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Letteratura cristiana antica


prof. Clementina Mazzucco
a.a. 2006-2007
Modulo specialistico

Problemi critici e interpretativi del Vangelo di Marco


Presentazione
1. Perch studiare il Vangelo di Marco?
I Vangeli sono, tra gli scritti del Nuovo Testamento, quelli che pi hanno
avuto importanza e diffusione e di cui si ha comunque qualche nozione. Si
tratta, per, per lo pi, di nozioni su singoli brani o sezioni: parabole, episodi,
racconti di miracoli, racconto della Passione; manca in genere una visione di
insieme di ogni Vangelo, manca la percezione delle peculiarit dei singoli
Vangeli e dei loro rapporti. Da ogni punto di vista, una lacuna grave, da
colmare.
Il Vangelo di Marco ha poi caratteristiche sue che possono renderlo
particolarmente interessante.
Il primo fenomeno sorprendente la strana "peripezia" che questo
Vangelo ha subito tra l'antichit e i nostri giorni.
Nell'antichit esso, pur riconosciuto subito dalle comunit ecclesiali
come libro canonico, viene gradualmente messo in secondo piano rispetto agli
altri Vangeli e non viene quasi mai commentato. E questa situazione
perdurata fino a tutto il '700, nell'ambito scientifico, ma nell'uso liturgico si pu
dire che l'ostracismo continuato fino alla riforma del 1973, quando, in
adempimento alle nuove disposizioni conciliari, le letture evangeliche sono
state ripartire in tre cicli, dedicati ciascuno a uno dei Vangeli sinottici (Matteo,
Marco, Luca), e il Vangelo di Marco diventato protagonista del ciclo B.
Oggi il Vangelo pi studiato a livello scientifico 1. Il motivo principale
che viene considerato il Vangelo pi antico e vicino alle origini, quindi
"genuino". L'interesse principale che ha spinto all'indagine sui Vangeli quello
di ricostruire la biografia di Ges, di risalire ai fatti. Recentemente ha suscitato

La bibliografia ormai immensa: si consideri che nel 1981 uno studioso, H.M. Humphrey, ha
pubblicato un intero volume bibliografico relativo agli studi usciti tra il 1954 e il 1980; un altro
volume, di ben 718 pagine, ha fatto uscire nel 1992 F. Neirynck sulla bibliografia 1950-1990.
Alcuni commenti recenti sono davvero imponenti: si pensi ai due volumi di R. Pesch,
rispettivamente di pp.664 e 840, tradotti in italiano nel 1980-1982; al volume, di pp.964, di J.
Gnilka, tradotto nel 1987; ai due volumi, complessivamente di pp.842, di J. Ernst, tradotti nel
1991, ecc.

2
curiosit, anche nell'ambito dell'informazione giornalistica, e qualche polemica,
la questione della scoperta, tra i papiri di Qumran, di un presunto frammento
di questo Vangelo che potrebbe cos essere datato in un'et molto "alta" (50 ca.)
2
.
A livello divulgativo, viene propagandato come il Vangelo pi vivo, pi
realistico, pi "pittoresco": contiene pochi discorsi e pi fatti, e narrati con
maggior vivacit e concretezza. All'estero se ne fanno, a partire dal 1978, anche
recite drammatizzate, commenti romanzati 3.
A questo Vangelo sono state applicate, per lo pi parzialmente, a
proposito di singoli episodi, le metodologie moderne pi sofisticate, dall'analisi
del racconto alla lettura strutturalista, a quella materialista.
Un motivo che venuto emergendo sempre di pi nel nostro secolo
quello della speciale visione teologica espressa in questo Vangelo, ossia quella
che con una formula viene definita "il segreto messianico" e che presenta
un'immagine di Ges complessa, misteriosa, quasi sfuggente, e perci,
appunto, affascinante e forse pi congeniale allo spirito dei tempi moderni.
E tuttavia non si pu dire che sia ancora molto praticata una lettura
davvero "letteraria", cio attenta alla redazione finale del testo nella sua unit
compositiva, nelle sue coordinate interne, nei suoi elementi formali, strutturali,
simbolici. Resta prevalente l'interesse storico o teologico che spinge alla ricerca
delle fonti, delle tradizioni preesistenti, degli apporti personali dell'evangelista,
delle differenze rispetto agli altri evangelisti, per lo pi in funzione di risalire
alla "storia di Ges" e alla storia dell'elaborazione dei materiali compiuta
nell'ambito della comunit. Si attraversa Marco pi che leggere Marco, si cerca
soprattutto ci che non appartiene a Marco, pi che ci che Marco dice.
2. Metodologia e piano di lavoro
Il nostro scopo quello di fornire strumenti per una migliore conoscenza
del Vangelo di Marco e per l'acquisizione di una buona famigliarit con un
metodo scientifico di studio dei Vangeli.
Nella prima parte del modulo, ci occuperemo degli orientamenti degli
studi su Marco e delle questioni tradizionali relative all'autore, alla data, al
luogo di composizione e ai destinatari. E questo ci dar modo di ripercorrere
brevemente le testimonianze antiche e la fortuna di Marco nella tradizione
patristica e poi nella ricerca moderna, a partire dai vari aspetti del metodo
storico-critico (Critica delle fonti, Storia delle forme, Storia della redazione) fino
alle nuove metodologie, in particolare quelle letterarie (Analisi strutturale,
Analisi retorica, Analisi narrativa). Cercheremo ogni volta di verificare quali
risultati abbiano portato le singole metodologie alla conoscenza del Vangelo di
Marco e proporremo esercitazioni su alcuni passi.
Dedicheremo una particolare attenzione agli elementi compositivi e
strutturali del Vangelo, in modo da avere una visione pi adeguata di Marco
2
3

Ne parleremo pi avanti.
Cfr. B. Standaert, Il Vangelo secondo Marco, tr.it., Roma, Borla, 1984 (ed. orig. Paris 1983), p.7.

3
come "scrittore" e ideatore del genere "vangelo". L'obiettivo ultimo appunto
quello di arrivare a riconoscere che il Vangelo di Marco, come ogni altra opera
letteraria, un racconto unitario e coerente, che obbedisce a un progetto
consapevole sia nella sua sua forma sia nel suo messaggio.
Successivamente daremo un inquadramento della critica testuale, una
presentazione dell'edizione Nestle-Aland, che renda possibile la lettura dei
segni critici e dell'apparato critico, e quindi affronteremo singoli passi o sezioni
del testo di Marco che contengano sia problemi critici rilevanti sia questioni
interpretative significative 4.
L'edizione di riferimento consigliata quella curata da B. Corsani-C.
Buzzetti, Nuovo Testamento greco-italiano, Societ Biblica Britannica & forestiera,
Roma 1996, che riporta il testo greco secondo la 27 ediz. Nestle-Aland, 1993, la
trad. ital. della CEI, 1971, e le note della TOB (fotocopie delle pagine di questa
edizione relative a Marco sono allegate alle dispense).
Nota bibliografica generale

I principali commenti sul Vangelo di Marco (in ordine alfabetico)

- J. Delorme, Lettura del vangelo di Marco, tr.it., Assisi, Cittadella, 19873 (ed.orig. Paris 1972)
- J. Ernst, Il Vangelo secondo Marco, tr.it., 2 voll., Brescia, Morcelliana, 1991 (ed.orig. Regensburg
1981)
- R. Fabris, Il vangelo di Marco, in I Vangeli, tr. e comm. a cura di G. Barbaglio, R. Fabris, B.
Maggioni, Assisi, Cittadella, 1989, pp. 619-916
- M. Galizzi, Vangelo secondo Marco. Commento esegetico-spirituale, Leumann (Torino), LDC, 1993
- J. Gnilka, Marco, tr.it., Assisi, Cittadella, 1987 (ed.orig. Zrich 1978-1979)
- B.M.F. van Iersel, Leggere Marco, tr.it., Milano, Ed. Paoline, 1989 (ed.orig. Boxtel 1986)
- Id., Marco. La lettura e la risposta. Un commento, tr. it., Brescia, Queriniana, 2000 (ed.orig.
Sheffield 1998)
- S. Lgasse, Marco, tr.it., Roma, Borla, 2000 (ed.orig. Paris 1996)
- R. Pesch, Il Vangelo di Marco, tr.it., 2 voll., Brescia, Paideia, 1980-1982 (ed.orig. Freiburg i.B.
1977-19802)
- X. Pikaza, Il vangelo di Marco, tr. it., Roma, Borla, 1996 (ed.orig. estella 1995)
- J. Radermakers, Lettura pastorale del Vangelo di Marco, tr.it., Bologna, Ed. Dehoniane, 19812
(ed.orig. Bruxelles 1974)
- J. Schmid, L'Evangelo secondo Marco, tr.it., Brescia, Morcelliana, 1966 3 (ed. orig. Regensburg

1955)
- A. Schweizer, Il Vangelo secondo Marco, tr.it., Brescia, Paideia, 1971 (ed.orig. Gttingen 1967)
- B. Standaert, Il Vangelo secondo Marco, tr.it., Roma, Borla, 1984 (ed. orig. Paris 1983)
- V. Taylor, Marco. Commento al Vangelo messianico, tr.it., Assisi, Cittadella, 1977 (ed.orig. London
1952)
- F.M. Uricchio-G.M. Stano, Vangelo secondo San Marco, Torino, Marietti, 1966

I parte: Il Vangelo di Marco nella tradizione antica e moderna

Chi non conosca la lingua greca legge i vari passi in traduzione e integra il programma con
una ricerca concordata con la docente.

1. Il Vangelo di Marco nell'antichit


Andare a ripercorrere le testimonianze antiche sul Vangelo di Marco non
e non vuole essere un'operazione erudita, ma assolve a vari scopi utili. Il
Vangelo di Marco, che ora noi troviamo all'interno di un complesso di scritti
ben definiti, "canonici", ha avuto una storia che ha a che fare con le idee e i
problemi delle prime generazioni cristiane.
Questo si verificato gi nell'elaborazione stessa del testo, che non
frutto del lavoro a tavolino di un solo autore, ma risultato di un lungo processo
di trasmissione di ricordi e riflessioni di testimoni, di raccolta dei materiali e
infine di sistemazione e interpretazione dei materiali stessi da parte di un
redattore-evangelista. Ma anche successivamente abbiamo uno sviluppo storico
che riguarda l'accoglienza dell'opera e che ha a che fare con il riconoscimento
dell'identit e dell'affidabilit del suo autore, del valore dell'opera in rapporto
con le altre opere simili, "parallele" per molti aspetti: i Vangeli.
Accostarsi alle testimonianze dei Padri non inutile, perch, al di l di
molte differenze, che vanno tenute in considerazione, molte delle questioni che
sono oggi all'ordine del giorno erano gi ben presenti allora, e inoltre su molti
punti, come quello del nome dell'autore, della datazione dell'opera, dobbiamo
ricorrere alle informazioni degli antichi, anche perch i Vangeli in generale, e il
Vangelo di Marco in particolare, sono scritti pervenuti anonimi, in cui in genere
non c' un autore che parla di se stesso e dei propri procedimenti (con qualche
eccezione: il Vangelo di Luca contiene un prologo informativo sui criteri
seguiti; l'evangelista Giovanni indica alla fine lo scopo del suo scritto).
Purtroppo non cos facile, qui, come per tante altre questioni critiche
che hanno a che fare con l'antichit, raccogliere e ricostruire organicamente
queste informazioni, che ci sono giunte per lo pi frammentarie e in forma
indiretta, e che non sempre concordano.
1.1. Scarsa fortuna di Marco nell'antichit
Per il Vangelo di Marco colpisce, e viene spesso notato, il fatto che si
tratta di un Vangelo che ha goduto di minor fortuna, rispetto agli altri Vangeli,
proprio nel mondo cristiano antico.
Un dato gi di per s eloquente che, a differenza che per gli altri, pochi
furono i commenti dedicati ad esso, e tutti tardi. L'attivit esegetica dei Padri
una buona pietra di paragone per misurare l'interesse verso un certo libro della
Bibbia, perch fu una parte importante della loro produzione letteraria e si
svilupp ampiamente in forma di commenti puntuali, di trattati, di omelie, di
glosse marginali, a partire dall'inizio del III secolo.
Indubbiamente i Vangeli furono i libri della Bibbia pi letti, studiati e
commentati. Ma con differenze, appunto.
Per il Vangelo di Giovanni sappiamo che gi verso la met del II secolo
in ambienti gnostici si scrivevano trattati (a quello di Eracleone risponder nella
prima met del III secolo il grande biblista Origene con un imponente trattato
in ben 32 libri: ce ne sono pervenuti integri 8), e anche in seguito questo

5
Vangelo impegn dotti esegeti e predicatori di fama: abbiamo infatti tra il IV e
il V secolo 88 omelie di Giovanni Crisostomo, 124 di Agostino, un commento di
Teodoro di Mopsuestia, uno, in 12 libri, di Cirillo di Alessandria, perfino una
parafrasi in versi attribuita a Nonno di Panopoli, ecc.
Il Vangelo di Matteo, come ha anche dimostrato la ricerca specifica di
uno studioso, E. Massaux 5, fu indiscutibilmente tra tutti il pi diffuso e
utilizzato nei primi secoli: anche su di esso Origene compose un ampio
Commento di 25 libri (ce ne sono pervenuti 8) e varie omelie (ne abbiamo 25).
Pi tardi abbiamo 90 omelie di Giovanni Crisostomo, tradotte poi in latino e in
varie lingue orientali; un commento di Ilario di Poitiers e uno di Gerolamo; il
cosiddetto Opus imperfectum in Matthaeum, il pi ampio commento di Matteo in
latino che possediamo e che ci pervenuto anonimo : forse opera di un ariano
del V o VI secolo, e fu molto letto nel Medioevo. Ma non basta: dal sec. VIII in
poi abbiamo pure commenti di Rabano Mauro, Claudio di Torino, Alberto
Magno, Tommaso d'Aquino, ecc.
Anche sul Vangelo di Luca, che ebbe rispetto agli altri due una posizione
meno rilevante, possediamo comunque 39 omelie sempre di Origene, che
saranno tradotte in latino da Gerolamo, una Expositio di Ambrogio in 10 libri,
pi di 150 omelie di Cirillo di Alessandria.
Invece Marco sembra essere stato quasi ignorato dai commentatori e
predicatori. Solo con Gerolamo, alla fine del IV secolo, troviamo 10 omelie
dedicate a questo Vangelo, omelie che peraltro si limitavano a fornire alcune
riflessioni allegoriche e morali su singoli passi e che dovettero avere scarsa
diffusione. Circolavano tra l'altro come versione latina di omelie greche di
Giovanni Crisostomo. Furono riscoperte nel '900 dal filologo Germain Morin 6.
Abbiamo poi un commento, sempre in latino, attribuito questa volta a
Gerolamo ma probabilmente non suo, tardo, secondo alcuni del V-VI secolo,
ma probabilmente ancora posteriore, forse della fine del VII secolo e
proveniente da ambiente anglosassone. Di qui viene anche il commento di Beda
il Venerabile, tra fine del VII-inizio dell'VIII secolo. Per la chiesa greca anche
peggio. Il commento pi antico di un certo Vittore di Antiochia, del VI secolo,
il quale esplicitamente dichiara di non conoscere commenti precedenti. E
neppure il suo risulta essere un lavoro molto impegnato, dato che si limita a
una breve compilazione di commenti a Matteo e Luca (di Origene, Cirillo
Alessandrino, Tito di Bostra, Giovanni Crisostomo). Dobbiamo arrivare a
Teofilatto, arcivescovo di Acrida (XI secolo), per trovare un'ampia serie di
prediche esegetiche su Marco, e poi a Eutimio Zigabeno, monaco di
Costantinopoli, morto dopo il 1182.
N la sorte di questo Vangelo cambia molto in et medioevale e
rinascimentale: contiamo sei o sette commenti in tutto, tra cui quelli di Alberto
Magno, di Tommaso d'Aquino, del cardinale Caetano.

Influence de l'vangile de Saint Matthieu sur la littrature chrtienne avant Saint Irne, Louvain
1950., rist. anast., con supplemento bibliografico (1950-1985), Leuven 1986.
6
Possiamo leggere queste omelie in traduzione italiana nel volume San Girolamo, Commento al
Vangelo di san Marco, Roma, Citt Nuova, 1965.

6
Tuttavia il Vangelo di Marco entr nelle "Armonie evangeliche", molto
diffuse nel mondo antico e che consistevano nel tentativo di comporre coi
quattro Vangeli un unico racconto della "vita di Ges": la prima e quella che
ebbe maggior successo fu il Diatessron (ossia to; dia; tessavrwn, sott.
eujaggevlion: il "Vangelo formato con i quattro") di Taziano, del 170 ca. Forse
composto originariamente in greco, fu tradotto ben presto in tutte le lingue
antiche, a partire dal siriaco: nella chiesa siriaca fu il Diatessaron il testo ufficiale
di base per i Vangeli fino al V secolo. Lo scrittore siro Efrem ne fece un
commento nella seconda met del IV secolo, anch'esso poi tradotto (noi lo
conosciamo anche in armeno).
Abbiamo cos un indizio del tipo di interesse principale che si aveva per
il Vangelo di Marco (e per gli altri Vangeli): esso era innanzitutto considerato
un documento storico utile per ricostruire la biografia di Ges, e questo
interesse rimarr costante nel tempo fino ai giorni nostri. Evidentemente, per,
il Vangelo di Marco forniva da questo punto di vista un appoggio meno valido,
in quanto pi breve e quasi tutto parallelo ai Vangeli di Matteo e di Luca. Non a
caso, un altro tipo di "Armonia" di cui abbiamo notizia, quella dell'alessandrino
Ammonio (inizio del III secolo), prendeva come testo di base il Vangelo di
Matteo.
Inoltre, era diffusa l'opinione che Marco fosse posteriore a Matteo 7, e
Agostino, nel De consensu evangelistarum (I,2), un altro trattato estremamente
importante nell'antichit come tentativo di trovare una soluzione al problema,
gi ben sentito allora, delle discordanze tra i Vangeli, lo dice un po'
sprezzantemente "valletto e compendiatore" di Matteo: Marcus eum (sc.
Matthaeum) subsecutus tamquam pedisequus et breviator eius videtur. E il suo
giudizio influenzer la tradizione successiva.
Ma altre testimonianze fanno intravedere difficolt connesse con
l'identit dell'autore e i suoi rapporti con la tradizione apostolica: a differenza
che Matteo e Giovanni, Marco infatti non era un apostolo o un discepolo diretto
di Ges e vediamo che nella formazione del canone neotestamentario il criterio
dell'apostolicit ebbe un ruolo di primo piano. Inoltre si insinuano dubbi sul
valore del Vangelo, anche nella sua forma espositiva.
Conviene a questo punto soffermarsi brevemente su queste
testimonianze antiche che direttamente ci parlano di Marco.
1.2. Le testimonianze antiche su Marco
Nota bibliografica
Su questa parte la trattazione pi ampia quella di M.-J. Lagrange, vangile selon Saint
Marc, Paris 1947, pp.XIX-XXXII; cfr. anche Uricchio-Stano, Vangelo secondo San Marco, cit., pp.112; Taylor, Marco. Commento al Vangelo messianico, cit., pp.1-8; Pesch, Il Vangelo di Marco, I, cit.,
pp.37-49; X. Lon-Dufour, I Vangeli sinottici, in A. George-P. Grelot (edd.), Introduzione al Nuovo
Testamento, II, tr.it., Roma, Borla, 1980 (ed.orig. Paris 1976), pp.58-66; A. Wikenhauser-J. Schmid,
Introduzione al Nuovo Testamento, tr.it., Brescia, Paideia, 1981 (ed.orig. Freiburg i.B. 1973),
7

Di qui l'ordine dei Vangeli nel canone del Nuovo Testamento: Matteo, Marco, Luca,
Giovanni.

7
pp.249-255. Cfr. anche C. Mazzucco, Lettura del Vangelo di Marco, Torino, Zamorani, 1999, pp.
186-193:Appendice: "Il Vangelo di Marco nella Chiesa antica".
Una raccolta di tutte le fonti antiche sui Vangeli si trova in appendice a K. Aland,
Synopsis quattuor evangeliorum, Stuttgart 1985 13, pp.531-548.

1.2.1. Papia di Gerapoli


La prima e la pi importante testimonianza, secondo alcuni studiosi
l'unica autonoma, perch da essa dipenderebbero tutte le altre, quella del
vescovo Papia di Gerapoli 8.
Si tratta di un autore che non conosciamo per tradizione autonoma, ma
solo attraverso le citazioni e le notizie che ci riportano altri autori, e
principalmente Ireneo di Lione, nel suo Adversus Haereses (verso il 180), ed
Eusebio di Cesarea, nella sua Historia ecclesiastica (tra fine del III-inizio del IV
secolo).
Ireneo (Adv.Haer. V,33,4) mostra di sapere che Papia era stato alla scuola
dell'apostolo Giovanni insieme a Policarpo, il futuro vescovo di Smirne, e che
aveva composto un'opera in cinque libri, di cui Eusebio (H.E. III,39,1), che a sua
volta si rif a Ireneo, riporta il titolo, jExhvghsi" logivwn kuriakw~n, ossia
Spiegazione dei detti del Signore. Eusebio (H.E. III,36,2) conferma che era un
contemporaneo di Policarpo e di Ignazio (siamo dunque in et traianea, ma non
possibile precisare di pi: esistono controversie sulla datazione, che
comunque viene ricondotta ai primi decenni del II secolo) e lo dice vescovo di
Gerapoli, ma rifiuta di ammettere che Papia fosse un discepolo dell'apostolo
Giovanni: lo ritiene pi probabilmente discepolo di un altro Giovanni, il
"presbitero" (ovvero "Anziano"), che forse era anche l'autore dell'Apocalisse 9
Proprio Eusebio riporta in citazione la testimonianza che Papia dava
nella sua opera sul Vangelo di Marco (H.E. III,39,14-17): si veda il passo in
traduzione nell'All. 1.
Eusebio cerca e riporta tutta una serie di notizie che ritiene significative
ai fini della canonicit degli scritti del Nuovo Testamento, non stabilita ancora
definitivamente ai suoi tempi ( questo uno dei grandi temi della sua Storia
ecclesiastica). In questo cap. 39 del libro III ha dato, nei paragrafi precedenti,
particolare rilievo alla questione dell'autore dell'Apocalisse, che per lui molto
spinosa, ma subito dopo d uno spazio discreto a Marco, mentre accenna
appena a Matteo, alla prima lettera di Giovanni e alla prima lettera di Pietro e al
Vangelo secondo gli Ebrei.
L'importanza delle notizie di Papia deriva dal fatto che, non solo si tratta
di un autore antico, ma riporta a sua volta notizie di un "presbitero" Giovanni a
lui anteriore: forse, come si ricaverebbe da Ireneo, l'apostolo stesso o, come
pensa Eusebio (non del tutto degno di fede su questo punto), un personaggio
8

Su di lui si veda il volume di E. Norelli, Papia di Hierapolis, Esposizione degli oracoli del Signore. I
frammenti, ed. Paoline, Milano 2005.
9
Ma questa opinione potrebbe essere provocata da un pregiudizio negativo sul millenarismo
(una credenza condivisa da Papia), che prendeva volentieri spunto da un passo dell'Apocalisse:
Eusebio, per invalidare il millenarismo, cercava di dimostrare che l'Apocalisse stessa non era
opera dell'apostolo Giovanni, ma di un altro Giovanni, e quindi era di dubbia canonicit.

8
della generazione immediatamente successiva. In ogni caso saremmo in
un'epoca pressoch contemporanea a quella della composizione del Vangelo 10.
Tuttavia la notizia presenta alcuni elementi poco chiari.
Innanzitutto dobbiamo osservare che Papia a sua volta cita
un'affermazione del presbitero, ma senza precisarne i limiti: siamo noi a
supporre che solo la prima frase sia del presbitero, il resto sia commento di
Papia stesso (un indizio che a partire dalla seconda frase sia Papia a parlare
potrebbe essere l' wJ" ejvfhn, trasl. hos fen, "come ho detto"). Anche i termini usati
da Papia suscitano difficolt di comprensione, a cominciare dal termine
essenziale che qualifica il rapporto tra Marco e Pietro, eJrmeneuthv" , trsl.
hermeneuts, stato inteso sia nel senso di "traduttore", portavoce (Pietro
avrebbe parlato in ebraico e Marco avrebbe tradotto in greco), sia nel senso di
"interprete" vero e proprio, cio di chi spiega e commenta, con allusione
appunto all'opera di rielaborazione e trasmissione dell'insegnamento di Pietro
nel Vangelo. Quest'ultimo sembra il significato pi adatto, sia perch difficile
supporre che Pietro, nato in Galilea, in una regione ai margini della Palestina, a
stretto contatto con genti pagane, non fosse bilingue, sia perch questo
significato si adatta meglio al contesto, in cui si parla di un lavoro di
ricostruzione dei ricordi lasciati dall'insegnamento di Pietro.
Il primo aspetto della notizia verte dunque sullo stretto rapporto tra
Marco e l'apostolo Pietro. E se ne coglie meglio il risvolto apologetico da quanto
Papia aggiunge, notando che Marco non fu discepolo diretto di Ges, ma fu
discepolo di Pietro, l'apostolo di Ges. Affiora una preoccupazione costante nel
mondo antico per quanto riguarda tutti i libri che dovevano essere inseriti nel
"canone", e cio quella di accertare l'attribuzione a uno degli apostoli, in in
quanto testimoni diretti dell'insegnamento e della vita di Ges. 11
Un secondo aspetto che salta agli occhi ancora di tipo apologetico:
l'implicita risposta a un'obiezione sul contenuto del Vangelo, che
evidentemente appariva ad alcuni non sufficientemente ordinato
nell'esposizione delle parole e dei fatti del Signore. Il presbitero sente il bisogno
di compensare la mancanza di ordine con un elogio per l'"esattezza",
"accuratezza" del racconto. Una giustificazione pu gi essere quell' oJvsa
ejmnhmovneusen, trasl. hosa emnemneusen, "quanto ricord", che fa riferimento a
un lavoro di memoria, non necessariamento completo. Papia a sua volta
sviluppa questo punto e aggiunge qualcosa di suo: scagiona Marco e attribuisce
a Pietro stesso un certo disordine nel suo insegnamento, che viene presentato
come un po' "occasionale", privo di preoccupazioni di sistematicit. In qualche
modo, per lui il disordine di Marco diventa un pregio, una garanzia di
maggiore fedelt all'insegnamento di Pietro, che era appunto disordinato.
10

Cfr. Pesch, Il Vangelo di Marco, cit., p.39.


Un interesse specifico per la definizione di liste di libri "canonici", ossia normativi sul piano
della fede, incomincer dopo la met del II sec., dopo cio il primo tentativo fatto da quello che
venne subito considerato un "eretico", Marcione, il quale rifiutava tutto l'Antico Testamento,
come rivelazione di un Dio diverso e malvagio, rispetto al Dio rivelato da Ges; accoglieva solo
il Vangelo di Luca, senza i primi due capitoli (vangelo dell'infanzia) e le lettere di Paolo, senza
la Lettera agli ebrei.
11

9
Esplicitamente sostiene che "Marco non sbagli" riportanto "alcuni" (ejvnia, trasl.
nia) di questi insegnamenti sulla base di quanto ricordava. 12 Quell'"alcuni"
pu anche far pensare che si alluda a un'incompletezza del Vangelo. Papia
rivendica comunque a Marco l'esattezza ("non tralasci nulla") e l'autenticit
("non ment"), per quanto riguarda l'esposizione degli insegnamenti di Pietro.
Molte sono le questioni che sorgono a proposito di questa notizia. In
base a quali elementi il presbitero e Papia stabilivano questo rapporto di
discepolato tra Marco e Pietro? Dove e quando si sarebbe svolto? Dove e
quando sarebbe stato effettivamente scritto il Vangelo? E ancora: quali erano i
motivi delle critiche rivolte al "disordine" di Marco? In base al confronto con
quali altri Vangeli?
Per quanto riguarda il rapporto tra Marco e Pietro, si pensato a un
riferimento alla Prima lettera di Pietro, che nei saluti finali ha: "Vi salutano la
chiesa, che stata eletta come voi e dimora a Babilonia, e Marco, mio figlio" (1
Pt 5,13). Si suppone che questa lettera, che come si vede da Eusebio (III,39,17)
Papia conosceva, sia stata scritta a Roma (sarebbe definita "Babilonia" in senso
polemico, apocalittico) e che Marco, che doveva essere "figlio" di Pietro in senso
spirituale, convertito da lui e suo discepolo, fosse in quel momento a Roma
insieme a Pietro. Che sia presupposto in Papia questo riferimento a 1 Pietro
un'ipotesi: il collegamento con il Marco della lettera di Pietro sar fatto
esplicitamente in seguito, a partire da Clemente Alessandrino, e qualcuno (ad
es., Pesch) pensa che non si tratti di notizie indipendenti, ma tutte derivate da
quella di Papia: cio Clemente Alessandrino e gli altri dopo di lui non
avrebbero avuto altre informazioni oltre a quella di Papia, ma avrebbero a loro
volta ampliato e sviluppato quanto gi ricavavano di qui.
Anche la presenza a Roma di Marco accanto a Pietro verr indicata pi
esplicitamente da testimonianze posteriori.
Non risulta per chiaro dalla notizia di Papia quando Marco avrebbe
scritto il suo Vangelo: si pu solo supporre che lo abbia scritto dopo la morte di
Pietro, come farebbe pensare il fatto che scrisse "quanto ricord". Invece le fonti
posteriori cercheranno di precisare, ma in modi divergenti.
E a proposito delle critiche rivolte a questo Vangelo, le opinioni non sono
concordi. In che cosa consisterebbe il "disordine" e rispetto a quale altro
Vangelo questo potrebbe essere stato notato? Le ipotesi sono due: o che il
confronto fosse stabilito con il Vangelo di Matteo o con quello di Giovanni, i
due vangeli di origine strettamente apostolica che a quel momento e in Oriente
(dove vivono il presbitero Giovanni e Papia) avevano pi prestigio.
Dalle parole di Papia si potrebbe ricavare che la critica riguardasse gi
l'incompletezza dell' esposizione, dato che si osserva che Marco trascrisse
"alcuni" dei detti del Signore. Inoltre si accenna ad un'esposizione (che Papia fa
12

Potremmo considerare una testimonianza sull'opinione dell'incompletezza del Vangelo di


Marco anche la "finale" del Vangelo di Marco (16,9-20), che, come avremo occasione di
analizzare nella seconda parte, un brano distinto dal resto del Vangelo, forse composto
appositamente, e certamente inserito da qualcuno, per integrare la conclusione del Vangelo.

10
risalire a Pietro stesso) forse cronologicamente e logicamente non rigorosa, ma
"occasionale", e addirittura ad "errori". Queste critiche possono adattarsi al
confronto con Matteo, che si caratterizza, rispetto a Marco, per una ricchezza
molto maggiore di "detti" del Signore (tipici sono i suoi cinque grandi discorsi),
e inoltre presenta un racconto pi completo, dato che inizia dalla nascita di
Ges. Ma si adattano anche al confronto con Giovanni (e pensiamo che queste
critiche sembrano circolare in ambiente giovanneo), che si differenzia molto da
tutti e tre i sinottici gi per la ricostruzione cronologica della vita di Ges (tre,
ad esempio, sono in questo Vangelo i viaggi a Gerusalemme, e non uno solo;
anche la ricostruzione della settimana della Passione varia) e poi per
l'impostazione, che incentrata prevalentemente proprio sull'insegnamento di
Ges, rispetto al quale i fatti sono secondari. Giovanni inizia addirittura il suo
Vangelo parlando della preistoria divina del Logos.
C' anche chi pensa che il confronto valga per entrambi i Vangeli o per la
tradizione orale nota 13.
E' possibile riconoscere che la testimonianza di Papia poi
sostanzialmente ripresa dagli autori successivi, con ampliamenti e precisazioni,
che rafforzano lo scopo apologetico.
Non viene mai messo in discussione il rapporto di Marco con Pietro, ma
si forniscono chiarimenti a proposito del luogo di composizione del Vangelo e
della data.
1.2.2. Giustino
Dal Dialogo con Trifone (par.106) dell'apologista Giustino, scritto poco
dopo la met del II secolo, ricaviamo che il Vangelo di Marco era definito
jApomnhmoneuvmata Pevtrou, trasl. Apomnemonetata Ptru, ossia "Memorie di
Pietro. Questa definizione implica che il Vangelo di Marco fosse allora
conosciuto, secondo la testimonianza di Papia, come una sorta di trascrizione
della predicazione di Pietro.
1.2.3. Il "Prologo antimarcionita"
Si tratta di una delle prefazioni ai Vangeli che furono composte nel II
secolo (seconda met) per contrastare le posizioni di Marcione, il primo a
tracciare un canone dei libri sacri, ma un canone ridotto, che ammetteva, tra i
Vangeli, solo il Vangelo di Luca e solo parzialmente. Ci sono pervenuti in
manoscritti latini antichi (e sono stati pubblicati nel 1928) i prologhi ai Vangeli
di Marco, Luca e Giovanni, manca quello a Matteo.
Il "Prologo" al Vangelo di Marco, frammentario nella parte iniziale, dice
cos:
[...] (lo) ha affermato Marco, che fu chiamato "dalle dita mozze" (kolobodavktulo", trasl.
colobodctylus), perch ebbe dita pi piccole rispetto alle dimensioni del resto del corpo. Questi
13

Cfr. Taylor, Marco, cit., p.2.

11
fu interprete di Pietro. Dopo la morte dello stesso Pietro compose questo vangelo nelle regioni
d'Italia.

Questo documento contiene la ripresa della tradizione di Papia (Marco


interprete di Pietro), con due precisazioni: il Vangelo fu composto dopo la
morte di Pietro e in Italia.
Contiene per anche un'informazione nuova, piuttosto strana, su una
caratteristica fisica di Marco: che aveva dita corte o mozze. Questa
informazione trova conferma in un passo di Ippolito di Roma (Refutatio omnium
haeresium VII,30,1), dell'inizio del III secolo, in cui pure Marco riceve
l'appellativo di colobodctylus, senza ulteriori spiegazioni. C' chi pensa che il
Prologo dipenda da Ippolito.
Questo particolare viene interpretato in due modi, o come riferimento a
un difetto naturale, o come indizio di una mutilazione volontaria, in rapporto
con la sua scelta di adesione alla fede cristiana: una tradizione pi tarda, che si
ritrova in un Prologo di tipo "monarchiano"14 (forse della met del IV secolo) e
in Gerolamo (nella prefazione al Commento a Matteo), spiega infatti che Marco,
originariamente levita di stirpe e sacerdote di Israele, dopo la conversione e il
battesimo impartitogli da Pietro, si sarebbe amputato il pollice per rendersi
inabile al sacerdozio (che esigeva persone senza difetti fisici). Qualche studioso
mette in rapporto questa mutilazione col detto di Ges sul dovere di tagliarsi la
mano che motivo di scandalo (Mc 9,43) 15. Tuttavia, non possiamo escludere
che il particolare sia leggendario e in ogni caso risulta marginale.
1.2.4. Il Canone Muratoriano
E' il primo Canone (ossia lista dei libri ritenuti ispitrati e normativi per la
fede dei cristiani) a noi noto: ci pervenuto in latino attraverso un manoscritto
scoperto e pubblicato per la prima volta da Ludovico Antonio Muratori nel
1740, ma forse originariamente era in greco. E' databile negli ultimi decenni del
II secolo, in base al riferimento al vescovo Pio (vescovo di Roma tra il 140 e il
155) contenuto nell'ultima parte del documento, e proviene dall'ambiente
romano. Si veda il testo in traduzione nell'All. 2.
E' una testimonianza frammentaria, perch comincia cos:
quibus tamen interfuit et ita posuit. Tertium evangelii librum secundum Lucam [...].
ai quali tuttavia fu presente e cos espose. Il terzo vangelo secondo Luca [...].

Ma possibile anche che quibus ("ai quali") sia da integrare in aliquibus


("ad alcuni").

14

Cio influenzato da una posizione eterodossa sulla cristologia: per rafforzare il monoteismo i
monarchiani concepivano la Trinit come una monarchia, in cui la figura del Figlio risultava del
tutto subordinata.
15
Cfr. J. Ernst, Marco. Un ritratto teologico, tr.it., Brescia, Morcelliana, 1990 (ed.orig. Dsseldorf
1987), p.163.

12
Evidentemente l'inizio si riferisce proprio al Vangelo di Marco, dato che
segue l'accenno al Vangelo di Luca, come terzo (prima di Marco, dunque, si era
gi parlato di Matteo). Risulta cos gi fissato l'ordine dei Vangeli che rimarr
canonico.
Le parole riportate possono essere interpretate o nel senso che Marco fu
presente ad alcuni fatti raccontati o, pi probabilmente, con riferimento alla
testimonianza di Papia, fu presente all'insegnamento di Pietro e lo riport nel
suo Vangelo.
1.2.5. Ireneo di Lione
E' la testimonianza pi importante, dopo quella di Papia. Ireneo, nel
libro III del suo Adversus Haereses, databile verso la fine del II secolo ,
accingendosi a confutare gli gnostici sulla base delle Scritture, si sofferma con
ampiezza sull'apostolicit dei Vangeli.
Di solito si ferma l'attenzione sul passo di III,1,2-4, in cui Ireneo presenta
i quattro Vangeli in rapporto appunto con gli apostoli (il testo greco riportato
da Eusebio, Hist.Eccl. V,8,2-4): 16
Matteo tra gli Ebrei pubblic nella loro stessa lingua una forma scritta di Vangelo,
mentre a Roma Pietro e Paolo predicavano il Vangelo e fondavano la Chiesa. Dopo la loro
morte (ejvxodon, trasl. xodon), Marco, il discepolo e interprete (eJrmhneuthv", trasl. hermeneuts) di
Pietro, ci trasmise anche lui per iscritto quanto veniva annunciato da Pietro. Poi anche Luca,
compagno di Paolo, riport in un libro il Vangelo annunciato da lui (= Paolo). E infine
Giovanni, il discepolo del Signore, colui che ripos sul suo petto, pubblic anch'egli il Vangelo,
mentre soggiornava ad Efeso in Asia.

Da questo passo ricaviamo una conferma della testimonianza di Papia su


Marco "discepolo e interprete" di Pietro e sul suo Vangelo come trascrizione
della predicazione di Pietro (del resto sappiamo che effettivamente Ireneo
leggeva l'opera di Papia). In pi, risulta precisato dal contesto che il luogo
Roma (abbiamo visto che il Prologo antimarcionita indicava l'Italia). Quanto al
momento cronologico, i pi intendono che Marco scrisse dopo la morte degli
apostoli, notizia che di nuovo coincide con quanto riferisce il Prologo
antimarcionita e con quanto si poteva dedurre implicitamente da Papia stesso.
Ma poich, come vedremo, Clemente Alessandrino dice invece espressamente
che Marco scrisse durante la vita di Pietro, si cercato di intendere
diversamente il passo di Ireneo, o dando a ejvxodo" il significato di partenza
(dalla Palestina) - ma il contesto parla di Roma e non si conosce una partenza
da Roma che non sia l'ultima dipartita dalla vita - oppure dando un altro valore
all'intera frase, in cui si metterebbe in rilievo non il momento della
composizione, ma il fatto che Marco trasmise, "fece continuare" anche oltre la
morte la predicazione di Pietro.

16

L'intera opera di Ireneo, in 5 libri, che originariamente era in greco, ci pervenuta in una
traduzione latina.

13
Ma di Ireneo vale la pena di considerare anche altre testimonianze sul
Vangelo di Marco, tutte contenute nel libro III.
In III,10,6, ad esempio, Ireneo riporta, tra le testimonianze evangeliche
che provano l'identit tra il Dio dei profeti antichi e il Padre di Ges Cristo,
l'inizio e la fine 17 del Vangelo di Marco, ancora definito interpres et sectator
Petri.
In III,11,7 (si veda si veda il testo in traduzione nell'All. 3) Ireneo nota
che anche gli eretici ricorrono ai Vangeli per sostenere le loro dottrine, e quindi
ne riconoscono l'autorit. Egli ci indica quindi, per i vari tipi di eretici, i Vangeli
preferiti:
Gli Ebioniti

18

infatti, che usano solo il Vangelo secondo Matteo, da quello stesso

Vangelo vengono accusati di non avere concezioni giuste del Signore. Marcione 19 invece, che
amputa il Vangelo secondo Luca, in base alle parti di esso conservate si dimostra blasfemo
contro l'unico Dio esistente. Quelli che invece distinguono Ges da Cristo e sostengono che
Cristo rimase impassibile mentre fu Ges a patire, e preferiscono perci il Vangelo secondo
Marco, se lo leggono con l'amore della verit, possono correggersi. E infine i seguaci di
Valentino, che si servono continuamente del Vangelo secondo Giovanni per dimostrare la
validit delle loro coppie
alcunch di giusto".

20

, verranno smascherati da questo stesso Vangelo nel loro non dire

Risulta di qui che c'era un gruppo di eretici, non ben precisati, che
ricorreva pi volentieri al Vangelo di Marco: sembra trattarsi di qualche setta
doceta 21 o gnostica, che aveva difficolt ad accettare la realt della Passione.
Idee simili si trovano attribuite a varie figure ereticali, in particolare a Cerinto:
questi, a quanto riporta Ireneo stesso (I,26,1), riteneva che Ges fosse un uomo
normale: solo al momento del battesimo su di lui sarebbe disceso il Cristo in
forma di colomba per poi abbandonarlo al momento della Passione. E' possibile
che questi eretici trovassero nel Vangelo di Marco uno speciale supporto alle
loro idee in quanto proprio Marco d particolare risalto agli aspetti di umanit
e anche di "debolezza" di Ges, soprattutto durante la Passione, e questi aspetti
possono apparire in forte contrasto con le manifestazioni, pure presenti nel
Vangelo, del Cristo taumaturgo potente e maestro pieno di autorit. In ogni

17

E si noti che Ireneo cita come fine del Vangelo 16,19, un passo cio della cosiddetta "finale
canonica", che evidentemente gi circolava ma non doveva aver fatto parte del Vangelo
originario, il quale, secondo quanto si pu dedurre dalla tradizione manoscritta, si concludeva
con 16,8: si vedano su questo punto le osservazioni che faremo nella seconda parte.
18
Questi eretici vedevano in Ges Cristo solo la natura umana.
19
Distingueva il Dio dell'antica economia dal Dio della nuova e quindi rifiutava tutto l'Antico
Testamento e le parti del Nuovo Testamento troppo legate all'Antico. Cfr. sopra, n. 11.
20
Si fa riferimento alla complessa mitologia gnostica che concepiva alle origini del mondo
divino e umano una serie di coppie (o sizigie): Logos e Vita, Uomo e Chiesa, ecc.
21
I "doceti" traevano il nome dal greco dokei'n, trasl. dokin, "sembrare, apparire", perch
pensavano che la natura umana di Ges fosse solo apparente. Il docetismo, pi che un'eresia
autonoma, era un aspetto caratteristico di varie eresie, soprattutto delle varie correnti gnostiche.

14
caso Ireneo meno severo verso questi eretici rispetto agli altri e mostra di
credere possibile una loro resipiscenza.
Un passo particolarmente interessante, e che avr una grande influenza
sulla simbologia e sull'iconografia successiva relativa agli evangelisti, III,11,8
(vedi All. 3 e 4) che immediatamente successivo.
Qui Ireneo si sofferma a dimostrare che i Vangeli non possono essere n
pi n meno di quattro, perch quattro sono le regioni del mondo, quattro i
venti della terra e perch dunque quattro il numero dell'universalit e della
totalit. Quindi Ireneo ricorre anche alla simbologia biblica e in specie al
quadruplice aspetto attribuito da Ezechiele (1,6.10) ai Cherubini e
dall'Apocalisse (4,7) ai Viventi che stanno intorno al trono divino: aspetto di
leone, di vitello, di uomo e di aquila. Tutti questi aspetti si riferiscono al Figlio
di Dio e ne illustrano la natura e l'attivit salvifica. Il leone indicherebbe
potenza, eccellenza, regalit; il vitello la funzione sacrificale e sacerdotale;
l'uomo la venuta in forma umana; l'aquila il dono dello Spirito che vola sulla
Chiesa. Ireneo ritiene di poter ritrovare negli inizi di ciascun Vangelo uno di
questi aspetti, sicch i quattro Vangeli nel loro insieme costituirebbero il
fondamento di Ges Cristo.
Sono davvero curiosi l'ordine e la caratterizzazione data ai Vangeli,
soprattutto per quanto riguarda il Vangelo di: Marco:
Uno (= il Vangelo secondo Giovanni) racconta la sua (= di Cristo) generazione dal
Padre, che la principale e potente e gloriosa, dicendo: "In principio c'era il Verbo e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio" (Gv 1,1) e: "Tutto fu fatto per mezzo di lui e nulla fu fatto senza di
lui" (Gv 1,3). Perci questo Vangelo anche pieno di ogni ardire: tale infatti il suo aspetto (=
di leone). Il Vangelo secondo Luca, poich ha carattere sacerdotale, incomincia col sacerdote
Zaccaria che sacrifica a Dio: infatti gi si stava preparando il vitello grasso che doveva essere
immolato per il ritrovamento del figlio minore (cfr. Lc 15,23.30). Matteo invece annuncia la sua
generazione umana, dicendo: "Libro della generazione di Ges Cristo, figlio di David, figlio di
Abramo" (Mt 1,1) e: "La generazione di Cristo avvenne cos" (Mt 1,18). Questo Vangelo ha
dunque forma d'uomo; per questo anche in tutto il Vangelo si mantenuto uomo di sentimenti
umili e mite. Marco infine prese inizio dallo Spirito profetico che dall'alto scese sugli uomini,
dicendo: "Inizio del Vangelo... come sta scritto nel profeta Isaia" (Mc 1,1.2), mostrando
l'immagine alata del Vangelo; per questo ha fatto l'annuncio in forma sintetica e rapida: questo
infatti il carattere della profezia.
E lo stesso Verbo di Dio parlava ai patriarchi che vissero prima di Mos secondo la sua
natura divina e gloriosa; a coloro che vissero sotto la Legge assegnava una funzione sacerdotale
e ministeriale; fattosi successivamente uomo, invi il dono dello Spirito Santo su tutta la terra,
proteggendoci con le sue ali. Quale l'attivit del Figlio di Dio, tale anche l'aspetto dei
Viventi, e quale l'aspetto dei Viventi, tale il carattere del Vangelo. Quadriformi sono i
Viventi, quadriforme anche il Vangelo e quadriforme l'attivit del Signore. E per questo
furono dati quattro patti di alleanza all'umanit: uno prima del diluvio al tempo di Adamo; il
secondo dopo il diluvio al tempo di No; il terzo fu la la Legge data al tempo di Mos; il quarto
quello che rinnova l'uomo e ricapitola in s tutte le cose, e questo per mezzo del Vangelo, che
solleva e fa volare gli uomini nel regno celeste.

In questo passo si pu notare, in generale, che Ireneo attribuisce un


significato positivo alla pluralit e alle differenze tra i Vangeli, cosa che non era
e non sarebbe stata sempre ammessa, come testimoniano i tentativi di
armonizzare i Vangeli e le discussioni sulle differenze; si pensi in particolare al

15
fatto che negli stessi anni di Ireneo Taziano, in Siria, compone quella che a noi
risulta la prima "armonia evangelica", il Diatessaron, nel quale si tentava di
combinare insieme i quattro Vangeli, eliminando le differenze.
Inoltre vediamo che si instaura per la prima volta il collegamento tra i
Vangeli e i simboli apocalittici dei Viventi, collegamento che rimarr in tutta la
tradizione successiva. Ma c' una particolarit che la tradizione successiva
corregger ed l'attribuzione dei simboli del leone e dell'aquila rispettivamente
a Giovanni e a Marco. Mentre Vittorino di Pettau, nel suo Commento
all'Apocalisse (inizio del IV secolo) ancora si atterr all'esposizione di Ireneo,
Gerolamo, che ne fece una riedizione con ritocchi alla fine del IV secolo, la
corregger su questo punto, attribuendo invece il simbolo del leone a Marco e
quello dell'aquila a Giovanni. La connessione di Marco col leone venne
ritrovata nel fatto che nel suo prologo si parla della "voce di colui che grida nel
deserto", mentre il prologo di Giovanni fu associato con l'aquila per il fatto che
si innalza verso l'alto trattando del Verbo di Dio. Questa nuova disposizione,
che si ritrova anche in Ambrogio, rimarr definitiva 22. Agostino, nel De
consensu evangelistarum
(I,6,9), come vedremo, manterr l'attribuzione
dell'aquila a Giovanni, ma per Marco penser al simbolo dell'uomo, dato che
Marco non ha trattato n della stirpe regale di Cristo n della sua consacrazione
sacerdotale.
Lo scambio dei simboli tra Giovanni e Marco in Ambrogio e Gerolamo e
l'attribuzione del simbolo dell'uomo a Marco da parte di Agostino
corrispondono a un declassamento del Vangelo di Marco, che del resto risulta
evidente dal giudizio negativo espresso da Agostino nei riguardi di Marco
"valletto e compendiatore" di Matteo, su cui torneremo. Chiaramente il simbolo
dell'aquila premia ora il Vangelo ritenuto pi importante e "sublime", che
quello di Giovanni. Per possiamo ora notare anche meglio che con Ireneo le
cose non stavano ancora cos.
Ireneo mostra di ritenere superiori sia il Vangelo di Giovanni sia il
Vangelo di Marco e si potrebbe anzi dire che pone il Vangelo di Marco come
culmine dei Vangeli, perch gli assegna lo spirito profetico, e lo associa
costantemente all'elemento conclusivo e pi perfetto delle serie che propone: lo
pone, all'interno delle quattro tappe fondamentali della storia della salvezza
(patriarchi, legge, incarnazione, invio dello Spirito) nella fase finale, quella del
compimento dell'azione del Verbo; lo fa corrispondere al quarto e ultimo dei
patti di alleanza tra Dio e l'umanit (Adamo, No, Mos, Ges Cristo), quello
del compimento del vangelo. Si pu perfino osservare che la maggior brevit di
questo Vangelo, nonch essere considerata un tratto di seriorit e di
dipendenza, associata al carattere della profezia. Con Ireneo, dunque, il
Vangelo di Marco non ha neppure bisogno delle difese del tempo del presbitero
e di Papia.
Evidentemente, per, successivamente la fortuna del Vangelo di
Giovanni, che appariva teologicamente pi profondo, port a mettere da parte
22

La ritroviamo anche all'inizio del Commento a Marco di Gerolamo (il primo commento a
Marco che ci sia pervenuto). Sar fissa nell'iconografia. Ma teniamo presente che in ambienti
orientali si manterr ancora l'associazione tra Marco e l'aquila.

16
il Vangelo di Marco. Ma vale la pena di considerare che questo processo non fu
immediato e che questo Vangelo, nonostante alcuni fattori di inferiorit
(mancanza di un collegamento con una figura apostolica, brevit,
incompletezza), non manc di suscitare apprezzamento.
In III,11,9 (vedi All. 4) Ireneo condanna sia coloro che riducono il
numero dei Vangeli, come Marcione (che accettava solo il Vangelo di Luca) e
come altri che, rifiutando il dono dello Spirito, contestavano il Vangelo di
Giovanni, sia coloro che introducono nuovi Vangeli, come gli gnostici, e
menziona in particolare i Valentiniani, che avevano composto
presuntuosamente un "Vangelo della verit", diverso dai quattro Vangeli.
1.2.6. Clemente Alessandrino
Clemente Alessandrino il primo importante esponente della "Scuola
Alessandrina", che, operante in un ambiente culturalmente elevato, sede gi in
et ellenistica di studi filologici e letterari, rappresenta in ambito una sorta di
scuola superiore di studi teologici, con spiccati interessi, soprattutto poi con il
successore Origene, per la filologia e l'esegesi biblica.
Di lui conosciamo tre testimonianze tratte da un'opera perduta, Ipotiposi
(cio Schizzi, Abbozzi), che forniva spiegazioni su libri della Bibbia: due ce le
riporta Eusebio (Hist.Eccl. VI,14,5-7; II,15,1-2) e una ci pervenuta in una
traduzione latina di Cassiodoro (Adumbrationes ad 1 Petr. 5,13). Sono
interessanti come sviluppo della tradizione di Papia (si veda anche l'All. 5):
Negli stessi libri Clemente riporta una testimonianza dei presbiteri antichi sull'ordine
dei Vangeli, che suona cos: diceva che furono scritti prima i Vangeli che contengono le
genealogie (= Matteo e Luca). Quanto al Vangelo di Marco, avrebbe avuto questa storia.
Quando Pietro ebbe annunciato pubblicamente a Roma la Parola e predicato il Vangelo
secondo lo Spirito, i presenti, che erano molti, invitarono Marco, in quanto lo aveva seguito da
tempo e ricordava le cose dette, di trascrivere le sue parole. Questi lo fece e consegn il Vangelo
a coloro che glielo chiedevano. Quando lo venne a sapere, Pietro non us esortazioni n per
impedirlo n per incitarlo. Quanto poi a Giovanni, che fu l'ultimo, quando vide che i fatti
materiali gi erano stati esposti nei Vangeli, spinto dai discepoli e pieno di Spirito divino,
compose un Vangelo spirituale. Cos Clemente.
Rifulse a tal punto il lume della fede nelle menti degli ascoltatori di Pietro che non
bast loro di ascoltarlo una sola volta n di ricevere oralmente l'insegnamento dell'annuncio
divino, ma con inviti di ogni genere supplicarono Marco, di cui ci tramandato il vangelo e che
era seguace di Pietro, di lasciare loro anche una memoria scritta dell'insegnamento ricevuto
verbalmente ed insistettero finch non lo fece: in questo modo divennero causa della redazione
del Vangelo detto secondo Marco. Dicono che l'apostolo, quando seppe, attraverso una
rivelazione diretta dello Spirito, ci che era avvenuto, si compiacque dell'ardore di quelle
persone e convalid il testo scritto perch fosse letto nelle chiese. Clemente riporta il racconto
nel sesto libro delle Ipotiposi, e lo conferma anche il vescovo di Gerapoli di nome Papia.
Marco, seguace di Pietro, allorch Pietro predicava pubblicamente il Vangelo a Roma,
alla presenza di certi cavalieri di Cesare, e adduceva molte testimonianze su Cristo, pregato da
loro di far s che essi potessero ricordare ci che veniva detto, scrisse sulla base di quanto Pietro
aveva detto il Vangelo chiamato di Marco.

17
Dalla prima testimonianza si evince che esistevano diverse opinioni
sull'ordine in cui sarebbero stati composti i Vangeli e c'era anche chi riteneva
che all'inizio si collocassero sia Matteo sia Luca.23
Dai tre passi ricaviamo che Clemente riprende la fondamentale notizia di
Papia (Papia viene espressamente citato nel secondo passo), secondo cui Marco
avrebbe assistito alla predicazione di Pietro e l'avrebbe riportata nel suo
Vangelo, e precisa che questo sarebbe avvenuto a Roma; pi che probabile che
l'autore conosca il passo di 1 Pt 5,13 (in cui Pietro menziona il "figlio" Marco e
accenna a Roma come "Babilonia"). In pi per sostiene che il Vangelo sarebbe
stato scritto per richiesta degli ascoltatori (nella terza testimonianza si
menziona una categoria particolare, qualificata, di ascoltatori: certi cavalieri di
Cesare). Ma non solo: vuole che Pietro sia stato a conoscenza della cosa e che
quindi la stesura del Vangelo sia avvenuta mentre era ancora vivo. Questo dato
non coincide con quanto si pu ricavare da Papia stesso ed in contraddizione
con quanto abbiamo appreso dal Prologo antimarcionita e da Ireneo. Ma si pu
notare che questo particolare in funzione del parere che Pietro avrebbe cos
avuto modo di esprimere, anche se c' contraddizione tra i primi due passi,
perch nel primo si dice che Pietro non si espresse n a favore n contro, nel
secondo molto pi decisamente si sostiene che Pietro approv con entusiasmo e
addirittura ratific il Vangelo autorizzandone la lettura ecclesiale e ufficiale:
Lagrange 24 suppone che nel secondo passo non sia riportato solo il pensiero di
Clemente, ma sia integrato da Eusebio stesso.
Possiamo quindi pensare che Clemente non abbia informazioni nuove
rispetto a Papia, ma che aggiunga alcuni particolari per rafforzare
ulteriormente la difesa del Vangelo di Marco, che a questo punto non risulta
soltanto ispirato da Pietro, ma ratificato da lui.
La prima testimonianza evidenzia gi la stima maggiore che il Vangelo
di Giovanni sta guadagnando, per il fatto che appare pi "spirituale" rispetto
agli altri, i quali si limitano a raccontare fatti "materiali". Il valore assiologico di
questi termini contrapposti (spirito/corpo) si comprende meglio tenendo conto
della cultura alessandrina, profondamente impregnata, attraverso la
mediazione di Filone Alessandrino, dell'influsso filosofico platonico e quindi
portata a deprezzare il corporeo rispetto allo spirituale. Incominciamo quindi a
intravedere il senso della parabola discendente di Marco, che, come gi
abbiamo accennato (a proposito di certi eretici gnosticizzanti menzionati da
Ireneo), pi d spazio a un Ges umano e sofferente.
Il Vangelo di Giovanni meglio si prestava ad essere utilizzato nella lotta
contro gli gnostici, che trovavano l consonanza con le loro idee : non a caso
proprio uno gnostico di nome Eracleone aveva scritto un commento a questo
Vangelo nel II sec:, commento a cui risponder ad Alessandria il successore di
Clemente , Origene. E sempre il Vangelo di Giovanni appariva pi adatto come
punto di riferimento anche nelle controversie contro gli intellettuali pagani che
23

Un ordine tra i Vangeli che si trova in alcuni manoscritti Matteo Giovanni Luca Marco: in
questo caso si tratta di un ordine di importanza e all'inizio vengono posti i Vangeli composti da
apostoli.
24
vangile, cit., p.XXIII.

18
proprio in questo periodo attaccavano i cristiani, tra le altre cose, per la figura
del loro fondatore, tanto contrastante con l'idea filosofica di divinit, a causa
della meschinit della sua vita e della sua morte, e per il basso livello sociale ed
intellettuale attribuito ai cristiani. Di questo tipo erano le obiezioni di Celso,
autore, verso il 180, della prima opera pagana a noi nota contro i cristiani, dal
titolo jAlhqh;" lovgo", trasl. Aleths Lgos, "Discorso veritiero", a cui risponder
ancora Origene nel Contro Celso.
1.2.7. Origene
Di lui (siamo alla met del III sec.) vale la pena di riportare una sola
testimonianza, tratta dall'inizio del suo Commento a Matteo e che conosciamo in
greco da Eusebio (Hist.Eccl. VI,25,3-6):
Nel primo dei Commenti al Vangelo secondo Matteo, conservando il canone
ecclesiastico, (Origene) testimonia di conoscere solo quattro Vangeli, scrivendo cos:
Ho appreso dalla tradizione relativa ai quattro Vangeli, che sono anche i soli non
contestati nella Chiesa di Dio diffusa sulla terra, che per primo stato scritto il Vangelo secondo
quel Matteo che un tempo fu pubblicano e poi divenne discepolo di Ges Cristo, e lo pubblic
per i fedeli provenienti dal giudaismo, dopo averlo composto in lingua ebraica; poi il Vangelo
secondo Marco, che fece come Pietro gli indic e che da lui fu riconosciuto come figlio nella
lettera cattolica in questi termini: "Vi saluta la chiesa eletta che dimora in Babilonia e Marco,
mio figlio" (1 Pt. 5,13). E terzo fu il Vangelo secondo Luca, che scrisse il Vangelo approvato da
Paolo per coloro che provenivano dalle genti. Dopo tutti viene il Vangelo secondo Giovanni.

Qui abbiamo quell'ordine dei Vangeli che rester canonico (e che gi era
presente nel Canone Muratoriano, ma varia da quello presentato da Clemente,
che poneva all'inizio Matteo e Luca).
La notizia su Marco nel solco di Papia, ma forse anche di Clemente. In
ogni caso Origene esplicita il collegamento tra l'evangelista e il Marco della
Prima lettera di Pietro, che gi doveva essere di Clemente, perch questi
parlava dell'evangelista Marco commentando 1 Pt 5,13, come abbiamo visto.
Questo collegamento sar ripreso da Eusebio alla fine della testimonianza di
Clemente sopra riportata come seconda (II,15,2).
1.2.8. Eusebio di Cesarea
Eusebio nella Storia ecclesiastica (fine del III-inizio del IV sec.) si attiene
alla tradizione di Papia, Ireneo, Clemente, Origene, di cui riporta i passi
salienti. Di suo, aggiunge due informazioni (si veda il testo nell'All. 6) molto
dubbie che creeranno confusione nella tradizione successiva:
La prima (Hist.Eccl. II,16,1) che Marco sarebbe stato mandato in Egitto
a predicarvi il Vangelo, che gi aveva scritto, e qui avrebbe fondato chiese ad
Alessandria. In seguito (seconda met del IV sec.) Giovanni Crisostomo creder
che Marco avesse scritto il Vangelo ad Alessandria; ed Epifanio, cercher di
combinare questa con le altre informazioni dicendo che Marco sarebbe stato
mandato da Pietro in Egitto, dopo aver scritto il Vangelo. La notizia ha scarse

19
probabilit di essere autentica, dato che proprio gli autori alessandrini
(Clemente, Dionigi, Origene) non ne parlano.
La seconda (Hist.Eccl. II,24: vedi All. 6) che il successore di Marco
nell'episcopato ad Alessandria avrebbe iniziato il ministero nell'ottavo anno di
Nerone (il quale regn dal 54 al 68, e quindi l'anno sarebbe il 62), il che
dovrebbe significare anche (e fu inteso nel senso) che in quell'anno Marco
sarebbe morto. Ma il dato non si concilia con le altre notizie sul rapporto con
Pietro (e Paolo) a Roma, perch il 62 anteriore all'anno della morte dei due
apostoli, avvenuta secondo la tradizione (cfr. Lettera di Clemente Romano ai
Corinzi, del 96) durante la persecuzione di Nerone (tra 64 e 68). Tuttavia
Gerolamo lo riprender e lo tramander nella scheda dedicata a Marco nel suo
trattato De viris illustribus, proprio come dato relativo alla morte di lui (cfr. De
vir.ill. 8). Di qui deriva la tradizione che alle origini della Basilica di S. Marco a
Venezia: i Veneziani nell'828 avrebbero trafugato ad Alessandria le reliquie di
S. Marco e le avrebbero portate a Venezia: per custodirle avrebbero quindi
edificato la Basilica intitolata a lui 25.
1.2.9. Gerolamo
In effetti Gerolamo, che conosceva la Storia ecclesiastica di Eusebio e tutte
le testimonianze ivi raccolte, nella sua notizia su Marco del De viris illustribus
(cap. 8: il testo nell'All. 6), opera composta intorno al 393, fa una sorta di
centone di tutte le informazioni della tradizione: presenta Marco come
discipulus et interpres di Pietro, dice che scrisse il Vangelo richiesto dai fedeli di
Roma e ricevendone l'approvazione di Pietro, richiamandosi esplicitamente a
Papia e Clemente Alessandrino. Fa riferimento al Marco della Prima lettera di
Pietro, come Clemente e Origene. Riporta le notizie di Eusebio sull'attivit di
Marco in Egitto e sull'anno della morte.
La sua trattazione ha carattere erudito e corrisponde allo scopo
dell'opera di illustrare le grandi personalit della letteratura cristiana, da
segnalare agli intellettuali e dotti pagani che in genere accusavano i cristiani di
incultura. Ma pu essere significativo il fatto che egli collochi Marco, non solo
dopo Matteo (trattato al cap. 3), ma anche dopo Luca (cap. 7); subito dopo
Marco c' Giovanni (cap. 9).
Ricordiamo inoltre il particolare, a cui gi abbiamo accennato parlando
di Ireneo, che Gerolamo nella sua revisione del Commento all'Apocalisse di
Vittorino di Petovio (o Pettau), aveva associato il Vangelo di Marco al leone, e
non pi all'aquila, come ancora faceva Vittorino. Il suo apprezzamento del
Vangelo di Marco non doveva essere troppo alto.
1.2.10. Agostino
Ma la posizione pi negativa sul Vangelo di Marco viene espressa da
Agostino, nel De consensu evangelistarum, opera scritta verso il 400, per
25

Cfr. Uricchio-Stano, Vangelo secondo San Marco, cit., p.3 n.5.

20
dibattere sistematicamente le questioni relative alle discordanze tra i quattro i
Vangeli e dimostrare il loro sostanziale accordo. I passi pi pertinenti sono tre,
tutti tratti dal I libro (si veda l'All. 7).
Nel primo passo (I,2,3) possiamo constatare che Agostino riprende
alcune idee di Ireneo e le condivide: quella che i Vangeli debbano essere
quattro e il valore simbolico attribuito a questo numero (i quattro angoli della
terra, ossia tutta la terra): parla in particolare dell'estensione della Chiesa su
tutta la terra. Conferma anche l'ordine Mt-Mc-Lc-Gv, ma distingue il momento
della composizione dei Vangeli, a cui si riferisce tale successione, da quello
della conoscenza dell'insegnamento di Ges e della predicazione operata per
incarico del Signore: da questo secondo punto di vista la priorit di Matteo e
di Giovanni, che furono testimoni diretti e apostoli. Gli altri due, che non hanno
questi caratteri, stanno in mezzo e vengono come protetti dagli altri due: sono
dunque inferiori.
Nel secondo passo (I,2,4) nota che ogni vangelo ha caratteristiche proprie
e lo attribuisce al fatto che, oltre all'ispirazione, intervenuto anche un apporto
personale degli evangelisti. In particolare osserva che ciascuno sembra seguire
un proprio ordine, ma presuppone anche che ciascuno abbia conosciuto i
predecessori. Definisce alcuni caratteri peculiari dei diversi Vangeli e si
distingue subito da Ireneo, perch per Matteo, pur prendendo in
considerazione la genealogia con cui inizia e l'interesse per la vita umana di
Ges, individua nella genealogia come aspetto tipico il fatto che viene messa in
evidenza la discendenza regale di Ges. Marco viene invece chiaramente
svalutato perch subito definito pedisequus et breviator (valletto e
compendiatore) di Matteo, si notano la differenza totale rispetto a Giovanni e
quella quasi totale rispetto a Luca, mentre si rilevano le somiglianze strette con
Matteo. In sostanza non viene riconosciuto nessun tratto specifico a Marco. Per
Luca viene ripresa l'opinione di Ireneo (carattere sacerdotale), ma a partire
dalla sua genealogia.
Nel terzo passo (I,6,9) Agostino discute esplicitamente l'attribuzione dei
simboli agli evangelisti e contesta le attribuzioni fatte da Ireneo, senza
nominarlo (uomo-Mt, aquila-Mc, vitello-Lc, leone-Gv), mentre esprime la sua
preferenza per altre associazioni: leone-Mt, uomo-Mc, vitello-Lc, aquila-Gv. Si
tratta per di una sistemazione che non coincide neppure con quella di
Gerolamo, che collegava il leone a Marco e l'uomo a Matteo. Non altrimenti
attestata e si vede comunque che corrisponde al parere di Agostino, il quale,
non solo vuole mettere sul gradino pi alto Giovanni, ma vuole anche
anteporre Matteo a Marco. Insiste infatti a dimostrare che il leone pertinente a
Matteo, che anche nell'episodio dei Magi parla di Ges bambino come re,
mentre Marco non parlerebbe n della stirpe regale di Ges (come Matteo), n
della consacrazione sacerdotale (come Luca), ma "appare occuparsi delle cose
compiute da Cristo come uomo", e perci a lui spetterebbe il simbolo
dell'uomo, che risulta il pi basso. Del resto tutti e tre i primi Vangeli
rimangono fermi agli eventi relativi al Ges incarnato, e questo fatto sarebbe
ben espresso da simboli legati alla terra (leone, uomo, vitello), mentre a

21
Giovanni, che vola alto nella sua capacit di penetrare nella luce della verit, si
addice il simbolo dell'aquila.
Come si vede, con Agostino abbiamo un netto rovesciamento della
posizione di Ireneo e della valutazione del Vangelo di Marco: dal pi
importante dei Vangeli al meno importante.
1.2.11. Conclusione sul Vangelo di Marco nell'antichit
Dalle testimonianze esaminate si evince che il Vangelo di Marco
present alcune difficolt ai primi cristiani: innanzitutto il fatto che l'autore a
cui veniva attribuito non facesse parte della lista degli apostoli, ovvero dei
testimoni diretti di Ges, e inoltre alcune difficolt inerenti ai caratteri del
Vangelo stesso. Alla prima difficolt si ovvi presto attraverso lo stretto
collegamento con Pietro, che la tradizione ha via via rafforzato: il Vangelo
sarebbe la pura trascrizione della predicazione di Pietro e Pietro lo avrebbe
approvato espressamente. Questa convinzione consent al Vangelo di essere
inserito tra i Vangeli "canonici" senza discussione, di essere letto ufficialmente
nelle assemblee liturgiche, di essere considerato conforme alla dottrina
"ortodossa", di essere utilizzato nelle "armonie evangeliche".
Marco sarebbe stato successivo a Matteo e dipendente da lui.
Alcune notizie leggendarie, come quella della predicazione ad
Alessandria di Egitto e dell'episcopato, tendono a noblitare la figura di Marco,
mentre pi oscure, ma forse ancora in funzione positiva, potrebbero essere altre
tradizioni, come quella dell'avere "le dita mozze" (origine levitica o
sacerdotale?).
Il Vangelo stesso sembra aver suscitato, nel confronto con gli altri
Vangeli, riserve a proposito di una sua incompletezza e di un certo disordine.
Ma su questo punto appaiono opposte le valutazioni di Ireneo e di Agostino: il
primo vede in questo Vangelo, anche nella sua brevit, un carattere profetico e
spirituale, che ne fa il Vangelo pi elevato (di qui il simbolo dell'aquila); il
secondo, accentuando una tendenza gi presente nell'ambiente alessandrino e
in Gerolamo (preferenza per il Vangelo di Giovanni, a cui viene trasferito il
simbolo dell'aquila), non trova in Marco nulla di originale rispetto a Matteo e
vuole degradarlo ulteriormente dando a lui il simbolo dell'uomo, a Matteo
quello del leone.
Il fatto che il Vangelo di Marco non sia stato quasi mai commentato
autonomamente nella fase in cui i Padri della Chiesa elaborano commenti scritti
ai libri del NT (a partire dall'inizio del III sec.) conferma che non gli veniva
conferito un messaggio particolare e rilevante.

2. Il Vangelo di Marco nella ricerca moderna


Nota biliografica
Per questa parte fornisce indicazioni soprattutto il commento di Taylor, Marco, che
dedica il cap.II dell'Introduzione (pp.9-25) a "La storia del Vangelo nella critica moderna" e

22
inoltre esamina ancora gli studi antecedenti a proposito del capitolo su "Le fonti di Marco"
(pp.34-45). Uricchio e Stano nel loro commento (Vangelo secondo San Marco) presentano nel cap.8
dell'Introduzione (pp.127-133) un "Panorama degli studi esegetici su Mc", ma lo suddividono,
poco opportunamente, in Esegesi acattolica ed Esegesi cattolica.
Una presentazione recente dei vari metodi di studio si trova nell'opuscolo della
Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Citt del Vaticano 1993.
Utile, non solo per le informazioni, ma anche per l'esemplificazione metodologica del
metodo storico-critico, il volume di H. Zimmermann, Metodologia del Nuovo Testamento.
Esposizione del metodo storico-critico, tr.it., Torino, Marietti, 1971 (ed.orig. Stuttgart 1967).

La ricerca moderna ha elaborato nel tempo una serie di metodi per


leggere, studiare e interpretare i libri biblici. Il metodo che ha avuto il maggiore
peso stato il metodo storico-critico, ma pi recentemente sono state applicate
anche nuove metodologie attinte ai diversi ambiti scientifici. Di volta in volta
verificheremo quali acquisizioni siano derivate per lo studio del Vangelo di
Marco dall'applicazione dei vari metodi. In generale possiamo per gi dire che
il Vangelo di Marco ha tratto notevole giovamento dagli studi moderni, chi
quali, rovesciando la situazione dei tempi antichi, lo hanno privilegiato rispetto
agli altri Vangeli.

2.1. Il Vangelo di Marco e il metodo storico-critico


Il metodo storico-critico, cos come conosciuto e usato oggi, si
costituito nel tempo, a tappe progressive. Il suo carattere specifico quello di
trattare i libri biblici secondo gli stessi criteri adottati per i documenti e le opere
antiche: prescinde dalla loro natura di "libri sacri", non d per scontate le
opinioni trasmesse dalla tradizione (su autori, date, ecc.), ma le sottopone a
verifica e le rifiuta nel caso che risultino non confermate da criteri scientifici; ne
analizza l'origine, la composizione, le finalit, collocandoli nel loro contesto
storico. Per questo il metodo ha incontrato difficolt in ambienti di fede, di pi
nell'ambito cattolico rispetto a quello protestante: si temeva che venissero
indeboliti o messi in discussione l'autorit e il carattere ispirato dei libri.
Tuttavia stato, seppure tardi, accettato e convalidato anche dal magistero
cattolico, almeno a partire dall'enciclica Divino afflante Spiritu del 1943 e dalla
costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II (1966). Il principale merito che
gli viene riconosciuto quello di contrastare le letture letterali o
fondamentaliste, che possono portare a gravi pericoli dottrinali.
Il metodo storico-critico, innanzitutto, presta attenzione al testo di ogni
libro biblico e cerca di ricostruire la forma pi attendibile sulla base dell'esame
sistematico della tradizione manoscritta pervenuta e della scelta ponderata tra
le varianti presenti nelle diverse copie esistenti. A partire dalla met del 1800
nasce la "Critica testuale" neotestamentaria fondata su criteri scientifici
moderni. 26

26

Sulla Critica testuale in rapporto al Vangelo di Marco ci soffermeremo nella seconda parte.

23
Un altro ambito in cui opera il metodo , come si detto, quello delle
notizie riportate dalla tradizione su autori e libri biblici, per discuterne
l'attendibilit e tentare di stabilire in modo pi solido autenticit dei libri,
paternit, datazione, ecc. Il metodo affronta anche altri aspetti storici pertinenti
ai contenuti e di chiarire il contesto storico ("Analisi storica").
Ricerca le fonti dei vari libri e gli eventuali rapporti reciproci tra i libri
stessi (si parla di "Critica delle fonti"): nasce, come vedremo, una questione
specifica sui rapporti tra i Vangeli, ovvero la "questione sinottica" (che riguarda
Matteo, Marco, Luca, in quanto sono pi simili e, se trascritti in colonne
parallele, li si pu abbracciare in una synopsis, ossia in una "visione d'insieme").
Analizza le unit letterarie isolabili nei libri e cerca di ricostruire per
ciascuna le origini e gli sviluppi avvenuti durante la trasmissione orale e scritta,
nonch le modifiche subite al momento in cui stata inserita nell'attuale
contesto letterario ("Storia delle forme").
Si sofferma anche sugli specifici interventi del redattore finale di ogni
libro (che coincide per i Vangeli con l'evangelista) e tenta di definire le tendenze
soggiacenti al suo lavoro redazionale ("Storia della redazione").
2.1.1. L'Analisi storica e la valutazione moderna delle testimonianze antiche: le
questioni relative ad autore, luogo e data del Vangelo
Partiamo da alcune questioni affrontate dall'Analisi storica a proposito
delle testimonianze antiche su Marco
Sulla valutazione della testimonianza di Papia, che quella
fondamentale per tutta la tradizione antica su Marco, possiamo dire che non c'
accordo tra gli studiosi. C' chi tende a svalutare del tutto l'affidabilit di Papia,
per il fatto che riporta, come risulta da Eusebio, anche notizie leggendarie 27, o
perch si attiene troppo alla tradizione orale 28, o perch appare troppo
condizionato dallo scopo apologetico 29. L'unico dato che viene accettato
comunque che il nome dell'evangelista fosse effettivamente Marco 30 e che si
tratti di una figura secondaria non altrimenti nota. Tuttavia la maggior parte
degli studiosi propende per accettare la validit della testimonianza di Papia,
almeno per quanto riguarda l'identit di Marco e il suo stretto rapporto con
Pietro, eventuamente anche per l'origine romana del Vangelo. Anzi, si ricercano
ulteriori elementi che la comprovino.
2.1.1.1. L'identit di Marco

27

Cfr. Schweizer, Il Vangelo secondo Marco, cit., p.26.


Cfr. R.M. Grant, La formation du Nouveau Testament, tr.fr., Paris 1969, p.72.
29
Cfr. Pesch, Il Vangelo di Marco, cit., p.41.; J. Ernst, Il Vangelo secondo Marco, tr.it., I, Brescia,
Morcelliana, 1991 (ed.orig. Regensburg 1981), p.30; J. Gnilka, Marco, tr.it., Assisi, Cittadella,
1987(ed.orig. Zrich 1978-1979), p.28.
30
Il Vangelo in origine non riportava il nome dell'autore, cos come del resto gli altri Vangeli.
28

24
In base ai dati esterni, provenienti da altri scritti del Nuovo Testamento,
alcuni ritengono di poter identificare questo Marco con il Giovanni Marco, o
semplicemente Marco o semplicemente Giovanni, pi volte menzionato negli
Atti degli Apostoli e in lettere di Paolo (Marco risulterebbe quindi il prenome
latino di un giudeo di nome Giovanni). Anzi, da questi cenni si traggono
elementi per ricostruire una vera e propria "vita" di Marco 31:
In Atti 12,12 si racconta che Pietro, dopo essere uscito di prigione a Gerusalemme, si
rec alla casa di Maria, "la madre di Giovanni chiamato Marco, dove erano radunati in
preghiera un buon numero di persone". Di qui si ricaverebbe che Marco doveva essere un
personaggio ben noto e di famiglia benestante, dato che la sua casa era abbastanza grande per
ospitare le riunioni della comunit cristiana. Le altre informazioni desumibili dagli Atti e dalle
lettere di Paolo, fanno pensare che Marco fosse cugino di Barnaba (Col 4,10) e avesse
partecipato per un periodo all'attivit missionaria di Paolo e Barnaba come loro "aiutante",
durante un viaggio in Asia Minore (At 12,25; 13,5). Ma a Perge, in Panfilia, Giovanni Marco li
lasci e ritorn a Gerusalemme (At 13,13). Questo abbandono dovette irritare profondamente
Paolo, tanto che, quando decise di intraprendere con Barnaba un secondo viaggio missionario e
questi voleva ancora portare con s Giovanni Marco, Paolo entr in dissidio aperto con Barnaba
e prefer separarsi anche da lui: si scelse un altro collaboratore, mentre Barnaba part per
diversa meta col cugino (Atti 15,36-41). Se si tratta sempre del medesimo Marco, si pu
supporre che Paolo si fosse riconciliato poi con lui, dato che in alcune lettere scritte durante la
prigionia (a Roma?) lo menziona come collaboratore al suo fianco (Col 4,10; Fm 24) e, pi tardi,
in 2 Tm 4,11, quando Marco non si trova pi accanto a lui, chiede al destinatario (che forse a
Efeso) di condurglielo. Sicch si dovrebbe dedurre che Marco sia stato prima in contatto con
Pietro a Gerusalemme, poi con Paolo e infine ancora con Pietro. Il che non manca di suscitare
alcune perplessit. Tuttavia, resta predominante il rapporto con Pietro, tanto che si parla del
Vangelo di Marco come di "vangelo di Pietro". E si cercano anche elementi interni al testo a
favore di questo rapporto.

Tra i dati interni al testo che potrebbero avvalorare la tradizione del


rapporto di discepolato tra Marco e Pietro si adducono il rilievo dato alla figura
di Pietro in molti casi, ma anche, talora, il fatto che proprio Pietro nel Vangelo
di Marco non di rado faccia una "brutta figura" (indizio dell'umilt di Pietro
stesso!); la vivacit descrittiva di molti episodi che presupporrebbe il racconto
di un testimone oculare, perfino la "spontaneit dello stile", ecc. Ma non sono in
realt elementi determinanti, perch non si pu dimostrare che Pietro abbia nel
Vangelo di Marco un ruolo maggiore rispetto agli altri Vangeli, anzi: sono
omessi alcuni episodi importanti, come il primato di Pietro (cfr. Mt 16,17-19). La
ricerca, poi, nel Vangelo, di tracce di una "teologia petrina", cos come di una
"teologia paolina", non d poi frutto, anche perch una "teologia petrina" non
esiste e le eventuali affinit con la teologia di Paolo, che invece conosciamo, si
limitano a concetti non caratteristici. In vari casi sembrerebbe che l'autore del
Vangelo non conoscesse esattamente i luoghi della Palestina (cfr. 7,31; 8,10;
10,1), fatto che contrasterebbe con l'ipotesi che i racconti provenissero da un
testimone come Pietro.
In ogni caso, quand'anche Marco avesse effettivamente attinto ai ricordi
di Pietro, oggi si tende a pensare che non siano questi l'unica fonte utilizzata da
31

Cfr. in particolare Uricchio-Stano, Vangelo secondo Marco, cit., pp.1-4, paragrafo intitolato:
"Cenni biografici su Marco".

25
lui, sebbene, essendo il suo il primo Vangelo (come oggi viene riconosciuto) e
non avendo quindi termini di confronto, sia difficile sceverare nel Vangelo le
diverse possibili fonti. Qualcuno ha supposto che Marco sia stato presente ad
alcuni fatti della vita di Ges e che parli di se stesso quando riporta lo strano
episodio, non ripreso dagli altri Vangeli, del giovinetto che al momento
dell'arresto di Ges prima si mette al suo seguito avvolto in un lenzuolo, poi
fugge nudo (Mc 14,51-52). Ma si tratta di un'ipotesi priva di fondamento e del
tutto improbabile 32.
2.1.1.2. Luogo di composizione del Vangelo e destinatari
Per quanto riguarda l'ambientazione a Roma del Vangelo, affermata da
molte testimonianze antiche, le conferme interne al testo potrebbero essere:
- i latinismi 33, pi frequenti in Marco che non in Matteo e in Luca;
- certe spiegazioni di costumi ebraici (cfr. 7,1-3: l'usanza di purificarsi di ritorno
dal mercato, prima di mangiare, ecc.), che fanno presupporre un pubblico non
famigliare con essi;
- la spiegazione di termini aramaici, anch'essi molto frequenti (cfr. 5,41: talith
kum, "ragazza, lzati"; 7,34: effath, "apriti");
Si pensa normalmente che il Vangelo di Marco, a differenza di quello di
Matteo, pi nettamente di carattere giudaico, si rivolgesse a fedeli di
provenienza pagana. Tuttavia, neppure questi elementi sono univoci: ad es., i
latinismi, in quanto termini tecnici del gergo militare, giuridico ed economico
erano diffusi in tutto l'impero romano.
Alcuni studiosi pensano alla Siria come luogo di composizione, per il
rilievo che questa regione, e Antiochia in particolare, hanno avuto nei primi
temoi del cristianesimo, e in particolare per la missione ai pagani.
2.1.1.3. Data di composizione del Vangelo
Per quanto riguarda la data, di solito, pi che sulle indicazioni della
tradizione, ci si basa su elementi interni al testo, e principalmente sul discorso
escatologico (cap.13), in cui c' la predizione della distruzione del Tempio
(13,2), che viene messa in rapporto con il fatto storico della caduta di
Gerusalemme avvenuta nel 70. Poich la profezia in Marco appare pi generica
(cfr. anche 13,14), rispetto a quella di Matteo (cfr. 24,15) e Luca (cfr. 21,20), si
ritiene per lo pi che la composizione del Vangelo sia anteriore al 70, con vari
tentativi di precisazione. In genere si pensa a una data di poco anteriore al 70
(tra il 65 e il 70): i riferimenti alle guerre di 13,7-8 talora sono collegati con le
32

Su questo episodio cfr. il mio articolo L'arresto di Ges nel Vangelo di Marco (Mc14,43-52), in
"Rivista Biblica" 35 (1987), pp.257-282.
33
Cfr. kenturivwn , trasl. kenturon (lat. centurio), dhnavrion, trasl. denrion (lat. denarius), legiwvn,
trasl. legin (lat. legio), praitwvrion, trasl. praitrion (lat. praetorium); costrutti latinizzanti.
Notevole il fatto che talora il redattore spiega un termine greco con un latinismo (in 12,42
spiega leptav, trasl. lept ("spiccioli"), con kodravnth", trasl. kodrntes (lat. quadrans), "quattrino"; in
15,16 spiega aujlhv, trasl. aul, "cortile", con praitwvrion, trasl. praitrion (lat. praetorium), "pretorio".

26
prime fasi della guerra giudaica (che inizi nel 66), talora con i disordini politici
successivi al 68 (morte di Nerone). Questa data si concilierebbe con la notizia
della tradizione per cui Marco avrebbe scritto dopo la morte di Pietro. Altri
studiosi pensano invece a una data posteriore al 70 e alla distruzione del
Tempio, che comport la dispersione e lo smarrimento della comunit ebraica
(cfr. 13,14).
Ma in tempi recenti da pi parti si tentato di rivedere, ed anticipare, la
datazione dei Vangeli, e in specie del Vangelo di Marco, sulla base di alcuni
argomenti: la scoperta di papiri presunti di Mt e Mc che sarebbero anteriori al
68; l'ipotesi che Mt e Mc siano traduzioni di Vangeli precedenti scritti in
ebraico.
Per quanto riguarda la scoperta di papiri, abbiamo avuto negli anni '70
gli studi di J. O' Callaghan su un frammento papiraceo rinvenuto in una grotta
di Qumran (scoperta nel 1947), la settima grotta (donde la sigla di 7Q5 per il
frammento): lo studioso arriv ad identificare il passo riportato (in tutto
neanche una ventina di lettere disposte su cinque righe) con Mc 6,52-53 34 e, in
base al fatto che la grotta dovrebbe essere stata chiusa nel 68 (nel periodo della
guerra giudaica), suppose che il Vangelo di Marco fosse stato composto
anteriormente. Anzi, la forma della scrittura, attestata in altri documenti
databili tra il 50 a.C. e il 50 d.C., induceva ad anticipare a prima del 50. Fece
molto scalpore questa datazione, che contraddiceva l'opinione dominante, ma
anche il fatto che in queste grotte, dove si sono trovati scritti giudaici e
veterotestamentari, e che sono state collegate con una comunit essena,
risultasse presente uno scritto cristiano. Se ne discusse molto e ancora se ne
discute.
Contro queste ipotesi sono per state sollevate obiezioni, che mettono in
dubbio sia l'identificazione stessa del frammento 7Q5 col passo di Mc (sono
molto poche le lettere di lettura sicura, quasi soltanto kaiv, trasl. ki, "e"), sia la
datazione della scrittura (potrebbe essere stata usata anche dopo il 50), sia il
fatto che la grotta sia stata effettivamente chiusa nel 68 e non pi utilizzata:
esistono indizi di una sua utilizzazione posteriore, e inoltre questa grotta
presenta troppe peculiarit rispetto alle altre: contiene solo frammenti greci,
mentre tutte le altre contengono testi in ebraico.35
Si pu anche menzionare le tesi di J. Carmignac, che rivaluta le
testimonianze antiche, in particolare quella di Papia. Nel suo studio del 1984 su
34

Si veda in allegato (All. 8) la fotocopia della p. 35 del manuale di A. Passoni dell'Acqua, Il


testo del NT, Leumann (To), LDC, 1994, dove viene riprodotto, in trascrizione, il testo del
frammento e a fianco la ricostruzione del passo di Mc.
35
Per una breve rassegna dei problemi e delle soluzioni intorno a 7Q5 cfr. G. Ghiberti, Marco a
Qumran?, in Parole di vita 37 (1992), n.2, pp.126-132. Per una critica delle tesi di Thiede cfr. G.
Ravasi, Matteo fu davvero testimone oculare?, in Il Sole 24 ore. Domenica 2.6.1996, p.21.
Sull'argomento si veda inoltre la recente raccolta di studi dedicata appunto a "Il Vangelo di
Marco e Qumran" in Marco e il suo Vangelo. Atti del Convegno internazionale di studi "Il vangelo di
Marco". Venezia, 30-31 maggio 1995, a cura di L. Cilia, Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo,
1997, pp.117-156, con contributi di J. O'Callaghan, C.P. Thiede, G. Ghiberti, J. Carrn e J.G.
Nez.

27
La nascita dei Vangeli sinottici, 36 egli arriva alle seguenti conclusioni (pp.103104):
- certo che Marco, Matteo e i documenti utilizzati da Luca sono stati redatti in
una lingua semitica (probabilmente l'ebraico e non l'aramaico);
- molto probabile che il nostro Vangelo di Marco sia stato composto in lingua
semitica dall'apostolo Pietro;37
- possibile che l'apostolo Matteo abbia redatto una raccolta di discorsi
utilizzata dagli evangelisti Matteo e Luca;
- la redazione greca del Vangelo di Luca verosimilmente da collocare intorno
al 58-60, quella semitica di Matteo nello stesso periodo, quella semitica di
Marco intorno al 50;
- ma, se si pu riferire a Luca (come fanno alcuni antichi) l'accenno di 2 Cor
8,18-19 al "fratello, la cui lode, a motivo del vangelo, diffusa in tutte le chiese"
e che viene designato ad accompagnare Paolo nel suo viaggio, intendendo che
Paolo pensi al Vangelo scritto, e non solo a quello predicato, allora la redazione
di Luca risalirebbe al 50-53, 38 e l vicino quella definitiva di Matteo, mentre il
Marco semitico si collocherebbe nel 42-45;
- il Vangelo semitico di Pietro sarebbe stato tradotto in greco da Marco, a Roma,
verso il 63 (Carmignac interpreta in questo modo la notizia di Papia sopra
analizzata);
- verosimile che il traduttore greco di Mt abbia utilizzato Lc.
Ma tutte queste ipotesi non hanno finora potuto scalzare le tesi pi
tradizionali e rimangono pure ipotesi. Una confutazione sistematica di queste
tesi, con rilettura di tutta la documentazione, stata elaborata da P. Grelot e
pubblicata in italiano nel 1989.39
2.1.1.4. Altri aspetti dell'Analisi storica: problemi storici e linguistici
L'Analisi storica indaga inoltre questioni che riguardano la storicit di
fatti, luoghi e personaggi menzionati nel Vangeli, a partire dalla questione del
"Ges storico", ossia di quanto si pu ritenere pi attendibile tra le notizie che
vengono riportate su di lui. 40 In particolare si confrontano i dati relativi al
36

J. Carmignac, La nascita dei Vangeli sinottici, tr. it., Milano, Ed. Paoline, 1986 (ed.orig. Paris
1984), in particolare pp. 61 ss.
37
A proposito dei Vangeli di Mt e Mc Carmignac (insieme ad altri) utilizza la presenza di
semitismi, ossia di costrutti che non appartengono alla lingua greca, ma risentono della
struttura della lingua ebraica, per dedurne l'ipotesi che si tratti di traduzioni dall'ebraico o
dell'aramaico. Ma la presenza dei semitismi pu essere spiegata anche in altri modi: come
traccia del fatto che l'autore ha l'aramaico come lingua madre; come risultato di una cosciente
imitazione dello stile della traduzione dei Settanta, che ricalca volutamente l'ebraico, per fedelt
al testo sacro.
38
La II Lettera ai Corinzi dovrebbe essere stata composta verso il 57. Tutte le lettere autentiche
(e 1 Cor tra queste) sono databili tra il 50 e il 58.
39
P. Grelot, L'origine dei Vangeli. Controversia con J. Carmignac, Citt del Vaticano, Libreria ed.
Vaticana, 1989.
40
Su tale questione, tra gli studi pi recenti si possono citare: G. Theissen, Il Ges storico. Un
manuale, tr. it., Brescia, Queriniana, 1999 (ed. orig. Gttingen 19992); G. Barbaglio, Ges ebreo di

28
racconto della passione che vengono riportati da Marco e dagli altri due
sinottici (Matteo e Luca), con quelli, discordanti, riportati da Giovanni: noto
che secondo i primi Ges sarebbe morto il giorno della Pasqua ebraica, mentre
secondo Giovanni alla vigilia. Anche l'esposizione marciana dei processi nel
sinedrio e davanti a Pilato solleva numerose difficolt dal punto di vista storico.
Il Vangelo di Marco, insieme agli altri due sinottici, viene ampiamente
utilizzato per ricostruire il contesto giudaico a cui Ges apparteneva e in cui ha
operato. Certamente questo metodo spinge a informarsi adeguatamente per
capire i numerosi riferimenti a istituzioni giudaiche contenute nel Vangelo.
Ad es., in Mc 7,11-12, all'interno della polemica con scribi e farisei sul
puro e sull'impuro, Ges osserva: "Voi andate dicendo: Se qualcuno dice al
padre o alla madre: 'Quanto tu potresti avere come sostegno da me sia invece
qorban', vale a dire, dedicato a Dio, non concedete loro alcuna possibilit di fare
alcunch per il padre e la madre". Ma a quale usanza fa riferimento? Quale
logica sta dietro queste espressioni? Per capire il ritratto che Mc fa di Ges e del
suo comportamento qui, occorre prendere in considerazione tali questioni e
altre analoghe.41 Qorban una formula di giuramento con cui un individuo,
secondo un'istituzione giudaica, dichiarava dono sacro a Dio un bene di sua
propriet, e in questo modo lo sottraeva al diritto di usufrutto che avevano i
suoi genitori; poteva dar luogo ad abusi per aggirare l'obbligo di assistenza nei
loro confronti.
La Critica storica si talora inaridita nella ricerca della documentazione,
delle fonti e delle circostanze storiche, trascurando il messaggio teologico. Va
quindi utilizzata senza perdere di vista l'obiettivo che quello di spiegare il
testo.
Molti e minuziosi sono gli studi sulla lingua usata da Marco, con le sue
peculiarit, a cui gi abbiamo accennato: latinismi, semitismi. Vengono rilevate
e classificate tutte le particolarit: ad es., riconosciuta la preferenza di questo
evangelista per una lingua vicina a quella parlata, con prevalenza della
paratassi ("e...e...e") rispetto alla subordinazione, del presente storico rispetto ai
tempi del passato, con frequenti ripetizioni di vocaboli generici
("dice...dice...dice", "allora...allora", "subito"), uso di pronomi al posto dei nomi
propri od omissione del soggetto, uso di diminutivi, ecc.
2.1.1.5. Un esempio di applicazione dell'Analisi storica:
la chiamata di Levi e il banchetto coi pubblicani(Mc 2,13-17)
Nell'episodio della chiamata di Levi (Mc 2,13-17: si veda l'All. 9) Ges
chiama al suo seguito un pubblicano e successivamente, partecipando a un
banchetto insieme a numerosi pubblicani e peccatori, viene attaccato da alcuni
scribi dei farisei. Le nozioni che devono essere tenute presenti riguardano, da
una parte, il discredito che colpiva nella societ giudaica i pubblicani, ovvero
Galilea. Indagine storica, Bologna, EDB, 2002.
41
Cfr. Brown, Introduzione al NT, cit., pp. 57, 75 ss.

29
gli esattori delle imposte, da una parte, e le posizioni dei farisei e degli scribi,
che facevano invece parte delle autorit religiose, dall'altra, nonch le
concezioni sul puro e sull'impuro che regolavano la vita del pio giudeo e i suoi
rapporti con gli altri.
I "pubblicani" erano malvisti, non solo perch, avendo appaltato la
riscossione delle imposte, tendevano ad approfittarne a proprio vantaggio, e
quindi potevano essere considerati degli strozzini e dei ladri, ma anche perch,
per i loro contatti con monete e persone non giudee, erano pi facilmente
"impuri". Anche la categoria dei "peccatori" comprendeva tutti coloro che non
erano osservanti della Legge e delle norme di purit. Viceversa, gli scribi erano
gli esperti e i tutori della Legge e i farisei si atteggiavano a giudei
particolarmente rigorosi nell'osservanza. La condivisione della mensa era un
momento molto delicato e foriero di discriminazioni, proprio perch esistevano
norme precise sui cibi puri e impuri e sulla necessit di praticare i precetti di
purificazione prima di andare a tavola (cfr. Mc 7,2-5): chi aveva contatti con
persone impure si contaminava automaticamente. Per rendersi meglio conto
dell'importanza della questione, che perdurata anche nella comunit cristiana
primitiva, si tenga presente l'episodio del centurione Cornelio negli Atti degli
apostoli, capp. 10-11, dove sorgono problemi e polemiche a proposito del fatto
che un cristiano di origine giudaica (nel caso specifico l'apostolo Pietro) fosse
entrato in casa di pagani e avesse mangiato con loro.
Bisogna per evitare eccessi di erudizione in cui talora incorrono gli studiosi, i quali si
concentrano su singole questioni, dimenticando che lo scopo principale di queste indagini
quello di fornire elementi utili alla comprensione del testo. Nel caso del brano in oggetto, ad
esempio, il commento di Taylor dedica ampio spazio al problema dell'identificazione di "Levi,
figlio di Alfeo" e del suo rapporto con gli apostoli; al significato e all'uso dei termini aJmartwlov",
trasl. hamartols, "peccatore", e maqhthv", trasl. mathets, "discepolo"; alla spiegazione di chi
fossero i farisei (compresa l'etimologia del termine). Ancora pi ridondante, quando non
farraginoso, il commento di Uricchio e Stano, che, oltre a tutte queste cose, si preoccupano
anche di precisare in quale luogo potrebbe essere avvenuto l'incontro con Levi; per quanto
riguarda il patronimico "figlio di Alfeo", cercano quale potrebbe essere il corrispondente
ebraico di Alfeo; ecc.

2.1.2. La Critica delle fonti e la priorit di Marco rispetto agli altri Vangeli
La fortuna del Vangelo di Marco, almeno in rapporto alle opinioni che
sono prevalse a partire dal IV sec., e in specie da Agostino, si rovesciata a
partire dal XIX secolo, da quando cio la critica moderna ha aderito alla tesi
della priorit cronologica di questo Vangelo rispetto agli altri.
Ha spinto a questa conclusione il confronto tra i quattro Vangeli, da cui
emergono immediatamente la differenza tra quello di Giovanni, ritenuto gi
nell'antichit pi tardo rispetto agli altri, e le somiglianze pi strette tra gli altri
Vangeli, detti sinottici, perch, posti su colonne parallele, mostrano di poter
essere abbracciati in una visione di insieme (synopsis). Accanto alle somiglianze
il confronto consente di riconoscere che tra Matteo, Marco e Luca esistono
anche differenze. In comune hanno uno schema di base che va dal racconto del

30
battesimo di Ges fino alla tomba vuota e che comprende una prima fase di
attivit missionaria (predicazione, miracoli, dispute) in Galilea, seguita da
spostamenti fuori dalla Galilea e quindi dal viaggio verso Gerusalemme in
occasione della Pasqua; si conclude col racconto della passione. Numerose sono
le somiglianze anche in singole sezioni e singoli episodi, accanto a differenze.
Il Vangelo di Marco risulta il pi breve (solo 661 versetti, escludendo
16,9-20 che rappresentano una finale non autentica, come vedremo) e ha solo
una trentina di versetti senza paralleli negli altri due: la parabola del seme che
cresce da s (4,26-29), la guarigione del sordomuto (7,31-37), la guarigione del
cieco di Betsaida (8,22-26), la scena del giovinetto che fugge nudo al momento
dell'arresto (14,51-52), e poco altro. I Vangeli di Matteo e Luca sono ben pi
estesi: 1068 versetti Matteo, 1149 Luca. Sia in Matteo sia in Luca buona parte del
testo trova riscontro in Marco (600 versetti circa in Matteo, 314 in Luca): come si
vede, le coincidenze sono pi strette tra Matteo e Marco (e questo aveva fatto
pensare agli antichi che Marco fosse un riassunto di Matteo). Matteo e Luca
hanno poi anche 230-240 versetti in comune tra loro, tra cui soprattutto
parabole e vari discorsi, oltre a materiali propri a ciascuno. Per quanto riguarda
le parti comuni con Marco si riscontrano sia modi differenti, tra Matteo e Luca,
di inserimento dei materiali marciani nella struttura del proprio Vangelo, sia
tutta una serie di variazioni.
In un confronto pi serrato, si incominciato a notare che le differenze
tra questi Vangeli risultavano minori se si mettevano in parallelo
separatamente Marco con Matteo e Marco con Luca. Ogni volta si potevano
riconoscere indizi di una dipendenza di Matteo o di Luca rispetto a Marco
piuttosto che viceversa: miglioramenti stilistici, spiegazioni e ampliamenti di
passi oscuri, omissioni di particolari, inserzioni di nuovi materiali. Quella che si
costituita in due secoli come la "questione sinottica", al di l delle numerose e
complesse proposte formulate, ha a lungo trovato una soluzione soddisfacente
nella cosiddetta "teoria delle due fonti", ipotesi in base alla quale Matteo e Luca
avrebbero utilizzato - l'uno indipendentemente dall'altro -, per la parte di
materiale comune, il Vangelo di Marco, soprattutto per quanto riguarda i
racconti, e, per quanto riguarda invece i discorsi (che mancano in Marco), una
fonte Q (Q dal termine tedesco Quelle, che significa appunto "fonte"),
contenente soltanto detti e che non ci pervenuta. Marco non avrebbe
conosciuto questa fonte Q.
La teoria si pu schematizzare cos:
Mc

Altre fonti

Altre fonti
Mt

Lc

Anche gli sviluppi ulteriori della questione, che hanno ritenuto


insufficiente la soluzione delle due fonti e che hanno postulato un pi

31
complesso e reciproco rapporto tra i Vangeli al livello di redazioni antecedenti
(per cui anche Marco potrebbe aver avuto conoscenza di strati antecedenti degli
altri Vangeli),42 non hanno smantellato l'idea che nella forma attuale questo
Vangelo sia il pi antico rispetto agli altri.
Di conseguenza, le ricerche hanno privilegiato il Vangelo di Marco e si
sono concentrate sul tentativo di distinguere in questo Vangelo le fonti usate, le
stratificazioni intervenute nella sua elaborazione, eventuali redazioni
successive, sempre allo scopo di isolare le parti pi antiche e pi vicine alle
origini, quindi storicamente pi fondate. Gli sforzi pi accaniti sono stati rivolti
alla ricerca di un Vangelo di Marco primitivo (in tedesco Ur-Markus), quello
(forse identificabile con la predicazione di Pietro), da cui Marco avrebbe attinto
e che avrebbe o integrato o ridotto. Accanto a questo tentativo, e spesso a suo
completamento, si cercato talora di riconoscere tracce di una o pi redazioni
successive, attribuibili al medesimo Marco o ad altri, si cercato cio di
ripercorrere le varie fasi di composizione del Vangelo. In genere per non si
arrivati ad esiti positivi e accettabili su tali questioni, dato il carattere sempre
ipotetico, spesso arbitrario, delle proposte e la discordanza tra esse. Mancano
conferme nella tradizione manoscritta, nella documentazione esterna e nello
stile di Marco.
Invece il confronto tra i paralleli sinottici sempre utile e disponiamo di
"Sinossi", sia in greco sia in italiano, che facilitano il compito di analizzare i
rapporti reciproci.
2.1.2.1. Un esempio di applicazione della Critica delle fonti:
La chiamata di Levi e il banchetto coi pubblicani
(Mt 9,9-13; Mc 2,13-17; Lc 5,27-32) 43.
Traduzione dei brani 44:
Mt 9

Mc 2

9 Andando via di l, Ges vi- 13 Usc di nuovo lungo il


de un uomo, chiamato Matmare; e tutta la folla veniteo, seduto al banco delle imva a lui e li ammaestrava.
poste e gli dice: "Seguimi".
14 Nel passare, vide Levi,
il figlio di Alfeo, seduto
al banco delle imposte e
42

Lc 5
27 E dopo ci egli usc e vide un pubblicano
di nome Levi seduto
al banco delle,
e gli disse: "Seguimi".
28 E, lasciando tutto, si

Costituisce un problema il fatto che alcuni passi di Mc sembrano fondere i paralleli di Mt e


Lc: cfr. la doppia notazione cronologica di Mc 1,32 ("venuta la sera, quando tramont il sole"),
che risulta una combinazione di Mt 8,16 ("venuta la sera") e Lc 4,40 ("mentre tramontava il
sole"). Abbiamo anche casi in cui Mt e Lc concordano contro Mc in passi in cui dipendono da
Mc.
43
Cfr. Zimmermann, Metodologia, pp.74-88; 157-160; 208.
44
I testi sono presentati sinotticamente (in italiano e in greco) nelle tavola allegate (All. 9 e 9
bis). Vengono usate le Sinossi di K. Aland (in greco) e di A. Poppi (in italiano). La Sinossi di
Poppi gi evidenzia graficamente i fenomeni da rilevare: usa il corsivo per le parti comuni a
due o tre Vangeli, il tondo per le parti proprie a ciascuno, il maiuscoletto per sottolineare le
concordanze tra Matteo e Luca contro Marco.

32
E si alz e lo segu.
10 E avvenne che, mentre
egli sedeva a mensa in casa,
sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a
mensa insieme a Ges e ai
suoi discepoli.
11 E vedendo ci i farisei
dicevano ai suoi discepoli:
"Perch il vostro maestro
mangia con i pubblicani e i
peccatori?".
12 Egli ud e disse: "Non sono i forti che hanno bisogno
del medico, ma i malati. 13
Andate a imparare che cosa
significa: Voglio misericordia
e non sacrifici (Osea 6,6).
Infatti non sono venuto
per chiamare i giusti ma i
peccatori".

gli dice: "Seguimi". E si


alz e lo segu.
15 E accade che egli sedesse a mensa in casa di lui,
e molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme a Ges e ai suoi discepoli: infatti erano molti
e lo seguivano.
16 E gli scribi dei farisei
vedendo che mangiava
con i peccatori e i pubblicani dicevano ai suoi discepoli: "Mangia con i
pubblicani e i peccatori".
17 E Ges ud e dice loro:
"Non sono i forti che hanno
bisogno del medico, ma i
malati.
Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori".

alz e lo seguiva..
29 E Levi gli prepar
un grande banchetto in
casa sua e c'era una gran
folla di pubblicani e di
altra gente che sedeva a
mensa con loro.
30 E i farisei e i loro scribi mormoravano con i
suoi discepoli dicendo:
"Perch mangiate e bevete con i pubblicani e i
peccatori?".
31 E Ges rispondendo
disse loro: "Non sono i
sani che hanno bisogno
del medico, ma i malati.
32 Non sono venuto per
chiamare i giusti, ma i
peccatori perch si
vertano".

con-

La critica delle fonti o della tradizione cerca di stabilire attraverso il


confronto sistematico dei Vangeli, versetto per versetto, parola per parola, se
esistano rapporti di dipendenza tra i testi e quale testo costituisca la fonte
dell'altro. Se possibile accertare concordanze molto strette, letterali, si pu
ipotizzare un contatto diretto tra i testi, mentre le differenze servono a
individuare quale testo sia stato usato come modello e chi abbia corretto e
perch.
Si pu pensare che un testo dipenda da un altro
- quando vi apporta miglioramenti stilistici (nella scelta dei termini, del tempo
dei verbi, della costruzione del periodo);
- quando abbrevia omettendo particolari oscuri o difficili o ripetizioni;
- ma anche quando amplia introducendo elementi conformi al proprio punto di
vista (commenti, citazioni scritturali, ecc.);
- quando collega meglio i brani;
- quando fornisce chiarimenti, ecc.
Confronto tra Mt e Mc
E' possibile constatare che esistono, tra Matteo e Marco, numerose
concordanze di termini, espressioni e frasi in tutti i versetti, concordanze che
inducono a supporre l'esistenza di una tradizione comune. Ma quanto
all'esistenza di un rapporto di dipendenza di Matteo rispetto a Marco, non tutti
gli studiosi sono d'accordo: viene considerato un impedimento, in questo senso,
la differenza del nome del personaggio (Matteo in Mt e Levi in Mc) e c' anche

33
chi pensa ad una derivazione autonoma di ciascuno dei due da una tradizione
orale.
Tuttavia l'analisi precisa del tipo di concordanze, induce i pi a ritenere
che non possano essere casuali, che implichino cio un rapporto testuale.
Significativi sono in particolare:
- l'uso di termini e nessi che compaiono solo qui in tutto il Nuovo Testamento:
telwvnion, trasl. telnion, "banco delle imposte", ijscuvonte", trasl. ischontes, "che
sono forti, sani"; l'espressione telw~nai kai; aJmartwloiv, trasl. telnioi ki
hamartoli, "pubblicani e peccatori" (si trova solo qui in Mt e Mc);
- l'uso di tempi, modi e costrutti, che avrebbero potuto essere diversi: ad es., in
Mt 9,9 e Mc 2,14 kai; levgei aujtw/~, trasl. ki lghei aut, "e gli dice" (Lc ha eij~pen,
trasl. ipen, "disse"); in Mt 9,11 e Mc 2,16 ejvlegon, trasl. legon, "dicevano", + dat.
(Lc ha ejgovgguzon, trasl. egnguzon, "mormoravano", con pro;", trasl. pros, "verso,
nei confronti di", + acc.);
- l'identit di intere frasi in Mt 9,12; Mc 2,17 (ouj creivan ejvcousin..., trasl. ou
chrian chusin, "non hanno bisogno") e Mt 9,13; Mc 2,17 (oujk hj~lqon..., trasl. ouk
lthon, "non sono venuto").
Ma numerose sono anche le differenze e consentono di specificare quale
dei due testi sia la fonte dell'altro. E' possibile cio riconoscere che Matteo ad
essere intervenuto sul testo di Marco correggendolo. I mutamenti principali
sono:
- miglioramenti stilistici: ad es., in 9,10, Mt introduce un genitivo assoluto
(tradotto con "mentre egli era a tavola...") al posto dell'infinito katakei~sqai,
trasl. katakistai, "trovarsi a tavola" di Marco 2,15 (tradotto con "che egli si
trovasse a tavola"): usa quindi una costruzione pi classica al posto di una pi
difficile e dura. Introduce nel medesimo versetto un ijdouv, trasl. ido, "ecco", per
mettere in rilievo la dichiarazione successiva, secondo un uso che gli familiare
(ijdouv compare 62 volte in Mt contro 7 volte in Mc). Soprattutto notevole il
fatto che, mentre Mc in 2,17 usa la congiunzione paratattica kaiv, trasl. ki, "e",
Mt in 9,12 la sostituisce con il dev, trasl. de, particella usata comunemente nella
lingua greca con valore avversativo ("ma") o continuativo ("poi"): anche questo
caratteristico: Mt usa dev 491 volte contro 160 di Mc, mentre il kaiv prediletto
da Mc, che lo usa pi di 400 volte, evitato da Mt che se ne serve solo 250 volte.
Anche la sostituzione in Mt 9,12 di eij~pen, trasl. ipen, "disse", al levgei, trasl.
lghei, "dice", di Mc 2,17 un miglioramento stilistico che corrisponde a un
procedimento consueto in Mt. In Mt 9,11 l' oJvJti, trasl. hoti, di Mc 2,16 (particella
che si usa normalmente con valore dichiarativo o causale e qui forse ha valore
interrogativo "45) viene mutato nella forma interrogativa pi normale dia; tiv,
trasl. di t, "perch?". Il personaggio incontrato da Ges viene prima definito
genericamente ajvnqrwpo", trasl. nthropos, "uomo", poi denominato (9,9);
- chiarimenti: in 9,9 Mt nomina esplicitamente il soggetto "Ges"; anche in 9,11
viene introdotto il soggetto: oJ didavskalo" uJmw~n ("il vostro maestro");
45

La costruzione di Mc risulta ambigua e si pu notare che gi la tradizione manoscritta


corregge.

34
- abbreviazioni e aggiustamenti: Mt in 9,9 omette la scena introduttiva di Mc
2,13 e introduce un ejkei~qen, trasl. ekithen, "di l", per collegare l'episodio pi
strettamente con l'episodio precedente (guarigione del paralitico); in 9,11 dopo
"vedendo" omette la dichiarativa di Mc 2,16 ("che mangiava con i peccatori e i
pubblicani"), che risulta una ripetizione rispetto alla frase successiva.
Probabilmente anche l'omissione, in Mt 9,10, della frase di Mc 2,15: "erano
infatti molti e lo seguivano" dovuta all'intento di evitare una ripetizione (era
gi stato detto che "i pubblicani e i peccatori" erano "molti"). Mt semplifica in
9,11 l'espressione non del tutto chiara di Mc 2,17 "gli scribi dei farisei" (in Mc si
trova solo qui: gi la tradizione manoscritta corregge) in "i farisei";
- modificazioni interpretative: il personaggio chiamato Matteo invece che Levi
(9,9) per farlo coincidere con uno dei dodici apostoli, di cui si dice
esplicitamente in 10,3 che era telwvnh", trasl. telnes, "gabelliere". E' questo un
caso che mostra pi chiaramente il rapporto di dipendenza di Matteo da Marco,
perch l'inverso - una correzione di Matteo in Levi - risulta molto pi difficile
da spiegare: Levi non compare altrove nel Vangelo e non avrebbe senso
sostituirlo a un personaggio noto e importante;
- sviluppi teologici: il pi importante, e caratteristico di Matteo, l'introduzione
in 9,13 della citazione della Scrittura (qui Osea 6,6), che assume una funzione
centrale e perci la conclusione subordinata ad essa con un gavr, trasl. gar,
"infatti, perch". Naturalmente anche molti degli altri cambiamenti possono
avere un valore teologico.
Se ne conclude che probabile che il testo di Mc sia stato la fonte di Mt
per le numerose e strette somiglianze, cos come chiaro che Mt intervenuto
sul testo di Mc per migliorarlo, chiarirlo e integrarlo, in funzione della propria
prospettiva teologica. L'inverso (che sia stato Mc a usare e modificare Mt)
appare molto meno probabile.
Confronto tra Lc e Mc
Le concordanze tra Luca e Marco sono molto inferiori a quelle tra Matteo
e Marco, tuttavia permettono di pensare a un rapporto di dipendenza letteraria,
dato che esistono molte somiglianze puntuali di termini ed espressioni:
nell'ordine:
- Lc 5,27 e Mc 2,13-14a: coincidono ejxh~lqen, trasl. exlthen, "usc"; il nome Levi;
l'espressione che lo qualifica ("seduto al banco delle imposte"); il comando di
Ges (ajkolouvqei moi, trasl. akolothei moi, "seguimi");
- Lc 5,28 e Mc 2,14b: comune l'espressione che descrive la reazione di Levi:
ajnasta;"..., trasl. anasts, "alzatosi";
- Lc 5,29 e Mc 2,15: in entrambi c' "nella sua casa";
- Lc 5,30 e Mc 2,16: particolarmente significativa l'identit del nesso telwnw~n
kai; aJmartwlw~n, trasl. telonn ki hamartoln, "pubblicani e peccatori", perch
Luca non aveva menzionato i "peccatori" in 5,29 (aveva scritto: "pubblicani e
altri");
- Lc 5,31-32 e Mc 2,17: c' identit quasi completa nei detti di Ges riportati.

35
Risulta piuttosto evidente dalle differenze che il testo che dipende
dall'altro quello di Luca, che per lo pi corregge e rielabora. I cambiamenti
sono:
- miglioramenti stilistici: Lc evita il presente storico e sostituisce il "dice" di Mc
con "disse", in 5,27 e 31; in 5,31 aggiunge "rispondendo"; due volte (5,30 e 31)
preferisce al dativo, dopo verbi di dire, il pro;", trasl. pros, "verso, nei confronti
di, a",+ acc. Come Mt, sostituisce in 5,30 l'oJvti di Mc 2,16 con dia; tiv, trasl. di t,
"perch...?". Potrebbero essere miglioramenti stilistici anche l'uso, in 5,30, di
"mormoravano (ejgovgguzon) dicendo" al posto del pi banale "dicevano" di
Mc2,16 e il cambiamento, in 5,31, del participio ijscuvonte", trasl. ischontes, "che
sono forti" (tradotto con "sani") usato da Mc 2,17, in uJgiaivnonte", trasl.
hyghiinontes, "che sono sani".
- una chiarificazione, rispetto all'insolita definizione di Mc 2,16 ("gli scribi dei
farisei"), il nesso, in Lc 5,30, "i farisei e gli scribi";
- abbreviazioni con omissione di particolari secondari o ripetitivi (come in Mt):
si veda in 5,29 l'omissione di "erano infatti molti..." di Mc 2,15 e in 5,30
l'omissione di "che mangia con i peccatori e i pubblicani" di Mc 2,16.
L'omissione in 5,27 della qualificazione di "figlio di Alfeo" attribuita a Levi
risolve una difficolt: nel catalogo degli apostoli Mc 3,18 (ripreso da Lc 6,15) si
parla di un Giacomo figlio di Alfeo, mentre non si sa nulla di un Levi figlio di
Alfeo: 46) Lc ne fa un personaggio pi generico e perci pi esemplare;
- collegamenti pi precisi: come Mt, Lc collega pi strettamente l'episodio col
precedente (guarigione del paralitico) con l'espressione "dopo queste cose";
omette perci anche il primo versetto di Mc, 2,13 (il cui contenuto del resto Lc
aveva gi presentato in 5,1); ma anche all'interno dell'episodio collega pi
strettamente la chiamata alla sequela al banchetto spiegando che Levi a
organizzare il banchetto (5,29), mentre in Mc, e Mt, la situazione risulta non del
tutto chiara: di chi era la casa? Da Mc potrebbe sembrare che fosse quella di
Ges stesso;
- modificazioni e sviluppi teologici: tra i pi significativi c' l'aggiunta, in 5,28,
di "lasciando tutto", che accentua il valore esemplare del gesto, e l'aggiunta, in
5,32, di eij" metavnoian, trasl. eis metnoian,"per la conversione", che specifica e
delimita il valore dell'invito subordinandolo, appunto, alla conversione. Ma
interessanti, e da considerare in questa prospettiva, sono anche altre correzioni:
il rimprovero dei farisei si rivolge in Lc 5,30 ai discepoli e non pi a Ges
direttamente; il fatto che sia Levi, e sicuramente non Ges, l'ospitante, attenua
l'aspetto scandaloso dell'invito rivolto a pubblicani e peccatori, ecc.
2.1.2.2. Conclusione
Anche per Luca vale quanto gi si detto per Matteo: deve aver avuto a
disposizione un testo che quello di Mc o uno a lui molto vicino e deve averlo

46

Si noti che gi la tradizione manoscritta denuncia la difficolt: una parte di questa tradizione
sostituisce appunto a "Levi" "Giacomo".

36
modificato in vista di una maggiore precisione ed efficacia, nonch per mettere
in evidenza concetti a lui cari.
In tutti e due i casi possibile accertare che il racconto di Marco risulta
pi oscuro e primitivo rispetto a quelli di Matteo e di Luca, i quali risultano
dipendere da Marco e correggerlo. Questo almeno si pu dire secondo la "teoria
delle due fonti". 47
Si tenga per conto che, secondo altre ipotesi sinottiche, possibile che i
rapporti tra i Vangeli non siano stati diretti, ma che ci siano state gi fonti
scritte antecedenti a Marco, oppure che Matteo e Luca abbiano conosciuto una
redazione di Marco diversa, almeno parzialmente, dall'attuale, ecc. Le
osservazioni precedenti mantengono il loro valore, purch non le si leghi
rigidamente all'opinione che Matteo e Luca avessero di fronte esattamente
questo testo di Marco.
Il lavoro di confronto che stato fatto per questo brano deve essere
ripetuto anche per gli altri, in modo da poter convalidare le conclusioni a cui si
giunti.

2.1.3. La Storia delle forme e i materiali utilizzati da Marco


La critica del '900 ha poi sviluppato, sempre nell'ambito dello studio
sulla storia antecendente alla redazione ultima e definitiva del Vangelo, due
metodologie particolari, denominate alla tedesca (perch tedeschi sono stati i
promotori) Formgeschichte, ossia "Storia delle forme", e Redaktionsgeschichte,
ossia "Storia della redazione".
La "Storia delle forme", che fa capo agli studi di M. Dibelius (1919) e R.
Bultmann (1921) 48, si interessata della formazione e della trasmissione dei
materiali confluiti nei Vangeli. E' partita dalla constatazione che si possono
riconoscere nei testi attuali dei Vangeli piccole unit letterarie o "percopi" (=
passi che si possono ritagliare), contraddistinte da indizi formali formali e/o
contenutistici: formule introduttive ("dopo questo", "allora", "in quel tempo,
ecc.), cambiamenti di luogo, tempo, personaggi, azioni, ecc.; talora questi brani
si ritrovano in pi Vangeli, in collocazioni diverse. L'ipotesi di fondo che
queste unit letterarie o "forme" abbiano avuto in origine una storia autonoma
che si pu ripercorrere.
La Storia delle forme ha quindi studiato ognuna di queste unit letterarie
cercando di classificarla, con risultati invero non concordi e non sempre chiari,
e poi di ricostruirne la forma originaria, eliminando gli elementi che, anche
attraverso il confronto con i paralleli, risultino essere delle aggiunte; quindi ha
47

Mt e Lc potrebbero aver operato ciascuno in modo indipendente: l'unico accordo tra loro che
li differenzia da Mc il mutamento della forma del "perch?: di t invece che hoti, ma potrebbe
essere casuale, dato che di ti la forma pi comune in greco.
48
M. Dibelius, Die Formgeschichte des Evangeliums (La Storia delle forme del Vangelo), Tbingen
1919, 19665; R. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition (La storia della tradizione
sinottica), Gttingen 1921, 19615, Ergnzungsheft 19623.

37
tentato di individuare il suo significato e la sua funzione nella situazione in cui
fu elaborata (Sitz im Leben, "collocazione nel contesto vitale") e anche la sua
storia successiva con gli adattamenti e le modificazioni legate a nuove
situazioni e nuovi bisogni della comunit cristiana.
Per quanto riguarda la classificazione 49, le forme sono state distinte
innanzitutto in due categorie: quella delle "parole" e quella della "storia" o dei
"racconti".
Le parole si possono raggruppare essenzialmente in
- detti profetici: ad es., Mc 13,2 (cfr. Mt 24,2); Lc 21,6): "Non sar lasciata qui
pietra su pietra che non sia distrutta"; Mc 13,30 (cfr. Mt 24,34; Lc 21,32): "In
verit vi dico: non passer questa generazione prima che tutte queste cose siano
avvenute";
- detti sapienziali: ad es. Mc 6,4 (cfr. Mt 13,57; Lc 4,24): "Non c' profeta
disprezzato se non nella sua patria, fra i suoi parenti e nella sua casa");
- detti-io o detti cristologici: sono per lo pi introdotti da formule come h|lqon,
trasl. lthon, "sono venuto", o oujk h|lqon, trasl. ouk lthon, "non sono venuto":
ad es. Mc 2,17: "Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori"; ma
talora hanno come soggetto "il Figlio dell'uomo": ad es. Mc 10,45 (cfr. Mt 20,28):
"Il figlio dell'uomo infatti non venuto per essere servito, ma per servire...", ecc.
- precetti: ad es. Mc 10,11 (cfr. Mt 5,32; 19,9; Lc 16,18): "Chi ripudia la propria
moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei...");
- parabole: 50 sono spesso introdotte da wJ", wJvsper, trasl. hos, hosper: ad es. Mc
4,31: "Esso - ossia il Regno - come un granellino di senapa che..."; ma anche da
espressioni generali come oujdeiv", trasl. oudis, "nessuno": ad es. Mc 2,21 (cfr. Mt
9,16): "Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio...".
Spesso si sviluppano in racconti ampi e articolati. Le parabole hanno suscitato
nell'ultimo secolo una folta serie di studi specifici, in quanto appaiono una
forma di comunicazione tipica di Ges (cfr. Mc 4,34: "non parlava se non in
parabole"), legata alla sua missione e ai suoi rapporti con i contemporanei,
soprattutto con gli avversari: stato riconosciuto che la sua funzione
caratteristica "dialogico-argomentativa". Gli studiosi cercano di distinguere il
messaggio originario delle parabole di Ges dalle interpretazioni, di tipo
allegorico, introdotte dalle comunit cristiane e di cui alcune sono state
tramandate dagli evangelisti: si veda in particolare la spiegazione della
parabola del seminatore (Mc 4,14-20 e paralleli).
Si anche ritenuto che nel corso della tradizione gruppi di detti siano gi
stati accorpati in sequenze fisse: per il Vangelo di Marco si pensa, ad es., che le
49

Cfr. Zimmermann, Metodologia, cit., pp.125-140.


Le parabole hanno suscitato nell'ultimo secolo una folta serie di studi specifici, in quanto
appaiono una forma di comunicazione tipica di Ges, legata alla sua missione e ai suoi rapporti
con i contemporanei, soprattutto con gli avversari: stato riconosciuto che la sua funzione
caratteristica "dialogico-argomentativa". Cfr. in particolare il saggio di V. Fusco, Oltre la
parabola. Introduzione alle parabole di Ges, Roma, Borla, 1983, ma anche J. Dupont, Il metodo
parabolico di Ges, Brescia, Paideia, 1990.
50

38
composizioni di detti di 9,33-50 (relativi a istruzioni ai discepoli) e 10,1-45 (sul
divorzio) e la raccolta di parabole del cap.4, preesistessero al lavoro
dell'evangelista.
Le forme dei racconti hanno presentato maggiori difficolt alla
classificazione, perch spesso si incontrano forme miste. Di fatto, i risultati di
Dibelius e Bultmann divergono molto su questo punto, e anche
successivamente non si sono trovati procedimenti uniformi.
Si pu parlare di paradigmi (secondo la denominazione di Dibelius) o
apoftegmi (secondo Bultmann), nel caso di racconti esemplari, anche di
miracoli, che hanno il loro punto focale in un detto di Ges: ad. es., gli episodi
di guarigione del paralitico, in Mc 2,1-12 (il miracolo viene compiuto per
dimostrare che il Figlio dell'uomo ha il potere di rimettere i peccati); dell'uomo
dalla mano inaridita, in Mc 3,1-6 (la guarigione viene compiuta per dimostrare
che il sabato fatto per fare il bene e per salvare vite); della spigolatura del
sabato, in Mc 2,23-28 (anche qui conta l'insegnamento di Ges sul bisogno che
giustifica violazioni della Legge); dell'unzione di Betania, in Mc 14,3-9 (il vertice
sono le parole di Ges in elogio del gesto della donna). Vengono distinte, tra i
paradigmi, le storie di chiamata (es.: Mc 1,16-20; 2,14).
E' possibile poi distinguere (secondo Zimmermann, ma n Dibelius n
Bultmann distinguevano dal gruppo precedente) le dispute (ce ne sono cinque
in Mc, tra 11,27 e 12,37: sull'autorit di Ges, sul tributo a Cesare, sulla
risurrezione, sul pi grande comandamento, sul Messia), che talora si
presentano come dialoghi dottrinali (ad es. Mc 7, 1-23: sul puro e sull'impuro);
presentano una sorta di schema fisso: un comportamento strano di Ges o dei
suoi discepoli suscita una critica degli avversari; segue la risposta di Ges, che
per lo pi 'spiazza' gli interlocutori e li zittisce.
I racconti di miracoli si distinguono dai racconti pure di miracoli, ma
classificati come paradigmi, in quanto non sono tanto orientati a evidenziare
una parola di Ges, quanto a dimostrare la sua potenza divina. Si possono
citare come esempi: la guarigione della suocera di Pietro (Mc 1,29-31); la
guarigione dell'emorroissa (Mc 5,25-34); l'esorcismo della figlia della donna
siro-fenicia (Mc 7,25-30); la guarigione del cieco di Gerico (Mc 10,46-52),ecc. Gli
episodi della trasfigurazione (Mc 9,2-10), e di Ges che cammina sulle acque del
lago (Mc 6,45-52) si possono includere in questa serie, e sono definibili pi
specificamente miracoli-epifanie (perch sono miracoli finalizzati alla
rivelazione dell'identit divina di Ges). Si possono distinguere ulteriormente
sottogeneri: guarigioni di malattie, esorcismi, miracoli sulla natura o miracolidono (moltiplicazioni di pani, tempesta sedata), ecc. Anche nel caso di racconti
di miracoli si pu rilevare la presenza di elementi fissi: descrizione di una
situazione di bisogno, richiesta a Ges di intervenire (da parte della persona
stessa o di altri per lei), pronto intervento di Ges che risolve la situazione,
constatazione degli effetti dell'intervento, stupore dei presenti. Ma ciascun
sottogenere ha caratteristiche sue. Ad es., negli esorcismi il demonio che, alla
presenza di Ges, si rivolge per primo a lui, lo riconosce e lo sfida cercando di

39
spingerlo a non intervenire ("Che c' tra me e te?"), ma inesorabilmente viene
zittito e scacciato (cfr. Mc 1,21-28; 5, 1-20).
L'individuazione dello schema di base consente poi di analizzare le
variazione introdotte nelle diverse applicazioni e di valutare la funzione di
esse: ad es., nel racconto dell'esorcismo della figlia della sirofenicia (Mc 7,25-30)
diventa qualificante il fatto che, diversamente dalla norma, qui Ges in un
primo tempo si mostra restio ad accogliere la richiesta della madre; nel racconto
dell'indemoniato epilettico (Mc 9,17-27), acquista un rilievo eccezionale il
dialogo tra Ges e il padre del ragazzo.
Una narrazione storica a parte viene considerata, in Marco, quella della
morte di Giovanni Battista (Mc 6,17-29; cfr. Mt 14,3-12), che nel suo nucleo
originario sembra quasi autonoma rispetto alla storia di Ges.
Un complesso indipendente e ben fissato nelle sue linee essenziali,
probabilmente il pi antico come composizione unitaria, la storia della
passione (Mc 14-15).
Anche per il materiale narrativo si ipotizza l'esistenza di raccolte
primitive, ma non tutti sono d'accordo sull'identificazione di queste raccolte: ad
esempio, alcuni pensano che sia esistita una raccolta premarciana di miracoli,
corrispondente all'incirca ai racconti dei capp. 4-5 (tempesta sedata, esorcismo
sull'indemoniato di Gerasa, risurrezione della figlia di Giairo, guarigione
dell'emorroissa), altri lo negano.
La Storia delle forme ricerca inoltre il Sitz im Leben (la situazione vitale)
di ciascuna delle forme individuate, nelle varie fasi della sua trasmissione, a
partire dagli inizi. Normalmente questo Sitz im Leben viene ritrovato nelle varie
circostanze della vita della comunit cristiana: predicazione, catechesi, liturgia,
polemica con avversari, ecc. Si ritiene, cio, che i singoli testi abbiano avuto
origine e siano stati usati da cristiani che svolgevano un determinato ruolo
ecclesiale, si rivolgevano a un determinato pubblico in circostanze specifiche e
per rispondere a bisogni specifici, e si cerca quindi di ricostruirli. Poich,
inoltre, la Storie delle forme pensa di poter rintracciare nei Vangeli gli indizi di
adattamenti successivi del medesimo materiale, la ricerca riguarder non un
solo Sitz im Leben , ma tanti Sitze im Leben quanti sono gli strati ricostruibili della
storia del brano. Anche ogni Vangelo ha avuto un proprio Sitz im Leben che si
pu cercare di ricostruire.
La Storia delle forme mette dunque in secondo piano l'aspetto della
storicit e si concentra sulla parte che ha avuto la comunit cristiana
nell'elaborazione della tradizione evangelica. Questo atteggiamento,
soprattutto nel modo in cui si espresso con le ricerche di Bultmann, ha
suscitato in passato perplessit e difficolt a chi pensava che fosse minacciato il
fondamento della fede. Oggi invece il metodo viene accettato comunemente e
integrato nell'analisi, senza problemi.
2.1.3.1. Un esempio di applicazione della Storia delle forme:
la chiamata di Levi e il banchetto coi pubblicani (Mc 2,13-17)

40
Dopo che il confronto sinottico ha portato come conclusione pi
probabile che sia il testo di Marco quello pi antico, l'analisi storico-formale si
concentra su di esso per identificare il materiale tradizionale che stato
utilizzato. Il Vangelo di Marco risulta quindi privilegiato in questo tipo di
ricerca, almeno in quanto offre una versione pi primitiva, meno elaborata, dei
materiali trasmessi dalla tradizione.
E per far questo, cerca, innanzitutto, di distinguerlo dagli interventi
redazionali dell'evangelista. Si suppone che siano redazionali i moduli e le
espressioni che ritornano pi frequentemente in questo Vangelo, a differenza
che negli altri; tuttavia non c' accordo tra gli studiosi nella specificazione di ci
che appartiene alla mano dell'evangelista e di ci che appartiene alla tradizione
a lui antecedente.
Nel caso presente, risulta a tutti chiaro che abbiamo due brani collegati
tra loro (il principale elemento di collegamento il riferimento ai pubblicani e
al fatto che Ges li accoglie con s), e questi brani si possono classificare,
rispettivamente, come "storia di chiamata" (9,14), un sottogenere del
paradigma, e "disputa" (9,15-17). All'interno della disputa abbiamo poi due
detti di Ges, di cui uno ha la forma del proverbio o detto sapienziale ("non
sono i sani..."), l'altro un detto-io o detto cristologico o giudizio sulla propria
missione ("non sono venuto...").
La storia di chiamata presenta strette analogie con le precedenti storie di
chiamata di 1,16-20; si veda in particolare il parallelo con 1,16-18, dove sono
narrate le chiamate di Pietro e Andrea (simile anche la chiamata di Giacomo e
Giovanni in 1,19-20):
Testo

1,16-18

kai; paravgwn para; th;n qavlassan th~"


Galilaiva" eij~den Sivmwna kai; jAndrevan
to;n ajdelfo;n Sivmwno" ajmfibavllonta"
ejn th/~ qalavssh/: h|san ga;r aJliei~".
kai; ei|pen aujtoi~" oJ jIhsou~" : deu~te
ojpivsw mou, kai; poihvsw uJma~" genevsqai aJliei~" ajnqrwvmwn.
kai; eujqu;" ajfevnte" ta; divktua hjkolouvqhsan aujtw/~.

2,14
kai; paravgwn
eij~den Leui;n to;n tou~ jAlfaivou
kaqhvmenon ejpi; to; telwvnion,
kai; levgei aujtw~/ : ajkolouvqei moi.
kai; ajnasta;" hjkolouvqhsen aujtw/~.

Traduzione
E passando lungo il mare della Galilea
vide Simone e Andrea, fratello di Simone,
intenti a gettare le reti nel mare: erano infatti
pescatori.
E disse loro Ges: "(Venite) qui, dietro di me,
e vi far diventare pescatori di uomini".
E subito, lasciate le reti, lo seguirono.

E passando
vide Levi, il figlio di Alfeo,
seduto al banco delle imposte,
e gli dice: "Seguimi".
E, alzatosi, lo segu:

41
La storia di chiamata segue uno schema comune:
- la descrizione di Ges che passa in un luogo;
- vede delle persone
- queste persone vengono indicate col nome e con il rapporto di parentela;
- si specifica ci che stanno facendo in quel momento in rapport alla loro
attivit lavorativa;
- si riportano le parole di Ges rivolte a loro, parole che indicano una cosa sola:
il comando di seguirlo;
- si sottolinea la pronta esecuzione da parte delle persone interpellate;
- si mostra che viene lasciato ci che si stava facendo.
La storia di chiamata illustra in rapidi tratti due elementi principali: la
modalit della chiamata di Ges, che arriva improvvisa nelle circostanze della
vita quotidiana, durante il proprio lavoro, e la modalit con cui il vero
discepolo risponde alla chiamata, ossia la pronta e incondizionata obbedienza
che impone il distacco immediato dalla vita precedente. Lo scopo del racconto
quello di fornire un esempio di comportamento per colui che si accosta alla
fede in Cristo.
Il Sitz im Leben originario potrebbe essere stato quello della predicazione.
L'episodio del banchetto (2,15-17) si caratterizza come disputa tra Ges e
i farisei a proposito del suo mescolarsi con pubblicani e peccatori, ritenuti
persone corrotte e impure dai giudei e quindi da evitare.
Esso segue lo schema ordinario di altre dispute, articolate in tre
momenti:
- un insolito comportamento di Ges
- provoca una domanda di rimprovero degli avversari,
- a cui segue una risposta decisiva di Ges che li fa tacere.
Esempi analoghi di dispute ritroviamo in Mc 2,12 (Ges assicura al
paralitico che gli sono rimessi i suoi peccati, alcuni scribi protestano increduli,
Ges dimostra loro il suo potere guarendo il paralitico), 3,22-27 (dopo alcuni
esorcismi di Ges, gli scribi lo accusano di essere lui stesso indemoniato, Ges
risponde loro con una parabola su satana), 7,1-23 (alcuni farisei e scribi che
hanno notato come i discepoli di Ges non si lavino le mani prima di mangiare
ne fanno rimprovero a Ges, che a sua volta li critica aspramente e poi parla
della vera impurit), ecc.
Il Sitz im Leben di questo brano viene identificato in un momento in cui
erano vive all'interno della comunit cristiana le polemiche col giudaismo a
proposito dell'accoglienza verso i "peccatori", ossia, soprattutto, i pagani, ma
anche altre categorie considerate impure. Gi Paolo (cfr. Gal 2,12) e gli Atti
(11,1-3) testimoniano le difficolt che sorgevano in alcune comunit a proposito
della partecipazione a pasti comuni tra ex ebrei ed ex pagani 51.

51

Gal 2,12: "Prima che giungessero [ad Antiochia] alcuni da parte di Giacomo, egli [Pietro]
prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta cominci a evitarli e a tenersi in
disparte, per timore dei circoncisi"; At 11,2-3: "E quando Pietro sal a Gerusalemme, i circoncisi

42
Una volta combinati insieme, i due brani acquistano la forma di un unico
paradigma, in cui il primo brano fa da introduzione e l'accento cade sul detto
finale di Ges.
Tuttavia, va rilevato pure che nella ricerca di ci che tradizionale e ci
che appartiene alla mano del redattore restano molti punti incerti.
Alcuni (Taylor, Zimmermann, Gnilka) ritengono che entrambi i brani
derivino dalla tradizione, altri (Pesch) invece pensano che il primo sia stato
elaborato da Marco, solo il secondo sia antecedente, altri (Bultmann) al
contrario che sia una composizione di Marco la scena del banchetto. Secondo
Pesch il brano del banchetto farebbe parte della raccolta premarciana di dispute
che si estende da 2,15 a 3,6 e contiene, oltre a questa disputa, quella sul digiuno
e quelle sul sabato 52.
Anche sugli interventi redazionali apportati dall'evangelista per
introdurre e collegare i brani, non c' univocit. C' accordo solo nell'attribuire
a Marco il v.13 e la frase causale in 15c ("erano infatti molti"): nel v.13 ricorrono
termini e indicazioni (sulla riva del mare, la gran folla, Ges intento a
insegnare) che sono correnti anche altrove nel Vangelo. Ma, ad es., per il detto
finale di Ges ("non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori"), alcuni
pensano che facesse parte del brano tradizionale (Pesch), altri (Bultmann,
Dibelius) che sia un'elaborazione di Marco. Il detto precedente ("non hanno
bisogno del medico i sani, ma i malati") si dimostra pi facilmente appartenente
alla tradizione perch stato tramandato anche autonomamente (ad es., nella
Lettera di Barnaba 5,9; in Giustino, I Apol. 15,8); presenta paralleli anche nella
letteratura classica. Ma, mentre per i pi uno degli ipsissima verba di Ges
(ossia delle parole pi autentiche di Ges), Schweizer, ad esempio, si mostra
convinto che sia un'elaborazione successiva della comunit, come anche il detto
successivo.
2.1.3.2. La forma o genere letterario del "vangelo"
Anche ogni Vangelo nel suo complesso costituisce una "forma"
particolare, che stata variamente applicata dai diversi evangelisti, ma che
possiede tratti comuni. Marco potrebbe essere stato l'"inventore" di questa
forma, oppure potrebbe aver attinto ad esempi precedenti: nel prologo del suo
Vangelo (Lc 1,1-4) Luca, che probabilmente ha conosciuto e utilizzato Marco,
parla di "molti" che avevano tentato di raccontare la stessa materia: forse allude
a pi "vangeli" esistenti prima di lui?
La forma "vangelo" stata accostata al genere della biografia e letta come
una "vita di Ges", ma se ne differenzia per l'assenza di attenzione ad aspetti
propri della biografia, come il carattere del personaggio, l'educazione, l'aspetto
fisico, le indicazioni cronologiche, ecc. Certo, si avvicinano di pi alla biografia
lo rimproveravano dicendo: 'Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme
con loro'".
52
Altri (cfr. Schmid, L'Evangelo secondo Marco, cit.) pensano che anche la disputa di Mc 2,1-12,
che riguarda il potere di rimettere i peccati, facesse parte della raccolta premarciana.

43
i Vangeli di Matteo e di Luca, che incominciano dalla nascita; Marco ne pi
lontano. Oggi si parla del vangelo come di un "genere storico kerygmatico" (da
krygma, "annuncio"), in quanto il racconto di una storia che parla al presente,
una testimonianza di fede che mira a suscitare e rafforzare la fede nei
destinatari. Gli evangelisti scrivono non semplicemente per conservare e
tramandare il ricordo di Ges, non semplicemente per ricostruire una vicenda,
ma cercando di cogliere e trasmettere il significato profondo di essa: ciascun
evangelista prospetta, in un'ottica particolare, una interpretazione teologica dei
fatti.
Si pu estendere a tutti i Vangeli la dichiarazione che l'autore del
Vangelo di Giovanni fa alla fine della prima edizione dell'opera (20,31): "Queste
cose sono state scritte perch crediate che Ges il Cristo, il Figlio di Dio, e
credendo abbiate vita nel suo nome". Il Vangelo di Marco gi implica un
concetto simile nelle sue parole iniziali, che suonano come un titolo: "Inizio del
vangelo di Ges Cristo, [Figlio di Dio]". Il termine eujaggevlion, trasl. euanghlion,
"vangelo" (ma letteralmente: "buona notizia") usato da Marco riprende un
termine che nell'uso classico si riferiva soprattutto a notizie relative ad eventi
fausti come nascite o vittorie di imperatori (ma lo reinterpreta), ma soprattutto
si riaggancia all'accezione religiosa che il verbo eujaggelivzesqai, trasl.
euanghelzesthai, "portare il lieto annuncio", aveva assunto nella traduzione
greca dell'Antico Testamento (quella dei Settanta): portare l'annuncio della
salvezza, quella definitiva, instaurata dal Messia (cfr. il passo messianico di Is
61,1-2, citato da Lc 4,18-19: "lo Spirito del Signore su di me; ... mi ha mandato
per annunciare ai poveri un lieto messaggio...").
Nella forma "vangelo" creata da Marco la struttura di base corrisponde
all'intenzione di dimostrare, o piuttosto di "annunciare", che Ges il Messia
predetto dai profeti e il Figlio di Dio stesso, che ha compiuto interamente la
volont di Dio, le promesse contenute nell'Antico Testamento e le imprese
attese dal Messia, tra le quali non ci sono solo i miracoli, le guarigioni e le opere
potenti, ma anche la passione e la morte.
2.1.4. La Storia della redazione e la scoperta del lavoro compositivo di Marco
La "Storia della redazione", che si sviluppata soprattutto dagli anni '50
in poi del 1900 (uno studio fondamentale quello di W. Marxsen del 1956
proprio dedicato al Vangelo di Marco 53), ha integrato la "Critica delle fonti" e la
"Storia delle forme", in quanto ha posto l'accento sulle caratteristiche e sugli
apporti del redattore finale del Vangelo, che la Critica delle fonti aveva
considerato a proposito delle differenze tra i Vangeli, ma solo allo scopo di
definire i rapporti tra essi, e che la Storia delle forme aveva distinti dai materiali
tradizionali, ma per poter concentrarsi su questi ultimi. La Storia della

53

Der Evangelist Markus. Studien zur Redaktionsgeschichte des Evangeliums (L'evangelista Marco.
Studi sulla storia della redazione del Vangelo), Gttingen 1956.

44
redazione, secondo le parole di un esponente autorevole del metodo,
invece a "spiegare l'opera nella sua forma attuale".

54

mira

La Storia della redazione si interessa particolarmente di alcuni elementi


presenti nei Vangeli che si presume siano opera del redattore finale o
evangelista:
- La scelta del materiale. Si pu applicare a tutti i Vangeli l'ammissione che fa
Giovanni, in 20,30, di non aver scritto tutto: in questo caso si tratta di scelta nel
senso di omissione di una parte del materiale a disposizione; talora, invece,
l'evangelista aggiunge, rispetto a un altro, materiale attinto ad altra fonte (ad
esempio, nella controversia sul divorzio, Matteo, in 19,3-12, aggiunge, rispetto a
Mc 10,2-12, un detto sul farsi eunuchi che cambia profondamente il significato
del brano).
Per quanto riguarda Marco, pi difficile determinare quali omissioni
possa aver fatto rispetto al materiale a a lui noto. Si pu immaginare che non
abbia parlato della nascita di Ges perch non conosceva le tradizioni utilizzate
da Matteo e Luca. Ma si pu supporre con qualche maggiore probabilit che
abbia intenzionalmente omesso i racconti della apparizioni del Risorto
(abbiamo gi accennato al fatto che il Vangelo verosimilmente si concludeva
con la scena della tomba vuota, in 16,8 e su questo punto torneremo in seguito),
perch, come ricaviamo da Paolo, 1 Cor 15,1 ss., la fonte pi antica relativa
all'annuncio primitivo del vangelo (tra il 50 e il 60), le apparizioni del Risorto
erano parte di questo annuncio, dopo passione, morte, sepoltura, risurrezione.
Una tale omissione di grande peso nella definizione della prospettiva
teologica di Marco. Certo egli deve aver introdotto delle aggiunte: tra queste
possiamo includere l'episodio del giovinetto che fugge nudo durante l'arresto
di Ges (14,51-52).
- La disposizione e la strutturazione del materiale. E' in gran parte opera degli
evangelisti il collegamento di brani che nella tradizione comparivano isolati;
possibile constatare che ciascun evangelista colloca diversamente dagli altri
singoli brani o parti di un brano, e in questo modo conferisce loro un diverso
significato. Ad esempio, la chiamata dei primi discepoli in Marco posta in
rilievo, proprio all'inizio del ministero di Ges, in 1,16-20, come primo gesto
qualificante della sua missione, mentre in Luca si trova pi avanti, in 5,1-11,
dopo una serie di episodi di predicazione e di guarigione. Inoltre significatico
che Marco, diversamente dagli altri, presenti come primo miracolo un
esorcismo (1,23-28). Propria di questo evangelista la costruzione della
"sezione dei pani" (Mc 6,6b-8,26), una sezione nella quale in tutti gli episodi, sia
nei racconti (soprattutto due moltiplicazioni dei pani) sia nelle parole si
menziona il pane o altra cosa connessa (lievito), evidentemente per dare rilievo
simbolico a questo elemento.

54

H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit. Studien zur Theologie des Lukas (Il centro del temoi. Studi
sulla teologia di Luca), Tbingen 1954, p.1.

45
- Le modificazioni di vario genere apportate al materiale tramandato.
Appartengono a questo ambito le correzioni stilistiche: modificazione dei
tempi dei verbi, della struttura sintattica, di termini, ecc. Talora si hanno anche
variazioni nel senso che, ad esempio, Matteo, in 22,41-46, trasforma in dialogo
articolato con gli avversari quella che in Mc 12, 35-37 era una questione posta
da Ges a proposito della definizione del Messia come Figlio di Davide.
Vengono talora introdotte spiegazioni di termini o concetti che risultano,
in una nuova situazione, poco chiari: ad esempio, Marco introduce, in 7,3-4,
una spiegazione sulle usanze purificatorie dei giudei, evidentemente
rivolgendosi a un pubblico pagano, che non le conosce.
Pu capitare che un'immagine venga trasformata, sempre in rapporto
con una situazione diversa: ad esempio, a proposito della medesima
similitudine della casa, mentre Matteo, in 7,24-27, parla di casa costruita o sulla
roccia o sulla sabbia, Luca, in 6,47-49, parla di casa costruita con solide
fondamenta o senza fondamenta: probabilmente, l'uno ha in mente l'ambiente
palestinese, l'altro l'ambiente ellenistico.
Significative sono le omissioni di una frase o di un'espressione ritenuta
difficile: ad esempio, Mt 8,3 e Lc 5,13 omettono il termine ojrgisqeiv", trasl.
orghisthis, "adiratosi", di Mc 1,41, probabilmente perch sentito come troppo
forte e inadatto per Ges: anche la tradizione manoscritta di Marco registra
varianti a proposito di questo termine 55. L'affermazione di Mc 13,32 e Mt 24,36
secondo cui "neanche il Figlio" conosce il giorno e l'ora della venuta del Figlio
dell'uomo stata depennata da Lc 21,34-35, perch teologicamente
inaccettabile. Anche in questo caso la difficolt segnalata dalle omissioni della
tradizione manoscritta di Mc e di Mt.
Si riscontrano inoltre abbreviazioni, specialmente di particolari: si nota in
Matteo rispetto a Marco: si veda, ad esempio, l'episodio dell'indemoniato di
Gerasa, che in Mc 5,1-20 occupa ben 20 versetti, ed ridotto a 7 in Mt 8,28-34.
Si hanno infine inserzioni di citazioni e commenti scritturali: tipico di
Matteo aggiungere accenni al compimento della Scrittura, secondo la formula
"E questo avvenne affinch si adempisse la parola..."; cfr. per anche Mc 14,49).
- Sono per lo pi opera dei redattori i sommari, ossia brani, spesso di
collegamento o conclusione, in cui viene descritto in termini riassuntivi e
generali il comportamento abituale di Ges in un certo periodo della sua
attivit. Prendendo in considerazione i casi pi chiari, possiamo dire che ne
abbiamo un buon numero, soprattutto nella prima parte del Vangelo. Ad
esempio, 1,39: "E and per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e
scacciando i demni"; 6,6 b: "Ges andava attorno per i villaggi, insegnando" 56.
Alcuni di questi sommari hanno funzione introduttiva nei riguardi di singoli
episodi o anche di sezioni.
- la cornice, con cui si intende essenzialmente la serie dei brani di introduzione
e di conclusione delle pericopi, che dovrebbero appunto essere di mano
55

56

Su questo passo ci soffermeremo nella seconda parte.

Per altri sommari cfr. 1,14-15; 2,13; 3,7-12; 6,12-13; ecc.

46
dell'evangelista; ogni evangelista ha un suo modo di legare e introdurre i brani.
Si pu notare che Marco spesso si limita a giustapporre, mentre gli altri
collegano spesso con espressioni generiche che indicano un rapporto
temporale, di contemporaneit o di successione (Matteo con tovte, "allora", ejn
ejkeivnw/ tw~/ kairw~/, "in quel tempo", Luca e Giovanni con meta; tau~ta, "dopo
queste cose"). Importanti sono le indicazioni geografiche e cronologiche, che in
gran parte devono essere attribuite ai redattori e che acquistano spesso un
valore simbolico: normalmente gli studiosi pensano che Marco ne abbia fatto
uno scarso uso personale (per lo pi avrebbe riportato indicazioni della
tradizione), mentre Matteo e soprattutto Luca le avrebbero sviluppate: si
sottolinea a questo proposito il significato fondamentale che hanno la Galilea in
Marco e Gerusalemme in Luca ( centrale nel suo Vangelo il "viaggio verso
Gerusalemme"); inoltre, anche indicazioni come monte, mare, ecc., dovrebbero
essere intese secondo una valenza simbolica e non semplicemente locativa.
Aulla "geografia" di Marco si veda l'Excursus pi avanti.
2.1.4.1 . Un esempio di applicazione della Storia della redazione:
la chiamata di Levi e il banchetto coi pubblicani
(Mt 9,9-13; Mc 2,13-17; Lc 5,27-32) 57.
Come abbiamo visto, la Storia della redazione si occupa in particolare
degli interventi redazionali dell'evangelista (gi riconosciuti dalla Critica delle
fonti e dalla Storia delle forme) per cogliere la sua prospettiva particolare e
capire anche in quale situazione vitale (Sitz im Leben) abbia operato.
Su tutti i punti questo tipo di ricerca incontra difficolt maggiori quando
si occupa del Vangelo di Marco, perch non si hanno nel suo caso termini
precisi di confronto con i precedenti, come invece si hanno per Matteo e Luca
(presupponendo che conoscessero appunto Marco e questo Marco). Perci per
Marco pi che per gli altri sinottici si procede per via ipotetica.
Nel caso del brano in oggetto, esamina pertanto la redazione di ciascun
evangelista confrontandola con quella degli altri Vangeli e confrontando gli
interventi specifici di ogni testo con gli altri elementi redazionali ricavabili
dall'analisi di tutto il Vangelo. Partiamo da Matteo e Luca per arrivare alla fine
a Marco.
Matteo
Gli interventi pi significativi attribuibili a Mt sono la sostituzione del
nome proprio "Matteo" a "Levi" e l'inserzione della citazione biblica nel detto
finale di Ges.
Il nome Matteo si ritrova nella lista dei dodici apostoli che Mt d in 10,3
e si pu pensare che l'evangelista abbia voluto qui presentare la chiamata
specifica di un apostolo, come gi in 4,18-22 aveva parlato della chiamata di
altri quattro futuri apostoli: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni. La

57

Cfr. Zimmermann, Metodologia, pp.74-88; 157-160; 208.

47
sostituzione del nome, come osserva un commentatore di Matteo 58,
"corrisponde alla linea ecclesiologica di Matteo che identifica i discepoli di Ges
con i 'dodici'", attribuisce un ruolo essenziale ai Dodici, che saranno i capostipiti
e il fondamento della Chiesa. Altri pensano che sia stata qui accolta una
tradizione relativa a quello che si riteneva l'autore del Vangelo stesso (Matteo).
Caratteristica l'inserzione della citazione biblica, qui Osea 6,6
("Misericordia voglio, non sacrificio"), che Matteo cita pure in un altro passo
(12,7), ancora a proposito di una polemica coi farisei, questa volta sul rispetto
del sabato. La citazione diventa il perno di tutto il brano in Matteo, per cui il
comportamento di Ges, che, in contraddizione con la condotta legalistica dei
farisei, frequenta anche i peccatori, anzi li chiama a s, si dimostra pienamente
conforme alla Scrittura.
Questa accentuazione di Matteo un indizio della situazione della
chiesa del suo tempo, impegnata a controbattere l'intransigenza e la tendenza
legalistica dei cristiani di origine giudaica, che si opponevano ad una apertura
universalistica.
Luca
Per Luca valgono come principali indizi significativi le due aggiunte dei
vv.5,28 ("lasciando tutto") e 5,32 ("perch si convertano").
Lasciando tutto Levi adempie alla condizione richiesta da Ges per
mettersi alla sua sequela (cfr. 18,22: episodio del giovane ricco), condizione che
gi i primi discepoli avevano osservato (cfr. 5,11: ajfevnte" pavnta, "lasciato
tutto"). Luca ama accentuare la radicalit come carattere della conversione.
Con l'aggiunta "perch si convertano", poi, la chiamata - afferma
Zimmermann - "non riguarda pi, come in Marco, l'invito a partecipare alla
tavola di Ges come segno della partecipazione di Dio offerta ai peccatori,
bens significa la chiamata alla conversione. Il paradosso di Marco che consiste
nel fatto che proprio i peccatori vengono invitati a partecipare al pranzo,
eliminato; la conversione la condizione per la remissione dei peccati, e con ci
per la comunione con Cristo" 59. A questa restrizione del senso di kalei~n, trasl.
kalin, "chiamare", contribuisce anche il fatto che il banchetto stato
chiaramente organizzato da Levi, non da Ges, e quindi non Ges che ha
invitato direttamente i peccatori.
E' un tema comune in Luca quello di sottolineare la necessit della
conversione (cfr. 3,3; 15,7.10; 24,47).
In questo orientamento a fornire esempi e insegnamenti soprattutto di
tipo etico, si pu collocare probabilmente anche il fatto che il rimprovero dei
farisei e degli scribi rivolto ora (5,30) ai discepoli e non a Ges: questo sembra
riflettere pi da vicino l'esigenza di rivolgersi a tutta la comunit del tempo
dell'evangelista.

58
59

R. Fabris, Matteo, Roma, Borla, 1982, p.217.


Zimmermann, Metodologia, pp.87-88.

48
Marco
Nonostante la maggior ampiezza, il testo di Marco quello pi ambiguo
e pieno di punti oscuri.
E' stato osservato che in Marco evidente l'operazione di cucitura di due
episodi autonomi, perch egli si limita ad introdurre il secondo brano con un
kaiv ("e") e non si preoccupa di appianare le difficolt che derivano dalla
combinazione: non chiarisce il tempo del banchetto n l'identit del padrone di
casa ( possibile che originariamente fosse Ges stesso); resta oscura anche la
presenza di un folto gruppo di discepoli, di cui non si era ancora prima parlato
nel Vangelo; anche la comparsa degli scribi e le circostanze in cui pongono la
domanda ai discepoli non sono specificate: non si pu facilmente pensare che
fossero tra gli invitati e ancor meno tra i seguaci di Ges. Marco anzi sembra
voler sottolineare gli aspetti paradossali e i contrasti.
Sottolinea pi volte il gran numero dei seguaci di Ges (2,13 e 15),
facendo supporre che fossero in particolare, tra i suoi seguaci, molti proprio "i
pubblicani e i peccatori". Eppure, dal suo testo si pu intendere che fosse Ges
stesso a invitarli alla sua mensa, cos come lui stesso aveva chiamato al suo
seguito il pubblicano Levi. La comunione alla mensa, che gi nella mentalit
comune era il segno di una comunanza di vita e di sentimenti, acquista in un
contesto religioso un alto valore simbolico: comunione alla salvezza. Il
comportamento di Ges risulta dunque tanto pi "scandaloso" rispetto a quello
che risulta da Luca.
L'indignazione degli avversari viene accresciuta dalla ripetizione
dell'espressione ejsqivei meta; tw~n aJmartwlw~n kai; telwnw~n, "mangia con i
pubblicani e i peccatori", in 2,16 (si noti l'inversione dei due termini nel primo
caso: mentalmente gli scribi considerano quelle persone prima "peccatori", poi
"pubblicani", dimostrando cos il loro pregiudizio).
L'impressione sconcertante della sua condotta infine accentuata dal
carattere assoluto dell'affermazione finale: "Non sono venuto a chiamare i
giusti, ma i peccatori", rispetto agli altri due evangelisti, che hanno appunto
voluto qui correggere e attenuare.
Marco vuole sottolineare che, per volont di Ges stesso, la comunit
cristiana accoglie tutti, senza discriminazioni.
2.1.5. Un esempio di applicazione del metodo storico critico:
Il battesimo di Ges
(Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22; Gv 1,29-34) 60
Ci troviamo di fronte ad un episodio fondamentale, riportato dall'intera
tradizione evangelica all'inizio dell'attivit pubblica di Ges.
Applicazione della Critica delle fonti
60

Si veda la sinossi allegata (All. 11 e 11 bis). Sull'episodio nei sinottici cfr. R. Infante, Il battesimo di
Ges (Mt 3,13-17 par.), in M. Laconi e collaboratori (a cura di), Vangeli sinottici e Atti degli apostoli,
"Logos" 5, Leumann (Torino), LDC, 1994, pp. 199-211.

49
Appare netta la discrepanza tra la versione di Giovanni rispetto a quella
dei sinottici: in Giovanni avviene soltanto un incontro tra il Battista e Ges,
manca il battesimo vero e proprio, e tutto raccontato dal Battista come sua
testimonianza. L'unico elemento comune tra Giovanni e i sinottici la discesa
dello Spirito come colomba su Ges. Non c' una voce celeste, ma si accenna a
una rivelazione divina, rivolta al Battista.
Tra i sinottici sono invece molti gli elementi comuni: il fatto che Ges
viene battezzato, l'apertura del cielo, la discesa dello Spirito come colomba, la
voce dal cielo e soprattutto coincidono quasi perfettamente le parole con cui la
voce si esprime, che sono una combinazione di passi veterotestamentari.
Le differenze sono consistenti soprattutto tra Mt e Mc: Mt introduce un
dialogo tra Giovanni e Ges che manca in Mc; l'apertura dei cieli precede la
visione; la voce dal cielo parla in terza persona, invece che in seconda.
Confrontando Mc e Lc si nota, come differenze, il fatto che Lc colloca il
battesimo di Ges sullo sfondo del battesimo dell'intero popolo; presenta Ges
subito dopo il battesimo intento alla preghiera; menziona la "forma corporea"
dello Spirito Santo.
Sia nel caso di Mt sia nel caso di Lc le differenze fanno pensare al
carattere secondario delle particolarit di queste due versioni rispetto a Mc. La
versione di Mc, che risulta pi breve, si mostra anche pi primitiva. Per ci
sono accordi tra Mt e Lc, contro Mc (Mt e Lc: "si aprirono i cieli"/ "si apr il
cielo"; Mc: "i cieli squarciati"),61 che fanno supporre qualche rapporto diretto tra
Mt e Lc e rendono difficile accettare senza discussione la teoria delle due fonti.
Applicazione della Critica storica
Occorre collegare i particolari principali della scena, l'aprirsi dei cieli, la
discesa dello Spirito, con i precedenti biblici e giudaici: l'aprirsi dei cieli un
tratto tipicamente apocalittico, che allude a una rivelazione speciale
proveniente dal mondo celeste, ultraterreno; la discesa dello Spirito, o il dono
dello Spirito, collegata spesso con la figura del Messia (cfr. Is 11,2). E' invece
pi difficile spiegare il simbolo della colomba, che viene usato nelle varie fonti,
bibliche e giudaiche, con significati differenti.
Fondamentale, poi, l'identificazione dei testi a cui le parole della voce
celeste si richiamano: Sal 2,7; Is 42,1; Gen 22,1 (vedi oltre).
Applicazione della Storia delle forme
Il brano ha una sua unit letteraria, ma difficile definire esattamente la
forma, che risulta composita: c' racconto di un fatto (battesimo di Ges) e c'
una visione con audizione. Il senso stesso della visione e delle parole non
univoco: indica una vocazione? una sorta di investitura all'inizio della
missione? una visione interpretativa dell'evento descritto? una rivelazione
61

Nella sinossi di A. Poppi allegata tali accordi sono segnalati graficamente col carattere maiuscolo.

50
teofanico-apocalittica? C' rivelazione dell'identit di Ges? Alcuni parlano di
un genere letterario particolare.
In ogni caso il fulcro dell'episodio nella proclamazione celeste, che
fondendo passi del Sal 2,7 ("Tu sei mio Figlio"), di Gen 22,2 ("figlio diletto",
detto di Isacco), di Is 42,1 ("in te mi sono compiaciuto", detto del Servo
sofferente), identifica Ges:
- col Messia potente destinato a dominare la terra (cfr. Sal 2,7-9: "Egli mi ha
detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti dar in possesso
le genti e in dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come
vasi di argilla le frantumerai");
- col figlio unico di cui Dio chiede al padre, Abramo, il sacrificio (in tutto l'AT
solo per Isacco ricorre l'espressione "il mio figlio diletto");
- col Servo sofferente di Iahv, sul quale la divinit pone il suo spirito, e che
incaricato di ristabilire la giustizia sulla terra con mezzi pacifici e nonviolenti
(cfr. Is 42,1-3: "Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi
compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porter il diritto alle nazioni.
Non grider n alzer il tono, non far udire in piazza la sua voce, non spezzer
una canna incrinata, non spegner uno stoppino dalla fiamma smorta").
Applicazione della Storia della redazione
Marco

Quella di Mc risulta la versione pi enigmatica. Il racconto pone


l'accento proprio sul fatto del battesimo compiuto per mano di Giovanni,
mentre Mt e Lc ne parlano secondariamente. Sia i fenomeni visivi sia quello
auditivo sono rivolti a Ges e non appaiono conosciuti da altri; lo stesso
Giovanni sembra rimanere estraneo: nulla suggerisce che egli riconosca Ges.
Si tratta di un colloquio intimo tra Dio e Ges, attraverso il quale Ges prende
coscienza della propria missione. Si pu intuire che egli accetti il battesimo, un
battesimo impartito "per la remissione dei peccati" (cfr. 1,4), proprio come il
Servo di Is, che si carica dei peccati del popolo (cfr. Is 53,5-6), ma Marco non
esplicita il significato dei fatti. Si affida ai contrasti che emergono dal racconto
stesso: ad esempio, il contrasto tra le solenni assicurazioni fatte poco prima dal
Battista, a proposito del "pi forte" che deve "venire" e che deve impartire una
battesimo superiore al suo (1,7-8), e la descrizione di Ges che "venne" da
Nazaret di Galilea (localit abbastanza malfamata agli occhi dei giudei
gerosolimitani)62 e fu semplicemente battezzato, senza clamori.
Matteo
Mt rielabora a fondo l'episodio con l'inserzione del dialogo tra i due
personaggi (si noti la cornice costituita da due riferimenti al battesimo: v. 13:
62

Cfr. a questo proposito il dialogo, nel Vangelo di Giovanni (1,45-46) tra Filippo, che ha incontrato
Ges e lo riconosce come Messia, e Natanaele, che sentendo parlare di Ges di Nazaret ribatte: "Da
Nazaret pu mai venire qualcosa di buono?". Si veda inoltre, nel medesimo Vangelo (7,41), il dibattito
tra una parte della gente che riconosce in Ges il Cristo e l'altra parte che dice: "Il Cristo viene forse dalla
Galilea?".

51
"per essere battezzato", v. 16: "essendo stato battezzato"). Con questo dialogo
rende esplicita la perplessit suscitata dal fatto che Ges si faccia battezzare
come un peccatore qualsiasi. In questo modo viene posta in bocca a Ges una
dichiarazione programmatica: "Ci conviene adempiere cos ogni giustizia". Il
termine e il concetto di "giustizia" (dikaiosuvnh, traslitt. dikaiosyne) sono
caratteristici di Mt, che usa il vocabolo sette volte, mentre Mc non lo usa mai, Lc
una volta sola e Giovanni due. Inoltre Mt attribuisce ad esso un significato
molto forte, come indicano i passi in cui ricorre: cfr. 5,6 ("Beati quelli che hanno
fame e sete della giustizia"); 5,10 ("Beati i perseguitati a causa della giustizia");
5,20 ("se la vostra giustizia non superer quella degli scribi e dei farisei, non
entrerete nel regno dei cieli"); 6,1 ("badate di non praticare la vostra giustizia
davanti agli uomini per essere ammirati da loro"); 5,33 ("cercate il innanzitutto
il Regno e la sua giustizia"); 21,32 ("venne a voi Giovanni nella via della
giustizia"): indica l'adempimento pieno della volont di Dio, l'accettazione
incondizionata del suo progetto salvifico, anche nei suoi risvolti pi duri e fino
alle estreme conseguenze.
Le parole della voce celeste, che sono in terza persona ("Questi il mio
Figlio") e non in seconda, come in Mc ("Tu sei mio Figlio"), diventano un
riconoscimento ufficiale, rivolto a tutti, dell'identit di Ges, un conferimento
solenne di autorit divina, un'approvazione esplicita della sua "giustizia".
L'episodio forma "inclusione" con la parte finale del Vangelo, in
particolare con le parole di Ges che invia i discepoli a battezzare tutte le genti
(28,19).63 Il comportamento di Ges si propone quindi anche come una
prefigurazione del battesimo cristiano e un esempio da seguire per tutti i
credenti. Si pu riconoscere una corrispondenza tra il richiamo trinitario del
comando a battezzare ("nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo") e
la presenza implicita della Trinit nel racconto del battesimo (il Figlio, la voce
del Padre, lo Spirito).
Luca

Lc segue la versione di Mc pi da vicino e si permette pochi


cambiamenti. Collegando il battesimo di Ges a quello di tutto il popolo
sottolinea la condivisione da parte di Ges della sorte del popolo peccatore.
Introducendo il tema della preghiera (pi di tutti Lc menziona la preghiera e
presenta Ges nell'atto di pregare: cfr. 5,16; 6,12; 9,18.28-29; 11,1; 22,41) esalta la
comunione tra Ges e il Padre e fa di Ges il modello di ogni vero credente.
Escludendo la figura di Giovanni, pone al centro la figura di Ges. Accennando
alla forma corporea dello Spirito sottolinea la sua visibilit: anche per Lc, come
per Mt, la rivelazione dunque rivolta, non soltanto a Ges, ma ai presenti, al
popolo.

63
L'inclusione la ripetizione a distanza di termini, immagini, scene, che determina l'unit letteraria di
tutto quanto sta in mezzo: in questo caso, i due riferimenti al battesimo, all'inizio della missione pubblica
di Ges e alla fine, ne determinano l'unit. Dell'inclusione parleremo ancora a proposito di uno dei nuovi
metodi: l'Analisi strutturale.

52
2.1.6. La ricerca teologica 64
Tutti gli interventi apportati dal redattore ed esaminati secondo il
metodo della Storia della redazione vanno intesi come espressioni di una
propria e particolare interpretazione teologica, da parte dell'evangelista, della
figura e della vicenda di Ges. Ma per quanto riguarda l'aspetto teologico dei
racconti evangelici, si pu riconoscere che l'interesse a prenderlo in
considerazione ha avuto anche un rilievo autonomo negli studi del '900 e ha
comportato si pu dire un'altra "rivoluzione" nella valutazione dei Vangeli e in
particolare del Vangelo di Marco, soprattutto perch ha incominciato a
incrinarsi la convinzione di poter servirsi dei Vangeli fondamentamentalmente
come documenti storici e di poter quindi arrivare sulla base di essi a una
"biografia di Ges".
Proprio partendo dalla lettura di Marco W. Wrede nel 1901 65
individuava la presenza in questo Vangelo di una intenzione teologica
determinante, che presiede alla ricostruzione dei fatti, e che egli identificava
con il famoso "segreto messianico": Marco cio avrebbe di proposito
sottolineato, fino al punto di farne un motivo caratteristico del suo Vangelo, la
volont di Ges di imporre il silenzio sulla sua messianicit. Lo si vede da tutta
una serie di episodi analoghi: l'imposizione ai demni di tacere sulla sua
identit di Figlio di Dio, il comando pi volte ripetuto a coloro che sono stati
guariti da lui di non dirlo a nessuno, fino all'ordine dato anche ai discepoli,
dopo il riconoscimento da parte di Pietro che egli il Cristo, di tacere; anche a
proposito della rivelazione avvenuta nella trasfigurazione Ges chiede loro di
non raccontare a nessuno ci che avevano visto, ma questa volta precisa: "fino
alla risurrezione" (9,9). Questo motivo - la scoperta conseguente di Wrede -
una costruzione artificiosa, frutto di riflessione teologica, dell'evangelista, il
quale ha ribaltato sulla vicenda di Ges la consapevolezza acquisita dalla
comunit cristiana, a proposito dell'identit di Ges, dopo la risurrezione. Il
Ges presentato dal Vangelo non dunque tanto il Ges storico (sebbene
Wrede sia convinto che in Marco pi che negli altri Vangeli restino comunque
tracce di questo Ges storico), quanto il Ges rivisto dalla comunit cristiana.
Un aspetto importante da mettere in rilievo che Wrede arrivato a
queste conclusioni (a intravedere, cio, la presenza nel Vangelo di uno schema
unitario) attraverso un'analisi globale e sistematica del Vangelo, non
limitandosi pi, come spesso facevano gli studiosi precedenti, a studiare singoli
passi.

64

Per questa parte mi rifaccio a V. Fusco, Il Vangelo di Marco. Il racconto ed il segreto, dispense
del Seminario organizzato dall'Associazione Biblia, a Vallombrosa, nei giorni 28-31 agosto 1992,
a cura di A. Celano Chiummariello.
65
Das Messiasgeheimnis in den Evangelien
zugleich ein Beitrag zum Verstndni des
Markusevangeliums (Il segreto messianico nei Vangeli insieme a un contributo per la
comprensione del Vangelo di Marco), Gttingen 1901.

53
Anche se la tesi specifica di Wrede sar per pi versi criticata e corretta
successivamente 66, si per imposta l'esigenza di dare adeguato rilievo alla
personalit dell'evangelista e alla sua visione teologica, di non limitarne il ruolo
a quello di un semplice compilatore e raccoglitore di tradizioni. Un'importante
sintesi storiografica di A. Schweizer sulle ricerche intorno alla "vita di Ges" si
intitoler Von Reimarus bis Wrede, "Da Reimarus a Wrede", 67 proprio a
evidenziare il mutamento di rotta che si avuto negli studi a partire da questo
momento.
Per quanto non siano mancati eccessi e conflitti tra impostazione storica
e impostazione teologica, la ricerca esegetica pi avvertita di oggi cerca di tener
presenti entrambi i punti di vista: non nega il fondamento storico del contenuto
dei Vangeli, ma ammette che ogni evangelista ha scelto e disposto il materiale
secondo una sua prospettiva teologica, che comporta accentuazioni diverse e
correzioni rispetto agli altri.
Per tutti i Vangeli vale la dichiarazione di Giovanni: "Questi [segni] sono
stati scritti, perch crediate che Ges il Cristo, il Figlio di Dio e perch,
credendo, abbiate la vita nel suo nome" (20,31). Ma al di l di questo scopo
fondamentale, diversa l'interpretazione della figura di Ges e della sua opera
nei diversi Vangeli, almeno in quanto ciascuno ha messo in rilievo aspetti
diversi.
Per il Vangelo di Marco, tradizionalmente considerato il pi "primitivo",
non solo perch pi antico, ma anche nel senso di ingenuo, semplice,
immediato, legato ai fatti, privo di elaborazione, e quindi di una vera e propria
teologia, questa scoperta ha comportato conseguenze di rilievo per una nuova
valutazione della sua opera 68. Un tempo veniva visto come l'estremo opposto
rispetto al Vangelo di Giovanni, che appare indiscutibimente il pi
teologicamente elaborato; oggi si riconosce invece che ci sono affinit tra i due.
E cos quella che sembrava semplicit, trasparenza, limpidezza, oggi si
tramutata in ambiguit e oscurit per gli studiosi. Oggi si ammette che il
Vangelo di Marco il pi sfuggente e misterioso, quindi il pi difficile da
interpretare. E' ancora aperto il dibattito su quale sia effettivamente la teologia
di Marco.
La domanda "Chi Ges?" il grande tema del Vangelo di Marco, ma gli
studiosi non sono d'accordo sulla risposta. C' chi pensa che il Ges di Marco
sia innanzitutto il Risorto, il Vivente, il Signore; chi lo vede come taumaturgo,
"uomo divino" (qei~o" ajnhvr), superiore agli uomini divini dei pagani; chi nota la
66

Nel senso che si pensato che gi Ges avesse effettivamente consapevolezza della propria
morte e risurrezione e intendesse gi lui servirsi del segreto a scopo didattico: per guidare
gradualmente a comprendere il senso della sua missione.
67
Von Reimarus bis Wrede (Da Reimarus a Wrede) era il titolo della prima edizione (Tbingen
1906), che voleva appunto delineare una rassegna degli studi a partire dall'iniziatore, H.S.
Reimarus, vissuto nel '700, fino ai suoi tempi; la seconda edizione, del 1913, si intitoler
specificamente Geschichte der Leben-Jesu-Forschung (Storia dell'indagine sulla vita di Ges).
68
E' significativo da questo punto di vista uno studio come quello di J. Ernst, che si intitola
Marco. Un ritratto teologico, Brescia, Morcelliana, 1990.

54
centralit della croce, l'orientamento dominante di tutto il Vangelo verso la
passione. Sembrano soprattutto in opposizione il Ges dei miracoli, quale
emerge dalla prima parte del Vangelo, e il Ges della croce, che caratterizza la
seconda parte, ma gi si affaccia nella prima (cfr. 3,6). Se la centralit della croce
un punto acquisito dalla ricerca, resta da spiegare la funzione della storia
antecedente di Ges, dei miracoli (che pure sono particolarmente ampi in
Marco) e della presenza dei discepoli accanto a Ges, che costante e
caratteristica (Ges non fa nulla senza i discepoli); in particolare il rapporto di
Ges coi discepoli, la loro crescente "incomprensione" e cecit nei riguardi delle
cose dette e fatte da Ges un altro tema peculiare di Marco, che non si pu
trascurare. E' importante non puntare tutto su un solo aspetto, tener conto
dell'insieme, ripercorrere tutti i momenti dall'inizio alla fine, seguire passo
passo l'andamento drammatico del racconto. E' possibile riconoscere comunque
che questi temi dell'identit di Ges e dell'incomprensione dei discepoli sono
alla base di uno schema complessivo del Vangelo (vedi All. 16).
Certo Marco presenta, rispetto agli altri evangelisti, pi contrasti,
sproporzioni, paradossi, oscurit, tensioni. Gli altri cercano di semplificare,
attenuare, facilitare.
Un caso gi l'episodio del battesimo di Ges che Marco pone nel
prologo stesso del suo Vangelo (1,9-11): non c' qui nessuna premessa: "venne
da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni". Invece Matteo
(3,13-17) cerca di prevenire dubbi e difficolt spiegando le ragioni di questo
battesimo con un dialogo tra Giovanni Battista e Ges.
Si veda pure la chiamata dei primi discepoli (Mc 1,16-20): Luca la
introduce (5,1-11) dopo aver parlato della predicazione di Ges e di alcuni
miracoli e la inserisce nell'episodio della pesca miracolosa, sicch si capisce
meglio perch questi pescatori (Pietro, Giacomo e Giovanni) avessero seguito
Ges. Marco invece la pone proprio all'inizio della missione di Ges e delinea
una scena assolutamente essenziale, ellittica, quasi astratta, in cui
all'improvviso ordine di seguirlo consegue l'immediata risposta dei chiamati.
Ges non si era ancora manifestato in alcun modo, era uno sconosciuto che
passava di l, eppure quei pescatori intenti al lavoro a una semplice sua parola
lasciano tutto, barca, famiglia, per andargli dietro.
Un altro esempio quello del grido di Ges sulla croce che in Marco ha
un carattere drammatico, quasi disperato (15,34: "Dio mio, Dio mio, perch mi
hai abbandonato?"), e viene sostituito in Luca (23,46) dall'invocazione
rasserenante del Salmo 31,6: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito".
Per non parlare della conclusione, che sorprendente: dopo la scoperta
della tomba vuota e l'annuncio dell'angelo, le donne fuggono spaventate senza
dire niente a nessuno (16,8). Non abbiamo le apparizioni del risorto, come negli
altri vangeli.
Oggi si portati a leggere il Vangelo di Marco appunto come un
dramma aperto.
Guardando all'episodio del banchetto coi pubblicani secondo una
prospettiva teologica, potremmo evidenziare il motivo dell'ostilit che

55
accompagna quasi subito la missione di Ges e proietta fin dall'inizio l'ombra
della croce su tutta la sua azione. Questo ci conferma la centralit che ha il tema
della passione nel Vangelo di Marco. Non per questo l'unico tema: c' anche
quello del Regno a cui allude l'immagine del banchetto, c' quello del rapporto
di Ges coi discepoli, ecc.
2.1.7. Excursus. La geografia di Marco
E' difficile sopravvalutare l'importanza che nel Vangelo di Marco hanno la Galilea e
Gerusalemme : qui, pi che in tutti gli altri Vangeli, l'attivit di Ges viene inquadrata in questi
due luoghi fondamentali 69, in modo che spesso i commentatori ne deducono anche uno
schema compositivo di tutto il Vangelo: una prima parte (1,14-10,52), in cui Ges svolge il suo
ministero in Galilea e dintorni, una seconda parte tutta ambientata a Gerusalemme (11-16) 70.
Una variante di questo schema si articola invece in tre parti: ministero di Ges in Galilea (1,147,23); viaggi di Ges fuori della Galilea con ritorno in Galilea (7,24-9,50); salita a Gerusalemme e
ministero a Gerusalemme (10,1-16,8) 71. Anche questa variante non risulta pienamente
soddisfacente, perch gi in 5,1-20 abbiamo un trasferimento di Ges fuori dalla Galilea.
Alcuni commentatori (Pesch, Ernst) pretendono che questo quadro rifletta
semplicemente, seppure in modo vago, la cornice effettiva dell'attivit di Ges, anche se gi dal
punto di vista storico crea difficolt il fatto che la linearit dell'itinerario di Ges, che in Marco
prevede una sola e definitiva andata a Gerusalemme, si scontra con le informazioni di
Giovanni, secondo il quale invece Ges si recato pi volte nella Citt Santa a celebrare la
Pasqua. Del resto, stato fatto notare (da Rigaux) che anche Matteo e Luca, che pure seguono
fondamentalmente il medesimo schema geografico di Marco, presuppongono una pluralit di
viaggi a Gerusalemme, e lo stesso svolgimento dei fatti quali vengono presentati da Marco fa
supporre che Ges, quando entra in Gerusalemme, fosse gi noto. Tutto ci porta a riconoscere
il carattere artificioso di questa costruzione imperniata su due poli geografici e ci avvia a
comprendere la geografia di Marco essenzialmente come una "geografia teologica" 72.
Indubbiamente la Galilea e Gerusalemme sono concepite da Marco, non semplicemente
come luoghi determinati, ma piuttoso come emblemi di posizioni, anche religiose,
contrapposte. Risulta con tutta evidenza che Gerusalemme rappresenta, non solo il luogo della
condanna e della crocifissione di Ges, ma in generale dell'ostilit da parte delle autorit
religiose giudaiche verso di lui e verso il suo insegnamento. E questo si manifesta fin dagli inizi
della missione in Galilea, quando scribi venuti da Gerusalemme lo accusano di essere
addirittura un indemoniato (3,22 ss.) e, in altra occasione, criticano i discepoli perch non si
attengono alle norme giudaiche di purit (7,1 ss.).
Che ci sia un vero e proprio contrasto tra Galilea e Gerusalemme suggerito dal fatto
che la Galilea non ha buona fama presso gli abitanti della Giudea e di Gerusalemme, come
indica l'atteggiamento sprezzante della serva del sommo sacerdote che, durante il processo di
Ges, guarda con sospetto Pietro perch dalla parlata lo riconosce come "galileo" (14,70). Le
altre fonti evangeliche confermano e precisano questa impressione. In Giovanni la gente e
soprattutto i farisei escludono che dalla Galilea possa mai venir fuori il Messia o anche solo un
profeta (7,41.52) 73. Da Matteo apprendiamo che la Galilea era anche chiamata, evidentemente

69

Si noti che negli altri sinottici il racconto della nascita a Betlemme comporta invece un inizio
in Giudea. Inoltre, si noti che Marco non parla mai della Samaria (la regione intermedia tra
Galilea e Giudea), che invece menzionata, e pi volte, dagli altri Vangeli, specie da Giovanni.
70
Cos Rigaux, p.23. Vedi All. 16.
71
Seguita, ad esempio, dalla Bibbia di Gerusalemme.
72
Cfr. Delorme, p.16.
73
Natanaele aveva anche chiesto ironicamente: "Da Nazaret pu mai venire qualcosa di
buono"? (Gv1,46).

56
con giudizio negativo, "Galilea delle genti (Galilaiva tw~n ejqnw~n)" (Mt 4,15), probabilmente
perch per la sua posizione di confine aveva contatti pi frequenti con i pagani: proprio per
questo era considerata dai giudei "ortodossi" pi esposta alle contaminazioni rituali e alle
deviazioni dottrinali. Ma quello che per scribi e farisei era un aspetto deteriore di questa
regione, diventa per Ges occasione positiva per la sua missione.
Nel racconto di Marco, infatti, la Galilea, pur all'interno di una certa ambiguit
(Nazaret resta un luogo refrattario alla fede: 6,1-6), costituisce sostanzialmente un luogo aperto
alla predicazione e all'opera taumaturgica di Ges, il luogo in cui egli raccoglie i suoi discepoli
e ottiene molti successi. E Ges promette alla fine di ritornare ancora in Galilea dopo la
risurrezione, per mettersi di nuovo alla guida dei suoi discepoli (14,28): anche il messaggero
celeste lo ricorder nella tomba vuota (16,7). La Galilea dunque si pone come luogo di partenza
ma anche di ritorno per un nuovo inizio: in qualche modo il luogo ideale per
l'evangelizzazione. Perch?
Se teniamo conto della finalit che Ges ha stabilito per il suo vangelo, che deve essere
annunciato "a tutte le genti" (eij" pavnta ta; ejvqnh) e in tutto il mondo (13,10; 14,9), si pu
pensare che la Galilea, proprio per la sua posizione confinante con regioni pagane, meglio si
prestasse all'allargamento della missione. E infatti vediamo Ges oltrepassare pi volte nel
Vangelo i confini della Galilea per operare anche in terra straniera, e con successo: nella regione
dei Geraseni (c.5), a Tiro e Sidone e nella Decpoli (c.7):74 l'incontro con la sirofenicia (7,24-30),
anzi, costituisce una tappa molto importante della missione, tappa che esplicitamente si
ricollega con la polemica sempre pi aspra verso il rigorismo assurdo e ottuso di scribi e farisei
(7,1 ss.) e segna una vera e propria presa di coscienza, da parte di Ges, della necessit di
rivolgersi anche ai non giudei. Osserva opportunamente Delorme 75 che la rottura con le
tradizioni cultuali degli ebrei espressa nella discussione "si traspone nella geografia", cio
nell'andare in terra pagana, incontro a una pagana.
Inoltre non sar un caso che una serie di eventi che segnano una sorta di spartiacque
nel Vangelo: il riconoscimento della messianicit di Ges da parte di Pietro a Cesarea di
Filippo, il primo annuncio della passione, con le istruzioni sul vero discepolato (c.8), la
Trasfigurazione (c.9), si verifichino in territorio pagano, durante una deviazione fuori dalla
Galilea, ma con ritorno in Galilea (9,30). Del resto, come gi si detto, il culmine del
riconoscimento dell'identit di Ges sar realizzato effettivamente da un pagano, ossia dal
centurione, nella scena della morte (15,39).
Un elemento caratteristico della Galilea quello che Marco chiama "il mare della
Galilea" (1,16; 7,31), o semplicemente "il mare" (hJ qavlassa), ossia il lago di Tiberiade 76:
intorno ad esso che ruota molta dell'attivit di Ges, dalla chiamata dei primi discepoli sulle
rive del mare, all'insegnamento in parabole svolto sulla barca, ai due miracoli che si svolgono
sul mare in tempesta, all'attraversamento del mare per raggiungere pi volte il territorio
pagano. "L'altra riva del mare" (cfr. 5,1) rappresenta infatti la terra straniera anche in senso
religioso e andare "all'altra riva" (8,13) segna la volont di allontanarsi dall'ambiente dei giudei.
Il centro del movimento che porta da un certo momento in poi Ges a spostarsi continuamente
tra la riva giudaica e quella pagana dunque il mare di Galilea. Esso rappresenta come il ponte
di passaggio (anche metaforico) verso i pagani. Perci forse menzionato in 7,31 77, all'interno
di una serie di indicazioni geografiche che sulla carta tracciano un itinerario apparentemente
assurdo e del tutto improbabile (Ges si dirigererebbe da Tiro verso il lago di Galilea, in mezzo

74

Si consulti la cartina sulla Palestina nell'All. 10.


Delorme, p.17.
76
L'interesse particolare di Marco per "il mare" emerge gi dai dati: Marco lo menziona ben 19
volte, contro 17 di Matteo, 3 di Luca e 9 di Giovanni.
77
7,31: "E di nuovo, uscito dal territorio di Tiro, venne attraverso Sidone verso il lago della
Galilea, in mezzo al territorio della Decapoli".
75

57
alla Decapoli, attraversando Sidone 78: uno degli indizi, secondo i commentatori, della
geografia confusa e scorretta di Marco!), ma che si pu spiegare, almeno in parte, appunto con
la volont di ribadire l'intenzione di Ges di andare verso tutto il mondo pagano che oltre la
Galilea.
Emblematicamente, il mare rappresenta il dominio delle forze ostili, demoniache, che
Ges vuole sconfiggere con il suo insegnamento e la sua opera e che ha bisogno di sconfiggere
per raggiungere anche i pagani. Il carattere ostile e demoniaco del mare, oltre che gi ben
presente nella tradizione biblica (dal Mar Rosso al mare da cui salgono le bestie apocalittiche di
Daniele, c. 7) suggerito dai tratti descrittivi delle scene di tempesta, in cui Ges si comporta
col mare come con i demni (simili sono i termini con cui li zittisce: cfr. 1,25: ejpetivmhsen,
"minacci", e fimwvqhti, "taci"; 4,39: ejpetivmhsen e pefivmwso).
Parlando del mare abbiamo notato una certa convenzionalit nell'uso del termine.
Questo stesso fenomeno si pu riconoscere anche per altre indicazioni generiche, come monte,
deserto, casa, ecc. Ciascuna di esse ha senso, non tanto come riferimento a localit precise,
quanto come rinvio a situazioni connotate in questo modo, con richiamo non di rado a
precedenti veterotestamentari. Non sempre i commentatori sono disposti a seguire questa linea
interpretativa e si affannano nella ricerca dell'identificazione dei luoghi cos suggeriti, con
risultati che su questo piano non possono che essere fallimentari.
Sono tipici i casi del "monte" (to; ojvro") su cui Ges chiama i Dodici e del monte su cui
avviene la Trasfigurazione. Marco si esprime in modo molto sobrio: "E sal sul monte" (3,13), "E
li (i discepoli) port su un alto monte loro soli, in disparte" (9,2). A proposito del primo monte
alcuni commentatori (cfr. Uricchio e Stano) hanno rilevato qualche difficolt, perch nelle
vicinanze del lago dove Ges si trovava in quel momento (cfr. 3,7) non si trovano vere e proprie
montagne; a proposito del monte della Trasfigurazione, che ha interessato ancora di pi gli
studiosi, da tempo si discute se sia il Monte Hermon (m.2814), che si trova a nord della Galilea
e in territorio pagano, non lontano da Cesarea di Filippo, che il luogo menzionato poco prima
(cfr. 8,27), o il Monte Tabor (m.588), che invece si trova in Galilea, a sud-ovest del lago, e a cui
ha pensato la tradizione cristiana fin dal IV secolo. Ora, seguendo le indicazioni date da Marco,
senz'altro pi opportuno ritenere che l'avvenimento abbia luogo in terra pagana, come gi si
detto. Inoltre, sono pi importanti le connotazioni simboliche legate al monte.
Il monte rappresenta, gi nella tradizione ebraica antecedente, il luogo della vicinanza
di Dio e della rivelazione. Il rinvio obbligato al Monte Sinai, su cui Mos ricevette le Tavole
della Legge, o al Monte Horeb, su cui Elia ebbe una manifestazione divina. In quanto luogo di
distacco dalla folla e dalle attivit quotidiane e di accostamento alla divinit, il monte
menzionato inoltre nel Vangelo come sfondo della preghiera di Ges (cfr. 6,46). Il Monte degli
Ulivi (13,3) sede dell'importante "discorso escatologico", ma anche della preghiera di Ges
nell'orto del Getsemani (14,26).
Anche "il deserto" (hJ ejvrhmo", hJ hJremiva) fortemente connotato dai tratti
veterotestamentari, fin dal prologo, dove Giovanni Battista compare nel deserto a battezzare e
poi Ges stesso viene spinto dallo Spirito a rimanere nel deserto per quaranta giorni (tentato da
satana e assistito dagli angeli). Gi nella citazione di Isaia (40,3), fatta in 1,3, il deserto il luogo
in cui deve essere preparata la strada per la venuta del Signore. Giovanni poi descritto coi
tratti di Elia, che secondo il racconto dei Libri dei Re oper nel deserto. Ma, ancor prima,
l'avvenimento fondamentale di riferimento sono i quarant'anni trascorsi dal popolo ebraico nel
deserto (ad essi rinvia inequivocabilmente il periodo di Ges nel deserto), durante le
peregrinazioni che intercorsero tra l'esodo dall'Egitto e l'ingresso nella Terra Promessa: nel
deserto l'antico Israele ricevette le Tavole della Legge e speriment la bont provvidente di Dio
in numerosi eventi straordinari (manna, quaglie, acqua dalla roccia, colonna di fuoco, ecc.) e
insieme sub molte prove e punizioni per le sue deviazioni dalla fede nell'unico Dio.

78

Sidone alquanto a nord rispetto a Tiro, mentre il lago di Galilea a sud rispetto a Tiro, e la
Decapoli ancora pi a sud. E' possibile che la menzione di Sidone in connessione con Tiro
dipenda dal legame fisso che le due citt avevano sempre nella tradizione.

58
Il deserto dunque essenzialmente un luogo ambiguo: il luogo della tentazione
demoniaca e insieme il luogo che favorisce l'incontro con Dio, perch luogo di raccoglimento e
di ritiro. In questo senso pi volte nel Vangelo viene menzionato ancora il deserto, ma in questo
caso "luogo deserto" (ejvrhmo" tovpo"), come luogo di preghiera e di isolamento di Ges (1,35.45)
e di riposo per i discepoli (6,31). Nel deserto avvengono le due moltiplicazioni dei pani (6,32.35;
8,4).
"La casa" (hJ oijkiva, oJ oij~ko") pi volte menzionata nel periodo galilaico come punto di
riferimento di Ges. Si parla esplicitamente di una casa a Cafarnao (2,1; 9,33), che si voluta
identificare con la casa del discepolo Simone (1,29), dove Ges opera la guarigione della
suocera di lui 79. Spesso per si parla di casa in modo generico. Talora risulta chiaro che anche
altrove Ges abita in casa: in 7,24 egli si trova nel territorio di Tiro, ma anche qui entra "in casa".
Anche quando va a Gerusalemme egli preferisce abitare in una casa di Betania (la casa di
Simone il lebbroso: 14,3).
Ancora una volta contano le connotazioni che assume la "casa" per Ges. E' gi di per
s importante il fatto che Ges non ha una sola casa, ma si sposta di casa in casa, secondo le
regole della missione itinerante che egli d anche ai suoi apostoli (6,10). Del resto egli afferma
esplicitamente la necessit per chi intende seguirlo di lasciare la propria casa e la propria
famiglia, con la compensazione, per, di ritrovarle moltiplicate (10,29.30). Di fatto, le case in cui
viene di volta in volta a trovarsi non coincidono con la casa d'origine, la casa di famiglia, anzi
questa gli si rivela come un luogo ostile, quando ritorna a Nazaret (6,4). Anche in un altro
episodio Ges prende le distanze dalla tentazione di far coincidere la casa con la famiglia di
sangue: a un certo momento, infatti, i suoi parenti carnali vanno da lui, mentre in casa
(probabilmente a Cafarnao), per portarselo via, perch pensano che sia pazzo (3,20): essi per
restano "fuori" (3,31.32), mentre Ges riconosce in coloro che gli stanno "intorno" la sua vera
madre e i suoi veri fratelli (3,34). In questo caso le mura della casa sono diventate confini che
delimitano la vera parentela di Ges, in quanto accolgono coloro che fanno la volont di Dio.
In ogni modo la casa rappresenta il luogo in cui Ges si rifugia per trovare respiro dalla
calca e parlare pi intimamente coi discepoli, fornire loro insegnamenti pi profondi (7,17;
9,28.33; 10,10). Il miracolo della risurrezione della figlia di Giairo, compiuto davanti ai discepoli
prediletti, avviene in casa (5,38). Quando in casa, Ges vorrebbe che non si sapesse per
sfuggire alla gente (7,24), ma non gli riesce mai. La casa di Ges resta sempre una casa aperta:
la folla preme alla sua porta al punto da non lasciare pi spiragli (2,2), gli porta tutti i malati
della citt (1,32-33), talora scoperchia perfino il tetto per far entrare un paralitico (2,4); anche in
terra straniera, subito viene qualcuno a chiedergli una guarigione (7,24-25). La folla di norma
invade la casa: entra e siede intorno a Ges (3,32); va e viene e impedisce a lui e ai suoi
discepoli perfino di mangiare (3,20; 6,31). Perci, per trovare davvero solitudine e intimit, essi
devono talora uscire e andare nel deserto (1,35; 6,31).
Anche "la sinagoga" (hJ sunagwghv) un luogo con un significato ben preciso: come
luogo della presenza di Ges viene menzionata poche volte e soltanto nella parte dedicata alla
missione in Galilea, ma dal sommario di 1,39 risulta essere stata il campo pi comune
dell'annuncio di Ges in Galilea. Le menzioni particolari di episodi ambientati in una sinagoga
non sono mai casuali. L'insegnamento impartito di sabato in due sinagoghe (quella di Cafarnao
e poi quella di Nazaret) incornicia tutta la prima sezione dell'attivit di Ges (1,21 ss.; 6,2 ss.),
mentre ancora un miracolo compiuto di sabato nella sinagoga di Cafarnao sta al centro di
questa sezione (3,1 ss.) e segna un momento culminante della polemica con gli avversari (essi
decidono addirittura di ucciderlo). La sinagoga, luogo tradizionale di riunione cultuale per gli
ebrei, e in particolare dell'insegnamento degli scribi (cfr. 1,22; 12,38-39), viene connotata
negativamente e in modo crescente, perche l'insegnamento di Ges, che pure si accompagna
alla cacciata dei demni, viene accolto dapprima con stupore, poi con scandalo e infine
decisamente con incredulit. Ben si accorda con questa immagine negativa il preannuncio che
Ges fa anche ai suoi discepoli di essere flagellati nelle sinagoghe (13,9).

79

Con eccessiva disinvoltura e molto impropriamente van Iersel (p.81) parla di un pied--terre
di Ges a Cafarnao.

59
Ges finisce con l'abbandonare definitivamente la sinagoga come luogo di
insegnamento, a favore dei luoghi aperti, di passaggio: la riva del mare, il deserto, i villaggi, i
campi, fino al luogo aperto per eccellenza, la strada.
Il corrispettivo delle sinagoghe della Galilea , a Gerusalemme, "il tempio" (to; iJerovn).
Come l'inizio della missione in Galilea segnato dall'entrata in una sinagoga, cos l'ingresso in
Gerusalemme coincide con l'ingresso nel tempio (11,11) e l'insegnamento nel tempio occupa si
pu dire buona parte dell'attivit di Ges prima dell'arresto ed spesso esplicitamente rilevato,
in modo quasi formulare (cfr. 11,15.17; 12,35 80; 14,49). Come nella sinagoga di Cafarnao, cos
nel tempio di Gerusalemme Ges si scontra con le autorit religiose giudaiche (sommi
sacerdoti, scribi, anziani, farisei, sadducei) in una serie di cinque dispute. Il distacco dalla
sinagoga trova il suo corrispettivo nella condanna dell'uso che del tempio hanno fatto i capi
giudei (da casa di preghiera a "covo di briganti": 11,17) e addirittura nella predizione della sua
distruzione (13,1-2). La conclusione ultima sar lo squarciarsi simbolico del velo del Tempio al
momento della morte.
"La strada" (hJ oJdov") indubbiamente, non tanto un luogo, quanto un tema specifico di
tutto il Vangelo 81, che non a caso viene presentato fin dalle prime righe, nella citazione biblica
imperniata appunto sulla preparazione della strada del Signore (1,2-3) e si ripropone,
implicitamente, anche nella conclusione, con l'annuncio da parte del messaggero celeste di un
nuovo cammino dei discepoli in Galilea sotto la guida di Ges (16,7). Ma soprattutto
significativo l'intensificarsi di questo motivo nella sezione centrale del Vangelo, in coincidenza
con gli insegnamenti di Ges relativi alla propria passione e alla condotta che devono tenere i
suoi seguaci.
"Per strada" (la strada verso Gerusalemme, ossia verso la croce) Ges chiede ai suoi
discepoli quale opinione la gente abbia di lui (8,27) e ottiene da Pietro il famoso riconoscimento
che egli il Cristo; "per strada", dopo che Ges ha loro fatto il secondo preannuncio della
passione, i discepoli, che non hanno compreso, si interrogano su chi di loro sia il pi grande
(9,33-34); "per strada" Ges impartisce il suo insegnamento sui pericoli della ricchezza (10,17) e
fa il terzo preannuncio della passione (10,32); "per strada" il cieco di Gerico viene guarito e
segue Ges nel cammino verso Gerusalemme, facendosi cos modello di vero discepolato
(10,46.52). Si pu dire che sia la strada il luogo pi conforme allo stile di vita di Ges e dei suoi
discepoli (cfr. 6,8: i discepoli sono inviati in cammino), quello che corrisponde meglio allo scopo
ultimo: la diffusione del vangelo a tutte le genti, in tutto il mondo.
Particolarmente parco Marco nelle indicazioni di nomi propri di luoghi, a parte
Gerusalemme. Menziona quattro volte Betania, tre volte Cafarnao, tre volte Tiro, due volte
Betsaida, una volta Nazaret, Genesaret, Sidone, Gerico, Betfage, ecc. Ma bisognerebbe anche
notare le quattro ricorrenze del Giordano, le due della Decapoli, la ricorrenza dell'Idumea, ecc.
Certamente Marco riporta notizie della tradizione, ma gi significativo che, in questo caso,
probabilmente operi una scelta cosciente: ad esempio, non menziona Corazin, dove sappiamo
da Matteo e Luca che avvennero numerosi miracoli 82.
In qualche caso la menzione dei nomi di luoghi pu acquistare sfumature pi intense
per le reminiscenze bibliche di cui sono carichi.
Ad esempio il Giordano (citato in 1,5.9; 3,8; 10,1) era noto come il fiume che il popolo
ebraico attravers prima di entrare nella Terra Promessa; il passaggio del fiume sotto la guida
di Giosu, simile al passaggio del Mar Rosso, era stato celebrato con un monumento
commemorativo 83: attraversare il fiume segna un momento solenne. Non potrebbe essere,
80

Si noti il parallelismo di espressione tra 6,2: "Insegnare nella sinagoga", e 12,35: "insegnando
nel tempio".
81
Esiste anche una monografia specifica: E. Manicardi, Il cammino di Ges nel Vangelo di Marco,
Rome, Biblican Institute Press, 1981.
82
Cfr. Rigaux, p.24.
83
Cfr. van Iersel, p.65, che nota il valore della menzione del Giordano, come allusione al tema
della conversione e del cambiamento di vita, per il prologo: Giovanni Battista battezza nel
Giordano, Ges viene al Giordano per essere battezzato.

60
allora, che l'indicazione strana che Marco d in 10,1 ("viene nel territorio della Giudea e oltre il
Giordano": l'ordine logico inverso) e che ha fatto dire ancora una volta che "senza dubbio
Marco ha un'idea sbagliata della geografia" 84 - oppure ha indotto a intendere diversamente il
pevran (come "lungo" invece che come "oltre, al di l", che pi comune) 85 - si spieghi con
l'intenzione di introdurre una connotazione teologica legata al "passaggio del Giordano"? Si
tratta in effetti per Ges di compiere un passo decisivo verso Gerusalemme (cfr. 10,36) 86, verso
la morte e la risurrezione, che sono oggetto di ben tre preannunci in questa medesima sezione.
Verso la morte e la risurrezione, che saranno strumento di salvezza e di riscatto per molti
(10,45. 14,24), in qualche modo, quindi, la vera e definitiva Terra Promessa.
Anche la collocazione dell'episodio della guarigione del cieco a Gerico (il nome della
citt menzionato due volte nel medesimo versetto: 10,46), subito prima dell'ingresso in
Gerusalemme, pu non essere casuale, se si ricorda che al tempo di Giosu la conquista di
Gerico aveva costituito una tappa fondamentale ai fini dell'ingresso vero e proprio nella Terra
Promessa 87.
Dovremmo dunque postulare che le indicazioni di luogo non siano mai prive di
significato, anche se talora a noi sfugge questo significato, perch ci mancano informazioni sulle
connotazioni che certi nomi potevano avere. Dobbiamo stare attenti anche a squalificare certi
itinerari apparentemente scombinati, perch non trovano rispondenza sulla carta.
Una questione particolare riguarda il viaggio a Betsaida: lo esamineremo nella seconda
parte.
La cronologia
Anche la cronologia del Vangelo, come la geografia, risulta piuttosto vaga.
Ancor meno che gli altri Vangeli il Vangelo di Marco presenta la struttura di una
biografia: non incomincia neppure dalla nascita del protagonista e non fornisce nessuna
indicazione storica, a differenza, ad esempio, di Luca, che invece, sia a proposito della nascita
di Ges, sia a proposito della predicazione del Battista, e quindi del battesimo di Ges (2,1ss.;
3,1 ss.), fissa precisi riferimenti cronologici richiamandosi alle autorit di governo della
Palestina e dell'impero, e anche alla successione dei sacerdoti. Anche per quanto riguarda
l'attivit pubblica di Ges la tendenza di Marco quella di fornire un quadro schematico ed
essenziale: l'impressione che se ne potrebbe ricavare che tutto il ministero di Ges si sia
svolto nell'arco di un anno solo, mentre sappiamo da Giovanni che dovette durare senz'altro di
pi (oltre due anni).
Manca l'interesse a fissare con esattezza la datazione dei singoli avvenimenti, che per lo
pi sono collegati da notazioni molto generiche, come: "e", "di nuovo", "in quei giorni", "dopo
che", "poi", "mentre", "subito": di "subito" (eujquv") Marco sembra abusare, dato che vi ricorre
almeno 41 volte, contro le 18 di Matteo, 7 di Luca e 6 di Giovanni. Raramente abbiamo
l'accorpamento di pi avvenimenti in periodi determinati: stata spesso notata la costruzione,
proprio all'inizio del Vangelo, della "giornata di Cafarnao" (1,21-38), che contiene la guarigione
dell'indemoniato nella sinagoga, la guarigione della suocera di Pietro e altre guarigioni alla
sera, si conclude al mattino del giorno dopo, quando Ges, dopo aver pregato, si trasferisce coi
discepoli in altri villaggi della Galilea.
Un particolare interesse stato rivolto alla cronologia della passione, che,
contrariamente alla tendenza generale, caratterizzata da abbondanza e minuzia di particolari:
ritroviamo infatti a partire dal cap.11 tutta una serie di indicazioni precise: sera, alba,
riferimenti ai giorni della Pasqua e, per il giorno della morte, addirittura le ore, e poi la vigilia
del sabato, il giorno dopo il sabato; indicazioni che complessivamente scandiscono i giorni di
una settimana.
84

Schweizer, p.214. Cfr. anche Uricchio-Stano, p.438.


Cfr. Pesch, II, p.190. Le difficolt furono sentite gi dai copisti che introdussero varianti.
86
Schweizer (p.214) accenna invece alla possibile sottolineatura, sempre teologica, della
Giudea, il luogo della croce.
87
Cfr. Radermakers, p.241.
85

61
Si spesso ritenuto che i collegamenti per lo pi imprecisi e stereotipati dipendano
dalla necessit di connettere in qualche modo brani della tradizione che erano circolati
autonomamente, senza collocazione precisa, e dall'estremo rispetto di Marco per la tradizione,
dal suo ritegno a rielaborare in proprio il materiale ricevuto. Conseguentemente, si pure
pensato che i collegamenti di pi episodi in periodi di tempo delimitati fossero gi stati fatti
prima di Marco e che Marco li erediti dunque anch'essi dalla tradizione.
Questo si rivela particolarmente importante per la cronologia della passione, che stata
studiata (ad es., da Schmid, Pesch) soprattutto allo scopo di identificare storicamente il giorno
della morte di Ges e risolvere il problema delle differenze tra la tradizione sinottica, che pone
la morte di Ges nella ricorrenza della Pasqua ebraica, subito dopo la cena della vigilia
pasquale (il che corrisponderebbe al 15 del mese ebraico di Nisan), e la tradizione giovannea,
che invece pone la morte di Ges un giorno prima, il 14 di Nisan, nel giorno della vigilia. Il
giorno della settimana sarebbe sempre il venerd, diversa sarebbe la data mensile. La questione
aveva provocato controversie tra le chiese gi nell'antichit, perch influenzava la scelta del
giorno da celebrare annualmente come Pasqua: le chiese dell'area giovannea si caratterizzavano
per la celebrazione il giorno 14 di Nisan ed erano perci denominati quattordecimani. La
cronologia marciana (e sinottica) stata talora preferita (da Schmid, Pesch) perch risulterebbe,
a differenza di quella giovannea, priva di tendenze teologiche: Giovanni, o una tradizione a lui
anteriore, avrebbe modificato i dati per presentare Ges come vero agnello pasquale, dato che
sarebbe morto nel giorno stesso in cui si sacrificavano gli agnelli per la cena.
Pesch 88 in generale convinto che la cronologia di Marco abbia valore storico e che
non vi si debba normalmente attribuire un pi profondo significato simbolico. Ma vero? Si
noti che la questione manterrebbe il suo valore, anche se si potesse accertare che in molti punti
Marco riprende semplicemente dati della tradizione: gi nella tradizione pu essersi verificata
un'intenzionalit e Marco l'ha fatta propria.
In realt, in alcuni casi possibile riconoscere chiaramente che certe indicazioni
cronologiche hanno valore simbolico. Un caso tipico sono i 40 giorni di permanenza di Ges
nel deserto (1,13), che rinviano, come gi si notato a proposito dell'immagine del "deserto", a
varie indicazioni veterotestamentarie imperniate sul numero 40 (innanzitutto i 40 anni del
popolo ebraico nel deserto, poi i 40 giorni di cammino di Elia per raggiungere il Monte Horeb,
ecc.): in questo modo il periodo di prova di Ges viene assimilato a quelli della storia antica e
ne ricava nuovi significati.
Per altre indicazioni, meno facile individuare un riferimento chiaro: ad esempio, per
l'indicazione, apparentemente strana, "dopo 6 giorni" che introduce il racconto della
Trasfigurazione (9,2), indicazione certamente non casuale, dato che sono pochissime le
specificazioni cronologiche di tipo numerico, a parte quelle del racconto della passione. C' chi
ha pensato, di nuovo, a un precedente biblico: a Mos che attende 6 giorni sul Monte Sinai,
prima di essere chiamato da Dio (Esodo 24,15-16).
Per la settimana della passione, gi vari studiosi si sono preoccupati di trovare un
significato teologico alla scansione cronologica dei giorni, con risultati per contraddittori 89. E
questo sia perch c' spesso la preoccupazione di distinguere tra ci che appartiene alla
tradizione e ci che Marco come redattore ha aggiunto di suo, sia perch spesso la ricerca
risulta in qualche modo condizionata da preconcetti: quelli di accentuare l'importanza, nella
teologia marciana, del giorno della morte (venerd) oppure del giorno della risurrezione
(domenica), per cui si cerca di far coincidere il settimo giorno indicato da Marco col giorno
ritenuto pi importante. Ma per far questo si trascurano a volte indicazioni contenute nel testo.
Se si seguono tutte queste indicazioni risulta che i giorni scanditi da Marco
incominciano con la domenica (ingresso di Ges a Gerusalemme) e si concludono con il giorno
dopo il sabato, ancora la domenica, giorno della risurrezione. Il punto di riferimento
l'indicazione relativa al venerd (15,42).
88

I,p.73.
Una rassegna di posizioni e un contributo originale sul tema d E. Corsini nell'articolo La
settimana della passione nel Vangelo di Marco, in "Civilt Classica e Cristiana" 6 (1985), pp.241-251.
89

62
La prima indicazione quella di 11,11: "essendo ormai l'ora tarda, se ne and a Betania"
= sera del 1 giorno (domenica); abbiamo poi: "11,12: "E al mattino, partiti da Betania" = mattino
del 2 giorno (luned); 11,19: "E quando fu sera, uscirono dalla citt" = sera del 2 giorno; 11,20:
"E passando di l di buon'ora" = mattino del 3 giorno (marted); 14,1: "mancavano due giorni a
Pasqua e agli Azzimi" = 4 giorno (mercoled); 14,12: "E il primo giorno degli Azzimi" = 5
giorno (gioved); 14,17: "E venuta la sera" = sera del 5 giorno; 15,1: "E subito di buon'ora" =
mattino del 6 giorno (venerd); 15,25: "Era l'ora terza" = le nove; 15,33: "E giunta l'ora sesta si
fece buio su tutta la terra fino all'ora nona": da mezzogiorno alle tre ; 15,34: "E all'ora nona" =
alle tre; 15,42: "E giunta ormai la sera, poich era la Parasceve (preparazione), cio la vigilia del
sabato" = sera del 6 giorno; 16,1: "E trascorso il sabato" = 7 giorno; 16,2: "E molto di buon'ora,
il primo giorno dopo il sabato ... al sorgere del sole" = 8 giorno (domenica).
La presentazione dei giorni di questa settimana si offre a molte considerazioni, la prima
delle quali che siamo di fronte a uno schema sicuramente costruito intenzionalmente, e che ha
importanza per Marco, mentre gli altri evangelisti la modificheranno.
I primi tre giorni, o almeno i primi due fino all'alba del terzo giorno, giorni in cui Ges
va e viene nel Tempio (entra solennemente al suo ingresso in Gerusalemme, scaccia i mercanti)
si succedono con ritmo incalzante (11,11.12.19.20), poi abbiamo una lunga pausa: il terzo giorno
dilatato per la gran quantit di cose che vi capitano: almeno cinque dispute con i capi giudei
nel Tempio (cap.12) e tutto il lungo discorso escatologico del cap.13 pronunciato davanti al
Tempio. Comunque questi primi tre giorni sono tutti collegati col Tempio.
La scansione cronologica degli altri tre giorni, l'ultimo dei quali quello della passione,
segna come un nuovo inizio perch le indicazioni cronologiche si appuntano ora sulla Pasqua:
perci si indicano il quarto e il quinto giorno in base ai giorni che mancano alla Pasqua e agli
Azzimi (abbiamo una sorta di "conto alla rovescia"). Al sesto giorno, quello della condanna,
crocifissione e morte, abbiamo un rallentamento temporale che scandisce, oltre alla sera e alla
mattina, le ore (terza, sesta, nona). Sia nell'elencazione dei giorni, sia delle ore, si pu notare la
tendenza a una scansione ternaria, che raggruppa giorni e ore a tre a tre. Come per i giorni,
anche le ore gravitano sugli ultimi tre elementi (gli ultimi tre giorni sono quelli della Pasqua;
dall'ora sesta alla nona c' il buio che precede la morte). Tutto converge a sottolineare
l'importanza della morte, che nel contempo la Pasqua. Si noti che, secondo il modo semitico di
calcolare, anche l'evento della risurrezione viene sempre posto "tre giorni dopo" la morte (8,31;
9,31; 10,34), intendendo il terzo giorno.
Poi abbiamo nuovamente un cambiamento e una pausa: le successive indicazioni
cronologiche spostano l'attenzione sul sabato, ma il sabato un giorno vuoto, in cui non
succede nulla, in cui Ges nella tomba. Alla vigilia c' la sepoltura, il giorno dopo c' la
risurrezione. L'interesse vero per quel primo giorno dopo il sabato, che segna un nuovo
inizio, e la posivit di questo giorno sottolineata anche dalla notazione, apparentemente
ridondante, del sorgere del sole.
Le caratteristiche di questa settimana consentono di trarne varie riflessioni.
Possiamo osservare ora che il giorno della morte risulta, in questo schema, il sesto.
Questo potrebbe allora essere messo in rapporto con l'indicazione "dopo sei giorni" (9,2), della
Trasfigurazione che non fa riferimento al settimo giorno, ma al sesto (nelle predizioni sulla
passionem morte e risurrezione "dopo tre giorni" significa "il terzo giorno"). Interpretando cos
l'indicazione, avremmo come risultato che la Trasfigurazione, che ci presenta un Ges glorioso,
allude alla morte vista, allo stesso modo in cui la vedr Giovanni nel suo Vangelo, come
momento di glorificazione.
Questo schema della settimana, come ha suggerito nel suo articolo E. Corsini, fa
pensare, anche per le analogie con l'Apocalisse, che adotta pure uno schema settenario e si
compiace di simboli numerici, sia alla settimana della creazione e all'importanza che ha in essa
il sesto giorno come giorno della creazione dell'uomo, sia alla profezia delle 70 settimane

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(profezia di Geremia) che Daniele interpreta nel cap.9 90. Sono le settimane riservate
all'intervento salvifico di Dio a favore del suo popolo. L'ultima settimana quella in cui viene
ucciso un Unto, un Cristov", la citt e il santuario sono distrutti, cessano i sacrifici e le libazioni e
nel Tempio compare l'"abominio della desolazione". E si precisa (nella traduzione greca di
Teodozione) che a met della settimana che viene abolito il culto.
Ecco il testo della profezia: "Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua
santa citt per mettere fine all'empiet, mettere i sigilli ai peccati, espiare l'iniquit, portare una
giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei Santi. Sappi e intendi bene,
da quando usc la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe
consacrato, vi saranno sette settimane. Durante sessantadue settimane saranno restaurati,
riedificati piazze e fossati, e ci in tempi angosciosi. Dopo sessantadue settimane, un consacrato
sar soppresso senza colpa in lui; il popolo di un principe che verr distrugger la citt e il
santuario; la sua fine sar un'inondazione e, fino alla fine, guerra e desolazioni decretate. Egli
stringer una forte alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di met settimana, far
cessare il sacrificio e l'offerta; sull'ala del tempio porr l'abominio della desolazione e ci sar
sino alla fine, fino al termine segnato sul devastatore" (Dan 9,24-27).
Nel Discorso escatologico del cap. 13 si fa esplicito riferimento a questa profezia
quando si parla dell'"abominio della desolazione" (13,14): ne riparleremo nella seconda parte.
Un altro spunto offerto dalla settimana della passione riguarda il significato del sabato.
Non sembra casuale questo isolamento del sabato rispetto agli altri giorni, questa
accentuazione, si pu dire, negativa, del sabato: il sabato il giorno in cui Ges nella tomba e
non succede nulla.
In realt il tema del sabato ha un'importanza particolare, e si potrebbe dire strutturale,
in tutta la prima parte del vangelo: i capp.1-6 sono incorniciati da indicazioni relative al sabato
(oltre che alla sinagoga): Ges, subito dopo la chiamata dei primi discepoli inizia la sua attivit
entrando di sabato nella sinagoga di Cafarnao (1,21), conclude la sua attivit di predicazione
concentrata sulla Galilea andando di sabato nella sinagoga della sua patria, ossia di Nazaret
(6,2). Dopo di che non si menzioneranno pi n le sinagoghe n il sabato fino alla risurrezione.
Il sabato poi, o meglio l'osservanza giudaica del sabato, oggetto diretto di controversia con gli
avversari in due episodi specifici (le ultime due, delle cinque, dispute): quando i discepoli
spigolano e mangiano spighe di sabato (2,23-28) e quando Ges guarisce di sabato un uomo con
la mano paralizzata (3,1-6).
Il sabato non dunque una pura indicazione cronologica in nessun caso, e c'
evidentemente un collegamento interno a queste indicazioni. La polemica sul sabato porta, da
una parte, ad affermare che "il Figlio dell'uomo (il titolo comunemente usato da Ges per
parlare di se stesso) padrone anche del sabato" (2,28), dall'altra esaspera gli avversari al punto
che proprio l'ultima violazione del sabato li induce a concepire il progetto di uccidere Ges. La
morte di Ges porta per a superare il sabato, a vanificarlo in tutto ci che cultualmente
significava per i giudei. Un altro indizio in questo senso la corrispondenza tra la notazione del
sorgere del sole che accompagna il primo giorno dopo il sabato (16,2) e il tramonto del sole che
invece veniva evidenziato per il giorno di sabato che inaugurava l'attivit di Ges (1,32): sono
le uniche due menzioni relative ai movimenti del sole in tutto il Vangelo. Il sabato destinato a
tramontare, mentre la domenica diventa il giorno che incomincia, ma non finisce.
Le indicazioni temporali che si riferiscono a momenti del giorno (sera, notte, mattino)
contribuiscono spesso a sottolineare l'atmosfera di certi episodi: la sera e la notte possono
connotare momenti di tenebre anche spirituali, momenti in cui il male sembra dominare; il
mattino invece momento lieto di speranza, momento di intervento della divinit.

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Corsini nota (in Apocalisse prima e dopo, Torino, SEI, 1980, p.63) che questa profezia "
fondamentale per la comprensione dell'Apocalisse": in questo testo la maggior parte delle
indicazioni simboliche di tempo si riferiscono ad essa: 1260 giorni, 42 mesi, 3 giorni e mezzo:
tutte sono equivalenti ai tre anni e mezzo corrispondenti a ciascuna delle due mezze settimane
in cui Daniele aveva diviso l'ultima delle settanta settimane di anni.

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Cos, vediamo che di sera (ojyiva" genomevnh") portano a Ges tutti gli ammalati di
Cafarnao (1,32); avviene la traversata del lago sconvolto dalla bufera, con i discepoli travolti
dalla paura (4,35) e poi di nuovo l'altra faticosa traversata del lago col vento contrario (6,47); di
sera, durante l'ultima cena, Ges annuncia il tradimento di Giuda (14,17); di sera avviene la
sepoltura (15,42). Di notte avverr il tradimento di Pietro (14,30).
All'alba, invece, alla quarta vigilia della notte, ossia tra le tre e le sei, Ges va incontro ai
discepoli stanchi e impauriti, camminando sulle acque (6,48); di buon mattino (prwiv) Ges si
alza per andare a pregare (1,35) e le donne vanno alla tomba, che troveranno vuota, perch
Ges risorto (16,2).
Guardando complessivamente alla cronologia del Vangelo, si pu notare che tutta la
prima parte povera di indicazioni cronologiche precise, a parte la "giornata di Cafarnao" e i
sabati, mentre il ritmo degli eventi in qualche modo accelerato dalla frequenza dei "subito". La
seconda parte, invece, subisce un rallentamento ed quasi tutta concentrata nell'arco della
settimana della passione. Lo schema delle settimana mira a mostrare che proprio questi eventi
ultimi costituiscono il compimento della grande profezia messianica di Daniele e anche una
"nuova creazione".

2.2. Il Vangelo di Marco e le nuove metodologie


Bibliografia.
Una panoramica ampia sulle nuove metodologie si pu trovare nel documento recente
della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Citt del
Vaticano, Libreria editrice vaticana, 1993, ristampato, con ampio commento di un'quipe di
studiosi, in Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Commento
a cura di G. Ghiberti e F. Mosetto, Leumann (Torino), LDC, 1998. Si pu ricorrere a quest'ultimo
volume per un'illustrazione dei singoli metodi e per indicazioni bibliografiche;
Si veda inoltre nella recente ediz. it. dell' Introduzione al NT di R.E. Brown (Brescia,
Queriniana, 2001), le pp. 60-66; 85-88.
Abbiamo anche applicazioni di varie metodologie a singoli brani biblici. Alcuni volumi
esemplari da questo punto di vista sono: AA. VV., Analisi strutturale ed esegesi biblica, tr. it.,
Torino, Sei, 1973, su Gen 32,23-33 e Mc 5,1-20; AA.VV., Exegesis. Problmes de mthode et exercises
de lecture (Gense 22 et Luc 15), par F. Bovon et G. Rouiller, Neuchtel-Paris 1975.

Il metodo storico-critico, nelle articolazioni di Critica delle fonti, Analisi


storica, Storia delle forme, Storia della redazione, che abbiamo illustrato, il pi
praticato a livello scientifico nei commenti ai Vangeli. Ma ha pregi e difetti. I
pregi consistono nel fatto che abitua a prestare attenzione alle unit letterarie, a
riconoscerne gli schemi di base e le formule ripetitive, a ricercare analogie e
precedenti in forme presenti nella letteratura veterotestamentaria e giudaica, a
considerare i rapporti di somiglianza e differenza rispetto agli altri Vangeli, e
quindi ad apprezzare meglio il processo attraverso cui si arrivati alla
composizione dei singoli Vangeli. E non bisogna dimenticare le ricerche di tipo
storico sull'ambiente, la geografia, gli usi sociali e religiosi del tempo e del
luogo a cui i racconti evangelici fanno riferimento. Tutta una serie di
acquisizioni, sulla lingua, lo stile, la struttura dei Vangeli derivano dalla massa
enorme di studi che sono stati compiuti con questo metodo.
Bisogna per riconoscere che spesso il metodo storico-critico resta fermo
allo studio della storia precedente e persegue pi un procedimento di accumulo
di materiali che di interpretazione del significato finale, del messaggio
teologico; trascura a volte la forma definitiva assunta dai testi, l'unica che

65
possediamo e che possiamo valutare. Inoltre non va esente da soggettivit e
arbitrariet quando pretende di distinguere sempre tra forma originaria e
apporti successivi, di conoscere l'estensione di raccolte pi ampie di detti o
racconti. Gli si pu rimproverare la tendenza a frammentare e sezionare i testi
come cadaveri, dimenticando che un testo, come dice la parola stessa textus,
un tessuto, ossia un intreccio di fili, un organismo funzionante nella sua unit.
Soprattutto per quanto riguarda il Vangelo di Marco, poi, da parte degli
studiosi che seguono il metodo storico-critico e che sono anche quelli che hanno
prodotto i migliori commenti (cfr. V. Taylor, E. Schweizer, R. Pesch, J. Gnilka, J.
Ernst), stata volutamente dedicata minore attenzione al lavoro redazionale e
all'intenzione finale dell'evangelista, sia per la maggiore difficolt che questo
Vangelo, in quanto il pi antico e quindi senza precedenti noti, presenta a una
analisi del lavoro del redattore rispetto al materiale tradizionale, sia per anche
per il presupposto, che non viene quasi mai messo in discussione, del suo
conservatorismo e del suo rispetto estremo della tradizione, per cui si d per
scontato che il suo intervento redazionale sia stato comunque scarso.
Ma negli ultimi decenni stata sviluppata una serie di nuovi metodi o
approcci per ovviare alle carenze del metodo storico-critico, in qualche caso per
integrarlo, in qualche caso per sostituirlo e guardare i testi in una prospettiva
nuova, in particolare abbandonando la dimensione diacronica propria di
questo metodo a favore della dimensione sincronica, attenta al testo nel suo
insieme cos com'. Inoltre la crescita di nuove metodologie scientifiche sorte
all'interno di altre discipline ha portato a tentativi di sottoporre anche i testi
biblici a nuovi approcci.
Accenniamo ad alcuni di questi nuovo metodi, per dedicare maggiore
attensione all'esegesi femminista, ma soprattutto per sviluppare i metodo
letterari.
2.2.1. Metodi o approcci basati sulla Tradizione
Bibliografia
F. Mosetto, Approcci basati sulla tradizione, in Pont. Comm. Bibl., L'interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, a cura di G. Ghiberti e F. Mosetto, cit., pp. 162-194.

I principali sono: Approccio canonico; Approccio mediante il ricorso alle


tradizioni interpretative giudaiche; Approccio attraverso la storia degli effetti
del testo.
Il Metodo canonico presta attenzione alla funzione che i singoli libri
svolgono nel complesso della Bibbia cos com' stata definita dal Canone. E' un
metodo (gi presente nell'esegesi patristica) che stato avviato in tempi
moderni da studiosi dell'AT e sta acquistando sempre maggiore importanza,
perch guarda all'intenzione di chi ha ordinato i libri della Bibbia stabilendo un
collegamento e un rapporto tra essi, oppure tenendo conto di un rapporto tra
essi che gi esisteva. Non sostituisce il metodo storico-critico, ma lo completa.
Questo tipo di lettura varia a seconda dei canoni: non pu essere la stessa se si
parte dal canone ebraico o da quello cristiano. E' il metodo favorito in una
prospettiva di fede.

66
Il Ricorso alle tradizioni interpretative giudaiche ha assunto un rilievo
specifico soprattutto dopo la scoperta dei rotoli di Qumran che ha portato
all'attenzione la complessit del mondo giudaico in cui vissuto Ges e si
formato il cristianesimo. Di qui l'esigenza di approfondire la conoscenza della
documentazione giudaica, delle tradizioni giudaiche, della letteratura giudaica
biblica e apocrifa, dell'esegesi giudaica, come sfondo e termine di confronto per
una migliore comprensione dell'AT e del NT.
Il metodo della Storia degli effetti (in tedesco Wirkungsgeschichte)
analizza la fortuna e il riuso dei libri biblici o di singole sue parti, nella
tradizione culturale successiva, sia religiosa, sia laica: nella letteratura, nell'arte,
nella musica, nel cinema, ecc. Mette in evidenza il ruolo del lettore nella
comprensione dell'opera, e le trasformazioni intervenute nel corso del tempo
per quanto riguarda il tipo di lettura che un'opera ha avuto. Questo metodo
pu avere una funzione utile anche per sgombrare il campo da preconcetti,
preletture che si sono imposte e talora si sono sovrapposte ai testi.
Su questo aspetto cfr. in particolare A.-M. Pelletier, La Bibbia e l'Occidente. Letture
bibliche alle sorgenti della cultura occidentale, tr. it., Bologna, Ed Dehoniane, 1999 (ed. orig. Paris
1995); B. Salvarani, A scuola con la Bibbia. Dal libro assente al libro ritrovato, Bologna, Ed.
Missionaria Italiana, 2001, e i vari Atti dei convegni dell'Associazione Biblia su: Dante e la Bibbia;
La musica e la Bibbia; L'arte e la Bibbia; Il teatro e la Bibbia.
Ma dedicano spazio a questo aspetto anche i volumi di G. Ravasi, Il racconto del cielo. Le
storie, le idee, i personaggi dell'Antico Testamento, Milano, Mondadori, 1995; La Buona Novella. Le
storie, le idee, i personaggi del Nuovo Testamento, Milano, Mondadori, 1996.

2.2.2. Metodi o approcci attraverso le scienze umane


Bibliografia
M. Pesce, Approccio secondo le scienze umane, in Pont. Comm. Bibl., L'interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, a cura di G. Ghiberti e F. Mosetto, cit., pp. 195-221.

I principali sono: Approccio sociologico; Approccio antropologico;


Approcci psicologici e psicanalitici.
L'Approccio sociologico tiene conto del fatto che i testi nascono in
specifici ambienti culturali e sociali, per rispondere a problemi e aspettative di
quegli ambienti, e riflettono quindi i caratteri della societ e della cultura del
loro tempo. Anche se questo punto di vista non era certo estraneo al metodo
storico-critico, negli ultimi anni l'interesse si sviluppato particolarmente e ha
utilizzato le nuove acquisizioni delle ricerche sociologiche moderne. Si guarda
in particolare alle istituzioni, all'economia, ma anche ai vari aspetti della vita
concreta. Tra gli aspetti che attirano l'attenzione ci sono, ad es., per quanto
riguarda l'AT, le forme di organizzazione del popolo ebraico antico nelle sue
varie fasi; le legislazioni delle societ orientali coeve come punto di riferimento
per capire meglio il senso di tante norme legali di Israele. Per il NT interessa
definire meglio il movimento carismatico itinerante di Ges e dei suoi
discepoli, le strutture delle comunit paoline, ecc.
L'Approccio antropologico (o meglio: l'Approccio attraverso
l'antropologia culturale) affine a quello sociologico, ma prende in

67
considerazione particolarmente le varie manifestazioni culturali che
caratterizzano i popoli: la lingua, l'arte, i riti religiosi, le tradizioni, i rapporti di
parentela, i valori culturali, ma anche l'abbigliamento, le feste, le danze, i
calendari, le leggende, i tab, la posizione della donna, e in genere tutto ci che
rientra nell'attuale etnografia. Si costituiscono su queste basi delle tipologie e
dei modelli culturali.
Come esempio di questo tipo di studi si possono citare due volumi di A. Destro-M.
Pesce: Antropologia delle origini cristiane, Roma-Bari, Laterza, 1995; Come nasce una religione.
Antropologia ed esegesi del Vangelo di Giovanni, Bari, Laterza, 2000.

Gli Approcci psicologici e psicanalitici (nelle variet delle scuole) cercano


di applicare alla lettura dei testi biblici le nuove cognizioni relative alla
psicologia e, per quanto riguarda in particolare la psicanalisi, relative
all'inconscio (un aspetto che strettamente legato alla religione). Trovano un
campo fertile di ricerca nella vasta sfera dei simboli, delle immagini, dei riti, dei
sogni e delle visioni.
Per l'approccio psicanalitico si vedano: l'imponente commento sul Vangelo di Marco di
E. Drewermann, Das Markus Evangelium, 2 voll., Olten-Freiburg i.B. 1987 (1989 4)-1988, ora
tradotto in parte in italiano, e F. Dolto e G. Svrin, Psicanalisi del Vangelo, tr. it., Milano, Rizzoli,
1978 (ed.orig. Paris 1977). L'approccio di Drewermann stato ampiamente discusso da C.
Marcheselli Casale, "Il caso Drewermann". Psicologia del profondo: un nuovo metodo per leggere la
Bibbia?, Casale Monferrato, Piemme, 1991.
Per un approccio psicologico cfr. F. Monuschi-G. Cirignano, La personalit di Paolo. Un
approccio psicologico alle lettere paoline, Bologna, Ed. Dehoniane, 1996.

2.2.3. Metodi o approcci contestuali


Bibliografia
G. Segalla, Approcci contestuali: ermeneutica liberazionista e femminista, in Pont. Comm.
Bibl., L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, a cura di G. Ghiberti e F. Mosetto, cit., pp. 222-242.

Sotto l'etichetta di Metodi contestuali (o di Critica contestuale) si


intendono due metodi in particolare: l'Approccio liberazionista e l' Approccio
femminista. Si tratta di metodi che nascono da esigenze concrete e urgenti di
ambienti e strati sociali emarginati e pongono domande alla Bibbia per trovare
indicazioni utili a cambiare la situazione. La lettura della Bibbia qui
determinata dal "contesto" sociale e politico in cui si trovano i lettori ed ha
obiettivi pratici. Inoltre una lettura che rifiuta espressamente la neutralit, ma
presuppone una precisa scelta di campo (l'opzione per i poveri). Pi che di
nuovi metodi si deve parlare di nuovi punti di vista (alcuni parlano di
ermeneutiche), dato che presupposto l'uso del metodo storico-critico.
L'Approccio liberazionista in rapporto con la teologia della liberazione,
che nata e ha avuto sviluppo soprattutto in America latina, ma si propagata
poi anche in Africa, in Asia, soprattutto tra le popolazioni povere e sfruttate.
Viene utilizzato in funzione delle attuali lotte di liberazione e quindi guarda
soprattutto alle parti della Bibbia in cui sono in primo piano i temi della
salvezza del popolo oppresso ad opera di Dio, della giustizia, del favore di Dio

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verso gli umili, ecc. Suscita diffidenza negli ambienti ecclesiastici perch rischia
di risultare parziale e adotta talora l'ideologia materialistia.
L'Approccio femminista nasce all'interno del movimento femminista, che
ha pure uno scopo pratico: quello di combattere le condizioni di
subordinazione della donna nelle societ patriarcali, e anche all'interno delle
Chiese.
2.2.3.1. L'esegesi femminista
Bibliografia
Per una presentazione del metodo cfr. E. Schssler Fiorenza, In memoria di lei. Una
ricostruzione femminista delle origini cristiane, tr.it., Torino, Claudiana, 1990 (ed.orig. New York
1983).
Per una rassegna di contributi cfr. Interpretazione femminista della Bibbia, a cura di L.M.
Russel, tr. it., Assisi, Cittadella, 1991 (ed. orig. 1985). Si vedano anche M. Bhrig, Donne invisibili
e Dio patriarcale. Introduzione alla teologia femminista, tr. it., Torino, Claudiana, 1989 (ed. orig.
Zrich 1987), pp. 27-44; M.-T. van Lunen-Chenu e R. Gibellini, Donna e teologia, Brescia,
Queriniana, 1988, pp. 125-134.
Per una valutazione pi aggiornata: M. Perroni, Una valutazione dell'esegesi femminista:
verso un senso critico integrale, in "Studia Patavina" 43 (1996), pp. 67-92; M. Navarro Puerto,
Tendenze attuali nell'esegesi femminista: Mc 5, in Donne e Bibbia. Storia ed esegesi, a cura di A.
Valerio, EDB, Bologna 2006, pp. 329-366.
Oggi alcune riviste di teologia ed esegesi biblica (ad es., "Concilium") dedicano una
sezione specifica alla produzione femminista.
Per un commento femminista a pi voci della Bibbia cfr. La Bibbia delle donne. Un
commentario, a cura di C.A. Newsom e S.H. Ringe, 3 voll., tr. it., Torino, Claudiana, 1996-1999
(ed. orig. Westminster 1992-1998)

L'esegesi femminista sorta recentemente sulla scia delle ricerche


sviluppate dal movimento femminista, prima negli ambienti anglosassone e
tedesco, e oggi si sta estendendo anche in Italia. Le sue origini si fanno risalire
alla pubblicazione della "Bibbia delle donne" (The Woman's Bible) ad opera
dell'americana E; Cady Stanton nel 1895 (oltre un secolo fa).
Si presenta, nelle sue forme pi coscienti e articolate, come uno sviluppo
e un'applicazione particolare dell'analisi storico-critica, della storia delle forme
e della storia della redazione. Parte dal presupposto che i Vangeli non sono
trascrizioni obiettive di fatti, ma scritti di impegno pastorale, in cui gli autori
hanno rielaborato i materiali tradizionali in base alle proprie convinzioni
teologiche e alle proprie finalit pratiche. In particolare, evidenzia che gli
evangelisti erano influenzati, come tutti gli uomini del loro tempo (sia
appartenenti al mondo greco-romano sia a quello ebraico), da una mentalit e
da una cultura patriarcali, che hanno condizionato la loro posizione verso le
donne. Evidenzia inoltre il fatto che anche la critica successiva, antica e
moderna, rimasta monopolio maschile e spesso risente ancora dei medesimi
pregiudizi maschilisti.
Di conseguenza, l'esegesi femminista, al di l delle differenziazioni
interne, si propone fondamentalmente, da una parte, di far riemergere una
presenza femminile che nelle fonti risulta marginale, ma che vari indizi
consentono di rivalutare, dall'altra parte, di dimostrare il carattere

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androcentrico di molti testi. E' fortemente influenzata dall'esigenza di favorire
una coscienza "femminista" nelle donne di oggi e quindi portata a partire dai
problemi dell'oggi e a sviluppare l'attualizzazione dei testi, a farne degli
strumenti per la moderna lotta di liberazione femminista. Negli studi finora
usciti, perci, l'interesse non tanto rivolto ai singoli scritti biblici, quanto agli
elementi che nei vari scritti consentono di ricostruire un quadro storico pi
adeguato (per quanto riguarda le figure di donne, ma non solo) o di
puntualizzare la deformazione tendenziosa dei racconti. Grande spazio hanno,
in questa esegesi, l'esperienza e la sensibilit femminile di chi si accosta ai testi,
e non di rado, quindi, anche un certo soggettivismo. Ma fondamentale,
soprattutto, una lettura in filigrana dei testi, perch si tratta per lo pi di
sfruttare piccoli indizi, anche i silenzi, di leggere tra le righe, di porre domande
nuove ai testi; la Schssler-Fiorenza parla di "ermeneutica del sospetto": l'idea
ispiratrice che i testi sono parziali (per quanto riguarda le indicazioni sulle
donne) e bisogna prestare un'attenzione speciale per cogliere e far emergere i
segni di questa parzialit.
Quando si sofferma sulle versioni specifiche dei singoli Vangeli, questo
tipo di lettura pu contribuire, non soltanto a recuperare un aspetto trascurato
della storia, ma non di rado anche ad approfondire l'interpretazione del testo
con la scoperta di particolari inediti.
In effetti, accenni presenti nei testi mostrano che un atteggiamento
nuovo di Ges nei riguardi delle donne e una loro presenza rilevante nella
comunit primitiva hanno creato incomprensione e imbarazzo gi nei discepoli,
scontrandosi con una mentalit, una cultura e una condizione sociale che invece
poneva la donna su un piano di inferiorit. Questa situazione affiora
chiaramente gi nei Vangeli: si veda l'episodio della Samaritana, in Giovanni 4,
dove i discepoli mostrano meraviglia e disagio per il fatto che Ges parla
apertamente con una donna (4,27). I problemi che emergono nelle comunit
cristiane a questo proposito si riflettono poi nelle lettere di Paolo, che oscillano
tra il riconoscimento pieno dell'uguaglianza dei sessi in Cristo (Gal 3,18: "Non
c' pi giudeo n greco, non c' pi schiavo n libero, non c' pi uomo e
donna, poich tutti voi siete uno in Cristo Ges"), e le riserve sul piano pratico:
si pensi all'obbligo per le donne di portare il velo e di tacere in assemblea (1 Cor
11,2-16; 14,34-36). Le lettere pastorali, le pi tarde, mostrano un adeguamento
delle comunit cristiane alle norme tradizionali su questo punto, con il pieno
recupero del precetto della sottomissione della moglie al marito nei vari "codici
domestici" (cfr. Col 3,18; Ef 5,24; Tt 2,5; 1 Pt 3,1.5), con l'inasprimento
dell'obbligo del silenzio fino al divieto di insegnamento (1 Tm 2,11-12), ecc.).
Perfino la tradizione manoscritta fa trapelare la difficolt, coi tentativi, in certi
casi, di correggere i testi allo scopo di ridimensionare la presenza femminile.91
Secondo l'esegesi femminista, questa situazione conflittuale condiziona
anche i racconti dei fatti, nel senso che gli evangelisti devono essere stati portati
91

Abbiamo accennato sopra, nel paragrafo sulla Critica testuale, all'atteggiamento misogino che
manifesta il codice D e altri testimoni della tradizione manoscritta occidentale.

70
a tacere, a minimizzare o modificare informazioni relative a donne. Molti dati,
quindi, si presuppone che siano andati perduti. Per ricostruire un quadro pi
adeguato della realt, solo un attento recupero dei cenni rimasti e il confronto
tra tradizioni diverse, a volte contraddittorie, possono portare a qualche
risultato.
Come esempio di silenzi relativi a donne si pu considerare il
comportamento degli evangelisti a proposito del gruppo delle "discepole" di
Ges: solo Lc ne parla trattando della fase galilaica dell'attivit di Ges (8,1-3);
invece Mc e Mt vi accennano, retrospettivamente, solo quando menzionano la
presenza delle donne al momento della morte di Ges (cfr. Mc 14,40-41; Mt
27,55-56). Dalle parole dell'angelo alle donne nella tomba, secondo le versioni
di Mc (16,7) e Lc (24,6-8), si potrebbe dedurre che le donne erano state presenti
anche durante l'ultima cena, quando Ges predisse che avrebbe incontrato
ancora i discepoli in Galilea (Mc 14,28), e gi in occasione delle predizioni della
passione (Lc 9,22.44), luoghi in cui i testi evangelici avevano parlato
genericamente di discepoli.
Un esempio di contraddizione tra le fonti sono i resoconti sui testimoni
della risurrezione di Ges: Paolo, in 1 Cor 15,5-8, non menziona affatto le
donne, mentre i Vangeli sono concordi nel documentare che le donne furono le
prime testimoni della tomba vuota, e anche le prime a vedere Ges risorto (su
questo punto cfr. Mt 28,9; Gv 20,14). L'atteggiamento di Paolo si spiega col fatto
che secondo il diritto ebraico le donne non avevano capacit giuridica, non
potevano fare una testimonianza valida legalmente.
Negli studi femministi, specialmente quando si tratta di raccogliere materiale per
ricostruire la situazione alle origini del cristianesimo, il Vangelo di Marco viene preferito per la
sua maggiore antichit, per il fatto che contiene tradizioni pi antiche. Per, anche
l'impostazione dell'evangelista suscita interesse dal punto di vista dell'atteggiamento verso le
donne. Episodi pi volte commentati, e messi a confronto con la redazione degli altri Vangeli,
sono quelli della donna di Betania, che unse il capo a Ges (14,3-9)
93

30).

92

e della Sirofenicia (7,24-

Ma anche la presentazione del gruppo delle seguaci di Ges molto studiato (cfr. 15,40-

94

41).

Per quanto riguarda Matteo, c' apprezzamento per alcune figure femminili presenti
soltanto in questo Vangelo: la madre dei figli di Zebedeo (20,20-21; 27,56), la moglie di Pilato
(27,19),95 oltre che interesse per i racconti di episodi che ricorrono gi in Mc (donna di Betania:
26,6-13; Cananea, corrispondente della sirofenicia: 15,21-28).
Pi controversa la valutazione della posizione di Luca: c' chi guarda positivamente al
gran numero di donne presenti nella sua opera, ai vari episodi solo lucani in cui sono
92

Cfr. E. Moltmann-Wendel, Le donne che Ges incontr, tr.it., Brescia, Queriniana, 1989 (ed.orig.
Gtersloh 1985 5), pp. 103-115; A. Lissner, Storia di un amore senza parole. L'unzione a Betania, in
Donne alla riscoperta della Bibbia, a cura di K. Walter-M.C. Bartolomei, Brescia, Queriniana, 1988
(ed.orig. Freiburg i.B. 1986), pp. 89-95. La Schssler-Fiorenza (pp. 153-154) cerca di ricostruire quello
che doveva essere il racconto originario, trasmesso dalla tradizione pi antica.
93
Cfr. S.H. Ringe, La storia di una donna pagana, in Interpretazione femminista della Bibbia, cit., pp.
88-100. La Schssler-Fiorenza (pp. 163-165) tenta anche qui di ricostruire il nucleo originario del
racconto.
94
Cfr. Schlsser-Fiorenza, pp. 347-355; Moltmann-Wendel, pp. 117-128.
95
Si vedano gli studi della Moltmann-Wendel (Le donne che Ges incontr) e di L. Sebastiani (Donne
dei Vangeli, Milano, Ed. Paoline 1994).

71
protagoniste donne (la vedova di Nain, la donna curva guarita di sabato, la vedova e il giudice,
la donna che aveva perso una dracma, Marta e Maria, ecc.; in particolare le figure di Elisabetta,
di Maria e di Anna, nel racconto dell'infanzia),96 e alle notizie che d sull'esistenza di un
gruppo di "discepole" di Ges fin dall'inizio della sua missione (cfr. Lc 8,1-3), ma c' anche chi,
analizzando i singoli passi, ritiene che Lc in realt riproponga un'immagine della donna molto
tradizionale, addirittura repressiva.97

Un passo come quello della chiamata di Levi e del banchetto coi


pubblicani (All. 9 e 9 bis), pi volte qui analizzato, bench non parli di donne,
viene preso in considerazione dalla Schssler-Fiorenza 98 perch, come altre
interpreti femministe della Bibbia, interessata a recuperare tutti gli aspetti di
liberazione ed egualitarismo inerenti al movimento creato da Ges, anche quelli
relativi ai poveri, ai malati, ai pubblicani, ai peccatori e alle prostitute. Essa
nota, appunto, che anche le prostitute, i peccatori e i pubblicani facevano parte
della sua comunit riunita intorno alla mensa. Nota che queste categorie
definiscono una classe sociale povera, perch dedita a professioni disonorevoli.
I "peccatori" potevano indicare vari tipi di persone: i trasgressori della Legge, i
criminali, gente che esercitava mestieri sconvenienti o servizi considerati
impuri, anche i pagani. Si trattava sempre, comunque, di emarginati, molti dei
quali erano donne. Ebbene, proprio costoro, da ultimi diventano primi, da
esclusi invitati. In questo modo "nel ministero di Ges Dio viene sperimentato
come amore che non esclude nessuno", come "Dio di grazia e di bont che
accetta tutti e porta giustizia e benessere per tutti, senza eccezioni". 99
2.2.4. Metodi di analisi letteraria
Bibliografia
A. Pitta, Nuovi metodi di analisi letteraria, in Pont. Comm. Bibl., L'interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, a cura di G. Ghiberti e F. Mosetto, cit., pp. 145-161.

Alcuni dei nuovi metodi mirano ad approfondire gli aspetti letterari dei
testi procedendo oltre la Storia della redazione, che gi aveva abituato a una
visione complessiva, non frammentaria, dei Vangeli. Sono l'Analisi
strutturalista o semiotica, l'Analisi (o Critica) retorica, l'Analisi narrativa (che si
applica, ovviamente, ai testi narrativi della Bibbia).
I metodi strutturalisti e semiotici analizzano le strutture e le relazioni
profonde che si instaurano tra gli elementi interni ai testi e spesso si servono di
formule matematiche o logiche per evidenziare gli schemi soggiacenti. Possono
risultare talora molto complicati e perfino astrusi; sono discutibili, quando
pretendono di escludere totalmente l'aspetto storico.
96

Cfr. Sebastiani, Donne dei Vangeli, che commenta con simpatia le figure di Maria, Elisabetta, Anna,
della vedova di Nain, della donna curva, di Marta e Maria.
97
Cfr. J. Schaberg, Luca, in La Bibbia delle donne, cit., vol. III, pp. 51-81. In realt questa studiosa
talora interpreta in modo forzato e tendenzioso i testi, senza tener conto della prospettiva degli
evangelisti: ad esempio, ritiene che la definizione che Maria fa di se stessa come "serva del Signore"
fornisca un'immagine di donna passiva, "l'antitesi di una donna liberata" (p. 67).
98
Cfr. In memoria di lei, pp. 151 ss.
99
Ivi, p. 156.

72
L'Analisi retorica prende in considerazione gli elementi retorici e formali
dei testi o attingendo alla retorica classica o ricorrendo alla retorica biblica.
L'Analisi narrativa presta attenzione agli elementi caratteristici di ogni
racconto: personaggi e ruoli svolti, intreccio, tempo, spazio.
2.2.4.1. L'analisi strutturale
Bibliografia
Per una presentazione del metodo cfr. J. Radermakers, Lettura pastorale del Vangelo di
Marco, tr. it., Bologna, Ed. Dehoniane, 1981 2 (ed. orig. Bruxelles 1974), pp. 23-26.
Commenti che si ispirano all'analisi strutturale: cfr. J. Radermakers, Lettura pastorale del
Vangelo di Marco, tr. it., Bologna, Ed. Dehoniane, 1981 2 (ed. orig. Bruxelles 1974); J. Delorme,
Lettura del Vangelo di Marco, tr.it., Assisi, Cittadella, 1987.

L'analisi strutturale applica allo studio dei testi le acquisizioni tratte dalle
ricerche sulla lingua di F. De Saussure 100, mira soprattutto a esaminare il testo
da un punto di vista "sincronico", in contrapposizione alle metodologie
storiche, che invece lo indagano "diacronicamente". Punto di vista sincronico
significa attenzione alle molteplici correlazioni interne al testo, ricerca del
principio dinamico di unit che costituisce la sua coerenza interna. Il
presupposto appunto che ogni Vangelo (come ogni opera letteraria) sia un
organismo vivente dotato di una propria coerenza e intenzionalit, non un
insieme composito di pezzi staccati tra loro. Il procedimento seguito mira
pertanto a riferirsi costantemente all'insieme del testo. Si tratta, perci, di una
prospettiva opposta a quella della ricerca storico-critica tradizionale, che invece
operava sui Vangeli come raccolte di materiali indipendenti e li apprezzava
tanto pi quanto meno risultavano influenzati dalla visione unitaria del
redattore finale.
In concreto, questo metodo cerca innanzitutto le articolazioni letterarie e
i procedimenti di composizione che consentono di delineare la struttura del
Vangelo nel suo complesso e nelle sue singole parti. Si basa pertanto
fondamentalmente sui fenomeni di ripetizione (sommari, formule o termini
ricorrenti, gruppi di racconti o di parabole secondo certi schemi costanti,
parallelismi di situazioni, ecc.).
Inclusione
Un particolare tipo di ripetizione che serve a delimitare unit interne al
testo l'"inclusione", che si verifica con la riproduzione di uno o pi termini
caratteristici all'inizio e alla fine di uno sviluppo che l'autore considera come un
tutto.
Per quanto riguarda il Vangelo di Marco, un esempio interessante si ha
nel prologo: il termine eujaggevlion, trasl. euanghlion, "vangelo", ricorre subito
all'inizio (1,1: "Inizio del vangelo di Ges Cristo, [Figlio di Dio]") e due volte in
100

Fondamentali sono i suoi appunti raccolti e pubblicati postumi nel Cours de linguistique gnrale,
1916 (tr. it., Bari, Laterza, 1957).

73
1,14.15 ("Dopo che Giovanni fu arrestato, Ges venne in Galilea a predicare il
vangelo di Dio, e diceva: 'Si compiuto il tempo ed vicino il regno di Dio:
convertitevi e credete nel vangelo"). E' possibile che la ripetizione della parola
costituisca un'inclusione e in particolare racchiuda l'intero prologo, che
abbraccerebbe 1,1-15. 101 Si pu notare che il termine "vangelo" ricorre poi nel
Vangelo molto pi avanti (8,35; 10,29; 13,10; 14,9). Non sembra casuale la
ricorrenza ravvicinata in questo contesto.
Potrebbe essere un'inclusione per tutto il Vangelo l'espressione prwi
livan, trasl. pro lan, "molto di buon mattino", che si trova in 1,35 e 16,1, ossia in
due punti importanti: nella descrizione del mattino che conclude la "giornata di
Cafarnao", ossia la prima giornata della missione di Ges, e nella mattina della
risurrezione. Anche simbolicamente i due momenti si corrispondono.
La combinazione dei termini savbbaton ("sabato"), sunagwghv ("sinagoga"),
didavskw ("insegnare"), ejkplhvssw ("colpire") si ritrova in 1,21-22, ossia all'inizio
dell'esorcismo nella sinagoga di Cafarnao ("E subito, essendo di sabato, entrato
nella sinagoga, insegnava. Ed erano colpiti dal suo insegnamento, perch
insegnava loro come chi ha autorit e non come gli scribi"), e poi ancora in 6,2,
nell'episodio di Ges nella sinagoga di Nazaret (" E, venuto il sabato,
incominci a insegnare nella sinagoga, e molti ascoltandolo erano colpiti ..."): la
parte che racchiusa da questi elementi costituisce in effetti una sezione
unitaria: la prima parte del Vangelo. Si potrebbe notare che appunto in questa
sezione sono caratteristici gli interventi di Ges nelle sinagoghe.
A sua volta il sabato e la sinagoga si ritrovano sia in 1,21 sia in 3,1-6 e
anche in questo caso la combinazione dei due lementi racchiude una sezione.
Si pu attribuire valore di inclusione anche ad episodi, immagini, ecc.
Ad esempio, i due episodi di guarigione di ciechi (gli unici del Vangelo), quello
di Betsaida (8,22-26) e quello di Gerico (10,46-52), sono inclusivi della parte
centrale del Vangelo, caratterizzata dalle tre predizioni della Passione. Si
corrispondono, con la differenza che il primo un miracolo in due tempi, e
segnala l'inizio di un cammino faticoso, mentre il secondo propone nel cieco
una sorta di modello compiuto. La cecit ha valore simbolico nel Vangelo e
allude all'incomprensione nei confronti di Ges da parte dei discepoli.
Le due menzioni di Betsaida, in 6,45 e in 8,22, includono una sezione
unitaria, caratterizzata da una serie di spostamenti tra le due rive del "mare",
che assumono un valore pedagogico. Vi ritorneremo.
Costruzione "a sandwich"
Analoga, ma applicata a piccoli brani, la tecnica detta "a sandwich", o
"a incastro", per la quale un episodio risulta incastonato all'interno di un altro,
che viene spezzato in due parti e disposto a cornice dell'altro: ne abbiamo
numerosi esempi nel Vangelo di Marco, tanto che si pu considerarla una
tecnica a lui particolarmente cara. Questa costruzione mette bene in evidenza
l'aspetto "letterario" del racconto: non corrisponde all'ordine dei fatti ma non

101

Ci sono per altri studiosi che preferiscono limitare il prologo a 1,1-13.

74
neppure un semplice artificio, ma un'indicazione precisa che spinge a
interpretare unitariamente i due episodi intrecciati, quello interno, alla luce di
quello esterno e viceversa. Non tenerne conto compromette la possibilit di
comprendere il messaggio voluto dall'autore. Consideriamo alcuni di questi
esempi.
3,20-35: un caso che ha creato difficolt agli studiosi di mariologia. Il
brano si articola in tre parti: la prima (vv.20-21) presenta un gruppo di parenti
di Ges (cos si deve intendere pi probabilmente l'espressione oiJ par j aujtou',
lett. "quelli da lui") i quali, avendo sentito dire che Ges era a Cafarnao ed era
in una casa (forse quella di Pietro: cfr. 1,29), partono (da Nazaret) per andare
prenderlo e portarlo via, perch pensavano che fosse fuori di s. Segue un
episodio (vv. 22-30) di aspra polemica tra gli scribi di Gerusalemme e Ges: i
primi andavano dicendo che Ges scacciava i demni essendo lui stesso
indemoniato. Ges ribatte che un regno diviso al suo interno non pu reggersi
(e quindi satana non pu combattere contro i demni, che fanno parte del suo
regno), e condanna duramente come peccato contro lo Spirito Santo l'opione
che egli sia posseduto da uno spirito impuro. In seguito ritroviamo la madre e i
fratelli di Ges che mandanp a chiamare Ges, il quale si trova in casa in mezzo
a una folla di seguaci. Ges ribatte che la sua vera famiglia costituita da
quanto fanno la volont di Dio. Anche se non tutti gli studiosi sono disposti ad
ammetterlo, l'ultima scena la continuazione della prima e sempre si tratta dei
parenti di Ges (tra cui la madre e i fratelli) che manifestano un atteggiamento
di incomprensione nei confronti di lui. L'incastonamento dell'episodio di
disputa con gli scribi segnala l'intenzione di Marco di mettere in parallelo i due
tipi di opposizione nei confronti di Ges: da parte dei famigliari e da parte delle
autorit religiose giudaiche. Del resto Ges dir a Nazaret, parlando di s
stesso: "Non c' profeta disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi congiunti
e a casa sua" (6,4).
E' significativo che n Matteo n Luca riportino nei loro Vangeli la prima
parte dell'episodio dei parenti di Ges, solo la seconda parte, e modificata.
5,21-43: questo l'unico caso di costruzione a sandwich conservata anche
dagli altri due sinottici (Mt 9,18-26 e Lc 8,40-56). Abbiamo due episodi, quello
della guarigione dell'emorroissa (5,25-34) e quello della risurrezione della figlia
di Giairo (5,21-24.35-43), di cui il primo inserito in mezzo al secondo.
L'evangelista ha collegato anche in altri modi i due episodi: entrambe le
protagoniste sono donne, e la figlia di Giairo ha 12 anni, l'emorroissa malata
da 12 anni; la condizione di entrambe si presenta irrimediabile dal punto di
vista umano (l'emorroissa non ha potuto essere guarita da nessun medico, la
ragazza agli estremi e muore nel frattempo); ad entrambe la fecondit e il
dono di dare vita impedito (dall'emorragia cronica; dalla morte); entrambe,
per gli stessi motivi, sono impure, secondo la legge ebraica.
11,12-25: l'episodio della maledizione del fico senza frutti (11,12-14.20-25)
spezzato in due momenti dalla cacciata dei mercanti dal tempio (11,15-19). Il
riconoscimento dell'esistenza della costruzione a sandwich risulta
particolarmente necessario per una retta comprensione del passo. In particolare
la scena del fico, letta a s, appare assurda, e Marco sembra voler accrescere

75
l'assurdit quando spiega che Ges non trov nulla se non foglie "perch il
tempo non era dei fichi" (per lo pi si traduce: "non era infatti quella la stagione
dei fichi"). Si pu notare che nel parallelo, Matteo elimina i particolari pi
assurdi e non conserva la costruzione a sandwich, Luca elimina del tutto
l'episodio del fico maledetto e parla, in un contesto diverso, di un fico sterile,
ma in tutt'altra prospettiva (13,6-9): al fico viene lasciato ancora un po' di tempo
per vedere se porter frutti.102
Ma il gesto di Ges acquista valenze simboliche e profetiche se messo in
collegamento, come appunto vuole l'autore, con il tema del tempio: la
mancanza di frutti del fico in rapporto con il fatto che il tempio, che avrebbe
dovuto essere "casa di preghiera per tutte le genti", stato trasformato dai capi
religiosi in "spelonca di ladri". Ges "maledice" il fico cos come condanna la
corruzione del tempio: entrambi sono diventati sterili. ". Gesti di questo tipo
erano propri gi degli antichi profeti. Pi avanti a questo episodio si
riconnetteranno la parabola dei vignaioli omicidi, che pure rifiutano di
consegnare al padrone della vigna i frutti dovuti (12,1-12), e le parole di Ges
sulla distruzione del tempio nel discorso escatologico (cap. 13). L'evangelista
vuole mettere in evidenza il fatto che nel tempo di Ges non ci possono essere
scuse per non rispondere alla chiamata: cfr. 1,15: "il tempo compiuto e il regno
di Dio vicino: convertitevi e credete nel vangelo"; il termine che indica il
"tempo" sempre kairov", trasl. kairs, che indica un momento importante,
un'occasione imperdibile e urgente.
14,53-72: il processo di Ges nel sinedrio (14,55-65) inserito
nell'episodio del rinnegamento di Pietro (14,54.66-72). L'evangelista vuole
mettere in parallelo due forme di rinnegamento di Ges come Messia e Figlio di
Dio.
Costruzioni concentriche o parallelistiche
Basandosi sulle corrispondenze, l'analisi strutturale individua nei brani,
o in una sequenza di brani, schemi fondati sul parallelismo (ABA'B') o su una
costruzione concentrica (ABCB'A').
Come esempi di costruzioni concentriche, si vedano, nell'All. 15, quelli
della sezione delle parabole (4,1-34) e quello del discorso escatologico (cap. 13).
Si tratta dei due principali discorsi presenti nel Vangelo di Marco e risultano
costruiti con molta cura.
Nel discorso sulle parabole riconoscibile una struttura concentrica del
tipo ABCDC'B'A', dove
- la cornice esterna (AA') costituita dalla descrizione di Ges come maestro
che si serve particolarmente delle parabole per insegnare;
- l'inizio (B) e la conclusione del discorso (B') sono formati da parabole
raccontate a tutti, e tutte incentrate su una semina (parab. del seminatore
all'inizio, due parabob. gemelle alla fine: quella del seme che cresce da s e
102

Si veda, per i paralleli, l'All. 12.

76
quella del granello di senapa).
Nella sezione centrale abbiamo insegnamenti privati ai discepoli,
ripartiti in tre momenti:
- la cosiddetta teoria delle parabole esposta da Ges in risposta a una domanda
dei discepoli (C),
- a cui fa da pendant una serie di 4 detti enigmatici (C').
Al centro (D) sta la spiegazione della parabola del seminatore, che
costituisce l'insegnamento principale.
C' per chi coglie una struttura diversa: collega in un unico punto
parabola del seminatore (B), teoria delle parabole (C) e spiegazione della
parabola (D), e pone al centro i detti (C'). Ma in questo modi rompe la divisione
tra insegnamenti a tutti (parabole) e insegnamenti ai discepoli.
Per quanto riguarda il discorso escatologico, per lo pi gli studiosi, che
lo leggono in chiave escatologica, come se predicesse la fine del mondo,
propongono schemi concentrici, ma pongono al centro la venuta del Figlio
dell'uomo, che interpretano come parusia.
Guardando alle formule ricorrenti pi significative ("badate", "quando
vedrete"), si pu ricavare uno schema del tipo ABCB'A', che presenta
- nella cornice iniziale e finale una serie di avvertimenti ai discepoli per il
tempo prima della fine (A, A'),
- nelle sezioni intermedie le descrizioni dei segni dell'"abominio della
desolazione" (B) e della "venuta del Figlio dell'uomo" (B'), che risultano in
parallelo,
- e al centro (C) gli avvertimenti sui falsi cristi e falsi profeti.
Il discorso contiene quindi un'alternanza tra predizioni ed avvertimenti.
Per un altro schema concentrico si veda anche pi avanti quello sulla
sezione delle dispute galilaiche tra cui compreso l'episodio della chiamata di
levi e del banchetto coi pubblicani.
2.2.4.2. L'analisi retorica
Bibliografia
Per un'illustrazione del metodo secondo la retorica biblica cfr. R. Meynet, L'analisi
retorica, tr.it., Brescia, Queriniana, 1992 (ed.orig. Paris 1989); di carattere pi elementare e
pratico: Id., "E ora, scrivete per voi questo cantico". Introduzione pratica all'analisi retorica, Roma, Ed.
Dehoniane, 1996.
Commenti che si ispirano all'analisi retorica: secondo la retorica classica, cfr. B.
Standaert, Il Vangelo secondo Marco. Commento, tr. it., Roma, Borla, 1984 (ed. orig. Paris 1983);
secondo la retorica biblica, cfr. R. Meynet, Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica, tr. it., Roma,
Ed. Dehoniane, 1994 (ed. orig. Paris 1988).

L'analisi retorica anch'essa molto interessata alle strutture compositive


e ne fissa gli schemi. Ma c' chi, come Standaert, applica le regole della retorica
classica, e quindi ritrova nel Vangelo di Marco le parti tradizionali del discorso:
narrazione o esposizione, argomentazione, conclusione, e chi, come Meynet,
fondandosi sulla retorica ebraica (essenzialmente biblica), ricerca soprattutto i

77
parallelismi e le strutture concentriche o chiastiche.
Standaert individua nel Vangelo di Marco fondamentalmente
un'impostazione drammatica, proprio nel senso che corrisponderebbe alle
convenzioni del dramma antico (compresa la scena finale del deus ex machina,
che sarebbe rappresentato dall'angelo nella tomba vuota). Meynet ritrova in
tutti i Vangeli, sia nelle singole parti, sia in sequenze pi ampie, sia nella
struttura dell'intera opera, il predominio della composizione a chiasmo, che
pone al centro l'elemento pi importante.
L'analisi retorica stata applicata anche alle lettere di Paolo, nelle quali
sono state individuate corrispondenze con le orazioni della retorica classica
anche nella struttura.
Proponiamo come esempio di analisi retorica quella che R. Meynet
applica all'episodio della guarigione del cieco di Gerico, Bartimeo, in Mc 10,4652, messo in rapporto con l'episodio della richiesta dei due figli di Zebedeo, in
Mc 10,35-40.103
L'episodio del cieco, come risulta dalla prima scheda allegata (All. 13),
presenta una struttura concentrica, in cui i vari elementi si corrispondono
simmetricamente (ABCB'A'). Alla descrizione del personaggio all'inizio, cieco,
seduto lungo la strada (A) corrisponde, e si contrappone, la descrizione finale
di lui che ha recuperato la vista e segue Ges sulla strada (A'). Alle richieste del
cieco, che due volte, in forma parallela, grida, chiama Ges "Figlio di Davide" e
invoca piet (B), interrotto dal tentativo della gente di tacitarlo, corrisponde il
dialogo con Ges che, menzionato due volte, due volte gli parla, e a cui egli si
rivolge chiamandolo questa volta "Rabbun" (= mio maestro) (B'). Al centro
abbiamo, ancora, un triplice elemento: il comando di Ges, l'invito della folla
ad aver coraggio e ad alzarsi, e la reazione pronta di Bartimeo, che getta il
mantello e si slancia verso Ges (C).
L'episodio carico di simbolismo: in Bartimeo si intravede il modello del
discepolo che, alla chiamata da parte di Ges, non esita a lasciare tutto quello
che ha e si mette a seguire Ges (cfr. gli episodi di chiamata di discepoli: 1,1620; 2,13-14). Questo significato profondo viene ulteriormente sottolineato se si
mette l'episodio in rapporto con quello, precedente, dei due discepoli, Giovanni
e Giacomo, i figli di Zebedeo (10,35-40), come fa Meynet nella seconda scheda
(All. 14). Qui evidenziata la ripetizione nei due episodi di una situazione in
cui i personaggi "chiedono" qualcosa, e soprattutto messa in rilievo la
domanda di Ges che a sua volta chiede: "Che cosa volete/vuoi che io faccia
per voi/per te?". Ma i figli di Zebedeo chiedono posti di prestigio nella gloria
del Regno, senza sapere quello che chiedono, e non lo ottengono, mentre il
figlio di Timeo chiede di poter riavere la vista, lo ottiene e segue Ges sulla
strada, quella che lo porta a Gerusalemme e alla passione. Bartimeo pi vicino
al discepolo ideale delineato da Ges: quello che disposto a seguirlo portando
la croce (cfr. 8,34); Giacomo e Giovanni invece ne sono molto lontani, perch
103

R. Meynet, Un'introduzione ai Vangeli sinottici, Bologna, Centro edit. dehoniano, 2000, pp. 44-49;
82-85. Vengono allegati alle dispense i testi dei passi (in traduzione) riprodotti da Meynet in modo da
evidenziare graficamente gli elementi di richiamo interni (ad es., i parallelismi).

78
non pensano affatto alla passione e al momento dell'arresto fuggiranno.
4.2.4.3. L'analisi narrativa
Bibliografia
Per una presentazione del metodo cfr. B.M.F. van Iersel, Leggere Marco, tr.it., Milano,
Edizioni Paoline 1989 (ed.orig. Boxtel 1986), pp. 13-19.
Commenti che si ispirano all'analisi narrativa: cfr. B.M.F. van Iersel, Leggere Marco, cit.;
Id., Marco. La lettura e la risposta. Un commento, tr. it., Brescia, Queriniana, 2000 (ed. orig. 1998);
J.D. Kingsbury, Matteo, tr. it., Brescia, Queriniana, 1998 (ed. orig. Philadelphia 19882); S. Grasso,
Matteo. Il vangelo narrato, Milano, Paoline, 2000; J.-N. Aletti, L'arte di raccontare Ges Cristo. La
scrittura narrativa del vangelo di Luca, tr. it., Brescia, Queriniana, 1991 (ed. orig. Paris 1989); Id., Il
racconto come teologia. Studio narrativo del terzo Vangelo e del libro degli Atti degli Apostoli, tr. it.,
Roma, Ed. Dehoniane, 1996.
Anche D. Marguerat, in La prima storia del cristianesimo. Gli Atti degli apostoli, tr. it.,
Cinisello Balsamo (Milano), Ed. San Paolo, 2002 (ed. orig. Paris 1999) utilizza i nuovi strumenti
dell'analisi narrativa.

L'analisi del racconto, che prende le mosse dall'analisi strutturale e dalle


ricerche sulle fiabe russe di V. Propp 104 e ha i suoi pionieri in A. Greimas e R.
Barthes,105 presta particolare attenzione alle "funzioni", sia come azioni che
determinano lo sviluppo della narrazione sia come indicazioni qualificanti (ad
es., le indicazioni geografiche e cronologiche), e ai ruoli svolti dai personaggi,
inoltre ricerca all'interno del testo ci che il testo dice di se stesso. Si accosta
insomma al Vangelo come ad una narrazione.
In pratica, l'analisi del racconto prende in considerazione innanzitutto i
personaggi, i luoghi e i tempi presenti nel Vangelo. Si preoccupa meno di
commentare parola per parola che non di ricercare le grandi linee del racconto.
2.2.4.4. Applicazione dei metodi di Analisi letteraria
all'episodio di Levi e del banchetto coi pubblicani
(Mc 2,13-17)
Esaminato secondo questi metodi, l'episodio viene innanzitutto inserito
nel complesso delle cinque dispute galilaiche che si estende in Marco da 2,1 a
3,6 (cfr. All. 15):
1. Mc 2,1-12 (guarigione del paralitico): la disputa verte sul perdono dei peccati;
2. Mc 2,13-17 (chiamata di Levi e banchetto coi pubblicani): la disputa sul
mangiare coi pubblicani;
3. Mc 2,18-22: disputa esplicita sul digiuno;
104

Fondamentale la sua Morfologia della fiaba, tr.it., Torino, Einaudi, 1966 (ed.orig. 1928), in cui
riconosce che i vari racconti popolari, al di l delle differenze, presentano un'identica struttura di base e
un'identica sequenza di "funzioni" o atti narrativi (allontanamento, lotta, vittoria, ecc.). Anche i ruoli
svolti dai personaggi sono limitati e costanti (eroe, antagonista, aiutante, ecc.).
105
A. J. Greimas, Smantique structurelle, Paris 1966 (tr.it., Milano, Rizzoli, 1968); R. Barthes,
Introduzione all'analisi strutturale dei racconti, in AA.VV., L'analisi del racconto, tr. it., Milano,
Bompiani, 1969, 1977 3 (ed. orig. Paris 1966), pp. 5-46; una sintesi del loro metodo presentata da F.
Bovon in AA.VV., Analisi strutturale ed esegesi biblica, cit., pp. 18-24.

79
4. Mc 2,23-28: disputa esplicita sul mangiare spighe di sabato;
5. Mc 3,1-6 (guarigione dell'uomo damma mano inaridita): disputa sul guarire
di sabato.
Questo complesso vede una progressione drammatica per cui l'ostilit
degli avversari, che dapprima tacita (2,6), si esprime nel nostro brano con una
battuta rivolta ai discepoli (2,16), quindi con critiche rivolte direttamente a
Ges (2,18 e 24) e infine con un atteggiamento provocatorio che induce Ges a
smascherarli, ma nel contempo sfocia nella decisione radicale di costoro di
provocarne la morte (3,1-6).
Standaert (pp. 49-50) ritrova in questo complesso altre corrispondenze e
analogie, che mostrerebbero una disposizione concentrica dei cinque elementi:
il primo e l'ultimo sono racconti di guarigione e terminano con le reazioni dei
presenti, prima positiva (2,12), poi negativa (3,6); le tre controversie centrali (di
cui la nostra la prima) menzionano la presenza dei discepoli (2,15; 2,18; 2,23),
si concludono con parole sentenziose di Ges (217; 2,22; 2,27), ma non con
reazioni di altri. La controversia sul digiuno (2,18-22) sarebbe il perno di tutta la
sezione con il primo cenno allusivo da parte di Ges alla propria morte ("lo
sposo sar tolto").
Ancora pi precisi sono i parallelismi che trova J. Dewey 106 tra il nostro
episodio e quello dei discepoli che colgono e mangiano spighe di sabato,
all'interno di una sezione di dispute che presenta lo schema ABCB'A'. Essa
nota, ad esempio, che anche formalmente i due episodi si assomigliano, in
quanto sono costituiti da una disputa che si conclude con un proverbio ("Non
hanno bisogno i sani..."; "Il sabato fatto per l'uomo...") e con un detto
cristologico ("Non sono venuto per..."; "Il Figlio dell'uomo padrone del
sabato"). Entrambi hanno per tema il mangiare, un mangiare che contrasta con
la "legge", in entrambi viene in primo piano il "bisogno" (i malati hanno bisogno
del medico; Davide, secondo l'esempio citato da Ges, ebbe bisogno di
mangiare).
Van Iersel (p. 46) ritrova un parallelismo tra la sezione 1,21-3,30
(ambientata in Galilea), in cui Ges manifesta la sua autorit ai seguaci e alla
folla e suscita l'opposizione degli avversari, e la sezione 11,12-12,40 (ambientata
a Gerusalemme), in cui abbiamo pure cinque controversie e attacchi all'autorit
di Ges da parte di avversari.
Caratteristico il suo commento (pp. 73-111), che non si sofferma sui
singoli episodi e sui singoli versetti, ma esamina l'intera sezione 1,14-3,35,
soffermandosi sugli spostamenti di Ges, sui vari tipi di personaggi che
compaiono (sostenitori e collaboratori, avversari, malati, folla), sulle notazioni
di tempo, sulle allusioni all'Antico Testamento, sullo sviluppo del racconto, sui
commenti del narratore, sull'imposizione del silenzio da parte di Ges a
proposito della sua identit. Dal punto di vista del racconto coglie la "tattica del
dilazionamento", per cui un esito atteso (la conclusione dei piani ostili degli
avversari) non ha sbito luogo, e l'ambiguit del comportamento di Ges che
106

The Literary Structure of the Controversy Stories in Mark 2,1-3,6, in W. Telford (ed.), The
Interpretation of Mark, pp. 109-118.

80
proprio quando ha pi successo impone il segreto.
2.2.4.5. Conclusione sui metodi di analisi letteraria
Anche le metodologie strutturaliste e narratologiche presentano i loro
rischi e i loro difetti. Hanno pretese di oggettivit e scientificit, ma non sempre
evitano il pericolo dell'arbitrariet e questo avviene quando si pretende di
imporre ai testi schemi e corrispondenze che non ci sono.
Un'altra manchevolezza di questi metodi, quando siano applicati "puri" e
senza integrazioni, quella di ignorare programmaticamente il contesto storico
e culturale, pretendendo di leggere l'opera antica senza mediazioni (talora
anche soltanto in traduzione e senza sussidi filologici), come se fosse stata
scritta per il lettore moderno oppure per un lettore astratto, n antico n
moderno. Ma questa posizione si rivela spesso insostenibile, perch per capire
occorre per lo pi rifarsi alle nozioni presupposte dal testo e note ai suoi lettori
primitivi; perci obbliga a incoerenze. E' questo un limite del commento di van
Iersel.
Talora poi l'apparato tecnico messo in opera appare troppo complicato,
farraginoso e sproporzionato rispetto ai risultati.
Si tratta tuttavia di metodologie ancora in corso di sperimentazione, che
hanno bisogno di essere applicate con discrezione e sensibilit.
2.3. Considerazioni finali sui metodi
Innanzitutto crediamo pi opportuno partire dalle esigenze di unitariet
e organicit di lettura affermate dalle metodologie letterarie, in quanto
sembrano corrispondere meglio alle caratteristiche e alle intenzioni stesse dei
testi evangelici, che sono stati trasmessi come libri unitari, appunto, e libri che
hanno l'andamento di racconti .107 Anche se gli autori hanno usato materiali a
loro antecedenti, occorre tener ferma la convinzione che essi li hanno
comunque fatti propri e li hanno inseriti in un insieme in cui acquistano una
nuova funzione e un nuovo significato per le relazioni interne che si instaurano
tra i brani e tra le parole. E' opportuno per cercare di evitare, nella ricerca delle
strutture e delle corrispondenze presenti nel testo, schematismi troppo rigidi e
superficialit.
Un altro presupposto di queste metodologie che va accettato quello che
ogni Vangelo debba essere letto innanzitutto a s, senza sovrapporlo o
confonderlo con quanto si ritrova nei Vangeli paralleli, proprio per coglierne
l'individualit e originalit. D'altra parte, uno sguardo ai paralleli degli altri
Vangeli pu essere utile, sia perch, ad esempio per Matteo e Luca, si deve
presupporre un rapporto spesso di dipendenza nei confronti di Marco, sia
perch tutti gli evangelisti appartengono a un medesimo contesto culturale e
religioso e possono aiutare a comprendere meglio certi presupposti.
Non si deve, certo, mettere da parte lo sfondo storico e culturale ed
107

Per Luca il richiamo al "racconto" (dihvghsin) esplicito gi nel prologo (Lc 1,1).

81
bene cercare di mettersi dal punto di vista dell'autore e del lettore del suo
tempo, perch un'opera letteraria, pur contenendo un messaggio valido per
tutti i tempi, resta storicamente datata negli strumenti di cui si serve e nelle
finalit che si propone. Ignorare, ad esempio, le allusioni all'Antico Testamento
e alla cultura ebraica porterebbe a un grave fraintendimento. Non si tratta per
di ricostruire tutto il retroterra del Vangelo, n di studiare ogni nozione (luogo,
situazione, usanza, personaggio, ecc.) in s e per s, ma di subordinare ogni
conoscenza utile allo scopo di verificare il significato che i vari elementi
assumono nel contesto del Vangelo stesso, il contributo che dnno
all'interpretazione complessiva del testo.
Bisogna lavorare molto proprio sul testo, leggendo innanzitutto "Marco
con Marco", "Matteo con Matteo" (un principio che gi i filologi alessandrini
avevano formulato per lo studio di Omero: "leggere Omero con Omero"),
prestando molta attenzione alle parole che ciascuno usa,108 ai richiami che egli
stesso inserisce nel testo, e tenendo presente la sua cultura biblica.
In concreto, si possono recuperare quasi tutte le annotazioni che siamo
venuti via via raccogliendo dalle diverse letture, specialmente quelle ricavate
attraverso il metodo della Storia della redazione, per occorre verificarle
sempre sul testo.
2.3.1. Ancora qualche considerazione sul brano di Levi e del banchetto coi
pubblicani
In genere i commenti hanno concluso che il brano nel suo complesso
gravita intorno alla disputa con gli scribi, rispetto alla quale la chiamata di Levi
sarebbe solo un'introduzione. Ora, proprio tenendo conto di ci che il testo
dice, possibile osservare che il tema del discepolato tutt'altro che secondario.
Il primo versetto, che, come tutti riconoscono, redazionale, stringe un
forte collegamento con l'episodio della chiamata dei primi discepoli: "E
passando lungo il mare..." (1,16); "E usc di nuovo lungo il mare... E passando..."
(2,13-14). Dopo 1,16, la prima volta che viene di nuovo menzionato il "mare" e
in entrambi i casi Ges opera qui la chiamata di discepoli. Un altro terminechiave ajkolouqevw, "seguire", che risulta un termine tecnico per indicare il
comportamento del "seguace" e del discepolo: compariva gi in 1,18, a
proposito della chiamata di Simone e Andrea, ricompare qui, a proposito di
Levi (2,14), ma anche poi nell'episodio del banchetto, dove, con un'annotazione
che parsa a molti lettori superflua (anche Matteo e Luca la omettono) Marco
osserva che "erano molti (i discepoli? i pubblicani e i peccatori?: come in tanti
casi, c' forse una voluta ambiguit) e lo seguivano" (2,15). E infine il termine
kalevw, "chiamare", usato da Ges nel detto conclusivo ("Non sono venuto per
chiamare..."), di nuovo il termine che gi ricorreva nell'episodio della
chiamata dei primi discepoli (1,20: "E subito li chiam") e riporta l'attenzione
sull'azione di Ges di raccogliere a s seguaci. In questa prospettiva, la
situazione del banchetto diventa lo scopo per cui Ges chiama: per "essere con
108

Uno strumento essenziale sono da questo punto di vista le Concordanze del Nuovo Testamento (ad
esempio, quelle di A. Schmoller), che forniscono per ogni vocabolo tutte le ricorrenze.

82
lui" (cfr. 3,14: a proposito della chiamata dei dodici), per fare comunione con lui
nel senso pi pieno (si vedano i termini sunanevkeinto, "erano a tavola con ",
ejsqivei metav..., "mangia con").
E' gi significativo che la chiamata avvenga sempre, esemplarmente,
"lungo il mare", perch, come abbiamo gi accennato, e come possibile
constatare attraverso un'analisi di tutte le ricorrenze del termine (e secondo un
uso gi proprio dell'immaginario biblico), il mare appare il luogo in cui
dimorano e si scatenano le potenze maligne, immagine del mondo corrotto.
La chiamata diventa un modo per salvare dal male. Al chiamare sulla riva del
mare, o dal mare (come nel caso dei primi quattro discepoli, pescatori),
corrisponde cos bene l'espressione "chiamare i peccatori" (i pubblicani sono
visti come una categoria di peccatori).
I due racconti (chiamata di Levi e banchetto coi pubblicani) si possono
cos vedere collegati innanzitutto da questo tema. Il rapporto col precedente
episodio di chiamata di discepoli indica che sempre Ges si comporta cos.
Un altro tratto che emerge facendo attenzione alle connotazioni connesse
con la terminologia usata, il collegamento tra il detto di Ges sul medico e le
guarigioni da lui operate. Un' espressione comune oiJ kakw~" ejvconte", "i
malati", che gi ricorreva insistentemente in 1,32 e 34: "gli portavano tutti i
malati"; "guar molti malati che soffrivano di varie malattie". "Malati" e
"peccatori" diventano cos, grazie all'applicazione metaforica in questo brano
del banchetto, due categorie simili e interconnesse ed in qualche modo
sempre la stessa l'azione terapeutica di Ges che si rivolge alle malattie fisiche e
al peccato. Orientava gi in questo senso l'episodio precedente del paralitico
(2,1-12), in cui Ges provocatoriamente, contro l'aspettativa generale, prima
perdona i peccati al malato, e solo in un secondo tempo lo risana, proprio per
dimostrare che il suo potere si estende all'una e all'altra cosa, ma soprattutto
per mostrare visibilmente il suo potere di rimettere i peccati, che l'effetto pi
importante. Siamo cos avvertiti anche della valenza simbolica che possono
acquistare, allora, i vari miracoli di guarigione: come vedremo, questa
connotazione risulta importante in particolare per i miracoli relativi a cecit e
sordit.
Inoltre si pu notare che sia nel caso delle guarigioni sia nel caso
dell'accoglienza dei peccatori Ges risponde a un "bisogno", senza chiedere
nulla in cambio (neppure, almeno esplicitamente, la conversione). L'accento
posto, qui come l, sul "potere o autorit" (ejxousiva) di Ges come Figlio
dell'uomo: autorit che si manifesta nell'insegnamento (1,27) e nel potere di
rimettere i peccati (2,10), cos come nella capacit di scacciare i demoni o di
guarire le malattie (Ges il Medico), insomma, di annientare ogni male.
Scaccia il male e dona la gioia dello stare insieme nel banchetto, cio nella
forma pi caratteristica della convivialit e della festa. Emerge dunque anche il
carattere della gratuit dell'opera salvifica di Ges.
Da questo punto di vista l'episodio si collega con quelli seguenti, che
riguardano, rispettivamente, il fatto che i discepoli di Ges non digiunano
(2,18-22) e la raccolta delle spighe, sempre da parte dei discepoli, di sabato

83
(2,23-28). Ancora una volta lo stare dei discepoli con Ges, che lo Sposo (oJ
numfivo" met jaujtw~n, "lo sposo con loro"), si accompagna all'idea del mangiare
insieme ( implicito nell'idea che non si pu digiunare). E questo mangiare pu
avvenire anche di sabato, perch, da una parte, risponde a un "bisogno" (creivan
ejvscen, "ebbe bisogno"), dall'altra reso possibile (ejvxestin) da Ges stesso che
"padrone" del sabato 109.
Come conclusione provvisoria possiamo allora dire che ci sono almeno
due fili che si intrecciano nel nostro episodio (oltre che negli episodi collegati):
da una parte, un filo positivo che illustra il potere benefico e salvifico di Ges
che si estende, gratuitamente e indiscriminatamente, a tutti quelli che chiama;
dall'altra, il filo negativo dell'opposizione che via via cresce a causa di coloro
che al fare il bene preferiscono un legalismo mortifero (cfr. 3,4), invece di
mangiare con Ges digiunano e nonch seguirlo se ne allontanano pensando
perfino di ucciderlo.
2.3.2. La struttura complessiva del Vangelo di Marco
I commentatori tradizionali non hanno sempre mostrato interesse per la
struttura del Vangelo cos come attualmente si presenta: l'interesse andato,
semmai, all'individuazione di articolazioni corrispondenti alle suture tra
materiali e raccolte antecedenti, oppure ci si basati sugli spostamenti dello
sfondo geografico (dalla Galilea a Gerusalemme, come si visto), o su nuclei
tematici e teologici.
D'altra parte, chi ha cercato criteri letterari interni al testo, lo ha fatto
partendo da elementi di vario tipo, talora anche sovrapponendo al testo schemi
precostituiti. La conseguenza che non esiste accordo su questo punto tra gli
studiosi.
Eppure, importante, se si ammette l'intenzione letteraria del redattore,
la sua volont, non di fornire semplicemente una raccolta di materiali, ma un
racconto unitario e coerente, riconoscere l'esistenza di un'articolazione interna.
Il criterio pi valido sar essenzialmente quello di partire dalle
indicazioni fornite dall'opera stessa, senza rigidezze e forzature.
Anche volendo servirsi di elementi presenti nel testo stesso, occorre
seguire criteri elastici e tener conto che molti elementi, che certamente hanno la
funzione di delimitare delle parti, possono essere plurivalenti, nel senso che
possono essere considerati sia in rapporto alla parte precedente, sia in rapporto
alla successiva, rendendo oscillante il limite vero e proprio tra le sezioni.
Cos, ad esempio, per il prologo del Vangelo, il sommario di 1,14-15
("Dopo che Giovanni fu arrestato, Ges venne nella Galilea annunciando il
vangelo di Dio e dicendo: Il tempo compiuto ed il regno di Dio vicino:
convertitevi e credete nel vangelo") viene considerato un elemento di
delimitazione: ma alcuni (Radermakers) lo pongono come inizio di una nuova
109

Il tema del mangiare, specialmente del mangiare con Ges, ha un grande rilievo nel Vangelo
di Marco: un'intera sezione, che incorniciata da due moltiplicazioni dei pani, detta "sezione
dei pani", ma pensiamo anche all'episodio della donna di Betania, all'istituzione dell'eucarestia,
ecc.

84
sezione, altri (Pesch) come conclusione del prologo stesso. Indubbiamente la
ripresa ripetuta del termine eujaggevlion,"vangelo", come gi avevamo osservato,
costituisce un'inclusione rispetto al titolo e fa pensare che il sommario sia parte
integrante del prologo. D'altra parte, la struttura costituita da un sommario +
un racconto relativo ai discepoli (1,16-20: chiamata; 3,13-19: scelta dei dodici;
6,7-13: invio in missione) si ripropone costantemente nella prima parte del
Vangelo per indicare le prime tappe della missione di Ges, cos che si portati
a collegare strettamente 1,14-15 con l'episodio successivo.
Volendo individuare le articolazioni del Vangelo a partire dagli elementi
pi chiari, sia di tipo formale sia di tipo contenutistico (vedi All. 17), il primo
nucleo che spicca per la sua omogeneit il racconto della passione, che si
sviluppa tra 14,1 e 15,47. Tutti gli elementi (la geografia, la cronologia, il tema)
lo confermano e anche lo studio della tradizione porta a concludere che si tratta
del nucleo pi antico, anche se non si pu probabilmente dire che Marco abbia
riportato, neppure qui, tutto e soltanto ci che trovava nella tradizione, senza
suoi interventi personali. L'importanza del racconto della passione come parte
determinante di tutto il Vangelo, centro di gravitazione di tutto il racconto,
sempre stata riconosciuto, tanto che diventata famosa la definizione data al
Vangelo di Marco (da uno studioso tedesco dell'inizio del '900, Martin Khler)
come "racconto della passione con una introduzione".
Il cap.16,1-8 110, che si riferisce all'annuncio della risurrezione, da alcuni
(cfr. Pesch) considerato parte integrante del racconto della passione, da altri e forse meglio - una sorta di "epilogo" autonomo, che fa da pendant al prologo.
In realt, per, la collocazione geografica (a Gerusalemme) e le
indicazioni cronologiche (la scansione della "settimana della passione", di cui
gi abbiamo parlato) indurrebbero a individuare un'unit narrativa omogenea
pi ampia, che comprende tutti i capitoli 11-15, e che a sua volta si divide in
due parti: i capp.11-13, relativi ai primi tre giorni della settimana, e i capp.14-15,
relativi agli ultimi tre giorni. Da questo punto di vista, il giorno della
risurrezione, o ottavo, sta effettivamente a s, e costituisce come un nuovo
inizio, mentre il settimo giorno, il sabato, menzionato, ma esce dal racconto,
perch in esso non succede nulla.
Molto spesso il cap.13 ("discorso escatologico") viene considerato come
una zeppa, un'inserzione non ben amalgamata nell'insieme: guardando invece
alla struttura elaborata da Marco, potremmo notare che occupa una posizione
centrale nel racconto della settimana della passione, e quindi assume un ruolo
fondamentale in essa.
Anche la sezione che va da 8,27 a 10,52 appare costruita da Marco in
modo unitario, almeno per il fatto che imperniata su tre annunci della
passione (8,31; 9,31; 10,33-34), seguiti ogni volta da manifestazioni di
110

I versetti 9-20 ("finale canonica"), con i racconti relativi alle apparizioni del risorto, non sono
probabilmente da considerare marciani, per ragioni sia filologiche sia linguistiche sia stilistiche.
Esamineremo la questione nella seconda parte.

85
incomprensione dei discepoli e da insegnamenti di Ges che illustrano il vero
discepolato. Una funzione di delimitazione di questa sezione si pu dire che
svolgano i due miracoli corrispondenti di guarigione di ciechi, il cieco di
Betsaida (8,22-26) e il cieco di Gerico (10,46-52). Dal punto di vista della
geografia, si pu notare che questa sezione pi volte percorsa da indicazioni
sul fatto che Ges e i discepoli sono "in viaggio", per strada: ejn oJdw/~ "per
strada", si trova, in particolare, sia all'inizio (8,27) sia alla fine (10,52).
Questa sezione introduce chiaramente al racconto della passione ed in
funzione di esso. Da questo punto di vista, tutta la seconda parte del Vangelo,
che incomincia con 8,27, quasi interamente incentrata sulla passione e 8,27
(ma secondo altri, 8,30) costituisce una specie di spartiacque nel Vangelo.
Per quanto riguarda la prima parte, l'impressione che sia pi difficile
individuare articolazioni precise. Abbiamo gi detto che forse possibile
riconoscere alcuni momenti decisivi in episodi che riguardano i discepoli, ogni
volta preceduti da sommari. Ma anche fattori cronologici e geografici possono
contribuire a delimitare le parti. Esiste in ogni caso un certo accordo tra gli
studiosi nell'individuare le seguenti sezioni:
una prima sezione da 1,14 (o 1,16) a 3,6, cio a partire dalla chiamata dei
primi discepoli fino alla fine della serie di cinque controversie. Questa prima
sezione incentrata soprattutto in Cafarnao di Galilea e anche temporalmente
presenta elementi di richiamo interni: inizia e finisce con episodi di miracolo
compiuti di sabato in una sinagoga;
una seconda sezione, da 3,7 a 6,6 a, inizia con la scelta dei dodici e si
conclude ancora con un episodio che avviene di sabato, in una sinagoga (a
Nazaret), tratto che si riallaccia a 1,21 e 3,1-2. Anche questa sezione ruota
intorno alla Galilea, ma con un passaggio in terra straniera, mediante
l'attraversamento del lago o mare di Galilea, che porta Ges a Gerasa, tra i
pagani (c.5). Questa sezione ha al suo centro il discorso in parabole del cap.4;
Tutta la parte tra 1,14 e 6,13 viene incorniciata da, e trova perci un
motivo di ulteriore unificazione in, due ampi riferimenti alla figura di Giovanni
Battista, di cui prima viene presentata la predicazione (1,4-8) e poi la morte
(6,14-29).
una terza sezione da 6,6 b a 8,26 inizia con l'invio dei discepoli in
missione e si conclude col miracolo del cieco di Betsaida o, se vogliamo lasciare
a parte il miracolo, che ha anche la funzione di incorniciare la sezione centrale,
col rimprovero di Ges ai discepoli per la loro incredulit (8,14-21). Questo
rimprovero ha in effetti funzione di richiamo e conclusione rispetto ai due
episodi di moltiplicazione dei pani (6,30-44 e 8,1-9) che stanno all'inizio e alla
fine della sezione. Per quanto riguarda la geografia, vediamo che gli
spostamenti si intensificano e portano anche al di l delle rive opposte del lago,
decisamente in regioni pagane. Abbiamo suggerito l'ipotesi che il viaggio a
Betsaida (citt fuori dalla Galilea, di fronte a Cafarnao), progettato in 6,45 e
concluso in 8,22, possa costituire un itinerario anche metaforico e unificante di
questa sezione.

86
Come si pu notare, tutta la prima parte del Vangelo attribuisce un posto
centrale ai discepoli, perch inquadrata tra la prima chiamata e il duro e
ampio rimprovero rivolto a loro. Tuttavia, accanto ai discepoli, compare molto
spesso la folla, che assiste e reagisce ai miracoli, e si affacciano in pi casi gli
avversari, che domineranno poi nella seconda parte del Vangelo.
C' chi vede in queste prime sezioni un orientamento a sottolineare la
crescente opposizione verso Ges (che anticipa e spiega la passione successiva).
Gi la prima sezione, dopo le prime manifestazioni di entusiasmo, assiste al
sorgere di polemiche che si inaspriscono via via e si concludono con la
decisione di uccidere senz'altro Ges (3,6). La seconda sezione, che gi aveva
avuto tra i primi episodi quello dei parenti di Ges che lo credono pazzo (3,20
ss.), ha pure come conclusione un episodio di ostilit, tanto pi grave e
sorprendente, in quanto si esprime nel paese stesso di origine di Ges, da parte
dei suoi compatrioti (6,6). La terza sezione vede intensificarsi l'incomprensione
dei discepoli stessi (che gi si era manifestata all'ascolto delle parabole e
durante la tempesta sedata), in molte occasioni tanto da provocare l'amarezza e
le critiche di Ges.
L'incomprensione dei discepoli continuer e si aggraver nella seconda
parte arrivando a forme di tradimento (Giuda, Pietro) e all'abbandono
completo del maestro. E' un grande tema strutturale del Vangelo di Marco.
Un filo che percorre tutta questa prima parte quello della ricerca, da
parte dei vari personaggi, dell'identit di Ges: costantemente, i miracoli
provocano stupore e interrogativi su chi sia questo taumaturgo, ma anche i
discepoli, di fronte alle sue manifestazioni di potenza, si chiedono chi sia.
D'altra parte, il riconoscimento che viene da parte dei demni ("tu sei il Figlio
di Dio") non vengono accettati da Ges e anzi vengono zittiti. Due momentichiave che indicano questo filo conduttore della prima parte sono 6,14-16 e
8,27-29, che si richiamano esplicitamente: in entrambi i passi si dice che la gente
ipotizzava che Ges fosse Giovanni Battista redivivo oppure Elia opure un
profeta. Da questo punto di vista, il riconoscimento da parte di Pietro che Ges
il Cristo segna la conclusione della prima parte della ricerca ma
contemporaneamente, a causa della reazione di Ges, che anche questa volta
impone il silenzio, apre una seconda parte, che legata a precisare
ulteriormente questa identit mettendola in rapporto con la passione.
Alcune pietre miliari sono collocate da Marco in momenti decisivi,
all'inizio, al centro e alla fine del Vangelo, e sono le dichiarazioni che vengono
dalla voce celeste, durante il battesimo (1,11) e la Trasfigurazione (9,7), e dal
centurione pagano, durante la crocifissione (15,39): in tutte Ges viene definito
Figlio di Dio, ma c' un progressivo allargamento del pubbblico a cui la
rivelazione destinata: nel battesimo Ges soltanto che pu udire, nella
Trasfigurazione alcuni discepoli, nella crocifissione tutti i presenti, anche gli
avversari. Anche il soggetto del riconoscimento cambia: prima Dio, poi l'uomo.
La struttura globale del Vangelo quindi, in parte concentrica, perch ha
un punto centrale che determinante per la struttura, ma insieme proiettata

87
verso la fine, grazie al progresso della rivelazione che si realizza soltanto al
momento della morte.

II parte: Problemi critici e interpretatividel Vangelo di Marco


In questa seconda parte presentiamo, particolarmente per chi sa il greco,
alcune nozioni di Critica testuale che consentano di leggere un'edizione critica
come quella del Nestle-Aland, e discuteremo alcuni problemi, sia di tipo
testuale sia di tipo interpretativo.
1. La Critica testualedel Nuovo Testamento
Bibliografia
Sulla critica testuale, a parte i capitoli pertinenti contenuti nelle introduzioni al NT
citate (tra cui va segnalato il contributo di R. Dupont-Roc in D. Marguerat, Introduzione al
Nuovo Testamento, tr. it., Torino, Claudiana, 2004 [ed. orig. 20012], abbiamo saggi specifici:
- K. e B. Aland, Il testo del Nuovo Testamento, tr. it., Genova, Marietti, 1987;
- A. Passoni dell'Acqua, Il testo del Nuovo Testamento. Introduzione alla critica testuale, Leumann
(Torino), LDC, 1994;
- B.M. Metzger, Il testo del Nuovo Testamento. Trasmissione, corruzione e restituzione, ed. it.,
"Introduzione allo studio della Bibbia". Suppl. 1, Brescia, Paideia, 1996 (ed.orig., Oxford 1992).

La critica testuale la base del metodo storico-critico, perch riguarda


l'accertamento dell'affidabilit dei testi: vale per i Vangeli come per ogni altro
libro del NT. Viene esercitata in forma specifica dai filologi che operano sulla
tradizione manoscritta e discutono in modo specifico i problemi delle varianti
per arrivare ad approntare le edizioni critiche; tuttavia interessa in qualche
misura anche i lettori, ai quali pu capitare di trovarsi di fronte a qualche
questione rilevante per l'interpretazione.
I criteri piuttosto sofisticati con cui oggi si affrontano le questioni testuali
sono il risultato di secoli di ricerche 111. La Bibbia stata la prima opera ad
essere pubblicata dopo la scoperta della stampa, ma inizialmente si tendeva ad
attenersi al testo pi facilmente reperibile e ritenuto pi affidabile. A livello
scientifico, la critica testuale sorta nel 1800 per incrinare la rigidit del textus
receptus, ossia della forma del testo pi diffusa e autorevole, che si era imposta
fino al '700, e per contrastare le resistenze a modificarlo. C' stato un imponente
lavoro di verifica su gran parte della documentazione manoscritta pervenuta,
ossia papiri, manoscritti, lezionari, traduzioni antiche, citazioni patristiche; tale
documentazione si inoltre arricchita per effetto di scoperte importanti:
pensiamo ai rotoli di Qumran, per l'AT, che hanno consentito di accedere a
111

Gi nell'antichit era praticata la critica del testo: abbiamo il caso di Ireneo di Lione che
discute sulla variante 616 rispetto al numero 666 della Bestia dell'Apocalisse (13,18), in Adv.
Haer. V,30,1; abbiamo Origene, che compone un'edizione dell'AT su sei colonne (donde il titolo
Hexapla da hex, "sei"), contenenti testo ebraico, traslitterazione dell'ebraico in lettere greche,
traduzione greca dei Settanta e altre tre traduzioni greche, e segnala a margine le varianti;
abbiamo Gerolamo, autore della versione latina pi diffusa della Scrittura, la "Vulgata", e che
discute nei commenti di problemi critici, ecc.

88
copie molto pi antiche di quelle prima possedute, che erano di et medievale;
pensiamo alle raccolte di papiri per il NT, che si costituiscono tra fine '800 e
inizio '900. C' stato, soprattutto a partire dalla met dell'800, un affinamento
dei criteri di scelta tra le varianti, per l'adozione dei criteri filologici invalsi
nell'ambito classico (K. Lachmann).112
Oggi, nonostante i progressi, non si ancora arrivati a risultati definitivi
su tutti i punti dubbi, date alcune caratteristiche che sono proprie alla
trasmissione del NT.
1.1 I testimoni del testo
I libri del NT furono copiati molto di pi di qualsiasi altro testo antico e
questo significa che il numero dei testimoni della tradizione manoscritta
molto grande e ha continuato ad arricchirsi anche nel nostro secolo grazie a
ricerche pi accurate: oggi risultano oltre 5500. Il grande numero di testimoni
comporta un grande numero di varianti, e quindi un grande numero di scelte
da compiere, non sempre facili.
Quando si parla di "testimoni" del testo del NT si intendono alcuni tipi
distinti di documenti che riportano il testo del NT, che sono:
- i papiri (ossia i testi scritti sui fogli prodotti a partire dalla pianta omonima);
- i manoscritti (scritti su pergamena), distinti, a seconda della forma di scrittura
usata, in maiuscoli e minuscoli;
- i lezionari, che contengono i passi biblici usati nella liturgia secondo il
calendario liturgico;
- le traduzioni nelle varie lingue antiche (latino, siriaco, copto, ecc.) che
conosciamo attraverso manoscritti ed edizioni;
- le citazioni bibliche riportate dagli autori cristiani antichi nelle loro opere.
Al momento attuale (cio sulla base dei dati forniti da R. Dupont-Roc nel
2004) il numero dei primi tre tipi di testimoni : 115 papiri, 309 manoscritti
maiuscoli, 2862 minuscoli, 2412 lezionari.113 Non tutti questi testimoni sono
stati letti, valutati e confrontati adeguatamente.
Nelle edizioni critiche (si veda in particolare quella del Nestle-Aland, che
risulta oggi la pi aggiornata: la presenteremo pi avanti) l'apparato critico
posto a fondo pagina, che mira a fornire il maggior numero possibile di
informazioni sullo stato della questione intorno ai passi che presentano varianti
tra i testimoni, per ogni variante indica i testimoni in ordine di importanza:
prima i papiri, poi i manoscritti maiuscoli, poi quelli minuscoli, poi i lezionari,
112

K. Lachmann era un filologo classico, ma applic la sua metodologia anche al NT, di cui
pubblic nel 1831 un'edizione.
113
Si consideri che tale numero enormemente maggiore che per qualunque altro testo antico:
dell'Iliade, la "bibbia" dei greci antichi, abbiamo 457 papiri, 2 mss. (= manoscritti) maiuscoli e
188 minuscoli; di Euripide, tra i pi letti: 54 papiri, 276 mss., quasi tutti bizantini. Di molti
autori la documentazione minima, anche un solo ms.

89
poi le traduzioni, e alla fine i Padri. Si veda come esempio la pagina del Prologo
di Marco (1,1-8), allegata (All. 18).
Per i papiri la sigla usata P (talora scritta in carattere gotico: cos nel
Nestle-Aland) seguita da un numero in esponente che corrisponde al numero
d'ordine dato da C.R. Gregory: ad es., P 46, P 65, ecc.
I manoscritti in maiuscola sono indicati in modi differenti, perch
risentono dei criteri adottati nelle varie epoche e adeguati di volta in volta alla
crescita del loro numero. Quelli scoperti per primi vengono tuttora indicati con
lettere maiuscole dell'alfabeto latino (A,B,C,D, ecc.) oppure, con lettere
maiuscole dell'alfabeto greco (Q, D, ecc.), che vennero introdotte quando le
prime risultarono insufficienti. Il famoso codice Sinaitico, scoperto da C. von
Tischendorf nel 1859, fu da lui designato con la prima lettera dell'alfabeto
ebraico, , 'alef (cos compare anche nel Nestle-Aland, mentre l'editore Merk lo
cita con S). Ma per i manoscritti maiuscoli si usa anche indicarli con numeri
arabi preceduti da uno zero (0233, 0250, ecc.), ulteriore espediente adottato
quando le lettere dei due alfabeti furono esaurite; tale numerazione stata
applicata anche ai manoscritti indicati comunemente con lettere, sicch negli
elenchi generali i primi manoscritti hanno una doppia sigla (ad es., A anche
02, B anche 03, ecc.).114
I manoscritti in minuscola sono indicati tutti con numeri arabi.
I lezionari sono indicati con una l corsiva seguita dal numero d'ordine
dato da chi li ha classificati (Gregory).
Le traduzioni sono indicate con abbreviazioni in lettere latine minuscole:
it (= Itala, antiche versioni latine anteriori alla Vulgata), vg (= vulgata), latt (=
tutte le versioni latine), sy (= traduzioni siriache), co (= traduzioni copte), ecc.
Sempre con lettere latine minuscole sono indicati singoli manoscritti delle
versioni latine pi antiche (a, b, c, ecc.).
Le citazioni patristiche sono indicate con abbreviazioni dei nomi latini
dei Padri: Ir (= Ireneus), Or (= Origenes), ecc.
Oggi viene attribuita una grande importanza ai papiri, nonostante che per il loro
carattere frammentario riportino quantit ridotte di testo, perch in qualche caso sono databili
ai primi decenni del II secolo. Tra i papiri abbiamo infatti il testimone pi antico del NT, P 52,
che datato al 125 e contiene un frammento di Gv (18,31-33.37-38). Verso il 200 sono datati P 46,
che contiene nove epistole paoline, e P 66, di ben 104 pagine, contenente alcune parti di Gv (i

primi sei capitoli e i capp. 6-14). P 46 e P 66 appartengono a due importanti collezioni che sono
state costituite nel XX secolo, ripettivamente quella Chester Beatty di Dublino e quella Bodmer
di Ginevra.115
114

Questo sistema risulta molto pi pratico di quello adottato inizialmente: i manoscritti in


maiuscola erano indicati con denominazioni che facevano riferimento al luogo di provenienza
(Codex Alexandrinus [oggi A o 02]: proveniente da Alessandria) o al luogo di conservazione
(Codex Vaticanus [oggi B o 03]: della Biblioteca Vaticana; di norma si aggiunge anche il numero
di catalogazione), o al nome del proprietario (Codex Bezae [oggi D o 05]: trovato e acquistato da
Teodoro Beza) o a particolarit (Codex Ephraemi rescriptus [oggi C o 04]: palinsesto, ovvero
manoscritto del NT raschiato e riutilizzato per trascrivere l'opera di Efrem).
115
Le collezioni prendono nome dai primi acquirenti.

90
I manoscritti maiuscoli, o onciali, sono tutti anteriori al IX secolo, dato che
posteriormente venne introdotta la scrittura minuscola e non si us pi quella maiuscola. Meno
di un centinaio contengono pi di due fogli, ma alcuni arrivano a contenere l'intera Bibbia, AT e
NT. Sono pochissimi quelli anteriori al IV secolo (cinque in tutto), mentre al IV secolo risalgono
14 mss., e poi ne abbiamo 8 tra IV e V sec., 36 del V, ecc. I pi importanti sono:
- (o S nel Merk) o 01 o codice Sinaitico: del IV sec. e originariamente conteneva tutta la
Bibbia greca; ora contiene comunque tutto il NT: l'unica copia completa del NT greco in
caratteri maiuscoli. Anche per la qualit ritenuto di fondamentale importanza.
- A o 02 o codice Alessandrino: del V sec. e contiene AT e NT con lacune: per il NT manca
quasi tutto Mt. E' di qualit varia, a seconda dei libri, che furono copiati da mano diverse. E'
importante per l'Apocalisse.
- B o 03 o codice Vaticano: del IV sec. e contiene AT e NT con lacune: per il NT mancano
alcune lettere paoline e l'Apoc. E' il primo codice che contenga una suddivisione del testo. E'
importante.
- D o 05 o codice di Beza o Cantabrigiensis (si conserva a Cambridge): del V sec. ed bilingue,
con greco e latino a fronte. Presenta i Vangeli nell'ordine Mt, Gv, Lc, Mc. Ha la caratteristica di
riportare numerose e significative varianti, sia con omissioni sia con aggiunte, e non solo di
parole o espressioni, ma di intere frasi. Negli Atti degli apostoli D pi lungo di circa un
decimo rispetto al testo comunemente tramandato e presenta, talora insieme ad altri testimoni
del cosiddetto "testo occidentale", alcune correzioni che rivelano un atteggiamento misogino: ne
parleremo pi avanti.
I manoscritti minuscoli sono molto pi numerosi dei maiuscoli, ma anche pi tardi;
appaiono in generale pi corrotti, ma possono contenere lezioni valide. Sono classificati in varie
categorie, a seconda del periodo in cui furono trascritti: i pi antichi sono quelli tra IX e XIII sec.
(vetustissimi, IX-X, vetusti, X-XII), mentre si dicono recentiores quelli tra XIII e XV sec. e novelli
quelli copiati dopo dopo l'invenzione della stampa. Solo 58 minuscoli contengono tutto il NT.
Alcuni gruppi di mss. minuscoli risultano cos strettamente imparentati in base al tipo di errori
che contengono, da essere classificati unitariamente: sono le famiglie indicate con f 1 (cinque
mss.) e f 13 (una dozzina di mss.).
I lezionari sono manoscritti di uso liturgico: contengono i passi usati per le letture,
secondo il calendario liturgico. Una particolarit dei lezionari che non riportano mai testi
dell'Apocalisse, perch, a causa delle controversie sulla sua canonicit, non entr nell'uso
liturgico della chiesa greca. La maggior parte dei lezionari pervenuti non anteriore al IX sec.; a
differenza degli altri mss., continuarono ad essere trascritti in maiuscola, almeno fino all'XI,
anche quando ormai era invalso l'uso della minuscola. Il lezionario pi antico che possediamo
l 1596, del V sec. Due lezionari del IX sec. (l 961 e l 1566) sono tra i pochi testimoni della finale
"intermedia" di Mc.
Le traduzioni nelle varie lingue antiche possono essere di grande rilievo come testimoni
del testo originale, perch risalgono ai primi secoli, ma comportano anche difficolt, sia perch
la struttura linguistica cambia, rispetto a quella del greco, sia perch non sempre si tratta di
traduzioni rigorosamente letterali. Non interessano la critica testuali traduzioni che non siano
state fatte direttamente a partire dal greco o rivedute sulla base del greco. Le traduzioni pi
importanti sono quelle latine, siriache e copte, ma abbiamo anche traduzioni armene,
georgiane, etiopiche, gotiche, paleoslave, ecc.
Il NT fu tradotto in latino gi a partire dal II sec. nell'Africa del Nord, e poi in Italia,
Gallia, ecc.116 Queste versioni latine anteriori alla fine del IV sec. risultano molto letterali, e
quindi particolarmente preziose per la ricostituzione dei testi greci da cui dipendono. Ma le
versioni che conosciamo presentano molte differenze tra loro: sotto la denominazione di Vetus
latina si indica pertanto, non una singola traduzione, ma il complesso delle traduzioni latine
anteriori alla Vulgata di Gerolamo (e talora si distinguono l'Afra, l'Itala, ecc.). Possiamo
ricostruire queste versioni sia attraverso le citazioni letterali fatte dai Padri latini del III-IV sec.
(a partire da Tertulliano), sia attraverso i mss., che in genere riportano ciascuno solo parti del
116

Fino a tutto il II sec. era diffuso anche in occidente, nella liturgia, l'uso del greco, che tuttavia
era poco compreso a livello popolare.

91
NT (Vangeli oppure Atti, oppure lettere di Paolo, oppure l'Apocalisse). Tra i mss. della Vetus
latina il pi importante il codex Bobbiensis (proveniente dal monastero di Bobbio, ora alla
Biblioteca Nazionale di Torino), indicato con la lettera k: fu scritto in Africa verso il 400,
contiene circa met di Mt e Mc ed l'unico ms. del NT latino che riporti la finale "intermedia" di
Mc. Non possediamo ancora un'edizione critica completa della Vetus latina.
Col termine Vulgata (ossia "diffusa") si indica la traduzione latina del NT, attribuita a
Gerolamo, e databile verso il 380; incerto per se Gerolamo abbia effettivamente riveduto
tutto il NT, o solo i Vangeli. Comunque questa traduzione divenne la pi diffusa nella chiesa
romana a partire dal VII sec. 117 e fu riconosciuta come quella ufficiale con le edizioni promosse
da Sisto V (1590) e Clemente VIII (1592): nelle sigle con cui si citano le attestazioni della Vulgata
(vg), il Nestle-Aland indica in esponente, con s e cl, appunto queste edizioni (vg s e vg cl). In
tempi moderni abbiamo avuto due edizioni della Vulgata: quella pubblicata a Oxford tra 1898 e
1954, da J. Wordsworth, H.J. White e H.F.D. Sparks (= vg ww) e quella pubblicata a Stuttgart

nel 1969, 19833 (= vg st). Paolo VI ha promosso una revisione della Vulgata sulla base dei testi
originali, perci dal 1979 (e in 2 ed. dal 1986) abbiamo la neo-Vulgata, che viene riprodotta a
fronte del testo greco nelle edizioni bilingui del NT.
Delle traduzioni siriache del NT esistono cinque tipi, a parte la versione siriaca del
Diatessaron di Taziano, che conosciamo attraverso le citazioni di Efrem (un Padre siriaco che
fece un commento al Diatessaron):
1. la Vetus syra, che la pi antica; la conosciamo principalmente attraverso due mss., uno della
fine del IV sec., trovato sul Monte Sinai, e perci detto siro-sinaitico (sigla: sy s), l'altro, del V
sec., trovato in Egitto da W. Cureton, e perci detto siro-curetoniano (sigla: sy c);
2. la Peschitta o Vulgata siriaca (sigla: sy p), la versione ufficiale, ancora oggi, della chiesa sira:
non contiene alcune lettere cattoliche n l'Apoc. Ne possediamo molti mss. ed in corso l'ed.
crit.;
3. la versione detta filosseniana (sigla: sy ph), perch promossa dal vescovo Filosseno di

Mabbug all'inizio del VI sec.;


4. la versione detta harclense (sigla: sy h), perch opera del vescovo Tommaso di Harqel, che
comp una revisione della versione filosseniana sulla base di alcuni mss. greci, nel 616;
5. la versione siro-palestinese, poco nota: la testimonianza pi estesa quella di un lezionario
dei Vangeli giunto in mss. dell'XI-XII sec.
Importanti sono anche le traduzioni copte: sono almeno una mezza dozzina le forme
dialettali del copto: le pi antiche e importanti sono il sahidico (sigla: sa) e il bohairico (sigla:
bo), poi abbiamo il medioegiziano (sigla: mae), l'achmimico (sigla: ac), ecc. Per la conoscenza di
queste versioni stata fondamentale la scoperta di molti papiri.
Le citazioni dei Padri sono utili da molti punti di vista: per il loro numero e la loro
estensione, consentono di ricostruire quasi tutto il NT; permettono di localizzare e datare i tipi
di testo documentati nei mss. e nelle versioni; quando discutono esplicitamente di varianti
documentate nei mss. a loro disposizione o esprimono opinioni sul testo. Presentano anche
problemi, che dipendono sia dalla difficolt di accertare se citino in modo letterale o libero, sia
da possibili fenomeni di armonizzazione intervenuti nel corso della tradizione manoscritta
delle opere stesse dei Padri. Sono particolarmente importanti le citazioni (letterali) dei Padri tra
II e IV sec. (Ireneo, Origene, Cipriano, Eusebio di Cesarea, ecc.).

1.2. Princpi di critica testuale


Molte volte ci si trova di fronte a lezioni differenti senza che sia possibile
scegliere con certezza la lezione "giusta". Negli ultimi 150 anni si molto

117

Dopo l'invenzione della stampa il Nuovo Testamento venne dapprima pubblicato nella
versione latina della Vulgata.

92
lavorato per stabilire dei criteri scientifici in questo senso. E si lavorato in due
direzioni principali: cercando di valutare attentamente le caratteristiche dei
testimoni per accertarne l'affidabilit e cercando di fissare regole per scegliere
tra diverse lezioni (o varianti) quella che pi plausibilmente quella originaria.
Oggi si parla di "prove esterne" per quanto riguarda le considerazioni sul
valore dei testimoni, di "prove interne" per quanto riguarda le considerazioni
sulle singole varianti.
Le prove esterne. Un primo elemento da prendere in considerazione
l'affidabilit dei singoli testimoni: sono generalmente ritenuti pi importanti i
testimoni pi antichi. Ma non si tratta di un principio assoluto: ci che conta
realmente la qualit dei singoli testimoni (la cura nella trascrizione e quindi
un minor numero di errori meccanici), ma anche il fatto che una lezione sia
attestata da pi testimoni validi. Non decisiva la quantit: il fatto che una
lezione sia riportata dal maggior numero dei testimoni esistenti non rende la
lezione pi raccomandabile, anzi. Un problema di grande rilievo, per la critica
testuale del NT, stato, ed ancora, quello di riconoscere (attraverso la
comunanza di errori di particolare rilievo) i rapporti di parentela tra i codici,
per determinare, non solo quali singoli codici siano affidabili, ma anche quali
famiglie di codici lo siano.
La filologia moderna, seguendo il metodo elaborato da K. Lachmann
nell'800, ha in genere per i testi antichi cercato di stabilire i rapporti di parentela
tra i codici, fissando uno stemma codicum, o albero genealogico, che ha al
proprio vertice l'archetipo, cio quel codice, che non possediamo pi, ma che
all'origine di tutta la tradizione manoscritta esistente di una data opera e a cui
si pu tentare di arrivare nella ricostituzione del testo. Nel caso del NT per
questa operazione non possibile, sia per il grande numero dei testimoni, che
non sono stati neppure tutti presi in considerazione, sia per quei fenomeni di
contaminazione,118 che si verificano anche per altri testi e che sconvolgono la
linearit dei rapporti.
Tuttavia, a partire dal sec. XVIII, ma soprattutto dal XIX, gli studiosi del
testo del NT hanno constatato che possibile, in base al tipo di varianti dei
codici, raggruppare i codici in famiglie e riconoscere che in vari periodi e zone
si sono determinate recensioni particolari del testo (tipi testuali). Anche se la
scoperta di nuovi documenti ha portato a modificare le valutazioni, si
d'accordo nel distinguere tra i testimoni tre o quattro gruppi o famiglie, a cui
sono state attribuite dai diversi studiosi denominazioni diverse.
Semplificando, possiamo dire questo.
1. Al primo posto, almeno quantitativamente, si pone il cosiddetto testo
bizantino o koin, che quello rappresentato dalla grande maggioranza dei mss
antichi (tra cui, per i Vangeli, A,W, Y, ecc.) e di quelli minuscoli. Prevalse nella

118

La contaminazione avviene quando un copista non copia semplicemente da un codice, ma


da pi codici contemporaneamente, seguendo ora l'uno ora l'altro.

93
chiesa greca e fu il pi usato fino al XVI sec.; venne stampato per primo,119
diventando il textus receptus, cio quello universalmente accolto. E' il pi
corrotto, perch ha subito numerose revisioni e tentativi di rendere il testo
scorrevole e accettabile, anche dogmaticamente, e di armonizzare i Vangeli. E'
un gruppo complesso, con vari sottogruppi. La scoperta dei papiri, che in taluni
casi presentano lezioni comuni a questo tipo testuale, ha portato a rivalutarlo,
in quanto risulta cos che non si tratta soltanto di una recensione tarda.
A questo tipo testuale si devono, ad es., alterazioni dottrinali come
quelle di Mt 24,36 (omissione di "neppure il Figlio") e di Lc 2,33.43 (correzioni
delle denominazioni di Giuseppe come padre di Ges).
2. Anteriore al testo bizantino il cosiddetto testo occidentale, in realt
diffuso, gi nel II sec., in Oriente e in Occidente; si afferm soprattutto in
Occidente. E' rappresentato dai due mss. del V e VI sec. indicati con la sigla D (e
contenenti, l'uno, Vangeli e Atti, l'altro lettere paoline), da alcune versioni latine
(la Vetus Latina) e dalle citazioni dei Padri occidentali, ma anche da versioni
siriache. Ha la tendenza a parafrasare, omettere, ampliare, soprattutto
armonizzare. E' importante per le varianti degli Atti e di Lc: per il testo degli
Atti il tipo occidentale fornisce un testo pi lungo quasi del 10 % rispetto a
quello riportato da altri tipi testuali.
E' curioso, ed stato studiato, l'atteggiamento misogino che manifesta in
alcuni passi, soprattutto degli Atti:120 in Atti 1,14 aggiunge alla menzione delle
donne che si riunivano in preghiera con gli apostoli nel cenacolo: "e i figli", in
modo che si pensi alle "mogli" degli apostoli stessi e non a donne indipendenti;
in 17,12, nella menzione della conversione di donne e uomini nobili, inverte
l'ordine dei termini "donne e uomini" in "uomini e donne"; in 17,34 cancella il
119

Fu il cardinale di Toledo, Francisco Ximenes de Cisneros a promuovere per primo, nel 1502,
l'edizione a stampa del NT greco, all'interno di un'edizione in pi volumi di tutta la Bibbia, che
fu pubblicata nelle diverse lingue (ebraico, aramaico, greco e latino) ad Alcal, vicino a Madrid,
in latino Complutum, donde il nome di questa edizione della Bibbia: la Poliglotta Complutense.
Il NT, che costituiva il V volume dell'opera, venne pubblicato per primo, nel 1514, ma solo nel
1522 avvenne la diffusione dell'intera opera, e quindi la pubblicazione ufficiale. Non si sa quali
codici siano stati utilizzati, perch Ximenes, nella lettera di dedica a papa Leone X, si limita ad
affermare che erano stati usati codici molto antichi provenienti dalla Biblioteca Vaticana. Di
fatto, la prima edizione che and sul mercato fu un'altra, curata dal celebre umanista olandese
Erasmo da Rotterdam, che ne aveva avuto l'idea, ma si decise all'impresa nel 1515 per
sollecitazione dello stampatore J. Froben, che aveva fiutato l'affare di pubblicare per primo il
NT greco. Erasmo procedette in gran fretta, usando i mss. che aveva a disposizione a Basilea,
ossia una mezza dozzina di minuscoli, alcuni di qualit molto scadente. La stampa del testo,
accompagnato dalla versione latina del medesimo Erasmo a fronte, avvenne tra l'ottobre del
1515 e il febbraio 1516 (1 marzo 1516 la data ufficiale dell'edizione). Risult piena di errori
tipografici, oltre che debole criticamente. Erasmo non aveva trovato mss. completi per tutto il
NT, ma ne aveva usati diversi per le diverse parti, mss. alquanto scorretti, che aveva cercato di
emendare alla meglio, ma in modo insufficiente. Addirittura, poich per l'Apocalisse disponeva
di un codice lacunoso, che mancava del foglio finale, con gli ultimi sei versetti del libro, e che in
altri punti risultava confuso, fece lui stesso, per questi passi, una retroversione dal latino della
Vulgata in greco, producendo un testo che spesso non trova riscontro in alcun ms. esistente.
120
Cfr. B. Whitherington, The anti-feminist tendencies of the "western" text in Acts, in Journal of
Biblical Literature 103 (1984), pp.82-84. Questo aspetto preso in considerazione da Metzger,
nell'appendice di aggiornamento al suo manuale sul testo del NT, pp. 269-270.

94
nome di Damaris; in 18,26 pospone il nome di Priscilla a quello del marito
Aquila. In Col 4,15 abbiamo un caso simile: D intende il nome Ninfa come
maschile (il Merk ha anche lui la forma maschile Numfa'n invece che Nuvmfan) e
sostituisce il pronome aujth'" ("di lei") con aujtou' ("di lui"). E' stata riscontrata
anche una tendenza antigiudaica nella riproduzione del testo degli Atti.121
3. Il tipo testuale pi apprezzato quello "alessandrino" detto anche
"neutrale", perch ritenuto il pi genuino e indipendente, e dunque quello che
pi di tutti ha conservato le lezioni autentiche. Oggi per si ammette che
neppure questo gruppo conserva il testo originale puro. E' rappresentato
principalmente dai codici Sinaitico () e Vaticano (B), del IV sec., ma anche dal
rescritto di Efrem (C), e da alcuni papiri molto antichi (P 66 e P 75 soprattutto).
4. Nel '900 stato individuato il testo cesariense o palestinese, cos
definito perch testimoniato nelle opere composte a Cesarea di Palestina da
Origene e nelle opere di Eusebio di Cesarea. Ma possibile constatare che
compare gi in opere origeniane composte ad Alessandria. E' un testo misto,
che somiglia in parte all'alessandrino e in parte all'occidentale. E' ancora
oggetto di studi e non tutti ne ammettono l'esistenza. I suoi rappresentanti pi
caratteristici sono P 45, Q e le famiglie di minuscoli f 1 e f 13.
Di norma, di fronte a varianti testimoniate da pi manoscritti, si tende a
trascurare le lezioni riportate dalla koin e a preferire le lezioni del testo
alessandrino; autorevole ritenuta una lezione documentata da tipi testuali
distanti geograficamente: perci l'accordo tra testo occidentale e testo
alessandrino risulta spesso decisivo.
Tuttavia oggi si ha minor fiducia nei criteri esterni e non si esclude che
anche la koin o il testo occidentale possano conservare lezioni genuine.
Neppure i codici minuscoli, i pi tardi, debbono essere accantonati.
In ogni caso le prove esterne vanno confermate dalle prove interne.
Le prove interne. Sono i criteri specifici che guidano a scegliere tra le
varianti, sia tenendo conto delle tendenze pi comuni nei copisti sia tenendo
conto dello stile dell'autore stesso.
Per quanto riguarda l'opera dei copisti, si cerca di rispondere alla
domanda: che cosa probabile che i copisti abbiano fatto di fronte al testo? E
quindi si procede in senso inverso.
- Poich la tendenza comune dei copisti quella di rendere pi facile e
comprensibile il testo dove presenta difficolt, tra diverse varianti si sceglier la
lectio difficilior, cio la lezione pi ostica, dal punto di vista linguistico,
grammaticale, stilistico, contenutistico. A meno che sia una lectio impossibilis!
- Poich la tendenza comune dei copisti quella di ampliare il testo, per
chiarirlo e migliorarlo, tra diverse varianti si sceglier la lectio brevior, a meno,
ovviamente, che non si possa riconoscere una omissione per omeoteleuto o per
motivi dottrinali.
- Poich la tendenza comune dei copisti quella di armonizzare i passi coi
121

G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli, I, tr. it., Brescia, Paideia, 1985, p. 230 n. 82.

95
paralleli o, in caso di citazioni, con i testi originali e la versione dei Settanta, tra
diverse varianti si sceglier quella che presenta discordanze rispetto ai paralleli
e ai testi citati.
Per quanto riguarda l'autore del testo, si cerca di rispondere alla
domanda: che cosa probabile che l'autore abbia scritto? Perci si esamina
l'usus scribendi dell'autore e si preferisce la variante che pi concorda con le
caratteristiche linguistiche e stilistiche dell'autore e del testo e con il contesto
immediato e remoto dell'opera.
Conclusione. La critica testuale pi un'arte che una scienza esatta e,
anche se esistono delle regole utili, nessuna va applicata in modo meccanico.
Ogni caso va attentamente considerato secondo tutti i criteri. In genere una
buona strada quella di scegliere, tra le varianti, quella che spiega meglio
l'origine delle altre. La congettura, o divinatio, ossia la correzione di un presunto
errore in base a un'ipotesi propria, quasi sempre da evitare e gli editori
migliori non vi ricorrono se non in casi disperati: nell'edizione Nestle-Aland
risultano in tutto circa 200.
1.3. Le edizioni critiche recenti del NT
Le principali usate in Italia sono quelle del Nestle-Aland e del Merk.
L'ed. Nestle-Aland, oggi la pi diffusa e aggiornata, ha una lunga storia.
Inizi Eberhard Nestle con la sua ed. del 1898, comparsa a Stoccarda, presso la
Wrttembergische Bibelanstalt. Si fondava sulle grandi edizioni allora esistenti,
ossia l'8 del Tischendorf e quelle di Westcott-Hort e di R.F. Weymouth (1886),
quest'ultima sostituita con l'ed. B. Weiss (1894-1900) a partire dalla 3 ed. del
1901. Le edizioni di riferimento venivano messe a confronto e si sceglieva la
lezione adottata da due edizioni su tre. Il lavoro editoriale pass al figlio, Erwin
Nestle, a partire dalla 13 ed. (1927). Dal 1952 fu associato all'impresa K. Aland,
e si incominci a collazionare direttamente mss e papiri. Una nuova edizione,
ormai Nestle-Aland, si ebbe con la 25 del 1963, pi volte ristampata e diventata
una sorta di nuovo textus receptus.
La fortuna di questa edizione era dovuta al fatto che rendeva accessibili,
in un volume molto maneggevole ed economico, le pi importanti acquisizioni
critiche sul testo del NT e, con un sistema essenziale di segni grafici, consentiva
di fornire in apparato, in uno spazio concentrato, una ricchezza straordinaria di
informazioni. A partire dalla 25 ed., l'ed. Nestle-Aland diventa una vera
edizione critica e la pi aggiornata sul mercato.
Nel 1979 si ha una 26 ed., a cura di una quipe costituita, oltre che da K.
Aland, da M. Black, C.M. Martini, B.M. Metzger, A. Wikgren. In essa vengono
apportati numerosi cambiamenti in apparato, perch si tiene conto del
progresso degli studi, e cambiamenti si hanno anche nelle scelte delle varianti
del testo rispetto all'ed. precedente. Di questa ed. del 1979, curata dalla
Deutsche Bibelgesellschaft, a Stoccarda, si sono avute anche edizioni bilingui, in

96
greco-inglese (1981), greco-tedesco (1986) e greco-latino (con la Neovulgata:
1983).
Una 27 ed. ha avuto luogo nel 1993, ma ha riguardato in questo caso
soltanto la sistemazione dell'apparato. Il testo greco di quest'ultima ed. NestleAland stato pubblicato, con trad.it. a fronte, a cura di B. Corsani e C. Buzzetti,
Roma, Societ Biblica Britannica e Forestiera, 1996.
Un'ed. semplificata per traduttori e studenti, dal titolo The Greek New
Testament, stata curata dalla medesima quipe di filologi (K. Aland, M. Black,
B.M. Metzger, A. Wikgren, e poi anche C.M. Martini, B. Aland), per iniziativa
di cinque societ bibliche di varie nazioni (United Bible Societies). E' uscita nel
1966, ha avuto una seconda ed. nel 1968, una terza nel 1975, con profonde
modifiche (il testo coincide con quello della 26 ed. Nestle-Aland). E' stata
ripubblicata una terza edizione corretta nel 1983 e una quarta nel 1993. Il
Metzger ha elaborato un commento filologico alla terza ed. nel 1971, 1975 2.
Il gesuita Augustin Merk pubblic la sua edizione, che riporta testo
greco e Vulgata latina a fronte, per la prima volta nel 1933, a Roma, per i tipi del
Pontificio Istituto Biblico. Si basava sull'apparato del von Soden, integrato con
nuove testimonianze manoscritte e modificato nel sistema di sigle, che quello
del Gregory. Merk cur altre quattro edizioni del suo lavoro; dopo la sua morte,
avvenuta nel 1945, altri gesuiti curarono le edizioni successive: la 7, S. Lyonnet;
l'8, J.P. Smith; la 9, C.M. Martini. La nona edizione uscita nel 1964 e riporta
in appendice alcune varianti contenute nei papiri di recente scoperta.
Il testo bilingue del Merk stato ristampato da G. Nolli, a Roma nel 1955,
e poi ancora nel 1981, con l'aggiunta della Nova Vulgata. Una nuova edizione si
avuta nel 1990 (2 ed. 1991), a Bologna, presso il Centro Dehoniano, a cura di
G. Barbaglio: accanto al testo greco del Merk, fornisce la traduzione italiana
della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), e in calce alla traduzione pone note
che dnno conto delle varianti dei papiri e delle differenze tra l'ed. Merk e l'ed.
Nestle-Aland (la 26).
1.4. Caratteristiche formali dell'edizione critica del Nestle-Aland
Il testo suddiviso in capitoli e versetti 122 e i numeri dei capitoli e dei
versetti sono indicati all'interno del testo.
L'uso del corsivo nel testo (pi raramente l'uso del neretto) segnala le
citazioni veterotestamentarie.
L'apparato critico a fondo pagina.
Esiste anche un apparato di riferimenti a passi paralleli (dell'AT, del NT
e della medesima opera): collocato nel margine esterno, in corrispondenza coi
versetti relativi. I libri dell'AT e del NT richiamati sono indicati con sigle
(Gen=Genesi; Lc=Luca, ecc.), accompagnate dai numeri dei capitoli e dei

122

Si ricordi che tale numerazione non originaria, ma stata introdotta successivamente:


quella in capitoli in et medievale, quella in versetti nel '500.

97
versetti; invece quando i riferimenti riguardano altri passi del medesimo libro
si dnno solo i numeri di capitoli e versetti.
I segni grafici variano da edizione a edizione e vengono illustrati
nell'introduzione alle singole edizioni, ma anche elencati alla fine e in apposite
schede volanti inserite nel volume.
Abbiamo segni grafici presenti nel testo.
Nell'ed. Nestle-Aland sono molti perch servono a segnalare varianti riportate
nell'apparato critico; complicano la lettura del testo, ma avvertono il lettore dei problemi che
pone:
[ ] parentesi quadre: per indicare testo dubbio; ma probabile
[[ ]] doppie parentesi quadre: testo non autentico, ma autorevole
pallino in alto: omissione della parola seguente in alcuni mss
\ quadratino in alto seguito a distanza di alcune parole da una lineetta obliqua:
omissione delle parole contenute tra i due segni
piccola tau in alto: aggiunta
due s oblique che racchiudono pi parole: trasposizione di parole
angolo retto in alto: variante per la parola successiva
due angoli ottusi simmetrici in alto: variante per le parole contenute tra i due segni.
Se ci sono pi casi analoghi nel medesimo versetto si contraddistinguono i segni
successivi al primo con puntini o numeri: ad es., 1, 2, ecc.

Abbiamo segni grafici presenti nell'apparato critico.


Nel Nestle-Aland sono riportati i segni presenti nel testo; in pi abbiamo:
| lineetta: separa le lezioni
lineetta interrotta: separa le varianti di una stessa lezione
txt abbreviazione di textus: introduce l'elenco dei testimoni del testo edito
pallino nero: distingue i versetti indicati col numero
p) indica che la variante deriva da un passo parallelo, per armonizzazione.

Abbiamo segni grafici nell'elenco dei testimoni.


( ) parentesi rotonde: racchiudono sigle di testimoni che presentano lievi varianti
oppure parole non riportate da tutti
M gotica: indica la maggioranza dei codici minuscoli
mg in esponente: lezione a margine.

Abbiamo segni grafici nell'apparato dei riferimenti:


| lineetta: separa i riferimenti di diversi versetti
. punto: separa i riferimenti di diverse parti del medesimo versetto
! punto esclamativo: contrassegna passi per i quali sono dati a suo luogo ulteriori
riferimenti
p indica che vanno considerati anche i passi paralleli.

2. Problemi specifici del Vangelo di Marco


2.1. L'inizio del Vangelo: Mc 1,1-3

98
Il primo versetto del Vangelo pone numerose problemi, sia di tipo
testuale, sia di tipo interpretativo: problemi testuali sono sia l'autenticit
dell'espressione "figlio di Dio", che il Nestle pone tra parentesi quadre, sia la
punteggiatura; problemi interpretativi riguardano il significato dei singoli
termini e dell'insieme del versetto.
Gi questo inizio, cos denso in ogni parola e carico di significati fino
all'ambiguit, ci mostra un Marco fortemente teologo, pi vicino a Giovanni che
non a Matteo e Luca. Matteo incomincia con la genealogia terrena di Ges
("Libro della generazione di Ges Cristo, figlio di David, figlio di Abramo.
Abramo gener Isacco..."), Luca ha un prologo di tipo classico, che osserva le
convenzioni del genere storiografico ("Poich molti hanno posto mano a
stendere un racconto degli avvenimenti successi tra noi ... cos ho deciso anch'io
di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne ...").
Giovanni invece ha un prologo metafisico che subito ci immerge nella natura
divina di Ges Cristo: " In principio (ejn ajrch/') c'era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio ...".
Marco pi essenziale, e quasi ellittico, nel modo di esprimere l'identit
del protagonista: manca il verbo e tutto il senso della frase sta nella pregnanza
del termine eujaggevlion ("vangelo") e nel valore predicativo degli appellativi
"Cristo" e "Figlio di Dio". Pi difficile afferrare il significato preciso di ajrchv
("inizio").
E' un titolo?
Teniamo presente che l'opera non aveva originariamento il titolo che
oggi le attribuiamo, e che gi entr nell'uso a partire dal II secolo, "Vangelo
secondo Marco" (anche i manoscritti titolano cos). Il Vangelo originariamente
non circolava sotto il nome dell'autore, ma si qualificava attraverso le sue prime
parole. In Marco si pu dire che la prima frase assuma carattere di vero titolo:
ajrch; eujaggelivou jIhsou' Cristou' uiJou' qeou', "inizio del Vangelo di Ges Cristo,
Figlio di Dio". Si pu in effetti notare che questo inizio riecheggia altri inizi di
opere dell'Antico Testamento, soprattutto quello di Osea: ajrch; lovgou Kurivou
pro;" JWshve, "inizio della parola del Signore in Osea". Tuttavia, come si pu
notare, Marco omette la menzione dell'autore.
Ma non tutti sono d'accordo sul fatto che tali parole costituiscano un
titolo autonomo, anche perch esiste una questione di punteggiatura, che
nell'ed. Nestle-Aland segnalata con i due punti: c' chi (come Pesch) pone il
punto fermo alla fine dell'espressione, la isola e ne fa quindi un titolo vero e
proprio, e chi (come Uricchio-Stano) preferisce porre una virgola o comunque
collegare l'espressione con quanto segue ("come sta scritto..."): in questo caso la
frase indicherebbe, non il titolo di tutta l'opera, ma l'argomento, e
particolarmente l'argomento del prologo (l'"inizio" farebbe riferimento appunto
alla predicazione di Giovanni Battista).
Il significato di eujaggevlion ("vangelo")

99
L'analisi del termine eujaggevlion ("vangelo") consente di coglierne
sfumature interessanti sia sul versante dell'uso classico, sia su quello dei
Settanta (Antico Testamento).
Come gi stato ampiamente studiato 123, e come abbiamo gi
accennato, nel greco classico, soprattutto di et imperiale, eujaggevlion, che
"buona notizia", soprattutto di vittoria, era arrivato a designare il "lieto
annunzio" di eventi relativi alla vita e all'opera politica dell'imperatore (nascita,
salita al trono, visita, decreti). E' famosa l'iscrizione di Priene (9 a.C.) dove
detto che "la nascita del dio (Augusto) fu per il mondo l'inizio dei fausti
annunzi dovuti a lui" (h\rxen de; tw/' kovsmw/ tw'n di jaujto;n eujaggelivwn hJ
genevqlio" tou' qeou') 124.
Ma particolarmente significativo l'uso che si riscontra nella versione
greca dell'Antico Testamento, dove, non tanto il sostantivo, quanto il verbo
derivato eujaggelivzesqai, a partire dal significato di "annunciare la notizia della
vittoria", acquista, soprattutto in contesti profetici (in Isaia, nei Salmi), il
significato teologico di portare l'annuncio della salvezza messianica.
Testi fondamentali, da questo punto di vista, sono Is 40,9, dove il profeta
invita il messaggero ad annunciare la venuta del Signore, che inaugura un
nuovo esodo dopo la fine dell'esilio babilonese: "Sali su un alto monte, tu che
rechi liete notizie (oJ eujaggelizovmeno") in Sion; alza la voce con forza, tu che
rechi liete notizie (oJJ eujaggelizovmeno") in Gerusalemme. Alza la voce, non
temere; annuncia alle citt di Giuda: 'Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio
viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio...'"; 52,7, dove il
messaggero proclama l'instaurazione del regno di Dio a Gerusalemme: "Come
sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunci che annuncia
(eujaggelizomevnou) la pace, messaggero di bene che annuncia (eujaggelizovmeno")
la salvezza, che dice a Sion: 'Regna il tuo Dio'". Soprattutto importante Is 61,1,
in cui il termine assume un valore assoluto; il profeta stesso a proclamare: "Lo
spirito del Signore su di me perch il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio (eujaggelivsasqai) ai miseri, a fasciare
le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libert degli schiavi, la
scarcerazione dei prigionieri ...". Con questo significato ormai tecnico di
"annunciare la salvezza" il verbo ricorre poi nei Salmi (39[40],10; 67[68],12;
95[96],2) e in Nahum (2,1).
I passi sopra citati di Isaia risultano particolarmente suggestivi, perch
sono certamente presenti all'evangelista: subito dopo l'intestazione, il testo di
Marco continua con una citazione appunto di Isaia (in realt mista di Esodo,
Malachia e Isaia), tratta appunto da Is 40,3 ("Voce di chi grida nel deserto ..."),
mentre il testo di Is 61,1 citato da Ges in un passo di Luca (4,18-19), in cui
Ges identifica se stesso con l'Unto inviato a eujaggelivsasqai ("portare la buona
123

Cfr. G. Friedrich, Eujaggevlion, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, tr. it., III, Brescia 1967
(ed.orig., II, Stuttgart 1933), coll. 1023-1106.
124
Si pensato che nell'uso del termine da parte degli autori del Nuovo Testamento possa
esservi una sfumatura polemica nei riguardi dell'accezione che il termine aveva acquistato
nell'uso profano, e in particolare nei riguardi della concezione divina dell'imperatore: cfr.
Uricchio-Stano, p.20 n.3.

100
novella, evangelizzare") e invita a considerare la sua opera di guaritore e di
predicatore come il compimento di questa profezia: anche se Marco non cita a
sua volta direttamente il passo, certamente lo tiene presente, sia nella
descrizione della figura di Ges taumaturgo e maestro, sia nella conclusione del
prologo, che non a caso riprende (in forma di inclusione) il termine centrale
dell'intestazione: qui si dice infatti che "Ges and in Galilea annunciando il
vangelo (to; eujaggevlion) di Dio e dicendo: 'Si compiuto il tempo ed vicino il
regno di Dio: convertitevi e credete nel vangelo (ejn tw/' eujaggelivw/)'" (1,14-15).
Secondo l'uso molto diffuso che il termine ha avuto in Paolo e in Marco
stesso, che tra gli evangelisti quello che lo predilige 125, eujaggevlion indica sia
l'annuncio orale della salvezza portata da Ges Cristo sia il contenuto, l'evento
stesso. Il vangelo strettamente legato a Ges, tanto da identificarsi con lui.
Almeno due volte Ges in Marco usa l'espressione "per me e per il vangelo"
come un tutt'unico (8,35; 10,29). A sua volta Paolo usa frequentemente
l'espressione "il vangelo di Ges Cristo" o equivalenti (Rm 1,9; 1 Cor 9,12; 2 Cor
2,12; 9,13; 10,14; ecc.).
Eujaggevlion (vangelo) non fa riferimento al Vangelo come opera scritta,
ma l'uso solenne e qualificante che Marco ne fa in questa intestazione
certamente contribuir a farlo diventare il termine specifico per indicare il
genere letterario del suo scritto e degli altri che ad esso si conformeranno.
Il valore di jIhsou' Cristou' ("di Ges Cristo")
Si soliti osservare che, rispetto al termine eujaggevlion ("vangelo") il
genitivo successivo, "di Ges Cristo", ha una duplice funzione, sia oggettiva sia
soggettiva: Ges Cristo infatti l'oggetto della buona notizia che porta salvezza
(e in questo senso tutto il Vangelo non parla che di Ges Cristo, si identifica con
Ges Cristo), ma nel contempo anche colui che reca questo annuncio con le
sue parole e le sue azioni (il Vangelo di Marco lo rappresenta cos, gi a partire
dalla fine del prologo).
Per dobbiamo anche considerare che la denominazione "Ges Cristo"
ha una valenza pi forte e "Cristo" si pu intendere non come un semplice
appellativo aggiunto a "Ges" (mai Marco usa altrove il binomio Ges Cristo),
ma secondo un valore predicativo: la buona notizia non ha soltanto come
oggetto "Ges Cristo", ma consiste principalmente nel fatto che Ges il Cristo,
ossia il Messia atteso, l'Unto destinato a portare la salvezza.
Non a caso il riconoscimento di Ges come "Cristo" da parte di Pietro
assume una funzione centrale in tutto il Vangelo (8,29) ed il perno stesso della
sua struttura, mentre un altro riconoscimento, questa volta da parte del Sommo
Sacerdote e in forma interrogativa (14,61: "Sei tu il Cristo, il Figlio del

125

Se ne serve sette volte (1,1.14.15; 8,35; 10,29; 13,10; 14,9), mentre Matteo e Luca preferiscono
al sostantivo il verbo e Giovanni non ricorre n all'uno n all'altro.

101
Benedetto?"), riceve l'assenso di Ges ("Sono io") ed centrale nel racconto
della passione.
Marco condividerebbe insomma sostanzialmente l'idea dell'evangelista
Giovanni che, a conclusione del suo Vangelo (nella prima stesura) diceva
infatti, proprio a proposito dello scopo del Vangelo stesso: "queste cose sono
state scritte perch crediate che Ges il Cristo, il Figlio di Dio" (20,31).
Tuttavia, come abbiamo gi detto, Marco con eujaggevlion non allude
direttamente al suo testo scritto, ma all'evento che ne alla base.
L'autenticit di JuiJou' qeou', "Figlio di Dio"
Un punto pi difficile da definire se faccia parte dell'intestazione anche
l'espressione "Figlio di Dio", per cui la buona notizia consisterebbe, oltre che
nell'essere Ges il Cristo, nell'essere anche Figlio di Dio. Vediamo che nel passo
appena citato di Giovanni (20,31) si trova anche questa espressione. Ma questo
elemento non ha valore, qui, e anzi potrebbe essere un indizio sfavorevole, dato
che il testo di Giovanni posteriore e riflette una elaborazione teologica
ulteriore.
In ogni caso la questione gi di tipo filologico: i due termini sono infatti
omessi da una parte della tradizione manoscritta, e autorevole: la prima mano
del Sinaitico, il codice Q, un minuscolo (28), un lezionario (l 2211), una parte
della versione saidica, Origene (ma anche Ireneo ed Epifanio, che omettono
anche "Ges Cristo"). La maggior parte dei testimoni li riporta e per lo pi con
l'aggiunta dell'articolo tou' davanti a qeou' ("Dio"). Un minuscolo (1241) riporta
invece uiJou' tou' kurivou, "Figlio del Signore", che chiaramente una
reinterpretazione di Figlio di Dio. Alcuni commentatori (ad es., Pesch) non
considerano genuina l'espressione, altri, i pi, la accolgono.
Un argomento contro l'autenticit che la lezione pi breve dovrebbe
anche essere considerata lectio difficilior, perch pi comune che i copisti
aggiungano appellativi sacri piuttosto che ometterli, specie in un'intestazione.
Un argomento che va a favore dell'autenticit e che pu spiegare la
caduta dei due termini che i nomina sacra venivano regorlarmente abbreviati e
in questo caso hanno desinenza uguale a quella delle parole precedenti, per cui
facile un'omissione per omeoteleuto.
Coloro che sono propensi ad accogliere "Figlio di Dio" fanno inoltre
appello all'usus scribendi di Marco: fanno cio notare che si tratta di
un'espressione che percorre tutto il Vangelo, e in momenti-chiave: in 3,11 e 5,7 i
demni riconoscono esplicitamente in Ges il "Figlio di Dio" (uiJo;" tou' qeou'). In
14,61, un passo decisivo del racconto della passione, gi sopra citato, il Sommo
Sacerdote chiede a Ges se sia il "Cristo, il Figlio del Benedetto (ossia di Dio)".
Ma soprattutto alla fine del Vangelo, sotto la croce, abbiamo la dichiarazione
del centurione, che rappresenta un po' il culmine della rivelazione su Ges:
"Veramente quest'uomo era Figlio di Dio (uiJo;" qeou')" (15,39). In pi,
bisognerebbe considerare anche le proclamazioni della voce celeste, che si fa
udire sia al momento del battesimo (1,11: "Tu sei il mio figlio diletto"), sia
durante la Trasfigurazione (9,7: "Questi il mio figlio diletto"). Battesimo,

102
Trasfigurazione e Crocifissione risultano nel Vangelo i momenti salienti della
vicenda di Ges e sono caratterizzati da questi riconoscimenti della sua
figliolanza divina.
Si deve prendere seriamente in considerazione la possibilit che
l'espressione facesse parte del titolo generale. Ma rimane un ostacolo il fatto che
si spiega meno l'omissione dell'espressione da parte di un copista, piuttosto che
l'inserimento. Non a caso l'editore pone le parentesi quadre, segno di grave
incertezza.
Il significato di jajrchv, "inizio"
Non c' accordo tra gli studiosi sul significato preciso del termine, che
pu variare sia in rapporto con le sue diverse accezioni ("inizio" in senso
cronologico oppure "principio" come fondamento), sia in rapporto con la
duplice valenza di eujaggevlion (messaggio di salvezza, ma anche annuncio del
messaggio), sia in rapporto con i collegamenti che si possono stabilire tra la
frase iniziale e il contenuto del prologo oppure di tutto il Vangelo.
In ogni caso va escluso che segnali un incipit di tipo letterario, quasi che
l'autore volesse dire: "Qui, con queste parole incomincia ...".
Nel senso di "fondamento", e intendendo con eujaggevlion ("vangelo")
l'annuncio dei predicatori cristiani (cos Pesch), il titolo equivarrebbe a "il
fondamento dell'annuncio che ha per oggetto Ges Cristo" e con fondamento ci
si riferirebbe a tutta la storia di Ges Cristo, dal battesimo alla morte in croce,
che l'argomento del Vangelo.
Ma si pu altrettanto bene pensare al concetto di "inizio" in senso
temporale, inizio del messaggio o inizio dell'annuncio che trasmette il
messaggio, ma soprattutto inizio del messaggio stesso, dell'evento che
costituisce la buona notizia. In tal caso per si aprono pi possibilit (non
sempre alternative) per comprendere quale sia questo inizio.
La spiegazione pi comune, che tiene conto del contesto immediato,
che con "inizio" Marco alluda alla predicazione di Giovanni Battista e agli
avvenimenti raccontati nel prologo, con cui inizia la missione di Ges. E' anche
possibile che con inizio si intendano tutte le profezie, a partire da quelle di
Isaia, che hanno preparato la venuta di Ges. C' anche chi pensa a Dio stesso
come "inizio": subito dopo, nella citazione scritturale, lui la prima persona
implicita che parla e comunica il suo progetto (di inviare un messaggero) a un
tu, che Ges stesso.
Al di l dei significati puntuali, il termine carico di risonanze,
soprattutto bibliche, che lo arricchiscono.
Abbiamo visto che esso riecheggia l'analogo titolo del libro di Osea
(anche qui per non sappiamo esattamente quale fosse il valore esatto):
sappiamo che inaugurava la serie dei profeti.
Una suggestione obbligata che si tratti di un richiamo alla Genesi, che
inizia (nella versione dei LXX) con jEn ajrch/' ejpoivhsen oJ qeo;" to;n oujrano;n kai;

103
th;n gh'n, "all'inizio Dio fece il cielo e la terra". Il prologo del Vangelo di
Giovanni, con cui l'intestazione di Marco presenta qualche affinit, contiene
appunto questo richiamo e in modo del tutto evidente: jEn ajrch/' h\n oJ lovgo" ...,
"all'inizio era il Logos".
Di fatto, in almeno due degli altri tre casi in cui ricorre ajrchv ("inizio") in
Marco, il termine proprio usato nell'espressione ajp jajrch'" ktivsew",
"dall'inizio della creazione" (10,6; 13,19), quindi, in senso temporale, e con
riferimento alla Genesi.
Se valida questa ipotesi, si pu spiegare l'allusione nel senso che Marco
vorrebbe fare dell'opera di Ges come una sorta di nuovo inizio della creazione
di Dio e della storia umana. Con Ges, per il fatto che egli il Cristo, il Figlio di
Dio, la buona notizia della salvezza incomincia davvero.
Si potrebbe perci anche vedervi la volont di sottolineare la "novit"
dell'evento, rispetto al passato.
La presenza di un inizio indica comunque, senz'altro, la storicit
dell'evento salvifico, il suo calarsi, in un certo momento preciso, nel tempo e
nella storia umana.
C' chi vi associa poi l'idea, che Marco esprimer nella parabola del seme
di senapa (4,32), di una realt che ha avuto un grande sviluppo a partire da un
inizio piccolo e umile 126. L'idea suggestiva, perch, come si pu notare da
1,14-15, il vangelo strettamente connesso col Regno di Dio e la parabola del
granello di senapa illustra appunto la realt misteriosa del Regno.
Certamente questo inizio , per Marco, apertura su uno sviluppo
illimitato, come accennano i passi in cui Ges fa riferimento a un annuncio del
vangelo che deve toccare "tutte le genti" (13,10), "tutto il mondo" (14,9).
Considerando la fine del Vangelo di Marco (ce ne occuperemo tra poco),
e in particolare le parole del messaggero celeste nella tomba vuota che invitano
i discepoli a tornare in Galilea per ritrovare Ges (16,7), e quindi invitano in
qualche modo a ripercorrere le tappe del suo cammino iniziato appunto in
Galilea (cfr. 1,9.14), si potrebbe dire che questo inizio destinato a riproporsi
sempre a chi si fa ascoltatore della "buona notizia" e vuole conoscere e seguire
Ges.
Probabilmente occorre mantenere la plurivalenza del testo.
Conclusione
Anche se questa intestazione resta sfuggente nei significati precisi dei
singoli termini, e non del tutto chiaro il suo rapporto con il contesto
immediato, va tenuto fermo che il termine eujaggevlion ("vangelo") ci rinvia,
innanzitutto, a un messaggio di fede (Ges il Cristo, il Figlio di Dio), che esige
una risposta di fede (1,15: "Credete nel vangelo!"). Ci illumina, quindi, in
qualche modo, sull'impostazione e sul carattere letterario dello scritto, che si fa
portavoce di questo messaggio. Ci fa capire che l'interesse di questo scritto non
126

Cfr. B. Maggioni, Il racconto di Marco, Assisi, Cittadella, 1991, p.15.

104
focalizzato sulla vita di Ges in s e per s, ma su quanto di lui lo ha rivelato
come Messia, Figlio di Dio. Ci immerge, anche, nelle attese e nelle concezioni
del popolo ebraico (attesa di un Messia, idea di Figlio di Dio), che erano pure
quelle dei cristiani e per le quali i cristiani videro in Ges lo sbocco decisivo, ma
non senza fraintendimenti: quanto si propone di evidenziare Marco.
Questo titolo, che enuncia nei suoi termini essenziali tutta la storia del
protagonista, ben si accorda con la struttura drammatica, a suspence, del
Vangelo di Marco.
Un primo motivo che il titolo gi fornisce, in qualche modo, la
soluzione del dramma, ma fuori dal racconto; noto al lettore, non ai
personaggi. All'interno del racconto l'identit di Ges, sempre ricercata,
rimarr misteriosa fino alla fine: tutta la prima parte costellata dagli
interrogativi della gente e dei discepoli: Che mai questo? Chi costui? Le
proclamazioni dei demni vengono zittite da Ges. Anche quando Pietro
finalmente vede in lui il Cristo, Ges impone il silenzio e subito dopo con i suoi
annunci della passione fa capire che questo riconoscimento non basta. La
soluzione arriva, inaspettata, solo nella scena della crocifissione e della morte:
il centurione, un pagano anonimo, un nemico, che vede proprio nel crocifisso il
"Figlio di Dio".
Ma anche il lettore, che crede all'inizio di sapere, rimane sconcertato fino
alla fine, perch sa che Ges il Messia, il Figlio di Dio, ma proprio per questo
non si aspetta quell'entrata in scena del protagonista senza clamore, quelle
difficolt che lo circondano (opposizione di avversari, incomprensione perfino
dei discepoli), il suo stesso atteggiamento poco propenso ad accettare
riconoscimenti trionfalistici. Anche il lettore deve percorrere tutto il cammino
del Vangelo per arrivare a capire che tipo di Messia sia Ges.
Anzi, alla fine sembrerebbe che solo il lettore sia in grado di capire o
abbia gli elementi per capire, perch i discepoli, alla rivelazione del centurione,
non sono presenti, e le donne fuggono dalla tomba vuota spaventate, senza dire
alcunch ad alcuno.
Sicch, a mettere a confronto titolo e conclusione, si assiste a un nuovo
fatto sconcertante: quella che stata presentata come una buona, lieta notizia
(euj-aggevlion), suscita nel suo esito paura e sbigottimento, addirittura fuga (16,8:
ejvfugon ... ejfobou~nto gavr, "avevano paura infatti"). Quel vangelo che esigeva
una risposta di fede provoca nei primi destinatari, e proprio nel momento
decisivo, solo spavento. Quel vangelo che doveva essere divulgato a tutti i
popoli si scontra con il silenzio delle donne che avevano il compito di
trasmetterlo per prime. Come mai?
Anche alla fine non c' un "lieto fine" tradizionale. Siamo, in qualche
modo, ancora solo ad un inizio: per ora c' un'unica persona, il centurione, che
ha dimostrato di credere. Eppure Marco, con quel suo modo sconcertante di
procedere, sicuro che quello che sta presentando "inizio della buona notizia
di Ges Cristo, Figlio di Dio". E' la scommessa della fede.

105
2.2. La finale del Vangelo: Mc 16,9-20
Il capitolo finale (cap. 16) del Vangelo di Marco presenta una situazione
testuale complessa (vedi All. 19).
Si pu notare, guardando l'apparato critico, che gi alla fine del v. 16,3
("E si dicevano: 'Chi ci far rotolare via la pietra dall'ngresso del sepolcro?") il
cod. k, o codice Bobbiense, che riporta un'antica versione latina, integra il testo
con un passo con la descrizione di fenomeni prodigiosi (oscuramento della luce
del giorno; discesa di angeli dal cielo che accompagnano il Risorto nella sua
ascensione. ricomparsa della luce). Tale descrizione cerca di compensare un
racconto, quello di Marco, troppo pacato, privo di effetti spettacolari, che invece
compaiono negli altri Vangeli.
Ma soprattutto interessante la variet di soluzioni riportate dalla
tradizione manoscritta dopo il v.8 (si veda l'apparato critico):
- La totalit delle edizioni e traduzioni riporta i versetti 16,9-20, che sono
chiamati "finale canonica", in quanto sono riconosciuti dalla Chiesa come
pienamente ispirati alla pari del resto del Vangelo e appartengono al textus
receptus.
Questi versetti sono attestati dalla maggioranza dei codici greci,
maiuscoli e minuscoli, da alcune versioni latine, siriache, copte, e da molti Padri
della Chiesa (ad es. l'Ireneo latino, ossia la traduzione latina di Ireneo, che in
greco andato quasi del tutto perduto), gi a partire dal II secolo, anzi forse gi
prima del 150, poich sembra che l'apologista Giustino la conoscesse e fu
inserita nel Diatessaron di Taziano.
Alcuni testimoni della tradizione manoscritta per la riportano con segni
critici che avvertono dell'esistenza di dubbi. Per di pi molti Padri provano che
non sono autentici questi versetti: Clemente Alessandrino e Origene, in
particolare, non la conoscono. Eusebio di Cesarea (Quaest. ad Marinum 1) e
Gerolamo (Ep. ad Hebid. 120,3) discutono espressamente la questione e
sostengono di non aver trovato questa finale in codici greci del tempo.
- Questa finale non viene per riportata dai due codici onciali pi antichi e
importanti: e B, dal minuscolo 304, dal codice Bobbiense (k), il pi antico
testimone della Vetus Latina (IV-V sec.), da un'antica versione siriaca, dalla
maggior parte dei codici armeni e georgiani pi antichi, in quasi tutta la
tradizione sahidica. In vari testimoni compaiono segnalazioni esplicite sul fatto
che Mc doveva concludersi con 16,8.
- Ancora il cod. k riporta una finale breve (cos chiamata per distinguerla dalla
finale lunga), la cui traduzione suona cos: "Raccontarono in breve a quelli che
erano con Pietro tutto ci che era stato loro esposto. Poi Ges stesso fece portare
per mezzo loro, dall'oriente fino all'occidente, il santo e incorruttibile annuncio
dell'eterna salvezza. Amen".
L'Amen indica un uso liturgico del testo. Ma questa finale non entrata
nel testo ufficiale del Vangelo di Marco.

106
- Nel cod. k compare solo questa come finale di Marco, ma essa viene riportata
da vari codici greci maiuscoli e minuscoli (L Y 083 099, 274 a margine, 579), dal
lezionario l 1602, da manoscritti delle versioni siriache e copte e dalla
maggioranza dei manoscritti etiopici, prima della finale lunga. In vari mss c' la
segnalazione che si tratta di un'aggiunta.
- Il cod. W riporta i vv. 9-20, ossia la finale lunga, e in pi, tra i vv. 14 e 15, un
ampliamento (il cosiddetto "loghion di Freer", dal nome di colui che acquist il
codice),127 che era gi noto a Gerolamo (Adv. Pelag. 2,15).
A un esame critico delle diverse finali, si pu facilmente riconoscere che
la finale breve non marciana, perch presenta molti termini e concetti estranei
al linguaggio e al pensiero di Marco (pensiamo all'enfasi posta sul successo
universale della predicazione apostolica), ed relativamente tarda (pensiamo
all'espressione "sacro e incorruttibile annuncio dell'eterna salvezza").
Anche il "loghion di Freer" risulta un ampliamento della finale lunga che
tenta di giustificare le ripetute annotazioni dell'incredulit degli apostoli.
Per quanto riguarda la finale lunga, le prove esterne, ossia
l'autorevolezza dei testimoni (il Sinaitico e il Vaticano) e l'accordo tra i pi
importanti tipi testuali (l'alessandrino e l'occidentale), sembrano essere a favore
dell'inautenticit dei vv. 9-20. Ma soprattutto le prove interne confermano
questa opinione: il linguaggio di questa parte non marciano (ben 17 parole
non si trovano nel resto di Mc o sono usate altrove con significato diverso); tra i
vv. 8 e 9 evidente una frattura stilistica; il contenuto dei vv. 9-20 si presenta
come un compendio delle parti finali degli altri Vangeli, soprattutto di Luca e
Giovanni (cfr. All. 20). Si ha l'impressione che questa finale sia stata composta
per ovviare all'assenza sconcertante di apparizioni del Risorto che rendevano
Mc manchevole rispetto agli altri Vangeli. Deve essere stata composta molto
presto, subito dopo la composizione degli altri Vangeli.
Bench quasi tutti gli studiosi siano convinti del fatto che la finale lunga
non sia della mano di Marco, il comportamento di editori e traduttori non
appare coerente: il Nestle-Aland la riporta tra le doppie parentesi quadre
(segno di testo autorevole, ma non autentico); invece il Merk la riporta senza
alcun segno grafico. E lo stesso fanno normalmente le traduzioni.
Tuttavia l'idea che Mc si concludesse originariamente col v. 8 non lascia
soddisfatti molti studiosi, perch davvero strano questo finale, con le donne

127

La traduzione del loghion (il cui testo non sempre sicuro) suona cos: "E quelli (= gli undici)
si scusavano (di non aver creduto alla risurrezione di Ges) dicendo: 'Questo secolo di iniquit
e incredulit sotto il dominio di satana, il quale non permette che la verit e la potenza di Dio
siano accolte dagli spiriti impuri. Perci rivela la tua giustizia ormai', dicevano al Cristo. E il
Cristo rispondeva loro: 'E' compiuto il termine degli anni della potenza di satana, ma si
avvicinano altri eventi terribili. Anche a beneficio di coloro che hanno peccato io sono stato
consegnato alla morte, perch si convertano alla verit e non pecchino pi, ma ereditino nel
cielo la gloria spirituale e incorruttibile della giustizia'".

107
che fuggono atterrite dalla tomba senza dire niente a nessuno proprio per la
paura. Le ultime parole sarebbero ejfobou'nto gavr, "avevano paura infatti", una
forma che non trova se non sporadici corrispondenti. Perci alcuni (e Metzger,
che fa parte dell'quipe dei curatori dell'ed. Nestle-Aland, tra questi)
ritengono che neppure 16,8 sia la vera conclusione di Mc e ipotizzano che il
Vangelo o sia stato interrotto o sia andato perduto un foglio durante la
trasmissione del testo. Ma altri studiosi difendono invece con forza
l'adeguatezza della finale al v. 8, perch il suo carattere rotto e perfino assurdo
ben si conforma allo stile e alle intenzioni di Mc, quali si riconoscono nel resto
del Vangelo.
E in effetti appare pi probabile l'idea che il Vangelo si fermasse
originariamente al v. 8, con la paura e la fuga delle donne dalla tomba vuota. A
conferma di questa idea stanno anche gli altri sinottici, che procedono paralleli
fino al v. 8 e poi procedono ciascuno per conto proprio, ma cercando di ovviare
a quella che appariva una manchevolezza del testo: l'assenza di apparizioni del
Risorto e un finale pi consolante, meno punitivo nei confronti dei discepoli.
In realt risulta invece proprio pi conforme al pensiero di Marco che
anche le donne, le discepole pi fedeli, cedano alla fine, come gi avevavo fatto
i discepoli maschi prima, perch solo Ges, che aveva promesso di tornare in
Galilea a precedere i suoi seguaci (e la promessa viene ricordata dall'angelo alle
donne) pu di nuovo segnare la via e riaprire il cammino, lui che passato
attraverso la passione, morte e risurrezione. E l'omissione dei racconti di
apparizioni coerente con il concetto severe di fede che propone Marco: una
fede che non ha bisogno di vedere per credere, come indicano l'esempio
negativo dei sommi sacerdoti e degli scribi, che pretendono di vedere per
credere (15,32), e l'esempio positivo del centurione romano, che riconosce in
Ges il Figlio di Dio vedendolo morire, non risorgere (15,39).
2.3. Due questioni nell'episodio del lebbroso:
Mc 1,40 (inginocchiato?); 1,41 (Ges impietosito o adirato?)
L' episodio del lebbroso presente nei tre sinottici, ma posto in contesti
differenti: in Matteo dopo il discorso della montagna (8,1-4), in Luca dopo la
chiamata dei primi discepoli (5,12-16). In Marco centrale all'interno della
prima sezione del Vangelo e ha funzione di cerniera tra la prima sottosezione,
che contiene il racconto della "giornata di Cadfarnao", o giormata-tipo di Ges,
caratterizzata da miracoli (esorcismi e guarigioni) e la seconda sottosezione, che
contiene una serie incalzante di cinque dispute con i capi religiosi giudei. Si
distingue dagli altri episodi perch privo di ambientazione geografica o
cronologica.
In questo episodio (Mc 1,40-45: vedi All. 21 e 22) abbiamo due questioni
rilevanti: la prima riguarda l'espressione kai; gonupetw'n kai;, trasl. ki gonypetn
ki, ("e inginocchiato e") del v. 40, e il problema segnalato dall'editore con le
parentesi quadre, la seconda riguarda il participio splagcnisqeiv", trasl.

108
splanchnistis, ("impietosito, mosso a compassione") del v. 41, e in questo caso
l'editore non pone segni critici.
Mc 1,40
Guardando l'apparato critico troviamo che la prima mano del Sinaitico
riporta kai; gonupetw'n e omette il kai; successivo. Invece il codice Vaticano, un
codice minuscolo (2427) e i manoscritti della versione sahidica omettono tutte e
tre le parole. Altri codici maiuscoli, il cod. D (o di Beza, il pi importante
testimone del testo occidentale), i codd. W e G e pochi altri maiuscoli, alcuni
testimoni delle versioni latine, con qualche differenza (segnalata dalle parentesi
rotonde), omettono kai; gonupetw'n. Riportano tutte e tre le parole la seconda
mano del Sinaitico, altri due maiuscoli (L Q), la famiglia 1 di minuscoli, altri
minuscoli, una parte delle versioni latine. Riportano kai; gonupetw'n con
l'aggiunta di aujto;n kai; tre maiuscoli: l'Alessandrino, C e 0130, la famiglia 13 di
minuscoli, un altro minuscolo importante (33), la maggior parte dei codici tardi,
un codice della Vetus Latina (q), con qualche differenza.
In sostanza, la stragrande maggioranza dei codici riporta l'espressione
kai; gonupetw'n, ma singolare l'omissione da parte di alcuni, non trascurabili
(ad es. D). Il Nestle-Aland avverte con la sigla p) che l'omissione potrebbe
essere frutto di armonizzazione. Ora, possiamo constatare che la stessa
espressione manca effettivamente in Mt e Lc, per compaiono espressioni
equivalenti: Mt ha prosekuvneu, "si prostrava"; Lc pesw;n ejpi; provswpon, "caduto
faccia a terra", epressioni che indicano sempre un gesto di omaggio e di
adorazione, e appaiono anche pi forti di quella di Marco. Il participio
gonupetw'n viene usato da Marco anche in 10,17, a proposito del ricco di fronte a
Ges; lo usa due volte Matteo: in 17,14 (per l'indemoniato epilettico) e 27,29
(per i soldati che deridono Ges travestito da re).
Un atteggiamento rispettoso da parte del lebbroso appare, non solo
adatto a un questuante ("lo supplicava"), ma anche conforme con le parole che
pronuncia ("se vuoi, puoi purificarmi") e quindi opportuno; proprio per questo
l'omissione potrebbe essere considerata una lectio difficilior, e quindi preferibile.
Mc 1,41
Qui abbiamo il caso di una variante, che non presa in seria
considerazione dagli editori (anche il Nestle-Aland la segnala soltanto in
apparato) e dai traduttori, ma viene invece discussa dai commentatori, con esiti
diversi da quelli a cui indurrebbero editori e traduttori.128 Si veda la nota alla
traduzione italiana nell'ediz. Nestle-Aland curata da Corsani-Buzzetti. La
valutazione del problema richiede un'accurata ricognizione della tradizione
manoscritta, ma soprattutto del contesto e del punto di vista di Marco.
La questione riguarda il comportamento di Ges, subito dopo la
richiesta del lebbroso: il testo riporta che Ges splagcnisqeiv", "mosso a
128

Per una discussione sistematica cfr. C. Mazzucco, Un Ges impietosito o adirato? Il problema
testuale e interpretativo di Mc 1,41, in "Quaderni del Dipartimento di Filologia, linguistica e
tradizione classica 'A. Rostagni'" 2000, pp. 191-203;

109
compassione", stese la mano, lo tocc e gli dice: "Lo voglio, sii purificato". Ma
esiste una variante: ojrgisqeiv", trasl. orghiszis, "incollerito, adirato", al posto di
splagcnisqeiv". E' una variante che non vale la pena di prendere in
considerazione o merita qualche attenzione? E' abbastanza strana a tutta prima.
Se guardiamo alla prova esterna, ossia alla situazione dei testimoni delle
due lezioni, constatiamo che la stragrande maggioranza riporta splagcnisqeiv"
(l'editore non li elenca neppure); solo pochi attestano ojrgisqeiv", "adirato": il
codice D e codici dell'antica versione latina (a ff2 r1*), dunque tutti testimoni del
testo occidentale. Possiamo dire che la prova esterna a favore della lezione
splagcnisqeiv", "impietosito".
Se consideriamo gli elementi interni, possiamo dire che a favore di
questa lezione c' il fatto che in molti casi di miracolo viene attribuita a Ges la
compassione, espressa con questo medesimo termine (cfr. Mc 9,22; Mt 14,14;
15,22; Lc 7,13) o con altri, mentre non sarebbe attestata una reazione di collera, e
inoltre apparirebbe strana una tale reazione. Alcuni studiosi (favorevoli alla
lezione "impietosito") suppongono per che la variante "adirato" sia stata
introdotta per indicare una reazione negativa di Ges verso la violazione della
legge compiuta dal lebbroso nel momento in cui si avvicina a Ges (per lo
statuto di esclusione del lebbroso cfr. Lv 13-14). Si adduce il fatto che nello
stesso episodio Ges si mostra osservante della legge, quando invia il lebbroso
risanato dal sacerdote a compiere il rito prescritto da Mos (1,44).
Ma ci sono in realt elementi piuttosto forti per preferire ojrgisqeiv",
"adirato": innanzitutto il fatto che si tratta inequivocabilmente di una lectio
difficilior, perch si pu ben immaginare che qualcuno abbia sostituito la
compassione alla collera, proprio perch la compassione sembra adattarsi
meglio alla figura di Ges; molto pi difficile supporre che qualcuno abbia
introdotto la collera se nel testo c'era la compassione. Una conferma in questo
senso viene dall'omissione del participio in Matteo e Luca: se avessero trovato
l'annotazione sulla compassione l'avrebbero certamente conservata, mentre si
spiega che abbiano tralasciato la collera, pi ostica da accettare nella situazione
specifica di incontro con un sofferente. Ma Marco attribuisce la collera a Ges
anche in un'altra situazione di miracolo: nell'episodio della guarigione
dell'uomo dalla mano inaridita (3,5: guarda i presenti "con collera", met jojrgh'",
trasl. met'orghs; e l'annotazione conforme all'atteggiamento tenuto da Ges di
fronte al lebbroso: nell'episodio abbiamo un altro suo gesto analogo: egli scaccia
il lebbroso "sbuffando, con sdegno" (ejmbrimhsavmeno", trasl. embrimesmenos:
1,43).
Naturalmente non si pu pensare che Ges provi qualche forma di
collera o irritazione nei confronti del lebbroso: questi dimostra una
straordinaria fede in Ges e nei suoi poteri: si pu dire che intuisca le sue
facolt divine: infatti nell'AT veniva affermato che solo Dio pu guarire dalla
lebbra (cfr. l'episodio di Naaman il Siro in 2 Re 5,7). Inoltre la guarigione dalla
lebbra era un chiaro segno messianico, come risulta chiaramente da Mt 11,6,
dove Ges richiama espressamente antiche profezie in questo senso e le applica
a s.
Come nel caso dell'uomo dalla mano inaridita, dove chiaro l'intento di

110
Ges di polemizzare con un gruppo di avversari che guardano con ostilit il
fatto che Ges guarisce di sabato, cos si pu supporre che Ges manifesti un
intento polemico anche a proposito del lebbroso, soprattutto della condizione
di emarginazione sociale e religiosa a cui era sottoposto a causa della sua
impurit, secondo la normativa legale contenuta nel Levitico. Egli, non solo non
condanna il gesto del lebbroso di avvicinarsi a lui, ma lo tocca con la sua mano,
violando a sua volta la legge; e quando invia il lebbroso purificato dal sacerdote
lo fa "a testimonianza per loro" (eij" martuvrion aujtoi'", trasl. eis maryrion autis:
1,44). L'espressione "a testimonianza per loro" ha sempre in Marco questa
valenza negativa, di condanna: in 6,11 si applica a quanti non accoglieranno gli
apostoli durante la loro missione (per questo gli apostoli se ne andranno
scuotendo la polvere dai calzari "a testimonianza per loro"); in 13,9 si applica ai
persecutori degli apostoli (essi staranno loro davanti "a testimonianza per
loro"). Nel nostro episodio Ges manda l'ex lebbroso dal sacerdote come atto
dimostrativo, e polemico, nei confronti dell'intera categoria sacerdotale: per far
vedere che possibile eliminare radicalmente il male della lebbra, e non
limitarsi a stilare certificati di impurit o purit, come prevedevano le norme.
Di qui il suo sdegno, la sua irritazione, che ovviamente non sono dirette al
lebbroso, ma alla condizione in cui si trova e a quanti applicano la legge in
modo rigido, a scapito dell'umanit e della misericordia.
Tenendo conto del fatto che la terminologia usata da Marco parla di
"purificazione" dalla lebbra e che la lebbra viene personificata (cfr. 1,42), e
tenendo conto del contesto, in particolare del fatto che il demonio definito
nell'episodio dell'esorcismo di Cafarnao "spirito impuro" (1,23), possiamo
leggere l'episodio del lebbroso come una manifestazione della lotta contro le
potenze del male che opprimono l'umanit e che Ges vuole distruggere dalle
radici.
2.4. La teoria delle parabole: Mc 4,10-12
Quella che chiamiamo "teoria delle parabole" la risposta che Ges d ai
discepoli, dopo che essi lo hanno interrogato a proposito delle parabole, avendo
ascoltato l'esposizione della parabola del seminatore: "A voi stato dato il
mistero del regno di Dio; ma per quelli di fuori tutto avviene in parabole,
affinch guardando guardino e non vedano, e ascoltando ascoltino e non
comprendano, perch non si convertano e sia loro perdonato" (4,11-12: cfr. All.
23 e 24). Una tale dichiarazione solleva diverse e gravi questioni, che
riguardano innanzitutto il senso complessivo delle parole di Ges, le quali
sembrano dire che egli parla in parabole per impedire che i destinatari
capiscano e si convertano, e sembrano quindi inficiate da un tono
deterministico. Inoltre appare inaccettabile la netta distinzione tra due
categorie, che sembrano identificarsi con i discepoli, i quali sarebbero
privilegiati, e gli esterni, che invece sarebbero pregiudizialmente esclusi dalla
salvezza.

111
Il confronto coi paralleli di Matteo e di Luca, che mostra un buon
numero di variazioni, evidenzia le difficolt del testo marciano. E' possibile
riscontrare che l'espressione piuttosto contorta "quelli intorno a lui (Ges) con i
Dodici" (Mc 4,10) stata corretta e chiarita, ma anche reinterpretata, dagli altri
due sinottici, che parlano pi semplicemente di discepoli (Mt 13,10: "i
discepoli"; Lc 8,9: "i suoi discepoli"); in corrispondenza, l'espressione "uqlli di
fuori" (Mc 4,11) diventa "quelli" in Matteo (13,11) e "gli altri" in Luca (8,10).
Rilevante la modificazione della forma devdotai (" stato dato") in devdotai
gnw'nai (" stato dato di conoscere") sia in Matteo sia in Luca; anche il givnetai
("avviene") di Marco viene fortemente trasformato da Mt e Lc, che si limitano a
riprendere, o sottintendere, la medesima espressione gi usata (" stato dato di
conoscere"), in forma negativa: 129 mentre Marco parla di una realt in atto,
quella del Regno, Matteo e Luca portano il discorso su un piano strettamente
intellettuale, di comprensione delle parabole. N va trascurato il cambiamento
di "mistero" in "misteri": anche qui si passa da un concetto religioso profondo, il
mysterion, che allude a una realt divina al di l delle capacit umane, a specifici
elementi oscuri da capire. Anche la forma della citazione finale, tratta da Is 6,910, diversa negli altri due sinottici.
Per quanto riguarda i due gruppi di destinatari per lo pi sono stati
identificati, i primi, anche tenendo conto dei paralleli, con i discepoli, i secondi,
anche tenendo conto di altri testi del NT, con i pagani (cfr. 1 Cor. 5,12.13, che
parla di quelli di fuori) o con i giudei increduli (cfr. Gv 12,40; At 28,26-27, che
citano il passo di Is 6,9-10).
Ma una possibile chiave di lettura di essi pu essere quella di
interpretare le definizioni ("quelli intorno a Ges" e "quelli di fuori") tenendo
presente l'episodio immediatamente precedente, quello della "vera famiglia di
Ges" (3,31-35: vedi All. 25), che gi abbiamo considerato a proposito delle
costruzioni a sandwich. Qui - ed di nuovo un particolare che non viene
conservato nei testi paralleli abbiamo pure due gruppi contrapposti, quello
dei parenti di Ges e quello della folla che ascolta Ges, e tali gruppi sono
insistentemente qualificati, l'uno con l'avverbio "fuori" (3,31: "viene sua madre e
i suoi fratelli e stando fuori lo mandarono a chiamare; 3,32: "ecco, tua madre e i
tuoi fratelli fuori ti cercano"), l'altro con la preposizione "intorno" (3,32: "e
sedeva intorno a lui una folla"; 3,34: "e guardando tutt'intorno quelli che
sedevano in cerchio intorno a lui"). Gi in questo episodio si vuole alludere a
due categorie spirituali: quella dei "vicini", come ad es. i famigliari, e quella di
coloro che pur lontani (una folla generica) compiono per la volont di Dio e
ponegono Ges al centro della loro vita. Possiamo pensare che anche nel cap. 4
Marco voglia far riferimenti a queste due categorie, che non sono rigide e
predeterminate, ma mobili, dipendenti dalle scelte che si fanno di volta in volta.
Nella spiegazione della parabola del seminatore, immediatamente successiva, si
rilever appunto l'importanze della qualit dei terreni, ossia della qualit
dell'ascolto, ai fini del risultato.
129

E' possibile notare che l'influsso dei paralleli si fa sentire anche nelle traduzioni correnti di
Marco, per cui la forma devdotai, che letteralmente si deve rendere con " stato dato" viene
tradotta dalla Cei con " stato confidat"o, e la forma "avviene" (givnetai) diventa "viene esposto".

112
Certamente Ges non parla in parabole per impedire la comprensione
agli estranei, tant' vero che proprio in questa sezione sollecita continuamente
l'ascolto sia rivolgendosi alla folla sia ai discepoli (cfr. 4,9.23) e alla fine si dice
che "diceva loro la Parola come erano in grado di ascoltare" (4,33). D'altra parte,
vero che Ges rivolge spiegazioni particolari ai discepoli (cfr. qui e anche
7,17-23), ma sempre rimproverandoli di non capire ci che dovrebbero capire
senza spiegazioni. D'altra parte, una comprensione intellettuale delle parabole
non impedita (cfr. 12,12, a proposito della parabola dei vignaioli omicidi), ma
pu portare a un accanimento maggiore nell'ostilit. E la citazione della
profezia di Isaia, da una parte richiama la Parola di Dio a testimonianza del
fatto che l'indurimento degli ascoltatori della Parola un fenomeno che sempre
si ripete, una sorta di prova necessaria, ma non ha nulla di aprioristico e
preclusivo. Dipende da una presa di posizione precedente che condiziona
l'ascolto e che volontaria: dipende dalla scelta di stare intorno, ovvero, se
vogliamo, dietro a Ges, o al contrario rimanere fuori dalla sua cerchia, ai
margini della sua strada, come or ora vedremo.
Nel corso del Vangelo Marco mostrer che tante volte saranno i discepoli
a estraniarsi da Ges, a non capirlo, a mettersi nella stessa condizione degli
avversari di Ges e riceveranno rimproveri analoghi (si veda il rimprovero di
avere il cuore indurito che tocca agli scribi in 3,5 e ai discepoli in 6,52 e 8,17). In
particolare la reprimenda ai discepoli di 8,17-21 conterr una citazione profetica
(tratta da Ger 5,21 ed Ez 12,2) che richiama quella inserita nella "teoria delle
parabole": "avete occhi e non vedete? avete orecchie e non udite?" (8,18). Invece
ci saranno pagani che riusciranno a dimostrarsi vicini a Ges, a comprenderlo,
ben pi dei discepoli. E' il caso della Sirofenicia, che capir al volo l'intenzione
di Ges manifestata nelle due moltiplicazioni dei pani, quando dir: "Anche i
cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli" (7,28), a significare
che anche i pagani, seppure estranei al rapporto di figliolanza con Dio proprio
dei giudei, hanno diritto a ricevere la salvezza; invece i discepoli, seppure
ripetutamente sollecitati, non arrivano proprio a capire che il pane della
salvezza sovrabbondante e basta, con i tanti avanzi, a nutrire tutti (cfr. 8,1921).

2.5. Chi sono "quelli lungo la strada" (Mc 4,15)?


Nella spiegazione della parabola del seminatore solleva difficolt quanto
viene detto del primo terreno, ossia del primo tipo di ascoltatori (per il testo si
veda l'All. 26): Il testo greco piuttosto contorto, ma molte traduzioni e
tentativi di interpretazione accrescono le difficolt. Ad es. la traduzione
ufficiale della Cei rende cos: " Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene
seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la
parola seminata in loro". Ci si pu chiedere - e in effetti ci chiesti per quale
motivo questo tipo di ascoltatori si trovi tanto penalizzato, quali siano le
caratteristiche di questo tipo di ascolto che rendono immediatamente sterile la

113
Parola, questo gruppo appare diverso en on ben qualificato, a differenza degli
altri.
Bisogna per notare che Marco, seppure in modo piuttosto duro, attira
l'attenzione proprio sulla collocazione, sul fatto dell'essere para; th;n oJdovn,
"lungo la strada, ai margini della strada" (si veda l'avverbio relativo oJvpou, "l
dove"). Si potrebbe tentare di tradurre cos: "Ecco chi sono quelli lungo la
strada: (sono coloro) nei quali la Parola viene seminata l e, quando ascoltano,
subito viene satana e porta via la Parola" (4,15). E poi si potrebbe cercare di
capire che senso ha questa collocazione "lungo la strada", quale ostacolo
costituisca. Talora non si fatta differenza, anche considerando la parabola, tra
l'essere "lungo la strada" e l'essere "sulla strada", e si pensato, lavorando di
immaginazione, a durezza, impermeabilit dovuta ai ripetuti passaggi di
persone.
Ma gi il contesto invita a diversificare il significato: nella cornice della
sezione si distingue tra la posizione della folla che si trova "lungo il mare" e
Ges che siede in barca "sul mare" (4,1). Soprattutto, un contrasto molto
importante per la valenza simbolica si ha nell'episodio della guarigione del
cieco di Gerico (10,46-52), che abbiamo esaminato a proposito dell'Analisi
retorica: qui qualificante il contrasto tra la posizione iniziale del cieco, seduto
"lungo la strada" (10,46), e quella finale che lo vede seguire Ges "sulla strada"
(10,52). La collocazione iniziale indica la sua originaria estraneit al cammino di
Ges, ma la sua capacit tutta interiore di intuire l'identit di Ges ("Figlio di
Davide", "Rabbun"), la sua volont e la sua prontezza di andare verso di lui e
percorrere la sua strada ne fanno alla fine un modello di discepolo. La strada,
con tutta evidenza, quella che porta a Gerusalemme e porta alla passione. In
questo il cieco si mostra l'opposto di Pietro, che, "sulla strada" (8,27) aveva, s,
riconosciuto che Ges era il Cristo, ma aveva poi rifiutato la prospettiva della
passione, uscendo fuori dalla posizione di discepolo ed attirandosi il
rimprovero di Ges e l'ordine di tornare "dietro di lui" (8,33) 130, di riprendere
cio il posto proprio del discepolo, secondo tutti i racconti di chiamata, come
abbiamo visto.
Il tema della "strada" molto importante nel Vangelo di Marco, fin
dall'inizio, dalla citazione biblica, dove la fusione di diversi testi scritturali
permette all'evangelista di mettere in evidenza e in parallelo le espressioni "il
quale preparer la tua strada" (1,2) e "approntate la strada del Signore" (1,3). Il
termine "strada" (oJdov"), come gi abbiamo visto a proposito della "geografia di
Marco", ricorre ben 16 volte nel Vangelo, e con particolare densit nei punti
sopra segnalati (due in 1,2-3, due nel cap. 4, due in 10,46-52, una in 8,27) e poi
ancora in 10,32: la strada per Gerusalemme e Ges precede i discepoli; in
12,14: la strada di Dio.

2,6: Il viaggio a Betsaida dei discepoli di Ges: Mc 6,45-8,22

130

Anche in questo caso per lo pi le traduzioni travisano, perch rendono comunemente


l'espressione uJvpage ojpivsw mou ("va' dietro di me") con "lungi da me" (cos la Cei 1971).

114
Un caso davvero curioso quello che riguarda il viaggio a Betsaida. Non
c' commentatore che non noti la difficolt del passo ai vv. 6,45 ss., dove Ges
invia i suoi discepoli in barca "verso Betsaida" (si conosce storicamente una
Betsaida sulla riva orientale del lago: vedi All. 10), mentre poi succede che essi
sbarchino a Genesaret (che era sulla riva occidentale) 131; e pi in generale la
difficolt di tutto l'itinerario percorso nei capp. 6-8, dove inoltre abbiamo degli
spostamenti nei territori di Tiro e Sidone (7,24), poi un ritorno verso il mare di
Galilea, nella zona della Decapoli (7,31), e ancora un viaggio verso Dalmanuta
(8,10: localit non identificabile, probabilmente in Galilea), un reimbarco verso
l'altra riva (8,13) e infine un arrivo a Betsaida in 8,22. A questo proposito stato
detto che Marco "evidentemente ha un'idea approssimativa della geografia
della Palestina" (Pesch), "la geografia del brano confusa" (Schweizer).
Innumerevoli e di vario tipo sono stati i tentativi per spiegare
l'espressione un po' contorta di 6,45: Kai; eujqu;" hjnavgkasen tou;" maqhta;"
aujtou~ ejmbh'nai eij" to; ploi'on kai; proavgein eij" to; pevran pro;"
Bhqsai>davn, "e subito costrinse i suoi discepoli a imbarcarsi e a precederlo
sull'altra sponda (lett. verso l'al di l) a (o: in direzione di) Betsaida". C' chi ha
eliminato l'espressione eij" to; pevran, "sull'altra sponda, al di l", come se fosse
una glossa derivante da Mt 14,22; chi vorrebbe cancellare invece proprio pro;"
Beqsai>davn, "verso Betsaida", come glossa; chi ha interpretato il prov", "verso",
come "di fronte a"; la soluzione estrema quella di ritenere che Marco abbia
conservato dati della tradizione senza cercare di chiarirli, e quindi lasciando
l'incoerenza geografica. Chi ricorre alle informazioni dei passi paralleli degli
altri vangeli incontra ulteriori difficolt perch non coincidono con quelle di
Marco. Matteo nel passo corrispondente (14,22) elimina Betsaida; Giovanni
(6,16) parla di Cafarnao come meta del viaggio 132. Peraltro, l dove questi altri
Vangeli parlano di Betsaida, sembra che la collochino in Galilea: Giovanni usa
esplicitamente l'espressione "Betsaida di Galilea" (12,21); Matteo (11,21) e Luca
(10,13) la associano a Corazim per contrapporle entrambe a Tiro e Sidone, in
quanto citt in cui Ges ha operato miracoli nella sua missione precedente, che
si svolta tutta in Galilea. Pertanto fin dal XVI secolo c' stato chi ha pensato
all'esistenza di due Betsaida, una sulla riva orientale e una su quella
occidentale.
Indubbiamente Marco ha fissato una propria geografia 133, che non
per semplicemente approssimativa e confusa, ha un significato che va
scoperto. Una spiegazione "naturalistica" che il cambiamento di meta del
primo viaggio in barca sia dipeso dalla violenza del vento contrario. Ma una
spiegazione riduttiva, che per di pi non d conto del raggiungimento
dell'obiettivo solo dopo un lungo giro.
Elementi chiari sono l'anomalia di Ges che per la prima volta si separa
131

Uricchio-Stano, p.347; Schweizer, p.151; Pesch, I, pp.558-559; Manicardi, p.30; van Iersel,
p.142; ecc.
132
Com' noto, Luca tralascia tutta la sezione ("Grande omissione").
133
Pesch (I, p.559) e altri prima di lui escludono invece decisamente che Marco abbia collegato
di proposito le due menzioni di Betsaida.

115
dai discepoli e li manda da soli in un posto senza spiegare perch; questo luogo
"al di l", un'espressione che sempre indica l'altra riva, ma l'altra riva come
luogo che sta fuori dal territorio giudaico, in terra pagana (cfr. 4,35; 5,1: l'al di l
il territorio dei geraseni); questo trasferimento sembra corrispondere a un
progetto preciso, che in parte gi era stato realizzato da Ges insieme ai
discepoli (cfr. 4,35: "Andiamo all'altra riva") e che adesso viene affidato ai
discepoli, i quali gi sono stati mandati in missione, in territorio giudaico e
hanno svolto bene il loro compito (6,7-12.30). Ma durante la moltiplicazione dei
pani non hanno saputo svolgere il ruolo che Ges chiedeva loro: "Date voi da
mangiare a loro" (6,37). Da qui incomincia un continuo andirivieni tra le due
rive guidato da Ges, un percorso che, nell'intenzione di Ges, ha come punto
di arrivo Betsaida, sull'altra riva.
E' forse possibile comprendere il senso di tutto l'itinerario, con il rinvio
dell'arrivo a Betsaida, appunto se lo si mette in rapporto con il contesto della
vicenda, una vicenda che ha per protagonisti i Dodici e la loro mancanza di
fede. L'itinerario in stretto rapporto infatti con le due moltiplicazioni dei pani
(6,30-44; 8,1-9), il cui significato, come viene pi volte sottolineato in questi
capitoli (6,52; 8,17-21), e rimproverato da Ges, sfugge ai discepoli, cos come
non capiscono neppure la parabola che riguarda il puro e l'impuro, che al
centro di tutta questa sezione (7,18).
In effetti l'ordine di Ges (cos imperativo!) di recarsi a Betsaida (6,45)
immediatamente successivo alla prima moltiplicazione dei pani e ad essa si
accenna alla fine di questo primo viaggio in barca, durante il quale i discepoli
non riconoscono Ges che cammina sull'acqua e rimangono turbati dal suo
intervento che placa la bufera: "non avevano infatti capito il fatto dei pani, ma il
loro cuore era indurito" (6,52). Questo richiamo all'episodio della
moltiplicazione dei pani costituisce cos come una cornice del racconto di Ges
che cammina sul lago, e una chiave di interpretazione per esso 134. A sua volta,
l'arrivo a Betsaida (8,22) successivo alla seconda moltiplicazione dei pani e
viene immediatamente dopo l'aspro rimprovero di Ges, che richiama
duramente i discepoli i quali, saliti ancora in barca, erano preoccupati per il
fatto di avere un solo pane: li rimprovera di non aver capito nulla di tutti e due
i miracoli dei pani: "Perch discutete che non avete pani? Non avete cervello e
non capite ancora? Avete il vostro cuore indurito? 'Avete occhi e non vedete?
Avete orecchie e non udite?' (Ger 5,21; Ez 12,2) E non ricordate quando spezzai
i cinque pani per i cinquemila, quante ceste piene di pezzi portaste via?". Gli
rispondono: "Dodici". "E quando (spezzai) i sette (pani) per i quattromila,
quante sporte piene di pezzi portaste via?". E gli rispondono: "Sette". E diceva
loro: "Non capite ancora?" (8,17-21).
Il mancato raggiungimento della meta la prima volta e il raggiungimento
dilazionato poi possono essere intesi come il corrispettivo, sul piano geografico,
delle difficolt intellettive dei discepoli; l'itinerario tortuoso percorso sulla terra
si accompagna ad un itinerario spirituale altrettanto tortuoso. Il senso di queste

134

Si potrebbe parlare della tecnica "a sandwich" di cui Marco si serve frequentemente e che
gi abbiamo esaminato.

116
difficolt si pu poi comprendere cercando di capire il senso delle due
moltiplicazioni dei pani e il collegamento con la polemica sul puro e
sull'impuro che sta al centro delle moltiplicazioni e che ugualmente non
compresa dai discepoli: "Siete cos privi di intelligenza anche voi? non capite
che ...?" (7,18).
Vari indizi nel racconto di queste due moltiplicazioni inducono a
ritenere che, nonostante le forti somiglianze, non costituiscano semplicemente il
doppione di un unico miracolo, ma che alludano al mistero della salvezza
(tante volte espresso con l'immagine del banchetto) donata, prima ai giudei e
poi ai pagani. Gi i numeri, che sono un tratto insistito di questi racconti, e
vengono ulteriormente fatti notare nel rimprovero di Ges di 8,17-21 sopra
citato, rinviano nel loro valore simbolico rispettivamente al popolo ebraico (5,
12, 5.000) 135 e a quello pagano (7, 7, 4.000) 136 o comunque a un popolo
composto anche di pagani. Altri elementi ancora sembrano alludere a queste
diverse componenti: nel primo caso la gente "come pecore senza pastore", che
richiama immagini gi applicate nell'Antico Testamento ad Israele; invece la
folla della seconda moltiplicazione contiene persone che vengono "da lontano",
allusione, sul piano religioso, ad una loro maggiore lontananza dal vero Dio. E
il territorio in cui ciascun miracolo si svolge dovrebbe essere, il primo, quello
palestinese, il secondo, quello pagano: nel secondo caso risulta piuttosto chiaro,
perch precedentemente stata menzionata la Decapoli (7,31), nel primo caso si
deduce appunto dal fatto che Ges spinge i discepoli nella direzione di
Betsaida, indicata come "sull'altra riva" rispetto alla riva su cui erano e che
dovrebbe essere quella della Galilea.
A chiarire ulteriormente quale sia la questione di fondo che i discepoli
non riescono ad affrontare serve poi la parte che sta in mezzo alle due
moltiplicazioni. Qui abbiamo essenzialmente la discussione con farisei e scribi a
proposito del concetto di purit (7,1-23) e poi due miracoli che si svolgono in
terra straniera: l'esorcismo in favore della figlia della Sirofenicia (nella zona di
Tiro e Sidone: 7,24-30) e la guarigione del sordomuto (nella zona della Decapoli:
7,31-37). I tre episodi sono funzionali l'uno all'altro e alle due moltiplicazioni, di
cui forniscono la chiave interpretativa.
Risulta chiaro soprattutto dall'incontro con la Sirofenicia la difficolt, che
Ges supera, di allargare l'annuncio della salvezza dai "figli", ossia gli ebrei, da
sempre popolo eletto da Dio, ai "cagnolini", ossia gli infedeli, i pagani (coi quali
connessa l'idea di impurit : lo si vede bene gi nel racconto dell'indemoniato
di Gerasa, 5,1 ss., che porta per la prima volta a contatto coi pagani 137). Il
135

I numeri 5 e 5.000 rinviano ai 5 libri di Mos (Pentateuco), il numero 12 alle 12 trib di


Israele.
136
Il numero 7 sembra particolarmente collegato con i pagani (cfr. Atti 6,3: 7 diaconi per
cristiani provenienti dal paganesimo; c' invece chi pensa ai 7 comandamenti di No); il
numero 4 richiama i 4 punti cardinali, la totalit della terra.
137
Tutto l'ambiente descritto con forti tratti di impurit: lo spirito "impuro", le tombe, i porci,
ecc. Si noti che anche la figlia della Sirofenicia preda di uno "spirito impuro". Sull'impurit dei
cani cfr. Mt 7,6, in cui i cani sono associati appunto ai porci e si dice: "Non date ci che santo
ai cani e non gettate le vostre perle ai porci". Cfr. anche Ap 22,15. Nella tradizione ebraica i
pagani erano chiamati cani: cfr. Taylor.

117
concetto di impurit dei giudei ortodossi implicava conseguenze che andavano
oltre le pratiche rituali: implicava il rifiuto anche dei pagani, in quanto impuri
138
. Si noti anche che la risposta della Sirofenicia al primo rifiuto di Ges di
compiere il miracolo, con il riferimento alle briciole di pane che cadono della
mensa e vengono mangiate dai cagnolini, allude ancora a un concetto tipico
delle due moltiplicazioni: quello dell'abbondanza che sopravanza i bisogni dei
commensali e di cui possono beneficiare i pagani (i "cagnolini") 139.
E' appunto in questa direzione che Ges vuole spingere i discepoli. E
questo dopo che li ha mandati per la prima volta in missione (6,7-13.30), per far
capire quali obiettivi abbia la missione, a chi debba rivolgersi 140. Durante la
prima moltiplicazione, pi che durante la seconda, si nota l'insistenza di Ges a
coinvolgere i discepoli nell'impegno di nutrire la folla (6,37: "Date voi da
mangiare a loro", 6,38: "Quanti pani avete? Andate a vedere"; 6,39: "E ordin
loro di farli sedere tutti; 6,41: "E li dava ai discepoli perch li porgessero loro").
Ma questo tentativo si scontra gi qui con la resistenza dei discepoli e Ges
riprende personalmente l'iniziativa.
Ulteriori indizi che in primo piano un insegnamento di Ges che i
discepoli stentano ad accettare sono sia la "costrizione" da parte di Ges a
partire per Betsaida (6,45), sia forse anche il suo tentativo di "oltrepassarli,
superarli" quando cammina sull'acqua (6,48), quasi per guidarli oltre: 141
entrambi i tentativi falliscono. Per questo il suo cammino percorre subito dopo
insistentemente regioni pagane (Tiro, Sidone, Decapoli) e sfocia poi nella
seconda moltiplicazione dei pani. Per questo egli mette in guardia i discepoli
dal "lievito" di farisei ed erodiani (8,15): anche al lievito connesso il concetto
di impurit (cfr. Delorme)142.
Il miracolo del sordomuto (7,31-37) allusivo alla condizione dei
discepoli che fanno fatica ad aprire la loro mente e il loro cuore a questo
messaggio (cfr. 7,34: "Apriti!"). Anche il miracolo della guarigione del cieco, che
avviene a Betsaida (8,22-26), e si svolge in due tappe (prima il cieco vede
approssimativamente, poi chiaramente), sembra ribadire lo sforzo dei discepoli
per comprendere. E non a caso il rimprovero di Ges che precede questo
miracolo menziona esplicitamente "occhi" che non vedono e "orecchie" che non
odono (cfr. Delorme).
Letta secondo questo filo conduttore, tutta questa sezione del Vangelo

138

Per la connessione tra il mangiare cibi impuri e l'accogliere i pagani alla fede cfr.l'episodio
della conversione del centurione Cornelio in Atti 10.
139
L'osservazione in Schssler-Fiorenza, p.164.
140
Si noti che Betsaida significa in ebraico "casa della pesca" e Ges aveva promesso ai primi
discepoli chiamati di farli "pescatori di uomini" (1,17).
141
Vi ritorneremo sopra al punto 2.7.
142
E' significativo che il "lievito (zuvmh) dei farisei sia in contrasto col pane azzimo (ajvzumo") della
Pasqua (cfr.14,1.12), e implicitamente col pane che il corpo di Ges. Si noti che l'avvertimento
avviene in rapporto con la preoccupazione dei discepoli di avere "un solo pane"(allusione
appunto a Ges stesso). Sul contrasto tra "lievito" e "azzimo", con connessa l'idea di impurit
del lievito (vecchio) cfr. 1 Cor 5,6-8.

118
appare molto omogenea e ben connessa 143, e in essa tutti gli elementi
concorrono all'elaborazione del messaggio, anche la geografia (cfr. Delorme144).
Betsaida davvero la meta da raggiungere, ma esige di andare "al di l" 145 di
un mondo che rischia di essere troppo chiuso, di una mentalit che quella del
rifiuto dell'"altro". Non a caso subito dopo Betsaida Ges conduce i discepoli a
Cesarea di Filippo 146, punto di svolta di tutta la vicenda perch qui avviene il
riconoscimento della sua messianicit e inizia il suo insegnamento sulla
passione futura, che apre una prospettiva totalmente nuova. Fa parte di questa
prospettiva il servire e il dare la vita in riscatto "per molti" (10,45), il versare il
proprio sangue "in favore di molti" (14,24). Cos come il vangelo deve essere
annunciato "a tutte le genti" (13,10), "in tutto il mondo" (14,9). E questa
prospettiva porta, nel racconto del Vangelo, a sfociare emblematicamente in un
riconoscimento di fede che viene per la prima volta in modo compiuto da parte
di un pagano, il centurione (15,39).
2.7. "E voleva oltrepassarli": Mc 6,48
Abbiamo gi accennato a questa espressione, che si trova nel racconto di
Ges che cammina sull'acqua, e che apparso un vero enigma. Le varie
spiegazioni proposte non sono risultate soddisfacenti e la via pi corretta
quella di collocare la frase nel contesto del brano e di tutta la sezione, dove
abbiamo visto che centrale lo sforzo pedagogico di Ges di preparare i
discepoli a svolgere la missione di portare il messaggio della salvezza a tutti, e
dove si riscontra, in parallelo, le difficolt dei discepoli di capire e assecondare
il maestro.
Importante nella sezione anche la ricerca dell'identit di Ges, come
indica il fatto che all'inizio (6,14-16) e alla fine (8,27-28) si descrivono le varie
143

Ma Koch, p.157 nega che la sezione 6,6 b-8,26 sia collegata in modo organico. Van Iersel
(p.148) considera "arbitraria" la sequenza dei fatti tra 4,35 e 8,21, e i particolare l'ordine delle
guarigioni.
144
Radermakers, p.181, dubita che la spiegazione tradizionale dell'incoerenza geografica sia
valida, ma non d una spiegazione. Egli suppone che l'arrivo a Genesaret sia voluto da Ges,
che avrebbe fatto cambiare rotta alla barca.
145
Si noti che l'espressione eij" to; pevran, "al di l", di 6,45 ripetuta anche in 8,13, a indicare
nuovamente la direzione, che porter a Betsaida (8,22). Anzi, si pu notare che anche altre volte
l'espressione usata preferibilmente per sottolineare il passaggio in terra straniera, pagana:
usata di nuovo insistentemente in riferimento al trasferimento nel territorio dei Geraseni: prima
c' l'invito di Ges (4,35: "Andiamo all'altra riva"), poi avviene lo sbarco (5,1: "E giunsero
all'altra riva del mare"), poi di nuovo il ritorno (5,21: "E dopo che Ges ebbe fatto la traversata
di nuovo all'altra riva"). Le altre due volte in cui l'espressione ricorre si riferisce all'altra riva del
Giordano (3,8; 10,1): nel primo caso si fa riferimento sicuramente alla gente pagana che abita
oltre il Giordano; il secondo caso pi dubbio. Si noti che il passaggio nel territorio dei
Geraseni costituisce il primo contatto con i pagani ma tutto il racconto parla soltanto di Ges,
come se i discepoli non ci fossero: al ritorno si parla solo di lui (5,18.21). L'invio a Betsaida
rappresenta la prima volta in cui Ges spinge i discepoli, e da soli, in terra pagana.
146
Anche Betsaida faceva parte dei territori amministrati da Filippo: cfr. V. Polentinos, Betsaida,
in Enciclopedia della Bibbia, I, Torino 1969, c.1225.

119
opinioni che circolavano su chi fosse Ges. Possiamo notare che in questo
racconto Ges si manifesta come Dio, camminando sull'acqua, un'azione che
nell'AT era attribuita appunto soltanto a Dio (cfr. Gb 9,8; Sal 77[76],20), e anche
rivelandosi con l'espressione "Io sono" (6,50), che riecheggia quella con cui Dio
si rivel a Mos parlandogli nel roveto ardente (Es 3,14). Ma i discepoli non lo
riconoscono.
Anche la volont di Ges di mandarli da soli sull'altra riva, in terra
pagana, fallisce in un primo tempo a causa del vento contrario contro cui i
discepoli non hanno la forza di resistere. Il tentativo successivo di Ges di
manifestarsi e di sorpassarli si pu probabilmente spiegare con l'intenzione di
aiutarli a raggiungere la meta lasciando loro la guida della barca, ma
"precedendoli", cos come far anche in seguito (10,32) e vorr continuare a fare
in futuro (14,28; 16,7).147 Ma neppure in questo modo riesce a ottenere che lo
seguano proprio perch non lo riconoscono e non hanno capito il senso della
moltiplicazione dei pani (cfr.6,52). Ges ripiega quindi sul rimedio di salire in
barca con loro e di compiere un cammino pi lungo e complesso insieme a loro.

2.8. Un discorso pieno di misteri: il "discorso escatologico": Mc 13


Abbiamo gi preso in considerazione questo discorso per quanto
riguarda la sua struttura concentrica e vi abbiamo accennato nell'Excursus sulla
"cronologia di Marco", dove abbiamo attirato l'attenzione sulla sua collocazione
alla fine del terzo giorno della settimana a Gerusalemme.
Ma questo discorso - chiamato per lo pi "discorso escatologico" perch
predice fatti futuri e si pensa che riguardino gli eventi ultimi della storia,
(ejvscata, trasl. schata, in greco significa "cose ultime"), oppure "apocalisse
sinottica", perch presenta nel linguaggio e nei concetti somiglianze con gli
scritti apocalittici, in particolare con l'Apocalisse, e si trova nei tre Vangeli
sinottici - presenta molte difficolt critiche e interpretative e costituisce un vero
rompicapo per gli studiosi. Perci si tende nella lettura dei Vangeli a trascurarlo
o a ometterlo del tutto.
Gli studiosi lo hanno spesso considerato un blocco eterogeneo rispetto al
resto del Vangelo, si sono chiesti se dipenda da un'apocalisse preesistente
(Pesch) oppure da materiali tradizionali disparati (un'apocalisse, detti,
parabole,148 elementi catechetici) non ben inseriti nel contesto e non ben
amalgamati (Lambrecht). Si sono interrogati sui significati delle singole parti e
dell'insieme, senza giungere a risultati sicuri e concordi.

147

Si intravede un'allusione alla morte e alla risurrezione sia nel fatto che Ges va incontro ai
discepoli "verso la quarta vigilia della notte" (= tra le tre e le sei), ossia verso l'alba, e anche nelle
parole: "Coraggio, sono io, non temete!", che riecheggiano quelle dell'angelo nella tomba vuota
(cfr. 16,6).
148
Come elementi parabolici si veda l'immagine del fico nel v.28 e quella del padrone di casa e
dei suoi servi (vv.34-37), che richiama la parabola dei talenti (Mt 25,14-30).

120
A parte gli interrogativi sulle fonti usate, sul genere letterario, sui
riferimenti biblici, sono rilevanti ai fini della comprensione alcune questioni che
occorre affrontare:
- quale rapporto c' tra il discorso di Ges e la predizione fatta a proposito delle
costruzioni del tempio tanto ammirate dai discepoli: "Non sar lasciata qui
pietra su pietra senza che sia distrutta" (v. 2)?
- come risponde alle domande successive dei discepoli: "Dicci: quando
avverranno queste cose e quale sar il segno che tutte queste cose staranno per
compiersi?" (v.4);
- quale il significato dell'"abominio della desolazione" (v. 14) e della "venuta
del Figlio dell'uomo" (v.26), e in particolare: si riferiscono a personaggi e fatti
della fine del mondo (anticristo l'uno, parusia l'altra) oppure a fatti
contemporanei? In particolare l'abominio della desolazione si riferisce alla
distruzione del tempio del 70 d.C.?
Inoltre un fatto che il linguaggio risulta effettivamente oscuro e si
possono rilevare apparenti contraddizioni cronologiche: ad es., nel v. 30 si
accenna a un accadimento prossimo ("non passer questa generazione prima
che tutte queste cose siano avvenute"), mentre nel v. 32 si dice che nessuno
conosce i tempi.
Ma cercando di leggere questo discorso nel suo contesto e tenendo conto
dei collegamenti col resto del Vangelo, forse possibile individuare una
funzione e un significato pi adeguati e soprattutto possibile pensare a un
rapporto stretto con il racconto della passione che incomincia subito dopo.
L'inserimento nel terzo giorno della settimana fa del discorso il culmine
di una fase importante, quella degli insegnamenti nel tempio e relativi al
tempio, e lo pone im parallelo con gli eventi del sesto giorno della settimana
che riguardano la condanna, la morte e la sepoltura, ma anche con gli eventi del
giorno dopo il sabato (anch'esso "terzo giorno" rispetto al giorno della morte,
come sempre viene sottolineato nelle predizioni della passione).
Del resto abbiamo anche una serie di collegamenti contenutistici precisi:
l'oscuramento del sole di 13,24 richiama le tenebre durante la crocifissione
(15,33); la predizione della venuta del Figlio dell'uomo sulle nubi viene ripresa
da Ges stesso durante il processo nel sinedrio (14,62: "E vedrete il Figlio
dell'uomo seduto alla destra della potenza e venire con le nubi del cielo"); le
esortazioni pressanti a vegliare (vv. 35-36) anticipano quelle di Ges ai
discepoli nel Getsemani (14,34.38); le quattro ore della notte menzionate nel v.
35 a proposito della venuta del padrone ("o alla sera o a mezzanotte o al canto
del gallo o al mattino") trovano riscontro nell'ora dell'ultima cena con
l'annuncio del tradimento (14,17: "alla sera"), con l'abbandono dei discepoli e il
rinnegamento di Pietro (cfr. 14,30: "questa notte", "prima che il gallo canti due
volte"), con il mattino del processo davanti a Pilato (15,1: "al mattino") e con
quello della scoperta della tomba vuota (16,2:di buon mattino"). Non sembrano
collegamenti casuali.
Per quanto riguarda l'oscurit del linguaggio e delle immagini,
dobbiamo considerare che dipende dall'uso intensivo di profezie

121
veterotestamentarie, in specie di profezie di Daniele. Avevamo gi visto che lo
schema stesso della settimana deriva dalla profezia delle settanta settimane che
Daniele riprende da Geremia e reinterpreta. Ma dipendono da Daniele anche
espressioni particolari di tono apocalittico, come "bisogna che avvengano" (dei'
genevsqai: v.7; cfr. Dn 2,28s.45); l'espressione che descrive il tempo di
tribolazione collegato all'abominio della desolazione (v.19: "quei giorni saranno
una tribolazione tale quale non c' mai stata a partire dall'inizio della
creazione..."; cfr. Dn 12,1). Soprattutto vengono da questo profeta i due grandi
"segni" annunciati ("quando vedrete"): l'abominio della desolazione (Dn 9,27;
11,31; 12,11) e la venuta del Figlio dell'uomo sulle nubi (Dn 7,13 s.). In questo
caso Marco cita letteralmente i testi (vv.14 e 26: in corsivo nel testo greco) e
invita esplicitamente a capire il senso del primo segno andando a leggere il
passo biblico relativo (v. 14: "chi legge capisca"). 149 E' chiaro che quelle
profezie, che sono di tipo messianico, vengono reinterpretate e applicate alla
nuova situazione, ma quale?
vv. 5-13: Seguendo lo sviluppo del discorso, secondo le articolazioni
dello schema proposto (cfr. All. 15), possiamo osservare che Ges innanzitutto
lancia una serie di avvertimenti ("badate") che devono indurre i discepoli a non
lasciarsi ingannare.
Nella loro domanda sui tempi e sui segni (v.4) essi avevano dimostrato
in effetti di credere che la distruzione materiale del tempio avrebbe
rappresentato la fine dei tempi e sarebbe quindi stata accompagnata da altri
avvenimenti prodigiosi. Il loro punto di riferimento dovevano essere gi le
profezie di Daniele, interpretate alla lettera: l'espressione stessa che usano "tutte
queste cose che staranno per compiersi" riecheggia Dn 12,7. Secondo Daniele
facevano parte dei tempi finali la distruzione di Gerusalemme e del santuario
(Dn 9,25), ma anche la venuta del Messia e l'instaurazione del suo regno.
Probabilmente essi si attendono che le cose avvengano a breve scadenza.
Ora, Ges vuole proprio mettere in guardia da attese messianiche
sconsiderate, perch c' il rischio di lasciarsi suggestionare da falsi Messia (v.6);
inoltre mette in guardia dal credere che segni della fine del mondo siano
guerre, terremoti, carestie, che facevano parte degli eventi apocalittici nella
tradizione (cfr. Ap 6,1 ss.; per le guerre cfr. Is 19,2; Dn 9,25; per i terremoti: Is
13,13; per le carestie: Is 8,21). Sono piuttosto eventi normali nella storia umana.
Semmai, ci per cui i discepoli devono essere consapevoli e preparati
sono le persecuzioni che inevitabilmente li colpiranno, da parte dei
correligionari e delle autorit politiche, le divisioni che interverranno anche
all'interno delle famiglie a causa della fede in Ges. Il loro compito quello di
predicare il vangelo in tutto il mondo e di testimoniare davanti ai persecutori, e
di resistere fino alla fine.

149

Questo invito stato interpretato anche in altri modi, ad es., supponendo che l'oggetto possa
essere il discorso stesso o l'apocalisse originaria. Ma il verbo ajnaginwvskw, "leggere", in Marco si
usa sempre a proposito di passi biblici (cfr. 2,25; 12,10.26). Nel parallelo di Mt il riferimento a
Daniele esplicito: vedi Sinossi negli All. 29-32.

122
In questa prima sezione Ges parla del futuro, ma di un futuro dilatato
nel tempo. Distoglie l'attenzione dalla fine dei tempi, la attira su questo tempo
di impegno e attenzione.
vv. 14-31: questi versetti si possono pi opportunamente considerare
unitariamente, tenendo conto del parallelismo tra i due segni.
Il segno dell'abominio della desolazione(vv.14-20), anche in rapporto alla
fonte di Daniele, deve essere inteso pi come una profanazione che non come
una distruzione (come pensano coloro che vi vedono un riferimento agli eventi
storici del 70):150 il senso dell'espressione bdevlugma th'" ejrhmwvsew", "abominio
della desolazione", letteralmente quello di una cosa abominevole per la sua
impurit, tale che induce all'abbandono. In effetti il discorso, con abbondanza
di immagini "apocalittiche" invita subito dopo a una fuga che deve essere
immediata e senza ripensamenti. Si tratta di una "fuga" spirituale, non fisica,
dal giudaismo nelle sue forme degenerate (cfr. la fuga di Lot da Sodoma: Gen
19,17). Si intravede un rapporto con le parole di condanna pronunciate da Ges
nel tempio in 11,17.
Si sottolinea inoltre che si tratta di una profanazione senza confronto
nella storia. Secondo E. Corsini, studioso dell'Apocalisse, ma anche del discorso
escatologico, 151 questo evento di profanazione di una gravit inaudita il
rifiuto della messianicit di Ges da parte delle massime autorit religiose
giudaiche, che si verifica in tutta una serie di dispute avvenute nel tempio
durante i primi tre giorni a Gerusalemme (cfr. 11,27-12,12; 11,18), rifiuto che
culmina nella condanna a morte pronunciata dal sommo sacerdote.
Al centro di questa sezione (vv. 21-23) sta la ripetizione degli
avvertimenti dell'inizio del discorso, a proposito dei falsi Messia e falsi profeti.
Segue la predizione dei fenomeni che accompagnano la venuta del Figlio
dell'uomo (vv. 24-27), con citazioni da Isaia, Gioele e Daniele, e la scena
culmina con la raccolta degli eletti, ossia dei salvati. In coerenza con
l'interpretazione del primo segno questo secondo segno deve essere identificato
con la rivelazione messianica di Ges e il compimento del Regno: secondo
Marco questa rivelazione innanzitutto quella che avviene alla sua morte (cfr.
l'oscuramento del sole), con la proclamazione del centurione, che "vede" in
Ges morente il Figlio di Dio (15,39). Il centurione per questo diventa il
prototipo dei pagani che crederanno ed entreranno nella schiera degli eletti.
Marco inserisce qui la parabola del fico con l'indicazione che questi
eventi (entrambi i segni) capiteranno a breve, entro questa generazione, ad
evitare, di nuovo, che si pensi a una fine del mondo lontana.

150

Semmai accenni pi chiari alla distruzione del tempio del 70 si trovano nei paralleli sinottici
(cfr. Mt 24,15; Lc 21,20).
151
Cfr. E. Corsini, Apocalisse prima e dopo, Torino, Sei, 1980, pp.71-81. Il libro stato di recente
rielaborato e ristampato col titolo Apocalisse di Ges Cristo secondo Giovanni.

123
vv. 32-37: L'ultima parte ancora, come la prima, incentrata sugli
avvertimenti ("badate"), soprattutto nel senso di inviti a vigilare e a stare attenti
per saper riconoscere il momento in cui il Signore viene, che pu essere in
qualunque ora, ma soprattutto nelle ore in cui pi facile cedere alla debolezza,
come sono le ore della passione che metteranno alla prova i discepoli.
L'attenzione di nuovo attirata sul futuro, ma quello della storia, non quello
della fine del mondo.
Gli scopi principali di questo discorso sembrano dunque quelli di
smentire certe false attese messianiche condivise dai discepoli; dimostrare che
le profezie di Daniele stanno per compiersi negli eventi prossimi, quelli della
passione, morte e risurrezione di Ges; preparare a cogliere il senso profondo
del racconto di questi eventi.
La predizione della distruzione del tempio posta all'inizio del discorso
deve essere intesa soprattutto in senso spirituale. Nel discorso si allude a una
profanazione che distrugge la sacralit e la funzione cultuale del tempio.
Successivamente, la predizione della distruzione del tempio verr ripresa tra le
accuse, peraltro non valide, mosse a Ges nel sinedrio (14,58), ma ci che
davvero avverr, al momento della morte di Ges, la lacerazione del velo del
tempio (15,38), che rappresenta la fine dell'esclusione di pagani, laici e donne
dal santuario, e quindi l'apertura a tutti del contatto diretto con la divinit. Non
a caso subito dopo, o insieme, c' la confessione di fede del centurione, un
pagano.

124

Indice
1. Perch studiare il Vangelo di Marco?
2. Medologia e piano di lavoro
Nota bibliografica generale

Presentazione

1
1
2
3

I parte: Il Vangelo di Marco nella tradizione antica e moderna

1. Il Vangelo di Marco nell'antichit


1.1. Scarsa fortuna di Marco nell'antichit
1.2. Le testimonianze antiche su Marco
1.2.1. Papia di Gerapoli
1.2.2. Giustino
1.2.3. Il Prologo antimarcionita
1.2.4. Il Canone Muratoriano
1.2.5. Ireneo di Lione
1.2.6. Clemente Alessandrino
1.2.7. Origene
1.2.8. Eusebio di Cesarea
1.2.9. Gerolamo
1.2.10. Agostino
1.2.11. Conclusione sul Vangelo di Marco nell'antichit

3
4
6
6
9
10
10
10
14
16
16
17
17
18

2. Il Vangelo di Marco nella ricerca moderna

19

2.1. Il Vangelo di Marco e il metodo storico-critico


2.1.1. L'Analisi storica e la valutazione moderna delle testimonianze antiche
2.1.1.1. L'identit di Marco
2.1.1.2. Luogo di composizione del Vangelo e destinatari
2.1.1.3. Data di composizione del Vangelo
2.1.1.4. Altri aspetti dell'Analisi storica: problemi storici e linguistici
2.1.1.5. Un esempio di applicazione dell'Analisi storica. la Chiamata di Levi
2.1.2. La Critica delle fonti e la priorit di Marco rispetto agli altri Vangeli
2.1.2.1. Un esempio di applicazione della Critica delle fonti: la Chiamata di Levi
2.1.2.2. Conclusione
2.1.3. La Storia delle forme e i materiali utilizzati da Marco
2.1.3.1. Un esempio di applicazione della Storia delle forme: la Chiamata di Levi
2.1.3.2. La forma o genere letterario del "vangelo"
2.1.4. La Storia della redazione e la scoperta del lavoro compositivo di Marco
2.1.4.1. Un esempio di applicazione della Storia della redazione: la Chiamata di Levi
2.1.5. Un esempio di applicazione del metodo storico-critico: il Battesimo di Ges
2.1.6. La ricerca teologica
2.1.7. Excursus: La geografia e la cronologia di Marco

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49

2.2. Il Vangelo di Marco e le nuove metodologie


2.2.1. Metodi o approcci basati sulla tradizione
2.2.2.Metodi o approcci attraverso le scienze umane
2.2.3. Metodi o approcci contestuali
2.2.3.1. L'esegesi femminista
2.2.4. Metodi di analisi letteraria
2.2.4.1. L'Analisi strutturale
2.2.4.2. L'Analisi retorica
2.2.4.3. L'Analisi narrativa
2.2.4.4. Applicazione dei metodi di analisi letteraria all'episodio della Chiamata di Levi

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59
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70

125
2.2.4.5. Conclusione sui metodi di analisi letteraria

71

2.3. Considerazioni finali sui metodi


2.3.1. Ancora qualche considerazione sul brano di Levi
2.3.2. La struttura complessiva del Vangelo di Marco

71
72
73

II parte: Problemi critici e interpretativi del Vangelo di Marco

77

1. La Critica testuale del Nuovo Testamento


1.1. I testimoni del testo
1.2. Princpi di critica testuale
1.3. Le edizioni critiche recenti del NT
1.4. Caratteritiche formali dell'ed. Nestle-Aland

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78
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85
86

2. Problemi specifici del Vangelo di Marco


2.1. L'inizio del Vangelo: Mc 1,1-3
2.2. La finale del Vangelo: Mc 16,9-20
2.3. Due questioni nell'episodio del lebbroso: Mc 1,40 e 1,41
2.4. La teoria delle parabole: Mc 4,10-12
2.5. "Quelli lungo la strada": Mc4,15
2.6. Il viaggio a Betsaida dei discepoli di Ges: Mc 6,45-8,22
2.7. "E voleva oltrepassarli": Mc 6,48
2.8. "Il discorso escatologico": Mc 13

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Elenco degli Allegati


1.La testimonianza di Papia
2.Il Canone Muratoriano
3 e 4.Ireneo di Lione
5. Testimonianze di Clemente Alessandrino
6. Eusebio di Cesarea e Girolamp
7. Agostino
8. Il frammento 7Q5
9. Sinossi della Chiamata di Levi
9 bis. Sinossi greca della Chiamata di Levi
10. Cartine
11. Il battesimo di Ges (Sinossi)
11 bis. Sinossi greca del battesimo di Ges
12. Esempio di costruzione a sandwich: Mc 11,12-14.20-21
13. Esempio di Analisi retorica: Mc 10,46-52
14. Esempio di Analisi retorica: Mc 10,35-52
15. Schemi di singole sezioni del Vangelo di Marco
16.Schemi del Vangelo di Marco
17. Schema formale e contenutistico
18. Il testo di Mc 1,1-8 nell'ed. Nestle-Aland
19. Testo della finale del Vangelo di Marco nell'ed. Nestle-Aland
20. La finale di Marco in Sinossi
21. La guarigione del lebbroso nella sinossi greca
22. La guarigione del lebbroso nella sinossi italiana
23. La teoria delle parabole: Mc 4,10-12 nella sinossi greca
24. La teoria delle parabole nella sinossi italiana
25. La "vera famiglia di Ges": Mc 3,31-35
26. "Quelli lungo la strada": Mc 4,15

126
27. Gescammina sulle acque: Mc 6,45-52 nella sinossi greca
28. Ges cammina sulle acque nella sinossi italiana
29-32. Discorso escatologico in sinossi

127
Elenco dei passi del Vangelo di Marco da tradurre (per chi sa il greco)
1,1-8: prima parte del prologo
1,40-45: purificazione del lebbroso
2,13-17: Chiamata di Levi e banchetto coi pubblicani
2,31-35: La vera famiglia di Ges
4,1-20: prima parte della sezione sulle parabole
6,45-52: Ges cammina sulle acque
8,27-33: la confessione di Pietro
10,35-52: i figli di Zebedeo e Bartimeo
11,12-25: il fico senza frutti e la cacciata dei mercanti dal tempio
13: il discorso escatologico
14,55-65: il processo nel sinedrio
15,29-41: sotto la croce
16: la tomba vuota e la finale lunga

128

Testimonianze su Marco di Clemente Alessandrino


(inizio del III sec.)

Ipotiposi VI (in Eusebio di Cesarea, Hist.Eccl. VI,14,5-7):


"Negli stessi libri Clemente riporta una testimonianza dei presbiteri antichi
sull'ordine dei Vangeli, che suona cos: diceva che furono scritti prima i Vangeli
che contengono le genealogie (= Matteo e Luca). Quanto al Vangelo di Marco,
avrebbe avuto questa storia. Quando Pietro ebbe annunciato pubblicamente a
Roma la Parola e predicato il Vangelo secondo lo Spirito, i presenti, che erano
molti, invitarono Marco, in quanto lo aveva seguito da tempo e ricordava le
cose dette, di trascrivere le sue parole. Questi lo fece e consegn il Vangelo a
coloro che glielo chiedevano. Quando lo venne a sapere, Pietro non us
esortazioni n per impedirlo n per incitarlo. Quanto poi a Giovanni, che fu
l'ultimo, quando vide che i fatti materiali gi erano stati esposti nei Vangeli,
spinto dai discepoli e pieno di Spirito divino, compose un Vangelo spirituale.
Cos Clemente".

Ipotiposi VI (in Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl. II,15,1-2):


"Rifulse a tal punto il lume della fede nelle menti degli ascoltatori di Pietro
che non bast loro di ascoltarlo una sola volta n di ricevere oralmente
l'insegnamento dell'annuncio divino, ma con inviti di ogni genere supplicarono
Marco, di cui ci tramandato il vangelo e che era seguace di Pietro, di lasciare
loro anche una memoria scritta dell'insegnamento ricevuto verbalmente ed
insistettero finch non lo fece: in questo modo divennero causa della redazione
del Vangelo detto secondo Marco. Dicono che l'apostolo, quando seppe,
attraverso una rivelazione diretta dello Spirito, ci che era avvenuto, si
compiacque dell'ardore di quelle persone e convalid il testo scritto perch
fosse letto nelle chiese. Clemente riporta il racconto nel sesto libro delle
Ipotiposi, e lo conferma anche il vescovo di Gerapoli di nome Papia".

Adumbrationes ad 1 Petr. 5,13 (nella trad.lat. di Cassiodoro):


"Marco, seguace di Pietro, allorch Pietro predicava pubblicamente il Vangelo
a Roma, alla presenza di certi cavalieri di Cesare, e adduceva molte
testimonianze su Cristo, pregato da loro di far s che essi potessero ricordare ci
che veniva detto, scrisse sulla base di quanto Pietro aveva detto il Vangelo
chiamato di Marco".

129
Schemi del Vangelo di Marco:
schema geografico
Prologo: 1,1-15

deserto

I parte

I sezione: 1,16-3,6
II sezione: 3,7-6,6a
III sezione: 6,6b-8,26

Galilea
Galilea
spostamenti intorno
alla Galilea

II parte

IV sezione: 8,27-10,52
V sezione: 11-13
VI sezione: 14-15

viaggio verso Gerusalemme


Gerusalemme
Gerusalemme

Epilogo: 16,1-8

tomba vuota

schema teologico
Prologo ( 1,1-15): la voce celeste durante il battesimo proclama che Ges Figlio
di Dio
I parte (1,16-8,30): le persone si interrogano su chi sia Ges, si meravigliano, non
capiscono (cfr. 1,27: Che mai questo?; 4,41: Chi costui?; 6,3:
Non costui l'artigiano...?; 6,14-16: le varie opinioni su Ges)
i demni lo riconoscono (cfr. 1,24: Io so chi tu sei: il santo di
Dio; 3,11: gli spiriti immondi quando lo vedevano gli si gettavano
ai piedi gridando: Tu sei il Figlio di Dio; 5,7: l'ossesso si rivolge a
Ges chiamandolo Figlio del Dio altissimo), ma Ges ogni
volta li zittisce perch non vuole che manifestino la sua identit
8,29: dopo che i discepoli, in risposta a una domanda precisa di
Ges: Chi dice la gente che io sia?, hanno riportato ancora le
varie opinioni su Ges, Pietro riconosce che Ges il Cristo (il
Messia): la prima rivelazione, da parte umana, dell'identit di
Ges, ma Ges non vuole che sia divulgata, perch non risulta
sufficiente.
II parte (8,31-15,47): Ges incomincia ad annunciare che il Figlio dell'uomo (il Messia)
deve subire la passione, morire e risorgere. Pietro rifiuta questa
prospettiva e viene duramente rimproverato da Ges.
Nella Trasfigurazione la voce celeste ripete che Ges Figlio di Dio
(9,8) e invita i discepoli ad ascoltarlo.
Ges ripete altre due volte le predizioni della passione (9,31; 10,3334), ma ogni volta si scontra con l'incomprensione dei discepoli.
Durante il processo nel Sinedrio, alla domanda provocatoria e
incredula del sommo sacerdote: Tu sei il Cristo, il Figlio del
Benedetto?, Ges risponde. Io lo sono (14, 61-62) e viene
condannato a morte.

130
15,39: Sotto la croce, al momento della morte di Ges, avviene il
primo riconoscimento da parte umana di Ges come Figlio di
Dio. il centurione romano proclama vedendolo morire cos:
Veramente costui era Figlio di Dio).
Epilogo (16,1-8):

il giovinetto nella tomba vuota dice: Cercate Ges il Nazareno, il


crocifisso. E' risorto, non qui.

Schemi di singole sezioni del Vangelo di Marco


La sezione delle dispute in Galilea (2,1-3,6a)
A. Guarigione del paralitico (2,1-12): questione sul perdono dei peccati; reazioni dei presenti
(positive)
B. La chiamata di Levi e il banchetto (2,13-17): questione sul mangiare coi peccatori;
Ges conclude con un duplice detto (sapienziale e cristologico)
C. Controversia sul digiuno (2,18-22): non si digiuna quando si invitati a
nozze; accenno al momento in cui lo sposo sar tolto (passione)
B'. I discepoli colgono e mangiano spighe di sabato (2,23-28): questione del mangiare di
sabato; Ges conclude con un duplice detto (sapienziale e cristologico)
A'. Guarigione dell'uomo dalla mano inaridita (3,1-6a): questione se si possa salvare una vita di
sabato; reazioni dei presenti (negative)

La sezione delle parabole (4,1-34)


A. Introduzione narrativa (vv. 1-2)
B. Parabola del seminatore (vv. 3-9): a tutti
C. Insegnamenti sulle parabole (vv. 11-12): ai discepoli
D. Spiegazione della parabola del seminatore (vv. 14-20): ai
discepoli
C'. Insegnamenti, in forma di detti (vv. 21-25): ai discepoli
B'. Due parabole: il seme che cresce da s, il granello di senapa (vv. 26-32): a tutti
A'. Conclusione narrativa (vv. 33-34)

Il discorso escatologico (cap. 13)


Introduzione (vv. 1-4): Dialogo di Ges coi discepoli
A. Avvertimenti di Ges sul tempo prima della fine (vv. 5-13): Badate (vv. 5 e 9)

131
B. Raccomandazioni relative alla comparsa dell'"abominio della desolazione" (vv. 1420): quando vedrete... (v. 14)
C. Avvertimenti sui falsi Cristi e falsi profeti (vv. 21-23): Badate (v. 23)
B'. L'annuncio della venuta del Figlio dell'uomo (vv. 24-31): quando vedrete... (v. 29)
A'. Avvertimenti per il tempo della vigilanza (vv. 32-37): Badate (v. 33)

132
Schemi del Vangelo di Marco: Schema formale e contenutistico
Prologo
(1,1-15)

1,1: "vangelo"
1,15: "vangelo"

Giov. battezza e annuncia


Ges viene battezzato e annuncia

I parte
(1,16-6,6a)

1,21: sabato, sinagoga, insegnare


6,2: sabato, sinagoga, insegnare

Missione in Galilea

I sezione 1,21-28: sabato, sinagoga, miracolo


(1,16-3,6) 3,1-6: sabato, sinagoga, miracolo

Inizio della missione e dispute

I sottosezione 1,16-20: chiamata di 4 discepoli


(1,16-45)
II sottosezione 2,13-14: chiamata di Levi
(2,1-3,6)
II sezione: barca, lago
(3,7-6,6a)
I sottosezione 3,13-19: elezione dei Dodici
(3,7-4,34)
II sottosezione
(4,35-6,6a)
II parte
(6,6b-10,52)

Inizio della missione


Dispute
Insegnamenti e miracoli
Insegnamenti

I miracoli e la fede

strada, pane

III sezione: 6, 14-16: opinioni su Ges


(6,6b-8,26) 8,27-28: opinioni su Ges

Viaggi fuori dalla Galilea


"Sezione dei pani" e missione
dei Dodici

I sottosezione 6,7-13: invio in missione dei Dodici


(6,6b-56)
6,30-44: 1 moltiplicaz. dei pani
II sottosezione 8,1-9: 2 moltiplicaz. dei pani
(7,1-8,26)
IV sezione: 8,22-26: guarigione di un cieco (a Betsaida)
(8,27-10,52) 10,46-52: guarigione di un cieco (a Gerico)
I sottosezione
(8,27-9,29)
II sottosezione
(9,30-10,52)
III parte
(cc. 11-15)

(Disc. parab.)

settimana, Gerusalemme

V sezione
i primi 3 giorni
(cc. 11-13)
I sottosezione nel tempio
(cc. 11-12)
II sottosezione davanti al tempio
(c. 13)
VI sezione
i secondi 3 giorni (verso la Pasqua)
(cc. 15-16)

La missione ai giudei
La missione ai pagani
Annunci della passione e
difficolt dei discepoli
1 annuncio; trasfigurazione
2 e 3 annuncio e insegnam.
La settimana a Gerusalemme

Dibattiti nel tempio


Discorso sulla fine
La passione

133
I sottosezione
(c. 14)
II sottosezione
(c. 15)
Epilogo
(16,1-8)

Tradimenti e rinnegamenti
Condanna a morte
Confessione del centurione

il giorno dopo il sabato

Un messaggero annuncia la
risurrezione

AVVISO

SONO PRONTE
LE DISPENSE DEL MODULO SPECIALISTICO
DI LETTERATURA CRISTIANA ANTICA
2006-2007
"Problemi critici e interpretativi del Vangelo di Marco"
Si possono trovare
sia presso il personale all'ingresso del Dipartimento,
sia nella Copisteria di fronte a Palazzo Nuovo

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