiunte; e tavola di tutto quello, ch contenuto nel libro. Aggiuntovi una breve

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Dico adunque che se coloro che tengono sempre in mano le bilance


dAristotele, e hanno tutto d in bocca gli esempi di Virgilio e di Omero,
considerassero la qualit de tempi presenti e la diversit delle lingue, e
vedessero cha la prudenza dei poeti si conviene accomodarsi alla dilettazione e alluso del secolo nel quale egli scrive, non sarebbono dopenione che si dovesse scrivere sempre ad un modo. Che, s come i tempi
introducono nuovi costumi e la variet delle lingue diverse forme di favellare apportano, cos pare che ragionevolmente si ricerchi che si faccia
nello scrivere. Onde si vede che Virgilio fu molto differente da Omero:
s come quello che, trovandosi in et diversissima da quella di Omero,
seguit luso del suo tempo e quello che questo divino poeta giudic che
convenisse alla grandezza della lingua romana. E con la stessa ragione
da credere che altrettanto si sarebbe egli discostato dal costume del suo
secolo, quando si fosse trovato nel nostro: percioch, chi altrimenti fa, si
pu dire che scriva a morti21.

Il sintagma scrivere amorti era stato utilizzato dal Giraldi proprio qualche anno prima, nel 1556, in una delle lettere che costituiscono il suo corposo
carteggio con Bernardo Tasso intorno al genere romanzo22: sintomatico ,
per, che qui lespressione sia usata in riferimento al poema trissiniano23.
esposizione dei luoghi difficili, Venezia: M. Pasini e M. Pasini, 1535) e dunque, nonostante i
dissidi con Bernardo, ci poteva renderlo la persona pi adatta a perorare la causa dellassetto
romanzesco dellAmadigi. Riguardo, poi, alla comunanza tra il passo della Prefazione che ci
accingiamo a citare e quello delle Prose bembiane, si ricorda che il Dolce era stato autore di una
fortunatissima grammatica (L. Dolce, Osservationi nella volgar lingua di M. Lodouico Dolce
Diuise in quattro libri, Venezia: Gabriel Giolito de Ferrari, 1550, edite otto volte tra il 1550
e il 1562 senza contare le ristampe) che, pur innovativa, si rifaceva largamente alle Prose del
Bembo e alle Regole del Fortunio.
21
L. Dolce, Ai lettori, cit., pp. 1-2.
22
Nelledizione del Secondo volume delle Lettere, del 1560 (Delle lettere di Bernardo Tasso
secondo volume. Nuovamente posto in luce con gli argomenti per ciascuna lettera e con la
tavola dei nomi delle persone a chi le sono indirizzate, Venezia: Gabriel Giolito de Ferrari,
1560) Bernardo Tasso decise di pubblicare, accanto alle proprie, anche le lettere responsive del
ferrarese (per un totale di diciassette epistole), cosicch il carteggio tra i due viene a configurarsi
come dialogo compiuto sulla teoria del romanzo, che tocca la maggior parte dei punti teorici
focali nella definizione del genere. Per tale ragione Susanna Villari, nel pubblicare il carteggio
del Giraldi, ha intelligentemente inserito anche le lettere di Bernardo: G.B. Giraldi Cinzio,
Carteggio, a cura di S. Villari, Messina: Sicania, 1996. Per uno studio relativo al dibattito tra
Bernardo e Giraldi, rinvio a R. Morace, DallAmadigi al Rinaldo. Bernardo e Torquato
Tasso tra epico ed eroico, Torino: DellOrso, 2012, cap. III, Carteggi incorciati, pp. 85-109.
23
Per il rapporto tra la scrittura epica di Omero e Virgilio con il proprio tempo si veda
G.B.Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre de romanzi, cit., p. 63, dove troviamo anche
lo stesso giudizio negativo sul Trissino; e ancora sul Trissino, Id., Discorso intorno al comporre
delle comedie, cit., pp. 209-210: Bastami, per ora, che possiate vedere che ci che si trova
negli autori greci non lodevole n degno dimitazione, e che non dee giudizioso scrittore

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rosanna Morace

Lautore, nel prendere le difese di Ariosto, tratta della poesia epica di


Virgilio e Omero e afferma:
Ch, ancora che le poesie loro in que tempi e in quelle lingue erano e
sono poco meno che divine, ne nostri tempi, nella nostra lingua sono
meno che odiose, e se ne puote avere lessempio dallItalia del Trissino. Il
quale, s come era dottissimo, cos fusse stato giudicioso in eleggere cosa
degna della fatica di venti anni, avrebbe veduto che cos scrivere come
egli ha fatto era uno scrivere a morti24.

Oltre la diretta citazione bembiana, risulta evidente come tutti e tre


i passi insistano sul medesimo concetto-chiave del Prologo dellAltile, che
abbiamo infatti definito come lassunto fondamentale su cui poggia la riforme giraldiana (del teatro, ma poco pi tardi anche quella del poema)25,
ovvero levolversi delle lingue, delle culture, dei tempi e, parallelamente, il
mutare delle esigenze degli spettatori e dellarte. Una identica idea-cardine,
dunque, accomuna le diverse riforme dei generi e della lingua; e parimenti
simili sono le domande che gli autori si pongono, e pongono, ai classici
e al proprio tempo: come calcare parimenti le orme dei moderni e degli
antichi senza la necessit di scindere il binomio con un aut/aut perentorio;
come intarsiare i diversi modelli tragici e comici (Sofocle, Seneca, Plauto,
Terenzio, Ariosto, ma anche la novellistica boccacciana), epici (Omero e
Virgilio, Ovidio, nonch Dante e Petrarca) e teorici (Aristotele e Orazio)
per rappresentare e dar voce alla propria epoca, senza nulla perdere della
passata eredit ma portando le diverse esperienze a nuova maturazione, in
un connubio inusitato. Questa terza via, cominciata a lastricare dal Giraldi, sar pi tardi percorsa da Torquato, gi allaltezza del 1562, come ben
dimostra la Prefazione Ai lettori del Rinaldo e, soprattutto, il sincretismo
dei Discorso dellarte poetica.
dar tanto di riputazione alla autorit degli antichi che voglia anco imitare i lor vizi; come
veggiamo aver fatto il Trissino in qualche parte della sua Sofonisba. [...] Ha voluto essere il
Trissino pi greco che non si conveniva n alla maest della azione romana chegli si aveva
tolto ad imitare, n alla qualit de tempi nostri, i quali son pieni di maest e grandezza.
24
B. Tasso, Lettere. Secondo volume (rist. anast. delled. Venezia: Gabriel Giolito de Ferrari,
1560, cit.), a cura di A. Chemello, Bologna: Forni, 2002, LXXII, p. 216, del 12 giugno 1556.
25
L. Dolce, nella Prefazione allAmadigi (Ai lettori, cit., p. 2), motivando la scelta di Bernardo
Tasso per una dispositio molteplice, cita infatti lautorit giraldiana: Noi veggiamo, che molte
cose si contengono in Omero, che a suoi tempi erano lodatissime; le quali ove fossero prese da
poeti doggid, sarebbono stimate senza fallo ridicole. Alcune anco si leggono meravigliose in
Virgilio, che a nostri giorni non sarebbono molto grate. A che, se riguardo avessero i riprensori
dellAriosto, non sarebbono al mio parere cos arditi. Ma, perch intorno a ci dallEccellente
s. Giovambattista Giraldi e da alcuni altri stato scritto a bastanza [...].

la teoria del tragico nel giraldi 177

Ma tra il 43 e la fine degli anni 50 il clima religioso, politico e culturale


profondamente mutato, e lo spartiacque netto sar lapertura del Concilio
di Trento, nel 1563: i dubbi religiosi e poetici di Torquato Tasso ne saranno
il paradigma pi eclatante, ma gi nel poema epico del Giraldi se ne ha qualche riflesso. LErcole, infatti (pubblicato incompiuto nel 1557)26, nonostante
le premesse teoriche, risulta un poema ampolloso, didascalico, che poche
concessioni lascia alla leggerezza ariostesca, pur difesa dallautore nel Discorso
intorno al comporre de romanzi, del 154827. Le commedie del Giraldi, invece, si
situano tra il 1541 e la fine del decennio, nascono per il pubblico, e per un
pubblico che aveva dimostrato di apprezzare non solo il poema ariostesco,
ma anche la commedia riformata di origine novellistica e boccacciana. Il
raccordo che egli crea, attraverso la tragicommedia, appunto tra queste due
nuove forme della letteratura volgare. Tanto che nel Discorso sulle comedie e
sulle tragedie il modello che in pi luoghi cita, ovviamente per la commedia
ma soprattutto per la tragedia (e questo davvero paradigmatico), lAriosto della Cassaria e dei Suppositi. A loro volta, le commedie ariostesche,
pur contaminando Plauto e Terenzio, mettono in scena situazioni e motivi
del Decameron, sancendo il primato del testo boccacciano come inesauribile
serbatoio di situazioni comiche ispirate dalla vita cittadina contemporanea.
Ed anche in riferimento ai Suppositi ariosteschi che Giraldi afferma, nel
Discorso, che le tragedie di felice fine amano pi i nodi intricati, e sono pi
lodevoli doppie che semplici, il che non cos in quelle di doloroso fine,
perch queste sono assai migliori semplici che doppie28, di contro allunit
aristotelica, e compone gli Antivalomeni e lArrenopia29. poi sul modello
boccacciano che plasma la sua fortunatissima raccolta di racconti, gli Ecatommiti30, da cui trarr largomento della maggior parte delle tragedie.
G.B. Giraldi Cinzio, DellHercole canti ventisei, Modena: De Gadaldini, 1557.
Cfr., in proposito, la lettera di Bernardo al Giraldi del 9 dicembre 1557 (B. Tasso,
Lettere. Secondo volume, cit., CXXXIII, pp. 434-437), ma anche R. Bruscagli, Vita deroe: LErcole, in Schifanoia, XII (1991), pp. 9-19 e S. Jossa, Gli eroi e i mostri. Mito e
storia nellErcole di G. B. Giraldi Cinzio, in Giovan Battista Giraldi Cinzio gentiluomo
ferrarese, cit., pp. 145-156.
28
G. B. Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre delle comedie, cit., p. 189.
29
G. Giraldi Cinzio, Gli Antivalomeni. Tragedia di M. Gio. Battista Giraldi Cinthio, nobile
ferrarese, Venezia: Giulio Cesare Cagnacini, 1583; Lopera stata recentemente edita in edizione
critica: Id. Gli Antivalomeni, edicion, introduccion y notas de I. Romera Pintor, Madrid: Editorial
complutense, 2008; Id. Arrenopia. Tragedia di M. Gio. Battista Giraldi Cinthio, nobile ferrarese,
Venezia: Giulio Cesare Cagnacini, 1583. questa lunica edizione dellopera.
30
G. Giraldi Cinzio, De gli Hecatommithi di m. Giouanbattista Giraldi Cinthio nobile ferrarese, Nel Monte Regale: Lionardo Torrentino, 1565; Si veda la recente edizione critica: Ecatommiti,
ed. critica a cura di S. Villari, Roma: Salerno, 2012.
26

27

178

rosanna Morace

Nel Giraldi agisce, per, anche il modello del Furioso, che fornisce materia e modi: non poche sono le tragedie avventurose, permeate da uno spirito
romanzesco, che sconfina oltre il giro del sole prescritto da Aristotelele31
ma anche i pi ampi limiti ammessi dal Giraldi, interpretando largamente
il passo aristotelico sulla scorta di Terenzio ed Euripide.32 LArrenopia e
gli Antivalomeni si aggrovigliano poi in una pluralit e in una complessit
dazione stupefacente nel genere, mentre lArrenopia e lEufimia portano gli
avvenimenti oltre i limiti di una sola localit33, e ancora lArrenopia si muove
su un terreno che tutto cavalleresco. Nel Prologo si precisa, infatti, come
le peripezie cavalleresche possano esser materia tanto di tragedie quanto
di poemi:
Gli avvenimenti de le cose umane
son s vari e portan seco spesso
tali accidenti che di meraviglia
empion chi gli ode [...].
E quindi origine han poemi, i quali
trattano quel che i cavalieri e i regi
fanno ne le battaglie e ne le paci
con bene altero e onorato stile.
Da listessi successi le tragedie
prendono i lagrimosi lor soggetti
che, nel pianto medesimo e ne le morti,
danno util con diletto a chi le ascolta,34
31
Aristotele, Poetica, 1449b, 10-15: Lepopea concorda con la tragedia solo in quanto
imitazione con un discorsoin versi di persone nobili, ma ne differisce per avere un unico
metro e forma narrativa, ed ancora per la lunghezza: perch la tragedia cerca il pi possibile
di stare entro un solo giro del sole o di allontanarsene di poco, mentre lepopea indefinita
rispetto al tempo, ed in questo differisce benchin origine si facesse anche nelle tragedie
cos come nei poemi epici.
32
G. B. Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre delle comedie, cit., pp. 175-176: e
luna e laltra [la commedia e la tragedia] finge lavvenimento della sua azione nello spazio
di un giorno, ovvero di poco pi. Della comedia nabbiam lesempio appresso Terenzio nello
Eautontimorumenos, della tragedia non ve n alcuno espresso e manifesto [...] se forse lEraclide di Euripide ce ne d lesempio: perch, considerato il meneggio dellazione della favola,
si vede chiaramente (se io non minganno) che malagevolissimamente egli pu nascere tutto in
un giorno [...]. Certa cosa che Aristotile, il quale dovea aver veduti gli esempj dei migliori
poeti [...] le diede pi spazio di un giorno; e noi con la sua autorit componemmo lAltile e la
Didone di modo che la lor azione tocc alquanto i due giorni.
33
C. Guerrieri Crocetti, G.B. Giraldi, cit., p. 690.
34
Proprio sulla questione dellutile e del diletto si appunteranno la gran parte delle lettere che
compongono il carteggio sul genere romanzo tra Giraldi e Bernardo Tasso (per il quale cfr., infra,
nota 22), e approfondendo questa questione emergeranno le principali divergenze di due poetiche solo
apparentemente omogenee. Se per Giraldi, infatti, la tragedia necessita della componente dilettevole,

la teoria del tragico nel giraldi 179

mostrando il meglio de lumana vita.35

Vi poi un altro aspetto teorico che credo il Giraldi possa aver derivato
dallesempio dei romanzi, ed capitale perch coinvolge il nodo centrale
dellunit della favola, e dunque linterpretazione aristotelica. Nel distinguere
le diverse parti della tragedia, Giraldi riserva un posto particolare allepisodio, che diviene altra cosa rispetto a quanto postulato da Aristotele per la
tragedia, ma non nellepopea36:
[...] questo episodio non altro che le digressioni che si fanno per accrescimento della favola, e per darle con convenevole ornamento la sua
debita grandezza, la quale non avrebbe ella se solo si stesse sullargomento
della tragedia, perch egli in pochissimi versi si espedirebbe37.

Negli episodi Giraldi fa rientrare anche le sentenze e le parti di intonazione moraleggiante, sullesempio senecano, di cui abbondano le sue
tragedie; ma quel che importa come il presupposto teorico attraverso cui
tali digressioni sono giustificate sia strettamente aristotelico:
Occorre dunque che [...] il racconto, poich imitazione di unazione, lo
sia di unazione sola e per di pi tale da costituire un tutto concluso, ed
occorre che le parti dei fatti siano connesse assieme in modo tale che,
se qualcuna se ne sposti o sopprima, ne risulti dislocato e rotto il tutto38.

il poema deve essere invece volto completamente a lutile e lonesto, i cui corollari sono la gravit
della narrazione moralmente impostata e la perfetta aderenza tra res e verba, ovvero loscillazione dello
stile in conformit alla materia trattata e ai soggetti parlanti. Per Bernardo, invece, quasi lopposto:
la poesia deve compenetrare utile e diletto e non appesantirsi nella ricerca totale della gravit dellinsegnamento morale, perch il giovamento deve nascere dal piacere e dalla meraviglia, che dipendono
tanto dalluniforme armonia del tessuto poetico quanto da una favola ricca di variet e vaghezza.
35
G. B. Giraldi Cinzio, Arrenopia, cit., Prologo, vv. 1-19. Il Prologo prosegue motivando la
scelta del lieto fine e lintento morale della tragedia (vv. 20-24): Ma le Reali favole non sono
/ s dannate a le lagrime, a gli affanni, che le afflizioni e le miserie gravi / aver non possan fin
lieto e felice / volgendo il dolore in allegrezza.
36
Dopo una preliminare definizione dellepisodio come quella parte della tragedia che sta
in mezzo a canti corali interi (Aristotele, Poetica, 1452b, 20), il filosofo specifica, ben oltre
(1455b, 1-15): Quanto poi agli argomenti, o che siano gi costruiti o che li stia costruendo lui,
il poeta deve esporli dapprima in generale e solo dopo stenderli introducendo gli episodi [...];
ma occorre che questi episodi siano appropriati, come ad esempio nel caso di Oreste la pazzia
per cui fu preso e la salvezzaattraverso la purificazione. Nei drammi gli episodi debbono essere
brevi, mentre lepopea proprio da essi viene ad essere allungata.
37
G. B. Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre delle comedie, cit., p. 204.
38
Aristotele, Poetica, 1451a, 30.

180

rosanna Morace

Proprio in questo tutto concluso, composto di pi parti interconnesse, si


giocher la partita del poema eroico tassiano, gi dalla Prefazione al Rinaldo39 e
fino al passo sul picciol mondo dei Discorsi dellarte poetica e del poema eroico,
in cui Tasso insister sulla necessit che:
uno sia il poema che tanta variet di materie contegna, una la forma e la
favola sua, e che tutte queste cose siano di maniera composte che luna
laltra riguardi, luna allaltra corrisponda, luna dallaltra o necessariamente
o verisimilmente dependa, s che una sola parte o tolta via o mutata di
sito, il tutto ruini40.

La possibilit di inserire episodi nella favola risultava possibile nel poema


per statuto, per la maggior lunghezza della composizione41: da ci il principio
della favola una e molteplice. Ma per la tragedia tale ipotesi risultava decisamente pi ardita, e in questo sta anche la forza dellinnovazione del Giraldi.
con lui, infatti, che la tragedia arriva a contaminarsi con la commedia e
con la novella, non disdegnando digressioni romanzesche e provocando uno
scardinamento ben pi notevole di quello pi tardi proposto per lepos, nel
Discorso intorno al comporre de romanzi; e ci nonostante come abbiamo
accennato che la teoria aristotelica fosse ben pi stringente per la tragedia.
Dunque la tragedia giraldiana tragicommedia non solo perch ammette
il lieto fine, ma per tutta una serie di corollari che la rendono qualcosa di
profondamente diverso dal genere classico. Innanzi tutto leroe mezzano42:
perch la piet e lorrore non possono sorgere nellanimo degli spettatori se
i casi tragici vanno a colpire chi agisce completamente nel bene o completamente nel male: e allora, per esempio, Didone assume atteggiamenti scomposti, ed Ercole vacilla, agognando la tranquillit e la pace, stanco, quasi debole.
39
T. Tasso, Rinaldo, a cura di L. Bofigli, Bari: Laterza, 1936, Ai lettori, p. 5: ben vero che
ne lordir il mio poema mi sono affaticato ancora un poco in far s che la favola fosse una, se
non strettamente, almeno largamente considerata; e ancora chalcune parti di essa possano parere
oziose, e non tali che sendo tolto via il tutto si distruggesse, s come tagliando un membro al
corpo umano quel manco e imperfetto diviene, sono per queste parti tali, che se non ciascuna
per s, almeno tutte insieme fanno non picciolo effetto, e simile a quello che fanno i capelli,
la barba e gli altri peli in esso corpo, de quali se uno n levato via, non ne riceve apparente
nocumento, ma se molti, bruttissimo e difforme ne rimane.
40
T. Tasso, Discorsi dellarte poetica e del poema eroico, a cura di Luigi Poma, Bari: Laterza,
1964, Discorsi dellarte poetica, II, pp. 35-6 e Discorsi del poema eroico, III, pp. 139-140.
41
Aristotele, Poetica, 1449b, 10-15 (per la citazione completa cfr., infra, nota 31); e 1459b,
15: Lepopea si differenzia invece dalla tragedia per la lunghezza della composizione e per
il metro.
42
Sulleroe mezzano, cfr. G. B. Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre delle comedie,
cit., p. 181 e segg.

la teoria del tragico nel giraldi 181

Poi il linguaggio, che non mai illustre, perch


Questi figurati e pomposi modi di parlare poco si convengono alle persone
che sono occupate da grave dolore; perch par fuor dal verisimile che
la persona che sia oppressa dallaffanno possa volgere lanimo a questa
maniera di dire; e poco anco convengono ad alcune altre persone ignobili
che talora sintroducono nelle tragedia senza nome proprio ad annunziare
qualche cosa fatta, o fuori o in casa, che non viene nella scena43.

Per la stessa esigenza di mimesi sono preferibili i versi sciolti in luogo


dellalternanza di settenari ed endecasillabi, o dei metri rimati come lottava e
la terzina, che invece si confanno al poema. Le rime sono viceversa ammissibili
nei cori e nelle parti dintonazione morale o affettuosa, perch gli affetti dolci
e le sentenze composte a persuadere possono esser talora espresse con simili
versi, acciocch pi agevolmente siano ricevute nellanimo di chi ascolta44.
Entrambe questi assunti elaborer e far suoi Torquato, che concepir
Torrismondo come un eroe mezzano e che scriver, del linguaggio tragico:
Ma lo stile della tragedia, quantunque descriva avenimenti illustri e persone reali, per due cagioni dee esser meno sublime e pi semplice delleroico:
luna, perch suol trattare materie pi affettuose; e laffetto richiede purit
e semplicit, perchin tal guisa verisimile che ragioni uno che sia pieno
di affanno o di timore o di misericordia o daltra simile perturbazione.
Laltra cagione che nella tragedia non parla mai il poeta, ma sempre
coloro che sono introdotti agenti e operanti; a quali si dee attribuire una
maniera di parlare men disusata e men dissimile dallordinaria. Ma l coro
per aventura dee parlar pi altamente, perchegli, come dice Aristotele ne
Problemi, quasi un curatore ozioso e separato; e per listessa ragione
parla pi altamente il poeta in sua persona, e quasi ragiona con unaltra
lingua, s come colui che finge desser rapito da furor divino sovra se
medesimo45.
G. B. Giraldi Cinzio, Discorso intorno al comporre delle comedie, cit., p. 211.
Ivi, p. 194.
45
T. Tasso, Discorsi del poema eroico, cit., p. 198. Nella redazione giovanile lo stesso segmento aveva un diversa scansione: Lo stile della tragedia, se ben contiene anchella avvenimenti
illustri e persone reali, per due cagioni deve essere e pi proprio e men magnifico che quello
dellepopeia non : luna, perch tratta materie assai pi affettuose che quelle dellepopeia non
sono; e laffetto richiede purit e semplicit di concetti, e propriet delocuzioni, perch in tal
guisa verosimile che ragioni uno che pieno daffanno o di timore o di misericordia o daltra
simile perturbazione; e oltra che i soverchi lumi e ornamenti di stile non solo adombrano, ma
impediscono e ammorzano laffetto. Laltra cagione che nella tragedia non parla mai il poeta,
ma sempre coloro che sono introdotti agenti e operanti; e a questi tali si deve attribuire una
maniera di parlare chassomigli alla favola ordinaria, acci che limitazione riesca pi verosimile.
43
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Infine, la scelta di una materia nuova, non desunta dagli eroi antichi ma dalla
novellistica, era stata ampiamente discussa e praticata dal Giraldi, cos come
lambientazione esotica: e basti ricordare che lArrenopia si svolge in Svezia,
come il Torrismondo; lOrbecche in Persia; gli Antivalomeni in Inghilterra; la
Selene in Egitto, con frequenti riferimenti alla Persia e allArmenia; e lEpitia
ad Innsbruck.
Certo in Giraldi gli esiti poetici non furono del tutto felici, ma le intuizioni teoriche con le quale egli seppe scardinare e adattare gli assiomi aristotelici, in virt di una nuova forma tragica, furono lungimiranti e precorritrici
dei tempi. E in esse possiamo rintracciare i germi non solo di certe tendenze
del Torrismondo e del Pastor fido, ma anche della tragicommedia spagnola di
Lope de Vega e Calderon46, arrivando fino a Shakespeare, che dalle novelle
giraldiane trasse largomento di Misura per misura e dellOtello47, oltre che il
connubio tra le materie familiare, amorosa e politica.

Al poeta allincontro, quando ragiona in sua persona, s come colui che crediamo esser pieno di
deit e rapito da divino furore sovra se stesso, molto sovra luso comune e quasi con unaltra
mente e con unaltra lingua gli si concede a pensare e favellare (ivi, p. 42).
46
C. Guerrieri Crocetti (G. B. Giraldi e il pensiero critico, cit.) insiste spesso, durante lintero
studio sullopera di Giraldi, sul ruolo che il ferrarese ebbe nel teatro spagnolo dei secc. XVI-XVII:
si veda per, in particolare, il cap. VIII, pp. 687-708. Cfr., poi, Josep Llus Sirera, Irene Romera
Pintor, Disinganno e moralizzazione in La Infelice Marcela di Virus. Sulle fonti giraldiane
della sua opera teatrale, in Giraldi Cinzio gentiluomo ferrarese, cit., pp. 53-76.
47
Cfr. P. CaponiLa novella del Moro: Cinthio e Shakespeare tra intertestualit e ideologia,
ivi, pp. 131-143.

la teoria del tragico nel giraldi 183

Appendice
Si presenta ledizione interpretativa del Prologo dellAltile, condotta sullesemplare
della princeps custodito presso la Biblioteca Braidense di Milano:
Altile | TRAGEDIA | di m. gio. battista | giraldi cinthio, | nobile ferrarese.
| con privilegi. | in venetia, | Appresso Giulio Cesare Cagnacini | MDLXXXIII.
La tragedia venne pubblicata per la prima volta dopo la morte dellautore, dalleditore
Cagnacini, che stamp nel 1583 lintera raccolta della tragedie giraldiane. Non esiste
a tuttoggi unedizione moderna dellAltile.
Limitati gli interventi di ammodernamento: si operata la distinzione tra u e v,
si sono eliminate le h etimologiche, stata normalizzata la congiunzione et in e e la
grafia grecizzante ph in f (v. 52, Iphigenie). La punteggiatura, luso dei segni diacritici
e la minuscola ad inizio verso sono stati ammodernati secondo luso attuale. Si
utilizzato il corsivo per i titoli delle tragedie greche citati nel Prologo.
Si , infine, provveduto ad emendare due evidenti errori di stampa: al v. 23
lasciare> lasciaro; al v. 75 seggio> saggio.

PROLOGO
1

10

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20

Certa cosa , che quanto qui produtto


si genera e corrompe e muta e varia,
o tutto o in parte; e ch luomo nel Mondo
di libero volere, e ch in suo arbitrio,
ove meglio gli par, piegar la mente.
E perci crede ora il Poeta nostro
che s ferme non sian le leggi poste
a le Tragedie, che non gli sia dato
uscir fuor del prescritto in qualche parte,
per ubidire a chi comandar puote
e servire a let, a gli Spettatori
e a la materia, non pi tocca inanzi
o da Poeta antico o da moderno.
Et egli tien per cosa pi che certa
che sora fusser qui i Poeti antichi,
cercherian sodisfare a questi tempi,
a Spettatori, a la materia nova:
e che sia ver che varin queste leggi,
vedesi che pi volte i Greci istessi
si sono da i primi ordini partiti;
e i Romani, ancor chavesser presi
il modo di componerle da Greci,

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lasciaro a dietro le vestigia Greche


e si diero a comporle come luso
de i fatti lor, de i lor tempi chiedeva,
come chiaro ha mostrato il Venusino.
Dunque ha voluto ora il Poeta nostro
in questa nova favola servirsi
di quel che luso e let nostra chiede
(quanto per dicevole gli parso),
per sodisfare a chi sodisfar deve.
N temuto ha il garrir di molti e molti
invidi spirti, onde non venne unquanco
cosa ondaltri potesse apparir nulla,
e, come can che di nascosto prenda,
danno di morso alle scritture altrui.
Se adunque, in qualche parte, egli ha voluto
usar se stesso, uscir de luso antico,
come chegli mi faccia comparire
prima che quanti son nella Tragedia,
stimato egli ha che questa et il ricerchi,
oltra la novit de la Tragedia,
pur test nata. Ma veder mi pare
che di voi molti hanno turbato il ciglio
al nome sol de la Tragedia, come
non aveste ad udire altro che pianto.
Ma state lieti, chaver fin lieto
quel choggi qui averr; che cos tristo
augurio non ha seco la Tragedia
chesser non possa anche felice il fine.
Tal lIon dEuripide e lOreste,
Elena e Alceste, con lIfigenie
e alcune altre che tacendo io passo.
Ma se pur vi spiacesse chella nome
avesse di Tragedia, a piacer vostro
la potete chiamar Tragicomedia
(poi chusa nome tal la nostra lingua),
dal fin chella ha conforme a la Comedia,
dopo i travagli, dallegrezza pieno.
Vedrete adunque in questa nostra Altile
(che cos questa favola nomata
da la Reina travagliata in essa)
quanta inconstanza ne lumane cose;
e che per mal oprar mai non gioisce

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un animo malvagio; e che conviene


(oppongavisi pur, quanto sa e puote,
froda o inganno mortal, per impedirlo)
chavenga quel ch statuito in Cielo
dal Supremo Motor che il tutto regge
con quella Sua ineffabil Providenza.
E perch nel veder questo successo
reale men discommodo nabbiate,
n uopo vi sia lontano ir da la vostra
citt felice, al par di qualunque altra
che da prudente, valoroso e saggio
Signor sia retta, per venirvi in Siria,
ove il successo vien de la Tragedia,
vi ha qua, con arte occulta, oggi il Poeta
condutta, per gran mari e erti monti,
la Citt di Damasco, in Siria illustre,
anzi fede real di tutto il regno.
Eccola, Spettatori! Ecco le stanze
reali e i palagi alti e superbi
di que Signori choggi comparire
vedrete qui, per darvi alto diletto.
Or piacciavi di dar lor grata udienza,
e se sentite alcun pur che riprenda
il Poeta, che fatto comparire
abbia me fuor di quel costume antico,
n lo possan quetar le ragion dette
(che non vi mancan quei che son s fermi
ne le sentenze lor, che sprezzan laltre,
o che non sanno mai movere il piede
se no l ripongon ne laltrui vestigia),
dite lor voi, a cui servigio io sono
or qua venuto, che per voi comparso
son pria de gli altri, ma cha loro or esce
il Re Lamano: e sia con questo modo
insieme sodisfatto a loro e a voi.

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