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Il filosofo scozzese David Hume si colloca sul filone dell'empirismo

inglese e la sua filosofia finisce per avere un esito scettico. La prima


grande distinzione che egli effettua nell'ambito delle percezioni tra
impressioni ed idee; se Locke definiva idea qualsiasi contenuto della
mente, Hume preferisce distinguere le impressioni dalle idee,
risolvendo il tutto in una questione di vivacit . Nel momento in cui
vedo il libro, ossia mentre ce l'ho davanti agli occhi, ne ho una
percezione vivissima, che Hume chiama impressione; quando poi mi
allontano dal libro e non ne ho pi percezione attuale, tuttavia in
qualche modo lo percepisco, in maniera depotenziata e pi debole
rispetto a quando ce l'avevo davanti agli occhi: ho l' idea del libro, non
pi l'impressione. In altre parole, si ha impressione quando si
percepisce attualmente, quando cio si ha una percezione
vivacissima; si ha invece l'idea quando si ha un ricordo, una
percezione sbiadita, non pi vivacissima. Tuttavia il processo non per
il filosofo scozzese risolvibile solo in una questione di presenza
dell'oggetto di cui si hanno percezioni; e per questo egli invita a
provare ad analizzare ci che si sta percependo: non si pu dire con
certezza di avere il libro davanti agli occhi e quindi l'impressione e poi,
quando esso non c' pi, solo l'idea; si potr con certezza affermare
che in quel dato momento si ha percezione vivace (impressione) di un
qualcosa, poi, quando si affievolita, pur essendo lo stesso il
contenuto, l'ho ancora, ma meno vivace, pi sbiadito: cio un'idea.
Ridurre il tutto ad una pura e semplice questione di presenza (c' il
libro, ho impressione; non c', ho idea) gi interpretare gli stessi
concetti di idea e di impressione, dovuto al fatto che quando ho
impressione la vivacit si accompagna psicologicamente alla
convinzione dell'esistenza attuale della cosa (nel nostro caso il libro).
Bisogna per chiarire che cosa significa che una cosa esiste e a
proposito Hume introduce un discorso che avr la sua influenza sullo
stesso Kant: il pensatore scozzese non accetta la definizione di
esistenza data nel Medioevo da Anselmo da Aosta, a parere del quale
l'esistenza era caratteristica del concetto. Per Hume, al
contrario, l'esistenza non fa parte del contenuto del concetto , solo
una maggiore o minore vivacit con cui la percezione si presenta.
L'ippogrifo non esiste e , secondo Hume, non per questo un ipotetico
ippogrifo esistente avrebbe contenuto diverso: il concetto di ippogrifo
completo sia che l'ippogrifo esista sia che non esista. E d'altronde se
all'improvviso si estinguessero le giraffe, non per questo cambierebbe
il concetto di giraffa. Ecco allora che l'esistenza caratterizzata dalla
vivacit con cui l'impressione si presenta: se immaginassimo di
nascere adesso e di aprire per la prima volta gli occhi, non sapendo
nulla del mondo, potremmo solo dire che percepiamo cose pi
vivacemente rispetto ad altre e poi che , per esperienza, le meno

vivaci vengono sempre dopo alle pi vivaci (il libro che era qui lo
percepivo in modo vivace, poi non pi qui, me lo ricordo, lo
percepisco cio in modo meno vivace) : se del libro non avessi avuto
l'impressione, non poteri averne l'idea. Allora abbiamo percezioni, non
tutte sono uguali e sappiamo che le idee stanno dopo le impressioni;
ecco allora che l'esistenza la convinzione psicologica connessa alla
vivacit di una cosa: se ho percezione vivace del libro sono convinto
che esista qualcosa fuori di me . L'esistenza consiste proprio nella
vivacit di percezione. E in effetti gi Locke aveva notato che se ho
solo l'idea del libro senza avercelo in carne ed ossa davanti, posso
supporre che esso esista ancora (anche se non lo vedo pi), pur non
avendone la certezza (potrebbe essere stato distrutto). E d'altronde
questo particolarmente evidente nei bambini: in presenza di un
oggetto a loro gradito, essi sono felici, ma se l'oggetto viene nascosto
essi piangono temendo che l'oggetto non ci sia pi: e in fondo che
cosa mi garantisce che il libro di cui ho impressione, che vedo cio coi
miei occhi, una volta che non lo vedo pi e di lui ho solo l'idea,
continui ad esistere? Ecco che Hume dovr affrontare proprio questo
problema: perch noi abbiamo un atteggiamento diverso rispetto al
bambino? Perch di una cosa di cui abbiamo avuto impressione,
quando ne abbiamo solo l'idea continuiamo ad essere convinti che
esista? Perch vedo il libro e quando mi giro dall'altra parte e non lo
vedo pi, continuo ad essere convinto che esso ci sia?
L'atteggiamento di Hume sembra scivolare nello scetticismo pi
radicale: definire l'esistenza come convinzione psicologica irrazionale,
infatti, sembra tipico dello scetticismo pi rigoroso. Ed proprio quel
che fa Hume: vedo il libro e deduco che esista, mi volto e, non
vedendolo pi, continuo a credere che esista: irrazionale, la nostra
mente stessa che fatta cos, in modo tale da credere che esista ci
di cui ho impressione. L'esistenza dell'intera realt in fondo
indimostrabile per Hume: vediamo ci che ci circonda e intuiamo
immediatamente che esista: ma una deduzione che esula dalla
ragione. Ma con questo Hume non intende scivolare nello scetticismo
e ci tiene a ribattere a quelli che glielo rinfacciano: convinto che
l'esistenza della realt sia indimostrabile, ma non per questo non
crede che la realt che ci circonda non esista. Anzi, dice Hume,
l'indimostrabilit e l'irrazionalit dell'esistenza della realt non fa altro
che sortire l'effetto opposto, ossia ci porta ancora di pi a credere che
la realt esista proprio perch lo si coglie con l'intuizione immediata,
senza bisogno di ragionamenti razionali. E d'altronde tutti i filosofi
medioevali che avevano provato a dimostrare l'esistenza di Dio in
termini razionali avevano fatto fiasco: non per via di un
ragionamento, anche se ben condotto, che si arriva a credere in Dio:
una cosa che si sente dalla nascita, che va accettata con un atto di
fede; e lo stesso per la realt che ci circonda, la cui esistenza va

accettata con un atto di fede, senza dimostrazioni, accontentandoci


del fatto che la nostra mente propensa a credervi. E se l'esistenza
del mondo fosse dimostrabile in termini razionali , in fondo, fa notare
Hume, nessuno si lascerebbe convincere. Hume non intende mettere
in forse l'esistenza del mondo esterno, come aveva fatto Cartesio, ma
vuol far semplicemente notare che l'esistenza del mondo esterno non
dimostrabile ma non per questo per lui il mondo non esiste.
Se Locke con la sua critica alla conoscibilit della sostanza aveva
assestato un primo duro colpo alla metafisica, Hume pu essere
considerato il distruttore definitivo della metafisica: egli le fa crollare i
due pilastri portanti, l'idea di sostanza e di causalit: secondo la
concezione metafisica classica, infatti, il mondo non era altro che una
serie di sostanze in rapporto causale tra di loro. E proprio criticando
questi due concetti, di causalit e di sostanza, Hume far crollare
l'antico edificio della metafisica, aprendo gli occhi a Kant e
svegliandolo dal suo sonno dogmatico: il filosofo scozzese, sostenendo
la non ovviet dei concetti di causalit e di sostanza ha svegliato Kant,
il quale comunque non potr condividere con Hume l'ingiustificabilit
dei due concetti sostenuta dal pensatore scozzese. Anzi, per Kant si
tratter di due concetti che possono e devono essere fondati. Hume
imposta la sua critica al concetto di sostanza partendo dalla
definizione stessa di sostanza: si dice sostanza tutto ci che per
esistere non ha bisogno di null'altro all'infuori di s. A dirmi che il libro
una sostanza la convinzione stessa che esso esista di per s,
indipendentemente da me; certo se mi convincessi che esiste la
percezione ma non la cosa fuori di me non parlerei di sostanza, ma di
immagini virtuali (l'immagine libro, senza riscontro fuori di me) inviate
alla mia mente. Occorre per porsi il problema: che cosa che mi d
la convinzione che l'oggetto (il libro) esista indipendentemente da
me ? Per Hume la convinzione della permanenza dell'oggetto, di cui
ho avuto impressione (percezione vivace: ho visto il libro) e di cui ora
ho solo l'idea (percezione depotenziata: mi ricordo il libro senza averlo
pi davanti). E cos mi convinco dell'esistenza indipendente della cosa:
sono cio convinto che la cosa che ho visto (impressione) e che quindi
so esistere, anche se non la percepisco pi vivamente ma la ricordo
solo, continui ad esistere, abbia cio una permanenza di esistenza.
Guardo il libro, lo percepisco, so che esiste, arrivo a dire che una
sostanza dotata di esistenza autonoma e arrivo a sostenere che abbia
permanenza. La domanda successiva per la seguente: e da dove
nasce la convinzione dell'esistenza permanente della cosa? Chi mi
garantisce che quando non ce l'ho pi davanti il libro continui ad
esistere? Questa domanda a sua volta riconducibile alla
seguente: se esistenza vivacit di percezione (impressione), come
mai continuo a credere che la cosa esista anche quando di essa non
ho pi una percezione vivace? So che il libro che mi sta davanti esiste

perch lo percepisco vivacemente, ma chi mi dice che continui ad


esistere anche quando non mi sta pi davanti agli occhi? A questo
punto Hume, per poter rispondere alla domanda, introduce il concetto
di abitudine: ho visto il libro (impressione), mi sono allontanato
tenendolo a mente (idea), sono tornato e l'ho ritrovato: ha continuato
ad esistere. Ecco allora che per Hume determinati fenomeni mentali
sono legati all'abitudine: in questo caso, ad esempio, a forza di vedere
alternarsi impressione e idea del medesimo oggetto (immaginiamo il
libro sul tavolo: lo vedo, esco, torno e lo rivedo, poi ri-esco, torno e lo
rivedo...), l'abitudine fa s che la convinzione dell'esistenza (che ho
maturato intuitivamente dall'impressione) tenda ad estendersi anche
all'idea. Nasce cos il concetto di sostanza, il credere che una cosa
esista anche se non la si percepisce vivacemente, quasi come se la
nostra mente colmasse gli intervalli di tempo in cui non abbiamo
impressioni, assicurandoci che la sostanza continua ad esistere. Per
spiegare questo concetto Hume fa riferimento all'immagine
del contagio : la vicinanza di idee e di impressioni di medesimo
contenuto fa s che le idee siano contagiate dalla vivacit delle
impressioni, quasi come se con un processo osmotico: ho
l'impressione del libro, sono convinto che esso esista, poi l'idea del
libro viene contagiata dalla vivacit della percezione precedente e mi
porta a credere che il libro esiste anche se non lo vedo. Ecco allora che
ci saranno idee che ricevono vivacit dalle impressioni e ci danno
convinzione di esistenza, ma non tutte le idee saranno di questo tipo:
evidente che nell'ambito della causalit non funziona; se vedo un
fumo, penso che sia causato da un fuoco e posso pensare che tale
fuoco esista, ma magari si gi estinto da parecchio e non esiste pi.
Hume nella sua critica all'idea di sostanza non accetta
l'argomentazione lockiana per cui la sostanza, pur essendo
inconoscibile, esiste ed , come un puntaspilli, ci che tiene unite
certe caratteristiche che si presentano costantemente insieme ai miei
occhi. La concezione di Locke viene scartata da Hume proprio perch,
in fondo, non c' nulla che mi vieti di pensare che le idee semplici (blu,
forma parallelepipedo, odore cartaceo...) siano legate direttamente tra
loro in un'idea complessa (il libro, unione delle idee semplici citate) e
non da una cosa comune a noi ignota (la sostanza). La sostanza
inconoscibile proprio perch non esiste. E questa stessa negazione
della sostanza porta Hume alla critica dell'io, che in fondo una forma
di sostanza: in termini lockiani, non sappiamo che cosa sia la sostanza
io (come tutte le altre sostanze), ma sappiamo che c' perch tiene
unite tutte le caratteristiche che ad essa ineriscono (pensare questo,
percepire quello...). Parlare di "io" solo un modo di esprimersi che
non trova fondatezza nella realt proprio perch non c' nessuna
sostanza "io". Proviamo a fare un esperimento mentale: togliamo tutti
i contenuti che ineriscono alla sostanza io; non rimane pi niente,

neanche l'io. Il nostro errore sta proprio nell'essere convinti che il


nostro io (come se esistesse un qualcosa a monte di tutto) abbia
caratteristiche, pur essendo lui una cosa a parte. Ma per Hume l'io non
altro che un fascio di percezioni : l'io dato solo dall'unione di
queste percezioni senza le quali non esisterebbe. Nell'Ottocento
Nietzsche dir che pensiamo le idee, ma magari potrebbe benissimo
essere che le idee si pensano tra loro, senza che esista un io, andando
e venendo in noi, che siamo appunto il luogo in cui esse si incontrano.
Hume a riguardo si avvale anche di un'altra efficace immagine: la
mente umana un palcoscenico su cui passano le idee, anzi, a essere
precisi, il palcoscenico non c' neanche. Ed interessante notare che
Hume voleva presentarsi come uno Newton della psicologia: se il
grande scienziato inglese aveva scoperto una legge fondamentale (la
gravitazione universale), Hume ritiene di poter fare la stessa cosa per
il mondo psicologico: le singole percezioni sono atomi psicologici, retti
da leggi analoghe a quelle che Newton aveva attribuito ai corpi fisici:
le percezioni avranno allora la propriet di attrazione, di opposizione e
avremo idee che si attraggono a vicenda, altre che si respingono. La
scienza moderna ha senz'altro riconosciuto un merito a Hume
riscontrando la veridicit della sua teoria dell'io come fascio di
percezioni in alcuni tipi di serpenti. Smontata e distrutta la sostanza,
Hume si accinge a fare altrettanto con la causalit : che cosa significa
che una causa produce un effetto? Spesso il rapporto causale finiamo
per considerarlo come un rapporto produttivo: A causa B , quasi come
se lo producesse. Ma dire che A causa B un modo superficiale di
analizzare il fatto: causa di B ogni volta che riteniamo che ad A
segua sempre necessariamente B, quando cio la presenza di B
implica quella di A. Ma cos la causalit si riduce a successione
costante : ogni volta che c' B ci deve anche essere A che l'ha
causato, anche se non constato di persona che A ha causato B. Ma
siamo di fronte ad un problema analogo a quello della sostanza: oltre
ad avere la convinzione che esistano come sostanze B e A, avr anche
quella che B deriva sempre da A, anche quando A non lo vedo. Ed
ancora una volta l'abitudine che mi porta alla convinzione che se c' B
ci deve essere stato A: l'abitudine a vedere che B segue
necessariamente A. A questo punto occorre tener presente quella
distinzione attuata da Leibniz tra verit di ragione (la somma degli
angoli interni di un triangolo vale 180 gradi) e verit di fatto (Cesare
ha attraversato il Rubicone): Hume, riprendendo questi due concetti, li
chiama rispettivamente relazioni tra idee (le verit di ragione)
e materie di fatto (le verit di fatto). L'uomo nelle relazioni di idee pu
dedurre il predicato dal soggetto (il triangolo ha la somma degli angoli
interni uguale a 180 gradi: se non l'avesse non sarebbe un triangolo!),
ma non pu fare questo nelle materie di fatto (che Cesare abbia
attraversato il Rubicone non lo posso dedurre dall'essenza del

soggetto Cesare: lo so perch l'han detto gli storici). Ecco allora che
Hume si pone il quesito: la causalit una relazione tra idee o una
materia di fatto? Se fosse una semplice relazione tra idee, ossia se nel
soggetto (triangolo) fosse gi implicito il predicato (l'avere la somma
degli angoli interni uguale a 180 gradi), allora il primo uomo venuto al
mondo dall'essenza stessa del fuoco avrebbe dovuto capire che
bruciava: ma evidentemente non andata cos, al contrario, l'uomo
non ha capito che il fuoco bruciava finch non ha messo la mano sul
fuoco e non se ne accorto. Pare quindi che si tratti di una materia di
fatto, non deducibile dall'essenza stessa del soggetto: finch non lo
provo empiricamente o non me lo dicono, non potr mai sapere se il
fuoco brucia. Ma in realt non cos: il fuoco brucia perch una o pi
volte mi sono scottato, l'ho cio provato sulla mia pelle. Ma non per
questo posso dedurre che il fuoco causa il bruciore: le esperienze (per
definizioni) sono sempre testimoni di ci che accaduto, mai di quel
che accadr: mettere una o due volte la mano sul fuoco, non mi dice,
a rigore, che cosa mi capiter quando metter la mano sul fuoco: mi
dice solo quel che successo quando l'ho messa. Per fare un esempio
che rende meglio l'idea: constato che i cigni sono bianchi perch tutti
quelli presi in considerazione lo sono, ma nulla mi dice che siano solo
bianchi (e infatti esistono anche cigni neri in Oriente). L'esperienza lo
solo del passato . Il concetto di causalit, come quello di esistenza,
non razionalmente fondato: non n relazione tra idee n materia di
fatto; ma questo non toglie nulla all'idea istintiva che ho, ossia che A
causi B. Ecco che ancora una volta la credenza istintiva in certe verit
innegabile, dettata dalla struttura stessa della mente umana: il
mondo per Hume esiste, cos come per lui A causa B. Ma se non
razionale, come nasce la convinzione? Per abitudine. Dunque la
causalit viene ricondotta da Hume a pura e semplice successione
regolare: diciamo che A causa B poich vediamo che dopo A viene B e
ci sentiamo dunque autorizzati, alla presenza di B, a dire che c' stato
A. Ma, evidente, si tratta solo di una successione regolare, ossia
dopo A viene regolarmente B. Il rapporto di causalit non n una
materia di fatto n di relazione: non si pu predire l'effetto della cosa
in questione dall'essenza della medesima (non so che il fuoco brucia
finch non lo tocco con mano) e se uno constata empiricamente
l'effetto, pu dire che andata cos, ma non del tutto lecito dire che
in futuro andr ancora cos (mi son bruciato mettendo la mano sul
fuoco, ma non c' nulla che mi garantisca che rimettendola mi bruci
nuovamente): Hume fa l'esempio del sole, facendo notare come non
ci sia nulla che ci garantisca ogni mattina il suo sorgere. Questo non
vuol dire che posso tranquillamente mettere la mano sul Fuoco, ossia
che posso dubitare che dal fuoco derivi il bruciare, tuttavia significa
che il rapporto di causalit non razionalmente dimostrabile. E allora
come nasce la convinzione del rapporto di causalit? Come posso

essere convinto che mettendo la mano sul fuoco, esso mi brucer?


Come accennavamo, Hume intende proporsi come uno Newton della
psicologia, una psicologia associazionistica: come per l'atomismo ci
sono parti elementari e forze che le aggregano, cos per
l'associazionismo vi sono percezioni che si radunano nell'io (fascio di
percezioni) , una sorta di "luogo psichico", in cui le percezioni si
attraggono e si respingono secondo alcune leggi, le cui pi importanti
sono la legge di contiguit e la legge di similitudine: la legge di
contiguit dice che due percezioni percepite l'una vicina all'altra
tenderanno ad attrarsi automaticamente nella mia mente: se ad
esempio ho visto un libro su un tavolo in casa di un mio amico, e
rivedo il medesimo libro in un altro luogo, esso mi fa tornare alla
mente per contiguit il tavolo del mio amico e la sua stessa casa: la
vicinanza con cui le percezioni vengono acquisite che fa s che,
vedendo il libro, mi venga in mente il tavolo. La legge di similitudine
invece quella secondo la quale due percezioni possono richiamarsi,
proprio come gli atomi: vedo la nebbia e per similitudine mi viene in
mente il fumo. C' poi il meccanismo della causalit, tale per cui
quando vedo un fenomeno mi aspetto che ce ne sia stato un altro e
che ce ne sar un terzo: vedo B e sono convinto che ci sia stato A e
che ci sar C. In tutte e tre queste leggi (contiguit, similitudine,
causalit) c' l'impressione che richiama alla mente l'idea: nel caso
della contiguit, vedo il libro e mi viene in mente l'idea del tavolo su
cui era appoggiato; nel caso della legge di similitudine, vedo la nebbia
e mi viene in mente l'idea del fumo; nel caso della legge di causalit,
vedo il fumo e traggo la conseguenza che c' stato il fuoco. Tuttavia il
rapporto di causalit si differenzia dalle altre due leggi (contiguit e
similitudine) perch mentre le altre due conducono ad idee senza
comportare l'esistenza (vedo il libro, mi viene in mente l'idea di tavolo,
ma non c'entra niente l'esistenza del tavolo!), la legge di causalit
porta ad una idea accompagnata dalla convinzione dell'esistenza della
medesima: vedo il fumo, mi viene in mente l'idea del fuoco e sono
convinto che il fuoco ci debba essere per forza stato, altrimenti non si
spiegherebbe il fumo. Come mai sono portato ad attribuire esistenza
con certezza ad un'idea? Anche qui entra in gioco il contagio, proprio
come nell'idea di sostanza: l era l'alternanza di impressioni e idee
che finiva per essere un flusso di percezioni in cui le idee diventavano
(per contagio) impressioni; nella causalit, il fatto che io, vedendo il
fumo, sia convinto che ci sia stato il fuoco deriva dal fatto che sono
abituato a vedere la sequenza fuoco-fumo, ossia ogni volta che ho
visto il fumo prima ho anche visto il fuoco. A forza di vedere sotto
forma di impressioni (ossia dal vivo) questi due fenomeni (fuoco-fumo)
, nella mia mente finiscono per diventare un'impressione sola: e cos
quando vedo una delle due (ad esempio il fumo), automaticamente
viene fuori anche l'altra (il fuoco) come idea ed talmente legata alla

prima (che mi appare come impressione: il fumo lo vedo coi miei


occhi) che la vivacit dell'impressione si trasmette all'idea: vedo il
fumo e dico con certezza che c' stato il fuoco; vedo il fuoco e dico
con certezza che ci sar il fumo. E cos si sfocia di nuovo nella
credenza: il rapporto causale non razionale, ma si fonda su una
credenza, sul credere che ogni volta che c' il fumo ci debba essere
stato il fuoco. Hume respingeva le accuse di chi lo accusava di
scetticismo: in effetti lui dice che il rapporto di causalit e l'idea di
sostanza non hanno fondamenta razionali, ma sostiene altres di
essere convinto della loro esistenza, anzi, proprio per via della loro
indimostrabilit razionale, finisce per crederci ancora di pi, perch in
fondo l'atto di credere implica proprio un atto di fede. Tuttavia bisogna
cercare di comprendere i suoi avversari, che gli imputavano l'accusa di
scetticismo: dire che una cosa non razionale, in fondo, vuol dire che
tanto certa non ! Kant riconoscer a Hume il merito di avergli fatto
notare che il rapporto di causalit non un' ovviet: ma Kant non si
limiter a prendere atto di questo, bens si prender la briga di
rifondare quel rapporto di causalit smontato da Hume, tenendo
appunto conto delle critiche mosse dal pensatore scozzese.
Come Platone riprendeva i Sofisti per rifondare una verit solida, cos
Kant riprender Hume, convinto della necessit di avere rapporti
causali solidi in natura, tenendo conto che la causalit va fondata
razionalmente. E d'altronde con lo smontamento humeano della
causalit o si rinuncia totalmente ad una scienza o la si rifonda da
capo. Tuttavia, nonostante Kant senta l'esigenza di rifondare la
causalit, possiamo affermare che Hume un pensatore "pi
moderno" in quanto pi vicino alle posizioni della fisica
contemporanea, che tende a concepire i rapporti causali come
probabilistici, e non del tutto perfetti. E questo in fondo era gi
presente in Hume, il quale sosteneva che in ultima istanza non
possibile attribuire valore assoluto alla causalit; Kant e Newton
invece preferiscono una scienza che esprima rigorosamente i rapporti
causali. Un discorso simile ai precedenti vale anche per
l' etica humeana, che pu essere sintetizzata nell'ormai famosa
espressione (che sconvolse non poco i pensatori dell'epoca) :"La
ragione , e deve solo essere, schiava delle passioni, e non pu
rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di obbedire
e di servire ad esse." Se questa asserzione scandalizz mezzo mondo,
fu perch era diametralmente opposta a quelle di tutti i filosofi fino ad
allora esistiti: in fondo tutti erano oscillati tra un'abolizione razionale
delle passioni o un misurazione razionale delle medesime: per Platone,
Aristotele ed Epicuro le passioni andavano regolate, per gli Stoici
abolite, il tutto con l'ausilio della ragione: e cos Epicuro parlava di
"calcolo razionale dei piaceri" e Platone ricorreva alla metafora
della biga alata, secondo la quale l'auriga-ragione deve dominare e

regolare i cavalli-passioni. Hume fa per notare che, a ben pensarci, la


ragione non in grado di dirci che cosa vogliamo e ci dice sempre e
soltanto che cosa dobbiamo fare per ottenere quello che vogliamo :
quello che vogliamo, tuttavia, esula dai dettami della ragione. Se uno
vuole andare in vacanza ai tropici, la ragione gli indicher la via per
ottenere quel fine, suggerendogli di lavorare e di risparmiare denaro;
ma quando gli si chieder "perch vuoi andare ai tropici", lui
risponder "perch mi piace": non vi una risposta razionale, una
passione. Il fine non razionale, ma i mezzi per raggiungerlo s, la
ragione stessa ad indicarceli. I fini ultimi sono per Hume dovuti
al sentimento morale: ci che vogliamo fare lo sentiamo
immediatamente con istinto morale e non con la ragione; e ci che
ognuno per sua natura portato a volere il bene personale: Hume
convinto che l'uomo sia un essere egoista e antisociale (un p come
Hobbes) ; ma la vera grande novit introdotta da Hume il giustificare
con l'egoismo perfino l'altruismo! Il comportamento legato ai
sentimenti di piacere e di dolore, ossia ciascuno cerca il proprio
piacere ed evita il proprio dolore. Il problema per deriva dal fatto che
il piacere e il dolore, come molte altre cose nella filosofia humeana,
finiscono per "contagiare": se uno soffre vedendo una persona che gli
sta davanti e che a sua volta soffre poich ha avuto un incidente, lo fa
perch la sofferenza contagiosa, nel senso che a seconda della
maggiore o della minore vicinanza con la persona che soffre ( o che
prova piacere) , il dolore (o il piacere) di quella persona si espande su
di noi contagiandoci: vedo una persona che soffre e soffro anch'io per
contagio; se cerco di aiutare tale persona, lo faccio solo perch essa
non soffra pi e quindi perch neanche io soffra pi (per contagio).
Questa azione apparentemente altruista in realt dettata
dall'egoismo pi profondo: faccio star bene uno per star bene io.
Hume parlando di persone vicine cui diamo una mano perch non
soffrano pi (per non soffrire pi noi, a nostra volta) intende due
diverse accezioni della parola "vicino": soffriamo quando vediamo una
persona magari a noi sconosciuta ma che ci vicina fisicamente: ad
esempio quando vediamo un mendicante; ma soffriamo anche quando
sappiamo che una persona a noi vicina sentimentalmente (un parente)
soffre, pur noi non vedendolo (magari abita lontanissimo). Tutto
questo non ha nulla a che vedere con la ragione: un sentimento
morale. Sono le passioni che ci dicono che cosa vogliamo, sono
egoistiche, ma fondano i comportamenti altruistici. La ragione ci
suggerisce solo come raggiungere lo scopo prefissato dalle passioni. E
anche a questo proposito Kant si opporr a Hume rifondando
razionalmente la morale e cercando di dimostrare che alcune scelte
morali sono dettate dalla ragione; Kant distinguer tra "imperativi
ipotetici" e "imperativi categorici" : gli ipotetici sono quelli del tipo
"se..., allora...": se vuoi far denaro, allora devi lavorare: e questo

quel che pensa Hume, non vi cio una spiegazione razionale al fatto
di "voler far denaro" e la ragione ci pu solo dire come fare (lavorare
per fare denaro) ; tuttavia con gli imperativi categorici Kantprender le
distanze da Hume proprio in quanto in questi imperativi non c' il "se,
allora" , che presuppone la schiavit della ragione alle passioni: nei
categorici la ragione stessa a dirmi "fai questo", indicandomi che
cosa giusto.

LA CREDENZA
Nella terza parte del I libro del Trattato sulla natura umana, Hume
definisce la credenza come un'idea particolarmente vivace associata
ad un'impressione presente. Per comprendere il significato di tale
affermazione, occorre rilevare che l'idea d'un oggetto una parte
fondamentale della credenza in esso, ma non tutto, perch
sappiamo per esperienza di concepire molte idee o cose alle quali non
crediamo: ad esempio, possiamo pensare ad un cavallo alato anche se
non crediamo alla sua esistenza. Hume approfondisce il problema
della "credenza" ponendolo in relazione con quello della causalit.
Tutti i ragionamenti sulle cause e gli effetti riguardano materie di fatto,
ossia l'esistenza di oggetti o delle loro qualit. Ora, l'idea di un oggetto
e l'idea della sua esistenza non sono distinte: se prima concepisco un
oggetto e poi lo concepisco come esistente, non faccio alcuna
aggiunta o non produco alcuna alterazione alla prima idea. Hume
propone un esempio molto chiaro: "Quando penso Dio, quando lo
penso come esistente e quando credo alla sua esistenza, la mia idea
di lui non si accresce n diminuisce. Ma siccome v' certamente una
grande differenza fra il semplice concepire l'esistenza d'un oggetto e
la credenza in essa, e poich questa differenza non risiede nelle parti
o nel complesso dell'idea che concepiamo, ne segue ch'essa debba
risiedere nel modo con cui la concepiamo". Credere significa dunque
avere s un'idea, ma averla in un modo particolare. A questo punto,
occorre chiedersi cosa s'intende quando si parla di "modo particolare"
di concepire un'idea. Tutte le nostre percezioni si distinguono in
impressioni e idee: le prime sono passioni, sensazioni, sentimenti,
emozioni, che ci colpiscono immediatamente con un vigore ed una
forza particolari, mentre le seconde sono una copia sbiadita delle
impressioni nel pensare e nel ragionare. Ci significa che ogni
percezione pu presentarsi o come impressione o come idea, e che
un'idea, essendo una perfetta copia di un'impressione, la rappresenta
in tutte le sue parti. In altre parole, un'idea rappresenta
perfettamente, in ogni parte, un'impressione corrispondente. Se allora
vogliamo "variare" l'idea di un certo oggetto, non abbiamo altra
opportunit che quella di accrescerne o diminuirne la forza e la

vivacit, ossia di variare il "modo" di concepirla; qualora, invece, le


apportassimo un altro genere di variazione, la nostra idea non
corrisponderebbe pi a quell'oggetto. Scrive Hume a tale riguardo:
"Avviene come per i colori: una particolare sfumatura pu dare a un
colore un grado maggiore o minore di vivacit e chiarezza, senza
alcun'altra variazione; ma, se apportate una variazione diversa, non
sar pi lo stesso colore. Similmente, non facendo altro la credenza
che variare la maniera di concepire un oggetto, pu dare alle nostre
idee soltanto ulteriore forza e vivacit". Pertanto, come si detto
all'inizio, "credere" significa avere un'idea particolarmente vivace
associata ad un'impressione presente. Secondo Hume, il problema
della credenza costituisce un autentico mistero per la filosofia, perch
si tratta di una nozione difficilmente spiegabile: essa un'esperienza o
un sentimento (feeling) naturale. Infatti, credere significa
semplicemente riconoscere la "realt" di un oggetto o idea: io credo in
una certa idea nel senso che la giudico esistente. In questo senso,
l'uso del termine "vivace" applicato all'idea funzionale a tale
riconoscimento: avere un'idea particolarmente vivace vuol dire che
quest'idea "si sente" in maniera differente rispetto ad un'idea frutto
dell'immaginazione. D'altra parte, una cosa che "si sente" una cosa
di cui abbiamo diretta ed immediata esperienza, e per questo si
detto che credere un'esperienza naturale, e che, proprio in quanto
tale, non suscettibile di ulteriori definizioni. Hume sostiene che "in
sede filosofica, dobbiamo contentarci di affermare ch'essa qualcosa
di sentito dalla mente, la quale distingue, cos, le idee del giudizio
dalle finzioni dell'immaginazione. Essa (la credenza) d a loro maggior
forza e influenza, le fa apparire pi importanti, le fissa nella mente, e
ne fa principi che governano tutte le nostre azioni". Come si
ricordato, Hume affronta questo problema in relazione a quello delle
inferenze causali, ossia delle inferenze da un oggetto ad un altro: in
questo caso, infatti, la credenza assume un valore determinante. Tutte
le volte che inferiamo da una causa ad un effetto, dobbiamo senz'altro
avere presente un oggetto che costituisca la causa, e che renda quindi
possibile la nostra inferenza; nella ricerca della causa, cio, non
possiamo certamente regredire all'infinito. Pertanto, in tutti i nostri
ragionamenti causali, dobbiamo sempre partire avendo presente
un'impressione di sensazione o di memoria, oppure, inferendo da altre
cause, dobbiamo giungere ad un oggetto presente ai sensi o alla
memoria. Dunque, una causa pu essere o un oggetto
immediatamente presente ai sensi, oppure un oggetto presente alla
memoria. Le idee della memoria hanno la caratteristica di essere
particolarmente vivaci; tale vivacit tanto maggiore quanto pi il
ricordo recente. Se, dopo un lungo intervallo di tempo, pensiamo ad
un oggetto, l'idea di esso sicuramente pi debole. Dopo un intervallo
di tempo lunghissimo, l'idea del medesimo oggetto diventa talmente

"languida" da rischiare di svanire completamente, o di essere


scambiata per un'idea dell'immaginazione, quindi per una fantasia.
Capita spesso, nel cercare di ricordare un evento cui non si pensa da
moltissimo tempo, di non saper pi distinguere se si tratta di un fatto
veramente accaduto o esistente, oppure di un frutto della nostra
fantasia. Ci significa che, in questi casi, la nostra "credenza" in
quell'evento diminuisce proporzionalmente al diminuire della sua
vivacit e intensit. Un ricordo sbiadito, privo di vivacit, un ricordo
cui stentiamo a credere, ossia di cui fatichiamo a riconoscere la
"realt". A questo punto, ritorniamo chiaramente al discorso di
partenza: credere coincide con l'avere un'idea particolarmente vivace;
Hume scrive: "la credenza o l'assenso, che sempre accompagna la
memoria ed i sensi, non consiste in altro che nella vivacit delle loro
percezioni, le quali in questo solo si distinguono dalle idee
dell'immaginazione". Si visto che, per poter inferire da un oggetto a
un altro, dobbiamo avere presente un'impressione, di senso o di
memoria, che costituisca la base del nostro ragionamento. Ora, ogni
credenza che segua un'impressione presente trova sempre la sua
origine nell'abitudine. Per comprendere adeguatamente ci, occorre
pensare che quando vediamo due impressioni sempre congiunte
insieme, ossia se facciamo esperienza dell'unione costante di due
impressioni, in seguito, quando ne compare soltanto una, la nostra
mente, per abitudine, si rappresenta anche l'altra, sebbene sia
assente. Questo significa che la nostra impressione diventata
fondamento di credenza grazie all'esperienza che abbiamo fatto delle
sue abituali conseguenze (abbiamo cio constatato che compare
sempre unita a un'altra). L'abitudine, a sua volta, "ci che procede
da un'antecedente ripetizione", e costituisce quindi un meccanismo
che agisce prima che intervenga la riflessione. In altri termini,
l'abitudine ci conduce a compiere operazioni in maniera "meccanica",
automatica, come appunto nel caso della credenza che segua ad una
certa impressione presente. D'altra parte, l'abitudine un fatto
d'esperienza, nel senso che in noi si produce un'abitudine perch
abbiamo fatto una medesima esperienza per un certo numero di volte;
pertanto, possiamo affermare che l'esperienza agisce sulla nostra
mente in maniera impercettibile, cio s'insinua in noi senza che ce ne
accorgiamo, dando luogo alle nostre credenze. Sulla base di queste
considerazioni, comprendiamo perch siamo anche convinti che "i casi
dei quali non abbiamo nessuna esperienza debbono necessariamente
assomigliare a quelli dei quali abbiamo esperienza...poich l'intelletto
o l'immaginazione pu trarre conseguenze dall'esperienza passata
senza rifletterci su, anzi senza bisogno di formulare nessun principio in
proposito o ragionare su esso". Nella formazione delle nostre credenze
svolge un ruolo molto significativo l'educazione. Sappiamo che tutte le
opinioni cui siamo stati abituati fin dall'infanzia s'imprimono cos

profondamente in noi da non poter essere facilmente rigettate.


L'educazione fondata sulla "ripetizione" di idee, di concetti, di
insegnamenti, e la ripetizione, come si detto, forma un'abitudine,
quindi una credenza. Non a caso, sostiene Hume, tutti abbiamo
opinioni e convinzioni che spesso sono assolutamente contrarie alla
ragione, ma che difendiamo con forza. Scrive il filosofo inglese:
"...poich l'educazione una causa artificiale e non naturale, e poich
le sue massime sono spesso contrarie alla ragione, e anche a se
stesse in tempi e luoghi differenti, i filosofi non hanno mai voluto
riconoscerla; bench, in realt, essa sia fondata sull'abitudine e la
ripetizione, nello stesso modo dei nostri ragionamenti causali".

assoluto.

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