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Quaresimale Roberto Caracciolo

Prologo de maestro frato Roberto al Re de Neapoli in l'opra sequente. Me avete astretto, o


Illustrissima Corona del iustissimo Imperio regale de Neapoli, cum Vostre ammonizione gravissime
a me pensare in modo di precetto obligativo, che in questo tempo devoto de l'astinenzia
quarentanna, per consolazione del spirito Vostro zentile e prudente, ve ponga per scritto gli sermoni
de Evangelii, che intendo predicar al Vostro populo neapolitano nella primavera inanci Pasca, acciò
che, non potendo molte volte la vostra Maiestà regale cum proprie orecchie recevere el suono del
Vostro servo orante, avesse almanco lei al suo piacere in scritti el senso de l'Evangelio da leggere
cum riposo. Non è certamente da altri questa santa voluntade, che dal buono spirito in Voi
adoperante, cioè che Voi grande e glorioso per reame temporale, ve vogliate far dotto e pasciuto del
reame celeste per intelligenzia penetrante. E questo non credo faceti per curiosità superba, ma più;
presto per umanità naturale, che sempre fu domestica al Vostro antiquissimo sangue, e per zelo anco
de virtude, che pienissimamente se insegnano da la dottrina del Vangelio. O umeltade de Signore! O
fervore de fede! O prudenzia de seggia regale! Sì fatta cura avete de' beni temporali, che lo eterno
Dio non se posponga, ma cum diligenzia fervente se cerchi ad Onorarlo, ed a' statuti di Lui cum
capo inchino conformarse. Non più; voglio estendere el parlare, perché la Maiestà Vostra sacrata in
lo tempo de afflizione non cerca laude de' suoi meriti, ma umiliazione cordiale. El Vostro precetto
m'è parso tanto divino, che cum affetto sforzarome farlo in parte contento, non già fidando del mio
studio, ma de la grazia che ve ha infuso. Or prendarete cum dignazione la piccola offerta del Vostro
suggetto. Fornito è lo progresso di Proemio in lo sequente scritto de Frate Roberto. Al nome del bon
Iesu, incomminza el primo sermone in la quarta feria, principio del zezunio. DE LA ESTINENZIA.
Cum ieiunatis, nolite fieri sicut hipocritae tristes: parole sonno de la Santa Scrittura, originalmente
di santo Mateo nel sesto capitolo, transunte ne lo Evangelio d'oggi. Si legge nel Genesis al primo
capitulo questo notabile parlare degno di riverenzia quanto sia verbo che abbia fatto Idio: Faciamus
hominem ad imaginem et similitudinem nostri, ut presit piscibus maris et volatilibus celi et bestiis
quae sunt in universa terra("Facciamo l'uomo - disse l'onnipotente Idio - ad imagine e similitudine
nostra, il qual abbia a signorezare a li pesci del mare ed a le volatile di 'l cielo ed a le bestie che
sonno in tutto l'universo"); dove se intende el fine per il quale Idio ha creato l'uomo. Tutte le cosse
che fa Idio, son fatte ad alcun fine ragionevele, comme dice Aristotile nel libro De celo et mundo:
Deus et natura nihil agunt frustra ("Dio e la natura non fanno cossa alcuna indarno"). Creò Idio il
suole a questo fine, che fusse a perpetuo lume e riscaldamento di corpi umani e mortali, comme è
sentenzia di Moises nel Genesis al primo capitulo: Fecit autem Deus duo magna luminaria:
luminare maius, ut preesset diei, et luminare minus, ut preesset nocti ("Fece Idio dua grandi
luminari: il luminare magiore, che soprafusse al giorno, ed il luminare minor, che soprafusse a la
notte"). E generalmente discorrendo tutte le cosse con lo intelletto, halle Idio fatte a bon fine:
essendo adunque l'uomo nobilissima creatura - comme vuole Salamone ne la Cantica dicendo de la
natura umana in figura de la sposa: O pulcherrima mulierum, egredere, et abi post vestigia gregum
tuorum ("O bellentissima de le donne, essi fuora e va drieto le vestigie di tuo gregi") - deba lui esser
fatto al fin nobilissimo de tutti gli altri. Questo fine non può esser cossa creata, perché niuna cossa
creata è sufficiente a saciare lo appetito ragionevele de l'uomo, essendo quello per alcuno modo
infinito; ciò è non per natura ed essenzia ma per obietto, perché non se sacia el nostro conoscere, ed
ancor el volere, non ma' in cosa infinita. Meritamente conchiuderemmo Dio essere ultimo fine e
reposo de la umana mente, ed esser l'uomo creato a fin de conoscere Dio esser summa verità, ed
amar quello comme ben perfetto. Questo volse dir Augustino, comme allega el maistro de le
Sentenzie (secundo libro, distinzione prima, capitulo primo): Fecit Deus hominem ut summum
bonum intelligeret, intelligendo amaret, amando possideret, possidendo frueretur (Lo eterno Idio sì
fece l'uomo - dice Aurelio Augustino - acciò che intendesse il summo bene, intendendo lo amasse,
amando il possidesse, e possidendo l'avesse a fruire"). Questo non si può fare di qua perfettamente
in questa valle umbrosa e selva oscura e in questo mare salso, turbido e anco periculoso di questa
breve e odiosa vita; ma quando nui seremmo a la propria patria, la quale ogni anima generosa debba
desiderare, allora conosceremmo Dio perfettamente ed amaremolo, in Lui ripossando comme in
ultimo fine. Conviene adunca, mentre nui vivemmo tra i mortali, exercitarsi in atti virtuosi, acciò
che l'uomo per opera de virtù pervenga a veder Idio. E benché ogni virtù abbi a far l'omo simile e
grato a Dio - come sono orazione, vigilie, elemosine, iustizia, pazienzia, castità - appare a me che
sopr'a tutte disponga a questo la virtù de l'astinenzia da' cibi materiali, la quale vien chiamata
zezunnio da la santa madre Chiesia. Per lo nostro presente principio, carissimi, voglio oggi farve
una piccola ed utele dechiarazione de l'astinenzia santa; ed acciò voi me intendiate meglio,
teneremmo questo ordine tutta questa quarentana, cioè distinguendo ogni sermone in tre parte. E
così di questo primo serà la prima parte ieiunii diffinitio, la secun ieiunii obligatio,la terza ieiunii
fructificatio. Circa la prima, nota che son due specie de zezunio, uno è temporale, l'altro spirituale:
temporale è astenerse da' cibi corporale quando bisogna; spirituale astenerse da' vicii. Lassando el
secundo, parlaremmo oggi del zezunio corporale, e poneremmo tre diffinizione, secondo che in tre
modi è chiamato questo zezunnio. Primo è chiamato 'naturale', e questo se diffinisse in tal modo:
Ieiunium nature est carentia omnis cibi vel potus ("Ieiunio de la natura si è mancamento de ogni
cibo over bere"). Di tal zezunio dimanda san Tomaso d'Aquino, nel quarto de le Sententie, si l'è
virtù, e conchiude ultimamente che non è, perché la virtù convienne solamente ai buoni, ma questo
zezunio convienne a tutti universalmente, però che Giudei, Mori, Turchi e Cristiani buoni e tristi
sonno zezunnii, inanci che manzeno, el tempo che precede el manzare. El secundo è chiamatto
zezunio 'morale', e questo se chiama astinenzia, cioè guardarsi dal manzare superchio, per stuvare
ed estinguere il diletto carnale; e questo, secundo santo Tomaso (quarto Sententiarum), è uno atto di
virtù morale, ditta astinenzia, sottoposta a la virtù cardinale ditta temperanzia. Questo è diffinito da
Isidoro cossì: Ieiunium est parsimonie virtus abstinentiaque ciborum ("Dizunio è virtù di moderanza
ed astinenzia di cibi"). El terzo è zezunio ordinato da la Chiesia a satisfazione per li peccati, ed è
diffinito: "Ieiunium est singularis abstinentia cibi et potus ad satisfaciendum pro peccatis cadens sub
precepto" ("Dezunio è singulare astinenzia del manzare e del bere a satisfazione per li peccati
cadendo sotto precetto"). Questo cominzòe Cristo nel deserto, ove quaranta zorni non manzòe
(Mathei sesto et Luce quarto capitulo: "Iesus autem cum ieiunasset quadraginta diebus et
quadraginta noctibus, postea exuriit"). E questo basta per la prima parte principale. La secunda parte
sarà ieiunii obligatio. Se adimanda si sotto pena di peccato mortale tutti siano tenuti a dizunare in la
quadragessima; responde san Tomaso (Secunda secunde, questione centessima quadragessima
settima): "Se nui parliammo del zezunio morale, cioè guardarse dai cibi inordinatti e superchii, tutti
siammo tenuti per legge naturale". O papatuori! O gulosi! O udri da vino! Molti carnalaci tanto son
datti al vicio di gola, che gli apparebbe morire a star una volta senza disinare over andar in letto
senza cena: di quegli si può dire che hanno fatto un dio del suo corpo, però che per tal sollicitudine
de papare divienne l'uommo peggio ca una bestia. Or considera quanto Dio te ensegna usare il cibo
temperattamente. Dice un filosofo: "Dio ha datto a l'uomo dui occhi, due orecchie, due mane, e
solamente una bocca", a dar ad entendere, secundo che scrive san Iacobo nella Epistola (primo
capitulo), che "l'omo debe aldire assai e parlar poco e manzar sobrio". Quante infirmitade nascono
nei corpi umani per troppo cibo? Assai. Ed ancora non manzare da ogni ora comme bestia. Io
adimando perché ha ordinato Dio e la natura el cibo a l'uomo. O tu chi inanci messa vai alla botta!
Non lo hallo ordinato, per mantenere la natura, che l'uomo non manchi?
Manzando dunque fuori di necessità, tu fai contra natura, perché tu cerchi la morte di te stesso.
Dicetemi un puoco, o segnor miei: dove credette voi che nascano tante e diverse infirmitade in li
corpi umani, gotte, doglie di fianchi, febre, chitarro? Non d'altrovi princi- palmente, se non da
troppo cibo e molto delicato. Tu hai pano, vino, carne, pesce, e non te basti, ma cerchi a' tuoi
convite vin bianco, vin nero, malvasie, vin de Tiro, arosto, alesso, zeladia, fritto, frittelle, capari,
amandole, fiche, uva passa, pome, confezione; ed empii questo tuo sacco di fece. Empite, scònfiate
ed allàrgate la bottunatura, e doppo el manzare va e gèttite a dormire comme un porco! Ben se può
chiamar felice el tempo passato, del qual scrive Severin Boezio (Libro de la filosofica
consolazione):"Felix nimium prior etas contenta fidelibus arvis nec inerti perdita luxu facilique sera
solebat ieiunia solvere glande". Anticamente l'omo viveva de giande e frutti, che da se stessa
producea la terra; come dice Salamone ne l'Ecclesiastico, 'il principio de la vita de l'uomo si è pane
e acqua', "Initium vite hominis panis et aqua". Conciosiacossa adunque che 'l cibo temperato abbi a
conservar l'uomo in sanitade, ancora el guarda dai vicii, perché, levato le ligne del fuoco, non arde
lui tanto forte. El fuoco de l'uomo è la carnalitade, è la fece de la luxuria. Leva le ligne dal fuoco,
cioè manza sobriamente, mette el freno a la gola , e te vederai avere uno intelletto pellegrino e
nobele, le virtude te piaceranno e le cosse de Dio te appareranno belle. Ecco per raggion naturale in
qual modo ogni uommo è obligato a zezunare. Ma el secundo zezunnio che commanda la Chiesia -
cioè fare astinenzia da carne, manzare una sola volta el giorno ne l'ora di la nona - a questo ognuno
è obligato chi pò, e ne li anni de la descrezione e nel tempo determinatto, comme è la quarantanna e
le vigilie de' santi commandatte (lo hai nel decreto De consecratione, distinzione quarta, capitulo
Non oportet e capitulo Placuit. Ma tu me adimandarai se ciascadunno chi non zezunna pecca
mortalmente. Ed appare che sì. Ecco la raggione. Ciascunno che fa contra el precetto del suo
prelatto pecca. Questa è sentenzia de Paulo (Ad Romanos, terzio decimo): "Qui autem potestati
resistit, damnationem incurrit" ("Colui il quale resiste al suo mazore, sì incorre a dannazione"). Ma
quello chi non zezunna nel tempo appontato fa contra el precetto de la Chiesia, che è presidente de'
cristiani, comme è detto per le auttoritade del Decretto. Adunque, chi non zezunna pecca. Respondo
secundo san Tomaso nel quarto de le Sententie e secundo Ricardo nel quarto, chi dicono: "La legge
che Dio, ed anco le persone del mondo, obliga ad osservarla li suggetti, quanto egli osservar la
possono raggionevelmente". Ma quando l'uomo fusse astretto a qualche altra necessità, non è
sottoposto a la legge, comme hai Extra de observatione ieiuniorum consilium; el se dice: "La
necessità non ha legge". Prende questo exempio e guardime bene. Commanda Dio ne l' Exodo,
vigesimo: "Non furtum facies". Eli è un povero con tre figliuole, chi more di fame: non truovava
guadagno; el va a robbare. Pecca costui? Me appare che nonne. Nota però tu indescretto: el povero
con la sua famigliuola robba per vivere? Se destingue qua de ciò ch'el tuole. Verbigrazia è entrato el
povero in casa del ricco ed hagli tolto assai dinari, vestimente, panni, ed altri argenti con molta
robba: a questo modo dico ch'el pecca mortalmente e ch'el merita non una forca, ma ancora diece.
Tu dirai: "Oh, egli è povero, necessità el caccia". Non è vero, ma la sua avarizia ed ingordisia de la
robba. Ma s'el avesse tolto una quarta de vino, un staro de farina, quattro over cinqui ducati, non
peccarebbe; over non merita punizione alcuna quanto al seculo, perché questo appare iusto titulo de
necessità. Ritornando donque al proposito: quando l'uomo non zezuna, non per disprezio de
Chiesia, né anche per gulosità, non pecca; cioè quando el fusse debile, enfermo, povero e vecchio,
donna de parto, el non pecca. Se adimanda s'el peccarebbe uno zezunando el giorno de la dominica:
se responde che sì, perché el fa contra la consuetudine del populo cristiano. Se dubita in qual ora se
debbe manzare: dicono i dottori che communamente circa la ora di nona. La raggione è perché
Adam in tal ora, per gola, fu scacciatto dal paradiso; una altra è perché Cristo morì ne l'ora de la
nonna. Entende che, posto che l'uomo anticipasse un puoco el tempo, non romperebbe per questo el
precetto. Se adimanda se, per bever da sera, se rumpa el zezunio: dico che nonne. Ma manzar pane
non è licito. S'il fusse però chi non potesse aver confezione o frutti, e' può egli tuori uno boccone
ver dui di pane, acciò che 'l vino non gli facesse noia al stomaco. Se adimanda se 'l superiore fa
bene a dispensare circa el zezunnio. Respondo: se la caggione è patente, cioè tu sei infermo o
vecchio, non è bisogno dimandare consiglio al sacerdote; ma se la cossa fosse dubia, quando tu sei
debile e dubiti ciò che tu debbi fare, allora sei obligatto a dimandar licenzia al tuo proprio vescovo
over al tuo pievanno. Se adimanda - Piero è in peccato mortale - utrum el zezunio ch'el fa gli sia
meritorio. Dico ch'el non è meritorio de vita eterna, ma glie fa altre tre benigne utilitadi: la prima,
perché egli è obediente a la Chiesia; la secunda, perché zezunnando el stringe i movimenti carnali e
combatte col vizio; la terza, el merita minor penna, o di qua o in purgatorio. Ed acciò che vui
possiatti più allegramente sequittare el sacro zezunnio, voglio che vediamo el premio e la utillitade
e lo frutto di questa santa astinenzia. E ben chi sieno innumerabeli, al presente nui ne prenderemmo
cinqui frutti, i quali ci demostrano cinque piaghe nel corpo de Cristo Iesu. E questa serà la terza
parte principale. Or leva adunque, anima devota, il tuo intelletto, e guarda nella man destra de
Cristo nostro Dio e fratello, e vederai una fiamma de amore infocatto che se chiamma 'refrenazione',
che duoma el corpo e i membri che per troppo manzare sonno usciti e riscaldatti contra la raggione.
Lo exempio abiammo da Paulo zezunante (Prima ad Corinthios, nono): "Castigo corpus meum et in
servitutem redigo, in frigore et nuditate" ("Castigo il mio corpo ed in servitute li pono in freddo e
nudità"). Domentre che Eva fu zezuna, la stette im paradiso; manzatto che ella ebbe, la fu scacciatta
fuori. Pertanto se dice ne la Epistola d'oggi (Iollis secundo): "Convertimini ad me in toto corde
vestro in ieiunio, et fletu et planctu, et scindite corda vestra et non vestimenta vestra, ait Dominus
Omnipotens". Dice lo eterno Idio, per el suo profeta ditto Iol, a li miseri peccatori, persuadendo a
loro che se debano convertire, se hanno a cara la loro salute, dicendo in questo modo: "Convertitive
a me con tutto il cuor vostro e straziati li vostri cuori e non le vestimente". Quale è quello omo sì
superbo che non divenga umile per astinenzia del cibo? Chi è tanto luxurioso che non si faza casto
per manzare temperato? E ancore, diletta anima, risguarda la man del tuo sposo amoroso Cristo,
cioè la sinistra, e vedi una altra fiamma chiamatta 'illuminazione de intelletto'. Dice santo Ieronimo:
"Moises ha ieiunato quaranta giorni in el monte, e da poi recevette la leze dal Signore". Dicetime il
vero: non se entende meglio la maitina una lezione, una predicazione, ca doppo el cibo? Certamente
sì! Esso Ieronimo: Tres pueri ieiunio revelationes somniorum a domino invenerunt, et leguminibus
vescentes pulchriores et prudentiores ceteris inventi sunt". La istoria hai nel libro di 'l profeta
Daniele; per tanto esso Ieronimo diceva: "Pinguis venter non gignit tenuem sensum" ("L'uomo
grosso chi manza e bevi assai è impossibile ch'el abbi bon vedere, saldo consiglio over prudenzia
grande"). Però i Romani aveano per legge non far mai consiglio se non da matina. Li Apostoli
riceverono el Spirito Santo zezunni e non pieni di mosto, comme ha Actuum capitulo secundo. Alza
ancora, o anima de Cristo servente umile, la intenzione tua, e risguarda il suo destro pie'
sanguinatto, e vidrai ussire un razo ed una fiamma ardente, chiamatta 'placazione'. Non è cossa al
mondo che tanto placa Dio, quando è adirato contra nui, quanto è il zezunnio. Leggi il testo de Iona
(terzio capitulo). "Ie disse Dio: 'Vanne, e dirai a quel populo indiavolatto de Ninive: Di qua a
quaranta giorni Ninnive serà summersa ...'. E sequita nel testo: "Precepit autem rex dicens:
'Homines, et iumenta ... et pecora non gustent quidquam ... et vestiti sunt saccis a maiore usque ad
mino-rem' ..." ("Il re ha comandato dicendo: 'Li uomini e li zumenti e le piecore non gustano cossa
veruna, e sonno vestiti di sacco dal mazore infina al minore' ..."). Tutti, per sino a le peccore,
zezunareno e fecero penitenzia. Ove tu hai che Dio gli perdonòe. Se voi avete in la terra pestilenzia,
fluxi, tentazione, fastidii, malenconie, zezunatte spesso e trovarette cosse maravigliose. Lieva poi,
anima mia, l'occhio tuo, risguarda il pie' sinistro del tuo Cristo e vedi ussire una fiamma che se
chiamma 'triunfazione di tre inimici'. Primo: dentro la carne l'omo per lo zezunio riporta vittoria de
li diabolici spiriti; onde tu hai (Mathei sesto [ma quarto]) che Cristo doppo el zezunio ebbe vittoria
contra el tentatore demonio: 'ed ecco che li anzoli se approximorono per servirgli'. Secundo: se
triunfa e vincesi ancora li nimici corporali, comme hai Libro Danielis che Daniel zezunòe giorni
vinti e uno, e poi, messo per Nabucodonosor nella caverna de li leoni, non ebbeno ardire
approximarse a lui, tanta fu la virtù del suo zezunio ch'ela astrinse la forza de' leoni. Pertanto dice
Ambrosio: "O sacrum ieiunium! O abstinentia virtutum triumphatrix et regina! Tu demones
comprimis, tyrannos confundis, fortissimos ferarum vel bestiarum ungues excindis, leonum ora
contundis; tu vinculis ferreis illorum dentes alligare
potens es" ("O santo zezunio! O astinenzia de le virtù triunfatrice e regina! Tu premi li spiriti
maligni, confundi li tiranni, scarci le fortissime ungue de le fere bestie, tu contundi e seri la bocca di
leoni; tu sei potente a ligare li loro denti cum ligammi di ferro"). Terzio: se adopera cosse ardue per
forza del zezunio. Onde dice Ambrosio: "Magna denique est ieiunii speciosa militia: nam Helias
ieiunio celum clausit, ieiunium filium vidue suscitavit ab inferis, ieiunium pluvias e celo deponit,
ieiunium ignem de celo eduxit, ieiunus Helias raptus est in celum , in curribus et in equis igneis
ascendit. Magna ergo immo maxima virtus ieiunii est. Quis talia unquam audivit qui ieiunus
impetravit?". De quante è grande la battaglia del dizunio dice santo Ambrosio: "perché Elias profeta
mediante el dizunnio ebbe inchiudere il cielo, il dizunio resuscitò da morte el fiolo de la vidua, il
dizunio fece piover dal cielo, il dezuno ha cavato foco dal cielo, e dezunando Elias è ratto; e così
ebbe ascendere el cielo con carri e cavalli focosi. Grandissima è adonca la virtù del dezunnio".
Ascende ultimatamente, divotto cristiano, e abraza Cristo tuo sposo e guarda nel suo petto, e
trovarai del cuore piagatto ussire una fiamma di amore ardente e brusare ogni aghiacciato cuore,
chiamata 'glorificazione'. El corpo umano, assutigliato e quasi fatto spirituale per astinenzia, fa
l'uomo di stato felice e beato digno. Questo me appare cossa raggionevele, perché il cibo e la gola
ne tolsi il paradiso e serròe la porta di quello, el zezunio nel rende e aprine la porta.Però Augustino,
laudandolo, dicea: "Ieiunium mentem purgat, sensum sublevat, carnem spiritui supponit, cor
contrictum et humiliatum facit, quod Deus non spernit. Concupiscentiae nebulas dissolvit, libidinem
extinguit, castitati lumen portat, verbositatem non amat, humilitatem commendat, hominibus autem
prestat vitam beatam" ("Il dizunio sì purga la mente, releva il senso, sottopone la carne al spirito, fa
il cuore contritto ed umile, lo quale Idio non dispreza, discaza le nubule de la concupiscenzia,
estingue la libidine, porta lume a la castità ed a li omini concede vitta beata"), a la quale Dio ne
conduca in secula seculorum. Amen. Feria quinta: DE LA ORAZIONE "Domine, puer meus iacet in
domo paralyticus" (Mathei octavo). Oggi obstupisce l'anima razionale e lo spirito umano,
imaginando con solliciti sospiri le aspre e pietose parolle che al suo fattor Idio oggi glie convien
dire del giovenetto, cioè de la raggione umana: non sottoposta al consiglio del padre vecchio, cioè
Dio, ma più presto accostata al senso e ancora a la carne vile, se sente ferita ed impiagata, giace
destensa e colligata in casa, cioè nel corpo vile, vive paralitica, privata per alquanto de vita di
grazia; ond' ela crida al Signore: "O dolce Maistro, o Padre pietoso, porgemi mano, dammi
soccorso, mundami dal mio grave peccato". Responde el Consolator grande, el sopran Medico,
dicendo: "Ego veniam, et curabo eum" ("Io verrò e il curarò"). Vedo che sei nella valle gettato e
caduto dal monte alto: cridi e chiammi, suspiri, prieghi, supplichi e porgi orazione pietose; onde io
te voglio exaldire. Meritamente, adunque, la nostra anima, posta in Cafarnaum (che vuol dire
'confusione'), dimanda essere amaestrata per qual virtù può l'omo empetrare grazia da Dio e
adiutorio più ca per alcuna altra virtude. Responde Cristo, nostro Maestro e primo Teologo, che li è
una virtù chiamata 'orazione' da li dottori. Dice ergo l'anima: "O tu predicatore fervente del divino
Verbo, tre dubii voglio da te oggi essermi dichiarati: primo, che cossa è questa orazione; secundo,
comme la se debbe fare; terzio, quanta è la eccellenzia di essa. O quanto io, Padre, da te saròi
contenta, amaistrata me abbi in questi tre dubii". Sta adunche attenta, anima, e guarda a me. Per la
prima dechiarazione io te rimando al dottore santo Tomaso, nel quarto Sententiarum (ed anco ne la
Secunda secunde, questione ottuagessima terzia) che dice: "Oratio est actus rationis significans per
officium nostri oris" ("La orazione è uno atto, una operazione, che nasce de la ragione, cioè da
l'intelletto dell'omo, e questa se notifica per lo officio de la bocca"). E nota, carissimo, questo
exempio: imagina el cor de l'omo essere uno organo in chiesia; e pensa che l'intelletto sia quello che
mena i folli. Poi fa questa opinione, che la voluntà de l'omo sia el maistro, cioè il sonatore, perché la
voluntà è regina e maistra nel reame de l'anima, comme dice Aristotile (terzio De anima). Quando
nel cuor nostro se rivolta qualche cossa, cioè desiderandola avere - comme è sanità, vita longa,
figliuoli ed altre simel cosse - la ragione de l'intelletto soffia con mantesi, cioè incita, invita,
commove l'uomo persuadendogli: 'Adimanda, supplica, priega!'. Allora la voluntà che siede comme
maistro comincia sonare, cioè adimandare, pregare e dire: 'Domine, o Segnore, o Padre dolce, o
perfetto Dio, adiuttami, perdonami; Maistro, io sonno infermo: rendime sanitade; son povero:
provede a la mia famiglia; ho tre figliole, non ho da maritarle: largitor de li duoni, tu Dio, provedi ai
nostri bisogni'. Hai adunque in qual modo la orazione è uno monimento non propriattamente
naturale, non sensuale, non bestiale, ma raggionevele, perché el vien da la ragione (dico quando
l'omo adimanda a Dio con l'intelletto cosse licite e necessarie). Pertanto il greco teologo Giovanne
Damasceno dice: "Oratio est petitio dicentium a Deo". Anselmo, dottore venerabile, dice: "Oratio
est ascensus mentis in Deum" ("La orazione è una elevazione de la mente in Dio, dimandandogli
adiuto nel bisogno"). Dimandano qua i dottuori se la orazione se debe far solamente a Dio overo ad
altri santi. Respondo: adimandare una cossa ad uno se pò intendere in tre modi, overo, comme a
quello chi pò exaldire; secundo, comme a collui che pò empetrare e per nui dimandare; terzio,
comme a quello che pò far l'uno e l'altro, cioè empetrare ed exaldire. Or, se l'uomo vole impetrare e
ricever una grazia, convien ch' el la dimanda da Idio solo, e non da creatura alcuna.Te lo dechiaro
per tri modi: prima - Mathei sexto - dice Cristo: "Orantes dicite: Pater noster, qui es in celis:
sanctificetur nomen tuum. Adveniat regnum tuum...". Secundo, per la profezia de David (Salmo
vigesimo primo): "Tu autem in sancto habitas, laus Isral. In te speraverunt patres nostri, speraverunt
et liberasti eos, ad te clamaverunt et salvi facti sunt" etcetera. Terzio, per raggione: la raggion detta
e persuade a l'uomo che 'l dimanda ciò ch'el vole da quello che lo pò dare quando li piace; questo è
solo Dio, il quale è e dal qual procede ogni ben, comme è sentenzia de santo Iacobo (primo
capitulo): "Omne datum optimum, et omne donum perfectum desursum est, descendens a Patre
luminum" ("Ogni cossa ottima ed ogni dono perfetto sì procede de lo eterno Idio"). Secundo: se può
pregare e fare orazione ad uno comme a collui che può empetrare, over pregar per te, ed esser tuo
procuratore in palacio de Dio; ed in questo modo possiamo fare orazione a' santi, non che egli te
posseno dare cossa alcuna, ma posseno essere avvocati nostri apresso a Dio. E questa sentenzia te
provo per tri modi. Primo, per auttoritade del pazientissimo Iob (capitulo quinto): "Voca, si est qui
audiat, et ad aliquem sanctorum convertere" ("O anima - dice lui - crida verso el paradiso, chiamma
chi te piace, prendi qualunque avvocatto vuoli al fatto tuo"). Secundo, te 'l provo per exempio de la
Cananea (Mathei quintodecimo capitulo): "Andovi lei da li discipuli, doppoi che Iesu Cristo non la
volsi exaldire, ed egli pregoron per lei, dicendo a Cristo: "Domine dimitte illam, quia clamat post
nos" ("Signore lassa quella, perché crida drieto nui"); e Cristo allora glie disse: "Vade, fides tua te
salvam fecit" ("O dona, vatene, perché la fede tua te ha fatto salva"). Terzio, per raggione: i santi
che sonno in paradiso sonno in perfetta caritade ed amano Dio ed il prossimo; lo amor perfetto è in
adiutare chi ha bisogno; se adunque tu ricorri ad uno santo, pregandolo che inanci Dio el sia tuo
avvocatto per aver figliuoli o ricchezze, lui essendo amatore del proximo, non pò far che da Dio nol
dimandi grazia per il proximo. Ma benché tutti i santi sieno boni avvocatti, o cristiani, o madre mie
devotte, e siano molti che vedano la voluntà de Dio verso vui, credette vui ch'el sia alcuno tra quegli
beati spiriti che ami più Dio, e ancora nui poveri mortali, e veda la voluntà divina nel proprio
lumme eterno meglio ca la Verzene Madre? Nol credette! O Maria, Maria, o Maria regina de' cieli, o
avvocata di miseri, o speranza suola di cristiani, tu sola poi avvocare efficacemente per nui. A tutti i
santi ha concesso Dio qualche grazia particulare; comme a santo Sebastiano defensione de peste, ad
Apollonia liberazione da male de denti, a Lucia contra il male de li occhi. *(E cossì discorri per tuo
piacere a li altri)* Ma a la sua dolce madre Dio glie ha aperto tutto el tesauro de ogni grazia con
mane aperte, dicendo: "Prendi, o madre. Fa de Idio ciò che te piace". E però, o cristiano, la Santa
Chiesia quando la canta le letanie, ad ogni santo fa prieghe, una volta dicendo "Sancte Petre, ora pro
nobis", "Sancte Iohannes, ora pro nobis", "Sancte Francisce, ora pro nobis"; ma quando la vienne a
la Madonna la crida tre volte, dicendo "Sancta Maria, ora pro nobis; Sancta Dei Genitrix, ora pro
nobis; Sancta Virgo Virginum, ora pro nobis". Non senza caggione, segnori mei, cioè, però che la è
Madre de speranza, Madre de grazia e Madre de misericordia. Terzio: se può fare orazione a Cristo
crucifixo: prima, in quanto uomo (e allora dice la Chiesa: "Christe, audi nos"; 'sie nostro avvocatto
inanci el padre tuo'); secundo, in quanto Dio (ed allora la Chiesa dice: "Christe, exaudi nos... Fili
Redemptor mundi, Deus, miserere nobis"). *(Hai adunque conchiusa la prima parte. Or prendi la
secunda)* La secunda parte
è in veder la forma e il modo de orare. Notate qua, o anime devote, che la orazione debbe avere
quattro condizione. La prima, che la sia con innocenzia e puritade. Se per caso san Gioanne Batista
pregasse essendo in peccatto mortale, del qual nol fusse contritto, non meritarebbe essere exauditto
da Dio. A questo sentimento parlava santo Giovanne evangelista nel Vangelio suo (capitulo ottavo
[ma nono]), dicendo: "Scimus quia peccatores Deus non exaudit" ("Sapiamo che Dio non exaudisse
li peccatori"). Secundo, la sia con riverenzia ed umiliazione, contemplando lo oratore che l'uomo è
cenere e polvere inanci Dio, lege del cielo e di la terra. Per questa raggione el publicano fu
exalditto, non il fariseo (Luce decimo ottavo capitulo): "Publicanus autem a longe stans percutiebat
pectus suum, nec audebat oculos suos ad celum levare, dicens: 'Deus propicius esto michi
peccatori'...". Dice el vangelista misser san Luca che el publicano, posto in orazione, stavasi da
lonze e battevasi il petto, dicendo: 'O clemente e misericordioso Idio, siati propicio a mi
peccatore'.... Per tanto diceva David, nel Salmo, "Cor contritum et humiliatum, Deus, non
despicies" ("Dio non disprezza mai il cuor, el quale è contritto ed umiliato"). Terzio, la debbe esser
con fede e speranza. Per questo rispetto dicea santo Iacobo apostolo nella Epistola sua (primo
capitulo): "Postulet autem in fide nihil hesitans" ("Domandi cum fede, non dubitando in alcuna
cossa"). Per questa caggione disse Cristo a Marta (Iohannis XI capitulo): "Si credideris, videbis
gloriam Dei" ("Se tu crederai - disse Cristo - vederai la gloria de Dio"). Quarto: con perseveranzia,
cioè orar spesso. Se a la prima volta o secunda o terza e più altra Dio non te exaldisse, non te
turbare, non te deffidare, o anima tribulata, ma batti, batti, persevera, che Dio serà sforzato
exaldirte. O Cananea afflitta! O tribulata madre! O duro ed implacabel figliol de Dio dicendo:
'Vattene, tu se' una cagna; partite, tu se' una infidel pagana'. "Ah Domine, miserere mei: filia mea
male a demonio vexatur" ("Ah Signore, abi misericordia di me: la mia fiola sì è malamente
molestata del demonio infernale"). Tanto cridò, tanto pianse, tanto perseverò, che il dolce cuor de
Iesu Cristo rivoltato glie disse: "O muliere, tu me hai vinto, tu me hai sforzato: vattene, la tua fede è
grande, te sia adempito el tuo volere". O forza, o triunfo de virtù! La parolla de l'uomo può tanto chi
Dio è asforzatto; e però el meglio che l'uomo possa fare, è spesse volte fare orazione a Dio per ogni
giorno. Non ch'el sia necessario quanto a Dio, chi senza orazione vede i nostri cuori ed entende i
bisogni, non che le nostre orazione immutano ciò che Lui ha ordinatto, ma acciò che, se Dio avesse
ordinatto darne qualche bene mediante el nostro pregare, non manchi da nui, cioè che per
negligenzia perdiammo esso bene. Circa la terza parte, diremmo che la eccellenzia e virtù de la
orazione è grande e potente ed ha cinque proprietade e potenzie. Primo, la vale ad impetrare
perdonanza e misericordia da Dio (Psalmus trigesimo primo): "Tu remisisti impietatem peccati mei.
Pro hac orabit ad te omnis sanctus" ("O signore, tu hai remisso la impietà del mio peccato",
etcetera). Lege Isaia (trigessimo ottavo capitulo): "Ezechia voltò la facia al muro e pregò cum
lacrime. E Dio disse al profeta: 'Va, e dirai ad Ezechia, re de Ierusalem: Io te ho perdonato la vitta.
Ecco che aggiongendo quindici anni sopra el tuo vivere, e te cavarò de le man de Faraone'...".
Secundo, la vale ad accrescimento de grazia. Chi è in grazia e fa orazione a Dio merita che la prima
grazia glie sia accresciutta. Lo exempio abiammo negli Apostoli, che, bene essendo luori amici de
Dio, fussero confirmatti in grazia, ricevuto el Spirito Santo invisibelmente, nondimenno
perseverando in orazione lo riceveron poi apparescentemente, comme abiamo negli Atti di Apostoli
(secundo capitulo): "Et dum orarent, factus est repente de celo sonus, advenientis spiritus
vehementis; (...) et repleti sunt omnes Spiritu Sancto, (...) loquentes magnalia Dei". Terzio, la vale a
piena vittoria de inimici. Mentre che siammo de qua in questo corpo terreno, siammo in continua
battaglia: la carne contra el spirito, el spirito contra el senso, comme è sentenzia de Paulo
guerreggiante: "Caro concupiscit adversus spiritum, et spiritus adversus carnem" ("La carne se
desidera contra el spiritu, ed el spiritu contra la carne"). Però el nostro Iob tribulatto dicea (Iob,
septimo capitulo): "Militia est vita hominis super terram" ("La vita de l'uomo è combattimento
sopra la terra"). La orazione ne fa vincitori in queste guerre. Abiammo lo exempio in Moises, el
quale menando el populo contra li inimici per andare in terra de promissione, li Giudei
combattevano contra Amalechitti, e con el suo re. Moises, essendo vecchio, staseva da largo
ripossatto in terra, ed in quel mezzo li inimici superchiavano, perch' e' tenea le man giunte e la
lingua mutta. Vedendo questo, Moises chiammò doi gioveni forti, e sì se facea sustentar le braze in
alto e le mane destese (or vede comme sto io), e tanto orava de continuo che 'l suo inimico fu vinto,
morti lor cavagli e tagliati in pezi tutti gli uomeni d'arme.Questo volea dire Gioanne Crisostomo:
"StabatMoyses in monte, sed precibus precinctus". Quarto, la vale in conforto de le tribulazione. Sei
tu affannata? Sei tu inferma? Sei povera? Hai tu angustie? Corre a la orazione e Dio te adiutarà.
Però el profeta citaredo David dicea nel Salmo: "Ad Dominum cum tribularer clamavi, et exaudivit
me". Lo hai oggi nel Vangelio del pregar del centurione per lo fameglio infermo. *( Or dirallo in
questo passo.)* Quinto, la vale ad acquistar el paradiso, il quale è nostra vera e perfetta casa ed
ultima felicitade, riposso fermo. Pertanto dice el cantor David: "Unam petii a Domino, hanc
requiram, ut inhabitem in domo Domini omnibus diebus vite mee". Preghiammo Dio spesso ch'el ne
faza abitare in cossì bello pallazio, qui vivit in secula seculorum. Amen. Feria sesta: DE LA
ELIMOSINA "Cum facis elemosinam, nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua" (Mathei quinto
[ma sesto]). Posto ne li precedenti giorni, devotissimi in Cristo Iesu, le due principale opere
satisfazziorie a Dio, zezunio ed orazione (el zezunio contra el vicio carnale di gola, la orazione è
contra el vicio spirituale de la superbia), resta a trattare de la terza virtù, cioè elemosina e pietade,
contra el terzo peccato, cioè avarizia, la quale lo apostolo Paulo chiamma idolatria, però che l'uomo
sensuale tanto è accecatto de l'amor proprio, ch'el adora el dinaro per Dio ed in luoco de Dio,
obediandogli e stentando più per quello ca per Dio. Il rimedio è nella pietà del prossimo per opera
de elemosina. Pertanto, carissimi mei, oggi de questa farovi tre contemplazione: la prima serà
elemosine diffinitio, la secunda elemosine conditio, la terza elemosine premiatio. Circa la prima
parte, la elemosina se descrive in questo modo: "Elemosina est opus, ex quo datur aliquid indigenti,
ex compassione, propter Deum" ("Elemosina è una opera, da la quale se dà alcuna cossa al
bisognante, per compassione, per amore de Dio"). Onde la elemosina fi denominatta da 'Eli', che
vuol dir Dio, e 'mois', che vuol dire acqua, quasi "acqua de Dio". Sì comme l'acqua è necessaria al
viver umano, cossì la elemosina al povero bisognoso. Questa elemosina in tanto è meritoria, in
quanto è fatta per amore de Dio, e vale assai; quando l'uomo ha compassione al proximo povero,
questa compassion fa ch'el glie dà elemosina, e falla per amor de Dio. In la elemosina Dio più
guarda l'animo tuo ca la robba che tu dai, comme hai nel Decretto, quatrigessima secunda
distinzione, capitulo Quiescam e capitulo Levi. Però dice Cristo (Mathei quinto [ma sesto]; ed in
questo Vangelio): "Cum facis elemosinam, noli tuba canere", etcetera ("Quando tu faci elemosina,
non voler sonare la trombetta"), il qual atto soleno exercitare quelli i quali sono cupidi de apparer
esser buoni e in verità non sono. Imperò contra di questi parla esso nostro Salvatore, dicendo:
"Amen dico vobis, receperunt mercedem suam" ("In verità dico a vui, questi receveteno la lor
mercede") - dice Cristo de quegli che per vanagloria porgeno la elemosina -. Falla adunque per
amor de Dio. Circa la secunda parte, notaremmo che sei adornamenti debbe aver la elemosina. El
primo è chiamatto 'gratiositas': el bene dèbbesse far con l'animo alliegro e volentiera, non comme
molti chi fanno la elimosina a forza, con puoco piacere, ed appare a luor che l'abbiano gettatta via.
Item cum la faccia allegra, o tu avaro, o ricco spietato: vienne el povero e adimàndate un soldo per
amor de Dio; tu stai, pensi e ripensi; el povero pur dimanda; finalmente tu metti mane a la borsa, e
da'gli quattro dinari col viso turbatto sì fattamente che 'l pare al povero mille anni a fuggire da te.
Aldi Salamone (Ecclesiastici decimo ottavo [ma XXXV] capitulo): "In omni dato hilarem fac
vultum tuum" ("In ogni cossa datta - dice Salamone - fa el tuo viso allegro"). Però Paulo (Prima [ma
Secunda] ad Corinthios, nono capitulo) dice: "hilarem datorem diligit Deus". Item con parolle
benigne e dolce dice lo avaro al povero: "Tuoli, tuoli, e va con Dio!". El povero frate adimàndite el
pane e tu li dice: "Ah gaioffo, pittocco, vattine in malora!". Aldi, o santuza, perché poi a te serà
detto: "El sai tu". Guarda a me, o avaro: nel giorno estremo levaranno li poveri tutti con voce
grande a l'aere contra di te dicendo ad uno ad uno: "O dannatto avaro, esurivi, et non dedisti mihi
manducare; sitivi et non dedisti mihi bibere, nudus eram et non coperuisti me, infirmus et non
visitasti me" ("I' ho abuto fame e non me hai pasciutto, azo abuto sete e non m' hai dato da bere, era
nudo e non me hai vestito, sum stato infermo e non me visitasti"). O grande Idio! O iusto
iudicatore! Oggi fa di questo avaro cruda vendetta! Allora voltaràsi Cristo pio,
Cristo Redentore, e diralli: "O ricchi avari, ite, ite, maledicti in ignem eternum!", "andati, andati,
maledetti, al foco eterno" (Mathei vigesimo quinto). Starà un povero alcuna volta, o ricco crudele,
una ora a l'usso, e batte, batte; e poi li dice: "Va con Dio". O ingrati de' divini beneficii, o animi
canini, o figlioli del diavolo, andaretti al foco eterno, seratti privatti di beni superni! Date adunque,
o cristiani mei, o vui donne da bene, date voluntiera e allegramente. Sia fatta la elemosina dal cuore,
e non facetti comme fanno li fanciulli. Sapeti vui comm'è che fanno? La madre glie dà in mano un
pezo di pane grande e ben puoco di caxo; manzatto presto lo caxo, voltano il pane e rivoltan con
fastidio e poi per disprezzo lo danno ad altri fanciulli. Cossì al proposito fanno li avari. Cossì
adonca possemo conchiuder che non fu mai al mondo omo chi devenesse povero per far elemosina,
né anco i suoi figlioli, se la fanno volentiera, benché la faceno spesso. El se lege nella Vita di santi
padri. Era uno ricco chi combatteva ogni giorno con uno suo vicino poverello artisano. El ricco avea
quattro figlioli, due schiave, dui servi, quattro figliole e la sua donna: in tutte erano in casa circa
quattordici. El povero avea nove figliole, tri figlioli, una serva e la donna sua: erano in casa circa
quindeci. Or aldi cossa marevigliosa. Dicea el ricco dentro di sé: "Io ho a far le spese a quattro
figlioli, ho a maritare quattro figliole"; però in casa sua vivea a la contadina per miseria, una
incristara de vino in tavola e tre de acqua a far bone spese. El povero avea in casa bon pane, bon
vino bianco e vermeglio e sempre aparecchiatta la mensa cum bone vivande in abundanzia.
Qualunque povero battesse a l'usso sempre ie dava elemosina. Or un zorno questo zentiluomo
dimandava questo calzolaro poverello e ie dice: "Amico mio bello, tu se' un grande pazzo; tu se'
povero ed ogni giorno hai pesci, carne, caso e frutti in casa tua, e più sorte. Se tutti li gaioffi di
questa terra cento volte per giorno vegnesseno a casa tua, sempre ie daresti elemosina. Povera la
vitta tua! Non te ricordi tu de le tue figliole, che non se potrano maritar ed andarano in cattiva via?
Io chi ho quindeci migliara de ducatti in valore non farebbe tante spese!". O grande e iusto Idio!
Aspetta. Quanto più el povero donava, tanto ogni giorno cresceva più in roba, intanto ch' el maritò
nove figliole grassamente e con onore. El ricco ogni giorno impoveriva: ora era robatto, ora el foco
glie brusava le case, ora la tempesta levava le biave e lo vino, per tal modo che in puochi anni venne
a tante povertà e miseria che glie conveneva dimandare elemosina a li parenti. Stava rechiuso in
casa per vergogna. Finalmente el maritòe due sue figliole a dui figlioli di quel povero: devenne
l'altra di quelle meretrice, la quarta se feci monaca per forza de fame. O duro iudicio! O terribel
sentenzia! Datti adunque, o tiranni avari, o crudeli robbatori, datti al povero del bene che Dio ve ha
datto. La robba non è vostra, non mia, ma è de tutti: Dio ve la presta che fruati in vostri bisogni
quanti ve basti; del resto siatti dispensatori de Dio verso quegli che sonno nudi. Vui facetti contra el
voler de Dio, ascondendove ed appropriandove i beni de Dio, gettando i poveri da canto. Dio poi da
te ingrato leva de subito ogni suo duono, e mandandote a casa calda. El secundo ornamento de la
elemosina è detto 'largitade'. Siatti larghi nel dare, carissimi mei (Thobie quarto capitulo: "Si
multum tibi fuerit, abundanter tribue, si modicum de modico impartiri stude", "Fa la elemosina
largamente secundo la tua facultà, o puoca o assai che abi"). Non se trovò mai persona fatta povera
per dar voluntiera elemosina. Questo diceva lo apostolo confortandone a far bene (Secunda ad
Corinthios, nono capitulo): "Qui parce seminat, parce et metet", "Chi poco semina, poco ricoglie".
Ed anco questo te conforta el maestro Iesu Cristo (Luce, VII [ma VI] capitulo) dicendo: "Omni
petenti te, tribue", "Da' la elemosina a tutti quegli chi te la dimandeno". Questo servò uno santo
padre, il quale dava elemosina a tutti quegli chi gliela chiedevano; or finalmente avendo dati li
dinari, la robba, poi le case, ultimo le vestimente, non avendo più che dare, disse ad un povero che 'l
chiedeva importunamente: "Fratello, io non ho altro ca me stesso; ecco, me duono a te"; e gettossi
tra le sue braze. El terzo ornamento se chiama 'proprietade'. Non se vol fare elemosina de la robba
d'altri, ma de la sua propria. Cossì facea el iusto Iob (XIII [ma XXXI] capitulo del suo libro). El
dice: De velleribus ovium mearum calefactus est pauper ("De la lana de le mie peccore vestiva el
nudo, over el povero"). O robatori, o usurari, o ladri di bene e del sangue de' poveri, non facetti
elemosina de usura de enganni de robe vendute e comprate iniustamente con falsitade e busie! La
vera elemosina, over oblazione, per vivi e per morti, acciò la sia meritoria e a Dio gratta, convien
che la venga da la tua fatica, con tua industria e tuo sudore. Questo volse dare ad entendere Dio nel
Genese, quando el scacciò Adam del paradiso dicendo: "O Adam, in sudore vultus tui vesceris pane
tuo". Ancora el Spirito Santo dice per el savio Salamone (se tu hai letto Proverbiorum terzio
capitulo): "Honora Deum de tua substantia"; e non dice: "de altrui robba". Il quarto ornamento ch' è
chiamato 'liberalitade', cio è: farla liberalmente senza precio e servizio. Io ve voglio recitare, a vui
donne specialmente, una piacevolezza da non amarla. Avendo io una quarentanna predicatto in una
nobel citade, venne a me una pizocora più volte a confessar suoi fatti, e fecime dir molte misse, e
donommi poi elemosina da soldi trentaquattro. Fatto questo, me chiesi li facessi scriver Salmi
penitenziali; ed io el feci e costommi circa mezzo ducato lo libro fornitto: datto che io glilo ebbi, fu
pagatto de gran mercè. Ho ditto a proposto che li trentaquattro soldi a me datti non furono
elemosina fatta con liberalitade, ma più presto con usura in lei. Vui donne similmente aretti qualche
vicina povera, e daretegli ora un pane, ora dui, ora vino: non lo facetti per elemosina - guardate a
me che ve dico el vero - ma più tosto per aver da quella qualche servizio; comme è quando voletti
andar a trovar donna Beatrice o donna Catteruzza: la facetti vegnir con voi e perder tre o quattro ore
di tempo, nel quale la aguadagnarebbe più ca quello ie avetti datto. "Amen dico vobis, receperunt
mercedem suam": questa elemosina con tale intenzione te giova nulla. Or bastano questi quattro
ornamenti de elemosina per la secunda parte. Circa la terza parte, vediammo de la remeritazione de
la elemosina. Io trovo che la elemosina te remerita de cinqui premii. Primo, la te duona
'multiplicazione de beni temporali'. O quanti buoni cittadini e perfetti zentilomeni fatti son
ricchissimi per dar volentiera elemosina! Però dice el Vangelio: "Date et dabitur vobis" ("Date ai
poveri e Dio darà a voi"). O cari mei cristiani, recordateve di quella famme grande e universale che
fu in Ierusalem, dove le madre più volte furon trovatte manzare i figlioli. El profeta Elia caminando
aggionsi a casa de una vidua povera, in quel tal tempo affamato, che avia solamente una libra de
oglio ed un poco de farina: la siera ella diedi la elemosina e cena al detto Elia. Aldi cossa
marivigliosa! Per tutto el tempo de la carestia non ie mancò oglio nel vase, né farina in la cassa,
comme se ha nel terzo di Re (decimosettimo capitulo). Lo secundo premio se chiamma
'impugnazione e vittoria da inimici' (Ecclesiastici secundo [ma XXIX] capitulo: "Super scutum
potentis pro te adversus inimicum pugnabit"). Quanti baroni e segnori al mondo son statti vittoriosi
nelle battaglie, per aver da prima fatto elemosine a' poveri, over chiese e monasteri, e basta! El terzo
premio se chiamma 'Dei placatio'. Molte volte Dio adiratto contra uno populo, se acquieta per
ellemosine, comme hai Proverbiorum capitulo vigessimo primo: "Munus absconditum extinguit
iras" ("La elemosina data per amore de Dio secretamente estingue la ira del nostro giudice Iesu
Cristo"); comme tu hai ancora ne l'Exodo, più volte Dio corrozatto contra el populo, faceva esso
populo offerire duone assai a Dio, ed esso se placava. El quarto premio è detto 'peccatorum
purgatio'. Non fu mai sì grave peccato al mondo che per la elemosina Dio non gli perduoni. Tu hai
Ecclesiastici capitulo quarto: "Sicut ignem ardentem extinguit aqua, sic elemosina extinguit
peccatum" ("Comme l'acqua asmorza el fuoco, cossì la elemosina asmorza el peccato"). Nui abiamo
lo exempio inanci li occhii: Nabucodonosor, essendo statto rebello ed inimico de Dio, divenne
pazzo e fu scacciatto dal reamme suo, né Dio gli volea perdonare. Dechiarolli Daniel el somno
vedutto dal re, ed ello disse comme componto a Daniele: "Comme potrò mai io tornar in grazia de
Dio, acciò me perdonni?". Risposi Daniel in queste parolle: "El mio consiglio piaccia a la maistade
regale. O inclito re, fa che tu redimi li tuoi peccati cum elemosine, e le tue iniquitade in avere pietà
e misericordia circa li poveri ed abisognanti". Quinto se chiamma 'vite eterne condonatio'. Per la
elemosina se acquista el paradiso, comme disse Tobia al suo figliolo: "Fili, bona est oratio cum
ieiunio, sed melior est elemosina. Elemosina enim liberat a morte et ipsa est que purgat peccata et
facit invenire vitam eternam" ("O figliolo, bona è la orazione cum il dizunio, ma meglior è la
elemosina, perché la elemosina libera da la morte, ed essa è che purga li peccati e fa trovare vita
eterna"). La elemosina, benché l'uomo la faza in terra ed appara a molti gittata via, nondimeno la
nasce e fa frutto in paradiso. Or adunque ogni uomo, quanto a lui è possibele, usi voluntera pietà e
misericordia a' poveri, che tutti i sacri libri non cridano altro, come tu hai Thobie primo [ma quarto]
capitulo: "Noli avertere faciam tuam ab ullo paupere"
("Deh, non voltare la tua faza da nissuno povero"); Luce duodecimo capitulo: "Vendite que
possidetis et date ellemosinam" (dice e commanda Cristo Iesu beneditto che vui debiati vender ogni
cossa che possideti e date elemosina a li poveri); Luce sesto capitulo: "Estote misericordes sicut et
Pater vester celestis misericors est" (o cristiani, audite quel che ve persuade el vostro Redentore,
cioè chi siati misericordiosi verso il povero e besognoso cossì comme el vostro Creatore e Padre
celestiale è misericordioso); Deuteronomio quintodecimo capitulo: "Non contrahes manum, sed
aperies eam pauperi". Deh, audi ancora, cristiano devoto, quel che dice Idio nel Testamento Vecchio
dicendo: "Non serrare né chiuder la tua mane al povero, ma aprila". E cossì acquistaremmo la grazia
di qua e la gloria di là, a la quale Dio per la sua grazia e pietade se degna de condurre nui, dove
l'abiammo a fruire e consequenter beatificarse, per infinita secula seculorum. Amen. Sabbato:
PREDICA DE LA MADONNA MOLTO BELLA "Erat navis in medio maris" (Mathei [ma Marci]
sesto capitulo). *(Oggi dechiara el Vangelio secondo la littera, e poi dirai moralmente che ...)*
Questa nave è la gloriosa Verzene Maria posta, in nostro soccorso, in mezzo de nui naviganti in
questa valle de miseria. E comme el populo cristiano ha deputatto la dominica in memoria de la
resurezzione de Cristo, cossì la Santa Chiesia ha ordinato el sabbato in memoria de nostra Donna.
Ma, segnori mei, per principio del nostro parlare voglio in vostra persona dimandare questo dubio:
quale è la raggione che più presto el sabbato ca alcuno altro giorno la Chiesa celebra in onore de la
madre de Cristo? Or notatte, cristiani, sei piccole e grosse raggioncelle. La prima se chiamma 'ratio
passionis'. La passione di santi Martiri è celebratta in qualche giorno de l'anno, comme san Stefano
a' vintisie di decembre, e cossì degli altri. La Verzene Maria fu martirizatta in corpo e in anima
dolendo tutto el venere santo continuo ed eziandio tutto el sabbato sequente, ma perché el venere è
dato al martirio de Cristo, è cossa onesta che 'l sabbato sia datto al martirio de la sua buona Madre.
La secunda raggione se chiamma 'quietazione'. Dio in sei giorni creò ed ordenò tutte le cosse fatte;
ma el sabbato se ripossò, comme hai Genesis primo capitulo: "Die autem septimo requievit ab omni
opere quod patrarat. Cossì el figliolo de Dio, venendo in terra, non trovò riposso se non nel ventre
de Maria, comme hai Ecclesiastici vigesimo quarto capitulo: "In omnibus requiem quesivi, et in
hereditate Domini morabor. Tunc precepit, et dixit mihi Creator omnium; et qui creavit me requievit
in tabernaculo meo". La terza se chiamma 'complezione'. Nel sabbato compii Dio tutte le cosse
creatte. Cossì nella Verzene Maria furon compiitte tutte le cosse recreatte, cioè per la opera de la
Redenzione. La quarta se chiamma 'benedizione'. Dio benedisse solamente el giorno del sabbato.
Cossì la Verzene Maria fi benedetta da le creature tutte. La quinta se chiamma 'mediazione'. Comme
el sabbato è mediante tra el venere, chi è de tristizia, e la dominica, che è de letizia, cossì Lei, o
peccatori, o cristiani, è mediatrice tra i nostri errori e Dio. Guai a noi se cossì non fusse. La sesta se
chiamma 'confessionis'. Nel tempo de la passione tutti negareno la fede de Cristo: Piero e li apostoli
fugerono. Solamente in Maria rimasi la fede: debitamente adunque a Lei è deputatto el giorno del
sabbato in zezunio, in laude, in gloria. Vedaremmo ora tre particelle del Vangelio: primo, perché
Maria fi detta nave; secundo, la dignitade di questa nave; terzio, la sua pietade. Circa la prima: fi
detta nave la Vergene per rispetto de le mercanzie ch'ela portò, le qual furono le virtude sue
intrinsece, cioè umilitade, virginitade e feconditade. Per umilitade piace a Dio, per la virginitade a li
anzoli, per fecunditade a tutto el mondo. Fuorno ancora in lei le bone merce, cioè el frutto del suo
ventre. O Maria, o nave dignissima, di te parla el savio figliolo de David, tuo padre, nel libro di
Proverbii dicendo: "Facta est quasi navis institoris, de longe portans panem suum" ("Fatta è Maria
comme nave mercandantesca che porta el suo pane da longe"). Aldi qual pane è questo: questo è
pane celestiale, del qual dice esso figliolo de Maria (Iohannis capitulo sesto): "Ego sum panis vivus,
qui de celo descendi" ("Io sum pane vivo, il quale desesi dal cielo"). Questo pane è venutto più
longe ca de Sorria, cioè dal cielo. Dio è fatto uomo, el creatore creatura, lo immortale mortale.
Questa nave era in mezzo del mare, cioè in mezzo de la Santa Trinitade, per predistinazione, del
Padre, Figliolo e Spirito Santo. Questa sia la prima parte. Secundo: vediammo la dignitade di questa
nave, la qual consiste maximamente nel grande arboro di mezzo, del qual parla Ezechiel profeta
(sesto decimo [ma XXVII] capitulo), dicendo: "Cedrum de Libano tulerunt, ut facerent sibi naulum"
("Hanno tolto del bosco uno alto cedro, per far l'arboro a la nave"). Questo arboro de cedro, o
cristiani, egli è Cristo nostro fratello ed anco Segnore, el quale è assimigliatto al cedro per el frutto
del cedro: el pomo del cedro nella parte di fuora è dolce, dentre è un puoco acetoso; manzandolo
inseme gli è di mezzo sapore, tra e la dolce e lo acetoso. Queste tre differenzie de sapori significano
tre sustanzie in Cristo: la sua divinità fu dulcissima, la sua carne fu piena de amaritudine; ma
l'anima parte aveva de amaritudine, in quanto parea abandonatta da Dio Padre e lassata in proprie
forze, parte aveva de dolcezza e gaudio, in quanto fruiva e gustava la divina essenzia, con la quale
era unitta. E questo per la parte secunda. Circa la terza, vediamo la pietà de questa nave, Se
dice:"Erat navis in medio mari". O peccatuori umiliatti, o penitenti devoti, notatte le parolle del
Vangelista: per lo mare se entende le peccatuori tornatti a penitenzia, i quali per li luori peccati son
pieni de amaritudine. O amaricatta anima, o peccatore, piange amaramente, e la nave Maria serà in
tuo adiutto. Enne Maria in mezzo del mare, cioè mediatrice tra Dio e lo peccatuore vile. E però
meritamente è assimigliatta Maria a l'aurora, al sole, ed anco a la luna; onde el se canta di lei
(Canticorum sesto): "Que est ista que progreditur quasi aurora consurgens, pulchra ut luna, electa ut
sol", etcetera? ("Quale è questa che camina, la qual se leva comme l'aurora, bella come la luna e leta
come il sole?"). Primo, è assimigliatta a l'aurora, che è in mezzo del giorno e de la notte; cossì
Maria è mezanna tra el giorno che è Dio e la notte oscura che è il peccatuore scuro e niero per lo
peccato. Onde el profeta dice a tale anima: "Denigrata est facies tua super carbones" ("La tua faccia
è denigratta più ca li carboni"). Va questa anima inanci la faccia de Dio, e Lui non la conosce,
avendola creato pura, munda e nobele. Le dice poi Dio: "O povera creatura, quanto sei abbassata,
svilitta, più nera ca 'l carbone del camino. Vanne, fugge sventurata creatura, vanne al fuoco con li
tuoi frategli diavoli, piange!". Poi l'anima sciaguratta duolese e cridda e non trova adiutto;
abandonatta da tutte le creature, fatta inimica de Dio, la pensa ogni modo de disperare e darse nelle
mane de l'inimico suo; ed ecco el soccorso, corre Maria e piglia questa anima e glie cridda: "O
smemorata, o pazza, o poverella creatura, vienne meco, entra in questa nave". Camina e vanne
Maria con questa anima inanci el suo Figliuolo, e dicegli: "O Figliuolo mio dolce, quantunque el
peccatore merita ogni male, ed ancora el fuoco, risguarda el sangue sparso, risguarda, o caro
figliuolo, che io son chiamatta madre dei peccatuori ed avvocatta de li tristi e fonte de le grazie:
voglio che tu perdoni a questa anima". Responde el Figliolo: "O mulier, magna est fides tua: fiat tibi
sicut vis", etcetera ("O donna, grande è la tua fede: sia a ti concesso e fatto come tu vogli"). *( Dirai
a tuo modo)*. Secundo, è assimigliatto a la luna. Sì comme la luna lusi di notte e tra i setti pianeti è
più presso a la terra, cossì la Verzene Madre luse, resplende e illumina i peccatori, dando a quegli
molte volte illuminazione de boni pensieri; ancora, è vi- cina a' peccatore, perché presto soccorre a
quegli. O cristiani, qual è quello cossì sceleratto, ladro, superbo, tristo, vizioso, ribaldone, ladro,
assassino, omicida, adultero, sacrilego, over cattivo in ogni errore, chi ricorrendo a le braze de
Maria, dimandandogli adiutto, non sia lei presta e sollicita a exaudirlo? Pertanto se canta ne l'
Ecclesiastico (capitulo vigessimo nono [ma XXIV]): "Transite ad me omnes qui concupiscitis me,
et a generationibus meis adimplemini; Spiritus enim meus super mel dulcis"; "correte - dice Maria -
che io son la nave, correte a me vui chi me affettate, e io presto ve accontentarò e seròvi scudo e
lanza in tutti i vostri bisogni". Terzio, è assimigliatta al sole, perché comme el sole è nobile e
perfetto sopra tutti gli altri pianetti, cossì Maria è perfetta sopra le altre creature. Però se legge ne la
Cantica di Salomone: "O pulcherrima mulierum, egredere, et abi post vestigia gregum tuorum". E
comme per lo sole nascono tutte le cose da la terra (pane, vino, oglio, etcetera), cossì per mezzo de
Maria nascono e descendeno da Dio tutti li duoni e grazie sopra li cristiani. Guardateme un puoco, o
carissimi mei: io me reputo in grande onore esser de l'ordine del serafico Francisco; ma quanto
onore se debbano pensare avere receutti quegli chi sonno ne l'ordine di Santa Maria, comme sonne
frati de Servi ed alcune suore e vestitte religiose? Questa nave fu figuratta nel Genesi, dove la Santa
Biblia narra de la nave che fece Noè, al qual Noè Dio favella dicendo: "Finis universe carnis venit
coram me; fac tibi arcam de lignis levigatis et ingredieris tu et filii tui, uxor tua et uxores filiorum
tuorum" ("La fine de tutta la carne, cioè de l'umana generazione, si è devenutta al
mio conspetto ... Fa adonca una arca in la quale tu e i tuoi figlioli e la tua muglie e le muglie di tuo'
fioli abiati ad intrare"). E tutti quegli chi se trovoron fuori di quella arca furon somersi dalle acque,
e tutti quegli chi entroron dentro fuoron salvi. *( Reducela al proposito de Maria.)* Pertanto, o
donna, o tribulatto cristiano, quando tu hai affanni, tribulazione e sei in qualche infirmitade o
periculo, corri ne l'arca, vanne a Maria, che per certo non te lasserà perire! Bene, adunca, dice il
tema assunto che la gloriosa Vergene Maria è nave, cioè soccorso di peccatori, la quale pregammo
devottamente che priega il suo dilettissimo fiolo Iesu Cristo, che ne perdoni in questa vita per grazia
ed in l'altra per gloria, per infinita secula seculorum. Amen. Dominica prima: A CHE MODO EL
DEMONIO VOLSE TENTARE CRISTO. "Ductus est Iesus in desertum a Spiritu, ut tentaretur a
diabolo" (Mathei quarto capitulo). Sì comme Cristo nostro Redentore volse morire, acciò che lui
morendo fussemo vivificati nui che eravamo morti per lo peccato, cossì volsi esser tentato, per dar
consolazione e conforto a nui tentati. Truovo al presente tre caggione, che mossero Cristo a voler
esser tentatto dal diavolo: la prima, ut nostras tentationes vinceret; la secunda, ut diabolo quod esset
filius Dei occultaret; la terzia, ut temptatis facilius condescendere pateret. Sapea el diavolo per le
Scritture e per li profeti che 'l figliol de Dio dovea nascere, e che esso dovea perdere el suo dominio.
Pertanto con grande sollicitudine cercava quando dovea nascere questo Messia, onde, comme dice
san Gioanne Crisostomo, aldendo el diavolo l'angelo annunciare ai pastori la natività de Cristo, li
angeli cantare "Gloria in altissimis Deo" etcetera, Gioanne Battista al fiumme Iordanno monstrarlo
con el dido, nel battesmo descendere sopra lui el Spirito santo, zezunare quaranta giorni e quaranta
notte, lo suspicava per questi fatti esser figliol de Dio. Ma vedendolo poi aver fame, patir sete
etcetera, dubitava di quello. Volendosi adunque certificare s'el era Dio over uomo puro, lo assaltò de
tre varie tentazione, con le quale nel paradiso el vinse el primo uomo. El tentò Adam de gola, ed
anco lo vinse, comme hai Gennesis primo [ma terzo] capitulo, dicendo: "Vanne e manza di quello
frutto e mai non morirai"; tentollo de vanagloria dicendo: "Vui saretti comme dei"; tentollo de
avaricia, promettendogli eccessiva de scienzia de bene e di male, dicendo: "Vui saperiti e
cognoscereti lo bene ed el male". Cossì eziandio per questi tri modi volsi tentare Cristo. E prima de
gola: vedevalo essere uomo e che naturalmente el dovea aver fame e sete; onde el glie disse: "Si
Filius Dei es, dic ut lapides isti panes fiant" ("Se tu sei figliolo di Dio, commanda che queste petre
se fazano pane"). Ma el Maestro chi sapea tutto, saviamente risposegli dicendo: "Non in solo pane
vivit homo, sed in omni verbo, quod procedit de ore Dei", quasi voglia dire: conciosiacossaché
l'uomo sia composto de due nature, una materiale, e questa è il corpo umano, dimensionatto,
quantitativo, e composto de' quattro elementi (comme è sentenzia di Aristotele nel libro De la
phisica e per tutti i libri naturali) eziandio sia composto de una altra parte che è spirituale, non già
materia elementale, ma uno simplice spirito vivificante da Dio creatto, mandato ed infuxo nel corpo
già organizatto nel ventre materno, comme è sentenzia de Moises profeta (Gennesis primo [ma
secundo] capitulo): "Inspiravit Deus in faciem hominis spiraculum vite". Vedendo Cristo e
considerando che l'anima è più nobile e più preciosa ca 'l corpo, e che lo inimico glie facea
menzione del cibo material del corpo, e niente de l'anima o del suo cibo, conchiuse tra sé: "Questa
tentazione è cattiva e diabolica". A casa or nota, carissimo. Lo inimico vedendo non poter nulla,
disse fra se stesso: 'Costui me pare persona da bene; communamente queste cosse spirituale e bone
creature, se non son vinti da carnalità, o gola o avarizia, almanco son puochi chi non se lassino
vincere da la vanagloria over superbia'. Allora, comme dice san Giovanne Crisostomo, assunselo el
diavolo e menarolo sopra el tetto del tempio e dissegli: "Se tu sei figliol de Dio mandite giuso di
qua, che Dio te farà guardare da' suoi angeli", etcetera. Imaginava el diavolo: 'Se costui se getta in
terra e non se faza male, saprò ch' egli è vero Dio'. Allora Cristo glie risposi e disse: "Non temptabis
Dominum Deum tuum, sicut scriptum est, sed illi soli servies". E rimasi lo inimico dubioso, ed
imaginava trovare una altra arma fortissima chiamatta avarizia, e menollo in cimma de un monte
altissimo e monstrogli tutti i reammi del mondo, e dissegli: "Io te donarò tutto ciò che vedi se,
cascatto in zenocchioni, me adorarai", e perché questo vegneva a provocar Dio a corrozo, Cristo lo
scacciò da sé e dissegli: "Vanne Satanaxo (cioè a l'inferno). Egli è scritto: adorarai el tuo Segnore
Dio e servirai a lui solo!". Questa è la istoria litteral del Vangelio. Or, dilettissimi in Cristo Iesu,
oggi vederemmo tri articuli teologici e grandi dubii: el primo s'egli è peccato el tentar Dio; secundo
se la adorazione, detta latria, po' fi fatta a l'inimico de Cristo senza peccato; la terza circa la littera,
perché volse Cristo esser tentato. Circa lo primo dubio el se arguisse che tentar Dio non sia
peccatto, e farò io tale arguire. Nota bene: Dio, maestro de la legge, non commanda alcuna cossa
che sia de peccatto; non è questo vero? Sì. Dio comanda per el profeta Malachia. Dice el testo:
"Inferte omnem decimationem in horreum meum, ut sit cibus in domo mea, et probate me si non
aperuero vobis cataractas Celi"; el commanda Dio che debiammo provare s'el ne ama. Questo tal
"provare" nella Scrittura non vuol dire altro ca "tentare". El contrario se lege oggi: "Non tentabis
Dominum Deum tuum", ed è Deuteronomii sesto capitulo. Che diremo nui qua, frate Roberto? Or
nota qua, valente uomo, che Dio te benedica (ed ancora me): dechiariammo prima che vuol dir
questo vocabulo "tentare". "Tentar" propriamente vuol dir "fare argumento", over esperienzia de
una cossa, acciò la sia chiara per exempio. La esperienzia de uno se può fare in dui modi: per
parolle e con fatti. Con parolle: io son ricco e non ho bisogno de quattro ducatti. Nientedimeno
andarò a Piero, chi è mio amico, e dirogli: "O fratello, io me ritrovo in una grande necessitade,
prestami quattro ducati"; e farollo solo per provar s'egli è mio amico. Item con fatti, quando l'uomo
farà una cossa per veder comme el compagno se muove e comme el gli è prudente. Al proposito,
Dio possiamo tentare con parolle, comme fecerono i Farisei a Cristo (Mathei vigesimo secundo):
"Maestro, debiammo dar censo a Cesaro o nonne?". In questo modo, quando l'uomo fa orazione a
Dio o a' Santi, over dice alcune cosse del Vangelio, non che quasi ello abbi bisogno di quella cossa,
ma più tosto per vedere ed esperimentare la potenzia de Dio, virtude e sapienzia, in questo modo
feceron i Farisei a Cristo dicendo: "O Maestro, abiammo aldutto assai cosse fatte da te in
Cafarnaum; fa' simel cosse ancora qua in la tua patria". Non cercavano miracoli per convertirse né
per voler credere in Lui, anci più tosto per curiositade e per veder cosse nuove. Alcuna volta fi
tentatto Dio con i fatti: quando l'uomo farà una cossa per veder la potenzia de Dio, comme è verbi
gratia, egli è una santa creatura che è enferma gravemente, e gli è detto che la chiammi el medico e
prenda una medicina, non vuole far comme glie vien detto, ma dice: "Lassiammo fare a Dio, chi è
bon medico"; e morirà. O pazza, o smemoratta, questo se chiamma un tentare e voler provar Dio! E
sì vai a casa calda. "O non è Dio sufficiente a guarirme?" Sì, bene, ma tutte le cosse Dio ha fatto
con ordene: el ha fatto el medico, acciò che in li bisogni tuoi tu ricuorri da lui; ha fatto erbe e
medicine, acciò le usi per necessitade, ha fatto el grano e lo vino, acciò che manzandolo sostenti la
tua vita. Ma ben vuole che, quando hai provatto erbe e medicine e vedi che non te giovano, allora tu
te poni solamente in le sue mane, dicendo con David nel Salmo: "Ad Dominum cum tribularer
clamavi, et exaudivit me"; ed in uno altro luoco: "Auxilium meum a Domino, qui fecit celum et
terram"; ed in uno altro Salmo: "Dominus custodit advenas; pupillum et viduam suscipiet"; ed in
uno altro: "Clamavit ad me et ego exaudiam eum cum ipso, sum in tribulatione, eripiam eum et
glorificabo eum". E adunque pacia a meterse in alcun periculo corporale, over spirituale, de l'anima,
con speranza presuntuosa, dicendo "Dio me adiutarà"; questo è un tentar Dio, comme ho detto.
Quando adunque me adimandi s'egli è peccatto, io te rispondo: conciosiacossaché tentare sia fare
esperienzia e la esperienzia se fa di quelle cosse, de le quale l'uomo non è certo, ogni tentazione
nasce da ignoranzia, over dubitazione di collui chi cerca; chi adunque tenta Dio per provare ed
entender quanta sia la possanza de Dio, over sapienzia, non per necessità ma per curiositade, pecca
mortalmente comme infidele. Al secundo dubio principale, cioè che cossa è latria, responde san
Tomaso in la terzia parte, e dice che la è uno culto che se debbe fare a Dio solo e non ad altra
creatura, cioè creder Dio esser summo ben perfetto, e Lui esser principio, caggione e fine di tutte le
cosse creatte in cielo ed in terra, e per umeltà e devozione farse suggetto a Lui ed obbediente
comme creatura al Creatore, comme servo al suo segnore, comme figliolo al bon padre. Pertanto se
dice nella Lege Vecchia (Exodi vigessimo capitulo): "Non adorabis deos alienos", ed in uno altro
luoco: "Videte quod ego sum solus,et non sit alius Deus preter me, ego occidam et ego vivere
faciam". Nota qua, anima digna, quattro raggione, le quale principalmente debbeno incitare ogni
creatura ad adorare uno solo Dio. La prima se chiama dignitade. Quanto più uno è in magior grado,
tanto el merita
maggiore onore e riverenzia. *( Discorre i stadi temporali, reggi, imperatori, duchi, e spirituali
vescovi, cardinali e papa, etcetera: dirai a tuo piacere.)* Dio è dignissimo sopra ogni creatura,
perché egli entende e vede ogni cossa , onde "Deus", sì denominatto a videndo, comme dice san
Paulo Ad Ebreos: "Omnia nuda et aperta sunt occulis eius" ("Ogni cossa è nuda ed aperta avanti el
conspetto de Dio"). Questa dignità convienne solamente a Lui. La secunda se chiama largitade. O
dolce Idio, o Padre de misericordia e Dio de tutte le consolazione, la vitta, lo essere, la robba, i
dinari, sanità, onore, dignità, segnoria, figliuoli, mugliere, abundanzia, e 'l cibo da chi lo abiammo?
Da Dio grande e bono. Aldi san Iacobo (nella Canonica prima, primo capitulo), canta forte e dirai:
"Omne datum optimum et omne donum perfectum desursum est, descendens a Patre luminum"
etcetera. O ingrata gente, vui cristiani falsi, inimici del summo Dio, dove è la riverenzia, dove è lo
onore che se fa a Dio? Aldi ciò che menaza Dio per Isaia profeta (primo capitulo): "Ve genti
peccatrici, populo gravi iniquitate semini nequam" ("Guai a la zente peccatrice, guai al populo
iniquo", etcetera; "dereliquistis Deum", etcetera. Adorate Dio, laudate, ringraziatte e temettelo! Se
non lo facette, toràve Dio la robba, i figliuoli, la sanità, l'aere bono, i frutti de la terra etcetera.
*( Dirai a tuo modo.)* La terza è chiamatta fideltà. E questo se appartenne a la fede del cristiano.
Quando el fanciullo vienne al batesmo, che dice el sacerdote? El dice questo: "Abrenuncias diabolo
et pompis eius?" Responde el battezatto, over el compare che 'l tienne al batesmo: "Abrenuncio".
Promettiammo in quello atto osservar perpetua obedienzia e riverenzia e fede al nostro sposo ed
amoroso Iesu Cristo. Onde, secondo la Legge Vecchia, chi rompeva la fede al matrimonio era morto
e lapidato; ma che merita quello chi rompe la fede a Dio suo sposo? Lo inferno! La quarta è
chiammatta copiositade. In niunna legge de' Giudei o Sarracini, Pagani o Turchi o Ebrei, son
promessi tanto copiosi beni quanto al cristiano. O Sarraceno, che te promette la tua legge per le tue
orazione ed elemosine ne l'altra vitta? Uno fiumme largo scorrente ed abundante di latte e di melle.
La lege de' Giudei glie promette terre diviziose, comme hai nel Genesis de Abraam; quando ebbi
fatto a Dio la grata offerta del figliolo, dissegli l'angelo da parte de Dio: "Possederà el tuo semme le
porte de' suoi inimici", etcetera. Ma Cristo che te promettelo? Vita eterna, el paradiso, vivere in
gloria con l'angeli. Conchiudiamo adunque che a Dio, vero, uno e solo, dovesse portare onore e
riverenzia e adorazione. Cossì dice Paulo in le sue Epistole: "Regi autem seculorum, immortali,
invisibili, soli Deo, honor et gloria". Ad quam, cetera. Feria secunda: DEL IUDIZIO
UNIVERSALE "Venite, benedicti Patris mei, percipite paratum vobis regnum ab origine mundi"
(Mathei vigesimo quinto, ed in Evangelio odierno). Volendo oggi, dilettissimi, satisfare al Vangelio,
nel qual se tratta del sterminatto terrore averanno i peccattori ostinati e rei nel terminar de
l'universo, quando el vero, iusto ed universal iudice verrà a iudicar tutta la gente e rendere ad
ognuno secundo i suoi meriti, vederemmo tri principali articuli di esso iudicio. Primo, la verità del
iudicio; secundo, la sua probabeltà; terzio, la sua terribilitade. O valente uomo, per tri modi voglio
nui proviammo dovere essere el vero iudicio: primo per raggione, secundo per testimonii, terzio per
exempio. Benché molte raggione se potrebbe adure, bastaranno solo per lo presente giorno tre di
quelle. Una, e prima, se chiama 'divina iustizia'. Nota: ogni cossa creatta ha potenzia determinatta
ad operare, la qual se la non l'adoperasse sarebbe vana, comme, per exempio, vano seria l'occhio s'el
non vedesse, la vigna o l'orto s'el non fruttificasse, vana seria la casa se la non se abitasse; cossì per
maggior eccellenzia Dio increatto ha potenzia, sapienzia, misericordia e iustizia: tutti questi attributi
in Dio sarebben vani e senza perfezione se non adoperasseno i suoi effetti. La grande potenzia de
Dio fu dimostratta ne la creazione de l'universo, de la quale hai Gennesi (primo capitulo): "In
principio creavit Deus celum et terram "; la quale è operazione infinitta, e però niuna pura creatura
può creare alcuna cossa, comme se conchiude da li dottori teologi secundo Sententiarum etcetera.
La divina sapienzia fu dimostratta ne l'ornamento ed apparatto de li cieli e de' quattro elementi. Però
sequita el testo del Genese: "Igitur perfecti sunt celi et terra, et omnis ornatus eorum". O grande e
sapiente fattor Dio! Ornò el cielo impereo de angeli, el firmamento de stelle, la terra di piante ed
arbori, etcetera. La misericordia se dimostrò nella umana redenzione, comme hai la sentenzia de
Ieremia: "Misericordie Domini, quia non sumus consumpti". Resta una cossa che ancora appara: la
iustizia universale de Dio. Ora Dio tienne la iustizia ascosa: l'uomo offende Dio, biastemma, robba,
luxuria, enganna altrui, tradisse, commette usura e simonia, etcetera; e Dio tace, supporta col pie' di
piombo, non si move, dissimula, sta e vede e nulla iustizia adopra. Ma quando verrà el giorno che
serà raggionevel che Dio punisca i cattivi e premia i boni, allora se manifestarà la iustizia. Però dice
el profeta David, in persona de Cristo: "Cum accepero tempus, ego iustitias iudicabo". La secunda
raggione è chiamata 'condecenzia'. Al bono e perfetto giudice ed artifice apartiene che l'opre sue
non rimangano imperfette: per sino al presente non ancora compitta la pena dei dannatti né
consumatta la gloria dei boni. Dove è l'anima de Faraone? In lo Enferno! De Giuda e de tutti i
dannati? In lo Inferno! O frate Roberto, dove sonno li lor corpi? Qui giuso da nui in terra. Dove è
l'anima di Adam, di Noè, l'anima di Abraam, di Ioanne Batista, di Piero? In Paradiso. Lor corpi
dove sonno? In terra. E perché non son premiatti li corpi con le anime in Paradiso? Non è Dio vero
e iusto iudice? Non è faticatto el corpo in gegiunare, orare, peregrinare e veggiare? Molto bene. O
adunque Dio non è iusto? Non è il vero! Pertanto verrà Dio a iudicar universalmente tutti i boni e
cativi, per dover render premio over pena ai corpi accompagnatti con l'anima in lo Enferno o in
Paradiso. La terza se chiamma 'manifestazione di gloria'. Al presente, crescente la malicia di omeni,
non se conoscono perfettamente li beneficii de Dio. Quanti boni ora son percossi da Dio? Quanti
son persequitatti poveri, etcetera? Quanti ribaldi e tristi, sceleratti ricchi sonno onoratti, hanno
figlioli assai e begli palacii. Aimè, o omeni savii, Dio appar iniusto! E comme se può conoscere lo
amico de Dio da l'inimico, el bono dal cattivo? Chi è digno di beneficii de Dio e chi indigno? Male,
e male, e dico male! Pertanto conciosiacossachè Dio è tutto iusto, comme è tutto bono e tutto savio,
vuol la vera iustizia de Dio che al bono sia rendutto bene, al cativo sia renduto male. Questo non si
fa di qua. Verrà dunque el iudicio, nel quale ai boni Dio rendarà bene, ai cativi male, e questo
iudicio estremo serà terribile a li rei ed ai boni dolce? Pertanto sequita oggi san Matteo: "et statuet
oves quidem a dextris, edos autem a sinistris. Tunc dicet iis, etcetera. *( Dirai tutto el Vangelio
qua)* E questo sia per la parte prima principale. La secunda se chiamma 'probabeltade' per
testimoni, e questi testimonii seranno di tre specie: el primo fu pagano e gentile, l'altro del
Testamento Vecchio, l'altro de la Legge Nuova. "Redemptor meus vivit, et in novissimo die de terra
surrecturus sum... et in carne mea videbo Deum salvatorem meum". Primo, el confessa Cristo dover
resuscitare; secundo, el confessa la nostra resurrezione, la qual serà nel tempo del iudicio quando el
dice: "et in novissimo die de terra surrecturus sum"; terzio, el confessa la gloria de' beati dove el
dice: "et in carne mea videbo Deum salvatorem meum". Prendi uno del Testamento Vecchio (e basti
per ora), cioè Isaia, terzio capitulo. Aldi quanto el parla chiaro: "Dominus ad iudicium veniet cum
senatoribus terre et principibus populi sui. In die illa auferet Deus ornamentum terre... Et erit pro
suavi odore fetor... Et merebunt et lugebunt porte eius et desollatta erit terra a facie Domini". Dice
Isaia che el Signor verrà al iudicio con li senatori de la terra e principi del suo populo; in quel
giorno Dio torrà l'ornamento de la terra e per el suave odore serà fetore. Or vegniammo al
Testamento de Cristo. O Matteo, che dirai tu nel vigesimo quinto capitulo de l'universal iudicio:
comme serà 'l fatto? O citadini, o ricchi mercadanti, che ve valerà el vostro sapere, che el vostro
dinaro, ove seranno i grandi pianti? E cantò lui cossì: "Ve, ve pregnantibus et parturientibus in illis
diebus. Et erit tunc tribulatio magna, qualis non fuit ab initio, et plangent se omnes tribus terre. Et
videbunt filium hominis venientem cum potestate magna, et maiestate in nubibus celi. Et mittet
angelos suos cum tuba et voce magna, et congregabunt electos a quattuor ventis, a summis celorum
usque ad terminos eorum". O quanto descrive dignamente el Vangelista lo ordine de lo avvegnire
del iudice in tre parte e tri ordeni: primo in locare li boni e li cativi; secundo in remunerare i boni;
terzio in punire li rei. El testo: "Et statuet quidem oves a dextris (cioè i boni), edos autem (cioè i
cativi) a sinistris". Nota che non senza gran cagione Cristo appella agnelli, over pecorelle, i boni,
cioè per rispetto de la sua inocenzia, pacienzia ed operazione, che sonno utile a mille cosse, separati
ai capretti, perché sonno animali pazzi, cattivi, e sempre puzano; cossì li cattivi. Secundo, se mete la
remunerazione de li boni, quando el testo dice: "Tunc dicet rex iis qui a dextris eius erunt: 'Venite
benedicti Patris mei, possidete paratum vobis ab origine mundi'". O dolcissimo parlare! O voce
iocunda
e piena d'ogni suavitade! Venette vui benedetti a la summa letizia, i quali setti statti in tristizia de
penitenzia. Venette vui umili, non dico a vui superbi. Venette o elemosinarii, non vui ricchi avari.
Venette o casti, non vui luxuriosi. Venetti pacifici, non vui contenziosi. Perché, per qual caggione
debiamo vegnire? Perché avette servatto l'opere de misericordia. *(Dirai secundo che hai nel
Vangelio.)* Fatto questo, serà fornitta la secunda parte. Vegniammo a la terza parte principale, cioè
la terribilità de pena de li cattivi, la qual pena glie darà quella voce: "Ite maledicti in ignem
eternum". O disgraziatta partitta, crudel sentenzia! O povero peccatore, a chi recorrerai? a chi
fuggerai? Verranno li spiriti dannanti e te portaranno al fuoco. Allora respondaranno li cattivi,
volendose escusare, e diranno: "Domine, quale è la raggione che ne fai dannati e sentenziatti cossì
crudemente?". Responderà Dio dicendo: "Esurivi, et non dedistis mihi manducare", etcetera,
comme hai nel Vangelio. Se voltaranno dicendo: "O giudice de l'universo, benché la iustizia
richieda e voglia la nostra dannazione, pur te preghiammo, Segnore, danne bona compagnia e
pietosa!". Dirà Cristo: "Ite cum diabolo et angelis eius!". "O Segnore, danne almanco penitenzia
leggera in terra o in l'aire o in acqua!". Responderà Cristo dicendo: "In ignem!", in el fuoco! "O
Segnor, se pur nui debiamo esser dannati, usa con nui meschinni questa pietade: tu sai, Signore, che
iustizia senza pietade è chiamatta crudeltade; se pur ne fa bisogno patir pena, fa almanco che la sia
limittatta, cento, ducento, over trecenti anni! Aimè Segnore, or pietà te prenda de nui tapini!".
Allora Cristo, con la faccia terribele, con li occhii torti (che comme dice Augustino, padre santo, li
angeli ne averanno grande paura, comme dice David profeta nel Salmo: "Tu terribilis es; et quis
resistet tibi? Ex tunc ira tua", pertanto pregava Dio dicendo: "Domine, ne in furore tuo arguas me,
neque in ira tua corripias me") dirà a li rie: "Al fuoco eterno, eterno, eterno!". O avari, o ladri, o
simoniachi, o traditori, o luxuriosi, vedeti el fin vostro, vedete la grava sentenzia e convertitive al
vostro Segnore Dio!. Questa sentenzia serà irrevocabele. Onde el profeta David parlando de Cristo
dice: "que procedunt de labiis meis non faciam irrita". Son quattro cosse che più volte fanno piegar
la mente del giudice mortale contenutte in questi versi, cioè: "Quattuor ista: timor, census, dilectio,
rancor sepe solent hominum rectos pervertere sensus". Questa sentenzia è cavatta dal Decretto, e
Bernardo devoto a questo proposito dice: "Iudex ille numquam falletur verbis nec flectetur donis".
Trema, trema lo bono, trema più el cativo; trema, o papa; tremate, o cardinali; trematte, o vescovi e
vui prelati; tremate, frati e pretti, monache, imperatori, regi, principi; tremate, o mercadanti e tu
cittadino; trema, o povero; trema, ricco! Sopra nui serà el giudice adirato, di sotto vederemmo
l'Inferno aperto ardente de fuoco, li demonii orribeli, li serpenti venenosi apparecchiati, la tenebra
oscura, la puza insupportabele; li angeli del cielo taceranno, li santi martiri cridaranno contra di nui
vendetta, li nostri peccati ne accusaranno, la propria conscienzia ne remordarà e consumarà; lo aere,
l'acqua, la terra, el cielo, pianeti, stelle, tutto lo universo contra nui aprirà la voce. Lì trovaremmo
tristizia senza gaudio, tenebra senza luce, mal senza bene, pena senza riposso, morte senza vita.
Però dice el tribulatto Iob: "Terra miserie et tenebrarum ubi nullus ordo sed sempiternus orror
inhabitat"; ed in uno altro luoco: "In inferno nulla est redemptio. Miserere mei Deus, et salva me!".
Adunque convertitive e temete Dio: connoscetilo ed amatelo, frategli miei; servatte i suoi precetti,
acciò meritiati aldire quella voce: "Venite benedicti", etcetera. Feria terzia: DE LE OPERATIONE
DE L'ANIMA DOPO LA VITA PRESENTE "Commota est universa civitas" (Mathei vigessimo
primo; ed in Evangelio odierno). Voglio, dilettissimi, che nui vediammo in questa predicazione,
dopoi che abiammo vedutto del iudicio universale, che operazione seranno de le anime, quando se
partiranno da questa misera, dolente e fangosa vita. E' da sapere che le anime di fideli chi moreno
hanno alcuni luochi a sé deputati particularmente. Ma queste sonno in tre differenzie: alcune sonno
totalmente bone, e queste senza indusiare vanno in paradiso, comme è l'anima de santo Piero e
santo Paulo, etcetera; alcune moreno in peccato mortale, ostinatte, senza confessione e sacramenti, e
queste vanno sotto el centro de la terra, dove è el luoco de privazione de ogni gaudio (e questo è
detto lo Enferno); alcune sono né bone totalmente, né ancora tutte cattive, e queste son quelle che
moreno con la santa confessione, etcetera, ma non hanno compitta la penitenzia, ed è bisogno
satisfacino e se purgano in qualche luoco, e queste discendino ad un luoco chiamatto Purgatorio, le
quale, fornitto el suo tempo da Dio ordinatto, volano al santo Paradiso. Del qual Purgatorio questa
matina vedaremmo tri articuli: el primo ove è il Purgatorio; el secundo de la pena del Purgatorio; el
terzo de la condizione di quello luoco con suoi abitatori. Circa el primo, stasetti attenti, o cristiani: li
dottori sacri, in el quarto de le Sententie, e maximamente san Tomaso e Bonaventura, dimandano in
qual luoco è questo Purgatorio, e trovano che Dio punisse e purga le anime in molti luochi, ma
cinque più principali son noti. El primmo è sotto terra appresso a l'Inferno. Sotto la terra è uno loco,
el quale de continuo arde, e questo è distinto in due parte: una è superiore ed alta, e questa è
chiamatta lo Inferno; l'altra è inferiore e bassa, e questa è chiamata Purgatorio. Di questa parte
inferiore parlava David nel Salmo dicendo: "Erusti animam meam de Inferno inferiori" ("Segnore,
l'anima purgatta tu la cava[sti] de l'Inferno"), non superiore, dove sonno i dannati, perché mai mai
non reussiranno; ma dicea de l'Inferno inferiore, cioè di quella parte bassa chiamatta Purgatorio. E
questa è la differenzia che fanno li dottori tra Inferno e Purgatorio: tutte quelle pene, tutto quel
fuoco, tutto quel martirio, tutta quella puzza che hanno i dannati, hanno quelli del Purgatorio; ma
son differenti in questo: la pena de l'Inferno è perpetua, continua e infinita, quella del Purgatorio è
finita e terminata. Ancora se trova in la Sicilia in uno monte chiamatto Etna altissimo fuoco che
arde de continuo, e non se consumma; in questo luoco, dice santo Gregorio nel quarto del Dialogo,
molte volte se sente voce grande per sino al cielo cridare "Misericordia, misericordia!", chiamare i
padri e parenti. El terzo luoco è in Hibernia, dove è a modo di uno pozzo grandissimo, el quale
empetrò san Patrizio da Dio: domentre lui predicava, però che quella gente, a chi el proferiva il
verbo de Dio, era incredula, el pregò Dio che monstrasse qualche signo miracoloso; e prese uno
bastone ch'el portava in mano e feci uno cerchio grande, ed incontinente la terra se apersi, nel qual
se alcuno glie descende ed abbi migliara e migliara de peccatti, e fusse maggior ladro del mondo, si
glie sta vivo dentro per tri giorni, vien poi menatto fuori da l'angelo bono pollitto e purgatto da tutti
peccati; e se allora el morisse, el vola in Cielo. El quarto è in questo mundo: molti, comme dice san
Gregorio nel Dialogo, son puniti da acqua. Recita esso dottore in quel libro che uno cardinale
chiamatto Pascasio, andando a li bagni per una certa infirmitade, el vesco de Capua anco lui per
consiglio de' medici andò a quegli bagni. Quando, circa le ventiquattro ore el volea intrare in lo
bagno, el vidi in un cantone sedere ne l'acqua el cardenale, e dissegli: "O padre, che fai?".
Resposegli: "O figliolo, io purgo li mei peccati". El quinto serà qua in terra per opera del fuoco, il
quale nel giorno del iudicio arderà la terra e tutti quegli chi se troveranno di qua. Se tu me
adimandassi perché fa Dio questa punizione di qua ad alcune anime, respondo: per tre caggione.
Prima, perché hanno puochi peccati, meritano puoca e presta penitenzia. Secundo, acciò che molte
povere anime, che sonno dimenticatte da lor amici e parenti, possino dimandar qualche adiutorio. O
poveri nui! Quanti padri e madre sonno abandonatti dai figlioli, essendo in Purgatorio? Non
farebben dire uno Pater noster per l'anima lor: o ingratti figlioli! Pazzi sonno chi aspettano ch'e'
figlioli facino bene per l'anima sua! 'Cra, cra - dicon sempre - ben faremmo, ben faremmo'; ed in
questo mezzo tu stai in pena e lor triunfano. *(Dirai comme vuoli.)*. La terza raggione: perché
l'uomo ha fatto il male in quel luoco; comme fa el giudice, chi empicca el ladro ove el ha robbatto,
cossì Dio. Tu hai peccatto in chiesia violando? Dio vuol che la tua anima patisca in chiesa. Basta.
Prendi el secundo dubio, cioè se la penna del Purgatorio è grande. A questa questione responde
Augustino dotto, e sì se pone nel Decretto in questa sentenzia: "Quello chi non ha fornitta la sua
penitenzia di qua, serà ne l'altra vitta purgatto dal fuoco de la purgazione. Quel fuoco, bench'el non
sia eterno, nondimeno egli è maravigliosamente grave: el superchia ogni pena che se possa patire in
questa vita". O grande Dio! Aldi cossa maravigliosa: chi non compirà la penitenzia in questa vita
presente - dice Augustino - convien ch'el purghi i suoi peccati nel fuoco del Purgatorio, cioè inanci
ch'el possa andare in Paradiso. Questo fuoco è materiale comme è il nostro, non ch'el sia però
eterno, e durarà per sino al iudicio; nondimeno el trapassa tutte le pene sustenute mai di qua, ossia
febre o doglia di capo e di denti o gotte o doglie de' fianchi. Onde el se recita che uno santo padre
era statto attristatto più de cinque anni continui nel letto per gravi dolore de fianchi e di gotte; ogni
giorno piangeva, dolevasi e lamentavesi de Dio dicendo: "O Dio, perché me dai tanta penna?
Che male ho fatto io?". Più volte el bono angelo glie apparve dicendo: "Abbi pazienzia, perché
mancano ancora dui anni de penitenzia da fare per i tuoi peccati appresso a quegli cinqui che hai
supportatto". El padre enfermo, aldendo questo, strengeva le mane e cridava verso el cielo a modo
de uno leone: "O Dio, misericordia!". Dissegli l'angelo: "Fa cossì, elegite qual parte te piace di
queste due: over star dui anni in questa enfermitade, over star dui giorni in Purgatorio". Or el
vecchio tutto alliegro risposi che più tosto volea star dieci anni in Purgatorio ca dui anni enfermo
comme in prima. Se indorminzò poi, e di subito l'angelo menò l'anima al luoco del Purgatorio;
monstrogli quella terribeltade e fecilo entrare in quel fuoco ardentissimo. Sentutto ch'el l'ebbi un
puoco di quella pena acerba, cominziò incontinente a cridare: "Aimè, aimè! Non più, non più!". Ed
ecco lo angelo presto glie apparve, dicendo: "Che hai tu padre?". "Aimè - disse lui - tu me hai
traditto! Tu me prometessi non lassarme più de due ore, e non più, e me hai lasciato più de mille
anni!". Allora l'angelo ie giurò ch'el non gli era statto più de due ore. Poi lo adimandò: "Volete vui,
padre, remaner qua?". "Non, per lo amor de Dio! - risposi quel vecchio - Ma presto, presto, te
prego, portami al mio letto!". "Ma tu starai enfermo dui anni ", disse l'angelo. "Non solamente dui
anni - risposi lo enfermo - ma per sino al giorno del iudicio son contento più presto ca ristar due ore
in questa pena". Supportatte adunque, carissimi mei, quando Dio ve dà enfermitade longhe; siatti
contenti, o zoveni o vecchii che siatte, più presto stentar un puoco di qua ca sentar le bastonatte di
là. Circa la terza parte de la condizione de le anime in l'altra vita, dimanda san Tomaso, in quarto
Sententiarum, se quegli che sonno in Purgatorio sanno dove son sepulti li suoi corpi e da chi. O
valente uomo, sta attento a me. Santo Augustino in uno libro, ch'el fa De cura pro mortuis agenda,
risponde cossì, e questa sentenzia se pone nel Decretto, terzia decima distinzione, questione
secunda, capitulo Fatendum: "Li morti per propria condizione non sanno chiaramente ove son
sepellitti li lor corpi". Ma tu dirai: "Non apparve san Stefano a santo Ambrosio, dicendo che i corpi
de' santi, e lo suo, eran sepelitti in vil luoco?" Or dico che questo vienne per divina revelazione. E
nota questo passo. Dimanda Augustino se quegli del Purgatorio sanno espressamente quagli sonno
quegli chi fanno orazione, over elemosine, per l'anime lor, e risponde che per quattro modi lo
possen sapere. Prima, per divina revelazione fatta per mezzo di quello angelo, che ogni giorno visita
quelle anime. O pietoso Idio! Va quel bono angelo dal padre cruciatto in Purgatorio e glie dice:
"Non sai tu che 'l tuo figliolo oggi ha fatto dire una messa per l'anima tua?", etcetera. Secundo, per
manifestazione de le anime che se partino di qua. Verbigrazia: ora tu, mio compagno, sai che io ogni
giorno prego Dio per mio padre e mia madre e per alcuni chi me adiuttano al mio vivere; quando tu
andarai di là, al Purgatorio, trovarai mio padre, et cetera, e glie dirai: "Tuo figliolo ogni giorno
priega per te". Terzio, quando egli sonno di qua, e che vedeno nui pregar per lo passato poi che
abiano questa vita, trovandosi in Purgatorio se ricordano del nostro pregar per lor fatto. Quarto, per
esperienzia: ogni giorno se senteno allegeritti da le pene, onde connoscono che sonno aiutatti per
nui. Una altra questione se move, cioè: egli è sepellitto un corpo de una bona persona in luoco vile,
utrum per questo ne abia pena la sua anima. Responde Augustino che nonne, e mette lui questo
exempio: al ricco papatuore, che glie giovorono le pompe de le exequie, i triunfi ricchi e grandi?
Nulla: andò con quegli a casa calda. Che nocimento ha datto a Lazaro, povero, impiagatto, esser
stato sepelitto in luoco desprezatto? Nulla: anci fu portatto dai anzoli in Paradiso felice.
Ultimattamente se dimanda questa peregrina questione, cioè utrum le anime che sonno in Purgatorio
abiano più utele per esser sepellitti i luor corpi apresso a le chiese e apresso i boni che son morti ca
non essendo in tal luochi. Questa questione è mossa da Augustino nel libro De cura pro mortuis
agenda, e da Graziano, terzia decima questione secunda, capitulo Non extimemus. E dicono
respondendo che ognuno doverebbe sforzarse esser sepelitto apresso a quelle chiese ove sonno assai
corpi e ove concorreno molte brigatte a le messe ed officii, comme sonno i chiostri de' frati menori
e predicatori. E questo per due raggione: la prima perché tutti i santi di quella chiesa e tutte le anime
in grazia de li corpi ive sepelitti, pregano Dio per lui comme per suo proximo vicino. Ancora, se
molte gente vengono a quella chiesa tutte pregano per li morti che sonno sepelitti in quello luoco,
over cimiterio, e tutte le orazioni, officii e prediche e misse, che ive se dicon, valeno a lor anime:
questa è ancora sentenzia di Gregorio nel Dialogo. Aggiongiammo qua una parolla per Dio, cioè: è
licito pianger le anime de' morti, le quale sonno in Purgatorio? Respondeno i dottori che nonne. Una
raggione li induce però che sonno in meglior stato ca nui che vivammo, perché non posseno più
peccare comme nui chi andiammo de male in peggio. Ancora: luor son certi de andare in Paradiso,
nui incerti; son scapoli dai demonii, nui servi. Piangiammo dunque nui e non lor, ma preghiammo
Dio: presto li cavi di tal pena. Amen. Feria quarta: DE L'ESSER DEL PURGATORIO. "Magister
volumus a te signum videre" (Mathei duodecimo capitulo). *(Dirai el Vangelio a littera)*
Abbiammo a vedere nel giorno presente a che modo le anime da fi purgatte nel Purgatorio, sentendo
la mano de Dio valida, forte e terribele, criddano ciò che scrive Iob pazientissimo in sua persona
dicendo (Iob, decimo nono): "Miseremini mei, miseremini mei, saltem vos amici mei, quia manus
Domini tetigit me" ("Pregatte, amice mei, adimandatte grazia a Dio e misericordia per me"). Or
prendiammo el tema in nostra persona e dichiammo a Dio per compassione de le anime in
purgazione poste: "Magister, volumus a te signum videre", cioè comprendere, vedere ed entendere
che tu daghi adiutto a le anime del Purgatorio. Vederemmo al presente in che modo l'alto Segnore
Dio dimostri e usi pietade con le anime del Purgatorio, intervenendo le nostre prieghe. Onde io
moverò tre questione di questo adiutto: la prima, s'egli è possibele che le anime del Purgatorio se
possano adiuttare da nui; la secunda , quale son quelle cosse che ne moveno ad aiutarle; la terza,
con qual cosse possiamole adiutare. Circa la prima, se arguisse per la parte negativa, per tal modo
solamente possiammo nui adiuttare quegli chi sono in luoco che ne fa atti a poter conoscere e
vedere i suoi bisogni: in Purgatorio non siammo atti andare e sovegnire né mandare; ergo non se
adiuttaranno? In contrario, è la parte vera affirmativa approbatta per la Chiesa, che ogni giorno
cridda e dice che per li morti se faza orazione continua. Onde tu hai nel secundo libro di Machabei
(capitulo duodecimo) che Iuda Maccabeo, fornitta la battaglia grande ed orribele, mandò a offerir in
Ierusalem al templo duodese millia dragme de argento per le anime di morti, sperando che Dio a
quelle usassi misericordia per le offerte fatte. Però canta la santa madre Chiesa: "Sancta ergo et
salubris est cogitatio pro defunctis exorare, ut a peccatis solvantur". Santo Paulo (Prima ad
Corinthios, capitulo duodecimo) fa questa raggione: "In un corpo son molti membri, ed ive ove
manca un membro l'altro adiuta; la santa Chiesa è chiamata un corpo mistico, del qual nui tutti
siammo membri". Ma se la natura nel corpo è sufficiente adiutarse de membro in membro, cioè el
membro sano lo defettuoso. Conciosiacossaché la grazia sia maggiore, più potente e più forte ca la
natura, potrà uno membro mistico, cioè uno cristiano in grazia, adiutar l'altro, che serà in grazia,
bench' el sia in Purgatorio. In contrario tu arguirai: quando l'uomo è morto non è più lui membro di
questo corpo. Respondo che, benché l'omo sia morto quanto al corpo per natura, el vive però in
anima per grazia. Questa è openione de Augustino in Enchiridion; ed ancora tu lo hai nel Decretto,
terzia decima questione, secundo capitulo Tempus, ed ancora el testo del Maestro de le Sententie nel
quarto, distinzione quatragesima quinta, capitulo Non est negandum: "Non è da negare che le anime
siano adiutate da la pietà de li suoi amici viventi". Chi negasse questa veritade serebbe ignorante,
pazzo ed eretico. La secunda parte principale è a vedere quale sono le raggione che ne moveno a
dovere sovegnire a le anime del Purgatorio e che bisogno è in lor che affanno. Quattro raggione ne
astringono, o figliolo, o figliola, o parenti, ad aiutare le anime di nostri morti. La prima, perché
duramente son cruciatte. Non è sì crudel tiranno al mundo chi vedendo qualunque omo arder nel
fuoco non se movesse a pietade, bench'el non lo avesse mai più vedutto. Molto maggiormente se
doverebbeno movere i figlioli verso el padre e la madre. La secunda, perché son fuori el tempo del
meritare. Se scrive ne l'Ecclesiastes, quarto capitulo: "Mortui non habent ultra mercedem", cioè
facultà de meritare; l'uomo può meritare solamente per fino ch'el è in questa vitta, coniunta l'anima
col corpo. Dopoi questo pazienzia. La terza, perché son impregionati e ligati le man e piedi. Chi è in
prigione non pò vegnire a casa; el morto adunque ha bisogno di nui. Oh, el non dimanda; el non
può, perché tra lor e nui eli è un caos molto grande, cioè un grande viaggio di qua e là (Sapientie
secundo capitulo: "Non est agnitus qui sit reversus ab inferis"). La quarta, perché da lor viventi
abiamo auto de grande beni. Aimè, aimè! che molto siamo ingrati! Chi vive non ha l' occhio a
l'anima del morto, ma a la robba; de l'anima, niente. Egli era un giovenetto studiante a Bologna; glie
venne una littera
e lege: "Tuo padre è morte, a dieci giorni di questo mese el mancò". Costui cominzò a lacrimare:
"O padre mio!" etcetera. Poi lege più oltra, e dice: "Te ha lasciatto una possessione ed una casa
bella". Costui cominzò a sospirare e non pianger più, e dice: "O padre mio, quanto eri bono!". Va
più oltra e lege: "Tuo padre te ha lasciato erede suo e te ha donato tre milia ducatti e ha fatto certi
legati: del resto te lascia erede e messere". Costui non piange né anco sospira più, ma dice a Dio:
"Sia benedetta l'anima sua!". Chiami compagni, vane a disnare; portava la berretta sopra li occhi,
parlava puoco, etcetera. Da lì ad un mese tornò a casa, cioè a Parma, e ive se vestì nobelmente.
Ogni giorno con suoi compagni andava a sparaviero triunfando. Mai, mai non fece dire una Ave
Maria per l'anima del padre! Tuo danno: robba, scacca, inganna per ingrassar figlioli. Basta. Circa la
terza parte, io trovo quattro principali remedii, per li quali possiamo adiutare i morti: el primo è la
devota orazione; el secundo donazione de ecclesie; el terzo celebrazione de messe; el quarto
adempimento de legati. El primo è la santa e spessa orazione per li morti. El se lege nel libro del
Cantor parisino che ogni giorno, quando andava a casa da sera, passando sopra uno cimitterio,
sempre dicea el salmo De profundis con la orazion da morti. Una sera tornando a casa, dui suoi
inimici el persequitavano e correndogli dredo el voleano occidere; ed ecco parvi che li morti tutti se
levassero, e ciascuno avia in mano l'istrumento suo, cioè omini d'arme la spata, el fabro un martello,
el marangone una manara, el sartore una fòrvese, e correvano verso questi inimici, Immediatamente
fugeron tutti quegli odianti e questo fu pel merito de la orazione fatta di longo. Pertanto canta la
Chiesa (secundo Machabeorum): "Santa ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exorare ut a
peccatis solvantur". E cossì desiderano i morti cridando ogni giorno: "Miseremini mei! Miseremini
mei!", etcetera ("Abiattime pietade almanco vui, amici mei, perché Dio me ha tocatto con la mano
de iustizia"). El secundo ristoro, over adiutorio se chiamma elemosina. Di questa parla santo
Ambrosio e dice: "In terra seritur et germinat in celo, plantatur inter pauperes et pullulat apud
Deum. Pecunia hic relinquitur misericordia autem nobiscum ad iudicem fertur". Deh, aldi la
esposizione de la sentenzia di santo Ambrosio: "Tu, elemosina, se' seminata in terra, e frutto fai in
cielo inanci a Dio; tu, piantatta tra li poveri, fai fiori tra i anzoli". Nui cristiani lasciammo i dinari
qua in terra e la misericordia con nui ne accompagna inanci al giudice grande Dio. Pertanto el santo
padre Augustino dicea: "Elemosina stat ante fores Gehenne, et non permittit hominem in carcerem
mitti" ("La elemosina comme uno uomo armatto sta inanci la porta de l'inferno e non lassa intrar ive
dentro quello chi la ha fatto"). Recita Piero Cluniacese, dottore reverritto, che uno mercadante facea
cavare argento da uno monte. Cascò una grande parte di quel monte e assai furon sepelitti ive sotto;
la donna del mercadante, credendo che 'l marito fusse morto sotto quella ruina, per tutto uno anno
ogni giorno daseva una elemosina di pane e de vino e una candella per l'anima del maritto, eccetto
uno solo giorno. In capo de l'anno ricavando li abitanti di cerco quel monte, fu attrovatto questo
mercadante vivo, e referiva comme ogni giorno uno giovene glie portava pane e vino e una candella
accesa per lumme: non fallì mai, eccetto uno giorno. Ergo se la elemosina vale a li vivi, valerà
simelmente a li morti. Però santo Tobia diceva al figliolo: "Elemosina... purgat peccata et facit
invenire... vitam eternam". El terzo ristoro o rimedio è la oblazione del corpo e del sangue de
Cristo. O quanto questo è bono rimedio! Questa è offerta non di pane materiale, ma de la vera carne
e sangue de Cristo, chi valse tanto che Cristo offerendose se medesimo nel ligno al padre meritò
cavar tutto el mondo e tutte le anime che erano nel Limbo e nel Purgatorio e nel sino de Abraam e
mandarle al Paradiso. E chi dubita, o cittadini litterati, che 'l corpo de Cristo offerto nella Chiesa per
l'anima di morti non daga rifrigerio, adiuttorio e rimedio a quelle e sia sufficiente a mandarle in vitta
eterna? E notatte che tutte le elemosine, orazione, zezunni, peregrinazione e altri beni che se fanno
nella cristianità, non vagliano tanto, tutti insiemme, quanto vale el corpo de Cristo e lo sangue, ogni
volta ch' el sia offerto sopra l'altare. O pazza gente! Tu darai cinque ducati a chi va ad Assisio per
l'anima di tuo marito: e che glie giova quella perdonanza fatta per tal modo? Dio lo sa, io no 'l
determino. Ma non serebbe meglio mille volte far celebrare le sacratissime misse? Almanco di
questo sacramento tu se' securo ch'el non te inganna. Iohannis sesto capitulo: "Hic est panis qui de
celo descendit: si quis ex ipso manducaverit, vivet in eternum". Quando el sacerdote rompe la ostia,
e' ne fa tre parte: una per quegli chi sonno in Paradiso a sua gloria; la secunda per li vivi per
defensione de grazia; la terza per li morti del Purgatorio per adiuto lor e misericordia. Tu hai quel
miracol grande di santo Teodoro vescovo, comme i suoi piscatori trovorono un pezzo de giaza nelle
sue rete e lo portorono al vescovo, il quale essendo gottoso lo mise sotto li piedi per refrigerio. Ed
ecco sentiva una voce che cridava: "Eh, eh, eh!", lamentandose, e scongiuratta glie disse ch' ela era
una anima che purgava ive li suoi peccati. Poi el pregò facesse dir trenta messe per lei; però chi
meritò, sperava fi liberatta. El vescovo le disse e in capo de trenta giorni el giazo fu disfatto e
l'anima volò in cielo. Legge santo Gregorio nel Dialogo chi fece dire trenta messe per el monaco
sepelito ne l'orto, etcetera. Questa è sentenzia di santo Augustino (in lo Enchiridion, capitulo
duodecimo) e di Graziano (terzia decima, questione secunda). Non è da negare che le anime di li
passati in l'altra vita se possano alleggerire da pene per la pietà di suoi amici, quando se offerisse el
sacrificio de l'altare. Molti dottori tengono che per ogni messa che se celebra, vadano cento anime
in Paradiso e bene. El quarto remedio è detto sollicita esecuzione de' testamenti fatti. Amen. Feria
quinta: DE LA CONDIZIONE DE L'INFERNO. "Miserere mei, fili David: filia mea male a
demonio vexatur" (Mathei quintodecimo capitulo). L'anima tapina e sventuratta somersa ne le
afflizione e pene eternale, per esser sciolta e partitta dal corpo, separatta da Dio per mortal peccato,
sentendo le amare e grave pene, connoscendo il suo errore, non per amor de l'onor de Dio summo,
non per contrizione e dolore, né anco vergogna del peccato, anci più tosto constretta da la
insuportabel pena del profundo abisso, crida, e dice a l'alto fattore e punitor Dio: "Miserere mei",
etcetera. O Segnor Dio! O bon padre pieno di pietade! La mia figliuola, cioè l'anima mia, è afflitta e
vexatta e tormentatta dal demonio, ne l'Inferno. Aimè, Segnore, usa con mi misericordia! Pertanto,
avendo vedutto lo essere del Purgatorio, ogi vederemmo la condizione de l'Inferno; e primo la sua
necessitade, secundo la sua locabilitade, terzio la sua qualitade. Quanto a la prima parte, molti
dubitano se 'l se pò provare esser lo Inferno dove le anime in perpetuo patiscano pena; alcuni dicon
che non, e maximamente uno eretico chiamato Tertulliano, chi teneva che le anime doppo la partita
andaveno ed intravano in diavoli, cioè l'anima de uno tristo morendo se mutava in uno diavolo e
l'anima del iusto se mutava in uno angelo. Io voglio provar per tri modi questa opinione essere
eretica: primo per testimonianza, secundo per raggione, terzio per exempii. E primo torrò el
testimonio di pagani. Lege Virgilio (sexto Eneidorum ed in molti altri luochi), il quale
espressamente confessa esser lo Inferno e mette a che modo Enea troiano vidi l'anima de Bruto,
nobel romano, ne l'Inferno, il qual Bruto occisi i suoi figlioli. Ancora Macrobio, in libro De sonno
Scipionis, pone che le anime de' boni tutte vanno al circulo di galacia, ma de' cattivi vanno a
perpetua pena infernale. Ed ive el provava per molte raggione l'anima esser immortale. Ancora
Tullio (libro Rhetorice) dice: "Videtur sapientibus esse paratas penas apud inferos". Questo confessa
Plato nel Timeo, che le anime doppo questa vita son punitte di tre pene. Ancora lege Mercurio,
filosofo eloquentissimo, chi dice in Sententia: "Veramente le anime in l'altra vitta seran constrette
credere a le penne, le quale in questa vita non hano volutto credere a le parolle". Secundo, per
testimonio de la legge giudaica, vedi Genesis capitulo trigesimo settimo (disse Iacob: "Descendam
ad filium meum lugens in infernum"); ancora Iob, vigesimo primo: "Ducunt in bonis dies suos et in
puncto ad inferna descendunt"; David, Salmo nono: "Convertantur peccatores in infernum, omnes
gentes que obliviscuntur Deum", e nel Salmo vigesimo nono [ma XXX]: "Erubescant impii et
deducantur in infernum"; Salamone, Proverbiorum vigesimo secundo [ma XXIII]: "Tu filium et
animam eius de inferno liberabis"; Isaia, capitulo quarto decimo: "Detracta est ad inferos superbia
tua"; e molte altre auttoritade. Terzio hai ancora el testimonio de' cristiani; la santa Chiesa ogni
giorno canta questo articulo di fede: "Descendit ad inferos, tertia die resurrexit a mortuis". Lege
Luca, capitulo sexto decimo: "Mortuus est dives et sepultus est in inferno". Secundo se prova per
raggione. Faremo tale arguire: in Dio è summa misericordia, cossì summa iustizia; neuna di queste
virtude può essere in lui senza l'altro, comme dice el Maistro nel quarto de le Sententie. Se adunque
Dio rimunera i boni chi moreno in grazia e dalli il Paradiso, cioè merceda eterna (Salmo centesimo
decimo sexto [ma CXI]: "In memoria eterna erit iustus", etcetera), e questo non per suoi
meriti,perché non son sufficienti ad acquistar vita eterna, ma
per misericordia divina. Cossì, per lo simele, la divina iustizia debbe ponire i cattivi chi moreno
senza grazia e dargli pagamento eterno di pena perpetua. Ancora: comme ai boni è datto gaudio e
vitta perpetua (comme hai Sapientie quinto capitulo: "Iusti autem in perpetuum vivent", etcetera),
cossì a li cattivi se debbe dare tristizia e morte eterna. Ancora: comme a li boni Dio per mercede dà
el Paradiso, el quale è luoco altissimo sopra ogni corpo, puro, pieno de angeli, cossì a li cattivi per
mercede glie debbe dare luoco bassissimo sotto terra, pieno di diavoli. Sappi, o lettore, conzar bene
queste raggione. Quarta raggione è questa: tanta pena debbe patire l'anima del peccatore quanta è
stata la complacenzia e deletto del peccare. Questa è sentenzia de Cristo Iesu, iudice ordinario de
l'universo, detta per bocca de Ioanne inspiratto da lui Cristo (Apocalipsis decimo octavo capitulo):
"Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum". O demonii
manegoldi, dategli al peccattuore ugual tormento e pianto de le delicanze recevutte. Sta bene! El
peccatore vorrebbe peccare in perpetuo, è vero? Sì. O avaro, vorestù ogni giorno robare e
guadagnare? O embriacone, vorresti sempre galdere e triunfare? O lussurioso, voresti tu che mai
non te mancasse el piacere? Messersì. E cossì vuole Dio che la pena sia perpetua! Pertanto dirà
Cristo (comme hai Mathei vigesimo quinto capitulo): "Ite maledicti in ignem eternum, qui paratus
est diabolo et angelis eius", etcetera. Terzio, te provo che 'l sia lo inferno per exempio; e prima del
Testamento Vecchio: el se legge nel libro di Numeri (capitulo sexto decimo), che Dathan ed Abiron
maledicendo e biastemando Dio, aperta che fu la terra discesero subito così vivi e gaiardi giuso in lo
Inferno. Ancora tu ne hai una bella figura data da Iesu Cristo in santo Matteo di quello sciaguratto
chi essendo intrato mal vestito a le nozze e intratto el re per veder li convivanti, spinse fuori quel
mischino con grande reprensione, dicendo esso re ai suoi servi: "Ligattegli le mane e i piedi e
mandatelo in le tenebre estrinsece"; queste tenebre non significano altro ca el fuoco scuro del luoco
infernale, e son chiamatte queste tenebre "estrinsece", perché lo Inferno è fuori de ogni benedizione
e grazia. E questa è la prima parte principale dichiarata per auttoritade, raggione ed exempii. Circa
la secunda, cioè se li dannati sono in cossì fatto luoco che possano vedere ciò che se fa in questo
mondo, responde santo Augustino in libro De cura pro mortuis agenda, ove el dice cossì in
sentenzia: "Li spiriti de li dannatti sono in cossì fatto luoco che non vedino ciò che se fa da nui qua
suso in questa vitta"; e dice lui lo exempio del ricco guloso il qual, bench' el avesse cura de' suoi
frategli, non sapea però ciò che facessino di qua. Ma nota tu, o valente uomo, che per dui modi el
potran sapere, cioè li dannatti, ciò che faciamo qua suso: primo per coniettura e segni, verbigrazia,
perché hanno vedutto le nostre inclinazione triste, vivendo con nui, pensano poi che adoperiammo
secondo quelle, benché sien lor lontani; secundo per revelazione, la quale glie fa alcuna volta gli
diavoli, alcuna volta le anime che vano a lo Inferno: e questo permette Dio per dargli maggior
dolore e pena. Ancora, dimanda santo Augustino (libro De civitate Dei) se i dannatti là giuso vedino
la gloria di beati. Responde el Maestro (nel quarto de le Sententie, distinzione quinquagesima), che i
boni vedeno i cattivi e li cattivi videno i buoni per sino al giorno del iudicio; poso el giorno del
iudicio, i buoni vedaranno i cattivi, ma i cattivi non vedaranno i buoni. Ancora, dimandano i
disputanti se li dannatti nel iudicio vedaranno la umanità de Cristo. Responde santo Augustino che
boni e cattive vedaranno la umanità de Cristo, ma diversamente: li boni la vedaranno per solazo e
piacere, li cattivi a suo terrore e spavento, perché el se ie mostrarà irato e sdegnato. Ma quanto a la
divinità, solamente i boni la vedaranno, e non i cattivi, perché non sonno degni di tal bene. A questo
proposto favella Isaia profeta dicendo: Tollatur impius ne videat gloriam Dei, "Fuori, fuori li cattivi
che non vedano la gloria del Signore!". Immo dicono i dottori che maggior de tutte le pene, che
patiranno quelle sconsolatte e misere anime, serà questa: non poter mai veder la faccia de Dio. E
questo sia per la secunda parte, cioè de localitade de lo Enferno e de' suoi abitatori. Circa la terza
parte, cioè de la qualitade de li dannati in lo Inferno, dimandano i dottori se li dannatti hanno ugual
pena. A questa questione responde Gregorio nel Dialogo dicendo: "Benché tutti i dannati patiscano
in uno fuoco, nondimeno non son tutti ugualmente cruciatti"; dove se può intendere che i dannatti
averanno uno solo fuoco, ma diversamente lo sentiranno affligente, e questo non procedarà da
diversità del fuoco ma de essi pazienti, a modo che molti al fuoco se scaldano e uno se scotta più ca
l'altro, e questo non è per diversità del fuoco, ma perché uno è più disposito a ricevere la caldezza
ca l'altro: uno serà freddo, l'altro più e l'altro men freddo. Quanto adunque l'anima se trovarà più
aggiazatta de peccatti, tanto più la sentirà pena. *( Dirai a tuo modo.)* E nota poi una bella dottrina
e utile, cioè: dimandano i disputanti s'egli è cossa bona al cristiano più volte ricordarse de la pena
infernal. Respondeno i dottori che sì per quattro raggione. La prima perché l'uomo se move a
penitenzia (el Salmo decimo [ma IX] de David: "Convertantur peccatores in infernum"), cioè,
considerando i peccatori lo Inferno, se verranno a convertire. Exempio: el fummo del fuoco fa
lacrimar l'occhio, cossì el pensar del fuoco infernale te fa lacrimare e piangere. Secundo, te fa
fuggire e vincer le tentazione; prendi lo exempio de la madre che slatta el fanciullo: la glie mette un
puoco di amara uncione susso la mamella, acciò ch'el fanciullo, sentutta tale amaritudine, se schiva
dal lattare. Cossì ricordando el peccatore la infernal pena, se correge. Terzio; te fa acquistar
pazienzia, perché manda Dio tribulazione sprovedute, infirmitade, malivolenzie de parenti e de
amici, acciò tu porte in pace queste pene, per non andare in quelle infernale, che debbi pensare esser
più aspre. Quarto te fa fugir la pompa e gloria mondiale. O donna pomposa con codde, balzi, oro,
recammi, belletti e rizuoli! O gulosi imbriachi, impiittive bene di questi piaceri brutti, acciò che
l'anima e lo corpo vostro arda poi per sempre al fuoco eterno! O povera creatura, pensa e ripensa le
tue stentatte giornatte che farai là giuso: e guardarette dal peccare. E questo ne conceda Dio per sua
grazia. Amen Feria sesta: DEL LUOCO OVE LE ANIME PATISCONO PENA. "Iacebat multitudo
languentium expectantium aque motum" (Iohannis quinto capitulo). Oggi la santa madre Chiesa
narra uno singular miracolo, che fece el maestro de la verità Iesu Cristo, a demonstrare quanta è la
pena de la creatura, che meritamente glie fi datta a portare non solamente di qua, ma eziandio di là.
Vediammo prima la littera del Vangelio, poi daremmo ordine al nostro dire. *(O predicatore,
dichiara el Vangelio brevemente)* Questa piscina al presente non significa altro che il luoco, dove
le anime patiscono, chi è chiamato lo Enferno. In questo luoco molti enfermi espettavano
misericordia da Dio: questi significano la granda turba de' dannatti a l'Inferno. Questa piscina avea
cinque portici, che significano cinque diverse e contrarie pene che hanno le anime de li dannatti. La
prima è chiammatta caldo e freddo intollerabbele; la secunda vermi mordenti ed immortali; la terza
puzza insupportabele; la quarta oscurità e tenebre palpabele; la quinta orribele visione de demonii.
Apre un puoco le orecchie, populo de Dio, e aldirai le guai amare. Serà prima el caldo sì intensivo
ne l'Enferno che le anime cridaranno la morte e non potran morire, né ancora i lor corpi assunti, ma
se consumaranno per el fuoco grandissimo, il quale serà sì grande che - dicono i santi - se 'l mare
tutto quanto glie fosse gettato di sopra non lo potrebbe stuvare o spingere, e però Cristo lo chiamma
"camino e fornace che sempre arde" (Mathei secundo capitulo: "Et mittet eos in caminum ignis
ardentis"). Ieremia, nel primo capitulo, dice di lui: "Ollam succensam igni ego video". Intanto che
di dentro e di fuori per tutti i sentimenti arderanno, serranno a modo del ferro bene affocatto per
tutto (Ezechielis vigesimo quarto capitulo): "Omnes isti cioè i dannati - ut ferrum et stagnum in
medio fornacis"). Se legge ne la Vita di Santi Padri che una volta santo Macario caminava per un
deserto, e trovò una testa de morto, e la squassava col bastone. El capo subito cominzò a parlare e
dire: "Non fare! Io fu' sacerdote pagano e stetti già in questo loco; qua fazo ora la mia penitenzia, e
sappi, padre santo, che quando fai orazione pur abbiamo qualche rifrigerio". Disse santo Macario:
"Quale è questa sì grande pena?" "O padre - dice costui - quanto è alto el cielo da la terra, tanto è
alto e profundo el fuoco sotto i piedi e sopra el capo nostro. Bene è vero che nui pagani, chi non
abbiamo connosciuto Dio, abbiamo menor pena ca li cristiani che hanno inteso Dio e non hanno
impitto i suoi comandamenti. Or quando i danatti son bene arsi dal fuoco, son poi gettatti in uno
freddo grandissimo ed intolerabile, chi è cossì terribele e forte, che se uno monte glie fusse gettatto
dentro se convertirebbe in giaza". Però dice Cristo nel Vangelio: "Ibi erit fletus et stridor dentium";
però el nostro pazientissimo Iob: "Ab aquis nivium transibunt ad calorem maximum". O grande
Dio, libera l'anima di frate Roberto, la qual tu hai creato, da tanti supplicii e guai! Damme, Signor
mio, tanto intelletto e bon volere che per un puoco di piaceri terreno e bestiale non incorri in sì gravi
e dolorosi affanni! Tu me dirai: comme è possibele che tanto presto si senta summo
caldo e summo freddo? Risponde santo Augustino che nella Etiopia, cioè in India, è uno fonte sì
grandemente freddo che non è omo chi ne possa bevere una goza, e de notte se fa sì caldo che non
se può toccare, né anco approximargli. *( Applica al proposito)* Poi è menata l'anima al secundo
portico di questa piscina, e ive sonno serpenti, bisse, vermi terribili ed altri animali venenosissimi
spaventosi a l'aspetto. Questa pena fu promessa da Dio, comme tu hai Deuteronomii trigesimo
terzio [ma XXXII] capitulo: "Dentes bestiarum immittam in eos, cum furore trahentium super
terram, atque serpentium, et devorabunt eos". O falso cristiano, tu serai circondatto da serpenti! O
Segnor mio, ora abiammo paura de una luxerta, d'una zenzalla e de una mosca e de un scorpione:
comme farai ove sonno infeniti vermi rei? Legge el profeta Isaia, decimo quarto capitulo: "Subter te
sternetur tinea, et operimentum tuum erunt vermes" ("Sotto te, o vana donna, serano destese le
tarme, e vermi", etcetera). Legge esso Isaia, ultimo capitulo: "Vermis eorum non morietur, et ignis
eorum non extinguetur"; lege el testo de santa Iudith: "Dabit Deus ignem et vermes in carnes
eorum, ut urantur et vivant et sentiant usque in sempiternum". Però el constante Iob piangendo
dicea: "Dimitte me, ut plangam paululum dolorem meum antequam vadam, et non revertar, ad
terram tenebrosam, et opertam mortis caligine: terram miserie et tenebrarum, ubi nullus ordo sed
umbra mortis et sempiternus horror inhabitat". El se recita uno exempio maraviglioso. Era nella
campagna di Roma una contessa, donna d'un cavaliero, ricca, zentille, bella, tutta delicatta e polita
nel vestire e nel suo vivere: fu assassinatta e gettata nel stramme in una certa casa desabitatta.
Doppo puochi giorni uno abbate di santa vita, trovando questo corpo fetido coperto di ogni varietà
de vermi brutti e stomegosi, corri presto a la piaza e chiama tutti i zoveni delicati dicendo: "Presto,
venette, e monstrarove una nobilissima creatura". Li gioveni, avidi di vederla, andavano inanci a
costui, ed aggionto ch'el fu al luoco, levò questo corpo ed apozollo al muro; e dissegli: "O gioveni
vani, o pazza e stolta brigatta!". E qua comminzò dal capo per sino a tutti i membri infimi ad uno ad
uno monstrargli i vermi chi sorzevano dal corpo; onde quegli gioveni, considerando la viltà di
questo mondo, se convertirono a Dio. *( Dirai a tuo piacere)* Che creder debiammo di quegli corpi,
chi se trovaranno in lo Enferno? Credete vui che staranno meglio? Niente. Basta per lo secundo
circulo over portico. Camina, anima, vanne ed entra nel terzio portico, ove trovarai una pena di
puzza intolerabile. Pertanto non senza raggione la Chiesa chiamma lo Inferno "luoco di puzza",
perché ive se reduranno, secondo i dottori, nel giorno del iudicio tutte le puzze e fetori del mondo.
Questa è sentenzia de Isaia (trigessimo terzio [ma XXXIV] capitulo): "Convertetur humus eius in
sulfur". E David nel Salmo: "Ut lutum platearum delebo eos". El se recita nella Vita di Santi Padri.
Erano dui gioveni nobeli compagni che, trovandosi un giorno in una predica, sentirono narrare de la
gravezza de le pene infernale. Uno di quegli quasi ridendo se ne facea beffe; l'altro, pur temendo,
indi a puochi giorni fecise religioso. Quello chi era rimanutto in seculo venne a morte. El compagno
monaco lo priega ch' el glie rivellasse poi qualche cossa del suo statto. Una notte gli apparve, e
dimandatto comme stava, risposi: "Male!". Disse el monaco: "Son invero tante pene quante se
dicono?". "O fratello - disse questo dannatto - tutte le lingue che Dio ha creatto e crearà non
sarebben sufficiente a narrarle". Risposi il monaco: "Non potrebbe io aver qualche notizia, over
esperienzia?". Dice questa anima: "Sì, bene. O vottù toccare o veder?". Resposi el frate: "Non
voglio vedere perché son timido, e da l'altro canto morirebbe; non sentire, perché anco son debile;
non gustare, perché ho tristo stomaco. Ma fammi odorare, e meno che poi". Questo dannato apre
uno mantello, nel quale era involtatto, e lassò ussire da sé tanta puzza intolerabile e pestilenzie, che
tutti i monaci del luoco zavariavano comme pazzi e andavano cridando, non trovando alcun
rimedio; in tanto che furon consigliati abandonare quel luoco e andar da largo ad abitar; e cossì
fecerono. El quarto portico è detto oscurità over tenebre, le quale sonno sì grande che l'uomo cum
mane le potrebe palpare. Questo se mostra esser possibele per quello che hai ne l'Exodo: quando
Faraone non volea lasciare il populo per commandamento de Dio fatto a lui per Moises, feci el
Segnor che tutte le acque se converterono in sangue, tutte le vigne e formenti furon manzatte da
vermi. "O Faraone ostinato, lassa il populo!" "Non voglio!" Mandogli Dio tante vespe, tanti
mosconi, che non potevano andare per la strada. Se indurava più forte e non voleva ubedire.
Mandogli Dio nel mezzozorno tante tenebre che uno non vedeva l'altro: tanto eran grosse e folte che
non se squassava persona dal suo luoco per tale impazo. Sì che Dio lo feci allora ed hallo fatto ne
l'Inferno, perché può ogni cossa. Conferma David questa veritade nel Salmo: "In eternum non
videbit lumen". Santo Iob chiamma lo inferno "terra de miseria e de tenebre". Nel libro de la
Sapientia, capitulo sexto decimo [ma XVII]: "Una catena tenebrarum omnes ligati erunt". E' da
sapere che comme la gloria de' beati serà chiara in summo grado, comme tu hai Sapientie capitulo
cinquanta ("Lux perpetua lucebit sanctis tuis, Domine"), cossì la pena di dannatti serà in estrema
oscurità. La quinta pena, over el quinto portico, è chiamatta visione orribele de demoni. Questa è
sentenzia de Iob, capitulo vigesimo: "Vadent et venient super eum horribiles". El profeta Daniel,
capitulo secundo: "Aspectus eorum quasi ignis ardens et quasi fulgura discurrentia". Dicon i dottori:
se uno di nui per caso potesse vedere un diavolo in quella forma che 'l vedeno i dannati, subito
caderebbe morto. Recita Gregorio, quarto Dialogorum, che uno chiamatto Grisanzio, essendo
infermo, vidi grande multitudine de diavoli, e lui dimandava aspettassero ancora qualche giorno, ma
pur tanta fu la paura ch'el morì di saldo. Questo volse dire Ieremia profeta, sesto capitulo: "Crudelis
est et non miserebitur" (parla lui de l'inimico). Hai dechiarato, anima cristiana, che infirmità
patiscono le anime nella piscina de l'Inferno. Pertanto adunque se vole avere paura e miditar questa
pena infernale, perché non solo quanto a l'anima ne le sue potenzie, ma eziandio quanto al corpo,
seranno cruciatti i tristi nelli suoi sentimenti, serà afflitta l'anima in la memoria, perch' ela se ricorda
del male che la averà fatto, e piangerà continuamente non per contrizione, ma per dolore di la pena.
Sapientie secundo [ma V] capitulo: "Dicent enim intra se pre angustia spiritus gementes... superbia
nostra aut divitiarum iactantia quid contulit nobis". Cruciarasse l'intelletto perché se conoscerà
essere in odio de Dio (Sapientie quinto [ma XIV] capitulo: "Odio sunt Deo impius et impietas
eius"). Serano cruciati quanto al corpo, el stomaco per fame, le orecchie patiranno li criddi de'
demonii, el naso sentirà cruciatto de la puzza di corpi morti, le mane e piedi serano cruciatti per
essere ligati di catene fortissime. Patirano ne l'anima ed erore inenarabile, perché mancarano de
ogni raggioneval notizia: seran privatti della vision beata, spogliatti di la dretta fede, vodatti di la
bona conscienzia. Sempre seran rosegatti dal verme de la conscienzia, chi li morderà di continuo,
perché non hanno vissutto comme cristiani ed omeni da raggione. Pertanto, carissimi mei, pensate
el fine de l'omo e non sequitatte el senso e lo piacere umano, acciò abiatte di qua grazia e di là suso
gloria. Amen. Sabbato: DE LA GLORIA DE' BEATI "Domine, bonum est nos hic esse" (Mathei
XVII capitulo; ed in Evangelio presenti ogi). San Piero essendo nel monte levatto ed inspiratto,
vedendo la gloria che aspettano li beati in patria, dice queste parolle: "Domine bonum est nos hic
esse". *( Dechiara tu, dottore, la littera del Vangelio)* Questo monte significa el cielo empereo, cioè
il santo Paradiso: questo è quel monte che monstrò lo angelo a Loth, quando el fugiva da Sodoma,
dicendogli: "In monte salvum te fac". Questo è quel monte ch'è tanto laudato de David nel Salmo:
"Mons coagulatus, mons pinguis". In questo monte se trovò Cristo con sei persone, le quale
significano le gloriose dotte di beati nel Paradiso: la prima persona fu Cristo umanatto, poi Elia,
terzio Moises, quarto Piero, quinto Iacobo, sesto Gioanne. Primo, la persona de Cristo significa la
gloria che averano le anime, la qual consiste in veder Dio chiaramente a faccia a faccia e non per
fede, de la qual parlava Paulo scrivendo ai Corinthii, capitulo XIII: "Videmus nunc per speculum et
in enigmate, tunc autem videbimus Deum facie ad faciem". Di questa parla santo Gioanne
Evangelista dicendo: "Cum autem apparuerit similes ei erimus, et videbimus eum sicuti est". Questo
è il maggior gaudio e la maggior beatitudine che abbiano i spiriti beati: veder la faccia de Dio. Però
santo Augustino dicea: "Summa letitia est in eterna vita Deum videre, quoniam visio Dei est tota
merces", "E' grande letizia ed alegreza in vita eterna a veder Dio, perché la vissione divina è tutta la
mercede nostra". Questa è quella gloria, la quale esso Augustino desiderava veder, dicendo: "O
dulcissime Iesu, quando te videbo? Quando apparebo ante faciem tuam? Quando saciabor
pulchritudine tua in quem desiderant angeli prospicere?". Pensa, o cristiano, quanto diletto è in
vedere Dio chiaramente, quando l'uomo sente singulare ed eccessivo piacere in vedere la faccia de
Cristo. El se recita nelle Historie ecclesiastice che una matrona chiamatta Veronica, avendo sentitto
molto nominare Iesu Cristo, moriva di voglia de veder la sua faccia. Un giorno, predicando Cristo
in Ierusalem, questa zentil donna fu accompagnatta
al tempio; quanto presto ebbi vedutta quella faccia pellegrina senza alcun diffetto, quegli occhii
tanto onesti, quelle parolle sue tanto infiamatte di carità, cascò stramortitta. Fu menata a casa. Non
poteva vivere s'ela non vedeva Cristo; mandava molti segnori a pregar Iesu Cristo ch'el se lasciasse
vedere. El Salvator nostro tolsi un fazioletto che avea allato e cossì se copersi la faccia e rimasi
propriamente la faccia di Cristo nel detto fazolletto, e mandogliela. Questo lei el tenea per sollenne
reliquia tra li suoi tesauri. Onde avvenne che Tiberio Cesaro imperatore di Romani, avendo molte
piaghe adosso con dolori grandissimi giacea in letto: fulli portatto a monstrare questa imagina, e
tenevela nella sua camera, cioè nel cuore. Aldi cossa maravigliosa: subito se levò sano curatto da
ogni infirmità. E cossì tu, cristiano over cristiana, depinge questa imagine e tenela dentro el petto e
risguardela, e quando tu hai affanni, dolori o tribulazione, guarda, guarda, contempla, specchiate in
quella e serai consolato. O santi martiri Piero, Paulo, Iacobo, Gioanne, etcetera: perché portoron
tanti dolori alegramente con pazienzia santa? Peroché aveano la imagine de Cristo scolpitta nel
cuore. Paulo gaiardo dice di sé: "Ego enim stigmata Domini mei Iesu Christi in corpore meo porto".
Però dicea Piero a tutti li cristiani: "Vui sette compratti di grande precio, portate e glorificate Dio in
vui". A Stefano furon suavi i sassi, a Lorenzo glie fu dolce el fuoco de la crate. E questa è la prima
gloria del Paradiso significata nella persona di Cristo. El secundo era Moises, dottore di la Lege
Vecchia, che significa la secunda gloria di beati chiamata 'complezione di desideri'. Tutti i nostri
voleri, tutti i nostri appetitti seranno saciati e contenti. O dolce Dio, o suavità grande! Di questo
contento parla Augustino a Dio dicendo: "O Signor Dio, tu ne hai fatto a fruizione di te, e senza
riposso è il nostro cuore per sino ch'el non se unisca tieco". Mai, mai in questa tribulatta, ribalda e
fatigosa vitta niunno serà contento e senza fastidio; ma in la patria - dice santo Bernardo - "quicquid
desiderabimus totum habebimus, nihil amplius desiderantes. Ibi pax sine discordia, voluntas sine
invidia, iusticia sine mandato, iuventus sine senectute, pulchritudo sine deformitate, letitia sine
turbatione", guadagno senza perdere, premio senza merito, e conchiude lui che lì serà vitta perpetua
senza morte, lo intelletto remanerà contento, intenderà e vederà, connoscerà il tutto senza
dubitazione alcuna; la voluntà serà saciatta, perch'ela amarà il proximo per Dio, se medesimo in Dio
e Dio sopra di sé, la memoria serà saciatta ricordandose de tutti i beni e dignità possi avere". E però
el citarista David, espettando questa gloria, dicea nel Salmo: "Saciabor cum apparuerit gloria tua";
però iubilava e cantava: "Quam dilecta tabernacula tua, Domine virtutum! Concupiscit, et deficit
anima mea in atria Domini; cor meum et caro mea exultaverunt in Deum vivum... Beati qui habitant
in domo tua, in secula seculorum laudabunt te", etcetera. El se lege ne la Vita di Santi Padri ch'egli
era un monaco molto tentato de tornare al mondo, vedendose aver grande fatiche e mai niunno
contento in la religione. Un giorno ussiva de la camera e vienni in un prato virente: ecco, uno
ucellino cominzò a cantare con tanta suavità e dolzezza ch'egli era lo monaco fuori di sé. Questo
animaletto intrò in un bosco spessissimo: el monaco sequitò el canto di questo bestiolo; steti ad
aldire la voce di questo ucellino in quel bosco anni ducento senza manzare e bevere, e le sue
vestimente erano nove comme in prima. Retornando poi al monastero, trovò ogni cossa mutatta: la
casa, lo abbate, i frati, la brigata. Maravigliandose forte, ricontò ogni cossa per ordine, etcetera.
Questo fu l'angelo, per voluntà divina, a saciare per un puoco l'anima umana in figura di quella
sacietà piena che serà in patria, quando averemmo i beni eterni che al presente non se posseno
tenere. Però dicea l'apostolo Paulo: "Oculus non vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis
ascendit, que preparavit Deus deligentibus se". Questa è la caggione che mossi quello bono
pescatore Piero a dire: "Domine, bonum est nos hic esse, si vis, etcetera. La terza persona era Elia
profeta, il quale dicono vivere ancora nel paradiso terreste: e questo significava la perpetua vitta e
perfetta de' beati. In questa presente vita chi nasce convien morire. Questo volse dir lo Apostolo in
le sue Epistole scrivendo: "Statutum est hominibus semel mori"; questo volsi dire David nel Salmo:
"Quis est homo qui vivet et non videbit mortem?", quasi voglia dire: niunno. Tutti moriammo, e
puoca è la vitta nostra e breve. Peggio è che la è accompagnatta de grave miserie e affanni, d'ogni
tribulazione e infirmitade. Questo piangea el tribulatto Iob: "Homo natus de muliere..." ("L'uomo
nasciutto di femina vive breve tempo e fi aggravatto di molte miserie, il quale essi a modo di fiore e
manca fugendo comme umbra", etcetera). Ma in Paradiso viveremmo senza infirmità, senza paura
di doglia over di morte. Però canta Salomone, Sapientie quinto [ma III] capitulo: "Le anime dei iusti
sonno in mano de Dio e non le toccarà il tormento de la morte". Però san Paulo desiderava ussir da
questo vaso e affaticatto corpo per vivere cum Dio; onde el dicea: "Io desidero de esser sciolto di
qua ed esser cum Cristo". Però canta la santa madre Chiesa: "Li iusti viveranno perpetualmente e la
sua mercè gli serà datta dal Segnore". El quarto era Piero, che tanto significa quanto 'confessore', e
questo vuol dire le laude di beati chi laudaranno Dio di continuo. Cossì conferma David nel Salmo
dicendo: "Beati sonno, o Segnore, quegli chi abitano in casa tua, perché non cessaranno mai de
laldarte". Questo intesi Gioanne ne l'Apocalipse, quando el vidi multitudine di angeli e tutti ad una
voce suave e dolce cantaveno: "Sia al nostro Dio per sempre benedizione, chiaritade, sapienzia,
fortezza ed onore". Lo quinto era Iacobo, che vol dire 'supplantatore': questo significa la perfetta
carità ed umeltà che serà in patria, per la quale ciascuno riputarà el suo proximo da meglio di lui, e
metterasse se stesso di sotto per umeltade, non invidendo al compagno, tanto allegrandosi de l'altrui
gloria quanto di la sua propria. El sesto era Gioanne, figliolo di Maria adottivo: questo significa,
comme dice santo Bernardo, che li beati, contemplatto che averanno la faccia de Cristo,
incontinente se voltaranno a la faccia dolce de Maria madre de Cristo. Ecco, lo conferma Anselmo,
divoto dottore, dicendo: "La grande gloria di beati doppo Dio serà, o madre sacratta, in veder la tua
faccia, essere illustratto da te e dimorar di continuo in tue laude". Grande serà la gloria de' beati in
veder Dio, ma doppo quella grande gloria star sempre sotto el tuo manto, o Maria, bella comme
luna, elletta, comme suole, regina di cieli, madonna de li angeli, solazio di beati, vita de iustizia.
Amen. Dominica secunda: DEL TIMORE DE DIO "Ceciderunt discipuli in facies suas" (Mathei
decimo septimo capitulo, ed in Evangelio odierno). Volendo nui, carissimi mei, intendere la via
dretta per vegnir a la vitta beatta, debiammo prima connoscere che una cossa è necessaria sopra el
tutto, e questa è, o cristiano mio, una virtù chiammatta per nomme 'timor de Dio'. Questa virtù se
demostra nel Vangelio presenti, nel qual se narra comme i discipuli ebbero tanta paura de la maiestà
divina che comme stramortitti cascorono in terra. Di questo timore faremmo oggi tre
contemplazione: prima di quante specie il timore; la secunda qual cosse ne inducono a temer Dio;
terza perché debiamo temer Dio. Quanto a la prima dicono i sacri dottori che el timor se trova in
cinque differenzie. El primo è chiammato 'timore naturale': questo è commune a tutti li animali.
Naturalmente ognuno fugge il male e temme le cosse nocive e contristative, comme vederai
discorrendo in tutti li animali: el capretto portato al macello cridda "be, be", el porco rugnisse,
perché el teme la morte, e cossì de tutti. Tu dirai: "Hanno adunque intelletto?". Dico che nonne, ma
conoscono per instinto naturale. Questa è la raggione che Cristo figliol de Dio, quando el proximava
a la passione, piansi amaramente e in zenochione pregava dicendo: "O Padre, s'egli è cossa
possibele, pàrtise da me questo calice". "L'anima mia è trista per sino a la morte" (Mathei vigesimo
sexto capitulo. E nondimeno, quanto a la voluntà, el dicea: "Fia però Padre la voluntà tua".
Naturalmente, essendo lui uomo, era bisogno ch'el temesse la morte; questo timore non è meritorio
né anco demeritorio, perché el non nasce da libero arbitrio né anco da la voluntà, donde se causa el
meritto, over peccato. El secundo se chiamma 'timore umano'; e questo è cattivo, quando l'uomo più
temme el mal del corpo ca quel de l'anima, e più presto renegarebbe Dio ca lasciarse cruciar nel
corpo. Questo è dannatto da Cristo nel Vangelio (Mathei decimo capitulo): "Qui amat animam suam
plus quam me non est me dignus" ("Chi ama più el piacer del viver corporale ca me è indigno de la
mia grazia"). O cristiani, comme staresti vui ben forti a la fede, essendo cruciatti da' Turchi...
etcetera. *( Dirai a tuo modo)* El terzo è chiammatto 'timor mondano', quando più temi perdere i
bene temporali, comme son case, vestimente, dinari ed altre robbe, ca esso Dio; comme fece Pilatto:
temendo perdere el reggimento, condennò Cristo contra conscienzia, sapendolo essere accussatto
per invidia con falsitade (Iohannis capitulo decimo); comme fecero i Giudei chi dicevano: "Se 'l
lasciammo (cioè Cristo) in sua libertade, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e prenderanno
il nostro luoco e la nostra gente". Questo è ancora mortal peccatto più volte. O cristiano, quanti falsi
giuramenti hastù fatto e faresti per guadagnar X over XII ducati? *( Dirai a tuo modo)* El quarto se
chiamma 'timor servile e mercenario',
comme è quello di'l servo chi obedisse al messere e falli riverenzia per timor del bastonne. E tu
donna, al tuo marito molte volte glie fai assai carezze e lusenghe, perciò ch'el non te daga de le
busse, è vero? Messersì. O tu temme Dio padre? Sì. Perché? Però che ho paura di suoi flagelli, e
ch'el non me faza morir presto e mandime a l'Inferno. Ma questo non è merito alcuno. Dimme un
puoco: el ladro, quando el va a la forca, el piange amaramente? perché ha riverenzia a Dio? Nonne,
ma temme la forca. E s'el non se impicasse, credi tu ch'el non robarebbe più? Io credo ch'el farebbe
peggio. Or sta bene. El quinto se chiama 'timore filiale', overo 'riverenziale'. Questo è bono timore e
meritorio e a Dio grato ed accetto, cioè quando tu temmi Dio, perché egli è iusto, egli è Signore
bono, summa beatitudine e summo bene, non perché aspetti da lui mercede alcuna. Amar Dio,
perché è summa virtude e summa bontade, e temer lui, perché è digno da esser riveritto: questo è
virtuoso timore, meritorio e filiale. Questo avevano i santi amando e temendo Dio sopra ogni cossa
del mondo, tiranni, robba, parenti, ed ancora la propria vitta. Questo è tanto perfetto che ancora i
santi in Paradiso temeranno Dio ed averanno paura di lui con summa riverenzia. Però dicea David
nel Salmo: "Timor Domini sanctus permanet in seculum seculi" ("El timor de Dio santo non muore
mai"). E questo sia la prima parte. Circa la secunda, io truovo che tre caggione principalmente
astrengono l'uomo a temer Dio. La prima è la iustizia de Dio: Dio è iudice iustissimo. Non te
pensare de far alcun peccatto, piccolo o grande ch'el sia, e dire: "Io non serò punitto, Dio me
perdonarà". Non è vero! Pur: "El ha passato tanti anni ed è già dimenticatto". Non è vero! Sappi
ch'egli è summa iustizia, cossì comme egli è summa bontade e summa sapienzia; el te ha aspettato
per compassione, e perché egli è summamente iusto, non potrebbe non punire el peccatto. Questo
dice el cantore David nel Salmo: "Tu Segnore sei iusto e lo iudicio tuo è dritto". In un altro luoco:
"Dio è iusto ed ha amatto la iustizia e 'l suo volto ha vedutto la equitade". Gioanne ne l'Apocalipse
al terzio capitulo: "Ecco io vengo presto, e darò a ciascuno secondo l'opera sua". Aggionge qua
Remigio: "Ai cattivi punizione, ai boni benedizione". Pertanto il grande Vicario de Cristo, Piero
apostolo, in la sua Epistola cannonica (secundo capitulo) dice: "Se Dio non ha perdonatto a li angeli
peccanti, ma gli mandò a l'Inferno, che farallo a nui?". Quanti anni aspettò Dio el populo ebreo al
tempo di Noè, essendo lor datti a le pompe, al bevere e manzare, triunfare e luxuriare? E Noè
cridava: "Facette penitenzia!". La brigatta se ne rideva, dicendo: "Oh, gli è pazzo!". Poi mandò Dio
el dilluvio. Ancora nel tempo de Soddoma e Gomora, quando che 'l populo ribaldo non se ne
avvedeva, mandò Dio el fuoco dal cielo. O Italia, o Italia, o Venezia ricca, guardative, doletivi,
facette penitenzia, temette Dio! Oh, non seranno tante cosse quante tutti li avari predicatori dicono,
e tutto per farcine paura. Non dicette cossì! Guardatte a che è venuto Constantinopoli e Negroponte
e molte altre terre. Dio sa perché egli era venuta la sua ora. Aspetarà Dio dieci o venti o trenta anni,
e par che Dio dormi, e che non se ne curi. E che dice Dio? Alde el citarista David: "Quando serà
venuto el tempo diffinitto, io farò iustizia!". O peccatori, se vui non vi convertetti, Dio ha
apparecchiatto el suo coltello ed ha caricatto l'arco per ferirve. Però Paulo apostolo (Ad Romanos,
secundo capitulo) dicea: "Non sai tu, o peccatore, che la benignità de Dio te aspetta a penitenzia?".
El tuo barbato Hieronimo dice: "Comme el nostro Segnor Dio è benigno e paziente in espettarne,
cossì serà iusto e crudele in punirne". Però dice Valerio Maximo: "La ira divina camina molto
lentamente in far vendetta de le sue iniurie. Ma quanto più la averà aspettatto, tanto più la se
monstrarà poi dura". Egli è cattivo a vegnire a la pace quello chi è statto assai tempo a corrozarsi; el
fa poi cosse terribele cridando, menando la manera senza rispetto. Trema, trema, o cristiano, trema e
teme Dio! Pensa ch'egli è iusto, pensa che tu fai male, pensa che in ogni modo el te convien esser
punitto. Pensa che se non sei punitto oggi, forsi serai domane; abbi sempre paura che inanci el tuo
sperare, le tue fatiche non periscano. *( Riprende comme te pare, etcetera)* La secunda è la
potenzia de Dio. Debiammo temere Dio, perché è potente. Tu temme la Signoria di Venezia, perché
la è potente a far fatti assai terribeli. Dirai tra te stesso: "Aimè, se io offendesse la Segnoria, me
farebbeno persequittare per sino in capo del mondo". Ben, bene: ma Dio, Segnore del tutto, non èllo
Onnipotente? non te coglierallo per tutto? Anci, se Dio te vorrà punir, s'el te vorrà mandar guerra, o
fame, o caristia, o pestilenzia, o morte, chi li contradirà? Chi glie farà resistenzia? Niunno! Niunno!
Alde Isaia in persona de Dio: "El serà scoperta la tua vergogna e vedutto el tuo opprobrio. Io farò
vendetta e non me contradirà uomo". Però Mardocheo, comme tu hai nel libro di Ester, dicea a Dio:
"O Segnore Dio, re onnipotente, ogni cossa è in tua bailia e non è chi possa risistere a la tua
voluntade". Pertanto el re Antioco combattendo contra Ierusalem, Dio adiuttava i Iudei, ed Antioco
adiratto biastemava Dio e giurava ch'el disfarebbe Ierusalem da li fundamenti e ch'el non averebbe
paura del suo Dio. Onde essendo ne la battaglia, cascò da cavallo e ruppesi lo capo facendosi gran
male. Li baroni el prenderono e lo missero in la carretta: li venerono tanti vermi per le carne e per
tutte le piaghe, che per abundanzia de la puzza niunno potea aproximargli, ed in fine feci del vivere
molto miseramente. Adunque, comme dice el salmista David, Dio fa ciò che glie piace in cielo, in
terra, nel mare e in li profondi abissi. Per tanto temette Dio! La terza è chiamata 'divina cognizione'.
Teme Dio perché egli è per tutto e vedi ogni cossa e da lui tu non te poi ascondere, però che, comme
dice Paulo, "tutte le cosse sonno nude e aperte a li suoi occhii". Questa sentenzia tu la hai primi
Regum sesto decimo capitulo: "L'uomo vede le cosse di fuora, ma Dio mire el cuore". O cittadino,
tu fai un fatto secretto: non lo sa anima viva; ben, te pare esser securo. La donna farà un
mancamento; dirà poi: "Or sta bene; questo almanco non sa el mio maritto, non figliuoli, non
parenti. Chi me ne punirà?". Dio, Dio, chi vede el tutto! Pertanto dice Augustino ne la Regula a li
fratti: "Benché un malfattore staga ascosto e non sia vedutto da alcuna persona, che farallo di quello
contemplatore alto, Dio eterno, a chi non può stare ascosta alcuna cossa?". Teme Dio, anima, perché
egli è in tutti i luochi presente e comprende ogni cossa e vede, e niente glie sta ascosto. Quando
verà el tempo el aprirà li occhii, e dimostraratte aver già vedutto, darratte guai e tribulazione.
Allementaratte de Dio e non sapprai la caggione. Serà in te verificatto quello proverbio usatto:
"Peccatto vecchio, penitenzia nova". *( Dà exempii a tuo modo, etcetera)* Ora la terza parte serà
brevemente a vedere le caggione che inducono l'uomo a temere Dio; e ne prendaremmo al presente
tre principale. La prima serà la incitazione de la Santa Scrittura. Che cossa cridano i libri de Moises,
i libri de li Regi, de' Maccabei, de Iob, li Profeti, el Testamento Novo e Vecchio, se none: "Temette
Dio, e dattegli onore, perché è venutta la ora del iudicio suo" (come parla Iohanne ne l'Apocalipse,
quarto decimo capitulo)? Lege David, Salmo secundo: "Servitte al Segnore in timore e rillegrative
in lui con tremore"; legi Salomone Ecclesiastici terzio decimo capitulo: "Teme Dio e averai bene";
David nel Salmo: "Beatto l'uomo che teme Dio, el se delettarà assai ne li suoi commandamenti";
Tobia, duodecimo capitulo: "Se temerette Dio, averette molti beni". La secunda caggione è la
creatura: nui vediamo el cielo, la terra, l'aere, i pianetti, le stelle, tutte temmeno e sonno obediente a
Dio obediendo a la lege che Dio glie ha datto. *( Allargaratte qua a tuo modo)* La terza è
multiplicazione de' beni. Chi teme Dio è cossa impossibele che finalmente Dio lo abandoni:
pertanto dice David nel Salmo: "Temette Dio tutti vui santi suoi, perché non hanno desasio quegli
che 'l temmeno". Legi nel Levitico, vigesimo sesto capitulo, le larghe promissione fatte da Dio a li
temorosi di lui. Ecco il testo: "Se vui me temerette e perseverarette in li mei precetti adoperandogli
in fatti, ve pioverò in tempo atto e la terra produrà il suo germe ed i pomari se caricaranno de frutti,
manzarette il vostro pane a sacietade e abitarette in casa vostra senza paura, darò la pace ne li vostri
confinni, dormireti e non serà chi ve spaventi". O grande largitade divina! E cossì per contrario ai
peccatori scorretti. Temete adunque Dio ed onoratte la sua iustizia, la sua degnitade, la sua
maiestade; acciò da lui abiatte qua grazia e di là gloria. Amen. Feria secunda: SE LI BENI (CIOE'
ZEZUNII, ORAZIONE ED ELEMOSINE) CHE FA L'OMO, ESSENDO IN PECCATO, SIEN
PERDUTI OVER PER QUALCHE MODO SIENO MERITORII "Ego vado, et queretis me, et in
peccato vestro moriemini" (Iohannis viii capitulo). *(Tu, predicatore, dechiara lo Evangelio
brevemente comme te pare)* Sopra questo testo messer Bonaventura (quarto Sententiarum,
distinzione XV) move questa dubitazione: se li beni, cioè zezunii, orazione, elemosine etcetera, che
fa l'uomo, essendo in peccatto, sien perduti over per qualche modo sien meritori. Molti si ritraggono
dal ben fare dicendo: "Che me giova cossa che faza, essendo in peccatto?". Perché, el se scrive, Dio
non exalde i peccatori. Isaie dice: "L'anima mia non è inchinata a questo populo"; ancora nel testo
dice Dio a quelli chi erano in peccato mortale: "Le vostre callende e sollennitade me son venute in
odio; tutte le vostre operazione me sonno in fastidio"; e per consequente non son meritorie.
Santo Augustino, vedendo la brigata di peccatori turbata e quasi deliberata de non fare alcun bene,
glie fa una exortazione dicendo: "State di bona voglia, o peccatori, perché niunno bene è
iremunerato inanci a Dio". E questo se prova per tre ragionzelle. La prima per la iusta equitade
divina: serebbe Dio iniusto s'el dasesse tanta pena ad uno peccatore chi ha qualche bona opera in sé
quanta a colui chi non ha alcuna. Sonno dui cattivi omeni: uno non porge mai una elemosina ai
poveri, l'altro ne fa pur assai. Or sta bene: crediammo nui ch'el non sia più accetto a Dio quello chi è
elemosinario ca quello chi è avaro? Senza dubbio egli è più accetto. Secunda ragione. Legi ne
l'Exodo: "Dio commanda: onora tuo padre e tua madre, acciò tu vivi longamente sopra la terra". O
figliolo, o figliola, fa questo precetto! E dimme, cristiano: commanda Dio questa riverenzia
solamente ai boni, over ai boni e ai tristi? El commanda a tutti. Adunque un peccatore, facendo tal
bene, riceverà qualche premio da Dio, e cossì non serà perdutto, ma è meritorio in qualche modo
quello operare. La terza è raggione de bontade. Uno che fa una bona opera per vanagloria, comme è
lo ipocrita, riceve alcuna mercede. Mathei sesto capitulo: "Hanno ricevutto la sua mercede", dice
Cristo. Or, poniammo questo caso. Uno cattivo fa elemosina non per vanagloria, ma per Dio. Non
debbe costui ricevere mercede, conciosiacossach' el sia meglio far bene per Dio ca per vanagloria?
Adunque la è meritoria di qualche mercede. Pertanto scrive Paulo (Prima ad Thimoteum, quinto
capitulo; e lo hai ancora in raggione canonica, titulo De sepulturis, cap. Nos institutta) cioè: "Digno
è el lavoratore de la sua mercede". Ma se me dicesti: "Comme è possibele le opere di quello chi è in
peccato mortale sieno meritorie, che 'l Maistro de le Sententie dice nel terzo libro: "El principio e
tutto il fundamento del merito consiste nella grazia". Collui chi sta in peccato è privatto de la grazia:
comme averanno dunque alcun merito le sue opere?". Or nota, o peccatore: bench'el tuo ieiunare in
peccato mortale non sia meritorio de vita eterna, come el serebbe non essendo te in peccato,
nientedimeno merita da Dio molte altre cosse. Onde, insumma, nota sei utilitade e frutti del ben
fatto in peccato, acciò che mai, o peccatore, non lassi de fare bene, posto avessi migliara di peccati.
Attende a me. Non abbi questo risguardo mai, dicendo: "Io non voglio zezunnar perché sonno in
peccato mortale". Nonne, nonne! El primo premio ergo se chiamma 'multiplicazione de beni
temporali'. Quanti usurari, quanti ladri, quante meretrice fano elemosine assai. Che fa Dio chi vuol
remeritar tutti quanti? Dalli robba, case, possessione ed altri beni, quali Dio non li darebe, se non
facessino alcun bene. Tu hai exempio Exodi primo capitulo. Avea ditto e comandato el Re Faraone,
sotto pena de la vitta, a quelle commare de l'Egitto ch'ogni volta che nascessi alcun putto de li
Giudei lo dovessero occidere; quelle comare pagane per compassione non li amazoron, ma li
ascondevano. Dio volsi rimunerare questo bene, posto ch'el fusse fatto fuori di grazia, e donogli
case ed altri beni. Questa raggion fa santo Ieronimo: benché uno cattivo facessi per giorno cento
peccati mortali, Dio non guarda quegli peccati, ch'el non rimunera uno minimo bene ch'el abbia
fatto tra quegli peccatti. Questo volsi dire santo Gregorio ne l'Omelia: Se quello ricco - dice lui -
non avesse fatto mai alcun bene, non aldirebbe quella risposta de Abraam: Ricordate, figliolo, aver
ricevutto assai beni in vita tua. Quando el viddi Lazaro mendico in grembo di Abraam, el disse:
Aimè, quando era al mondo, benché fusse avaro, guloso e pomposo, pur facea qualche volta
elemosina; andava al tempio, serviva e obediva a li sacerdoti. O Segnore, dammi el Paradiso! Disse
Dio: Non te basta che io te remunerai al mondo? Avevi palazi, salle e possessione, figliuoli, schiavi,
robba, vestimente, e tanti beni temporali. Or te basti, etcetera. El secundo se chiama 'illuminazione
de la mente'. Questo tu lo hai nel Decretto de Consecratione, distinzione secunda, capitulo Falsas in
fine. Quanti sonno chi vanno a le messe, a le prediche, per usanza, senza alcuna devozione;
potranno andar tante volte che Dio glie toccarà el core per sì fatto modo ch'el glie illuminarà lo
intelletto, che l'uomo dove prima era cattivo e vizioso, se farà devoto spirituale e bono amico de
Dio; è vero? Sì, sì. Questo si legge nel libro de Atti de Apostoli, capitulo decimo. Cornelio, bench'el
fusse pagano e infidele, spesso e spesso facea de grande elemosine a li apostoli ed assai volte
andava a lor prediche, intanto che Dio glie mandò l'angelo dicendo 'Cornelio, ecco, le tue elemosine
ed orazione sonno saglitte nel conspetto divino'; ed illuminatto cominzò a lacrimare; e pianto ch'el
ebbi i suoi peccati, divenne omo santissimo ed acquistò el Paradiso. El terzo premio è chiamato
'liberazione da mane del diavolo'. Notatte, devote persone, e sapiatte che la possanza che ha el
diavolo sopra l'uomo è troppo grande, come dice Iob, quadragesimo primo capitulo: "Non è
possanza sopra la terra che sia uguale a quella di Satanasso". Anci dicono i dottori che la possanza
del demonio è tanta che se Dio el permettessi far ciò ch'el vuole el ne affocarebbe tutti in una notte.
Pertanto Salamone (Ecclesiastici undecimo capitulo) te exorta e dice: "Guardate, fratello, dal
diavolo pestilenziatto, non te fidare de lui che ogni giorno el pensa de offendarte". Era una volta
uno santo padre nel deserto, e andando per lo bosco se scontrò in uno bello giovene ben vestito e
adornatto. Questo giovene salutta lo eremitta. Questo santo padre connobe in spirito ch'egli era el
demonio, e dissegli: "Sei tu el mal trovatto. E che vattù fazando, traditore de cristiani?". Disse
questo giovene: "Io te dirò el vero. Io son mezzo desperatto. Son stato XXX anni a posta de uno
vecchio maledetto, avaro, usuraro, ladro, guloso, luxurioso, biastematore de Dio e de li santi. Tutto
questo tempo ho gettato per strangolarlo una notte, e mai non ho possuto". Disse lo eremita: "Perché
non hai tu possuto, essendo lui tanto scelerato e pestilente?". Resposi el diavolo: "Costui ogni
giorno, inanci ch'el esca da casa, dice tri Pater noster e tri Ave Maria e facesi tre croce; e cossì la
sera, quando el viene a casa: altro bene non fa lui in questo mundo. Assai volte glie ho impizatto
fuoco in casa, per dargli tanta nogia ch'el se dimentica questo bene e mai non lo ho afferratto una
volta sola. Pertanto determino provar mia ventura con altri". Incontinente, partitto che fu questo
diavolo, el padre santo andò da quello zentilomo e dechiarolli el fatto. E subito el mal usatto mutò
vita. Ecco comme è bono che l'uomo e la donna, sien lor cattivi quanto se possa, pur non debbeno
mai cessare di far qualche bene, o zezunare, o andare a le prediche, o fare orazione ed elemosine. El
quarto se chiamma 'participazione de tutti i beni'. Notate, carissimi, che ogni volta che vui facette
una opera de misericordia ad una povera persona, vui ve facette participevele de ogni bene che faza
quella persona, tanto forte quanto vui sette disposti: si sette in grazia, ve facette digni di beni eterni,
si in mortale peccato, de beni temporali; se dai elemosina ad una chiesa, tutte le orazione che fanno
li chierici di quella chiesa te giovano qualche cossa. Questo volsi dire Salamone dicendo ne
l'Ecclesiastico: "Asconde la elemosina in grembo del povero ed essa intercedarà per te al Segnore e
sanaratte da ogni peccato". Questa verità confirmata è per lo profeta David nel Salmo Dicente:
"Segnore Dio, io ho parte in tutti i beni di quegli chi te riveriscono e temmeno". El quinto se
chiamma 'allevazione di pene'. Uno cattivo, facendo al mundo qualche bene, non porta in Inferno
over in Purgatorio tanta pena quanta portarebbe s'el non facesse quegli beni. El sesto se chiamma
'impetrazione de la divina misericordia'. Uno peccatore farà ogi un bene: Dio non lo exalde. Farallo
dimane: non è alduto. La terza e la quarta volta: Dio par ch'el non lo voglia per amico. Non te
desperare, omo o femina peccatrice, persevera nel ben fare, che finalmente tu inchinarai Dio a farte
ogni tuo bon volere, e de inimico de Dio te farai amico; però dice Cristo (Luce undecimo capitulo):
"Adimandatte e riceverette, cercatte e trovarette, battetti e seravi aperto". Facette adunque sempre el
bene, benché siatte in peccatto mortale, però che Dio ve ne cavarà e daravi la grazia e finalmente la
gloria. Amen Feria terzia: DE LA VIRTU' DE LA OBEDIENZIA "Omnia quecumque dixerint
vobis, servate et facite" (Mathei vigesimo terzio capitulo). L'alto Dio, volendo oggi dechiarare in
tutto al dotto cristiano qual sia la perfezion de l'uomo e la prima via de la umana salutte, commanda
nel tema allegatto che debiammo obbedire a li sacerdoti e prelati ecclesiastici. E se alcuni di lor
fossero riprensibele, lassiammo la vitta e appigliammo lor dottrina. E cossì mostra che la obedienzia
è principio di salute. *(Dechiara el Vangelio a tuo modo)* Di questa virtude de obedienzia
vederemmo tre conclusione: la prima, conciosiacossaché per natura tutti li omeni sieno equali, onde
procede che Dio ne commanda dovere essere obedienti a li sacerdoti; la secunda conclusione, over
questione, quanta sia la virtù de la obedienzia; la terza, quanta sia la pena de la disobedienzia. A la
prima responde santo Tomaso ne la Secunda secunde, questione centessima quarta, articulo quarto,
dicendo: "Nui debiamo intendere che lo governo de la Chiesa, che è un corpo mistico, cioè la
università de li cristiani, è infra se stesso cossì ordinatto comme è il governo de li elimenti, tra li
quali nui vediammo che li corpi inferiori sonno ordinati per li corpi superiori. Vediammo per
esperienzia che 'l sole fa germegliare e crescere ogni erba e fruttaro. Or al proposito, benché uno
uomo non sia superiore a l'altro per natura, ma tutti siamo
de una equal specie, nientedimeno, per diversi officii chi hanno li omeni, uno è superiore a l'altro.
Apre lo intelletto, anima divotta: se adunque uno prelato over sacerdote commanda al populo per
parte de Dio una cossa, egli è obbligatto a obedire, perché hanno officio da sacerdozio, per lo quale
son superiori, e tu se' inferiore, per lo quale officio se' obbligato a la obbedienzia. Tu hai el testo de
Dio (Deuteronomii sesto decimo [ma XVII] capitulo): "Veniens ad sacerdotem levitici generis...",
"Tu verrai al sacerdote del sangue levittico e a li giudici chi governaranno in quel tempo, ed egli
iudicaranno el tuo iudicio e faranno iustizia, e tu farai ciò che te commandaranno, non smarrirai a la
destra over a la sinistra parte. Collui che serà superbo, non volendo obbedire al precetto del
sacerdote, serà digno de morte quello uomo". O che bel testo e terribele! Dice Dio che debiamo
andar a li prelati, cioè a papa e suoi suggetti sacerdoti, e obedirgli in nostri fatti. Appare adunque
che ognuno chi non obedisse a li superiori, e maximamente a li principali de l'anima, peccano
mortalmente; e a Dio molto despiace, però ne mostra più volte vendetta. Lege, valente omo, primo
Regum, capitulo quinto decimo: "Mandò Dio uno giorno el grande profeta Samuel al re Saul
dicendo 'Va e metti a sacco tutto il reamme di Amalech, omeni, donne ed animali con tutte le
creature mandele per lo filo de la spada; non perdonare ad anima vivente, perché, quando il populo
se partiva da lo Egitto, egli glie furono contrarii ed inimici'. Andò el re Saul e presi el re ed
amazollo, e simelmente femine e mascoli, eccetto alcuni begli cavaleri e alcuni begli cavagli ed altri
animali nobeli che reservò". Alde cossa maravegliosa. El Segnor Dio chiama il suo profeta Samuel
e glie parla cossì: "Io son mal contento che Saul viva sopra la terra. Camina presto e guarda comme
el te ha obbeditto". Samuel va a Saul e glie dice: "Perché non hai tu obeditto al commandamento de
Dio, mandando a destruzione de tutti li animali ed omeni?". Saul volendosi escusare disse: "Io ho
servatto alcuni begli animali grassi, acciò ch'el populo avesse da sacrificare". Disse allora Samuel:
"Non sai tu ch'el è meglior la obedienzia ca el sacrificio de bestie?". Vedendosi Saul aver peccatto,
se gettò in terra e disse: "Io ho peccatto, ma perdonime per questa volta, e prega Dio per me".
Samuel fugiva e Saul glie andava driedo, e squarzato Saul el suo manto, glie disse el profeta: "Cossì
squarzarà Dio el tuo reamme e dominio". Sequitò poi la guerra terribele ch'el ebbi con David e,
perdutto il reamme e dominio, fu destrutta la casa sua in perpetuo. Si demostra adunque quanto
despiace a Dio la desobedienzia verso li prelatti e superiori, maximamente quando egli
commandano cosse secundo la voluntà de Dio. Però disse Cristo nostro maistro: "Facete ciò che li
prelati ve commandano, perché non sonno egli chi ve fanno el precetto, ma egli è Dio, chi favella in
lor persona, a chi sette tenutti obbedire". La secunda parte è a vedere quanta sia la virtù de la
obbedienzia. Nel Deuteronomio (vigesimo ottavo capitulo) se lege che Dio disse cossì al suo populo
iudaico per bocca de Moises, o figlioli mei: "Si audieris vocem Domini Dei tui, faciet te Dominus
excelsiorem cunctis gentibus" ("Se voi alderette la voce del Segnore, Ello ve farà maggiore de tutte
le gente"). Per sino che 'l populo giudeo fu obediente a Dio, andò di continuo di bene in meglio;
incontinente che furon dissobedienti, andorono sempre peggiorando statto. Pertanto dice santo Luca
(capitulo primo): "Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles" ("Dio ha sbattutto i potenti di lor
superbie ed ha exaltatto li umeli"). La obedienzia ancora non solamente magnifica l'uomo in beni
temporali, ma donna ancora grazia e amore apresso a Dio e apresso a li omeni. Se legge in la Vitta
di Santi Padri che uno santo, essendo in orazione, viddi quattro ordeni de omeni in cielo: el primo
era de quegli che servino voluntiera ad infermi, el secundo di quegli chi albergano voluntera i
foresteri, el terzo di quegli eremiti chi stanno solitari al bosco, el quarto di quegli chi obediscono
voluntiera a' suoi superiori. Tutti quegli del quarto ordine avevano in mane un candelotto ardente
tutto di oro ed una corona di oro in capo. Molto magiore onore e festa gli era fatto ca a tutti li altri
ordeni. Questo santo padre dimandò: "Che vuol dire ch'el vien fatto maggior onore a questi, benché
sieno puochi, ca a tutti li altri?". Risposegli lo angelo: "Questo avviene però che quegli chi servano
ad infermi e li ospedaleri servano per propria voluntade e non sonno asforzatti; cossì quegli li quali
stanno a li eremi e boschi; ma quegli chi sonno obedienti hanno abnegatto la propria voluntade e la
hanno sottomessa al voler d'altrui, renunciando ogni suo volere e piacere per obedire a Dio ed ai sui
servi; però soli meritano corona". Questa è la cagione che Augustino santo dicea 'la obbedienzia è
madre di tutte le virtute'. Ella ne fa amici de Dio, ella ne congionge a Lui e fanni meritare lo
reamme de Dio; questa apre i celi e fa vollare li omeni da terra in cielo. La obbedienzia ha questa
possanza che al vero obbediente obbediscono tutte le creature e ancora Dio. Ch'el sia vero alde
Augustino: "Si obbediremus Deo, Deus nobis obbediret" ("Se obbedissemo a Dio, Dio ne obbediria
a nui"). Iosuè, capitaneo del populo de Dio, combattendo contra inimici, se trovò agionto a la sera, e
non poteva più veder luce a combattere, bench'el andasse crescendo in vittoria; el se voltòe verso il
sole e la luna e disse: "O sole, non te move contra Gabaon e tu, luna, non te squassa contra la valle
Haylon!". E se ademororono tanto il sole e la luna facendo de dui giorni uno, ch'el ebe vittorie de
l'inimicii. E questo perché lui fu obediente a Dio. Ancora la obbedienzia fa cosse maravigliose.
Comanda Cristo a san Piero: "Esse di nave e vienne a me"; obedigli e caminò sopra l'acqua. Tu me
dimandarai in che modo se vuole obbedire. Risponde san Bernardo: "Simplecemente, non disputare,
non dire 'perché questo?', 'perché non quello?'". Molti sonno che, quando hanno a obedire e fare una
cossa, incontinente murmurano: 'Questo non tocca a me, questo non è ben fatto, etcetera', e
finalmente ciò che fanno lo fanno con tedio e fastidio. La vera obedienzia vole esser fatta con
alliegro core, con faccia leta, con parolle umane, non guardare ciò che sia commandatto, obbedire in
tutte le cosse, benché le pareno impossibele e strane, purch'elle non sieno desoneste. Molte cosse
che son impossibele naturalmente, divengono possibele per virtù de la obbedienzia. Se recita in le
Vitte di Santi Padri che uno abbate santissimo volsi provar la obbedienzia de uno di suoi monaci.
Andò in un certo boschetto e piantò un ligno secco in mezzo di un pratto, e, dimandatto quello
fratte, glie disse: "Fa che ogni giorno tu adacqui questa pianta, per sino che la faza frutto". Costui
risposi: "Volentera, padre". Non murmuròe, né ancora disse: "Egli è secco; questo me pare una
pacìa". Niente; anci ogni giorno portava dui segge di acqua dal monastero per sino a quel bosco e
pratto, tra i quali luochi glie sonno dui migliari. E questo feci per sino a tri anni continui. In capo
del terzo anno questo ligno comminzò a fiorire, feci foglie ed anco il frutto. Vienne el frate a questo
arboro e trova questo frutto, cioè tri pomi. Li prendi subito e portagli al monastero correndo tutto
allegro; presenta questi tri pomi a l'abbate dicendo: "Padre, ecco, il tuo arboro ha fatto frutti!". Lo
abbate prende questi frutti coloritti e begli, e vanne a la chiesa dove erano i monaci assunatti e li
dice: "Frategli mei, tollette de li frutti de l'arboro de la obedienzia". Ecco, adunque, quanto è bella
cossa obbedire presto, voluntera, senza murmurare. La terza parte serà, voltando la carta, de la pena
de la desobedienzia. Quanti flagelli, quante maledizione, quante ruine ha fatto Dio verso li
disobedienti! Lege el primo canono di 'l precetto de Dio nel Vecchio Testamento. Disse Dio al
nostro padre Adam: "Perché tu hai manzatto del frutto, del quale te aveva detto che non ne
manzassi, maledetta serà la terra nel tuo lavorare, la te generarà spine e rovedde pur assai". O pazzo
Adam, creatto in tanta dignitade, sapiente, ricco, nobele, intelligente de tutte le cosse, e per un
puoco de disobedienzia fu fatto maledetto, cum tutte le cosse che manegiarebbe! Però dice san
Bernardo: "La inobbedienzia ha un grande vicio, per lo quale lo angelo persi il cielo, lo uomo el
Paradiso, Saul el reamme e Salomone il dominio e lo amor de Dio". Una matrona cartaginese, poso
la morte del marito, rimasi cum dieci figlioli, sette mascoli e tre femine. Or questi figlioli ed anco le
figliuole molto erano molesti a questa madre; non glie dasevano mai uno contento, ma sempre
faceano el contrario de ciò ch'ella ie commandava. Notatte vui figliuoli, aldete cossa terribele. Un
giorno la madre, essendo corrozatta per la lor innobedienzia, glie maledisse dicendo: "Io prego Dio
che ve vedda andare ramenghe per el mondo!". O grande iudicio de Dio! Incontinente divenerono
tutti paralitici, e andavano tremando de tutti li membri. Vedendo che a tutta la terra erano fastiditi e
sprezatti, discorrevano per tutto el mondo stentando. Predicando santo Augustino in una cittade
proxima di Cartagine, glie furon menatti tri de questi, etcetera. Ne fece bella ammonizione e cura.
Or basta. Concludiammo ergo che tutti siammo obligatti a la obbedienzia secondo diversi statti: i
cittadini al suo segnore over segnorie, la mugliere al marito, figliuoli e figliuole ai padri e a lor
madre, religiosi ai prelatti, e generalmente tutti li inferiori ai suoi superiori. Pertanto dice Cristo
oggi: "Quecumque dixerint vobis, facite", etcetera. Feria quarta: DE LA INVIDIA "Et audientes
decem indignati sunt de duobus fratribus" (Mathei vigesimo octavo capitulo). Se tratta oggi nel
santo Evangelio
di quella orribele e venenatta bestia nata nel Paradiso, seminata tra li mortali, accresciutta tra li
cristiani rei, chiamata rabbida invidia, madre de la discordia, madrigna de la pace, inimica d'ogni
bene e costumatto vivere. La qual eziandio ebbi tanta forza che li primi religiosi frategli del numero
duodennario apostolico abrazò e avenenò, intanto che deci di lor indignati furono per rispetto de li
dui chi aveano adimandatto per medianità di la madre dover sedere uno a la destra, l'altro a la
sinistra de Cristo nel celeste reamme. De questa invidia vederemmo tre dubitazione brevemente: la
prima se la invidia sempre sia peccatto mortale; la secunda se l'uomo se può elegere alcun statto nel
quale el non sia molestatto da invidia; terzia quale è in meglior condizione, quello a chi fu avutto
invidia o vero a chi fu avutto compassione. Al primo dubio dice San Tomaso ne la Secunda secunde,
questione trigesima sesta, dechiarando prima che cossa è 'invidenzia'. Damasceno, dottore greco,
dice: "Invidia est tristicia de bono alterius", cioè: "La invidia è tristizia de li beni d'altri". E questo
può esser per quattro modi. Primo, alcun può essere invidioso del ben del proximo, perché quel tal
bene vienne in danno de li omeni virtuosi e da bene. Questo tal dolore de invidia non è peccatto,
anci ha più tosto colore di merito. Ecco lo exempio: un ribaldo ladro biastematore vive ricco nel
mondo, sempre cresce in avere ed onori e riputazione di uno tiranno; el robba mille povere creature,
egli è danno de mille omeni virtuosi e flagello. Io desidero la sua morte, vorebbe vedere stentare e
abbassarsi. Ho penna quando sento ch'el ha un benne. Dico, cittadino mio, che questo non è
peccatto, ma più tosto è virtù. Questo volse dire San Gregorio (vigesimo secundo Moralium):
"Molte volte può accadere che non perdendo la caritade, prendiammo allegrezza de la ruina del
nostro inimico, e ancora che se dogliammo de la sua gloria, senza colpa de invidia, e questo perché
connosciammo el suo bene tornare in danno de le bone persone e lo suo male dare castigamento a li
tristi". Questa è la raggione che più volte la Sacra Scrittura recita che li santi hanno cercatto la
morte de molti e fatto festa de la lor ruina; unde el populo de Dio, somerso che fu Faraone, facea
festa e galdea cum canti etcetera; Iudith, avendo tagliatto el capo ad Oloferne, tornò in Ierusalem
cantando con el populo in summa allegrezza. David nel Salmo priega: "Convertantur peccatores in
infernum", "Sien convertiti li peccatori ne l'Inferno"; in uno altro luoco ("Pereant peccatores a facie
Dei", "Morino li peccatori dal conspetto de Dio") pregava Dio ch'el dissipasse i cattivi. Secundo,
può esser dolente l'uomo di 'l ben d'altrui, non perché el proximo lo abbia, ma perché non ha ancora
lui simelmente. Questa non è invidia propriamente ma è zelo de si stesso, comme dice Aristotele
(secundo Ethicorum). E tanto più è laudabel questo zelo, quanto più el cerca cosse spirituale. Tu hai
dui figliuoli, uno impara bene, l'altro glie ha invidia, cioè se trista perché el non impara lui tanto
bene: questa non è invidia ria, ma bona e laudabele. Tu, donna, vedi una giovena constante,
fervente, sollicita a le prediche ed a le messe ed orazione: sforzite avergli invidia che tu non è cossì
bona, ed io tel perdono. Terzio, se duole l'uomo alcuna volta per desdigno reputando verbigrazia
Gioanne non esser digno aver tanta robba: appare a te ch'el non merita che Dio glie daga tanto bene.
Questo dolore e tristizia non può esser senza peccatto de invidia. Tu dirai: "Che è bisogno a uno
tanta robba, tanti onori? Quanti boni omeni stentano e sonno più degni di lui". Questo non scusa che
tu non pecchi murmurando, però chi Dio porge queste robbe temporale de la fortuna secondo la sua
providenzia, la quale è infallibele e iusta (Mathei quinto: "Deus facit oriri solem super bonos et
malos, et pluit super iustos et iniustos", "Dio fa lusere il suo sole sopra boni e cattivi e piove sopra
iusti ed iniusti"). Assai volte non dà Lui la robba temporale ad un bono, acciò ch'el staga umile e
non divenga cattivo; danne pur assai alcunna volta a uno cattivo, acciò che, connoscendo la bontade
del summo Dio, se riconnosca e facise amico de Dio. Ergo non se debbe dolere alcuno de ciò che
faza Dio. Quarto, pò inscontrar questa invidia: perché vedo uno maggior de me più onoratto di me,
dogliomi ch'el me avanza; e questo sol nascer voluntera tra equali, però se dice: "La invidia è tra
pari, uno dottore a uno dottore, un signore a uno signore, un maistro a uno maistro". Un ricco non
averà mai invidia a un povero, è vero? Si messere, un segnore non averà invidia a uno servo, ma più
tosto a uno magior o equale. E questa invidia nasce voluntera tra corte e palacii de grandi principi:
questa è quella pessima serpa venenatta propriamente chiammata invidia - ed è peccatto mortale -
da la quale, comme dice Gregorio (XXX libro Moralium), nascono cinque figliole pessime e
dolorose, cioè odio e sussurazione, detrazione, allegrezza in le avversitade, tristizia in le
prosperitade del proximo. Prima nasce lo odio, in quanto lo invidioso sempre desidera el mal del
proximo e la destruzion sua; nasce sussurazione, la quale è suttrazione de la fama d'altrui, fatta con
parolle occulte, murmurando tra li cantoni; ed alcune volte tanto accresce lo odio che da
sussurazione se cadde in detrazione, la quale è infamazion pubblica, e manifesta infammando e
dicendo mal del proximo per le piazze; e da questa poi nasce allegrezza in la avversitade e dolore
con tribulazione de la prosperitade; e vorrebbe avere danno lui, pur ch'el compagno non avesse
bene, sì comme se legi de quelle due invidiose. Furono due donne chiamatte inanci al giudice piene
de invidia: el qual giudice, connoscendole, glie misse un partitto in elezione di una parte, cioè,
chiammasse una di lor ciò che l' affettava, che 'l glie serebbe datto ammantenente con questa
condizione, che la compagna ne riceverebbe due altrotanto. Se la compagna dimandava diece
ducatti, subito li avesse, e la sua contrastante ne avessi vinti. La prima dimandò glie fusse cavatto
uno occhio, acciò che a l'altra glie ne fussero cavatti tutti dui. O pessima bestia! Questa scacciò
Adam dal Paradiso, questa mossi l'invido Caim ad occidere el fratello, questa mosse i figliuoli di
Iacob a vendere il suo fratello Joseph, questa concitòe i Giudei a crucifiger Cristo, questa mosse el
diavolo a mandar la morte in lo mundo. Dice Salomone: "Invidia enim diaboli mors intravit in
orbem terrarum", "Per la invidia del diavolo la morte è intratta per tutto el mondo" (Sapientie
secundo capitulo). O vicio detestabele, venenoso e mortale: questo avenena e inebria tanto la
creatura, che spesse volte la leva la vita. Dove è invidia non gli è amor fraterno, non carità, non
pace, non solazo, non piacere, ma sempre odio, ira, suspicione, tristizia, contenzione, false
accusazione, calunnie; e per consequente, dove è invidia, glie son migliara de diavoli. Da questo
procede che la invidia mette al basso tutte le virtù che possa aver l'uomo. Nota, carissimo, questa
conclusione. Egli è impossibele che l'uomo e la donna che sonno invidiosi non sieno molto viziosi,
grandi ribaldi, ladri, buggiardi, falsi, o traditori, o abbiano qualche grande diffetto. Fuge adunque
tanto vicio, che consume l'anima e lo corpo de l'uomo e rodde la fama ed onore. Per la secunda
parte principale abbiamo a vedere s'egli è possibele in questa dolorosa vitta fugire de non essere
invidiatto. O vui, cittadini mei, e vui, donne da bene, dicetteme: è alcuno di vui che non abbia
qualunca mala persona che glie porta invidia? Credo tu dirai: 'Messer, tutti siammo invidiatti'. Elli
alcun rimedio che se possa l'uomo persalvarse? Dicono li savi dottori che sì: cioè divegnir povero,
comme se dice vulgarmente, la miseria solamente è quella che è scapola da la invidia. Se serai
misero, niunno te portarà invidia. Oh, oh, chi averà invidia a quello chi è povero, vecchio e misero,
e vivi in stenti? Niunno. Però, adimandatto un filosofo comme se potessi fugire la invidia, rispose
lui: "Fatte povero; però che niunno vorrebbe essere misero, niunno te averà invidia". Ma a uno
ricco? Sì. Ad una bella donna? Sì. Ad un valente omo ? Sì. Uno poeta dice in sentenzia: "La invidia
cerca le cosse grande a modo che li venti cercano le cimme de li arbori, le saette di Iove, mandate
da la sua man destera, cercano la altezza de le torre"; ecco el latino: "Summa petit livor, proflant
altissima venti, summa petunt dextra fulmina missa Iovis". Vediammo rare volte la saetta andare a
ferire le casuze basse, ma le alte sì spesso. Circa la terza parte, quale è megliore, dimandano alcuni,
o el stato de la povertade o el stato de la ricchezza? Rispondeno i grossi ricchi ch'egli è megliore il
stato de la ricchezza; per lo contrario arguiscono alcuni: "Se tu se' ricco, tutti te portano invidia".
Respondeno egli: "Egli è meglio invidia ca compassione". Dirai tu: "El me pare ancora a me meglio
esser ricco". Ben, bene. Guai a li poveri! Ma pur parlando cum bona discrezione, quando è ben fatto
e fatto, non è gente al mondo che abbia più bel tempo dei fratti: non hanno alcuna robba e
possedeno ogni cossa. I ricchi, zentilomeni, mercadanti, quanti pensieri, quanti affanni, quante
melenconie! Non manzano mai pane cum l'animo tranquillo li segnori (cum quante paure, suspetti
di veneno, di morte, del stato a tutte ore!). O vita misera, vivendo moreno di continuo. Un povero
vive allegramente in riposso cum pace del core: glie deletta più manzare aglio e cepolle ca al ricco
zuccaro, confezione. Tu hai lo exempio di quel povero calzolaro chi cantava tutto el giorno e la
notte; vicino a lui stava un ricco zentilomo chi sempre vegneva a casa melenconico e bizarro
etcetera: avea invidia a costui. Una volta el gettò vinti ducatti per un bucco in un sacchetto in casa
di questo povero. Costui, trovatto questi dinari,
va e ascondegli sotto la paglia. Comminza poi a cantare e subito, ricordandosi de li dinari, lassava
el cantare e quattro e cinque volte el giorno andava a vedere i dinari, con paura sempre de perdergli.
Il gentilomo viene a casa e non sente più cantare questo povero. Uno giorno glie dimanda la
caggione. *(Dirai qui a tuo modo, etcetera)* Però Cristo maestro de la pace, inimico de le discordie,
mostrò qua a fugire la radice de la invidia, confortando i discipuli a umel povertade, per la quale se
faciamo digni avere in questa vitta la grazia ed in l'altra la gloria. Feria quinta: SE LA
PENITENZIA NE L'ESTREMO DE LA VITA SIA ACCETTA A DIO E UTILE A L'OMO "Elevans
autem oculos, cum esset in tormentis, ait: pater Abraam, miserere mei" (Luce sesto decimo). La
santa Chiesa ogi narra a che modo i cattivi sonno remuneratti in l'altra vitta e li boni premiatti, in
figura del ricco e del mendico. Questa fu una predica de Cristo, ove se dimostra se la contrizione,
over penitenzia, vale a quegli chi sonno morti, over chi indusiano a convertirse a penitenzia per sino
a l'ultimo. Li dottori formano questa questione: se la penitenzia ne l'estremo de la vitta sia accetta a
Dio ed utele a l'uomo. Una persona serà statta tutto el tempo de la vita sua cattiva, ribalda, ladra,
inimica de Dio e de li santi; quando el viene al ponto de la morte, el mostra qualche signo de
contrizione, se batte el petto, baxa el crucifixo. Che diremmo di lui? Alcuni dicono che colui è salvo
ed in bon statto; allegano per sua confirmazione uno parlare de Augustino, transunto nel Decretto
De penitentia, distinzione settima, nel principio: per ogni tempo che l'uomo può peccare, per quello
tempo el può meritare; nella ultima ora de la vitta l'uomo può biastemare, giurare, desperarsi, e per
questo serà dannatto; cossì, essendo appresso a la morte, può l'uomo piangere, lacrimare, dolersi,
confessarsi, chiamarsi in colpa e morire in grazia, e serà salvo. La forza di questa raggione consiste
che, tanto che dura el libero arbitrio, pò l'omo far bene e male a sua posta. Tu hai la auttorità de Dio,
nel testo del profeta Ezechiele (trigessimo terzio capitulo): "Quandocumque ingemuerit peccator
omnium iniquitatum eius amplius non recordabor", cioè: "Ogni ora che 'l peccatore piangerà per le
cosse mal fatte da lui, io non me ricordarò più de le sue iniquitade". O latro ne la croce, dimme:
quanto tempo avesti a dir tua colpa? Puoco certo. E che li fu risposto da Cristo? "Hodie eris mecum
in Paradiso", "Oggi serai meco in Paradiso" (Luce vigesimo ottavo capitulo). O padre, questo me
piace, che è ben fundatto con raggione. Ma molti altri dicono el contrario, cioè chi induggia a
l'ultimo è quasi impossibele potersi veramente doler, e per consequente convien ch'el sia dannatto.
La raggione pare essere in prompto, perché l'uomo caminando è pervenuto a quel ponto ove el non
può andar più oltra, né fare altro: l'ultimo viaggio de l'omo è la morte. Arrivando l'uomo apresso a la
morte che penitenzia, che contrizione sufficiente, che cognizione e amore de Dio potrallo avere?
Puoco, puoco. Rimane dubbia la nostra questione da tutte doe le parte. Per declarazione io, cittadini
mei, metterò cinque conclusione, e notatele bene. La prima conclusione è questa: uno che sia
sempre statto cattivo, in fin de la vitta sua può morire in stato di grazia. Questo te ho dechiaratto ora
di sopra, perché, avendo l'uomo in quel ponto intelletto da conoscere el suo errore e voluntà bona da
dolerse per adiuttorio di questo libero arbitrio, è molto ben possibele. Prende questo exempio. El
iudice determina a Piero a comparere a l'officio tutto il giorno di Venere; costui non compare, ma va
a solazo tutto el giorno di Venere, e pur s'el compara la ultima ora del giorno inanci la sera, non è
contumace: questa è openione de san Tomaso nel quarto de le Sententie e di Bonaventura in quello
medesimo libro, distinzione XX. Ancora la santa madre Chiesa confessa questo, ed hallo nel
Decreto De Penitentia, distinzione VII, capitulo Nemo, e sonno parolle di san Leone papa: "Non
debiammo desperare de alcuno per sino ch'egli è in questo corpo mortale, perché alcuna volta
quello che se indugia per diffidenzia de la etade fi mandato poi ad execuzione con più perfetto
consiglio". Molti, domentre che son gioveni, triunfano, poi in vecchiezza se fanno boni ed
accostumatti. La secunda conclusione è questa: bench'el sia possibele convertirse a Dio ne l'ultimo
fine de la vitta mortale, nondimeno egli è cossa forte e molto difficile, egli è dura cossa a credere
che uno sano tutto el tempo de la vitta sua abbi avutto in odio Dio e li santi, e subito infermo a la
morte ami Dio sopra ogni cossa; che uno tutto el suo tempo abbi servitto a la robba, a la gola, a le
pompe, a robbare, a luxuriare, schiavo e servo fiddato del diavolo, in un punto divenga servo de
Dio. O quanto è granda fatica a crederlo. Alde che pellegrina raggione a questo proposito fa santo
Gregorio: "El iè cossa chiara - dice lui - che 'l demonio tanto più grave tentazione mette a l'uomo
quanto più el lo vede approximare al fin de la vitta presente". Ma se 'l peccatore non ha possutto
vincere le prave tentazione del demonio, domentre ch'el era sano, a che modo, quando el serà
infermo, potrallo supportare le tentazione più aspre?". Male, male e male! Tu hai questo in figura ne
l'Exodo: cioè quando el populo de Dio volea partirse da Faraone e caminare in la terra de
promissione, quanta insistenzia feci quello tiranno a lassarlo partire, con quanta difficultà, con
quante arte, con quante sciagure terribele e miraculi ussitte! Quando l'uomo vienne al capezale, io
credo che per opera de l'Avversario glie vengano altri pensiere in capo ca i suoi peccatti. Se ricorda,
el pover cristiano, e dice: "El me convien morire. Ahimè tapino! Io lasso la mia donna giovena,
bella e gaiarda, perdo i figlioli, amici, parenti, onori e la robba che ho assunata con tante fatiche e
sudori!". Se pensa poi aver fatto male assai, non sa ove abbi andare, qual stanzia serà la sua, se
nonne la scura fossa; dubita ancora de l'anima povera, temme el fuoco, temme lo inferno orribile.
Ognunno lo abandona, niunno el vuol accompagnar di là: o quanto è tristo viaggio! Da l'altro canto
glie dice el diavolo: "Datti de bona voglia: tu scamparai". El crede ancora vivere, non pensa de
morire, e pure a tutte ore el va peggiorando. O quanti pensieri gravi glie occorreno a la memoria!
Ben può lui dire con el profeta David: "Circumdederunt me gemmitus mortis, dolores inferni
circumdederunt me", "Me hanno circundatto i pianti de la morte e li dolori de l'inferno me hanno
ritrovatto". Ah sciaguratto, in tal ponto trovandosi, el gemme, el piange, el suspira, el temme la
morte: e nui pazzi crediammo ch'el pianze i suoi peccati e ch'el abbi grande contrizione! Egli è
troppo forte cossa averla in quel ponto! La terza conclusione è questa: quando la penitenzia è tanto
tarda, abiammo molto a temere de la dannazione di quegli meschini. Or dimme un puoco,
carissimo: tu averai a render raggione a uno mercadante dei fatti de anni vinti; s'el te chiamasse un
giorno a la sprovedutta, rendirestuli cossì presto bon cunto? Non, messere. Con tempo? Messere sì.
Pertanto disse Cristo (comme hai in Luca): "Estote parati, quia qua ora non putatis filius hominis
veniet" ("Siatte apparecchiatti, perché' el Figliolo de la Verzene donna verrà in quella ora qual vui
non pensarette"). Statte apparecchiatti, gioveni e vecchii, se non volette perder l'anima e lo corpo,
perché egli è' impossibele render bona raggione in uno subito movimento e sprovedutto. Assai volte
accade questo per iudicio de Dio, che uno muora cossì subitamente, non apparecchiatto, senza
aggevolezza de confessarsi o de riconciliarse con prette o con fratti, però che quando egli era sanno,
se dimenticava de Dio. Alde il testo da scrivere in littere de oro (ed è cavatto dal Decreto): "El
pertienne a la grande iustizia de Dio che 'l peccatore morendo se dimentica de sé, el quale domentre
ch'el visse ebbi puoco ricordo de Dio". La quarta conclusione è questa: indugiare la confessione e lo
ben fare per sino che l'uomo è vecchio e infermo è una paccìa sterminata. O pazzo cristiano! Dio ne
manda tutti in questa valle, in questo gran campo di terra; benché nui abiammo alzatto case e
redutti, ce ha mandato tutti a lavorare in questa possessione: altri lavorino in predicare, altrui in
confessare, chi serve ad infermi, chi ad ospedali, chi a poveri, chi a peregrini, chi a religione, chi
stanno al bosco, chi in nudità e fame e sete. Tutti per diversi modi se affaticano per aspettar mercede
de vitta beatta. Non se' tu pazzo a sperare salute, grazia e misericordia in la morte, non avendo mai
lavoratto in questa possessione, ma sempre avendote dato solazo e piacere? Quando tu potevi,
dovevi piangere e far bene; ora vorressi e non puoi. Tu hai la figura in Sansone: quando el potea,
non volsi occidere i Filistei; quando poi el volsi romper la catena, de la quale lo aveano ligatto, el
non puotì, unde morì comme un pazzo. E' vero? Messersì. La quinta conclusione: chi vole esser
salvo, da bon senno e non da beffe, faza penitenzia a bon'ora quando è sano, quando ha tempo e
quando el può far bene, altremente te pronuncio che male andarà. Però dicea Paulo: "Dum tempus
habemus, operemur bonum" ("Domentre che abiammo tempo, adopriammo el bene"). Salomone
dice: "Non tardare in convertirte a Dio, non induggiare de giorno in giorno, acciò che Dio con la sua
ira non te accoglia di saldo"; David dicea: "Domine, illumina occulos meos, ne unquam obdormiam
in morte, ne quando dicat inimicus meus prevalui adversus eum" ("Segnore, illumina li occhi mei,
acciò che non muora comme cieco e lo inimico se allegri avermi vinto"). E ridutto a quello passo,
ove Dio non fa più misericordia ma iustizia: "In verità - dirà lui - non ve conosco. Vui per lo
passatto non ve curavi di me, né io ora di vui". Pertanto
siammo solliciti in amar Dio per tempo, acciò abiammo da lui grazia e poi gloria. Amen Feria
sesta: DEL VICIO DE LA INGRATITUDINE "Malos male perdet: et vineam suam locabit aliis
agricolis" (Mathei vigesimo primo). Oggi nel Vangelio se tratta del vicio de la ingratitudine, il quale
tanto dispiace ed è in odio a Dio, che intendendo quanti duoni, quanti beneficii lui aveva
communicatto e datto al populo ebreo, per la lor ingrattitudine gli tolsi ogni dignitade ed
exaltazione, ponendo in suo loco ed onore gente assai più reconoscente ca egli de li beneficii de
Dio. Questa vigna è la santa Chiesa e fede de Dio vero, prima data e concessa al populo giudeo,
dandogli tanti duoni sopra li altri populi, chi erano prima chiamatti populo de Dio. Secundo, a lor
soli era datta la lege divina; anco spesse volte Dio glie parlava; anco essendo lor in man de Faraone,
Dio li cavò con molti signi e miraculi, mandogli in terra di promissione cum abundanzia di robba e
cum onore e triunfi. Ma luor comme ingratti, non connoscendo el suo Dio, furono ragionevelmente
abandonatti da lui e lasciatti a modo di gente bestiale; e trovatta gente più grata ed umana, a la quale
Dio communicò i suoi doni e beneficii, la qual gente è in presente el populo cristiano, ha tolto el
grande Dio da' Giudei la vigna, cioè lo onor de la legge , ed hallo locatto a nui. O giudeo, a la barba
lay! Trovo io sette beneficii eccellenti datti da Dio a li cristiani. El primo se chiamma 'spirituale
regenerazione'. I cristiani soli sonno regeneratti per l'acqua del batesmo, chiamatti veri e legittimi
figliuoli de Dio. E però David nel Salmo, profetando de' cristiani, dice: "Ego dixi: dii estis et filii
Excelsi omnes", ("Io ho detto: vui seti dei e tutti quanti figliuoli de lo Eccelso"). Dal nomme de
Cristo derriva el nomme che se dice cristiano. Iohannis primo capitulo: "Dedit eis potestatem filios
Dei fieri...", cioè: "El glie ha datto possanza se fazano figliuoli de Dio, a quegli dico chi credeno nel
suo nomme". Tutti li altri sonno figliuoli de Adam carnale e terreno; pertanto egli viveno
carnalmente e bestialmente, comme Giudei, Turchi e Mori. Ma Cristiani soli viveno comme omeni
raggioneveli, civilmente e moralmente, con ordene e regula. El secundo beneficio è 'assoluzione de
li peccatti'. Onde fu mai nella Legge vecchia che Dio dasesse auttoritade a quegli sacerdoti ebrei di
assolvere da' peccati? Non mai, mai. Però disse Dio al grande prette suo Piero apostolo: "Tibi dabo
claves regni celorum, et quodcumque ligaveris super terram erit ligatum et in celis, etcetera" ("A te
io darò le chiave del cielo, e ciò che ligarai in terra, serà ligato in cielo, ciò che scioglierai da colpe
in terra, serà sciolto in cielo"). Da queste catene de peccati niunna nazione sotto el cielo è
affrancatta, se nonne el cristiano. El terzo è la 'liberazione de la possanza del diavolo'. Tutti erano in
man del diavolo per lo peccatto del primo parente Adam. Nui soli cristiani siamo liberati per el
nostro fratello e padre Iesu Cristo, Dio ed omo. O eccellenzia grande di la fede cristiana! Dice lo
apostulo Paulo scrivendo ad Ephesii: "Qui eripuit nos de potestate tenebrarum et transtulit in
regnum filii dilectionis sue" ("El ne ha cavatto - Dio padre cioè - de la possanza de le tenebre e
transferitto nel reamme del filiuolo de la sua dilezione"). Tutti li altri rimangono nella possanza del
diavolo. Questa servittù fu figuratta (libro Iudicum, sesto decimo capitulo) in Sansone ligatto tra
man de Filistei e messo a voltare la rotta da macinare el formento comme uno asino o cavallo. Però
li pagani sonno ancora in questa servitudine; pertanto san Paulo scrivendo a li Ebrei dicea: "Itaque
fratres non sumus ancile filii sed libere de qua libertate Christus nos liberavit" (O cristiani, dattive
bona allegreza, perché "non siammo figlioli de la serva, ma de la franca e libera, de la qual libertà
ne ha dotatto Cristo"). El quarto benefizio è la 'istruzione fidele'. Benché Dio dasesse la legge al
populo ebreo, nondimeno non ebbero mai tanta notizia del vero Dio o del moral vivere quanta si
trova nella Lege nova de Cristo. Che hanno a fare tutte le legge del mondo cum quella del cristiano?
Niente. Benché Dio alcuna volta apparesse a Moisè nel monte e parlasse cum lui, nientedimeno non
vidi mai Moises Dio chiaramente, ma lo vidi in forma di fuoco: vedea l'arboro ardere nel monte e
non se brusava, sentiva una voce e non comprendeva dove la venessi. Se Abraam, se Iacob
vederono Dio, questo era over in forma di angelo over in forma di corpo umano, non congionto in
unità di supposito - nota san Tomaso - ma a tempo assonto estrinsecamente. Ma Dio a la gente
cristiana, per dover demostrar l'amor perfetto più ca a le altre gente tutte, volsi dare una legge non
per opera de omeni, non per officio di angeli, ma in propria natura: assumendo la nostra carne
mortale, descesi dal cielo in terra a predicare ed insegnare la via del vero e summo bene. O grande
dignitade! O Abraam, o padre Isaac, o iusto e pio Iacob, che piacere areste vui autto se Dio cum vui
avessi manzatto, bevutto, predicatto e monstratto a vui la sua faccia? Credo che grande. Questo
volsi dire el maistro Iesu Cristo (Luce decimo capitulo), quando el disse: "Beati oculi qui vident que
vos videtis... Multi enim reges et prophete voluerunt videre que vos videtis et non viderunt" ("Beati
li occhi chi vedeno ciò che vedette vui. Molti regi hanno vogliutto veder ciò che vui vedette, e non
hanno avuto la grazia, e aldire ciò che vui aldette, ed hanno avutto pacienzia"). Però dice David nel
Salmo: "Non fecit taliter omni nationi et iudicia sua non manifestavit eis" ("Non ha fatto in questo
modo ad alcuna generazione e non li ha manifestato i suoi iudicii mai"). El quinto è 'lo nutricamento
spirituali' del suo corpo e sangue. Qual populo se può avantare over gloriare aver cum Dio tanta
familiarità e benivolenzia che mai Dio li dasessi la sua propria carne in cibo e lo sangue suo in
bevere? Non fu mai alditto dal principio del mundo in qua che Dio dasesse el pane del cielo, el pane
de angeli, ad altri ca a' cristiani. Questo volsi dir Cristo (Iohannis sesto capitulo): "Ego sum panis
vivus qui de celo descendi", etcetera ("Io son pane vivo che son desceso dal cielo... se alcun
manzarà di questo pane el viverà in eterno"). Di questo pane canta David nel Psalmo: "Panem
angelorum manducavit homo" (cioè "L'uomo ha manzatto el pane de li angeli"). O Giudei, chi
eravatti già chiamatti figliuoli de Dio, a la barba vostra! El pane che Dio ve dava era manna
piovesta e non dava però vitta. Anzi moresti tutti nel deserto, eccetto dui. Ma el corpo de Cristo
porge vita eterna e beata ai crestiani chi lo manzano dignamente. Iohannis sesto capitulo: dice
Cristo: "Patres vestri manducaverunt manna in deserto et mortui sunt; qui manducat hunc panem
vivet in eternum" ("Li vostri padri hanno manzatto la manna nel deserto e sonno morti; chi manza
questo pane viverà in eterno"). Questo pane dà grazia a l'uomo e non la manna, questo perdona li
peccatti e non la manna; di questo se scrive: 'Chi lo manza indignamente se manza el iudicio
incontra'. Ecco adunque la dignità e benivolenzia de Dio verso il cristiano. El sesto beneficio è la
'sannazione de ogni infirmitade'. In niuno populo ha datto Dio tanti rimedii, tante medecine, né darà
mai a gente del mondo, quante ha datto a li cristiani. Li altri populi cum qualunque peccatto
morendo, o mortale o veniale, vanno a casa calda. Però dice Augustino: "Non è luoco di vero
sacrificio in tutto el mondo fuori di la santa madre Chiesa catolica". Che giovano a li Giudei lor
sacrificii, lor solennitade, lor oblazione? Nulla. Pertanto dice Dio per el profeta Isaia: "Chalendas
vestras et solemnitates odivit anima mea" ("L'anima mia ha odiatto le vostre calende e le vostre
solennitade"). Che valeno a' saraceni lor penitenzie, non bever vino, zezunar tutto el giorno per sino
a sera in pane ed acqua? Nulla. Però dice el profeta: "Non est anima mea ad populum istum" ("Non
ho l'anima mia inchinatta ad amar questo populo"). Li cristiani contra tutti i lor peccati hanno
rimedio datto per virtù del sangue sparso sopra la croce. Contra el peccatto originale è datto el
batesmo (Marci ultimo capitulo: "Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit", "Chi credarà e serà
battezatto averà salvazione"); ed hallo nel Decreto, prima distinzione, capitulo Cum ordinaretur,
item Greci. Contra i peccatti mortali è datta la confessione, contrizione e satisfazione reale; contra i
peccati veniali tu hai la confession general del sacerdote nella missa, anco l'acqua santa, anco
dicendo el Pater noster cum divozione. Ma nui ostinatti ed ingratti cristiani fugiammo e quasi
abiammo in odio queste medicine de Cristo. Dicono i sensualazi: "O padre, egli è pur forte cossa
tanto zezunare, tanta penitenzia, etcetera". O poverello, non sai tu che li medici dicono che niunna
medicina vale un pizolo, se la non è amara e forte? Pertanto sotto figura nel Testamento Vecchio era
proibito metter mielle nelli sacrificii, comme hai libro Levittici. El settimo beneficio è 'ereditazione
de tutti i beni'. I cristiani solamente, comme veri figliuoli de Dio e de Cristo, hanno ad ereditare la
grazia de Dio e tutta la sua gloria. Però dice lo Apostolo (Ad Romanos): "Si autem filii et heredes,
heredes quidem Dei choeredes autem Christi" ("Se siammo figliuoli, seremo ancora eredi, eredi de
Dio e coeredi de Cristo"). Tutti li altri sonno comme figliuoli bastardi, privati de la eredità de
Cristo. Però cridava Isaia profeta: "Tollatur impius ne videat gloriam Dei" ("Sia rimosso el cattivo
ed impio, acciò ch'el non veda la faccia de Dio"). Paulo Ad Galatas: " Eice ancillam et filium eius"
("Manda via l'ancilla col suo figliuolo"). Fuori giudei, fuori pagani, fuori li mori, fuori li turchi!
Vorranno intrare in Paradiso el giorno del iudicio e seralli detto: "Fuori, fuori, andate a lo Inferno!
Io
non ve conosco. Vui non avete la vestimenta de cristiani donata e data nel batesmo. A che modo
adunque intrarete qua, non avendo le veste de le nozze? Pertanto, o demonii, venete e ligategli le
mane e' piedi e mandateli nelle tenebre di fuori; ivi serà pianto e sbatter de denti". O cristiani veri, a
vui serà detto: "Venete, o benedetti del mio Padre, possidete el reamme a vui apparecchiato. Galdete
mieco e trionfate, perché avette meritato le sedie di beati". Pertanto adunque el cristiano, chi è più
obligato a Dio, più debbe amarlo, più temmere, più averlo in riverenzia ca lo giudeo over pagano;
ed eziandio perché el aspetta magior mercede ed utilità. Però dice san Gregorio: "Tanto più ciascuno
debbe essere umele e pronto a servire a Dio per li doni ricevutti, quanto più el se sente obligato in
dovere render la raggione del bene avuto"; del qual Dio ne faza connoscenti. Sabbato: DE
L'ONORE DI PARENTI "Dissipavit substantiam suam vivendo luxuriose" (Luce quinto decimo
capitulo). Vorrebbe io, o cittadini, e vui valente madre, che oggi avesti menatto i vostri figliuoli e
figliuole a questa predicazione, nella quale intendo monstrarvi quanta obedienzia e quanta
riverenzia debbano aver figliuoli e figliuole verso lor padri e madre. Vederemmo oggi tre parte: la
prima de la venerazione a li padri cattivi; la secunda quale è la caggione che i figlioli sieno tristi; la
terza è la punizione de li fatti scelerati di figliuoli. Quanto a la prima parte dimandono i dottori
questa questioncella: conciosiacossaché ogni vicio è vituperabile, se un figliuolo over figliuola ha el
padre vicioso, s'egli è tenuto ad onorarlo. Responde san Tomaso ne la Secunda secunde (questione
centesima terzia, articulo secundo), prima dechiarando che cossa sia onore, e dice: Onore è una
testimonianza de la eccellenzia de alcuno; la qual testificazione alcuna volta se fa cum parolle,
alcuna volta cum fatti e gesti de la persona. Onore se fa cum parolle favellando onestamente cum
umeltà; cum gesti se fa, discoprendo il capo, inchinarlo, levarsi di seggia: i qual gesti protestano che
in colui a chi son fatti è qualche eccellenzia e virtù, la qual te muove ad onorarlo. Dico adunque al
propoxito: se nui consideriammo el padre (o madre nostra) esser vizioso e ribaldo, giucatore e
biastematore, non so quanto iustamente se possa onorare, però che in lui non è eccellenzia de virtù,
anci più tosto privazione di quella ed infezione di vicio, onde el merita da esser vituperato e
disprezzato. O figliuoli, notate ed aprite le orecchie. El tuo padre si può considerare in dui modi:
prima, in quanto vizioso, cattivo e guloso, etcetera; e così dico che né figliuoli né figliole, né anco
creatura vivente son tenutti ad amarlo né onorarlo per alcun modo, anci più tosto averlo in odio ed
in vile estimazione. La raggione: ogni vizio se debbe aver in odio, e maximamente ogni inimico de
Dio, comme sonno tutti li viciosi contrarii a la santa madre Chiesa. El padre tuo, essendo ladro,
usuraro, guloso etcetera, è inimico de Dio; ergo tutte le creature el debeno avere in odio. Secundo:
el se può considerare in quanto egli è tuo padre, e ch'el te ha generatto e datto lo essere. In questo
modo consideratto, el padre ha sopra di te alcune eccellenzie, quale tu non le hai sopra di lui: quanto
a quelle, el merita da te onorazione. Quattro dignitade ha el padre sopra el figliuolo, per le quale
ello el debbe reverire, bench'el padre fusse el più cattivo uomo del mondo ed anco li avesse fatto
tutte le ingiurie che se possano fare a uno figliuolo. La prima, perché el padre è principio e causa de
l'esser del figliolo, e conciosiacossaché tra el principio e la cosa principiata debba essere ordine,
pertanto conviene che 'l figliuolo sia sottoposto al padre. Questa suggezione consiste nelli atti:
sedendo, caminando, sempre dar luoco al padre. Onde se narra che Scauro romano, invitato dal
padre al convito, il quale era allora senator di Roma, essendo per sedere a tavola, volea el padre
ch'el stasesse di sopra per rispetto de l'officio. El figliuolo disse: "Padre mio, in questo loco privato
dovete vui star dissopra, perché non son qui io senatore, ma vui sete ben padre"; e cossì feci. La
secunda eccellenzia è di esso padre benefattore verso el figliolo beneficiato, perché el padre ha datto
el viver al figliuolo; esso figliolo non è sufficiente a satisfare al padre: molto adunque el gli è
obligato. O figliuolo non sie ingrato a sovegnire a la vita, al bisogno, alla vecchiezza del padre e de
la madre: se non lo fai, tu meriti esser privato de la vita. Prendi exempi: in la natura vediammo li
animali bruti nutrire e portar da manzare a lor padri e madre quando son in vecchiezza. Quanti son
figliuoli chi hanno el padre e la madre poveri, e lor son ricchi? Non li portarebbeno una goza di
acqua, ben fussero infermi. O crudele generazione! O gente infidele! Non senza caggione Dio molte
volte ne mostra vendetta. Nota uno terribele iudicio de Dio che fu nel MCCCCLIII, sonno ora circa
anni XX. Era in una cittade chiamata Montana, tra le parte de l'Istria, uno figliolo assai sceleratto e
vicioso: avea suo padre bono, vecchio e povero. Spesse volte ch'el venea a casa, non trovava pane
né vino; alcune volte quando el batteva a l'usso di questo figliolo artifice ricco, dicendogli la donna:
"Egli è vostro padre", lui rispondea: "Che vole ora questo diavolo? Fallo vegnir suso". Davagli un
poco di pane e vino adacquato, comme se fa ai puti, e avea pazienzia. Quattro o cinque volte feci
cossì. Un giorno comprò costui un bon capone, e quando sonno a mensa per manzarlo ben studiato
e caldo, dice la donna cattiva instigata dal diavolo: "Or pur non è qui ora vostro padre". Dice el
marito: "Son ben contento: se 'l galderemmo in nostra pace". Eccoti, el iè battuto a l'usso: guarda e
vede che iè el suo padre, e dice: "E che 'l diavolo è questo vecchio maledetto! Che volete vui? Or
va, aprigli l'usso". Ed in quello andare ascondeno el capone in una cassa e danno al povero vecchio
del pane e un puoco di caso, e fanno a lui grande instanzia ch'el manzi presto, e poi li danno
comiatta. El figliolo, andato via el padre, corre a la cassa per el capone, apre li piategli, ed ecco da
quegli se leva un rospo grande e terribele e ie salta nel viso. Quanti medici e quante medecine furon
mai non lo poterono levarglielo da dosso: ie manzò tutta la faccia e divenne tutto leproso sì
fattamente ch'el non potea vivere fra la gente. *(Guardative ergo, etcetera)* David a questo
proposito dice: "Iustus es, Domine, et rectum iudicium tuum" ("Tu, Segnore, se' iusto e lo iudicio
tuo è ritto"). El terzo beneficio è chiamato 'amaistramento morale'. El padre e la madre han dato el
parlare a li figlioli, son stati suoi maestri al formar de le parole, però i figlioli cum la bocca, cum le
parole oneste, vergognose ed umele debeno parlare e rispondere a lor padri e madre. Però dice
Salomone (Ecclesiastici terzio capitulo): "Maledetto serà da Dio quello chi conturba la madre sua";
però nel Levitico era questo precetto che chi maledicea o biastemava el padre o la madre fussi
lapidato e morto. Tu hai l'exempio nel libro De septem donis quella mirabile visione: una figliola
superba di continuo era ribella a la madre, dicendogli parole iniuriose più volte; morta che fu questa
figliuola, ogni giorno sette volte era veduta, quando sonavano le ore canonice, con una bissa
longissima voltata cerca al collo e lo capo metteva in bocca di costei e manzavagli la lingua insino a
le radice. In capo di sette anni disparve quella visione. El quarto se chiamma 'castigazione'
(Ecclesiastici terzio capitulo): avendo te figliuoli, non cessa de castigargli e piegagli, domentre che
son gioveni, però che quello padre chi perdona a le busse, ha in odio el figliolo; pertanto i figliuoli
doverebeno sempre onorar i padri e volere esser sotto la lor diligenzia e guardia e corezione; se
fanno altramente, ne capita mal fine. O figlioli e figliole, notate sette benedizione che ve darà Dio,
se serette boni. Cioè la prima è chiamatta 'vita longa' (Ecclesiastici terzio capitulo: nota sette
benedizione de' figlioli): "Chi onora el padre e la madre averà vita longa". La secunda 'molta roba al
mondo' (Ecclesiastici terzio capitulo): "Chi onora sua madre è simele a quello chi fa cumulo di
robba". La terza è 'allegrezza di lui in suoi figliuoli' (Ecclesiastici terzio capitulo): "Quello chi onora
el padre e la madre averà allegrezza in figlioli proprii". La quarta 'exaldizione de Dio a suoi voti'
(Ecclesiastici terzio capitulo): "Se tu onorarai tuo padre, Dio exaldirà le tue prece". La quinta
'estabilità nel vivere' (Ecclesiastici terzio capitulo): "La benedizione del padre fa stabele le case de li
figlioli, ma la maledizione de la madre fa cavare per sino a li fundamenti". La sesta se chiamma
'acquisizione di bona fama nella citade'. La settima è 'vita eterna'. Circa la secunda parte principale,
se adimanda dove procede che i figlioli e figliole sonno cattivi e ribaldi. Al presente te assignarò
quattro cagione. La prima se chiamma el tristo exempio che hanno da lor in la sua etade piccola:
quando i figliuoli vedeno i padri giurare, biastemar, luxuriare, furar, etcetera, imparano far el
simele. Le figliole vedeno la madre tutto el giorno stare a vaghegiare, a ballar ed a farse bella:
imparano quel mal di saldo; onde el iè quasi impossibele che la figliola non sia ribalda, essendo la
madre per cattiva vita. Pertanto dice David profeta nel Salmo: "Col santo conversando te farai
santo, e col perverso te perverterai"; ne l'altro Salmo el dice: "El giorno espande la luce al giorno e
la notte communica la sua tenebra a la notte" (el giorno significa el bono, la notte significa el
cattivo). Fuge, figliola, la madre cattiva! La secunda cagione è la negletta correzione, cioè non
castigar i fancioli, dicendo: "Eh, eh, el iè un puto, el se vole suportare". Guai, guai a lui e a te! El
ligno, quando
è verde, se vole piegarlo e torgerlo; quando serà vecchio, tu nol potrai regere. Pertanto è scritto
(Libro Proverbiorum XXIII [ma XXIX] capitulo): "El fanciolo chi si lassa a la propria voluntade
confunde la madre sua". Tu hai qua a proposito quel notabele exempio de uno figliolo chi ogni
giorno robava, ora un pomo, ora una gallina, e portava a casa, e lo padre rideva dicendo: "El iè
puto!"; ora robava tri soldi, ora quattro, e mai el padre no 'l riprendeva. Una notte se trovòe a robare
in casa d'uno mercadante: fu preso e messo in prigione. Se finse volere el padre, quando andava a la
forca, e basandolo e' li tagliò el naso cum li denti dicendo: "O padre traditore, per tua cagione sì
vilmente moro, etcetera". Però dice Salamone (Ecclesiastici VII capitulo): "I figlioli se lamentano
del padre perverso ed impio, però che per sua cagione sono egli in vergogna". La terza cagione è la
divina iustizia. La donna diabolica non potrà aver figlioli, perché Dio non vole: la cercarà strighe,
incantamenti ed erbarie, e lo diavolo ie darà uno figliolo per tal trista via. Or pensa come el sarà
bono! El portarà sieco tanti guai, tanti affanni, tante tribulazione, che guai a la trista madre,
comm'ella merita. E tu cittadino, per far ricchi i figlioli, robi, inganni, asforzi poveri e Dio cum li
santi! La iustizia de Dio dice: "Te ne farò portar la pena", perché divengono poi tristi e te fanno
morire dieci anni inanci tempo. E vero? Sì, sì. La quarta se chiamma divina vendetta. O figliuoli e
figliuole cattive, state attenti! Dio dice, per bocca del suo canzeller Luca (VIII [ma VI] capitulo):
"Eadem mensura qua mensi fueritis metietur vobis" ("Di quella mesura che mesurarete ad altri ve
serà mesurato a vui"). Se' tu statto desobediente a tuo padre e a tua madre? Halli tu dato de le botte,
over ditto villenia? "Mesersì, date di bona voglia". El medeximo faranno a ti i tuoi figlioli. Uno
figliolo trassi el padre per i capegli per sino a l'ultimo scallino de la scala. El padre, quando fu a
quel luoco, cominzò a cridare e disse: "Non più, non più, figliolo, che per sino a qua e non più oltra
tirai ancora io el mio padre! Hai fatto la vendetta". *(Lassa la tercia parte principale; e dirai un
miraculo de la Madonna)* Dominica terzia: DIO PIU' TOSTO USA MISERICORDIA CA
IUSTICIA VERSO GLI PECCATORI "Omne regnum in seipsum divisum desolabitur" (Luce
undecimo). Tutte le creature create da Dio eterno hanno in sé qualche ordine e convenienzia, per lo
qual se regono e mantengono in suo essere, e rotto che sia quello, ordine e pace vengono a mancare.
*(Dechiararemmo el Vangelio)* Sopra questo Evangelio vedaremmo oggi tre parte, over tri dubii.
El primo: conciosiacossaché Dio abbi providenzia di tutte le cosse che hanno a essere, dove procede
che alcune cittade son destrutte, dissipate e temporalmente tutte ruinate? Secundo: perché ne castiga
lui alcune di quelle paternalmente? Terzio: perché ne deffende 'lo alcune maravigliosamente? Circa
la prima questione, rispondeno i dottori che per due ragione se trova Dio aver destrutto alcune
cittade totalmente: primo per esser generalmente tutti imbrattati nel male. Questo se dimostra nella
regione di Sodoma e Gomorra, de le quale cittade se lege (Genesis XIII capitulo): "Homines
Sodomiti pessimi erant, et peccatores coram Deo nimis" ("Li omeni Sedomiti erano pessimi e
troppo grandi peccatori inanci a Dio"); per le qual parolle el se dà ad intendere che non se
ritrovavano alcuni iusti, ma tutti erano fragidi ed infetti. Onde sequita che, deliberatto Dio de
esterminargli, disse Abraam a Dio: "O Segnore, vorrai tu perdere el iusto con lo iniquo? Se 'l se
trovaranno cinquanta iusti in la città, vorai tu farli morire e non perdonargli? Non vogli far questa
cossa, o Segnore, cioè che tu consummi el iusto con lo sceleratto impio!". Allora Dio disse: "O
Abraam, se io trovarò in Sodoma cinquanta iusti in mezzo de la cittade, io perdonarò a tutta la
cittade per amor di quegli cinquanta; ed ancora se ne trovarò trenta, ed ancora se venti, a tutti
perdonarò". E venne da cinquanta per sino a dieci: arebbe Dio perdonato a tutte, purché de tanto
numero ie ne fussero stati dieci boni. O summa pietà de Dio! E non solamente Dio non supporta
l'uomo cattivo, anci lo chiamma e vallo allusengando. O grande placabilità de Dio! Piccolo numero
de omeni iusti mittigava la iusta ira de Dio. O miserabile condizione che fra tanta migliara di anime
non pur dieci glie ristaseno boni! In questa parte è diversa la iustizia de Dio da quella de li omeni:
dove sonno assai in colpa, l'uomo non ne fa punizione. Augustino, distinzione quadrigesima,
capitulo Commessationes: "La severità se debbe exercitare nel peccato di puochi", quasi voglia dire
'non già nel peccato de assai'. Questo è uno signo evidentissimo che Dio debba fulminare la sua ira
sopra de uno populo, cioè quando la potenzia umana dissimula la punizione, over se temme in fare
la iustizia, allora Dio, chi non temme multitudine comme uno leone ferocissimo, mandali
pestilenzia o guerra o famme o altre tribulazione. Però parla lui per lo profeta Osea: "Ego sum quasi
leena Effraym, et quasi catulus leonis" ("Io sonno a modo de una leonza e a modo de uno leonzello
ad Effraim"). "Effraim" vuol dire multitudine. La leonza, tolti e robbati i suoi figliuoli lioncegli,
cridda e cum furore ed impeto discorre che cento omeni non glie potrebeno resistere. Però se dà a
intendere che Dio non guarda a qualunque multitudine, maximamente quando la è trista, comme tu
hai Sapientie, XV capitulo: "Multitudo impiorum non erit uttilis, nam per eam Altissimus
provocatur ad furorem" ("La multitudine di cattivi non serà utile, però che Dio per quella fi
provocato ad ira"). Secundo se trova Dio aver punito molte cittade e populi per la lor incorrezione e
finale impenitenzia. La prima gente di Babilonia, capo de l'imperio orientale, nominatissima tra
tutte le gente de l'universo, feci quella sua cittade, Babilonia, in forma quadra, ed ogni quadro
cingeva sedeci migliara, sì che in tutto el giro circundava sesantaquattro migliara. E san Ieronimo
recita ne li Commenti sopra Isaia che Cirro, re de Persia, glie stete a campo cum grande forza molti
anni. E pur a puoco a puoco è mancatta e finalmente venuta a ruina. Morti li abitatori, rimane
dessolta per sino a l'ora presente, e piena de serpenti, draconi ed altri animali venenosi. Questo era
già stato profetatto per Isaia: "Perdam Babilonis nomen et reliquias" et cetera ("Io perduto farò el
nomme de Babilonia e le sue reliquie e sue stirpe, over figliuoli, e sì la metterò per possessione del
rizuollo e per pallude de le acque"). Egli è cascata Babilonia, egli è cascata quella cittade grande e
tutti i suoi idoli son spezatti in terra. Che diremmo nui de Ninive, quella grande cittade de la quale
recita san Ieronimo che, accettata già da Dio a misericordia, se involupò ancora in peccati maggiori
de li primi. Dopo che Iona glie ebbi predicato, se mettereno in paura e fecerono grande penitenzia,
vestiti de sacchi, zezunando etcetera; da lì a puoco i scelerati abituati in mal fare ritornorono a le
sue vie triste. De li quali dice el profeta Naum: "O Ninive, tu se' destrutta e tutti sì te dellegiaranno".
Io non so a che modo te possa consolare. Deh, dimme un puoco, o Giudeo dotto: qual fu la cagione
de la ruina e somersione di Ierusalem? che cossa l'ha tratta in devastazione? Quando Cristo intrava
dentro di lei per predicargli, tutta la brigatta facea grande festa a Iesu Cristo e triunfi assai, comme
dice san Luca: "E guardando el bon maistro quella città scorretta, piansi sopra di essa, dicendo: 'Si
conovisses et tu... Quia venient dies in te: et circumdabunt te inimici tui vallo et coangustabunt te
undique et ad terram prosternent te et filios tuos, qui in te sunt, et non relinquetur in te lapis super
lapidem: eo quod non cognoveris tempus visitationis tue'" ("Se tu avesti connosciuto, ancora tu
piangeresti. El se approximaranno giorni contrarii a te e serai circundata da' tuoi inimici cum
pallificate e sì te sbatteranno a terra e li tuoi figliuoli che sonno dentro de le tue mure, e non
lassaranno piera sopra piera, perché non hai connosciuto el tempo de la tua visitazione"). O
Ierusalem povera, o città nobele, guai a te! Li tuoi innimici triunfaranno di te. Oimè, che bene è
verificatta questa profecia fatta da Cristo! El se accumulò tanto la divina iustizia contra di te che
Titto e Vespasiano, da poi la morte de Cristo anni quaranta, i quali anni erano datti a far penitenzia,
vennerono a metterte a sacco. In te fu sì grande caristia che la madre manzava i proprii figliuoli per
fame; stando in casa a sedere vedeva el maritto la propria mugliere cascare in terra di fame; li
figliuoli cridavano: "O mama, o mama!"; e lei era morta e li figliuoli per fame glie andavano drieto.
Insumma ne morirono siecento milia, comme dice Iosefo, chi furono gettatti fuori de le mure,
perché non poteano stare tra le piazze. Li poveri fugiano da la cittade e andavano in campo de'
Romani per aver da manzare. Aimè, poveregli: erano presi, tagliatte le orecchie e cavatti li occhi e
cossì gli rimandavano in Ierusalem ed ive morivano. O Italia povera, o Italia dissoluta, temme Dio,
fa penitenzia! Hai lo exempio de la povera Grecia: guarda comme la sta. O Constantinopoli, chi te
ha misso in man del Turco? La poca tua bontade, la luxuria ed infideltade tua; però dice Orosio
(libro secundo De origine Urbis): "Vogliano ora temere le cittade tutte s'elle sonno incorrigibele, se i
peccatti son molti e la penitenzia nulla". E che giovaranno le nostre ricchezze, li tesori, el stato e
dominio grande contra la ira de Dio? Mutatte vitta, e Dio mutarà sentenzia. La secunda parte
principale: alcuna volta Dio castiga una cittade ed una gente non comme giudice, ma comme padre;
e questo lo fa Lui per tre caggione principale. Una è per purgazione de alcuni peccati. Dice il testo
di Maccabei (secundi Machabeorum
sesto capitulo): "Multo tempore non sinetur peccatoribus ex sententia agere, sed statim ultionem
adhibere magni beneficii est indicium" ("Non permettere a li peccatori che facino a suo modo le sue
pacìe, ma incontinente farne vendetta e punizione è signo di grande beneficio de Dio"). In questo
modo flagellò Dio più volte Ierusalem nel tempo de Sedechia re di Giudei, quando la cittade fu
prexa da' Caldei e rimasa desolatta, abandonatta e depopulatta circa anni LXXII, onde Ierimia,
scrivendo al populo, tra le altre cosse glie dice queste parolle: "Per li vostri peccati che avetti
commesso inanci a Dio seretti menati prigione in Babilonia da Nabucodonosor, re di Babilonia";
nondimeno quando Dio li ebbi flagellatti ed umiliati ritornorono a li primi peccatti. Pertanto Baruch
profeta dice in persona de Dio: "Emisi vos cum luctu, reducam autem cum gaudio et iocunditate"
("Io ve ho lasatto menar via cum pianto, ma io ve ritrarrò a casa cum allegrezza"). Secundo: Dio
flagella alcuna volta un populo, perché sonno ingratti e perché se dimenticano di beneficii del suo
Signor Dio; onde accade che molte volte l'uomo flagellato se reduce a memoria i beneficii de Dio.
Più volte l'omo in prosperitade non fa estimazione de Dio, ricco essendo ed in bon tempo. Glie
mandarà el Signore una avversitade di robba e de infirmitade: allora el conoscerà Dio e a lui se
ricomandarà. E' vero? Sì, messere. Tu hai per confirmazione di questo: Dio flagellòe il populo nel
tempo de Amasia, re di Giudei. Avendo Amasia avutto una battaglia contra li Idumei ed avendo
ottenuto vittoria , se dimenticòe el reamme de Dio e lo beneficio ricevutto gettò da canto; lui cum lo
populo giudeo andarono drietto a le idole e adororono le statue che aveano tolti da li Idumei. Dio,
adiratto contra di lor, mandò Ioas, re di Samaria, chi mise campo contra Ierusalem, ed ottenutta ch'el
la ebbi, la mise tutta a sacco, brusò le case e gettò una parte de le mura a terra. La istoria è scritta
secundo libro Paralipomenon. Terzio: Dio punisse alcuna volta per dimostrare quale è la natura de
le cosse del mondo e per farne accendere a lo amore de la cittade de la vita superna. Quando la
madre vole dislattare el fanciullo, glie dà a gustare sopra de la mammella qualche cossa amara.
L'uomo vivendo sano in questo mondo ne ha piacere e sentendo questa dolcezza non se cura de
lasciarlo e mette tutto il suo amore e lo suo fine in questa presente vita: de vita eterna non se
ricorda, anci peggio, non la crede. Manda Dio qualche amaritudine e, sentitta quella, el fugge questa
vitta per disprezzo. Cossì facea Paulo, dicendo: "Non habemus hic manentem civitatem, sed
futuram inquirimus" ("Nui non abbiamo qua ferma cittade, ma cerchiammo quella di sopra, che ha a
vegnire in nostro uso"). Questa raggione mette Augustino (primo De Civitate Dei), dicendo che Dio,
volendo dimostrare al populo romano la vita felice e lo reamme e dominio eterno, glie tolsi el
reamme temporale, perché lo amavano troppo. Pertanto dice Cristo: "Niunno può servire
perfettamente a dui contrarii signorii", cioè a Dio ed al demonio, overo a la avarizia. La terzia parte
principale serà a vedere quanta è la bontade e pietade de Dio in governare, defendere e mantenere
molti populi. Questo dicea el nostro bon citarista David nel Salmo: "Deus noster refugium et virtus,
adiutor in tribulationibus" ("Dio è il nostro rifugio e la nostra virtude, Dio è adiutore nelle
tribulazione"). In uno altro Salmo el dimanda: "Da nobis, Domine, auxilium de tribulatione, quia
vana salus hominis" ("O Segnore, porgene adiutorio nella tribulazione, perché la salute e fortezza de
l'uomo è vana"). Io ho trovato tre caggione per le quale Dio adiutta una cittade, un populo, una
gente. La prima se chiamma 'compassione de li afflitti'; onde dice Dio nel Salmo: "Propter miseriam
inopum et gemitum pauperum nunc exurgam, dicit Dominus" ("Io me farò ora in defensore per
rispetto de la miseria de li poveri e pianto de li debeli infermi"). E li populi dicono: "Tu Domine
servabis nos et custodies nos" ("Tu Segnore ne servarai e guardarai da male"). Questa verità se
dimostra quarto Regum, sesto capitulo: Avendo obsidiatto Benadab, re de Siria, el populo di
Samaria, per fame e caristia grandissima, molte matrone per vergogna de non mendicare coxerono i
proprii figlioli e li manzaveno. El pietoso Dio li ebbi compassione: un giorno tutti i populi a la
desperatta ussirono da Samaria ed introrono nel campo del re de Siria; el re cum el campo suo
avendo paura, perché non era in ponto né provedutta la brigatta, comminzò a cridare: 'Sangue!
Sangue!'. Comminzorono a fuggire tutti comme cervi e lassorono cavagli, arme, pane, vino, oglio
ed altra robba che satisfeci abundantemente per dui anni a tutta Samaria, intanto che dui pani se
davano per un dinaro. *(O grande pietade del Signore, et cetera)* Secundo: se move Dio a
compassione alcuna volta per le orazione e devozione di qualche bone persone. Di tale parla David
nel Salmo: "Clamaverunt ad Dominum cum tribularentur et exaudivit eos". Essendo le bone persone
tribulate, hanno fatto orazione a Dio ed esso le ha liberato. Questa misericordia fi demostrata nel
tempo de Ezechia, re di Ierusalem: Senacherib, re de la Siria, avendo obsidiatto Ierusalem, mandò
uno suo ambassatore a li Giudei ed al suo re, con menaze assai, dicendo ch'el gli dissiparebbe tutti a
fuoco e fiamma, et cetera. Allora il re Ezechia mandò ad Isaia profeta dicendo: "Vogli pregar Dio
per le minuzie del populo chi è rimasto". Incontinente, fatta la orazione, vedendo Dio la fede di
Isaia e la devozione del re, risposi in visione al profeta dicendo: "Ne timeas a facie verborum
istorum, que audisti, nam pueri eorum blasfemaverunt me", cioè: "Non abbi paura de sue menaze, le
quali abbi aldutto, perché li suoi famegli me abbino biastemato"). Ed ecco in la notte proxima
mandò el Segnor Dio el suo angelo con la spada insanguinatta e ne occise centoottantacinquemilia
de l'exercito de Senacherib. Non hai tu comme Dio, ancora per la orazione e divozione di quella
santa donna Iudith, liberò quella cittade Betulia de man di Oloferne? Terzio: fa misericordia Dio a
l'uomo, quando el torna a penitenzia. Hai l'exemplo in la città de Ninive. El profeta dice: "Qui sanat
contrictos corde" ("Dio salvarà i contritti del cuore"). E' chiaro adunque che senza Dio non vale
ogni creatura adiutare. Però dice David: "Tu es Deus meus et fortitudo mea, in manu tua sunt omnes
fines terre" ("Tu Dio solo se' la mia fortezza, e nelle tue mane sonno tutti i reammi del mondo").
Amen. Feria secunda: DEL PECCATO DE L'IRA "Repleti sunt omnes in synagoga ira" (Luce
quarto capitulo). *(Dechiara el Vangelio brevemente, e poi dirai:)* Avendo nel passatto giorno,
devotissimi in Cristo Iesu, per merito de vita, dechiarato assai efficacemente quanta sia la pazienzia,
la misericordia de Dio, che quantunque verso di nui abbi licite caggione doversi adirare e corrozare,
nondimeno riffrena e tempera la sua ira e furore volendo più tosto usar cum nui misericordia che
iustizia; oggi el riprova la insipienzia ed imprudenzia de l'omo, il quale non per cagione licite, anci
più volte per cagione facile e levissime, usa la sua ira e furore senza alcun freno e ragione; onde di
questa ira ne faremmo oggi tre contemplazione. Primo, se la ira è sempre peccato mortale; secundo,
dove procede che alcuni se turbano presto, alcuni tardi; terzio, se li peccatti fatti per ira sonno
manco gravi ca fatti senza ira. A la prima questione responde san Tomaso, nella Secunda secunde,
questione centessima qinquagesima ottava; e prima dechiara che cossa è la ira, secundo la
intenzione del comentatore in primo Ethicorum, commento quarto, chi dice cossì: "Ira est accensio
sanguinis circa cor ex vaporatione collere, vel felis" ("La ira è una incensione di 'l sangue circa el
cuore per evaporazione di collera over di felle"). Questa è sentenzia di Damasceno, libro secundo,
capitulo decimo settimo. Quanto a la caggione materiale, nota che la ira nasce ne l'uomo per una
accensione e buglimento di sangue, il quale va al cuore di l'uomo e scalda e fa buglire il cuore; e
questa incensione nasce, perché la collera, over il fielle, se vapora e se dilargano quegli vapori e
fiummi di collera. Questo se dimostra, ne la Vitta di Santi Padri, de l'abbate Arsenio, il quale un
giorno sputòe una grande quantitade di sangue; e dimandato che volea dir quello, risposi: "Questa è
la ira che io avea verso uno de li frategli". In questo modo nui diremmo nelli angeli e spiriti beati
non essere ira, né anco odio, comme in lor non è sangue né passione sensibele né compossizione de
elementi, né quantità alcuna elementale, però che Dio è spirito simplicissimo, comme hai primo
Sententiarum. Ma pur legemmo Dio più volte aversi adirato, quando vediammo ch'el punisse e ch'el
adopra el bastonne. Onde è da sapere che la ira in noi se considera in tri modi. In quanto la importa
una certa passion naturale: alcuni di natura sono piacevoli e piacenti, alcuni sanguinei, alcuni
malenconici (questi stanno assai a turbarsi, ma sono periculosi); alcuni sono collerici, e questi per
forza di natura presto e spesso se turbano e corrozano e cridano 'Oh, oh' e giurano et cetera (questi
sono come vento e nuvole chi non mandono pioggia dapo' sé; in uno batter de occhio sono
ritornati): questa ira non è peccato, perché è uno difetto naturale come altri simili, cioè fame, sete,
sonno. Secundo, la ira può essere solamente nel iudicio de la ragione senza commozione de l'animo;
e questa non so se la debba chiamare ira, over più presto zelo di iusticia, come è quando il iudice
punisse uno per ragione. Terzio, la ira alcuna volta è fundata ne l'appetito sensitivo, e questa è
distinta, però che alcuna volta questa ira è regulata da la ragione e bono iudicio, e questo è quando
l'uomo se corruoza quando è bisogno e quando el debbe: questa ira non è peccato, anci piuttosto è
una virtude
chiamata zelo. Quando tu vedi le cose andare male, tu cridi, tu te corruozi: 'Oh, oh' et cetera. In
questo se corrozò Cristo quando el intròe ne la chiesa e vide far mercadanzie ed usure e traffichi:
allora el gettò fuori le mense e li venditori e sparsi li dinari de' cambiatori, dicendo: "O giudei, ladri,
ribaldi! Domus mea domus orationis vocabitur, vos autem fecistis illam speluncam latronum" ("La
mia casa fi detta casa di orazione e voi l'aveti fatta casa di latroni"). Dice Aristotile ne la Ethica che
corrozarsi alcuna volta per la verità e iusticia è atto di magnificenzia. "O - dirà la brigatta - egli è
superbo!". Non dicono el vero; anci è uno omo virile e magnifico del cuore. Uno altro non parlarà
mai, s'el vedesse ruinare el mondo. E la brigatta dirà: "El è umana creatura, non dice mai nulla".
Dice Aristotile: "Non dire così, anci è una pecorella senza cuore". Dice ne l'Ethica el filosofo: "Non
è proprietà de l'uomo mansueto non corrozarsi mai". Ma allora è mansueto quando non se corroza
mai senza senza cagione: intende bene! Ancora può esser questa ira non governata da la ragione, ma
passa il termino di essa ragione, come è quando l'uomo non guarda tempo né luoco né modo, ma
come imbriaco pazzeggia, crida e batte et cetera: questa ira (come dice santo Gregorio, XXXI
Moralium) è sempre peccato mortale. Considerasi la ira in tri suggetti. Primo nel cuore, e da qua
nascono dui rami e due figliole: la prima se chiama 'indignazione', la secunda 'sconfiamento di
mente', la terza è parola iniuriosa, e da questa nascono due altre: la prima è ditta 'pazzo cridare', la
secunda 'biastema', over giurar cum villania. Terzio può poi essere la ira nello effetto, cioè litte,
guerre, rixe, morte, sette, divisione, parzialitade, odio, ed altre cattive operazione infinite et cetera.
Circa la secunda parte, Senica dice (libro de ira) che la ira nasce da sei cagione, e chi se ritrova in
una di quelle presto se adira, e chi non se ritrova è tardo a corrozarsi. La prima si è la natura over la
complessione de l'uomo, però questo è ne li collerici, che presto se corrozano, perché la collera
presto se gli accende. Non è così nelli flemmatici; onde per esperienzia vediamo assai chi non
solamente cum li omini ma da sé medesimi se turbano: scrivendo rompino e gettano la penna da
largo; molti giugatori gettano in terra la tavola e li dadi ed altri instrumenti lor. Questo dicono i
medici, che l'uomo spesso se coroza: procede perché eglie cresce el fielle; e quanto più cresce el
fielle, tanto più è incitato l'uomo e disposto a l'ira, e quasi per niente e subito se turba. El se recita
ne la Vita di Santi Padri che uno monaco spesse volte se turbava cum gli fratelli. E' pensòe dicendo:
"Se fusse solitario, io non me corrozaribbe". Andòe ad abitare al bosco, e una volta andato al pozzo
per cavare acqua, mise el vase sopra el pozzo, e sì se spersi; e costui con furia ed ira priesi el vase e
sì 'l spezzò in terra. Doppoi ritornato in sé medesimo, vidi che la ira non nascea per compagnia de
frati, ma era quasi da natura. Secundariamente nasce la ira dal vino troppo bevuto, il qual
legermente accende el sangue e muove l'uomo ad ira. El se lege che Noè, chi fu il primo piantatore
de la vigna, mise il ligno di essa vite a bagnare in sangue de tri animali, cioè leone, porco e simia.
Vole questo significar che quello chi se guasta dal vino alcuna volta è simele al porco, gittandosi nel
fango e per terra senza rispetto; alcuni embriachi sono a modo de una simia cum atti e novelle e
canti; alcuni sono a modo de leoni furibondi e periculosi, gli pare esser uno Ettor over uno Sansone,
cridano e biastemano et cetera, e per questa cagione divengono iracondi, et cetera. La terza cagione
alcuna volta è per essere nutrito troppo delicatamente. Vediamo questi figliuoli de zentilomeni
nutriti cum tante carezze e piacevolezze e mai non gustorono alcun desasio: tutte le cose hanno
secundo la sua voluntà, per ogni minima cosa gli sia fatta se corrozano e se desdignano per non
essere usati a sentire molestia over cosa despiacente. Prendi exempio in li muli, over cavalli:
quando son stati in stalla doi over tri mesi a biada e spelta, menano i calzi al suo messere, mordeno
e non se lasseno imbrennare. Quarto: nasce alcuna volta per lo appetito del dominare, per essere
usato a governare altrui. A questo proposito Valerio Maximo recita uno exempio de uno zentiluomo
romano dimandato Silla (tu hai questo: libro nono, capitulo De ira), il qual venuto come
ambassiatore de' Romani ad uno luoco chiamato Pozuolo, e dimandava in nome di 'l Senato
Romano trenta migliara de ducati. Quelli cittadini non volendoli obedire, se mossi a tanta ira e a
tanto furore ch'el sputtò el sangue vivo per ira e cascò in terra come morto: non era usatto a dovere
essere disobeditto, ma sempre era statto grande maestro, e, come commandava, era obedito. Quinto
nasce da molte faccende ed occupazione. Sesto, nasce da infirmitade: vediamo lo infirmo, comme
gottosi, astropiati, esser mal pazienti. Or venga la ira e nasca dove se voglia, l'uomo la debe fugire,
perché la offende e noce a la vita umana. Tre grande offensione induce la ira ne l'omo. Primo la
priva de la ragione e buono iudicio; onde uno filosofo dice: "La lege vede l'uomo adirato, ma esso
adirato non vede già la lege". Così conferma el moral Catone: "Ira impedit animum ne possit
cernere verum" ("La ira impazza lo animo ch'el non possa vedere el vero"). Una volta Teodosio
imperatore, avendo perduto in fatti di guerra, per rabia ed ira feci morire molti soi cittadini; poi
venne a Millano, e lo giorno de la domenica volea intrare in chiesia. Santo Ambrosio el scaciò fuori,
dicendoli: "Fuori, fuori, diavolo!". Vedendo questo, lo imperatore ie disse: "David ancora commise
adulterio ed omicidio". Allora Ambrosio disse: "Se tu lo hai sequitato errante, sequitalo eziandio
corrigente se stesso". Alduto questo parlare, se mise in lacrime e feci publica penitenzia; poi fece
statuto che niuno fusse iudicato a morte inanci quaranta giorni de qualunque delitto commisso, over
iniuria fatta, acciò che, passata la ira, l'uomo in quiete di mente meglio iudicasse. Secundo: la ira
induce l'omo a odio di se stesso, del proximo e de Dio. Terzio: la induce l'omo assai volte a
desperazione ed anco minuisse la vita de l'omo. Se scrive ne lo Ecclesiastico: "Zelus et iracundia
minuent dies et ante tempus ad senectutem perducent" ("El zelo e l'ira disminuiscono i giorni del
vivere umano e fanno presto approximare la vecchiezza"). Recita santo Ieronimo nelle sue Croniche
che Ercule, essendo infermo e non potendo guarire per umano adiutorio, venne in tanta ira e furore
ch'el fece accendere uno grande fuoco e gittandosi dentro morì desperato. Lassati adunque la ira,
siati umani e placabili, usate pace, pazienzia e umilitade, perché Mathei quinto se dice: "Beati
mites, quia ipsi possidebunt terram. Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur ("Beati li mansueti,
perché egli possideranno la terra, beati li pacifici perché seranno ditti figliuoli de Dio"), qua per
grazia, in Paradiso per gloria. Amen. Feria terzia: DE LA DILEZIONE DE L'INIMICI "Si
peccaverit in te frater tuus, vade et corripe eum inter te et ipsum solum (Mathei decimo ottavo ed in
Evangelio odierno). *(Dechiarato el Evangelio secundo la littera, dirai poi tu, predicatore)* Oggi el
maestro nostro, carissimi, amatuore pieno di carità, ne insegna a dover retenere la benivolenzia e lo
amore del prossimo e del nostro fratello, onde el ne mette inanci la regula de la ammonizione,
quando lui peccasse. Non vol oggi Iesu Cristo dire altro, se none dimonstrare in qual modo l'uomo è
tenuto ed obligato amar l'altro omo, però che tale è divina e naturale, de la qual noi faremo tre
contemplazione. E primo, dimandaremo se l'omo è tenuto ad amar tutti gli altri omini, amici over
inimici; secundo, qual è magior merito, amare lo amico over lo inimico; terzio, che cosa ne invitta a
questo alternativo e fraternal amore. Quanto a la prima dubitazione, potrebbe estimare alcuno ch'el
non se debba amare lo inimico, però ch'el pare che la natura abbi in orror le cose nocive e contrarie:
lo inimico contrario al vivere de l'omo, in quanto el turba la mente ragionevele, pertanto pare ch'el
non se debba amare. Santo Tomaso (Secunda secunde, questione XXV, articulo VIII e IX) dice così:
"Lo inimico se può considerare in tri modi. Primo, in quanto inimico e secundo el suo essere
personale". E così se mette questa conclusione, che niuno è tenutto ad amare lo inimico sotto
rispetto de inimico, anci quanto a questo rispetto lo debbe odiare. La ragione è in pronto: l'uomo
debbe aver in odio ogni cosa cattiva; lo inimico è cosa cattiva e nociva; adunque non se debbe
amare, anci aver in odio. E questo è chiamatto da li santi 'odio perfetto e bono'. Di questo parlava
David nel Salmo: "Iniquos [...] habui" (cioè: "Io ho avuto in odio li uomini iniqui"); ancora in uno
altro loco: "Perfecto odio oderam illos et inimici facti sunt mihi" ("De odio perfetto io li ho odiati
ed a me son fatti inimici"). O santo odio! O inimicizia bona! Dio volesse che tutto il mondo fusse
pieno di questo odio, che ognuno avesse in odio li cattivi, li ribaldi, li rei, e non serebben tanti mali
al mondo. Ma ogi li cattivi son amati, onorati ed appreciati. Secundo: se pò considerare el cattivo
quanto a l'esser natural, in quanto creatura de Dio; e quanto a questo, prende questa secunda
conclusione. Ognuno è tenuto ad amar lo inimico, perché egli è fattura de Dio, sotto pena di peccato
mortale. La ragione: tutte le cose che son bone di sé debeno esser amate da noi; tutti li omeni son
boni, in quanto creati da Dio, perché Dio non feci mai cosa cattiva (Genesi, primo capitulo: "Vidi
Dio tutte le cose ch'el avea fatto, ed erano molte bone"): perché, benché l'uom sia meglior e più
nobile ca la donna e lo animale bruto meglior del saxo, nondimeno tutte le cose in sua specie
son bone, e non potrebben esser più perfette; anco tutte le cose che Dio ha fatto eglie ama.
Adunque per conformarsi a la voluntà divina, siamo tenuti ad amar tutte le sue creature, e perciò
sotto tal generalità siamo tenuti a pregare così per inimici como per amici: chi facesse el contrario,
peccarebe mortalmente. Terzio: se pò considerar lo inimico quanto a l'esser particulare, in quanto
Piero o Ioanne, ed in questo caso se mette questa conclusione: non è di necessità che tu ami lo
inimico particularmente in quanto tale. La ragione è questa: non è possibile connoscere tutte le
creature, onde io non so chi sia el re di Franza, né anco el re de Ingaltera; ma in commune è
necessario amar tutti i cristiani, boni e cattivi, amici ed inimici, ed anco gli pagani. Però dice Cristo
(Mathei quinto): "Diligite inimicos" ("Amate gli inimici e facete bene a quelli che ve hanno odio,
come fa il vostro padre celestiale, chi fa luxir el sole sopra li boni e cattivi"). Quanto a la secunda
parte principale, dico: benché la dilezione de l'amico sia più compiacente e più naturale ca quella de
l'inimico, nondimeno è più merito amar lo inimico. No 'l voglio credere! Te 'l provo per tre ragione.
La prima fi detta 'premiazione'. Questa è sentenzia de Cassiodoro sopra el Salmo LII, chi dice così:
"La mercede depende dal merito", onde tanto son da fir detti più grande le virtude de li meriti,
quanto più son grandi li lor premii dati dal iusto Dio. Ma Cristo dice (Mathei quinto): "Se voi amate
li vostri amici, che mercede ve credete voi acquistare?"; quasi voglia dire: "Nulla, però che ancora i
publicani fanno questo". Adunque amate gli vostri inimici. E che premio per questo averemo noi?
Risponde Cristo: "Voi sareti figliuole del padre mio celestiale". Ecco el premio: esser figliuolo de
Dio, essere erede di vita eterna. La secunda ragione è chiamata 'inflammazione di carità'. Nota
questa ragione: santo Toma d'Aquino (Prima secunde) dice che tutta la ragione del merito consiste
ne la caritade, e la radice del meritare consiste ne l'opera. Ma la carità, la quale è perfezione de tutte
le bone opere, come dice Paulo apostolo ("La carità è ligame di perfezione"), più se diffunde in lo
amore de l'inimico ca da l'amico. Onde è da notare che lo amore de l'amico è comparato ad uno
fuoco grande, l'amor de l'inimico ad uno fuoco maximo; a scaldare uno agiazato e freddo fa bisogno
fuoco grande, a riscaldar uno tepido poco fuoco basta. Questa ragione mette Augustino (De doctrina
christiana): "A volere amare l'amico bisogna poca carità, perché già l'omo è disposto ad amarlo; ma
a dovere amare lo inimico fa bisogno grande fuoco". Del qual volsi parlar Cristo (Luce XII
capitulo): "Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut ardeat?" (dice Cristo: "Io son venuto a
mettere il fuoco de amore in terra; e che altro voglio io ch'el faza se none ch'el consumi ogni odio,
ogni veneno de malivolenzia?"). La terza ragione fi ditta 'prontitudine'. Nota la ragione che fa Ugo
(libro De sacramentis, terzio, parte ultima): "Quanto più l'omo fa uno bene con magior voluntade e
prontitudine, tanto più quella opera è meritoria". Verbigrazia, a voler zezunare è puoca fatica in uno
giovine sano e gaiardo, ma ad uno vecchio di tempo, debile e mezzo infermo ie serà fatica, ma pure
zezunarà cum una voluntà pronta e cum tutte sue forze; e pertanto senza dubio el meritarà più ca lo
giovene sano. Ad amar l'amico è puoca fatica a l'omo, perché el lo ama per instinto naturale ed è
quasi cosa necessaria a l'affetto umano, come dice Aristotile (libro Ethicorum), ma in amare lo
inimico, perché si fa resistenzia a la inchinazione naturale per rispetto de la virtù, molto più è
meritorio. E questo basti per la secunda parte. Circa la terza, io trovo che tre ragione ne inducono a
dover amare lo inimico. La prima è ditta 'unità di natura'. Come dice lo Apostolo: "Christus est
caput nostrum nosque membra eius" ("Cristo è nostro capo e noi siamo suoi membri"). Ma se uno
membro ha male, tutti gli altri membri glie hanno compassione. Prende la esperienzia: s'el se fa
male al capo, incontinente l'uomo gli mette la mano. E' vero? Sì messere. O cristiano crudele, o
donna indurata, impara da li animali bruti e feroci: se per caso se hanno morsecato, incontinente
ritornano a manzare di brigata. La secunda se chiama 'divina obedienzia'. Cristo comanda (Mathei
quinto): "Amate i vostri inimici e facetili bene", ove el commanda lo amor cordiale cum effetto di
subsidio, però che quello che ha in odio il suo fratello è omicida, come hai ne la Epistola de Ioanne,
terzio capitulo: "Qui odit fratrem suum homicida est". Questo precetto noi non servamo quando non
perdoniamo al nostro inimico cum tutto el cuore quanto a lo effetto, e quando, vedendo lo inimico
in necessità, non li socorremo, cioè quanto a lo effetto esteriore de elemosina e de bono consiglio.
Comprende ancora Cristo in tale precetto la orazione, cioè che, quando tu no 'l puoi adiutare, se'
almanco obligato ricommandarlo a persone che 'l possano revelare, però el dice: "Orate pro
persequentibus et calumniantibus vos" ("Pregati per li vostri calunniatori e persecutori"). Ed in
questo consiste lo amor de Dio. Tre cose sono appropriate a Dio, le qual non le vol dare ad altrui.
Prima la sua gloria, la qual consiste ne la creazione del mondo, de la qual dice Isaia quarto: "Non
voglia dare ad altri la mia gloria". O grande potenzia de Dio! Qual è quel signor chi potesse creare
una piccola mosca, altra creatura? Niuno. La secunda cosa a Lui riservata è lo estremo iudicio
(Iohannis, quinto): "Pater dedit ei iudicium facere, quia Filius hominis est" ("El Padre gli ha
commisso il iudicio, perché è Figliolo de la Vergine"). La terza cosa è la vendetta. Paulo (Ad
Romanos, XII capitulo) dice in persona de Dio: "Mihi vindictam et ego retribuam" ("Voglio per me
far vendetta, e non permetto ad altri"). La terza ragione che induce ad amar lo inimico è la
magnificenzia: perdonare allo inimico è uno atto magnifico. El non è possibele ch'el sia persona da
bene quello chi sta duro e non vol perdonare a l'inimico umiliato; e così per lo contrario. Chi
perdona umanamente è signo ch'el sia magnanimo e zentille. El se legge che Cesaro imperatore se
ricordava de tutte le cose vedute, eccetto le iniurie. Però Aristotile pagano (quarto Ethicorum) dice:
"L'uomo magnanimo è smemorato del mal ricevuto". Risguarda adunque tu, cristiano, nel specchio
del petto di Cristo, il quale in croce da li soi inimici feritto a morte li perdonò liberamente e pregò
per loro al padre dicendo: "Pater ignosce illis, quia nesciunt quod faciunt" ("O padre, perdona a
questa gente, perché non intendeno ciò che egli facino", Mathei vigesimo sesto). Amen. Feria
quarta: DE LA PESTIFERA DETRAZIONE "Quod procedit ex ore, hoc coinquinat hominem"
(Mathei decimo capitulo). *(Dechiara brevemente lo Evangelio secundo la littera)*; nel quale
Evangelio se tratta d'una pessima e pestifera inimica chiamata detrazione, de la qual faremo tre
considerazione: la prima che cosa è detrazione; la secunda a che cose fi assimiliata essa detrazione;
la terza de li rimedii a fugire tal peccato. Circa la prima te fa chiaro Alexandro de Ales dicendo: "La
detrazione è una certa deturpazione di l'altrui nome per parlare occulto"; Ugo de Santo Vittore dice:
"La detrazione è uno parlar che procede da invidia e maculante l'altrui fama occultamente", cioè
murmurar d'altri non in sua presenzia, ma in secreto e cum indignazione e rancore de odio ed
invidia. E questo male se fa in sette vie. La prima se chiama 'occultazione'; quando tu sai una
persona esser bona, da bene e virtuosa, e tu sei dimandato di soi fatti, e tu tacito stai non volendo
laldarlo per invidia. In questo modo peccorono quelli poltroni chi guardorono el sepulcro de Cristo,
i quali sapiando che era resuscitato come vero Dio el terzo zorno, e adimandati da li giudei, avendo
già ricevuto dinari tristamente, non volseron manifestare. Nota tu, donna invidiosa, etcetera. La
secunda se chiama 'negazione': cioè negando la bona vita de uno e la sua virtude, come gli Giudei
chi diceano di Cristo: "El scaccia li demonii per virtude di Belzebub e non per propria potenzia.
Onde il non è figliolo de Dio". Questi maldicenti sono pegiori ca i ladri, però che i ladri robano cose
temporale, comme sono dinari, veste e argento, lo infamatore robba la buona fama, che è preciosa
sopra tutte le cose del mondo, come dice Salomone: "Melius est nomen bonum quam divitie multe"
("Egli è melior el bon nome ca molte ricchezze"); ed in uno altro capitulo: "Abbi cura del bono
nome". Che vale uno omo infame? Che giovano ricchezze cum la infamia appresso il populo? Che
vale uno mercadante, perduta la reputazione? Che vale una donzella doppo che gli è stato levata la
fama? Nulla! Pertanto simili murmuratori ed infamatori meritano esser morti. Che li potrà
assolvere? El demonio col foco eterno! Non sai tu che Augustino dice: "Non remittitur peccatum
nisi restituatur ablatum", cioè: "El non se perdona el peccato se 'l non se restituisse el furato"?. Se
l'uomo non può esser assolto non restituendo dieci, venti soldi furati, a che modo seràlo assolto,
avendo robbato la fama d'altrui irrecuperabele?. La terza fi detta 'depravazione': cioè quando l'omo
vicia e corrompe el ben d'altrui, dicendo : "Oh, el lo ha fatto a fin de male"; tu vederai uno
confessarsi spesso, e dirai: "Oh, el fa questo per parere bono e per ipocrisia", et cetera. De questi
parla santo Ioanne Crisostomo: "Sono alcuni omeni perversi, simili a li Farisei, li quali iudicano
male de ogne cosa che vedeno. S'egli è uno dato a la umilitade, subito egli dicono 'Egli è ipocrita';
s'el prende uno poco di recreazione, dicono presto 'Egli è guloso'; s'egli è paziente, lo fanno
timoroso; s'egli è iusto, lo dicon impaziente; s'egli è prudente, lo chiamano malicioso; s'egli è
oratore, dicono ch'egli è desideroso di laude. O summo Dio, chi
potrà fugire da tal lingue venenose?". Pertanto el grande citarista David dicea: "Domine, libera
animam meam a labiis iniquis et a lingua dolosa" ("O Signore, defende la mia anima da labri iniqui
e da lingua agabatrice"). La quarta specie fi detta 'venenazione' over 'venerazione': l'omo
omicidiario suol dare el veneno cum dolce cose mescolate; cossì la cattiva lingua prima laudarà una
persona e dirà qualche piccolo bene di lei, perché el glie sia dato fede, e poi ne dirà pur assai male.
O demonio venenato! O serpente crudele! Tu se' simele al diavolo, chi se ingrassa del male; e cossì
la cattiva lingua del murmurare. La quinta specie è detta 'publicazione', cioè: quando l'uomo
publicamente dice mal de uno non servando lo ordine de la carità (Mathei vigesimo ottavo [ma
XVIII]: "Si peccaverit in te frater tuus, vade et corripe eum inter te et ipsum solum"; cioè: "Se 'l tuo
fratello pecca contra di te, va e corregelo tra te e lui solo"). De questi pazze sboccati, chi
incontinente saputa alcuna frageltà del proximo la vanno predicando per le piazze, dice David nel
Salmo: "Egrediebatur foras et loquebatur in id ipsum" ("El se partiva di fuora e murmurava de ciò
ch'el avea alduto"). Questi sonno commo anime già dannatte, maledette da Dio (Ecclesiastici
capitulo vigesimo ottavo): "Susuro et bilinguis maledictus" ("El detrattore di due lingue è maledetto
da Dio"). A egli appare che facino sacrificio a Dio, quando nelle piazze cum riso e festa vituperano
una persona dabbene. La sesta specie se chiamma 'augumentazione': molte persone un poco di
defetto lo fanno grave e terribele. O infelice lingua, guàrdate da Dio! Come tu cerchi da nocere al
tuo prossimo manifestando le sue frageltade, cossì Dio cum tempo te farà vituperatto e mal trattato,
e finalmente capitarai male, comme de cossì fatte lingue ho assai veduto. La settima specie pessima
è chiamata 'invenzione'. Questo è quando tu te sforzi trovar nove falsitade per infamare el proximo:
la serva contra la madonna, dicendo al messere cosse false non mai pensatte, dandoli collore di
qualche apparente veritade, onde ne sequita odio, malivolenzia ed anco altri pericoli. O cani rabiati!
Che sequitarà di questi sì fatti! Lor corpi ancora seranno sepultura de cani. Nota qual maledizione te
dà Dio per el profeta David, cioè per questo tuo mal dire Dio te consumarà dal capo a' piedi, te
spingerà de casa e di questa vitta mortale con tutta la tua radice e figliuoli, morirai de morte
subitana e desperato. Prende el parlare de Anselmo in libro Cur Deus homo: "Egli è impossibele -
dice lui - che l'uomo over donna infamante altri non mora de trista morte". David di questi canta:
"Vir linguosus non dirigetur in terra, virum iniustum mala capient in interritu" ("L'uomo linguoso
non prosperarà sopra la terra e ogni detrattore iniusto serà oppresso nel suo fine da assai guai").
Basta. Adimanda Alexandro de Ales se la detrazione è sempre peccato mortale, e risponde che
alcune volte è veniale, cioè quando l'uomo non per offendere ma per solazo e per legerezza dirà
qualche piccolo mal d'altrui; ma quando lo fa per cattiva intenzione, è sempre mortale. Onde Cristo
per lo salmista David li chiama "cani rabiosi", dicendo: "Circumdederunt me canes multi, concilium
malignantium obsedit me", cioè: "Molti cani me hanno circundato e la congregazione de' malignanti
me ha obsidiato". Circa la secunda parte, vederemo de le condizione cattive del cane rabioso, al
quale sono assimiliati da Cristo, in l'auttorità detta, li detraenti. Nove proprietade ha el cane rabioso.
La prima: el porta sempre la bocca aperta; così el detrattore. De questi dice David: "Sepulcrum
patens est gutur eorum" ("La gorgia de li detrattori è uno sepulcro patente e scoperto"). Secundo: el
asconde la lingua, perché la è venenosa; così lo infamatore asconde la lingua, quando el aspetta
tempo de potere offendere gravamente (el salmista: "Linguis suis dolose agebant", "Cum le sue
lingue andavano maliciosamente amorbando"). Terzio: ha sempre la bocca insanguinata. O lingua
perversa! Cane murmurante, tu manzi sempre la carne e sangue del proximo che infami! Quarto: ha
li denti venenati (dice Plinio che lo cane rabioso ha uno verme sotto la lingua, il quale verme ponge
alcuna volta la lingua del cane e gli accende una colera e furore nel cerebro, per lo qual el cridda e
sì se infuria facendo grande pazie); così el detrattore. O cane maligno, tu hai el verme de l'odio, de
la invidia sotto la lingua, che te ponge e pòrtati pena e dolore. Che rimedio iè? Taglia e occide el
verme e guarirà el cane; occide la tua invidia, il tuo odio e guarirà de la detrazione. Quinto: el
morde in occulto; e questo è chiaro. Sesto: el non baia, cioè cum latratto; così el detrattore parla
abasso ch'el non sia alduto da largo. De questi dice Isaia, LXVI [ma LVI] capitulo: "Canes muti non
valentes latrare ("Cani muti son questi che non possono baiare"). Settimo: sempre sono in
movimento e non se riposano mai; questo accade a li invidi loquaci. Ottavo: mordeno a tradimento,
così le male lingue, de le quale dice David: "Detrahentem secreto idest in occulto proximo suo hunc
persequebar" ("Io persequitava quello chi dicea male del suo proximo in secreto"). Nono: el fuge
quelli di casa; in questa parte egli è megliore ca el detrattore, el quale dice male de tutti suoi
domestici e parenti, così come de stranii; el non guarda in faccia a persona. Questi sono quelli cani
de li quali parla Cristo (Mathei): "Nolite sanctum panem dare canibus" ("Non vogliate dare le cose
santi a li cani"), cioè a li detrattori. Ed hai la secunda parte principale. Circa la terza parte, io trovo
sei rimedii a fugire questo peccato. El primo se chiama 'contristazione in faccia de l'inimico':
quando tu aldi che uno infama alcuna persona, mònstrati averlo per mal. Tu hai nel Decreto, VI,
q[uestione] I: "Non è alcuno che dica volentera mal d'altri, quando el non t'è alduto alegramente,
anci presto el tace, quando li vien fatto bruto viso". Per lo contrario, se tu ridi in faccia de
malidicente, tu gli dai animo e cagione de fare longa infamazione. El secundo se chiama
'elongazione'; se senza scandalo tu te puoi levar da la presenzia di tal biasmatore, levate presto; però
dicea santo Ieronimo vecchione: "Si non erit auditor, non erit detractor", cioè: "S'el non ie serà chi
alda, el non ie serà chi straparla", cioè infamando. El terzo se chiama 'discreta reprensione':
exempio di Cristo chi ripresi prudentemente Iuda e li altri discipuli, chi murmuravano contra di
Magdalena de l'onguento sparso (Mathei XXVI capitulo): "Quid molesti estis huic mulieri?"
("Perché agravati voi questa donna? Lasciatila in pace"). El quarto se chiama 'umiliazione':
considera che ancora tu sei stato in peccato e Dio te ha servato per grazia che non sei stato
vituperato. El quinto se chiama 'ricordazione': molte cose sono state dette di te chi non sono state
vere; così pensa che possa fi detto de altri. El sesto è detto 'compassione': abbi compassione, quando
se dice 'Oh, el ha fatto così, el tale et cetera'; pensa che tutti siamo sottoposti al peccato ed al
cascare. Pertanto dicea lo apostolo santo Piero (Prima canonica, capitulo terzio): "Estote invicem
compatientes fraternitatis amatores" ("Siati compazienti fra voi medesimi, amatori de la
fraternitade"). Amative adunque, supportative l'uno l'altro, non detraendove, non iniuriandove de
parolle, vivendo come boni cristiani, acciò che Dio ve daga qua grazia, di là la gloria. Amen. Feria
quinta: E' MAGIOR DIGNITA' A L'OMO A POTER FAR BENE E MALE PER SUO LIBERO
ARBITRIO CA ESSER ASTRETTO A NON POTER PECCAR "Stans super illam imperavit febri,
et dimisit illam" (Luce capitulo quarto). Dechiarato el Vangelio secundo la littera, nel qual avete
veduto la donna nel letto cum la febre grande, voglio che intendiate che questa donna significa
l'anima inferma de la febre del peccatto del primo padre nostro Adam; onde gli dottori de la Chiesia
adimandeno s'egli è vero quello che se scrive nel Genesi capitulo primo: "Vidit Deus cuncta que
fecerat et erant valde bona", cioè: "Vidi Dio tutte le cose da lui create ed erano molte bone". Perché
non feci l'uomo tanto bono ch'el fusse impeccabile, cioè ch'el non potessi far male, come el concessi
poi a li Apostoli per grazia del Spirito mandato? E questo pare conveniente, secundo che dice
Dionisio grande dottore: "Optimi est optima facere", cioè: "A quello chi è ottimo sta bene far le
cose ottime", e lo bono non può fare se nonne le cose bone. Dio non solamente è bono, ma egli è
essa total bontade per essenzia; perché non fecilo adunque l'uomo in sì perfetta bontade ch'el non
potessi mai peccare? Rispondeno gli teologi (e maximamente Bonaventura, terzio Sententiarum)
così: "Benché esser impeccabile per comparazione ad esser peccabile sia meglio, nondimeno è più
dignità a l'uomo a poter far bene e male per suo arbitrio ca esser astretto a non poter peccare di
necessità. E questa sentenzia se prova per tre ragione principale: la prima se prende dal canto de
l'uomo; la secunda dal canto del mondo; la terza dal canto de Dio. La prima se prova per quattro
ragione. Primo, per 'rispetto di laude di l'uomo': colui meritamente è digno da esser laudato chi ha el
modo e la via de robare, luxuriare e occidere e puolo far, ma non vole. E' vero? Sì. Uno vecchio non
è laudato quando el serva castitade, perché el fa per forza questo, cioè perché non se può scaldar al
coito. Questo è chiaro? Sì. Ma uno giovenetto, una garzona, se la serva continenzia, e che la schiva
el piacer carnale, la merita grande laude, perché la pò fare el male e non lo fa. La secunda è ragione
di 'onore': molto più è onorato uno chi acquista una vittoria per propria virtude e possanza ca per
virtude d'altri. Onde se l'omo fusse impeccabile, acquistarebe el Paradiso più presto per divina
voluntà ed elezione de li celi ca per propria virtude e per proprio merito. Or, qual è meglio e
qual è magior onor? Certo a vincerlo per proprio arbitrio e merito. Pertanto Ioanne Battista è
commendato, però che da puericia, per propria voluntà, ellesse vita eremitica. Però dice Cristo
(Iohannis secundo capitulo): "A diebus Iohannis Baptiste regnum celorum vim patitur et violenter
rapiunt illud" ("Dal tempo di Battista in qua el reame del cielo è asforzato, e gli asforzitori el
prendeno"). O Paulo mio, o vase di scienzia, o dottore de le gente, tu pugnavi virilmente dicendo:
"Quis me separabit a caritate Christi?" ("Chi me rimoverà da la carità di Cristo?"): tribulazione over
angustia, persecuzione over fame o nudità o periculo, et cetera? Io son certo che né morte, né vita,
né angeli, né altezza, né profundità, né alcuna creatura me potrà separare da la carità di Cristo. La
terza se chiama 'grazia de conservazione': conciosiacosaché, secundo la sentenzia di Gregorio, la
umeltà sia guardia di tutte le virtude, ha volsuto el grande Dio crear l'uomo ragionevele sottoposto
al peccato, acciò ch'el avesse cagione da umiliarse. O uomo fragile! O creatura vile! O vita nostra
miserabile ed umile! Asbatite uno puoco, o superbo, e cognoscite te stesso. Però messer
Domenedio, vedendo che Paulo da prima era superbo, acciò ch'el non capitasse male per vanagloria,
gli mandò uno stimulo ne la carne, del quale el dice lui de si stesso (Ad Corinthios, XII): "Acciò che
la grandezza de le revelazione non me faza sconfiare troppo, el me è dato il stimulo de la carne mia,
il qual me dà battaglia". La quarta ragione - o cittadino mio, attendi qua - è detta ragione di
'meglioramento': assai volte è bono che l'om fallisca e manchi in qualche cosa, perché abbi cagione
di far poi quella opera più bella; alcuna volta Dio fa cadere i boni in qualche errore, acciò che
ristorono poi se stessi in meglior fortezza. Cascò Piero apostolo e ritornò megliore; cascò
Magdalena peccatrice e fecese poi santa. La secunda parte principale è avendo rispetto a l'universo.
Questa considerazione se può fortificare per quattro ragione. La prima se chiama 'perfezione': era
condecente a la perfezione de le cose del mondo far una creatura libera che fusse in libertà a far
bene e male come a lui piacea. La secunda è ditta 'ragione di mediazione': avea Dio fatto l'angelo
bono, confirmato in tanta grazia gratificante, che per niente mai potesse peccare; dapoi questo el
mandò Satanasso cum soi sequaci in dannazione eterna e li permessi cadere in tanta ostinazione che
mai più non potesseno far bene, ma sempre male; era adunque congrua cosa fare una creatura di
mezzo, che avesse in sé l'uno e l'altro, cioè che non fusse confirmata in bene né ostinata in male, ma
fusse libera, e cum propria libertade potesse fare bene o male come ie piaceva. La terza se chiama
'ragione di decorazione' over bellezza. Secundo Ricardo (secundo Sententiarum), questa è troppo
bella cossa, cioè che l'omo sia libero e non constretto. La quarta se chiama 'exaltazione'. Tanto più
in prima è stato l'uomo exaltato per quanto ha fatto male e poi s'è repentito e fatto bene; onde per lo
peccato di Adam più è stata exaltata la creatura de l'uomo ca s'el non avesse peccato. La ragione,
perché ha acquistato più merito e più ferventemente ha servito a Dio, onde ha acquistato l'omo esser
sopra l'angelo per grazia. La terzia parte principale se prova ancora per quattro ragione. La prima
risguarda la divina potenzia: volsi Dio dimonstrare a te uomo vano che, come senza lui tu non fossi
creato, così senza lui non poteva ristar stabile; e come la potenzia de Dio è stata creatura de l'omo,
così la sia conservativa di quello. La secunda guarda la divina sapienzia. O Dio immenso! Grande
sapienzia è in ordinar le cose bone cum le cattive, grande sapienzia si è a cavare dal male alcun
bene! El peccato de Lucifero cattivo ed iniquo fu cagione di bene, cioè de la creazione de l'omo.
Dal peccato de Adam cavò Dio la incarnazione del suo Figliolo. O sapienzia infinita! O increata
virtù divina! O artifice prudentissimo, quanto bene hai cavato da tanto male! Pertanto santo
Gregorio, dottor illuminato, chiama quel peccato di Adam bono e necessario; onde la Chiesia canta
quel suo trattato in la benedizione del cereo pascale dicendo: "O certe necessarium Ade peccatum,
quod Christi morte deletum est! O felix culpa que talem ac tantum meruit habere Redemptorem!"
("O peccato di Adam certamente necessario, che fu purgato per la morte de Cristo! O colpa felice
che meritò avere così fatto e così grande Redentore!"). Non era necessario el peccato di Adam, non
utile per altro ca lo ottimo bene di la morte de Cristo che ne sequitò, la resurrezione e liberazione
del populo privato del cielo. La terza fi detta 'ragione di bontade': non serebe mai stata conosciuta
né intesa la bontà, la clemenzia, né l'amore di Dio verso di l'uomo, s'el non fusse intervenuto el
peccato de Adam inobidiente. Però dice Iohanne (terzio capitulo del suo Evangelio): "Sic Deus
dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret", et cetera ("Tanto ha Dio amato el mondo ch'el
ha dato el suo Figliuolo unigenito, acciò che non perisca alcuno che creda in Lui"). La quarta se
chiama 'ragione di iusticia'; però che, essendo el male, Dio lo punisse e mostra la iustizia, la qual
non se monstrarebbe s'el non potesse l'uomo peccare. Di questa iusticia favella David nel Salmo:
"Iustus es Domine, et rectum iudiciun tuum" ("Tu Dio se' iusto e lo iudicio tuo è ritto"). Or basta per
oggi aver veduto a che modo l'omo di sua natura è variabile, atto al male, sottoposto al peccato per
voluntà potere essere impeccabile, se meglio paresse a Dio, el qual conceda esser in sua grazia di
qua e finalmente in sua gloria in cielo. Amen. Feria sesta: DEL PECCATO "Venit mulier de
Samaria haurire aquam" (Iohannis quarto capitulo ed in Evangelio hodierno). *(Dechiara
brevemente el Vangelio quanto a la littera)* Questa donna di Samaria significa l'anima ragionevele,
la qual se trova nel peccato, non intendendo però quanto el sia contrario a l'uomo e dispiacente a
Cristo, dal quale uno puoco illuminata dimanda lei l'acqua di la grazia per ussire da quello. Però
questa matina noi vederemo del peccatto la propria diffinizione. El dottore serafico Bonaventura
(secundo Sententiarum) ne mette molte diffinizione. La prima: "El peccato è privazione de l'umana
bontade", ed acciò che questa diffinizione non ne appara oscura ed anco dubiosa, aldiamo
Augustino, nel libro De civitate Dei, chi dice: "Peccatum est carentia boni ubi debet esse" ("El
peccato è mancamento del bene gli ove il doveria esser"). Onde el ditto dottore Bonaventura dice
che Dio avea dato a l'omo tri beni, li quali summamente gli erano necessarii. El primo bene de
'modificazione': tal modo imposi Dio a l'uomo e tal ordine ch'el non desiderasse alcuna cosa contra
la divina voluntà, ma sempre dicesse a Dio "Sia fatta la tua voluntà come in cielo così ancora in
terra" (come tu hai Mathei sesto capitulo). El tristo peccato ha pervertito questo ordine, perché ora
el cuore umano sempre desidera e pensa male, cioè carnaltade e sensualtade. Il secundo bene dato
da Dio fi ditto 'decorazione': la bellezza de l'uomo non sta nel corpo, nel colore over nelle membre,
ma la vera bellezza e nobeltà de l'omo è la virtù, onde el moral Seneca dice: "Uno e suolo bene de
l'omo è essa virtude". O peccato malignante, o latrone inimico de Dio, tu solo spogli, privi e robi
l'anima umana di essa virtù. De questo se lamentava Ieremia profeta (capitulo quarto), dicendo: "O
anima, facies tua denigrata est super carbones" ("O anima, la faccia tua è fatta più nigra ca li
carboni"). El terzo bene era detto 'ordinazione', cioè che tutti i pensieri, cogitazione e parlare e
operazione de l'uomo erano adrizatte in Dio come in ultimo fine. Lo venenoso peccato adopera
questo male in noi, che più presto adrizammo le nostre operazione a fine de piacere al mondo ca a
Dio creatore. Questo volsi dire Salomone (Sapientie secundo capitulo): "Excecavit eos malicia
eorum"; cioè: "La malicia de gli uomeni gli ha eccecati". Augustino dottore, intendendo questi tri
beni essere tolti per lo peccato, dice così: "El peccato è privazione de la bellezza, de l'ordine e di la
mensura"; onde el peccatore più presto doverebe fi detto bestiale ca ragionevele creatura. Però dicea
el citarista David: "Homo cum in honore esset non intellexit comparatus est iumentis insipientibus
et similis factus est illis"; cioè: "L'omo essendo in onore creatto non ha inteso la sua eccellenzia;
pertanto è comparato a li animali insipienti e fatto simile a quelli". Damasceno, dottore greco, dice
altramente, cioè: "El peccato è una separazione da la cosa ch'è secundo la natura e conversione a
quella che è contra natura". Questo fi demonstrato per esperienzia corporale in tal modo: la febra,
overo altra infirmitade, deprava e vicia così fattamente la natura de l'omo che uno infermo più
presto desidera le cose nocive ca le bone; così l'omo infermo per el peccato mortale disprezza ed ha
in odio le virtude ottime ed ama li vicii pessimi, come lo avaro e lussurioso. *(Dì al tuo modo)* Di
questi se lamenta Dio per el profeta Ieremia (capitulo secundo): "Dereliquerunt me fontem aque
vive et fecerunt sibi cisternas dissipatas" ("Hanno abandonato me chi son fonte di acqua viva ed
hannosi cavato cisterne destrutte che non posseno servar l'acqua"); quasi dicat: "Potendo avere
l'acqua viva de le virtude, vogliono più presto bever l'acqua de' vicii e peccati, acqua fragida,
venenosa ed amorbata". La terza diffinizione è de Augustino (libro De libero arbitrio), chi dice:
"Peccatum est bonum incommutabili spreto adherere bono commutabili" ("El peccato non è altro ca
desprezando il bene incommutabile, cioè Dio, accostarsi al bene commutabile, che è ogni
creatura"). Or nota, valente uomo. Dice Pietro Lombardo (secundo Sententiarum, distinzione
secunda) - ed è parlare de Augustino -: "Fecit Deus hominem ut summum bonum intelligeret,
intelligendo amaret, amando possideret, possidendo frueretur" ("Dio feci l'uomo, acciò ch'el
intendesse el summo bene, intendendolo lo amasse, amando el possedesse, possedendolo lo
fruisse"). O uomo ingrato! O cieco, o embriaco del mondo! Oh, qual cambio hai fatto! O vile
creatura! O ignorante! Tu lassi ed abandonni el bene incommutabile ed eterno che è Dio per
accostarti al bene mutabile e temporale che è la creatura. O grande ignoranzia! Lassa l'uomo Dio
buono, Dio dolce, Dio pieno di ogni piacere e solazo, per amare uno corpo puzzolente, uno sacco di
sterco, uno cibo di vermi. O porci! O animali brutti! Non ve commanda el profeta David: "Nolite
fieri sicut equus et mulus quibus non est intellectus" ("Non vogliate esser come cavallo o mullo,
nelli quali non è intelletto")? Hai adunque in questa prima parte per tre dignazione che cosa sia el
peccato. Or piglia la secunda parte, e vederemo del peccato la sua maligna operazione de più specie.
Una ne puone santo Ambrosio (libro De Paradiso), cioè: "Peccatum est prevaricatio divine legis et
celestium inobedientia mandatorum" ("El peccato è una prevaricazione de la divina legge e
disobedienzia degli commandamenti celestiali"). Onde è da sapere che sonno tre legge principale al
mondo. Una è detta 'lege naturale', comme hai nel principio de Decreto, posta per Graziano, la qual
non è altro ca non fare quello ad altri che non voresti per te (Luce sesto capitulo). La secunda fi
detta "legge de la Scrittura", che fu fatta da Dio per Moises (Exodi libro in molti capituli): a questa
erano obligati gli Giudei, a li quali principalmente se destendevano li commandamenti de Dio. La
terza è detta 'legge di grazia'; e questo è lo Evangelio de Cristo, del quale se scrive (Iohannis primo
capitulo): "Plenum gratie et veritatis" ("Pieno di grazia e di veritade"), el quale è perfezione de tutte
le legge ed obliga ognuno a sé. Or adunque al proposito, carissimi. Quando santo Ambrosio dice 'El
peccato è una prevaricazione de la divina legge', non solamente intende di una, ma de tutte: primo è
prevaricazione di la legge naturale. Non occise (come hai Genesi, quarto capitulo) per invidia Caim
el suo fratello nella legge naturale? Non desprezzò Cham el suo padre Noè, quando lo vidi
abeverato dal vino? Per la qual cosa fu maledetto (Genesi, nono capitulo). Non peccorono li
Sodomiti bestialmente, per la qual colpa mandò Dio el fuoco con el solfaro: Genesi, capitulo XIX?
Ed in quel libro non se dice, o Esaù, che tu vendesti la primogenitura per una scudella di lenticula?
O Iacob, non fu la tua figliuola Dina tanto bella, tanto digna, tanto formosa e prestante, per luxuria
vituperata (Genesi, XXXIV capitulo)? Che fa bisogno allargarme? Non me satisfarebe uno mese a
numerare tutte le prevaricazione fatte ne la lege di la natura! Ancora feramente fu prevaricato ne la
lege de la Scrittura data da Dio per Moises: appena Moises avea avuto la lege (come tu hai Exodi
capitulo XXXII), e lo populo pazzo, col suo peccato, il vitello adorando, provocorono Dio ad ira,
onde trentatrè migliari de omini morirono in uno giorno; nel libro de' Numeri (capitulo X [ma XI])
se lege che tutto el populo murmurava contra Dio, onde mandò el Signore el fuoco che gli arsi e
brusòe pure assai migliara. Maria eziandio, sorella di Moises, essendo murmuratrice contra di lui - o
femina pazza, o animale leggere - fu percossa da lepra. Or basta. Ne la legge di Cristo non vendè
Iuda per peccato de invidia el suo maestro e Dio? Non lo negò Piero apostolo? Simone mago non
volsilo comprare el dono del Spirito Santo? E brevemente ciò che se truova di male in ogni lege,
tutto ha fatto il peccato; onde appar esser verificata la nostra prima proposizion proposta del peccato
data da Ambrosio, cioè che 'l peccato è una prevaricazione de le lege divine di tre specie dette. La
secunda operazion cattiva del peccato fi detta 'espoliazione de virtude'. Ogni virtù da l'uomo robba
el peccato mortale. La ragione è questa: perché el peccato è contra la natura de l'omo, la virtude è
naturale. Questa è sentenzia de Bernardo: "Tutto ciò che non piace a Dio è contra natura". O grande
Dio! Non è al mondo cosa tanto in odio a Dio quanto è il peccato. Guarda la esperienzia: feci Dio
una creatura molto digna e nobile, cioè l'angelo; nondimeno lo privò del cielo e mandolo in tanta
tenebria. Per che cagione? Per el peccato. O mondo alternato di nobile creatura pelegrino essendo e
bello, presto venisti abissato nel mare e diluvio per lo peccato. O David che dice tu de Dio?
"Iniquos odio habui" ("Io ho avuto in odio gli iniqui"); in uno altro Salmo: "Io ho avuto in odio li
cattivi di odio perfetto e riputato ho lor per inimici". O ingrato uomo, fuge il peccatto, abbi in odio
gli vicii e non peccar mortalmente; più presto elegiti la morte, perché tu vedi quanto el dispiace a
Dio. S'el venisse uno angelo chi te dicesse "Se tu non pecchi carnalmente, io brusarò la tua casa",
lassa più presto brusarla; s'el dicesse "Io occiderò tuo padre e madre e fratelli e parenti, se non
pecchi mortalmente", non ie consentire, lassa più presto morire tutto lo universo; s'el dicesse "Se tu
non pecchi mortalmente, el se abissarà questa terra, robbe, case, ed uomeni tutti periranno"
(discorre tutti li elementi e santi del cielo, e finalmente conchiudo), lassa più presto incorrere ogni
gran male ca peccare mortalmente! *(Riprenderai qua gli frati, preti, monachi e mercadanti, signori
maritati, vedove e donzelle, che per uno soldo offendeno Dio)* Or pensa, cristiano mio caro, quanto
Dio abbi in odio el peccato, che per purgare quello el volse uno suo Figliuolo, ch'el avea, lasciar
morire in croce, acciò che in quella croce fusse crucifixo il peccato, per farne capace di grazia e poi
di gloria. Amen. Sabato: DE LA MISERIA NE LA QUALE EL PECCATO METTE L'OMO "Vade
et amplius noli peccare, ne deterius tibi contingat". *(Dechiara el Vangelio secundo la littera, e poi
intrerai così)* Io trovo che in questo Evangelio se dimonstra la grande miseria, nella quale el
peccato mette l'omo, chi è tanto nobile e degna creatura; e sono principalmente tri cattivi effetti,
over miserie, ne li quali cade l'om per lo peccato. La prima se chiama 'servitudine': incontinenti che
l'omo ha peccato mortalmente, egli è fatto servo del peccato. Questo è testo di Ioanne (ottavo
capitulo): "Qui facit peccatum servus est peccati" ("Chi fa el peccato è servo di esso peccato").
Doppo rimane l'uomo tanto incatenato e ligato per lo peccato che, quando el volle uscire, el non può
da sua posta e arbitrio. Prende lo exempio: chi è zotto conviene che nel caminar el vada zopegando;
quando la voluntà di l'uomo è inordinata e zotta ne l'affetto, la non può caminare dretto, né quasi
mai voler cosa dreta, ma sempre con lo appetito sensuale se volta a la concupiscenzia mundiale. El
se lege figuralmente (Actuum capitulo XII) che Piero in pregione fu ligato con due cattene e
guardato da cavalieri e birri ch'el non fugesse. Ed ecco l'angelo de Dio apparvi, e lo splendore
illuminò la pregione: percossi il costato a Piero esso angelo, e lo svegliò dicendo: "Leva suso,
presto!". Dette queste parolle, cascoron le catene da le man sue. Aldete el misterio: Piero
incarcerato significa el peccatore; la pregione è la concupiscenzia sensuale; due catene, secundo
Augustino in libro De libero arbitrio, sono doi naturali defetti, cioè difficultade al bene ed
ignoranzia; gli guardiani de la pregione sono li piacere del mondo e le sue promissione. Alde ciò
che dice el peccatore abituato in male fare: "Io me vorebe confessare, ma non posso lassare la
luxuria; io son ligato, non posso uscire da mia posta". Ma poi che l'uomo illuminato da Dio el
comminza a cognoscere la sua misera vitta, e battuto el costato di Piero, cioè toccato el peccatore,
per la contrizione e confessione cascono subito le catene del peccato. Però dicea el profeta Michea
(capitulo secundo): "Surgite et abite, quia non habetis hic requiem" (O peccatori, o luxuriosi, o
avari, o gulosi, o viziosi, levativi e fugete da questa pregione, perché nel peccato non avete riposo!).
E Paulo mio, che dirai tu? "O tu chi dormi, leva suso, e Cristo te illuminarà". La secunda miseria è
detta 'deturpazione' e 'macula'; onde ne l'Ecclesiastico (decimo ottavo capitulo) è ditto in
reprensione di Salomone cascato in molti errori: "O povero Salomone, tu hai dato macula nella tua
gloria ed hai vituperato el tuo seme"; e questo feci lui, però che, essendo nobile e virtuoso da prima,
embratatò el suo onore cum la brodda e sterco di carnaltade, dedutto ad uno vivere bestiale. A
questo proposito dice David santo: "L'omo essendo in onore, non se ha cognosciuto"; onde egli è
comparato a li animali brutti e fatto simile a quelli insipienti, sopra el quale parlare dice Ioanne
Crisostomo ne la omelia de la Ascensione: "Egli è peggio essere comparato a le bestie ca a nascere
bestia". E assigna la ragione: però che naturalmente non aver intelletto e ragione è cossa tollerabile,
ma aver ragione in sé e intelletto ed essere assimiliato e comparato a le bestie è cosa sozza, brutta e
vituperosa. Appare adunque che l'uomo perde i beni spirituali de le grazie e virtude per el peccato.
La terza miseria se chiama 'perdizione di beni temporali'. Legge nel primo di Re (capitolo XV):
"dice Samuel profeta al re Saul 'Perché tu hai desprezzato il precetto de Dio, esso Signore ha
desprezzato te, e non vol che tu sie re sopra del suo populo Israel'"; e così ie intervenni. Similmente
legge secundo Regum (capitulo ultimo): "Per il peccato di vanagloria e laude David perse una
grande parte de la obedienzia del populo"; e capitulo XII: "Ie disse el profeta Nathan: 'O David
pazzo, tu hai commesso adulterio; ma alde la sentenzia del corrozato Dio: el coltello non serà
rimosso da la tua casa in sempiterno e serai scacciato e persequitato dal proprio figliolo'".
Conchiude che tutti gli reami che hanno avuto fine non sono destrutti
se nonne per i suoi peccati. Guai a chi rimane! La sentenzia de li passati serà ancora nostra.
Secundo: perde alcuna volta l'omo per il peccato l'aver de li beni temporali mobeli e riccheze. Lege
Luce XII: dice Cristo al ricco chi se avantava de molta robba assunata per molti anni e se confortava
a galderla: "O pazzo, tu morirai questa notte; e de chi serà la robba che tu hai apparicchiato?". De
questi parla David profeta: "Li ricchi lassaranno ad altri le sue riccheze, le sue sepulture seranno sue
case in sempiterno; li usurarii intraranno sopra i suoi beni e gente forestiera manzarà le sue fatiche".
Terzio: perde l'uomo la fama, lo onore e la reputazione, de la qual avanza ogni inestimabile tesoro.
Pertanto se dice (Proverbi capitulo XXII): "Megliore è el nome bono ca assai riccheze". O
Magdalena, o peccatrice, o sceleratta matrona tanto nobile e tanto bella, nobile de parenti e generosa
di sangue, fatta ignobile ed infame, vituperata ed infamata per el peccato de la libidine, per el
peccato carnal! O pazza, o smemorata, alde el parlare di Luca, canzelero di Cristo (VII capitulo):
"Egli era una femina detta peccatrice ne la citade"; tanto era inveterato in lei el peccato ch'el'avea
perdutto el proprio nome. Nondimeno per nostra informazione è da notare e da saper che lo peccato
se truova in tre differenzie. Uno è ditto 'originale', el qual noi portiamo dal ventre materno, e chi se
trova morire cum questo, in qual stato o lege voglia ch'el sia, non può aver vita eterna (Iohannis
capitulo terzio): "Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu santo non potest intrare in regnum Dei"
("Chi non renascerà de acqua e Spirito Santo non può intrare nel regno de Dio"). Egli è uno altro
chiamato 'veniale', il quale non priva però l'uomo de carità né de l'amore de Dio; nondimeno pure è
male, perché non estimando l'uom el veniale, più volte cade in lo mortal. El terzo è 'mortale', e
ciascuno che cade in questo, ed incontinente non ie occorre cum la contrizione cordiale e proposito
de confessarsi avutto la opportunitade del sacerdote, è in stato di perdizione, dannato in le mane del
diavolo, privatto totalmente de' beni di fideli, privato di grazia e speranza de vita eterna, digno di la
morte, inimico de Dio, sbandegiato dal cielo, intruso nel mondo senza frutto. Lasciàti adunque el
mal, mundate le vostre anime, lavate le conscienzie embratate, acciò che l'alto Dio ve presta di qua
misericordia e di là la gloria. Amen. Dominica quarta: DE LA SANTA CONFESSIONE "Hic est
vere propheta, qui venturus est in mundum" (Iohannis capitulo sexto). Nel presente giorno,
dilettissimi in Cristo Iesu, se tratta in la missa per figura e misterio in che modo, fatto el grazioso
maestro e pietoso Cristo il memorabile miraculo, quanto a noi, di saziare diverse turbe de cinque
pani e doi pesci, li populi levoron le voce, aperseno la bocca, cum le proprie lingue accusando lor
infideltade, confessando in Dio Cristo esser due nature, divinitade ed umanità congionte. Pertanto
oggi noi, come suoi boni imitatori, confessaremo i nostri peccati, laudando la virtù de Cristo, grande
sacerdote, chi de cinque pani e doi pesci, che sono cinque e doi sette, cioè sacramenti de la Chiesia,
ha ministrato a li populi per mano de gli duodeci Apostoli, cioè qualunqui veri sacerdoti. Onde
meritamente noi trattaremo oggi di tre principale parte circa la confessione: primo la sua
diffinizione, secundo la sua derivazione, terzio la sua obligazione. Circa la prima dice Augustino:
"Confessione è uno certo atto, per lo quale el morbo latente fi aperto sotto specie di venia". Onde
nota tu, vallente omo, che sono tre differenzie di confessione. Una se fa nel iudicio de la
conscienzia, la qual ogni ragionevel creatura è obligata a fare ed a referir ed attribuire a Dio ogni
bene e a sé uomo ogni male e diffetto, come dicea el santo citarista David: "Non nobis, Domine,
non nobis; sed nomini tuo da gloriam" ("Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nomme darai la
gloria"). L'altra specie di confessione se fa in foro de iusticia, quando il reo è examinato dal iudice;
e questa è contraria a la confessione de la Chiesia. In la confessione del mondo chi se accusa per
propria bocca vien condennato e punito, come tu hai nel Decreto XXV, questione quinta, capitulo
Presbyter; nella confessione ecclesiastica chi se accusa ie vien perdonato e rimane libero. La terza
confessione è in examine e foro di la penitenzia; e di questa parla Augustino, chi la è uno de gli setti
sacramenti de la Chiesa. Ed hai sciolta la prima parte. Circa la secunda parte, dimandono gli dottori
onde ha avuto principale origene la confessione. Risponde il serafico nostro dottore Bonaventura
(quarto Sententiarum) che da tri luochi la è proceduta. Primo da la auttorità evangelica del nostro
Dio Iesu Cristo, il qual doppo la resurrezione disse a soi discipuli, suffiando ne la lor faccia:
"Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis,
retenta sunt" ("Prendete el Spirito santo: a chi perdonarete serà perdonato e chi rimoverete da la
grazia serà rimosso", Iohannis XX capitulo); in Iohanne, decimo settimo capitulo, ancora el
conferma questo, dicendo: "Ciò che voi ligarete sopra la terra serà ligato in cielo". Per queste
parolle appare come Cristo diedi auttoritade de assolvere a li Apostoli ed in lor persona a tutti i
preti. Nota però, valente uomo, che solamente Dio principalmente perdona gli peccati; ma gli pretti
come ministri e iudici. Debeno adunque li populi andare a li pretti come a ministri e iudici de Dio
ordinarii in terra, manifestargli le sue proprie colpe ed ogni delitto, ed egli sacerdoti dar la
penitenzia arbitraria da sostenere per gli commessi peccati. El secundo principio de la confissione è
la auttoritade apostolica, i quali andando per lo mondo, come ie era ordinato, predicavano la
penitenzia in remissione de' peccati (Marci ultimo: "Euntes in mundum universum predicate
evangelium omni creature"). Insignavano e commandavano la penitenzia cum la accusazione di suoi
peccati a li populi, e poi gli assolvevano. Però dicea santo Iacobo: "Confitemini alterutrum peccata
vestra et orate ut salvemini" ("Confessate cum gli preti li vostri peccati e pregate l'uno per l'altro,
acciò che siati salvi"). El terzo principio è la auttorità e voluntà ecclesiastica. Commanda la santa
madre Chiesia, come hai nelle Decretale extra de penitentiis et remissionibus: "Ogni fidele, o
maschio o femina, almanco una fiata l'anno se debe confessare e communicare el giorno di Pasca;
altramente per sin ch'el viva sia scacciato da l'intrare in chiesia e morto non abbi sepultura
ecclesiastica".O cristiano indurato, corre, o embriaco del mondo, nota bene: ogni fidele di
qualunque sexo, venuto ad anni di discrezione, s'el non fa questa obedienzia detta, sia sepellito in
luoco de asini e nonne in chiesia sacra. *(Tu, predicatore, nota bene le dette parolle e crida contra de
preti e del populo negligente, a tuo modo)* Basta per la secunda parte. Circa la terza parte se muove
questo dubio, cioè se l'uomo è obligato, peccato ch'el abbia mortalmente, a confessarse di subito.
Risponde Ioanne Scoto (quarto Sententiarum) che in molti casi è obligato. Primo, quando se
approxima el periculo de dannazione over salvazione, allora l'uomo se debbe apparicchiare a la
misericordia. Secundo, quando l'uomo se mette al periculo de morte, come serebbe andando in
battaglia o volendo far longo viaggio per mar o per terra. Terzio, quando l'uomo se vol
communicare (extra, De penitentiis et remissionibus, cap. Omnis). Quarto, quando el vol ministrare
alcuno sacramento ecclesiastico; altramente facendo ed essendo in mortale [peccato], peccarebe
mortalmente, ricevendolo o dasendolo ad altri. Nota tu, buffalo, e tu, madonna Bianca, che tu
pecchi mortalmente ogni volta tu te sposi, o che tu prometti tuore per donna, e tu donna per marito,
qual se sia, essendo in peccato mortale. Quinto, quando l'omo vol far atto sollenne in la chiesia de
Dio, come è celebrare, cantare el Vangelio, predicare, et cetera; però che 'l ministro de cose sacre,
come è el predicante del Verbo divino, debbe esser mundo e retto. La secunda dubitazione se
muove. Cioè, el serà uno confessato ogi; di qua a dieci over venti giorni el se ricordarà de uno
peccato mortale non confessato da lui per smemoranza: in tal caso serallo obligato a ristorar un'altra
volta tutta la prima confessione fatta? Risponde lo illuminato dottor messer Bonaventura (quarto
Sententiarum, distinzione XVII), dicendo cossì: "Son quattro casi principali, in li quali se debbe
reiterare la confession fatta" (ed in questa sentenzia se concordano tutti li dottori). El primo è per
impotenzia del confessore, cioè quando tu te confessi da uno prette che non te può assolvere,
verbigrazia, perché el serà escomunicato. Lo secundo caso è per ignoranzia di esso prette: tu andarai
a confessarte cum uno ignorantone e buffalo. *(Dirai tu, predicatore, qua a tuo modo)* Però dice
Augustino, ed è scritto (De penitentia, distinzione VI, cap. Qui vult); dice lui: "Chi vol confessarsi
guarda a trovar uno sacerdote chi sappia ligare e sogliere: uno cieco mena l'altro, e trambi doi
cascano in la fossa". El terzo è per malicia: quando tu vai a confessarte e per vergogna taci uno
peccato, quella confession non te giova nulla: vanne da lo prette un'altra volta. El diavolo è cagione
di questo, chi te tenta dicendo: "Tace, tace, nol dir fuora!". El quarto è per negligenzia, quando non
ha fatto la penitenzia che ie fu imposta dal confessore. E nota tu, valente uomo, che gli dottori fanno
questa dechiarazione: "Questa quaresima tu te vieni a confessare e non hai fatto la penitenzia de
l'altro anno". Dicono in questo modo: "Se tu te ne aricordi de essa e voli farla con effetto, tu non se'
obligato a riconfessarti de li peccati confessi, ma farai quella penitenzia ogni modo. Ma se non la
voresti fare, over
se dimenticato la penitenzia, se' obligato a riconfessarti un'altra volta. Quanto a la discrezione, nota
tu, cittadino e donna, che tu se' obligato a cercar uno confessore dotto e valente, el qual tu speri
ch'el sappia discernere tra mortali e veniali peccati; e quando tu fai a questo modo e che tu stai a la
discrezione e prudenzia di tal confessore, posto che lui errasse bene in qualche cosa, tu se' scusato.
Ma essendo lui indotto, tu e lui andati in la mala ora, cascando doi ciechi in una fossa. Non se può
errare confessandosi da uno valente uomo, come son communamente li predicatori di san Francisco
e Dominico. Questa è sentenzia di Augustino: "Chi se vol confessare, vada ad uno dotto". O
cristiani ciechi, negligenti a la sua salute: se tu hai una infirmità corporale, tu cerchi avere uno bono
medico; quanto maggiormente essendo l'anima più nobile ca 'l corpo, la debi tu aver cara e cercare
la sua perfetta salute! *(Sequita poi come te pare)* Questa salute è la grazia e la gloria, ad quam...
Feria secunda: DE LI FRUTTI LI QUALI NASCENO DI LA CONFESSIONE "Solvite templum
hoc, et in tribus diebus excitabo illud" (Iohannis secundo capitulo). *(Dechiara el Vangelio come te
piace e poi dirai così)* Questo tempio è l'anima ragionevele ne la qual Cristo vorebbe intrare, e
dice: "O cristiano mio, soglie e rumpe, getta a terra questo tempio vecchio de peccati de inimici, ed
io in tri giorni (cioè de contrizione, confessione e satisfazione) lo reedificarò e farolo nuovo e
mondo, chiaro e lucido più ca el sole"; ne le qual parole se denota el frutto dulcissimo che nasce da
la santa confessione; e sono al presente sei frutti. El primo se chiamarà 'illuminazione di mente': fi
illuminata l'anima in tri modi per la confessione sacramentale. Primo, in considerazione de si stesso;
pertanto crida el profeta Ieremia (capitulo terzio) contra el peccatore così: "Leva in directum oculos
tuos et vide ubi nunc prostrata sis". O anima impiagata dal peccato! "Leva in cerco gli tuoi occhii e
vedi ove tu se' cascata". E per questa considerazione vien l'uomo in cognizione di suoi peccati.
Secundo, fi illuminato per umeltade: l'uomo se umilia al sacerdote per amor de Dio, e possiamo
comparare el penitente al cieco nato, el qual disse agli Giudei: "Io andai e me lavai, ed ora vedo
lume", andai cioè alla confessione cum devota umiliazione, lava'mi per fervente compunzione e
vidi, cioè cognoscendo el mio errore. Terzio, è illuminato per la examinazione del distretto
confessore: è tenuto el confessore amaestrare el peccatore ed insignarli qual è peccato mortal e qual
è veniale, cioè ch'egli è obligato a restituire e quello che non è obligato. El secundo frutto de la
confessione se chiamma 'impetrazione de misericordia'. O cristiano, sappi che la confessione non è
altro che una corte de misericordia, benché la misericordia sia in tutte le opere de Dio, come dice
David profeta. Questo intisi Salomone nelli Proverbii (capitulo VIII [ma XXVIII]), dicendo: "Qui
abscondit peccata sua non derigetur, qui autem confessus fuerit misericordiam consequetur" ("Chi
asconde i suoi peccati non serà adrizato in grazia, ma chi la confessarà averà misericordia"). El se
legge ne le Croniche che nel tempo di Carlo Magno uno certo priete di una bona parrocchia ne la
vigilia del Natale avea commesso peccato cum una publica galioffa; celebrando la prima missa di
notte, volendo ricevere el pane celestiale e divino - o Dio, o Dio! - non poteva. El populo aspettava;
ed eccoti una columba descesi dal cielo cum uno terremoto e bevetti el sangue del calice e portò via
l'ostia consecrata. Rimangono tutti stupefatti! Procede a la secunda missa; e simelmente la columba
portò via l'ostia col sangue bevuto. El sacerdote intendendo el suo errore va presto ad uno
predicatore chi predicava in quella terra e cum lacrime e pianti confessò el suo peccato. Nella terza
missa descese la columba e riportò tutto ciò che l'avea portato via; e fu alduta una voce ne l'aere da
tutti che erano in chiesia, cioè: "La confession impetra misericordia!". El terzo frutto se chiama
'pacificazione cum Dio'. Ognuno chi è in peccato mortale ha guerra capitale cum Dio: o misero
omo, non pensi tu quanto periculo sia aver guerra cum Dio. Deh, alde uno puoco quanto sia aggevol
cosa riconciliarsi cum Dio: non è necessario occidere agnelli, bovi o peccore, come faceano i padri
antichi, ma basta el riparo de la confessione per scontro de quanti animali se possano offerire a Dio,
Però el profeta Osea (capitulo ultimo) dice: Redemus vitulos labiorum nostrorum" ("Noi renderemo
li vitelli de li nostri labri"), cioè la confessione fatta cum gli labri in scontro de vitelli. Questa
confessione fu figurata nel fresco ramo de oliva che portò la columba ne l'arca a l'ora di 'l vespero
(Genesi, capitulo VIII). El ramo de oliva è signo di pace e causa de remission di colpa; questo ramo
è portato a l'ora del vespero per la columba, in fine de i tempi ordinati, perché lo Spirito santo
significato per la columba in fine di tempi ordina la Chiesia: noi siamo quelli ne li quali se termina
ogni etade, tutta la fede de Dio vero ed ogni lege. Possiamo ancora dire che questa columba
significa la santa madre Chiesia, come se lege nella Cantica (capitulo I [ma VI]): "Una è la columba
mia, e porta la oliva in bocca", perchè la cristiana fede in signo de pace e concordia cum Dio ha
ordinato la santa confessione de la bocca. El quarto se chiama 'liberazione da mano del diavolo'. O
dolente peccatore, quando prima tu se' in peccato mortale incontinente se' ligato in mano del
diavolo ed in la sua bocca, la quale è larga a l'intrare e stretta a l'ussire. O fratelli, o sorelle mie, chi
insegna a la pecora ed al capretto o agnello, quando son in bocca del lupo, cridar "be, be"? E così tu
con la voce umile e summissa manifesta i tuoi peccati. Però dice el devoto Bernardo: "Dio perdona
a chi se confessa umelmente, e lo diavolo, chi avea assaltato el cor del peccatore, perde la signoria".
Nota uno bello exempio. Era uno scelerato e molto vicioso chi, avendo contratto grande familiarità
col diavolo, più volte cum lui parlava e conversava, ed in forma umana caminava cum lui. Uno
giorno se consiliavano andare a certi bagni (e questo facea el diavolo per voler affogar costui);
caminando passavano inanci una certa chiesa. Dice questo poverello: "Deh, aspetta uno puoco, io
voglio veder ciò che se fa in questa chiesia". Dice lo Inimico: "Va, ma ritorni presto". Costui,
timendo el diavolo e cognoscendo li suoi peccati esser gravi, intrò in chiesia e trovò uno religioso,
col quale el confessò i suoi peccati. El diavolo di fuora diceva a tutti quelli chi intravano: "Dicete al
mio compagno ch'el torna presto". Or finalmente costui, confessato, veni fuore. Il demonio ie dice:
"Aveti voi veduto el mio compagno?". Ello risponde: "Io son quello!". Risponde el diavolo e dice:
"Non è el vero!". Dice colui: "Come, non me cognosci tu? Io son Piero, tuo amico; ma egli è vero
ch'io me son confessato". Allora il diavolo gridando dicea: "O traditore, o cristiano ladro, tu me hai
asassinato!", ed incontinente cum una puzza terribile se partì, e quello poverello fu liberato. El
quinto frutto se chiama 'leviazione de mente'. Quando uno è in peccato, il suo animo sempre sta
aggravato, come dicea el profeta David penitente: "Quoniam iniquitates mee supergresse sunt caput
meum et sicut onus grave gravate sunt super me" ("Le mie iniquitade sono aggravante el mio capo a
modo de uno grave pondo"). Ma incontinente che l'uomo è confessato diligentemente, rimane
leggiero ed alleviato, come se ie fusse levata una molla da dosso. Ed alcuni se ritrovano tanto
contenti di mente ch'el glie appare essere a nozze delicate e a feste. Questo intesi David chi dice: "In
voce exultationis et confessionis sonus epulantis" ("Nella voce de la confessione se trova
exultazione e gaudio de epulanti a mensa"). Paulo apostolo dice: "Gloria nostra hec est,
testimonium conscientie nostre" ("La nostra gloria è questa, el testimonio de la conscienzia nostra",
secunda Ad Corinthios, cap. primo). El sesto è chiamato 'augmentazione di grazia'. Secundo
Alexandro de Ales, più volte Dio accresce ed augmenta la grazia. Tu hai la figura in Isaia (cap.
XXVIII) de Ezechia re de' Giudei che, essendo infermo a morte, Dio non solamente ie remossi la
infirmitade, ma ancora aggionsi alla sua vita anni XV. E però canta più volte la santa madre Chiesia:
"O cristiani, confessative a Dio, perché egli è bono!"; in uno altro luoco: "Confessative a Dio del
cielo!"; e altrovi: "Confessative a Dio ed invocate el suo nome", acciò che abbiate in questo mondo
la grazia, ne l'altro la gloria. Amen. Feria terzia: DE L'ATTO DE LA CONFESSIONE "Nolite
iudicare secundum faciem, sed rectum iudicium iudicate" (Iohannis capitulo VII). Sequitaremo
oggi, devotissimi in Cristo Iesu, a contemplare una ordinata e ben disposta virtù, cioè a sequitare lo
atto de la confessione, acciò che, intendendo la obligazione e la sua fortificazione, ancora se intende
a che modo la se deba fare. E nota tu, cristiano sonolento a la tua salute, XV legge over XV
circunstanzie che vol aver la confessione. Vediamole ad una ad una. E prendiamo la prima che se
chiama 'simplicitade': la vol esser simplice non paliata de zanze né di frasche, come fanno molte
donne, che confessando dicon mal del marito ed in che modo gli è morta la galina o altre novelle, e
tengono a tedio el confessore per una ora, non venendo a li suoi peccati, ma lassandoli da canto.
Confèssate simplicemente, non cum parolle doppie over coperte, ma fa che dichi el male al modo
che lo hai commisso; però dice Cristo in santo Matteo: "Si oculus tuus fuerit simplex, totum corpus
tuum lucidum erit" ("Se 'l tuo occhio serà simplice, tutto el tuo corpo serà lucente"). Per lo corpo se
intende la intenzione e conscienzia. La secunda circunstanzia, over lege, de la confessione se
chiama 'atto voluntaroso
e non afforzato'. La tua madre te manda a la confessione per forza ed alcuni gli vanno non per
voluntà, non per devozione, ma per usanza over per vergogna del mondo. Questa è la cagione,
dicono i dottori teologi, che 'l ladro destro meritò el Paradiso, perché la confessione ch'el feci in
croce a Cristo Dio e omo fu voluntaria, cum devozione, cum fede, cum speranza de grazia, cum
total contrizione mandata dal cuore, non per paura, non per timore, ma per amore: "O Cristo mio, o
Iesu benigno, o maestro dolce, ricordite di me, quando tu serai nel tuo reame. Non guardar a mei
errori, tu iusto e santo e iniustamente dannato, perché io ladro e robbatore son iustamente
sentenziato". Però el cantore del Spirito santo, David nostro, dicea: "Voluntarie sacrificabo tibi et
confitebor nomini tuo, Domine" ("Io, Signore, te sacrificarò volentiera e farò confessione al tuo
nome"). La terza regula è chiamata 'amaritudine', cioè non ridendo come vanno assai, non col capo
levato, non cum molte zanze, ma cum dolore de cuor, cum lacrime, pianti e sospiri. O poverelli, chi
fanno beffe di tanto sacramento, o embriachi del mondo, o negligenti de le sue anime, o David mio,
o bono penitente, che dici tu? "Io rigeva cum pianto del mio cuor, pensando i mei peccati". Notate,
carissimi, cinque segni di amaritudine. El primo è vergogna, cioè quando tu hai confusione del tuo
peccato. El secundo è umeltade, come feci el publicano, quando tu non ardissi levar li occhii al
confessor: Luca (XVIII capitulo) te insegna quello peccator umile. El terzo segno son le lacrime
(Trenorum II capitulo): "Getta fuora le lacrime come uno fiume di giorno e notte". El quarto è
fortezza di cuore. Hai exempio de Maria Magdalena, che tanto fu forte e ben compunta in confessar
el suo peccato che, nonostante ogni vergogna, la se presentò a Cristo cum umeltà monstrandosi
peccatrice. El quinto è voluntà pronta ad obedire. Tu hai la figura e verità de Cristo: "El fu
obediente per sino a la morte" (Ad Philippenses III capitulo). La quarta legge se chiama
'discrezione': cioè elegere uno discreto sacerdote, prudente e dotto; ancora, confessando
discretamente e distintamente i suoi peccati (el salmista: "Lavabo per singulas noctes lectum
meum", "Io lavarò il mio letto di notte in notte"); ancora, ne la confessione accusando sé e non altri,
eccetto quando non se può far altro per rispetto de le circumstanzie, come è avendo usato luxuria
con la sorella, è forza a nominarla; ancora consiste in questo, che se non hai fatto uno peccato non
lo debi nominare per accusarti di quello. La quinta è chiamata 'festinanzia' (Ecclesiastici V capitulo:
"Non tardes converti ad Deum et ne differas de die in diem", "Non tardar covertirte al Signore e non
indusiare de giorno in giorno"): non indusiare per sino a l'ultimo, confessite presto, quando hai el
tempo, per molte ragione. La prima per la incertitudine de la morte. Chi è certo de vivere domane?
Chi è certo de aver el tempo a sua posta? O mondo falso! O mondo pieno di fallacie! Quanti miseri
periscono senza confessione, senza lingua, senza tempo di penitenzia, come bestie, e vanno in
perdizione? Pertanto dice Cristo ne l'Evangelio: "Vigilate, perché non sapete el zorno over l'ora de
la morte". La secunda ragione è 'accumulazione de peccati': quanto più l'omo indusia la confessione,
tanto più accresce peccati l'uno sopra l'altro, come i nodi de la catena. La terza perché l'omo più se
dilonga da Dio con la mente e con la devozion errando; pertanto dice David: "Domine, qui
elongabunt se a te peribunt" ("Signore, chi se elongano da te periranno"). La quarta è perché quando
poi l'omo vol, el non può; viene la infirmità che non te lassa confessare, perché molte cose te danno
impazzo: Oimè il capo! Oimè el fianco! Oimè il corpo! La quinta, perché Dio se desdigna e
corozasi, quando el ne chiamo e noi non vogliamo respondere: el vien poi tempo che noi el
chiamamo e lui non vuol aldire. O ricco avaro! O lupo luxurioso! Chiama lui ne l'Inferno: "O padre
Abraam, abime misericordia, perché son cruciato in questa fiamma!", e non fu però exaldito. Non
tardare adunque, quando tu hai tempo! La sesta condizione de la confessione è detta 'integritade':
debbe esser la confession integra, cioè confessare tutti i suoi peccati, e non tacerne uno o doi per
vergogna over paura. Niente te vale quella confession imperfetta, e ricevi el corpo de Cristo in
peccato mortale. Che giovarebe ad una cittade guardare tutte le porte da mane de inimici e poi el
muro fusse rotto e avesse uno o doi grandi squarzoni? Niente. La settima è detta 'fideltade', cioè
credere fermamente che Dio remette li peccati confessi. Chi non crede o non se confessa,
mortalmente se communica; ed è impossibele intrare in Paradiso senza penitenzia; come non può el
corpo vivere senza l'anima, così né lo peccatore senza penitenzia può aver grazia over gloria. Ad
quam, etcetera... Feria quarta: DE LA DANNAZIONE DE L'UMANA CREATURA "Rabbi, quis
peccavit hic, aut parentes eius, ut cecus nasceretur? (Iohannis capitulo nono). Nelli passati giorni
abbiamo veduti la condizione de la confession in tre passate prediche. Ogi el salvatore Cristo
dechiara qual è la cagione de la dannazione de la umana creatura, e finalmente el conchiude esser el
peccato mortale. Dechiararemo prima el Vangelio, poi vederemo ogi del peccato mortal la propria
diffinizione, cioè che cosa è lo peccato mortale, benché ne li passati giorni el sia stato dechiarato in
parte; ed acciò che possiamo intendere questo più ben, noi vederemo primamente la distinzion sua,
cioè quanti sono i peccati mortali e come se chiamano. E per nostro dottore e maestro noi torremo
Ioanne evangelista (Apocalipsis XVI capitulo), chi dice: "Io vidi sette angeli chi avevano sette
encrestare piene de la ira de Dio. Ed el primo angelo sparse la sua anfora in terra e fecisse una piaga
pessima in gli omeni che aveano il sugello de la bestia e chi adororono la sua imagine". Per questo
parlare se intende el primo peccato de la superbia, nata nel nostro primo parente Adam, chi volsi
tuore a sé la equalitate de Dio, perché el diavolo ie avea detto: "Voi serete come dei, sapendo el
bene e lo male". O pazzo Adam! O smemorato uomo! O crudel ferita! O piaga pessima! O bestial
creatura! L'omo superbo non conosce Dio, non reputa alcuno, salvo si stesso, di precio. Tanto è
crudele questa piaga di superbia che la non perdona a persona, non considera tempo, non estima
persona, non guarda luoco: non perdonò al primo angelo in paradiso. Considera, o cristiano: se
trova luoco alcuno, ove se dimostra tanta superbia quanta nelle chiesie? O pompe diaboliche!
*(Riprende qua omini e donne del vestire superchio)* Non considera la superbia persona over
tempo. Guarda come el superbissimo diavolo non se guardò de tentare Cristo nel deserto (Mathei
quarto): "Hec omnia tibi, si cadens adoraveris me" (cioè: "Te donarò tutti questi reami che vedi, se
tu, cadendo in terra in zenochioni, me adorarai"). O religiosi, o prelati, ve perdona lo inimico; immo
maggior superbia se truova tra gli prelati ca tra gli altri. E generalmente tutti se involupano in
questo peccato. Nella morte che te giovarà la superbia, la arroganzia tua? Niente. El secundo
peccato è chiamato 'avaricia', el qual dicono i dottori non essere altro ca uno appetito disordinato de
aver. E sappi che non senza grande misterio dico 'appetito disordinato', perché le robe del mondo,
essendo deputate al vivere umano, sono utile a l'uomo: se lui le desidera tanto quanto è sufficiente a
lui e basta, non per illicito modo, non in danno del proximo, non in disprezzo de Dio, secundo la
condizione del suo statto, el non pecca; ma desiderarle continuamente, non se saciare mai, non
guardare a contratti falsi, non ad usure, non ad inganni, ma a torto ed a dreto empire la casa per sino
al tetto, questo è 'appetito inordinato', ed è peccato mortale detto avaricia, el qual vicio è radice de
infiniti mali ed enormi peccati (Ad Thymotheum, capitulo VI: "Radix omnium malorum est
cupiditas" ("Radice de tutti i peccati è la cupiditade"). Quanti latrocinii se commetteno el giorno e la
notte, quanti odii, quanti omicidii, per avaricia? Li figlioli desiderano la morte del padre, uno
fratello occide l'altro. O maledeta fame de avaricia, a che scandolo non conduci tu gli petti umani?
Dice Virgilio, descrivendo in la destruzione de Troia, a che modo uno garzonne, figliol del re
Priamo, chiamato Polidoro, essendo rimasto ricco di beni paterni, più bello del corpo chi avesse mai
formato la natura, fu però occiso da uno suo parente per gola di la robba, cioè avaricia. De questo
peccato parla esso Ioanne, sequitando in quello capitulo: "El secundo angelo sparsi la sua encrestara
in mare e fu levato uno sangue come de morto, ed ogni anima che viveva in mare subito fu morta".
La ragione è però che in questo tempo in ogni stato, frati, preti, monache, seculari, gioveni e
vecchii, donne e masculi, tutti attendeno a tirare a sé, ognuno rapina e dice: "Mio, mio!" (Ieremie
quinto capitulo: "A maiori usque ad minorem, omnes student avaricie", "Dal magiore al menore,
tutti studiamo in avarizia"). Lo terzo è detto 'lussuria'. De questo dice el Vangelista allegato: "Il
terzo angelo sparsi la sua encrestara sopra i fiumi e sopra gli fonti de le acque e se cambiorono tutti
in sangue". Dice Ioanne: "La ira de Dio è distesa sopra i fiumi, cioè sopra la voluttà e delettazion
carnale". O peccato molto detestabile, per lo quale ne l'omo nasce cecità di mente, mal consiglio,
inconstanzia in ogni suo bon proposto, amor de si stesso, odio de Dio, desiderio de la presente vita,
desperazione de vita eterna! *(Reprenderai qua uomini e donne a tuo modo)* O servi de Dio, o
religiosi, non ve confidiate de voi stessi, fugite e date loco: non è melio ca fugire la troppo
domistica conversazione di femine. El quarto è detto 'peccato de ira', el qual secundo gli dottori è
appetito disordinato di
vendetta. Però sequita el Vangelista dicendo: "El quarto angelo sparsi la sua encrestara contra del
sole, e gli fu concesso ch'el affligesse gli uomeni de riscaldamento, ed egli afflitti biastemorono el
Dio del cielo per gli grandi dolori, e non feceron penitenzia, cioè dasendo gloria a Dio". Questa
visione vol dire che la ira è come uno fuoco, che consume ed arde l'omo di qua e poi ne l'Inferno,
dove biastemano i dannati Dio con li santi. Nondimeno hai a notare tu, valente uomo, che la ira se
prendi in tri modi, cioè ira de passione, ira di zelo ed ira di vicio. Ira di passione è quando l'omo è
presto a corrozarsi, e questa è cosa naturale, e maximamente in uno melencolico e collerico per la
natura de lor complexione; questa non è peccato, perché nelle operazione che vengono più presto da
una disposizione naturale ca da la voluntà l'uomo non è laudato né anco vituperato, come dice el
filosofo ne l'Ethica, ed ancora el profeta David: "Irascimini et nolite peccare" ("Se ve turbarete, non
vogliate peccare perseverando ne l'ira"). Ira di zelo è quando l'uomo ordinatamente desidera la
vendetta de uno cattivo. La ragione: in questo modo se corrozò Moises contra el populo idolatrante,
chi adorò gli idoli (Exodi capitulo XXII [ma XXXII]). Ira de vicio è quando l'uomo desidera
vendetta di alcuno o iustamente o iniustamente, più per odio ca per ragione. Da questa ira nasceno
divisione, biasteme, contenzione. El quinto peccato se chiama 'accidia'; di questo dice el Vangelista:
"El quinto angelo sparse la increstara quinta sopra la sedia de la bestia e divene el suo reame
tenebroso". Questo significa li acidiosi, tenebrosi sempre e turbati, sempre melencolici, perché,
secundo li filosofi e teologi, accidia è una pigricia di mente ed uno tedio di cominzare uno bene e
paura di non poterlo compire. O pigri sciagurati, sempre uno pigro è stracco ed apparli avere uno
gran pondo adosso, ma non truovi mai che gli rincresca stare a tavola due ore o tre, pur ch'èl abbia
de bono a manzare, sempre murmurando ed infamando altrui. O gioveni vagabondi, che discorrete
tutto el giorno per le piazze, fugete l'ocio, sequitate le bone operazione! Lo sesto è peccato di 'gola';
di questo dice Ioane: "El sesto angelo sparsi la increstara nel fiume grande Eufrates e dissicò l'acqua
e apparecchiò la via a li regi dal levar del sole". Questo significa el peccato de la gola preparato a li
re ed a' grandi maestri e prelati, e chiamasi fiume grande a denotar la insaciabeltà di la gola; però se
chiama appetito inordinato di bevere e di manzare. Per questo molti sono morti: Adam per la gola fu
gettato dal Paradiso; Noè embriaco fu disprezzato dal figliuolo; Noè abbeverato comise incesto cum
le figliuole; Esaù per le scudella di lenta vendè la sua primogenitura; Oloferne embriaco fu occiso;
Erode embriaco comise omicidio de Ioanne. Che diremo del rico Epulone che avea fatto uno altare
del suo corpo? O miseri gulosi, o insaciabili omini, vilissima gente, vivete sobriamente, vivete come
uomini ragionevali, no come bestie, non come gente senza ragione! El settimo è detto peccato de
'invidia'. Di questo dice Ioanne: "El settimo angelo sparsi la encrestara ne l'aere, e ussì una voce
grande del templo che dicea 'Egli è fornito'"; nella quale visione dinota el Vangelista, per lo getare
la encrestara ne l'aere, che 'l peccato de l'invidia si funda ne l'aere e cattiva voluntade. O peccato
nefandissimo! Quanti mali son sequitati per questo! Per la invidia del diavolo la morte intròe in
questo mondo, la invidia mosse Caim ad occidere suo fratello, la invidia mosse i figlioli de Iacob a
vendere suo fratello Ioseph trenta ducati, la invidia mosse i sacerdoti e giudei a cridar contra de
Cristo nelle orecchie de Pilato : "Crucifigelo, crucifigelo!". Queste sono sette catene, le qual ligano
l'omo in tal modo che sempre el rimane servo del diavolo, schiavo del peccato. Però dicea santo
Paulo: "Chi fa el peccato è servo del peccato". A voler ussir di questa servitù e farsi libero è bisogno
confessarsi, aprire la bocca e dire : 'Io ho peccato'. Tu, Dio, abbime misericordia, acciò che da te io
abbia in questo mondo la grazia, in l'altro la gloria. Amen. Feria quinta: DE LA COGNIZIONE
DEL MORTALE E VENIAL PECCATO "Ecce defunctus efferebatur filius unicus matris sue" (Luce
capitulo VII). *(Dechiara el Vangelio quanto a la litera e poi dirai in questo modo)* Questo
giovenetto morto significa el peccatore nel peccato mortal, figliuolo de una vedova: questa è la
santa Chiesia che rimane vedova, quando muora l'anima d'un cristiano per lo mortal peccato e fi
suscitato da Cristo per lo atto de la confessione, assolvendo l'uomo da la pena eterna, cioè
commutandola in pena temporal piccola e breve. Ed acciò che l'omo intenda qual è peccato mortale
e qual è venial, metteremo dodece regule dignissime che 'l faranno cognoscere. La prima è posta da
san Tomaso Secunda secunde, questione LIX, articulo X: "El peccato mortal è quello che è
contrario a la carità, la qual è vita de l'anima". La ragione è questa, però che niuna grazia, niuna
virtuosa operazione può giovar a l'omo a salute senza la carità. E non te maravigliare, però che,
come dice san Tomaso e santo Luca (capitulo X), el primo e maximo commandamento è amar Dio
cum tutto 'l core e più ca se medesimo, el secundo è amar el proximo come se stesso. Tutto quello
adunque che è contrario a la carità de Dio e del proximo è mortal peccato, eccetto s'el non fusse una
piccola cosa, però che, come dice san Tomaso (Secunda secunde, questione LXVI, articulo VI):
"Quella cosa che è poca fi presa da la ragione, come la fusse nulla". La secunda regula, como
dicono i teologi, è questa: ogni transgressione contra alcuno degli commandamenti de Dio è peccato
mortal, e questo medesimo se intende de ogni altro precetto de li proprii superiori, però ch'el se dice
nel Salmo cento e desotto: "Increpuisti superbos: maledicti qui declinant a mandatis tuis", cioè "Tu,
Dio, hai ripreso i superbi: maledetti quelli chi smarisseno dai tuoi commandamenti". La terza
regula: ogni transgression contra qualunque precetto de la santa madre Chiesia è peccato mortal,
onde XVII capitulo di san Matteo se dice: "Si ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et
publicanus" ("S'el non se aldirà la Chiesia, averallo per uno publicano dispetto"). La quarta regula è:
ogni transgressione contra qualunque commandamento licito che pertenga a l'officio di ciascuno
superiore ecclesiastico o seculare è mortal peccato, perché san Paulo dice (Ad Romanos, XIII):
"Qui potestati resistit Dei ordinationi resistit..." ("Chi contrastarà alla potestade contrastarà a la
ordinazion de Dio, e chi contrastano se acquistano dannazione"). Pertanto dice Scoto, sopra la
quintadecima distinzione del quarto de le Sententie, che colui chi non fa la penitenzia imposta dal
sacerdote in confessione pecca mortalmente, però che fa contra del commandamento de la Chiesia e
del Vicario di Dio in quello atto. La quinta: non solamente è peccato mortale lo atto, ancora la
intenzione cattiva. Onde dice Cristo (Marci, XV [ma Math. V]): "Qui viderit mulierem ad
concupiscendum eam iam mechatus est eam in corde suo" ("Chi guarda la femina cum desiderio di
lussuria già ha commesso fornicazione cum lei nel suo cuore". E debesse intendere de la intenzione
deliberata, però che 'l peccato ha tri progressi, cioè: sugestione, la qual non è peccato, anci può esser
cum merito quando la persona non glie dà cagione per proprio difetto; lo secundo progresso è
delettazione senza consentimento deliberato, e questo è peccato veniale; lo terzo è consentimento
deliberato, e questo è peccato mortale, avvenga ch'el non seguita la opera (questa è dottrina di santo
Gregorio, VI distinzione, capitulo Testamentum). La sesta regula: ogni delettazione de peccato
mortale è mortal peccato (così dice san Tomaso, Secunda secunde, questione LV, articulo quarto).
La settima: quello pecca mortalmente chi per sua colpa (5) se puone al periculo di peccato mortale.
Messer Bonaventura (sopra el quarto de le Sententie, distinzione XVII) dice che quando alcuno se
dubita de alcuna cosa, cioè se la è peccato mortale o veniale, egli è obligato a confessarsi de quella
come de ciascuno peccato mortal, acciò ch'el non se pona al periculo; verbigratia se l'uomo sa che 'l
vino è potente ad embriacarlo, inebriandosi el pecca mortalmente, perché scientemente el se priva
de l'uso de la ragione. La ottava è questa: colui pecca mortalmente che consente a colui chi
commette peccato mortale (Ad Romanos, capitulo primo: "Digni sunt morte non solum qui faciunt
ea sed qui consentiunt facienti", "Son degni de la morte non solamente quelli chi commetteno de
ribaldarie, ma eziandio quelli che consentino alli adoperanti le tristicie", come sonno quelli a chi
piace el mal commesso a destruzione de le terre o furti [o] altro mal grande, consentendo a quello, o
anco dar consiglio ad operar male o comandando, tutti peccano mortalmente come i principali che
cometteno el male). La nona regula è: avvenga che la persona non consenta né glie piacqua el
peccato, nondimeno se per sua colpa o indiscrezione dà cagione ad altri di peccar, la pecca
mortalmente, perché el se pone ne le lege civile: "Chi dà cagione de danno tanto fa come se 'l
dasesse lui stesso quel danno". Onde per non dare al proximo cagione di scandalo, la persona
debesse astiner da quello che per sé è licito, come sarebe manzar carne, bever vino, o altre cose (Ad
Romanos, XIII [ma XIV] se dice: "Si propter cibum frater tuus contristatur, iam non secundum
charitatem ambulas...", "Se 'l tuo fratello se contrista per lo cibo che tu manzi, tu non fai secundo la
carità manzandolo. Non voler perder per lo per lo tuo cibo quello per chi è morto Iesu Cristo"). La
decima è: benché l'uomo non consenta né daga cagione al peccato del proximo, nondimeno s'el non
glie contradice in quanto el può è obligato a quella pena che lui.
Onde nel capitulo Consentire (distinzione LXXX) dice santo Gregorio: "Error cui non resistitur
approbatur" ("Lo errore a chi non se resiste fi confirmato"). Onde è da sapere che l'uomo in tanto è
obligato a contrastare al peccato, in quanto el ha sopra del malfattor officio di presidenzia temporale
o spirituale, però che quello chi ha officio non solamente è obligato de li peccati manifesti over
quelli ch'el fa, ma eziandio di quelli secreti ch'el dovea saper per diligenzia e solicitudine che
pertiene al suo officio. Onde el capitulo Quamvis extra de regulis iuris dice: "Non se può scusarse el
pastore se 'l lupo manza le peccore ed esso pastore nol sa, però el padre è obligato per tutti i peccati
che commetteno li figliuoli per sua negligenzia, e così lo marito verso la mogliere, el rettor di
peccati del populo di una terra". O grande periculo e danno è quello di superiori in pensare a quanto
son obligati! *(Riprende qua a tuo modo)* Simelmente è obligata la persona di peccati di quelli
ch'el tene a battesmo, quando non son amaestrati in la fede e boni costumi dal padre e madre (De
consecratione, distinzione IV, capitulo Vos ante omnia). Lassiamo le altre due regule. Amen. Feria
sesta: DE L'AMOR DE DIO VERSO LA UMANA CREATURA "Ecce quomodo amabat eum!"
(Iohannis capitulo XI). *(Dechiara tutto el Vangelio secundo la littera, perché egli è bello. Poi
dirai:)* In questo Evangelio se tratta de l'amore de Dio verso la umana creatura, del qual amore
vederemo oggi. Tre son i stati del divino amor: el primo è de li incipienti, figurato per Lazaro; el
secundo de li proficienti, figurato per Marta; el terzio de li perfetti, figurato per Maria. El primo, de
li incipienti, ha tri gradi. El primo grado è amore, senza il qual niuno se pò salvare, del qual Cristo
disse a li Apostoli (Mathei XII [ma XXII] capitulo): "Amarai el tuo Dio cum tutto 'l tuo cuore e cum
tutta l'anima e cum tutta la tua mente". Lo affetto umano se divide a quattro obietti, cioè a le cose
superiore, inferiore, esteriore ed interiore; per questo se può dire che l'omo ha tri affetti, li quali tutti
è tenuto a dargli a Dio. El primo affetto è da le cose temporale, onor, fama e simile cose; ed in
questo se intende che la mente umana deba per sì fatto modo essere levata in Dio che per niuna cosa
terrena mai se venga a separare da Dio, non per dinari, non per gloria, non per roba mundana né per
figlioli. E questo è "amar Dio cum tutto el cuore". El secundo affetto de l'om è a le cose interiore,
cioè a la propria sanità e vita; per questo sottogionge Iesu Cristo nel precetto "ama Dio cum tutta
l'anima"; onde "amar Dio cum tutta l'anima" non è altro ca postponere e desprezzare la propria vita
corporale per lo divino amor, come se dice (Iohannis capitulo XII) "Chi ama l'anima sua più ca me,
la perderà". Adunque chi per acquistare sanitade usa incantazione o altri maleficii, fa contra el
precetto de Dio e de la Chiesia e condenna l'anima sua a morte eterna. El terzo affetto de l'uom è a
le cose interiore, come è a le cose intellettuale, cioè scienzia e ragione naturale, le quale tutte se
vogliano postponere a l'amor de Dio: e questo è "amar Dio con tutta la mente". E basta per lo primo.
El secundo stato è amor de' proficienti. De questi tali parla Ioanne ne l'Apocalipse, dicendo in
persona de Dio: "Al vincente io darò a manzar del legno de la vitta, che è nel Paradiso del mio
Dio"; ne le qual parolle el Spirito santo manifesta tre veritade a l'anima proficiente (per questo dice
"al vincente"): collui è veramente vittorioso, el qual nel primo stato - come è detto - per el divino
amore vince tutte le cose esteriore, inferiore ed interiore; e più oltra vince la mundana superbia per
la umile obidienzia, come conseglia Cristo in santo Matteo dicendo (XVI capitulo) "chi vol vegnire
doppo me prenda la sua croce e pongasi a sequitar"; vince la mundana luxuria cum la santa castità,
come se consilia Cristo (Mathei IX) dicendo: "Son alcuni castrati da sé per lo amore del reame
celestiale"; vince la mundana avaricia cum la voluntaria povertade, secundo el consiglio di Cristo
(Mathei IX): "Se tu voi esser perfetto va e vende ciò che tu hai, dalo a' poveri e viene a sequitarme,
ed averai el tesauro in cielo". La secunda verità de la profezia ditta è: "Io glie darò a manzar del
legno de la vita", el qual legno non è altro ca la nostra vita, Iesu Cristo, del qual parla David nel I
Salmo: "El serà come uno legno piantato inanci el scorso de le acque". La terza verità dice Ioanne:
"nel Paradiso del mio Dio". Che se intende per questo Paradiso se nonne la conscienzia del iusto de
varie e diverse virtude piantata? Tal conscienzia è tutta a Dio graziosa, iocunda in se stessa,
fruttuosa al prossimo e piena de ogni consolazione, e per questo è chiamata "Paradiso de Dio",
perché in essa se riposa Dio. El terzo è il stato di perfetti. E de questi parla Salamone, quando el
dice: "El mio diletto sta a pascere tra i zigli". Son molti zigli spirituali, per li qual se ascende a
l'amor de Dio. El primo è disprezzo di ogni cosa temporale: perché nel precedente stato de li
incipienti l'anima ha già gustato quanto Dio è dolce ne li suo' servi, subito glie nasce uno fastidio e
odio di ogni transitoria cosa e, secundo che scrive Augustino, gustato il spirito, ogni carne par
insipida e fastidiosa; onde ne l'Apocalipse (capitulo X) se dice: "El farà lo spirito di Dio amaricar el
ventre de chi el gustarà, ma ne la bocca del tale el serà dolce come melle". Tre foglie ha questo
ziglio secundo, perché in tre cose se cognosce questo disprezzo. La prima se chiama 'necessità',
perché di queste cose temporale solamente ne prende e tante ne desidera quanto basta a la necessità
di 'l vivere umano, e sempre de ciò ch'el ha lauda e ringrazia Dio, dicendo: "Beneditto Dio ne li suoi
doni e santo nelle sue operazione". La secunda foglia se chiama 'viltade', perché volentiere usa le
cose ville per disprezzarte, perché queste cose hanno natura de vestir l'anima di uno spirito umile e
benigno. La terza foglia è detta 'liberalitade', perché l'anima perfetta in Dio usa queste cose
mundiale, come se non fusseron sue, communicandole a chi ne ha bisogno. El secundo zilio è
desiderio de le cose celestiale. Tre foglie ha questo ziglio. La prima è 'audienzia', però che tal anima
volentiera alde la bona dottrina, come son le cose che pertengono a la fede, la qual fede se inicia da
l'aldire, come dice santo Paulo (Ad Romanos). La secunda è la 'orazione', la qual secundo santo
Bernardo conforta l'anima ed illumina. Questa è la ragione perché Cristo ne conforta a l'orare
dicendo: "Dimandate e ricevarete, cercate e trovarete, battete e sarete exalditi e aperti". La terza
foglia è chiamata 'contemplazione': per la consuetudine de l'orare se viene a la contemplazione de
Dio e degli spiriti superiore, la qual contemplazione è una certa elevazione di mente in Dio per virtù
superiore, la qual rende consolazione e dolcezza a l'anima, e allora la canta cum el profeta David:
"O Signore de le virtude, quanto sono amate le tue abitazione; l'anima mia ha desiderio e zelo de
abitar in quelli; el mio cuore e la mia carne se ralegrano nel mio Signore Dio vivo"; e in questo
modo la vive cum Dio qua per grazia, di là per gloria. Amen. Sabbato: DEL DESIDERIO DE LA
SEPARAZIONE DEL MONDO "Ego sum lux mundi" ([Iohannis], capitulo VII [ma VIII]).
*(Dechiara tutto el Vangelio)* Oggi sequitaremo de l'amore divino, vedendo el terzo ziglio de
l'amor de Cristo, el qual se chiama 'separazione'. Desidera l'uomo chi ama Dio perfettamente che la
sua anima sia separata dal corpo, per esser congionto con el suo dolce Cristo. Tre foglie ha questo
ziglio che speronano e pongeno questo santo desiderio. La prima è considerazione de li avversarii;
diligentemente considera l'anima illuminata quante son le contrarietade a salvarsi in grazia in questa
peregrina vita: li demonii, el mondo, la carne. Ognuno cum innumerabile battaglie, insidie e forze,
inganni, lazi e malicie son soliciti a profundare l'anima. E quanto l'uomo perfetto considera questo,
el crida spesse volte a Dio dicendo: "O Signor Dio, voglime cavare di questa pregione, acciò ch'io
laudo lo tuo nome; le iuste anime me espettano per sino che tu me remeritarai!". La secunda è
considerazione de li periculi. La persona umile sempre teme e mai non presume ne le sue forze, ma
solamente in la misericordia divina, temendo sempre de commettere qualche negligenzia che la faza
abandonata da Dio; la se ricorda de la ruina de Lucifero; la considera el cascare de li primi parenti,
la fortezza di Sansone, la santità de David, la sapienzia di Salomone, ed aparli che continuamente
Paulo apostolo ie crida nel capo: "Qui se existimat stare videat ne cadat" ("Chi se creda star fermo
guardise dal cadere"). La terza foglia è considerazione de li premii, cioè vedere Dio a faccia a faccia
in summa tranquillitade, possederlo eternalmente, fruire ed allegrarse in la umanità de Cristo, veder
la regina de li angeli ornata di gloria, in quanti onori sono i beati, in quanti iubili, in quanti canti, in
quante dolcezze, sempre specchiarse in Dio! El quarto ziglio è disprezzo de le opere proprie,
parendoli a lui che ogni fatica ch'el duri e patisca per Dio sia nulla; il qual ancora ha in sé tre foglie.
La prima se chiama exercitazione in le cose vile: quanto più è l'anima innamorata de Dio ed
illuminatta da lui, tanto più la se umilia e reputasi da puoco, e come una serva povera la fa tutte le
cose che fa bisogno, pigliando in questo exempio de la madre de Cristo, Vergine Maria, che fu
innamorata de tutti gli officii de umeltade, elegendo lavare, cusire, filare, mendicare, servire ad
infermi e a poveri. O Regina del Paradiso, o Madre de Dio, o Imperatrice de l'universo, che fai tu,
essendo occupata in li officii de umeltade, per la qual tutti te chiamano beata? La secunda foglia è a
far queste opere cum fervore, perché Dio più apprecia
lo affetto e la fervente e buona voluntade ca l'opra de l'uomo fatta cum puoca e fredda caritade. La
terza è riputarsi indegno de far tale opere, perché non se fanno se none a Dio: chi serve a l'infermo
serve a Dio, chi dà elemosina al povero la dà a Dio; però dice Cristo ne l'Evangelio, e dirà nel
iudicio: "Quod uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis" ("Quello che avete fatto a uno minimo de
li mei servi lo avete fatto a me"). Lo quinto ziglio è non curarse del mondo; el qual ziglio ha tre
foglie. La prima è detta iocundità: colui chi è imbriaco del divino amore se iocunda e deletta nelle
avversitade e tribulazione, secundo che è scritto Actuum capitulo VII [ma V] ("Ibant apostoli
gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Ihesu contumeliam pati",
"Andavano gli apostoli allegri dal conspetto del concilio, perché erano estimati degni de patire
disprezzo per lo nome de Iesu Cristo"). La secunda foglia è in le cose prospere umiliarsi: chi è pieno
di la divina dolcezza nelle cose prospere del mondo non se exalta, anci se umilia in tutte le cose. La
terza è detta invariabeltà, perché tanto estima el male quanto el bene, tanto el freddo quanto el
caldo. El sesto ziglio è detto securtade ne le cose contrarie. Questo ha tre foglie. La prima è detta
'non temere', perché chi ama Dio cum perfetto cuore non è cosa al mondo che lui temi; come dice el
nostro David: "Dominus illuminatio mea et salus mea: quem timebo?" ("Dio è la illuminazione e
salute mia, e de chi averò io paura?"); e Paulo (Ad Romanos): "Quis nos separabit a caritate
Christi?" ("Chi ne rimoverà da la carità di Cristo?"); tribulazione o angustia o fame o nudità? - quasi
voglia dire: Niente, non fame, non parenti, non figliuoli, non roba del mondo, non ferro, non fuoco,
perché Dio è più nobile, più eccellente ca tutte queste fanfaluche. Lui è summo bene perfetto,
queste cose create piene di difetto. El settimo ziglio è detto exaltazione di mente in Dio per
transformazione in Lui. Tre exaltazione riceve la persona che ama Dio perfettamente: la prima è
intellettuale; la secunda è affettuale; la terza è corporale; le qual tre exaltazione demonstra santo
Ioanne (Apocalipse, quarto decimo capitulo), dicendo: "Io aldì una voce dal cielo come una voce de
molte acque e de uno grande tonitruo, la qual era come voce de citariste chi sonavano cum suoi
instrumenti". Prima exaltazione intellettuale, però el dice "Io aldì una voce come de moltitudine di
acque": benché l'anima non abbia voce corporale, nondimeno è necessario che la sua voce interiore
sia tanto grande quanta è la sua leticia; pertanto dice el profeta David: "Vox exultationis et salutis in
tabernaculis iustorum" ("La voce di exultazione e de salute è in le abitazione de li iusti"). Di questo
movimento de cuori, over de acqua, dise Cristo a la samaritana (Iohannis quarto): "Chi beverà de
l'acqua che ie darò, la se farà in lui uno fonte di acqua che saglirà in vita eterna". La secunda è
allegrezza di mente; di questa dice Ioanne ch'el aldì "sonare uno tuono grande", el qual se genera de
vapore de acqua e di fumo sottile di terra. La terza è exultazione corporale; però dice Ioanne "la
voce ch'io aldiva era como de citarizanti cum sue citare", che significa: questa citara noma li lor
corpi chi exultano in Dio cum allegrezza. Di questa dice el profeta: "Li santi exultaranno in gloria e
se ralegraranno in li lor letti e camere; la allegrezza de Dio serà ne li lor cuori e fauce". Amen.
Dominica in Passione: DE LA NOBILITA' DE L'ANIMA "Si quis sermonem meum servaverit,
mortem non gustabit in eternum" (Iohannis capitulo VIII). *(Dechiara el Vangelio, perché egli è
bello)* Parla Cristo oggi e dimonstra la nobeltà di l'om, quanto a l'anima, dicendo: "Chi servarà i
mei precetti non morirà mai". Questo non se intende quanto al corpo, ma quanto a l'anima, perché
vediamo el corpo corromperse, dissolverse ed annichilarse; solo l'anima rimane immortale, perpetua
ed eterna cum Dio. O poveri cristiani, levate gli occhi vostri e considerate la nobeltà de l'anima. Io
trovo nove nobeltade di essa anima. La prima fi detta 'nobeltà de creazione'. Creata fu l'anima dal
summo Creator Dio spirituale, memoriale, intellettuale, simplice, indivisibile, senza peso, senza
figura, senza quantitade, senza mixura, non longa, non larga, non robusta, capace de virtù e de
vicio, atta a pene ed a premio; fatta da Dio dreta, quanto a le virtù naturale (intelletto, memoria e
voluntà), intelligente de le cose passate, presente e future; nobile, perché è fatta cum le man de Dio,
cum gran conseglio e deliberazione, perché tutta la Trinità la ha fatta ed il Padre la elessi nel suo
tabernaculo ed el Figliuolo per sua sposa, lo Spirito santo l'ha consecrata, dicendo Dio: "Facciamo
l'uom a la imagine e similitudine nostra, e sia preferito a li pessi del mare ed occelli del cielo ed a
tutte le bestie de la terra". O gran Dio, o bono Dio, o amator Dio! Eglie ha dato la iusticia original,
la veste de la immortalitade, el libero arbitrio, la suttilezza de l'inzegno, la scienzia di discerner il
ben ed il mal. O gran dignitade de l'anima! Non basta questo; ancora gli ha dato la custodia
angelica, per la qual se possa fare digna del cielo. O anima, quanto se' grande! De te parla David nel
Salmo dicendo: "O città de Dio, cose gloriose son dette di te!"; parla ancora Bernardo santo di te,
dicendo: "O anima, iscolpita de la imagine de Dio, adornata di la sua similitudine, sposata de fede,
ricomprata per lo sangue de Cristo, deputata cum angeli, capace di beatitudine, erede de la divina
bontade, participevele de la ragione!". Tanta è la nobeltà de l'anima che de niuna cosa la se pò saciar
se nonne de Dio, vivere cum Dio e signoregiare le altre creature. Nota, valente uom, che maggior
similitudine ha l'om cum Dio ca alcuna altra creatura. Prima, Dio è vita per essenzia, così l'anima è
vita del corpo e per lei ha lo essere. Secundo, in Dio son tre persone, Padre, Figlio e Spirito santo,
così ne l'anima sono tre virtù, intelletto, memoria e voluntà; e come Dio è uno in tutto el mondo e
solo governator, così l'anima è una in tutto 'l corpo e tutta in ogni parte del corpo; Dio è immortale e
l'anima immortale; Dio è simplice e l'anima anco simplice: e che questo sia vero vediamo come gli
dottori dechiarano la sua natura, monstrando che cosa è l'anima. E questa serà la secunda parte, over
'dignità de l'anima'. Remigio diffinisse la natura de l'anima in questo modo: "L'anima è una
sustanzia incorporal che rege il corpo"; Moises (Genesi, capitulo primo) dice: "L'anima è imagine
de Dio". *(Dechiaralo a tuo modo)* La terza dignità è che Dio non ha cosa in questo mondo tanto
cara quanto ha l'anima del cristiano. Ahimè, che oggi nulla cosa fi estimata l'anima! Onde el devoto
Bernardo dice, condolendosi di noi: "L'asino, over bove, cade ne l'acqua ed è chi lo alza di fuora;
cade l'anima e non è chi li sovenga: nondimeno Cristo è morto per l'anima, non già per l'asina". O
povera anima, non hai chi se curi di te se nonne Cristo! O pazzo cristiano, caminare XX giorni per
uno ducato d'oro, per l'anima el par fatica a far cinque passi, andar a la messa, a la predicazione! El
tristo cristiano la prima cosa ch'el puone al periculo è l'anima, vendendola mille volte el giorno per
uno soldo. Nota, anima cristiana, che una volta el diavolo fece tregua cum Dio, e ne li patti Dio ie
dimandò: "Chi voi tu per tua regalia? Io te darò i quattro elementi". "Non gli volio" disse il diavolo.
"Voi tu il governo di cieli?" Risposi: "Nonne!" "Che voi tu adunque?" disse Dio. Risposi lo Inimico
ad alta voce: "Dame l'anima de l'om e tutto 'l resto sia tuo". O ingrato omo, o diabolica persona, o
smemorato cristiano, cognosce la dignità de l'anima tua, e non volere esser ingrato: servala monda,
vergognite a far cosa che sia contra la dignità di essa! La terzia dignità è 'custodia': chi non guarda
el suo tesoro è pazzo; l'anima è tanto amata da Dio che uno angelo ne ha custodia e guardia e
sempre la accompagna. E tu, valente donna, avendo uno figliolo, over doi, nel ventre, aresti doi
angeli nel corpo. Dio fa de l'anima come fa el zeloso de la sua amante, over mugliere, che non
l'abandoni mai e non vol che la rimanga sola. Così Dio sempre dà bona compagnia a l'anima: nel
ventre, nel nascere, nel vivere, acciò che la non cada nel peccato, nella morte, acciò che la non se
desperi, dopo la morte, acciò che esso angelo chi l'ha guardata la presenti inanci a Dio. Gran
vergogna è a l'om peccar in conspetto de Dio, in presenzia di santi angeli! O peccator, alde san
Matteo (capitulo VI): " El padre tuo chi te vedi in secreto, te lo renderà", cioè el tuo bene fare. La
quarta dignità è che cum gran dolore la fi perduta. S'el fusse uno chi non avesse più ca uno
figliuolo, e quello morisse, molto se dolerebe e piangerebe. Quanto magior dolor doveressi tu aver,
quando tu perdi l'anima tua? Alcuni la lassino morire come bestie, non considerando el stato de la
sua dannazione, come tu hai Luce capitulo VIII. Se tu avessi cognosciuto el tuo danno, o anima,
piangeresti ancora tu. O spirito gentile! O anima dignissima! Considera cum quanto amore Dio te ha
creato e cum quanto dolore el te ha ricuperata: prima el descese dal cielo in terra per salvarte, chi eri
già cascata; trentatrè anni el volse peregrinare per el mondo, sudato, scalciato, povero, famelico,
sitibondo, predicando, facendo miraculi. O anima ingrata, cognosce il Creator tuo, el quale, acciò
che ancora tu ritornassi, volse sottomettersi a la morte vituperosa, misera e vile, morte cruda ed
amara. O Dio immenso, per qual cagione facesti tu questo? Per amore, per amor solo. E de chi? De
l'anima, de questo nostro spirito nobile. La quinta nobeltà è considerar con quanto precio è stata
redenta col precioso sangue de messere Iesu Cristo; onde santo Piero dice nella Epistola canonica:
"Voi non seti ricomperati cum precio vile, oro e argento
corruttibile, ma col precioso sangue de Iesu Cristo, incontaminato, immaculato". O anima ingrata
del tristo cristiano, piange, piange fortemente, quando tu vedi Dio immenso, umanato per te, morire
per te, sparger sangue per te, andar per te a metter l'anima sua a la morte. Però Paulo apostolo
devoto dice: "Voi cristiani seti comparati cum gran precio; glorificate e portate Dio nel cuore e
corpo vostro", acciò che, facendo così, abbiamo qua la grazia, di là la gloria. Feria secunda: DIO E'
APPARICCHIATO A DARNE LA GRAZIA "Si quis sitit veniat ad me et bibat" (Iohannis capitulo
VII). *(Dechiara la littera)* Nel presente Evangelio el nostro Salvatore, re de li cieli, invita ogni
creatura a la salute, chiamandola a la grazia ed al fonte vivo d'ogni bene, dicendo "Chi ha sete e vol
la grazia mia venga a me: io son apparecchiato per tutti gli modi darli grazia e adiuto". Tu me
adimandarai: "O padre spirituale, se noi non possiamo aver la grazia senza Dio, come faremo se Dio
non la vorrà dar a noi?" Io te rispondo, o anima, che son sei ragione che dimostrano Dio sempre
essere apparecchiato a doverci darne la grazia, pure che noi la vogliamo accettare. La prima se
chiama 'orazione di santi frequentata': la orazione di santi chiamata da noi ottiene grazia da Dio per
nostra salute. Questo è ciò che volse dire Iob pazientissimo (capitulo quinto): "Convertite ad alcuno
de li santi e chiama e vede se 'l c'è alcuno chi t'arisponde"; cioè, considerato lui la tua petizione e
necessità, se metterà a pregar Dio per te. Onde santo Gregorio dice (XII libro Moralium) che i santi
non cognosceno naturalmente le nostre petizione, ma son manifestate a lor da Dio, e vedendo Dio,
vedeno qualche particula de le cose che sono in Dio, quanto piace a Dio manifestarli: vedendo
adunque lor che a Dio piace che egli preghino per noi, lo fanno ed essendo pieni di carità, che
induce a sovegnir al proximo, lo fanno e pregando son exauditi per noi. La secunda ragione è detta
'infiammata deprecazione de Cristo'. O Dio buono! O Cristo dolce! Alde cosa maravigliosa: la
orazione infiamata che feci Cristo ne l'orto al Padre fu de tanta efficacia e virtude che la valse a tutte
le creature che mai al mondo seranno; onde san Tomaso dice, nella glossa sopra questa parolla, che
Cristo in l'orto, fatto in agonia, vidi in spirito tutti quelli che doveano esser salvi per mezzo de la sua
orazione, perché da Dio era così stato ordinato, che tutti quelli che doveano aver grazia da Dio
l'avessero per mezzo de la orazione de Cristo. Però dice san Paulo A li Ebrei: "exauditus est pro sua
reverentia" ("Egli è stato exaldito per la sua reverenzia"). Onde nota questa parolla tu, valente omo:
se Cristo inanci la sua passione non avesse orato, mai non se salvava alcuna anima creata da Dio. E
se la Vergene Maria cum tutti li apostoli e tutta la turba de martiri sacri, cum tutto el coro de
confessori e la gran compagnia de le pure vergine, fussero affatigati migliara de anni per Cristo, non
mai erano salvi. Nonne, nonne, però che in questo modo dovea aver effetto l'ordine de la divina
predestinazione. Non temere adunque, o omo, poter avere la grazia de Cristo, però che sempre
l'averai, pur che tu vogli. La terza ragione è chiamata 'umiliazione', cioè inchinazione del cuor, però
che santo Piero dice, ne la sua Canonica: "Superbis resistit Deus, humilibus autem dat gratiam"
("Dio fa resistenzia a li superbi e porge la sua grazia a li umeli"). O superbo angelo! O superba Eva!
Scacciati, sbandegiati uno dal cielo, l'altra dal Paradiso: per qual cagione? Non per dinari, non per
luxuria, non per ira, non per omicidio, ma solo per superbia! O David mio, per qual ragione,
essendo te stato ladro, luxurioso, porco, omicida del proximo, riceveste tu grazia da Dio e tornasti in
amicizia? Per umeltà. Umiliandosi el centurione infidele corre a Cristo, dimanda vita, dimanda
grazia e dice: "Domine non sum dignus ut intres sub tectum meum" ("Signor, io non son degno che
tu entri sotto el mio tetto"); e Cristo, dolce maestro, li respose: "Sicut credidisti fiet [ma fiat]tibi"
("Te sia fatto così come hai creduto"). Venga per testificazione fervente e solicita Cananea e dica:
"Nam et catelli edunt de micis que cadunt de mensa domini sui" ("Signor, ancora gli cagnoli
manzano de le minucie di pane cascate da la mensa di suoi patroni"). Disse allora il prudente
maestro Iesu Cristo: "Fiat tibi sicut vis" ("Te sia fatto el tuo volere"). Corri e tu, o publicano,
battendoti el petto, non audendo levar gli occhi in cielo, del qual dice el Vangelista: descesi questo
in casa sua iustificato da Iesu Cristo, però che "ognuno chi se exalta serà umiliato e chi se umilia
serà exaltato". La quarta ragione se chiama 'vergogna', aver confusione e vergogna di suoi peccati;
però dicea David nel Salmo: "Quotidie verecundia mea contra me est et confusio faciei mee
cooperuit me" ("Ogni giorno la vergogna mia è contra di me e la confusione de la faccia mia me ha
coperto"). Pertanto san Tomaso d'Aquino dice che la vergogna de una persona rimove quelle cose
che son contrarie alla virtù in doi modi: primo, assai volte per vergogna la persona se riguarda da
uno vicio, over che par vicio e cosa disonesta a tutte le persone; secundo, la vergogna de l'omo chi
vede i vicii suoi lo sforza a rimoverli per atto de la confessione, riprendendo l'anima, come dice
Anselmo a l'anima: "Perchè non piangi tu, o sposa de Cristo, abitaculo del Spirito santo? Tu eri
templo de Dio, ora se' abitaculo del diavolo". O povera anima, o misero spirito, o descacciato dal
cielo, piange, lacrima e sospira: così vergognandosi la creatura la confessa el suo peccato; indi
nasce che 'l benigno e grazioso Dio infunde in quella anima copia e abondanzia di grazie. La quinta
ragione è chiamata 'perseveranzia de orazione': orar, zezunare, dar spesso elemosina, andare a la
santa chiesia, temer Dio, continuare e perseverare in quello. Questo volse dire Iesu Cristo in san
Luca: "Qual de voi averà uno amico e anderà da lui de notte e dirali 'Amico mio, imprestime tri
pani, perché uno mio caro è venuto da me di viaggio, e non ho che ie ponga inanci', e quel di dentro
ie risponde 'Non me dar noia, già è richiuso l'usso, li mei figliuoli son meco a dormire, non posso
levarme e dartine'; se quello di fuori perseverarà battendo, ve dico ch'el se levarà almanco per
fastidio e darali ciò ch'el richiedi". Poi conchiude Cristo: "Dimandate e riceverete" (cioè la grazia),
"battete e ve serà aperto". Adunque chi ha sete venga e beva in questo mondo la grazia, in l'altro la
gloria. Amen. Feria terzia: PER LE PROPRIE OPERE BENE FATTE L'UOMO PO' SPERAR
VITA ETERNA "Tempus autem vestrum semper est paratum" (Iohannis capitulo VII). In questo
presente Evangelio narra Cristo, maestro de la verità, come l'omo per le opere proprie ben facendo
può sempre sperare avere vita eterna. E questo oggi lo provaremo per sei ragione, secundo che 'l
tempo ne bastarà. [La] Prima se chiama 'ragione de la divina operazione'. Dice el filosofo che collui
chi fa una operazione e uno exercizio manuale se asforza de assimiliar a lui quella cosa che lui
adopera. Or prende la esperienzia: el fuoco consume e arde le ligne e sforzasi de redure quel ligno
in materia e natura de fuoco; così il depintor se asforza de assimigliare la imagine ch'el fa a la
imagine ch'el ha in sé dentro la fantasia; così Dio ne l'opera de la creazione, over iustificazione, e
ancora de la glorificazione, vorebbe e vol assimigliarsi l'uomo, a farlo simile a sé. E prima, creando
l'uomo, lo feci a sua imagine e a sua similitudine, perché essendo Dio trino in persona ed uno in
essenzia, per simigliarsi l'uomo lo feci uno di una anima e trino di tre potenzie, cioè intelletto,
memoria e voluntade. Onde se lege nel Genese: "Creò Dio l'omo a la imagine e similitudine sua".
Ne la iustificazione 'assimigliarsi l'uomo per grazia' Dio vol l'uomo esser conforme de la imagine
del suo Figliuolo, ne infunde el lume spirituale, del quale dice David nel Salmo: "Signatum est
super nos lumen vultus tui, Domine; dedisti leticiam in corde meo" ("Signore, el lume del tuo volto
è signato sopra di noi e per questo me hai dato leticia nel mio cuore"). Simelmente ne l'opera de la
glorificazione assimiglia l'uomo a sé facendolo beato come Dio per participazione di gloria; onde
dice el salmista David per parte de Dio: "Io ho detto che voi site dei e tutti quanti figliuoli de
l'Eccelso"; ed ancora el Vangelista Ioanne dice: "Cum apparuerit similes ei erimus et videbimus
eum sicuti est" ("Quando ello apparerà, nui seremo simili a lui e lo vederemo in quella speciosità
che gli è"). Questo fa Dio, domentre ch'el va perducendo l'omo a vita eterna mediante le nostre
opere. La secunda se chiama 'consumata perfezione'. Dice Aristotile (primo Celi et mundi): "Dio e
la natura non fanno alcuna cosa invano". Essendo fatto l'omo a dover possedere vita eterna, come è
sentenzia de Augustino, indarno averia Dio fatto l'omo s'el non acquistasse vita eterna, ben però
congionte le nostre opere virtuose. Ma tu potressi dir: "Or dime un poco, padre e maestro nostro, la
beatitudine de vita eterna essendo infinita, la capacità e virtù de l'anima è finita; come è possibile
che una cosa piccola e infinita sia saciata e piena de Dio infinito ed immenso? Bene; adunque ch'io
facesse tutti gli beni a me possibeli per acquistar vita eterna, mai non la acquistarebe, perché la è
infinita ed io finito". Risponde a te, anima ardita, el fervente e serafico dottore Bonaventura (terzio
Sententiarum), dicendo che l'anima in patria ve darà Dio non infinitamente ma finitamente, e
quantunque Dio sia infinito, lo comprenderemo noi non tanto quanto in sé è lui comprensibile, ma
quanto noi potremo secundo el nostro intelletto. Vederemo adunque Dio infinito, non infinitamente
ma finitamente, e tanto quanto serà grande la virtù de l'anima, la qual è in quattro gradi, ed in quella
latitudine la vede Dio;
l'Angelo la vede meglio in cinque gradi, l'Arcangelo meglio in sei gradi, li Serafini
perfettissimamente in otto gradi; nondimeno niuno el vede infinitamente, ma con mixura e fine,
però che anco più assai se potrebe vedere. La terza è "ragione di affinità e parentela". Dice la santa
Biblia, parlando de Cristo incarnato: "Egli è nostra carne e nostro fratello de una carne ed uno
medesimo sangue"; però dicea Paulo apostolo: "Non priesi mai Cristo la natura de angeli, ma lo
seme de Abram", cioè non volsi fare angelo, arcangelo per redemere quelli, ma volsi e fecise omo,
vestito di carne passibile, mortale, come noi alterato, assetato, affamato, adolorato. O Cristo mio! O
Iesu benigno! O fratello dolce! Qual è la ragione che per noi tu patissi tanti affanni, etcetera. *(Dirai
a tuo modo)*. "Io - dice lui - patisco queste pene per amore, per compassione de gli mei fratelli di
una medesima carne". Volsi ancora morire per noi de morte aspra, de morbo crudel, di suplicio
vituperoso. O cristiano, pensa uno poco che Cristo suscitato è andato al cielo, e sede a la destera
paterna in gloria, e spera aver cum lui vita eterna. Non dubita aver el Paradiso, facendo sempre le
opere virtuose, perché dice Cristo: "Ove è il capo de li cristiani, ive andarano li membri". Cristo è
nostro capo, secundo la sentenzia de Paulo a li Ephesi dicente: "Christus est caput totius ecclesie,
nosque membra eius" ("Cristo è capo de tutta la Chiesia, e noi siamo suoi membri"). Esso Cristo,
favelando al Padre, dice: "Volo, Pater, ut ubi ego sum ibi sit et minister meus" ("O Padre, io volio
che ove sono io sia ancora el mio ministro"); in uno altro verso de l'Evangelio: "Io vo
apparecchiarvi el luoco; ancora tornarò e riceverove a me stesso proximati" (santo Matteo, capitulo
XXIV: "Ove serà el corpo, ive se congregano le aquili"). La quarta se chiama 'ragione di divina
iusticia'. Dio è iusto iudice di tutte le persone, come dice David: "Deus iustus iudex, fortis et
patiens" ("Dio è iusto iudice e forte e paziente"); in uno altro luoco: "Iustus es Domine et rectum
iudicium tuum" ("Tu, Dio, se' iusto e lo iudicio tuo è ritto"). Or, dime uno poco: quanti omini da
bene abbiamo noi veduto patire tribulazione, affanni, persecuzione, flagelli e morte per la iusta vita
lor e fede, e nondimeno non aver mai avuto alcuna retribuzione over mercede da Dio in questa
presente vita? Adunque Dio serebe iniusto e crudele s'el non rimunerasse l'anime loro ne l'altra vita;
e conciosiacosaché de là siano due retribuzion, una de gli cattivi, l'altra de li boni, de li cattivi la
pena e la damnazione eterna, di gli boni debbe esser la gloria e corona perpetua. Però dice el gran
dottor greco Atanasio nella sua Confessione catholica: "Qui bona egerunt ibunt in vitam eternam,
qui vero mala in ignem eternum" ("Quelli che averano fatto bene, andarano in vita eterna, chi male
in lo fuoco interminato"). O religiosi, perseverate in le osservanzie regulare. O maritate, perseverate
cum purità ed onestade del matrimonio santo da Dio benedetto ed ordinato. O continente e vergine,
perseverate nel timore, ne le vigilie, ne li zezunii, ne le elemosine, ne le contemplazione, ne le
orazione; acciò che a noi sia detto: "Venite a me tutti chi ve affaticate e siati carichi ed io ve
reficiarò, venite benedetti del mio Padre celeste, galdete el reame parecchiato a voi nel principio del
mondo. Ho avuto fame e me avete pasciuto, sete ed aveteme abbeverato, son stato nudo e avetime
coperto, infermo ed impregionato e sete venuti a me". Ed ove è la ragione di tanta dolcezza?
Risponde lui: "Perché el vostro tempo è sempre apparicchiato in questo mondo per grazia, in l'altro
per gloria". Amen. Feria quarta: S'EL SE PO' IN QUESTA VITA MORTALE INTENDERE SE
L'OMO SE DEBE SALVARE O DANNARE "Oves mee vocem meam audiunt, et cognosco eas et
sequuntur me" (Iohannis capitulo VII). *(Dechiara tutto el Vangelio)* Dimandono gli dottori sacri
s'el se pò in questa vita mortale certamente intendere se l'uomo se debe salvare o dannare. Responde
el venerato dottore san Tomaso d'Aquino (Prima secunde, questione secunda, articulo quinto) che
una cosa se può sapere in tri modi. Primo per sé medesima e per certa e vera scienzia, ed in questo
modo non è possibile che alcuno possa sapere per certezza e vera scienzia s' egli è del numero degli
salvandi o degli damnati. La ragione è però che chi intendesse questo intendiria el voler de Dio,
cognoscerebe la voluntà de Dio, saperebe tanto quanto Dio. Ed a questo sentimento parlò Iob
paziente (capitulo nono), dicendo: "Si venerit Dominus ad me, non videbo et, si abierit, non
intelligam" ("Se 'l Signore verrà a me, io non lo intenderò e s'el se partirà, io non lo cognoscerò").
Viene Dio a noi per grazia e partise per el peccato mortale. Secundo, se può sapere una cosa per
rivelazione; ed in questo modo Dio revella ad alcuni la sua dannazione ed ancora la sua salvazione.
Lege Exodi capitulo XXXII. Vedendo Moises el populo de Dio aver rinegato el suo proprio Signor
Dio ed aver adorato le idole, e che Dio fortemente corrozato determinava dar la morte a tutti lor,
ricorsi a Dio, dicendo: "Dimitte Domine populo tuo noxam hanc, aut dele me de libro vite" ("O
Signore, remetti al tuo populo questo peccato, over scanzellime fuori del libro de la vita"). El "libro
de la vita", secundo santo Tomaso (parte prima), non è altro ca la vera e perfetta scienzia, over
divina cognizione. Sapevasi adunque Moises esser scritto nel libro de la vita, e questo per
revelazione. Terzio, se pò sapere per conietture e per segno. Questo se intende per exempio de
l'infermo: quando noi vediamo lo infermo non poter manzare over vomitare el cibo, over ch'el ha
perduto totalmente la vergogna de gli atti e membri suoi, over quando el ride e trepa piangendo gli
suoi amici e parenti ne l'infirmità sua, tu dice: "Costui morirà: questi son cattivi segni". Così al
proposito, quando tu vedi l'omo desprezzare il cibo spirituale, cioè gli sacramenti de la Chiesia, le
confessione, le messe, le predicazione, over che Dio ie dà tutte le cose prospere secundo el suo
appetito; e se pur qualche volta el se confessa, el non può fare ch'el non ritorni al vomito, over che
così perde la vergogna e la conscienzia che tanto pecca in publico quanto in occulto, e tanta
conscienzia se fa de un mortal peccato quanto de uno veniale, over chi di qua non vole avere alcun
desasio, ma tutti i suoi piaceri e galdimenti: o mischino, o sciagurato, o insensuati, voi seti dannati,
sete spazzati! Questi son mal segni, male conietture; mala opinione verisimelmente se pò avere de
tale creature. Volta la carta. Quando tu vedi una persona visitar la chiesia ogni giorno, aldire la
messa volentiera con devozione, e così la predica, confessarse più volte l'anno, non tornare sì presto
al mal fare, dare allegramente le elemosine, qualche volte zezunare, orare, venirgli in displicenzia le
frasche de questa erunnosa e pazza vita, aver vergogna e displicenzia rimordente doppo ch'el ha
commesso uno peccato, potrai dire: "Costui serà salvo, e sono buoni segni, benché questi però non
pongano necessità alcuna". E nota tu, valente omo: benché tu fussi certo e certissimo de essere
damnato over salvatto, non debbi però cessare di far sempre bene e meglio. E questo per più
ragione. La prima è per aspettar menor pena, però che la Scrittura dice: "Secundo la quantità del
delitto serà la mixura de le piaghe"; adunque quanto più l'uomo peccarà tanto più serà punito ed
aggravata serà la sua pena. Onde, posto che tu sapessi per certo dovere essere damnato, non resta di
confessarte e pregare Dio ch'el te usi alcuna pietade, che benché vadi a la dannazione eterna, serai
punito di menor pena ca se avessi sempre fatto male, però che Dio, per queste bone operazione che
fai, in qualche cosa mitigarà la tua pena. A tal proposto se legge ne le Vite de' Santi Padri che santo
Macario uno giorno, caminando per uno deserto cum lo bastone in mano e vecchiarello, diedi di
questo bastone in uno capo di morto, e sentitte una voce che disse: "O padre Macario, priega per
me!". Dimandò Macario chi 'l fusse. Rispose lui: "Io son el capo di uno gentille e pagano, che
insieme cum altri son damnato al foco eterno". Disse Macario: "Glie sono in quel fuoco altri ca
pagani? Glie sono alcuni cristiani?". Risposi quel capo: "Sì bene; e benché tutti siamo nel fuoco,
nondimeno i cristiani pessimi son sotto de noi mille passi, continuamente ardenti cum fetore e puzza
intolerabile, biastemando Dio e gli beati tutto el giorno e notte; vero è che sopra noi sono alcuni
cristiani, che hanno alquanto temuto Dio e fatto pure alcuni bene al mondo, damnati per non aversi
confessato né dogliuto de' suoi peccati, ma hanno menore pena e menor fuoco ca tutti gli altri". O
cristiani mei, aldite la voce del Signore! O peccatori, sequitate la voce del vero pastore Iesu Cristo,
acciò ch'el ce conceda qua grazia, di là gloria. Amen. Feria quinta: PER SEI RAGIONE PO'
L'ANIMA GUARDARSE DE FAR MALE "Remittuntur tibi peccata tua" (Luce capitulo settimo).
*(Dirai tutto el Vangelio pollitamente cum boni modi, perché egli è bello, etcetera)* In questo
Evangelio se narra la conversione di Maria Magdalena; onde io trovo sei ragione principale, per le
quale l'anima se guarda de far male. La prima se chiama 'riverenzia de Dio', per la quale molti se
guardano de offendere tanta maiestà quanta è quella de Dio, dalla cui faccia contremisse ogni
creatura; onde l'aquillino Ioanne ne l'Apocalipse, al primo capitulo, dice che, vedendo lui Dio, el
cascò in terra. Simelmente gli discipuli del nostro Signore Iesu Cristo, essendo nel monte de Tabor,
monstrato che gli ebbi Cristo la faccia splendente, cascorono in terra, come hai Mathei
decimosettimo capitulo. Simelmente san Ioanne Battista, chiamato più ca profeta, dovendo lui
battizare Cristo, tremava tutto quanto per reverenzia de lui. Chi è adunque quello che considerando
la maiestà de Dio
volesse peccare nel suo conspetto, considerando che ogni cosa che l'uomo fa in questa vita presente
è nota e manifesta al Signor Dio? Di questo hai exempio di quella meretrice domandata Thais, la
quale fu convertita da lo abbate Panucio, monstrando lui voler peccare cum quella, e poi la serrò
ben convertitta in una camera, ne la qual la stette per spacio de tri anni facendo penitenzia. Ed era
tanto lo tremore che avea questa, considerando la divina maiestade, che la non avea ardimento de
levare gli occhi al cielo, ma umelmente se voltava verso el pariete, dicendo col publicano: "Deus
esto propicius mihi peccatori!" ("O Dio, sie propicio a me peccatrice!"), onde el Signor Dio li
perdonò più per rispetto de la reverenzia ch'ell'ebbi de non voler peccare nel conspetto suo ca per
penitenzia che la facessi. La secunda ragione se chiama 'manificenzia', over liberalitade. per la qual
molte volte li peccatori se convertino a Dio e fanno penitenzia di loro peccati, pensando la grande
benignità del Creatore, il quale cum tanta largitade provede a loro, negli figliuoli, parenti ed amici,
onori, dignitade ed abundanzia de le sustanzie temporale. E per questo molti se convertino alcuna
volta a Dio, pensando la sua largitade, non risguardando lui a' nostri peccati, ma benignamente
provedendo a le necessitade umane. Dice adunque ognuno illuminato del cuore: "O ingrato e
discognoscente me! Quanti beni me ha fatto Dio e quante grazie me ha donato ed io lo offendo! Io
me levarò ed andarò dal mio Padre e dirogli: 'O Padre, io ho peccato contra el cielo e contra la terra
etcetera'. O Creator mio, io te ho offeso cum lo cuore, cum la bocca, cum la operazione, per gli
quali peccati io meritarebe eterna punizione e nientedimeno tu pur me ami e da'mi più beni che io
non merito. Per la qual cosa io me rendo in colpa e sì ti priego che tu me perdoni!'". Ma molti altri
peccatori fanno el contrario, che quanto più bene gli fa Dio e quanto più ie moltiplica la robba
temporale, tanto più lor fanno male e offendeno Dio, non considerando la sua grande liberalitade;
de gli qual parla el salmista: "El mio diletto è ingrassato ed ha ricalcitrato: egli è ingrassato,
inrichito e dilatato". Isaie primo capitulo: "Filios enutrivi et exaltavi, ipsi autem spreverunt me" ("Io
ho nutricato figlioli ed exaltato ed egli me hanno sprezzato"), quasi voglia dire: "Io gli ho fatto bene
ed egli me hanno fatto male". Adunque, o ingrati peccatori, considerate la vostra ingratitudine e la
liberalità del Signore, e convertiteve a Lui! La terza ragione per la qual gli peccatori se convertino a
Dio è 'documento de dottrina'; e in questo modo se converte la maggiore parte de li peccatori,
perché aldeno laldare le virtude e vituperare e biasemare gli vicii, e così lassono gli vicii ed
accostansino a le virtude. Per questo modo tutto el mondo fu convertito per le predicazione degli
Apostoli a la fede de Cristo, e continuamente se convertino ogni giorno per gli buoni documenti ed
amaestramenti de gli predicatori chi per la cristianitade vanno predicando. Quanti peccatori sono
venuti a la via buona per la predicazione de li valenti dottori: tutti el vedeno di continuo, onde non è
bisogno provarlo. Guai al mondo se non fusseron gli predicatori chi continuamente cridano e
chiamano i peccatori che lassino i vicii ed i peccati e dagansi a le virtude. Però Isaia profeta,
intendendo questa utilità che hanno gli peccatori per lo divino verbo, dice ad ogni predicatore:
"Clama, ne cesses, et quasi tuba exalta vocem tuam et anuncia populo meo scelera eorum" ("O
trombetta de Dio, vogli cridare senza alcuno riposo ed annuncia al populo le sue sceleritade ed a la
casa de Iacob gli lor peccati!"). Venite adunque, o peccatori, ad aldire el verbo divino, acciò che per
virtù di quello vegnati a lassare la via cattiva ed a prendere la bona. La quarta cagione se chiama
'demonstrazione de' miraculi', onde alcuni se convertino, perché vedeno fi fatto alcuna cosa
miraculosa e sopra natura; ed in tal modo molti se convertivano ne la chiesia primitiva. Onde
Nicodemo se convertì vedendo gli miraculi che facea Cristo, dicendo a lui (Iohannis terzio): "Rabi,
scimus quia a Deo venisti; nemo enim potest facere signa que tu facis, nisi fuerit Deus cum eo" ("O
maestro, noi sappiamo che se' venuto da Dio, perché niuno può fare questi segni che fai tu, se Dio
non fusse con lui"). El centurione, avendo sentuto el terremoto ne la passione de Cristo, se convertì
dicendo: "Vere Filius Dei erat iste" ("Veramente questo era figliuolo de Dio!"); e la turba che fu
saciati da Cristo de cinque pani e doi pessi, avendo veduto el miraculo, disse: "Questo per certo è lo
profeta chi dovea vegnire a salvare el mondo". Simelmente gli apostoli, martiri, confessori, faceano
molti miraculi, per li quali molti se convertivano a Dio, comme appar in le istorie loro. Ma al
presente non sono necessarii tanti miraculi, perché la fede è più forte e più roborata, benché molti
sieno tanto ostinati ed indurati che non se voglino convertir se non vedeno miraculi,
conciosiacosaché molti miraculi se vedano ogni giorno, cioè pestilenzie, fame, guerre ed altre
avversitade, le qual cose Dio permette, acciò che gli peccatori, vedendo queste cose marivigliosi, se
convertino. Ma molti hanno perduto el vedere e son tanto ciechi che non intendeno a che fine Dio fa
queste novitade. Tu vedi questo esser tagliato in pezzi, quello essere tossicato, quello morire de
morte subitana, etcetera: or non sono queste cose maravigliose che Dio fa? Nientedimeno gli
ostinati ed indurati peccatori non vogliano intendere. Ma guai a loro! Preghiamo Dio non ne lassi
cascare in simile errore, acciò che abbiamo di qua la grazia, di là la perpetua gloria. Amen. Feria
sesta: DE LA GRAZIA DE DIO "Expedit ut unus moriatur homo pro populo" (Iohannis capitulo
undecimo). *(Dirai el Vangelio)* Quanto benigno e grazioso sia el nostro Signor Dio in salvare la
creatura ragionevele se dimonstra in questo, che non solamente el communica la sua grazia a li
fideli, ma ancora agli infideli e pagani; però che oggi Caifas, bench'el fusse inimico de Dio,
nondimeno esso Dio ie volsi dare lo spirito di profecia, come hai nel santo Evangelio. Di questa
grazia noi vederemo duodici segni, per cognoscere quando l'omo ha in sé la grazia de Dio. In tri
modi se prende questo nome grazia. Primo, generalmente: la grazia è uno adiutorio divino dato da
esso a la creatura umana in tutti i soi atti; ed in questo modo el diavolo, el Turco, alcuna volta più
participerà de la grazia de Dio ca uno uomo santo e servo de Dio, perché la grazia priesa in questo
modo è ricchezze, potestade, signoria etcetera, le qual son comune a boni ed a cattivi. Di questa
dice David profeta nel Salmo: "Dante te illis, colligent; aperiente te manum tuam, omnia
implebuntur bonitate" ("Tu Dio donarai degli beni e l'uomo ricogliarà, aprirai la mano ed ogni cosa
serà empita de la tua bontade"). Di questa grazia temporale non intendo parlare al presente.
Secundo, grazia se prende specialmente, ed è uno adiutorio divino dato a la creatura ragionevele,
con el qual se apparecchia l'omo a ricevere el dono del Spirito santo, lo officio de la qual grazia è a
revocare l'uomo, overo el libero arbitro, dal male e incitarlo al bene. E questa è chiamata 'grazia
graziosamente datta', che dispone l'omo ad una grazia grato facente. Terzio, la grazia se prende
propriamente e perfettamente; ed in questo modo la grazia è uno duono dato a la creatura per
meritar vita eterna. E questa è chiamata da gli dottori "grazia grato facente", chi fa noi e le nostre
opere esser ben meritorie e grate al summo Dio. Di questa grazia parlava Paulo apostolo dicendo:
"Gratia Dei sum id quod sum, et gratia eius in me vacua non fuit" ("Per la grazia de Dio io sono
quello servo eletto da Dio qual me vede ognuno, e la grazia de Dio non è stata vana in me, ma
sempre essa grazia rimane in me"). A voler adunque intendere se l'uomo ha perfettamente la grazia
de Dio in sé non se intende per ragione, non chiaramente per revelazione, ma per alcuni segni e
conietture. El primo segno è dolore de la colpa passata: questa è sentenzia di santo Bernardo nel
Sermone de Ognissanti. La ragione è questa: la colpa e la grazia non posson stare insieme in una
medesima voluntà; se l'anima è in peccato, la non è in grazia etcetera. Qua non se pò dar mezzo:
quando adunque el se rimove el peccato per lo atto de la contrizione, necessariamente ie fi
introdutta la grazia. Pertanto Augustino sacro (Omelia ottava sopra Ioanne) dice: "Radix omnium
bonorum est caritas, radix omnium malorum est cupiditas" ("Radice de tutti li beni è la caritade,
come radice de tutti li mali è la cupiditate"), e questi doi affetti non posseno abitar de brigata. El
secundo segno è lo fermo proponimento de aguardarsi da li peccati per ogni tempo futuro. La
ragione: tal fermo e saldo proposto de far ben e de fugire ed aver in odio el male cum real effetto,
non può esser senza grazia de Dio adiuvante; adunque chi ha questo proposto - o tu, valente donna
mia, o tu, divoto cittadino - è signo ch'el ha la grazia de Dio. El terzo segno è contristazione e dolori
de li defetti de li proximi e leticia di beni fatti per altri. Però el nostro padre Augustino, scrivendo a
li poveri eremiti, dice: "Chi non se dole del mal del proximo e non se allegra del suo ben non ha in
sé la carità de Cristo". A questo proposto dicea Paulo: "Quis infirmatur et ego non infirmor?" ("Chi
serà infermo ed io non averò male?"), e poi dice: "Allegriamosi cum gli allegrandosi, dogliamo cum
gli dolenti". El quarto segno è desiderio de le cose eterne ed appetito de vita beata celeste. Però
Paulo apostolo, pieno di grazia divina, diceva: "Io desidero partirme dal corpo ed esser cum Cristo".
O Paulo di carità ardente, o infiammato de vita eterna, o imbriaco del dolce vino del Paradiso! Uno
giorno te appare mille anni a lassare el corpazzo a la terra,
sua madre, e cum la peregrina e spirituale anima andare coronato di gloria inanci Iesu Cristo in
Paradiso! David profeta nel Salmo dice: "Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est" ("Guai a
me, perché la mia abitazione celeste è prolongata"). Questa longa dimora de la presente vita è molto
molesta agli santi che vorebeno essere congionti cum Dio. Questa affezione di tale unione nasce da
l'amore de Dio che se ritrova in loro, il qual fa desiderare la abitazione de la cosa amata, perché uno
amico volentiera [sta] cum l'altro amico. Adunque questo affetto amorevele non può esser senza la
grazia de Dio. El quinto segno è spesse volte laudar Dio e tutto ciò che lui fa. L'uomo laudando Dio
in questa vita adopra quello che se farà in vitta beata; però cantava David, nostro citaredo: "Beati
qui habitant in domo tua, in secula seculorum laudabunt te" ("Beati quelli che abitano in casa tua,
egli in eterno te laldaranno"). La ragione: chi è figliolo de Dio per grazia lalda Dio, chi è del mondo
parla del mondo, chi è avaro de avaricia, luxurioso de luxuria, superbo de alteza e signoria. O tentati
cristiani, notate una regula generale: chi è amico de Dio e vero cristiano non giura, non biastema,
non maledice Dio e gli santi, non mente per la gola, non tradisse altrui. O lingue cattive, o
murmuratori, o lingue venenate, laudate Dio, ringraziate Dio, benedicite el Creatore alto Dio. O
David santo! Canta dicendo: "Benedicam Dominum in omni tempore, semper laus eius in ore meo"
("Io benedico Dio per ogni tempo, la sua laude sempre serà nella bocca mia"). El sesto ed ultimo
per oggi se chiama 'confessione de peccati'. Però dice el savio Salomone: "Iustus in principio
sermonis accusator est sui" ("El iusto nel principio del suo parlare è accusator de si stesso"). O
anima devota de Cristo, quando tu te umilie a Dio, quando tu te cognosce peccatore, e cognosce
Dio, tu dice a Cristo: "Non te basta, Signor mio, che una volta portasti sì vil morte per me? Non te
par che 'l sangue sparso basta a trar l'anima a te? Non pensi tu qual sono io e qual se' tu? Tu summo
bene perfetto, io pieno de difetti, sordido e puzzolento". Pertanto dice David: "Confitebor adversum
me iniusticiam meam, Domine"; io ho ditto: "Confessarò io la iniusticia mia contra di me al
Signore"; e tu hai remisso la iniquità del mio peccato a me. Però diceva Isaia: "Dirai le tue
iniquitade da tua posta inanci Dio, acciò tu sie iustificato". Hai adunque sei signi a cognoscere se se'
in grazia de Dio. Dimane vederemo el resto, acciò che per tal cognizione possiamo acquistare grazia
in questo mondo, in l'altro la gloria. Amen. Sabbato: DE [LA]COGNIZIONE CONIETTURALE
DE LA SALUTE NOSTRA "Hec est vita eterna, ut cognoscant te" (Iohannis XVII). *(Detto el
Vangelio, dirai così)* Niuna persona può cognoscere Dio perfettamente in questo mondo, né ancora
se stesso salvo per alcuni segni. Lassiamo la cognizione de Dio al presente e dichiamo de la
cognizione coniettural di la salute nostra, di la qual cognizione ieri vedessemo sei segni, oggi ne
vederemo altri sei. El primo è chiamato 'prolazione di sincera e pura veritade'. La ragione è questa:
essendo Cristo la prima verità, come el confessa lui (Iohannis terzio [ma XIV]): "Ego sum via,
veritas et vita" ("Io son via, verità e vita"). Chi dice adunque la verità over la confessa, confessa
esso Cristo secundo quello testo evangelico: "Qui me confessus fuerit coram hominibus, confitebor
et ego eum coram Patre" ("Chi me confessarà inanci a li omini, lo confessarò io inanci a Dio e mio
Padre"). El Salmo dice, domandando al Signore: "Domine, quis habitabit in tabernaculo tuo?" ("O
Signore, chi serà abitante nel tuo tabernaculo?"); risponde Dio: "Qui loquitur veritatem in corde suo
nec egit dolum in lingua sua" ("Quello chi parla la verità nel suo cuore e chi non usa inganno ne la
sua lingua"). El secundo signo è chiamato 'audizione del divino verbo', cioè aldire volentiera le
parolle de Dio e la santa predicazione; onde dice santo Ioanne (ottavo capitulo): "Qui ex Deo est,
verba Dei audit" ("Chi è de Dio, alde le parolle de Dio"). Lo amico alde volentiera ragionar de
l'amico e lo amante de la cosa amata. Per el contrario, dice el moral Gregorio dottore, non è alcuno
più manifesto segno de dannazione ca non aldire volentiera el verbo de Dio, come è segno de
salvazione aldirlo attentamente. Però se scrive negli Atti de apostoli che lo Spirito santo descesi
sopra tutti quelli che aldivano la parola de Dio. El terzo segno è la 'implezione attuale de le cose
aldute', però che la osservazione degli commandamenti de Dio non pò esser senza vera dilezione de
Dio. Iohannis XIV: "Qui diligit me, sermonem meum servabit" ("Chi me ama, servarà gli mei
precetti e parlamenti"); sopra el qual passo dice Gregorio: "El spirito de Dio viene in gli cuori de
alcuni che servano gli precetti de Dio, e fa dimora in quelli e stabeltade sì fatta che per tempo de
tentazione di loro non si parte da largo". Sopra di Ioanne ancora dice esso Gregorio: "Amor Dei
numquam est ociosus" ("Lo amor de Dio non è mai ocioso"); adopra ogni gran cosa s'egli è vero
amor, ma s'egli è negligente ed ocioso el non è vero amore. El quarto segno se chiama 'remissione e
perdonanza de le iniurie ricevute'; onde uno segno chiaro a cognoscere quando l'omo è in grazia de
Dio è quando benignamente el perdona a' suoi inimici, però che, perdonando l'uomo a' suoi inimici,
el se conforma a Cristo chi perdonò e pregò per i suoi crucifixori. Pertanto dice Cristo (Mathei VI
capitulo): "Diligite inimicos vestros" ("Amate gli inimici vostri, faceti bene a quelli che ve vogliono
male, acciò che siati figliuoli del vostro Padre celeste chi fa luxire el sole sopra gli buoni e cattivi e
piove sopra iusti ed iniusti"). Pertanto se lege di Stefano protomartire ch'egli era pieno di grazia non
per altro se nonne perché el pregò per li suoi lapidatori. Adunque perdona, acciò tu abbi la grazia de
Dio in te. El quinto segno se chiama 'correzione del proximo'; onde dice santo Iacobo ne la sua
Epistola (capitulo ultimo): "Qui converti fecerit peccatorem ab errore vie sue, salvabit animam
suam a morte" ("Chi farà convertire il peccatore di la via sua cattiva, el salvarà l'anima sua"); et io
me convertirò a lui, e starà inanci la faccia mia. Oh, se Dio me concedesse tanta grazia che per le
mie parolle e predicazione solo una anima se convertisse a Dio, me crederebe non poter mal perire:
onde colui chi ama Dio veramente non pò far ch'el non corregga e riprenda gli peccatori e quelli che
offendeno Dio e l'anima loro e che non si sforza di ridurli a la via de la veritade; però dice el
Salvatore agli discipuli suoi: "Non estis vos qui loquimini, sed Spiritus Patris vestri qui loquitur in
vobis" ("Voi non sete quelli chi parlano, ma egli è lo Spirito del Padre vostro chi parla in voi"). El
sesto ed ultimo segno se chiama 'voluntaria pazienzia de le cose avverse', onde quando tu vedi
alcuno avere de le tribulazione e avversitade assai e portarle pazientemente, dirai allora ch'egli è in
grazia de Dio; però scrive san Matteo (VII [ma V] capitulo): "Beati qui persecutionem patiuntur
propter iusticiam, quoniam ipsorum est regnum celorum" ("Beati sono quelli chi patiscono per la
iusticia, perché di loro è el reame di cieli"). E nota ch'el dice "è" e non dice "el sarà", a notar che
questi tali hanno qualche certezza del Paradiso in questo mondo. La ragione è che colui chi ha
avversitade ed allegrasi è segno ch'el disprezza el mondo e le cose del mondo, ed ha la mente posta
in Dio, come dice santo Paulo: "Omnia arbitratus sum ut stercora ut lucrifaciam Cristo meo" ("Ogni
cosa io ho riputato a modo de sterco, per aguadagnarmi Cristo"). Però, essendo santo Paulo
tribulato, el diceva: "Libenter gloriabor in infirmitatibus meis, ut inhabitet in me virtus Christi" ("Io
volentiera me relegrarò ne le mie infirmitade, acciò che la virtù de Cristo abita in me"); ed ancora
(Ad Corinthios XIII): "Caritas omnia suffert" ("La carità sustene ogni cosa"). E degli Apostoli se
dice che andavano per tutto el mondo allegramente, desiderando de patire ogni tormento ed ogni
passione e morte per amor de Cristo, come avea profetizato David dicendo: "Propter te
mortificamur tota die" ("Signor, noi siamo per tuo amore mortificati tutto el giorno e riputati come
pecore da macello"); però san Paulo (Ad Romanos VIII) dicea: "Chi serà quello chi ne possa
separare da la carità de Dio che è in Cristo Iesu Signor nostro? Angustia o fame o persecuzione o
passion alcuna, etcetera?"; quasi dica: "Niuna cosa". E però sequita lui dicendo: "Io son certo che né
morte né vita né angeli né potestade né alcuna creatura me poterà seperare da la carità del mio
Signor Iesu Cristo", la quale ho in questo mondo per grazia, e Dio la voglia confirmare in gloria.
Amen. Dominica in Ramis Palmarum: DE LA DIGNITA' DEL NOME DI IESU' "Propter quod et
Deus exaltavit illum et donavit illi nomen, quod est super omne nomen, ut in nomine Iesu omne
genuflectatur" (Ad Philippenses, secundo capitulo, e ne l'Epistola di questa santa Dominica de
Palme). Manca el senso, la lingua se accosta al palato, ogni umano parlare viene al meno, quando la
umana mente viene a voler considerare o parlare de le laude del nome triunfante di Iesu Cristo, el
qual è tanto grande e immenso che niuna lingua, over umano intelletto, è sufficiente a
commendarlo. Pertanto dice el salmista: "O Dio, secundo la immensità di 'l tuo nome, così sia la tua
laude nella bocca mia". Per la qual cosa oggi, o devotissimi cristiani, vederemo del nome de Iesu la
sua commendazione. Onde, secundo che dice santo Ieronimo, "Ihesus" è interpretato 'salute',
'salvatore' e 'salutare', perché el salva dagli peccati e libera da li inimici, conferisse grazia e dona la
gloria. Primo, el salva e monda la creatura da' peccati, però è detto 'salvatore'; onde l'angelo
parlando a Joseph disse: "Tu chiamara' el suo nome Iesus, però che lui salvarà
il suo populo dai suoi peccati". Secundo, il libera dagli inimici, a li quali eravamo suggetti, però el
fi detto 'salute'; onde dice el profeta Zaccaria (Luce primo capitulo): "salutem ex inimicis nostris, et
de manu omnium qui oderunt nos" ("El ne fa salvi dagli nostri inimici e da quelli chi ne odiavano").
Terzio, el conferisse grazia a l'anima: pertanto el fi detto 'salutare'; onde dice David nel Salmo:
"Redde mihi leticiam salutaris tui et spiritu principali confirma me" ("Rendime, o Signor Dio, la
leticia del tuo salutare e confermami del spirito principale"). Quarto, è detto 'salvatore', perché el
conferisse la gloria; però dice Iacob: "O Signor, io espettarò el tuo Verbo salvatore nostro " (Genesis
capitulo XLVIII [ma XLIX]). Del qual potentissimo e virtuoso nome di Iesu contempiaremo oggi
sette dignitade. La prima se chiama 'prenominazione'. O Dio immenso, quanto debbe essere onorato
el nome da Dio prenominato, immo da tutta la Trinitade! O nome dignissimo da Dio eletto, da Dio
eternalmente ordinato! Onde (Isaie XLV capitulo) dice Dio Padre: "Ego Dominus, qui voco nomen
tuum" ("Io son el Signor Dio, el quale adimando el tuo nome"); ed ancora el dice: "Ego vocavi te
nomine meo" ("Io te ho chiamato del mio nome"); ancora dice el profeta: "Sit nomen Domini
benedictum in secula; ante solem manet nomen eius" ("Sia benedetto el nome di Dio in eterno; el
suo nome fu prima ca 'l sole"). Quando Dio formava i cieli, quando el fundava la terra, quando el
plasmava Adam, ancora imponeva al suo figliolo questo nome: Iesus, Iesus, Iesus ! O dignissimo
nome, quanto se' bello, quanto se' dolce! Quanto virtuoso è lo nome imposto da Dio Creatore, da
l'Imperator di cieli, dal Patriarca de l' universo, Dio! Prendi la secunda, che è detta 'figurazione'.
Inanci che Cristo fusse incarnato, per centenara e migliara de anni questo triunfante nome di Iesu fu
figurato e profetizato; onde el profeta Abacuc (capitulo terzio) disse: "Ego autem in Domino
gaudebo et exultabo in Deo Ihesu meo" ("Io me allegrarò nel mio Signor Dio e consolaròmi nel Dio
mio Iesu"). Lege el profeta Esdra (capitulo XXXI): "Doppoi questi presenti anni el mio figliuol
Iesus morirà e convertirasse el seculo". O Iesu nome desiderabile non solo al populo ebreo, chi di
questo ebbi noticia manifesta, ma al populo ancora pagano e gentile! La Sibilla Erithea - come
recita Augustino (XVIII libro De civitate Dei, capitulo XXII) - così come donna famosa e sapiante
mette versi del fine del mondo e del iudicio estremo, traslati di greco in latino: mettendo le prime
lettere de' versi insieme, le comprendeno questo nome: Iesus. O padre Abraam, o padre Iacob, e tu
Isaac santo, obediente e pio, quanto gaudio avevate voi espettando quella creatura, quella persona,
quello omo a chi fu posto nome Iesus, sapendo voi che questo era quel nome potentissimo, nella cui
virtude serebbe convitto el diavolo infernale, se aprirebe la porta del Paradiso, al qual tutto el
mondo se umiliarebe, e però è degno da fir onorato. La terza ragione è detta 'annunziazione': lo
angelo fu el primo che annunciasse el nome di Iesu. Lege el testo (Luce primo capitulo): "Ne
timeas, Maria; invenisti gratiam apud Deum" ("Non temere, Maria; tu hai trovato grazia appresso a
Dio"), la qual grazia era stata perduta per Eva; "Ecce concipies in utero et paries filium et vocabis
nomen eius Iesum" ("Tu conciperai nel ventre e parturirai el figliolo, el qual adimandarai Iesus per
nome", quasi volesse dire: "Tu se' quella anima tanto di grazia plena che a te dal summo Dio è
concesso generare al mondo el Salvatore universale"). O nome degno di ogni reverenzia! Non è
perfetto cristiano chi non lalda tanto santo nome e no 'l magnifica così eccelso, fabricatto dal santo
Spirito e da l'angelo annunciatto, e ancora revelato a Maria (Mathei secundo [ma primo] capitulo:
"Disse l'angelo a Ioseph: 'Non temere a prendere Maria per tua sposa, perché ciò che è concetto in
lei è causato dal Spirito santo. La te aparturirà uno figliuolo, e chiamarai el suo nome Iesus'"). La
quarta ragione fi detta 'predicazione'. Li santi apostoli e martiri, per lo universo discorrendo, Iesu
predicavano, Iesu cridavano, Iesu ensignavano. Lege negli Atti de apostoli (capitulo quinto): "Non
cessavano ogni giorno per ogni casa e templo ensignar ed evangelizare el nome di Iesu Cristo".
Questo intesi el citarista nostro David nel Salmo dicendo: "In omnem terram exivit sonus eorum et
in fines orbis terre verba eorum" ("El suono de apostoli è uscito in ogni terra e le sue parolle ne le
estremitade del mondo abitabile"). O Paulo inamorato di Iesu, quanto ferventemente, quanto
solicitamente, quanto dolcemente lo predicavi! Sempre Iesu nel cuore avevi, sempre Iesu ne la
bocca, però dice Cristo (Actuum IX capitulo): "El me è uno vase di elezione, acciò ch'el porti el mio
nome inanci agli regi e gente e figlioli de Israel" . La quarta ragione fi detta ["invocazione"] perché
egli è rifugio de li penitenti. O peccatori! O robatori! O disonesti fetenti! Riccorrete a Cristo,
chiamate Iesu, nome dolce, nome santo, nome pio, e per invocazione di quello tutti li peccati ve
seranno perdonati. Cosa maravigliosa che uno nome abbia forza de remettere li peccati! Tu hai
Actuum decimo, detto da san Piero: "Huic omnes prophete" etcetera ("Tutti i profeti cridano e
dicono nel nome di Iesu esser remisso li peccati a chi credeno in quello"). O buona novella! O
valente donne , o signori mei cittadini, notate questo ponto, ligatilo alla memoria: s'el fusse uno
scelerato, ladro, giucatore, omicida, che non avesse mai per tutto el tempo de sua vita fatto alcuno
bene, ne l'ultima ora de la vita sua, non potendo avere tempo de confessione, né ancora perfetta
contrizione, incontinente - guarda a me - nel tuo cuore, ne la tua mente devotamente chiama Iesu, e
tutti i tuoi peccati passati e presenti te sono perdonati, così come se 'l Papa cum li cardinali te
avessero confessato. Te provo questo. Lege Ioel secundo capitulo: "Ciascuno chi domandarà el
nome de Dio, cioè Iesu, serà salvo". Pertanto, devotissimi fratelli, abbiate spesso nel cuore, ne la
bocca el nome Iesu, acciò che accadendo degli periculi, de' quali l'uomo non pensa, abbiate la
usanza de invocar questo nome Iesu. Questo basta per uno perfetto di tua salute; così volse dire lo
Apostolo Ad Colossenses, terzio capitulo: "Omnia quecumque facitis verbo aut opere, in nomine
Iesu Cristi facite" ("Tutto ciò che voi facete in parlare o in operare, facetelo in nome di Iesu
Cristo"). Tu hai la esperienzia in campo: uno chi sia uso a giurare, a biastemare Dio e li santi,
sempre glie viene quello in bocca ed in memoria e col diavolo vive e con quello muore. Discorre tu,
valente omo, tutte le Sacre Scritture del Vecchio e Novo Testamento, e non trovarai persona alcuna
aver invocato questo nome che pianemente non abbia avuto remissione d'ogni peccato, e poi grazia,
finalmente la gloria. Amen. Feria secunda: DE [LA] RESTITUZIONE "Fur erat et loculos habens"
(Iohannis XII capitulo). *(Detto el Vangelio, procederai così)* In questo Evangelio la Chiesia santa
narra de l'avaricia e latrocinio di Iuda, a significazione che ogni robatore de la robba d'altrui è
obligato a restituzione, sotto pena di peccato mortale, e non pò essere salvo, ma muore dannato, s'el
non restituisse la robba over fama d'altrui mal tolta. Questo dechiara el dottore santo Tomaso
(Secunda secunde, questione LXII), allegando el testo de Augustino, chi dice: "Non se remette el
peccato s'el non se rende el mal tolto". E provasi questo esser necessario per tre potente ragione.
Prima per ragione di precetto. Nel Testamento Vecchio tu hai (Exodi XXI, e Levitici XXIV) che chi
defraudava e robava altrui in alcuna cosa satisfacessi per quella medesima cosa: chi robava uno
cavallo rendesse uno cavallo, chi una pecora rendesse una pecora. Chi è cristiano è obligato ad
obedire a la lege di Cristo. La Chiesa commanda: "Chi robba quel d'altrui renda quello over
satisfaza per altra cosa equivalente a quella". La secunda fi detta ragione de dilazione. Ognuno è
obligato amare el proximo suo come se stesso. Tu non voresti essere dannificato? Nonne. Or non
dannificarai altrui. La tua possessione non voresti che altri la possedesse, altri la galdesse? Nonne.
Or non galde ancora tu la roba d'altri. Questo è amar sé ed el proximo come sé. Non facendo questo
fai contra la carità fraterna, ergo se' fuora di salute e per consequente se' in peccato mortale. La terza
è ragione di natura. La lege natural crida: non farai quello ad altri che non voresti altri facessino a
te. Or dime tu, cittadino, e parla con ragione ed intelletto: voresti tu che 'l tuo instrumento te fusse
tolto? Messer nonne! Non tuole adunque tu quello d'altri. "Io l'ho tolto". "Hai fatto male; ma va e
rendelo presto, perché la lege naturale te lo insegna e te constrenge, benché mai Cristo né la Chiesia
non lo commandasse". Ognuno è obligato a servar iusticia quando el può: egli è cosa iusta che
ognuno abbi el suo; pertanto o voi usurarii, ladri, robatori, mal giudici, falsi e dolorosi avvocati, o
ingannatori de Cristo, chi vendete le robe false e viciate per bone, rendete, restituite, altramente sete
dannati cum Iuda ne le man del diavolo; tutti li vostri beni che facete sono frasche e vento; perdete
l'anima tanto nobile. El tempo passa, voi invecchiate, la roba manca: quanto più la tenitte più
l'amate, tanto più ve rencresce a restituirla, de giorno in giorno dicendo: "Cra', cra'! Ben farò, ben
farò!" Questo anno, l'altro anno: el tempo fuge, passa uno anno, passen doi, passen quattro, poi se'
prieso da la morte, non puoi restituire e vai a casa calda! O miseri mortali! O cristiani ciechi! O
embriachi del mondo! Considerate il fin vostro e rendete l'altrui roba, acciò che Dio ve ascriva nel
numero de li salvandi. Tu me dirai : "O padre, tu me dice che l'uomo debe restituire ciò ch'el ha
tolto. Or dime: io ho tolto uno membro ad
uno, io ho taliato el brazo over el piede; come poterògli io restituire il membro suo?". Risponde el
dottor venerando santo Tomaso: "Tu ie debi ricompensare in altro, cioè in roba, in dinari o in simile
cose che piaceno a lui". Tu donna, hai infamato la tua vicina, la povera donzela, over vedova: tu se'
obligata a rendergli la sua fama, messersì. "Io non lo voglio fare, mi vergogno". Io te rispondo: "Se'
dannata! Vane, se lo hai detto in publico, se' obligata a dire in publico: 'Io ho mentito per la gola'; se
lo hai detto ad una o a doe persone, va a quelli e digli: 'Io non ho detto el vero, io mento per la gola',
etcetera. Ancora tu me dimandi questo dubio: "Io debo restituire dieci ducati: a chi li debo dare?".
Risponde san Tomaso (Secunda secunde, questione LXIV, articulo V) che, volendo restituire, se tu
hai noticia de la persona che ha perso, tu se' obligato a restituirgli a lei; se tu non la conosci e non
sai de chi sieno, debi restituire per elemosine in più luochi ed a più persone povere. Ancora: egli è
uno chi ha tolto uno mantello a Piero e da lì a tre giorni eglie fi robato a lui: costui è tenutto a
restituire il mantello che egli è stato tolto? Risponde santo Tomaso che sì. La ragione: chi taglia uno
brazo al compagno non èllo tenuto a satisfargli in qualunque altra cosa, come ho detto di sopra?
Messersì. Nondimento el non te rimane utilitade del brazo taliato da colui. Ancora: io te impresto
dieci ducati, tu vai in viaggio e perdi gli detti dieci ducati; benché tu non abbi cavato utilitade, se'
obligato a restituirgli per via de ragione e de iusticia e per via de onestà: egli è onesto che tu rendi
grazia a chi te ha servito. Ancora uno altro caso. Io vado a Ioanne e ie dico: "Fratello, tene in
deposito ed in salvo questi cento ducati in questa cassa". La cassa cum li dinari sono robati; sono io
obligato a restituirgli e satisfare del danno? Risponde santo Tomaso che ne le cose date in deposito è
da far tal considerazione: over l'omo le accetta mal volentiera, protestando così: "Io non le voglio
guardare; se le mancaranno, serà tuo danno"; in questo caso, mancando le robbe, non se' obligato a
restituirle; ma se tu accetti el deposito volentiera, promettendo de servarlo, dico che, se 'l te viene
robato per tua cagione, se' obligato a restituzione di quelle; ma essendo robbate senza tua colpa e
non cum tua cagione, non se' in questo caso obligato. Questo conferma Riccardo nel quarto e tutti
gli altri canonisti. Per la qual cosa, acciò che dignamente possiate ben confessi ricevere Cristo in
salutte de le vostre anime e lo suo santo corpo e sangue, del quale questi tre giorni sequenti
trattaremo, rendeti ciò che è di Cesaro a Cesaro e ciò che è de Dio a Dio. E questo facendo, Dio per
sua pietade ve darà in questo mondo grazia, in l'altro la gloria. Amen. Feria terzia: DEL
SACRAMENTO DEL CORPO DE CRISTO (I) "Memoriam fecit mirabilium suorum misericors et
miserator Dominus; escam dedit timentibus se" (Salmo, centesimo decimo). Volendo noi, o devoti
cristiani, ricever Cristo sacramentalmente e spiritualmente, è bisogno intendere la virtù, nobeltade
ed eccellenzia di esso sacramento de l'altare; onde per oggi noi vederemo tre breve contemplazione
sopra de quello. La prima serà la sua figurazione, in qual modo el fu figurato e demonstratto. Io
truovo in tri luochi del Vecchio Testamento principalmente essere statto figurato questo sacramento.
Prima nella oblazione che fece Melchisedech in pane e vino (Genesis, capitulo quarto decimo):
"Essendo ritornato Abraam dal combattere ch'el feci cum gli quattro regi cum vittoria,
Melchisedech, el qual era grande sacerdote de Dio, rendute prima grazie a Dio, tolse pane e vino e
feci offerta e sacraficio al Principo Re di cieli". Così Cristo, grande sacerdote, sotto specie di pane e
de vino volsi dare e tribuire el suo corpo sacrato. Di questo sacramento parla David nel Salmo
centesimo nono: "Tu es sacerdos in eternum secundum ordinem Melchisedech" ("Tu se' sacerdote in
eterno secundo l'ordine di Melchisedech"). La secunda figura fu de l'agnello pascale (Exodi capitulo
duodecimo), quando Dio commanda che ogni omo chi avea famiglia mangiasse nel giorno de la
Pasca l'agnello rostito per salute del populo. Così Cristo come agnello santo e immaculato volse
essere ogni giorno manzato ne l'altar e rostito del foco de la caritade e de l'amore. E come Dio
commandò che questo se facesse in memoria de la liberazione de le man de Egizii, così Cristo ha
commandato che questo sacramento se debba ricevere in memoria de la liberazione de le mane de
l'infernale inimico; però el disse agli discipuli: "Hec quotienscumque feceritis in mei memoriam
facietis" ("Ogni volta che riceverete questo mio corpo lo farete in mia memoria"). Terzia figura fu la
manna che piovetti agli giudei nel deserto, come hai Exodi capitulo XVI, però che quel cibo ad
alcuni era suave e dolce, melifluo e saporoso ad gustare, ad alcuni altri era acerbo, amaro, fastidioso
e abominevele; onde egli dicevano: "La nostra anima ha nausea, cioè vomito, sopra questo cibo da
niente e legierissimo"; così questo sacramento a li devoti e perfetti cristiani rende consolazione,
devozione e grande piacere, per lo contrario a li cristiani cattivi ed indevoti ch'il prendino
pazzamente, egli è amaro, tossicato ed invenenato, in dannazione de l'anima e del corpo. Però dicea
Paulo a quelli da Corinto: "Probet autem seipsum homo et sic de pane illo edat et de calice bibat,
qui enim manducat et bibit indigne iudicium sibi manducat et bibit" ("Provasi molto bene e poi se
mette a manzare di quel pane e bevere di quel sangue, però che quello chi manza o beve
indignamente, el manza e beve in suo iudicio, non facendo onore al corpo del Signore"). O falsi
cristiani! O gente indevota! O smemorati peccatori! Parecchiate le mente vostre a tanto sacramento.
Secundo, di questo sacramento vediamo la sua dignitade. Io trovo tre cose maravigliose in questo
sacramento. El primo mirabile è questo: el corpo de Cristo ed ancora el sangue, per la conversione
del pane o vino in esso sacramento, mai non cresce e per lo mangiare che ogni giorno se fa el non
manca né diviene minore. Però Augustino (come hai De Consecratione, di[stinzione] secunda,
capitulo Invitat) dice: "Quando Cristo fi manzato el fi manzata la vitta, la fi manzata e non fi occisa,
la ne reficia e sì non manca"; e sequita: "El fi manzato secundo le sue parte sacramentale e tutto
rimane integro nel tuo cuore". Prende uno exempio naturale: l'uomo è manzato da uno leone, e
l'anima non se consuma, ma lo corpo solo; quando la sacrata Ostia fi manzata dal sacerdote, el
corpo de Cristo non manca, non se consuma, ma solamente quelle specie e similitudine di pane e de
vino. El secundo mirabile è che uno corpo sì grande, come egli era sopra la croce con tutti li suoi
membri, possa stare sotto una Ostia piccola de quattro didi. Non par possibile: anci più volte lo
intelletto vacillando ne dubita. Però santo Augustino, volendo dechiarare questa veritade, adduce
questo exempio: l'anima è molto maggiore ca tutto el corpo de l'omo, perché 'la può pensare dentro
di sé tutto el mondo, e benché l'anima sia maggiore ca 'l corpo, nondimeno la sta dentro del corpo
richiusa e sarrata. Così al proposito: el corpo de Cristo è maggiore ca tutta la Ostia e può stare sotto
quella, benché quella sia menore; la pupilla de l'occhio è puoca cosa, e quasi nulla, e nondimeno la
contiene in sé una casa, una cittade, uno grandissimo monte. El terzo mirabile è quasi stupendo. Noi
vediamo che 'l sacerdote rompe la Ostia e fanne tre parte. Dice quella bona vecchia: "O padre mio,
assai volte a la missa io piango fortemente e sospiro". "Ma perché?" "Però, padre mio, ch'io sento
fir rotte le osse al Signore". Deh, pazzarella vecchia! L'Ostia se rompe, ma non se rompe Cristo, né
ancora le osse de Cristo. Santo Augustino se sforza provare questo (libro De spiritu et anima) cum
questo exempio: cioè l'anima è in ogni parte del corpo tutta quanta, e benché 'l corpo se divida, non
se divide né se rompe l'anima; quantunque in più parte se divida l'Ostia, non se rompeno però le
osse over el corpo de Cristo. E questo voglio basti per oggi in brevità. Dimane noi vederemo la
severità che Dio usa contra quelli che indignamente prendeno tanto sacramento. Noi adunque come
fideli cristiani se disponeremo a digna communione, acciò possiamo avere grazia di qua e gloria ne
l'altra vita. Amen. Feria quarta: DEL SACRAMENTO DEL CORPO DE CRISTO (II) "Memoriam
fecit mirabilium suorum misercors et miserator Dominus", etcetera, ut supra. Oggi, sequitando la
nostra lezione incommenzata del corpo de Cristo, vederemo quanto Dio sia stato largo e pietoso e
benigno in communicare la carne sua agli cristiani in cibo e lo suo sangue in beveragio. O largitore
Dio di ogni bene, o dattore d'ogni dono, tu non hai a noi datto oro o argento in dono, ma te
medesimo (Mathei XXVI capitulo: El dice "Prendette e manzate, questo è el mio corpo"). E questo
è lo ultimo grado de amore e perfezione de amore che Dio possa demonstrare a la creatura in questa
misera vita. El primo grado è a dare per lo amico roba, dinari o altre cose, ed è grande segno de
amore; el secundo, quando l'uomo dona gli suoi o parenti o amici; el terzo, quando el dona si stesso.
Io, dilettissimi mei, truovo Cristo aversi donatto a noi cristiani in otto modi. Primo, in figliolo,
assumendo carne mortale per noi (Isaie primo: "Puer natus est nobis et filius datus est nobis", "El
piccolo putto è dato a noi e lo figliuolo è nasciuto a noi"). Secundo, el s'è datto come compagno,
conformandosi nel nascere cum noi. Di questo dice Paulo Ad Philippenses, secundo capitulo: "In
similitudinem hominum Christus factus est et habitu inventus ut homo" ("El fu fatto in similitudine
di uomo ed in abito ritrovato come uomo"). Terzio, el se è dato a noi come maestro, per la dottrina
de la sua degna predicazione. Però dice esso
Cristo (Iohannis XIII): "Vos vocatis me Magister et Domine; et bene dicitis" ("Voi me chiamate
Maestro e Signore; e ben dicete"). Quarto, el se è dato come luce e buono exempio di santa vita.
Però dicea lui a li discipuli: "Exemplum enim dedi vobis, ut quemadmodum ego feci, ita et vos
faciatis" ("Io ve ho dato exempio, acciò che faciati come ho fatto io"). Quinto, el se è dato a noi
come bono ed ottimo padre per regenerazione di grazia (Iohannis, primo capitulo: "Dedit eis
potestatem filios Dei fieri", "El ha dato a quelli chi credeno nel suo nome possanza de farse figlioli
de Dio"). Sesto, el se è dato a noi come fratello, amico, sorella e madre. Questo è verificato Mathei
XIII: "Quicumque fecerit voluntatem Patris mei qui in celis est, hic meus frater, soror et mater est"
("Ciascuno chi farà la voluntà del mio Padre celestiale, egli è mio fratello, mia sorella e mia
madre"). Settimo, el se è dato in olocausto ed offerta al Padre con la aspersione del sangue (Prima
ad Corinthios, VI: "Empti enim estis precio magno", "Voi sete comprati di precio grande: portate
Dio nel vostro corpo e glorificatilo"). Ultimamente, e questo fu atto virtuoso, el se è datto a noi in
nostro solazo e sua memoria, acciò che l'uomo mortale divenga Dio e se commuti in lui (Iohannis
VI capitulo: "Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus", "La mia carne veramente è
cibo e lo sangue mio veramente è bevanda: chi manza la mia carne e beve el mio sangue abita in me
ed io in lui"), cioè per grazia e fortificazione. Ma volta la carta. Quanto el grazioso Dio è largo a
darse a' cristiani ben dispositi e contritti, tanto egli è severo e crudele contra quelli che
indignamente cum puoca reverenzia, con conscienzia di peccato mortale, con cattivo proposito,
vanno a ricevere tanto sacramento non examinando lor conscienzie, non pensando quello non esser
pane materiale, anci pane celeste, cibo non de l'omini, ma degli angeli. Però dicea David nel Salmo:
"L'omo ha manzato el pane degli angeli". Tre generazione de uomini riceveno el corpo de Cristo
indignamente: li primi sono malivoli, li secundi dolosi, li terzi presuntuosi. Li primi sono quelli chi
vanno al sacramento cum voluntà de peccare; e a questi Dio gli manda tri flagelli. O tu,
concubinario, nota qua! El primo è separazione da Dio; però dice Salomone (Sapientie primo
capitulo): "Perverse cogitationes separant a Deo" ("Le perverse cogitazioni fanno separare l'anima
da Dio"). E benché Cristo appari esser da presso e cum noi quando toccamo el sacramento cum la
bocca, nondimeno egli è molto da longe e fuge da noi quanto è per grazia. A questo intelletto parla
David nel Salmo: "Longe a peccatoribus salus ("La salute è larga dagli peccatori"). El secundo è
aggravazione degli peccati: uno chi ricevi el corpo de Cristo senza proposito di lassare el mal,
divene poi più perverso, cattivo, crudele ed ostinato nel male; di questi dicea Cristo (Mathei XV):
"Non est bonum sumere panem filiorum et mittere canibus" ("Non è bona cosa prendere el pane de'
figlioli e gettarlo a' cani"). De consecratione, distinzione secunda, capitulo Quotidie: dice Augustino
"Io dico che quelli che hanno la voluntà de peccare più se aggravano per la ricevuta communione ca
egli sieno purificati per quella". Per questo dicono alcuni dottori che Iuda, avendo tolto el pane da
Cristo, divenì peggiore e più ostinato in la cattiva voluntà ch'el non era in prima. Non dico che
quello pane el facesse cattivo, el quale in sé era buono, ma lui ricevendolo indignamente lo ricevetti
in sua dannazione. *(Reprendi qua il populo a tuo modo)* El terzo male è maggior pena ne l'inferno
e maggior tormento; però dice santo Augustino (De Consecratione, distinzione secunda, capitulo
Quid est): "Colui chi ricevi indignamente il sacramento de Cristo se acquista maggior detrimento de
l'anima sua"). Li secundi sono detti dolosi, over agabatori, e questi son li ipocriti e pizocore che se
fanno conscienzia de spudare in terra, ma non de giurare, biastemar, portar odio, murmurare, robar,
dar ad usura; e poi dicono sua colpa con le lacrime agli occhi ma non al cuor. "Guai, guai a voi,
ipocriti! - dice Cristo - Voi seti simili a li monumenti belli di fora, di dentro son pieni de feza e
puza". Questi incorreno ancora tri altri: el primo è che divengono traditori de Cristo, come Iuda; el
secundo è confusione in sé medesimo; el terzo è cecità di mente. Li terzi chi indignamente se
communicano sono gli presuntuosi, come sono scelerati, ladri, meretrice e roffiani, giugatori,
concubinarii, omini da niente chi tutto lo anno fanno male e mai non dicono bene, poi cum due
parole, ridendo, se vanno a communicare. O ingrato populo! O iniqui cristiani! O mente pazza, o
cuore ostinato, che ne aguadagni tu? O quante infirmitade vengono a l'uomo, gotte, doglie de
fianchi, rogna, fluxo, pestilenzie, per aver poca riverenzia a Dio ed al sacro corpo de Cristo. O Dio
eterno, fa vendetta de così tristi! Dice David: "Effunde iram tuam super eos" ("Manda la tua ira
sopra di loro"). Divengono i suoi figlioli orfani e sue mogliere vedoe; la sua abitazione sia
desabitata! Se noi vogliamo considerar tante maledizione de Dio, trovaremo che gli cattivi cristiani
riceveno più dannazione da Dio ca Giudei, ca Turchi ed ogni altra nazione. Questo basti per oggi.
Dimane vederemo una bella predica de la utilità del corpo de Cristo. Amen. Feria quinta in Cena
Domini: DEL SACRAMENTO DEL CORPO DE CRISTO (III) "Memoriam fecit", etcetera, ut
supra. Dilettissimi in Cristo Iesu, devotissimi e fidelissimi populi cristiani, noi siamo arrivati al
giorno solenne e memorabile dove el Maestro nostro e Signore del tutto Iesu Cristo benedetto ha
demonstrato el suo dolce e sviscerato amor a l'umana creatura ed ancora al populo cristiano, dando
a l'omo il cibo celestiale, el pan vivo e suave, del quale esso dice (Iohannis VI capitulo): "Ego sum
panis vivus qui de celo descendi. Si quis manducaverit ex hoc pane vivet in eternum" ("Io son el
pane vivo chi son desceso dal cielo. Se alcuno manzarà de questo pane, el viverà in eterno"). Di
questo sacramento dignissimo questa matina vederemo la sua fruttificazione, del qual parla David
(Salmo secundo), al proposto nostro, dicendo: "Erit tanquam lignum quod plantatum est secus
decursus aquarum" ("El serà questo sacramento cioè come uno legno plantato inanci el corso de le
aque"), el quale sacramento darà el suo frutto nel tempo accommodato. Sei frutti e utilitade acquista
la persona che se communica dignamente, cioè cum devozione, confessione e contrizione de soi
peccati e bon proposito de operare virtuosamente, vivendo secundo i commandamenti de la Chiesia.
Or dunque devotamente prende el primo frutto di questo legno de vita, chi è chiamato 'remissione
de peccati'. Questo te 'l mostra Cristo (Mathei XI [ma VI] capitulo). Dimandò lui al Padre: "Panem
nostrum quotidianum da nobis hodie et dimitte nobis debita nostra" ("O Padre, dame el nostro pane
quotidiano, cioè continuo, e perdona a noi i nostri peccati over debiti"). Quelli manzano veramente
la virtù del corpo e del sangue de Cristo chi 'l manzano spiritualmente, cioè in grazia de Dio, e
mediante quella grazia riceveno remission degli peccati. Per questa ragione nota tu, cristiano, che
se' obligato, non solamente ogni festa, ma ancora ogni giorno ed ogni ore a recevere el corpo de
Cristo spiritualmente, cioè adorando el tuo Dio creatore e redentore, rengraziarlo dei beneficii dati e
credere el suo vero corpo e sangue cum perfetta fede. Questa se chiama communione spiritual.
Questo intesi Augustino, quando el disse: "Crede e averai communicato". El secundo frutto è detto
'liberazione de la eterna morte'. Sia statto uno sexanta anni senza confessione, sempre abbi fatto
ogni tristicia, venga l'ultimo giorno de la vita sua, riceva el corpo de Cristo devotamente, mai mai
non gustarà la pena acerba, crudel e perpetua de l'Inferno. Questo promise Cristo, verità infallibile:
"Io son pan vivo chi son desceso del cielo. Se alcuno manzarà di questo pane, el viverà in eterno".
Lo terzo frutto è 'participazione de gloria eterna'; onde sopra quel passo di Paulo (Ad Corinthios,
decimo: "Tutti chi participamo di uno pane siamo uno corpo ed uno pane mistico, cioè per
coniunzione di caritade") dice Augustino che tutti quelli che participano in terra di questo cibo
spiritualmente per grazia, seranno ancora participi in cielo di la gloria e vita beata, vedendo Dio per
essenzia, la qual visione beatificarà l'anima nostra, e vedendo il corpo de Cristo in sua specie
glorioso non sotto specie di pane e de vino, seranno beate le anime vostre e gli corpi nel lume del
corpo di Cristo. Però dice David: "Io credo veder i beni del Signore in la terra de li viventi". El
quarto frutto è detto 'rifrenazione di carne'. In figura di questo è scritto (Exodi XVI capitulo): "La
matina rimasi la rosada in cerco gli campi. Quando Dio pioveva la manna al populo nel deserto, la
matina in cerchio a quelle casuzze el pareva una rosada, over grani de neve". Dice la giosa: "El pane
celeste apparve in forma di neve, over rosada, a significare che 'l corpo di Cristo asmorza el
desiderio de vicii carnali e bestiali". O grande Dio, se noi vediamo l'acqua materiale smorzare el
grande calore, el grande fuoco di carne, maggiormente el pò far l'acqua celeste, che ebbe tanta forza
che, ussendo del costato de Cristo, illuminò Longino incontinente, chi era cieco. O religioso! O
monaca! O giovene! O santa vedova, se' tu combattuta dal senso? se' tu in battaglia cum l'inimico
tuo vicino, cioè la carne rebellante? Vane, corre a la chiesia, chiàmate in colpa, riceve el corpo di
Cristo e lo sangue. Credi a me che lo agio provato e cessarà ogni battaglia e bestialità di fezza, di
broda e spurcicia carnale. Questo intesi David nel Salmo: "Tu, Dio, signoregi a la possanza del
mare ed abonazzi il sconfiamento di le procelose acque sue". El quinto frutto è detto
'augmentazione
de virtù'. Primo, aumenta la carità e l'amore in Dio; però dice David nel Salmo: "Tu Dio me hai
ingrassato el capo de oglio; e lo tuo calice, o quanto egli è avantaziato a l'anima!". Questo calice
non è altro ca 'l corpo de Cristo, chi illumina l'intelletto e infiamma l'affetto di la mente umana.
Secundo, aumenta la unione de l'anima con Dio, però che ricevendo Cristo con grazia l'omo se
accende e fassi più divoto, più solicito a l'amore e reverenzia di Dio. Questo volse dire Augustino
(De consecratione, distinzione secunda, capitulo Hoc sacramentum): "Questo sacramento è segno
de pietade e unitade e vinculo de caritade". Lo sesto ed ultimo effetto è 'fortificazione de la virtude
naturale'. Molti infermi, a la morte, recevendo el corpo de Cristo in grazia con devozione son
fortificati in tal modo che sono guariti presto da loro infirmitade. Se una medecina vile, terrena e
materiale è di tanta forza che la rende uno corpo vigoroso e forte, molto maggiormente farà questo
la medicina eterna del santo e degno corpo de Cristo Iesu. Amen. Feria sesta: IN PASSIONE "O vos
omnes qui transitis per viam, attendite, et videte si est dolor similis dolori meo": scribuntur hec
verba originaliter Trenorum primo capitulo. Dicono i filosofi e naturali che, quando l'omo patisse
dolore, e che manifesta esso dolore a l'amico suo, che tale dolore se vene alquanto a minuire per
essa revelazione. Imperò dice el nostro creatore Iesu Cristo a l'umana generazione ditte parole
proposite: "O vui tutti quali passati per questo mondo, attenditi e vedete se è dolore simile al mio
dolore". El serafico dottore Bonaventura, nel terzo volume de la sua Summa, a la terza distinzione,
move questo dubio, cioè se 'l dolore de la morte di Iesu Cristo crucifixo è stato accutissimo e
asperissimo o non: e a questo dubio tutt'i dottori teologi respondeno che mai fu, né sarà, alcuno
dolore peggiore né simile né più penoso che 'l dolore di Cristo. Questo provemo per dodeci
efficacissime rasone: la prima è rasone di occasione, la secunda di modificazione, la terza di
condizione, la quarta di privazione, la quinta di obligazione, la sesta de incisione, la settima de
recessione, la ottava di contrizione, la nona di compassione, la decima di deformazione, l'undecima
di offensione, la duodecima di reverberazione. Primo. Dico che per rasone di occasione è stato el
dolore di Cristo più intenso e più aspero che gli altri, e questo se prova che, quando uno patisse uno
male e quello patisse perché ha commesso el male, per el quale merita essa pena, quello dolore el
quale patisse non è tanto aspero; ma quando uno innocente fi afflitto senza casone e che non abbia
commesso delitto, esso sente molto maggiore dolore. Cossì è stato de Cristo, el quale mai non
commisse peccato - né mai se trovò in lui fraude - el quale ha patito la morte per li suoi inimici,
como dice el divoto Bernardo: "Considera, o omo, cum l'occhio materiale di quanto debito di
remunerazione tu sei obligato al Signore paziente, guarda el suo dolore sanguineo, le sguanzate, le
contumelie spudazate, li ludibrii, le amare bevande, li beffatori ed irrisori, el capo inclinato; cossì
considerando e meditando avereti compassione a Iesu Cristo". La seconda rasone, perché tutti gli
altri dolori abbia passato el dolore di Cristo, è di modificazione. Se a l'uomo dole el capo, el brazo o
el pede, ello patisse gran pena, ma Iesu Cristo ha patito in tutte le membre e in tutto el corpo, como
se prova per Esaia, el quale dice: "Da la pianta di pedi fin a la vertice del capo non è trovata in lui
sanità". Le mane che hanno formato i cieli sono forate, el capo è coronato de spine, le quale
passaveno fin al cervello, le orecchie oldireno le biasteme, el gusto sentitte el fetore, la sua lingua
l'amaritudine, el capo angelico per la densità de le spine è ponto asperamente, la faccia bella sopra
tutti i figliuoli de omini è deturpata per le spudazate, l'occhii più splendenti ch'el sole sono velati e
oscurati in morte, le orecchie che solevano oldire li canti angelici oldireno le crudelissime biasteme,
le mane quale formarano l'alti cieli sono destese in croce e forate, el lato aperto con la lanza, li pedi
confixi, la bocca che te amaestrava è abeverata di felle e acceto, e che più in lui non è rimasto altro
che la lingua, acciò ch' ello pregasse per li transgressori de la lege e la sua matre al discipulo
ricomandasse. La terza rasone è detta de condizione. Dicono dottori che questo era di tanto nobile
complexione e condizione che, avegna che dicano filosofi che ogni cossa generabile sia corruttibile,
che nondimanco Cristo per la sua complexione e nobile condizione non sarebbe morto, eccetto che
di morte violenta, etiam per la sua regulata vita; item che più intensa e aspera fu la morte di Cristo
che tutti li martirii patiti per essi martiri (e che insiema non forano equali a li dolori di Cristo),
perché dice el profeta: "Omnes fluctus induxisti super me". Bonaventura dechiara questo e dice che
non secondo varietà, ma secondo equalità trasendette el dolore di Cristo gli altri dolori. La quarta
rasone è chiamata di privazione; imperò che, sapiando Cristo tutti li dolori quali doveva patire, e
che infiniti giudei, turchi, tartari, saraceni, infideli e ingrati cristiani non dovevano consequire el
merito de la sua passione, che per questo Cristo in la sua carne e anima causava dolori infiniti, per
la infinità de quegli quali se dovevano dannare; imperò disse: "Trista è l'anima mia fin a la morte".
Dice Ambrosio dechiarando questo: tristo appariva e tristo era, non per la sua passione, ma per el
dolore di nostra dannazione. La quinta rasone è di obligazione. Tanto era la pena di Cristo quanto
doveva essere la pena de' dannati, a' quali è infinita, como dice el profeta: "Colocavit me in
obscuris, sicut mortuos sempiternos". La sesta è di incisione. Se a uno omo fosseno taliate tutte le
zonture, per certo tale patirebe grande pena: cossì fu in Cristo, sapiando le anime, quale aveva
creato - ed erano suoi membri - doverse dannare, patire grandissima pena, como è scritto per el
profeta: "Foris interfuit gladius et domi mors". La settima rasone è ditta de recessione, overo
partimento. Quando l'uomo ha la sposa amata da lui ed ella li falisse, certo ello ne patisse grande
dolore, como ciascuna anima, la quale è in caritate e sposa di Cristo; imperò è scritto : "Disponsabo
te mihi in fide". Cossì fu essa quale ha fornicato per avere commesso el peccato mortale, como dice
Esaia: "Tu anima hai fornicato cum molti amatori e non hai voluto avere erubescenzia: nondimanco
ritorna da mi, anima, ed io te recevarò". Sta Iesu Cristo, anima, cum li pedi fixi, però ch'el te
aspetta, te chiama cum el capo inclinato, tene le braze aperte, acciò ch'el te abraccia. Puoi pensare,
anima, como dice Bernardo di Cristo ne le sue Meditazione: "O omo, vede quello che per ti io
patisco, vedi li chiodi cum quali io sono confixo, como sia tanto el dolore estrinseco, maggiore
l'intrinsico, quando io ti cognosco tanto ingrato". L'ottava rasone è di contrizione, cioè di dolore,
como dice Ieremia (Trenorum primo [ma secundo]): "Grande è la tua contrizione, cioè dolore, como
el mare". La nona è rasone di compassione; perché vedeva Cristo tutti li martiri che dovevano
essere per suo amore, però molto se dolse di loro pene. Ieronimo dice che ogni giorno se festa più
de seimilia martiri ed el profeto dice: "Sicut aqua effussa sunt et dispersa omnia ossa mea" (appella
li martiri 'sue osse'). La decima è di deformazione. Cossì era diformato el corpo de Cristo che la sua
matre no 'l cognobe, cume è scritto per Ieremia, (Trenorum quarto): "E l'è denigrata la tua faccia
sopra li carboni". L'undecima è rasone di offensione. Cristo mai non fece offessa ad alcuna persona
e fu mandato da la Santa Trinitate per satisfare a l'offessa fatta a Dio per el peccato de' primi
parenti, come dice Gioanne evangelista: "In tal modo ha amato Dio el mondo che 'l suo figliuolo ne
dede". La duodecima è di reverberazione. Vedeva la Vergene Maria el suo figliuolo essere crucifixo
e Cristo vedeva essa sua matre molto adolorata, e Cristo pativa dolore per el dolore de la matre, el
quale si reverberava in lui, como fa la matre, quale ha solamente uno figliolo, el quale vede patire
grande pena; e Cristo disse a la sua matre: "E' l'è mestero ch'io mora"; come disse Simeone: "Et
tuam ipsius animam pertransibit gladius". Però dice Cristo: "O vui tutti che passati per la via di
questo mondo, attendete e vedeti se è dolore simile al mio dolore". Debbe l'uomo ogni giorno
recordare questi duodeci dolori ne la mente. Dicono dottori che l'omo non può venire a la morte, se
'l dolore non transcende da la rasone a la sensualitate, e che, como Cristo disse "Eli, Eli, lama
zabatani?", cioè "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abandonato?", che per queste parole Cristo
communicò li suoi dolori a la sensualitate, e subito disse: "Pater in manus tuas commendo spiritum
meum", ello emisse il spirito: nante non aveva comunicato la rasone suoi dolori a la sensualitate, li
quali per la divinità unita a la umanità considerava e vedeva mentalmente. Se io voglio ricorrere a la
santa Trinità che la se digna concedere grazia per annunziare la passione del figliolo de Dio e di la
Vergine Maria, dirà el Patre Eterno: " Non ricorreti da mi, imperò che l'umana generazione oggi ha
crucifixo el figliolo mio Iesu Cristo, dicendo 'El suo sangue sia sopra nui e sopra nostri figlioli'". Se
voglio avere ricorso a Iesu Cristo, ello dice: "Oggi non ricorreti da mi, perché me crucifixisti in
simile giorno". Dicevano li principi de' sacerdoti e giudei: "Vach, qui destruis templum Dei et in
triduo illud reedificas!", como è scritto in Marco al III [ma XV]. Se vogliamo ricorrere al Spirito
santo, ello dice: "Non ricorreti da mi, però che hanno dimandato gli omini a Pillato che lassasse
Barabam omicida e che Cristo crucufigesse". Finalmente, perché l'usanza
e il costumo de tutti gli evangelizanti è di avere ricorso al fonte de misericordia Vergene Maria, ella
dice: "Oggi non me sie ditto 'Ave Maria', imperò che, avenga ch'io sia glorificata, pur me ricordo de
la passione, quale patìte el mio figliolo Iesu in simile giorno, nel quale mai non è stata donna più
afflitta de mi; benché l'angelo Gabriele me dicesse 'Ave' in simile giorno, fu verificato el ditto di
Ieremia: "Posuit me desolatam tota die merore confectam"; Maria: "mestum factum est cor meum.
Ideo tribulati sunt oculi mei" (Trenorum VII [ma I e V]). "Gratia plena". Benché XII siano le grazie
di la Vergene Maria, como ha scritto Gioanne ne l'Apocalipse, le quale se denotano in queste parole
"Una donna vestita di sole, la quale aveva la luna sotto pedi e aveva in capo la corona de dodece
stelle", ella risponde quello che è scritto di lei Trenorum terzio [ma quinto]: "E' cascata la corona
dal mio capo". "Dominus tecum". Ella risponde: "El mio unico figliolo m'è tolto e menato da Anna
e Caifa pontifici e da Pillato, però dico, como è scritto per Ieremia (Trenorum quinto): "Defecit
gaudium cordis mei". "Benedicta tu in mulieribus, et benidictus fructus ventris tui": "Tu Elisabeth,
che me dicesti queste parole, tu me adulasti, però che principi de sacerdoti e giudei me hanno
reputato una meretrice ed el mio figliolo Iesu è reputato uno seduttore". Profetò Ieremia: "Factus
sum in derisum omni populo". "Tutto el mio diletto - dice Maria - consiste nel mio figliolo Iesu, e li
giudei me l'hanno tolto e l'hanno dato ne le mano di Pillato, el quale l'ha dato a li crucifixori. Io
vedo esso mio figliolo Iesu afflitto e crucifixo, e non li posso dare uno poco di acqua" - dice Maria -
"Ricorren a la croce, la quale tene el figliolo mio"; de la quale croce dice Augustino: "La croce
supplicio de latroni passa a le fronte de l'imperatori". Imperò, secondo la laudabile consuetudine di
la Santa Madre Chiesa, recorreremo ad essa croce e la salutaremo, como fa essa Santa Chiesa,
dicendo umelmente e lacrimosamente: "Ave crux, spes unica hoc passionis tempore. Auge piis
iusticia, reisque dona veniam. Amen". "O vui tutti che passati per questo mondo, attendite se è
dolore simile al mio!" Dechiarato el dolore di Iesu Cristo avere trapassato tutti gli altri dolori patiti
per altri per le preditte dodece rasone, tre parte principale dechiararemo de la passione del Fiolo de
Dio, acciò che abbiati ne la memoria tanto smesurato bennifizio di nostra redenzione. La prima se
chiama di la passione di Cristo la necessità, la seconda de la passione di Cristo la qualità, la terzia di
la passione di Cristo la exemplarità. De la prima, cioè necessità, dicono dottori teologi che era
necessario che Cristo dovesse morire per redenzione de l'umana gente, e che Cristo e Dio possevano
redimere l'umana generazione senza la passione e morte di Cristo, ma che non era alcuno più
congruo né più conveniente modo a la nostra redenzione como essa passione, e che essa necessità se
chiama 'necessità di congruità', e che essa passione de Cristo fu voluntaria, como profetò Esaia al
LIII, dicendo: "Oblatus est quia ipse voluit". Doveti sapere che le casone de la morte di Cristo, non
parlando al presente del peccato, foreno doe: la prima è stato l'invidia de' summi sacerdoti. Era
profetezato: "Fera pessima devoravit filium meum (Ioseph interpretatur Christus)". Gioanne
Evangelista, al XII capitulo del suo Evangelio, risponde che essa invidia procedetti da molti
miraculi operati per Cristo: illuminato el cieco da la natività sua, resuscitato el figliolo de la vidua,
puo' resuscitato per Cristo Lazaro quatriduano, che fu miraculo stupendissimo; allora summi
sacerdoti se commosseno a invidia contra di Cristo, e disseno: "Che facemo nui, imperò che questo
omo fa molti segni: se 'l lassiamo cossì tutti crederanno in lui, e vegnaranno Romani e torranno el
nostro loco e la gente", cioè el templo, el quale avevano in custodia essi pontifici. Ma Cristo, el
quale aveva deliberato di salvare l'umana gente, aveva deliberato de morire, como era figurato di lui
per l'agnello pascale: "El primo giorno presentareti l'agnello"; "questo mese di marzo vi sia
principio de tutti li mesi"; "al decimo di questo mese toglia ciascuno l'agnello per le fameglie"; e
quando lo dovevano mangiare ed el modo che dovevano servare, che fosse maschio, senza macula e
rostito, e ch'el mangiasseno presto con latuce agreste, con bastoni in mano, essendo calciati. La
Domenica de le Palme Cristo venne in Ierusalem e predicò tutto il giorno, e per la conspirazione di
sacerdoti nessuno fu ardito di chiamare Cristo a mangiare; però ritornò in Betania, da la quale era
partito su l'asinello, per adimpire la profezia che dice: "El vene el tuo re che sede mansueto sopra
l'asinello". El lunedì sequente Cristo de Betania venne in Ierusalem, e venendo ello vedette una
arbore de fico, quale non aveva frutto, e la maledisse, e subito essa arbore seccò, denotando che
malediceva la sinagoga de' giudei, perché ella non faceva frutto. E como fu gionto al templo,
predicato ch' el ebbe, li scribi e farisei gli presentarano la femina depresa in adulterio, ed ello la
liberò, puoi ritornò in Betania. El martedì Cristo venne nel monte Oliveto, ed a' suoi discipuli
annunciò li segni del finale iudicio, e venne nel templo e, predicato che ebbe al populo tutto el
giorno, ritornò in Betania. El mercoledì Cristo stette in Betania, perché non volse turbare li giudei,
quali trattavano de dargli la morte; e Iuda venne in Ierusalem e disse a' principi de' sacerdoti: "Vui
cercati de avere Cristo ne le mane. Che me voleti vui dare, ed io ve 'l darò ne le mane?". Al quale
subito gli constituirono dare trenta dinari d'arzento; ed ello cercava l'opportunità de dargli Cristo ne
le mano. La seconda casone di la morte d'esso Cristo è stato l'avarizia de Iuda traditore, la quale
referisse Gioanne, dicendo che, commo per Maria Magdalena fo sparso l'onguento sopra el capo di
Cristo, secondo el costumo di Palestina, per refrigerio, però che molto era afflitto, cossì Iuda per
avarizia commenciò a murmurare dicendo: perché era fatto la perdizione d'esso unguento; el
sarebbe venduto trecento dinari e poteva essere dato a' poveri (perché Iuda receveva e spendeva le
elemosine, quale erano fatte a Cristo, non perché Iuda se curasse de' poveri). Però Esaia dice: "Ecce
merces eius cum eo". Gli altri discipuli murmuraveno per pietà. Iuda ribaldo, se avesti dimandato a
la Vergine Maria li trenta dinari, ella te li averebbe dati! Iuda uccise suo patre e tolse per muglie sua
matre, e Cristo gli perdonò el peccato e lo feci suo discipulo. El mercordì da sira Cristo chiamò suoi
discipuli e li disse che andasseno a la orazione. Quivi la pietosa mente debbe pensare che Cristo
chiamasse la matre sua in secreto ne la camera e che li dicesse: "O matre mia, vui sapeti che m'aveti
concetto di Spirito santo, e da vui ho tolto la carne. Non aveti amici che vi redimeno. Io vi prego
che vogliate avere pazienzia de la mia partita al Patre mio celestiale. Prendeti un poco di
consolazione di mi, che più oltra non potereti consolarvi de mi; ante avareti grandissima afflizione,
imperò che me vedareti venire flagellato e coronato de spine e crucifixo e morto; consolative ora un
poco di me". Allora subito la dolce matre stramortìte e Iesu la commenciò consolare, ed essa
rispose: "So bene, figliolo mio, che t'ho concetto di Spirito santo e che la morte tua fia per
redenzione de l'umana gente: ma io non sapeva il tempo. Ti prego ti piaccia differire questo
tempo!". Rispose Cristo: "Cossì è determinato. Dopodomane me vedereti crucifixo e morto sul
monte Calvario!". Respose essa dolente matre: "Figliolo mio, io te voglio asignare dodece rasone
per le quale tu no debbe morire: la prima è rasone di sentenzia, la seconda di iustizia, la terza è di
misericordia, la quarta è di scrittura, la quinta è di pena, la sesta è di obedienzia, la settima per la
natura assunta, l'ottava è di natura disponsata, la nona è rasone di sapienzia, la decima de inimicizia,
l'undecima di paterna compassione, la duodecima per paterna offensione. La prima rasone è di
sentenzia. La sentenzia data contra l'ordine de la iustizia non debba essere exequita; adonca tu non
debbi morire, imperò che iustamente non se può dare sentenzia che tu debbi esser morto. La
seconda rasone è di iusticia. La iusticia è rettitudine di voluntà, quale rende a ciascuno quello che è
suo, e la iusticia non debba patire che tu sii morto, perché non hai commesso contra di la iusticia. La
terza è rasone di misericordia. La misericordia è cum el nostro core avere compassione a l'altrui
miseria. Tu sei innocento, però non debbe morire, ma te debba essere avuta compassione. La quarta
è rasone di scrittura; e' l'è scritto ne l'Exodo che Dio ha commandato: "L'omo iusto e innocente non
lo uccidere"; e tu sei iusto e innocento. La quinta è rasone di pena; e' l'è scritto che la pena non se
dà, eccetto per el delitto: tu non hai delinquito, adonca non debbi patire pena. La sesta è rasone di
obedienzia. La pena se inferisse per desobedienzia, e tu sei obediente a la lege e non hai commesso
contra essa, adonca non debbi patir pena; però è scritto: "El figliolo non portarà l'iniquitate del
patre"; e 'l debbe patire Adam desobediente, non tu. La settima è di natura assunta. La devinità non
debe patire che tu mori, imperò che ella è unita a la tua carne inseperabilmente. L'ottava è per
rasone di la natura sponsata. Nel Decreto a la XXXVI questione, al secondo capitulo, a la questione
sesta, al cap. Nihil de frigidis et maleficiatis, è diffinito che "senza peccato non se debe fare
divorzio"; tu non hai commesso peccato, imperò non se debe fare questa separazione. La nona è per
rasone di sapienzia. Per altro modo puoi redemere l'umana gente che per la passione tua; adonca per
la sapienzia tua adibisse un altro modo. La decima è de inimicizia. Tu non festi
mai, figliolo mio, iniuria ad alcuna persona, e per consequente non debe morire, perché non hai
fatto nemici; e, benché sia scritto "Per invidia del demonio è intrata la morte ne gli omini del
mondo", tu sei santo. L'undecima è di paterna compassione. Tu debbi avere compassione a la tua
matre e non lassarme cossì afflitta: a chi vo' tu che abbia ricorso? La duodecima è di paterna
offensione. Tu non hai offesso el patre; perché è scritto "Chi maledicerà al patre o a la matre debba
morire", adonca tu non debbi morire. Olduto Iesu Cristo queste rasone da la matre, ello rispose: "Io
non moro perché io abbia commesso peccato, ma voglio morire per redenzione de l'umana natura; e'
l'è deliberato ab eterno per la Trinità ch'io debia morire, etiam no 'l dittando la iusticia. Io voglio
fare secondo la voluntà divina e sempre: io serò Dio ed omo ed el terzo giorno resuscitarò e
spogliarò l'Inferno e me vedereti glorioso, e per questo modo non se offendarà Dio né la iusticia".
Oldendo Maria Magdalena queste voce lamentabile disse: "Quale cosse sono queste che tanto seti
dolenti?". Respose la Vergine Maria: "Mi ha ditto el mio figliolo che doppoidomane io il vederò nel
monte Calvario crucifixo e morto. Oimè! Oimè! Quale vita debba essere la mia!" E Maria
Magdalena se inchinò a' pedi di Cristo, pregandolo che volesse fare la Pasqua in Betania, perché
ello aveva ditto chi gli giudei aveano determinato de dargli la morte. Rispose Cristo: "E' l'è
conveniente ch'io mora, e questo per duodice rasone: la prima è per rasone de l'Eterno Patre
ordinazione; la seconda è de l'Eterno Patre onorificazione; la terza de l'Eterno Patre placazione; la
quarta per el mio nome ostensione; la quinta per el mio nome clarificazione; la sesta per el mio
nome confirmazione; la settima per el Spirito santo ostensione; l'ottava per el Spirito santo
attrazione; la nona per el Spirito santo confirmazione; la decima per el peccato espiazione;
l'undecima de l'Inferno espoliazione (como era scritto per el profeta: "Ibi confregit potentias scutum
et bellum", cioè "soperchiò li demonii"; e un altro profeta dice: "O mors, io sarò tuo morso in
inferno"); la duodecima è de le porte del Paradiso aperzione (como era profetato per Zaccaria: "Tu
nel sangue tuo hai menato di fuora quelli li quali erano ligati ne le pene"; e per Gioanne al XVII de
l'Apocalipse: "Tu sei digno, Signore, di aprire el libro"). E dechiarato di la necessitate de la passione
di Cristo, la quale era ne la prima parte, resta a dire de la passione di Cristo la qualità. "O vui tutti
quali andati per la via": e nota dodece contemplazione de la passione di Cristo cum duodeci rami,
ed hanno tri frutti per ramo. El primo è: attendete e vedeti Iesu sì medesimo presentarse per
figurazione de l'agnello. El secondo: attendete e vedete Iesu cenante cum li discipuli cum grande
dilezione. El terzo: attenditi e vedeti Iesu lavante pedi à discipuli cum genuflexione. El quarto:
attenditi e vedeti Iesu el sacramento consecrante digno di venerazione. El quinto: attenditi e vedeti
Iesu a' discipuli favellante cum dolce sermone. El sesto: attenditi e vedeti Iesu ne l'orto orante cum
molta faticazione. El settimo: attendeti e vedeti Iesu preso cum prodizione. L'ottavo: attenditi e
vedeti Iesu non sé escusante da la falsa accusazione. La nona: attendeti e vedeti Iesu da Pillato a
Erode mandato per sua liberazione. La decima: attendeti e vedeti Iesu da Pillato flagellato
aspramente. L'undecima: attendeti e vedeti Iesu condannato a la crucifixione. La duodecima:
attendeti e vedeti Iesu la turba alloquente ne la crucifixione. De la prima de l'agnello pascale la
figurazione era ne l'Exodo, al XII capitulo: commandamento al populo che ogni anno a la Pasca
mangiasseno l'agnello, per el quale era significato Cristo agnello immaculato. E lui disse: "Io non
sono venuto a tollere la lege, ma adimpirla"; e Ieremia di lui avea profetato: "Io como uno agnello
mansueto, el quale fu portato al sacrificio". De la prima contemplazione tri frutti. El primo de la
missione de' discipuli. Disse Cristo a dui di suoi discipuli, essendo in Betania a casa de Lazaro:
"Andati ne la città a uno e, como intrareti in essa, el vi verrà incontra uno portante una ingrestara
d'acqua; sequitello ne la casa dove intrarà e diceti al messere di casa dove è il diversorio unde io
debba mangiare la Pasca cum mei discipuli; e lui vi monstrarà uno grande cenaculo". El secundo
frutto de la preparazione de la cena: dicono dottori che era uno discipulo occulto di Cristo, per la
paura de' giudei, el quale parecchiò la cena a Cristo de l'agnello cum le latughe secundo la lege. El
terzo frutto: fatto el vespero, venne Iesu cum suoi discipuli in Ierusalem e, como è da credere, prima
intrò nel templo - imperò che prima se debe cercare el regno de Dio - poi andorono nel cenaculo. La
seconda contemplazione - de Iesu che cena cum discipuli cum dilezione - tri frutti. El primo con la
disposizione de la tavola nel monte Sion: in casa di quello discipulo occulto era una tavola de
marmoro, a la quale stavene tre persone per quadro, la quale al presente è a Roma. El secundo:
comenzorono a mangiare l'agnello rostito secundo la lege; allora disse Cristo: "Con grande
desiderio ho desiderato di mangiare e fare la Pasca cum vui, nanti ch'io patisca la morte". La terza è
che lo mangiaveno tenendo il bastone in mano e con le scarpe in pedi e succenti e con l'agresto e
con latughe presto mangiavano. La terza contemplazione di Cristo è che lavò i pedi a' discipuli con
tri frutti: el primo de' pedi lavazione; el secondo de l'exempio l'instruzione; la terza del traditore la
insinuazione. Cenato ch' ebbe Cristo con li discipuli, ello misse de l'acqua ne la conca e se cingette
uno lenzolo e commenzò lavare i pedi a li discipuli: prima li lavò a Iuda traditore, puoi li basava
loro pedi e sugava con esso lenzolo, del quale era precinto. O Iuda, perché non ti compungi vedendo
tanta carità in Cristo? Puoi venne a Pietro, quale disse: "Signore, tu me vole lavare i pedi? Non mi
lavarai i pedi in eterno!". Rispose Cristo: "Quello ch'i' faccio tu no 'l sai ora: il saprai dopoi. Se io
non ti laverò pedi, non averai parte cum mi". Udito ch'ebbe questo, Petro, che avea gustato l'essere
cum Cristo, rispose: "Signore, non tanto li pedi, ma ancora le mane ed il capo". El secondo frutto è
che, lavato ebbe Cristo pedi a' discipuli, ritornarono a sedere. Cristo li comenzò a dire: "Sapeti
quello ch'io vi abio fatto; vui me chiamati Maestro e Signore, ed io sono esso; ve ho dato exemplo
che como io ho fatto a vui, cusì vui faciati ad altri". El terzo è del traditore insinuazione. Puoi Cristo
gli disse: "In verità io ve dico: uno di vui me debbe tradire"; e commenzorono tutti de uno in uno a
dire: "Sono io quello, o Signore?". E Cristo disse a Iuda cum voce summissa: "Tu sei esso", e in
modo che gli altri non intenderono. Allora Petro fervente in amore disse a Gioanne ch'el
domandasse chi era quello che 'l dovea tradire, e Giovanne domandò chi era el traditore, e Cristo
glielo revelò, e acciò no 'l manifestasse, il feci subito dormire sopra el suo petto, e allora gli revelò
Cristo li grandi secreti. Dicono alcuni dottori che, se Petro avesse saputo el traditore, che l'averebbe
squarzato cum li denti. La quarta è: vedeti Iesu consecrante el sacramento digno di venerazione. Li
tri frutti: el primo del sacramento la consecrazione, el secondo del sacramento la communicazione,
el terzio de Iuda traditore la supportazione. Primo, Cristo instituì el sacramento del suo corpo.
Secondo, communicò tutti i discipuli del suo corpo, e ancora Iuda (nel Decreto è scritto che tu omo
bono debbi tollerare el cattivo per exemplo di Cristo, el quale commmunicò Iuda, che 'l doveva
tradire). El terzio del traditore la supportazione. Se levò esso Iuda per exequire el tradimento e
Cristo gli disse: "Quello tu vole fare, fallo presto!". Li discipuli pensarono che Cristo il mandasse a
fare qualche altra cosa, como molte volte soleva. La quinta contemplazione è: vedeti Iesu in che
modo parla à discipuli; como fu partito Iuda, Cristo comenzò predicare ad essi discipuli e
amaestrarli ne la fede dicendo: "Vui credeti in Dio, credeti ancora in mi"; poi ne la speranza,
dicendo "Sperati vita eterna"; puoi ne la carità, dicendo "amative l'uno cum l'altro... Non è maggiore
carità como a mettere l'anima sua per li suoi amici"; puo' in tolerare pazientemente el male e le
tribulazione dicendo: "E' l'è venuta l'ora che ciascuno che ve occida pensa fare sacrificio a Dio".
Puoi rendète grazia a Dio e andorono nel monte Oliveto. La sesta è: vedeti Iesu a l'orazione cum tri
frutti. El primo de exortazione. Disse Cristo: "Tutti vui patiriti scandelo in mi in questa notte,
imperò che è profetato (al terzio di Zaccaria): 'Io percoterò el pastore e se hanno disperdere le
peccore del grege'". Petro rispose per tutti li discipuli: "E se tutti se scandelizaranno in te, io non me
scandelizarò mai!"; e Cristo rispose: "In verità io ti dico, Petro, non cantarà il gallo che tre volte
negarai non cognoscermi". Poi disse a Petro: "Conferma li tuoi fratelli". Dice Gregorio che Cristo
permise che Petro il negasse, acciò ch'ello fosse propizio in perdonare altrui peccati. La seconda
monizione fu de contrizione, però che Cristo commenzò a contristarse e disse a quelli tri discipuli
che l'aveano veduto transfigurato suso il monte: "Trista è l'anima mia in fine a la morte". La terzia è
di amaricazione overo dolorazione. El Salvatore tolse con lui essi tri discipuli e se dilongò da essi e
fece orazione al Patre, dicendo che, se era possibile, ch'el transferisse esso calice da lui; puoi venne
ad essi tri discipuli e trovò che dormivano, e disse a Petro: "Non hai potuto vigilar una ora meco?".
Puoi ritornò a l'orazione e fatto foe in angonia, ora più prolixamente, con tanta veemente passione
che 'l suo sudore era como gutte di sangue che dicorresse in terra; e gli apparse
l'angelo in essa orazione, el quale confortò la sensualitate ch'era smarrita; puoi ritornò ad essi tri
discipuli e disse: "Dormite e reposative; ecco: el se appropinqua colui me debbe tradire". Iesu Cristo
tanto ne ha amato che non se è curato a morire per nostra salute. "O vui tutti che passati per questa
via, attendeti e vedeti" Iesu preso con prodizione: la prima in l'avenimento di Iesu, la seconda in
l'avenimento del traditore Iuda, la terzia de la sanazione de l'orecchia. Sapea el traditore Iuda el loco
dove Cristo andava a l'orazione, però che più volte era stato lì cum esso. Li pontifici non potevano
prendere veruno, e significorono a Pilato che uno aveva commesso contra loro lege, e ch'el volesse
dargli de la sua compagnia, che il volevano prendere; ed ello gli dedi cinquanta de' suoi satelliti.
Però dice el vangelista Gioanne: "Iuda, como ebbe la coorte e da' pontifici e da' farisei e ministri,
venne a questo loco cum lanterne e franzele e altre arme". E Iesu, che sapeva tutte le cosse che
doveano sequire sopra de lui, se fece inante e gli disse: "Che cercati vui?". Ed elli risposeno: "Nui
cerchiamo Iesu Nazareno". Ed esso rispose: "Io sono quello". E subito che Cristo ebbe ditto 'Io sono
quello', tutti cascarono in dreto a terra. Di novo Iesu li interroga: "Chi cercati vui?". Ed elli per
voluntà divina se levorono e resposeno: "Nui cerchiamo Iesu Nazareno". Ed ello rispose: "Io ve ho
ditto che sono esso; se vui me cercati, lassati andare questi mei discipuli" (acciò che fosse adempito
el sermone che dice: 'De quelli che m'hai dato non ho perduto alcuno'). Allora el traditore Iuda se
feci inanti e disse a Iesu, como era usanza de li discipuli d'esso: "Dio ti salve, Maestro!". Ditto Iuda
traditore aveva dato per signo a li ministri e a la compagnia: "Quello il quale io baserò, tenetelo e
menatilo cautamente". Sapeva el traditore che ogni volta che Cristo voleva ello se transformava
como altre volte aveva fatto, quando li principi il volevano prendere; però aveva ditto: "Quello ch'io
basarò el'è desso". Ancora: per rispetto di Iacobo minore, quale molto era simile a Cristo e quale
prima avevano preso pensando fosse Cristo; ma ello, vedendose preso, glie lassò la veste e fugìte da
le loro mano. Ne l'andare e ritornare avevano per usanza di basarse; e Iesu li disse: "Amico, a che
sei venuto, che sotto spezie de amore tradisse il tuo magistro". Era Cristo aparecchiato de
perdonargli, se avesse voluto: el baso è signo d'amore, e tu adduci guerra e tradimento. Allora Cristo
permise potestà sopra la sua persona e quelli satelliti gli gettorono le mano adosso e lo tenevano
stretto e gli ligarono le mano e li metterono uno lazo al collo. Vedendo Petro che Cristo era preso e
ligato, disse: "O maestro, dovemo ferire cum el cultello?". Cristo non gli rispose. Presto presi el
coltello che aveva al lato como piscatore e menòlo verso uno che teneva Cristo, e li tagliò l'orecchia
destra. Esso servo era chiamato Malco. Rispose Cristo: "Petro, mette el coltello ne la vagina; el
calice quale m'ha dato il Patre mio non vò tu ch'io il beva?"; ed uno altro evangelista dice:
"Ciascuno che ferirà di gladio di gladio perirà. Non pensi tu ch'io possa pregare il Patre mio, quale
me mandarà più de dodice legione de angeli? Ma questo se fa, acciò se adimpissano le Scritture".
Poi sannò l'orecchia ad esso servo e quelli traditori, veduto tal miracolo, non ne feceno stima. Puoi
Cristo disse a essi che l'avevano preso: "Como a uno latrone seti venuti cum spate e fusti a
prenderme, avenga ogni giorno fosse nel templo. Perché non m'aveti tenuto lì? Ma questa è l'ora
vostra e la potestà de le tenebre". L'ottava contemplazione è: attendeti e vedeti Iesu, el quale non se
escusa da la falsa accusazione. Nante a tre persone Cristo fu accusato: primo al pontifice vecchio
Anna, secondo al pontifice giovene Caifa, terzio al crudele presidente Pilato. Così strettamente
aveano ligato Cristo e con impeto lo menavano, sempre dubitando non gli fosse tolto da le mano
(dicono dottori che gli avevano ligate le mano di dreto e posto una catena al collo), che 'l sangue li
usiva per le unghe, ed il feceno cascare nel torrente per el quale il menaveno per transito, in modo
che bibe in esso torrente, como era profetato: "De torrente in via bibit"; e perché era scalzo,
andando per li sassi, le unghe di pedi se squarzoreno. Ed il menarono prima ad Anna, perché feceno
la via de casa sua; el quale Anna gli domandò de' suoi discipuli e de la dottrina sua. Respose Cristo:
"Io ho divulcato la mia dottrina ne la sinagoga, dove se conveneno tutti giudei, e nulla cossa ho
parlato in occulto; a che fare me domandi? Domanda a quelli quali m'hanno olduto, ecco che elli
sanno quello ch'io ho ditto"; e subito il servo del pontifice gli dedi una sguangiata crudelmente
dicendo: "Cossì rispondi al pontifice?". Respose Cristo: "Se io ho ditto male, rende testimonio del
male, ma avendo ditto bene, perché m'hai percosso?". Quivi se deprende la maxima impietà de
Anna, perché mai non debbe uno iudice patire che uno sia iniuriato nante a lui. Puoi menarono
Cristo a casa de Caifa, pontifice quello anno, dove erano congregati li principi de' sacerdoti; e
Gioanne evangelista e Petro sequitavano Cristo: esso Gioanne era conosciuto in casa di Caifa, Petro
che li soleva vendere del pesce; ed ello introdusse Petro in casa di Caifa, e l'ancilla che stava a la
porta cognobbe Petro che era di Galilea e gli disse: "Veramente tu sei de li discipuli di questo omo";
ed ello rispose che non era. E fatto poco intervallo, uno di servi del pontifice disse a esso Petro: "Per
certo tu sei de quelli: non te ho lì veduto ne l'orto con esso?"; a cui Petro rispose che non era de
quelli; e Cristo con l'occhio corporeo risguardò Petro, como a dire: "Che hai fatto? Perché m'hai
negato?". E uscito di casa di Caifa, Pietro piangètte amaramente el suo peccato. E quivi in casa di
Caifa erano congregati tutti li principi de' sacerdoti e feceno stare Cristo nel mezzo di loro; e como
Caifa ebbe ditto a Cristo: "Io te sconzuro da parte de Dio vivo che tu me debi dire se tu sei Cristo
figliolo de Dio beneditto", rispose Cristo: "Tu il dice. Da ora in ante vedereti el figliolo de la donna
sedere a la destra de Dio e venire ne le nube di 'l cielo". Allora il principe de' sacerdoti se squarzò la
veste; inferindo che avesse blasfemato Dio, disse: "Non abbiamo più bissogno di testimonii; ecco,
aveti olduto la blasfema: che ve ne pare?". Responderono tutti gli sacerdoti: "El è digno di morte!".
E tutta la notte feceno flagellare Cristo. E uno dottore dice che, como Cristo fo caldo per li flagelli e
battiture, che lo misseno in uno vaso pleno d'acqua fredda, como era scritto per el profeta che dice:
"Salvame Idio, però che le acque sono intrate in fine a l'anima mia". Cossì stando Gioanne
evangelista andò presto in Betania e disse a Maria Magdalena como li principi de' sacerdoti avevano
preso Cristo e che Iuda l'aveva tradito e che l'aveano menato a casa di Caifa e lì il flagellorno, e
narrando le cosse quale aveva operato ne la cena e del sudore sanguineo quale aveva produtto. La
Vergine Maria cascò tramortita: puoi ch'essa Matre fu in sé ritornata, ella se misse con Gioanne e
Magdalena e Marta a venire in Ierusalem; e la Vergine Matre per la via se lamentava dicendo e
sbatendosse: "O figliolo mio, tu hai fatto cento bene a questo populo, sanando leprosi, illuminando
ciechi e tutti langori e resuscitando morti; ed elli te rendeno male per li tuoi beneficii e te
flagellano". Poi, fatto che fo giorno, li principi de' sacerdoti feceno consignare Cristo ligato como
uno malfattore a Pilato, quale governava Ierusalem per l'Imperio romano; ed esso Pilato era pagano,
e li principi de' sacerdoti non intrarono nel palazio de Pilato, acciò elli non se contaminasseno, ma
che potesseno legittimamente mangiare l'agnello pascale. Se reputaveno essi sacerdoti a peccato
intrare nel pallazio del pagano e non se reputaveno a peccato ad occidere Cristo innocente: como
ancora a questi tempi fanno molti ipocriti! Pilato, veduto Cristo quale aveva aspetto de omo, disse a'
sacerdoti: "Quale accusazione faciti vui contra di questo omo?". Risposeno essi principi de'
sacerdoti dimostrandossi santi: "Pilato, se costui non fosse malfattore, non te l'averessimo dato ne le
mano". Pilato, credendo che Cristo avesse commisso qualche grande delitto contra la loro lege, de
la quale lui non se impazava, ma solamente del governo temporale, rispose: "Toletello vui e
secondo la lege vostra iudicatelo". Resposeno essi principi: "A nui non è licito occidere alcuno".
Vedendo donca li principi che Pilato non faceva stima di quello che aveano ditto, accusorono Cristo
in tre cosse, dicendo: "Nui avemo trovato costui che subverte la gente nostra e proibisse che non se
debba dare tributo a Cesaro e dice sé essere re". De la prima accusazione Pilato non ne feci stima,
cioè de l'andare subvertindo la gente; de la seconda sapeva che Cristo aveva ditto: "Rendeti quello
ch'è di Cesaro a Cesaro e quello è di Dio a Dio"; de la terzia accusazione Pilato chiamò Cristo nel
Pretorio e uno servo di Pilato misse il suo mantello sotto pedi dove aveva a passare Cristo, per il
che li principi de' sacerdoti disseno a Pilato: "El tuo servo ha onorato costui. Comanda ch'el sia
menato a modo de uno latrone". E Pilato comandò a dodece di suoi provisionati che stassesseno
circa a Cristo; ed elli portavano nel capuccio le bandirole, in le quale era depinta l'aquila, acciò che
fosseno conosciuti, e per divina voluntà erano constretti onorare Cristo ingenocchiandose como gli
passavano denante. Disse Pilato a Cristo: "Adonca tu sei re de' Iudei?" Rispose Cristo: "Tu il dice
ch'io sono re. Ma il mio regno non è di questo mondo. Se 'l mio regno fosse di questo mondo, li mei
menistri combatarebbeno, acciò non fosse dato ne le mano a' giudei; ora el mio regno non è de
quivi". Disse Pilato: "Adonca
tu sei pur re?". Respose Cristo: "Tu il dice ch'io sono re. Io sono nato per questo ed in questo sono
venuto a questo mondo, acciò ch'io dia testimonio a la verità". Disse Pilato: "Che cossa è verità?". E
subito ditto questo, usite di novo del palazio a' giudei e gli disse: "Io non trovo in lui alcuna casone
di morte". Risposeno giudei: "Nui avemo trovato costui che subvertisse la nostra gente
incomenzando da Galilea in sin quivi". Vedendo Iuda che li principi volevano fare morire Cristo,
però che l'aveano dato già ne le mano de Pilato che il dovesse crucifigere, ritornò li trenta dinari
d'argento a' principi, dicendo: "Ho peccato a tradire il sangue iusto!". Responderono principi: "Che
n'avemo a fare nui? Tu gli dovive pensare". E disseno fra loro: "Non è licito mettere questi dinari in
còrbana, che sono prezio di sangue". E ne comprareno poi uno campo per sepelire peregrini, como
era profetato. Inteso Pilato che Cristo era omo galileo, cercava de liberarlo e torselo da le mano. La
nona contemplazione: attendeti e vedeti Pilato mandare Cristo a Erode per liberarlo. La prima il
mandare di Cristo, la seconda la presentazione di Cristo nanti a Erode, la terzia la remissione di
Cristo da Erode a Pilato, quale cercava liberarlo, però sapeva che era accusato iniustamente. Ello il
mandò ad Erode, quale regnava ne la provincia di Galilea per l'Imperio romano, perché Cristo era
uomo galileo. Erode, veduto Iesu, se allegrò assai, però molto tempo aveva desiderato de vederlo,
perché aveva inteso de' grandi miraculi operati per lui. E como essi principi de' sacerdoti
l'accusorono, Cristo mai non rispose, perché non voleva impedire la sua passione. Erode era allora
venuto in Ierusalem per vedere la solennità de la Pasca, quale fassevano giudei, e per tal mandare di
Cristo furono fatti amici Erode e Pilato, quali nanti erano nimici. Diceva Erode a Cristo: "Non sei tu
quello Cristo che hai resucitato el figliolo de la vedova e che hai illuminato quello che nacque cieco
e che hai resuscitato Lazaro quatriduano ne la sepultura?". E Cristo niente rispose, per il che Erode
reputò che fosse uno stolto e se ne fece beffe, unde il feci vestire de una veste bianca e lo remandò a
Pilato. Sperava Erode vedere qualche grande miraculo de Cristo como curioso, ma non per bene che
ne dovesse sequire: però no gli fece signo alcuno. La decima contemplazione: attendeti e vedeti
Cristo remandato a Pilato, la commutazione di Cristo, quale volse fare Pilato, la flagellazione fatta a
Cristo per Pilato. Remandato donca Cristo a Pilato, disse a' giudei: "Io non trovo in lui alcuna
casone perché gli deba dare morte; né anche Erode, quale, però non gli ha trovato iusta causa, me
l'ha rimandato". Ed allora essi, cani rabbiati, gridavano: "Non lo lassare, Pilato, crucifigelo!".
Sequita la commutazione. Vedendo Pilato la rabia de' giudei, pensò de liberare Cristo per bono
modo e disse: "Se è la consuetudine ch'io vi debia lassare uno malfattore digno di morte a la
sollennità de Pasca" (quale facevano in memoria li Giudei, quando Dio liberò il populo suo da le
mane di Faraone) - ed allora aveva ne la carcere uno grande ribaldo chiamato Barabam, el quale per
omicidio che avea commisso ne la cittade era posto in presone - pensando Pilato 'Saranno questi
giudei crudelissimi se non domandaranno Cristo', il perché dissegli Pilato: "Voleti ch'io vi lassa
Cristo overo Barabam?". Resposeno tutti cum cridore: "Lassa Barabam e tole Cristo, e
crucifigello!". Disse Pilato: "Che debbo fare di Iesu che è ditto Cristo?". Resposeno:
"Crucifigello!". Pilato, non volendo dare la morte a Cristo, ma più presto mitigare el furore de iudei,
feci ligare Cristo prefatto a la colonna e da quattro persone il feci flagellare in tal modo che gli
dedeno una legione de battiture, cioè seimiliaseicentosesantasei battiture, ita che del suo sangue dal
capo a li pedi se ne copriva la terra; e poi gli feci mettere in testa una corona de spine, la quale
passava fin al celebro; deinde gli miseno una canna in mano ed il vestireno de una veste rossa. Così
flagellato e despetto il feci menare al loco, como diressimo nui a la arenghera, el quale era
eminente, cioè dove se suole legere li maleficii de quelli se debono condennare, e disse a' giudei:
"Ecco il vostro re!". Ed elli resposeno: "Non abbiamo altro re che Cesaro". Disse Pilato: "Io non
trovo in lui alcuna causa di morte". Cossì stando Cristo cum la corona de spine, vestito de veste
purpurea, gridavano pontifici e ministri, dicendo: "Crucifigello, crucifigello!". Disse Pilato:
"Toletilo vui, e crucifigitelo. Io non gli trovo alcuna casone". Respondereno giudei: "Nui abbiamo
la nostra lege e secondo essa lege debba morire, però ch'el se ha fatto figliolo de Dio". Como Pilato
ebbe olduto questo parlare, temette più forte, ed intrò ancora nel Pretorio e disse a Iesu: "Donde
sei?". A cui Cristo non dede risposta, per il che Pilato disse: "Non me parle tu? Non sai ch'io ho
potestà di lassarte ed ho potestà di crucifigerte?". A questo rispose Cristo: "Non averesti potestà
alcuna contra de mi, se ella non ti fosse data di sopra; però maggiore peccato ha colui quale m'ha
dato ne le tue mane". Unde cercava Pilato di lassarlo e, questo vedendo, li giudei gridavano
dicendo: "Pilato, se tu lassi costui, tu non sei amico di Cesaro: ciascuno che se fa re contradice a
Cesaro!". L'undecima contemplazione: attendeti e vedeti Pilato che condanna Cristo a la morte di la
croce. La prima de Cristo a la morte de la croce condennazione, la seconda de la escusazione fatta
per la muglie di Pilato, la terzia del lavare de le mane feci Pilato. Como donca Pilato ebbe olduto
queste parole, cioè "che se fa re contradice a Cesaro", feci condurre Iesu di fora e sedette nel
tribunale, nel loco quale era ditto Lithostrotos, ed in lingua ebraica se dice Gabbata. Era el
Parasceve di Pasca e ora quasi di sesta cossì stando. La seconda è de la escusazione fatta per la
muglie di Pilato. El demonio per molte cosse fatte per Cristo conietturava ch'el fosse il Redentore
del mondo, e volse impedire che Cristo non morisse; e como il feci cascare nel peccato el primo
omo per la femina, cossì per la femina volse impedire che Cristo non morisse. E perché gli omini
spesse volte compiaceno a le loro muglie, ello in essa notte apparse in sonno a la muglie di Pilato
dicendo che gli sarebbe dato ne le mano uno omo chiamato Cristo, quale Pilato suo marito non
dovesse fare morire, perché era uno omo iusto; ed essa mandò a dire a Pilato che no 'l facesse
morire, dicendo 'Niente a te ed a quello omo iusto, ma farai iustizia', però che l'aveva patito per
veduta in quella matina di lui. Pilato donca, sedendo nel tribunale, disse a' giudei: "Ecco il vostro
re!"; ed elli gridavano dicendo: "Tolle, tolle, crucifige eum!", e ch'el sangue di lui fosse sopra di
loro e sopra di loro figlioli. Disse Pilato: "Crucifigerò io il vostro re?". Risposeno li pontifici: "Non
abbiamo re altro che Cesaro". De la terzia, cioè del lavare de li mane fatto per Pilato: Pilato,
temendo la superbia d'essi pontifici, i quali inferivano de accusarlo a Cesare, dede Cristo ne le mano
d'essi pontifici, acciò che fose crucifixo, e così dice Gioanne evangelista. Uno altro evangelista dice
che Pilato dede la sentenzia che fosse fatto secondo ch'essi pontifici avevano domandato, dicendo:
"Io me lavo le mano e sono io innocente del sangue di questo uomo iusto; vui l'abiati a vedere". La
duodecima contemplazione è: attendeti e vedeti Cristo nel portare la croce. La seconda: attendeti
Cristo con la croce parlando a le donne. La terzia: vedeti Cristo che parla a la turba, essendo
crucifixo. De la prima essi principi con loro ministri e cavaleri di Pillato tolseno Iesu e se gli miseno
la croce a le spalle, acciò la portasse al monte Calvario; e uscindo de la cittade, cossì era il Salvatore
fatto deforme e disfatto per le flagellazione per le quale aveva sparso il sangue, che la matre no 'l
cognosceva tra li dui latroni, quali con esso erano menati a crucifigere. Allora veduto ch'ebbe Cristo
la matre cossì afflitta, ed anche per il gran peso de la croce, cascò sotto la croce, e non se poteva
levare; li giudei e ministri di sacerdoti e li cavaleri di Pilato lo percotevano e il blasfemavano. Ed a
caso veneva da la villa a la cittade uno Simone cireneo, ed elli il sforzareno a portare la croce.
Levato Cristo, la matre l'abracciò e subito spasmò ed in esso loco cristiani da poi edificorono una
cappella, quale se domanda Santa Maria del Spasmo. Gionto il Salvatore nel monte Calvario, li
crucifixori il spoglioreno de sue vestimente ed essi cavalieri de Pilato una ne squarzarono partindola
e l'altra giocareno per sorte de chi la dovea essere; puoi miseno Cristo insuso la croce cossì nudo
como il nacque, per maggiore vituperio; e foreno fatti li buchi da inchiodare le mano molto da la
longa l'uno da l'altro, in tal modo che, inchiodata una mano, l'altra non aggiongeva al forame fatto,
ed elli cani rabbiati con corda ligarono essa mano e per forza la tiravano al buco suo sì che
squarzarono il petto a Cristo, e fu adimpita la profezia dicente: "Hanno denumerate tutte l'osse mie
e sopra la mia veste hanno posto la sorte". Levato il nostro Salvatore in croce, nudo como nacque,
dicono alcuni dottori che la matre sì gettò verso il figliolo uno pannicello, quale per divina voluntà
si destesi a coprire li membri genitali. E nota che 'l Salvatore disse sette parolle in croce. La prima:
pregò l'Eterno suo Patre per li crucifixori, dicendo: "Patre, perdonale, però non sanno quello che
facino". E gli pontifici e loro ministri se facevano beffe di Cristo dicendo: "Se sei figliolo de Dio,
descende ora de la croce, e sì te crederemo"; l'altro diceva: "Vah, el quale desfai el templo de Dio ed
in tri giorni il reedifichi!". Ed el latrone crucifixo da la mane sinistra disse: "Se tu sei figliolo de
Dio, salva ti medesimo e nui!"; e il latrone de la mano dritta
gli rispose: "Neanche tu temi Dio! Nui patissemo cosse digne de' nostri fatti, ma costui non ha fatto
male alcuno"; puo' disse: "Signore, ricordite de mi, como sarai venuto nel tuo regno!". E Cristo gli
rispose: "In verità io te dico che oggi serai meco in Paradiso". E fu la seconda parola. La terza
parola: è verisimile ch'essi cani rabbiati, vedendo Cristo quasi estinto per el fluxo di 'l sangue,
lassasseno andare la Vergine Maria sotto la croce, e quivi disse: "O figliolo mio, tu parli ad altri e a
mi non me dici nulla. Essendo privata de ti che me eri ogni bene, quale vita debba essere la mia, a
chi mi ricomandi tu, figliolo mio?". E Cristo gli rispose: "Donna, ecco il tuo figliolo"; ed al suo
diletto discipulo Gioanne evangelista disse: "Ecco la matre tua"; e d' allora inante Gioanne la tenette
per sua matre. La quarta parola: disse Cristo "Eli, Eli, lamà zabatàni?", quale parole in lingua latina
sono interpretate: "Dio mio, Dio mio, perché m'hai abandonato?". Queste parole disse la sensualità,
perché allora Cristo communicò li dolori nel corpo, quali nante aveva ne l'anima. La quinta parola:
Cristo disse "Sitio". Avevano essi principi fatto portare uno vaso pleno di aceto e felle per
tormentare Cristo ne la lingua, e subito uno di loro andò presto e intinse la sponga in quella
amaritudine e la mise suso una canna a la bocca di Cristo; e uno de li principi disse: "Lassa stare,
vediamo se vegnarà Elia a torlo zoso de la croce e liberarlo"; perché aveva ditto "Eli, Eli"
pensaveno ch'el domandasse Elie che 'l liberasse. E como ebbe gustato essa amaritudine, non volse
bibere. La sesta parola: disse Cristo "E' l'è consumato", cioè "è adimpito tutto quello che è scritto de
mi". La settima parola: disse el Salvatore gridando ad alta voce: "Patre Eterno, ne le tue mano
racommando il spirito mio!"; e ditto questo, espirò. Vedendo el centurione che cossì cridando Cristo
espirasse, disse: "Veramente costui era figliolo de Dio!". E subito il vello del templo se fendette e
divisi in doe parte e le pietre se scindereno e monumenti se aprireno e molti corpi de santi
resuscitarano e aparseno a molti. E perché era Parasceve, acciò che corpi non remanesseno in croce
el sabbato, perché era grande festa, non essendo ancora morti li latroni, gli feceno rompere le osse
de le gambe e, como videno Cristo estinto, non rompereno le osse sue. Ma uno de li cavalieri di
Pilato cum la lanza feritte Cristo nel costato, e subito uscitte sangue ed acqua: e colui che ha veduto
ha ditto testimonio, ed ello sa ch'el dice il vero, acciò che vui credati. Sono fatte queste cose, acciò
che la Scrittura sia adempita. E altra Scrittura dice: "Vederanno cului nel quale hanno transfixo".
L'altro giorno dopoi il Parasceve convenneno li giudei con Pilato e li disseno: "Missere, nui siamo
ricordati che quello seduttore, ancora vivendo, disse: 'Doppoi tri giorni io resuscitarò'. Commanda
che il sepulcro sia guardato, acciò che forse non vegnano suoi discipuli e lo furano e poi dicano a la
plebe: 'E' resuscitato da morte'. E seria errore peggiore che 'l primo". Rispose Pilato: "Aveti la
custodia; andati e guardatilo como sapeti". Ed elli se partireno signando la pietra del sepulcro,
lassando certa gente a la guardia d'esso. Fornisse el quarentanno tempo del zezunio quadragesimal
dagli vicii e peccati, i quali ha represo come medico spirituale di morbi intrinseci e mortali. Sequita
lui in dirme le eccellenzie de la resurrezione di Cristo, la qual serà tutta allegra, al contrario di le
preditte prediche, le quale ne inducono a tristicia ed a dolori degli peccati. In lo giorno de la Pasca:
DE LA RESURREZIONE DE CRISTO (I) "Iesum quem queritis crucifixum surrexit, non est hic"
(Marci capitulo ultimo ed in Evangelio odierno). Bench'el sia una grande allegrezza a trovar una
cosa desiderata, molto maggior è a trovar quella meglior in disposizione che non sperava l'omo.
Ecco, devotissimi cristiani, di quanto gaudio, di quanta allegrezza è el presente giorno: queste sante
donne che son dette le prime cristiane, credendo trovare Cristo morto, lo trovoron vivo, e
credendolo esser mortale, lo trovorono immortal; però el nostro cantore e citaredo David piacevele
e santo con el suo organetto tutti gli cristiani invita a solazo ed a piacere e dice nel Salmo: "Hec dies
quam fecit Dominus exultemus et letemur in ea" ("Questo è el giorno fatto da Dio solenne,
allegramosi in quello"). Exulta, iubila e canta, o populo cristiano, però che oggi la tua vita, la tua
speranza, el tuo solazo Iesu Cristo dolce maestro in gloria è suscitato! Spera ancora e tu resuscitare;
Lui è beato, crede ancora tu essere beato; Lui è immortale, crede e tu esser immortale; Lui è
luminoso e chiaro, e tu ancora illuminato di gloria sederai cum Cristo beato a la destera paterna. Di
questa resurrezione parlando oggi vederemo s'el fu necessario Cristo morto resuscitare, ed arguendo
per la parte affirmativa, diremo che sì per molte ragione. La prima se chiama ragione de figure. Una
bella figura di Cristo suscitato precessi nel Vecchio Testamento. Essendo Iona profeta mandato da
Dio Padre in la cittade grande Ninive a predicare a li populi penitenzia, andava lui fugendo, e sì se
misse in una nave per andare da largo, e dormendo lui in la nave, li marinari per allegerire la nave,
levato che fu una grande fortuna di marisello, lo gettorono nel mare, dove dormì tri giorni nel ventre
de uno pisce grande detto ballena; el terzo giorno fu gittato vivo al lito del mare. O tu, illuminato
cittadino, che credi tu che facea Dio a quel tempo? Cridi tu ch'el giucasse cum li profeti? Nonne,
nonne, ma tutto ciò facea Dio, lo facea in figura del secundo Iona futuro, il quale fu Cristo novello
profeta mandato dal Padre Dio in terra a predicare el Vangelio novo in Ninive città grande, cioè nel
mondo grande e largo. Lui temendo fugì e sì se ascose ne la nave, ricusando quasi la obedienzia del
summo Padre, non quanto a la parte ragionevele del spirito suo confirmato in grazia, ma quanto a la
sensualitade piangendo e fugendo la morte (Mathei XXV e XXVI capituli: "Pater, si possibile est
transeat a me calix iste", "O Padre, s'egli è possibile, fa che questo calice de la passione se leva da
me"; "O Padre santo, io non vorebbe morire!"). El senso teme, la carne fragile se duole. Rispose il
Padre eterno: "Io voglio che vadi suso el pergolo de la croce a predicare". Tri giorni stette nel ventre
de la terra e del saxo; el terzo fu gittato vivo nel litto del mare. O Magdalena, dice Cristo, vane a li
discipuli, digli ch'io me ritrovarò in Galilea. Questo oggi cridava lo angelo santo dicendo a queste
donne: "Voi cercati Iesu Nazareno; egli è suscitato, etcetera". Hai la prima figura. La secunda fu del
forte Sansone. El se lege (Iudicum XVI capitulo) che Sansone dormì per sino a mezza notte ed in
quella ora si levò suso e presi le porte de la città ove egli era richiuso e sì se le misse in spalla e
portolle con gli suoi guerzi e cadenacci, over serrature, in suso la cima de uno monte vicino.
Sansone è interpretato sole e significa Cristo, el quale è sole con luce vera (come hai Johannis c.
XII, detto da lui Cristo: "Ego sum lux vera, "Io son la vera luce"; Johannis primo: "Que illuminat
omnem hominem venientem in hunc mundum", "Che illumina ognuno chi viene in questo mondo").
Questo Sansone tolse tutte due le porte, cioè el corpo e l'anima, cum le sue serrature e ferramenti,
cioè cum tutte le perfezione concurrente a l'esser perfetto de l'omo; e portollo insino a la cima del
monte; cioè Cristo nel giorno de la resurrezione andò cum l'anima e col corpo al cielo empireo
(Marci, capitulo ultimo: "Iesus assumptus est in celum et sedet ad dexteram Patris", "Iesus assunto
in cielo sede a la destera del Padre"). La terza, non già figura ma profecia, è quello che dice David
nel Salmo in persona de Dio Padre verso del suo figliol: "Exurge gloria mea" ("Levate suso, o gloria
mia"). Risponde Cristo: "Exurgam diluculo" ("Io me levarò suso per tempo, cioè ne l'aurora").
Questo basti quanto a la prima prova che Cristo sia suscitato. La secunda probazione è detta
testificazione de profeti. Lege Isaie capitulo quarto: "Ipse morietur et sepulcrum eius erit
gloriosum" ("Esso Cristo morirà e lo suo sepulcro serà glorioso"), perché egli era novo, nel quale
non era inanci lui posto alcun corpo (Mathei XXVI [ma XXVII] capitulo); fi chiamato glorioso el
sepulcro, perché gloriosamente e vittoriosamente el resuscitò. Lege el profeta Amos (nono
capitulo), il qual dice in persona de Dio: "suscitabo tabernaculum David, quod cecidit, et
reedificabo aperturas murorum eius" ("Io sucitarò el tabernaculo de David, el qual è cascato e sì
reedificarò le aperture degli suoi muri"). El tabernaculo de David era el corpo di Cristo nasciuto del
seme de David, come hai nel Salmo, detto da Dio: "De fructu ventris tui ponam super sedem tuam"
("Io metterò del frutto del tuo ventre sopra la tua seggia"); questo tabernaculo già era caduto e
ruinato in terra, quando Cristo fu morto nel ligno de la croce adoranda, fu reedificato quando el
terzo giorno fu sucitato senza aperture, cioè senza piaghe e senza fixure ne le mane che vengano a
derogazione de l'integrità del corpo. Vede Ieremia, capitulo XXIII: "Ascendit leo de cubili suo"
("Levosi uno leone del suo letto e lo robator e spoliatore de le gente è levato suso da se stesso"). O
Cristo potente! O Iesu feroce! O leone terribile! O ladro, o robatore da la strada! Robò Cristo e
spogliò lo Limbo di quelli padri chi dormivano nel Limbo e come leone ruggente levò la sua voce
cridando: "Fuori! Fuori, o pregioneri!". La terza probazione fi detta revelazione. Alde cosa
maravigliosa: s'egli è cosa da maravigliar che li profeti, già passati anni ed anni, abbino inteso la
resurrezione di Cristo, molto maggiormente è da maravigliarse quando gli infideli e pagani senza
lege alcuna inteseno Cristo doversi resuscitare. Prende per lo primo Iob paziente,
chi non fu giudeo né del populo de Dio (over de la stirpe di Abraam), ma fu pagano, de una cittade
chiamata Hus, ed era iusto omo chi temeva Dio, il qual dice così: "Scio quod redemptor meus vivit,
et in ultimo die de terra surecturus sum, et in carne mea videbo Deum salvatorem meum" ("Io so
che 'l mio Redentore vive e ne l'ultimo giorno ho a resuscitare da la terra e ne la mia carne vederò el
mio salvator Dio"), dove el confessa la resurrezion de Cristo esser fatta. O santo Iob, dime uno
poco: come lo sai tu? Risponde lui ch'è per rivelazion de Dio illuminante lo intelletto suo. El
confessa ancora la resurrezion nostra, dicendo: "Et in ultimo die..." etcetera ("E ne l'ultimo giorno
resuscitarò da la terra"); confessa gli nostri corpi dover esser gloriosi e conformati a similitudine del
corpo di Cristo, quando el dice: " Et in carne mea videbo Deum salvatorem meum" ("Ne la mia
carne io vederò el mio salvator Dio"). Prende secundo quel scelerato profeta Balaam (lege Numeri,
capitulo XXIII: "Ipse vero ut leena consurget et quasi leo erigetur, non accubabit donec devoret
predam", "Lui, messia, come una leonessa se levarà drito e come uno leone se moverà dal dormire,
per sino ch'el averà manzato la preda"). Prende ciò che dice el sapiente Platone, pagano filosofo
dottissimo: adimandato lui da uno re che cosa era Dio, rispose così: "Deus est circulus rotundus et
decertatus" ("Dio è come uno cerchio rotundo ma combattuto"). O che parlare: in quanto el dice
"egli è uno cerchio combattuto", el parlava de Cristo passionato, combattuto da' Giudei, etcetera; in
quanto el dice "egli è cerchio rotundo", el significa perfezione, perché el cerchio ha el fine ove el ha
il principio; volse dire: "bench'el paresse mortal, tornava presto al principio suo, cioè a la vita".
Pertanto ben canta oggi lo angelo: "Iesu cercate? Egli è suscitato!"; perché le figure, le profecie e
tutti i detti de' pagani sono adimpiiti. Però dice Cristo (Luce ultimo): "Oportebat impleri omnia que
scripta sunt in prophetis et psalmis de me" ("Egli era necessario ch'el fusse adempito tutto ciò chi è
scritto di me in li profeti e salmi"). Questo basti quanto al giorno presente. Amen. Feria secunda:
DE LA RESURREZIONE (II) "O stulti et tardi corde ad credendum in omnibus his que locuti sunt
prophete" (Luce, ultimo ed in Evangelio odierno). *(Dechiara a parte a parte lo Evangelio, perché
egli è bello, poi dirai così)* Sequitaremo oggi, devotissimi in Cristo Iesu, de la santa resurrezione
de Cristo e vederemo s'el fu conveniente cosa Iesu, morto per nostra salute, dover resuscitare.
Responde la turba di sacri dottori che questo fu conveniente per tre ragione: primo per compimento
di perfezione; secundo per merito de umiliazione; terzio per obietto di delettazione. Prende la prima
ragione, "per compimento di perfezione". In Cristo Iesu figliuolo de Dio vero debe esser ogni
perfezione. L'anima e lo corpo son due parte de l'omo ed una da l'altra seperata dice imperfezione;
onde l'anima senza el corpo non è in tutto perfetta e non ha ogni suo contento, così el corpo seperato
da l'anima manca di perfezione, però ch'è senza la sua forma. Ma quando tutte doe parte sono unite
insieme, fanno l'omo essere perfetto e compito. Però dicono i sacri dottori che l'anima di san Piero,
over di Ioanne Battista, al presente non è perfettamente beata, insino che non averà el corpo beato
unito. A Cristo conviene perfetta e compita beatitudine; adunque fu conviniente lui in corpo ed
anima resuscitare. Questo canta la santa Chiesia e dice: "Surrexit Dominus de sepulchro" ("Egli è
suscitato Cristo del sepulcro"). La secunda fi detta ragione "di umiliazione": quanto più una creatura
se umilia, tanto più debe esser exaltata. O Iesu Cristo figliuolo de Dio, quanto se' tu umiliato (dice
Paulo Ad Philippenses, tertio [ma secundo]: "factus obediens usque ad mortem crucis", "fu fatto
Cristo obediente per sino a la morte di la croce"), sprezzato e povero mendicante umiliato più che
fusse mai creatura al mondo, onde era onesto el fusse exaltato sopra ogni creatura. La terza è "per lo
obietto di delettazione": gli angeli e gli santi chi son in cielo son beati, hanno leticia e piacere non
solamente per vedere la divinità e la essenzial natura de Dio, ma ancora hanno gran solazo e diletto
in contemplare, specular e vedere la faccia gloriosa de Cristo, quelli membri tanto digni, quelli
capilli di oro, quelli occhii tanto vaghi relucenti come doi pianeti. Questo dice san Piero in la
Epistola canonica: "in quem desiderant angeli prospicere" ("nel viso de Cristo desiderano guardare
essi angeli"). Sopra di questa parolla dice la chiosia che li santi non averebeno in Paradiso ogni
delettazione e piacere se Cristo suo capo non fusse resuscitato. O Maria, madre santa, o di cieli
imperatrice, tu non seresti perfettamente beata, non aresti tutto el tuo onore in cielo, se 'l tuo figliolo
non fusse suscitato: in questo consiste la eccellenzia di Maria, che in Paradiso l'abbi uno medesimo
figliolo cum Dio Padre; però i santi la chiameno Madre de Dio. Risguarda Maria Cristo suo figliolo
e dice: "O dolce figliolo, o gloria de li santi, o leticia di beati, tu se' pur quello ch'io portai nove
mesi nel ventre; tu se' quello ch'io parturì e tra gli animali nel feno rechinai; tu se' quello che sola,
senza compagna, nettai, lavai; tu se' quello a chi sola prestai el mio latte; tu se' quello che volesti
patir sopra el legno per salvar tutta la gente. Io te vedo in questa segia triunfare, imperare a li cieli,
rendere vendetta a li rei, chiamare e benidire gli fideli, dare a loro gloria di vita eterna, dicendo
'Venite benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum. Exurivi, et dedistis mihi manducare'"
("Venite beneditti del mio Padre, possedeti el reame a voi apparicchiato. Ho avuto fame e me avete
pasciuto"). La secunda parte è questa: perché volse Cristo resuscitare el terzo giorno e non aspettar
insino al giorno del iudicio, acciò ch'el fusse stato uno gaudio grandissimo a tutti, vedendo
resuscitar il maestro cum tutti gli suoi cristiani. Respondene i dottori questo esser fatto per tre
ragione principale. La prima per rispetto de Dio. In Dio sono tre cose: potenzia, sapienzia e iusticia.
E queste virtude fecino conseglio. La sapienzia propuose e disse: "Signor, dove non è colpa non
debe esser la pena. In Cristo tuo figliol non fu colpa alcuna: non originale, perché no 'l fu de seme
umano generato, ma del Spirito santo (Luce, primo: "Spiritus sanctus superveniet in te", "El Spirito
santo verrà sopra te e la virtù de l'Altissimo te adumbrarà"); non colpa veniale, perché in lui non era
frageltade; non ignoranzia, perché era sapienzia de Dio; non rebellione o movimenti di carne
repugnante a la ragione, perché era da Dio santificato e benedetto; non colpa mortale perché la
voluntà sua razional fu sempre conforme a Dio ed a lui obediente (Mathei XXVI: "Pater, non sicut
ego volo, sed sicut tu", fiat voluntas tua; "Padre, non come voglio io, ma come tu", fia la voluntà
tua). Adunque, non essendo in lui colpa né offensione, non doveva in lui esser la pena de la
incinerazione, ciò ch'el corpo divenisse in polvere e fusse manzato da vermi. O cristiani, a chi dico
io, tal pena fu data ad Adam per el peccato commesso (Genesis, capitulo VI [ma III]: "maledicta
terra in opere tuo... Spinas et tribulos germinabit tibi... quia pulvis es, et in pulverem reverteris") o
Adam, o pazzo omo, hai peccato, se' stato rebello a Dio tuo creatore, prende la pena ("La terra serà
maledetta nel tuo operar, perché la te generarà spine ed ortiche; de terra se' ed in terra tornarai"). Se
leva la iusticia e dice: "E' iusta cosa che l'om, fatto el suo viaggio torni a casa sua. Cristo era venuto
in terra viatore e peregrino; fornito el suo viaggio, che fu la redenzione nostra per sua morte, è iusto
ch'el non rimanga in terra, ma ch'el torni al suo Padre glorificato e beato". Ed incontinento Dio
Padre, cum la sua possanza e virtù consentì a queste allegazione e tolse l'anima, che era descesa nel
Limbo scuro, e lo corpo, che riposava nel sepolcro, e reuniti insieme disse: "Exurge, quare
obdormis, Domine? Exurge et ne repellas in finem" ("Leva suso, o Figliolo e Dio eterno, perché stai
a dormire? Levate e non dispoglia il tuo corpo da l'anima tua"). E levato suso bello come uno sole,
venni appresso di Ierusalem circa Emmaus, etcetera. *(Se vol qua sequitare lo Evangelio.)* Amen.
Feria terzia: DE LA RESURREZIONE (III) "Pax vobis" (Luce, capitulo ultimo ed in Evangelio
odierno). *(Dechiara el Vangelio perché è bello, e poi dirai così)* Perché questi doi giorni passati
abbiamo trattato di la resurrezione del notro Signor Iesu Cristo, oggi, figlioli dilettissimi, vederemo
una breve lezione de la resurezione di nostri corpi umani; e faremo tre parte de essa lezione. La
prima serà de la resurrezione la sua verità; onde adimandono i dottori s'egli è vero che qualche ora
abbiamo resuscitare. Alcuni non manco imprudenti ca ignoranti e bestiali, rispondino che, morto el
corpo, è morta l'anima, e per suo fundamento egli prendeno el testo di Iob (capitulo XX [ma XIV]:
"homo, cum dormierit, non resurget, donec atteratur celum" ("L'omo morto mai non suscitarà per
sino che 'l cielo non mancarà"); se adunque il cielo mai non mancarà, ma durarà sempre, ergo nulla
creatura mai resuscitarà. Da l'altro canto risponde la turba di cattolici e savii e dicono quello che
scrisse Iob (capitulo XIX): "Scio... quod... in novissimo die de terra surrecturus sum... et in carne
mea videbo Deum salvatorem meum" ("Io so che suscitarò e vederò Dio in mia carne chi è mio
salvatore"); pertanto noi, come fideli cristiani, diremo la resurrezione di corpi esser futura, e questo
se pò provare per doi fondamenti: el primo è del canto de Dio, el secundo dal canto de l'om. El
primo dal canto de Dio, per tre ragione. Prima è chiamata divina iusticia, che vol ognuno esser
premiato de le proprie
operazione; conciosiacosachè 'l corpo cum l'anima insieme se sia affaticata per Dio, vol la divina
iusticia che come l'anima bona serà beata, gloriosa ed immortale, perpetua ed impassibile, così el
corpo glorioso abbia queste dote senza alcuna passione cattiva. Dicetime uno poco, cittadini mei
valenti: quanti son passati da questa vita in diverse condizione e stati? Alcuni son visciuti cum ogni
solazo e piacere corporale, senza virtude e cum puoca fatica e manco timore de Dio; alcuni sono
morti, chi al mondo hanno cognosciuto Dio e ben temuto, elemosinarii, visitatori de le chiesie,
vivendo cum virtù in amor de Dio: debano costoro esser meritati de le sue fatiche? Messersì! Di qua
non son stati premiati; bisogna adunque per ragione sieno premiati da l'altra vita. Gli altri cattivi chi
non sono stati puniti di qua, seranno puniti di là: questo volse dire Atanasio nel simbolo che ogni
dominica se canta in chiesia: "Inde venturus est iudicare vivos et mortuos, ad cuius adventum
omnes homines resurgere habent cum corporibus sui" ("Ne l'avvento de Cristo al iudicio tutti hanno
a resuscitare cum li proprii corpi"). O ladri, o avari, o ingannatori, o ipocriti decettori del mondo, o
leccatori, pappatori, ingrassatori di corpi vostri, aprite le orecchie, stati attenti e aldite ciò ch'el
sequita e dice: "Et reddituri sunt de factis propriis rationem" ("Hanno a rendere ragione de gli fatti
suoi proprii"). Tu te vergognarai: el cielo, la terra, lo aere, tutti i pianeti, tutte le stelle, tutti i spiriti
beati te vederanno. O cristiano poverello, o isventurata anima, o creatura da fir piangiuta: le creature
rideranno e sì te accusaranno, manifestaranno i tuoi peccati occulti. O ribaldone, tu credevi mai non
se dovesse sapere, e tutte le creature seranno presente, ed aldiranno le tue vergogne, o mischinello.
Diranno allora gli peccatori: desideramo la morte per vergogna. "Montes cadite super nos et
cooperite nos!" ("O monte cascatene addosso e suffocatine sotto voi!"). Sequita Atanasio: "Qui
bona egerunt ibunt in vitam eternam, qui vero mala in ignem eternum" ("Chi averà fatto bene
andarà in vita eterna, chi male in foco eterno"). La secunda fi detta ragione di magnificenzia; a la
magnificenzia de Dio pertiene dar a ciascuno quello ch'el pò ricever ed è capace accettare. El corpo
de l'omo è capace de beatitudine per unione de l'anima, come noi vediamo per esperienzia ne l'oro e
ne le pietre preciose, le qual benché sieno nate in terra, nondimeno hanno natura celestiale. Se
questo hanno i corpi inferiori e vili, molto maggiormente debe avere questo el corpo de Cristo, el
qual è nobile sopra ogni altro corpo. La terza è ragione di sapienzia. A la sapienzia de Dio non se
apertiene lassar le cose sprovedute e inordinate; mancamento serebe che l'anima in cielo fusse beata
e gloriosa e lo corpo fusse nel sepolcro incinerato e disperso. Questo volsi dire santo Matteo
(capitulo XXV): "Cum venerit Filius hominis in sede maiestatis sue, tunc mitet angelos suos in tuba
et voce magna: surgite mortui et venite ad iudicium" ("Quando serà venuto el Figliolo de l'omo ne
la segia de la sua maiestà, allora mandarà i suoi angeli cum la tromba e voce grande dicente:
Levative morti, venite al iudicio!"). Questo ancora volse dire Paulo (Ad Corinthios, VII [ma XV]):
"Ecce mysterium vobis dico: Omnes quidem resurgemus, sed non omnes immutabimur. In
momento et in ictu oculi et in novissima tuba; canet enim tuba, et mortui resurgent incorrupti"
("Ecco, ve dico misterio de Dio: tutti resuscitaremo, ma tutti non seremo immutati in meglio; in uno
momento e in uno batter d'occhio ed in la voce ultima de la tromba che sonarà, e gli morti
resuscitaranno incorrutti"). O pazzi del mondo, o amatori del vivere terreno, abbiate fede che tutti li
buoni resuscitaranno cum li corpi immortali ed impassibili, non già gli cattivi, ma cum corpi
passibili. La secunda parte principale è a veder de la qualità ed in che forma noi resuscitaremo.
Brevemente li dottori dicono che in forma di omo, cioè i masculi masculi, le femene femine. Questo
se dimostra per tre ragione. Prima, è ragione di perfezione: la donna pertiene a la perfezione de la
umana natura; in questo mondo non serebbe perfezione negli uomini, se masculi fussero senza le
donne. Dove serebbe la perfezione degli uomini, dove serebbe el bello vivere e mundo de l'uomo,
dove serebbe el rimedio de l'omo ne le infirmitade? Però dice Dio (Genesis, terzio [ma II]):
"Faciamus ei adiutorium simile sibi" ("Facciamo a l'omo adiutorio simile a lui"). Secunda fi detta
ragione de la divina instituzione. Quando uno fabro fa uno martello e, ch'el sia rotto, ne reffà e
ristora poi uno altro. Dio nel principio feci l'omo ed ancora la donna: è onesta cosa che l'uno e l'altro
debeno resuscitare. La terza fi detta ragion di bellezza. La bellezza consiste ne la varietà e diversità
de le cose: discorre ne le mane, nel corpo e per tutte le altre cose. Serà grande nobeltà de l'umana
natura vedere nel Paradiso masculi e femine tanto nobele, tanto degni, tanto relucenti per la gloria
de quelli. Dicono ancora gli dottori che tutti sucitaremo in etade giovenile, cioè in forma de anni
tentatri, come avea Cristo, perché questa età è perfetta e nobile; e tutti suscitaremo in una statura
non maggiori l'uno di l'altro né menori, ma per divina providenzia e ordinazione tutti seremo ad una
misura ed equali. Viveremo senza freddo, senza caldo, senza fame, senza sete, con summa leticia,
con gran piacere, cum la mente in Dio reposta, cum la mente saciata: la qual sacietà ci presta Dio in
questa vita per grazia, in Paradiso per gloria. Amen. Dominica in Octava Pasce: DE LA PACE "Pax
vobis" (Iohannis, capitulo XX). Padri e figlioli in Iesu Cristo, dilettissimi mei, e voi sorelle devote
per la grazia de Dio, siamo pervenuti a questo giorno ultimo pascale, dove Cristo Iesu nostro
redentore annuncia a tutti li suoi amici e benivoli la pace, dicendo a tutti: "Siati li ben trovati: la mia
pace sempre sia cum voi". Vediamo adunque oggi per fin del nostro predicare una dolce visitazion
de Cristo ed ancora mirabile dechiarazione de la sua divinità. Incommenza el Vangelio: "Cum esset
sero die illa una sabbatorum". Questo Evangelio è diviso in tre parte: ne la prima se tratta de una
apparizion de Cristo a dimonstrare la sua resurrezione; ne la secunda parte Cristo leva la
dubitazione a li discipuli (in quella parte "Et post dies octo"); ne la terza parte se descriveno molte
operazione e miraculi de Cristo ("Multa quidem et alia signa"). Dice adunque: "Cum esset sero"
etcetera; essendo Cristo, oggi son otto giorni passati, in suso la matina dimonstrato a Maria
Magdalena in forma di ortolano, la sera, essendo tutti i discipuli in casa cum le porte serrate per
paura di iudei, venne Iesu Cristo lor maestro e stette nel mezzo di loro dicendo: "Pax vobis!" ("La
pace sia cum voi"). O Iesu dolce, o amoroso maestro, o amore inestimabile: stette Iesu nel mezzo,
perché a lui se conviene; era lui mezzo tra la Trinità - Padre, lui Figliuolo e lo Spirito santo - perché
lui è mediatore de Dio e degli omini. Dice el filosofo che stare in mezzo significa dignità, e questo
pertiene ad uomini de estimazione: Cristo stette nel mezzo, come el sole in mezzo dei pianeti; nel
mezzo come fiore tra le spine, come capitaneo in mezzo de omini armati, come maestro tra gli
discipuli, come padre tra gli figliuoli, a consolar quelli li quali piangevano e lamentavansi de la
morte del suo maestro Cristo; e cum la faccia leta e iocunda, cum la voce tubale e dolce disse: "La
pace mia sia cum voi". Di questa pace parla el profeta David nel Salmo dicendo: "Inquire pacem et
persequere eam" ("Cerca la pace e volia sequitar"), perché Cristo dice (Mathei V): "Beati pacifici,
quoniam filii Dei vocabuntur" ("Beati i pacifici, perché siran chiammati figliuoli de Dio"). E così
nella presente vita non è cosa tanto felice, tanto amata, quanto è la pace. Molte cagione debeno
indurre l'omo a la pace. Primo, la monizione de la Scrittura: Paulo Ad Romanos, XII ("cum
omnibus hominibus pacem habentes", "Abbiati la pace cum tutti li uomini"); Secunda ad
Corintihos, XIII capitulo ("pacem habete, et Deus pacis erit vobiscum", "Abbiate la pace e Dio de la
pace serà cum voi"); Iohannis, XIII (facendo Cristo la cena dissé: Mandatum novum do vobis, ut
dilectionem habeatis ad invicem", "Io ve dò novo precetto, cioè che abbiate dilezione e pace tra
voi"). Tutte queste scritture cridano: Pace, pace, pace! Amative insieme, remettete le iniurie, non
portate odio al proximo! Ma nota, o valente omo, che son tre specie di pace: una è chiamata
inquinata, l'altra simulata, la terza ordinata. La prima è di quelli chi sono amici e compagni in mal
fare, in robare, giucare e luxuriare: questa è pace del diavolo e non de Dio, però che, come dice
Bonaventura (secundo Sententiarum), li diavoli sono amici ed hanno pace nel mal fare. *(Riprende
qua come te piace)* La secunda è detta pace simulata. Di questa dice David nel Salmo: "Loquuntur
pacem cum proximo suo, mala autem in cordibus eorum" ("Favelano di pace col suo proximo, ed
hanno odio tra lor cuori"), cioè gli tristi: questa fu la pace di Iuda, chi fingeva esser amico de Cristo
dicendo: "Ave, rabi, ben staghi, o maestro"; e con le operazione lo tradì in mane de inimici. O
simulatore, o traditore (ce n'è veruno in questo paexe), o lingue venenate, o mente impie, o pazzi e
crudeli: vengono col melle in bocca e col veneno in cuore. La terza è detta pace ordinata. Questa è
vera e buona pace; questa oggi Cristo annuncia; questa è amare lo amico in Dio e lo inimico per
Dio; questa è la vera spoxa, di la qual Dio è tanto inamorato che de altro non pensa, salvo ca di
questa. (Ieremie nono capitulo dice lui: "Ego cogito cogitationes pacis et non afflictionis", "Io penso
cogitazione di pace e non di afflizione"). O re pacifico, o triunfatore di cieli e de la terra, Dio, non
dicesse tu (Mathei decimo
ottavo): "Ubi fuerunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum" ("Ove son
doi over tri congregati nel mio nome, io sono in mezzo di luoro")? Le qual parole ha posto
Graziano, Prima, Questione prima, capitulo Cum Scriptura. Però canta la Chiesia santa: "Ubi caritas
et amor, ibi Deus est" ("Ove è la carità e l'amor, lì è Dio"). Chi non ha carità non ha alcuna cosa,
perché non ha Dio, chi è el tutto. Cristo amoroso di la pace, volendosi partire dal mondo, non lassò
a' soi discipuli possessione, oro o argento, ma solamente la pace, dicendo: "Pacem meam do vobis,
pacem relinquo vobis" ("Io ve lasso la mia pace, io ve dono la vera pace"). O pace, inestimabile
dono! Quando el mandò li discipuli a predicare per lo mondo, gli disse a tutti: "In quamcumque
domum intraveritis primum dicite: 'Pax vobis!'" ("In qualunque casa voi intrareti, prima direti: 'La
pace de Dio sia cum voi!'"). Non è cosa più utile al mondo ca la pace e la concordia; chi non l'ha è
peggio ca uno diavolo e ca Iuda traditore. Sequita el testo: "Et cum hec dixisset, ostendit eis manus
et latus" (aperse le mane e monstrogli le piaghe sue e segni de li chiodi rimasti, dopoi aperse la
vestimenta e monstroli el costato ferito e vulnerato). Dimandono i dottori sacri perché volse Cristo
resuscitare cum le piaghe; se risponde che per tre ragione. La prima per dimonstrare la verità di essa
resurrezione, perché monstrando le piaghe dinotavasi esser quello chi era morto in croce; però dice
Luce, XXV [ma XXIV]: "Videte manus meas et pedes meos, quia ego ipse sum" ("Vedeti le mane e
mei piedi, perché io son quello chi ha patito in croce"). La secunda ragione è per nostra
edificazione: come Iesu Cristo nel corpo santo e iusto portava le piaghe per noi ancora glorioso,
così noi per suo amor le dovemo continuamente portare nel cuore. Paulo Ad Ephesos, secundo
capitulo: "Hoc enim sentite in vobis, quod est in Cristo Iesu "; ed in uno altro luoco: "Empti estis
precio magno, glorificate et portate Deum in corpore vestro" ("Sentete in voi quello che fu in
Cristo... Sete comprati di gran precio, portate e glorificate Dio nel corpo vostro"). La terza ragione è
per recordazione nostra: Cristo volse sempre portar el segno de l'amor per ricordarsi continamente
di noi. O ingrato cristiano, alde Cristo tuo Signore e Dio chi dice (Isaie XLIIII): "Ego tui non
obliviscar" ("O populo mio, io non me dimenticarò mai di te"); e sottogionge la cagione, dicendo:
"In manibus meis descripsi te" ("Io te ho descritto ne le mie mane"). Le littere sono scritte de
chioldi di ferro, lo inchiostro è stato el sangue mio. Quando serò nel Paradiso inanci al mio Padre, o
vedarollo contra te adirato, io lo pregarò: 'Padre, Padre, perdona a questo populo, Padre, non
estende ancora la man tua, suspende la sentenzia, aspetta ancora uno o doi anni!'; ed acciò io lo
venga a placare, ie mostrarò nudo lo corpo mio: 'Ecco le piaghe, ecco le stimate che ho sofferto per
redemere loro!'. E tu, ingrato cristiano, riman securo che a te serò continuo avvocato e procuratore
inanci al Padre mio; e ancora quando verrò a iudicare i vivi e morti, verrò cum le mie piaghe,
dicendo: 'O ostinati giudei, o populo cieco, o mente indurate, per vostra confussione volsi così
suscitare acciò ve demonstrassi essere io quello chi per voi voluntariamente fu crucifixo e morto'.
Sequita el vangelio: "Gavisi sunt discipuli, viso Domino"; provato Cristo la sua resurrezione, la
brigata de' discipuli cominzorono a far festa e consolazione cum el maestro Cristo. Or pensa un
poco, anima spirituale, ciò che dicevano, ciò chi pensavano quelli poveri piscatori: "Deinde dicit
eis: pax vobis". Guarda quanto amava Cristo la pace; non glie bastò avergli detto una volta, ancora
ie disse un'altra volta: "Pax vobis!" ("La pace cum voi sia!"). "Hec cum dixisset, insufflavit et dixit
eis: 'Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis" (diedi Cristo agli
apostoli l'autorità di absolvere de peccati ed imponere la penitenzia secundo l'arbitrio e iudicio
loro). Sequita el testo: "Thomas autem unus ex duodecim, qui dicitur Didimus non erat cum eis
quando venit Iesus" ("Toma, un di duodeci, non era seco quando veni Iesu"). O quanto è periculoso
a la creatura esser fora di la santa compagna! La incorre molti periculi. La sera veni Tomaso a casa
e ie dissero i discipuli: 'O Toma, bona novella'. "Vidimus Dominum" ("abbiamo veduto el
Signore"). E' non volsi credere per sino ch'el non toccò le piaghe a confirmazione de la fede, la qual
ne fa aver in questo mondo la grazia, in l'altro la gloria, ad quam nos perducat. Amen.

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