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LA CRISI, REALT DELLA VITA

Giovanni Cucci S.I.


Cosa significa crisi?
La crisi qualcosa con cui ogni essere umano chiamato a fare i conti nel corso della sua
esistenza. Ma che cosa significa propriamente? Quando la si analizza, essa rivela uno spettro di
significati e di ambiti estremamente complesso. In questa sede, il termine crisi viene affrontato
secondo tre significati principali: 1) come et di mezzo, in cui vengono meno alcuni sostegni della
vita finora vissuta e si fanno sempre pi sentire i propri limiti; 2) come aridit nella vita spirituale;
3) come confronto con la morte, una realt anch'essa sempre pi presente e invasiva con il
trascorrere del tempo.
Il percorso di ogni uomo entra prima o poi nel mezzo del cammin di nostra vita, inteso come
situazione di mediocrit, in cui si perde l'entusiasmo iniziale e alcune realt a noi care vanno in
crisi; e cos, dopo anni di formazione e di scelte definitive compiute, ci si trova con sorpresa stanchi e
sfiduciati.
Anche le epoche storiche conoscono crisi e decadenze; ci sono Ordini religiosi che presentano
vuoti generazionali, mancando quasi tutti coloro che avevano dai 25 ai 40 anni al tempo della
contestazione giovanile (il famoso '68).
Questo periodo di difficolt, di smarrimento, sembra comunque costituire la modalit stessa del
cammino della vita spirituale. Indipendentemente dalla scelta intrapresa, sembra un dato di fatto
che, giunti a un certo punto, inaspettatamente ci si senta persi, non si capisca pi nulla, si abbia
come la sensazione di trovarsi smarriti, senza pi forze, energie, motivazioni. E in questo marasma,
o forse proprio per questo, il Signore sembra assente, come se fosse partito per le vacanze, e le
giornate, le attivit, la preghiera, tutta la vita finora vissuta diventano inaspettatamente vuote, spente,
senza senso; qualche volta si inserisce l'abbandono della vocazione, il divorzio spirituale, con o senza
quello civile. il momento in cui si pu perfino abbandonare la scelta fatta, un gesto che in taluni
casi sembra essere un vero fulmine a ciel sereno per confratelli o familiari, che mai si sarebbero
aspettati una tale svolta.
Questa tappa di crisi coinvolge uomini e donne di tutte le appartenenze, religiosi, religiose, sposati/e,
celibi, e ha ripercussioni nell'ambito professionale, apostolico, relazionale, incrinando scelte di vita
intraprese da anni e che si credevano ormai sicure e al riparo da pericoli. La crisi pu essere
rappresentata come la venuta del Figlio dell'uomo, che giunge nel momento in cui meno lo si
aspetta, forse proprio quando si grida ai quattro venti: C' pace e sicurezza! (1 Ts 5,3).
Alcune battute d'arresto, in particolare nel contesto della vita sacerdotale e religiosa, coincidono
con l'esplosione di un'affettivit finora negata o repressa, che reclama giustamente la sua parte; come
se la persona si trovasse di fronte a un crocevia: o rinnovare radicalmente la maniera di vivere il
proprio ministero, lasciando emergere nuove energie e tensioni, con lo smarrimento che questo pu
comportare soprattutto a livello di immagine di s e di ideale vocazionale, oppure abbandonare il
ministero.
Tali problematiche erano state riconosciute con chiarezza da Papa Paolo VI nell'enciclica
Sacerdotalis caelibatus: Le difficolt e i problemi che rendono ad alcuni penosa, o addirittura
impossibile, l'osservanza del celibato derivano non di rado da una formazione sacerdotale che,
per i profondi mutamenti di questi ultimi tempi, non pi del tutto adeguata a formare una
personalit degna di un uomo di Dio (1 Tm 6,11) Una vita cos totalmente e delicatamente impegnata nell'intimo e all'esterno, come quella del sacerdote celibe, esclude, infatti,
soggetti di insufficiente equilibrio psicofisico e morale, n si deve pretendere che la grazia
supplisca in ci la natura.
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Queste parole venivano scritte nei mesi che precedevano immediatamente l'epoca della
contestazione a livello ecclesiale, politico, culturale, spirituale. Eppure sarebbe banale
restringere questa diagnosi alla pura fascia temporale dell'epoca in cui tali parole vennero scritte.
Non infatti soltanto a motivo del '68 che si costretti a interrogarsi su questa crisi di ruolo e
di identit: le testimonianze a questo proposito sembrano invece estremamente variegate e
comprendono le pi austere forme di vita religiosa.
Ben prima della contestazione ecclesiale e societaria che ha caratterizzato il post-concilio,
ecco quanto scriveva nel 1957 ai suoi confratelli il successore di Charles de Foucauld, Ren
Voillaume. In una lettera ai Piccoli Fratelli, egli introduce il termine di seconda chiamata per
caratterizzare questa fase della vita: Con il tempo e con la grazia di Dio, a poco a poco,
insensibilmente, tutto cambia. L'entusiasmo umano lascia il posto a una specie di insensibilit
per le realt soprannaturali, il Signore ci sembra via via pi lontano e in certi giorni una certa
stanchezza ci prende e siamo pi facilmente tentati ad accettare di pregare meno o di farlo in
modo meccanico. La castit ci presenta delle difficolt che non avevamo considerate: alcune
tentazioni sono nuove; sentiamo in noi come una pesantezza e cerchiamo pi facilmente
delle soddisfazioni sensibili L'apertura ci sembra meno necessaria, la carit pi
difficile In una parola, entriamo progressivamente in una fase nuova della nostra vita, scoprendo, a
nostre spese, che le esigenze della vita religiosa sono impossibili.
Una crisi riconosciuta dunque da pi parti, e a cui ciascuno cerca di reagire come pu,
tentando di mettere in salvo ci che ha di pi caro: qualcuno ci riesce, qualcun altro no. Che
questa et problematica attraversi anche la relazione con Dio era ben riconosciuto dai grandi
mistici. Scriveva per esempio Taulero, un domenicano vissuto nel XIV secolo: Qualunque
cosa faccia l'uomo, la prenda come vuole, non arriver mai alla vera pace, n diventer mai
un uomo essenziale, celeste, prima di essere giunto ai suoi quarant'anni. Prima di quel
termine molte cose tormentano l'uomo, la natura lo spinge ora di qua ora di l, ed in molti
modi che la natura spesso regna l dove si crede che vi sia solamente Dio; e cos l'uomo non
potr giungere alla vera e perfetta pace n diventare completamente celeste prima del tempo. Poi
l'uomo dovr aspettare ancora dieci anni prima che gli sia dato in verit lo Spirito Santo, il
Consolatore, lo Spirito che insegna tutte le cose.
Nella vita dell'uomo di ogni tempo si giunge dunque a una soglia critica cui nessuno pu
sottrarsi, mettendo radicalmente in discussione e forse anche distruggendo tutto ci che finora
si era realizzato nei diversi ambiti della propria esistenza.
Aspetti psicologici
Dal punto di vista psicologico, la crisi dell'et di mezzo rivendica un ritorno verso di s,
una presa di coscienza delle proprie fragilit di fondo, talvolta negate, o rimosse, o trasferite
su altre cose, come il successo, l'attivit, la professione, le scelte apostoliche, intellettuali, affettive.
Questo momento di arresto di per s positivo, un invito a fare verit e a recuperare
elementi finora disattesi della storia e del proprio essere; non per nulla la personalit di tipo
grandioso, indicata in psicologia con il termine narcisista, ha pi possibilit di trarre
beneficio da un lavoro di accompagnamento e conoscenza di s dopo i 40 anni di et, quando
l'imponenza solenne dei propri idoli, come nella visione di Daniele (cfr Dn 2,31-45),
comincia a sgretolarsi e a segnare il passo: Nella crisi della mezza et non si tratta solamente
di un nuovo adattamento della persona alle mutate condizioni fisiche e psichiche; non si tratta
neppure di trovare una soluzione al venir meno delle forze corporali e di mettere ordine a
nuovi desideri e nostalgie che spesso irrompono in questa svolta della vita. Si tratta piuttosto
di una pi profonda crisi esistenziale, in cui viene posta la domanda sul senso globale del
proprio essere: "Perch lavoro tanto? Perch rischio l'esaurimento senza trovare tempo per me?"
[...]. La mezza et per sua natura una crisi di senso e quindi anche una crisi religiosa. E nello
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stesso tempo racchiude in s la possibilit di trovare un nuovo significato per la propria vita.
E come se ci si dovesse per la prima volta confrontare seriamente con la morte, si ha la
sensazione di essere giunti a un punto di non ritorno a livello fisico, biologico, psichico: le
forze vengono meno, l'aspetto fisico cambia inesorabilmente, si incrementano le cure, una
non pi possibile avere figli, si impongono rinunce, e ci si chiede seriamente che
cosa rimanga alla fine di tutto ci.
Taulero, con la caratteristica profondit propria del mistico, rileva tre tentativi facili per far
fronte alla crisi.
1) Si cerca di cambiare il mondo introducendo riforme radicali di vario genere, anche
maggiormente austere e aderenti alla lettera dello stato di vita scelto, ma esse costituiscono in
realt una maniera per evitare il confronto e per non dover lavorare su se stessi.
2) Si fanno continui cambiamenti esteriori, fino ad abbandonare una scelta di vita
intrapresa da molti anni, il matrimonio o la consacrazione; si cerca, di fronte al vuoto
esistenziale e alla crisi di identit, di rifarsi una vita.
In realt, questi tentativi non toccano il motivo di tale irrequietezza e lasciano irrisolte le
problematiche di fondo. Le ricerche svolte in merito ai matrimoni di ex-sacerdoti e
religiosi/e indicano che la fragilit e il disagio interiore si perpetuano anche nella nuova
situazione: la percentuale delle separazioni in questi casi quasi doppia rispetto alla media. Se
le difficolt emerse sono di tipo strutturale, non sar sufficiente cambiare contesto o persona,
perch il matrimonio non pu essere concepito, o sognato, come una specie di farmaco
capace di colmare vuoti affettivi o risolvere crisi di identit o/e di ministero.
Questa situazione di disagio non risolta ben illustrata da un detto dei padri del
deserto, l dove un monaco, non sopportando pi di vivere nella propria cella, decide di
andarsene e, mentre raduna le sue cose, vede un'ombra accanto a s che sta facendo lo stesso.
Incuriosito, chiede chi sia: Io sono la tua ombra e, se tu te ne vai, mi preparo a partire
anch'io. Non si pu fuggire dalla propria ombra, come osserva sempre Taulero: Quando
sono inquieti dentro, si mettono subito in viaggio per un altro paese, per un'altra citt; se non
possono muoversi, cominciano almeno una nuova forma di vita, certo di nuovo solo
esteriormente. Ora vuol diventare un povero mendicante, ora vivere in un eremo, poi
ancora in un monastero Questa situazione di disagio ha spinto alcuni verso Aquisgrana,
altri a Roma, fra i poveri o in qualche romitorio. E quanto pi corrono fuori, tanto meno
trovano. E parecchi cadono nuovamente nelle immagini della loro mente e giocano con
esse, perch non vogliono sopportare questo genere di angustia e cos finiscono
totalmente a terra.
3) Non meno stressante l'atteggiamento di fondo di chi continua a svolgere il ruolo
impegnativo a denti stretti. In questo caso si preferisce rimanere nella legalit, irrigidendo le
pratiche religiose, che vengono osservate per lo pi esternamente, illudendosi che cos la crisi
non potr sfiorare e sconvolgere la persona; alla fine, per, di nuovo ci si trova vuoti
interiormente. Per andare avanti, diventa sempre pi urgente buttarsi a capofitto per risolvere tutti i
problemi possibili, svolgendo sempre pi attivit con le motivazioni prevalenti di evitare
rimproveri o fallimenti e di essere ben accolti, conseguendo il maggior numero di successi. Nasce
da qui una visione di competizione, di corsa a chi pi bravo, provando invidia per chi riesce ad
affrontare pi felicemente le cose. Emergono cos dinamiche tendenti al successo, alla rivalit, al
confronto. Alla fine l'acidit e l'insoddisfazione rischiano di diventare l'umore di fondo della vita
intera.
La caratteristica di questa visione di aver smarrito il senso della gratuit della chiamata: il
Signore ha cessato di essere il padrone della vigna, diventato un collaboratore, al massimo
il vicepresidente. Per questo bene che la crisi esploda e mandi in frantumi il proprio
orgoglio possessivo.
Il cardinale Danneels, per molti anni arcivescovo di Bruxelles, durante uno scambio con
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alcuni responsabili delle comunit dell'Arca, diceva: Quando torno a casa dopo una lunga giornata
di lavoro, vado in cappella e prego. Dico al Signore: "Ecco, per oggi finita. Adesso,
siamo seri, questa diocesi tua o mia?". Il Signore dice: "Tu cosa ne pensi?". E io rispondo:
"Penso che sia tua". " vero dice il Signore , mia". E allora dico: "Allora; Signore, tocca a te
prendere la responsabilit della diocesi e dirigerla. Adesso io vado a dormire". Poi aggiungeva:
Questo principio valido tanto per i genitori quanto per il responsabile di una diocesi o di
una comunit. Dobbiamo sempre ricordarci delle parole di Ges a Pietro: "Pasci il mio
gregge". S, la comunit essenzialmente il gregge di Ges. Noi non siamo che i suoi
strumenti.
In una visione volontaristica, invece, la vita soprattutto opera dei nostri sforzi; le
fragilit non possono trovare spazio; ma in questo modo non si notano pi nemmeno le
ricchezze e i differenti doni che costituiscono l'unicit preziosa di ciascuno.
Anche le relazioni presentano una forte connotazione utilitaristica: si scelgono collaboratori
bravi, capaci, ma insieme docili, che approvino sempre ci che si fa. Si possono trovare
facilmente esempi di questo modo di procedere: quante persone sono capaci di dare il
meglio di s al di fuori del proprio ambiente, quando hanno un incarico di responsabilit e si
sentono importanti in mezzo agli altri. Quando per ritornano nelle proprie case, in famiglia, nella
propria comunit religiosa, rivelano il lato peggiore di s (pigrizia, lamentele, svogliatezza),
perch non hanno nessun ruolo importante da difendere. Svolgono indubbiamente un lavoro
duro e faticoso, ma soprattutto per gratificare i propri bisogni, anche se dichiarano di voler unicamente servire il Signore. Questa spaccatura interiore ed esteriore trova una dolorosa conferma
quando giunge il momento fatidico in cui sarebbe pi opportuno farsi da parte e lasciare l'incarico
ad altri, oppure pi semplicemente riconoscere di che cosa l'altro ha davvero bisogno. E,
soprattutto, si incapaci di ascolto. Quando esplode la crisi, tutte queste scappatoie si
sgretolano e richiedono una svolta, un salto di qualit circa le proprie motivazioni, oppure
l'abbandono, il tirare i remi in barca, di cui si parlava sopra, perch la situazione
diventata insostenibile; in ogni caso non si pu pi continuare come prima.
Una crisi che trasfigura: alcune figure significative
Sembra che l'et dei 40 anni costituisca simbolicamente uno spartiacque fondamentale e
doloroso, che non risparmia nessuno, anche nel rapporto con Dio: eremiti, mistici, uomini di
grande spiritualit, fondatori di comunit, tutti sono chiamati a fare i conti con l'esperienza del
deserto, inteso come aridit totale, germe di morte che invade il proprio essere. Come osserva in
proposito Carlo Carretto: Preghiera, rapporti umani, attivit, apostolato: tutto inquinato.
l'ora della resa dei conti; e questi sono molto magri Normalmente ci capita sui
quarant'anni: grande data liturgica della vita, data biblica, data del demonio meridiano, data
della seconda giovinezza, data seria dell'uomo la data in cui Dio ha deciso di mettere con
le spalle al muro l'uomo che gli sfuggito fino ad ora dietro la cortina fumogena del "mezzo s e
mezzo no" [...]. L'uomo scopre ci che : una povera cosa, un essere fragile, debole, un insieme
d'orgoglio e di meschinit, un incostante, un pigro, un illogico9. E la Bibbia che cosa dice della
crisi? Molti personaggi sono accuratamente descritti proprio nei loro momenti di massima
difficolt, sofferenza, quando appaiono gravati da problemi pi grandi di loro. Queste prove non
vengono lette come occasionali incidenti di percorso, ma come un momento di purificazione
necessaria e un invito a rinunciare ai criteri finora usati per fare un'esperienza intima di Dio,
lasciandosi educare da Lui e adempiere in questo modo anche alla missione ricevuta. La
Scrittura ricorda che occorre sempre un lungo e tortuoso cammino. Qualcuno ha osservato
che la vita spirituale ha una configurazione simile a quella del fiume Giordano, che impiega quasi
300 km per percorrerne 100, un percorso costellato da ampie digressioni a destra e a sinistra:
talvolta esso scompare dalla vista, poi riappare da sottoterra per giungere finalmente alla meta.
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Questa immagine pu trovare conferma nella vita spirituale di molti personaggi: possiamo a
questo proposito ricordare l'esempio di Giuseppe, Mos, Paolo e Ignazio di Loyola.
I sogni di Giuseppe
Tutta la vita di Giuseppe pu essere riassunta come una lenta comprensione e
purificazione dei suoi sogni (cfr Gen 37,5-11): egli deve passare da una fase di ingenua
illusione di credersi il centro del mondo, dove tutto bello, attraente e a portata di mano, al
crogiuolo della prova che sagger la verit dei suoi sogni, ma anche li maturer e ne render
possibile la realizzazione.
La prova coglie Giuseppe impreparato: come se il velo della sua fiducia spontanea e
ingenua cadesse di colpo dai suoi occhi e gli rivelasse un mondo inedito, a cominciare dalla
sua famiglia, un mondo fatto di cattiverie, meschinit, gelosie, invidie, violenze (cfr Gen 37,1236). Giuseppe scopre a sue spese che la fedelt e la lealt sembrano non avere alcuna importanza,
come nell'episodio di Potifar (cfr Gen 39), e che l'aiuto offerto a un compagno di sventura
viene subito dimenticato. E cos egli si trova ingiustamente incarcerato e dimenticato da tutti
(cfr Gen 40).
Giuseppe compie un faticoso cammino di maturazione, un percorso lungo e doloroso di 15
anni per capire la verit dei suoi sogni, e dunque anche la verit di se stesso, se vero che il
sogno esprime in modo cifrato la profondit e il mistero della persona.
Mos guida del popolo
Mos inizia la sua grande crisi proprio a 40 anni (cfr At 7,23): vede attorno a s ingiustizia
e malvagit, e si illude di intervenire facilmente in questa situazione; vorrebbe assumere la
guida del suo popolo e liberarlo dal paese d'Egitto. Con le sue credenziali di uomo nobile,
istruito e capace, spera di essere immediatamente acclamato dai suoi come capo indiscusso e
liberatore di Israele. E invece, suo malgrado, fallisce miseramente su tutti i fronti e deve
lasciare ogni cosa, fuggire, vivere nell'ombra, dimenticato da tutti per altri 40 anni. Il primo
Mos presenta le caratteristiche dell'idealizzazione e dell'entusiasmo tipiche
dell'adolescente (anche a 40 anni si pu essere adolescenti!). I suoi desideri sono belli, eccelsi; egli generoso e disposto a buttarsi con facilit nell'impresa, ma vorrebbe realizzare
tutto questo senza sforzo, senza cio fare i conti con i limiti, suoi e del suo popolo, con le
difficolt, con la mediocrit e con i fallimenti.
Mos ha avuto una preparazione raffinata, ma non ha imparato a leggere nei cuori e a
dominare se stesso. Ci vorranno 40 anni di scuola, fatta di silenzio, di prove, di umiliazioni, di
sofferenze, per giungere alla maturit spirituale, proprio quando ha dimenticato tutto il suo
mondo giovanile. Anche per lui i sogni si avverano, ma nella maniera pi impensata,
attraverso la fragilit, l'impotenza della parola, la pazienza e la rinuncia a se stesso.
L'ardore di Paolo
Paolo, negli Atti degli Apostoli, rappresenta la figura del chiamato che con entusiasmo si
butta nella nuova missione. Comincia a predicare con ardore che Ges il Signore, ma ben
presto si presenta anche per lui il momento della crisi: la comunit lo rispedisce cortesemente a
casa sua, a Tarso (cfr At 9,31), dove rester per dieci anni. In questa quotidianit ordinaria
Paolo far il suo noviziato, una cosa del tutto inattesa per lui, profondamente istruito nelle
Scritture, formato alla scuola di Gamaliele (cfr At 22,3). Egli forse sarebbe rimasto per sempre a
Tarso, se Barnaba a un certo punto non fosse andato a riprenderlo.
Anche per Paolo la crisi lunga e articolata: un periodo di 14 anni, come ricorda egli
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stesso (cfr Gal 2,1); e alla fine potr rileggere il suo incontro misterioso con il Signore dal fondo
della prigione, come Giuseppe. Le sue lettere della prigionia rivelano infatti un Paolo molto
diverso dallo zelo infiammato e granitico delle origini del suo ministero: diventato pi
fragile, ma anche pi paziente, pi tenero e disposto a riconciliarsi con discepoli con cui aveva
precedentemente rotto i rapporti, come ad esempio Marco (cfr At 15,37-40 e 2 Tm 4,11). Le
prove, le sofferenze lo hanno indebolito, ma anche addolcito.
Ignazio e il suo cammino di purificazione
Ignazio di Loyola impiega quindici anni, dal 1521 al 1536-37, per capire esattamente ci che il
Signore vuole da lui, e alla fine si arrende agli imprevisti di Dio, riconoscendo a malincuore che
Gerusalemme, pur desiderata ardentemente, non la meta della chiamata del Signore.
Dopo aver cambiato vita, pensa che sia abbastanza facile e semplice diventare santo, e subito si
impegna con tutte le forze per diventarlo; non ha paura di sofferenze, digiuni, mortificazioni.
Eppure presto dovr accorgersi che i nemici da affrontare sono di altro genere: essi lo spiazzano e
lo logorano fin quasi a spezzarlo.
Soltanto dopo tali prove egli sapr che il servizio di Dio era cosa molto diversa da come lo
immaginava. Riflettendo sulla sua nuova vita da convertito, Ignazio sembra notare con un
certo stupore che, finch viveva da peccatore, la sua vita era tranquilla e stabilmente serena (cfr
Autobiografia, n. 20); da quando invece ha deciso di riformare il proprio modo di vivere e servire il
Signore, sono cominciati guai e problemi di ogni genere. Egli sperimenta un periodo di grande
crisi, che lo porta sull'orlo della disperazione e del suicidio.
Alla fine riconosce che Dio a liberarlo da queste prove, per Sua pura grazia, senza alcun
merito suo, n delle persone a cui aveva chiesto aiuto: Piacque al Signore che egli si svegliasse
come da un sogno. A partire da quel giorno egli rimase libero da quegli scrupoli, convinto che
era stato nostro Signore a liberarlo per sua misericordia.
Le prove vissute da Giuseppe, Mos, Paolo, Ignazio e da altri personaggi sembrano confermare di
nuovo che questo periodo della vita costituisce, dal punto di vista spirituale, una scuola di conoscenza
del Signore, un momento di purificazione prezioso, a cui ci si deve preparare consapevolmente: il
cammino di liberazione, come per l'ingresso nella Terra promessa, passa per il deserto.
La crisi come possibilit di cambiamento
Crisi una parola che viene dal greco (krinein) e significa letteralmente separazione,
giudizio, valutazione su ci che si e sul fondamento della vita. Questo giudizio viene a
rendere palese ci che era nascosto, toglie eventuali coperture, maschere, e mostra ci che
era sottostante. In questo senso si pu dire che dopotutto si invecchia nel modo in cui si
vissuti; per questo a partire dai 40 anni si accentuano alcuni elementi della personalit che
prima erano pi nascosti, tenuti a bada da altre cose". La crisi mostra la verit di se stessi:
Molti studiosi dell'invecchiamento concordano che la parte principale della nostra
personalit tende a restare piuttosto costante nella vita, concludendo che, da vecchi, siamo le
stesse persone di sempre, solo che lo siamo un po' di pi [...]: la persona gretta diventer ancora
pi gretta, il timoroso diventer ancora pi timoroso, e l'apatico potrebbe scivolare in una sorta
di paralisi.
Ma, sebbene il nostro presente venga modellato dal nostro passato, cambiamenti di
personalit sono possibili persino a settanta, ottanta e novant'anni Lo sviluppo
normale non ha fine, e nel corso della vita nuovi compiti importanti, o crisi, nasceranno.
Nella vecchiaia possiamo cambiare, perch ogni stadio della vita, anche l'ultimo, permette
nuove possibilit di cambiamento.
Se vero che si invecchia come si vissuti, il trascorrere del tempo avrebbe il compito di
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saggiare e demolire le varie coperte di Linus con cui ci siamo dati un'illusione di grandezza.
un insegnamento sconcertante, ma che spesso si rivela come il cuore del problema e delle
diversit degli esiti possibili, come nota C. Monnier: Non sprecate le crisi! Ben gestite, esse
sono dei doni del cielo. La crisi disordine, movimento, fluidit, rottura, e proprio per
questo pu sciogliere ci che era legato, liberare ci che era imprigionato. Quando insorge una
crisi, spesso gli interessati, invece di cercare di trarne vantaggio, si danno da fare per chiudere
le falle che si sono aperte, per riparare ci che non pu essere riparato, per riformare la
superficie e non il fondo. Il loro combattimento di retroguardia fa affondare il battello che
vorrebbero salvare. E una volta che la crisi passata, ecco che le persone, che nel momento
dell'anarchia e della rottura erano pronte a cambiamenti inauditi, non solo non ne accettano
pi alcuno, ma difendono con le unghie o a colpi di cannone ogni millimetro di terreno, ogni
privilegio. Che dite? Che la crisi vi prende di mira ingiustamente? Vi scongiuro, fate attenzione
alla crisi, non sprecatela. Essa il vostro tesoro, la vostra possibilit, l'avvenire del mondo".
Un avvertimento simile giunge da Christiane Singer, la quale, in un libro provocatorio e
autobiografico, parla del buon uso della crisi, in termini di un segnale da leggere per poter
passare a una nuova fase della vita: Nel corso della vita ho raggiunto la certezza che le
catastrofi servono a evitarci il peggio. E il peggio, come potrei spiegare che cos' il peggio? Il
peggio proprio aver trascorso la vita senza naufragi, essere rimasti alla superficie delle cose
dei "si dice", delle apparenze, non essere mai stato scaraventato in un'altra dimensione. Le crisi,
nella societ in cui viviamo, sono davvero ci che ancora si trovato di meglio, in mancanza di
un maestro, quando non ce n' a portata di mano, per entrare nell'altra dimensione.
Sia Monnier sia la Singer suggeriscono che sono proprio le resistenze al cambiamento
richiesto a vari livelli dalla nostra vita a costituire il cuore del problema, la causa principale
della sofferenza e della sensazione di totale inutilit. La crisi pu quindi diventare una
ricchezza inattesa nel momento in cui ci si arrende ad accoglierla, accettando di lasciare
l'aspetto efficiente, ma forse anche pi superficiale della vita, per entrare in un'altra
dimensione, per riprendere le parole di Ch. Singer, in cui emerge ci che davvero conta.

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