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Giona, il profeta

convertito da Dio
alla misericordia
Gregorio Battaglia

l libro di Giona appartiene a quella sezione, che va sotto il nome di profeti minori o, ancora meglio, quello dei dodici

profeti ed collocato subito dopo il libro del profeta Abdia. Rispetto agli altri libri, quello di Giona un libro particolare,
perch esso, a differenza degli altri, non contiene nessun oracolo profetico, ma si presenta come un racconto, che vuole
essere esso stesso una profezia.
Per meglio comprendere il senso di questa affermazione, opportuno chiarire sin da principio cosa vogliamo indicare con
il termine profezia. Essa non pu essere compresa come unattivit assimilabile a quella dellindovino o dellastrologo.
Lelemento fondamentale, che caratterizza lesercizio della profezia, dato dallascolto della Parola di Dio. Il profeta
innanzitutto una persona in ascolto della Parola di Dio, in quanto ha imparato a scoprire nella sua vita e negli avvenimenti
della storia questa presenza viva ed operante di Dio.
Attraverso losservazione attenta degli avvenimenti della storia egli accetta di farsi interlocutore di questo Dio, che ha una
parola da dire sulle vicende umane, conducendole verso un porto di salvezza. Il profeta si ritrova a dire una parola o a
compiere delle azioni, che sono il frutto di questa obbedienza a Chi ha preso liniziativa nella sua vita. Egli non parla da
s, ma dice ci che ha ascoltato, avendo ben chiaro che, se venisse meno al suo compito, dovrebbe rispondere del
fallimento del suo popolo davanti a Dio.

1. Il contesto in cui nasce il racconto del profeta Giona

Il libro di Giona consta di soli quattro capitoli ed suddivisibile in due parti, avendo nel mezzo un inno di ringraziamento,
che il profeta innalza a Dio dal ventre del grande pesce. La trama del racconto molto semplice: c un profeta in Israele,
Giona, che viene chiamato da Dio ed inviato a Ninive per annunciare alla citt il giudizio di Dio. La peculiarit del racconto
sta proprio nel fatto che Giona intende sottrarsi in modo risoluto a questo compito scegliendo la fuga, ma alla fine si
ritrova ad esercitare la sua missione, nonostante il suo rifiuto iniziale.
Il narratore della storia di Giona, il profeta, ha disposto gli elementi del racconto in modo tale da far risaltare attraverso un
fine umorismo la modalit dellagire di Dio, che pur rispettando gelosamente la libert delluomo, porta a compimento il
suo progetto. Prima di passare allascolto del testo, vorremmo chiederci, per, cosa possa aver mosso il narratore a
proporci la storia di Giona.
In effetti la storia di Giona va collocata in quel clima di ricostruzione urbanistica, ma anche civile e religiosa, che ha
caratterizzato gli anni del ritorno dallesilio. Israele ha conosciuto lamarezza della sconfitta da parte degli Assiri e dei

Babilonesi, la tragedia della deportazione, ma ha anche sperimentato la tentazione di radicarsi nella nuova realt,
lasciandosi assimilare alla cultura dei dominatori. In modo inaspettato il ritorno nella terra di Israele stato reso possibile
dalleditto di Ciro, che permetteva a tutti i deportati di ritornare alla propria terra.
I libri di Neemia e di Esdra sono testimoni di questo movimento di ritorno e del fervore che animava coloro che erano gi
rientrati in patria. Avevano subito messo mano alla ricostruzione del Tempio, cercando di rimettere in piedi tutto il sistema
religioso, ma allo steso tempo si era fatto strada una concezione integrista di salvaguardare la fede, cadendo facilmente
nel nazionalismo e nel clericalismo. Si assisteva, in tal modo al moltiplicarsi di liturgie penitenziali o alla decisione di non
aver alcun contatto con i popoli vicini, rispedendo alle loro case le donne straniere.
Il racconto di Giona presuppone questo diffuso clima di diffidenza verso tutto ci che non appartiene ad Israele e
laffermarsi di un modo nazionalistico di concepire il rapporto di Alleanza, che Dio ha stretto con il suo popolo. In effetti la
missione, che Dio affida a Giona, mira a spezzare questa chiusura autoreferenziale, che mette in sordina il senso vero
dellelezione di Israele da parte di Dio.
Israele chiamato, s, ad essere il popolo di Dio, ma non per chiudersi nel godimento di un proprio privilegio, ma per
portare con Dio la responsabilit di questo mondo, di questa storia umana chiusa in una spirale di violenza e di morte.
Nella figura di Giona, che oltretutto significa colomba, tutto Israele, in quanto popolo di Dio, che viene chiamato a
vivere la propria esistenza davanti al volto di tutte le nazioni, testimoniando lunicit e la fedelt amorosa del Dio
creatore del mondo e Signore della storia.
Egli viene inviato a Ninive, quella citt, da cui Israele ha ragioni da vendere per tenersi alla larga, perch essa il luogo
dellimpero, la realt capace di esercitare sugli altri un potere oppressivo. Ninive non rappresenta soltanto il mondo dei
pagani, ma designa quella citt o quella nazione o quelle istituzioni che nei vari momenti della storia si ritrovano ad
esercitare un potere, che schiaccia, asserve, annienta qualsiasi forma di libert.
Il narratore della storia di Giona sta, dunque, proponendo un piatto molto indigesto per un credente, che ha conosciuto la
crudelt ed il cinismo delloppressore. Come pu egli accettare la logica di un Dio che mostra di avere a cuore la sorte
degli stessi oppressori? Ma lo stesso finale del racconto ribalta linterrogativo, perch adesso Dio stesso che chiede a
questo credente scandalizzato se delloppressione bisogna incolpare tutto un popolo, quei centoventimila, che non
sanno distinguere tra la mano destra e la sinistra (Gn 4,11).
In questo interrogativo, che di fatto lascia aperto il racconto, si intravvede in filigrana Esodo 34,2-7 ed il modo di come Dio
si rivela a Mos: Il Signore pass davanti a lui, proclamando: il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento
allira e ricco di amore e di fedelt.. Ma si intravvede anche lallargamento di orizzonte operato dal profeta Geremia: A
volte nei riguardi di una nazione io decido di sradicare, di demolire e di distruggere, ma se questa nazione, contro la
quale avevo parlato, si converte dalla sua malvagit, io mi pento del male che avevo pensato di farle(Ger 18,7-8).

2. Lettura del Capitolo I - La grande tentazione del credente: la fuga dalla responsabilit

Il racconto inizia senza un prologo, che permetta allascoltatore di collocarsi in un determinato tempo e spazio. Esso si
apre, invece, con queste parole: E fu la Parola di Dio su Giona, figlio di Amittai. Direbbe Giovanni nel suo Vangelo: In
principio il Verbo, perch liniziativa di Dio ed ogni profeta pu ben testimoniare questa irruzione della Parola, che
realizza ci che dice. Si tratta di una Parola inaspettata e come nel caso di Giona anche una Parola indesiderata, che
scomoda e che mette in movimento, finch non si giunga a quella risposta, che allo stesso tempo assunzione di
responsabilit.

v. 2: Alzati (Kum), Va (lek) a Ninive, la citt la grande e proclama (Ker) su essa che salita la sua malvagit davanti al
mio volto.
La Parola che irrompe su Giona Parola di resurrezione. C una situazione di sonno, di immobilit, di paura e la Parola
sopraggiunge per sconvolgere un mondo di abitudini e di pregiudizi e per risvegliare alla vita. Il profeta risvegliato ed
anche inviato alla citt, quella grande, perch questa citt, che il frutto della capacit degli uomini, ha costruito la sua
grandezza su quella volont di potenza, che si traduce in sbocchi disastrosi per la convivenza umana.
Dio non intende avallare un modo di stare al mondo, che sia fondato sulla prepotenza, che non sa produrre altro che una
storia di dolore e di morte e proprio per questo scomoda coloro che confidano in Lui, perch siano pronti ad affrontare il
mondo, proclamando, gridando che quella grandezza non fa salire a Dio il soave profumo di una vita donata, ma verso
di Lui sale tutto il miasmo della malvagit degli uomini.
Dio preoccupato della sorte degli uomini ed intende coinvolgere coloro che sono legati a Lui con il vincolo dellAlleanza
a non sottrarsi al compito di farsi carico di questa malvagit. Si tratta della stessa malvagit, di cui si parla in Gen. 6,5 a
proposito del diluvio universale e dove detto che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre.

v. 3: E si alz Giona per fuggire a Tarsis lontano dal volto del Signore. Discese a Giaffa.
Giona di fronte alla voce che lo chiama non oppone nessuna resistenza, come, invece, hanno fatti altri personaggi della
Bibbia come Mos o come Geremia. Egli oppone solo un silenzio, che lo porta a maturare la decisione di prendere la
direzione opposta, e cos invece di andare verso oriente, egli sceglie Tarsis, il lontano occidente, una scelta a propria
misura. Giona si alza, ma non per abbracciare la missione ricevuta.
Eppure egli una persona impegnata nellascolto della Parola del Signore, ma concretamente egli vuole dare alla sua
vita un orientamento, che gli permetta di starsene in un angolo senza essere disturbato dal Signore. Il Giona, che sceglie
la direzione opposta, un profeta mancato, semplicemente un uomo in fuga da ogni responsabilit, come Adamo nel
paradiso terrestre.
Il testo ci fa sapere che il cammino di Giona si presenta come una discesa inarrestabile e che cambier direzione solo
alla fine del secondo capitolo. Egli disposto a pagare qualsiasi prezzo, pur di porsi lontano da quello sguardo del
Signore, che lo coinvolgerebbe in una relazione, che egli giudica troppo pericolosa per la sua vita. Salire su una barca,
stare sul mare gli sembrano elementi sufficienti per sottrarsi allo sguardo del suo Dio.

v. 4 Ma il Signore gett un vento (ruah=spirito) grande sul mare e vi fu nel mare una tempesta grande.
Nel suo desiderio di fuga Giona aveva immaginato che il mare, in quanto luogo inospitale, lo poteva mettere al riparo
dallazione di Dio. Ed invece il Signore non si stanca di riprendere liniziativa, perch egli fedele a quella missione
affidata. Egli getta il suo spirito sul mare e tutto viene sconvolto. La tempesta che si forma cos grande che la stessa
nave in pericolo di sfasciarsi da un momento allaltro.
in questo momento che veniamo a sapere che i marinai che formavano lequipaggio della nave erano tutti pagani,
perch, dice il testo, invocarono ciascuno il proprio dio. Essi si comportano come ogni uomo, quando si trova in grave
pericolo ed allo steso tempo si danno da fare gettando in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Un antico
rabbino, Rabbi Eliezer, si premura di precisare che i marinai presenti sulla nave erano in numero di settanta, cifra
simbolica che richiama la totalit dei popoli della terra. Su quella nave sono rappresentati tutti i popoli e Giona in mezzo
a loro.

v. 5: Intanto Giona discese nel luogo pi in basso della nave, si coric e si addorment profondamente.
Tutto il versetto quinto mette in contrasto la frenetica attivit dellequipaggio e linattivit di Giona. un contrasto molto
ironico: il profeta che crede di poter fuggire da Dio dorme, mentre i pagani pregano e lavorano. Proprio colui che stato
chiamato e la cui vita segnata dal dialogo con il suo Dio, adesso che la nave sta per affondare ed il mondo va in malora,
egli di fatto dorme, come del resto, dice s. Girolamo, dormiranno i discepoli nellorto del Getsemani.
A svegliarlo dal sonno si incarica un pagano, il capo dellequipaggio, che rivolgendosi a Giona gli ripete le stesse parole
del Signore: Alzati (Kum) grida (Ker) al tuo Dio. Il profeta che doveva predicare ai pagani adesso interpellato da uno
di loro, che si mostra molto pi assennato di lui.

v. 7: Quindi dissero tra di loro: Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questo male. Tirarono a sorte e la
sorte cadde su Giona.
Sulla nave adesso si discute, perch si vuol sapere cosa o chi sia stato causa di tanto male. Possibilmente lequipaggio
congettura che possa essere colpa di qualche criminale e per questo si ricorre al procedimento molto in voga a quei
tempi e che consiste nel sorteggio. Il sorteggiato Giona, per cui il racconto si concentra su questo contraddittorio tra
Giona e i marinai, che vogliono sapere tutto di lui. Certo strano che la sorte sia caduta su Giona, come se fosse lui il
colpevole, se il mondo va male. Per anche vero che Giona il profeta, che doveva proclamare le parole di Dio, ma ha
tradito la sua vocazione!

v. 8: Gli domandarono: qual il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual il tuo paese? A quale popolo appartieni?
Di fronte a questo piccolo microcosmo, che lo sta pressando di domande, che riguardano la sua identit, Giona si
dispone alla testimonianza. Egli, che finora non aveva proferito nessuna parola, adesso pronto a rispondere e a dare
ragione della propria fede di fronte ad un mondo che disposto ad accoglierlo ed a ricevere la sua testimonianza.

v. 9: Egli rispose: Ebreo io e temo YHWH, Signore del cielo e che ha fatto il mare e lasciutto.
Alle attente domande dei marinai, Giona risponde riprendendo un termine, che troviamo in bocca ad Abramo e che si
ritrova in Esodo per indicare la massa di schiavi che si avvia ad attraversare il mare. Nel dirsi ebreo Giona sente di
dover rappresentare tutto il popolo di Israele e la sua fede nel Dio unico, che ha fatto il cielo e la terra. Egli confessa di
temere Dio, chiamandolo con il nome impronunciabile del tetragramma YHWH.
Ma in questa sua testimonianza c qualcosa che stride. Giona non sta guardando il proprio tradimento, ma ci tiene a
sottolineare la distanza che esiste tra lui, ebreo che conosce il vero Dio, il Dio che ha fatto il cielo e la terra e questa
massa di umanit perduta dietro ai vari idoli.

v.10: Quegli uomini temettero grandemente e gli domandarono: Che cosa hai fatto? Infatti erano venuti a sapere che egli
fuggiva lontano dal Signore, perch lo aveva loro raccontato.
La domanda che i marinai rivolgono a Giona sul cosa abbia fatto, ma soprattutto sul perch labbia fatto strettamente
legata a questo timore grande, che non pi la paura di fronte agli elementi naturali, ma deriva dal sentirsi posti di
fronte al Dio professato da Giona. Cos essi lo mettono di fronte alla sua responsabilit, chiedendogli di non fuggire pi,
ma di avere il coraggio di guardarsi dentro, di interrogarsi e di lasciare emergere la verit delle proprie azioni.

Cos Giona pressato da questa umanit, che totalmente alla deriva, sembra rendersi conto che il suo comportamento
abbia provocato una tempesta che si sta tramutando in naufragio. Alla domanda dei marinai che gli chiedono: Che cosa
dobbiamo fare?, Giona non ha dubbi e risponde loro di gettarlo in mare. una risposta paradossale, ma che esprime
benissimo il grado di chiarezza raggiunto da Giona.
Egli vuole adesso prendere sul serio quella Parola, che gli stata rivolta, ma chiede ai marinai di compiere loro il gesto di
gettarlo, perch se dovesse dipendere da lui non sarebbe capace di prendere liniziativa! I marinai sentono moltissimo il
peso di un gesto cos drammatico, per cui si danno da fare per raggiungere la spiaggia, ma pi loro moltiplicano gli sforzi
e pi il mare si ingrossa, per cui alla fine sono costretti loro malgrado ad accettare la soluzione proposta da Giona.

v. 14: Allora implorarono (Ker) YHWH e dissero: YHWH fa che noi non periamo.
Ci che suscita una certa meraviglia il fatto che adesso questo piccolo mondo presente sulla nave si rivolge allunisono
al Dio professato da Giona invocandolo con il nome impronunciabile e si tratta sempre di pagani! Essi chiedono a Dio che
non ricada su di loro il sangue innocente, perch essi vogliono fare non la propria, ma la sua volont. E cos essi
prendono Giona e lo gettano nel mare ed il mare si calma.

v. 16: Quegli uomini temettero con timore grande YHWH, offrirono sacrifici a YHWH e gli fecero promesse.
La conclusione del versetto ci dice chiaramente che nel momento in cui Giona ha preso sul serio la Parola che gli era
stata rivolta, le distanze tra popolo di Dio e mondo dei pagani vengono superate. Pur rispettando fino in fondo la libert di
Giona, Dio ha saputo volgere anche il suo rifiuto in occasione di evangelizzazione. Il profeta Giona, accettando di essere
gettato in mare, scopre di non aver nulla da dover difendere, nemmeno la propria vita, perch chi confida nel Signore,
non rester confuso (Sir 32,24)

(Da: 'I mercoled della Bibbia')

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