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Mario Smargiassi, Fenomenologia asoggettiva e corporeit in Jan Pato...

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Mario Smargiassi

Fenomenologia asoggettiva e corporeit in Jan Patoka


1. Introduzione
2. L'apparire del mondo: Epoch radicale e fenomenologia asoggettiva
3. Dal cogito al sum: Descartes, Husserl e Heidegger
4. Essere-nel-mondo come movimento: dinamica dell'esistenza e dimensioni della corporeit
5. Soggettivit corporea e finitezza esistenziale.
6. L'esistenza e lo spazio: la proto-struttura personale e l'esperienza come interpellazione.
7. Corpo-soggetto e corpo-oggetto: intersoggettivit e critica dell'immanenza pura.
8. Temporalit, spazialit e libert nella fenomenologia asoggettiva: prospettive di ricerca.

1. Introduzione
In quella ricca polifonia filosofica che, da Husserl in poi, va sotto il nome di fenomenologia o di movimento
fenomenologico, il filosofo ceco Jan Patoka pu essere annoverato tra le voci pi brillanti e originali.[1] Se
l'importanza della sua riflessione rimane complessivamente sottostimata, rispetto ad altri pi noti pensatori di
orientamento fenomenologico (Sartre, Merleau-Ponty, Lvinas, Henry, per citarne solo alcuni), pur vero che
Patoka gode ormai di una posizione di sicuro rilievo sulla scena filosofica internazionale (non solo europea); il
pensiero patokiano infatti sempre pi intensamente esplorato, le iniziative editoriali e i convegni a lui dedicati
si moltiplicano, la letteratura critica che lo riguarda ha registrato un notevole incremento negli ultimi dieci anni.
In Italia, dopo una lunga fase di sostanziale disinteresse e dopo che la traduzione di qualche importante testo
aveva preparato il terreno, sembra ora delinearsi una vera e propria scoperta: sono sempre di pi gli studiosi
(spesso giovani) che si accostano a Patoka con passione e rigore, nella convinzione che dalle sue pagine possano
provenire, se non soluzioni, almeno sollecitazioni teoretiche radicali per la messa a punto delle questioni
filosofiche pi vive e urgenti del mondo contemporaneo.[2]
Sarebbe riduttivo, a mio parere, individuare in Patoka un esponente autorevole della tradizione fenomenologica
europea, che ha saputo rinnovare e riformulare in una sintesi originale le fondamentali intuizioni di Husserl e
Heidegger (la teoria dei movimenti fondamentali dell'esistenza umana, sviluppata in una serie di saggi degli
anni '60 e '70, forse l'esempio pi evidente in tal senso);[3] occorre invece, senza esitazioni, considerare Patoka
come uno degli autori di riferimento della filosofia del XX secolo, ci che peraltro emerge con chiarezza man
mano che il vasto continente dei suoi scritti viene alla luce, offrendo pi ampie prospettive di analisi e di
interpretazione.[4] Il discorso filosofico di Patoka, pur sviluppandosi asistematicamente e presentando alcune
linee di frattura al proprio interno, rivela a uno sguardo pi approfondito una unit sorprendente, che pu essere
illuminata da punti di vista diversi: declinata in termini generali, essa esprime una connessione strettissima tra
fenomenologia e filosofia della storia, tra analitica ontologico-esistenziale e ricostruzione continua del tessuto
della tradizione, tra l'idea che fonda la speculazione e la forma di vita tipiche dell'Occidente (la cura
dell'anima) e l'apertura su un orizzonte cosmologico che manifesta la problematicit e i limiti della human
condition. Ma ci che, in ultima istanza, costituisce il fondo unitario della riflessione filosofica di Patoka una
tensione etica strutturale, una volont di vita-nella-verit che trasborda ogni astratta costruzione normativa e
incarna una passione socratica per il senso dell'uomo: una modalit di esperire e affermare il senso oltre la
metafisica, oltre il nichilismo, oltre il dominio pervasivo della scienza-tecnica, in uno spirito di fedelt rigorosa
alla finitezza umana, alle dimensioni di negativit che la caratterizzano.[5]
Non qui possibile fornire, nemmeno per semplici accenni, una presentazione globale del pensiero di Patoka.[6]
L'intento di questo saggio di esaminare, nelle sue coordinate generali e come punto di partenza per un'indagine
pi approfondita, un nodo fenomenologico centrale che, direttamente o indirettamente, si intreccia con tutti i fili
principali della filosofia patokiana: quello della corporeit, del corpo soggettivo o corpo proprio (o, pi
radicalmente, del soggetto come corpo), afferrato e sviluppato non come semplice tema analitico, ma nella sua
relazione imprescindibile con la curvatura a-soggettiva che Patoka imprime apertamente alla fenomenologia,
nella fase pi matura del suo percorso. Se il programma di una fenomenologia asoggettiva muove infatti da una
critica dell'idealismo fenomenologico-trascendentale di Husserl e da una radicalizzazione della nozione di
epoch, l'articolazione descrittiva della sfera fenomenica (l'orizzonte stesso della fenomenologia, nella sua
autonoma struttura di senso, ovvero il mondo) esige un s ontologicamente e dinamicamente corporeo:
dunque sul piano concreto dell'analisi del corpo e del movimento corporeo che si rivela, in maniera sempre pi
netta, un mondo non fondato su una soggettivit trascendentale, un apriori della manifestazione che precede
e fonda la stessa relazione intenzionale tra un soggetto e un oggetto, tra l'io e le cose. La de-soggettivazione
della fenomenologia apre ad una sua declinazione esistenziale, come nello Heidegger di Sein und Zeit, ma
attraverso il filo conduttore del corpo-movimento che il sum della soggettivit umana, l'io sono, ottiene
spessore e concretezza, fenomenizzandosi e configurandosi come esistenza rigorosamente intra-mondana, un
essere-nel-mondo che al tempo stesso un essere-del-mondo. Non solo il corpo proprio funge da elemento
mediatore indispensabile nell'apparire del mondo e nella fondazione intersoggettiva della sua validit, come gi
Husserl aveva chiaramente rilevato; per Patoka, cogliere il mondo nella sua densit onto-fenomenologica
irriducibile alla soggettivit che lo esperisce e da essa incostituibile significa rimandare (come ad un compito
filosofico di primo ordine) alla complessa trama in cui il movimento esistenziale di una soggettivit finita
diventa possibile e comprensibile.
Al di fuori dell'idealismo trascendentale e del primato della coscienza, la corporeit una sorta di vettore che
dis-loca l'io nel campo di forze dell'apparire, in una dinamica fenomenologica in cui non l'unico attore n il polo
centrale assoluto, ma soltanto un centro relativo e reversibile, posto continuamente in gioco nel suo essere e in
tensione con l'altro (in tutte le accezioni e le risonanze che questo termine pu assumere). Ma non si tratta
soltanto di sostituire il trascendentale della coscienza con un pi concreto trascendentale del corpo (esito in
parte implicito nella fenomenologia husserliana ed esplicitato nella filosofia di Merleau-Ponty): il contributo
fenomenologico di Patoka porta a vedere il corpo stesso in una prospettiva genetica e dinamica che implica
strutture esistenziali asoggettive e conduce ad una nuova lettura di uno dei concetti pi antichi del pensiero

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occidentale, quello di physis. Destinatario del fenomeno, incalzato e appellato dalla manifestazione, dal
problema del senso di ci che appare, l'uomo una soggettivit che esiste nella chiarezza e nel mistero del
mondo, nell'orizzonte della libert finita come responsabilit. La rifondazione asoggettiva della fenomenologia
cui ha condotto il lavoro filosofico di Patoka ci apparir allora non tanto un'ennesima critica o decostruzione
della filosofia del soggetto sic et simpliciter, quanto una premessa fondamentale per articolare una
comprensione della soggettivit autenticamente fenomenologica, in grado di restituire il senso pi profondo
dell'essere-nel-mondo come movimento.

2. L'apparire del mondo: Epoch radicale e fenomenologia asoggettiva


Nel suo dialogo ininterrotto con il fondatore della fenomenologia, Patoka sottopone a una critica radicale
l'idealismo trascendentale di Husserl, che a suo avviso costituisce una deviazione dall'intenzione originaria del
pensiero fenomenologico. Se infatti quest'ultimo nasce come appello, per la filosofia, a rivolgersi alle cose
stesse (zu den Sachen selbst), ai fenomeni originari della nostra esperienza, nel soggettivismo e nel primato
della coscienza difesi dallo Husserl maturo (da Idee I alle Meditazioni cartesiane, e oltre) Patoka scorge un
pregiudizio che occorre decostruire e abbandonare, proprio per rimanere fedeli al principio metodologico
fondamentale della fenomenologia: quello della descrizione rigorosa di ci che appare (il fenomeno), nel suo
modo di apparire, senza sovrapporre ad esso alcunch di estraneo. Il corpo a corpo con Husserl, nel comune
orizzonte fenomenologico, condurr Patoka a una riformulazione globale del progetto filosofico della
fenomenologia al di fuori di ogni riferimento fondante alla soggettivit; in particolare, la fenomenologia non
sar pi una scienza della soggettivit trascendentale, ma una dottrina dell'apparire come tale e un'indagine
sulle strutture (fenomenicamente accessibili) che articolano, in concreto, questa dimensione o sfera
dell'apparizione. Potrebbe sembrare una questione di semplice accento metodico, visto che in Husserl, com'
noto, la soggettivit trascendentale fenomenologica non posta a tema se non in correlazione costante e
inscindibile con il mondo, nella sua ricca compagine di senso, e dunque la trascendentalizzazione della
fenomenologia non implica alcuna svalutazione della realt oggettiva di fronte alla coscienza pura.[7] .
Tuttavia, per Patoka l'esigenza di de-soggettivare la fenomenologia, rompendo definitivamente lo schema
coscienzialistico husserliano, diventa negli anni sempre pi chiara e ineludibile, man mano che si approfondisce
la portata ontologico-esistenziale e antropologica della fenomenologia stessa: dai due saggi omologhi del '70 e
'71 (Il soggettivismo della fenomenologia husserliana e la possibilit di una fenomenologia asoggettiva e Il
soggettivismo della fenomenologia husserliana e l'esigenza di una fenomenologia asoggettiva), a Epoch e
riduzione (1975), alle numerose riflessioni e variazioni che sul tema dell'asoggettivit offrono gli scritti
inediti,[8] il rifiuto della piega soggettivistica imposta da Husserl al piano della manifestazione e l'esplorazione di
una via alternativa alla fenomenologia acquistano il valore di una posta in gioco decisiva. Ma declinare
a-soggettivamente la fenomenologia significherebbe anche, secondo Patoka, compiere la volont dello stesso
Husserl, realizzando quello che, con ogni verosimiglianza, era il suo programma originale:
Husserl [...] penetrato fin nel cuore della situazione (critica) della fenomenologia soggettiva, per quanto evidentemente
non ha avuto poi il coraggio di sacrificare la metafisica idealista della coscienza che fino all'epoca della Krisis continua a
difendere e che proviene interamente da un'operazione artificiale di soggettivizzazione del fenomenico. In un certo senso,
sarebbe quindi eseguire le ultime volont del fondatore della fenomenologia operare effettivamente la catarsi del
fenomenico in modo da restituire alla fenomenologia il senso di un'indagine sull'apparire come tale, che forse costitutiva
l'intenzione originaria del suo primo sostenitore.

Come altri interpreti, Patoka vede all'opera in Husserl due tendenze ben diverse, il cui intreccio occorre
districare per ricondurre la fenomenologia alla sua intenzione originaria e al suo senso pi proprio: di fatto,
all'esigenza genuinamente fenomenologica di un'indagine strutturale-sistematica sui modi di apparire delle cose
stesse si affianca molto presto, fin dalle lezioni husserliane del 1907 (L'idea della fenomenologia),[9] una
tendenza filosofica di tipo cartesiano, come ricerca di una regione dell'essere assolutamente fondata e
cognitivamente indubitabile. Il cartesianismo di Husserl si rivela, da un lato, nella tensione teoretica ed
esistenziale (mai abbandonata) verso una conoscenza assoluta, dall'altro, nell'attribuire alla soggettivit
(purificata riflessivamente da ogni coordinata psicologico-empirica) e alla sfera dei vissuti (Erlebnisse) il
carattere dell'evidenza apodittica. La coscienza assoluta o soggettivit trascendentale diventa il terreno di
fondazione e di manifestazione di ogni ente e di ogni oggetto: il mondo stesso, la struttura totale dell'esperienza,
si configura cos come una trascendenza immanente, un orizzonte infinitamente aperto che appare nella
coscienza (pura) e solo sul piano della coscienza (nei limiti delle sue operazioni costitutive) ottiene il suo senso e
la sua validit.
Husserl denomina riduzione o epoch il procedimento riflessivo teso a produrre il passaggio dall'atteggiamento
naturale, in cui l'essere del mondo viene ingenuamente presupposto, all'atteggiamento fenomenologico, in cui
il mondo (ri) appare, in tutta la ricchezza e concretezza descrittiva dei suoi contenuti, come correlato della
soggettivit trascendentale (quest'ultima, nel suo pieno sviluppo, una intersoggettivit trascendentale ).[10] La
riduzione fenomenologico-trascendentale sospende (pone tra parentesi) la tesi naturale del mondo come gi
dato, per ricostruirne filosoficamente il senso negli atti intenzionali della coscienza, nelle loro connessioni e
stratificazioni (nient'altro significa, in Husserl, la costituzione di senso). Tuttavia, questa immersione del
mondo, e di ci che nel mondo appare, in un'atmosfera soggettiva (sia pure in un'ottica metodologica e senza
alcuna concessione allo scetticismo) segna un fraintendimento e un tradimento essenziali di quella che , per
Patoka, la questione fondamentale della fenomenologia: il senso dell'apparire come tale, l'analisi dei fenomeni
in quanto fenomeni.
In tale prospettiva, all'interno del dispositivo teorico husserliano Patoka recupera positivamente la nozione di
epoch, da un lato svincolandola da quella di riduzione del mondo a una sfera immanente (i vissuti della
coscienza), dall'altro radicalizzandone la portata sospensiva e critica in direzione della soggettivit. Per Husserl,
sarebbe un'esagerazione incomprensibile eseguire l'epoch in modo veramente universale, estendendola all'io
trascendentale stesso e alle sue evidenze originariamente vissute: ci renderebbe impossibile fin dall'inizio la
costruzione di una scienza dei fenomeni (fenomeno-logia) e ci consegnerebbe immediatamente nelle braccia
dello scetticismo.[11] Ma questa sottrazione della dimensione stessa della soggettivit (la tesi dell'io) allo spirito
critico dell'epoch testimonia che Husserl non stato, qui, abbastanza radicale.[12] Scrive infatti Patoka in
epoch e riduzione: Che cosa accadrebbe se la tesi dell'io proprio non fosse sottratta all'epoch, se quest'ultima
fosse concepita in maniera del tutto universale? [...] Non potrebbe darsi che l'immediatezza della datit dell'ego
sia un 'pregiudizio', che l'esperienza di s abbia, allo stesso modo dell'esperienza delle cose, un a priori specifico
che rende possibile l'apparire dell'ego?.[13]
Occorre compiere (heideggerianamente) un passo indietro rispetto alla soggettivit, per scoprire il contesto
fenomenico originario (l'a priori) che le consente di apparire e dispiegarsi. Solo l'epoch universalizzata
dischiude il campo dell'apparire nella sua purezza, senza confonderlo con un ente qualsiasi che appare (oggettivo
o soggettivo):

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Grazie all'universalizzazione dell'epoch, diventer allora chiaro che, come il s la condizione di possibilit dell'apparire
di ci che nel mondo, cos il mondo come orizzonte originario (e non come l'insieme delle realt) rappresenta la
condizione di possibilit dell'apparire del s. L'egoit, senza dubbio, non mai percepita autonomamente in se stessa,
esperita immediatamente, in un modo qualsiasi, ma unicamente come centro di organizzazione di una struttura universale
dell'apparizione che non pu essere ricondotta a ci che appare come tale nella sua singolarit. Questa struttura, noi la
chiamiamo il mondo.

La fenomenologia asoggettiva, resa accessibile da un'epoch pi radicale di quella husserliana, non dunque
una fenomenologia senza soggetto. Essa coglie, innanzitutto, questa doppia relazione condizionale tra l'io e il
mondo, sul piano originario della manifestazione: se l'io (o, come talvolta preferisce dire Patoka, il s)
condizione di possibilit dell'apparire delle cose mondane (degli enti), ed quindi una componente ineliminabile
della struttura fenomenica, anche vero che solo nel mondo possibile l'apparizione di un ente che si rapporta a
se stesso, e che nel rapportarsi-a-s ha il proprio specifico modo di essere. L'uomo pu essere rapporto-a-s solo
in quanto l'esistenza umana un essere-nell'apparizione, un apparire-a-se-stesso che prende forma nell'orizzonte
manifestativo universale:[14] in altri termini, l'io nella sua struttura fenomenologica non una soggettivit
trascendentale che semplicemente ha il mondo come polo intenzionale di riferimento, bens un ente che si
trova nel mondo (all'interno di quella struttura universale dell'apparizione che chiamiamo mondo), allo stesso
titolo degli altri enti che appaiono (all'io) senza poter assumere la forma del rapporto a s, che non sono,
ontologicamente parlando, essere-nell'apparizione. In definitiva, a differenza di quanto pensasse Husserl (ma,
prima di lui, Kant e l'idealismo tedesco) il soggetto non la base o il fondamento dell'apparizione, l'unit che la
sorregge e ne regola in qualche modo lo sviluppo, bens solo un momento (sebbene necessario) della struttura
dell'apparire, la quale, considerata in s, non soggettiva, n creata, prodotta, fondata o costituita in
alcun modo dalla soggettivit.[15] La soggettivit stessa [deve] mostrarsi come qualcosa che appare, che fa
parte di una struttura pi profonda, come una certa possibilit abbozzata e indicata in questa struttura, in
quanto una delle sue parti costitutive.[16]
Se apparire significa certamente apparire a qualcuno, a un io (e dunque vi un referente o destinatario
dell'apparizione), non bisogna dimenticare che quest'ultimo appare soggetto alle regole e alla dinamica interna
dell'apparire, preso (per cos dire) nel movimento della manifestazione, dal quale dipende strutturalmente il
suo essere proprio (l'esistenza) e la totalit delle sue possibilit esistenziali. Paradossalmente, solo
abbandonando il soggettivismo possibile comprendere adeguatamente il senso fenomenologico della
soggettivit:
Nella fenomenologia asoggettiva, il soggetto nel suo apparire un risultato nella stessa misura che tutto il resto. Devono
esserci regole a priori sia per l'entrata nell'apparizione propria, come in quella impropria. E questa entrata
nell'apparizione fa apparire qualcosa che indipendente da questo apparire. Nel caso dell'io, ci non significa
indipendente da ogni apparire, perch pu esserci un io solo nella misura in cui qualcosa gli appare, nella misura in cui si
rapporta a se stesso attraverso l'apparizione di qualcos'altro; questo rapportarsi a se stesso attraverso l'apparizione,
cio questo apparire a s, una struttura ontologica tanto indipendente dalla coscienza quanto lo quella struttura che
non appare a se stessa. Non la coscienza a rendere possibile la struttura ontologica, ma la struttura ontologica a rendere
possibile la coscienza.

La fenomenologia asoggettiva non ha il suo centro nell'intenzionalit della coscienza, nella struttura noeticonoematica dei vissuti, nell'io puro come soggetto non mondano. Le analisi husserliane della soggettivit, anche
in ci che hanno di valido, vanno radicate su un terreno pi profondo, che non gnoseologico ma ontologicoesistenziale ( infatti la struttura ontologica, l'essere-nell'apparizione, come si letto, a rendere possibile la
coscienza, e non viceversa). Ma, per questo scopo, preliminarmente indispensabile l'articolazione della sfera
dell'apparire nei suoi momenti formali: Essendo il mondo stesso l'unica struttura che ingloba le cose e il
soggetto, vorremmo concepire questa struttura come struttura del mondo. Il fenomeno, l'apparire, ha come
momenti ci che appare (il mondo), ci a cui l'apparente appare (la soggettivit) e il come, la maniera in cui
l'apparente appare.[17] La struttura formale dell'apparizione, autonomamente considerata, presenta quindi tre
momenti: 1) il mondo (ci che appare), 2) ci a cui il mondo appare (ovvero il soggetto), 3) il modo o, pi
correttamente, i modi in cui il mondo appare (alla soggettivit, in quanto una esistenza-nell'apparizione).
Nonostante le evidenti analogie di questa struttura con l'ego-cogito-cogitatum della fenomenologia soggettiva
di Husserl, Patoka sottolinea sempre di nuovo come il soggetto dell'apparizione (ci a cui appare il mondo) sia,
essenzialmente, un soggetto nell'apparizione, cio una parte o una porzione del mondo che gli appare (proprio
ci che Husserl negava risolutamente fosse l'ego fenomenologico-trascendentale): Il mondo e le sue cose non
possono apparire che a qualcuno, e questo qualcuno fa parte anche lui del mondo.[18] Il soggetto della
fenomenologia asoggettiva appartiene radicalmente al mondo, un essere-del-mondo, pur non essendo una
cosa, una res (su questo secondo punto Patoka in linea con Husserl): l'io , infatti, il referente dell'apparizione,
quell'ente peculiare per il quale il mondo e le cose ci sono (in quanto si manifestano). Accanto alla differenza
fenomenologica tra le cose e il soggetto occorre sempre tener ferma quella, altrettanto decisiva, tra il mondo,
come orizzonte originario della manifestazione, e gli enti che appaiono nel mondo (le cose, da un lato, e la
soggettivit, dall'altro). C' un campo fenomenico, un essere del fenomeno come tale che non pu essere ridotto
a nessun ente che appare al suo interno e che perci impossibile spiegare a partire dall'ente, che quest'ultimo
sia di una specie naturalmente oggettiva o egologicamente soggettiva.[19]
Campo di apparizione, sfera fenomenica, piano della manifestazione: con questi termini Patoka designa
il nucleo tematico centrale della fenomenologia. Quest'ultima non una teoria della soggettivit (Husserl), n
una teoria dei fenomeni (Heidegger), e neppure sarebbe, rigorosamente parlando, una teoria del mondo, se,
rispetto al mondo come ente in totalit, non fosse posto in primo piano il problema della manifestazione: [la
fenomenologia] una teoria dell'apparire dell'ente in totalit, del mondo. E il mondo e il campo di apparizione
sono fenomeni nel senso formale. Il tema rigoroso della fenomenologia non quindi il mondo, ma il campo di
apparizione.[20] Il mondo, i fenomeni, la soggettivit vengono esplorati e delucidati, nelle loro relazioni e
implicazioni, come componenti del campo di apparizione, come articolazioni di una struttura formale
dell'apparire che globalmente le precede, rendendole possibili; sotto questo aspetto, chiarisce Patoka,
ancora legittimo parlare della fenomenologia come filosofia trascendentale, come voleva Husserl. Se infatti,
attraverso un'epoch radicalizzata, si pone tra parentesi la torsione soggettivistica, che distorce la pura
struttura dell'apparire ancorandola ad un centro di gravit egologico, il movimento che dal mondo naturale gi
dato risale al campo di apparizione e, da qui, procede allo studio sistematico dei caratteri onto-fenomenologici
del comprendere, appare come una rifondazione del trascendentalismo husserliano:

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Crediamo che il problema dell'apparizione, in quanto primario, derivi del tutto naturalmente da una rifondazione della
dottrina husserliana in un trascendentalismo formale dell'apparire come tale. Se l'epoch non significa altro che la risalita,
a partire dal mondo presuntivamente pre-dato, a partire dalla costruzione del mondo e della conoscenza naturale, fino al
piano dell'apparizione, cio fino ai caratteri di apparizione che non sono altro che i caratteri di comprensione ontologica
dell'essere mondano che [ci] viene incontro, caratteri che in se stessi non sono pi dipendenti dall'ente esperito, che si
mostra, il primato dell'apparire sull'essere chiaro.

Il vero trascendentale fenomenologico non la soggettivit e/o l'intersoggettivit, bens l'apparire come tale;
tuttavia, rileva Patoka, l'apparizione come struttura formale possiede una priorit e una preminenza, in
fenomenologia e dunque in filosofia, anche rispetto all'essere: Il problema della manifestazione pi profondo,
pi fondamentale, pi originario del problema dell'essere. Semplicemente perch non posso arrivare al problema
dell'essere se non attraverso il problema della manifestazione, a meno che, se parto dal problema dell'essere nel
senso astratto del termine, il concetto dell'essere non diventi per me un concetto astratto, una sorta di segno
puramente formale.[21] Ma proprio questo primato dell'apparire, in luogo di un primato della coscienza o di
un primato dell'essere, costituisce secondo Patoka la risorsa metodologica e analitica pi importante della
fenomenologia asoggettiva, che le consente di raggiungere dimensioni ontologico-esistenziali rimaste precluse
all'indagine fenomenologica tradizionale (anche nella sua variante heideggeriana).

3. Dal cogito al sum: Descartes, Husserl e Heidegger


Ma se, per Patoka, il soggetto un momento fondamentale della struttura dell'apparire, quel qualcuno a cui
la manifestazione indirizzata, occorre esaminare pi da vicino il modo di essere (nel campo di apparizione) di
questo ego, che, come si visto, non pu essere una soggettivit trascendentale nel senso husserliano. su
questo terreno che diventa evidente e centrale il ruolo della corporeit, come riflesso della rifondazione
asoggettiva della fenomenologia. Il tema del corpo assume infatti in Patoka una rilevanza tale da costituire uno
dei tratti pi originali della sua prospettiva fenomenologico-esistenziale. Procediamo per gradi. Per comprendere
come l'esistenza-nell'apparizione, ovvero il modo di essere dell'uomo come soggetto, sia strutturalmente una
esistenza corporea, ci sembra utile prendere le mosse dalla riflessione triangolare che Patoka conduce (in
maniera esplicita o implicita) con Descartes, Husserl e Heidegger, intorno a ci che significa, autenticamente,
l'io. La fondazione cartesiana del cogito, nella sua ambigua connessione con il sum, con la concretezza
esistenziale dell'io, e la metafisica sostanzialistica della res cogitans e della res extensa, si collocano all'origine del
dualismo moderno tra anima e corpo, dell'oscillazione tra spiritualismo e materialismo che cos spesso ha
contraddistinto il pensiero post-cartesiano.
Patoka riconosce a Descartes di aver realizzato una svolta essenziale rispetto al filosofare dell'antichit, anche
nella prospettiva di ci che sar, molto pi tardi, la fenomenologia; di fatto, con il cogito la filosofia acquista, per
la prima volta in modo chiaro, la forma di un sapere in prima persona: Il cogito ergo sum una conoscenza
che non pu essere trasmessa in modo impersonale. [...] il cogito come risultato inseparabile dalla situazione
personale e dal progetto del suo creatore; pu essere ripetuto, ma non pu essere convertito in un teorema
oggettivo, a meno di perdere il suo senso proprio.[22] Scoprendo l'io concreto e personale come centro del
discorso filosofico, il Descartes delle Meditazioni metafisiche rappresenta un nuovo inizio della speculazione
occidentale; tuttavia, questo secondo inizio della riflessione, cos straordinariamente nuovo, non porta
immediatamente a una filosofia personale; al contrario, esso porta ad un'estesa cosificazione, all'oggettivazione
del pensiero stesso e, nell'ambito di questa oggettivazione, a un salto radicale che scavalca l'esperienza del corpo
proprio in quanto vivente, realmente fungente.[23]
Descartes appare a Patoka, in questa ottica, come un Giano bifronte, un genio che scopre e insieme occulta
(com'era Galilei per Husserl) [24] e nel quale, alla fine, l'occultamento prevale sulla scoperta, il pathos
dell'oggettivit metafisico-scientifica ricopre la dimensione della soggettivit concreta e vivente. Ma risultano
particolarmente interessanti alcune considerazioni che Patoka svolge sul contenuto fenomenologico del cogito
cartesiano e sullo schema ontologico di fondo che ne orienta il percorso argomentativo. Com' noto, al termine
dell'esperimento del dubbio universale, con l'attestazione dell'ego come certezza esistenziale indubitabile,
l'ipotesi scettica radicale viene scartata definitivamente, ma Descartes stesso si pone il problema di determinare
che cosa sia questo io la cui esistenza certa.[25] In un certo senso la conclusione indica la priorit
dell'esistenza sull'essenza; ma l'esistenza, espressa nel sum, existo, va considerata subito come atto posizionale,
atto di realizzazione dell'essenza. Cos si perde il carattere personale del sum .[26] Se la distinzione tradizionale
tra essentia ed existentia vale innanzitutto per gli enti nel mondo, per le cose, la determinazione esistenziale
dell'ego viene fin dall'inizio situata da Descartes nell'orizzonte della res-substantia, come sostrato permanente di
propriet e attributi. A questo punto, dopo aver escluso dalla sfera fondante della soggettivit le dimensioni
concrete del corpo e della percezione sensibile, per la loro opacit e inaffidabilit cognitiva, Descartes coglie nel
pensiero (cogitatio) l'unico attributo essenziale della sostanza-soggetto, di quella res del tutto peculiare che
l'io .[27]
Lo spessore ontologico della soggettivit, che si era affacciato nella certezza del sum, si spersonalizza cos in un
polo sostanziale pensante, sebbene Descartes mostri un'autentica sensibilit fenomenologica (pre-husserliana)
distinguendo le diverse forme e modalit che la res cogitans pu assumere (affermazione, negazione, volont,
immaginazione, sensazione ecc.), rimanendo sempre lo stesso ego.[28] Tra le pieghe del cogito e della sua
grammatica concettuale, Patoka ravvisa un'anticipazione e un primo abbozzo del campo fenomenico, cio del
tema genuino della fenomenologia, ma anche l'articolazione preliminare (e storicamente efficace) di quella
soggettivizzazione dell'apparire che Husserl avrebbe poi elaborato e sviluppato pienamente, proprio
richiamandosi all'eredit cartesiana:
Il campo fenomenico in cui l'ente pu apparire per quello che diventa cos una struttura del soggetto, che si potrebbe
fin d'ora descrivere con l'aiuto della formula moderna ego-cogito-cogitatum. Il cogitatum deve per presentarsi due volte
-- sia come idea che come cosa esterna alla sfera garantita nel cogito. [...] La soggettivit caratterizzata da un'autoappercezione riflessiva nella certezza di s. -- Anche questo il senso della tesi per cui lo spirito pi facile da conoscere
rispetto al corpo e alle sue determinazioni.

Sappiamo come, in Descartes, la certezza puntuale e disincarnata dell'ego emersa dal dubbio universale
riconquisti la verit esistenziale di un rapporto con il corpo, il mondo e le cose tramite l'analisi dell'idea di Dio
(nella struttura manifestativa del cogito) e il ricorso alla veracitas dei, come garanzia di corrispondenza oggettiva
tra le idee (i cogitata) e la realt extramentale. Husserl rifiuta la scissione introdotta da Descartes all'interno del
piano di apparizione, ristabilendo l'unit tra la coscienza (trascendentale) e il mondo, nel modo di una
multiforme correlazione intenzionale; egli per ancora visibilmente cartesiano nel conservare la convinzione
che l'io, il soggetto dell'apparizione, possa attingere la certezza di s e dei suoi atti attraverso un'autoriflessione
pura, una sorta di inspectio sui o di percezione immanente (innere Wahrnehmung) il cui contenuto (l'ego
medesimo) immediatamente evidente, assolutamente in luce.[29] Per Husserl, l'io puro come centro di un

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flusso temporale di vissuti (Erlebnisstrom) in grado di cogliersi in una donazione originaria che ha un
carattere del tutto diverso dalla percezione esterna (ussere Wahrnehmung), quella rivolta alle cose e al
mondo stesso; quest'ultima, infatti, sempre presuntiva, bisognosa di ulteriore conferma, e dunque
costitutivamente esposta alla possibilit del dubbio, della negazione, dell'essere-altrimenti.[30]
Per contro, l'evidenza dell'ego, della soggettivit trascendentale come residuo della riduzione fenomenologica,
indipendente (almeno in linea di principio) dalla connessione fattuale-operativa che l'io esibisce con il corpo
proprio e con le cose del suo mondo-ambiente: in Idee I, riproducendo lo stile iperbolico dell'argomentare di
Descartes, Husserl afferma con molta chiarezza che il flusso di coscienza, con il suo ego trascendentale, una
sfera di assoluto essere, che come tale non sarebbe toccata, nella sua struttura pi profonda, da un eventuale
annientamento del mondo (Weltvernichtung).[31] Per usare il linguaggio di Patoka, in Husserl l'esistenza
nell'apparizione si fonda sul primato dell'egologico (la presenza a s dell'ego come certezza intuitiva) e dei
suoi caratteri funzionali (le noesi o atti, in cui la vita dell'ego si dispiega). La certezza di s dell'esistenza
dell'ego, del sum, interpretata come presenza e questa presenza come originaria auto-donazione, la quale a sua
volta richiede un oggetto corrispondente. E insieme a questo oggetto supposto anche l'atto di coscienza, la noesi
originariamente coglibile nella riflessione.[32]
Certo, l'intenzionalit della coscienza si rivela nel contesto delle analisi husserliane come un'apertura incessante
dell'ego sull'altro da s, e su se stesso come soggettivit corporea, monade, persona, per cui il cogito, la vita del
soggetto, acquisisce ben presto una tessitura concreta che ne marca inequivocabilmente il distacco tanto dall'io
cartesiano, quanto dal soggetto trascendentale kantiano o neokantiano. In ogni caso, per Patoka lo
slittamento dal piano dell'apparire a quello dell'egologia non solo priva il problema della manifestazione della sua
universalit, ma ci fa perdere di vista l'autentica dimensione esistenziale del sum, il senso stesso dell'essere di
quell'ente che esiste nell'apparizione. L'indagine egologica, anche quella husserliana, rimane dentro l'orizzonte
gnoseologico, continuando a cercare l'essenza della soggettivit (la struttura intuitiva dei suoi atti, delle sue
funzioni, nel livello di evidenza che li caratterizza), come se l'io fosse una cosa o un oggetto, sia pure sui generis.
Come se vi fosse, realmente, una intuizione dell'io cos come c' una percezione della cosa o una visione della sua
struttura categoriale. Proprio questo presupposto di una visibilit dell'ego in una pura riflessione (pensiamo
qui allo spettatore disinteressato di cui parla Husserl) viene messo radicalmente in discussione dalla
fenomenologia asoggettiva e, in ultima istanza, rifiutato:
In un certo senso, la sfera fenomenica dev'essere effettivamente fondata sull'ego, o piuttosto sul sum nel quale l'ego
incluso. Ma questo compito non realizzabile sprofondando semplicemente nella contemplazione dell'ego, perch
nell'ego come tale non c' niente da vedere. L'ego si vede, meglio: si pu rendere visibile solo attraverso ci di cui si
occupa, ci che progetta e fa nella sfera fenomenica. La sfera fenomenica progetta l'ente possibile non in un'astrazione che
esiste separatamente, ma proprio in rapporto al sum. un progetto dell'ente in totalit che quindi ingloba anche l'ego sum
in quanto sum, in quanto centro che si rapporta a se stesso attraverso tutto il resto. La funzione originariamente pratica e
vitale della sfera fenomenica consiste nel rendere possibile questo incontro con se stessi.

Uscire dall'egologia significa riconoscere che l'ego sfugge alla separazione di essenza ed esistenza e dunque
non pu essere oggetto di una conoscenza, di un vedere, di un'intuizione: ci lo farebbe infatti ricadere
immediatamente sul piano delle res, dell'identit cosale, e verrebbe meno proprio il suo sum, l'apertura
ontologica che rende possibile il rapporto-a-s. Di questa paradossale invisibilit dell'io come fondamento
intuitivo ultimo della coscienza interna del tempo (innere Zeitbewusstsein) e della vita soggettiva
trascendentale aveva in qualche misura consapevolezza lo stesso Husserl, che si era a lungo confrontato con le
aporie fenomenologiche della riflessione, intesa come scissione egologica (Ich-spaltung) tra un io-soggetto e
un io-oggetto.[33] Ma Patoka afferma che nell'ego, come tale, non c' nulla da vedere, se si vuole coglierlo
riflessivamente alla maniera di un oggetto o di un tema teorico; al contrario, l'ego si lascia vedere, si rende
visibile come esistenza, attraverso ci di cui si occupa e che progetta, ovvero in un contesto pratico-vitale. La
luce del sum, la sua forma di rivelazione, la prassi, intesa non solo come azione o comportamento rispetto
alle cose, ma, pi profondamente, come articolazione unitaria e globale di un interesse per il proprio essere: La
concezione dell'ego come indice personale nel sum permette di andare oltre [il soggettivismo husserliano], verso
l'essere il cui aspetto ontologico interno l'ogni volta mio (Jemeinigkeit). Ci significa che l'ego non niente di
pi del carattere ontologico dell'ente che interessato al suo essere, che esiste temporalmente ed in
movimento.[34]
Il sum dell'ego nient'altro che la struttura esistenziale di un ente che non semplicemente , come le cose, ma
ha da essere, in quanto essenzialmente interessato al suo essere, non-indifferente ad esso, e dunque in
movimento, verso ci che costituisce il suo autentico s. Sotto questo aspetto, il contributo fondamentale e
irrinunciabile di Heidegger alla fenomenologia di aver dissociato rigorosamente il rapporto-a-s dell'io
dall'idea di datit in originale o di semplice presenza, de-teoricizzando il soggetto e, al tempo stesso,
dischiudendo la sfera fenomenica (in cui l'ego stesso compreso) come un orizzonte dinamico di possibilit
esistenziali:
Se anche in Heidegger il contatto con s uno sguardo riflessivo, ci che guida fin dall'inizio questo sguardo non l'idea di
una constatazione della presenza data, ma quella di un essere necessariamente rimandato a se stesso nella realizzazione
del proprio essere, nell'assunzione delle possibilit comprese e colte, in un'auto-realizzazione che non un [mero] fare,
una manipolazione di s, bens la scoperta originaria della possibilit propria.

Secondo Patoka, la prospettiva fenomenologica di Heidegger resta nel campo della riflessione, ma guidata
dall'idea di un essere che , interamente, la sua prassi,[35] che pratico nella sua radice ontologica pi
profonda; per il soggetto umano (ma Heidegger utilizza il termine Dasein) il rapporto-a-s si configura quindi,
riflessivamente, come un'assunzione (un farsi carico) del proprio essere, tramite la comprensione delle
possibilit autentiche e in vista della loro realizzazione. D'altro canto, e qui si manifesta chiaramente la rottura
heideggeriana con la tradizione metafisica, la realizzazione di una possibilit umana non il riempimento di
un'essenza gi data e disponibile: se la dimensione della possibilit viene in luce attraverso un rapporto al mondo
(come totalit) intessuto di rimandi pratici, l'esistenza come progetto si apre e si chiarisce soltanto nella prassi
che, sempre di nuovo, pone in gioco l'essere del Dasein. Sotto questo aspetto l'essenza dell'ego la sua
esistenza stessa, la dinamica esistenziale che lo mette in opera come essere-nel-mondo.[36]
Patoka dunque accoglie, nelle sue linee di fondo, il carattere aperto e dinamico dell'essere-nel-mondo
tratteggiato da Heidegger in Essere e tempo, come un passaggio decisivo per il superamento del soggettivismo e
per la comprensione di quella esistenza nell'apparizione che costituisce il modo di essere dell'uomo. Di fatto,
Heidegger ha per la prima volta configurato il movimento dell'esistenza sottraendolo a un sostrato e
tematizzando l'integrale costituzione pratico-progettuale del sum: il cartesianismo di Husserl appare cos alle
spalle. Tuttavia, Patoka rimprovera a Heidegger un approccio troppo formale all'analisi del movimento
esistenziale, che ha come esito pi palese un'elaborazione insufficiente e difettiva delle strutture fenomenologiche
che vi sono necessariamente implicate; in particolare, l'analitica esistenziale heideggeriana sembra muoversi in

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una singolare eclissi della corporeit, come dimensione ontologicamente originaria dell'essere-nel-mondo. Scrive
infatti Patoka: Sembrerebbe che l'analitica renda l'ontologia heideggeriana troppo formale. La prassi
effettivamente la forma originaria della chiarezza [della manifestazione], ma Heidegger non prende mai in
considerazione che la prassi originaria dev'essere per principio l'attivit di un soggetto corporeo, che la
corporeit deve dunque avere uno statuto ontologico che non pu identificarsi con la datit del corpo come
presente qui e ora [il corpo considerato come oggetto o cosa].[37] Heidegger ha scoperto e declinato la vita
dell'io come prassi originaria in vista del proprio essere, oltrepassando decisamente il coscienzialismo della
fenomenologia trascendentale, ma ha nello stesso tempo trascurato (e oscurato) il carattere corporeo della
soggettivit. Il sum infatti, nel suo senso ontologico fondamentale, l'esistenza di una soggettivit corporea,
incarnata. E anche qui la riflessione del filosofo ceco ci permette di cogliere un gioco di luce e ombra, di
manifestativit e occultamento, nel modo radicalmente diverso di affrontare il tema del corpo proprio (Leib), del
soggetto come corpo, da parte dei due corifei della fenomenologia tedesca.
Se l'idealista Husserl ha dedicato un vasto impegno analitico alla delucidazione fenomenologica del corpo
soggettivo, offrendo una serie di spunti e variazioni in grado di incidere notevolmente sulla filosofia del corpo
del Novecento, l'esistenzialista Heidegger sembra ignorare o misconoscere l'ontologicit del corpo, ci che
Patoka definisce lo statuto ontologico della corporeit, ovvero il fatto che come corpo, nel corpo e attraverso
il corpo che l'ego (o, se si preferisce, il Dasein) si realizza come essere-nel-mondo. Disincarnando il sum,
Heidegger non solo si vieta la comprensione pi concreta del movimento dell'esistenza, ma dimostra di essere,
almeno su questo punto, pi formale e cartesiano di Husserl. Per contro, quest'ultimo rivela da molteplici
prospettive la corporeit dell'ego trascendentale in quanto soggetto che ha un mondo (o, nel linguaggio
gnoseologico di Husserl, lo costituisce), ma, proprio per questa ragione, il modo di essere corporeo dell'io, in
quanto nel mondo, nel campo di apparizione, resta non tematizzato e non chiarito (nonostante Husserl abbia
posto indubbiamente le basi descrittive per questa chiarificazione).[38] In definitiva, la fenomenologia
asoggettiva deve collocare le nozioni heideggeriane di autenticit e verit dell'esistenza sul terreno concreto
della corporeit, in quel dramma costituito dal movimento esistenziale di una soggettivit corporea: se la
corporeit ha uno statuto non soltanto ontico, ma ontologico, il dramma dell'autenticit, il dramma della verit
dell'esistenza deve concretizzarsi in un rapporto con questa dimensione della vita.[39]

4. Essere-nel-mondo come movimento: dinamica dell'esistenza e dimensioni


della corporeit
La nozione di movimento costituisce il nucleo centrale e l'elemento pi caratterizzante e originale della
prospettiva fenomenologico-esistenziale di Patoka. La definizione della sua fenomenologia come fenomenologia
dinamica certamente la pi pregnante: se infatti fenomenologia asoggettiva una formula tesa soprattutto a
tracciare una linea di demarcazione rispetto alla fenomenologia tradizionale (husserliana) e a sostenere l'esigenza
di un'indagine rivolta all'apparire come tale, fenomenologia dinamica vuole appunto evidenziare questa
centralit del movimento per l'autocomprensione della fenomenologia e per la sua effettiva declinazione
esistenziale. D'altra parte, come stato giustamente rilevato, la fenomenologia dinamica, se non vuole essere
solo un titolo suggestivo ma una reale e feconda direzione di ricerca, deve fondarsi su una dinamica
fenomenologica, cio su quel movimento (o, pi esattamente, movimenti) che ha luogo nella sfera
fenomenica o piano dell'apparizione e che, sviluppato nelle sue dimensioni fondamentali e strutture di senso,
viene a coincidere con l'esistenza stessa (il movimento , nella sua essenza, manifestazione).[40] Qui ci interessa
fermare alcuni aspetti della concezione patokiana dell'esistenza come movimento che pi direttamente si
connettono al tema della corporeit, in modo che emerga con chiarezza da un lato l'ineludibilit ontologica del
corpo (il movimento dell'esistenza , innanzitutto, la dinamica di un io corporeo), dall'altro come proprio
l'approccio fenomenologico asoggettivo (in cui l'ego non costituisce pi il fondamento dell'apparizione, ma ne
dipende in maniera essenziale per effettuare il movimento della sua esistenza) permetta di concretizzare
radicalmente la vita del soggetto.
Abbiamo visto che, sulla scia di Heidegger, Patoka attribuisce alla vita dell'io, come referente dell'apparizione,
un carattere eminentemente pratico. Interessato al proprio essere, non-indifferente alle modalit che esso pu
assumere, l'uomo un ente essenzialmente capace di verit, la sua vita pu essere una vita-nella-verit.[41] La
verit dell'esistenza umana non dunque un rapporto teoretico, contemplativo con un contenuto dato, ma la
comprensione delle possibilit fondamentali dell'uomo e la decisione che, facendosene carico, le realizza, in una
direzione o nell'altra. In Che cos' l'esistenza? , la struttura esistenziale della soggettivit si lascia afferrare nel suo
carattere dinamico tramite il confronto con la nozione aristotelica di movimento, che presuppone un sostrato
determinabile e una determinazione tramite un eidos, una forma. Aristotelicamente, il movimento un
passaggio dalla potenza all'atto che si scandisce come determinazione della materia attraverso la forma. Per l'io
come esistenza, il movimento avviene propriamente senza un sostrato e la realizzazione di una possibilit
esistenziale non semplicemente il tradursi in atto di una finalit naturale che gi sempre era presente (l'eidos),
ma l'aprirsi e il manifestarsi dell'essere stesso dell'io:
L'io non un sostrato passivamente determinato dalla presenza o dall'assenza di un certo eidos, da una forma o una
privazione; qualcosa che si determina da s e, in questo senso, sceglie liberamente le sue possibilit. Liberamente,
cio in maniera tale che ci che -- la possibilit realizzata -- in verit, l'io nel suo essere [...] vive nella possibilit che
ha aperto e che effettivamente. Essere non significa dunque essere dato, ma scegliersi, crearsi nella verit, divenire,
rendersi ci che si .

Il sum dell'io l'apertura di un campo di possibilit, e la verit dell'esistenza il movimento della sua
realizzazione (diventare ci che si ). Patoka coniuga strettamente libert e verit nella sua visione dinamica
dell'essere-nel-mondo; com' noto, c' un movimento specifico della vita umana (il cosiddetto terzo
movimento, esistenziale al massimo grado) che ha come centro focale la questione della verit come
autocomprensione della finitezza [42] ed quello da cui nasce la filosofia, la domanda filosofica di senso. Intanto,
va riscontrato come la de-sostanzializzazione del cogito come rapporto a s e l'invisibilit dell'ego al di fuori del
comportamento pratico che lo relaziona al mondo e alle cose rendano impossibile ancorare il movimento
dell'esistenza, la realizzazione delle possibilit dell'uomo, ad una essenza pre-esistente che funga da modello o
da riferimento normativo. L'esistenza non progetta le sue possibilit in modo da averle oggettivamente davanti
a s in una rappresentazione, ma realizzandole, attualizzandole. Per questa ragione, l'esistenza pu essere
determinata come movimento.[43] Il movimento come esistenza non una dinamica di autorealizzazione
generata e sostenuta da un telos o una forma oggettivamente dati, ma un libero processo di apertura e
articolazione di possibilit nell'ambito di ci che appare. Sotto questo aspetto, il movimento disvelante, la
forma eminente del comprendere nel mondo, quella libert come prassi originaria che illumina il senso delle
cose.
Ma la libert dell'io, pur svincolata da un'essenza cui dovrebbe adeguarsi, non una facolt creatrice di senso e
nemmeno, come talvolta sembra affermare Heidegger, una pura trascendenza, una progettualit che
continuamente si proietta all'esterno, un incessante uscire da s. Piuttosto, la libert di un essere finito, le

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possibilit della sua esistenza, restano tributarie (per il loro senso e la loro estensione) alla sfera fenomenica e si
delineano unicamente al suo interno, come lo stesso Heidegger aveva assicurato. Per usare il linguaggio
heideggeriano, non la libert del Dasein ad aprire (sovranamente) le possibilit del nostro essere, ma , al
contrario, il mondo (la luce del mondo) a renderci comprensibile la libert come libert concreta e finita.
Il mondo, cio le possibilit del nostro proprio essere come essere essenzialmente estatico, non ci aperto dalla nostra
libert propria; ma la libert ad essere aperta dalla comprensione dell'essere, insieme a tutto il resto del contenuto
fenomenico del mondo. Non siamo noi, o il nostro esserci (Dasein), che in un progetto di mondo diamo senso a come ci
rapportiamo agli enti e a quali enti ci rapportiamo; di questo noi siamo tributari alla comprensione dell'essere, al
fenomeno come tale.

Quando si tratta della libert bisogna certo rifiutare l'oggettivismo e la metafisica, ma anche, forse, eliminare i
residui di soggettivismo che permangono nella fenomenologia di Essere e tempo e che lasciano cospicue zone
d'ombra su come il movimento dell'esistenza umana (o, equivalentemente, l'essere-nel-mondo) abbia
effettivamente luogo e senso. Rigorosamente parlando, l'io non un progetto di mondo, ma un progetto di
esistenza nel mondo e sulla base del mondo (cio un dispiegarsi e formarsi ontologicamente all'interno di vincoli,
possibilit e rimandi pre-tracciati nella sfera dell'apparizione):
Non sono io a progettare il mondo di possibilit; ma siccome sono un essere di possibilit, ancorato nel mondo, la
possibilit del mondo, il campo di possibilit del mondo mi interpella. Nessun essere finito capace di creare delle
possibilit [...] il progetto delle possibilit proprie non una creazione originaria di possibilit, non un progetto di
mondo, ma semplicemente un progetto della mia esistenza sulla base del mondo.

Emerge una struttura fondamentale dell'esistenza umana, nel suo legame originario e inscindibile con la sfera del
fenomeno: l'io ancorato nel mondo, in quanto il suo movimento si realizza in esso, ma il mondo non uno
sfondo neutro per l'esercizio della mia libert, ma mi interpella, mi chiama in causa, sollecitando (inizialmente
in un senso non morale) la mia responsabilit. Il mondo come campo di possibilit si presenta come un
orizzonte strutturato e ricco di senso, nel quale il mio corpo gioca un ruolo decisivo. Patoka coglie la
trascendenza e differenza fenomenologica radicale dell'esistenza rispetto alle cose nell'impossibilit di
manifestarsi come un contenuto autonomo: l'io il movimento realizzante di una vita originariamente pratica.
Ma, nel campo fenomenico, il sum si manifesta sempre come io corporeo, come corpo proprio:
Il sum non una cosa nel senso che non pu mai apparire in modo autonomo, ma solo in rapporto e in connessione con i
comportamenti relativi alle cose. Cos esso appare sempre come io corporeo, agli stimoli del quale il corpo che appare
capace di obbedire, nel senso che il corpo in quanto egologico risponde a un richiamo fenomenico, soddisfa o cerca di
soddisfare [anche nel senso del riempimento] un'esigenza posta dalla cosa che appare, che si apre dinanzi a me (qui ci che
va realizzato si annuncia come carattere oggettivo, come insoddisfazione, mancanza di riempimento). Le connessioni
operative, le occasioni, il materiale che mi si offre mi attirano o mi respingono, e questa attrazione e repulsione che hanno
luogo nel campo fenomenico sono riempite, realizzate, e realizzate dal mio corpo.

La struttura elementare del sum dunque l'identificazione pratico-esistenziale con il corpo, in quanto mio corpo:
ma interessante notare che la corporeit dell'io non qui assunta muovendo da un sentire, da un'autoaffezione della soggettivit, da un analogon della percezione e della coscienza, che garantirebbe ancora una certa
separazione o indipendenza dell'ego dalle cose e dal mondo. Pi radicalmente, l'esistenza si rivela come corporea,
come il movimento di una soggettivit corporea, lungo le linee di forza del campo di apparizione, nel dinamismo
globale di ci che appare e oggettivamente attrae o respinge, nelle pieghe e nei rimandi che il materiale
fenomenico predispone e che offrono direzioni e sviluppi possibili alla libert dell'io. Naturalmente, questa
curvatura oggettiva imposta dal campo di apparizione alla vita dell'ego non significa che esso sia in balia delle
cose che appaiono o di forze estranee che lo sovrastano; tuttavia, l'io pu scoprirsi libero solo come esserenell'apparizione e come soggetto alle leggi dell'apparire, pu compiere il suo movimento vitale solo
rispondendo alla dinamica interna dei fenomeni, ritagliando per cos dire la sua autonomia in uno spazio di
significati e di forze che non crea n pu alterare, ma al quale assegnato. Essendo una semplice porzione del
campo dell'apparire, un momento di una struttura dinamica molto pi vasta, pi profonda e oggettivamente
preponderante, la soggettivit umana si trova, fin dall'origine, in una situazione di minorit e di dipendenza
rispetto all'ente in totalit, al mondo.[44] La fenomenologia asoggettiva la rivelazione della finitezza dell'io
come essere-nel-mondo. Ma, per Patoka, la manifestazione della finitezza esistenziale , al tempo stesso,
l'apparire-a-s del soggetto come corpo. Se l'io , come si visto, il movimento della sua realizzazione (diventare
ci che si ), il corpo proprio funge da motore del movimento e realizzatore delle possibilit che si aprono nel
piano di apparizione.
infatti la corporeit, l'esperienza originaria dell'essere-un-corpo, ad aprire il senso della possibilit finita,
articolando la forma pi elementare, e tuttavia decisiva, del movimento di una soggettivit. L'auto-movimento
dell'io, come movimento che si realizza nella luce del mondo, nella chiarezza delle cose che appaiono, ,
innanzitutto, un potere di agire sul corpo e attraverso il corpo, muovendolo: il senso della possibilit, per l'io,
si manifesta nella mobilit del corpo proprio, nella capacit di muoversi di cui l'io originariamente dispone in
quanto non semplicemente ha un corpo, ma corporeo nella sua pi intima costituzione ontologica. Solo tramite
il corpo un essere-nel-mondo pu avere delle possibilit, pu rapportarsi a se stesso (rapportandosi al mondo)
nella forma del poter-essere pi proprio, dell'apertura esistenziale-dinamica che lo distingue essenzialmente
dalle cose. Peraltro, le cose del mio ambiente vitale quotidiano (gli oggetti della percezione) sono sempre date
contestualmente al corpo e al movimento corporeo, ed grazie all'io posso sotteso all'esperienza del corpo
proprio che il senso delle cose si rivela per me, come un appello, un invito all'azione realizzante:
chiaro che solo perch io posso che le cose si scoprono a me nel contesto di questo potere, come ci che ne fa il gioco,
la realizzazione, possibile o impossibile; ma comunque, se l'io che pu si mostra nel suo potere, solo perch le cose
implicano dei richiami alla realizzazione. La datit della cosa e i richiami alla realizzazione sono co-originari. Non avrei
alcuna possibilit se non avessi dei mezzi in vista delle mie possibilit, in vista dei miei fini; vale a dire che senza la mia
azione non potrei scoprirmi io stesso, aprirmi, comprendermi, non pi di quanto le cose potrebbero mostrarsi.

Se Heidegger ha dunque ragione di coniugare strettamente il darsi delle cose (i fenomeni) all'orizzonte
operativo del Dasein, al suo essere il soggetto di una praxis mondana, l'esautorazione della corporeit dal
piano delle strutture ontologico-esistenziali rischia di rendere fenomenologicamente opaco (o addirittura
incomprensibile) proprio il tema della possibilit come modo d'essere del Dasein. infatti per un soggetto
corporeo che le cose si fenomenizzano, appaiono, in una trama complessa di rimandi in cui il Dasein stesso,
nel suo fondo dinamico e progettuale, coinvolto. , ancora, per un io che si coglie come corpo che la libert, nel
senso dell'apertura pratica originaria, possibile e operante: Ogni attivit umana dunque aperta (all'ente e

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al suo essere). aperta proprio in quanto attivit, cio movimento che risponde di se stesso, movimento che
prendo su di me come azione. Il movimento realizzazione di possibilit. La realizzazione delle possibilit
proprie significa la realizzazione di ci che, per natura, solo l'uomo pu essere -- non solamente per se stesso, ma
anche per le cose. [...] La concezione dell'esistenza in quanto movimento implica che l'esistenza essenzialmente
corporea.[45] Il senso mondano e concreto della praxis umana, dalle sue figure pi semplici alle pi complesse,
appare inseparabile da una fenomenologia dell'essere corporeo. Leggendo la finitezza dell'esistenza alla luce della
temporalit e della morte, e non anche dello spazio e della corporeit, Heidegger rimane forse vittima, suo
malgrado, della dicotomia cartesiana tra res cogitans e res extensa: ne deriva una lacuna fenomenologica
profonda che Patoka cerca di colmare. Non dunque sorprendente che una fenomenologia del corpo proprio
debba ritornare a Husserl, il quale, a differenza di Heidegger, ha lungamente meditato sulla corporeit o
incarnazione dell'ego, muovendo dalla distinzione fenomenologica fondamentale tra Krper e Leib
incorporata nella lingua tedesca (corpo fisico-cosale, da un lato, corpo vivente-soggettivo, dall'altro). Si tratta
infatti di de-formalizzare il movimento esistenziale del Dasein mostrandone la tessitura corporea: il suo essere,
necessariamente, il movimento di un Leib-Dasein, di un esserci incarnato. La libert dell'io nel campo di
apparizione infatti possibile (e pensabile) solo come libert di un soggetto corporeo: In questo senso, l'essere
libero, l'io libero essenzialmente corporeo. La corporeit originaria che riguarda un essere libero capace di dire
io, di chiamarsi soggetto, dunque la corporeit soggettiva.[46]
Patoka sottolinea ripetutamente, con accenti descrittivi sempre nuovi, questo carattere corporeo del movimento
dell'esistenza, approfondendo e radicalizzando in senso fondamental-ontologico le minuziose (e spesso
illuminanti) analisi husserliane della Leiblichkeit. Come in Husserl, nella fenomenologia patokiana del corpo
proprio agisce anche una volont di recupero degli strati originari della vita soggettiva, nel suo fungere
percettivo, precategoriale e prescientifico; tuttavia, fin dall'inizio l'ottica di fondo non gnoseologica, ma
esistenziale, e gli stessi dati fenomenologici acquistano perci una diversa valenza. Nelle Lezioni sulla
corporeit, dialogando con Husserl, Patoka inserisce immediatamente (senza isolare astrattivamente un io puro
come soggetto trascendentale dei vissuti e porsi, poi, il problema di dotare questo ego di un corpo) la
corporeit nel s, come una sua componente originaria, globale e irrinunciabile per esplicarne,
fenomenologicamente, la vita, la struttura concreta di esperienza:
L'ego nella struttura ego cogito cogitatum non altro che un termine che esprime in maniera implicativa, globale, l'essere
proprio [il s] in funzione e corporeo. In questa coscienza di s implicativa, pre-riflessiva, l'unit della visione e dell'azione
compiuta un nesso originario, che precede tutte le connessioni empiriche. Non si pu sostenere che sia solo l'esperienza
ad insegnarci che l'io che percepisce lo stesso che si muove e agisce. Se fosse questo il caso, quale sarebbe l'unit alla base
dell'esperienza che pur sempre la mia esperienza? Ci significa che l'io non una rappresentazione puramente formale;
non semplicemente, esclusivamente la base di tutte le condizioni di possibilit dell'esperienza; esso piuttosto un
orizzonte suscettibile di esplicazione, potendo ricevere un'esplicazione di cui la corporeit fa parte in maniera inseparabile,
fondamentale.

L'unit esistenziale dell'io, ci che rende sempre possibile parlare della mia esperienza del mondo e delle cose (la
soggettivit del campo esperienziale in Husserl, l'esser-sempre-mio dell'orizzonte della possibilit in
Heidegger), poggia su una sintesi originaria di visione e azione, su una forza rivelativa che precede la stessa
connessione dei dati d'esperienza e che esprime, gi a livello pre-riflessivo, la dinamica di un essere corporeo. Il
movimento del corpo non soltanto il fondamento dell'agire nel mondo, dell'attivit dell'io, del potere che l'io
esercita su se stesso e sulle cose; anche, specularmente, la condizione della manifestazione delle cose come
unit sintetiche, come oggetti di percezione, nella loro autonoma configurazione fenomenica e indipendenza
dalla soggettivit che li esperisce. stato Husserl a connettere il corpo proprio come organo del movimento
(Bewegungsorgan) alla vita percettiva e alla costituzione di stabili unit di senso nel decorso fenomenico,[47] per
cui si danno oggetti (le cose della percezione) prima del pensiero e del giudizio. Sotto questo aspetto, il corpomovimento ha una funzione oggettivante nella sfera dell'apparizione, mantiene l'io costantemente ancorato
alla realt, all'effettivit solida del mondo esterno: Il movimento sembra quindi essere il punto necessario alla
vita soggettiva finita per sviluppare, partendo da l, tutte le sue operazioni pi soggettive, per dispiegare la sua
distanza rispetto al mondo, senza tuttavia perdersi in questo scarto. Con il movimento soggettivo, siamo
saldamente ancorati nella realt effettiva.[48]
Patoka riprende quindi senz'altro da Husserl questo primato fenomenologico dell'Ich kann (corporeo) sull'Ich
denke (rappresentativo): la soggettivit formale kantiana, che fa astrazione dal corpo, dalla carne
dell'esistenza, non riesce a cogliere l'unit reale dell'esperienza dell'io (o dell'io come esperienza). Il nostro
inserimento o radicamento nel mondo avviene originariamente in virt del corpo proprio:
Il fondamento delle sintesi d'esperienza non un io trascendentale, ma la soggettivit incarnata. Noi non siamo
originariamente inseriti nel mondo per le nostre operazioni di pensiero, ma per il corpo proprio, pi precisamente in
quanto corpo soggettivo che non si risolve mai nella riflessione. il corpo che opera le sintesi d'esperienza, innanzitutto in
virt della sua facolt di movimento proprio. Il potersi-muovere inseparabile dalle sue operazioni oggettivanti, poich
questa facolt motoria che gli d la libert per le cose, la possibilit di vedere attraverso, al di l dei limiti della sua
situazione e della sua posizione momentanee, di vivere nelle prospettive senza per questo dissolversi in esse -- di
procurarsi, con il suo movimento, una certa stabilit.

Ma se Husserl concretizza l'ego trascendentale, la sua de-formalizzazione dell'io non ancora completa, nella
misura in cui, secondo Patoka, occorre sostituire l'io trascendentale fenomenologico con un soggetto dinamico
totalmente appartenente al mondo e, come tale, finito.[49] Ciononostante, il contributo husserliano a una
fenomenologia dell'esistenza corporea rimane prezioso sotto molti aspetti e permette di rettificare, almeno
parzialmente, l'approccio troppo formale di Heidegger all'analisi ontologico-esistenziale.[50]

5. Soggettivit corporea e finitezza esistenziale.


Vediamo pi da vicino il modo in cui la corporeit articola la finitezza dell'io come esistenza. Innanzitutto, il
corpo soggettivo non soltanto il movimento della libert dell'io nel campo fenomenico, ma , nello stesso
tempo, l'espressione della passivit originaria che aderisce all'essere-nel-mondo. Se le possibilit esistenziali si
aprono ad un essere corporeo (in quanto movimento), la corporeit non una dimensione che liberamente
scegliamo, bens il nostro modo di appartenere al mondo, l'essere che gi sempre siamo, la possibilit che si
gi sempre realizzata, ci che dobbiamo essere per avere delle possibilit (libere). Trattandosi di una
determinazione ontologica essenziale, la corporeit non pu essere scelta o revocata, ma semplicemente assunta,
portata o sopportata dall'io, che in essa e con essa compie il suo movimento nell'apparizione, cio esiste.
Scrive Patoka: Il corpo esistenzialmente l'insieme delle possibilit che non scegliamo, ma in cui siamo
inseriti, possibilit rispetto alle quali non siamo liberi, ma che dobbiamo essere. Questo non significa che non
abbiano il carattere dell'esistenza, cio di ci che mi imposto nella sua unicit e che devo assumere e realizzare.
Ma soltanto sul loro fondamento che si aprono le possibilit libere.[51]

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Heidegger aveva parlato di essere gettato (Geworfenheit) e di situazione emotiva (Befindlichkeit),[52] per
marcare questo carattere passivo e irreversibile dell'essere-nel-mondo, una fatticit che precede e rende possibile
ogni libert: l'io umano non inizia da s, non fondamento di se stesso (assoluto), le sue possibilit si
disegnano su uno sfondo di passivit indisponibile. Patoka individua per il limite di queste nozioni
heideggeriane proprio nella loro assenza di riferimento alla sfera corporea, che le rende fenomenologicamente
indeterminate o, comunque, formali. Ma il doppio profilo della possibilit nell'esistenza, che distingue le
possibilit che posso solo assumere e le possibilit che posso invece scegliere, si salda attraverso lo schema
ontologico della corporeit: Questo legame assicurato, ci sembra, dalla corporeit della vita -- ci che io posso
fare dato da ci che mi rende possibile l'azione in generale, ed la mia corporeit che qui devo assumere prima
di tutte le possibilit libere. [...] L'azione prende da qui le figure concrete della cura in un certo contesto storico
fattuale all'interno del quale si scoprono in seguito le possibilit del compito proprio, liberamente ravvisato e
scelto.[53]
Se, per Heidegger, la struttura esistenziale fondamentale del Dasein, come ente al quale importa del proprio
essere, la cura (Sorge), e ci imprime all'esistenza umana una forma dinamica che rompe definitivamente con il
principio dell'essenza-sostanza, il prendersi cura di s (ovvero la libera assunzione di un compito per
l'esistenza, in una determinata situazione storica) poggia e si chiarisce sulla base della corporeit della vita, della
vita come corporeit. Da questo punto di vista la nozione di possibilit, che Heidegger giustamente pone al
centro del lavoro analitico sull'essere-nel-mondo del Dasein (io sono le mie possibilit), manifesta una
fondamentale oscurit, un principio di indeterminazione che ne lascia sullo sfondo le figure effettive,
soprattutto quando la possibilit (al singolare o al plurale) si stempera nell'orizzonte formale dell'esserein-vista-di. Ecco come Patoka prende chiaramente le distanze da Heidegger, nella messa a fuoco di questo
nodo cruciale della fenomenologia esistenziale:
L'esposizione di Heidegger [nell'analisi della struttura ontologica della cura] porta a credere che le possibilit ancorate nel
mio in vista di che (io esisto in vista del mio essere, cio devo condurre la mia vita, realizzare il mio essere in
possibilit con le quali m'identifico compiendole) mi sarebbero direttamente rivelate dal mio essere in vista di. Ora ci
che voglio compiere in vista del mio essere in realt sempre codeterminato da ci che devo compiere al fine di poter
compiere qualsiasi cosa in generale. Le mie possibilit sono possibilit di esistere al mondo, possibilit di muovermi, di
proteggermi, di abitare, di nutrirmi, di assicurarmi la mia sussistenza e quella dei miei [familiari], di riprodurmi, ecc. e
queste possibilit hanno sempre una figura storicamente variabile ma data, attraverso la quale soltanto io cerco la mia via
e mi metto alla ricerca della mia possibilit propria. La nozione oscura di possibilit, cio di un compito determinato che
in quanto esistenza io posso e devo assumere, comprende al tempo stesso l'in vista di s originario e il mondo. Io sono
all'origine aperto a me stesso non solo come esistenza, ma gi sempre come esistenza al mondo, esistenza corporea, non
avendo qui la corporeit un significato ontico, ma ontologico.

In altri termini, per Patoka l'accento heideggeriano sulla realizzazione di s, un certo pathos dell'autenticit
che percorre alcune sue pagine, la sottolineatura della libert originaria dell'esserci di dare senso al mondo
nella luce (finita) della praxis, pur cogliendo la dimensione essenziale dell'esistenza umana come movimento,
compito, ricerca, rischiano di sottacere (fenomenologicamente parlando) quegli strati di senso e di
radicamento senza cui la stessa libert dell'in-vista-di-s, la possibilit del Dasein di esistere autenticamente
(ma anche l'esistenza inautentica, nelle sue strutture comprensive), non avrebbero una base ontologica. Questi
strati concreti del campo di apparizione, segnalati da Patoka nel passo precedente e fondamentali per
comprendere, nella variabilit delle figure storiche, la continuit della forma di vita umana, hanno a che fare, in
modo originario, con la corporeit dell'essere-nel-mondo. L'intero campo delle mie possibilit si apre in quanto
io non sono semplice e-sistenza (pura trascendenza nel senso dell'in-vista-di), ma esistenza corporea: il mondo
non un progetto della mia libert, al contrario, come essere corporeo che la sfera della possibilit si rivela
immediatamente segnata dal limite (ogni mio poter-essere presuppone un dover-essere, un non poter essere
diversamente). In definitiva, la finitezza esistenziale dell'io su cui Heidegger ha attirato (pre) potentemente lo
sguardo della filosofia pu essere compresa solo riempiendo la trascendenza dell'esserci di contenuti corporei,
incarnandola in strutture e dinamiche della corporeit.[54]
Per Patoka, la critica heideggeriana del soggettivismo (evidente gi nella scelta del termine Dasein in luogo dei
tradizionali, e filosoficamente pi compromessi, soggetto o persona) non stata sufficientemente radicale.
Occorre dunque rifondare l'analitica esistenziale intorno a quel nucleo fenomenologico originario costituito dal
corpo proprio e dal movimento corporeo: La chiarificazione che caratterizza l'esistenza chiarificazione di un
ente corporeo. Certo, ci non significa, non deve in nessun caso significare la reintroduzione di un sostrato
sostanziale che comprometterebbe tutto lo statuto ontologico dell'esistenza. La corporeit sostanziale , dal
punto di vista della conoscenza, il risultato di una tematizzazione secondaria, ma la corporeit deve avere uno
statuto esistenziale primario, che rende possibile la localizzazione tra le cose e l'azione esercitata su di esse, cos
come la ricezione dell'azione esercitata in modo simile da esse.[55] La chiarezza della forma di vita dell'io come
apertura e compito presuppone quindi l'esperienza dell'essere-un-corpo, l'appartenenza a un contesto
ontologico-esistenziale in cui il corpo non un ente semplicemente presente, n uno strumento, ma la vita
stessa della soggettivit in quanto esiste nel mondo. Patoka mette tuttavia in guardia dal pericolo di
risostanzializzare l'io, facendo del corpo l'ypokeimenon, il soggetto-sostrato del movimento. La struttura
dell'esistenza corporea non equivalente al rapporto dinamico tra una res e le sue propriet, funzioni,
operazioni. La stessa profonda, rigorosa concezione dinamica dell'essere di Aristotele, della quale Patoka non
smette di evidenziare l'importanza storica e il valore teoretico,[56] risulta inadeguata a comprendere il
movimento esistenziale in quanto un corporeo essere-nel-mondo; essa resta infatti legata all'idea che il
movimento dell'ente, l'ente come movimento, sia possibile e comprensibile solo se, nel movimento, qualcosa
persiste a mo'di base, sostrato, presupposto (l'ypokeimenon, appunto). Ma, puntualizza Patoka,
il movimento della nostra esistenza non pu essere compreso in questo modo, esso non come il cambiar colore di una
foglia, la caduta di una pietra, lo spostamento di una cosa da un posto all'altro. In questi casi la cosa, la sua unit, il
fondamento e il presupposto del mutamento che ha luogo in essa, della transizione da uno stato all'altro. Per comprendere
il movimento dell'esistenza umana, dobbiamo radicalizzare la concezione aristotelica del movimento. Le possibilit che
fondano il movimento non hanno un portatore preesistente, un referente necessario che sta immobile alla base, ma
piuttosto ogni sintesi, ogni interconnessione dinamica interna compiuta dal movimento stesso, non da un portatore, da
un sostrato, o dalla corporeit intesa oggettivamente. [...] La nostra corporeit, in ogni caso, non funziona come un
sostrato; il corpo, che la base della vita vissuta, non ha il carattere di un'entit oggettiva. corporeit vissuta,
esistenziale.

Nella fenomenologia dinamica, non si tratta dunque di spiegare il divenire della vita umana individuando un polo
stabile e permanente, che per cos dire sostiene il movimento e il mutamento senza esserne toccato, poich
questo schema esplicativo non coglie il proprium dell'esistenza umana, la assimila (ontologicamente) alle cose.
Poco importa che il cogito cartesiano e l'Ich denke kantiano cedano luogo ad un soggetto corporeo e mondano, se,
in questo nuovo quadro, continuiamo a pensare il corpo proprio come il sostrato del movimento vitale (o,
simmetricamente, il movimento come uno stato o un attributo del corpo): cos ricadiamo nella prospettiva

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dualistica che separa l'io dalla sua praxis originaria, il senso della soggettivit dal movimento della sua
realizzazione, la verit dell'uomo dall'essere in vista del proprio essere e dunque dalla responsabilit. Ci che si
perde, in altri termini, la dimensione radicale dell'esistenza, in cui l'essere non un oggetto o un'idea
afferrabile dall'esterno, ma incessantemente e totalmente in gioco nel movimento. Rinunciare alla ricerca del
sostrato, della sostanza che sta al fondo del movimento, significa prendere sul serio l'esigenza di non reificare
l'esistenza, non trasformarla in una res. Non basta quindi corporeizzare l'ego, concretizzarlo, se esso viene
ancora concepito come una sostanza o una sostanza-funzione, e non occorre enfatizzare il movimento
dell'esistenza, se l'esigenza resta quella di renderla comprensibile rintracciando un sostrato; piuttosto, nella
nuova analitica esistenziale auspicata da Patoka corpo, movimento e possibilit devono formare un plesso
ontologico unitario e internamente articolato.
Se il corpo ha uno statuto esistenziale primario, l'esistenza interamente corporea in quanto interamente
dinamica. Il corpo stesso un processo, e non una semplice condizione del movimento. Si dovrebbe allora parlare
di corpo-movimento, per sottolineare una identit sul piano strutturale: la corporeit la dinamica dell'esistenza,
considerata, per cos dire, sub specie corporis, cio nella prospettiva di una sua determinazione ontologica
essenziale (certamente non l'unica). Il corpo-cosa (o corpo-sostanza) invece il frutto di una tematizzazione
secondaria, non originaria, che gode di una sua legittimit ma pu fondarsi e aver senso soltanto nell'orizzonte
dell'esistenza corporea. Ontologicamente il corpo proprio l' (auto) appropriazione dell'esistenza, il movimento
della soggettivit. realizzando le sue possibilit che l'io si realizza come corpo: quest'ultimo non dunque un
frammento di materia biologica, non semplicemente un corpo organico in interazione funzionale con il suo
mondo-ambiente, ma costituisce l'evento generativo dell'uomo come esistenza-nell'apparizione. Patoka
evidenzia come l'essere-in-vista-dell'essere, l'apertura veritativa dell'io in quanto esistenza, sia effettuale
(reale, concreta) esclusivamente in virt della corporeit: La corporeit non un momento empirico che si
potrebbe aggiungere a questo essere in vista dell'essere. Al contrario, l'effettuazione dell'essere che in vista
del suo essere, che effettua la sua vita e vive in anticipo rispetto a se stesso, possibile unicamente grazie alla sua
corporeit.[57] La trascendenza come temporalit e in-futurazione, per cui il Dasein in anticipo rispetto a
s, pro-teso al senso del suo essere nella praxis originaria, non un'evasione spirituale dal mondo: lo spessore
fenomenico ed esistenziale del movimento corporeo a illuminare il senso della temporalit, offrendo una base e
un fondamento all'esistenza.
L'esistenza-nell'apparizione, si diceva, strutturalmente finita. Un aspetto fondamentale di questa finitezza da
cogliere nella caratterizzazione ontologica della soggettivit come bisogno, sulla quale Patoka attira spesso
l'attenzione. Se Husserl aveva giustamente insistito sul Leib come centro di orientamento e punto di
riferimento attivo nella mia relazione con le cose del mondo, va anche considerato che il corpo non un
autonomo potere trascendentale, bens un sistema (dinamico) di bisogni:
Il corpo non solamente un centro attivo, punto di partenza di un'azione, ma anche il fine di una dinamica: ha fame e sete,
vuole aria, luce, movimento ecc. L'azione, che una sorta di uscita dal corpo, vi fa ritorno sotto forma di soddisfazione, ed
nell'opposizione insoddisfazione-soddisfazione che sta la radice del bisogno. Il corpo si trova in uno stato di bisogno
essenzialmente, non in modo contingente. Il corpo esige cure ad ogni istante. Nell'attivit con cui persegue i suoi bisogni,
esso anche costantemente rinviato al suo campo.

Su questo punto, la fenomenologia asoggettiva spinge l'indagine della finitezza pi in profondit rispetto al
soggettivismo husserliano (dove peraltro il fondamento istintivo della vita egologica era gi stato tematizzato),
rivelando il legame radicale dell'io corporeo con il campo di apparizione, la sua dipendenza da ci che appare,
nella prospettiva del bisogno. L'io , essenzialmente, un essere bisognoso: ma nel corpo e attraverso il corpo che
si stringe il nesso dinamico tra la tensione del bisogno e la sua (sempre provvisoria) risoluzione, tra la forza
centrifuga dell'insoddisfazione che muove l'io fuori di s, verso gli elementi e le cose del mondo, e il suo ritorno
a s, nella soddisfazione che la fonte dell'apparire gli offre e, sempre di nuovo, pu offrirgli. Gli elementi o le
forze del campo di apparizione sono ci che consente all'io di vivere e mantenersi (esistenzialmente)
nell'orizzonte fenomenico, e nella concreta dinamica del bisogno la soggettivit si sa tagliata dalla stessa stoffa
del mondo, da cui oggettivamente dipende per la sua esistenza. Il corpo emerge qui come nodo o evento di una
trascendenza-immanenza che tutta interna al piano (asoggettivo) dell'apparizione.
Con il linguaggio di Husserl, si potrebbe scorgere nella struttura di bisogno della soggettivit una sorta di
intenzionalit originaria dell'essere corporeo, che corrisponde a un vuoto e a un'esigenza molteplice di
riempimento, anche nel senso pi elementare, fisiologico del termine: la fame, la sete, il respiro, il bisogno di luce
ecc. L'io strutturato come sistema di bisogni differenziati e organicamente interconnessi, in una dialettica
polare sempre aperta di soddisfazione-insoddisfazione che costituisce la sua peculiare unit di vivente. Questo
dato fenomenologico elementare e quasi banale, si carica filosoficamente di una valenza pi pregnante se letto
come prima radice della finitezza dell'essere-nel-mondo. La cura dell'essere-in-vista-di-se-stesso che
Heidegger ha posto al centro dell'analitica esistenziale, come modo di essere del Dasein, affonda nella
costituzione bisognosa dell'essere corporeo: il corpo ontologicamente in stato di bisogno ed esige in ogni
istante quelle cure che, sole, lo mantengono in vita o, detto altrimenti, in movimento. La temporalit dell'io, oltre
che coscienza interna del tempo (Husserl), un'ex-stasis ontologica scandita da molteplici bisogni; ma
l'articolazione temporale della vita soggettiva un prendersi cura (e ancor prima, un ricevere cura
dall'altro)[58] che risponde, per cos dire, alle estasi della corporeit. Quest'ultima essenzialmente rinviata,
tramite la base istintiva e i canali sensoriali, al campo di apparizione come orizzonte della sua soddisfazione
sempre di nuovo da conquistare: placare la fame, estinguere la sete, ripararsi dal freddo, godere della luce e
dell'aria ecc. L'odissea dell'io nella sfera fenomenica caratterizzata, al livello pi basso e quotidiano, dalla
cura del corpo, intesa come quell'attivit fondamentale e multiforme che ha di mira la soddisfazione dei bisogni
corporei. Se, per mezzo del corpo, siamo in grado di modificare e trasformare la realt, inserendoci attivamente
nel flusso materiale delle cose, il movimento della vita sarebbe assolutamente cieco e votato al fallimento se il
corpo non orientasse l'io rivelandogli i suoi bisogni primari, cosicch la vita assume immediatamente come
scopo se stessa prima di qualsiasi sapere tematico e riflesso: Unicamente per mezzo del corpo, di un corpo che
siamo in grado di governare direttamente -- possiamo essere attivi nel mondo e partecipare realmente ai processi
di modificazione delle cose che vi si svolgono. Ma la corporeit orientamento anche in un altro senso: con i suoi
bisogni il corpo fa s che la vita assuma per scopo se stessa e che le oggettivit le servano come mezzi a questo
scopo.[59]
Il movimento della vita umana, la sua autoconservazione e riproduzione nella sfera delle attivit finalizzate,
del lavoro, della cooperazione, ha un senso solo dentro l'orizzonte della corporeit e risulta incomprensibile al di
fuori di esso. Certo, non pu ancora essere questa la cura di s nel significato esistenziale profondo, che ha
implicazioni notevolmente pi complesse e ravvisa una totalit di senso rispetto alla quale l'identit
bio-funzionale dell'essere corporeo una semplice premessa e condizione. Ma, gi esaminando la nuda vitalit
del soggetto, il bisogno non un dato che afferisce alla biologia o alla psicologia; dietro la pluralit dei bisogni si
addensa il nucleo originario della finitezza umana, ed ci che l'analisi fenomenologica deve cogliere
preliminarmente. Nel bisogno la libert dell'uomo si scopre finita:

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Nella sua forma quotidiana, la libert libert nell'ambito del ritorno periodico e della soddisfazione dei bisogni. Ma al di
l della soddisfazione che si riproduce a intervalli regolari, c' un bisogno fondamentale di un essere corporeo. La
dipendenza permanente, invincibile, dell'essere corporeo non un sapere oggettivo, ma una pulsione primordiale, un non
poter essere senza.... Dietro il bisogno c' la finitezza dell'esistenza corporea. La libert essenzialmente corporea; in
quanto corporea essenzialmente soggetta al bisogno; in quanto soggetta al bisogno essenzialmente finita e mortale. La
finitezza dell'essere corporeo cos implicata in ogni movimento, per quanto insignificante questo possa apparire.

La libert si attua su uno sfondo di dipendenza radicale, dentro un vincolo permanente e insuperabile, che
tuttavia non le prescritto dall'esterno, ma che essa stessa (nel suo accadere), e non altro che la sua
corporeit, in quanto bisognosa. Il non poter essere senza..., questa pulsione primordiale che marca la
condizione umana, il contrassegno della finitezza corporea. Nel passo precedente Patoka racchiude in poche
battute il complesso gioco di rimandi che lega tra loro alcune delle parole-chiave del lessico fenomenologicoesistenziale: libert, corporeit, bisogno, finitezza, mortalit. Nel confronto con la costellazione heideggeriana
della finitezza, questa radice corporea della cura non va mai dimenticata: la finitezza come mortalit o essereper-la-morte non forse la destinazione dell'essere-un-corpo, il senso inevitabile della sua dinamica
esistenziale? N occorre, almeno all'inizio, contrapporre astrattamente alla cura del corpo la cura dell'anima (il
grande tema della filosofia europea),[60] come se l'esistenza umana non fosse movimento corporeo anche quando
si muove e si articola nella dimensione della verit del s (come anima o spirito). Anche da questo lato la
fenomenologia esistenziale di Patoka si rivela una fenomenologia von unten proprio perch l'asoggettivit che
ne costituisce il filo conduttore metodologico essenzialmente la messa in scena, nella pluralit e ricchezza dei
suoi aspetti, del movimento esistenziale corporeo.

6. L'esistenza e lo spazio: la proto-struttura personale e l'esperienza come


interpellazione.
Ma per approfondire il modo in cui la prospettiva asoggettiva della fenomenologia patokiana si salda
strettamente ad una riscoperta dell'io come esistenza corporea, dobbiamo accostarci al tema della spazialit
originaria. Alla problematica dello spazio Patoka ha dedicato una riflessione intensa e articolata, mirando
innanzitutto a recuperarne pienamente il valore filosofico-esistenziale, contro la pretesa della scienza di ridurlo a
formalit oggettivo-matematica, ma anche prendendo le distanze da talune metafisiche dello spazio (ad
esempio quella bergsoniana). La lezione di Husserl sulla percezione dello spazio (Raumwahrnehmung),
sull'esperienza percettiva concreta delle relazioni spaziali,[61] che precede la loro categorizzazione scientifica,
viene rimodulata tramite un'accentuazione della dimensione ontologica. Per Patoka la spazialit ,
originariamente, un modo d'essere dell'io, una forma del dispiegarsi della vita soggettiva:
La coscienza che siamo nello spazio, nei contesti dell'estensione, assume una struttura specifica che non ha nulla in
comune con l'estensione oggettiva nello spazio (partes extra partes). C' una differenza fondamentale tra essere nello
spazio come una parte di esso, accanto ad altre cose, e vivere spazialmente, nella consapevolezza di essere nello spazio, in
relazione con lo spazio. [...] la spazialit vissuta del nostro corpo non pu consistere nelle sue relazioni oggettivamente
geometriche in quanto cosa. Il nostro corpo una vita che spaziale in se stessa e da se stessa, producendo la sua
localizzazione nello spazio e rendendosi spaziale [spazializzandosi].

La distinctio phaenomenologica tra essere nello spazio (come una sua parte) ed esistere spazialmente ci offre
il punto di partenza per comprendere il ruolo chiave del corpo nella rivelazione del senso pi profondo della
spazialit. Mentre la cosa semplicemente nello spazio, accanto ad altre cose nel dominio dell'estensione
oggettiva, l'io spaziale in quanto vive spazialmente; il movimento dell'esistenza ha una relazione intima e
originaria con lo spazio, nel senso che dalla sorgente ontologicamente spaziale del soggetto che scaturisce il suo
rapporto concreto e quotidiano con le cose nello spazio (nell'orizzonte aperto del mondo). Le geometria
oggettiva del mondo esterno una costruzione formale che presuppone, come base di senso, lo spazio vissuto
della soggettivit incarnata, il contesto operativo del corpo proprio come punto-zero dell'orientamento, come
gi Husserl aveva mostrato nella sue analisi genetiche. Ma ci non significa soggettivizzare lo spazio, n
trascendentalmente facendone una universale struttura ricettiva, n, tanto meno, empiricamente considerandolo
un precipitato delle percezioni. Anche qui, occorre spezzare il cerchio della gnoseologia per afferrare il carattere
onto-fenomenologico della spazialit. Il nostro corpo, scrive Patoka, vita spaziale in se stessa e da se stessa:
in quanto corporei che siamo spaziali e in costante rapporto con lo spazio, compiendo il nostro movimento nella
sfera fenomenica.
Corpo e spazio si intrecciano strutturalmente in ogni figura e modalit del movimento: le forme elementari della
prossimit e della distanza, le coordinate del mondo-ambiente (destra-sinistra, alto-basso ecc.), la
grammatica originaria del nostro orientarci nel mondo, trovano nella corporeit il loro campo di emergenza e
di giustificazione. L'io come persona, ovvero quell'essere peculiare che capace di riferirsi a s, di auto-relazione,
non concepibile senza una relazione con altro, una localizzazione: L'auto-relazione implica il corpo soggettivo
in quanto una delle sue funzioni di base determinare che noi siamo da qualche parte e dove siamo. Ci non pu
essere compiuto da un io puramente mentale/spirituale -- un tale io non pu essere da qualche parte.[62] Non
solo, quindi, il soggetto dell'autoriferimento non pu essere una mente disincarnata o uno spirito puro; ma il
corpo vivente proprio, nella sua fenomenicit originaria, non pu essere un corpo oggettivo, una cosa tra le
altre cose nello spazio, poich il contatto esperienziale con le cose (spaziali) si fonda sulla spazializzazione
corporea, sull'esistenza come spazialit.
Si tratta allora di riconoscere che l'alternativa tra soggettivit e oggettivit non appare in grado di chiarire il
senso asoggettivo dell'esistenza corporea dell'io nel campo di apparizione. Ma proprio l'analisi della spazialit
che ci d un contributo decisivo in questa direzione, mostrandoci al tempo stesso la connessione con la
dimensione intersoggettiva del movimento esistenziale e svelando altre linee strutturali della finitezza del
soggetto. Nell'importante scritto del 1960, Lo spazio e la sua problematica, Patoka, oltre a tracciare
sinteticamente una storia genetica del concetto di spazio secondo uno spirito non difforme da quello che aveva
animato Husserl nelle sue riflessioni su L'origine della geometria, individua le radici fenomenologiche di questo
concetto nella struttura dell'essere-nel-mondo, nel suo modo di essere spaziale. La prima forma di spazialit
dell'io un esistenziale e pre-geometrico essere-in, un dentro originario che corrisponde a una sorta di
principium individuationis: quella relazione tramite la quale il soggetto, individuandosi, si separa dagli altri
enti solo per (ri) entrare e integrarsi nella totalit dell'ente (mondo, universo). Il soggetto, considerato nella sua
genesi, questo movimento vitale del rapportarsi ad altro, dislocandosi nell'orizzonte dell'apparizione.
La dis-locazione la proto-spazializzazione dell'essere-nel-mondo: ci che realizza l'inscrizione in una
totalit, l'appartenenza a un contesto globale.[63] Ma, cos declinato, l'essere-in primordiale non pu costituire
una posizione spaziale oggettiva, un luogo univocamente determinato e inconfondibile (come il punto di un
sistema geometrico): il dentro originario anche, essenzialmente, un fuori, tutto insieme e nella stessa
misura dentro e fuori. Non si tratta dunque di una localizzazione esatta, di un tracciamento rigoroso di confini e
distanze:

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il dentro di un universo che conosce differenze pi intensive che estensive; un dentro commistione di s nelle cose e
delle cose in se stessi piuttosto che una delimitazione precisa dello spazio occupato da questo o quello. In breve, il
dentro originario non una relazione puramente e semplicemente esterna, geometrica. ci che dirige tutti i nostri
rapporti con le realt marcando ci che sar per noi vicino o lontano. Contiene gi una comprensione preliminare degli
enti che ci interpellano e con i quali ci comprendiamo. Se chiamiamo mondo della nostra vita lo schema generale di
tutto ci che, nel nostro ambiente, pu interpellarci, di tutto ci che compie una funzione nel progetto della nostra vita (in
quanto mezzo, membro di una serie di mezzi, fine momentaneo o durevole) in virt della quale lo comprendiamo, l'in o
il dentro originario significa nel mondo, al mondo. la disposizione originaria e la disponibilit per ci con cui
entriamo in contatto.

Questa disposizione originaria al contatto, in virt della quale gli enti ci interpellano e ci riguardano, in una
comprensione preliminare non tematica, secondo relazioni qualitative di prossimit e distanza, non altro che la
nostra apertura al mondo. Ogni successivo e pi preciso ordinamento spaziale dell'esperienza prende le mosse da
qui, dal terreno mobile della Lebenswelt, dalla spazialit del quotidiano commercium con gli enti nel mondo. Se
dunque lo spazio della geometria o della fisica, qualunque fisionomia assuma, rappresenta il prodotto di una
idealizzazione, lo spazio del vissuto , innanzitutto, quella trama relazionale che ci rivela le cose come
significative (in diversi gradi e modalit) in relazione alle possibilit del movimento corporeo. l'apertura
ontologica al mondo come piano della manifestazione (o, nell'accezione forse pi concreta, mondo della vita) a
costituire originariamente, per noi, il senso dello spazio.[64]
Ma vediamo meglio come si articola, al suo interno, la spazialit originaria del campo di apparizione e quali
conseguenze rilevanti ne derivano per l'analisi fenomenologica della soggettivit (e intersoggettivit) corporea.
Nei suoi testi Patoka menziona a pi riprese una struttura personale primordiale (io-tu-esso) che plasma
l'esperienza dell'io, una sorta di trascendentale del riferimento. Questa struttura, che ha il suo luogo naturale
di esercizio nella sfera linguistica e discorsiva (la funzione dei pronomi personali), risulta, a un'indagine pi
attenta, necessariamente implicata anche nella comprensione della nostra sensibilit e corporeit. Abbiamo
incrociato, in queste pagine, il carattere interpellante dell'essere-nel-mondo, emerso in prima battuta come un
essere appellati dai fenomeni del campo di apparizione, dai suoi centri di significato e dalle sue linee di
forza, il che conferisce al nostro movimento nell'apparizione una forma responsiva: il movimento
dell'esistenza, come essere-nel-mondo, un originario, costante e pluridimensionale rapporto con l'altro e con
altri. Ci apre del tutto chiaramente alla relazione intersoggettiva, cio al contatto con altre persone, altre
soggettivit, al cui prendersi cura si deve, come vedremo, il radicarsi stesso dell'individuo nel mondo. Ma
l'interpellazione una struttura universale e non concerne soltanto la comunicazione (linguistica o
pre-linguistica) con un altro ego, anche se quest'ultima ne rappresenta certamente lo strato fenomenologico pi
evidente e pi ricco di senso. Patoka la coglie innanzitutto esplicitando il senso esistenziale di dentro che
caratterizza il Dasein e identificandola addirittura con la legge fondamentale dell'esperienza:
La proto-struttura io-tu-esso un carattere originario di ogni dentro, ci che ci gi sempre familiare nello svolgimento
di ogni esperienza, quale che sia: la forma primordiale di ogni esperienza. Il pronome personale non qualcosa di derivato,
che sostituisce i nomi (e le cose). , al contrario, pi originario di tutti i nomi e di tutte le cose. La legge del pronome
personale la legge primordiale dell'esperienza che appare quindi come interpellazione; l'interpellazione non una
semplice metafora, ma l'essenza stessa dell'esperienza. L'io e il tu sono le forme originarie della prossimit; l'esso la
forma dell'allontanamento o della distanza.

Fenomenologicamente, Patoka pone l'accento sull'originariet del pronome personale nella strutturazione del
campo di apparizione: nella grammatica dell'esperienza, i pronomi (ossia le funzioni personali, i riferimenti alle
persone) non sono sostituti o surrogati dei nomi (e delle cose che i nomi rappresentano), ma vengono prima,
hanno una priorit rivelativa, aprendo quello spazio relazionale e dinamico in cui soltanto le cose (e i nomi che
linguisticamente le esprimono) possono costituirsi come unit di senso. Io, tu, esso sono le parole-matrici, le
forme originarie in cui si articola il linguaggio dell'esperienza. Ma non si tratta solo di espressione linguistica: le
cose dell'esperienza sono gi sempre immerse in questa atmosfera inter-soggettiva e i modi stessi della loro
manifestazione, del loro apparire, sono personalizzati, contengono cio un rimando strutturale (un appello)
ai soggetti come persone. L'interpellazione, al di l dell'ovvio senso di una relazione comunicativa tra due soggetti
concreti che si rivolgono la parola (io e tu), qualcosa di assai pi profondo di una metafora: il mondo
essenzialmente un campo pronominale e ogni esperienza (fenomenica) che ha luogo nel mondo possiede questo
tratto costitutivo interpellante. L'esperienza umana interpellazione in quanto la proto-struttura io-tu-esso
risulta inseparabile dal senso ontologico dell'essere-nel-mondo.
Come abbiamo letto, Patoka distingue l'io e il tu come forme originarie della prossimit, l'esso come
forma dell'allontanamento o della distanza. In tale ottica, lo spazio primordiale l'articolarsi dell'esperienza in
rapporti di prossimit e distanza, secondo varie sfumature semantiche e differenti gradi di intensit. I pronomi
personali, compresi esistenzialmente, non sono enti gi definiti che entrano in relazione tra loro, in un contesto
neutro; al contrario, ogni relazione tra enti, ogni posizione di una cosa all'interno del piano di apparizione
presuppone il gioco spaziale-dinamico dei pronomi. Io, tu, esso formano quindi dimensioni dell'apparire
tra le quali si instaura una complessa dinamica di rapporti, rimandi, scambi, stratificazioni, secondo la ricchezza
manifestativa del mondo della vita. Senza approfondire questo nucleo tematico, che meriterebbe un'indagine pi
puntuale, vediamo come esso contribuisca in modo decisivo a ridescrivere asoggettivamente l'esserenel-mondo. Il dentro, l'essere-situati, contrassegno della dipendenza e finitezza della condizione umana,
appare innanzitutto caratterizzato dall'oscillazione dell''io e del tu: nonostante la visione dell'idealismo e del
soggettivismo moderni, sul piano della manifestazione il tu pi originario dell'io (che inizialmente resta
nascosto e indeterminato) ed il lato esperienziale che emerge per primo, offrendo un punto di riferimento
relativamente stabile nell'orizzonte mobile e ancora indistinto dell'apparizione (possiamo pensare, a titolo di
semplice esempio, alla familiarit della voce materna per il bambino). La finitezza esistenziale dell'io appare qui,
molto chiaramente, come bisogno dell'altro, esigenza di appoggio e radicamento in un tu:
L'io semplicemente co-dato, come ci a cui il tu dato. L'io dunque, per essenza, indeterminato per s stesso, mentre il
tu gli appare nelle determinazioni, le propriet, le relazioni e i momenti affatto chiari e oggettivi, perch esposte allo
sguardo. Il soggetto attivo del vissuto essenzialmente indefinito, nascosto ai propri occhi. Ci che egli riceve in primo
luogo dall'oggetto, dall'altro, il minimo di determinatezza propria senza la quale non avrebbe il sentimento di essere
integrato nel complesso omogeneo della realt.

Il tu quell'altro di cui abbiamo bisogno per orientarci nel mondo e mettervi radici, in tutte le sue figure
possibili. Ma, pi in generale, esso corrisponde a tutto ci che sta di fronte e mi interpella, nella prospettiva del
senso (non ancora dell'oggetto nell'accezione pi rigorosa del termine), lungo il continuum di una gamma
emotiva che muove dall'intimit e familiarit assolute fino all'estraneit e all'opposizione pi estreme. Patoka
infatti rileva come l'originaria relazione io-tu assuma la forma di una polarit attrattiva o repulsiva, di un
movimento marcato affettivamente: Il rapporto tra l'io e il tu di attrazione e repulsione, in ogni caso di

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direzione -- indice della possibilit che la prossimit ha di aumentare o diminuire. La prossimit aumenta fino al
punto che il tu sia per me pienamente se stesso [ci che ] -- una rosa pienamente una rosa, e non un semplice
fiore nel paesaggio-ambiente; un individuo qualunque una persona ben conosciuta, o anche un'apparizione
sorprendente, nuova, che si impone, ecc. .[65] Il tu, cos inteso, non l'alter ego, o il suo volto: l'intero
spettro fenomenologico della prossimit con cui gli enti emergono dal campo di apparizione, nella loro vivente
forza semantica. Viceversa, un altro io, una persona in carne e ossa, pu essere da me esperita nella forma
dell'esso, della distanza, del lontano o indifferente, di ci che sta sullo sfondo e non ha rilievo (anche questo
secondo gradi diversi). L'esso la terza persona originaria.
C', chiaramente, una transitivit che permette, nell'esperienza delle cose, il passaggio dal tu all'esso: ad
esempio, la rosa ricevuta dal proprio innamorato pu (ri) diventare un fiore qualsiasi dell'ambiente esterno, una
cosa tra le cose, un esso che lascia a distanza. Tra il tu e l'esso si d dunque passaggio e scambio. Questa
reversibilit sembrerebbe invece del tutto esclusa nel caso dell'io e del tu: come potrei traspormi nella forma
del tu, annullare d'un colpo la differenza che ogni prossimit, anche la pi radicale, presuppone? Patoka
individua in questa disparit assoluta, apparentemente insormontabile, l'archetipo di ogni soggettivismo. Il
primato dell'io (gnoseologico, fenomenologico o funzionalistico) che tanta parte ha avuto nella costruzione del
discorso filosofico della modernit ricava una quota consistente della sua legittimit da questa asimmetria
originaria dei pronomi personali che articolano il senso della prossimit (l'io e il tu). Nella sfera primordiale
del vissuto, infatti, l'io non appare come un elemento del campo fenomenico: presente ma per se stesso
invisibile, suscitato solo dalle linee di forza del campo, dalle figure molteplici del tu. A questo livello, si
nasconde nelle azioni, nei comportamenti pratici, al punto che la sua estrazione dal flusso d'esperienza
richiede un movimento controcorrente (quella che lo stesso Husserl chiamava riflessione). L'io si configura qui
come un vedere che non viene visto, uno sguardo puro sul mondo: , come direbbe Husserl (ma vi si pu
ritrovare la traiettoria teoretica dell'idealismo moderno, nelle sue varianti), un soggetto-per-il-mondo che non ,
al tempo stesso, un soggetto-nel-mondo.
L'io diventa cos uno spettatore dello spettacolo del mondo (e di se stesso come io empirico, parte rilevante
dello spettacolo): la soggettivit trascendentale, il soggetto come (auto) fondamento, come gesto della
separazione dal mondo in vista della sua vera fondazione (da Descartes a Husserl) prende origine da questo
ritirarsi dello sguardo (originario) dall'apparizione, per lasciare apparire gli enti; la riduzione fenomenologica
non significa altro che la (ri) conquista di uno sguardo puro, non mondano, sul mondo delle cose. Ora, nota
Patoka, questa ottica cos autorevole e feconda di sviluppi funziona solo al prezzo di cancellare, a favore
dell'originariet dell'io, l'originariet del dentro, la spazialit entro la quale la stessa relazione dell'io con il
tu (e con l'esso) ha luogo. Lo sguardo puro uno sguardo senza spazio, da nessun luogo. Inaugura un soggetto
di fronte al mondo che, tuttavia, non pu rientrare nel mondo, farne parte, proprio perch le linee prospettiche
del mondo, le sue dimensioni inclusive (spazializzanti), non lo toccano realmente:
Visto cos, l'io non nel mondo ma di fronte al mondo, davanti a una prospettiva e al di fuori di essa. Affinch il soggetto
sia effettivamente nel mondo, e non soltanto di fronte al mondo, gli esseri devono essere realmente, essenzialmente,
intercambiabili, anche se le loro funzioni non lo sono. Solo una tale intercambiabilit di principio, in virt della quale l'io
non semplicemente il soggetto puro dell'appercezione, pu far s che l'io sia al tempo stesso cosa tra le cose, che sia
dentro come tutto il resto.

Husserl, nella Krisis, parlava dell'io assolutamente unico e fungente, dell'io originario (Ur-ich), ovvero lo
strato pi profondo della vita trascendental-soggettiva, come di una soggettivit essenzialmente indeclinabile.[66]
L'Ur-ich , in un certo senso, un io che opera esclusivamente al nominativo, una prima persona assoluta, che
non dunque una persona-nel-mondo e per la quale quale non avrebbe senso ammettere una pluralit, se non
per un mero fraintendimento. Certo, lo stesso Husserl ben consapevole che questo io originario, che nella sua
funzione ultima di centro di un flusso temporale di esperienza non pu mai diventare un tu, anche, per
ragioni di principio, strutturalmente identico all'io personale, che ha un corpo e un luogo nel mondo.[67] Ed
ascrivibile a Husserl (allo Husserl della fenomenologia soggettiva) la trasformazione concettuale e
metodologica dell'astratto ego trascendentale della tradizione in una intersoggettivit monadologica, per la
prima volta resa accessibile analiticamente nelle sue dimensioni costitutive pi concrete (dalla temporalit alla
percezione, dalla corporeit alla generativit, ecc.).[68] Ma resta il fatto che, fino all'ultimo, Husserl ha difeso con
tenacia (programmaticamente se non negli esiti effettivi delle sue indagini, che portano spesso in altre direzioni)
la prospettiva di un soggetto non mondano, che certo costituisce il mondo e vi si installa, ma, almeno a qualche
livello, non gli appartiene: una soggettivit che si coglie (e non pu non cogliersi) anche come io dentro il mondo
(in quanto corporeo-spaziale), ma che, almeno nella finzione metodologica dell'epoch trascendentale, dal
mondo pu considerarsi assol (u) ta, svincolata. Cos possiamo riannodare il filo della riflessione patokiana
sulla svolta asoggettiva della fenomenologia, cogliendone altri aspetti originali e, comunque, degni di discussione
e di approfondimento.
Torniamo al testo precedente: ci che immette il soggetto pienamente nel mondo, esonerandolo dal ruolo di
spettatore disinteressato, la prospettiva dell'intercambiabilit degli enti. Essa affiora, in modo abbastanza
naturale, elaborando ulteriormente la struttura dell'interpellazione e il dinamismo intrinseco dei pronomi.
evidente che non posso trasferirmi direttamente nel tu (in un tu qualsiasi) abbandonare la mia singolarit di
persona unica e inconfondibile (un io, appunto), n avrebbe senso. Ma, se il passaggio dall'io al tu, cos
concepito, per me impossibile, non lo quello inverso, che conduce dal tu all'io, nel senso che il mio io pu
essermi dato, in una peculiare tipologia di esperienza, nella forma del tu (e quindi anche nella forma dell'esso).
Pur rimanendo sempre, in quanto io, nella prospettiva della prima persona, dalla quale non posso realiter
uscire, se non dissolvendo la struttura stessa della mia esperienza, esiste altrettanto incontestabilmente una
datit del mio io alla seconda (e alla terza) persona. Questa dualit dell'io, che ben diversa dalla classica
differenza tra io trascendentale e io empirico, si fonda e si rende comprensibile unicamente sul terreno della
corporeit:
Questa dualit del nostro io, che capace di assumere ugualmente le forme del tu e dell'esso, fondata nella sua
corporeit. L'io che nel mondo un io corporeo. Colto come io corporeo, , fin dall'inizio, della stessa natura del tu e
dell'esso, di tutte le altre cose. La forma dell'io per lui una semplice prospettiva, una funzione che non contrasta con
questo carattere fondamentale, n lo complica in nulla. Al contrario, su questo fondamento che si dispiega del tutto
naturalmente il rapporto dell'io con un certo numero di tu privilegiati, con le persone che ci interpellano ed esercitano su
di noi un'influenza particolarmente profonda e intima. Il tu qui compreso come un altro io di cui io sono il tu. La
situazione, inizialmente unilaterale, diventa simmetrica -- cesso di essere nel ruolo di colui che semplicemente
interpellato, divento io stesso, nello stesso tempo, colui che interpella. Questa reciprocit instaura allora, in tutte le
relazioni tra le persone, l'equilibrio richiesto dalla relazione dentro.

Ancora una volta l'essere-corporeo dell'io costituisce un'indispensabile chiave di lettura per comprenderne non
solo le strutture esistenziali dinamiche, ma anche le pi elementari distinzioni categoriali, gi sempre innestate
nel nostro linguaggio. La reversibilit delle forme pronominali, evidente in qualunque situazione

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intersoggettiva (io sono il tu o l'esso di un altro io, che appunto mi coglie in prossimit o a distanza),
una diretta conseguenza della corporeit. L'interpellazione, come legge fondamentale dell'esperienza,
presuppone la spazialit, la co-esistenza dell'io e del tu;[69] ma il modo originario di essere-spaziale dell'io
non altro che la sua vita corporea. come corpo che l'io vive lo spazio e lo abita. Ma attraverso il prisma
dell'intersoggettivit che le molteplici rifrazioni della corporeit diventano visibili e aprono nuovi scenari
analitici: di questa connessione originaria e multi-stratificata della corporeit con l'intersoggettivit Husserl
aveva dato un ampio saggio nei suoi scritti inediti, e la stessa fenomenologia della corporeit proposta da Patoka
non sarebbe concepibile senza il retroterra delle analisi husserliane. Tuttavia, in Husserl la cornice della
soggettivit trascendentale (anche determinata concretamente come inter-soggettivit trascendentale) impedisce
di operare in modo completo e coerente quella simmetrizzazione dei pronomi personali che, secondo Patoka,
deriva dalla struttura corporeo-spaziale dell'esistenza. In quanto corporeo, l'io possiede, fin dal principio, la
medesima natura del tu e dell'esso; la forma dell'io una semplice prospettiva, che originariamente co-esiste
con altre, cosicch il campo di apparizione ha una curvatura intersoggettiva e interpersonale che rende il soggetto
dell'apparire immediatamente declinabile e declinato.
La corporeit quella declinazione dell'io, che lo espone alla trama del mondo e lo offre allo sguardo dell'altro.
Ma non bisogna pensare ad un io che sussista prima di questa spazializzazione, di questa caduta (sia pure
metaforica) nell'apparizione e nella corporeit; dire io (esprimere o sentire la mia esistenza) significa
articolare la proto-struttura io-tu-esso nel senso della prima persona, ma solo come una prospettiva dentro
il campo fenomenico. Prospettiva inevitabile, ma sprovvista di qualunque primato o antecedenza rispetto
alle altre due, sul piano logico, gnoseologico o ontologico. Certo, a seconda dell'angolazione descrittiva assunta,
da cui tematizzare il gioco dinamico e dialettico tra i pronomi personali, possono crearsi gerarchie e priorit
relative (ad esempio, abbiamo visto che geneticamente il tu emerge prima dell'io, per la sua essenziale
visibilit); per vero che, globalmente, la comprensione di s come un io, una soggettivit, implica questo
equilibrio simmetrico delle persone, nello spazio-mondo dell'apparire, in cui gli enti si danno come
intercambiabili. Solo se l'io non fosse, ontologicamente, corporeo l'ipotesi di una soggettivit trascendentale
costituente che si mondanizza senza essere originariamente dentro il mondo (l'io come puro vedere)
avrebbe una qualche legittimit.
Per il filosofo ceco, un pensiero fenomenologicamente conseguente della corporeit giunge, necessariamente, a
infrangere le barriere del trascendentalismo soggettivo. Il campo di apparizione si rivela come asoggettivo,
non-egologico, poich il soggetto dell'apparizione sottoposto alla legge fondamentale dell'esperienza come
tutti gli altri enti: dentro, anche nella massima intensit del suo sforzo di auto-riflessione, anche
nell'esperimento metodico radicale dell'epoch husserliana, la quale, correttamente riformulata, non fa altro che
illuminare, senza poterla minimamente alterare o sospendere, questa appartenenza radicale dell'io al mondo.
Nonostante sia il referente dell'apparizione, l'essere cui gli enti appaiono nella dimensione della totalit, l'io e
rimane un essere del mondo. La postura soggettivistica dello sguardo puro, che considera il mondo come un di
fronte (un fuori che la coscienza trascendentale dispiega nella sua intenzionalit) dimentica la struttura finita
dell'esistenza-nell'apparizione e della riflessione come rapporto-a-s. Per contro, la finitezza ontologica la
luce a-soggettiva in cui il soggetto appare, gi sempre sotto lo sguardo dell'altro.[70]

7. Corpo-soggetto e corpo-oggetto: intersoggettivit e critica dell'immanenza


pura.
Esplorato alla luce della proto-struttura, il corpo proprio (quello che Patoka, seguendo Husserl, chiama spesso
corpo soggettivo o corpo vivente) mette allo scoperto una oggettivit dell'io che appare, che ovviamente
non pu essere quella della metafisica oggettivistica o della moderna scienza della natura. Una paradossale
oggettivit soggettiva che corrisponde alla finitezza dell'essere-nel-mondo e che rende possibile la
comunicazione tra le persone e lo sviluppo di una comunit umana. Come lo stesso Patoka gli riconosce, Husserl
aveva lucidamente afferrato la centralit del corpo per la questione dell'intersoggettivit; nel suo programma
filosofico-trascendentale, l'auto-esperienza di s come un Leib (e non un semplice corpo fisico, Krper) e
l'esperienza percettivo-analogica del corpo dell'alter ego, di una soggettivit altra, formavano una sorta di
plesso fenomenologico primario, a partire dal quale il grande compito della costituzione del mondo oggettivo
(un mondo che, come dice Husserl nella V Meditazione cartesiana, esiste per tutti e i cui oggetti sono accessibili
a tutti)[71] avrebbe potuto essere assolto.
In proposito, sono note le analisi husserliane dell'empatia (Einfhlung) come esperienza dell'estraneit, il
cui nucleo fondante costituito dall'appaiamento (Paarung) del mio corpo con un altro corpo vivente,[72] in
un campo di percezione che, con l'artificio metodologico della riduzione alla sfera appartentiva, si presenta
come un campo esperienziale esclusivamente mio, assolutamente privato (ovvero depurato da ogni
riferimento intenzionale ad altri soggetti, diversi da me). Si tratta di un passaggio delicato e discusso, dai tratti
fortemente aporetici, perch riguarda la possibilit e i limiti di una fondazione dell'oggettivit (nelle varie
accezioni che il termine comporta) nell'immanenza della vita del soggetto; anche se, va ricordato, la fondazione
fenomenologica del mondo oggettivo che Husserl persegue ha ormai oltrepassato i presupposti dualistici e
deduttivi che inficiavano, almeno in parte, l'analogo tentativo cartesiano delle Meditationes. Patoka si
confronta frequentemente, nei suoi scritti, con la teoria husserliana dell'intersoggettivit trascendentale,
evidenziandone, di volta in volta, risorse descrittive e difficolt interne,[73] com' tipico del suo dialogo teoretico
con le due fenomenologie che lo hanno preceduto. A noi interessa, presentemente, vedere il modo in cui
Patoka interviene sulla distinzione tra corpo-soggetto e corpo-oggetto, gi delineata da Husserl, ma, a sua
opinione, insufficientemente elaborata; di fatto, l'esperienza del corpo-oggetto gioca un ruolo di primo piano
nell'esperienza dell'altro. proprio con l'esperienza del corpo-oggetto che io divengo cosa tra le cose, allo stesso
livello degli oggetti che mi si presentano nelle mie prospettive.[74]
L'esperienza di s alla terza persona, che si manifesta nel modo pi profondo e compiuto nel contatto reale con
un altro io (che mi oggettiva nella sua esperienza di soggetto), passa attraverso questa auto-assunzione del
corpo proprio come corpo-oggetto. Il corpo , in quanto mio, non solo soggettivo, espressione della mia libert
incarnata e del movimento esistenziale che io sono, ma anche, per ragioni di principio legate alla struttura
situazionale dell'esperienza, un oggetto, una cosa del campo di apparizione, sebbene sui generis. La dualit
semantica del corpo non si risolve linearmente nella distinzione tra Krper e Leib, perch quest'ultimo , in s,
attraversato da una doppia modalit di manifestazione, soggettiva e oggettiva, che gli aderiscono
intimamente, strettamente intrecciate. Husserl ha messo in luce sotto vari angoli prospettici come l'incontro
dell'io con l'altro (inteso qui come un altro io) dipenda essenzialmente dalla dimensione oggettiva del mio corpo,
dal fatto che esso sia anche un ente esteso e percepibile, spaziale. Altrimenti, come potrei cogliere nel corpo l,
che si manifesta nel mio campo di percezione, un analogon del mio corpo organico, e dunque un portatore di
soggettivit, come me? Il corpo-oggetto dunque l'autentico elemento di continuit che pone in contatto e in
comunicazione due soggetti, due persone. La corporeit un vettore che mi dis-loca (spazialmente) tra le cose,
ma, proprio per questo, anche il veicolo della socialit, una struttura mediale o un ponte che mi collega alla
soggettivit dell'altro, rendendomela accessibile: Di fatto, certo che la comunicazione intersoggettiva si svolge
esclusivamente per mezzo del corpo-oggetto. La funzione pi essenziale della corporeit sta indubbiamente

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proprio in questa mediazione che la rende il veicolo della socialit la cui importanza cruciale ovvia e possiamo
evitare di discutere.[75]
Il nesso tra l'(auto) esperienza corporea (corpo-soggetto e corpo-oggetto) e la costruzione dell'orizzonte socialecomunicativo tra i soggetti umani appare dunque imprescindibile. Anche in Husserl il corpo, nella sua
concretezza esperienziale, il mediatore universale della socialit: esclusivamente in quanto corporei che
possiamo riferirci gli uni agli altri, comunicare, articolare cio un mondo comune. Non potendo infatti
penetrare direttamente nella vita psichica dell'altro, nel suo flusso temporale di vissuti, non posso che leggere nel
suo lato oggettivo e visibile (la corporeit, appunto) gli indizi di una soggettivit diversa dalla mia: nelle
posture, i movimenti, le espressioni, i gesti di quel corpo l scopro allora un altro centro di esperienza del
mondo. Non un secondo me, una mia duplicazione o proiezione, ma un altro io, un'autonoma e libera sorgente
di vita personale. Senza questa oggettivit originaria del corpo (un esterno che rimanda a un interno) non
sarebbe possibile alcuna comunicazione tra me e l'altro, e, se anche vi fosse realmente nel mondo una pluralit di
soggetti (di monadi, direbbe Husserl), nessuno saprebbe nulla degli altri. Nessuna finestra cognitiva si
aprirebbe, per me, sulla soggettivit altrui (n, per gli altri, sulla mia), se non disponessimo, come base, di questa
forma di esteriorit che il corpo-oggetto. E l'accento posto sulla spazialit essenziale del corpo consente a
Patoka non solo di correggere un punto cruciale dell'analisi husserliana dell'intersoggettivit, ma anche di
contestare (o, almeno, ridimensionare notevolmente) quel nettissimo primato ontologico-esistenziale del
tempo sullo spazio che sorregge tutta l'analitica del Dasein di Essere e tempo.[76]
L'esperienza del corpo-oggetto e la sua importanza per l'intersoggettivit si rendono meglio comprensibili
mirando alla singolare corrispondenza che sussiste tra le forme di localizzazione legati alla corporeit soggettiva
e la proto-struttura dei pronomi personali. Questi ultimi sono infatti traducibili nel linguaggio della spazialit:
L'io legato indissolubilmente al qui, il tu al l come luogo dell'oggetto tematico, centrale. Il luogo del
tu , nel senso originario del termine, la prossimit oggettiva. Com' chiaro, il corpo proprio consente la
fissazione di un qui che non altro che il luogo dell'io, la posizione che esso corporeamente occupa (possiamo
ricordare, in Husserl, la definizione del qui segnato dal corpo soggettivo come un qui assoluto, rispetto al
quale, percettivamente, tutto il resto un l). Il tu viene a indicare, spazialmente parlando, la prossimit
dell'oggetto al mio corpo, secondo gradi diversi: il l. Il terzo elemento della localizzazione, il questo (che
corrisponde alla spazialit della terza persona, l'esso, o egli, ella), sorge nel momento in cui il tu smette di
occupare questo luogo di prossimit: ad esempio, l'oggetto si allontana da me o io me ne allontano, oppure
ricade, in qualche maniera, nello sfondo indifferenziato dell'esperienza. Ma l'opposizione prossimitallontanamento una struttura locale essenzialmente trasponibile: se mi metto al tuo posto, il mio qui attuale
diventa per me un l, e viceversa.[77]
Per esseri corporei che hanno facolt di movimento, la polarit vicino-lontano presenta un carattere fluido e
reversibile, all'interno della situazione intersoggettiva: il mio qui attuale per l'altro un l, come potrei
verificare (indirettamente) assumendone la posizione. Ma, a quel punto, il mio nuovo qui (sempre marcato dal
mio corpo) sarebbe necessariamente un l per l'altro. Insomma, in questo modo si forma e si consolida
l'oggettivit del luogo (non ancora geometrica o esatta) come una spazialit comune, alla terza persona, che
pur manifestandosi sempre nelle forme del vicino e del lontano, risulta indipendente dal corpo soggettivo
che vi prende luogo. Soggettivit, oggettivit, intersoggettivit, gli assi fondamentali intorno ai quali ruota il
senso di ogni nostra esperienza, si delineano, in una dialettica via via pi complessa di forme e relazioni, a partire
dalla (doppia) proto-struttura personale-locale, dalla spazializzazione originaria del campo di apparizione. Scrive
infatti Patoka:
Si pu dire che la struttura locale definita dall'opposizione qui-l-questo, o parallelamente io-tu-egli (ella, esso) non solo
una condizione della comunicazione, ma una condizione dell'appercezione dell'altro come tale. [...] Ogni oggettivit con la
quale possiamo entrare percettivamente in contatto deve rientrare in questa struttura locale. una struttura d'oggetto, che
per non oggettiva. D'altronde, la struttura oggettiva dello spazio anch'essa, in un altro modo, una condizione
necessaria della comunicazione: essa ci che comune nella reciprocit di due situazioni d'oggetto, ci che viene
compreso come il denominatore della loro simultaneit e della loro corrispondenza reciproca.

Una struttura d'oggetto che non oggettiva, essendo (trascendentalmente) condizione preliminare di ogni
oggettivit. Ma, si potrebbe aggiungere, non soggettiva, in quanto il soggetto (o, pluralisticamente, i soggetti) si
conforma ineludibilmente alla sua legalit interna, certo con modalit proprie e specifiche, ma allo stesso titolo di
tutti gli altri enti. La proto-struttura dunque asoggettiva, e solo in questa accezione distintiva e critica rispetto
alle strutture della soggettivit trascendentale pu essere definita, a buon diritto, come trascendentale. In tale
ottica, utile vedere come i dati fenomenologici qui raccolti possano essere fatti convergere, in modo critico,
contro una delle principali linee programmatiche della filosofia di Husserl (in particolare della sua teoria
dell'intersoggettivit), che trova uno sviluppo esemplare nella V Meditazione cartesiana: l'idea secondo cui
possibile la rigorosa fondazione fenomenologica dell'oggettivit, in tutti i suoi strati e gradi di significato,
muovendo da una sfera puramente soggettiva, immanente, ottenuta tramite una doppia riduzione
fenomenologico-trascendentale (la cosiddetta riduzione alla sfera appartentiva o primordiale, cui abbiamo gi
fatto cenno).
Per Husserl, occorre individuare uno strato ultra-ridotto dell'esperienza dell'io, gi sottoposta a epoch
universale, dal quale sia assente ogni elemento o implicazione intersoggettivi, qualsiasi formazione di senso
che rimandi a uno o pi soggetti diversi da me.[78] chiaro il carattere artificiale, astrattivo di questa
operazione, se si tiene presente che il senso ontologico del mondo contiene gi in s la validit per tutti; d'altro
canto, l'obiettivo gnoseologico di Husserl mostrare come questo significato intersoggettivo si innesti sullo strato
appartentivo del mondo nel momento in cui un alter ego, con il suo corpo, appare nel mio campo di
percezione. In altri termini (al netto di oscillazioni, ambiguit e ripensamenti che si possono agevolmente
rintracciare nei testi husserliani),[79] l'alter ego reale e corporeo, a de-soggettivare la mia esperienza del
mondo, conferendole il carattere di esperienza comune (e, in questo senso, oggettiva). Se questa tesi fosse
giustificata, il soggettivo (ovviamente non in senso psicologico ma trascendentale) godrebbe effettivamente di
un primato nella fenomenologia: l'intersoggettivit sarebbe una estensione, necessaria s, della soggettivit
trascendentale, e ne esprimerebbe la piena concretezza; tuttavia, essa presupporrebbe una soggettivit pura, il
cui senso pu (e deve) essere recuperato tramite la riduzione radicalizzata di cui si detto.
Patoka, come abbiamo in parte visto e come si potrebbe verificare in misura maggiore attraverso un confronto
pi ampio con i testi, riconosce certamente l'originalit e l'importanza delle analisi husserliane dell'esperienza
dell'altro, riprendendone e sviluppandone alcuni risultati. Ma, a suo avviso, proprio la tematizzazione del ruolo
del corpo-oggetto nella fenomenologia dell'intersoggettivit esibisce un argomento forte contro il
soggettivismo di Husserl e l'idea stessa di una immanenza pura. , per alcuni aspetti, lo stesso quadro
analitico delineato da Husserl a esigerne la ri-descrizione in termini a-soggettivi. L'appresentazione, termine
husserliano che indica l'apprensione intuitiva di un altro io (in virt dell'associazione di somiglianza tra il suo
corpo e il mio), non sarebbe possibile se il mio corpo non fosse gi dato a me stesso come un corpo oggettivo:

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L'appresentazione sarebbe impossibile se io non fossi gi dato a me stesso come un corpo che nell'oggettivit,
nell'alienazione. qui che sta il significato pi profondo, il significato trascendentale della corporeit oggettiva -- questo
il solo luogo a partire dal quale la realizzazione del tu pu prendere le mosse. La prima e la terza persona sono dei
presupposti interni alla realizzazione della seconda.

Come essere corporeo, sono gi sempre nell'alienazione, fuori, nello spazio-mondo, preso nel gioco della
prossimit e della distanza, inserito in un campo pluriprospettico il cui centro (almeno potenzialmente)
ovunque: vi quindi una oggettivit del mio corpo che deriva dalla mia appartenenza al mondo, e non
dall'incontro con un altro essere personale, un tu concreto. Al contrario, rileva Patoka, questo incontro con
l'alterit, l'esperienza di una soggettivit diversa da me, cos finemente analizzata da Husserl nelle sue
componenti intenzionali, possibile solo perch la struttura dell'esistenza corporea implica l'auto-estraneazione
e l'auto-oggettivazione. Per usare un'immagine, l'altro originariamente in me, nel cuore della mia situazione
esistenziale, prima di essere fuori di me, nella figura determinata di un alter ego reale. Naturalmente, il prima
qui non indica un rapporto di antecedenza temporale (come se vi fosse prima l'idea dell'altro e poi il contatto
esperienziale con un altro in carne e ossa); designa, piuttosto, la priorit della struttura asoggettiva del campo
di apparizione, che si manifesta in modo emblematico nella corporeit. Nonostante la giusta definizione
fenomenologica del mio corpo come soggettivo e vissuto, non bisogna dimenticare che questo corpo
anche, essenzialmente, oggettivo, non nel senso della res extensa o della naturalit biologica, ma come
spazializzazione dell'esistenza, movimento della vita e della carne nella dimensione dell'esteriorit.
Se cos non fosse, se il mio corpo non fosse originariamente declinabile alla terza persona, afferrabile a distanza
da s, la realizzazione della seconda persona, l'esperienza dinanzi a un tu reale, che mi oggettiva in un senso
pi profondo del termine, non potrebbe prendere forma. Se dunque, per un verso, resta vero che l'altro essere,
gli altri esseri ci oggettivano insieme a tutte le altre cose e il mondo diventa in questo modo un mondo per
tutti,[80] altrettanto vero, in chiave di critica all'impostazione soggettivistica della teoria husserliana
dell'intersogettivit, che questa osservazione sulla necessit del corpo oggettivo per l'esperienza dell'altro come
tale mostra che non affatto possibile presentare questa esperienza, nel suo insieme, sul piano dell'io ridotto alla
sua immanenza soggettiva, perch l'io cos ridotto una soggettivit pura che come tale non pu avere un terreno
comune con un'altra vita puramente soggettiva.[81] In pratica, argomenta Patoka, affinch l'altro possa esser
esperito da me, devo innanzitutto coglierlo nel suo carattere corporeo, percepirne il corpo, dal momento che
nessun passaggio reale mi conduce all'interno del suo flusso temporale di coscienza (in tale circostanza, del
tutto teorica, di una sovrapposizione dei rispettivi vissuti, io e l'altro verremmo in qualche modo a fonderci e
identificarci). La corporeit dunque quel terreno comune (o quel ponte) che permette la comunicazione
intersoggettiva tra i due flussi. Tuttavia, questo elemento comune non pu essere la semplice apparizione del
mio corpo, che riguarda sempre la sfera soggettivamente privata, ma esclusivamente il corpo-oggetto.[82] In
altre parole, se il mio corpo fosse costituito in una sfera puramente immanente, non si capirebbe come la
percezione del corpo l (che dovrebbe apparire come il corpo dell'altro) possa generare quell'associazione di
somiglianza su cui si basa la husserliana empatia (Einfhlung). Al contrario, l'apparizione del tu nella forma
dell'alter ego richiede una certa omogeneit o continuit con la struttura della mia manifestazione; ma essa
pu essere garantita solo dalla corporeit in quanto oggettiva.
Con una mossa che ricorda, per qualche aspetto, la confutazione kantiana dell'idealismo nella Critica della
ragion pura,[83] Patoka fa leva sulla necessit di un contesto non soggettivo (di principio irriducibile alla
soggettivit) in cui la soggettivit dell'altro, a me inaccessibile in quanto presenza vivente e soltanto
presentificabile, sia data:
La proiezione della soggettivit, o piuttosto la verifica dell'idea del tu nell'esperienza, presuppone la presenza di
qualcosa in cui il tu -- l'altra soggettivit -- mi data. Ora, questo in cui non pu essere come tale soggettivo, perch la
soggettivit data in quanto vivente la mia e la soggettivit presentificata estranea. La presenza dell'altro come tale in
me dunque necessariamente non soggettiva. Se si produce in modo che la apprendo come mia propria manifestazione
esterna, invertita come in uno specchio, questa manifestazione esterna deve anche essermi data come qualcosa di
asoggettivo. Vale a dire che essa si realizza necessariamente nel fenomeno del mio corpo-oggetto.

Se l'apprensione del tu come un altro io avviene tramite una sorta di inversione speculare, di rovesciamento
percettivo-spaziale della mia situazione corporea, quest'ultima non pu essere pensata come qualcosa di
solamente soggettivo. Il mio corpo soggettivo (il corpo che sono) deve dunque avere, fin dall'inizio, una
oggettivit spaziale e dinamica (una struttura di mondo), che ne rende fenomenologicamente inconfigurabile
l'apparizione in una dimensione di pura immanenza. In breve, senza corpo-oggetto nessuna intersoggettivit: la
cosiddetta riduzione alla sfera appartentiva, se intesa come scoperta di uno strato esperienziale non
attraversato dall'alterit e dalla differenza (secondo la legge fondamentale della proto-struttura) e perseguita
fino in fondo, non solo vanificherebbe lo stesso programma husserliano di una costituzione
dell'intersoggettivit, ma mi chiuderebbe qualsiasi accesso alla comprensione della soggettivit dell'altro in
quanto altro. Patoka pu allora concludere la sua argomentazione trascendentale nel modo seguente: La
struttura dell'intersoggettivit cos un'ulteriore ragione per rifiutare la riduzione nel senso di ci che conduce
all'immanenza pura del soggetto.[84]
L'asoggettivit del campo di apparizione e della presenza dell'altro in me ci rivela una fondamentale
asoggettivit del corpo proprio, con un movimento che, sulle prime, sembrerebbe presentare un carattere
paradossale. Com' possibile, infatti, che il corpo mio, con il quale ontologicamente mi identifico, per altri versi
non lo sia, abbia un preciso tratto fenomenologico a-soggettivo, non mio, irriducibile al senso della mia
soggettivit? In altri termini, come pu il mio corpo essere soggettivo e asoggettivo insieme? Come si intrecciano
e si conciliano queste due dimensioni dell'esistenza corporea, entrambe irrinunciabili, senza che dal loro attrito
sortisca un antagonismo palese o addirittura una contraddizione? Ma naturalmente non si tratta di
sconfessare o ridimensionare le analisi precedenti sulla soggettivit corporea. Semmai, pensare
asoggettivamente la corporeit significa per Patoka, in questo debitore alla filosofia del corpo di MerleauPonty,[85] riconoscere una certa duplicit e, forse, ambiguit del nostro essere-al-mondo o movimento finito nel
mondo, cogliendone innanzitutto le potenzialit descrittive ed esplicative, senza pretendere di eliminarla o
coerentizzarla ad ogni costo. L'ottica fenomenologica asoggettiva pu rivelarsi molto utile nella revisione delle
categorie filosofiche tradizionali (e imprescindibili) di soggettivit e oggettivit, al di fuori di una sterile
dicotomia o di una semantica a senso unico, delineando pi nitidamente le loro significazioni, relazioni e
intersezioni multiple. In primo luogo, a-soggettivit non significa semplicemente oggettivit, ma quella
dimensione originaria dell'apparire in cui il soggetto e l'oggetto, le persone e le cose, si dispongono e si muovono,
dispiegando il loro senso. Lo statuto soggettivo-oggettivo del corpo va analizzato sul terreno dell'esistenza come
apparizione e rapporto-a-s, nella sua dinamica fondamentale. Ed su questo terreno, quello del movimento
esistenziale, che almeno alcuni dei fili principali che compongono la trama filosofica della corporeit possono
essere rintracciati e districati.
Intanto, dal lavoro analitico di Patoka emersa, nel confronto con Husserl, l'impossibilit di soggettivizzare

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fino in fondo il corpo proprio, anche a titolo di semplice esperimento metodologico: se non assumessi gi sempre
una qualche oggettivit della manifestazione del mio corpo, sarei incapace di conseguire persino quell'elementare
auto-riconoscimento necessario ad esperire il senso pieno dell'intersoggettivit (quella che Patoka chiama la
realizzazione del tu). Peraltro, molte delle analisi di Husserl sulla Leiblichkeit conservano un valore anche
senza il riferimento alla sfera dell'immanenza pura e lo stesso filosofo ceco attribuisce al fondatore della
fenomenologia il merito di aver per la prima volta esaminato la funzione del corpo per la formazione delle
oggettivit e delle conoscenze oggettive (dal mondo della vita fino all'universo categoriale delle scienze). Ma
l'insistenza di Patoka sul corpo-oggetto, che abbiamo appena visto, pu esercitare una funzione correttiva anche
su un altro versante della fenomenologia contemporanea, quello della fenomenologia della carne. Pur
parlando sovente di soggetto incarnato e di libert incarnata la prospettiva asoggettiva non declina il corpo
della soggettivit primariamente in termini di carne, almeno non nel senso che questo termine assume per
esempio in Michel Henry: pura auto-affezione patica dell'io che sente se stesso, provando la propria vita
(preuve de la vie),[86] in se stessa invisibile. Una vita, quella della carne, essenzialmente non spaziale, non
mondana, non oggettiva e non oggettivabile.
Rispetto a questo esito e ad altri analoghi, Patoka sostiene una tesi pi articolata ed equilibrata; il corpo non si
risolve interamente nella soggettivit, non solo espressione e incarnazione dell'io, manifestazione della sua vita
intima, ma anche, ad un tempo, qualcosa di estraneo al soggetto, di non coincidente con lui, l'apparire di uno
scarto o di una differenza all'interno della stessa soggettivit: qualcosa in cui si manifesta, originariamente, la
nostra libert ma anche un fattore di opacit, passivit e resistenza sul quale si misura immediatamente la
finitezza. Siamo e non siamo il nostro corpo, c' un fondo di alienazione nella struttura della nostra soggettivit,
come testimonia del resto l'ambiguit della parola soggetto (soggetto-di, soggetto-a) che tesse insieme la libert
e la dipendenza, come due piani saldamente interconnessi e inseparabili della condizione umana. In questa
ottica, com' facile convincersi tramite una lettura anche superficiale dei testi, Patoka ben lontano dal fornire
appigli a una concezione oggettivistica del corpo, soprattutto se con questo termine si fa riferimento al
paradigma della razionalit tecnico-scientifica. Il corpo vivente una sorgente esistenziale che non pu essere
indagata secondo la metodologia delle scienze o di una filosofia scientistica, senza smarrirne il senso: come
dimensione fondamentale del movimento (ontologico e generativo) della soggettivit, la corporeit pu rivelarsi
soltanto a una fenomenologia che si collochi sul piano, originario, del mondo naturale prescientifico (che per
Patoka, occorre qui almeno segnalarlo, non solo il mondo della percezione sensibile, ma anche l'universo
denso e complesso del mito, il mondo del bene e del male nella concretezza storica).[87]
Ma l'asoggettivit, proprio perch non comporta una rinuncia al soggetto, bens un'analisi non soggettivistica
della soggettivit, permette di formulare e sviluppare una nozione di oggettivit pi ampia, ricca e flessibile di
quella concettualizzata dalla scienza-tecnica moderna (e, forse, di quella propria di molte forme di metafisica).
Un'oggettivit che, a livelli multipli, innerva la stessa dinamica vitale dell'io nella sfera dell'apparire, creando
nodi e tensioni, scarti e superamenti, e che, come abbiamo visto, si radica nella corporeit: se la mia vita nel
mondo movimento corporeo, e se il corpo implica per il suo senso fenomenico le forme dell'oggettivazione,
l'oggettivit dovr essere interpretata come inseparabile dal modo d'essere del soggetto (dei soggetti), senza
tuttavia attribuirle, riduttivamente, un significato materialistico. D'altra parte, l'appartenenza radicale del
soggetto al mondo sottende una dialettica continua con l'oggetto e un legame costitutivo con la dimensione
delle cose da cui l'io umano non pu sottrarsi, perch il bisogno stesso di autenticit e di verit (la peculiare
trascendenza della filosofia) strutturalmente lo presuppone. Uno degli aspetti pi interessanti della filosofia
fenomenologica di Patoka da riscontrare in questo tentativo, per definizione non privo di difficolt, di pensare
oggettivamente la soggettivit (il che vuol dire pensarla nella densit spazio-temporale del mondo) senza tuttavia
farne un oggetto o una res alla maniera delle scienze o della metafisica tradizionale. La ricerca del filosofo
ceco, muovendo da Husserl e Heidegger cio dai pensatori che pi acutamente hanno avvertito la crisi
dell'oggettivismo moderno, non mira in fondo che a sviluppare, nella concretezza delle analisi fenomenologiche,
un nuovo concetto di oggettivit che ben corrisponda alla nostra apertura alla realt del mondo: mondo che
precede il soggetto e ne indipendente, ma nel quale ha luogo il movimento finito dell'esistenza. Anche la
prospettiva dell'infinit, che Patoka rende visibile nella vocazione etica dell'uomo-filosofo, si apre nel cuore di
questo movimento e di questa oggettivit.[88]

8. Temporalit, spazialit e libert nella fenomenologia asoggettiva: prospettive


di ricerca.
Avviandoci alla conclusione, vogliamo rileggere il nodo del rapporto tra fenomenologia asoggettiva e
corporeit evidenziando come esso presenti un tratto di forte discontinuit con l'analitica esistenziale di Sein und
Zeit, con la grammatica ontologica heideggeriana dell'essere-nel-mondo tutta incentrata sulla temporalit
(Zeitlichkeit) e temporalizzazione (Zeitigung). Come abbiamo gi visto, Patoka condivide aspetti notevoli
della cornice esistenziale in cui Heidegger riformula la questione dell'io sottolineandone vigorosamente la
finitezza e prendendo congedo dalla linea della riflessione assoluta (Hegel, Husserl). Su questo piano, Patoka
considera certamente l'approccio heideggeriano pi profondo e radicale di quello husserliano,[89] soprattutto per
aver oltrepassato il cerchio gnoseologico in cui la fenomenologia soggettiva (con la correlazione funzionale di
noesi e noema) continuava a muoversi, e aver affermato con rigore il carattere ontologico dell'esistenza come
prassi e movimento, nell'orizzonte sempre finito della possibilit. Ma la fenomenologia patokiana, situando al
centro del discorso ontologico-esistenziale la corporeit, non solo recupera di fatto strati preziosi dell'analitica
husserliana del Leib, troppo frettolosamente accantonata da Heidegger, ma, con la sua riflessione sulla spazialit
originaria dell'essere-nel-mondo, permette di integrare l'analisi dell'esistenza umana con una dimensione che
Heidegger, pur avendo ben presente, marginalizza, proprio a causa del sostanziale occultamento
fenomenologico del corpo in Essere e tempo. [90]
A parte pochi, sparsi cenni che, nell'opera del '27, possono essere agevolmente interpretati come frammenti
fenomenologici sulla corporeit, il corpo non possiede nell'analitica esistenziale un autentico rilievo ontologico,
come Patoka ripetutamente mette in luce in chiave critica. Questo silenzio fenomenologico che avvolge la
struttura corporea del Dasein pu essere spiegato, nella prospettiva di Heidegger, con la convinzione che il corpo
soggettivo o vissuto rifletta una considerazione dell'esistenza umana troppo compromessa con la sfera
psicologica o gnoseologica (sempre attraversata da problematiche linee di frattura tra dentro e fuori,
soggetto e oggetto, anima e corpo, spirito e materia); oppure, pi probabilmente, con l'idea che la
spazializzazione dell'esserci nella sua corporeit [91] sia legata indissolubilmente agli aspetti pi deiettivi
del Dasein, come se il coinvolgimento pratico-esperienziale con lo spazio e le cose (spaziali), inevitabile per
l'essere-nel-mondo, facesse sempre di nuovo deflettere la luce esistenziale del Da, dell'apertura ontologica, verso
il livello esistentivo della semplice presenza (Vorhandenheit) e dell'utilizzabilit (Zuhandenheit).
Nonostante Heidegger dedichi tre brevi (e densi) paragrafi allo spazio e alla spazialit dell'esserci,[92] evidente
che l'esistenzialit di quest'ultimo, la sua sorgente profonda e autentica, non alcunch di spaziale, la
temporalit, come senso ontologico della cura. Se il modo d'essere dell'esserci la cura, e il senso autentico
della cura consiste nella totalit del poter-essere pi proprio, l'unit originaria della struttura della cura
costituita dalla temporalit.[93] In questa maniera, Heidegger riesce a cogliere la radice esistenziale del tempo

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al di fuori di ogni contaminazione con l'oggettivit e lo spazio, ma senza annettergli quella soggettivit che
Husserl aveva conservato nell'analisi della coscienza interna del tempo. Il tempo, cos considerato,
l'origine dell'esserci, non nel significato ontico della causa o della sostanza, ma come temporalizzazione
originaria, articolarsi e dispiegarsi del suo essere nelle tre estasi della temporalit: l'esser-stato del passato, il
presentarsi del presente, l'ad-venire del futuro. Queste dimensioni del tempo originario, ciascuna connessa a una
determinata struttura dell'essere-nel-mondo, aprono, per usare un termine di Patoka, il movimento
dell'esistenza umana come trascendenza, un trascendersi del Dasein non in qualcosa di esterno, n di
oltremondano, ma verso se stesso nella possibilit. Ed noto come, in Heidegger, la tradizionale scansione del
senso del tempo a partire dal presente (il passato come non pi presente, il futuro come non ancora
presente) venga negata e riformulata in un'ottica che scorge nell'ad-venire il pi originario fenomeno della
temporalit: esistendo come aver-da-essere, nel progetto del poter-essere pi proprio, l'esserci
costitutivamente il suo futuro.[94] Per contro, l'esser-stato e il presentarsi scaturiscono necessariamente dall'advenire, assumendo per una valenza esistenziale molto pi debole rispetto alla potenza ontologicamente
disvelante di esso; le estasi del passato e del presente corrispondono infatti, rispettivamente, all'esseregettato del Dasein nel mondo e al suo esser-presso gli enti intramondani, e sembrano esprimere quella gravit
che continuamente fa (ri) cadere l'esserci al livello delle cose, della fatticit. Con il primato ontologico del futuro,
il senso della finitezza esistenziale dell'uomo ha la sua forma privilegiata di rivelazione nell'essere-per-la-morte e
nella decisione anticipatrice che, alla luce della morte come possibilit dell'impossibilit dell'esistenza, vede
per la prima volta le possibilit come possibilit, assumendole liberamente in una progettualit finita.[95]
Ora, non si pu ravvisare, in questo deciso primato ontologico-esistenziale del tempo sullo spazio, e, per il tempo,
del futuro sulle altre due estasi, il rovescio della mancata tematizzazione, in Heidegger, della corporeit
dell'esistenza? Le analisi di Patoka che abbiamo seguito fin qui (e altre che, nella stessa prospettiva,
meriterebbero altrettanta attenzione) sembrano andare proprio in questa direzione: restituire all'esserenel-mondo, come movimento, la densa e complessa fisionomia dell'esperienza spaziale-corporea, colmando
quelle che gli appaiono palesi lacune descrittive della fenomenologia heideggeriana. Come stato giustamente
osservato, la descrizione del carattere e-statico (ek-statikon) del soggetto non corrisponde solo alla triplice
estasi della temporalit (futuro, passato, presente), ma anche alla spazializzazione originaria in cui l'esserenel-mondo si declina immediatamente secondo le tre persone (io, tu, esso).[96] La proto-struttura dei pronomi
personali, con il suo senso spaziale, non una semplice articolazione dell'esperienza, ma per Patoka, come
sappiamo, la sua legalit fondamentale: come tale, non meno originaria della (proto-) struttura della
temporalizzazione, e altrettanto decisiva per comprendere il modo d'essere dell'esistenza. All'esistenzialit dell'io
appartiene dunque l'essere spaziale, in un senso pi profondo e radicale di quello che Heidegger aveva
concesso. La riflessione dell'esistenza finita si sviluppa non solo nell'orizzonte interno del tempo, ma anche
nell'oggettivit dello spazio, nel quale sono, originariamente, a distanza da me.
Naturalmente, in una prospettiva fenomenologico-esistenziale comune a Heidegger (almeno allo Heidegger di
Essere e tempo) e a Patoka il problema non sostituire il primato del tempo con quello dello spazio, e nemmeno
pareggiare, in astratto, la loro incidenza ontologica; semmai, un'indagine pi approfondita dovrebbe stabilire
come il ruolo oggettivamente centrale assegnato dal filosofo ceco alla corporeit e spazialit dell'esistenza umana
abbia non solo aperto nuovi percorsi analitici, ma anche condotto a una filosofia fenomenologica della finitezza
che globalmente presenta tratti piuttosto diversi da quella di Heidegger. Ci sono buoni motivi per ritenere che
l'equazione tra il tempo e il senso dell'essere, resa celebre da Heidegger e volta a rintracciare una modalit non
(pi) metafisica di dire l'uomo e il suo essere-al-mondo, possa subire permutazioni e slittamenti assai
significativi tra i termini che la compongono, sulla base di una fenomenologia della corporeit.[97] Tutto il lavoro
intensivo di Patoka (tanto stimolante quanto incompiuto) sui tre movimenti fondamentali dell'esistenza, e
anche la tarda tematica del sacrificio come donazione dell'essere,[98] ancora poco studiata nelle sue radici
fenomenologiche e nel suo sbocco etico radicale, sembrano prendere le mosse da questa dynamis del soggetto
come corpo.[99]
Concludiamo il nostro percorso con qualche altra considerazione, ancora nel segno del confronto con Heidegger e
riferendoci ad alcuni importanti passaggi testuali di Patoka, sulla questione del rapporto profondo tra la libert
e la corporeit.[100] Abbiamo visto come la libert del soggetto nel mondo sia essenzialmente finita e come,
nell'analisi di questa finitezza, a Heidegger sia imputabile un residuo di soggettivismo fenomenologico, proprio
per non aver esplorato e concettualizzato il nesso originario della libert con la corporeit, nell'esistenza. La pi
precisa definizione dell'approccio asoggettivo, con il ruolo che gioca la spazialit nell'essere-nel-mondo e nella
determinazione del rapporto tra soggettivit e oggettivit dell'io corporeo, dovrebbe consentirci di mettere
meglio a fuoco (almeno nel suo profilo pi fondamentale) il senso della libert umana come libert incarnata.
Nello stesso tempo in cui identit, libert, attivit, movimento, potere di intervento e di trasformazione nel
mondo, la corporeit anche apertura, esposizione, passivit, oggettivazione, intervallo, differenza da s:
pensare il corpo proprio, il corpo della soggettivit, significa cogliere contestualmente (attraverso un'inversione
dello sguardo) il suo carattere oggettivo ed ex-propriante, come risultato evidente accostandoci al tema
dell'intersoggettivit. Nello spirito di Patoka, si tratta di assumere queste polarit o ambiguit del corpo in
maniera il pi possibile dialettica, non nel senso di produrne una conciliazione dall'alto, ma di svilupparne
analiticamente il contenuto fenomenologico, anche l dove sembra assumere una piega paradossale.
Discutendo la celebre alternativa tracciata da Gabriel Marcel (nell'ambito di una filosofia dell'incarnazione) tra
essere un corpo e avere un corpo,[101] Patoka offre altri spunti interessanti per comprendere lo statuto duale,
soggettivo-oggettivo, della corporeit. Innanzitutto, alla domanda se l'io sia un corpo o abbia un corpo, non pu
essere data, sul piano fenomenologico, una risposta unica e univoca. Certamente, come si appurato
ampiamente in queste pagine, l'io il suo corpo, nel senso rigoroso dell'identificazione ontologico-esistenziale,
poich il movimento dell'esistenza umana essenzialmente corporeo. La libert del soggetto nel campo di
apparizione una libert incarnata. Ma, a uno sguardo pi attento, tra l'io, la libert e il corpo si disegna una
relazione meno lineare e trasparente; mentre infatti la mia libert sempre qualcosa che sono e che mai ho, e
dunque il nesso ontologico identitario tra l'io e la libert appare compatto (io sono la mia libert, la mia libert
sono io), trattandosi esistenzialmente della mia sorgente pi profonda, rispetto alla quale non posso essere a
distanza, nel caso del corpo l'identit con il soggetto prende una forma diversa: L'io originario, la libert
originaria qualcosa che sono nel senso pi puro del termine, ma che mai ho. Per l'essere libero non solo il
suo corpo, ma anche ne dispone, domina il suo corpo.[102] qui che l'esperienza di avere un corpo ha il suo
fondamento legittimo, senza che, con ci, lo si consideri un semplice oggetto alla mano, o uno strumento
operativo esterno. L'io dispone del suo corpo muovendolo e dispiegandolo nell'azione, rendendolo cos un organo
della sua volont, una manifestazione visibile della libert. per facile comprendere che, per un io appartenente
al mondo (e che ne costituisce solo una parte o un nodo), il rovescio immediato di questo disporre e
dominare della soggettivit la soggezione a una vasta pluralit di fattori causali o istintivi, anche oscuri e
inconsapevoli, che, tramite il corpo, operano (e possono sempre operare) come vincoli, resistenze, ostacoli, forze
contrapposte al movimento della libert. Se quindi l'affermazione io sono il mio corpo vera, non sempre
vera l'inversa, nel senso che il mio corpo non sempre il mio io. Nel corpo l'esistenza interseca il potere oggettivo
e oggettivante delle cose, incontra e subisce le forze dell'apparizione anche nella forma dell'estraneit pi radicale
(basti pensare alle esperienze del dolore, della malattia, della violenza, ecc.).
Ma questo non significa che il corpo, influenzando e determinando variamente il mio io, si imponga a me e mi

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domini, come una libert superiore a cui sarei subordinato. Per Patoka, la libert non alienabile se non
come auto-alienazione e la superiorit del corpo possibile solo in quanto io gliela concedo. Tra la libert,
come essere, e la corporeit, come essere e avere, non c' dunque coincidenza, si apre ontologicamente un
intervallo, anche se questa distanza viene sempre di nuovo attraversata e scavalcata nella dinamica dell'esistenza.
Forse, la corporeit non altro che questo attraversamento soggettivo-oggettivo del campo di apparizione, del
mondo, che rende possibile la vita dell'io come responsabilit: l'io possibile solo in quanto libero, in quanto
capace di distanziarsi. Anche se l'io si lascia interamente incatenare, legare dai suoi istinti e dalle sue passioni,
anche se non realizza nulla al di fuori di quanto gli istinti e le passioni gli prescrivono, comunque l'azione istintiva
ha bisogno di passare attraverso l'io, di riferirsi al suo accordo, ed questa la manifestazione della libert. In
effetti, l'io possibile solo in quanto trascendenza, o piuttosto dominio nel tempo, qualcosa che non n
consegnato alla passivit del flusso interno, n disperso negli istanti del tempo oggettivo. Ma da un altro lato [...]
l'io-libert, l'io-dominio implic [a] continuamente un passaggio all'oggetto, [...] si sottra [e] alla sua libert, fugg
[e] verso la riva oggettiva, senza per questo perdere la sua identit interna n perci la responsabilit che gli
incombe rispetto a ci che realizza in quanto io fungente e creatore.[103] La tesi di Marcel trova allora conferma
proprio nel rapporto tra l'io libero, il corpo-soggetto, e il corpo-oggetto. Io non sono il mio corpo nello stesso
senso in cui sono un essere libero.[104]
Non possiamo trattenerci oltre su questa prospettiva, non priva di aspetti problematici e di aporie, che andrebbe
illustrata pi sistematicamente alla luce del fondamento etico della filosofia di Patoka. Ci interessava cogliere,
almeno parzialmente, lo sforzo di descrivere la struttura di fondo della soggettivit finita come una libert
insieme temporale e corporea [105] (secondo quelli che erano, in fondo, l'intento e il risultato di Husserl,
nonostante i riscontrati limiti dell'impianto soggettivo-trascendentale e la discutibile neutralit esistenziale dei
suoi referti), in cui l'intervallo tra oggettivit e soggettivit si delinea e distribuisce a pi livelli della vita
dell'io, spesso secondo modalit incrociate. Ad esempio, in base alle ultime indicazioni, come il corpo-soggetto
integra sempre di nuovo il corpo-oggetto, cos la trascendenza dell'io pu realizzarsi solo come dominio del
tempo, nel senso che l'io, in quanto temporalit originaria, si mantiene a distanza sia dall'interno fluire dei suoi
vissuti che dalla frammentazione e dispersione di s nel tempo oggettivo, e solo in questa modalit pu scoprirsi
libero. Vi dunque, come Heidegger aveva ben mostrato, una connessione molto stretta e pervasiva tra la
libert (ontologica) dell'io, la sua esistenza come possibilit, e la temporalit: l'io libero, e capace di verit, in
quanto temporale, e la sua vita autentica si rivela nel continuo (e sempre di nuovo possibile) risalire da quella
riva oggettiva verso cui siamo spinti incessantemente dalla forza di gravit del nostro essere-al-mondo.
L'autenticit, e la filosofia che ne rappresenta la forma pi pura e radicale, nascono da un movimento
controcorrente. Ma quello che Patoka chiama passaggio all'oggetto, oggettivit e oggettivazione della vita,
non da intendere soltanto come una caduta e una reificazione, nel significato pi negativo del termine; che noi,
i soggetti del campo di apparizione, siamo oggettivi, portiamo nel nostro essere l'oggettivit, dipende dalla
struttura a-soggettiva dell'apparire. Ma questa struttura, in cui l'esistenza umana ha luogo e senso,
essenzialmente spazio-temporale: il soggetto non se stesso soltanto nell' (auto) trascendenza del tempo,
nella temporalizzazione della temporalit,[106] nell'articolazione della progettualit esistenziale che gli
dischiude (finitamente) la dimensione del futuro.
Il tempo, che anche per Patoka costituisce il senso profondo dell'esistenza come finitezza,[107] si temporalizza
sempre in rapporto allo spazio, alla spazialit dell'apparizione e dunque, in ultima analisi, alla corporeit
dinamica del s e alle forme peculiari che la caratterizzano. Da un lato, l'incarnazione (come spazializzazione)
non solo la base concreta e operativa dell'esistenza, ma anche il limite strutturale e invalicabile della libert
dell'uomo: l'individuazione della soggettivit, da cui derivano finitezza e mortalit, non pensabile senza la
corporeit.[108] Dall'altro, cogliere il piano della possibilit dell'io esclusivamente sul versante della temporalit
dell'esserci, delle estasi del tempo originario, dell'essere-per-la-morte, come fa Heidegger in Essere e tempo,
getta un velo di oscurit sulla generazione della soggettivit, su quel mettere radici nel mondo che per l'io
possibile solo grazie alla cura dell'altro, al calore che originariamente ci viene dagli altri (come Patoka mostra
nel primo movimento dell'esistenza).[109] In questa chiave vanno interpretate le frequenti osservazioni di
Patoka tendenti a riscontrare nella definizione del mondo come progetto di possibilit una sfumatura
decisiva che, nonostante tutti gli sforzi compiuti da Heidegger in direzione contraria, sembra piegare l'indagine
del Dasein in senso soggettivistico e pagare indirettamente un tributo alla tradizione moderna dell'io
disincarnato e creatore, del solus ipse trascendentale: Non sono io a progettare il mondo di possibilit; ma
siccome sono un essere di possibilit, ancorato nel mondo, la possibilit del mondo, il campo di possibilit del
mondo mi interpella.[110] L'impostazione rigorosamente asoggettiva e dinamico-corporea permette un'analisi
della dimensione intersoggettiva dell'esistenza che raggiunge strati pi profondi di quelli toccati dal Mitsein
heideggeriano.
Sarebbe interessante esaminare in modo puntuale come le diverse figure e relazioni della corporeit siano
implicate nella teoria dei tre movimenti dell'esistenza umana, che costituisce l'esecuzione pi concreta della
fenomenologia dinamica di Patoka e, probabilmente, il suo nucleo concettuale pi noto: il movimento di
radicamento nel mondo (grazie alla base che l'altro ci offre e alla fusione affettiva con lui), il movimento di
autoconservazione e riproduzione della vita (nell'oggettivazione dei rapporti sociali e del lavoro),[111] il
movimento di apertura e verit (il movimento esistenziale in senso eminente, con la domanda circa il senso
della totalit e la posizione dell'uomo al suo interno, dal mito alla filosofia). Ognuno di essi esprime un modo di
temporalizzazione del tempo, una configurazione essenziale della cura, un accento peculiare assunto dal
nostro essere-nel-mondo come movimento. Ma, soprattutto nei primi due movimenti, la corporeit emerge nei
suoi tratti esistenzialmente pi decisivi, anche quando Patoka sembrerebbe orientare altrove l'indagine
fenomenologica. Se, in questo quadro, si pu ancora affermare che il tempo il senso fondamentale dell'esistenza
come libert (e, su un piano correlativo che qui non possiamo esaminare, dell'essere stesso ),[112] i modi di
temporalizzarsi del tempo come passato, presente, futuro si chiariscono e assumono effettivo spessore
esistenziale solo per una soggettivit corporea. Una soggettivit, quella ricercata e posta in opera dalla
fenomenologia asoggettiva, che risulta capace di verit e trascendenza solo nella misura in cui si autocomprende,
ontologicamente, come naturale e terrestre. quasi superfluo aggiungere che queste dizioni, nel linguaggio
filosofico di Patoka, non hanno una risonanza materialistica o fisicalistica, ma, semmai, fungono da ripresa e
riformulazione di una intuizione originaria della filosofia occidentale: l'appartenenza del movimento della vita
umana al tessuto dinamico universale dell'apparizione, allo spazio-tempo del mondo, al dramma cosmo-storico
della physis.[113] La domanda filosofica ed etica sul senso della totalit pu porsi dalla prospettiva di un io che
solo una forza (minore) nel campo di forze dell'apparire e che, tuttavia, il destinatario dell'apparizione, ci
a cui l'apparire appare, nella sua problematicit:[114] l'uomo fatto, per un verso, della stessa stoffa del mondo,
oggettivo e mondano come tutti gli enti, ma, per l'altro, in grado di cogliere la sua differenza dalle cose,
l'intervallo che lo separa dall'essere indifferente di queste ultime, la sua libert che, ontologicamente, un
essere-per-la-verit, una ricerca di senso nell'orizzonte della finitezza. Ma dopo il tramonto delle grandi
metafisiche moderne (oggettive o soggettive) e la crisi del positivismo, nell'odierno dominio del pensiero tecnicoscientifico, ripartire dal corpo-movimento significa ripensare lo spazio di gioco della soggettivit umana al di
fuori del paradigma dell'oggettivit naturalistica, ma anche abbandonando ogni ingenuit spiritualistica e
idealistica. Uscendo quindi da quell'oscillazione fondamentale che caratterizza il cartesianismo della filosofia
moderna, contro cui la fenomenologia fin dai suoi esordi ha combattuto, anche se non sempre in maniera chiara

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e convincente.[115]
Una filosofia fenomenologica asoggettiva prende sul serio la densit e, aggiungerei, il peso dell'esistenza nel
mondo, nell'intreccio costitutivo tra corporeit, intersoggettivit e temporalit: la libert responsabile, che per
Patoka esprime sinteticamente il senso (asoggettivo e post-metafisico) della finitezza dell'uomo, si disegna in
questo complesso orizzonte. Cos l'ontologia dinamica di Patoka, in gran parte ancora da studiare e da
valorizzare come proposta teoretica autonoma, in grado di dialogare fruttuosamente con le pi importanti e
autorevoli figure del pensiero contemporaneo, potrebbe sostenere un'etica della vigilanza e della responsabilit.
Il socratismo patokiano, tante volte messo in luce, si costituisce nella dimensione intermedia dell'apparizione
che abitiamo come esseri corporei:[116] Solo un essere libero pu alienarsi rispetto a se stesso, e ci che
costituisce sia il contesto che il mezzo di questa auto-alienazione proprio quella dimensione intermedia tra la
libert pura e la pura oggettivit, vale a dire la dimensione della vita nel nostro corpo, la dimensione del nostro
soggetto corporeo (CCF, p. 190-191).
Copyright 2015 Mario Smargiassi

Mario Smargiassi. Fenomenologia asoggettiva e corporeit in Jan Patoka. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia
[in linea], anno 17 (2015) [inserito il 30 dicembre 2015], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org
/dialegesthai/>, [231 KB], ISSN 1128-5478.

Legenda
BCLW
Body, Community, Language, World (transl. by E. Kohk), Open Court, Chicago and La Salle (Illinois) 1998.
CCF
Che cos' la fenomenologia? Movimento, mondo, corpo (trad. it. di G. Di Salvatore con la collab. di E. Novakova e M.
Fuikova), Campostrini, Verona 2009.
IPH
Introduction la phnomnologie de Husserl (trad. par E. Abrams), Millon, Grenoble 1992.
LS
Libert et sacrifice (trad. par E. Abrams), Millon, Grenoble,
MN
Le monde naturel comme problme philosophique (trad. par J. Danek et H. Declve), Nijhoff, La Haye 1976.
MNF
Il mondo naturale e la fenomenologia (trad. it. di A. Pantano e G. Pacini), Mimesis, Milano 2003.
MNMEH
Le monde naturel et le mouvement de l'existence humaine (trad. par E. Abrams), Kluwer, Dordrecht 1988.
PE
Platone e l'Europa (trad. it. di M. Cajthaml e G. Girgenti), Vita e Pensiero, Milano 1997.
PP
Papiers phnomnologiques (trad. par E. Abrams), Millon, Grenoble 1995.
QP
Que'est-ce que la phnomnologie? (trad. par E. Abrams), Millon, Grenoble 1988.
SEFS
Saggi eretici sulla filosofia della storia (trad. it. di D. Stimilli), Einaudi, Torino 2009.

Note
1. Ho citato le opere di Patoka secondo le sigle indicate nella Legenda, seguite dal numero di pagina. Ho utilizzato le
traduzioni italiane e, in loro assenza, quelle francesi e tedesche dei testi patokiani.
2. In questa ottica vanno segnalati alcuni volumi di studiosi italiani: R. Terzi, Il tempo del mondo. Husserl, Heidegger,
Patoka, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009. A. Pantano, Dislocazione. Introduzione alla fenomenologia asoggettiva
di Jan Patoka, Mimesis, Milano 2011. F. Tava, Il rischio della libert. Etica, filosofia e politica in Jan Patoka,
Mimesis, Milano 2014.
3. Cfr., per una visione sintetica di questa teoria, Per la preistoria della scienza del movimento: il mondo, la terra, il cielo
e il movimento della vita umana e Il mondo naturale e la fenomenologia, in: MNF, pp. 57-71, pp. 73-126.
4. Introducendo la nuova traduzione italiana (dopo quella pionieristica del 1981) dei Saggi eretici sulla filosofia della
storia, Mauro Carbone lo ha definito l'ultimo grande libro di filosofia del XX secolo. Cfr. Jan Patoka: Eretizzare la
tradizione, in: SEFS, pp. VII-XXIV, p. VIII.
5. Giunge molto opportuna, per comprendere la fondamentale torsione etica che assume in Patoka la riformulazione del
problema della metafisica, la recentissima traduzione italiana degli scritti che gravitano intorno alla questione del
platonismo negativo. J. Patoka, Platonismo negativo e altri frammenti (trad. it. di F. Tava), Bompiani, Milano 2015.
6. Per un primo orientamento sulle diverse dimensioni della ricerca filosofica di Patoka, cfr.: Jan Patoka. Philosophie,
phnomnologie, politique (textes runis par M. Richir et . Tassin), Millon, Grenoble 1993. L'eredit filosofica di Jan
Patoka. A vent'anni dalla scomparsa (a cura di D. Jervolino), CUEN, Napoli 2000. R. Barbaras, Le mouvement de
l'existence. tudes sur la phnomnologie de Jan Patoka, La Transparence, Chatou 2007. Pensare (con) Patoka
oggi. Filosofia fenomenologica e filosofia della storia (a cura di M. Carbone e C. Croce), Orthotes, Napoli 2012.
7. Questa epoch fenomenologica, questa messa entro parentesi del mondo oggettivo, tutto ci non ci pone di fronte a
un mero nulla. Quello che piuttosto - e appunto per ci - diviene proprio a me che medito, il mio esperire puro con
tutti i suoi momenti puri e tutto ci che esso intenziona, l'universo dei fenomeni, nel senso della fenomenologia.
L'epoch [...] il metodo radicale e universale con il quale colgo me stesso come io puro assieme alla mia propria vita di
coscienza pura, nella quale e per la quale per me l'intero mondo oggettivo, nel modo appunto in cui esso per me (E.
Husserl, Meditazioni cartesiane e discorsi parigini, trad. it. di F. Costa, Bompiani, Milano, 1988, p. 54).
8. Cfr. Papiers phnomnologiques (PE); J. Patoka, Vom Escheinen als solchem, Texte aus dem Nachlass, hrsg. von
Helga Blaschek-Hahn und K. Novotn, Alber, Freiburg 2000.
9. La possibilit di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, p. 279, modificata.
10. E. Husserl, L'idea della fenomenologia. Cinque lezioni (trad. it. di A. Vasa), Il Saggiatore, Milano 1988. Sulla genesi del
metodo dell'epoch-riduzione nella fenomenologia husserliana, si possono vedere le considerazioni critiche che Patoka
svolge nel saggio del '76, Che cos' la fenomenologia, dove tra l'altro si dice che, nelle Cinque lezioni, invano [...] si
cercherebbe una netta distinzione tra l'epoch e lo scetticismo, come sar codificata pi tardi nelle Idee; per contro,
l'idea della costituzione dell'oggettualit nella pura immanenza ormai gi presente (Che cos' la fenomenologia, in:
CCF, p. 323).
11. L'essere in s primo che precede ogni oggettivit mondana e la comprende in s, l'intersoggettivit trascendentale, la

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totalit delle monadi che si articola in diverse forme di comunit (Meditazioni cartesiane, p. 171). Ma per valutare in
modo adeguato l'entit dello sforzo husserliano di chiarire il senso intersoggettivo dell'esperienza fenomenologicotrascendentale, nei suoi piani costitutivi molteplici e interconnessi, occorre necessariamente esplorare la massa di
manoscritti inediti raccolti in: E. Husserl, Zur Phnomenologie der Intersubjektivitt I, II, III (hrsg. von I. Kern),
Nijhoff, Den Haag 1973.
12. Avendo di mira l'assoluta peculiarit evidenziale dell'io (trascendentale, puro) ancor prima di averlo
fenomenologicamente articolato, Husserl introduce l'epoch imponendo subito una restrizione e una limitazione del
suo spazio operativo. Cfr. Idee I, 32: L'epoch fenomenologica.
13. Husserl ha limitato in termini espressi l'applicazione dell'epoch alla sola oggettivit; ci gli appariva indispensabile,
da un lato per conservare alla fenomenologia un oggetto, ma anche perch, guidato dalla tradizione cartesiana,
considerava il soggettivo preso nella sua purezza come un dato assoluto di un essere assoluto (MN, Postface, p. 171).
14. Epoch et Rduction, in: QP, p. 257.
15. Ivi, p. 258.
16. Corpo, possibilit, mondo, campo di apparizione, in: CCF, p. 236.
17. Ivi, p. 233.
18. PE, p. 70.
19. Corpo, possibilit, mondo, campo di apparizione, in: CCF, p. 233, modificata.
20. Epoch et rduction, in: PP, pp. 171-172.
21. Ivi, p. 194.
22. L'esigenza di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, pp. 303-304, modificata.
23. Ivi, p. 207.
24. Ivi, p. 209.
25. PE, p. 194.
26. Fenomenologia del corpo proprio, in: CCF, p. 159.
27. Ivi, pp. 159-160.
28. Cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (trad. it. di E. Filippini), EST, Milano
1997, p. 81.
29. Cfr. R. Descartes, Meditazioni sulla filosofia prima (trad. it. di G. Brianese), Mursia, Milano 1994 (Seconda
meditazione. Sulla natura dello spirito umano: esso pi noto del corpo).
30. La possibilit di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, p. 265.
31. R. Descartes, Meditazioni sulla filosofia prima, cit., p. 61.
32. Ma che cosa, dunque, io sono? Una cosa pensante. E cio? Una cosa che dubita, che intende, che afferma, che nega,
che vuole, che non vuole, che immagina anche e che sente (ivi, p. 62).
33. La possibilit di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, p. 267. Analizzando i limiti della riflessione cartesiana sulla
corporeit, Patoka rileva come Descartes, nel suo esperimento mentale della realt trasformata in un sogno
coerente, non prenda in considerazione il fatto che anche la coscienza onirica una coscienza corporea: Pu
sembrare strano che Cartesio non si renda conto che anche colui che sogna ha un corpo. Si tratta evidentemente di un
corpo di cui sogniamo, ma non per questo chi sogna senza corpo - il corpo indispensabile anche al mondo onirico.
Per avere un'esperienza in generale - foss'anche solo una quasi-esperienza - devo essere da qualche parte, cosa che
impossibile senza corpo (Fenomenologia del corpo proprio, in: CCF, p. 161).
34. Cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, trad. it. di G. Alliney ed E.
Filippini, Einaudi, Torino 1965, vol. II, p. 501.
35. Idee I: 46.
36. Cfr. il famoso e controverso 49 di Idee I: La coscienza assoluta come residuo dell'annientamento del mondo. Scrive
Husserl: [...] nessun essere reale, tale cio che si rappresenti e si giustifichi coscienzialmente mediante apparizioni,
necessario all'essere della coscienza stessa (nel senso amplissimo di corrente di Erlebnisse). L'essere immanente
dunque indubitabilmente essere assoluto nel senso che per principio nulla re indiget ad existendum. D'altra parte, il
mondo della res trascendente assolutamente relativo [angewiesen] alla coscienza, non come logicamente
immaginata, ma come attuale (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit.,
vol. I, p. 107).
37. L'esigenza di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, p. 307.
38. La possibilit di una fenomenologia asoggettiva, in CCF, p. 281.
39. Cfr., tra i tanti luoghi in cui Husserl sviluppa la tematica della riflessione e affronta la questione dell'identit dell'io
nel flusso di coscienza, la lezione XL sulla Filosofia prima (E. Husserl, Filosofia prima 1923-24. Seconda parte: teoria
della riduzione fenomenologica, trad. it. di P. Bucci, ETS, Pisa, pp. 129-135). Sul rapporto (aporetico) tra riflessione,
temporalit e auto-intuizione dell'io, cui abbiamo fatto cenno, si possono utilmente consultare alcuni scritti inediti degli
anni '30: E. Husserl, Spte Texte ber Zeitkonstitution (1929-1934). Die C-Manuskripte (edited by D. Lohmar),
Springer, New York 2006.
40. La possibilit di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, p. 281.
41. Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, p. 92.
42. Ivi, p. 93.
43. Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo (trad. it. di P. Chiodi), Longanesi, Milano 1976, pp. 64-sgg.
44. Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, p. 93.
45. Certamente, Husserl stesso ha enfatizzato e finemente analizzato il fenomeno del corpo soggettivo. Tuttavia nella sua
opera il senso del soggetto corporeo non mai chiaramente portato in continuit con la riflessione assoluta. Volenti o
nolenti, dobbiamo chiederci perch, da ultimo, la soggettivit sempre una soggettivit incarnata. In un certo senso, il
modo in cui Husserl lo vede che l'incarnazione della soggettivit, la corporeit del soggetto, una condizione
necessaria del nostro vivere insieme, non in isolamento, ma come esseri in mutuo contatto. [tuttavia] Il fondamento
ultimo non personale, soggettivit: qualcosa che pu costituire nei suoi atti sia le nostre persone che le altre cose nel
mondo, ma che non in se stesso una persona nel mondo in tutta la sua fondamentale natura (BCLW p. 175).
46. Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, p. 94.
47. La fenomenologia dinamica, che rapporta il senso d'essere del soggetto al movimento, ha senso solo se fondata su
una dinamica fenomenologica, che pensa ogni movimento fenomenologicamente, come movimento di manifestazione
(R. Barbaras, Le problme de l'apparaitre. Phnomnologie dynamique et dynamique phnomnologique, in: Id., Le
mouvement de l'existence, cit., p. 72).
48. Qu'est-ce que l'existence?, in: MNMEH, p. 262.
49. Ivi, p. 263.
50. Cfr., per esempio, Il mondo naturale e la fenomenologia, MNF, pp. 67-sgg.
51. Qu'est-ce que l'existence? in : MNMEH, p. 263.
52. L'esigenza di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, p. 311.

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53. Corpo, possibilit, mondo, campo di apparizione, in: CCF, p. 228.


54. L'esigenza di una fenomenologia asoggettiva, in: CCF, pp. 308-309.
55. Mentre prende coscienza della totalit, mentre questa totalit si mostra a lui e diviene fenomeno, l'uomo vede la sua
propria eccentricit, vede che caduto fuori dal centro, che anche lui un fenomeno, un fenomeno precario,
dipendente dal resto del mondo, effimero. La riflessione esplicita si innesta in questa presa di coscienza della situazione
dell'uomo, che, in quanto custode del fenomeno, il solo essere che sa che il suo ambito fenomenico ha una fine. Questo
sta al principio di tutta la riflessione (PE, pp. 63-64). La consapevolezza della dimensione finita della vita umana, che
costituisce un semplice fenomeno del campo di apparizione, un suo momento interno strutturalmente precario e
dipendente, una forza minore nel grande gioco di forze dell'apparire (l'universo), gi presente nel pensiero mitico e
raggiunge la massima trasparenza nella speculazione filosofica.
56. Corpo, possibilit, mondo, campo di apparizione, in: CCF, pp. 224-225.
57. Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, pp. 104-105.
58. [Corpo e mondo], in: CCF, pp. 188-189.
59. Leons sur la corporeit, in: PP, p. 62.
60. Cfr., ad esempio, E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., vol. II, pp.
453-sgg.
61. Phnomenologie et mtaphysique du mouvement, in: PP, p. 19.
62. Ivi, p. 17.
63. In Husserl un soggetto non corporeo apoditticamente concepibile e fenomenologicamente indispensabile, per
marcare la differenza di principio tra il flusso di coscienza, in cui essere e manifestazione si fondono in maniera
necessaria, e il mondo spazio-temporale, la cui strutturazione ordinata e coerente invece contingente e sempre aperta
alla possibilit del non essere. Se il mondo si rivelasse improvvisamente una parvenza trascendentale, l'io puro
rimarrebbe il soggetto di questa esperienza dell'annientamento del mondo e della sua trasformazione in un caos
fenomenico, ma non possiederebbe pi il suo corpo: Se il mondo creato, il mondo oggettivo della mia esperienza
annientato, non per questo anch'io stesso sono annientato, l'io puro che compie questa esperienza, come non
annientata questa stessa esperienza. [...] Io, questo uomo secondo la parvenza trascendentale, sarei per in verit senza
corpo; e dovessi perdere questo stesso corpo trascendentale apparente, non cesserei tuttavia di essere soggetto in senso
proprio - il soggetto di un'esperienza ormai trasformata in un caos assurdo (E. Husserl, Filosofia prima, cit., p. 113).
64. Cfr. 7.
65. Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, p. 94.
66. Com' noto, paura e angoscia costituiscono le due modalit fondamentali della situazione emotiva dell'esserci (in
quanto un progetto gettato), corrispondenti rispettivamente all'inautenticit e all'autenticit della sua esistenza. Al
di l delle ragioni della selezione heideggeriana, dall'ampio spettro della vita emotiva dell'uomo, di queste due
dimensioni esistenziali, Patoka rimarca fenomenologicamente l'essenziale connessione dello stato d'animo, qualunque
ne sia la qualit, con la dinamica del corpo: Lo stato d'animo [la situazione emotiva] strettamente connesso con
la corporeit, con l'essere-un-corpo. [...] Anche il linguaggio lo testimonia: euforia, depressione, tutti questi termini
catturano la continuit tra uno stato d'animo e il modo in cui stiamo operando. Lo stato d'animo ci reprime o ci
incoraggia. Lo afferriamo corporeamente, lo sentiamo nel nostro dinamismo. In esso afferriamo certe possibilit: a
volte viviamo in modo da sfidare tutto, altre volte fluttuiamo leggeri, come sulle ali. Il soggetto corporeo, dinamico,
radicato in tali posture. Ulteriori componenti del nostro modo di sentire - per esempio: piacere, pena - sono stati
corporei nel contesto di un'esperienza vissuta che si auto-comprende (BCLW, p. 79).
67. Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, p. 96.
68. Ibidem.
69. La corporeit dell'esistenza ci rivela immediatamente il senso pi elementare e concreto della trascendenza, ovvero il
movimento come struttura da... verso...: Senza andare pi lontano, la semplice metafora della trascendenza
dell'uomo l'indice di questa corporeit. [...] Sul fondamento della corporeit, la nostra attivit sempre un movimento
da... verso..., ha sempre un punto di partenza e una meta. Su questo fondamento, la nostra esistenza sempre caricata,
nella sua attivit, del peso del bisogno, della ripetizione, della restituzione e del prolungamento della corporeit
propria (Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, pp. 104-105).
70. Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, pp. 93-94.
71. Cfr., per esempio, La conception aristotlicienne du mouvement: signification philosophique et recherches historiques,
in: MNMEH, pp. 127-138.
72. BCLW, p. 147.
73. Leons sur la corporeit, in: PP, p. 97.
74. [Corpo e mondo], in: CCF, p. 185.
75. Cfr. nota 136.
76. Il mondo naturale e la fenomenologia, in: MNF, p. 97.
77. [Corpo e mondo], in: CCF, pp. 185-186.
78. Cfr. PE.
79. Cfr. E. Husserl, La cosa e lo spazio. Lineamenti fondamentali di fenomenologia e teoria della ragione (trad. it. di A.
Caputo), Rubbettino, Soveria Mannelli 2009.
80. BCLW, p. 31.
81. Ibidem.
82. Il concetto di dislocazione, come chiave interpretativa della fenomenologia asoggettiva, stato sviluppato e
approfondito nel libro di A. Pantano che abbiamo gi citato.
83. L'espace et sa problmatique, in: QP, pp. 55-56.
84. Nonostante l'analisi dello spazio occupi, tutto sommato, una zona periferica dell'architettura fenomenologica di Essere
e tempo, innegabile che sia stato proprio Heidegger a preparare il terreno per la considerazione esistenziale della
spazialit, saldandola strutturalmente all'essere-nel-mondo: solo la comprensione dell'essere-nel-mondo come
struttura essenziale dell'esserci a render possibile la visione della spazialit esistenziale dell'esserci (Essere e tempo,
cit., p. 88). Evidente appare, anche terminologicamente, il debito di Patoka verso queste pagine heideggeriane sullo
spazio.
85. L'espace et sa problmatique, in: QP, p. 61.
86. Ivi, p. 59.
87. Ivi, p. 63.
88. Ivi, p. 62.
89. Cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., pp. 210-211: L'epoch crea una
singolare solitudine filosofica, che l'esigenza metodica fondamentale di una filosofia realmente radicale. [...] L'io che
attingo nell'epoch [ ] denominato io soltanto per un equivoco, anche se si tratta di un equivoco essenziale, perch
quando io cerco di definirlo riflessivamente non posso dire che: questo io sono io, io che attuo l'epoch, io che interrogo
il mondo quale fenomeno, il mondo che vale ora per me nel suo essere e nel suo essere cos-e-cos, con tutti gli uomini
in esso, gli uomini di cui io sono tanto sicuro; io che sto al di sopra di tutta l'esistenza naturale che ha senso per me, che

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sono il polo egologico della vita trascendentale entro cui il mondo ha senso per me puramente in quanto mondo; io che
nella mia concrezione includo tutto ci.
90. Il paradosso fenomenologico della soggettivit umana, oggetto nel mondo e soggetto per il mondo, viene sviluppato e
chiarito da Husserl nei 53-54 della Crisi.
91. Per un'analisi della nuova configurazione assunta dalla soggettivit trascendentale in Husserl, mi permetto di
rinviare a: M. Smargiassi, La soggettivit trascendentale concreta. Linee per una rilettura della fenomenologia di
Edmund Husserl, Aracne, Roma 2003.
92. L'espace et sa problmatique, in: QP, pp. 62-63.
93. [I fenomeni dell'interpellazione] presuppongono la simultaneit del tu e dell'io, cio lo spazio. Lo spazio in questo
senso ordo coexistentiae (L'espace et sa problmatique (Annexes), in QP, p. 310).
94. L'orientamento globale del vissuto (senza eccettuare il vissuto corporeo che l'esperienza sensibile) sull'oggetto
fondamentale per la comprensione del nostro rapporto originario con lo spazio che si approfondisce e si struttura
perch esso una presenza personale, un rapportarsi personale ad altri enti e, in ultima analisi, all'universo di tutti gli
enti. Per questa ragione, il rapporto con lo spazio indissolubilmente legato alla struttura del pronome personale
(L'espace et sa problmatique (Annexes), in: QP, pp. 308-309).
95. E. Husserl, Meditazioni cartesiane e discorsi parigini, cit., p. 115. La questione dell'esperienza dell'altro, dell'empatia,
non rappresenta per Husserl un problema specifico e settoriale della fenomenologia trascendentale, in quanto la sua
chiarificazione teoretica consente di fondare una teoria trascendentale del mondo oggettivo. Infatti, al senso
d'essere del mondo, specialmente della natura in quanto oggettiva, appartiene l'esserci-per-ognuno, come sempre da
noi cointenzionato quando parliamo di realt oggettiva. Inoltre, al mondo dell'esperienza appartengono oggetti con
predicati spirituali, che per loro origine e senso rimandano a soggetti e in generale a soggetti estranei e alle loro
intenzionalit attivamente costitutive (ivi, pp. 115-116).
96. Cfr. V Meditazione cartesiana, 50-55.
97. Cfr., in questa prospettiva, La phnomnologie, la philosophie phnomnologique, et les Meditations cartesiennes de
Husserl, in: QP, pp. 149-188.
98. [Corpo e mondo], in: CCF, p. 193.
99. Ivi, p. 203.
100. Il fondamento ontologico originario dell'esistenzialit dell'esserci la temporalit. La totalit articolata delle strutture
dell'essere dell'esserci in quanto cura comprensibile esistenzialmente solo a partire da essa (M. Heidegger, Essere e
tempo, cit., p. 287).
101. [Corpo e mondo], in: CCF, p. 204.
102. Ivi, pp. 204-205.
103. Cfr. V Meditazione cartesiana, 44.
104. Il percorso sviluppato nella V Meditazione non l'unico possibile nella tematizzazione husserliana del problema
fenomenologico-trascendentale dell'intersoggettivit. In alcuni inediti, Husserl sembra fornire gli elementi per una
(auto)critica fenomenologica della riduzione alla soggettivit pura, nella stessa linea di Patoka. Cfr., su questo, M.
Smargiassi, Solipsismo e intersoggettivit nella fenomenologia trascendentale di Edmund Husserl, in: Dialegesthai
(2009).
105. [Corpo e mondo], in: CCF, p. 195.
106. Ibidem.
107. Ivi, p. 196, nota 7.
108. Ibidem.
109. Cfr. Critica della ragion pura, Analitica dei principi: Confutazione dell'idealismo.
110. [Corpo e mondo], pp. 194-195.
111. Ivi, p. 196, nota 7.
112. Merleau-Ponty, proseguendo le analisi husserliane del potere sul corpo e rinnovando la tradizione francese che ha
la sua origine in Maine de Biran, mette in rilievo con particolare acutezza il carattere corporeo dell'esistenza, il corpo e
il potere sul corpo come componente originaria, insostituibile e fonte autentica di tutte le possibilit dell'esistenza
(Meditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, p. 97).
113. Per quanto riguarda gli approdi della fenomenologia henryana come rivelazione della vita invisibile, si vedano
almeno: M. Henry, Incarnazione. Una filosofia della carne (trad. it. di G. Sansonetti), SEI, Torino 2001; Id., Io sono la
verit. Per una filosofia del cristianesimo (trad. it. di G. Sansonetti), Queriniana, Brescia 1997.
114. Il mondo della vita il mondo del bene e del male e la soggettivit quella del dramma del bene e del male; bene e
male di un essere essenzialmente finito che non saprebbe vivere senza un progetto non tematico di un bene, senza
sapere, sempre non tematicamente, che questo progetto legato all'ombra della possibilit estrema di non progettare
del tutto. [...] La corporeit, la reciprocit, la spazialit concreta compresa di familiarit ed estraneit, sono tutte
strutture costanti di questo mondo (La filosofia della crisi delle scienze secondo Edmund Husserl e la sua concezione
di una fenomenologia del mondo della vita, in: MNF, p. 146).
115. Sulla tensione tra finitezza e infinit come orizzonte per comprendere il senso complessivo della filosofia
patokiana, illuminante la ricerca di F. Karfik, Unendlichwerden durch die Endlichkeit. Eine Lektre der Philosophie
Jan Patokas, Knigshausen und Neumann, Wrzburg 2008.
116. Cfr. BCLW, p. 176.
117. Paradossalmente, il corpo appare come ci che renderebbe pi comprensibili e pi concrete alcune delle tesi
fondamentali di Essere e tempo. Ma, di fatto, il fenomeno della corporeit si ritira sempre di nuovo sullo sfondo, non si
trova mai al centro del campo tematico, non diventa un fondamento dell'analisi esistenziale e della vita stessa della
soggettivit: Heidegger non nega la corporeit, non nega che siamo anche oggettivamente tra gli oggetti, ma non
analizza ci ulteriormente, non lo riconosce come quel fondamento della nostra vita che esso (BCLW, Ibidem).
118. Essere e tempo, cit., p. 160.
119. Ivi, 22-23-24. L'interpretazione del senso esistenziale dello spazio viene dapprima delineata sulla base dell'ente
utilizzabile o alla mano (zu-handen), che acquista le pi elementari determinazioni spaziali (vicino, lontano,
qui, l, dove, ecc.) in modo conforme al prendersi-cura disvelante dell'esserci. Poi Heidegger passa a esaminare
la spazialit propria dell'esserci, il quale, come ente, caratterizzato dal dis-allontanamento, cio dalla tendenza
essenziale alla vicinanza (ottenere, preparare, avere a portata di mano, ecc.), e dall'orientamento, cio
dall'assumere una determinata direzione. Infine, viene analizzata pi in generale la relazione tra lo spazio e l'esserenel-mondo, rilevando come la dimensione esistenziale della spazialit non possieda ancora il senso oggettivo, puro
dello spazio metrico e geometrico; al contrario, quest'ultimo scaturisce solo da una de-mondanizzazione, da una
sospensione di quella struttura-di-mondo che contraddistingue l'incontro con l'ente alla mano. Non possiamo qui
avviare un confronto pi ampio tra la concezione dello spazio di Heidegger e quella di Patoka. Si pu comunque
osservare come nella fenomenologia della spazialit dell'esserci, cui Patoka certamente si richiamato sotto diversi e
importanti aspetti, emerga solo a tratti e in maniera non sistematica il legame essenziale con l'intersoggettivit, con
l'apertura dell'io ad altri, che, invece, occupa spesso il centro della riflessione patokiana sullo spazio.
120. Ivi, p. 393.
121. L'avanti e l'avanti-a-s indicano l'avvenire quale reso possibile dall'essere l'esserci tale che gli importi del suo
poter-essere. Il progettarsi-in-avanti sull'in-vista-di-se-stesso, progettarsi che si fonda nell'avvenire, un carattere

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essenziale dell'esistenzialit. Il senso primario dell'esistenzialit l'avvenire (Ibidem, modificata).


122. La vicinanza massima dell'essere-per-la-morte come possibilit coincide con la sua lontananza massima da ogni
realt. Quanto pi questa possibilit compresa senza veli, tanto pi acutamente la comprensione penetra nella
possibilit in quanto impossibilit dell'esistenza in generale. [...] L'essere-per-la-morte, come anticipazione della
possibilit, rende possibile la possibilit e la rende libera come tale (M. Heidegger, Essere e tempo, p. 319). Cos
intesa, la morte esistenzialmente il trascendentale della possibilit (la possibilit dell'impossibilit come possibilit
della possibilit) e, in ultima istanza, della libert.
123. Cfr. M. Richir, Prface, in QP, p. 12.
124. Sarebbe interessante rileggere l'abbandono da parte di Heidegger della fenomenologia esistenziale e la cosiddetta
Kehre verso un pensiero dell'essere pi originario (non segnato dall'impronta epocale della metafisica e dell'umanismo)
alla luce della decisione di oltrepassare il fondamento corporeo dell'esistenza (una decisione gi compiuta, in fondo,
nell'opera del '27). Su questo piano Patoka, condividendo alcuni aspetti della Kehre heideggeriana come tentativo di
(ri)pensare il senso dell'essere e del tempo in una prospettiva che sfugga all'alternativa di soggetto e oggetto, ne
coglie anche i limiti e i rischi di irrazionalit e oscurit, rimanendo fedele alla lezione fenomenologica di Husserl sulla
concretezza della vita soggettiva. A chiusura del saggio del 1967, Il mondo naturale e la fenomenologia, si legge: Ci
siamo sforzati di non cadere in quel soggettivismo che scorge l'assoluto stesso nel fondo dell'uomo [Hegel e, in parte,
Husserl] (e ai cui occhi l'uomo appare come un essere interiormente infinito), e neppure nell'irrazionalismo di
quell'essere preliminare alla cui grazia e disgrazia si troverebbe esposto il senso stesso dell'essere umano [la posizione
del secondo Heidegger] (Il mondo naturale e la fenomenologia, in: MNF, p. 124).
125. Cfr.: Le prils de l'orientation de la science vers la tecnique selon Husserl et l'essence de la technique en tant que pril
selon Heidegger, in: LS, pp. 266-267.
126. Il significato etico della corporeit (o incarnazione) emerge chiaramente, prima del configurarsi di una legge e di un
discorso morale, in quella che Patoka chiama la missione della soggettivit verso il mondo, in quanto essa , nella sua
essenza, chiarezza ed esigenza di chiarificazione, movimento vivente della verit, rivelazione del senso dell'apparire
(una rivelazione mai completa e inesauribile, ma sempre di nuovo da approfondire): Questo fatto dell'azione nel corpo
e nel mondo senza la quale la soggettivit stessa sarebbe impossibile, ha il senso di una missione della soggettivit verso
il mondo. La soggettivit rinviata al mondo e dipendente dal mondo, essa richiede come tale il mondo. Ma sappiamo
che la soggettivit nella sua essenza la chiarezza, l'essere-allo-scoperto del mondo. La missione della soggettivit verso
il mondo significa, certo, l'incompletezza di questa chiarezza, ma anche un appello del mondo alla soggettivit, un
appello alla chiarezza. [...]. Cos l'incarnazione e la mondanit dell'uomo si accompagnano anche ad un appello a ci che
non dato, ma deve essere, in una maniera pi profonda, svelato, scoperto, condotto all'apparire (IFS, p. 177).
Nell'oltrepassare il dato, nella prospettiva di qualcosa di superiore, e di pi alto, che occorre portare alla luce,
consiste l'accezione pi pregnante della trascendenza dell'uomo, secondo Patoka.
127. [Corpo e mondo], in: CCF, p. 191.
128. Cfr. G. Marcel, Essere e avere, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1999.
129. [Corpo e mondo], in: CCF, p. 189.
130. Ivi, pp. 187-188.
131. Ivi, p. 190.
132. In un passaggio importante delle lezioni di Introduzione alla fenomenologia di Husserl, discutendo la tesi husserliana
dell'ego come presente vivente ed evidenziandone alcune aporie di fondo, Patoka cerca di afferrare, oltre l'esito
esplicito delle analisi della coscienza del tempo, il punto nodale in cui la temporalit del soggetto manifesta il suo
necessario risvolto corporeo, la sua incarnazione e oggettivazione:Se la soggettivit del soggetto espressa [da
Husserl] come nunc stans, come ego in un istante costante, stabile, ne consegue che il soggetto deve incessantemente
oggettivarsi, trasformare se stesso in oggetto per poter esistere come soggetto, e ci in ultima analisi significa, non
appena si considerino tutte le implicazioni della coscienza interna del tempo, che deve incarnarsi, deve essere la
soggettivit di un soggetto corporeo (IPH, p. 176).
133. Per Patoka, neppure a Heidegger riuscito di pensare il tempo asoggettivamente, sebbene la sua critica del tempo
vuoto kantiano e la sua presa di distanza dal tempo della coscienza di Husserl abbiano certamente aperto la strada
per un nuovo pensiero fenomenologico della temporalit: Il tempo da concepire diversamente: 1) rispetto a Kant, in
cui esso una vuota rappresentazione dell'immaginazione, una pura immagine, qualcosa di vuoto; 2) rispetto a
Edmund Husserl e Heidegger, perch anch'essi vedono il tempo come qualcosa di soggettivo, come ci che unifica
soggettivamente attraverso l'anticipazione e la ritenzione, attraverso i modi di temporalizzazione propri delle
dimensioni della temporalit (Forma-del-mondo dell'esperienza e esperienza del mondo, in: CCF, p. 138).
134. Il progetto delle nostre possibilit umane fondamentali connesso al fatto che l'uomo, in quanto essere finito, anche,
necessariamente, un essere temporale. In quanto finiti, siamo anche temporali e, in quanto temporali, finiti. La nostra
vita vita nel tempo, per un tempo, nella tensione tra inizio e fine, continuamente presenti, questi ultimi, come limiti
della nostra durata, del tempo che nostro (Qu'est-ce que l'existence? In: MNMEH, p. 262).
135. Cfr. BCLW, p. 178.
136. Acquisire il mondo, ancorarsi e radicarsi in esso possibile soltanto attraverso l'intermediario degli altri; [...] ma tale
acquisizione del mondo si realizza nell'ambito di una protezione che [all'individuo] garantita dall'accoglienza da parte
degli altri. negli altri che la terra diventa calda, amabile, benigna. Gli altri sono pertanto la dimora originaria, e non
una mera necessit esteriore (Per la preistoria della scienza del movimento..., in: MNF, cit., pp. 65-66).
137. Corpo, possibilit, mondo, campo di apparizione, in: CCF, p. 228.
138. Il tema del lavoro costituisce in Patoka un'altra prospettiva fondamentale sull'oggettivazione inseparabile dal senso
della soggettivit umana, in quanto mondana e corporea: Si pu accettare l'altro solo esponendo noi stessi,
provvedendo ai suoi bisogni non meno che ai nostri, e cio lavorando. Il lavoro sostanzialmente il nostro metterci a
disposizione e allo stesso tempo il disporre di noi da parte degli altri, le cui radici sono in quel collegamento fattizio
della vita con se stessa che fa appunto della vita una metafora ontologica (SEFS, p. 35).
139. Sul tempo come forza ontologica universale e mistero, in una riflessione carica di suggestioni heideggeriane, cfr. Les
fondements spirituels de la vie contemporaine, in: LS, p. 237.
140. La corporeit di ogni movimento ci impedisce di perdere di vista il fatto che, in quanto noi ci muoviamo, in quanto
agiamo e in quanto in questo fare comprendiamo noi stessi e le cose, noi facciamo parte della physis, del mondo che
tutto ingloba, della natura (Mditation sur Le monde naturel comme problme philosophique, in: MNMEH, p. 93).
Riletto nel contesto della fenomenologia asoggettiva, la physis costituisce quel movimento pi vasto e pi profondo
(universale, cosmico) in cui si inserisce il movimento (finito) della soggettivit, l'esistenza umana. Ma la physis non
rappresenta semplicemente un ritorno del pensiero occidentale al suo passato pre-metafisico, n il suo appello si
esaurisce in un richiamo potente alle dimensioni corporee e terrestri dell'esistenza; physis anche, in Patoka, il nome
di quel mistero del mondo e del tempo da cui si genera incessantemente la domanda della filosofia (la filosofia come
domandare) e in cui prende forma, per l'uomo, la possibilit fondamentale di una vita-nella-verit.
141. Sulla problematicit come struttura dell'esistenza umana nel mondo e orizzonte permanente della filosofia nella sua
storia, cfr., per esempio, L'homme spirituel et l'intellectuel, in: LS, pp. 247-sgg.
142. Nel suo fondamento storico e come frutto del lavoro congiunto di Husserl e Heidegger, la fenomenologia appare a
Patoka come lo svelamento del cartesianismo essenziale di tutta la nostra epoca moderna se, per usare la
terminologia heideggeriana, si guarda il cartesianismo come la somma delle conseguenze ontiche dell'ontologia che
prende le mosse con la dottrina delle sostanze, cio con la teoria di Cartesio dei due modi d'essere della res. La
fenomenologia non nient'altro che l'aspirazione ad opporre a questo concetto fondamentale dei tempi moderni il
percorso di una ricerca (Che cos' la fenomenologia, in: CCF, p. 345). Cfr., per una discussione complessiva del
problema, Cartsianisme et phnomnologie, in MNMEH, pp. 180-226.

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143. Meriterebbe un'analisi specifica il confronto tra Patoka e Emmanuel Lvinas, come due diverse ma in parte
convergenti linee di sviluppo di un pensiero incarnato, in cui l'eredit fenomenologica si modula nel tentativo di
ridare un senso, non ingenuo e non dogmatico, alla parola umanesimo, oltrepassando il verdetto antiumanistico di
Heidegger.

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