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LIBER ANNUUS

Annual of the
Studium Biblicum Franciscanum
Jerusalem

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

LIBER ANNUUS
L
2000

JERUSALEM

Editor
Co-editors
Editorial Board

G. Claudio Bottini
Eugenio Alliata, L. Daniel Chrupcaa
Giovanni Bissoli, Marcello A. Buscemi, Nello Casalini,
Lino Cignelli, Pietro Kaswalder, Stanislao Loffreda,
Frdric Manns, Alviero Niccacci, Massimo Pazzini,
Michele Piccirillo, Rosario Pierri, Tomislav Vuk

Pubblications of the STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM


sponsored by the Franciscan Custody of the Holy Land:
SBF Liber Annuus (LA)
Collectio Maior
Collectio Minor
Analecta
Museum

1951-1999
40 volumes
40
"
59
"
14
"

All correspondence, papers for publication in LA,


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Printed in Jerusalem 2002

ISSN 0081-8933

INDICE GENERALE

Articoli
A. Niccacci

Lo Spirito, forza divina del creato

V. Lopasso

Esilio, diaspora e rimpatrio in Ger 24

25

Blessed are the Meek for they Shall Inherit


the Earth

37

Il pasto del Signore, alla mensa del Signore

53

F. Manns

N. Casalini
G. Segalla

G. Biguzzi

G. Bissoli

S. Lgasse

La memoria simbolica del Ges terreno


nel libro dellApocalisse

115

I numeri nellApocalisse di Giovanni e il


loro linguaggio

143

La Bibbia in aramaico. Verso una mutua


definizione di Giudaismo e Cristianesimo

167

Exgse juive ancienne et exgse patristique.


Le cycle biblique de Gdon
181

M. C. Paczkowski Il seno del Padre (Gv 1,18) nella patristica


precalcedonese
263
Y. Hirschfeld

The Monastery of Chariton. Survey and


Excavations

315

J. Patrich

A Chapel of St. Paul at Caesarea Maritima?

363

L. Di Segni

A Chapel of St. Paul at Caesarea Maritima?


The Inscriptions

383

L. Bonato
M. Emery

C. Sanmor
C. Pappalardo

G. Bisheh
E. Gautier di
Confiengo

I. Pea

Le clotre des Franciscains Bethlem.


Lettre de larchitecte Jean-Baptiste
Guillemot Melchior de Vog

401

Ceramica dal monastero della Theotokos


nel Wadi Ayn al-Kanisah Monte Nebo

411

Two Umayyad Mosaic Floors from Qastal

431

La catechesi figurata dei mosaici


della chiesa del vescovo Sergio ad
Umm al-Rasas di Giordania

439

Hospederas rurales en la Siria bizantina

453

Sintesi degli articoli (Abstracts)

459

Ricerca storico-archeologica
in Giordania XX2000

469

Recensioni e libri ricevuti

505

SBF: Anno accademico 1999-2000

609

Tavole

1-68

ARTICOLI

LA 50 (2000) 7-458; tavv. 1-52

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

A. Niccacci

Spirito-ra forza di vita che proviene da Dio. Svolge funzioni differenti: nel cosmo, negli animali, nellumanit e in Dio stesso. In quanto tale
costituisce una certa connaturalit tra il mondo divino, quello animale e
umano e il cosmo nel suo complesso. Ne risulta una visione integrata della
realt, che biblica ma che si riflette in modo speciale nella corrente
sapienziale.
Spirito-ra fra i termini biblici pi ricchi, come parola, vita, sapienza. Abbraccia una vasta gamma di significati senza che sia possibile tracciare confini precisi tra luno e laltro. Linterprete che voglia definirlo si
trova molte volte in difficolt. Significa vento (accezione cosmologica),
respiro (accezione zoologica e umana) oppure spirito (accezione teologica)?
Senza pretendere di definirlo con esattezza, far un panorama delle diverse funzioni che il termine ra svolge nellAntico Testamento. Mi atterr alle funzioni non strettamente teologiche. Non tratter cio la
funzione dello Spirito di Dio nei profeti, giudici ed eroi di Israele, re, Messia, che quella maggiormente illustrata dagli studiosi1.

1) Spirito nel cosmo


[1] Quando Dio allinizio cre il cielo e la terra, [2] la terra era informe e deserta, le tenebre erano sulla superficie delle acque e lo spirito
di Dio (ra elohm) aleggiava sulla superficie delle acque (Gn 1,1-2).

Linterpretazione discussa. Bisogna intendere spirito di Dio, oppure


vento di Dio (= vento fortissimo), e con quale funzione? Vento che dis-

1. Si consultino le voci di dizionario: Anchor Bible Dictionary, Holy Spirit, III, 260-280;

Dictionnaire de spiritualit, Esprit, IV, 1234-1246, e Esprit Saint, IV, 1246-1333;


Dizionario Teologico dellAntico Testamento, ra Spirito, II, 654-678; Grande Lessico
del Nuovo Testamento, pneuma etc., X, 767-1099; Supplment au Dictionnaire de la
Bible, Saint Esprit, XI, 172-398; Theologische Realenzyklopdie, Geist / Heiliger Geist
/ Geistesgaben, 12, 170-254; Theologisches Wrterbuch zum Alten Testament, ra, VII,
385-425.
LA 50 (2000) 9-23

10

A. NICCACCI

secca le acque, come in occasione del diluvio (Gn 8,1) o al passaggio del
Mar Rosso (Es 14,21; 15,8.10)?2 Oppure spirito-soffio proveniente da Dio,
inizio di vita e strumento di creazione (cf. 2)?3
La seconda possibilit preferibile per due motivi. Da un lato, quando
in Gn 1,9 si descrive la separazione delle acque dalla terraferma, non si
parla dello spirito-vento, ma la separazione avviene secondo lo schema
Dio disse e fu fatto. Daltro lato, il verbo usato per lo spirito di Dio
(meraepet), in Dt 32,11 viene usato per laquila che, dopo aver svegliato i
piccoli, si agita (yerap) sopra di essi4, allarga le ali e li prende sopra di
s5. Dunque il verbo si pu intendere in rapporto aglinizi della vita nel
cosmo. Commenta Rashi: Il Trono della Gloria stava in aria e aleggiava
sulla superficie delle acque con il vento della bocca del Santo, sia benedetto, e con la sua parola, come colomba che aleggia sul nido. Acoveter, in
lingua straniera6.
Nelle cosmogonie orientali il vento-aria ha funzione ordinatrice. Per gli
egiziani laria (il dio Shu) manteneva separata la terra (il dio Gheb) dal cie2. In Sal 18,16 la terminologia dellesodo del popolo viene usata per il singolo (David):

Le sorgenti delle acque divennero visibili, / si rivelarono le fondamenta della terra, / per la
tua minaccia, o Signore, / per il soffio del tuo furore (minnimat ra appek, lett. per il
soffio dello spirito del tuo naso; cf. 2 Sam 22,16).
3. Sullinterpretazione di Gn 1,2 si veda la ricerca di K. Smoroski, Et Spiritus Domini
ferebatur super aquas. Inquisitio historico-exegetica in interpretationem textus Gen. 1,2c,
I, Biblica 6 (1925) 140-156; II, 275-293; III, 361-395 (interpretazione giudaica; Padri
orientali; Padri occidentali; scrittori medievali e posteriori; esegesi), e anche F. Manns, Le
symbolisme eau-Esprit dans le judasme ancien, Jerusalem 1983, spec. 51-53.
4. Il verbo rp si trova anche in Ger 23,9 nel senso di scuotersi, agitarsi: Si spezzato
(nibar) il mio cuore, / dentro di me si sono scosse (rp) le mie ossa. Nel mito ugaritico
di Aqhat il verbo rp si dice delle aquile che volteggiano sul protagonista (cf. G. Del Olmo
Lete, Mitos y leyendas de Canaan segn la tradicin de Ugarit. Textos, versin y estudio,
Madrid - Valencia 1981, 624, s.v.).
5. Un bel testo di Qumran applica agli umili/fedeli lazione dello Spirito allinizio della
creazione: wl nwym rww trp wmwnym ylyp bkw Sugli umili alegger il suo Spirito
(= di Dio) e i fedeli rinnover con la sua forza (4Q521). Su questo e altri testi del
giudaismo esseno sullo Spirito di Dio si pu consultare E. Puech, LEsprit saint
Qumrn, LA 49 (1999) 283-297.
6. degno di nota il fatto che questo aleggiare sulle acque sia attribuito a una colomba,
piuttosto che a unaquila, come in Dt 32,11, non solo dai cristiani ma anche dai giudei: cf.
W. Hildebrandt, An Old Testament Theology of the Spirit of God, Peabody (MA) 1995, 3739. Il riferimento alla colomba si trova gi nel Talmud (Hagigah 15a: The Babylonian Talmud: Seder Moed, ed. I. Epstein, London 1938, 92) e nel Midrash (Midrash Rabbah:
Genesis, I, ed. H. Freedman - M. Simon, London 1939, 18). Per acoveter coprire,
aleggiare nel commentario di Rashi si veda J.C. Greenberg, Foreign Words in the Bible
Commentary of Rashi, rev. ed., Jerusalem 1992, 23; G. Sed-Rajna (ed.), Rashi 1040-1990.
Hommage Ephram E. Urbach, Paris 1993, 415 (in Is 5,5).

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

11

lo (la dea Nut)7. Nel racconto biblico una funzione simile svolta dal firmamento (raqa), che separa le acque inferiori da quelle superiori, mentre
laltra divisione, tra mari e terraferma, operata direttamente dalla parola
di Dio (Gn 1,9-10).
2) Spirito negli esseri viventi
Ogni carne in cui spirito di vita (ra ayym) (Gn 6,15).
Per la Parola del Signore i cieli furono fatti / e per lo spirito (ra)
della sua bocca tutti i loro ornamenti (Sal 33,6).
[29] Se nasconderai il tuo volto, verranno meno; / se ritirerai il loro
spirito (ram), moriranno / e alla loro polvere ritorneranno; [30] se
manderai il tuo spirito, saranno creati, / affinch tu rinnovi la superficie
della terra (Sal 104,29-30)8.
Se (Dio) porr verso di lui (= uomo) il suo cuore, / se il suo spirito e
il suo respiro (r wenimt) a s ritirer, / morir ogni carne insieme
/ e luomo alla sua polvere ritorner (Gb 34,14).

Lidea che la creazione avviene per la Parola del Signore o per il suo
Spirito riflette lo schema del primo racconto di creazione, attribuito allautore sacerdotale (Gn 1,1-2,4): Dio disse e fu fatto. unidea molto pura,
quasi filosofica, dellazione creatrice, per cui Israele si distingue tra le nazioni vicino-orientali antiche9. Il secondo racconto, attribuito allautore
7. Per liconografia della cosmogonia egiziana, e anche delle altre orientali, si consulti O.

Keel, The Symbolism of the Biblical World, New York 1978, cap. I, figg. 25-27: il dio
dellaria-Shu tiene separati la terra-Gheb (elemento maschile) e cielo-Nut (elemento
femminile); in qualche immagine il faraone prende il posto di Shu, cio compie la medesima
funzione cosmogonica ordinatrice (sostiene lordine del cosmo: figg. 20-21). Lam 4,20
esprime una concezione simile in termini israelitici: spirito del nostro naso (ra appn)
lUnto del Signore, cio il re fa vivere la nazione.
8. Lett.: [29] Nasconda tu (tastr) il tuo volto / ritiri tu (tsp) il loro spirito [30]
Mandi tu (tealla) il tuo spirito / affinch tu rinnovi (teadd) la superficie della terra.
Le forme verbali tastr, tsp e tealla sono yiqtol di prima posizione nella proposizione
con valore iussivo e funzionano come protasi (cf. P. Joon, A Grammar of Biblical Hebrew,
vol. 2, ed. T. Muraoka, Roma 1993, 167a), mentre il weyiqtol teadd dovrebbe indicare
lo scopo.
9. paragonabile, per quanto riguarda lEgitto antico, il cosiddetto Documento di teologia
menfita: cf., ad esempio, A.-M. Esnoul et al. (edd.), La naisssance du monde: Egypte
ancienne - Sumer - Akkad - Hourrites et Hittites - Canaan - Isral etc., Paris 1959, 17-91
(spec. pp. 62-64).

12

A. NICCACCI

yahvista (Gn 2,5-25), usa invece un linguaggio antropomorfico, pi vicino


a quello dei popoli circostanti.
Lo Spirito collegato alla creazione anche perch ogni essere, sia animale che uomo, vivente in quanto ha in s il respiro (nem) o spirito
(ra) di Dio. C somiglianza tra la Parola che chiama allesistenza e lo
Spirito che d vita, al punto che un testo di Giobbe attribuisce la creazione
delluomo allo spirito-respiro di Dio:
Lo spirito di (ra) Dio mi ha fatto / e il soffio di (nimat) Shaddai mi
manterr in vita (Gb 33,4).

Questi testi presentano dunque una somiglianza profonda tra Parola e


Spirito in quanto agenti divini della creazione. Altri testi suggeriscono una
somiglianza anche con la Sapienza; soprattutto Sir 24,310:
Io (= la Sapienza) dalla bocca dellAltissimo (come lo Spirito e la
Parola!) sono uscita / e come nube ho ricoperto la terra.

La Sapienza personifica il piano della creazione che Dio, come un perfetto architetto, concepisce nei minimi dettagli prima di cominciare lopera
e poi realizza (cf. Prv 8; Gb 28 ecc.)11.

3) Spirito nellessere umano


Poi Dio cre luomo a sua immagine: a immagine di Dio lo cre;
maschio e femmina li cre (Gn 1,27).
Allora il Signore form luomo con la polvere dalla terra e soffi nel
suo naso il respiro della vita (nimat ayym) e luomo divent essere vivente (Gn 2,7).
[1] Questo il libro delle genealogie di Adamo. Nel giorno in cui Dio
cre Adamo, a immagine di Dio lo fece, [2] maschio e femmina li cre,

10. Cf. anche G. Baumann, Gottes Geist und Gottes Weisheit. Eine Verknpfung, in: H.

Jahnow et al. (edd.), Feministische Hermeneutik und Erstes Testament. Analysen und
Interpretationen, Stuttgart - Berlin - Kln 1994, 138-148; M. Priotto, Logos, Sophia,
Pneuma, Theotokos 8 (2000) 457-484.
11. Basti rimandare alla mia trattazione in La casa della Sapienza, Cinisello Balsamo (MI)
1994, 137-176.

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

13

nel giorno in cui furono creati. [3] Poi Adamo comp 130 anni e gener
(un figlio) a sua somiglianza, secondo la sua immagine, e lo chiam Set
(Gn 5,1-3).
Chi sparge il sangue delluomo, dalluomo il suo sangue verr sparso, poich a immagine di Dio (Dio) fece luomo (Gn 9,6).

Per concisione e profondit, Gn 1,27 uno dei testi pi straordinari


della Bibbia. Dio cre lessere umano (dm) a sua immagine e questa
immagine si manifesta nella distinzione dei sessi (maschio e femmina). Ci
significa che il matrimonio realizza limmagine di Dio nellessere umano completo in quanto unione delluomo alla sua donna12. Gn 5,1-3 ribadisce lo stesso concetto, con le stesse parole, e aggiunge che mediante la
generazione lessere umano trasmette ai figli la propria immagine e in fondo limmagine stessa di Dio13.
Il fatto di portare in s limmagine di Dio costituisce la dignit pi
grande di ogni essere umano di qualunque razza, colore e religione. questa la base della pi genuina antropologia. Limmagine di Dio rende ogni
essere umano inviolabile icona del divino. Perci la Scrittura condanna
lomicidio al di sopra di ogni altro delitto come un attentato contro Dio
stesso.
Che rapporto esiste tra immagine di Dio e spirito di Dio? Per comprenderlo occorre combinare lapporto del primo racconto di creazione appunto lidea dellimmagine di Dio con lapporto del secondo racconto che
parla di respiro-spirito di Dio nellessere umano (Gn 2,7). Per il primo racconto limmagine costituisce lo specifico dellessere umano nei confronti
degli animali; per il secondo lo specifico rappresentato dallo spirito o
soffio della vita per cui Adamo diventa essere vivente (nepe ayy).

12. Sap 2,23 presenta la destinazione delluomo allimmortalit come segno dellimmagine

di Dio: Perch Dio cre luomo per lincorruzione (aphtharsii) e come icona della sua
eternit (eikona ts idias aidiottos) lo fece.
13. G.A. Jnsson. The Image of God. Genesis I:26-28 in a Century of Old Testament
Research, Stockholm 1988. Unesposizione dei problemi legati allimmagine di Dio
nelluomo (se Adamo fu creato ermafrodito secondo Gn 1,27; se anche Dio fu immaginato
ermafrodito, come in certe concezioni vicino-orientali antiche; se Adamo, secondo Gn
5,3, trasmise a Set la sua propria immagine soltanto e non anche quella di Dio) e la
bibliografia relativa si trovano nel mio saggio La paternit di Dio. Linee di sviluppo
dallAntico al Nuovo Testamento, in Mysterium Regni Ministerium Verbi (Mc 4,11;
At 6,4). Scritti in onore di mons. Vittorio Fusco, a cura di E. Franco, Bologna 2000, 247271, 1 e le note 7, 9, 62.

14

A. NICCACCI

Nel secondo racconto solo Adamo detto essere vivente sia in Gn 2,7
che in 2,1914.
Questultimo un testo complesso che viene normalmente corretto, ma
dal punto di vista sintattico ben costruito. Si pu tradurre: e in qualunque modo (quanto a tutto quello che) Adamo, in quanto essere vivente,
avrebbe chiamato ognuno (degli animali), quello sarebbe stato il suo
nome. Cos inteso, Gn 2,19 significa che Adamo capace di dare il nome
adatto ad ogni essere proprio in quanto un essere vivente15.
Cos Adamo, formato dalla terra esattamente come gli animali, si distingue da essi per lo spirito-respiro che Dio ha soffiato nelle sue narici.
Ci costituisce la sua dignit, esattamente come limmagine di Dio nella
prospettiva del primo racconto.
La creazione della donna avviene in modo singolare. Il primo racconto
indica il rapporto unico di lei con luomo affermando che i due furono creati come ununit (Gn 1,27; cf. supra); il secondo esprime la stessa idea
affermando che la donna fu tratta dalluomo (2,21-22), non direttamente
dalla terra come un essere separato da lui o come gli animali. Lunit viene
espressa mediante un nome speciale:
Questa verr chiamata donna (i) / perch dalluomo fu presa questa (m luqo-zzt) (Gn 2,23).

Prima del peccato il nome significativo per entrambi, quello che esprime il loro rapporto, dunque -i. Dopo il peccato un altro nome diventa significativo:
[19] (Dio disse a Adamo) Con il sudore del tuo volto mangerai pane,
/ finch tornerai alla terra (dm), / perch da essa fosti preso (k

14. Nel primo racconto, invece, anche gli animali sono detti esseri viventi (Gn 1,20.21.24,
ecc.).
15. Cinque diverse interpretazioni di questo difficile passo si trovano elencate in U. Cassuto,
A Commentary on the Book of Genesis. Part I, From Adam to Noah: Genesis I-VI,8, Jerusalem 1961, 130-131. Linterpretazione di Isaac Samuel Reggio simile a quella data sopra:
Every name given by the man, who is a living creature, to each one of the animal and
birds, that is its name (corsivo aggiunto). Cassuto invece propone: and whatever name
the man would give to each one / of the living creatures / that would be its name (p. 126).
Egli spiega che nepe ayy accusativo di limitazione e definizione avente lo scopo di
precisare quanto detto prima: within the category of living creatures. Adamo avrebbe cio
lincarico di dare un nome non a tutte le creature ma solo a quelle viventi. Penso per che
linterpretazione data sopra sia la pi coerente.

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

15

mimmenn luqqet), / perch polvere sei / e in polvere tornerai. [20]


Allora luomo chiam sua moglie Eva (it aww) perch lei fu la madre di ogni vivente (m kol-y) (Gn 3,19-20).

Luomo-dm torner alla terra-dm, padre di unumanit destinata alla morte. La donna riceve un nome nuovo, spiegato con un gioco di
parole aww-y Eva-vivente: lei che porta avanti la vita. Inoltre leii resta il perno dellesistenza di lui- come prima del peccato. Egli
nasce allinterno di una famiglia (padre-madre), ma deve lasciarla per aderire alla sua i: e cos diventeranno una sola carne (Gn 2,24)16.
Nel seguito del racconto lautore yahvista mostra che la permanenza
dello spirito di Dio nelluomo condizionata a un corretto rapporto con la
donna.
[2] I figli di Dio videro che le figlie delluomo erano belle e si presero per mogli fra tutte quelle che scelsero. [3] Allora il Signore disse: Il
mio spirito non lotter a proposito delluomo (l-ydn r bdm) in
eterno, perch appunto egli carne. Perci la sua vita sar 120 anni (Gn
6,2-3).

Il senso di lottare sembra convenire al verbo dn / dn giudicare,


disputare in giudizio, e perci anche contendere, lottare17. La preposizione bet di bdm si pu intendere come lotter nelluomo, oppure
lotter a proposito delluomo. Il primo senso evoca la lotta tra spirito
(proveniente da Dio) e carne (tratta dalla terra) allinterno delluomo (cf.
S. Paolo!), il secondo invece la lotta di Dio con se stesso, se distruggere o
avere misericordia delluomo. Il secondo senso sembra confermato da Gn
6,5-6:

16. Cf. Sir 36, 24-26: [24] Chi compra una donna, inaugura il possesso, / un aiuto adatto a

lui e una colonna dappoggio. [25] Chi non ha una siepe, la sua propriet sar saccheggiata,
/ e chi non ha la moglie gemer randagio: cf. A. Niccacci, Siracide o Ecclesiastico.
Scuola di vita per il popolo di Dio, Cinisello Balsamo (MI) 2000, 45.
17. Invece di lotter, la LXX ha rimarr (katameini); cos anche la Vulgata
(permanebit) e molti interpreti moderni, ad esempio Cassuto, A Commentary on the Book
of Genesis, 295-296 (da una radice dnn). Lesegesi giudaica quanto mai divisa circa il
senso di Gn 6,3. Varie interpretazioni sono riportate in H. Freedman - M. Simon (edd.),
Midrash Rabbah: Genesis, I, London 1939, 214-217. Si veda anche bSanh 108a; cf. E.A.
Speiser, Ydwn, Gen 6 3, JBL 75 (1956) 126-129, il quale suggerisce: My spirit shall not
answer for man forever, in that he too is but flesh, collegando ydn allaccadico dinnu e
allaramaico ndn custodia, guaina (dello spirito, cf. Dn 7,15).

16

A. NICCACCI

[5] Il Signore vide che era grande la malvagit delluomo sulla terra
e che ogni progetto dei pensieri del suo cuore era solo malvagio tutto il
tempo. [6] E il Signore si pent che aveva fatto luomo sulla terra e si rattrist nel suo cuore.

Qualunque sia il senso preciso dellepisodio dei figli di Dio e delle figlie delluomo in Gn 6,2-3, chiaro che la causa per cui Dio decide di ritirare il suo Spirito dalluomo dopo un certo periodo, e cos limitare la
lunghezza della sua vita, un disordine nel rapporto con la donna. Ci conferma limportanza del rapporto di coppia in relazione allo Spirito di Dio
presente nelluomo e in relazione alla vita18.

4) Spirito di Dio nelluomo, spirito delluomo


Lo Spirito di Dio ma risiede nelluomo, lo fa vivere e gli conferisce la
sapienza: sia la sapienza che capacit di realizzare opere artigianali e artistiche (Es 28,3; 31,3; 35,31), sia quella che apertura agli altri e al mondo e, attraverso di essi, a Dio19. Lo costituisce anche profeta e capace di
trasmettere i messaggi divini20.
[7] (Parla il giovane Elihu) Dissi: I (molti) giorni parleranno / e la
moltitudine di anni far conoscere la sapienza. [8] Invece lo spirito che
nelluomo, / e il soffio di Shaddai lo render sapiente (Gb 32,7-8).

Cio: non let che porta saggezza, come vuole lopinione corrente,
ma lo Spirito di Dio posto nelluomo.

18. In questa prospettiva si comprende, almeno in parte, un testo oscuro come Ml 2,13-16,

in cui il popolo si chiede perch Dio non gradisca le sue offerte. La risposta la seguente:
[14] Per il fatto che il Signore stato testimone fra te e la moglie della tua giovinezza, /
verso la quale tu sei stato infedele, / mentre lei la tua compagna e la moglie del tuo patto.
[15] Eppure non (vi) ha fatto lUnico (ed), / a cui appartiene il resto (= il permanere?)
dello spirito (er ra)? / E cosa lUnico (hed) chiede? / La discendenza di Dio! /
Perci farete attenzione al vostro spirito (berkem) / e verso la moglie della vostra
giovinezza nessuno sia infedele! / [16] Poich (lUnico) odia il ripudiare ha detto il Signore Dio di Israele, / e (chi lo fa) coprir di violenza il suo (proprio) manto ha detto il
Signore degli eserciti. / Perci farete attenzione al vostro spirito (berkem) / e non sarete
infedeli. LUnico molto probabilmente epiteto di Dio; si confronti: Non abbiamo tutti
un Padre unico (b ed)? / Non un Dio unico (l ehd) ci ha creati? (2,10).
19. Cf., in generale, J. Trublet (ed.), La sagesse biblique, Paris 1995.
20 H.W. Wolff, Antropologia dellAntico Testamento, Brescia 1975 (orig. ted. 1973), spec.
3.

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

17

Chi ha conosciuto il tuo pensiero (= di Dio) se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito (to hagion sou
pneuma) dallalto? (Sap 9,17).

Lo Spirito presente nelluomo diventa termine antropologico frequente


per indicare diversi stati danimo e tipi di persone: il proprio spirito = le
proprie idee (Prv 1,23) = se stesso (Sal 31,6); stabile / fedele di spirito (Prv
11,13); corto di spirito = impaziente (14,29); spirito infranto = triste (15,13;
17,12); alto di spirito = superbo (16,18); basso di spirito = umile (16,19;
29,23); colui che controlla (o non controlla) il suo spirito = (im)paziente
(16,32; 25,26); freddo di spirito = calmo, riflessivo, silenzioso (17,27). Non
avere pi lo spirito significa, oltre che morire, restare senza fiato per la
paura (Gs 3,10; 5,1), per lo stupore (1 Re 10,5 // 2 Cr 9,4) o per il dispiacere (1 Re 21,5).
Data la doppia natura dello spirito, che di Dio e delluomo, si produce come uno sdoppiamento allinterno dellessere umano: lo Spirito di Dio,
che il principio pi intimo alluomo che si possa immaginare, che lo fa
vivere e lo fa agire, rimane distinto e anche lo controlla21:
[1] Signore, tu mi hai scrutato e mi conosci [7] Dove andr lontano
dal tuo spirito (mrek)? [13] Poich tu hai formato i miei reni e mi
hai tessuto nel seno di mia madre (Sal 139,1.7.13).
Lampada del Signore il soffio delluomo (nimat dm), / che scruta tutti i recessi del ventre (Prv 20,27).
[5] Infatti il santo spirito (hagion gar pneuma) che ammaestra, rifugge dalla finzione e se ne sta lontano dai discorsi insensati, cacciato al
sopraggiungere dellingiustizia. [6] La sapienza uno spirito amico degli
uomini; ma non lascer impunito chi insulta con le labbra, perch Dio
testimone dei suoi sentimenti e osservatore verace del suo cuore e ascolta
le parole della sua bocca. [7] Difatti lo spirito del Signore riempie luniverso e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce. [8] Per questo non
gli sfuggir chi proferisce cose ingiuste, la giustizia vendicatrice non lo
risparmier (Sap 1,5-8).

Prv 20,27 viene utilizzato in 1 Cor 2,10 in rapporto alla Sapienza di


Dio, o il suo mistero, cio il piano di salvezza che rimasto nascosto a tutti
gli essere pi forti:
21. Nella 1 Clemente ai Corinzi, cap. 21 si trova una parenesi basata sullidea che Dio tutto

vede e controlla mediante il suo Spirito.

18

A. NICCACCI

[10] Ma a noi Dio lo ha rivelato per mezzo del suo Spirito. Infatti lo
Spirito tutto scruta, anche le profondit di Dio. [11] Chi infatti degli uomini conosce le cose delluomo se non lo spirito delluomo che in lui?
Cos anche le cose di Dio nessuno le conosce se non lo Spirito di Dio.
[12] Noi per non lo spirito del mondo abbiamo ricevuto, ma lo Spirito
che da Dio, affinch conosciamo le cose donateci da Dio (1 Cor
2,10-12).

5) Spirito e carne, Adamo e Cristo


Nel linguaggio biblico c opposizione netta tra carne (br, sarx) che
terra e polvere, e spirito. Tutte le potenze terrene, qualunque esse siano,
sono carne, non spirito.
Per lo stesso spirito divino presente sia nelluomo che negli animali.
Qohelet ne trae due verit opposte. La prima tratta dallesperienza, che
negativa, nel senso che luomo non riesce a vedere la differenza tra luomo
e lanimale:
Chi conosce lo spirito dei figli delluomo, / se esso sale in alto, / e lo
spirito della bestia, / se esso scende in basso nella terra? (Qo 3,21).

Laltra verit derivata dalla fede:


Finch la polvere torni alla terra come fu nel passato, / e lo spirito
torni a Dio (Qo 12,7).
Tutto quello che dalla terra, alla terra torner, e quello che dallalto, allalto (Sir 40,11).

Le due verit contrapposte sono manifestazione di una visione della


natura duplice, con bene e male posti uno di fronte allaltro. Visione che
Qohelet condivide con Siracide e che non da confondere con il dualismo
greco22.
Per dimostrare la risurrezione della carne, 1 Cor 15,35-50 distingue
sma corpo da sarx carne, ambedue contrapposti, ma in modo diverso,
a pneuma spirito. C carne e carne, come c corpo e corpo. C la sarx
delluomo e quella degli animali, e quindi c connaturalit tra uomo e ani-

22. Niccacci, La casa della Sapienza, spec. 96-97.

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

19

mali. C il sma celeste e quello terrestre, e quindi c connaturalit


tra uomo e esseri celesti.
[44] Si semina un corpo psichico, risorge un corpo pneumatico. Se c
un corpo psichico, c anche (un corpo) pneumatico. [45] Cos appunto
sta scritto: Il primo uomo Adamo divent unanima vivente, lultimo
Adamo uno spirito vivificante. [46] Ma non primo lo pneumatico bens
lo psichico, poi il pneumatico. [47] Il primo uomo dalla terra terrestre,
il secondo uomo dal cielo. [48] Quale il terrestre, tali anche i terrestri,
e quale il celeste, tali anche i celesti. E come portammo limmagine del
terrestre, porteremo anche limmagine del celeste (1 Cor 15,44-48).

6) Spirito e nuova creazione


Perdonare i peccati e suscitare nellessere umano efficaci propositi di bene
costituisce una rigenerazione, una nuova creazione da parte di Dio. La
nuova creazione, come la prima, consiste nellinfusione dello Spirito del
Signore nel singolo o nel popolo di Israele. Lo spirito manifesta qui la sua
potenzialit superiore nelluomo rispetto allanimale. Si parla infatti,
riferito a Dio, de il tuo santo spirito, o il tuo spirito buono che
interviene a purificare lo spirito delluomo e renderlo capace di camminare
nella giustizia. La nuova creazione comporta la partecipazione pi profonda
che si possa immaginare alla realt di Dio.
Secondo il linguaggio biblico, anche Dio ha il suo Spirito, come
luomo, gli animali e tutto il cosmo. Anzi, in tutti lo spirito quello di Dio,
anche se in grado e con partecipazione diversa.
[12] Un cuore puro crea per me o Dio / e uno spirito saldo rinnova
dentro di me23. [13] Non gettarmi lontano dalla tua presenza / e il tuo santo spirito non togliere da me. [14] Rendimi la gioia della salvezza / e uno
spirito generoso mi sostenga (Sal 51,12-14).
Insegnami a fare la tua volont, / poich tu sei il mio Dio; / il tuo
spirito buono mi guidi su terra piana (Sal 143,10).

Nella grandiosa visione delle ossa aride di Ez 37, la restaurazione di


Israele dallesilio viene presentata come il passaggio dalla morte alla vita.
Questa resurrezione viene operata da Dio che asseconda lordine del

23. Cuore e spirito sono spesso in connessione: Sal 34,19; 77,7; 143,4.

20

A. NICCACCI

profeta. Le ossa si ricongiungono, i nervi, la carne e la pelle le ricoprono,


ma manca lo spirito. necessario un nuovo ordine del profeta al ventospirito (ra) perch venga dalle quattro direzioni della terra e soffi sui
morti; cos essi finalmente rivivono. Il respiro di vita dei risuscitati viene
dai quattro venti (ra-rt), ma nel seguito di Ez 37, quando si fa
lapplicazione dellimmagine delle ossa aride alla Casa di Israele, lo spirito
che fa rivivere il popolo quello di Dio (il mio spirito). Ci non implica
alcuna contraddizione: lo stesso Spirito di Dio soffia come vento sulla terra
e come respiro vivifica le creature.
[10] Mentre profetizzavo come mi aveva ordinato, entr in essi lo
spirito (hra), rivissero e si alzarono in piedi: una moltitudine molto
grande. [11] Mi disse: Figlio di uomo, queste ossa sono tutta la Casa di
Israele [12] Perci profetizza. Dirai loro: Cos dice il Signore Dio:
Ecco io sto per aprire le vostre tombe, vi far risalire dalle vostre tombe,
popolo mio, e vi far entrare nella terra di Israele [14] Porr il mio
spirito (r) in voi e vi porr sulla vostra terra (Ez 37,10-12.14).

Alcuni testi presentano la nuova creazione come una sostituzione


organica: un cuore nuovo e uno spirito nuovo al posto del vecchio cuore e
del vecchio spirito. In Ez 18,31 questa sostituzione viene richiesta agli
Israeliti, ma secondo Ez 36,27 essa fatta da Dio stesso. lui che pone un
cuore di carne al posto del cuore di pietra e infonde il suo Spirito e cos
rende gli Israeliti capaci di osservare le sue leggi. Le due prospettive
rappresentano il rapporto delicato e complesso, che Dio liberamente
gestisce, tra responsabilit umana e grazia divina.
Gettate via da sopra di voi tutte le vostre iniquit che avete commesso
e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perch volete morire, o Casa
di Israele? (Ez 18,31).

[26] Dar a voi un cuore nuovo e uno spirito nuovo porr dentro di
voi. Toglier il cuore di pietra dalla vostra carne e dar a voi un cuore di
carne. [27] Il mio spirito porr dentro di voi e far in modo che voi nelle
mie leggi camminiate, e cos i miei giudizi custodirete e farete (Ez
36,26-27).

Leffusione dello Spirito di Dio su personaggi importanti della storia


sacra (giudici, re e condottieri, Messia) somiglia a una nuova creazione. La
rinnovata effusione dello Spirito li rende creature nuove, capaci di opere
sovrumane (1 Re 3; Is 11,1-5; Sap 9, ecc.).

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

21

7) Spirito come ipostasi?


Lo spirito-vento un mezzo di cui Dio si serve per intervenire nel cosmo
(2 Sam 22,11; Sal 18,11; 104,3-4), per trasferire personaggi in modo prodigioso da un luogo allaltro (Elia: 1 Re 18,12; Eliseo: 2 Re 2,16;
Ezechiele: Ez 3,12.14, ecc.), o per punire i malvagi (Is 11,14-15; 41,16;
57,13).
Lo spirito uno dei consiglieri di Dio e si dichiara disposto ad entrare
nei falsi profeti come spirito di menzogna (1 Re 22,21-23 // 2 Cr 18,2022). Anche i quattro venti stanno davanti al Signore di tutta la terra (Zc
6,5). Lo Spirito di Dio rappresenta Dio stesso accanto ai capi del popolo
(Ag 2,4-5) e ne assicura il successo (Zc 4,6).
Gli Spiriti, accanto ai Santi e ai Cherubini, sono dunque membri
del Consiglio celeste che assiste il Dio di Israele nel governo del mondo.
Una concezione simile attestata nella mitologia cananea24.
Lo Spirito, come la Parola e la Sapienza, sono agenti divini nel mondo
che acquistano progressivamente consistenza teologica e personale nel corso della rivelazione dallAntico al Nuovo Testamento. Sono semi della Trinit sparsi nellAntico Testamento25.

8) Spirito-rr a , per una teologia al femminile


A differenza di dbr, sia ra che okm sono termini femminili in ebraico. Questa caratteristica grammaticale li rende particolarmente adatti a rivelare i tratti femminili della divinit e del mondo divino26. La moderna
interpretazione femminista della Bibbia e la teologia ad essa collegata hanno sfruttato questo elemento. Per alcune voci, allinterno della stessa area

24. E.T. Mullen, Jr., The Divine Witness and the Davidic Royal Grant: Ps 89:37-38, JBL

102 (1983) 207-218; M. Sekine, Wort, Name und Geist im Alten Testament in bezug
auf die Frhzeit Israels dargestellt, AJBI 14 (1988) 3-9; Encyclopaedia Judaica, Ruah
Ha-Kodesh, 14, 364-368. Nei testi di Qumran lo Spirito Santo non unipostasi distinta
da Dio: cf. Puech, LEsprit saint Qumrn, 290-291.
25. Cf. recentemente R.H. Fuller, The Vestigia Trinitatis in the Old Testament, in C.A.
Evans - S. Talmon (edd.), The Quest for Context and Meaning. Studies in Biblical
Intertextuality in Honor of James A. Sanders, Leiden - New York - Kln 1997, 499-508;
M. Nobile, Paternit di Dio, Spirito di Dio, Sapienza divina (Prodromi della Trinit
nellAntico Testamento), in G. Bertone (ed.), La Trinit. Approccio biblico - teologico letterario - artistico, LAquila 2000, 33-49.
26. Theologisches Wrterbuch zum Alten Testament VII, 424-425.

22

A. NICCACCI

femminista, hanno mosso critiche a questo filone interpretativo ritenendolo non abbastanza avanzato27.
Gi nellantichit una parte della Chiesa di ispirazione giudeo-cristiana
aveva confuso o identificato lo Spirito Santo con Maria, proprio a motivo
del genere femminile del termine28. Anche nellIslam lo Spirito Santo viene identificato con Mariam, la madre di Ges, o con langelo Gabriele29.

9) Spirito ed ecumenismo
Essendo forza divina diffusa nel cosmo, lo Spirito pervade e anima tutti i
popoli, culture e religioni30. Questa prospettiva invita a guardare in modo
positivo tutte le realt umane per scoprirvi le tracce di Dio e i semi della
rivelazione. Lo Spirito, che spira dove vuole, non si lascia rinchiudere in
nessuno schema, area geografica o religione. In un certo senso tutte le religioni, nella misura in cui sono autentiche, cooperano alla diffusione del
Regno di Dio.
La concezione dello Spirito come forza divina del cosmo strettamente legata alla fede in Dio creatore, che la prospettiva caratteristica della
sapienza biblica. Prospettiva diversa, ma non disgiunta, da quella del Dio
Salvatore, fondata sullesodo, il patto, la Legge di Mos e la storia della
salvezza. Nei Salmi le due prospettive creazione e storia della salvezza
appaiono insieme, come realt parallele e complementari, a indicare che
fanno parte di un unico piano divino31. Nel Deutero Isaia la fede in Dio
creatore del mondo viene proclamata per suscitare la speranza in Dio salvatore del suo popolo (cf. ad es. Is 40,12-31). Le due prospettive vengono
espressamente identificate in Sir 24,22 e Bar 4,1 (la sapienza la Legge di

27. Si veda E. Bosetti, La donna nel Nuovo Testamento, in: L. Borriello et al. (edd.), La

donna: memoria e attualit, vol. II, 1, Citt del Vaticano, 46-117, con bibliografia nelle note
1 e 30.
28. E. Testa, La fede della Chiesa Madre di Gerusalemme, Roma 1995, cap. VI, spec. pp.
146-148.
29. Encyclopdie de lIslam, Djabrl, II, 372-373.
30. R.K. Johnston, God in the Midst of Life. The spirit and the Spirit, Ex auditu 12 (1996)
76-93.
31. A. Niccacci, La lode del Creatore. Linno egiziano di Aton e la tradizione biblica,
Ephemerides Theologicae Zagrabienses 64 (1994) 137-159 (= Z.I. Herman [ed.], Diaconus
Verbi: Marijan Jerko Fuak 1932 1992, Zagreb 1995, 137-159).

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO

23

Mos). In Ges giungono entrambe a perfezione: in lui la creazione viene


redenta e la redenzione una nuova creazione32.
La singolare espressione Dio degli spiriti (lh hrt) di ogni carne viene usata in un paio di casi (Nm 16,22; 27,16) per ricordare a Dio
che, essendo il Creatore, egli ha responsabilit irrinunciabili nei confronti
del suo popolo e delle creature. anche un modo per impietosirlo:
Dio degli spiriti di ogni carne, un uomo solo pecca e su tutta la comunit ti adirerai? (Nm 16,22).
Il Signore, Dio degli spiriti di ogni carne, provveda un uomo per la
guida della comunit (Nm 27,16)33.

La ricchezza teologica di questa prospettiva viene esplicitata nel seguente passo dal Libro della Sapienza:
[24] Poich tu ami tutte le cose esistenti / e nulla disprezzi di quanto
hai creato; / se avessi odiato qualcosa, non lavresti neppure creata. [25]
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? / O conservarsi se tu
non lavessi chiamata allesistenza? / [26] Tu risparmi tutte le cose, perch tutte sono tue, Signore, amante della vita (Sap 11,24-26).

Conclusione
Ra un termine tanto indefinibile quanto capace di sempre nuovi e superiori significati: da vento, agente di Dio che arreca vita ma anche distruzione; a respiro sia degli animali che degli uomini; a spirito vivificante
presente nelluomo e infine a Spirito di Dio stesso. vita per tutti gli esseri, anche per quelli che secondo la nostra concezione sono inanimati. In
tutto il cosmo lo spirito-vento seminatore di vitalit. Negli uomini anche energia per una condotta nella giustizia e nella rettitudine. In Dio raggiunge il culmine della sua energia, santit e bont.
Alviero Niccacci, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
32. Si veda la nota 11.
33. Cf. Is 57,16 Infatti non in eterno contester, / n per sempre sar adirato, / ma lo spirito
che proviene da me si commuover (oppure: verr meno, ra millepnay yap), /
poich i respiri (nemt) io ho fatto. La piet del Creatore verso le sue creature si esprime

anche in Sal 78,38.39; 103,14.

ESILIO, DIASPORA E RIMPATRIO IN Ger 24

V. Lopasso

1. Note introduttive
Ger 24 contiene il racconto della visione di due canestri di fichi: luna, piena di fichi eccellenti; laltra, di fichi cos cattivi che non si potevano mangiare. Queste due ceste sono il simbolo della sorte che toccher alle due
porzioni di popolo, ai deportati in Babilonia e ai rimasti nel paese, cui sono
indirizzate, rispettivamente, una parola di salvezza (vv. 5-7) e una parola
di giudizio (vv. 8-10). Nei loro riguardi Yhwh avverte la stessa sensazione,
di desiderio o di rigetto, che si prova di fronte a questi due canestri.
Il simbolo dei fichi guasti ripreso in 29,16-20, dove decretata, usando un linguaggio simile a quello di 24,8-10, lestinzione dei rimasti.
Ger 24 in gran parte costituito dal discorso con cui Yhwh, mediante
la parola di salvezza e la parola di giudizio, spiega loggetto della visione.
La parola di salvezza introdotta dalla frase del v. 5 io avr riguardo
(ryka), per il bene (hbwfl), dei deportati di Giuda, che viene ripresa nel
v. 6 con termini simili (io poser lo sguardo [yny[ ytmcw] sopra di loro per
il loro bene. La frase del v. 5 viene ripresa in modo parallelo per introdurre la parola di giudizio nel v. 8 (io far [ta] di Sedecia re di Giuda,1 dei
suoi capi e del resto di Gerusalemme, ossia dei superstiti in questo paese, e
di coloro che abitano nel paese dEgitto.... per il male [h[rl]). Al verbo
ryka e allespressione hbwfl corrispondono ora ta e h[rl (v. 9).2
In base allampio spazio occupato dal discorso di spiegazione di Yhwh
nei vv. 4-10, non sembra che il racconto sia voluto al fine di narrare
unesperienza soggettiva del profeta, sul modello di 1,11-12 e 1,13-14.
Contro questo scopo depone anche la presenza nel v. 5 della formula del
messaggero, ripetuta in forma breve nel v. 8, la quale non ha ragione di
esistere nel racconto di unesperienza come quella visionaria, mentre si
addice alla proclamazione di un messaggio destinato al pubblico.

1. Per il significato del verbo

tn nel v. 5, cfr W. L. Holladay, Jeremiah 1. A Commentary


on the Book of the Prophet Jeremiah, Chapters 1-25 (Hermeneia), Philadelphia 1986, 659.
2. Per h[rl come elemento da conservare, cfr N. Kilpp, Niederreien und aufbauen. Das
Verhltnis von Heilsverheiung und Unheilsverkndigung bei Jeremia und im Jeremiabuch
(BThS 13), Neukirchen-Vluyn 1999, 24-25.
LA 50 (2000) 25-35

26

V. LOPASSO

La frase del v. 8 coloro che abitano nel paese dEgitto rimanda a quei
giudei che, dopo la caduta di Gerusalemme, per paura dei babilonesi che li
avrebbero potuti considerare responsabili dellassassinio di Godolia fuggirono dal paese per trovare scampo in quella terra (Ger 40; 41-42). Questa
frase, essendo apposizione al lvwry tyrav (il resto di Gerusalemme; v.
8), identifica il gruppo dei rimasti in Gerusalemme con coloro che vi vennero lasciati da Nabucodnosor, dopo la deportazione del 587. Il brano suppone quindi la diaspora egiziana. Non ci sono elementi che ne possano
giustificare lambientazione durante il regno di Sedecia, dopo la prima
deportazione del 597; 3 n si pu a questo scopo far leva sulla rubrica del
v.1b che contiene una lista dei deportati di quellanno (29,2; 2 Re 24,1416), perch la sua funzione non di indicare il tempo in cui il profeta ebbe
la visione, ma di offrire un riferimento cronologico, quello appunto della
prima deportazione, a ci che nella visione egli ha visto,4 datando a dopo il
597 la circostanza per la quale i due canestri si trovavano davanti al tempio di Yhwh.
Infine, si pu ritenere che il contenuto del brano pensato dal punto di
vista di coloro che si trovano in Palestina5 e che, nella logica del brano,
sono da identificare con gli stessi esiliati che sono destinatari della promessa del ritorno. Da questa prospettiva si spiega la duplice ricorrenza dellespressione tazh rab, in questo paese, usata per indicare sia la meta
del rimpatrio nel v. 6 sia, nel v. 8, il luogo dove si trovano i rimasti.
In queste pagine mio intento mostrare in che modo Ger 24 presenta
lesilio, la diaspora e il ritorno.6 Si tratter anche di notare come questo
capitolo discorda con il messaggio contenuto in altri testi della tradizione
geremiana e a quale scopo, per il modo di parlare di esilio, diaspora e ritorno, sia finalizzato.

3. Tra coloro che considerano Ger 24 una profezia rivolta agli esiliati del 597, cfr J.

Unterman, From Repentance to Redemption. Jeremiahs Thought in Transition (JSOT, SS


54), Sheffield 1987, 55-87.
4. H.-J. Stipp, Jeremia 24: Geschichtsbild und historischer Ort, JNSL 25/1 (1999), 154.
5. R. P. Carroll, Jeremiah (OTL), London 1986, 487.
6. Non si entra nel merito di problematiche riguardanti la sua redazione e formazione. Per
la posizione dei vari autori su Ger 24 (Pohlmann, Thiel e altri), cfr W. McKane, A Critical
and Exegetical Commentary on Jeremiah (ICC), Edinburg 1986, I, 611-616; e W. J.
Wessels, Jeremiah 24: 1-10 as a pronouncement of hope?, OTE 4 (1991), 397-407.

ESILIO, DIASPORA E RIMPATRIO IN Ger 24

27

2. La Golah nella prospettiva del ritorno


Nel brano occupa una funzione importante la parola di salvezza dei vv. 57, che si presenta come il concentrato di espressioni e formule presenti altrove nel libro. Il loro contenuto inquadrabile nel contesto della profezia
della nuova alleanza (31,31-34; cfr 32, 37-42 e 33,6-9) 7, basata su fondamenti differenti da quelli vigenti nel periodo preesilico, quando il popolo,
mediante la conversione e lobbedienza alla parola di Dio, poteva scampare al giudizio imminente, rappresentato dallesilio. La novit data essenzialmente dal dono di un cuore capace di conoscere Yhwh (v. 7; 31,34) e
dalla formula essi saranno il mio popolo e io sar il loro Dio (v. 7; 30,22;
31,1.33; 32,38), che ribadisce il ripristino della relazione dalleanza con
Yhwh, causato dal ritorno stesso del popolo a lui.
I destinatari di questo messaggio sono i hdwhy twlg (i deportati di
Giuda; v. 5), ovvero i deportati in esilio.8 Questa espressione usata
nellAT soltanto 15 volte, tra cui 5 nel libro di Geremia dove indica sia i
deportati del 597 (24,5; 28,4; 29,22) sia quelli del 587 (40,1; 52,31). Nel
v.1b ricorre anche il verbo dal quale deriva, hlg (2), che significa appunto
andare in esilio. Come di consueto, il soggetto del verbo il re babilonese e non Yhwh. In 24,5 i hdwhy twlg sono da identificare con i deportati a Babilonia nel 597, ovvero con il gruppo rappresentato da Ieconia
(Ioiachn), menzionato nel v.1b, assieme ai capi di Giuda, gli artigiani e i
fabbri. Questa identificazione risulta dal fatto che per il brano non esistono
in Babilonia altri gruppi di giudei allinfuori di costoro che vi sono stati
deportati nel 597; nel v. 8 la parola di giudizio non prevede per Sedecia il
castigo dellesilio, ma il suo annientamento nella diaspora.
Soltanto a costoro, dunque, riferito il messaggio di salvezza dei vv.
5-7 e in particolare la promessa di ritornare in patria del v. 6.
Non da escludere che gi nel v. 5 mediante luso di hbwf (bene) si
faccia riferimento al rimpatrio. Questo termine ricorre altrove nel libro, con
(21,10; 39,16; 44,27) o senza la preposizione l (32,42; 33,9), per indicare
un contenuto concreto di salvezza. Nel capitolo 32, concernente lazione
profetica dellacquisto del campo in Anatot, implica chiaramente il rimpatrio, dato che si afferma che gli esiliati compreranno campi in questo paese (v. 42). Attenendosi al contesto, si pu anche considerare twbv del

7. Cfr C. Levin, Die Verheiung des neuen Bundes in ihrem theologiegeschichtlichen


Zusammenhang ausgelegt (FRLANT 137), Gttingen 1985, 200-202.
8. Cfr Kilpp, Niederreien und aufbauen, 27-30.

28

V. LOPASSO

v. 44 in un modo pi specifico e concreto di quanto non lasci intendere


lespressione twbv bwv, cambiare la sorte, dove compare quale secondo
elemento, e perci richiamare il ritorno dalla Golah.9
Comunque sia, soltanto nel v. 6 ai hdwhy twlg in termini espliciti promesso di far ritorno in Giuda. Tale promessa formulata mediante lhiphil
di bwv,10 ritornare, con Yhwh come soggetto, per affermare che il ritorno
un atto gratuito e assoluto di Dio. Questuso di bwv ricorre altrove nel libro per finalit differenti.11 In riferimento a Ieconia e al suo gruppo di deportati usato solo qui, in 28,4 e 29,10. Mentre un suo impiego pi ampio
si registra nellannuncio del ritorno degli ebrei non dallesilio ma dalle regioni o dai paesi in cui sono stati dispersi (16,15; 23,3; 29,14; 32,37; assieme al verbo jdn, disperdere, di 24,9).
Nella frase blAlkb yla wbvyAyk (poich torneranno a me con tutto il
cuore) del v. 7 il verbo ricorre ancora, ma per esprimere il ritorno religioso, come mostra la frase preposizionale yla (a me).12 In futuro, nel contesto della rinnovata relazione con Dio, viene annunciato il ritorno a Yhwh
blAlkb (con tutto il cuore). Riferita alla conversione, questa frase si trova nel libro di Geremia soltanto in 3,10 (cfr anche Gl 2,12), dove si afferma che il ritorno esigito da Yhwh non si realizzato pienamente; Giuda,
non essendosi convertita con tutto il cuore, ma rqvb, nella menzogna, viene biasimata, mentre a Israele, sua sorella, che ancora non tornata a
Yhwh, viene rivolto un pressante invito al rimpatrio (3,12b).
Dato il contesto simile, la frase blAlkb yla wbvyAyk (v. 7) si presta
ad essere letta alla luce dei testi della nuova alleanza, in particolare di
32,37-42. Qui il verbo bwv usato per indicare il nuovo rapporto di alleanza che non sar mai pi infranto n da Dio n dal popolo: in futuro Dio
non torner pi indietro, mentre il popolo non si allontaner pi da lui
(32,40). Questo rinnovamento nella relazione dalleanza dovuto al dono
di un cuore capace di conoscerlo e di temerlo (32,39; 31,34; come in 24,7)

9. Levin, Die Verheiung des neuen Bundes, 173 nota 79. Sul significato della locuzione

twbv bwv, cfr J. M. Bracke, wb bwt: A Reappraisal, ZAW 97 (1985), 233-244.


10. Cfr J. Lust, Gathering and Return in Jeremiah and Ezekiel, in P. M. Bogaert (ed.),

Le livre de Jrmie. Le prophte et son milieu, les oracles et leur transmission (BETL LIV),
Leuven 1981, 122-123.
11. Cfr W. L. Holladay, The Root ubh in the Old Testament with Particular Reference to
its Usages in Covenantal Contexts, Leiden 1958, 88.
12. Al yk si d il valore causale di poich, conformemente a quanto accade nelle versioni
antiche.

ESILIO, DIASPORA E RIMPATRIO IN Ger 24

29

e al dono di unaltra rd, via, in modo che il popolo non possa pi sviarsi
lontano da lui (32,39; 31,34). In 32,39 questi due doni, assieme ad altre
affermazioni di salvezza, sono finalizzati al bene dei dispersi e dei loro figli, come mostra luso pi volte ripetuto del termine bwf (bene;
32,39.40.41.42), similmente che in 24,6.
Alla luce di questo messaggio, possiamo intendere la frase blAlkb
yla wbvyAyk nel senso che Dio stesso far in modo che la conversione dei
deportati si realizzi in modo pieno e totale.13
Il modo con cui Ger 24 rivela la certezza della salvezza e del ritorno
solo per questo gruppo di deportati che si trovano in esilio, fa supporre una
visione positiva della Golah. Questa visione emerge dal fatto stesso che
Sedecia e gli altri vengono esclusi dallesilio e destinati alla dispersione;
ed confermata dalla sequenza sintattica del v. 5 dove il termine hbwf
(bene), posto in ultima posizione dopo la frase relativa (deportati di
Giuda) che ho fatto andare da questo luogo nel paese dei Caldei, risulta
retto non dal verbo principale ryka (avr riguardo) ma da ytjlv (ho fatto
andare), con il quale si indica la deportazione, ora attribuita, diversamente
che nel v.1b, a Yhwh stesso.14 Ne consegue che hbwf qualifica in senso
positivo latto della deportazione, come evento di salvezza in se stesso; la
Golah perde il suo significato fondamentale, inerente alla relazione dalleanza, di strumento di castigo, per essere vista come parte del progetto di
Yhwh a favore del gruppo che ne ha beneficato, e quale strumento per legittimare qualsiasi privilegio di fronte a coloro che ne sono stati esclusi.
Il messaggio dei vv. 5-7 rivolto a Ieconia e al suo gruppo in contrasto
con altri testi in cui il profeta non mostra nessuna considerazione nei riguardi di Ioiakm, suo padre, e dei suoi discendenti ai quali nega il diritto
di succedere al trono di Giuda (22,30). In 22,24-28 esplicito contro
Ieconia stesso a cui annuncia che non sarebbe mai ritornato dallesilio
(v. 27; bwv).
In questo messaggio di salvezza la stessa visione della Golah e del ritorno risulta in discontinuit sia con altri testi del libro sia con quanto sappiamo da Ezechiele sulla situazione del gruppo di Ieconia in esilio. Nel
libro di Geremia lesilio viene considerato come un tempo necessario di
purificazione e di sofferenza; un tempo che, sebbene non rappresenti la fine
di tutto (5,18; 30,11), da vivere nella sua interezza (28,1-17). La sorte

13. Cfr linterpretazione di McKane, A Critical and Exegetical Commentary on Jeremiah,


I, 609.
14. Kilpp, Niederreien und aufbauen, 26-27.

30

V. LOPASSO

degli esiliati preferibile a quella dei rimasti perch, diversamente da questi ultimi, essi, preparandosi nel crogiuolo dellesilio a un ritorno sincero a
Yhwh, possono sperare di far ritorno nel loro paese. Allinterno di questa
stessa prospettiva si pone la profezia dei settanta anni di esilio di 29,10
indirizzata ai deportati del 597. Sapendo che non ci sarebbe stato nessun
rimpatro nel corso della loro esistenza, essi potevano valorizzare al massimo il tempo loro concesso. Il profeta Ezechiele, che si trova a vivere tra i
deportati del 597, ci offre alcuni ragguagli circa il modo con cui coloro che
erano scampati allesilio si ponevano nei riguardi della Golah. Da lui veniamo a sapere che costoro si vantavano di questa loro posizione, pensavano di avere dei privilegi e di essere migliori di coloro che erano stati
condotti in Babilonia (Ez 11,1-13). Essi, considerandosi privilegiati, ritenevano di avere in possesso la terra con tutti i diritti che ne derivavano (v.
15). A costoro il profeta ribadisce di non avere alcun diritto da avanzare; in
futuro Yhwh avrebbe, al contrario, donato la terra a quanti ora subivano
lesilio (v. 17).

3. La diaspora nel segno del giudizio


Come si detto, Sedecia, i capi e il resto di Gerusalemme, a sua volta costituito dai superstiti nel paese e da coloro che si trovano in Egitto, sono
destinatari di un messaggio di giudizio, a differenza dei deportati in Babilonia, che possono identificarsi con la Golah. Questo privilegio attribuito
soltanto al gruppo di Ieconia; tutti gli altri ne sono esclusi e destinati alla
diaspora (v. 9).
Nel v. 8, infatti, menzionando Sedecia, si tace sul fatto che egli venne
condotto in esilio dopo la conquista di Gerusalemme. Questo silenzio non
si giustifica n in base alla frase coloro che abitano nel paese dEgitto,
n in base a 52,9-11. La frase citata suppone, come si detto, un periodo
successivo alla deportazione di Sedecia, quando, dopo lassassinio di
Godolia, alcuni giudei fuggirono in Egitto; mentre 52,9-30 attesta in modo
esplicito che Sedecia venne condotto in esilio a Babilonia (ma cfr 2 Re
25,5-21). In particolare, 52,15, usando unespressione simile a quella di
24,8, afferma che venne deportato anche il ry[b yravnh [h rty (il resto del popolo che era rimasto nella citt; cfr anche 39,9; 2 Cr 36,20). Daltra parte, il profeta nella notte della distruzione aveva preannunciato che
Sedecia sarebbe stato condotto in Babilonia (32,1-5).
Nei vv. 9-10 Sedecia, escluso dallesilio, destinato alla diaspora. Pur
supponendo entrambi lallontanamento dalla patria, a volte forzato, esilio e

ESILIO, DIASPORA E RIMPATRIO IN Ger 24

31

diaspora rimandano a due realt differenti.15 Mentre il primo termine indica la presenza di giudei in un solo luogo, con diaspora si intende una dispersione in pi luoghi diversi.16
Per il riferimento alla diaspora viene usato nel v. 9 il verbo jdn, disperdere, allhiphil e il termine twmqm (luoghi) per indicare i luoghi in cui
Sedecia e il resto saranno raggiunti dal giudizio di Yhwh. Nel libro di Geremia jdn ricorre come termine tecnico per indicare la dispersione in annunci di giudizio (27,10; 29,14.18; 49,5). Il termine twmqm indica una
pluralit di luoghi; il suo uso fa supporre che ci sia stato per il popolo dei
dispersi lallontanamento dal luogo da cui stato deportato (8,3; 29,14;
40,12; 45,5; cfr Esd 1,1.4; 2,59).
Per coloro che vi sono destinati, la diaspora comporta lestinzione totale. In diaspora, a Sedecia e al resto viene preclusa ogni possibilit di salvezza. Per essi nei vv. 9-10 si decreta che saranno oggetto di spavento per
tutti i regni della terra, e che nei luoghi in cui saranno scacciati diventeranno lobbrobrio, la favola, lo zimbello e la maledizione (cfr 29,18;
42,18; 44,8; 49,13). Nel v. 10 ricorre la formula spada, fame e peste
(14,12; 27,8; 29,17-18; 31,7.9; 32,36) che usata per decretare la loro
scomparsa definitiva da Giuda, paese che Yhwh diede a loro e ai loro padri, resa mediante il verbo mt (distruggere; 27,8).
Mediante queste espressioni si decreta il loro annullamento totale, la
loro estinzione e la perdita della loro identit.
Questo messaggio sulla diaspora, per la severit con cui formulato,
non concorda con altri testi secondo i quali, invece, c speranza anche per
coloro che vivono in diaspora: Yhwh raduner i dispersi e li far ritornare
nella terra che ha promesso ai padri (bq; bwv; 16,15; 23,3.8; 29,14). Per
essa vale quanto detto per lesilio; dopo aver subto il meritato castigo, il
popolo pu attendere unepoca di felicit nel paese da cui stato scacciato.
Per 12,15 destinatari di questo messaggio sono persino le nazioni straniere

15. Cfr Sh. Talmon, Exil und Rckkehr in der Ideenwelt des Alten Testaments, in R.

Mosis, Exil-Diaspora-Rckkehr. Zum theologischen Gesprch zwischen Juden und


Christen, Dsseldorf 1978, 30-54; J. Lust, Exile and Diaspora. Gathering from Dispersion
in Ezekiel, in J.-M. Auwers et A. Wnin, Lectures et Relectures de la Bible. Festschrift
P.-M. Bogaert (BETL 144), Leuven 1999, 111-113.
16. Ger 40,11 attesta che gi nel periodo del governatorato di Godolia alcuni gruppi di
Giudei risiedevano in Moab, Ammon, Edom e in altre regioni (cfr anche 43,5).

32

V. LOPASSO

che, dopo essere state strappate dalla loro terra, ritoneranno al loro possesso ( ytbvh).
Se si considera che questa parola di giudizio, nei termini con cui espressa, rivolta a Sedecia e al gruppo dei rimasti, essa prescinde anche dallatteggiamento assunto da Geremia nei loro riguardi prima della catastrofe.17
Nei riguardi di Sedecia il profeta mostra unattitudine positiva sia in 23,56 dove al nome del re (Yhwh mia giustizia) collega lattesa messianica (il
germoglio di Davide sar chiamato Yhwh nostra giustizia), sia nelloracolo di 34,1-5 dove gli annuncia che avrebbe finito i suoi giorni in pace e che
per lui, come per gli altri re di Giuda, si sarebbe fatto lamento in occasione
della sua morte. Ai rimasti e allo stesso sovrano, il profeta, in un tempo in
cui stanno per decidersi le sorti di Giuda, propone lalternativa per poter
sfuggire il giudizio imminente e continuare a vivere nel paese (21,1-10;
27,11-15; 38,1-6; 38,17-18): sottomettersi al giogo del sovrano babilonese
e obbedire alla parola profetica.18 Se questa possibilit non viene accolta,
a causa dellatteggiamento altalenante di Sedecia che, vittima della politica
di palazzo, non capace di prendere una decisione chiara, in sintonia con
quanto il profeta gli andava suggerendo.
Se, infine, si tiene presente che anche coloro che abitano nel paese
dEgitto (v. 8) sono inclusi tra i destinatari di questa parola di giudizio,
essa non si armonizza con altri testi, dove il profeta non preclude a costoro
la salvezza se solo rimangono in Giuda e non fuggono lontano dal paese
(42,10-12.17). In 44,28 si prospetta che i pochi scampati alla spada e alla
fame sarebbero ritornati in Giuda (bwv). Da Ger 41-44 veniamo a conoscere non pochi particolari sulla vita di questa comunit giudaica in Egitto; ad
esempio, il ritorno alle pratiche idolatriche di un tempo, per contrastare le
quali il profeta si vede costretto, proprio al termine della sua vita, a riprendere i motivi della sua predicazione iniziale e invitare con la vigoria di un
tempo al ritorno a Yhwh (bwv; 44,5).
Concludendo, si pu ritenere che Ger 24, decretandone lo sterminio e
lannientamento, preclude a Sedecia e al resto ogni possibilit di far ritorno in patria. Essi non potranno avanzare nessuna pretesa sul paese che
Yhwh ha dato anche a loro e ai loro padri (v. 10).

17. Per un quadro completo su Sedecia nel libro di Geremia, cfr H.-J. Stipp, Zedekiah in

the Book of Jeremiah: On the Formation of a Biblical Character, CBQ 58 (1996), 627-648.
18. McKane, A Critical and Exegetical Commentary on Jeremiah, I, 610.

ESILIO, DIASPORA E RIMPATRIO IN Ger 24

33

4. La Golah dei rimpatriati


Da quanto si detto, Ger 24 interessato a isolare il gruppo di Ieconia,
deportato nel 597, da ogni altro gruppo di giudei, facendolo destinatario
dellannuncio del rimpatrio. Soltanto coloro che sono rappresentati da questo sovrano in esilio sono oggetto di particolari favori da parte di Yhwh,
sono suo popolo, possono ritornare in patria, e prendere legittimamente
possesso del paese (li ristabilir fermamente e non li demolir; li pianter
e non li sradicher mai pi; v. 6; cfr 1,10; 12,16; 18,9; 31,28; 42,10). Gli
altri deportati e il resto dei giudei sono destinati allestinzione; non esistono pi, n in esilio n in diaspora.
Non facile determinare lambiente nel quale ha potuto prendere forma e si potuta proporre questidea. Sembra giustificarsi in un contesto
segnato da conflitti tra gruppi di giudei, e in cui sono in gioco interessi da
legittimare; in particolare, vicina al modo con cui il Cronista esprime il
rapporto dei rimpatriati con coloro che, durante tutto il tempo dellesilio,
avevano continuato a vivere e a organizzarsi nel paese.
Fin dai primi tempi del rimpatrio la convivenza di questi due gruppi
non fu affatto facile (Esd 4); essi erano portatori di due teologie diverse
finalizzate a giustificare i propri interessi e a legittimare i loro diritti sul
paese. Mentre i rimasti non volevano assolutamente cedere ai nuovi arrivati tutti quei privilegi che nei lunghi anni di esilio erano andati acquisendo,
e che costituivano per loro dei diritti irremovibili; i rimpatriati, al contrario, vantavano di essere pi in continuit con il passato di quanto non lo
fossero coloro che erano sfuggiti allesilio.
In Esdra la comunit dei rimpatriati si considera come la sola che pu
vantare dei privilegi per la costruzione della nuova societ. Essa si richiama a quegli stessi elementi che in Ger 24 costituiscono la salvezza degli
esiliati, cio la fedelt di Yhwh (Esd 9,15; cfr anche 9,4.7; 10,6) e il fatto
che Yhwh lha fatta ritornare da Babilonia.19 Questa comunit scopre le
radici della propria identit nella Golah e si identifica con essa.20

19. Il concetto di

hlwg vi si trova legato con altri termini che esprimono il fatto di aver
lasciato lesilio e di trovarsi nel paese, tra il quali il verbo bwv. In Esd 6,21 la Golah
definita con il termine ybvh, coloro che sono ritornati, i rimpatriati. Cfr H.C.M. Vogt,
Studie zur nachexilischen Gemeinde in Esra-Nehemia, Werl 1966, 28-29.
20. Lo stesso termine hlwg, usato propriamente per indicare coloro che subirono lesilio,
viene utilizzato per la comunit dei rimpatriati (Esd 1,3.5.11; 2,1.29; 3,8; 6,21; 7,6.7.28;
8,1.35; Ne 7,5.6; 12,1).

34

V. LOPASSO

Diversamente che in Ger 24, in Esdra questa teologia non espressamente collegata al gruppo di Ieconia; non da escludere, per, che, se
essa riusc ad imporsi su quella dei rimasti, fu anche in base alla considerazione di cui aveva goduto Ieconia, assieme ai suoi discendenti. Molto
probabilmente i babilonesi, dopo averlo sostituito con lo zio Sedecia, continuarono a ritenere Ieconia il successore legittimo sul trono di Giuda e
non da escludere che egli durante gli anni dellesilio abbia continuato a
governare il paese, come re vassallo, per conto del gran re babilonese.21
Nel periodo postesilico, i persiani non mutarono politica riguardo a Giuda.
In Esd 1,8 Sesbassar, figlio di Ieconia (1 Cr 3,18), viene menzionato con
il titolo di hdwhyl aycnh, il principe di Giuda, e se ne sottolinea il ruolo
avuto nellepoca di restaurazione; alcuni autori suppongono che anche suo
nipote Zarobabele, accanto a quello di hjp, governatore (Ag 1,1; 2,2.21),
detenesse questo stesso titolo.22 Se questa ipotesi giusta, si capisce perch i conflitti tra rimasti e rimpatriati non potevano che risolversi a vantaggio di questi ultimi. Essi rappresentavano il governo centrale ed erano
da esso protetti.
In Esdra trova espressione concreta anche quella chiusura agli altri
giudei che abbiamo individuato come un tratto caratteristico di Ger 24.23
Scampata dallesilio, la comunit dei rimpatriati si ritiene come il vero resto (Esd 9,8.13.14.15), il seme santo (Esd 9,2), da cui proverr il futuro
Israele; il modello per tutti gli altri giudei esistenti nel paese altrove. Questo particolarismo evidente nei capitoli 9-10, dove si affronta la
problematica relativa ai matrimoni misti. Infatti, non pu sfuggire nel modo
di risolvere questi casi come, pur non essendo straniere,24 ma appartenenti
a Israele, queste donne e i loro figli venissero rifiutati e scacciati dalla comunit della Golah. Essi finivano, per essere considerati rivali, alieni a Israele, e, a guisa dei popoli limitrofi, destinati allannientamento.

21. La scoperta di alcune tavolette e di alcuni sigilli ha confermato il particolare stato di

privilegio di cui godeva Ieconia prima e durante lesilio. Nelle tavolette egli nominato
espressamente con il titolo di Re del paese di Giuda. Cfr A. Malamat, Jeremiah and the
Last Two Kings of Judah, PEQ 83 (1951), 81-82.
22. Per questa e altre problematiche del periodo del secondo tempio, cfr P. Sacchi, Storia
del Secondo Tempio. Israele tra il VI e il I secolo d. C., Torino 1994, 23-44.
23. H. G. May, Towards an Objective Approach to the Book of Jeremiah: The
Biographer, JBL 61 (1942), 149.
24. In 9,1 il k non specifica lappartenenza etnica di queste donne. Per questa problematica,
cfr T. C. Eskenazi - P. Judd, Marriage to a Stranger in Ezra 9-10, in T. C. Eskenazi and
K. H. Richards, Second Temple Studies. 2. Temple Community in the Persian Period (JSOT
SS 175), Sheffield 1994, 265-276.

ESILIO, DIASPORA E RIMPATRIO IN Ger 24

35

Senza entrare nelle motivazioni che potettero dettare un simile modo


di concepire le cose, legate alla societ del secondo tempio, notiamo soltanto che siamo di fronte a una vera e propria limitazione delluniversalismo della salvezza, in contraddizione con lapertura, registrata in
altri testi del postesilio, tra cui nello stesso Geremia, secondo la quale Sion
diventer il centro non solo dei rimpatriati da Babilonia, ma dellintero
mondo giudaico, cio di tutte le comunit esistenti nella diaspora.
Concludendo, il conflitto presente in Ger 24 tra Golah e rimasti trova
riscontro nel modo con cui il Cronista presenta la teologia dei rimpatriati:
soltanto la comunit della Golah rappresenta Israele, il vero resto, e pu
vantare dei diritti; tutti gli altri, sebbene parte dello stesso popolo, ne sono
esclusi.

5. Conclusione
Secondo Ger 24 soltanto il gruppo di Ieconia, in quanto gode del privilegio
di rappresentare la Golah, destinatario della promessa del ritorno. Sedecia
e coloro che sopravvissero alla catastrofe del 587 vengono destinati allestinzione, nella diaspora.
Il capitolo suppone un conflitto tra gruppi di giudei, che rimanda al
modo con cui il Cronista presenta il rapporto tra rimpatriati e rimasti nella
societ del secondo tempio.
Ritornata in patria, la comunit della Golah si pone come modello di
tutti gli altri giudei, presenti nel paese e in diaspora, entra in conflitto con
essi, e li esclude da Israele. Poich ha vissuto lesperienza dellesilio, si
ritiene in continuit con il passato, oggetto della fedelt di Yhwh, e garante
del futuro e vero Israele.
Vincenzo Lopasso
Professore invitato
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

BLESSED ARE THE MEEK


FOR THEY SHALL INHERIT THE EARTH

F. Manns

Jewish reading of the Beatitudes started with J. Lighfoot, Horae Hebraicae1, Schttgen, Horae Hebraicae2 and Zipser, The Sermon on the
Mount, 1852. In 1909 C. Montefiore, the founder of liberal Judaism writes
in his commentary on the Synoptic Gospels3:
This verse is probably an interpolation. It virtually repeats verse 3, for
the aniim and the anawim are practically the same people. It is also a mere
quotation from Psalm XXXVII.11, though the land or earth, as here understood, is not Palestine, but the regenerated world of the Messianic Age (die
erneuerte Erde auf die das Himmelreich hinabkommt: Klosterman4).
The Sermon on the Mount contains only ethical teachings, not christological ones, nothing which cannot find parallels in Judaism. The discussions with the Pharisees are not over the nature of God, but the Law and
its significance.
In 1911 G. Friedlander reacted to Montefiores position in his book on
the Jewish sources of the Sermon of the Mount5. The book is a polemical
one. All the positive values of the Sermon on the Mount are known in the
Bible and in Judaism. As for the texts of the Sermon which do not have

1. Broedelet 1699/2.
2. Dresdae-Lipsiae 1733.
3. C.G. Montefiore, The Synoptic Gospels (2 vol.), London 1909 and Rabbinic Literature

and Gospel Teachings, London 1930. The books of Marcel Dumais, Le Sermon sur la
montagne. Etat de la recherche. Interprtation et bibliographie, Paris 1995 and of W.S.
Kissinger, The Sermon on the Mount : A History of lnterpretation and Bibliography, Mettichen, New York 1975 give an excellent status quaestionis of the old and recent studies
made on the Sermon of the Mount. Jewish Theologians are interested in this text since the
publications of Friedlander and C. Montefiore. Christian theologians underlined the Jewish
background of the Gospel of Matthew specially since the commentary of P. Billerbeck,
Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, Mnchen 1926. A few articles are dedicated ex professo to the second beatitude : F. Bhl Die Demut anawa)
(
als
hchste der Tugenden: Bemerkungen zu Mt 5,3.5 , BZ 20 (1976) 217-223. D. Losada,
Bienaventurados los mansos porque ellos heredarn la tierra ,RevBib 41 (1979) 239-243.
Y. de Andia, Linterprtation irnenne de la batitude : Bienheureux les doux, ils
recevront la terre en hritage (Mt 5:5) , Studia Patristica 18 (1989) 85-102.
4. C.G. Montefiore, The Synoptic Gospels, vol. 1, 36.
LA 50 (2000) 37-51

38

F. MANNS

Jewish parallels they are not realistic. They speak about non-violence,
about asceticism and are not bothering about future. No Jew can accept the
pretence of Jesus to abrogate the Law.
About the beatitude of the meek Friedlander writes: It is a quotation
of Psalm XXXVII. 11. See also Psalm XXV. 13. In the Book of Enoch 5:9
we have a parallel : The elect shall possess light, joy and peace and they
shall inherit the earth . The elect are the saints or the meek. Didache 3:7
uses Psalm 37.11 : Be meek, since the meek shall inherit the land . To
inherit the land was understood in the sense of entering the messianic Kingdom (Is 60:21). The opponents of the Kingdom of God are the arrogant
(Zedim). In the Shemone Esre the Zedim are mentioned as destined to be
humbled by God. When this is accomplished the divine Kingdom will be
established6.
P. Lapide, among others, commented also on the Sermon on the
Mount7. D. Flusser8 compared Hillel with Jesus. Hillel was famous for his
meekness. Sab 30b : Man should be meek like Hillel and not stern as
Shammai .
A few words on methodology are not superfluous. We shall start with
the literary problems connected with the Gospel of Matthew. The structure
of the text reveals the intention of the redactor. Then we have to classify
the literary genre of the Beatitude which is known in Wisdom literature,
Qumran literature and apocalyptic milieu. The main expressions of the
Beatitude: the meek and the verb to inherit the land must be studied. Since
the Beatitude is a quotation of Psalm 37 we must consider the different interpretations of this text in the main trends of Judaism and consider which
one is close to the Gospel of Matthew. Then we shall be able to see the
similarities and differences of Matthew and the rabbis. About the critical
methodology to be followed in the study of the rabbinic texts we have written very often and do not repeat what we have said elsewhere9.
5. G. Friedlander, The Jewish Sources of the Sermon of the Mount, London 1911. W.O. E.

Oesterley publia Judaism in the Days of Christ. The parting of the Roads, ed. Foakes Jackson, London 1912.
6. G. Friedlander, The Jewish Sources, 20.
7. P. Lapide, Die Bergpredigt. Utopie oder Programm?, Stuttgart 1982.
8. D. Flusser, A new sensitivity in Judaism and the Christian , HTR 61 (1968) 107-127.
Hillel gave a negative formulation to the golden rule: Do not do to others what you do not
want them to do to you. J.H. Charlesworth and L.L John, Hillel and Jesus, Minneapolis
1997 contains the contributions of D. Flusser, A. Goshen Gottstein, L. Levine, C. Safrai, S.
Safrai, D. Schwartz and M. Weinfeld.
9. F. Manns, Une approche juive du Nouveau Testament, Paris 1998, 11-81.

BLESSED ARE THE MEEK

1.

39

The structure of the Beatitudes

First of all we have to show the place of the Beatitudes in the structure of
the whole Gospel. There is a chiastic structure of chapters 5-7.
Audience (5,1-2)
Declarations (5,3-16)
The Law and the prophets (5,17-19)
Antitheses (5,20-48)
Justice before God (6,1-6)
Our Father 6,7-15
Justice before God (6,16-18)
Judge, petitions (6,19-7,11)
The Law and the prophets (7,12)
Exhortations (7,13-27)
Audience (7,28-29)
The structure of the Beatitudes themselves consists of a parallel construction in the Gospel of Matthew. The eight beatitudes, expressed with
the literary inclusion of the sentence for theirs is the Kingdom of heaven,
are presented by E. Puech10 as follows:
Blessed are the poor in spirit
For theirs is the Kingdom of heaven
Blessed the meek
For they shall inherit the land
Blessed the afflicted
For they shall be comforted
Blessed the hungry and thirsty for righteousness
For they shall be satisfied
Blessed the merciful
For they shall obtain mercy
10. E. Puech, 4Q525 et les pricopes des batitudes, Ben Sira et Matthieu , RB 98 (1991)

80-106. G.J. Brooke, The Wisdom of Matthews Beatitudes (4QBeat and Mt. 5:3-12) ,
ScrB 19 (1988-1989) 35-41.

40

F. MANNS

Blessed the pure in heart


For they shall see God
Blessed the peacemakers
For they shall be called sons of God
Blessed the persecuted for righteousness sake
For the Kingdom of heaven is theirs.
The order of the second and third beatitude is different in some manuscripts. We consider the beatitude of the meek as the second for different
reasons, especially those proposed by di Lella11. Di Lella started counting
the Greeks words of the Matthean text. Each strophe contains exactly 36
words. In each strophe there is a beatitude with the same number of words
(6.8.10.12). This symmetrical arrangement can not be accidental. The inclusions are evident : the first and the eighth beatitudes have 12 words and
repeat the sentence For the Kingdom of heaven is theirs. The first two and
the last two beatitudes total 20 words. It means that verse 4 or 5 cannot be a
redactional addition of redoubling of v. 3 : anwey rouah and anawim
are synonyms, even if Luke does not have the beatitude of the meek.
The four beatitudes of the first strophe begin with the Greek letter pi
(ptchoi, praeis, penthountes, peinontes). From the parallelism of Mt with
4Q 525 and Sir 14,20-27 Puech concluded that Matthew had the original
version and that Luke introduced the division in four.
The addition of the ninth beatitude puts in evidence the inclusion of
pneuma and prophts. It proposes a new reading of the message of the
Beatitudes at the light of the Spirit.

2.

The literary genre Beatitude

Beatitudes belong to wisdom literature. Sir 25,7-11 has ten beatitudes


where the introductory ashre appears only twice. In Sir 14,20-27 one poem
composed of eight beatitudes is introduced by one ashre. Two strophes,
11. A. di Lella, The structure and Composition of the Matthean Beatitudes , in To touch
the text. Biblical and Related studies in honor of J. A. Fitzmyer, ed. by M.P. Horgan and
M.P.Kobelski, New York 1989,237-242. See also PM. Skehan - A.A. di Lella, The Wisdom
of Ben Sira. New York 1987. A. Neher studied the two terms Morashah and Nahala in the
book of Ezekiel. Morashah is linked to the heart of stone (Ez 1-35) while Nahala which is
used only after Ez 36 is positive.

BLESSED ARE THE MEEK

41

each one being composed of two pairs of two cola, present the message of
wisdom in Sir 14,20-27. Qumran literature knows also the same literary
genre. In the fragment 4Q525 11,1-13, an Assidean composition starting
with ashre, reads as follows :
Blessed is he who speaks truth with a pure heart
and who does not slander with his tongue.
Blessed are those who cling to her statutes
And who do not cling to the ways of perversity.
Blessed are those who rejoice in her
And do not spread themselves in the ways of folly.
Blessed is he who seeks her with pure hands
And who does not go after her with a deceitful heart.
Here again we have a composition of two strophes like in Sir 14,20-27.
Eight curses can be found in 1 Hen 98,9-99,2 and 99,11-16. It means that
Beatitudes are known also in the apocalyptic milieu.
Before speaking of the Jewish background of the second beatitude, we
have to make a rapid literary analysis of the second beatitude itself.
In the LXX makarios translates the Hebrew ashre. We find macarisms
in the Psalms (25 x), in wisdom literature (Pr 5 x ; Ben Sira 11 x; Qoh 1 x;
Sag 1 x) and sometimes in the apocalyptic literature12. In 1 Hen 58,2 the
structure of the Beatitude is very close to that of Matthew since we have
the motivation introduced by hoti. The same structure is repeated in Tob
13,1413. Qumran knows Beatitudes with a wisdom flavor14.
The second Beatitude of Mt 5,4 is a quotation of Psalm 36,11 in the
LXX version. The word praeis translates the Hebrew anawim. In Psalm 37
the anawim, contrary to the wicked, hope in the Lord. They are not jealous
about those who succeed. They remain calm before the Lord and wait for
his intervention with patience. In the Psalms six times praeis translates
anawim (25,9 [variants in A,13, S R] ; 34,3 ; 76, 10 [praeis t kardia in B
S R and praeis ts gs in B2 S2] ; 147,6; 149,4). The concept of anawim
belongs to the biblical terminology15.
12. Dn 12,12; Is 30,18; 31, 9; 32,20 ; 56,2.
13. H. Merklein, La signoria di Dio nellannuncio di Ges, Brescia 1994, 5. The author con-

cludes that the Beatitudes of Matthew belong to the apocalyptic milieu and quotes 1 Hen
81,4 and Dan 12,12. But in those two texts no motivation of the Beatitude is given.
14. 4Q 185, 1,2; 11,8.13 et 4 Q 525, 2. 11, 1-6.
15. A. Gelin, Les pauvres de Yahv, Le Puy 1942.

42

F. MANNS

Is praus a synonym of ptochos? It would mean that the first and second beatitude are a repetition of the same idea in the form of a parallelism.
Before answering this question we have to see some other uses of praus in
the Gospel of Mt.
In Mt 11,29 Jesus invites his disciples : Take upon you my yoke and
be my disciples, for I am meek (praus) and humble of heart .
We find here a wisdom vocabulary. As God is Father, Wisdom is a
mother who calls her sons to a difficult ascension. Ben Sira 4 shows her
guiding his disciple and imposing on him discipline. In chapter 6 the master recommends to his disciple to do whatever he can to find wisdom and
to accept her yoke. On that condition he will find true rest: Search her
out, discover her, do not let her go. Thus you will afterward find rest in
her: she will be transformed into your delight. Her net will become your
throne of majesty; her noose, your apparel of spun gold. Her yoke will be
your old adornment; her bonds, your purple cord. You will wear her as your
glorious apparel, bear her as a splendid crown (Sira 6,27-31). Wisdom is
described as a hunter. Being caught in Wisdoms net involves no loss of
freedom. Rather one becomes like a King. Wisdoms yoke does not hamper the wise but gives him a sure sense of direction in life. The yoke is
compared to a gold adornment and Wisdoms bonds to a purple cord. Purple garments and gold were worn by kings and high priests. The wise, because of their fidelity to the Law will enjoy the splendor of royalty and the
glory of high priesthood. Declaring : Take upon you my yoke and you
shall find rest , Jesus speaks with the authority of Wisdom. The same message is repeated in Ben Sira 51,26-30 : Submit your neck to her yoke,
and let your mind weigh her message. She is close to those who seek her,
and the one who is in earnest finds her .
Wisdom forms her disciples and does not remain far from those who
wish to live with her : to meet her one must take the Book of Law in his
hands (Sir 15,1). Ben Sira 24 develops the identification of Law with Wisdom. The Book of Baruch will do the same.
The word praus, is used in the LXX to designate Moses the humble
man16 (Nb 12,3) and to designate Wisdom in Sir 3,18 (S 2) and 10, 14. The
name prauts (anwah) is used in Sir 1,27; 3,17; 4,8; 10,28; 36,28 (23) and
applied to Moses in Sira 45,4.

16. Rabbinic Literature shows that because Moses was meek, he deserved to get the
Spirit.

BLESSED ARE THE MEEK

43

A second text of Matthew has to be quoted to better understand the


meaning of praus. Mt 21,5 quotes Za 9,9 : Your King is coming meek
(praus) riding on an ass and a young foal . Jesus enters into Jerusalem as
the messianic King who is meek. To be meek is a gesture in front of God
and helps to interpret the concept of the kingdom of heaven in the Gospel
of Matthew17.
Rabbinic tradition knows a chain of virtues attributed R. Pinchas ben Jair.
We give here the version of Mishna18 Sota 9,15 : Zeal leads to cleanliness,
cleanliness leads to purity, purity leads to self restraint, self restraint leads to
sanctity (qedoushah), sanctity leads to humility (anwah), humility leads to
fear of sin (yrath heth), fear of sin leads to piety (hasidout), piety leads to the
Holy Spirit, the Holy Spirit leads to the resurrection of dead and the resurrection shall come through Elijah of blessed memory . The text with his variants in J. Sab 1,3c.20 and J. Sheq 3,47c,49; CtR 1,1; AZ 20b has been studied
by P. Schfer19.
Abodah Zarah 20b contains a discussion of R. Joshua ben Levi according to which meekness (anwah) is the most important virtue, for it is written in Is 61,1 : The Spirit of the Lord is upon me. He anointed me to
announce to the poor the good news (anawim) . It is not written to the
pious, but to the poor, which means that meekness is the most important
virtue. Meekness acquires a messianic and eschatological meaning.
Qumran quotes the virtue of meekness in 1 QS 4,6.

3.

The inheritance of the land

The second part of the beatitude meditates upon the inheritance of the
land20. The Hebrew text reads yreshou-ares. The Lxx translated
17. Matthew as a contemporary of the Rabbis shows the Kingdom of heaven as the future

presence of God to which every believer has to prepare himself. In the Shema Israel the
acceptance of the Kingdom is followed by the acceptance of the commandments. To recognize the Kingship of God means to see the historical dimension of the redemption from
Egypt, but also the future dimension of the eschatological salvation. Targum Jerushalmi 1,
Ex 15,18 expresses this double dimension clearly. Another dimension of the Kingdom is
constituted by martyrdom. Ber 61b shows R. Aqiba directing his heart towards the Kingdom in his martyrdom. Only the just shall enter the Kingdom. Mt 5,10 insisting upon the
persecuted for justice as inheriting the kingdom, is in the same line as the rabbinic statements about martyrdom.
18. Cf AZ 20b; J.Sab 1,3,3c; J. Sheq 3,3,47c; CtR 1,1,9; Midrash Mishle Pr 15,32.
19. Vorstellungen vom heiligen Geist in der rabbinischen Literatur, Munich 1972, 118.
20. W.D. Davies, The Gospel and the Land, Berkeley - Los Angeles - London 1974.

44

F. MANNS

klronomein gn. The land as inheritance is well known in Deuteronomy21.


After the exile which meant the loss of the land God was presented as the
inheritance of Israel (Ps 16,5; 73,26). In the wisdom literature wisdom is
presented as inheritance : My remembrance is sweet as honey, my inheritance is sweeter than a comb of honey (Sira 24,20), Wisdom is good as
an inheritance (Qoh 7,11). This inheritance is not different then that of the
Lord : I am rooted in a people full of glory, in the domain of the Lord in
his inheritance (Sira 24,12). The concept has an eschatological flavor:
eternal life is the inheritance of the just (Psalm of Solomon 14,3-4; 1QS
11,7-9). In other texts the concept of inheritance remains linked to the
earth22. The gift of the land remains linked to the moral conduct (Jub
6,12-13; 15,28).
Since the second beatitude is a quotation of Psalm 37, it seems important to study the history of the interpretation of this Psalm. The LXX translates Ps 37,11 : hoi de praeis klronomsousin gen without the article.
Verse 22 reads hoi eulogountes auton klronomsousi gn without the
article. Verse 29 has Dikaioi de klonomsousin gn without the article.
Verse 34 reads hupssei se tou klronomsai gn without the article,
while in Dt 15,4 and 19, 10 the LXX always had the article : tn gen.

4.

The interpretation of Ps 37 in the main movements of Judaism

4.1.

Qumran

We start our investigation of the history of interpretation of Psalm 37 with


Qumran where we find the Pesher of Psalm 3723:
II,9-12 comments Ps 37,11 : And the poor shall possess the land and
enjoy peace in plenty. Its interpretation concerns the congregation of the
poor (ebyonym) who will tough out the period of distress and will be res-

21. Dt 3,12; 4,1; 4,22; 4,38; 4,47; 9,4.5.6.23; 10,11; 12,29; 16,20; 20,15; cf. Jos 12,6-7;
13,1.7; Ez 11, 15 ; 45,1; Ps 134,12.
22. Sira 46,8; Tobit 14,4-5; 4 Esd 13,4; Bar 3,4-5; Jub 12,22; 13,3; 22,27; Ps of Salomon 9,
1; 17,23.
23. H. Stegemann, Der Pesher Psalm 37 aus Hhle 4 von Qumran (4QpPs37) , RQ 4
(1963) 235-270. D. Pardee, A Restudy of the Commentary on Psalm 37 from Qumran
Cave 4, RQ 8 (1973) 163-194.

BLESSED ARE THE MEEK

45

cued from all snares of Belial. Afterwards they shall enjoy in all of the
land (haares) . The end of the sentence is not clear. Dupont Sommer24
reads it : Ils se dlecteront de tous les (plaisirs) de la terre et ils
sengraisseront de toutes les dlices de la chair . Ebyonym and anawim
are synonyms in this text.
III, 10-11 (vv.21-22) is a commentary on Ps 37,22 : For those who
are blessed by him shall possess the land but those who are cursed by him
shall be cut off. Its interpretation concerns the congregation of the poor
(ebyonym) to whom is the inheritance of the whole world (tebel)... They
will inherit the high mountain of Israel and delight in his sanctuary
(beqodsho) . Dupont Sommer translates : Lexplication de ceci concerne
la congrgation des pauvres qui (donnent) la proprit de toute la (fortune)
quils possdent, ils possderont la sublime montagne dIsral et dans son
sanctuaire ils se dlecteront).
The congregation of the poor is the Essenes community (1 QS 9,22).
IV, 2 comments Ps 37,29 : The just shall possess the land and live for
ever upon it. (The interpretation concerns his chosen ones who shall live)
for thousand (generations). This is the interpretation of Dupont Sommer.
IV,10-12 comments Ps 37,34 : Trust the Lord and keep his way. He
shall exalt you and you shall inherit the land and see that the wicked are
destroyed. His interpretation concerns the congregation of the poor
(ebyonym) who shall see the judgment of the wickedness and the people of
his chosen ones will rejoice in the inheritance (benahalat) of the land (only
the letter aleph is visible). Dupont Sommer reads : Ses lus se rjouiront
de lhritage de vrit (emet) (jamais) .
Three answers are given in this Pesher : the first one speaks of the land
itself, the second applies the land as a metaphor for the Temple and the last
sense is applied to future life.
In 4 Q 418 81 1,3. 9-14 we have another text describing the remnant
community which shall inherit the land :
For he opened your lips as a fountain to bless the holy ones. And you,
as an overflowing fountain praise his name And for you he opened insight, gave you authority over his storehouse and entrusted you with an
accurate ephah () are with you. It is in your hands to turn aside wrath
from the men of his favour and punish (the men of Belial) Before you
take your portion from his hand, honor his holy ones and before you He
opened a fountain for all his holy ones, all who by his name are called holy

24. La Bible. Ecrits intertestamentaires, Paris 1987, 375-380.

46

F. MANNS

ones they will be for all the eras the splendors of his sprout and eternal
planting () will come for thus will walk all those who inherit the land,
for by his name are they called .
The text, based upon Zech 13, 1 and Is 11,1 and 60,21, has an
eschatological flavor. To inherit the land in this context means to inherit
eternal life.
Nevertheless the land of Israel had its importance for the members of
the sect (1 QS 1,5; 8,4-7; 9,3). CD 1,7 has it : God visited them and out
of Israel and Aaron he made grow a root of plantation to inherit his land
and to get fat with the goods of his soil . It is because of the sins of the
people that God hides his face from the land (CD 2,9.11 ; 4,10).

4.2.

In apocalyptic texts

In the apocalyptic milieu there are discussions on the transformation of the


land in the days of the Messiah. 1 Hen 45,3-5 has it : On that day my
Elect one shall sit on the seat of glory and make a selection of their deeds,
their resting places will be without number... On that day I shall cause my
Elect One to dwell among them. I shall transform heaven and make it a
blessing of light for ever. I shall transform the earth and make it a blessing
and cause my Elect one to dwell in her. Those who committed sin and
crime shall not set foot in her. The same idea is repeated in 1 Hen 51,5 :
When the Elect will be risen the earth shall rejoice and the just shall dwell
in it. The elect ones shall walk in it . The Elect one is identified later with
the son of Man. Wisdom ideas are connected with the suffering servant of
Yahveh in 1 Hen 48,1-7.
1 Hen 5,7-8 speaks about the situation of the just : But to the elect there
shall be light, joy and peace, and they shall inherit the earth. To you, wicked
ones, on the contrary, there will be a curse. Then wisdom will be given to the
elect . This is the translation of Charlesworth. Dupont-Sommer translates
verse 8 : Alors seront donnes aux lus la lumire et la grce et ce sont eux
qui hriteront la terre. Alors la sagesse sera donne tous les lus . He
considers verse 8 as an addition which disturbs the text.
Jubilees 32,18-19 speaks about a vision of Jacob at Bethel. God promises him : And I shall give to your seed all the land under heaven and
they will rule in all nations as they have desired. And after this all of the
earth will be gathered together and they will inherit it forever . The promise of the inheritance of the land is extended to all the earth. This sentence
concerns eternal life.

BLESSED ARE THE MEEK

47

Testament of Job 33. Job asserts in a Psalm his allegiance to the supra
mundane heavenly realm where he has an eternal kingdom : My throne
is in the upper world, and its splendor and majesty come from the right
hand of the Father. The whole world shall pass away and its splendor shall
fade. And those who heed it shall share in its overthrow. But my throne is
in the Holy Land and its splendor is in the world of the changeless one .
The Holy Land as early as Zech 2,16 and Wisd 12,3 refers to the promised
land. But the term is used metaphorically of heaven.

4.3.

In hellenistic Judaism

Philo of Alexandria, in his Life of Moses 1,278 comments on the blessing


of Balaam : Their dwelling place is set apart and their land is severed
from others They do not mix with others to depart from the ways of their
Fathers . The concept of the land seems to be different in Israel from that
of other people.
In the Quaestiones in Genesim, third book, (Gen 15,7) he writes:
What is the meaning of the words : I am the Lord God who led you out
from the land of the Chaldeans to give you this land to inherit? The literal
meaning is clear. That which must be rendered as the deeper meaning is as
follows. The land of the Chaldeans is symbolically mathematical theory, of
which astronomy is part And again he grants him fruitful wisdom which
he symbolically calls land .
The land is symbol of wisdom. Philo is close to Ben Sira 24,12 who
speaks of the inheritance of wisdom : In the portion of the Lord is my
inheritance .
In his De Migratione Abrahae 1,1 Philo comments on Gen 12,1-3 :
Leave your country
. The land is symbol of the body and the house of your
Father is symbol of your language .
In his De migratione Abrahae all the geographic terms have a symbolic
meaning and in Quod omnis probus sit liber 75 Philo spiritualizes the cult.
The symbolic interpretation starts with Is 60,19-20 where Jerusalem is seen
as a symbol of the heavenly city. 1 Hen 90,28 announces the new Temple
as 11 Q Templ 29 and other texts from Qumran25.

25. F. Garca Martnez, Qumran Cave 11,II (11Q2-18, 11Q20-31), DJD 23, Oxford 1998,
305-356.

48

4.4.

F. MANNS

In Pharisaism

The Pharisees have different commentaries on Psalm 37:


Sifre Bamidbar Nu 6,26 42 (Horowitz, 46) : Great is peace for it is
given to the meek as it is written in Psalm 37,11 : The meek shall inherit
the land and shall rejoice in great peace . Meekness has an eschatological
flavor like the concept of shalom26.
M. Sanhedrin 10, 1 : All Israel have a portion in the world to come
as it is said : Thy people also shall be all righteous, they shall inherit the
land for ever (Is 60,21) . The land is a symbol of future life. Sanhedrin
110b has the same commentary.
M. Qidushin 1,10 : Whoever performs even a single commandment
it shall go well with him, and his days shall be prolonged (in this life :
Rashi), and he shall inherit the land (in the world to come : Rashi)27.
Succa 29b quotes the commentary of Rab (247) : Rab said: On account of four things is the property of the holders confiscated by the State
treasury: on account of those who defer payment of the labourers hire; on
account of those who withhold the hired labourers wages; on account of
those who remove the yoke from off their necks and place it on the necks
of their fellows and on account of arrogance. And the sin of arrogance is
equivalent to all others whereas of the humble it is written: But the humble
shall inherit the land, and delight themselves in the abundance of peace.
Eschatological sense is clear from the context.
LevR 36 has this text : As the vineyard the lowest tree between the
fruit trees is and nevertheless brings them all in his influence, so Israel
appears humble in this world, but in the future it shall inherit the land from
one end to the other . Future times means the days of the Messiah.
Rabbinic Literature knows two trends: in some texts there is a real interest for the land and for the Temple28, while other texts underline that the
Shekinah was absent from the second Temple29 and insist on the spiritual-

26. Derek Erets Zuta (Pereq Hashalom 21b) is very close to the Sifre Bamidbar text : He

who loves peace, forsakes it and answers those who greet him God gives him life in this
world and in the other as it is written in Psalm 37,11. The meek will possess the earth, glad
with a great joy . The eschatological meaning of this commentary is clearly indicated.
27. Idem T. Qid 1,13.
28. Taanit 4,6; PRK 16,128a ; Pes 10,6, ARN 35 ; Meg 17b-18a.
29. PR 35,1; ExR 2,5; DtR 7,2, Ber 10a.

BLESSED ARE THE MEEK

49

ization of cult30. A special privilege is attached to those who live in Israel31.


Of three who will inherit the coming world, one is he who lives in Israel32.
Midrash Sifre Dt 32 must be quoted : R. Jose berabbi Jehoudit said:
Sufferings are beloved (hbybyln), for the Name of God (maqom) is upon
the One who is visited by sufferings, for it is written: The Lord thy God
punishes you. R. Nathan33 berabbi Joseph said : As a covenant is made with
the land, a covenant is made with sufferings as it is written: The Lord thy
God punishes you. And it is written: The Lord thy God gives you a good
land. Rabbi Simon ben Yochai said: Sufferings are beloved, for three gifts
the world would like to have were given to Israel with sufferings: the Torah, the land of Israel and the world to come. The Torah, for it is written :
To know wisdom and teaching (Pr 1,2). And it is written: Blessed be the
man you punish and teach him the law (Ps 94,12). The land of Israel, for it
is written: The Lord punishes you and introduces you in a good land (Dt
8,7). The world to come, for it is written : the commandment is a lamp and
the Law is a light (Pr 6, 23) .
Mekilta de R. Ismael, Bahodesh 10 knows these traditions. Some elements of it are found in Berakot 5a and Sanhedrin 101a. M. Kelim 1,6-9
presents different steps of Holiness. The Land of Israel is more holy than
other countries. The offerings can be brought from any place except the
Omer. The offering of the fruits is also linked to the land34. The land of the
goyim is impure35.
The declaration of the Holiness of the land had the purpose to encourage Jews not to leave Israel after the wars. It is not allowed to sell land to
pagans36. Leaving Israel forfeits the accumulated merit of the Fathers. It
isnt allowed to participate in the feast of idolatric people except if during
these feasts it is possible to buy fields or houses according to T. Abodah
Zarah 1,8. Most of the laws about the purity of the land are in view of the
reconstruction of the Temple37.
30. Abot 3,2; PRK 60b; Sab 1l9b; LevR 7,2.
31. Joel 2,32; 4 Esd 13,48; 2 Bar 29,3; 40,2.
32. Pes 113a.
33. In Mekilta R.Jonathan transmits the tradition while in Midrash Tehilim it is R. Nathan

berabbi Jose.
34. Philo, Spec Leg 2,215-222; Josephus, Ant 4,242; Sifre Dt 297, Bik 1,3.
35. Sab 14b; T. Parah 3,5.
36. AZ 1,8 ; T. AZ 2,8; AZ 20a.
37. S. Safrai, The Land of Israel in Tannatic Halacha, 201-215. M.H. Tannenbaum -

R. Werblovsky,The Jerusalem Colloquium on Religion, Peoplehood, nation and Land,


Jerusalem 1972.

50

5.

F. MANNS

Meaning of Mt 5,4

Similarities with the Jewish interpretations of Ps 37 are clear in Matthew.


But we have to take into consideration also the differences. First of all the
message of Jesus is delivered in the context of a Beatitude which is a wisdom literary genre. Ps 37 is put in a wisdom context.
Another difference with the Hebrew and the Greek version of Ps 37 is
the presence of the article tn gn in Mt 5,4. Should one give importance
to this detail or rather consider it as secondary?
To answer this question one has to keep in mind a second element. Mt
5 is presenting a new reading of Is 6138. Isaiah 61 announces a change in
condition in the messianic times. Luke 4 shows that Jesus came to accomplish this prophetic text. Flusser39 has shown that the Beatitudes should be
read in this messianic context.
The article tn gn in the wisdom and messianic context cannot be a
determinative one, but must have a generic meaning as it often has40. To
inherit the land means to inherit the Kingdom. The parallelism of the two
first Beatitudes permits this conclusion.
The early Christian community gave also a symbolic interpretation of
the land. Paul in his first letter to the Corinthians 6,9-10 uses the expression to inherit the Kingdom of God which seems very close to Mt 5,4.
The New Jerusalem is present in the Christian community according to Rev
21 and Ga 4,26. 1 Peter 1,4 speaks of the inheritance Christians got through
the resurrection of Jesus from the dead. In the Gospel of Matthew the
framework of the Sermon on the Mount is symbolic. The Mount corresponds to Mount Sinai. There Jesus gives the new Law. He comments Is
61 and presents a synthesis of wisdom texts. Even if Matthew added his
presentation the message is that of Jesus. His wisdom teaching is clearly
deduced from the Q source. The meek (anawim) shall inherit the land.
Since this beatitude is parallel with the first, the land (with the article) is a
parallel of the Kingdom41. The message of Jesus is close to wisdom again
which in Pr 8,15 affirms : Through me Kings are governing . Kingdom
and Wisdom are close42.
38. F. Manns, Une approche juive, 166.
39. Blessed are the poor in spirit , IEJ 10 (1960) 1-13.
40. L. Cignelli - G.C. Bottini, Larticolo nel greco biblico , LA 41 (1991) 164-168.
41. Mt 13,52 is close to Si 18,29; 21,15; 39,6. The wisdom milieu of the Gospel of Mat-

thew is well attested.


42. G.J. Brooke, The wisdom of Matthews Beatitudes (4QBeat and Mt 5:3-12) ,

ScripBull 19 (1989) 35-41. J.P. Meier, Matthew 5:3-12 , Inter 44 (1990) 281-297.

BLESSED ARE THE MEEK

51

The Kingdom of God is opposed to the Kingdom of Mamon (Mt 6,24).


It is against violence and the persuit of power43.
If we give a rapid look at the interpretation of the Church Fathers we
can conclude that the Beatitude of the meek has been interpreted as a promise to eternal life. Didache 3,7 quotes Psalm 37.11. Origen in his Contra
Celsum 7,29 understands the Holy Land as a metaphor for heaven. Irenaeus
of Lyon in his Adversus haereses 5,32,2; 33,; 36, 3 shows that to inherit
the land means to inherit the Kingdom. If the spirit of God inherits our
bodies the Kingdom will be given to us.
Augustine commented on the Beatitudes in parallel with the seven gifts
of the Spirit and the seven demands of the Our Father. Since in the teaching of Jesus wisdom and the Spirit are linked together it can be interesting
to comment on the Beatitudes in parallel with the gifts of the Spirit44.
In the Apocalyptic milieu, in Qumran Pesher, in hellenistic Judaism and
even in Pharisaic texts Psalm 37 had a symbolic meaning. The Land was
symbol of wisdom, eternal life and heaven. Matthews Gospel is more close
to rabbinic Judaism than to the other trends of Judaism45. Repeating the
Psalm in the future : They shall inherit the land , Jesus gives to the land
an eschatological meaning which is close to the Kingdom, since Wisdom
and Kingdom were two close concepts.
Frdric Manns, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

43. J. Zumstein, Proximit et rupture avec le judasme rabbinique, LV 36 (1987) 5-19.

Montefiore, The Religious Teaching of the Synoptic Gospels in relation to Judaism, HibJ
20 (1921-22) 437.
44. Lc 21,15 : I shall give you a language and a wisdom in front of which they shall not
be able to resist . The Old Testament already put together Wisdom and Spirit in Wisd 7,7
and 9,17. Like Wisdom the Spirit is source of Life and Holiness (Wisd 1). Like Wisdom
the Spirit is a creating power; both of them have a universalistic comprehension (Ps 33,6 ;
Ps 104,30 and Pr 3,19). Like Wisdom the Spirit brings forth humanity (Wisd 9,3 and Gen
2,7 and 6,3) inspires in Israel men able to guide their brothers (Gen 41,37-39 and Sag
10,13), permits exodus (Is 63 and Wisd 10). Like wisdom the Spirit cannot live with sin
(Wisd 1,4-5). Both of them are educators (Wisd 6,3-11; 8,9-16).
45. K. Stendahl, The School of Matthew and its Use of the Old Testament, Lund 1954.

IL PASTO DEL SIGNORE, ALLA MENSA DEL SIGNORE


Alcuni problemi sulle tradizioni della Eucarestia

N. Casalini

Agli operatori liturgici


affinch nella ricerca
di forme nuove di partecipazione
preservino sempre integra
la sacralit del pasto del Signore.

Problemi e tendenze attuali della ricerca

La cena del Signore, che Paolo chiama pasto del Signore (kuriako\n
deipnon) (1Cor 11,20b) e considera una partecipazione alla mensa del Signore (trapezh kuriou metecein) (1Cor 10,21b), di nuovo al centro
dellinteresse di teologi ed esegeti per limportanza che ha assunto nel dibattito ecumenico attuale. Le diverse Chiese di antica origine e le varie
Confessioni cristiane da esse derivate hanno compreso che questo atto comunitario di culto a Dio per mezzo di Ges Cristo, chiamato tecnicamente
Eucarestia (eujcaristia), rendimento di grazie, nella Didach (9,1.5)
e nelle Lettere di Ignazio di Antiochia (Ef 13,1; Filad 4; Smir 8,1), segno
fondamentale che attesta visibilmente e in modo sacramentale lunit nella
fede in Cristo Signore, a cui bisogna tendere per adempiere al desiderio
dello stesso Signore (Gv 17,11.21-23). Ma linteresse attuale non altro
che una fase di una lunga storia della ricerca, in cui la discussione dei problemi di questo rito particolare del Cristianesimo stata sempre viva e non
priva di polemica1.

1. Per la storia della ricerca e lo status quaestionis rimandiamo a: H. Lessing, Die

Abendmahlsprobleme im Lichte der neutestamentlichen Forschung seit 1900, Bonn 1953;


F. Hahn, Zur Stand der Erforschung des urchristlichen Herrenmahles, EvTh 35 (1975)
553-563; rist. in: Idem, Exegetische Beitrge zum kumenischen Gesprch, Gttingen 1986,
242-252; H. Feld, Das Verstndnis des Herrenmahles (EdF 50), Darmstadt 1976; U.
Grmbel, Zur Exegese der neutestamentlichen Abendmahlsberlieferung in der letzen
beiden Jahrzehnten, in: Idem, Abendmahl: Fr Euch gegeben? (Arbeiten zur Theologie
78), Stuttgart 1997, 40-78; K. Scholtissek, Das Herrenmahl im Spiegel der neueren
Forschung, BiLe 70 (1997) 39-44; G. Sanchez Mielgo, Los relatos de la Cena: historia,
interpretacin y sentido, Escritos del Vedat (Torrente) 30 (2000) 7-86.
LA 50 (2000) 53-113

54

N. CASALINI

In ogni caso, lattuale risveglio stato a lungo preparato e pu essere


giustamente considerato il frutto della riflessione degli ultimi decenni del
secolo appena concluso che, oltre a molti studi particolari, ha prodotto anche qualche pregevole monografia, che permette allo studioso di rendersi
conto dello stato delle cose e delle diverse tendenze esegetiche, che per lo
pi riguardano lorigine, il modello ispiratore, le forme pi antiche e soprattutto le formule o parole della istituzione2.
In sintesi, posso dire che pare definitivamente conclusa la discussione
iniziata da Hans Lietzmann nel 1926 con la sua monografia Messe und
Herrenmahl3. In questa, come noto, sosteneva lipotesi affascinante sullesistenza di due forme originarie della cosiddetta Cena del Signore. Una
palestinese, in uso presso la comunit primitiva di Gerusalemme, consistente essenzialmente nella fractio panis (hJ klasi touv artou At 2,42; cf. 2,46;
20,7.11; 27,35), quale continuazione di una consuetudine di Ges (cf. Lc
24,30-31), che veniva celebrata quotidianamente (kaq hJmeran), nella
gioia (en agalliasei), lodando Dio (ainouvnte to\n qeo/n), nella esaltazione della Resurrezione e in attesa del compimento finale con la sua
venuta (cf. At 2,47). Laltra, ellenistica, in uso presso le comunit di fondazione paolina, consistente essenzialmente nella rievocazione della cena
ultima del Signore e nella commemorazione della sua morte (1Cor 11,1734; cf. 10,1-22)4.

2. M. Barth, Das Mahl des Herrn. Gemeinschaft mit Israel, mit Christus und unter den
Gsten, Neukirchen-Vluyn 1987; G. Barth, Das Herrenmahl in der frheren Christenheit,
in: Idem, Neutestamentliche Versuche und Besinnungen, 1986, 67-134; B. Chilton, A Feast
of Meaning. Eucharistic Theologies from Jesus trough Johannine Circles (NT.S 72), Leiden
1994; A.J. Chupungo (ed.), Handbook for liturgical Studies. III: The Eucharist, Collegeville
1999; P. Grelot, Corps et sang du Christ en gloire. Enqute dogmatique (LD 182), Paris
1999; F. Hahn, Die alttestamentlichen Motive in der urchristlichen Adendmahlsberlieferung, EvTh 27 (1967) 337-374; A.J. Higgins, The Lords Supper in the New
Testament (SBT 6), London 1952; J. Jeremias, Die Abendmahlsworte Jesu, Gttingen 41967;
W. Marxen, Das Abendmahl als christologisches Problem, Gtersloh 1963; B.F. Meyer,
Recondite Hermeneutics and the Last Supper Rite, in: Evangelium - Schriftauslegung Kirche, Gttingen 1997, 296-309; S.A. Panimolle (ed.), LEucarestia nella Bibbia (Dizionario di Spiritualit Biblica e Patristica 19), Roma 1998; H. Patsch, Abendmahl und
historischer Jesus (CThM.A 1), Stuttgart 1972; J.Chr. Salzmann, Lehren und Ermahnen.
Zur Geschichte des christlichen Wortgottesdienstes in den ersten drei Jahrhundert (WUNT
2.59), Tbingen 1994; H. Schrmann, Das Weiterleben der Sache Jesu im nachsterlischen
Herrenmahl. Die Kontinuitt der Zeichen in der Diskontinuitt der Zeiten, in: Idem, Jesus.
Gestalt und Geheimnis. Gesammelte Beitrge, ed. L. Scholtissek, Paderborn 1994, 241-265.
3. Eine Studie zur Geschichte der Liturgie (AKG 8), Berlin 31955.
4. Messe und Herrenmahl, 253.

IL PASTO DEL SIGNORE

55

Questa ipotesi storica fu accolta favorevolmente da Rudolf Bultmann,


per il quale le parole della cena indicano una comunione sacramentale e
misterica con il Dio salvatore, totalmente estranea alla mentalit del
giudaismo palestinese5; e, con qualche modifica, anche da Ernst Lohmeyer,
che riteneva i due tipi di Eucarestia ugualmente originari nella comunit
palestinese, di Galilea e di Gerusalemme6.
Ma fu messa in dubbio da Joachim Jeremias e da Karl Georg Kuhn per
motivi filologici: la tradizione sulla istituzione della Cena con il ricordo
della morte del Signore in Mc 14,22-25 e 1Cor 11,23b-25 marcata da
semitismi, che ne rivelano lorigine palestinese7.
I moderni, che giudicano largomento linguistico insufficiente8, la ritengono invalida per due motivi letterari, che a loro paiono pi validi. Il primo riguarda la tradizione tramandata negli Atti degli Apostoli. Questo
racconto, probabilmente storico nellessenziale, indica senza equivoco che
la cosiddetta fractio panis (hJ klasi touv artou) (At 2,42) era in realt un
termine generico per indicare un pasto normale, completo e quotidiano,
individuale come in At 27,35 o in comune come in At 2,46 (cf. Lc 24,30)9.
Il secondo riguarda il testo della Didach 9-10, che H. Lietzmann adduceva come prova a conferma della sua ipotesi di due tipi di Eucarestia, che
in questo documento si succederebbero luno allaltro, con evidente difficolt di congiunzione letteraria in Did 10,610.
Si fa notare che tale difficolt in realt non sussiste, perch si pu spiegare diversamente11. In ogni caso, la riunione cultuale in esso descritta fa5. Theologie des Neuen Testaments, Tbingen 91984, 153.
6. Vom urchristlichen Abendmahl, ThR NF 9 (1937) 168-227.273-312. Anche O.

Cullmann, La signification de la Cne dans le Christianisme primitif, 1936, diede il suo


assenso, ma riportandone misticamente le origini ai pasti del Signore risorto con i discepoli, di cui attestano Lc 24 e Gv 20-21; ma anche At 1,4 e 10,41.
7. Per J. Jeremias, Die Abendmahlsworte Jesu, 188-189; per K.G. Kuhn, ber den
ursprnglischen Sinn des Abendmahles und sein Verhltnis zu den Gemeinschaftsmahlen
der Sektenschrift, EvTh 10 (1950/51) 508-527: 513. I semitismi pi noti segnalati nelle due
tradizioni supposte di origine ellenistica (1Cor 11,23b-25 e Mc 14,22-25) sono: eujlogh/sa
(Mc 14,22b), eujcaristh/sa (1Cor 11,24a), labwn poth/rion eujcaristh/sa (Mc 14,23a),
ekcunno/menon uJper pollwn (Mc 14,24c), amh/n (Mc 14,25a), oujketi ouj mh\ piw ek touv genh/
mato thv ampelou (Mc 14,25b).
8. G. Strecker, Theologie des Neuen Testaments, Berlin-New York 1996, 178.
9. Cos G. Strecker, Theologie des NT 180, che rimanda alle indicazioni di G. Delling,
Abendmahl II: Urchristliches Mahlverstndnis, TRE 1 (1977) 47-58: 56; e di G.
Kretschmar, Abendmahlsfeier I, TRE 1 (1977) 229-278: 231.
10. Messe und Herrenmahl 268-269.
11. K. Berger, Theologiegeschichte des Urchristentums, Tbingen-Basel 21995, 316.

56

N. CASALINI

vorisce una interpretazione diversa: lordo non riguarda due modi per celebrare la cosiddetta Eucarestia, ma un solo atto di culto, in cui il pasto sacramentale (descritto da Did 10,6 e sg.) seguiva immediatamente e dopo
un pasto comunitario, senza comunione sacramentale (descritto in Did 9,110,5)12. Con ci lipotesi di H. Lietzmann potrebbe ritenersi definitivamente abbandonata. In effetti ricordata da teologi ed esegeti solo per
essere confutata e respinta13. Ma faccio notare che il problema, che tale
ipotesi doveva contribuire a risolvere, resta irrisolto, perch non era inventato e si ripropone di nuovo ad ogni studioso che legge senza pregiudizio i
testi che H. Lietzmann aveva indicato.
Lautore degli Atti usa la formula fractio panis (klasi touv artou) per
indicare non solo il pasto quotidiano in comune (At 2,46), ma anche la celebrazione cultuale comunitaria nel primo giorno della settimana (en de
thv mia twn sabbatwn), che comprendeva listruzione apostolica e il pasto
(At 20,7-11), di cui difficile negare la natura eucaristica, dato il tempo
in cui questa tradizione stata da lui raccolta e fissata (fine del I sec. d.C.)
e data levidente analogia con la tradizione eucaristica pi antica attestata
da Lc 24,3014. Quindi anche questa deve essere presa in considerazione
nellesame delle tradizioni sul pasto o cena del Signore.
Per il resto, la ricerca attuale continua a dibattere gli stessi problemi, anche se in forme diverse, secondo il diverso ambiente culturale a cui appartengono gli esegeti e i loro studi, che sembrano orientati in due direzioni.
Una, di natura storico-letteraria, che cerca di reperire o ricostruire la forma
originaria della istituzione della cena del Signore e, in particolare, delle
parole di Ges15. Una seconda, di natura storico-religiosa, cerca di individua-

12. H. Conzelmann, Grundriss der Theologie des Neuen Testaments, Tbingen 61997, 133134.
13. H. Conzelmann, Grundriss 133-134; J. Roloff, Neues Testament, Neukirchen-Vluyn
7
1999, 274-275; L. Goppelt, Theologie des Neuen Testaments, Gttingen 31991, 261-262.
Anche G. Strecker, Theologie des NT 179-180, la riporta per criticarla. Ma poi il lettore
scopre con sorpresa che questo autore sostiene la stessa cosa trattando di due tipi distinti di
pasto comunitario con valore cultuale: uno per la comunit palestinese, per lo pi come
descritto in At 2,42.46 (pp. 305-306), e uno per la comunit ellenistica, come tramandato
da Mc 14,22-25 (pp. 325-326).
14. Cf. J. Wanke, Beobachtungen zum Eucharistieverstndnis bei Lukas (EThS 8), Leipzig
1973, 19-24; riassunto in J. Wanke, EWNT II, 729-732; e W. Bsen, Jesusmahl Eucharistisches Mahl - Endzeitmahl. Ein Beitrag zur Theologie des Lukas (SBS 97),
Stuttgart 1980, 126-133.
15. Cf. in particolare B. Kollmann, Ursprung und Gestalten der frhchristlichen Mahlfeier
(GTA 43), Gttingen 1991; H. Merklein, Erwgungen zur berlieferungsgeschichte der
neutestamentlichen Abendmahlstradition, in: Idem, Studien zu Jesus und Paulus (WUNT

IL PASTO DEL SIGNORE

57

re il modello cultuale a cui si ispirato Ges per la sua istituzione o che ha


influito sulla sua costituzione presso la comunit di origine16.
Quanto alle parole originarie dellistituzione, per la significazione simbolica del pane e del vino, quattro ipotesi sono al momento correnti, due
recenti e due pi antiche. La prima, riduce il nucleo originale alla formula
Questo il mio corpo (touvto/ estin to\ swma mou), Questo il mio
sangue (touvto/ estin to\ aima mou), quale si trova in Giustino, Apologia
I 6617. In questo caso la formula ritenuta sacrificale18, ma secondario e
aggiunto in seguito il riferimento al valore espiatorio di tale sacrificio vitale (uJper uJmwn di 1Cor 11,24 sul corpo, e to\ ekcunno/menon uJper pollwn
di Mc 14,24c sul sangue)19.
La seconda riduce la formula dellistituzione a Mc 14,23 sul pane Questo il mio corpo (touvto/ estin to\ swma mou) e Mc 14,25 sul vino, alla
fine della cena: In verit dico a voi che non berr pi del frutto della vite
fino a quel giorno, quando lo bevo nuovo nel regno di Dio. Le parole per
la significazione del bicchiere in Mc 14,24 sono omesse per diverse ragioni, di cui due mi paiono fondamentali. La prima: lidea di dare ad altri da
bere il proprio sangue, anche se solo in forma sacramentale, non solo era
totalmente estranea alla religione giudaica, ma anche un sacrilegio (cf. Lev
17,10-14). La seconda: lespressione fractio panis, tramandata da At
2,42.46; 20,7.11 indicava tutto latto eucaristico20.
Meno valida invece la ragione che la parola swma, corpo, indicasse tutto luomo, con il suo sangue, che rende superflua laltra esplicazione. In Mc

43), Tbingen 1987, 157-180; B.D. Smith, The More Original Form of the Words of
Institution, ZNW 82 (1992) 166-186; Th. Sding, Das Mahl des Herrn: Zur Gestalt und
Theologie der neutestamentlichen Tradition, in: Vorgeschmack. kumenische Bemhungen um die Eucharistie, ed. B.J. Hilberath, Mainz 1995, 134-163.
16. Una sintesi della proposta si pu trovare in J. Roloff, Neues Testament 275-279. Cf.
anche B. Chilton, The Eucharist - Exploring Its Origins, BR 10, 36-43.
17. B. Chilton, A Feast of Meaning 71.
18. B. Chilton, A Feast of Meaning 71-72, che riprende lidea da B. Lang, The Roots of
the Eucharist in Jesus Praxis, SBLSP 31 (1992) 467-472; riproposta esplicitamente in The
Eucharist: A Sacrificial Formula Preserved, BR 10 (1994) 44-49.
19. B. Chilton, A Feast of Meaning 72.
20. Cos J.-M. Van Cangh, Les origines de lEucharistie. Le cas des Actes des Aptres
Apocriphes, in: LEvangile explor, ed. A. Marchadour (LD 166), Paris 1996, 393-414:
404-414; cf. anche Idem, Le droulement primitif de la Cne (Mc 14,18-26 et par.), RB
102 (1995) 193-225; e Peut-on reconstruire le texte primitif de la Cne? (1Cor 11,23-26
par. Mc 14,22-26), in: Corinthian Correspondence, ed. R. Bieringer (BETL 125), Leuven
1996, 623-637.

58

N. CASALINI

14,8 e 15,43 indica senza equivoco solo il corpo delluomo, distinto da tutto
il resto (cf. Mc 15,45 dove chiamato tecnicamente ptwma, cadavere).
La terza considera originario il nucleo tramandato da Mc 14,22.24 costituito dalle parole sul pane Questo il mio corpo (touvto/ estin to\
swma mou) e le parole sul bicchiere che significano espiazione, ma senza
riferimento al patto (thv diaqh/kh): Questo il mio sangue [], versato
per molti (touvto/ estin to\ aima mou [], to\ ekcunno/menon uJper
pollwn)21.
La quarta ritiene costitutiva del nucleo originario le parole sul pane
Questo il mio corpo (touvto/ estin to\ swma mou) e le parole sul bicchiere con riferimento al sangue del patto, ma senza la formula di espiazione (to\ ekcunno/menon uJper pollwn): Questo il mio sangue, del patto
(touvto/ estin to\ aima mou thv diaqh/kh) (Mc 14,24ab)22, o al patto nuovo stretto nel suo sangue: Questo bicchiere il nuovo patto nel mio sangue (touvto to\ poth/rion hJ kainh\ diaqh/kh estin en tw emw aimati)
(1Cor 11,25b)23.
Quanto al modello cultuale che potrebbe avere ispirato la costituzione
della cena o pasto del Signore, si preferiscono analogie con le forme dei
sacrifici dellAntico Testamento: di partecipazione (o di comunione)24, di
ringraziamento25, o quello dellofferta quotidiana del pane26.
Ma non hanno perso valore due ipotesi pi antiche, per la loro evidente
forza probativa. La prima, proposta da K.G. Kuhn, che trovava una indubbia somiglianza con il pasto della setta giudaica di Qumran, a base di pane
e di mosto27, che consideravano laccesso nella comunit come un entrare
21. Cos J. Jeremias, Die Abendmahlsworte Jesu 186-187. Simile lipotesi di J. Roloff,
Neues Testament 287, che preferisce Questo bicchiere il mio sangue per molti unificando linizio preso da 1Cor 11,25 (touvto to\ poth/rion) con Mc 14,24 (to\ aima mou ... uJper
pollwn).
22. Cf. K. Berger, Theologiegeschichte 318.
23. Cos E. Schweizer, Abendmahl, RGG3, 10-21: 14.
24. la proposta di B. Chilton, A Feast of Meaning 73-74, che rimanda a Lev 3 e a Gn
31,51-54 (Giacobbe e Laban), Es 18,9-12 (Ietro con Aronne e gli anziani), Es 24,4-11 (il
sacrificio del patto con Mos, Aronne, Nadab, Abihu e gli anziani, davanti a Dio).
25. la proposta di D.R. Lindsay, Todah und Eucharist: The Celebration of the Lords
Supper as a Thanksoffering in the Early Church, Restoration Quarterly 39 (1997) 83100, che riprende una idea di H. Gese, Psalm 22 und das Neue Testament. Der lteste
Bericht vom Tode Jesu und die Entstehung des Herrenmahles, ZThK 65 (1968) 1-22.
26. M. Douglas, The Eucharist: Its Continuity with the Bread Sacrifice of Leviticus,
Modern Theology 15 (1999) 209-224.
27. ber den ursprnglichen Sinn des Abendmahles, 508-527, che si riferisce a 1QS 6,16 (spec. 6,2-5) e a 1QSa 2,11-22 (spec. 2,7-21).

IL PASTO DEL SIGNORE

59

nel patto, che era un patto di eterna comunit, detto anche nuovo patto,
in terra di Damasco28. La seconda trova analogie con il pasto celebrato in
onore di defunti fondatori di scuole filosofiche o di imperatori, a cui sembra rinviare la formula di 1Cor 11,24d: Questo fate in mia memoria
(touvto poieite ei th\n emh\n anamnhsin) (cf. 1Cor 11,25c e Lc 22,19d)29.
La differenza tra le diverse ipotesi indicate attesta che i problemi riguardanti lorigine del pasto del Signore, detto Eucarestia, le parole della
istituzione, il modello cultuale di riferimento della sua costituzione, sono
ancora irrisolti. Ugualmente non risolto il problema del rapporto tra la
tradizione tramandata da Mc 14,22-25 e quella tramandata da Paolo in 1Cor
11,23b-25. evidente infatti che mentre tutte le ipotesi indicate concordano tra loro sulle probabili parole originarie dette da Ges per dare significato sacrale al pane, divergono su quelle per la significazione del bicchiere
(del vino). J.M. van Chang le elimina del tutto dalla tradizione originaria
ritenendole una interpretazione teologica aggiunta. Alcuni invece danno la
precedenza a Mc 14,24 (Questo il mio sangue, del patto o Questo il
mio sangue [], versato per molti). Ma altri lo ritengono posteriore a
Paolo (1Cor 11,24-25), per levidente anomalia nel parallelismo tra swma
e to\ poth/rion, che ritengono pi originario di fronte a quello letterariamente e cultualmente perfetto tra swma e aima che si legge in Mc 14,2224 e che Paolo non avrebbe osato mutare se lo avesse conosciuto30.
Ma anche questa stringente obiezione letteraria appare fragile di fronte
alla osservazione acuta di chi fa notare che la formula di Paolo (Questo
bicchiere il nuovo patto nel mio sangue) appare semplicemente pi lo-

28. Le qualifiche sono citate da K. Berger, Theologiegeschichte 319, per levidente analogia con la teologia simbolica espressa nelle parole della Cena del Signore.
29. Le testimonianze sono raccolte da J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 230-235. In particolare : a) Diogene Laerzio X,18 in cui si legge la notizia che Epicuro stabil per testamento una riunione mensile dei suoi discepoli, probabilmente con pasto, a nostro ricordo
(ei th\n hJmwn ... [mnh/mhn]); b) una iscrizione tombale di Bitinia, Provincia Imperiale, in cui
poiein aujtou\ ana[<m>]nh[s]in mou. Altri testimoni
si legge questa disposizione: <epi tw>
in H.J. Klauck, Herrenmahl und hellenisticher Kult (NTA 15), Mnster 21986, 76-91; e pi
esaustivo B. Laum, Stiftungen der griechischen und rmischen Antike. Ein Beitrag zur
antiken Kulturgeschichte. II. Urkunden, Leipzig-Berlin 1914.
30. Lanomalia del parallelismo swma / to\ poth/rion in 1Cor 11,24-25 era gi stata rilevata
da E. Ksemann, Anliegen und Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre, in: Idem,
Exegetische Versuche und Besinnungen, Gttingen 61970, 11-34; e da G. Bornkamm,
Herrenmahl und Kirche bei Paulus, in: Idem, Studien zu Antike und Urchristentum.
Gesammelte Aufstze II (BEvTh 28), Mnchen 31970, 138-176. Il suo uso come indizio
letterario per stabilire lanteriorit del testo di 1Cor 11,24-25, nei confronti di Mc 14,23-24
si trova in G. Strecker, Theologie des NT 178 e in J. Roloff, Neues Testament 287.

60

N. CASALINI

gica, e quindi potrebbe essere ritenuta secondaria o spiegata come un tentativo di chiarire quella di Marco, logicamente e linguisticamente pi
dura31.
Questo stato di cose attesta che probabilmente non potremo mai ricostruire con precisione le parole autentiche dette da Ges durante la cena,
nella notte in cui fu tradito32. Naturalmente, se si accetta il presupposto,
storicamente non verificabile, che fu lui il vero istitutore del pasto cultuale
in ricordo della sua morte, che poi fu detto pasto del Signore o
Eucarestia33.
Ma per coloro che non ammettono tale presupposto, il problema si pone
in modo diverso. Non si tratta di sapere quale parole disse Ges in quella
notte fatale, ma da dove ha avuto origine una tale istituzione cultuale e
quali erano le formule liturgiche pi antiche che la comunit cristiana delle
origini aveva abitudine di dire quando si riuniva per il pasto in comune,
che certamente era un atto cultuale fondamentale della sua costituzione,
come attesta la tradizione tramandata da At 1,42.46; 20,7-11 e confermata
dalla lettera X,96 di Plinio il Giovane, Governatore della Bitinia, allImperatore Traiano. Da questa testimonianza indipendente si desume che tra la
fine del I sec. d.C. e linizio del II sec. d.C., i cristiani, in un giorno stabilito (stato die, probabilmente il primo della settimana, dopo il sabato: cf.
1Cor 16,2), si riunivano prima dellalba (ante lucem) per cantare a Cristo,
come a un Dio (Christo quasi deo carmen dicere); e poi, alla sera dello
stesso giorno, per mangiare (ad capiendum cibum)34.
Tuttavia in ci che segue non nostra intenzione riesaminare tutti questi problemi, n sottoporre a verifica le ipotesi di soluzione indicate. Ma

31. L. Goppelt, Theologie des NT 266, nota 11.


32. H. Conzelmann, Grundriss 139.
33. B. Chilton, A Feast of Meaning 63-74, non solo convinto di questo, ma propone anche laudace ipotesi che Ges istitu tale pasto cultuale come nuova forma di culto e segno
sacrificale in sostituzione del culto del tempio, dopo il fallito tentativo di riformarlo (p. 72).
E ci fu la causa dellaccusa di blasfemia che gli procur la condanna a morte (pp. 69-72).
34. J.Chr. Salzmann, Lehren und Ermahnen 133-148. Per una storia del culto cristiano delle origini rimandiamo a M. Goguel, LEucharistie ds origines Justin Martyr, Paris 1910,
al pi moderno B. Lang, Sacred Games. A History of Christian Worship, New HavenLondon 1997; e alla breve sintesi di F. Hahn, Le cult dans lEglise primitive, ScE 46
(1994) 309-332. Sulla funzione della Eucarestia nel culto cristiano delle origini rinviamo a
J. Roloff, Der Gottesdienst im Urchristentum, in: Handbuch der Liturgik, ed. H.Chr.
Schmidt-Lauber - K.-H. Bieritz, Leipzig-Gttingen 21995, 43-71; e nel contesto sociale: M.
Klinghardt, Gemeinschaftsmahl und Mahlgemeinschaft. Soziologie und Liturgie frhchristlichen Mahlfeier (TANZ 13), Tbingen 1996.

IL PASTO DEL SIGNORE

61

mi limiter a un compito essenziale: ricordare con cura e precisione le tradizioni fondamentali della Eucarestia, quali sono state tramandate nel
Nuovo Testamento e, in particolare, quella sui gesti simbolici compiuti da
Ges nella ultima cena, da lui fatta con i suoi discepoli nella notte in cui
fu tradito, come dice Paolo in 1Cor 11,23b e che, secondo la tradizione
evangelica, fu una cena pasquale, come si legge in Mc 14,12-13; Mt 26,7 e
Lc 22,7-835.
Questo esame sar da noi effettuato con il preciso intento di chiarire
alcuni problemi, oggi vivacemente dibattuti e che di fatto determinano anche le scelte pratiche che vengono effettuate nelle celebrazioni liturgiche
comunitarie per rendere pi attrativa e attuale la celebrazione di tale mistero cultuale. In particolare: 1) Se il pasto del Signore era ritenuto come un
pasto comune, fatto in comune o se era distinto da esso. 2) Se tale pasto
in comune era effettuato come forma di condivisione dei beni (koinwnia)
con i pi poveri, o se era distinto da pasti comuni a scopo di beneficenza.
3) Se il pasto del Signore era rievocato come cena pasquale, o distinto da
essa. 4) Se nelle parole di significazione (1Cor 11,23b-25) o di distribuzione (Mc 14,22-24) del pane e del vino era implicito il valore sacrificale,
espiatorio o sostitutivo, della morte di Cristo. 5) Se in tali parole di
significazione o distribuzione sia implicito il riferimento diretto o indiretto
a Ger 31,31-34, Es 24,8, Is 53 e se questi testi siano da usare per comprendere il senso teologico dellazione simbolica con essi significata. 6) Se il
pasto del Signore comunica il perdono dei peccati a coloro che vi partecipano, o se presuppone che i partecipanti siano gi stati purificati dai loro
peccati. 7) Se il pasto del Signore fosse considerato un atto cultuale di
iniziazione alla fede, parallelo al battesimo, di cui sarebbe un ricordo e la
effettiva realizzazione. 8) Se sia necessaria la fede per partecipare alla mensa del Signore, al suo corpo e al suo sangue, o se vi pu partecipare chiunque, anche chi non crede. 9) Se tale partecipazione sia un mezzo di salvezza
per effetto della morte di Cristo che vi rievocata, o per il semplice fatto
di essere associati alla comunit, che si riunisce intorno alla mensa.

35. Queste tradizioni sono enumerate da B. Kollmann, Ursprung und Gestalten, come se-

gue: 1Cor 11,17-34 e 1Cor 10,14-22 (pp. 38-68), At 2,42-47 e At 20,7-12 (pp. 71-99), la
testimonianza di Giovanni (pp. 102-131), lultimo pasto del Signore (pp. 153-238). Quindi
avremmo quattro tendenze: quella paolina, quella lucana (At), quella giovannea e quella
sinottica. Ma come noto, J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 183, ne contemplava solo
tre: quella di Marco, quella di Paolo (e Luca) e quella di Giovanni. La classificazione di
B. Kollmann ci pare pi completa e conforme allo stato della documentazione neotestamentaria.

62

N. CASALINI

Poich queste domande sono sorte a noi considerando alcuni fenomeni


della prassi liturgica reale, che hanno suscitato vivaci proteste nelle diverse chiese cristiane e soprattutto dalla lettura attenta della trattazione sulla
Cena del Signore che si legge nelle pi diffuse Teologie del Nuovo Testamento, noi effettueremo un serrato confronto esegetico e teologico con
gli autori di queste sintesi e con le loro ipotesi storiche, esegetiche e teologiche36.
Questo procedimento si giustifica con una ragione molto semplice,
desunta da un principio teologico fondamentale: dal modo di credere dipende il modo di pregare. Quindi non necessaria molta perspicacia per
comprendere che le sintesi proposte da tali teologie sulla Cena del Signore hanno il potere di influenzare direttamente la prassi liturgica delle Chiese, per levidente autorit di cui godono i teologi che le hanno scritte e per
la loro diffusione presso gli studenti e studiosi di queste cose, che spesso
per la loro funzione sono anche addetti o alla consultazione o alla diretta
cura pastorale. Per questo, discutendo le loro ipotesi interpretative e mostrando la non consistenza di alcune delle loro conclusioni teologiche o
esegetiche, noi intendiamo invitare coloro che se ne servono per lo studio
o la prassi a ponderare con pi rigore le loro tesi scientifiche o le loro scelte operative.

Il silenzio di Giovanni e il discorso sul pane di vita (Gv 13,1-20;


cf. Gv 6,26-71)

Come noto, la cena o ultimo pasto del Signore, ricordato anche nel
Vangelo di Giovanni (Gv 13,2a). Ma con sorpresa di ogni lettore, lautore
non riporta la scena della istituzione dellEucarestia e al suo posto narra
un fatto veramente sconvolgente, non riportato dagli altri racconti del vangelo. Ges si alza da tavola, si cinge i fianchi con un panno, prende acqua
in un catino e lava i piedi a tutti i suoi discepoli, invitandoli espressamente

36. Le pi importanti sono gi state citate nellesposizione che precede. Riassumendo, ri-

cordiamo: K. Berger, Theologiegeschichte 311-325; H. Conzelmann, Grundriss 130-140; J.


Gnilka, Theologie des NT, Freiburg 21999, 120-124; L. Goppelt, Theologie des NT 261-270;
637-640; H. Hbner, Biblische Theologie des Neuen Testament 3, Gttingen 1995, 263-277;
J. Roloff, Neues Testaments 272-290; G. Strecker, Theologie des NT 176-185.304-306.325326.536-538; A. Weiser, Theologie des NT. II. Theologie der Evangelien, Stuttgart 1993,
223-224.

IL PASTO DEL SIGNORE

63

ad imitarlo. Egli ha dato loro un esempio, affinch si lavino i piedi luno


con laltro (Gv 13,1-20)37.
Che pensare di questo racconto? Perch il narratore ha rievocato un tale
atto simbolico? Voleva forse indicare listituzione di un altro sacramento o
di un atto rituale, a cui oggi noi attribuiremmo una efficacia detta sacramentale?38 Oppure dobbiamo pensare che egli abbia sostituito il gesto di
dare se stesso a loro come nutrimento nella forma del pane e del vino con
un altro atto simbolico che ne d il significato, secondo ci che si legge in
Lc 22,24-27, che certamente lautore doveva conoscere e che, come e noto,
ispirato dal logion che si legge in Mc 10,45, in un contesto narrativo analogo di disputa per il dominio (Mc 10, 42-45; cf. Mc 9,33-37). Per risolverlo, Ges pone a modello se stesso dicendo: Il Figlio dellUomo non
venuto per farsi servire ma per servire e dare la sua vita in riscatto per
molti39.
La prima ipotesi favorita da coloro che vedono nel participio
leloumeno di Gv 13,10b un riferimento al bagno battesimale, tenendo

37. Tra i molti saggi dedicati a Gv 13,1-20 e al suo significato rimandiamo ai pi significa-

tivi: J. Beutler, Die Bedeutung des Todes Jesu im Johannesevangelium nach Joh 13,1-20,
in: Der Tod Jesu, ed. K. Kertelge (QD 74), Freiburg i. Br. 1976, 188-204; R.A. Culpepper,
The Johannine Hypodeigma: A Reading of John 13, Semeia 53 (1991) 133-152; J.D.
Dunn, The Washing of the Disciples Feet in Joh 13,1-20, ZNW 61 (1970) 247-252; E.
Malatesta, Le lavement des pieds, Christus 23 (1976) 209-223; K.Th. Kleinknecht,
Johannes 13, die Synoptiker und die Methode der johanneischer Evangelienschreibung,
ZThK 82 (1985) 361-388; F. Genuyt, Les deux bains, Smiotique et Bible 25 (1982) 121; R. Kiffer, Larrire fond juif du lavement des pieds, RB 105 (1988) 546-555; F.
Manns, Le lavement des pieds, RevSR 55 (1981) 149-169; F.J. Moloney, A Sacramental
Reading of John 13,1-38, CBQ 53 (1991) 237-256; Chr. Niemand, Die Fusswaschungserzhlung des Johannesevangeliums (StAns 114), Rom 1993; G. Richter, Die Fusswaschung im Johannesevangelium (BU 1), Regensburg 1967; M. Sabbe, The Footwashing
in Joh 13 and Its Relation to the Synoptic Gospels, in: Idem, Studia Neotestamentica.
Collected Essays (BETL 98), Leuven 1991, 409-441; F.F. Segovia, John 13,1-20. The
Footwashing in the Johannine Tradition, ZNW 73 (1982) 31-51; J.C. Thomas, Footwashing
in John 13 and the Johannine Community (JSNT.S 61), Sheffield 1991; H. Weiss,
Footwashing in the Johannine Community, NT 21 (1979) 298-325.
38. Cos pensa J.C. Thomas, Footwashing 126-185, il quale suppone che il lavaggio dei
piedi took place in the context of a meal (perhaps the Agape?) together with the Eucharist
(p. 184). Ma il suo scopo pare essere sacramentale, perch dice che tale lavaggio di piedi
has to do with the issue of post-conversion sin, con riferimento a 1Gv 1,7-10; 2,1-2; 5,1618 (p. 188). Cf. anche Chr. Niedmand, Die Fusswaschungserzhlung 383, il quale suppone
che fosse un rito di purificazione, con evidente valore sacramentale, con cui venivano ammessi nella comunit giovannea i discepoli che avevano gi ricevuto il battesimo di conversione di Giovanni, il Battezzatore.
39. Che lautore di Gv conoscesse Lc e Mc una ipotesi quasi comune della ricerca pi
recente: cf. U. Schnelle, Einleitung in das Neue Testament, Gttingen 31999, 506-509.

64

N. CASALINI

conto che il verbo lou/ein usato per indicare questo atto rituale in altri
testi del Nuovo Testamento: 1Cor 6,11 (apelou/sasqe); Eb 10,22
(lelousmenoi to\ swma udati kaqarw); At 22,16 (baptisai kai apo/
lousai ta amartia sou); Ef 5,26 (ina aujth\n agiash kaqarisa tw
loutrw touv udato en rh/mati). Ad esso sarebbe da riferire anche il
kaqaro\ olo di Gv 13,10c. Quindi il lavaggio dei piedi potrebbe significare la purificazione (parziale) dei peccati conseguenti al battesimo40. Ci
non da tutti accettato. Alcuni ritengono evidente una allusione al battesimo in Gv 13,10bc. Ma rifiutano ogni valore sacramentale al lavaggio dei
piedi41. Altri rifiutano anche lipotesi di una eventuale allusione al battesimo, e considerano il gesto simbolico come un annuncio nel segno delleffetto salvifico della sua morte, che Ges comunica ad ognuno di coloro che
lo seguono e di cui costoro, in qualche modo, gi godono per la fede con
cui lo hanno seguito ed accolto42.
Quindi il lavare i piedi (niptein tou\ po/da: Gv 13,5b) indica il suo
servire quale atto di abbassamento e abnegazione, che preannuncia la croce, che labbassamento e il servizio reale43. Ma anche questo servizio
solo un gesto simbolico o una metafora, che significa la dedizione totale del
suo amore, che lo ha spinto a morire e a dare la vita per la loro salvezza44.
probabile che sia proprio questo il motivo della audace sostituzione
narrativa operata dallautore di tale Vangelo45. E in realt cos lo ha sempre
compreso la tradizione della religione cristiana presso tutte le Chiese di
fondazione apostolica, che ha preservato solo la Eucarestia come segno
sacramentale della fede, e ha interpretato il lavaggio dei piedi come un
semplice gesto che indicava il suo significato, per spiegare quale fosse il
servizio che il Cristo ha reso e che ognuno dei discepoli deve rendere allaltro: amare come Ges ha amato, fino a dare la vita per la salvezza dellaltro.
Questo infatti si legge nel prologo narrativo dellepisodio. In Gv 13,1:
Sapendo Ges che la sua ora era giunta di passare da questo mondo al
Padre, avendo amato i suoi nel mondo, li am fino alla fine (ei telo

40. Cf. A. Oepke, ThWNT IV 308.


41. Cf. G. Strecker, Theologie des NT 535.
42. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes (ThHK 4), Leipzig 21999, 215; J. Gnilka,

Theologie des NT 316.


43. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 212.
44. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 212-213.
45. Cos anche U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 212.

IL PASTO DEL SIGNORE

65

hjgaphsen aujtou/). Ed questo il motivo per cui egli li invita ad imitare

il suo gesto in Gv 13,15: Un esempio infatti vi ho dato, affinch come io


ho fatto a voi anche voi facciate (ina kaqw egw epoihsa uJmin kai uJmei
poihvte), Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri (Gv 13,14b).
Ed anche fuori dubbio che il senso teologico del gesto semplice ed
dato in modo perfetto nel discorso che segue, in Gv 13,34: Amate gli uni
gli altri, come (kaqw) io ho amato voi, affinch vi amiate gli uni gli altri
come io vi ho amato (ina agapate allh/lou, kaqw hjgaphsa uJma)46.
Dovremmo forse pensare che, facendo tale sostituzione narrativa, Giovanni abbia voluto ignorare deliberatamente il segno materiale della
Eucarestia per far comprendere ai suoi lettori che ci che conta il suo
senso spirituale che vivifica e da cui dipende realmente la salvezza che il
segno comunica? difficile da dire. Ma non si pu affermare, che egli
ignorasse i gesti compiuti da Ges nella ultima cena47. Infatti il discorso
sul pane di vita, che gli fa pronunciare in Gv 6,26-71 e in particolare in
Gv 6,51-58, non si pu spiegare senza un esplicito riferimento ai simboli
eucaristici del corpo e del sangue, che Ges d da mangiare ai suoi discepoli nella forma materiale del pane e del vino48.
In questo lungo discorso simbolico49, Ges si presenta come pane della vita (Gv 6,35.48), come pane vivo, disceso dal cielo (Gv 6,51a), che

46. J. Gnilka, Theologie des NT 315-317. Cf. anche A. Weiser, Theologie des NT II 163.
47. Cos pensa K. Berger, Theologiegeschichte 312-314, che ritiene la tradizione del pasto
finale di Ges in Gv 13,1-20 anteriore alla tradizione sinottica della Cena con listituzione
della Eucarestia, totalmenete ignorata dalla precedente.
48. Cf. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 134-135. Ci negato da K. Berger,
Theologiegeschichte 312. Ma riconosciuto da G. Strecker, Theologie des NT 536-538 e J.
Gnilka, Theologie des NT 320-323.
49. Nella immensa bibliografia su Gv 6, rimandiamo solo ai seguenti autori, per noi pi significativi: E. Schweizer, Das johanneische Zeugnis vom Herrenmahl, in: Idem,
Neotestamentica, Stuttgart 1963, 371-396; P. Borgen, Bread from Heaven (NT.S 10),
Leiden 1965; J. Blank, Die johanneische Brotrede, BiLe7 (1966) 193-207; G. Bornkamm,
Vorjohanneische Tradition oder johanneische Bearbeitung in der eucharistischen Rede
Johannes 6?, in: Idem, Geschichte und Glaube IV (BEvTh 53), Mnchen 1971, 51-64;
J.D.G. Dunn, Joh VI - an Eucharistic Discourse?, NTS17 (1970/71) 328-338; H. Klos, Die
Sakramente im Johannesevangelium (SBS 46), Stuttgart 1970; H. Schlier, Johannes und
das johanneische Verstndnis der Eucharistie, in: Idem, Das Ende der Zeit, Freiburg i. Br.
1971, 102-123; R. Richter, Zur Formgeschichte und literarische Einheit von Joh 6,31-58,
in: Idem, Studien zum Johannesevangelium, ed. J. Hainz (BU 18), Regensburg 1977, 88119; L. Schenke, Die formale und gedankliche Struktur von Joh 6,26-58, BZ 24 (1980)
21-41; Idem, Die literarische Vorgeschichte von Joh 6,26-58, BZ 29 (1985) 68-89; H.
Weder, Die Menschwerdung Gottes. berlegungen zur Auslegungsproblematik des
Johannesevangeliums am Beispiel von Joh 6, in: Idem, Einblicke ins Evangelium,

66

N. CASALINI

chiama anche pane di Dio e dice che d la vita al mondo (Gv 6,33).
Ci non nuovo. Anche la Sapienza di Dio, nellAntico Testamento, presentava se stessa e la propria istruzione nella metafora simbolica del pane
da mangiare e del vino da bere (Prov 9,5; cf. Sir 24,17-22 LXX)50. Ci che
invece assolutamente inaudito il fatto che Ges stesso spiega che il
pane, in cui egli simbolicamente offre se stesso da mangiare, significa la
sua vita offerta in sacrificio per la vita del mondo. Quindi una verit della
fede che bisogna credere. Dice in Gv 6,51: E il pane che io dar la mia
carne per la vita del mondo51.
In ci che segue invita espressamente a mangiare dicendo in Gv 6,53:
In verit, in verit, dico a voi. Se non mangiate la carne del Figlio dellUomo e non bevete il suo sangue non avete in voi la vita. E in Gv 6,54
aggiunge: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna
e io lo risusciter nellultimo giorno. Conclude in Gv 6,57 affermando
linaudito per un uomo e per un Dio: Chi mangia di me, vivr per mezzo
di me.
Che in Gv 6,51.53-54 lautore faccia uso di un linguaggio simbolico
sacramentale, derivato dalla tradizione della Cena del Signore, cosa
comunemente accettata52. In particolare si fa notare che la formula di Gv
6,51c e il pane che io dar la mia carne per (hJ sarx mou/ estin uJper) la
vita del mondo, una variante delle parole di significazione del pane
(uJper uJmwn: 1Cor 11,24) e del vino (uJper pollwn: Mc 14,24c), quali si

Gttingen 1992, 363-400; P. Borgen, Joh 6. Tradition, Interpretation and Composition,


in: From Jesus to John, FS M. de Jonge, ed. M. de Boer (JSNT.S 84), Sheffield 1993, 268291; M. Reiser,, Eucharistische Wissenschaft. Eine exegetische Betrachtung zu Joh 6,3158, in: Vorgeschmack. kumenische Bemhungen um die Eucharistie, FS Th. Schneider,
ed. B.J. Hilberath - D. Sattler, Mainz 1995, 164-177.
50. Ci stato compreso anche da K. Berger, Theologiegeschichte 312.
51. Cf. H. Schrmann, Joh 6,51c - Ein Schlssel zur grossen johanneischen Brotrede, in:
Idem, Ursprung und Gestalt, Dsseldorf 1970, 151-166. Ci sfuggito totalmente a K.
Berger, Theologiegeschichte 312-313. Di conseguenza esclude dal testo ogni senso sacramentale e ogni riferimento eucaristico al racconto della Cena del Signore. Le uniche parole
in comune che trova con questo sono bere (pinein) e sangue (aima), che egli interpreta
in senso puramente fisico, come parte della costituzione delluomo. Mentre evidente che
in Gv 6,51c-58 unito a carne (sarx) indicano Ges stesso, quale Figlio dellUomo immolato in sacrificio nella morte: cf. L. Goppelt, Theologie des NT 638.
52. Cf. la sintesi della discussione critica in G. Strecker, Theologie des NT 536-538. noto
che per questo evidente riferimento sacramentale, R. Bultmann (Das Evangelium nach
Johannes [KEK II], Gttingen 11978, 174) attribuiva Gv 6,51c-58 a un redattore ecclesiastico. La sua tesi stata riaffermata da G. Bornkamm, Die eucharistische Rede im

IL PASTO DEL SIGNORE

67

trovano nella tradizione dellistituzione della Cena presso Paolo e nei


sinottici53.
Ci che invece notato, la variazione della formula tra Gv 6,51c e Gv
6,53.54. Nel primo testo, il pane promesso per il futuro (dar, dwsw) e
dice espressamente: la mia carne (hJ sarx mou/ estin). Quindi il pane
equiparato direttamente con la sua morte sacrificale, e pi precisamente con
la sua carne immolata in sacrificio. Poich per questo teologo la parola
carne (sarx) indica luomo o tutta lumana realt del Logos incarnato
(cf. Gv 1,14: kai oJ lo/go sarx egeneto), bisogna riconoscere che questa
una formulazione eucaristica speciale, divergente da quella della tradizione sinottica e paolina: solo il pane rappresenta la realt di Ges, immolato
per la vita del mondo.
Nel secondo testo (Gv 6,53.54), lautore usa la formula nota dalla tradizione dellistituzione della Cena, ma adattata alla sua terminologia teologica. La parola swma, corpo, che si legge in 1Cor 11,24 e Mc 14,22, stata
sostituita dalla formula th\n sarka touv uiouv touv anqrwpou, carne del
Figlio dellUomo in Gv 6,53c e unita ad aujtouv to\ aima, il suo sangue;
in Gv 6,54 con la formula mou th\n sarka, la mia carne, che egli invita a
mangiare e mou to\ aima che egli esorta a bere54.
evidente che ci presuppone la sua morte, considerata come immolazione sacrificale, a cui allude in Gv 6,51c. Detto di un essere reale e vivente, ci un assurdo che non si comprende. Per questo in Gv 6,52b
domandano perplessi i Giudei: Come pu costui dare a noi la [sua] carne
da mangiare?.

Johannesevangelium, ZNW 47 (1956) 161-167. Ma oggi, senza negare le particolarit


lessicali del testo, prevale lopinione che sia dello stesso autore: cf. B. Kollmann, Ursprung
und Gestalt 109-121. Per gli studi pi antichi cf. U. Wilkens, Der eucharistische Abschnitt
der johanneischen Rede vom Lebensbrot (Joh 6,51c-58), in: Neues Testament und Kirche,
FS R. Schnackenburg, ed. J. Gnilka, Freiburg i. Br. 1974, 220-248; H. Schrmann, Die
Eucharistie als Reprsentation und Applikation des Heilsgeschehens nach Joh 6,53-58, in:
Idem, Ursprung und Gestalt, 151-166.
53. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 131, nota 74. Ci negato da J. Gnilka,
Theologie des NT 321, nota 51, che ipotizza una tradizione autonoma, senza dare ragione
della sua supposizione. Un tentativo di ricostruzione di tale tradizione stato fatto da L.
Wehr, Arznei der Unsterblichkeit (NTA 18), Mnster 1987, 260.
54. Le due frasi (Gv 6,53 e Gv 6,54) sono attribuite allautore. Ma la seconda supposta
derivare da altra tradizione per la differenza del verbo che indica mangiare: l fagein,
qui trwgein, masticare. Cf. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 132, nota 80 e
133.

68

N. CASALINI

Ma anche evidente che, con questa nuova specificazione, il pane che


egli promette di dare in Gv 6,51c equiparato da solo alla sua carne e al
suo sangue e in questo modo diventa simbolo del Figlio dellUomo immolato e sacrificato per la vita del mondo. Ci confermato dal seguito del
discorso in Gv 6,55-58 in cui, usando la stessa terminologia, dice: La mia
carne (sarx mou) infatti vero cibo (brwsi) e il mio sangue (aima mou)
vera bevanda (po/si). Chi mangia (lett. mastica, oJ trwgwn) la mia carne e
beve (pinwn) il mio sangue in me rimane e io in lui. Come ha inviato me il
Padre vivente e io vivo per il Padre, anche colui che mastica me anche lui
vivr per me. Questo il pane disceso dal cielo (outo/ estin oJ arto oJ ex
oujranouv kataba). Da queste parole appare chiaro che mangiare e bere
si riferiscono alla sua carne e al suo sangue. Queste due realt sono vero
cibo e vera bevanda. E tuttavia esse costituiscono un essere unico, Ges, il
Figlio dellUomo disceso dal cielo (cf. Gv 6,27; 6,53-54; 6,62), che indicato simbolicamente da un unico segno, il pane, che rappresenta lui stesso,
la sua carne data per la vita del mondo.
Questa serie di equivalenze teologiche e simboliche favorisce una nuova ipotesi storica: probabilmente lautore di questo Vangelo conosceva non
solo la tradizione letteraria sinottica della istituzione dellEucarestia o
Cena del Signore, ma anche una prassi cultuale comunitaria, in cui specialmente il pane era assunto a segno simbolico o sacramentale del Signore, quale nota dalla tradizione tramandata in Lc 24,30 e At 2,42.46;
20,7.11.
Tuttavia una differenza dalla tradizione sinottica deve essere rilevata per
la sua importanza teologica. Allinizio di questa parte del discorso, detto
eucaristico (Gv 6,51c), Ges non d il pane, ma promette di darlo in futuro (dwsw, dar) e ci che promesso per tale avvenire non un segno
sacramentale, ma la sua stessa carne offerta per la vita del mondo, cio se
stesso immolato in sacrificio, la sua stessa morte per innalzamento sulla
croce, che il vero significato del pane da loro desiderato.
Ugualmente, alla fine del discorso. In Gv 6,55 afferma che la sua carne
e il suo sangue sono vero cibo e vera bevanda. In Gv 6,56 precisa che
la sua carne e il suo sangue sono lui stesso e in Gv 6,57 afferma che egli
deve essere mangiato perch dice: Chi mangia di me (oJ trwgwn me), vivr per mezzo di me. In 6,58 conclude affermando che questo il pane
disceso dal cielo. In questo modo il pane da loro desiderato sostituito
dal significato creduto e da esso indicato: lui stesso, il Figlio dellUomo,
immolato per la vita del mondo.
Il procedimento interpretativo usato dallautore del testo che abbiamo
esaminato attesta senza possibilit di dubbio che ci che si legge in Gv

IL PASTO DEL SIGNORE

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6,51c-58 non un discorso eucaristico, come si sempre creduto, ma un


puro discorso cristologico55, effettuato sul significato teologico del pasto
eucaristico, rappresentato dal pane, considerato segno della carne e del sangue del Figlio dellUomo immolato in sacrificio per la vita del mondo.
lui stesso che deve essere mangiato credendo.
evidente quindi che in questo discorso simbolico il mangiare la sua
carne e il bere il suo sangue sono due metafore che indicano con un atto
simbolico, che noi diremmo sacramentale, il credere che egli ha dato la
sua vita per la vita del mondo, cio che egli ha sacrificato se stesso per la
salvezza del mondo56.
Ci facile da arguire anche da altri passi dello stesso racconto originario, dove egli chiamato il salvatore del mondo (oJ swth\r touv ko/
smou: Gv 4,42), o dove presentato come agnello di Dio, che toglie i
peccati del mondo (Gv 1,29.36), con evidente riferimento alla sua morte
per i peccati, paragonata a quella del sacrificio dellagnello che veniva
immolato per la Pasqua nel Tempio di Gerusalemme (cf. 1Cor 5,7), per
compiere con il suo sangue lespiazione dei peccati e delle colpe del popolo57.
Ci sufficiente per qualunque lettore, anche incompetente, per capire
che lautore di questo racconto evangelico, quando presenta Ges come
pane che bisogna mangiare per vivere, vuole significare che bisogna credere che egli ha sacrificato se stesso, la sua vita, per dare a tutti gli uomini
la vita, che il pane vuole significare e per far vivere di se stesso colui che
crede nella sua immolazione sacrificale volontaria, espressa nei simboli
della sua carne e del suo sangue, che egli invita a mangiare e a bere per
vivere e che, come noto, sono i due simboli della Eucarestia. Ma di
questa, con stupore di tutti, non narra listituzione, ignorando una tradizione pi antica, che certamente doveva conoscere, se ormai cosa pi che
probabile che egli abbia conosciuto il racconto di Marco e di Luca, utilizzandoli nel suo.
55. J.D.G. Dunn, John VI - an Eucharistic Discourse?, NTS 17 (1970/71) 328-338; M.J.J.
Menken, John 6,51c-58: Eucharist or Christology?, Bib 74 (1993) 1-26.
56. L. Goppelt, Theologie des NT 638-639; J. Gnilka, Theologie des NT 323; D.M.
Swancutt, Hungers Assuaged by the Bread from Heaven: Eating Jesus as Isaian Call to
Belief. The Influence of Isaiah 55 and Psalm 78 (77) in John 6,22-71, in: Early Christian
Interpretation of the Scriptures of Israel, ed. C.A. Evans et al. (JSNT.SS 148), Sheffield
1997, 218-251.
57. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 48-49; M. Hasitschka, Befreiung von
Snde nach dem Johannesevangelium (ITS 28), Innsbruck 1989, 52-109; Th. Knppler, Die
theologia crucis des Johannesevangeliums (WMANT 69), Neukirchen-Vluyn 1994, 67-83.

70

N. CASALINI

Il suo misterioso silenzio si potrebbe spiegare dicendo che, secondo la logica narrativa di questo autore, solo il Figlio dellUomo immolato ed esaltato
poteva fare realmente il dono promesso in Gv 6,51c58. Ma di questo dono
eucaristico non tratta espressamente nel racconto che segue alla sua morte.
Lunico pasto del Signore con i discepoli narrato in Gv 21,4-13 (in particolare Gv 21,13), a cui in genere non si attribuiscono caratteristiche sacramentali, bench tutti riconoscano una indubbia connotazione eucaristica: Viene
Ges e prende il pane (lambanei to\n arton) e diede loro (kai didwsin aujtoi),
e il pesce ugualmente (Gv 21,13; cf. Lc 24,30; Mc 14,11)59.
A meno che non si voglia vedere nel sangue (aima) che esce dal costato
di Ges morto e ferito dalla lancia del soldato (Gv 19,34-35), un riferimento simbolico indiretto al sacramento della Eucarestia, secondo una interpretazione mistica, tradizionale nella Chiesa60. Ma ci non si accorda bene
con la logica narrativa, in cui ci che promesso il pane (arton), come
si legge in Gv 6,51c.
Si potrebbe quindi fare unipotesi diversa, ma ugualmente ragionevole.
Lautore del Vangelo di Giovanni conosceva lazione simbolica materiale
compiuta da Ges nellultima cena, indicando il pane e il vino come segni
del suo corpo e del suo sangue, cio della sua morte violenta, presentata
come un atto di immolazione sacrificale. Ma ha tralasciato deliberatamente
il racconto di questo fatto cos sacro e venerato per proteggerlo dalla profanazione di chi lo ritenenva un pasto normale, e per far comprendere che
ci che salva non il simbolo fisico della sua carne e del suo sangue da
mangiare e da bere, ma il senso da credere, che le sue parole hanno dato a
questo gesto sacro, perch solo queste danno lo Spirito, mentre il segno
materiale non di giovamento, come lascia dire a Ges stesso in Gv 6,63.
Rivolgendosi ai discepoli che ritenevano duro il suo invito a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, afferma per dare significato alle due
metafore: lo Spirito che vivifica. La carne non giova a nulla. Le parole
che io ho detto a voi sono Spirito e vita61.
58. Questa lipotesi di J. Gnilka, Theologie des NT 323.
59. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 317.
60. Per questa interpretazione cf. W. Thsing, Die Erhhung und Verherrlichung Jesu im
Johannesevangelium (NTA XXI/1.2), Mnster 31979, 171-172; W. Klos, Die Sakramente
74-76; J.P. Heil, Blood and Water. The Death and Resurrection of Jesus in John 18-21
(CBQ.MS 27), Washington 1995, 107-108.
61. Questa la spiegazione proposta da K. Berger, Theologiegeschichte 312. Tuttavia lautore del racconto evangelico non fa polemica contro una interpretazione materiale del cibo
eucaristico; ma corregge una interpretazione fisica delle sue parole, data dai Giudei (cf.
Gv 6,52) e dai discepoli che ascoltano e comprendono allo stesso modo (cf. Gv 6,60-63).
Ma una diversa spiegazione in G. Strecker, Theologie des NT 537.

IL PASTO DEL SIGNORE

71

La tradizione ricevuta da Paolo sul pasto del Signore (1Cor


11,17-34; cf. 1Cor 10,14-22)

Secondo la datazione attualmente in vigore tra gli studiosi dei testi del Cristianesimo, Paolo sarebbe il testimone pi antico di ci che noi diciamo
istituzione dellEucarestia, quel gesto simbolico che Ges ha compiuto
nellultima cena con i suoi discepoli per significare la morte che doveva
subire e per dare un senso a tale evento mortale62. Dice in 1Cor 11,23-26:
Io infatti ho ricevuto dal Signore ci che ho anche trasmesso a voi. Che il
Signore Ges, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e avendo ringraziato (lo) spezzo e disse: Questo il mio corpo, per voi. Questo fate in
memoria di me Ugualmente, anche il bicchiere, dopo aver mangiato, dicendo: il nuovo patto nel mio sangue. Questo fate in memoria di me, ogni
volta che ne bevete. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e il bicchiere (del vino) bevete, annunciate la morte del Signore, finch venga63.
Il primo problema che si pone leggendo questo testo come bisogna
intendere la frase di introduzione: Io infatti ho ricevuto dal Signore ci
che ho anche trasmesso a voi. Per la maggioranza degli esegeti, per non
dire tutti, le parole Io infatti ho ricevuto dal Signore (egw gar parelabon
62. Sul pasto del Signore o Eucarestia in Paolo rimandiamo ai seguenti classici: G.

Bornkamm, Herrenmahl und Kirche bei Paulus, in: Idem, Studie zu Antike und
Urchristentum, 138-176; O. Hofius, Herrenmahl und Herrenmahlsparadosis. Erwgungen
zu 1Kor 11,23b-25, in: Idem Paulusstudien (WUNT 51), Tbingen 1989, 203-240; Idem,
to\ swma to\ uJper uJmwn 1Kor 11,24, ZNW 80 (1989) 80-88; E. Ksemann, Anliegen und
Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre, in: Idem, Exegetische Versuche und
Besinnungen, 11-34; H.J. Klauck, Herrenmahl und hellenistischer Kult (NTA 15), Mnster
2
1986; P. Neuzeit, Das Herrenmahl. Studien zur paulinischen Eucharistieauffassung (StANT
1), Mnchen 1960; H. Schlier, Das Herrenmahl bei Paulus, in: Idem, Das Ende der Zeit,
Freiburg i. Br. 1971, 201-215. Tra gli studi pi recenti cf. B. Kollmann, Ursprung und
Gestalten 36-68; M. Klinghardt, Gemeinschaftsmahl und Mahlgemeinschaft 269-371; W.
Schrage, Einige Hauptprobleme der Diskussion des Herrenmahls im 1. Korintherbrief, in:
The Corinthian Correspondence, ed. R. Bieringer, Leuven 1996, 191-198.
63. Su 1Cor 11,17-24 cf. A. Lindemann, Der erste Korintherbrief (HNT 9/I), Tbingen
2000, 256-258 (Ex. Das Herrenmahl bei Paulus). Per i saggi: L.D. Chrupcaa, Chi mangia
indegnamente il corpo del Signore (1Cor 11,27), SBFLA 46 (1996) 53-86; F.J. King,
Eating in Corinth. Full Meal or Token?, IBSt 19 (1997) 161-173; H.J. Klauck,
Herrenmahl und hellenistischer Kult 285-332; M. Karrer, Der Kelch des Neuen Bundes.
Erwgungen zum Verstndnis des Herrenmahls nach 1Kor 11,23b-25, BZ 34 (1990) 198221; P. Lampe Das korinthische Herrenmahl und paulinische Theologia Crucis (1Kor
11,17-34), ZNW 82 (1991) 183-213; T. Engberg-Pedersen, Proclaming the Lords Death:
1 Corinthians 11:17-34 and the Form of Pauls Theological Argument, in: Pauline
Theology, Vol. II, ed. D.M. May, Minneapolis 1993, 103-132; G. Theissen, Soziale
Integration und sakramentales Handeln. Eine Analyse von 1Kor 11,17-34, in: Idem,
Studien zur Soziologie des Urchistentums (WUNT 19), Tbingen 21983, 290-317.

72

N. CASALINI

apo\ touv kuriou) (1Cor 11,23a) sono incredibili, perch storicamente improbabili. E il problema non muta se si accetta la variante para kuriou

(tramandata da D, lat; Ambrosiaster); e diventa pi grave se si segue la lettura apo\ qeouv dei Codici F G.
Per questo non vengono intese alla lettera, ma come un modo di dire,
con cui Paolo assicura i Corinzi che ci che lui ha trasmesso a loro una
tradizione comunitaria antica, tramandata sotto lautorit del Signore risorto e pertanto verificabile64. Questa potrebbe essere una ipotesi ragionevole,
se si riflette che Paolo trasmette tale tradizione verso lanno 50 d.C., quando gli antichi testimoni erano ancora vivi. Anzi, molto probabile che egli
labbia conosciuta in Damasco, subito dopo la conversione65. Ma si pu
anche supporre con ragionevolezza che, con molta probabilit, abbia partecipato a una riunione comunitaria di tipo eucaristico durante la sua sosta
di quindici giorni a Gerusalemme per fare visita a Cefa (cf. Gal 1,17-18) e
che quindi da lui e da altri della comunit palestinese e di Gerusalemme
abbia ricevuto ci che ha trasmesso66.
Questa spiegazione storica metodologicamente corretta. Ma ha un
grave difetto. Contraddice apertamente laffermazione del testo, secondo il
suo senso letterale. Paolo rivendica a s una diretta rivelazione di ci che
trasmette dal Signore (apo\ touv kuriou). E la contraddizione non attenuata neppure con lipotesi pi sfumata, che con tale frase egli si voglia
riferire a una raccolta dei logia del Signore, che in una forma o nellaltra
doveva conoscere67; o che si riferisca a Ges come origine della tradizione
che trasmette68.
Pi adeguata, perch in apparenza pi fedele al senso letterale del testo,
lipotesi di Rudolf Bultmann, che considerava la tradizione trasmessa da
Paolo in 1Cor 11,23-25 una eziologia: tale tradizione consisterebbe in una
leggenda sacra, sorta nella comunit cristiana ellenistica per spiegare la
pratica cultuale tipicamente cristiana del mangiare insieme un pasto, probabilmente settimanale o il primo giorno della settimana (cf. At 20,7). Ma
specificando che Paolo lavrebbe ricevuta dalla sua Chiesa madre, in
Antiochia, anche lui contraddice il senso letterale del testo, attribuendo alla

64. J. Roloff, Neues Testament 274-275.


65. Cos L. Goppelt, Theologie des NT 261.
66. Di questo convinto H. Hbner, Biblische Theologie des NT 3, 266.
67. Questa lipotesi seguita da G. Strecker, Theologie des NT 177.
68. Cos A. Lindemann, Der erste Korintherbrief 253, che riprende lipotesi di W.G.

Kmmel da H. Lietzmann, Die Korintherbriefe I/II (HNT 9), Tbingen 51969, i.l.

IL PASTO DEL SIGNORE

73

comunit una spiegazione teologica che Paolo afferma di aver ricevuto dal
Signore69.
probabile quindi che questo problema sia destinato a restare ancora senza soluzione, perch il senso letterale del testo inaccettabile per il metodo
storico, che non pu verificare assolutamente il significato. Ma lipotesi di
soluzione che gli studiosi propongono per risolverlo storicamente inaccettabile per il metodo esegetico, perch contraria al senso letterale del testo.
Tuttavia, nella tradizione sacra trasmessa da Paolo in 1Cor 11,23b-25
appare evidente che i gesti simbolici che Ges invita a compiere significano una partecipazione alla sua morte, come indicano chiaramente le parole finali che egli aggiunge di commento: Ogni volta che mangiate questo
pane e questo bicchiere bevete, la morte del Signore annunciate, finch egli
venga70. Quindi luno e laltro segno, il pane e il bicchiere (del vino), significano la sua morte e non separatamente luno dallaltro. Di conseguenza il corpo (swma) significato dal pane e il sangue (aima) significato dal
bicchiere (del vino) indicano insieme lunit fisica di Ges, il Signore, sacrificato nella morte per coloro a cui egli ha dato se stesso.
Per questo motivo non riteniamo ragionevole linterpretazione esegetica
attualmente vigente, che tende a separare il corpo dal sangue, dando a
swma il significato generico di Io o di Persona e ad aima il senso di
vita e nel caso specifico vita data alla morte. Sostituendo questi supposti significati alle parole di significazione, la frase Questo il mio corpo
equivarrebbe alla frase Questo sono Io o Questo la mia persona; e laltra Questo bicchiere il nuovo patto nel mio sangue significherebbe
Questo bicchiere il nuovo patto nella mia morte71. Quindi le parole sul
pane si riferiscono a lui come persona vivente, quelle sul vino alla morte
violenta che ha dovuto subire72.
Ci che non ci permette di assecondare questa ipotesi ermeneutica un
dato di fatto lessicale. Paolo usa senza possibilit di equivoco la parola to\
swma per indicare il corpo con le sue membra e non la persona che rappre69. R. Bultmann, Theologie des NT 153.
70. G. Strecker, Theologie des NT 185; H. Conzelmann, Grundriss 136.
71. Questa linterpretazione che si legge in L. Goppelt, Theologie des NT 265-266; H.
Hbner, Biblische Theologie des NT 2, 186 e 3, 261, anche se nel primo la parola swma

interpretata come corpo dato alla croce, cio Ges cha ha dato se stesso; nel secondo nel
modo pi generico Questo sono io.
72. Questa la formulazione pi rigorosa del significato ora dominante quale si legge in K.
Berger, Theologiegeschichte 317, ma che probabilmente risale a E. Schweizer, swma (Das
NT), ThWNT VII, 1056. Cf. anche dello stesso autore Das Herrenmahl im NT, in: Idem,
Neotestamentica, 344-370.

74

N. CASALINI

senta, come appare evidente dalla similitudine allegorica che si legge in


1Cor 12,12-26 in cui la comunit formata da coloro che credono in Cristo
e ricevono lo Spirito nel battesimo paragonata a un corpo con le sue
membra. Dice in 1Cor 12,12: Come infatti il corpo (to\ swma) uno e ha
molte membra (melh polla), ma tutte le membra del corpo (panta de ta
melh touv swmato) essendo molte un solo corpo sono, cos anche il Cristo. E Paolo restato fedele a questo uso semantico fino alla fine, come
attesta il monologo drammatico delluomo peccatore con se stesso, quale
si legge in Rm 7,7-24 in cui appare evidente la distinzione tra il corpo
detto di morte e la persona o io, che si sente reso schiavo del peccato da
cui il suo corpo dominato.
Quindi ha ragione Hans Conzelmann quando interpreta con rigore il testo
dicendo che swma significa corpo e, rifiutando espressamente la precedente
interpretazione, afferma che indica il corpo del Signore, il suo corpo per la
morte (Todesleib)73. Ma poi anche lui cade nello stesso tipo di errore commentando che corpo e sangue non sono da intendere come parti costitutive
del Signore74. Ci non favorito dalla interpretazione pi antica. In Gv
6,53-54.55-56 si legge la formula sarx / aima come segno della unit fisica
del Signore immolato per dare la vita al mondo (Gv 6,51c; cf. anche Ignazio
di Antiochia, Philad 4). Ci attesta con chiarezza che questo era il senso dato
alla formula swma / aima tramandata da Paolo e dai sinottici.
Una conferma a questa ipotesi potrebbe essere desunta dalla Lettera agli
Ebrei, probabilmente appartenente alla tradizione paolina e comunemente
ritenuta pi antica del Vangelo di Giovanni, datata a prima del 70 d.C. In
questo testo il Cristo sacrificato indicato dalla formula eucaristica sarx /
aima in Eb 10,19-20 e allo stesso modo significata la sua incarnazione in
vista della morte in Eb 2,14-15. Non solo questo, ma lautore sembra conoscere anche laltra formula swma / aima, di cui d una significazione
cultuale, usando distintamente e separatamente luno e laltro elemento per
presentare la morte di Cristo come sacrificio: il sangue (aima) in Eb 9,1214 che la indica come sacrificio di espiazione (dia de touv idiou aimato:
Eb 9,12); il corpo (swma) come sacrificio per il peccato, in sostituzione
dei sacrifici antichi (Eb 10,5-9), quindi equivalente di sarx che si legge in
Eb 10,20. Ci attesta che i singoli correlativi swma / aima, significati dai
segni eucaristici arton / to\ poth/rion, non significano due realt teologiche diverse, ma indicano luno e laltro la morte sacrificale del Signore,
anche quando sono usati separatamente per argomentazioni teologiche.

73. Grundriss 135.


74. H. Conzelmann, Grundriss 136.

IL PASTO DEL SIGNORE

75

Questi dati, tratti dagli stessi testi del Nuovo Testamento, sono per noi
sufficienti per trarre una conclusione a proposito di 1Cor 11,23b-25: anche
se le parole di significazione che il Signore Ges dice per luno e per laltro sono diverse, solo insieme formano un unico discorso metaforico di
senso compiuto75.
Per il pane dice: Questo il mio corpo per voi. In questo contesto il
per voi (uJper uJmwn) pu significare semplicemente a vostro vantaggio76. Ma poich si riferisce alla sua morte, evidente che il pane dato a
loro da mangiare in un gesto simbolico significa la sua vita offerta o sacrificata a loro beneficio77.
Quale sia il beneficio che torna a loro vantaggio specificato nelle parole dette per il bicchiere del vino. Dice: Questo bicchiere la nuova alleanza nel mio sangue. Poich tra il bicchiere e il sangue che dovrebbe
significare non possibile stabilire alcun paragone, evidente anche per il
pi ingenuo che la similitudine costituita tra il vino che esso contiene e il
sangue da lui versato, che deve significare. Quindi coloro che bevono quel
vino che significa il suo sangue, diventano partecipi del nuovo patto (con
Dio) che egli ha sancito con la sua morte78.
Poich la formula nuovo patto (o alleanza) (hJ kainh\ diaqh/kh) richiama esplicitamente quella promessa da Dio per mezzo delle parole che si
leggono in Ger 31,31 (corrispondente a Ger 38,31 della traduzione greca
dei Settanta), si deve dire che Paolo ha dato alla morte del Signore il significato di immolazione reale, in analogia al sacrificio di animali con cui
era stata inaugurata lalleanza tra Dio e il popolo di Israele, mediata da

75. Ci negato da H. Conzelmann, Grundriss 136, che afferma il contrario: ogni elemen-

to per se stesso ha senso sacramentale compiuto. Il che evidentemente non accettabile


per 1Cor 11,23b-25, anche se fuori dubbio in 1Cor 10,17, in cui usa solo il segno del pane
per proporre un significato ecclesiologico, ma dopo aver nominato aima e swma del Signore (1Cor 10,16).
76. Questo il senso neutro percepito da K. Berger, Theologiegeschichte 318: Zu euren
Gunsten.
77. Cf. G. Strecker, Theologie des NT 182, che fa notare che dalla formula uJper uJmwn non
possibile stabilire se tale sacrificio sia da intendere come in espiazione (dei peccati) o
in sostituzione.
78. Cos, correttamente, anche K. Berger, Theologiegeschichte 317. Ma poi interpreta touvto
to\ poth/rion in modo aberrante, non come questo bicchiere, ma come questa bevuta (o
sorso) [di vino] (eine Trinkrunde nennt man weinen Becher)! E viene considerato come
ratificazione del patto, concluso da Ges con la sua morte. Non ha badato che il patto
offerto in modo gratuito, cio non attende la ratifica di coloro a cui offerto. Questa idea
totalmente estranea al NT e naturalmente a Paolo, in cui il perdono grazia (cari) per la
fede nel sangue di Cristo (cf. Rm 3,21-25).

76

N. CASALINI

Mos per volere stesso di Dio, come si legge in Es 24,879. Tuttavia poich
lalleanza che Ges ha inaugurato detta nuova (kainh/), laltra chiamata antica o vecchia (palaia) (2Cor 3,14; cf. Eb 8,13). Di conseguenza, coloro che bevono il suo sangue, indicato dal segno del vino, diventano
partecipi di un nuovo patto con Dio, che Ges ha sancito con la sua morte
e ottengono il perdono dei peccati che Dio stesso aveva promesso di concedere con le parole che si leggono in Ger 31,31-34, a cui lespressione
nuova alleanza allude80.
Ma devo riconoscere che su questa interpretazione, per cos dire classica, non c consenso tra i teologi del Nuovo Testamento. Per esempio,
Joachim Gnilka non cita neppure il riferimento al nuovo patto di Ger
31,31-34 e tralascia di esporre le sue implicanze teologiche adducendo
come pretesto il fatto che lo stesso Paolo non spiega lidea implicita nella
metafora simbolica da lui usata81. Hans Hbner, che per intenzionale scelta
di metodo spiega i testi del Nuovo Testamento con i loro riferimenti allAntico, afferma che un riferimento a Ger 31,31 (38,31 LXX) da prendere in
seria considerazione; ma quello a Es 24,8 in 1Cor 11,25c cosa certa e per
questo ritiene che Paolo ne proponga una interpretazione tipologica. Ma
poi non spiega ci che questa referenza implica per la sua teologia del pasto del Signore e della sua morte, che nei segni simbolici rappresenta82.
Anche Klaus Berger ritiene indubitabile una allusione a Es 24,8 in 1Cor
11,25b: Questo bicchiere il nuovo patto nel mio sangue. Quindi la frase significa che un nuovo patto stato sancito con la morte del Signore,
rappresentata dalla metafora nel mio sangue (en tw emw aimati), che allude al sacrificio con il sangue delle vittime immolate con cui fu asperso il
popolo al Sinai, per linaugurazione del patto con Dio, di cui in Es 24,8
LXX. Di conseguenza lidea teologica espressa simbolicamente nel gesto
significa un rinnovamento messianico del patto di Mos83.
Ci difficile da accettare per la stessa teologia di Paolo, quale si legge
nello sviluppo della idea teologica del rapporto tra la nuova e lantica alle79. Cos anche L. Goppelt, Theologie des NT 266.
80. Cf. E. Kutsch, Neues Testament - Neuer Bund? Eine Fehlbersetzung wird korrigiert,

Neukirchen 1978, 110-112; P.J. Grabe, The New Covenant: Perspectives from the Last
Supper Tradition and from the Pauline Letters, Scriptura 65 (1998) 153-167.
81. J. Gnilka, Theologie des NT 120-121.
82. H. Hbner, Biblische Theologie des NT 2, 179-187. La supposta allusione a Es 24,8
messa in dubbio da A. Lindemann, Der erste Korintherbrief 255, per levidente insufficenza
del riferimento testuale: la parola aima, da sola, non basta a provare una referenza
tipologica allAntica Alleanza.
83. K. Berger, Theologiegeschichte 316-320.

IL PASTO DEL SIGNORE

77

anza in 2Cor 3,1-18. In questo testo capitale, il patto o alleanza, di cui egli
si dice servo, non presentata come un rinnovamento dellantico, ma
come nuovo patto o nuova alleanza (kainh\ diaqh/kh) (2Cor 3,6), dello Spirito (pneu/mato), che vivifica (zwopoiei), in sostituzione dellaltro,
qualificato come della lettera (grammato), che uccide (2Cor 3,6).
Ugualmente difficile da accettare linterpretazione che egli d dellallusione a Es 24,8 che ritiene duplice. Una prima allusione fatta dallespressione nel mio sangue, che indica la morte di Ges, come una
uccisione costitutiva del nuovo patto, analoga alluccisione di animali viventi (Lebewesen), che fu essenziale per la costituzione del patto di Mos,
alluso nel supposto riferimento del testo.
Una seconda allusione fatta dallespressione questo bicchiere (touvto
to\ poth/rion) con cui il nuovo patto equiparato, che egli interpreta come
questo giro (di bevuta) (Trinkrunde), a cui partecipano tutti bevendo e
che in questo modo sostituisce il sangue delle vittime che veniva sparso o
asperso su tutti i membri del popolo partecipanti al patto, che in questo
modo era sancito84.
Ci fascinoso e probabilmente ha gi affascinato molti lettori e operatori liturgici, perch pare evocare il patto degli antichi Cavalieri, stretto
bevendo il vino dallo stesso bicchiere, che ricordava il sangue versato dal
Signore nella sua morte.
Ma abbiamo gi fatto rilevare quello che a noi pare il difetto esegetico
pi grave di questa interpretazione. Nella frase che Paolo fa dire al Signore
Questo bicchiere la nuova alleanza nel mio sangue, il paragone metaforico non tra questo bicchiere (di vino) e il nuovo patto, che impossibile da fare perch non hanno nulla in comune; ma tra il vino che nel
bicchiere che rappresenta nel segno la morte del Signore e il nuovo patto
nel suo sangue. Quindi quel vino, in quanto segno del sangue del Signore,
il nuovo patto nel suo sangue e non in quanto bicchiere di vino, da cui
tutti i partecipanti bevono.
evidente infatti che con il primo significato indica un patto di sangue stretto nel sangue del Signore, di cui partecipano per grazia e gratuitamente. Con il secondo significato invece indica un patto stretto dai
partecipanti tra loro con una bevuta di vino e ci totalmente estraneo al
senso teologico espresso nel testo85.
84. K. Berger, Theologiegeschichte 317.
85. Ci compreso anche da K. Berger, Theologiegeschichte 318, che d la prima e la se-

conda interpretazione per il patto nuovo di 1Cor 11,25; ma solo la seconda per il patto di
cui si legge in Mc 14,24. Di questa seconda, e probabilmente falsa, interpretazione, tratteremo nel paragrafo seguente, dedicato a Mc 14,22-25.

78

N. CASALINI

Quindi il riferimento di 1Cor 11,25 a Es 24,8 non duplice come da lui


supposto, ma unico, perch anche il senso del secondo riferimento non
diverso dal primo: il touvto to\ poth/rion non si riferisce al bicchiere di vino
in quanto tale, ma al bicchiere in quanto contiene il vino che significa il
sangue del Signore, in cui consiste essenzialmente il patto nuovo con Dio.
Se si accetta un riferimento implicito a Ger 31,31 (38,31 LXX) in 1Cor
11,25b, probabile che abbiano ragione coloro che sostengono che elemento costitutivo della eucarestia sia il perdono dei peccati promesso da Dio
nelloracolo profetico:e i loro peccati non ricorder pi (kai twn
amartiwn aujtwn ouj mh\ mnhsqw eti) (Ger 38,34 LXX)86. Quindi colui che
partecipa con fede alla tavola del Signore e ricorda la sua morte per i nostri
peccati, ottiene il perdono dei peccati che quella morte ha espiato con il suo
sacrificio volontario. Ma ci non sembra concesso da Klaus Berger che non
riconosce al gesto simbolico di 1Cor 11,25 altro significato salvifico oltre a
quello di indicare il nuovo patto, stretto dal Signore con la sua morte e il cui
contenuto sarebbe da determinare da altre parole dello stesso Signore. Riconosce tuttavia che in Mt 26,28 il perdono dei peccati compreso87.
Questa riserva a noi non pare conforme alla teologia di Paolo, espressa
nella sintesi del Vangelo in 1Cor 15,3c in cui si legge: Il Cristo morto
per i nostri peccati secondo le Scritture (Cristo\ apeqanen uJper twn
amartiwn hJmwn kata ta grafa). Quindi se egli concede che le parole
sul bicchiere significano il nuovo patto sancito nella morte del Signore, non
pu non ammettere che in tale evento sia implicita lespiazione dei nostri
peccati e che quindi anche questo dono salvifico concesso a coloro che
partecipano al pasto del Signore, in cui ricordato.
In questo la nostra Chiesa ha seguito una diversa disciplina e una diversa pedagogia teologica. Essa richiede che chi vuole partecipare alla
Eucarestia deve accedere prima alla confessione e ottenere lassoluzione
delle colpe. Mentre per il significato che la stessa Eucarestia vuole indicare, colui che vi partecipa con fede pu conseguire il perdono dei peccati
che essa vuole significare ricordando la morte del Signore.
Quindi probabile che noi dovremmo fare un grande sforzo teologico
per adeguare la nostra prassi sacramentale alla Scrittura e condividere questo beneficio con le Chiese della Riforma, che gi ne usufruiscono legittimamente, senza la pratica esplicita della confessione sacramentale.

86. G. Strecker, Theologie des NT 183.


87. Theologiegeschichte 318.

IL PASTO DEL SIGNORE

79

Riassumendo, possiamo dire che da questa tradizione, tramandata da


Paolo, risulta che Ges ha indicato il pane e il vino quali segni della sua
morte e del nuovo patto tra Dio e gli uomini, da lui mediato morendo
per dare a coloro che vi partecipano credendo il perdono dei peccati e la
conoscenza di Dio, che Dio stesso aveva promesso di dare per questo
evento, come si legge in Ger 31,31-34 (38,31-34 LXX). Quindi si pu
dire che la Eucarestia un segno simbolico che annuncia il Vangelo,
riportato da Paolo in 1Cor 15,3 in cui dice che il Cristo morto per i
nostri peccati, secondo le Scritture. Ma probabile che proprio questo
sia il motivo per cui Paolo conclude la sua rievocazione dicendo in 1Cor
11,26 che tale pasto anamnhsi della morte del Signore: Infatti ogni
volta mangiate questo pane e il bicchiere bevete, la morte del Signore
annunciate (to\ n qa n aton touv kuri o u katagge l lete) finch non
venga88.
Per questo motivo siamo convinti che le Chiese debbano riesaminare
con determinazione la loro teologia sulla Cena del Signore o Eucarestia.
Sia la Chiesa Cattolica infatti sia le Chiese della Riforma, come gi anche
Lutero, sono convinte che in questo atto simbolico di natura sacramentale
sia ricordata la morte e la resurrezione di Cristo e che il Cristo stesso, crocifisso e risorto, sia colui che riceviamo in dono partecipando al suo sangue e al suo corpo.
Purtroppo dobbiamo dire che il testo di Paolo, che abbiamo esaminato,
non giustifica direttamente questa interpretazione teologica ampliata del
senso della Cena, perch secondo le sue parole esplicite noi facciamo memoria del Signore e ogni volta che mangiamo il suo corpo e beviamo il suo
sangue, nella forma del pane e del vino, annunciamo la sua morte, finch egli venga. In realt impossibile che corpo e sangue, che indicano
senza equivoco la sua morte per immolazione sacrificale, possano significare anche la sua resurrezione. Ma fuori dubbio che coloro che partecipano in questo modo misterico alla sua morte diventano partecipi della vita
del loro Signore vivente e immortale89.

88. Cf. T. Engeberg-Pedersen, Proclaming the Lords Death: 1 Corinthians 11:17-34 and

the Form of Pauls Theological Argument, SBLSP 30 (1991) 592-617.


89. Cf. H.J. Klauck, Prsenz im Herrenmahl. 1Kor 11,23-26 im Kontext hellenistischer

Religionsgeschichte, in: Idem, Gemeinde - Amt - Sakrament. Neutestamentliche Perspektiven, Wrzburg 1989, 313-330.

80

N. CASALINI

Una conferma a questa interpretazione data dallo stesso Paolo e nella stessa lettera, in 1Cor 10,14-2290. Per dissuadere i suoi destinatari dal
partecipare al pasto sacro con carne sacrificata agli di, afferma che ci
incompatibile con la partecipazione (koinwnia) alla tavola del Signore (trapeza kuriou), che il modo in cui egli designa ci che noi diciamo la mensa eucaristica. Ecco le sue parole, quali si leggono in 1Cor
10,14-22 da noi riferite in una traduzione quasi letterale per permettere a
chi legge una pi esatta comprensione dei significati delle parole. Dice:
Perci, miei cari, fuggite lidolatria. Parlo come con gente sensata. Giudicate voi ci che dico. Il bicchiere della benedizione, che benediciamo,
non forse partecipazione al sangue di Cristo? Il pane che spezziamo non
forse partecipazione al corpo di Cristo? Poich uno [] il pane, un solo
corpo i molti siamo. Tutti infatti a un solo pane partecipiamo.
Considerate Israele secondo la carne. Coloro che mangiano i sacrifici
non sono forse partecipi dellaltare? Dunque, che dico? Che le carni sacrificate agli idoli sono qualche cosa? [o] che lidolo qualche cosa? Ma dico
che ci che essi sacrificano, [lo] sacrificano ai dmoni e non a Dio.
Non potete bere il bicchiere del Signore e il bicchiere dei dmoni. Non
potete partecipare alla mensa del Signore e alla tavola dei dmoni. O vogliamo rendere geloso il Signore? Forse che noi siamo pi forti di lui?.
evidente per tutti che con queste parole Paolo lascia capire che coloro
che bevono il sangue del Signore e mangiano il suo corpo per mezzo dei
segni simbolici del pane e del bicchiere del vino, partecipano a un pasto
sacrificale mistico e tuttavia reale, in cui il Signore stesso la vittima del
sacrificio che viene mangiato. Coloro che partecipano alla sua tavola, mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue, diventano partecipi della vita
del loro Signore vivente, che lospite e che offre se stesso in pasto invitando a mangiare per dare la sua vita immortale a coloro che lo assumono
con partecipazione.
Quindi celebrando lEucarestia noi annunciamo la sua morte e partecipando del suo corpo e del suo sangue diventiamo partecipi della vita del
Signore vivente, di cui professiamo la resurrezione. Ma questa verit non
lannunciamo con quel gesto simbolico. La viviamo partecipando con fede
ad esso, perch siamo uniti a lui, che vivo per noi che lo amiamo e che
vive in se stesso in quanto Dio.
90. Oltre alla bibliografia indicata nella nota 64, cf. G.V. Jordan, koinwnia in 1 Corinthians

10,16, JBL 67 (1948) 111-124; E. Manza, LEucarestia di 1 Corinzi 10,16-17 in rapporto


a Didach 9,10, EphLit100 (1986) 193-223; J. Smit, Do not be Idolaters. Pauls Rhetoric
in First Corinthians 10:1-22, NT39 (1977) 40-53; W.L. Willis, Idol Meat in Corinth. The
Pauline Argument in 1 Corinthians 8 and 10 (SBL.DS 68), Chico, CA, 1985, 123-222.

IL PASTO DEL SIGNORE

81

Latto simbolico compiuto da Ges con il pane e il vino chiamato da


Paolo pasto del Signore (kuriako\n deipnon) in 1Cor 11,20 ed rigorosamente distinto dal pasto comune per correggere la confusione in cui i
cristiani di Corinto erano caduti, credendo che tra i due pasti non ci fosse
alcuna differenza e che partecipare al pasto del Signore non fosse altro
che mangiare un pasto normale insieme91.
bene riportare le sue parole, perch ci che si legge nelle teologie
del Nuovo Testamento attesta che i loro autori sono caduti nella stessa
confusione dei cristiani di Corinto, ritenendo che fosse possibile celebrare il pasto del Signore come reale pasto in comune o in un reale pasto
in comune, a base di pane, vino e altro, per soddisfare la fame92. Basandosi sullespressione dopo aver mangiato (meta to\ deipnhvsai), che si
legge nella rievocazione storica di Paolo in 1Cor 11,25a, ne hanno dedotto che tra il pane dato allinizio e il bicchiere del vino bevuto dopo aver
mangiato ci fosse un pasto completo e che quindi la Eucarestia non
fosse un pasto simbolico e sacro da celebrare a parte, ma fosse costituita
da gesti simbolici effettuati in un pasto normale, esattamente al suo inizio
e alla fine.
probabile che essi abbiano ragione, se ritengono che le parole di Paolo in 1Cor 11,23-25 ricordino ci che accadde allorigine, nella notte in cui
Ges fu tradito. Quella infatti era una cena reale (cf. Gv 13,2a.4), probabilmente pasquale (cf. Mc 14,12; Lc 22,15). Tuttavia chiaro che lapostolo
non ha insegnato loro a ripetere un pasto normale di tipo pasquale, ma solo
il pasto del Signore, costituito dal pane e dal vino, scelti da Ges come
segno della sua morte per mezzo delle parole da lui pronunciate per dare
ad essi la sua significazione.
Citiamo quindi le parole, perch da queste appare con chiarezza quella
distinzione rigorosa che tali autori non hanno percepito, e che forse hanno
preferito ignorare, per restaurare una prassi liturgica riprovevole, che confonde il pasto del Signore con un pasto comune, che lapostolo non ha
tramandato e per cui biasima apertamente la comunit cristiana di Corinto.
Dice in 1Cor 11,20-22: Quando dunque voi vi radunate nello stesso luo91. Sulla denominazione pasto del Signore, di cui propone una diversa significazione, cf.
J. Kremer, Herrenspeise nicht Herrenmahl. Zur Bedeutung von kuriako\n deipnon
fagein (1Kor 11,20), in: Schrift und Tradition. FS J. Ernst, ed. K. Backhaus et al.,

Paderborn 1996, 227-242.


92. Cf. in particolare, H. Conzelmann, Grundriss 132-133; K. Berger, Theologiegeschichte
314-315; H. Hbner, Biblische Theologie des NT 2, 178; G. Strecker, Theologie des NT
179.180-181. Cos interpreta anche G. Barbaglio, La teologia di Paolo, Bologna 1999, 156157 e J. Roloff, Neues Testament 281.

82

N. CASALINI

go, non possibile mangiare il pasto del Signore (oujk estin kuriako\n
deipnon fagein). Ciascuno infatti prende il proprio pasto (to\ idion
deipnon) nel mangiare e uno ha fame, uno invece ubriaco. Non avete forse la casa per mangiare e bere? O forse disprezzate lassemblea di Dio (h
thv ekklhsia touv qeouv katafroneite) e svergognate coloro che non hanno? Che dico? Vi devo lodare? In questo, non vi lodo.
Chi legge con cura questo testo non pu non rilevare la precisione con
cui Paolo fa la sua distinzione. Egli distingue con rigore il pasto del Signore (to\ kuriako\n deipnon) e il pasto privato (to\ idion deipnon) e rimprovera coloro che vengono nelladunanza per mangiare il loro pasto
privato. In questo modo non possibile mangiare insieme il pasto del Signore93. Per questo li biasima e li richiama allordine, ricordando loro che
per mangiare e bere hanno le loro case (1Cor 11,22a.34a). Ma nella adunanza, che egli chiama assemblea di Dio (hj ekklhsia touv qeouv), si viene per mangiare insieme il pasto del Signore, i cui elementi sono pane e
vino. evidente quindi che essi non avevano compreso listruzione che egli
aveva dato a loro e per questo in 1Cor 11,23b-26 ripete immediatamente
ci che aveva loro insegnato e che noi abbiamo gi esaminato.
Non avendo compreso questa intenzione di Paolo, alcune delle interpretazioni proposte dagli esegeti o da teologi non sono compatibili con ci che
si legge nel testo, in particolare linterpretazione sociologica o comunitaria, che alcuni di loro propongono per 1Cor 11,27, dove dice: Cosicch
colui che mangia il pane e beve al bicchiere del Signore indegnamente sar
reo del corpo e del sangue del Signore. Essi riferiscono lavverbio indegnamente (anaxiw) al fatto che coloro che mangiano a saziet il loro
pasto privato offendono il fratello pi povero, che ha fame e fanno
vergognare coloro che non hanno nulla da mangiare (cf. 1Cor 11,21b.22c).
Quindi coloro che si comportano in questo modo peccano contro la comunit (hj ekklhsia) che in 1Cor 10,17 espressamente equiparata al
corpo unico (en swma) formato da coloro che partecipano alla mensa del
Signore, mangiando dallunico pane (ek touv eno\ artou) e partecipando
al corpo del Cristo (swma touv Cristouv) da esso significato (1Cor 10,16d),

93. J. Roloff, Neues Testament 282. Diversamente A. Lindemann, Der erste Korintherbrief
251, che ha interpretato to\ idion deipnon nel senso che nel mangiare (en tw fagein) (1Cor

11,21a), il pasto comune di fatto mangiato solo da alcuni! Dunque non si riferirebbe al
pasto portato da loro, da casa. Sed contra: cf. 1Cor 11,22c in cui li rimprovera perch svergognano quelli che non hanno (kai kataiscu/nete tou\ mh\ econta). Ci attesta che essi
ritenevano il pasto del Signore un pasto normale da mangiare in comune e poich lo ritenevano insufficiente a saziare la loro fame portavano il proprio pasto da mangiare in quella sede (cf. 11,34: ei ti peina) .

IL PASTO DEL SIGNORE

83

e che in 1Cor 12,27 espressamente chiamato corpo di Cristo (swma


Cristouv)94.
Di conseguenza, anche 1Cor 11,27b spiegato in senso comunitario o
ecclesiale, facendo notare che nella frase diventer colpevole del corpo e
del sangue del Signore (enoco estai touv swmato kai touv aimato touv
kuriou), la parola swma da riferire nello stesso tempo al corpo di Cristo
che la comunit e al corpo del Cristo, sacrificato, di cui i suoi membri
partecipano per costituire lunit che essi formano, come detto in 1Cor
10,17. Quindi chi pecca contro un membro della comunit, per esempio offendendo i poveri come nel caso specifico, pecca anche contro il Cristo stesso, che si offre a loro nel corpo e nel sangue di cui partecipano95.
A sfavore di questa complessa argomentazione orizzontale proposta
per interpretare 1Cor 11,17-34, ci sono due obiezioni, una semantica e una
di logica discorsiva. Quanto alla prima, quella semantica, facciamo notare
che vera losservazione lessicale che la stessa parola swma indica il corpo del Signore sacrificato e il corpo di Cristo, che la Chiesa, che i partecipanti al suo corpo formano. Ma facciamo notare che ci non possibile
contemporaneamente, perch in ogni discorso il cosiddetto contesto che
determina quale dei due significati possibili quello realmente inteso.
In particolare, in 1Cor 11,27b la parola swma, unita ad aima, indica
senza possibilit di equivoco il corpo del Signore dato per loro e significato dal pane spezzato nel pasto del Signore a cui essi partecipano, perch di
questo tratta largomento che precede in 1Cor 11,23b-25. In 1Cor 10,16
swma indica il corpo di Cristo, di cui partecipano nellatto eucaristico di
spezzare il pane offerto alla mensa del Signore (1Cor 10,21); ma in 1Cor
10,17 la parola swma ha un senso diverso e indica lunico corpo (en swma)
che formano i molti (polloi) che partecipano dellunico pane (ek touv eno\
artou), mangiato in comune e significante il corpo del Signore.
Di conseguenza, quando in 1Cor 11,27 Paolo afferma che chi mangia
il pane e beve il bicchiere del Signore indegnamente, diventer colpevole
(enoco estai) del corpo e del sangue del Signore, si riferisce a un reato
contro il corpo e il sangue del Signore, offerti nel pasto del Signore.
Dunque costui commette un reato che noi diremmo sacramentale o
cultuale, perch tale peccato consiste nel mangiarlo in modo indegno, per
esempio in stato di ubriachezza, quale descritto in 1Cor 11,21. Ci acca94. H. Conzelmann, Grundriss 132; L. Goppelt, Theologie des NT 478-479; G. Strecker,

Theologie des NT 282; K. Berger, Theologiegeschichte 322-323.


95. Cos sostengono, quasi con le stesse parole, K. Berger, Theologiegeschichte 322-323 e

J. Gnilka, Theologie des NT 121-123.

84

N. CASALINI

de perch colui che vi partecipa lo considera come se fosse cibo comune di


un pasto profano, non distinguendo il corpo [del Signore] (mh\ diakrinwn
to\ swma)96. Per questo Paolo aggiunge che, accedendo in questo modo al
pasto del Signore, colui che mangia e beve, mangia e beve il giudizio per
se stesso (krima eautw esqiei kai pinei).
Quanto alla seconda obiezione, quella di logica discorsiva, facciamo
notare che se lo scopo del pasto del Signore fosse stato di sfamare la
fame e di condividere il cibo con i pi poveri, attuando la koinwnia dei
beni, come questi interpreti sostengono, Paolo non avrebbe detto a coloro
che avevano il proprio pasto (to\ idion deipnon) di mangiare e bere a
casa, come si legge in 1Cor 11,22 (cf. 1Cor 11,34a), ma avrebbe consigliato a loro di condividerlo con coloro che non avevano, affinch tutti potessero sfamarsi in modo adeguato. Mancando questo e poich riafferma con
vigore che nella riunione (en ekklhsia), ci si raduna per mangiare il
pasto del Signore, noi dobbiamo concludere senza esitazione che linterpretazione sociologica del pasto eucaristico, proposta da alcuni autori
per 1Cor 11,17-34 non trova fondamento nel testo97.
probabile quindi che nelle comunit cristiane fondate da Paolo, la
koinwnia dei beni non si praticasse in tale riunione cultuale, in cui ci si
riuniva non per sfamare la fame ma per ricordare la morte del Signore, il
primo giorno della settimana (1Cor 16,2a)98. Ma fuori dubbio che ad essa
tende la partecipazione al corpo e al sangue del Signore, anche se Paolo
non lo insegna esplicitamente in questo discorso. Quindi se si accetta che
questo scopo implicito la parte di verit presente nella interpretazione
sociologica della Eucarestia, bisogna subito aggiungere che essa era praticata in altro modo nelle comunit di fondazione paolina e di cultura greca, per esempio per mezzo della cosiddetta logeia, che noi diciamo
colletta, costituita dalla raccolta settimanale di denaro per i pi poveri, e

96. Cos, correttamente, A. Lindemann, Der erste Korintherbrief 259. Cf. anche L.D.
Chrupcaa, Chi mangia indegnamente il corpo del Signore (1Cor 11,27), SBFLA 46 (1996)
53-83: 77-81.
97. A dire il vero, anche G. Strecker, Theologie des NT 181-182, ha intuito che il consiglio
di mangiare e bere a casa propria, se uno ha fame, non si lascia spiegare con lipotesi
sociologica. Ma poi lascia prevalere questa interpretazione sulla lettera del testo, che non
solo non la conferma, ma esplicitamente la contraddice con una norma diversa: non mangiare insieme, ma a casa! Comune, solo il pasto del Signore.
98. Sul concetto di koinwnia cf. J. Haiz, Koinonia (BU 16), Regensburg 1982, 17-35; nella
Scrittura: J.M. McDermont, The Biblical Doctrine of koinwnia, BZ 19 (1975) 64-77; come
fenomeno culturale comune nel mondo antico: H.J. Klauck, Gtergemeinschaft in der
klassischen Antike, in Qumran und im Neuen Testament, RdQ 11 (1982) 47-49.

IL PASTO DEL SIGNORE

85

di cui si pu leggere in 1Cor 16,1-4 per restare nel contesto di questa lettera. Ma in 2Cor 8-9 tale raccolta non solo caldamente raccomandata, ma
anche teologicamente giustificata come effetto della cari conosciuta nella povert di Cristo, che ha arricchito noi spogliando se stesso della sua ricchezza costituita dai benefici divini (2Cor 8,9).
4

La cena pasquale narrata da Marco (Mc 14,22-25; cf. Mc 10,45)

Nel Vangelo di Marco il gesto simbolico compiuto da Ges di dare pane e


vino ai suoi discepoli equiparandoli al suo corpo e al suo sangue inserito
nel racconto di una cena pasquale, di cui lo stesso autore d notizia accurata per due volte: in Mc 14,1-2 allinizio del cosiddetto racconto della passione (Mc 14,1-16,8) e in Mc 14,12 in cui avverte che il primo giorno
dei [pani] azzimi, quando immolavano [lagnello del] la Pasqua, Ges
mand due dei suoi discepoli in citt per preparare la sala dove mangiarla
(Mc 14,13-16).
interessante notare la successione dei fatti, perch anche questo racconto venerato non conferma direttamente lipotesi che il gesto simbolico
di Ges fosse stato eseguito in due tempi, nel corso di un pasto normale,
secondo linterpretazione che gli autori gi citati hanno dato di 1Cor 11,2425 e che noi abbiamo gi esaminato nel punto che precede. Secondo loro,
le parole sul pane sarebbero state pronunciate allinizio e le parole sul vino
alla fine, dopo aver mangiato (1Cor 11,25a). In realt anche il segno del
pane sembra stato compiuto alla fine, come facile arguire da due notizie
date dallo stesso narratore.
In Mc 14,17-18 scrive: Giunta la sera, va con i discepoli e mentre essi
mangiavano, Ges disse: In verit, dico a voi che uno di voi mi tradir.
Dunque la cena pasquale gi iniziata, senza benedizione (eujlogia),
come se lautore non fosse affatto interessato a far rilevare il carattere rituale che aveva presso i Giudei la celebrazione della cena pasquale, che
secondo lopinione comune doveva di certo iniziare con una benedizione.
Ci degno di nota, perch attesta che la tradizione da lui ricevuta e recepita non aveva alcun interesse a mettere in risalto il legame della ultima
cena del Signore con la cena pasquale, cosa a cui invece hanno creduto
di dover dare importanza alcuni esegeti in tempi passati e naturalmente
molti operatori liturgici, per suscitare lattenzione dei partecipanti99.

99. Uno schema sintetico, ma preciso e dettagliato della cena pasquale giudaica dato da

J. Roloff,Neues Testament 276-277. Come noto il pi convinto assertore che la cena del
Signore sia presentata in Mc 14,12-25 come cena pasquale, era J. Jeremias, Die

86

N. CASALINI

Ma levangelista cos poco interessato alla cosa, che non d notizia n


dellagnello pasquale immolato, che veniva mangiato, n delle erbe amare
da cui era accompagnato, n della rievocazione della liberazione dallEgitto, che tale cena rituale doveva commemorare e rendere presente100.
Questo dato di fatto cos marcato sufficiente per far comprendere a
qualunque lettore, anche il pi incompetente e disinformato, che il punto
di vista narrativo dellautore del testo non quello giudaico, ma quello di
un credente in Cristo, interessato solo a ci che costui in quella notte ha
compiuto. Di questo infatti d notizia in Mc 14,22-25 narrando i gesti simbolici compiuti da Ges mentre essi mangiavano, come dice in Mc
14,22a. Questo particolare attesta che egli li ha compiuti durante la cena
pasquale.
Quindi coloro che dicono che la istituzione dellEucarestia avvenuta
durante un pasto normale, hanno ragione. Ma anche essi sanno che, secondo questo racconto, non era un semplice pasto comune, perch era il pasto
rituale che commemorava la Pasqua, o il passaggio del Signore nella notte in cui liber il suo popolo dalla schiavit dEgitto e dalla oppressione.
Ma bisogna riconoscere che di tutto questo il narratore del Vangelo di Marco tace e ricorda solo i gesti simbolici compiuti da Ges e le parole di significato che ha detto sul pane e sul vino, indicati come segni del suo corpo
e del suo sangue e che noi indichiamo come mistero eucaristico, ritenendo quel gesto un atto di istituzione della Eucarestia, che noi celebriamo,
perch cos abbiamo ricevuto dalla pi antica tradizione della nostra religione, attestata da Paolo in 1Cor 11,23-26.
Quindi anche se Marco non dice esplicitamente che Ges ha comandato
di ripetere il suo gesto in suo ricordo, il fatto che noi lo ripetiamo rinnovando ci che lui ha fatto non dipende dal nostro arbitrio, ma da ci che
dice lo stesso Paolo in 1Cor 11,24.25 in cui per due volte riporta le parole
di Ges che dice: Questo fate in mia memoria (touvto poieite ei th\n
emh\n anamnhsin) e in 1Cor 11,26 conclude la rievocazione di una tale istituzione o anamnhsi, affermando: Ogni volta che mangiate questo pane e
il bicchiere bevete, la morte del Signore annunciate, fino a che venga101.
Abendmahlsworte Jesu 9-82: 35-36. Tra gli autori pi recenti cf. H. Patsch e F. Hahn citati
nella bibliografia generale. A questi da aggiungere W. Whallon, The Pascha in the
Eucharist, NTS 40 (1994) 126-132.
100. Questo dato di fatto opportunamente messo in rilievo da G. Strecker, Theologie des NT
179, che preferisce supporre un pasto normale, inserito dal narratore in una scena di cena
pasquale. Ma linquadramento narrativo pasquale non da lui spiegato teologicamente.
101. Sullordine di ripetere il gesto, quale si legge in 1Cor 11,24.25 (cf. Lc 22,19) cf. L.
Goppelt, Theologie des NT 269-270; sullorigine cultuale della formula fate questo in mia

IL PASTO DEL SIGNORE

87

Questa la tradizione apostolica da lui tramandata e che lui stesso dice


di aver ricevuto dal Signore (apo\ touv kuriou), come afferma in 1Cor
11,23a. Su questa difficile espressione, come abbiamo gi detto, si pu a
lungo disputare. Ma il suo significato incontestabile: dallinizio della tradizione della nostra religione era consuetudine rinnovare il pasto del Signore per ricordare la sua morte, ripetendo le parole che lui stesso aveva
detto sul pane e sul vino per significare lofferta della sua vita per loro.
Questo si trova anche nella tradizione raccolta da Mc 14,22-24 di cui riportiamo alla lettera la narrazione: E mentre loro mangiavano, prendendo
pane, benedicendo (eujlogh/sa) spezz e diede loro e disse: Questo il
mio corpo. E prendendo il bicchiere e ringraziando (eujcaristh/sa) diede
loro e tutti bevvero da esso e disse a loro: Questo il mio sangue, della
alleanza (o del patto), versato per molti102.
Le parole riportate dal narratore sono cos scarne che ogni interpretazione pare possibile per levidente genericit e mancanza di specificazione. Tuttavia a noi pare fuori dubbio che lespressione Questo il mio
corpo (touvto/ estin to\ swma mou) indichi in modo evidente il dono che
egli fa di se stesso a loro nel segno del pane spezzato che invita a mangiare. Quindi egli li invita a mangiare di s per vivere, perch questo il
senso simbolico che il pane indica come elemento della nutrizione, almeno
nel mondo occidentale.
Il problema di sapere se con la parola corpo (swma) Ges indichi
semplicemente se stesso e lo usi come equivalente metaforico di me, oppure se indichi la sua vita per loro. Nel primo caso, il greco equivarrebbe
alla formula Questo me o Questo sono io103. Nel secondo caso avrebbe il significato di questa la mia vita, da completare con laggiunta data
a voi, espressa non a parole ma dal gesto simbolico del pane spezzato e

memoria (touvto poieite ei th\n emh\n anamnhsin), cf. H.J. Klauck, Herrenmahl und
hellenistischer Kult, 83-86; altre testimonianze culturali sulluso di tale formula in J.
Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 230-235. Sul concetto cf. F. Chenderlin, Do This as My
Memorial. The Semantic and Conceptual Background and Value of Anamnesis in 1
Corinthians 11:24-25 (AnBib 99), Rome 1982.
102. Su Mc 14,22-25, oltre alla bibliografia citata nelle note 3 e 16, cf. F. Neirynck, The
Gospel of Mark. A Cumulative Bibliography 1950-1990 (BETL 102), Leuven 1992, 610612. A ci da aggiungere: M. Casey, No Cannibals at Passover!, Theologia 96 (1993)
199-205; B. Lemoine, tude compare des quatre rcits de la Cne, EL 108 (1994) 5272; D.M. Arion, Textes vangeliques sur lEucharistie. I. Marc 14,17-52: LEucharistie au
coeur de la Passion, EspVie 109 (1999) 305-312.
103. Abbiamo gi fatto notare che questo il significato preferito attualmente dai teologi
del NT: cf. per esempio L. Goppelt, Theologie des NT 265; K. Berger, Theologiegeschichte
313.317; H. Hbner, Biblische Theologie des NT 3, 267-268.

88

N. CASALINI

distribuito tra loro104. Ci significherebbe che essi si nutrono e vivono del


dono della sua vita, che egli ha fatto loro. Questo significato potrebbe trovare conferma in unaltra frase che il narratore lascia dire a Ges in Mc
10,45 in cui, per istruire i suoi discepoli, afferma con riferimento a se stesso: Il Figlio dellUomo non venne per essere servito ma per servire e dare
la sua vita in riscatto per molti105.
Quindi lofferta della vita a riscatto dei molti il servizio che egli rende a loro. Ma la metafora del riscatto (lu/tron) attesta che non si tratta di
un semplice dono, ma di un prezzo pagato con uno scambio vitale: egli
offre la sua vita per riscattare la loro. Dunque potrebbe alludere alla sua
morte subita in sostituzione di quella che era a loro destinata106.
Tuttavia dobbiamo dire che qui non si parla semplicemente di morte e
che il riscatto della vita dei molti potrebbe avvenire dando semplicemente la propria in cambio della loro. Quindi solo altre affermazioni
metaforiche o esplicite di Ges in altri episodi del racconto permettono di
comprendere se lespressione dare la sua vita in riscatto per molti
(douvnai th\n yuch\n aujtouv lu/tron anti pollwn) implichi una morte subita in sostituzione per salvare la vita degli altri. Per esempio, nei tre annunci della sua passione e della sua morte, che si leggono in Mc 8,31; 9,31;
10,33-34 egli parla esplicitamente della sua uccisione. Ma manca ogni riferimento al riscatto per molti. Ugualmente nella scena della cosiddetta
agonia nel Getsemani, che lautore descrive in Mc 14,32-42 evidente
che il bicchiere (to\ poth/rion) che lui deve bere (Mc 14,36) allude con
una immagine al supplizio e alla morte che lo attende e tuttavia manca anche qui ogni riferimento alleffetto salvifico che limmagine del riscatto
vuole suggerire.
Quindi, da questi testi non possibile trarre un significato chiaro per
spiegare il gesto simbolico compiuto da Ges durante la cena pasquale, in
cui spezza il pane e lo d ai discepoli dicendo: Questo il mio corpo.

104. Cf. K. Berger, Theologiegeschichte 317.


105. Su Mc 10,45 la bibliografia immensa: cf. F. Neirynck, The Gospel of Mark 598-599: a
cui da aggiungere D. Seelly, Rulership and Service in Mark 10,41-45, NT 35 (1993) 234250; A.J. Collins, The Signification of Mark 10:45 among Gentile Christians, HThR 90
(1997) 371-382; O. Wischmeyer, Herrschen als Dienen Mk 10,45, ZNW 90 (1998) 28-44;
W.C. Flacher, Christ Takes Our Place. Rithinking Atonement, Interp 53 (1999) 5-20.
106. K. Backhaus, Lsegeld fr viele (Mk 10,45): Zur Heilsbedeutung des Todes Jesu,
in: Th. Sding (ed.), Der Evangelist als Theologe. Studien zum Markusevangelium (SBS
133), Stuttgart 1995, 91-118; A. Weiser, Theologie des NT II 69-70, che aggiunge anche il
significato della espiazione dei peccati, che non letteralmente esplicito (con bibl. antecedente).

IL PASTO DEL SIGNORE

89

Lunico significato che il lettore potrebbe supporre servendosi solamente


del suo racconto il fatto che il gesto simbolico dellofferta del corpo
unito al gesto simbolico dellofferta del sangue, che in modo inequivocabile
indica la sua morte per uccisione107.
Perci chi legge guidato dallo stesso autore a comprendere che i due
gesti simbolici di offrire pane e vino non sono indipendenti e che i due significati che Ges attribuisce loro dicendo Questo il mio corpo e Questo il mio sangue, non indicano due realt diverse ma una sola: lui
stesso, Ges, ucciso come offerta sacrificale e indicato dai singoli elementi
che costituiscono realmente un sacrificio rituale: il corpo e il sangue della
vittima, sacrificata nellimmolazione108.
La conferma di questa interpretazione si pu desumere dal testo stesso,
almeno per due significati impliciti nel gesto simbolico: la morte violenta
e la sua qualifica di offerta sacrificale.
Che il corpo (to\ swma) indichi il corpo di Ges confermato dalluso della stessa parola in Mc 14,8 nellepisodio della (cena?) in casa di
Simone il lebbroso, a Betania (Mc 14,3-9). Una donna unge il suo capo con
olio profumato, suscitando lo sdegno dei discepoli a causa del costo. Ges
la difende dicendo: Ci che poteva, ha fatto. Ha unto prima il mio corpo
per la sepoltura. Quindi lespressione il mio corpo (swma mou) non indica la sua persona o io, n la sua vita (hJ yuch/) in modo generico, ma
solo il corpo di Ges in modo specifico, quel corpo che destinato ad essere sepolto.
Lo stesso significato ha la parola corpo (swma) in Mc 15,43.45 nellepisodio della sepoltura (Mc 15,42-47). Narra che, dopo la sua morte in
croce, Giuseppe dArimatea chiese a Pilato il corpo di Ges (to\ swma
touv Ihsouv). Essendosi accertato che era veramente morto, Pilato concesse
il cadavere (to\ ptwma) a Giuseppe. Quindi il corpo di Ges indica realmente il suo corpo da morto e per questo chiamato con la parola comune il cadavere.

107. Ci negato con errata insistenza esegetica da K. Berger, Theologiegeschichte 318,

che sostiene che il vino sostituiva il sangue delle vittime sacrificate per il patto (cf. Es 24,8),
che viene stretto bevendo tutti dallo stesso bicchiere. Ma ammesso da L. Goppelt,
Theologie des NT 266 e da G. Strecker, Theologie des NT 182.
108. Cf. L. Goppelt, Theologie des NT 267. Anche H. Hbner, Biblische Theologie des NT
3, 267-268, che interpreta le parole significanti Das bin ich als der fr euch Gekreuzigte(p. 268). Ci teologicamente pertinente, ma esegeticamente eccessivo. Da ci che si
legge in Mc 14,22-24 non possibile desumere una crocifissione sacrificale, ma solo un
sacrificio salvifico.

90

N. CASALINI

Questi riferimenti semantici bastano al lettore intelligente per comprendere che quando Ges dice Questo il mio corpo non si riferisce in modo
generico al dono di se stesso fatto a loro, n al semplice dono della sua
vita in cambio della loro, ma indica in modo specifico il suo corpo, in quanto destinato ad essere ucciso.
Che la morte che deve subire sia da lui equiparata ad una immolazione
sacrificale, lo si comprende dalle parole che dice sul vino, che egli eleva a
segno simbolico del suo sangue, che definisce come del patto (thv diaqh/
kh), con evidente allusione al patto di Dio con il suo popolo, sancito per
mezzo di un sacrificio di animali, il cui sangue Mos asperse sopra il popolo, come si legge in Es 24,8109.
Quindi dicendo che il suo sangue quello del patto o dellalleanza,
Ges paragona la sua morte ad un sacrificio per stringere un patto con Dio,
sancito con il sangue da lui versato morendo. Coloro che ne bevono, diventano partecipi di questo patto con Dio, che egli ha fatto per loro, morendo come un essere immolato in sacrificio.
Di fronte a questo significato implicito, ma chiaro, veramente difficile
che lespressione versato per molti (to\ ekcunno/menon uJper pollwn),
detta del suo sangue, sia da interpretare in modo corrente come versato
per voi (nel bicchiere), perch non si riferisce direttamente al vino da bere,
ma al suo sangue, di cui il vino nel bicchiere un segno simbolico che lo
deve significare110.
Quindi poich la frase versato per molti riferita al suo sangue, significa che la morte, che tale sangue rappresenta, stata subita a vantaggio
dei molti. Di conseguenza il patto, che egli ha inaugurato tra gli uomini e

109. Su questa allusione a Es 24,8 LXX concordano A. Weiser, Theologie des NT II 74; H.
Hbner, Biblische Theologie des NT 3, 71; K. Berger, Theologiegeschichte 317-318. Ma
ignorata da H. Conzelmann, L. Goppelt e G. Strecker, bench la formula touvto/ estin to\ ai
ma mou thv diaqh/kh riprenda quasi alla lettera le parole di Mos che sancisce il patto: idou\
to\ aima thv diaqh/kh. Che la ripresa di queste parole sia intenzionale lo prova il fatto che
linserzione di mou con cui lautore sostituisce il sangue di Cristo a quello delle vittime animali sacrificate, crea una costruzione grammaticale dura per la lingua greca, che da tutti
percepita, ma che egli ha tollerato per esprimere la sua idea teologica: ora il patto stretto
nel sangue di Cristo, di cui quello delle vittime immolate era una prefigurazione o un preannuncio, se si suppone che Marco faccia uso della metodologia tipologica come principio ermeneutico per la lettura cristologica dellAT.
110. Linterpretazione da noi respinta sostenuta da K. Berger, Theologiegeschichte 317.
Ma filologicamente possibile, a causa della indeterminatezza del participio ekcunno/
menon, considerato senza tenere conto del contesto discorsivo in cui inserito.

IL PASTO DEL SIGNORE

91

il loro Dio, un patto di sangue, nel suo sangue, e non un patto stretto con
una libazione di vino111.
Poich anche in Mc 10,45 Ges dice che il Figlio dellUomo venuto
per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (douvnai th\n yuch\n
aujtouv lu/tron anti pollwn), chi legge comprende che ci indica in altro
modo lo stesso significato che hanno le parole di Ges sul vino: Questo
il mio sangue, del patto, versato per molti (touvto/ estin to\ aima mou thv
diaqh/kh to\ ekcunno/menon uJper pollwn). Quindi sia in un testo che nellaltro, Ges attribuisce alla sua morte un valore salvifico per molti, che
ne ricevono il beneficio.
Per questo a noi sembra che si possa concludere senza timore di sbagliare, che Ges ha considerato la sua morte un servizio, attuato con il
dono della sua vita per riscattare la vita di molti e come un sacrificio di se
stesso, con cui li ha associati a un patto con Dio, di cui egli stesso stato il
mediatore morendo112. A questo patto con Dio partecipano tutti coloro che
mangiano il suo corpo e bevono il suo sangue, indicati nei segni del pane e
del vino. Partecipando di essi, i membri di questo patto si associano alla
sua morte sacrificale e ottengono il beneficio di accedere a Dio per mezzo
di Ges, che morto per loro.
Una cosa che merita attenzione nel racconto di questo episodio in Mc 14,2224 il fatto che abbiamo gi fatto rilevare e su cui richiamiamo di nuovo lattenzione dei lettori del saggio presente. Il narratore non ha alcun interesse per
la cena pasquale, in cui Ges ha compiuto i gesti simbolici che costituiscono quello che noi diciamo il mistero eucaristico, bench indichi con meticolosa precisione i giorni della settimana pasquale in Mc 14,1a e 14,12a113.
111. Per questo riteniamo fuorviante per la stessa prassi liturgica e rituale lipotesi di K.
Berger, Theologiegeschichte 317 e 318 che considera il patto, di cui si legge in Mc 14,24,
un patto conviviale, tra coloro che vi partecipano e Ges, che funge da capo e maestro del
gruppo, patto stretto bevendo vino dallo stesso bicchiere (!).
112. Su questo e sul senso della morte di Cristo in Marco, quale espressa in Mc 14,22-24
e Mc 10,45 rimandiamo alle riflessioni teologiche di H. Hbner, Biblische Theologie des
NT 3, 263-274, sostanzialmente ispirate al concetto di Pro-Existenz, introdotto da H.
Schrmann, Pro-Existenz als christologischer Grundbegriff, in: Idem, Jesus. Gestalt und
Geheimnis, 286-315. Ma bene tenere presente le riserve critiche di A. Vgtle,
Grundfragen zur Diskussion um das heilsmittlerische Todesverstndnis Jesu, in: Idem,
Offenbarungsgeschehen und Wirkungsgeschichte. Neutestamentliche Beitrge, FreiburgBasel 1985, 141-167: 144-145.
113. f. 14,17: ojyia genomenh; 15,1: prwi; 15,25: hn de wra trith; 15,33: kai genomenh wra
ekth; 15,34: thv enath wra; 15,42: kai hdh ojyia genomenh, epei hn paraskeuh/, o estin
prosabbaton, 16,1: kai diagenomenou touv sabbatou; 16,2a: kai lian prwi thv mia twn
sabbatwn. Per il problema di datazione e le differenze con Gv cf. D. Jenstone-Brenner, Jesus
Last Passover: The Synoptics and John, ExpTim 112 (2001) 122-123.

92

N. CASALINI

Tuttavia, anche se narra che ci avvenne mentre mangiavano (Mc


14,22a), egli non separa per distinguere le due azioni sul pane e sul vino,
ma le riporta insieme, in immediata successione, come se questo fosse il
fatto pi importante, per cui ha ricordato anche la cena in cui avvenuto.
Quindi per questo autore cristiano la cena pasquale giudaica non ha alcun
rilievo e lazione simbolica compiuta da Ges sul pane e sul vino, poi detta pasto del Signore (1Cor 11,20), narrata come se fosse il vero scopo
di tale pasto rituale. Dopo si alzano, cantano linno e vanno al Monte degli
Ulivi (Mc 14,26)114.
Pertanto neppure la tradizione della cena del Signore, narrata da Marco,
potrebbe giustificare la prassi liturgica di celebrare la Eucarestia in un
pasto comune, con lintento deliberato di abolire ogni distinzione tra pasto
sacro e pasto profano, e riportare il senso della fede nelle forme della vita
di ogni giorno115.
Dicendo queste cose, non vogliamo dare limpressione di essere nemici
di ogni rinnovamento religioso. Ma ci sembra tuttavia che se i credenti
delle diverse confessioni cristiane vogliono avere il gusto di mangiare insieme, lo possono fare senza profanare il pasto del Signore, perch questo non stato dato a loro per soddisfare con gioia la fame del corpo
mangiando e bevendo con gusto, ma per ricordare la morte del Signore e
nutrire la fede con lo Spirito che donano le sue stesse parole a coloro che
le ascoltano con laffetto del cuore credendo a lui e a ci che di se stesso
dice di aver fatto per noi (cf. Gv 6,63).
Concludendo questo paragrafo, ci pare di poter assicurare che di pi di
ci che abbiamo detto non si pu trarre dalla tradizione della Cena tramandata dal racconto di Marco. Ma devo riconoscere come valida lipotesi di coloro che affermano che in questo testo di fondazione della Eucarestia (Mc
14,22-24) manca ogni riferimento al valore espiatorio della morte di Ges
indicata dai gesti del simbolo misterico che lui ha compiuto. Non parla esplicitamente di perdono dei peccati, come effetto salvifico di tale evento116.
Lo si potrebbe supporre se si ritiene che per questo teologo il sangue
dellaspersione con cui fu sancito il patto con Dio narrato in Es 24,8 aves-

114. Questo particolare (uJmnh/sante: Mc 14,26; cf. Mt 26,30) lunico elemento che potrebbe alludere direttamente al cerimoniale della cena pasquale. Ma P. Grelot, Corps et sang
74, nota 1, fa giustamente notare che generico e che lo stesso verbo usato in At 16,25
dove si dice che Paolo e Sila, prigionieri, cantavano (umnoun) durante la notte.
115. Cos giustifica la supposta istituzione della Eucarestia in un pasto normale G.
Strecker, Theologie des NT 182.
116. Cf. K. Berger, Theologiegeschichte 318.

IL PASTO DEL SIGNORE

93

se valore espiatorio e che purificasse dal peccato, per la sua evidente analogia con il sacrifico del Giorno dellEspiazione, narrato in Lev 16, come
attestato da Eb 9,15-21117. Di conseguenza anche il sangue di Ges, da lui
versato morendo per sancire un patto con Dio, potrebbe avere lo stesso
valore di quello. Quindi leffetto salvifico di tale patto sarebbe da indicare
come duplice: perdono dei peccati con riscatto dalla morte e accesso diretto a Dio, per mezzo di Ges crocifisso e vivo.
In realt cos ha interpretato la tradizione dello stesso evento trasmessa
da Mt 26,26-28118. Egli ripete quasi alla lettera il racconto della Cena di
Mc 14,22-24. Ma dopo le parole Questo il mio sangue, dellalleanza,
versato per molti, aggiunge come fine per il perdono (o remissione) dei
peccati (ei afesin amartiwn).
Una via pi sicura per stabilire se Marco attribuisca alla morte di Ges,
significata dalle parole della Cena, un valore espiatorio per il perdono dei
peccati, potrebbe essere il confronto intertestuale con Is 53 LXX, in genere
preferito dalla tradizione esegetica. Ma anche il pi problematico per la
non concordanza lessicale tra il testo profetico e Mc 14,22-25 (cf. Mc
10,45). In questo episodio, e in particolare nelle parole dette da Ges sul
bicchiere (del vino), in Mc 14,24c to\ ekcunno/menon uJper pollwn, alcuni
rilevano una innegabile allusione a Is 53,12 LXX: kai aujto\ amartia
pollwn anh/negken kai dia ta amartia aujtwn paredo/qh119.
Lo stesso riferimento supposto in Mc 10,45 dove la frase il Figlio
dellUomo non venuto per essere servito ma per servire (diakonhvsai) e
dare la sua vita in riscatto per molti (kai douvnai th\n yuch\n aujtouv lu/tron
anti pollwn), considerata un riferimento inequivocabile a Is 53,11
LXX, a colui di cui si dice che il giusto che serve bene molti (dikaion
eu douleu/onta polloi); e il cui servizio specificato dicendo che porter i loro peccati (ta amartia aujtwn aujto\ anoisei). Il modo in cui
far questo indicato in Is 53,12 LXX in cui si legge: fu data a morte la
sua vita (paredo/qh ei qanaton hJ yuch\ aujtouv), per la loro espiazione,

117. K. Berger, Theologiegeschichte 320.


118. Cf. C. Ham, The Last Supper in Matthew , BullBibRes 10 (2000) 53-69.
119. Cos D. Lhrmann, Das Markusevangelium (HNT 3), Tbingen 1987, 239. Ma cf. anche H. Hbner, Biblische Theologie des NT 3, 270-271, in cui la metodologia intertestuale
scorrettamente mescolata con la domanda storica sullautenticit dellallusione alla parola
profetica di Is 53. Su questo testo famoso e sulla figura del Servo del Signore, giusto, cf. H.
Haag, Der Gottesknecht bei Deuterojesaia (EdF 233), Darmstadt 1985. Per il rapporto tra
questa misteriosa figura e Ges cf. L. Ruppert, Jesus als der leidende Gerechter? (SBS 59),
Stuttgart 1972.

94

N. CASALINI

come chiaramente indicato nella frase che segue in Is 53,12 LXX, gi


citata per Mc 14,24c120.
Ma questa certezza, acquisita con il confronto intertestuale, resa
problematica dal fatto evidente che nessuna parola ripresa alla lettera,
anche se pare fuori dubbio che il diakonhvsai di Mc 10,45b potrebbe essere una ripresa di douleu/ein di Is 53,11 LXX e la locuzione douvnai th\n
yuch\n aujtouv potrebbe echeggiare paredo/qh hJ yuch\ aujtouv di Is 53,12c
LXX.
Tuttavia il fatto stesso che il narratore del racconto detto di Marco preferisca usare polloi per significare tutti121, bench egli usi regolarmente
apante e pante in altri episodi della sua narrazione122, potrebbe attestare che luso di polloi deliberato e intenzionale per rinviare alla parola
del profeta per mezzo di una allusione lessicale, che anche la pi rilevante nella versione greca a sua disposizione123. In questo modo la morte di
Ges acquista il valore di una morte subita in espiazione, e il cui effetto
torna a beneficio di molti per il perdono dei peccati. Questo infatti diceva lannuncio ricevuto da Paolo e da lui trasmesso in 1Cor 15,3: Ho trasmesso a voi per prima cosa ci che io ho ricevuto: che Cristo morto per
i nostri peccati, secondo le Scritture.
perci ragionevole supporre che nel gesto simbolico che ricorda la sua
morte, e che noi diciamo Eucarestia, sia implicita lofferta del perdono
dei peccati per coloro che vi accedono con fede e partecipazione. Ma su
questo, come abbiamo gi detto, la nostra Chiesa deve ancora riflettere.
Non abbiamo ancora la franchezza per dire che chi partecipa allEucarestia
con fede e il cuore pentito del suo errore ottiene realmente il perdono delle
colpe commesse e preferiamo tacere per non togliere valore alla pratica
della confessione, a cui noi cattolici teniamo in modo speciale, per lo sviluppo specifico che ha avuto questo sacramento nella nostra tradizione e
per il suo evidente valore pedagogico, da tutti ritenuto benefico.

120. Cf. D. Lhrmann, Das Markusevangelium 181; H. Hbner, Biblische Theologie des NT
3, 87; B. Kollmann, Ursprung und Gestalten 176-180.
121. Il rilievo semantico di J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu, 171-174, che non dubita
del riferimento di polloi a Is 53,11 (larabbim), seguito da B. Kollmann, Ursprung und
Gestalten 175, nota 96.
122. Per apante cf. Mc 1,27a; per pante cf. Mc 1,37; 2,12 etc.
123. Ma polloi usato regolarmente da Mc con il significato indefinito di molti e non
tutti; cf. per es. Mc 1,34 e 3,10e.

IL PASTO DEL SIGNORE

95

Le tradizioni eucaristiche in Luca-Atti (Lc 22,14-20; 24,28-35; At


2,42.46; 20,7-11; cf. At 27,33-35)

Questa esposizione non sarebbe completa senza un riferimento alle tradizioni eucaristiche attestate nellopera di Luca, nel Vangelo che porta il suo
nome e negli Atti degli Apostoli, a lui attribuiti con ragione124.
Ci che egli scrive in Lc 22,14-20 sulla Cena del Signore o Eucarestia non meriterebbe molta attenzione, perch opinione comune che egli
abbia unificato le tradizioni di 1Cor 23a-25 e di Mc 14,22-25 che certamente doveva conoscere125.
Questa ipotesi stata desunta direttamente da ci che si legge nel testo,
in cui anche le differenze, apparentemente maggiori, si possono spiegare
come amplificazioni retoriche e narrative delle due tradizioni a lui note,
senza bisogno di ricorrere alla ipotesi di una tradizione speciale, secondo
lantica applicazione della metodologia storico-critica tendente a moltiplicare lesistenza di tradizioni diverse, scritte o orali, per spiegare le differenze narrative126.
In pratica, egli ha enfaticamente ampliato lattesa del regno e della sua
venuta, duplicando ci che si legge in Mc 14,25 a proposito del vino. In
questo racconto Ges dice alla fine del pasto: In verit dico a voi che non
berr pi del frutto della vite fino a quel giorno, quando lo bevo nuovo nel
regno di Dio.
Lautore del Vangelo di Luca ha effettuato due operazioni. Primo. Ha
esteso a tutto il pasto pasquale la sua definitivit in Lc 22,15-16 facendolo
diventare realmente lultima Pasqua del Signore. Scrive: E disse: Con
desiderio, desiderai mangiare questa Pasqua con voi prima di partire. Vi
dico infatti che non la manger fino a che non si compia nel regno di Dio.
Secondo. Ha trasformato il logion di Mc 14,25 in una effettiva benedizione eucaristica sul bicchiere, ponendola come inizio della cena in Lc

124. Per la bibliografia cf. le opere citate alle note 3 e 16. Cf. anche F.G. Carpinelli, Do
This as My Memorial (Lk 22:19): Lucan Soteriology of Atonement, CBQ 61 (1999)
74-91.
125. Cf. in particolare W. Schenk, Luke as Reader of Paul: Observations on his Reception, in: Intertestuality in Biblical Writings, FS B. van Iersel, Kampen 1989, 134-135;
W. Bsen, Jesusmahl 11-77; A. Vbus, Kritische Beobachtungen ber die lukanische
Darstellung des Abendmahles, ZNW 61 (1970) 102-110.
126. Ancora seguita da H. Conzelmann, Grundriss 138-139 e da J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 132-195; H. Patsch, Abendmahl und historischer Jesus 95-103; F.
Rehkopf, Die lukanische Sonderquelle. Ihr Umfang und Sprachgebrauch, Tbingen 1959,
7-30.

96

N. CASALINI

22,17-18 in cui si legge: E prendendo il bicchiere (to\ poth/rion), rendendo grazie (eujcaristh/sa) disse: prendetelo e condividete tra voi. Vi dico
infatti, [che] da ora non berr del frutto della vite finch il regno di Dio
venga.
Non pu sfuggire a nessuno la diversa presentazione teologica dellattesa del Regno di Dio. Chi legge Mc 14,25 comprende subito che una
realt trascendente, a cui Ges spera di accedere dopo la sua morte. Quindi
ha ragione chi vede in questo detto un annuncio indiretto e velato della resurrezione, ma reso grave dallannuncio ugualmente implicito della passione imminente127. Chi legge Lc 22,15-16.17-18 comprende che il Regno di
Dio una realt attesa nella condizione terrestre e temporale, perch dice
che deve venire. Ci implica che la sua venuta dipenda dal ritorno di
colui che deve essere insediato re per governarlo, Ges stesso, il Figlio
dellUomo, secondo il mistero espresso dallo stesso autore nella parabola
che narra alla fine del suo viaggio verso Gerusalemme (Lc 19,11-27).
Segue in Lc 22,19-20 il racconto di ci che tradizionalmente indicato
come istituzione dellEucarestia, in cui evidente che egli unifica la tradizione di 1Cor 11,23b-25 e di Mc 14,22-24 con qualche modificazione letteraria, che mostra la sua percezione teologica di tale evento, ma che di
difficile valutazione per la critica.
Per la benedizione del pane preferisce la formula eujcaristh/sa che c
in 1Cor 11,24a al posto di eujlogh/sa di Mc 14,22a. Alle parole sul pane
prese da Marco, ma con lofferta presa da Paolo, touvto/ mou/ estin to\ swma
to\ uJper uJmwn Questo il mio corpo per voi (1Cor 11,24c), aggiunge il
participio dido/menon, creando in questo modo un rigoroso parallelismo letterario con le parole sul bicchiere ugualmente desunte dalla tradizione
paolina (1Cor 11,25b), ma variate con la personalizzazione del sangue propria di Mc 14,24 touvto to\ poth/rion hJ kainh\ diaqh/kh estin en tw aimati
mou to\ uJper uJmwn ekcunno/menon128.

127. Cf. tuttavia K. Berger, Theologiegeschichte 321 che vede nel logion di Mc 14,25 solo

un preannuncio della passione, analogo a Mc 2,20. Se la logica narrativa seguente prevede


una morte imminente (cf. Mc 14,32-42: la scena del Gethsemani), come possibile escludere da tale detto il preannuncio della resurrezione? Su Mc 14,25 cf. M. de Jonge, Mark
14:25 among Jesus Words about the Kingdom of God, in: Sayings of Jesus: Canonical
and Non-Canonical, FS T. Baarda, ed. W.T. Pedersen, Leiden 1997, 123-135.
128. Per lesame di Lc 22,15-20 e per le differenze letterarie con le tradizioni attestate in
1Cor 11,23b-25 e Mc 14,22-25 rimandiamo agli studi classici di H. Schrmann, Der
Passamahlbericht Lc 22, (7-14.) 15-18 (NTA 19/5), Mnster 1953, 21968; Idem, Der
Einsetzungsbericht Lc 22,19-20 (NTA 20/4), Mnster 1955, 21970; P. Benoit, Le rcit de
la Cne dans Lc XII,15-20, RB 48 (1939) 357-393.

IL PASTO DEL SIGNORE

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In questo modo appare evidente che per colui che scrive i significanti
swma mou e aima mou costituiscono insieme un unico essere vivente, Ges,
il Signore, che si offre per coloro che lo seguono e a cui si d nei segni del
pane e del vino da mangiare e da bere. Sono loro i beneficiari di quella
morte violenta che lui deve subire e che il sangue versato vuole senza equivoco significare129.
Ma con la sua modifica e integrando 1Cor 11,24 con Mc 14,24 diventa
pi chiaro anche il senso del nuovo patto (hJ kainh\ diaqh/kh), che nel
primo testo non era definito. Esso sancito da Ges con il suo sangue a
favore di coloro per cui quel sangue versato. Dice: uJper uJmwn ekcunno/
menon. I suoi sono destinatari di un tale beneficio.
In che cosa consista questo nuovo patto o nuova alleanza non possibile desumerlo dalle scarse parole che lascia dire a Ges. Ma questa una
difficolt che deriva dalle tradizioni da lui usate, che su questa idea teologica non danno specificazione. Ugualmente non definibile il senso della
morte di Ges stesso. Da ci che egli dice in Lc 22,19-20 non possibile
stabilire se sia una morte per la salvezza, se sia una morte in espiazione o
se sia una morte in sostituzione130.
Ci non facile da determinare, perch lautore di questo vangelo non
riporta neppure il logion tragico di Ges, che si legge in Mc 10,45 e il
servire (diakonhvsai), che in questo detto significa il dare la sua vita in
riscatto in cambio di molti (douvnai th\n yuch\n aujtouv lu/tron anti
pollwn), interpretato da Lc 22,24-27 come servizio a tavola, offerto
come esempio ai discepoli affinch comprendano come devono comportarsi tra loro, senza invidia o rivalit per chi il pi grande.
Ugualmente egli ha mutato le parole di Mc 14,24c sul sangue, sostituendo uJper uJmwn a uJper pollwn. In questo modo ha eliminato una duplice
possibilit di interpretazione teologica. Ha tolto il significato universale
implicito in polloi, e ha annullato lallusione a Is 53,11-12 LXX (aujto\
amartia pollwn anh/negken kai dia ta amartia aujtwn paredo/qh),
comunemente ammessa e da cui sarebbe stato possibile stabilire se lautore
conferisca alla morte di Ges il valore di un sacrificio di espiazione, da lui
subita in sostituzione per le colpe di tutti, quale riconosciuto per la morte
del Servo del Signore, di cui parla quel testo profetico.
Questa breve analisi di Lc 22,15-20 attesta che lautore del Vangelo
detto di Luca ha accentuato narrativamente il fatto che la cena ultima di
129. Ci rilevato con giusta insistenza da K. Berger, Theologiegeschichte 318.
130. Ma cf. J.J. du Plessis, The Saving Significance of Jesus and His Death on the Cross
in Lukes Gospel. Focussing on Lk 22:19b-20, Neotest 28 (1994) 523-540.

98

N. CASALINI

Ges con i suoi discepoli era una cena pasquale e non pochi autori sono
convinti che lorganizzazione di tale cena con un bicchiere del vino allinizio, seguito dal rendimento di grazie sul pane e poi sul secondo bicchiere
del vino dopo aver mangiato (meta to\ deipnhvsai) (Lc 22,18-20), corrisponda allordine cultuale seguito realmente nella comunit giudaica a
quellepoca131. Tuttavia veramente degno di nota che nessun elemento
della cosiddetta liturgia pasquale giudaica sia posto in rilievo per dare un
significato teologico alla cena del Signore132. Per questo lenfasi narrativa
posta sulla Pasqua ultima del Signore stata giustamente valutata come
ampliamento di natura scenica, anche se di grande efficacia retorica sul lettore che legge la sua storia133. Ci confermato anche in questo caso dal
fatto che nessuno degli elementi costitutivi della vera cena pasquale descritto e gli unici che ricorda realmente sono solo il pane (arton) e il bicchiere (to\ poth/rion), che sono gli elementi costitutivi del pasto del
Signore, quale ricordato dalle due tradizioni da lui unificate: 1Cor
11,23b-26 e Mc 14,22-25.
Quindi anche questo autore teologo, che descrive con enfasi lultima Pasqua del Signore, non per nulla interessato a presentare lEucarestia come
una cena pasquale, ma solo il pasto del Signore inserito nella cornice narrativa di una cena pasquale. Ma bisogna riconoscere che la sua enfasi narrativa sulla cena di Pasqua con linserzione di un primo bicchiere benedetto
con rendimento di grazie (eujcaristh/sa), corrispondente al cerimoniale
pasquale reale, ha creato grave imbarazzo per la tradizione successiva, che
ritenendo il racconto della istituzione quale si legge in 1Cor 11,23b-25 e in
Mc 14,22-24 come normativo, ha cercato di uniformare il racconto di Lc
22,14-20 a questo, producendo il famoso testo breve della tradizione manoscritta occidentale (cf. il Codice D), che ha eliminato Lc 22,19b-20 preservando solo Lc 22,17-19a: il primo bicchiere benedetto eucaristicamente,
ma senza parole di significazione cristologica e il pane ugualmente benedetto con le stesse parole di significazione che si leggono in Mc 14,22: Questo
il mio corpo, senza alcuna interpretazione134.
131. J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 9-28.35-56.
132. J. Roloff, Neues Testament 277-278.
133. G. Strecker, Theologie des NT 178-179.
134. Sulla storia testuale di Lc 22,15-20 cf. M. Rese, Zur Problematik von Kurz- und
Langtext in Lk XXII,17ff, NTS 22 (1975/76) 15-31; K.Th. Schter, Zur Textgeschichte
von Lk 22,19b-20, Bib 33 (1952) 237-239; U. Schmidt, Eklektische Textkonstitution als
theologische Rekonstruktion, in: The Unity of Luke-Acts, ed. J. Verheyden (BETL 142),
Leuven 1999, 577-584. Per le implicanze cristologiche della tradizione del testo cf. B.D.
Ehrman, The Cup, the Bread and the Salvific Effect of Jesus Death in Luke-Acts, SBLSP
30 (1991) 576-591.

IL PASTO DEL SIGNORE

99

Questa conclusione, valida per se stessa e desunta da una corretta analisi


narrativa di Lc 22,15-20, trova una conferma indiretta in un particolare di questo episodio, che costituisce anche un grave problema esegetico. Dopo le parole di significato sul pane, inserisce linvito alla ripetizione: Questo fate in
mia memoria (touvto poieite ei th\n emh\n anamnhsin) (Lc 22,19c), ripreso
da 1Cor 11,24-25 in cui ripetuto due volte, sul pane e sul bicchiere (1Cor
11,21c.25c), ma che Luca tralascia, senza apparente giustificazione.
Questo procedimento letterario potrebbe essere giustificato con lipotesi di un desiderio di Luca di semplificare una ripetizione superflua. Ma
questa ragione appare subito inconsistente a chi nota che tale autore ama
lamplificazione retorica e ha il gusto della ripetizione parallela, come abbiamo mostrato nellanalisi di Lc 22,15-18 e di Lc 22,19-20. Dunque una
tale omissione dopo le parole sul secondo bicchiere non si pu giustificare
come semplificazione e unaltra ragione non facile da ritrovare. Tuttavia
un fatto appare a tutti evidente, anche a chi non addetto a tale discussione: lordine di rifare il gesto in sua memoria dato solo per la fractio panis.
Tutto il resto riportato come rapporto narrativo su tale evento. Quindi non
avrebbe torto chi, in considerazione di questo fatto unico, fa rilevare che
ci in perfetta consonanza con la presentazione della prassi eucaristica
di questo autore, che nel seguito del racconto evangelico (Lc 24,30) e poi
nel libro degli Atti degli Apostoli presenta la riunione (cultuale?) comunitaria con il termine tecnico di hJ klasi touv artou, lo spezzamento del
pane (At 2,42; cf. At 2,46 e At 20,7.11)135.
Non nostra intenzione entrare in questa complessa questione. Ma non
possiamo concludere senza dedicare la dovuta attenzione al modo speciale
con cui questo autore, noto con il nome di Luca, presenta la riunione comunitaria, da noi detta eucaristica, che certamente era comune alla prassi
cristiana nel momento in cui scriveva la sua opera e non solo nella tradizione pi antica da lui riportata.
Abbiamo gi fatto notare nel primo paragrafo che egli indica con il
nome klasi artou, tradotto con fractio panis in latino e senza effettivo
corrispondente tecnico italiano, latto di spezzare il pane (klan arton),
rendendo grazie [a Dio] (eujcaristein), prima di mangiare, che era tipico di un pasto comune privato (come nel caso di Paolo sulla nave in At
27,35) o familiare (come quello descritto in At 2,46)136.
135. A. Lindemann, Einheit und Vielfalt im lukanischen Doppelwerk. Beobachtungen zu
Reden, Wundererzlungen und Mahlberichte, in: The Unity of Luke-Acts, ed. J. Verheyden
205-253: 250-253.
136. Sulla fractio panis cf. J. Taylor, La fraction du pain en Luc-Actes, in: The Unity of
Luke-Acts, 281-295. Per la terminologia cf. J. Behm, klaiw, klasi, klasma, ThWNT 3,
726-743.

100

N. CASALINI

Che il pasto descritto in At 2,46 con le parole e spezzando in casa il


pane (klwnte te kat oikon arton) sia da riferire a un pasto normale,
indicato dalla locuzione temporale ogni giorno (kaq hJmeran) in At
2,46a137; e che questo fosse un pasto in comune opinione quasi generale138, bench una lettura pi accurata del testo non dia conferma di questa
ipotesi da tutti accettata. Dice in At 2,46-47: Ogni giorno stavano con assiduit insieme nel tempio e spezzando in casa il pane, prendendo il cibo
con gaiezza e semplicit di cuore, lodando Dio e avendo grazia presso tutto il popolo.
Dunque, non dice espressamente che mangiavano insieme, ma che insieme (oJmoqumado\n) erano assidui nel tempio e in casa, dunque in famiglia, spezzavano il pane, cio prendevano il cibo con gioia e semplicit di
cuore. Cos infatti propongono di interpretare coloro che danno a kat oikon
il normale valore distributivo, come lo ha compreso anche il Codice D, che
lo ha logicamente trasformato nel plurale kat oikia, nelle case139.
Questa interpretazione non solo grammaticalmente pi corretta, ma
anche narrattivamente pi verosimile, nonostante che la descrizione sia
volutamente ideale. Lautore ha appena narrato in At 2,41b che dopo il
discorso di Pietro, in quello stesso giorno furono aggiunti ai credenti circa tremila anime (yucai wsei trisciliai) e non si vede come sia possibile
immaginare in modo ragionevole che tremila persone potessero mangiare
insieme. Ci logisticamente impossibile! Anche se non si pu escludere
che vi fossero luoghi per le mense come lascia capire in At 6,2
(trapezai), arduo supporre che la comunit primitiva disponesse di un
locale comune, che potesse raccogliere tante persone140.
Comunque si risolva questa questione, non chiaro se questa fractio
panis quotidiana di cui in At 2,46b fosse anche di natura eucaristica, nel
senso specifico della parola. Alcuni sono convinti che lo fosse141. Ma dalla
scarna notizia del testo difficile da determinare con precisione. Quindi
non possibile affermare che ci si riferisca a una riunione cultuale da
definire come eucarestia, n che tale eucarestia fosse costituita allorigine da un pasto normale preso in comune.

137. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles (ICC), Edinburgh 1998, 171.
138. Rimandiamo a J. Jervell, Die Apostelgeschichte (KEK III), Gttingen 1998, 155.157 e
gli autori da lui citati. Cf. anche H. Conzelmann, Die Apostelgeschichte (HNT 7), Tbingen
1972, 37, che tuttavia lo ritiene eucaristico.
139. Cf. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 170.
140. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 170, contro lipotesi di J. Jeremias.
141. Cf. per es. H. Conzelmann, Die Apostelgeschichte, 137.

IL PASTO DEL SIGNORE

101

Il testo conferma solo lipotesi, piuttosto normale, che ogni giorno prendevano cibo (metelambanon trofhv) e che questo consisteva essenzialmente nel pane che veniva spezzato (klwnte arton), che doveva
servire come mezzo per mangiare il resto. Ci che diverso il modo nuovo o lo spirito con cui mangiavano il pasto quotidiano: con letizia e semplicit di cuore, lodando Dio, che il modo tipico in cui in genere
mangiano coloro che aderiscono con fede e con il cuore al Signore della
loro religione (cf. Paolo in At 27,35).
Pertanto questa notizia, per la sua evidente genericit e indeterminatezza idealizzante, non pu essere usata n per confermare lipotesi audace di
Hans Lietzmann che qui lautore descrive un tipo di Eucarestia, quello
diffuso presso le comunit cristiane primitive di Palestina, consistente essenzialmente nella sola fractio panis142; n pu essere usata per smentirla,
affermando che la klasi artou era un termine generico per indicare tutto il pasto, la pars pro toto, che comprendeva anche altro e il vino143.
Tuttavia evidente che lautore di Atti usa la formula fractio panis anche in senso tecnico144, per designare il raduno della comunit nella celebrazione del giorno del Signore, come risulta da At 20,7 in cui si legge:
Nel primo giorno della settimana (en de thv mia twn sabbatwn), Paolo
parl con loro dovendo partire il giorno seguente e protrasse il discorso fino
a mezzanotte. Segue in At 20,8-10 il racconto dellincidente accaduto al
ragazzo di nome Eutico, che essendosi addormentato sul davanzale della
finestra mentre Paolo parlava, precipit dal terzo piano. Paolo lo rianim
facendo coraggio agli altri che lo credevano morto. Lepisodio termina in
At 20,11 con questa notizia: Poi essendo risalito e avendo spezzato il pane
(klasa to\n arton), e avendo gustato e avendo parlato a sufficienza fino
allalba, cos part.
Questa notizia potrebbe confermare lipotesi che la fractio panis, di cui qui
tratta, indichi un pasto normale e non eucaristico145. Ma il fatto che sia celebrato
nel primo giorno della settimana, altrove chiamato giorno del Signore (Ap
1,10), indica che in realt fosse un pasto speciale, anche se descritto allo stesso modo, come un pasto privato (cf. At 27,35 labwn arton eujcaristhsen tw
qew enwpion pantwn kai klasa hrxato esqiein)146.
142. H. Lietzmann, Messe und Herrenmahl 252-253.
143. H. Conzelmann, Grundriss 133; G. Strecker, Theologie des NT 180.
144. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles II (ICC), Edinburgh 1998, 164-165.
145. W. Bsen, Jesusmahl 131.
146. Su At 20,7-11 e linterpretazione proposta cf. J. Jervell, Die Apostelgeschichte 501504, che si attiene alle analisi di J. Wanke, EWNT II, 729-732 e Idem, Beobachtungen zum
Eucharistieverstndnis des Lukas (RThS 8), Leipzig 1973, 19-24. Prudente fino allo scetticismo C.K. Barrett, The Acts of the Apostles II, 950-952.

102

N. CASALINI

Ma la differenza tra At 27,35 e At 20,7.11 non pu sfuggire a nessuno:


nel primo lo spezzare il pane un atto compiuto per mangiare, nel secondo invece spezzare il pane lo scopo per cui essi si riuniscono nel primo
giorno della settimana. Dunque indica unaltra cosa e non la stessa, anche
se la terminologia e lazione di spezzare il pane comune alluno e allaltro episodio, perch luno e laltro sono un pasto, ma il primo privato,
il secondo quello cultuale, eucaristico.
A favore di questa ipotesi di lettura, ci sono due dati veramente inconsueti del testo, su cui gli esegeti sorvolano supponendo che essi abbiano un
ovvio significato.
In At 20,7a dice essendoci radunati per spezzare il pane (sunhgmenwn
hJmwn klasai arton), che in genere interpretato come se significasse essendoci radunati per mangiare. Ci non corrisponde alluso lessicale di
questo autore, che per dire mangiare usa altre espressioni: per esempio
esqiein (At 27,35), fagein (At 10,13), geu/omai (At 10,10; 20,11). Ma il
pi comune da lui usato metelambanein trofhv, prendere cibo (At
2,46; 9,19a e soprattutto At 27,33-34 pi volte). Ugualmente per dire mangiare insieme usa verbi composti, quali sunanalizomai (At 1,4 che potrebbe anche essere sunaulizomai, radunarsi insieme), sunfagein kai
sunpinein (At 10,41)147.
Il secondo il fatto che tale riunione per la fractio panis avvenga il
primo giorno della settimana e non in un giorno qualunque. Ci potrebbe
significare che questa era una consuetudine di tipo cultuale, in uso al tempo dellautore148, ma che probabilmente era molto pi antica ed era celebrata in coincidenza con il giorno della resurrezione del Signore (cf. Lc
24,1), in corrispondenza con la sera di quello stesso giorno, come si pu
desumere da Lc 24,13.29 e da At 20,7a.8 e non in corrispondenza con la
sera del giorno della cena pasquale, come ci si aspetterebbe dal racconto
di Mc 14,22-25 e par. (cf. 1Cor 11,23b-25).
Questi diversi elementi potrebbero favorire lipotesi di chi considera la
riunione comune nel primo giorno della settimana (At 20,7a), detto anche giorno del Signore (Ap 1,10), in cui si ricordava la resurrezione del
Signore (cf. Lc At 24,1-8 e par.), una consuetudine cultuale cristiana molto
antica, antecedente allinterpretazione teologica proposta da Paolo in 1Cor
11,23-25, che pare in dissonanza con essa, e risalente alle origini dello stesso movimento cristiano che, come noto, dallinizio non fu solo giudaico
147. Una osservazione analoga si legge in W. Weiser, Die Apostelgeschichte. Kapitel 1328 (TK 5/2), Gtersloh 1985, 563.
148. W. Weiser, Die Apostelgeschichte II, 563.

IL PASTO DEL SIGNORE

103

palestinese, ma anche giudaico siriaco e greco, come attestano le precise


notizie di At 9,1-25 sui giudei credenti in Cristo di Damasco, da cui Paolo
ha ricevuto la tradizione del Vangelo e probabilmente la stessa prassi
cultuale, battesimale e eucaristica, che poi lui ha interpretato secondo la sua
visione teologica, dal Signore stesso ispirata149.
Questa analisi di At 20,7-11 e delle tradizioni pi antiche supposte dalla
pratica descritta in tale episodio, attestano che la riunione per spezzare il
pane (klasai arton) (At 20,7a; cf. At 20,11a) non era una cena comune
con pasto normale, ma eucaristico, per mangiare il pasto del Signore
(kuriako\n deipnon fagein: 1Cor 11,20), che lautore designa con la formula per lui tecnica hJ klasi touv artou (cf. At 2,42), corrispondente alla
formula latina ugualmente tecnica di fractio panis che certamente era familiare nel suo ambiente culturale, anche se derivata dal linguaggio comune, che lui stesso adopera per indicare lo spezzare il pane (klan arton)
per mangiare un pasto normale, privato, come quello di Paolo sulla nave in
At 27,35 (labwn arton klasa), o comune, in casa, come quello descritto in At 2,46 (klwnte ... arton).
Questa conclusione ci permetterebbe di operare una chiara distinzione
nel sommario che si legge in At 2,42-47. In At 2,42 in cui lautore enumera quattro caratteristiche fondamentali e per cos dire costitutive o istituzionali della comunit delle origini, la formula hJ klasi touv artou ha il
senso tecnico della fractio panis eucaristica, come in At 20,7a.11, perch
ricorre congiunta con proseucai, preghiere, ed unita con hJ didach\ twn
aposto/lwn kai thv koinwnia, istruzione degli apostoli e condivisione [dei
beni]150. In At 2,46 invece egli usa la formula verbale klwnte arton
in senso comune, per indicare lo spezzare il pane fatto per mangiare o per
prendere cibo (cf. At 27,35), come attesta il fatto evidente che congiunto
paratatticamente con losservazione metelambanon trofhv, prendevano
cibo (con gaiezza e semplicit di cuore lodando Dio)151.
Concludendo, possiamo dire che i testi che abbiamo esaminato (At
2,42.46; 20,7-11; 27,33-35), non possono essere addotti per sostenere lipotesi che la fractio panis eucaristica fosse equivalente a un pasto normale,

149. Lipotesi della pratica cultuale di riunione per la fractio panis, nel primo giorno della
settimana, si legge nellarticolo di J. Taylor, La fraction du pain 283, che rimanda al suo
saggio: Les Actes des Aptres 6 (EB.NS 30), Paris 1996, 83-92; e allaltro scritto in comune: E. Nodet - J. Taylor, Essai sur les origines du Christianisme, Paris 1998, 17-28; cf.
anche C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 165.
150. Cf. G. Schille, Die Apostelgeschichte des Lukas (ThHK 5), Berlin 1989, 115.397.
151. Cf. le distinzioni di C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 165; II, 171.

104

N. CASALINI

preso in comune, perch ci non appare evidente. Ci che lautore descrive in At 20,7 come riunione per spezzare il pane (klan arton) non sembra alludere a un pasto comune, ma al pasto del Signore, preso in comune,
come attesta il fatto che si riunivano nel primo giorno della settimana,
che dallorigine della tradizione della religione cristiana indicava il giorno
della riunione specificamente cultuale e non genericamente comunitaria (cf.
1Cor 16,2).
Ma una cosa fuori dubbio. Secondo questa tradizione cultuale tramandata da Luca, la riunione per la fractio panis eucaristica comportava un
pasto, costituito essenzialmente dal pane condiviso insieme rendendo grazie. Lautore tace del tutto sul vino. Ma dal suo silenzio non si pu trarre
la conclusione o un argomento per sostenere che fosse ignorato. Da ci che
dice si pu solo supporre che la consuetudine ecclesiale da lui documentata poneva unenfasi simbolica maggiore sul pane spezzato, perch questo
significava il Cristo stesso ed era il suo segno di riconoscimento
misterico, come appare evidente dalla cena eucaristica di Emmaus, descritta in Lc 24,31-35152.

Sintesi dei risultati

Giunti al termine di questa indagine, riassumiamo i risultati conseguiti


per rispondere alle domande poste allinizio dellesposizione, che indicano
il vero motivo che ci ha spinto a riesaminare sinteticamente, ma con precisione e rigore, tutta la questione delle tradizioni eucaristiche nel Nuovo
Testamento.
Dallesame di 1Cor 11,17-34, che il pi antico documento scritto sulla Eucarestia e sulla sua istituzione, abbiamo potuto accertare che ci che
Paolo scrive non giustifica lipotesi oggi diffusa con compiacenza, che ci
che lui chiama mangiare il pasto del Signore (kuriako\n deipnon fagein)
(1Cor 11,20b), fosse mangiare un pasto normale in comune, in cui il rendimento di grazie sul pane con le parole di significazione era posto allinizio e quello sul vino fosse posto alla fine, dopo aver mangiato (meta to\
deipnhvsai) (cf. Lc 22,20a). Infatti lapostolo distingue con cura tra la tra152. Per la problematica connessa con il segno dello spezzare il pane fatto da Cristo cf.
A.R. Winnett, The Breaking of the Bread: Does It Symbolize the Passion?, ExpTim 88
(1976/77) 181-182. Per lesame di Lc 24,28-35: J. Wanke, wie sie ihn beim Brotbrechen erkannten. Zur Auslegung der Emmauserzhlung, BZ 18 (1974) 180-192; e il pi
antico J. Dupont, Les plerins dEmmaus, in: Miscellanea Biblica B. Ubach, Montserrat
1953, 349-374.

IL PASTO DEL SIGNORE

105

dizione da lui ricevuta su ci che il Signore fece nella notte in cui fu tradito e ci che egli ha insegnato ai Corinzi per mangiare il pasto del Signore. Dalle sue parole chiaro che secondo ci che lui ha trasmesso,
questo pasto consiste essenzialmente del pane spezzato e del bicchiere distribuito e a cui tutti i presenti partecipano (1Cor 10,16), dopo il rendimento di grazie (eujcaristh/sa: 1 Cor 11,24a) o dopo la benedizione
(o eujlogouvmen: 1Cor 10,16a).
Quindi anche se ricorda che, nella notte in cui fu tradito, il Signore diede il bicchiere dopo il pasto, egli non lo ricorda per insegnare loro a consumare un pasto normale in comune con i gesti eucaristici, allinizio e alla
fine, ma solo per far loro comprendere in che cosa consiste il pasto del
Signore, costituito essenzialmente dalla partecipazione ai due elementi
eucaristici, in successione, come risulta senza equivoco da 1Cor 10,16. Per
questo si stupisce che i Corinzi lo abbiano compreso in altro modo, ritenendo che fosse da rievocare come un vero pasto mangiato insieme. Di
conseguenza ognuno ha portato il proprio pasto (to\ idion deipnon) (1Cor
11,21a) da mangiare durante la riunione in assemblea (en ekklhsia: 1Cor
11,18b). Ma lui non li approva. Anzi li rimprovera apertamente facendo
notare che, a causa di questo equivoco, non pi possibile mangiare il
pasto del Signore (1Cor 11,21b).
Non difficile comprendere che lequivoco in cui sono caduti i Corinzi
sia probabilmente dovuto alla consuetudine con la prassi cultuale greca, che
consisteva nel banchettare insieme realmente, usando le stesse carni immolate agli di (1Cor 8,1; 10,14.21.23-30). Ma Paolo non approva il loro comportamento e ricorda loro ci che ha trasmesso, affinch sappiano che il
pasto del Signore da mangiare insieme nella assemblea consiste essenzialmente nel partecipare al suo corpo e al suo sangue, condivisi nei segni
del pane spezzato e distribuito e nel bicchiere (con vino) che tutti condividono. Per non lasciare dubbi e per inculcare che ci che ha tramandato non
un pasto normale preso in comune, prima li rimprovera del fatto che nella riunione mangiano ciascuno il pasto privato domandando: Non avete
forse le case per mangiare e bere? (1Cor 11,22a) e alla fine del discorso
raccomanda: Se uno ha fame, mangi a casa, affinch non corriate nel giudizio (1Cor 1,34a).
Tutti questi dati, considerati insieme, ci hanno convinto che lopinione
prevalente che la Eucarestia fosse allorigine un reale pasto normale preso in comune, non ha fondamento nel testo di 1Cor 11,17-34 e non si pu
giustificare con ci che Paolo afferma, ma sorta da una interpretazione
scorretta delle sue parole. I sostenitori di questa ipotesi infatti hanno confuso le condizioni in cui stato istituito il pasto del Signore con questo

106

N. CASALINI

stesso pasto e poich dalle sue parole appare evidente che listituzione
avvenuta durante un pasto reale, e pi precisamente in una cena in comune, essi ne hanno dedotto erroneamente che il pasto del Signore fosse
allorigine una cena normale o un pasto comune, non distinguendo tra il
pasto o cena in cui esso fu istituito e il pasto che il Signore in quella cena
ha indicato come il proprio, e che costituito essenzialmente da due soli
elementi: il pane, che significa il suo corpo e il bicchiere del vino, quale
segno del suo sangue.
Di conseguenza, ci parsa anche senza fondamento lipotesi che Paolo
sia stato il primo a distinguere tra pasto reale preso in comune e pasto del
Signore, dando origine a quella disciplina liturgica che poi si imposta a tutta la Chiesa153. In realt una tale opinione insostenibile, perch dal testo
appare evidente che anche nella tradizione da lui trasmessa il pasto del Signore non costituito da un pasto normale, ma solo dal pane e dal vino
significanti il suo corpo e il suo sangue per le sue stesse parole di
significazione. In effetti, lui solo il cibo del pasto da lui offerto (1Cor
10,16).
Di questa conclusione abbiamo trovato conferma nella tradizione
eucaristica tramandata da Mc 14,22-25. In questa appare evidente che il
narratore ha interesse a far notare che il pasto ultimo di Ges fu una cena
pasquale (Mc 14,12). Ma poi, quando narra lepisodio, non presta alcuna
attenzione agli elementi essenziali della cena pasquale. Ricorda solo levento della istituzione, costituita dal suo corpo e dal suo sangue, dati ai presenti nella forma materiale del pane e del vino, in semplice successione,
come se volesse operare una sostituzione, per far comprendere che questi
costituivano il vero cibo della Pasqua mangiata insieme.
Tuttavia noi non abbiamo tratto questa conclusione esegetica, certamente possibile, e ci siamo limitati a rilevare un dato di fatto: Mc 14,22-25 non
giustifica n lipotesi che la Eucarestia fosse un pasto reale, n laltra pi
fantastica che fosse una cena pasquale, perch evidente che, anche in questo caso, i loro sostenitori non hanno saputo distinguere tra la situazione in
cui avvenuta listituzione dellEucarestia, che era una cena pasquale (Mc
14,12), e ci che durante quella cena stato istituito, e che costituito dal
corpo e dal sangue del Signore, dato come nutrimento nel segno del pane da
mangiare e del bicchiere del vino da bere (Mc 14,22-24).
Lesame di Lc 22,15-20 ci ha confermato nella nostra conclusione, perch anche questo autore, che pure amplifica narrativamente il fatto che la

153. G. Strecker, Theologie des NT 178-179.181-182.

IL PASTO DEL SIGNORE

107

cena ultima del Signore fosse una Pasqua (Lc 22,15-16), non pone attenzione ad alcuno degli elementi essenziali della cena pasquale per dare significato alla cena del Signore, eccetto il bicchiere del vino e il pane, che
la costituiscono essenzialmente con le parole di significazione dette su di
loro dallo stesso Signore.
Poich dando il bicchiere il narratore fa dire a Ges che quello il
suo sangue, specificando che quello dellalleanza (to\ aima mou thv
diaqh/kh: Mc 14,24b), con unallusione evidente e quasi letterale al sangue
delle vittime immolate per la stipulazione del patto tra Dio e il popolo sancito da Mos e di cui si legge in Es 24,8 LXX, noi abbiamo dovuto concludere
che, paragonando il vino al sangue volesse significare la sua morte violenta
presentata come sacrificio di immolazione per il patto da lui sancito a favore degli uomini, come indicato dalla specificazione che il sangue quello
versato per molti (to\ ekcunno/menon uJper pollwn) (Mc 14,24c).
Levidente parallelismo narrativo e teologico stabilito nel racconto tra il
patto sancito da Mos con il sangue delle bestie immolate come vittime e
quello stretto dal Cristo con il suo sangue, non ci ha permesso di accettare
lipotesi per noi aberrante di Klaus Berger, il quale sostiene che nelle parole di Ges sul sangue non c nessuna traccia della sua morte e che il patto
da lui sancito non lo fu nel suo sangue, ma solo bevendo il vino dello stesso bicchiere154. Ma abbiamo dovuto convenire con lui nel fatto che la natura di tale patto (diaqh/kh) non chiaramente specificata nel testo e non
pu essere spiegato con il riferimento a Ger 31,31-34 perch in Mc 14,24b
manca laggettivo nuovo (kainh/) che giustificherebbe un tale senso teologico, che invece esplicito nel testo di Paolo (1Cor 11,25; cf. Lc 22,20b).
Ugualmente, il fatto stesso che in questo testo paolino il bicchiere
eucaristico presentato come il nuovo patto nel mio sangue (hJ kainh\
diaqh/kh estin en tw emw aimati) ci ha costretto ad avvallare lipotesi teologica che nella Cena del Signore o Eucarestia sia implicito il perdono
dei peccati per coloro che vi partecipano155, perch Paolo afferma espressamente che memoria della morte del Signore (1Cor 11,26), di cui in
1Cor 15,3 dice che morto per i nostri peccati, secondo le Scritture.
Quindi se quella morte per il perdono dei peccati (ei afesin
amartiwn), come si legge in Mt 26,28, si deve supporre che esso sia comunicato a coloro che credendo partecipano al pasto del Signore, che ne il
ricordo attualizzante (anamnhsi: 1Cor 11,24c.25.). Ma su questa conclusio-

154. K. Berger, Theologiegeschichte 317-318.


155. G. Strecker, Theologie des NT 183; K. Berger, Theologiegeschichte 318-319.

108

N. CASALINI

ne teologica non abbiamo insistito, sapendo che richiede ulteriore riflessione, che nella Chiesa Cattolica deve essere ancora fatta, mentre pare che sia
cosa gi acquisita e teologicamente fondata per le Chiese della Riforma.

Conclusione. Il problema delle condizioni di partecipazione

Considerando le realt misteriche significate dal pasto del Signore, a


noi parsa molto improbabile lipotesi che ad esso possa accedere chiunque, senza fede156. Anche se, in assenza di precise disposizioni normative
sulle condizioni di partecipazione nelle tradizioni da noi esaminate, si potrebbe supporre che ad esso possa partecipare chiunque, sia coloro che non
credono (apistoi), sia coloro che ignorano le cose (idiwtai), come nel
caso descritto in 1Cor 14,23-35, bisogna affermare senza esitazione che
lazione cultuale detta Eucarestia, per sua stessa natura, destinata a chi
gi crede, perch solo costui pu partecipare alla realt vivente del Signore
che i segni vogliono indicare157.
Se manca la fede per assenza di religione, o per inadeguata istruzione o
per incomprensione della stessa istruzione, i segni simbolici possono trarre
in inganno e coloro che non ne conoscono il significato possono cadere
nellerrore che si tratta di un pasto profano, non distinguendo che in realt
i segni materiali del pane e del vino indicano il corpo misterico e reale del
Signore crocifisso e vivo, che solo la fede conosce. In questo caso non si
pu evitare che costoro, per ignoranza o assenza di fede, ritengano il pasto del Signore un pasto normale, e poich evidente che pane e vino sono
solo elementi accessori di un pasto reale, essi sentano la necessit di integrare con cibo pi consistente per soddisfare la fame, come nel caso specifico accaduto nella comunit di Corinto e biasimato da Paolo in 1Cor
11,17-34.
Ma il pasto del Signore, come dice lo stesso Paolo, non ha lo scopo
di saziare la fame, ma di fare memoria (anamnhsin) della morte del Signore. Quindi la fede un presupposto necessario ed essenziale alla partecipazione per ottenere il beneficio che quella morte vuole sacramentalmente
indicare. Anzi e con pi precisione, dovremmo dire che la partecipazione
alla mensa del Signore un atto cultuale, in cui colui che crede manife-

156. Cos K. Berger, Theologiegeschichte 322 e G. Strecker, Theologie des NT 184.


157. Di diversa opinione G. Strecker, Theologie des NT 184, per il quale anche chi non cre-

de e non sa distinguere il corpo del Signore incontra realmente il Signore partecipando al


suo pasto.

IL PASTO DEL SIGNORE

109

sta in modo simbolicamente reale, che noi diremmo sacramentale, la sua


fede nella morte salvifica del suo Signore, di cui si nutre e di cui diventa
partecipe vitalmente mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue, come
apparso evidente dal discorso sul pane di vita che si legge in Gv 6,51v58 e da quello di Paolo in 1Cor 10,16.
Di questa nostra tesi non abbiamo bisogno di dare prove per convincere, perch un fatto evidente. Ma se qualcuno le desidera, noi lo rimandiamo alla tradizione evangelica. Da questa, in tutte le sue forme (Mc
14,12-25/Mt 26,17-30; Lc 22,7-20), appare evidente che alla Cena del Signore nellatto della sua istituzione, sono presenti solo i discepoli che Ges
si scelto, e in modo pi preciso, solo i dodici (Mt 26-20), cio solo gli
apostoli (Lc 22,14), che lui stesso aveva associato al suo ministero (cf. Mc
3,13-14; Mt 10,1-4; Lc 9,1-6).
In considerazione di questo, a noi pare insostenibile la tesi che chiunque possa accedere o che tutti sono invitati a partecipare, sia non credenti
sia uomini ritenuti moralmente indegni, facendo notare che il Signore che
istituisce il segno sacramenteale offrendo la partecipazione al suo stesso
essere e non la fede di chi crede158; oppure portando come giustificazione
il fatto che ai pasti di Ges narrati nei Vangeli, erano ammessi tutti. Anzi, i
suoi ospiti pi frequenti erano proprio i peccatori, cio coloro che erano
ritenuti lontani da Dio per le loro indegne condizioni morali159.
Noi riteniamo che questa osservazione esegetica sia giusta, perch corrisponde realmente alla prassi evangelica, da Ges praticata durante la sua
vita (cf. Mc 2,13-17; Mt 9,9-13; Lc 5,27-32 e 15,1-2; 19,7). Ma tre obiezioni fondamentali non ci permettono di acconsentire alla conclusione teologica e pratica che se ne vuole trarre.
La prima. Non ci sono prove n storiche n testuali per affermare che
il pasto del Signore sia la continuazione o ripetizione della sua consuetudine conviviale di mangiare a mensa con i peccatori per comunicare a loro
il perdono e laccettazione di Dio160. A sfavore di questa ipotesi un dato
di fatto tramandato dalla pi antica tradizione della nostra religione: il
pasto del Signore era effettuato il primo giorno della settimana (cf. At
20,7 e 1Cor 16,2), che come noto era il giorno della sua risurrezione (Mc

158. la tesi di G. Strecker, Theologie des NT 184.


159. K. Berger, Theologiegeschichte 311. 322. Cf. anche L. Goppelt, Theologie des NT 263,

che vede in questi pasti con i pubblicani un possibile antecedente di quelli eucaristici. Cf.
R.L. Brawley, Table Fellowship: Bare and Blessing for the Historical Jesus, PRS 22
(1995) 13-31.
160. H. Conzelmann, Grundriss 134.

110

N. CASALINI

16,2; Mt 28,1; Lc 24,1; Gv 20,1). Ci lascia supporre un diversa origine e


una diversa motivazione, che non favorisce una connessione diretta con la
pratica conviviale antecedente.
La seconda, che anche la pi grave. Alla cena finale o ultima, Ges
non ha invitato chiunque n i peccatori, con cui era solito mangiare durante il tempo della sua predicazione, ma solo i discepoli che lui stesso si era
scelto quali depositari e continuatori della sua stessa missione. E ci favorisce una ipotesi diversa: la Cena del Signore non aperta a chiunque, ma
destinata specificamente a chi lo segue, cio a coloro che diventano discepoli accogliendo le sue parole. Lo prova il fatto inconfutabile che solo a
loro egli si mostra proprio in essa vivente e tra loro presente (Lc 24,28-32;
cf. Lc 24,43; At 10,41; Gv 21,13).
La terza obiezione pi delicata e richiede da noi un tatto maggiore per
esporla, perch riguarda la dignit morale di chi vi partecipa. Abbiamo mostrato che da 1Cor 11,27 non possibile trarre una norma disciplinare per stabilire la condizione morale di partecipazione, perch lavverbioindegnamente (anaxiw) (1Cor 11,27b) di cui parla si riferisce o allo stato di
ubriachezza deplorato in 1Cor 11,21b, o di ignoranza di chi non distingue il
corpo del Signore dal pane che sulla mensa e lo considera cibo profano e
comune (1Cor 11,29). Ma abbiamo anche fatto rilevare che nel pasto del
Signore implicita lofferta del perdono, perch anamnhsi della sua
morte per i nostri peccati, secondo lannuncio del Vangelo (1Cor 15,3). Questo dato di fatto teologico cos rilevante e logicamente conseguente, che noi
non ci siamo sentiti in condizione di poter affermare che alla mensa del Signore possa accedere solo chi in retta condizione morale, perch lofferta
del perdono nella memoria della sua morte implica che invitato a mangiare il suo corpo e il suo sangue colui che ha bisogno di purificazione e desidera ottenere misericordia e accoglienza presso il Signore.
Tuttavia nessun documento del Nuovo Testamento attesta che erano
ammessi al pasto del Signore coloro che erano riconosciuti come peccatori, anche se ci che si legge in 1Cor 14,23-25 permette di supporre che di
fatto accedevano nellassemblea riunita per il culto anche uomini senza
fede e in stato di peccato. Ma non erano invitati ad accedere per mangiare
dalla mensa del Signore, bens spinti alla conversione, al riconoscimento
dei peccati e alladorazione del Dio presente tra coloro che erano riuniti
nel suo nome per latto cultuale.
In ogni caso, fuori di dubbio che nei pasti in comune tra credenti, detti agapai (cf. 2Pt 2,12-14 e Gd 12), partecipavano umini di cattiva condotta, con cattivi desideri e comportamenti immorali, non conformi alla
giustezza richiesta dalla fede o contrari alle leggi divine. Ma la loro pre-

IL PASTO DEL SIGNORE

111

senza severamente deplorata e, almeno in un caso, non pi tollerata. In


1Cor 5,1-5 Paolo ordina di escludere dalla comunit colui che conviveva
pubblicamente con la donna di suo padre, in vista della sua correzione. E
in 1Cor 5,11-13 d norme disciplinari esplicitamente contrarie allipotesi
in discussione. Dice: Vi ho scritto soltanto di non stare insieme con un
fratello notoriamente dedito alla prostituzione, o violento, o seguace di altri di, o offensivo, o dedito al vino, avido di denaro, con uno simile non
dovete mangiare insieme. Infatti che cosa mi interessa giudicare quelli di
fuori? E voi non giudicate forse quelli che sono dentro? Quelli di fuori li
giudicher Dio. Voi cacciate fuori il malvagio da mezzo a voi!.
A noi non pare necessario aggiungere altre parole, perch quelle dellapostolo sono chiare. Se anche volessimo tentare una esegesi pi mite,
non potremmo attenuare in modo alcuno il loro senso letterale e il loro rigore. evidente infatti che se con fratelli di cattiva condotta morale non
possibile mangiare insieme (sunesqiein), difficile supporre che sia lecito accedere con loro alla mensa del Signore e mangiare insieme il suo
pasto161.
Tuttavia in 1Cor 5,9-10 Paolo non esclude che coloro che credono debbano mescolarsi e stare insieme con quelli che nel mondo seguono un comportamento morale ritenuto indegno da chi crede, per il semplice fatto che
non possono uscire dal mondo. Quindi, se di necessit chi ha fede deve
convivere con chi vive senza legge morale, lo potrebbe anche con i fratelli
che errano in modo grave. Ma non possiamo dire se questa necessit umana possa giustificare un atto di misericordia che li ammetta a partecipare
alla mensa eucaristica in vista della salvezza, perch Paolo su questo problema non d direttive e noi non ne possiamo inventare. Infatti se seguiamo il principio teologico indicato dai segni della Cena, potremmo pensare
che sia possibile lasciare accedere anche chi ha peccato gravemente e cerca la misericordia del Signore. Se invece seguiamo la direttiva apostolica
esplicita sopra riportata, dovremmo concludere che non possibile, eccetto nel caso di pentimento, che la prassi di fatto vigente, seguita sia dalla
coscienza di chi crede sia dalla Chiesa con lofferta del perdono sacramentale.
Queste obiezioni sono per noi sufficienti per affermare che in realt il
pasto del Signore offerto solo a chi crede, anche se evidente che per
sua stessa natura destinato a tutti coloro che desiderano partecipare accogliendo le sue parole di invito alla conversione e alla fede nel Regno di Dio

161. A. Lindemann, Der erste Korintherbrief 131.

112

N. CASALINI

che viene (Mc 1,14-15). Poich dallesame che abbiamo effettuato parso
chiaro che la partecipazione al pasto del Signore un gesto simbolico che
manifesta in modo misterico, che noi diciamo sacramentale, la fede che uno
gi possiede, non ci pare assolutamente possibile considerare tale azione
cultuale, detta Eucarestia, un mezzo di iniziazione alla fede parallelo o in
concorrenza con il battesimo, da cui non sembra distinto162. Questa ipotesi
non solo in se stessa inconsistente per ci che abbiamo detto, ma non trova conferma nei testi del Cristianesimo primitivo, raccolti nel Nuovo Testamento. Da questi risulta che solo il battesimo ha la funzione di dare
accesso alla salvezza per la fede, per mezzo del perdono dei peccati, che il
gesto cultuale vuole significare (cf. Mc 16,16; Mt 28,19; At 2,38).
Non nostro compito esaminare ora tutti i testi in cui il battesimo presentato come lunico atto simbolico che indica ammissione alla grazia della salvezza163. Chi lo desidera non ha difficolt a trovare materiale adeguato
per la sua informazione164. A noi basta far notare che in nessuno dei testi
attestato che il pasto del Signore assolvesse una funzione iniziatica in modo
parallelo o in sostituzione dellatto battesimale. In realt non potrebbe neppure, perch per il loro significato hanno diversa funzione. Il battesimo indica la purificazione delle colpe per mezzo dello Spirito, significato
dallacqua o dallunzione, secondo la tradizione sacrale che si segue. Il
pasto del Signore invece indica la partecipazione alla salvezza ottenuta per
mezzo dellassociazione alla vita immortale del Signore vivente, partecipando del suo corpo e del suo sangue, che significano la sua morte per
immolazione (cf. Gv 6,51b-58). Per questo, anche se ci sembra possibile
che alla mensa del Signore possa accedere chiunque, per varie ragioni e
anche senza fede, non possiamo non rilevare che il beneficio salvifico che
il pasto del Signore vuole significare dato solo a chi crede, perch solo
per fede si partecipa alla salvezza che il corpo e il sangue del Signore vogliono indicare.

162. Questa la tesi sostenuta da K. Berger, Theologiegeschichte 314.322.


163. Oltre ai testi indicati nel discorso, cf. At 8,16 (Samaritani); 8,36-38 (lEunuco etiope);
9,18 (Paolo), 10,44-48 (Cornelio e la sua famiglia); 16,31-33 (il carceriere di Filippi e la
sua famiglia); 19,5 (i discepoli di Efeso). Ma cf. anche 1Cor 12,13; Gal 3,27-28; Rm 6,1-11
(cf. Rm 10,13); Col 2,11-13; Ef 4,5; Tt 3,4-7; 1Pt 3,20-21.
164. Rimandiamo alla trattazione generale di U. Schnelle, Gerechtigkeit und Christusgegenwart. Vorpaulinische und paulinische Tauftheologie (GTA 24), Gttingen 1983;
A.J.M. Wedderburn, Baptism and Resurrection. Studies in Pauline Theology against
Graeco-Roman Background (WUNT 44), Tbingen 1987; L. Hartman, Auf den Namen des
Herrn Jesus (SBS 148), Stuttgart 1992; S.E. Porter et al. (eds.), Baptism the New Testament
and the Church (JSNT.SS 171), Sheffield 1999.

IL PASTO DEL SIGNORE

113

Di conseguenza non ci sembra neppure ragionevole sostenere che basta


lassociazione al pasto del Signore per comunicare la salvezza a chi invitato ad accedere165, perch questa non scaturisce dal fatto di mangiare insieme in segno conviviale di accettazione, ma solo dalla morte salvifica
del Signore, che il segno conviviale vuole significare. lui, il Signore, che
salva chi crede allespiazione dei peccati operata dal suo sangue (cf. Rm
3,25), e non la fraterna accoglienza di un peccatore alla mensa del Signore.
Questa accoglienza pu essere certamente considerata un gesto di piet e
di misericordia umana, ma non basta ad operare la salvezza del peccatore a
cui manifestata, perch questa opera della grazia divina in esso significata (Rm 3,24) e non opera della solidariet umana.
Nello Casalini, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

165. Cos pare proporre K. Berger, Theologiegeschichte 322 (cf. anche 323.325), non facendo pi distinzione tra battesimo e cena del Signore, e considerando questa un rinnovamento o attuazione di quello.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GES TERRENO


NEL LIBRO DELLAPOCALISSE

G. Segalla

Alla comunit francescana


dello SBF di Gerusalemme
riconoscente dedico

Introduzione: una memoria dimenticata


Lattenzione alla memoria del Ges terreno, di cui ci occupiamo, si colloca
nellorizzonte del ritorno, negli ultimi ventanni, alla storia di Ges,
ricongiunta con la fede, dopo la separazione operata, prima dallilluminismo (la storia di Ges separata dalla fede), e poi da Bultmann (la fede
kerygmatica separata dalla storia di Ges)1.
Cercare le tracce della memoria del Ges terreno nellApocalisse una
sfida e lo si evince anche dal poco spazio dedicato al problema nella ricca
bibliografia su questultimo libro del canone. Nelle bibliografie e nelle rassegne sullApocalisse2, si trova infatti con difficolt qualcosa del suo rapporto col passato di Ges, cio con la memoria della tradizione storica su
di lui. Moltissimo si discute del rapporto dellApocalisse con lAT, con
lapocalittica giudaica, con la storia che vi si riflette come in uno specchio,

1. Rimando a due articoli recenti di carattere sintetico, ove si possono trovare ulteriori

indicazioni bibliografiche: Armand Puig i Trrech, La recherche du Jsus historique,


Biblica 81 (2000) 179-201; Daniel Marguerat, Jsus historique: une qute de linaccessible
toile? Bilan de la troisime qute, Thophilyon 6 (2001) 11-85.
2. Una buona fonte bibliografica R. L. Muse, The Book of Revelation. An Annotated Bibliography (Garlanda Reference Library of the Humanities, 1387), Garland, New York
London 1996 (bibliografia dal 1940 al 1990); il libro purtroppo gi esaurito.
Tra le rassegne: A. Feuillet, LApocalypse. Etat de la question (Studia Neotestamentica, 3),
Descle, Paris-Bruges 1963; O. Bcher , Die Johannesapokalypse (Beitrge der Forschung,
41), WBG, Darmstadt 1975, 19882; e le rassegne nella Theologische Rundschau: E.
Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes , TR NF 6 (1934) 269-314; 7 (1935) 28-62; H.
Kraft, Zur Offenbarung des Johannes, TR NF 38 (1973) 81-88; T. Holtz, Literatur zur
Johannesapokalypse 1980-1996, TR 62 (1997) 368-413 (niente sulla cristologia). In italiano
di U.Vanni, Rassegna bibliografica sullApocalisse (1970-1975), RivB 24 (1976) 277301; cf. dello stesso lo Status quaestionis in: J. Lambrecht (ed.), LApocalypse johannique
et lApocalypse dans le Nouveau Testament (BETL, 53), Leuven University Press, Leuven
1980, 21-46, ove deludente il suo paragrafo su Apocalisse e NT, specie per la tradizione
evangelica (pp. 32-33).
LA 50 (2000) 115-141

116

G. SEGALLA

della sua particolare struttura letteraria, della sua simbolica, dellambiente


liturgico e cos via. Per quanto riguarda il Ges terreno, al pi si rimanda
alla morte e risurrezione di Ges come vittoria dellAgnello. Anche il commento di E. Corsini, che pur si prefigge di recuperare nellApocalisse il
passato della storia della salvezza in ordine al presente escatologico, richiama praticamente solo il discorso escatologico di Ges3. Persino le grandi
monografie classiche sulla cristologia dellApocalisse (T. Holz e J.
Comblin) si disinteressano praticamente del passato di Ges per concentrarsi sul presente in funzione del futuro; limpostazione dellHolz4. Insomma il passato identificato semmai con lAT e la tradizione giudaica
apocalittica, ma poco o nulla spunta la tradizione del Ges terreno; terreno
solido, anche se nascosto, fondamento di tutto ledificio quale referente storico della comunit cristiana e della sua fedelt alla testimonianza di
Ges (Ap 1,9; 6,9; 12,17; 19,10; 20,4), paragonabile ai dodici apostoli
dellAgnello, i cui nomi sono scritti sui dodici fondamenti della Gerusalemme celeste (Ap 21,14).
Emblematica delloblio della memoria del Ges terreno nellApocalisse
la dimenticanza in cui stata lasciata lunica monografia dedicata allargomento, uscita nel 1965 (L. A. Vos, The Synoptic Traditions in the Apocalypse, H. Kok, Kampen). Cercate invano questa monografia non solo nei
3. E. Corsini, Apocalisse prima e dopo, SEI, Torino 1980, pp. 71-81. Egli per non istituisce
un confronto vero e proprio come tenter di fare in questo mio articolo, ma con
uningegnosa argomentazione cerca di dimostrare la sua tesi, a mio avviso insostenibile: la
profanazione del tempio luccisione di Ges ordinata dai capi religiosi che hanno la loro
dimora nel tempio. E ci che Ges ordina non la fuga da Gerusalemme assediata, ma
labbandono del giudaismo e delle sue pratiche cultuali (p. 79). Tale tesi stata da lui
ribadita in un recente intervento al settimo simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo,
Antigiudaismo e giudaismo spirituale nellApocalisse, in L. Padovese (ed.), Atti del VII
simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma 1999,
131-143.
4. T.Holtz, Die Christologie der Apokalypse des Johannes, Akademie Verlag, Berlin 1962,
19712; J. Comblin, Le Christ dans lApocalypse, Descle, Paris 1965, con unappendice, in
cui si confronta criticamente con le tesi di Holtz (pp. 237-240). Ambedue impostano il
discorso sui titoli di Ges e strutturano lApocalisse in una parte che riguarda la presente
salvezza della comunit mediante la morte e risurrezione di Ges, e laltra il futuro. Per
Holtz lApocalisse fino al capitolo 19,10 riguarda il presente di Cristo, mentre da 19,11
alla fine riguarda il futuro di Cristo.
Le cristologie pi recenti si allontanano ancor pi dal Ges storico e si dedicano o allo
sfondo apocalittico giudaico del Messia e del Figlio delluomo (U. B. Mller, Messias und
Menschensohn in Jdischen Apokalypsen und in der Offenbarung des Johannes, Mohn,
Gtersloh 1972) o al rapporto della cristologia con langelologia (L. T. Suckenbruck, Angel
Veneration and Christology [WUNT 2Reihe, 70], Mohr, Tbingen 1995; P. R. Carrell, Jesus
and the Angels. Angelology and the Christology of the Apokalypse of John [SNTSMS, 95],
CUP, Cambrige 1997).

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

117

lavori di U. Vanni (a parte il suo articolo su Luca nellApocalisse5), ma


anche nella recente grossa monografia tedesca di H. Heinze del 19986,
mentre nota e usata in un articolo di R. Bauckham del 19767, registrata
da J. F. Toribio nella sua tesi di dottorato del 19938 ed discretamente utilizzata nel recente grande commentario di G. K. Beale del 19999. Sia lopera di L. A. Vos sia larticolo di R. Bauckham polemizzano contro tesi
scettiche nei confronti della tradizione evangelica sulla scia di R. Bultmann
(H. Kster ed M. E. Boring)10. Sia Vos che Bauckham sostengono che
nellApocalisse vi traccia di una memoria dei detti di Ges, registrati
nella tradizione sinottica, anche se in maniera variata.
La discussione passata, nellaffrontare il problema, ricorreva al metodo
storico-critico, nella prospettiva della dipendenza letteraria in un senso (dai
Sinottici allApocalisse in Vos e Bauckham) o nellaltro (dai profeti cristiani alla tradizione sinottica in R. Bultmann, M. E. Boring ed altri). Un tale
metodo, utile nel confronto fra i sinottici perch i tre vangeli appartengono
allo stesso genere letterario ed hanno in comune molto materiale narrativo
(Mc/Mt/Lc) e discorsivo (Mt/Lc), a mio parere non applicabile allo stesso modo nel rapporto fra tradizione sinottica ed Apocalisse. I risultati infatti sono sempre molto incerti, proprio perch si cercano nellApocalisse
una specie di citazioni o allusioni letterali, che comprovino la dipendenza
e perci linflusso. Ora, proprio la forma della citazione che manca assolutamente nellApocalisse anche nei confronti della tradizione anticotestamentaria, pur essendovi intrecciata in modo massiccio, com noto.
Mi pare perci sia necessario abbandonare il discorso della dipendenza letteraria o meno dellApocalisse dai singoli Sinottici o dalla tra5. U. Vanni, LApocalisse e il vangelo di Luca, in: D. Marconi - G. OCollins (ed.), LucaAtti. Studi in onore di P. Emilio Rasco, Assisi 1991, 15-37.
6. A. Heinze, Johannes-apokalypse und johanneische Schriften. Forschungs-und traditionsgeschichtliche Untersuchungen (BWANT, 142), Kohlhammer, Stuttagrt 1998. Lo si spiega
peraltro col fatto che egli si interessa solo degli Scritti giovannei.
7. R. Bauckham, Synoptic Parousia Parables and the Apocalypse, NTS 23 (1977) 162-176.
8. J. F. Toribio Cuadrado, El Viniente. Estudio exegtico y teolgico del verbo ercesqai
en la literatura joanica (Monografas de la revista Mayeutica, 1), Zaragoza 1993.
9. G. K. Beale, The Book of Revelation (NIGTC, 21), W.Eerdmans, Gran Rapids, Michigan/Cambridge, U.K./Paternoster Press, Carlisle 1999.
10. L. A. Vos critica principalmente la tesi di H. Kster, Synoptische Ueberlieferung bei
den Apostolischen Vtern, Akademie Verlag, Berlin 1957, mentre R. Bauckham cita nella
prima nota come esempio della tesi che intende criticare: M. E. Boring, How may we Identify Oracles of Christian Prophets in the Synoptic Tradition? Mark 3:28-29 as a test case,
JBL 91 (1972) 502-521; D. Hill, On the Evidence for the creative Role of Christian Prophets, NTS 20 (1973-74) 262-274.

118

G. SEGALLA

dizione sinottica, che presuppone lautore usasse una fonte letteraria


scritta, e ricorrere invece ad un metodo pi adatto al testo apocalittico:
il metodo della intertestualit11. chiaro infatti che il racconto evangelico del Ges terreno sta ai margini della narrazione apocalittica o se si
vuole il fondamento nascosto nelle sue pieghe; il contenuto di questa
narrazione costituito da messaggi e visioni in una cornice epistolare e
liturgica, destinati alle comunit cristiane dellAsia in difficolt per la
loro fedelt alla testimonianza di Ges. E tuttavia queste visioni e
audizioni (Ap 1,2.12), pur essendo costruzioni letterarie nella forma
profetico-apocalittica, risultano peraltro composte, in larga parte, con
materiali linguistici e letterari provenienti dalla Sacra Scrittura e dalla
tradizione di Ges, posseduti come patrimonio proprio, e perci considerati Rivelazione di Ges Cristo (genitivo soggettivo di autore), che
Dio gli diede per essere comunicata mediante langelo a Giovanni e
destinata alle comunit cristiane (Ap 1,1). LAgnello sgozzato, protagonista, che compare ben 28 volte (74), rammenta drammaticamente la
fondazione dellApocalisse nella storia di Ges: non solo nella sua morte di croce (Ap 11,9), ma anche nella sua origine giudaico-davidica (Ap
5,5; 3,21; 22,16) e nella tradizione che a lui risale quale testimone fedele e veritiero (Ap 1,4; 3,14). Come abbiamo detto, questo modo di
usare la tradizione di Ges analogo a quello messo in opera per lAT
e lo si pu assimilare al fenomeno letterario della intertestualit, lintreccio di enunciati presi da altri testi e la loro trasposizione in un testo
nuovo12. Pu trattarsi di parole, di sintagmi, di allusioni e di citazioni
implicite, che il nuovo testo utilizza e con cui entra in tensione dialogica.
Allinterprete spetta il compito di far sentire le risonanze dei testi intrecciati e spiegare che trasformazione hanno subito, per capire il senso
attuale nel richiamo al testo precedente.
Per stabilire le risonanze della tradizione evangelica occorre ovviamente instaurare un confronto letterario fra il testo dellApocalisse e i quattro
vangeli, distinguendo, ma non separando Sinottici e quarto vangelo. Lope11. Il termine intertestualit stato coniato da J. Kristeva nel 1967, nel suo articolo su
Bakhtine: Tout texte se construit comme mosaque de citations, tout texte est absorption et
transformation dun autre texte. la place de notion dintersubjectivit (di Bakthine)
sinstalle celle dintertextualit (J. Kristeva, Bakhtine, le mot, le dialogue et le roman,
Critique 239 (1967) 438-465 (pp. 440-441). Una definizione pi precisa la formula Ellen
van Wolde: The writer assigns meaning to his own context (storico-culturale) and in interaction with other texts he shapes and forms his own text (S. Draisma [ed.], Intertextuality in Biblical Writings. Essays in Honour of Bas van Iersel, Kok, Kampen 1989, 47).
12. Cf. nota precedente.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

119

razione stata compiuta gi, anche se da pochi. La tradizione di Ges, intrecciata nel testo dellApocalisse, presuppone inoltre una tradizione pi
ampia, che i lettori sono invitati a custodire (threin)13 e a mantenere
(kratein): la testimonianza di Ges. La tradizione di Ges nellApocalisse viene a confermare quella evangelica e a dimostrare come essa possa configurarsi in veste nuova in contesti nuovi e con nuove finalit rispetto
al contesto e alle finalit delle narrazioni evangeliche, luogo privilegiato
della memoria di Ges.
Nella nostra inchiesta procediamo per tre passi successivi:
1/ anzitutto stabiliamo la base oggettiva della memoria del Ges terreno nellApocalisse, registrando le risonanze della tradizione sinottica e di
quella giovannea;
2/ passiamo quindi a dimostrare che la testimonianza di Ges, di cui
per cinque volte si parla, va identificata con la tradizione gesuana, custodita dai cristiani della comunit e confessata a costo della vita;
3/ infine si constater che la verit della rivelazione presente in ordine
al futuro fondata nella testimonianza di Ges, del Ges terreno.

1. Tradizione evangelica ed Apocalisse


Il metodo che useremo per scoprire le risonanze sar, dunque, quello della
intertestualit del testo dellApocalisse con quello dei vangeli, prescindendo dalla questione se si tratti di citazioni implicite, allusioni o altro: si presuppone che la tradizione evangelica fosse patrimonio dellautore, di cui
egli disponeva per la sua narrazione apocalittica.
Il modello metodologico della Formgeschichte di R. Bultmann ipotizzava invece che almeno in alcuni casi i detti di Ges presenti nella tradizione evangelica fossero opera di profeti cristiani come risulterebbe da Ap
3,20 e 16,1514. H. Kster, sulla sua scia, sosteneva che la tradizione dei detti
di Ges nei Padri Apostolici era ancora fluida fino alla prima met del II
secolo, e perci passibile non solo di essere formulata in modo diverso, ma
anche accresciuta15.
13. La tesi di Marcello Marino su questo tema, diretta da U. Vanni (Il verbo threin

nellApocalisse alla luce della tradizione giovannea), difesa alla PUG nel 1999 e che
verr pubblicata in Supplementi a Rivista Biblica, dimostra che custodire la traduzione
pi appropriata di questo verbo.
14. R. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition, V&R, Gttingen 19646, 134.
15. Cf. sopra la n. 10.

120

G. SEGALLA

Contro una tale ipotesi e in favore di una fedelt sostanziale nella trasmissione dei detti del Ges storico scrisse la sua tesi L. A. Vos nel 1964,
fondandosi sulle ricerche della scuola scandinava (H. Riesenfeld e B.
Gerhardsson); egli vi sosteneva la sostanziale fedelt storica della tradizione evangelica di Ges, appellandosi al modo di trasmettere la tradizione in
ambiente giudaico16.
Ma gi i primi grandi commentari dellApocalisse, agli inizi del secolo scorso, prendevano in considerazione il rapporto dellApocalisse con i vangeli.
H. B. Swete nel suo grande commento del 1908 sosteneva: ..it may be
assumed thatif not one or more of our present Gospels, some collection
or collections of our present Gospels of our Lord Jesus were probably in
their (churches) hands and familiar to our author17.
R. H. Charles nel suo commento del 1920 dopo aver confrontato in tre
fitte pagine i contatti con i vangeli sinottici concludeva: ..it follows quite
decidely that our author (John) had the Gospels of Matthew and Luke
before him18; perci secondo lui dipendeva da questi due vangeli.
E. F. Scott nel 1939 a sua volta si esprimeva pi semplicemente in questo modo: (John) appears to know the Synoptic Gospels, the language of
which he frequently echoes19.
Secondo E. Lohmeyer invece lautore dellApocalisse non avrebbe posseduto fonti scritte, ma namenlose Traditionen20.
I grandi commenti pi recenti, se si eccettua E. Corsini, non trattano
pi il problema nelle loro introduzioni, ma ne accennano in modo sporadico, quando nel testo dellApocalisse ravvisano qualche influsso della tradizione evangelica. Tipico il recentissimo grande commento di G. K. Beale,
di tendenza conservatrice. Commentando lespressione o emartu/rhsen
to\n lo/gon touv qeouv kai th\n marturian Ihsouv Cristouv osa eiden di Ap
1,2 in riferimento ad 1,9, scrive: There is undoubtely a link between the
occurrence of the expression here (Rev 1:1; 6:9; 20:4) and its occurrence
in 1:9b, which focuses most of Johns own witness to the authority of the
16. B. Gerhardsson, Memory & Manuscript. Oral Tradition and Written Transmission in

Rabbinic Judaism and Early Christianity with Tradition & Transmission in Early Christianity, Foreword by Jacob Neusner (The Biblical Resource Series), Eerdmans, Gran Rapids, Michigan/Dove Booksellers, Livonia, Michigan 1998 (1961, 19642).
17. H. B. Swete, The Apokalypse of St John, Eerdmans, Gran Rapids 19083 (London 1906;
19072), XCVI.
18. R. H. Charles, A Critical and Exegetical Commentary on the Revelation of St. John, I,
(ICC), T&T Clark, Edinburgh 1920, LXV; cf. anche XCIV.
19. E. F. Scott, The Book of Revelation, SCM, London 1939, 30.
20. E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes (HNT, 16), Mohr, Tbingen 19532, 196.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

121

earthly Christ, with whom he was familiar from the Jesus tradition of the
Gospels (corsivo mio) e in nota cita Vos: unasserzione generica che per
viene tenuta presente in molti dei testi commentati21.
Sulla scia di L. A. Vos, di R. Bauckham e di Beale, lipotesi da cui
muovo non si rif al loro modello di una tradizione orale o scritta, ma piuttosto a quello di una tradizione cristiana, che conservava la memoria di
Ges e del suo insegnamento. Tale tradizione si rivela nel vocabolario religioso, in espressioni tradizionali fisse, in risonanze lontane di tradizioni pi
ampie (parabole, detti escatologici, viva memoria della morte di Ges). E
si intrecciava pure talora con la tradizione veterotestamentaria in un sistema narrativo nuovo quale quello dellApocalisse.
Va tenuto presente che lApocalisse tardiva (94-95 d.C.) rispetto alla
tradizione originaria di Ges ed anche alla sua fissazione scritta nei nostri
vangeli (a parte il quarto); va pure ricordato che non intende narrare la storia di Ges, ma uno scritto indirizzato alle chiese per confortarle in un
momento difficile, presentando Ges Agnello sgozzato come vincitore sulla triade demoniaca del Drago e delle due fiere. Tenendo conto della data
di composizione e della natura dello scritto, non dobbiamo aspettarci se non
delle risonanze della memoria di Ges in un contesto diverso e con funzioni diverse rispetto ai vangeli.
Registriamo perci i dati cio le risonanze, utilizzando gli elenchi di
Charles22 e di Vos23, aggiungendovi il risultato di un mio seminario di ricerca e distinguendo i Sinottici dal quarto vangelo.

1.1. Risonanze della tradizione sinottica


1/Ap 1,1: Apokaluyi Ihsouv Cristouv
Un incipit simile, ove il genitivo di
Ges Cristo soggettivo: certo in Ap,
possibile in Mc.

Mc 1,1: Arch\ touv eujaggeliou Ihsouv

2/ Ap 1,1: a dei genesqai

otan de akou/shte polemou kai


akoa polemwn, mh\ qroeisqe: dei
genesqai nel discorso escatologico di

Cristouv [uiouv qeouv].

Ges (Mc 13,7/Mt 24,6/Lc 21,9)


21. G. K. Beale, The Book of Revelation, 184; cf. anche 126, 138, 154, 202, 238, ecc.
22. R. H. Charles, A Critical, LXXXIV-LXXXVI per i Sinottici; XXXI-XXXIII per il

quarto vangelo.
23. L. A. Vos, The Synoptc Traditions in the Apocalypse, Kok, Kampen 1965, 218-219.

122

G. SEGALLA

3/ Ap 1,3: Makario oJ anaginwskwn


kai oi akou/onte tou\ lo/gou thv
profhteia kai throuvnte ta en aujthv
gegrammena, oJ gar kairo\ eggu/.

Lc 11,28: aujto\ de eipen: menouvn


makarioi oi akou/onte to\n lo/gon touv
qeouv kai fulassonte.

La beatitudine di chi ascolta e custodisce la parola.


4/ Ap 1,3b: oJ gar kairo\ eggu/.
La vicinanza del tempo escatologico.

5/ Ap 1,7: Idou\ ercetai meta twn


nefelwn, kai oyetai aujto\n pa
ojfqalmo\ kai oitine aujto\n exekenthsan, kai ko/yontai ep aujto\n
pasai ai fulai thv ghv. nai, amh/n.
Un contesto escatologico comune;
anche se nellAp non compare il Figlio
delluomo, vi un chiaro riferimento al
testo di Daniele 7,13.
6/ Ap 1,16: kai hJ oyi aujtouv w oJ
hlio fainei en thv dunamei aujtouv.
1,17: eqhken th\n dexian aujtouv ep eme
legwn: mh\ fobouv:

Lc 21,8: oJ de eipen: blepete mh\


planhqhvte: polloi gar eleu/sontai epi
tw ojno/mati mou legonte: egw eimi,
kai: oJ kairo\ hggiken. mh\ poreuqhvte
ojpisw aujtwn.

Mt 24,30: kai to/te fanh/setai to\


shmeion touv uiouv touv anqrwpou en
oujranw, kai to/te ko/yontai pasai ai
fulai thv ghv kai oyontai to\n uio\n
touv anqrwpou erco/menon epi twn
nefelwn touv oujranouv meta dunamew
kai do/xh pollhv:

Mt 17,2.7 (parr): kai elamyen to\ pro/


swpon aujtouv w oJ hlio kai proshvlqen oJ Ihsouv kai ayameno aujtwn
eipen: egerqhte kai mh\ fobeisqe.

Una risonanza del racconto della trasfigurazione.


7/ Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22; 13,9: O

Mc 4,9.23/Mt 13,9.43/Lc 8,8: kai

ecwn ou akousatw ti to\ pneuvma legei

elegen: o ecei wta akou/ein akouetw.

Il richiamo allattenzione: in contesto


simbolico parenetico in Ap e in contesto parabolico nei Sinottici24.
8/ Ap 3,3b: ean oun mh\ grhgorh/sh,
hxw w klepth, kai ouj mh\ gnw poian
wran hxw epi se.

Lc 12,39: touvto de ginwskete oti ei


hdei oJ oikodespo/th poia wra oJ
klepth ercetai, oujk an afhvken

24. Si veda linteressante articolo di Anne-Marit Enroth, The Hearing Formula in the Book
of Revelation, NTS 36 (1990) 598-608: The Origin of Hearing Formula is the Parable tradition (p. 601). La sua funzione non n noetica (comprendere una verit o un
insegnamento difficile) n tanto meno esoterica, ma sempre parenetica (p. 607).

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

123

Simile a questo testo il seguente:


Ap 16,15: Idou\ ercomai w klepth.

diorucqhvnai to\n oikon aujtouv. Lc 12,

makario oJ grhgorwn kai thrwn ta


imatia aujtouv, ina mh\ gumno\ peripathv
kai blepwsin th\n aschmosu/nhn
aujtouv.

makarioi oi douvloi ekeinoi, ou elqwn


oJ ku/rio euJrh/sei grhgorouvnta...
makarioi eisin ekeinoi.

37-38:

Il paragone del ladro per la vigilanza e


la beatitudine di chi vigilante
9/ Ap 3,5: O nikwn outw peribaleitai

Mt 10,32: Pa oun osti oJmologh/sei

en imatioi leukoi kai ouj mh\ exaleiyw to\ onoma aujtouv ek thv biblou
thv zwhv kai oJmologh/sw to\ onoma
aujtouv enwpion touv patro/ mou kai
enwpion twn aggelwn aujtouv.

en emoi emprosqen twn anqrwpwn,


oJmologh/sw kagw en aujtw emprosqen
touv patro/ mou touv en [toi] oujranoi:

Potrebbe darsi che la formulazione


dellApocalisse sia pi vicina alla
tradizione originaria di Ges come
sostiene Vos, ma difficile provarlo.
10/ Ap 3,8: oida sou ta erga, idou\
dedwka enwpio/n sou qu/ran hjnewgmenhn, hn oujdei du/natai kleisai aujth/
n, oti mikran ecei du/namin kai eth/
rhsa mou to\n lo/gon kai oujk hjrnh/sw
to\ onoma mou.
NellAp la formulazione negativa,
mentre positiva in Q. La tematica la
stessa: il giudizio individuale, in base
alla confessione pubblica o al rinnegamento di Ges.

Lc 12,8b:
kai oJ uio\ touv anqrwpou oJmologh/sei
en aujtw emprosqen twn aggelwn touv
qeouv:

Mt 10,33: osti d an arnh/shtai me


emprosqen twn anqrwpwn, arnh/somai
kagw aujto\n emprosqen touv patro/ mou
touv en [toi] oujranoi. Lc 12,9:
oJ de arnhsameno/ me enwpion twn
anqrwpwn aparnhqh/setai enwpion
twn aggelwn touv qeouv.

11/ Ap 3,20: Idou\ esthka epi th\n qu/

Lc 12,36: kai uJmei omoioi anqrwpoi

ran kai krou/w: ean ti akou/sh thv


fwnhv mou kai anoixh th\n qu/ran, [kai]
eiseleu/somai pro\ aujto\n kai deipnh/
sw met aujtouv kai aujto\ met emouv. 25

prosdecomenoi to\n ku/rion eautwn po/


te analu/sh ek twn gamwn, ina elqo/
nto kai krou/santo eujqew anoixwsin aujtw.

25. Diverse sono le risonanze di questo testo; oltre a quella pi immediata e letterale di

Lc 12,36, vi si pu sentire quella sponsale (Ct 5,2; cf. Gv 3,29: il motivo della voce); pi
lontana la risonanza della voce del pastore in Gv 10,3.4.5.16.27; infine, ancor pi
remote, le risonanze del motivo del banchetto e di Gv 14,23-24.

124

G. SEGALLA

12/ Ap 3,21: O nikwn dwsw aujtw


kaqisai met emouv en tw qro/nw mou, w
kagw enikhsa kai ekaqisa meta touv
patro/ mou en tw qro/nw aujtouv.

Lc 22,30/Mt 19,28 (Q): ina esqhte kai


pinhte epi thv trapezh mou en thv
basileia mou, kai kaqh/sesqe epi qro/
nwn ta dwdeka fula krinonte touv
Israh/l.

13/ Ap 5,5: idou\ enikhsen oJ lewn oJ ek

Lc 4,17: kai epedo/qh aujtw biblion touv

thv fulhv Iou/da, hJ rJiza Dauid,


anoixai to\ biblion kai ta epta
sfragida aujtouv.

profh/tou Hsaiou kai anaptu/xa to\


biblion euren to\n to/pon ou hn
gegrammenon:

In ambedue i casi Ges apre il libro e


ne annuncia il compimento, anche se in
contesti e con funzioni diverse.
14/ Ap 5,5: oJ lewn oJ ek thv fulhv Iou/
da, hJ rJiza Dauid

15/ Ap 6,4: kai exhvlqen allo ippo


purro/, kai tw kaqhmenw ep aujto\n edo/
qh aujtw labein th\n eirh/nhn ek thv ghv
kai ina allh/lou sfaxousin kai edo/qh
aujtw macaira megalh.

Gn 49,9; Is 11,1.10; 2Sm 7,12-13 , che


influiscono sulle genealogie di Ges
(Mt 1,2.6/Lc 3,26.31)
Mt 10,34/Lc 12,51 (Q): Mh\ nomishte
oti hlqon balein eirh/nhn epi th\n ghvn:
oujk hlqon balein eirh/nhn alla
macairan.

Il secondo sigillo
16/ Ap 6,10:

kai ekraxan fwnhv


megalh legonte: ew po/te, oJ despo/th
oJ agio kai alhqino/, ouj krinei kai
ekdikei to\ aima hJmwn ek twn katoikou/
ntwn epi thv ghv;

Lc 18,7: oJ de qeo\ ouj mh\ poih/sh th\n


ekdikhsin twn eklektwn aujtouv twn
bowntwn aujtw hJmera kai nukto/, kai
makroqumei ep aujtoi;

Il quinto sigillo.
17/ Il racconto del sesto sigillo (Ap
6,12-17) contiene diverse risonanze del
discorso escatologico di Ges:
6,12-13a: Kai eidon ote hnoixen th\n
sfragida th\n ekthn, kai seismo\
mega egeneto kai oJ hlio egeneto
mela w sakko tricino kai hJ selh/
nh olh egeneto w aima kai oi astere
touv oujranouv epesan ei th\n ghvn, (cf.

Gl 3,4).

Mt 24,29/Mc 13,14-15: Eujqew de meta


th\n qliyin twn hJmerwn ekeinwn oJ hlio
skotisqh/setai, kai hJ selh/nh ouj dwsei to\ feggo aujthv, kai oi astere
pesouvntai apo\ touv oujranouv, kai ai
dunamei twn oujranwn saleuqh/sontai.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

125

6,15-16: Kai oi basilei thv ghv kai

Lc 23,30 (cf. Os 10,8): to/te arxontai

oi megistane kai oi ciliarcoi kai oi


plou/sioi kai oi iscuroi kai pa
douvlo kai eleu/qero ekruyan
eautou\ ei ta sph/laia kai ei ta
petra twn ojrewn kai legousin toi
oresin kai tai petrai: pesete ef
hJma kai kru/yate hJma apo\ proswpou touv kaqhmenou epi touv qro/nou
kai apo\ thv ojrghv touv arniou,
6,17: oti hlqen hJ hJmera hJ megalh thv
ojrghv aujtwn, kai ti du/natai
staqhvnai;

legein toi oresin: pesete ef hJma,


kai toi bounoi: kalu/yate hJma:

Ges alle donne di Gerusalemme mentre sale verso il Calvario.

Lc 21,36: agrupneite de en panti


kairw deo/menoi ina katiscu/shte
ekfugein tauvta panta ta mellonta
ginesqai kai staqhvnai emprosqen touv
uiouv touv anqrwpou.

Il discorso escatologico di Ges il repertorio cui attinge liberamente lApocalisse.


18/ Ap 11,2: kai th\n aujlh\n th\n exwqen
touv naouv ekbale exwqen kai mh\ aujth\n
metrh/sh, oti edo/qh toi eqnesin, kai
th\n po/lin th\n agian path/sousin mhvna
tesserakonta [kai] du/o.

Lc 21,24: kai pesouvntai sto/mati


macairh kai aicmalwtisqh/sontai ei
ta eqnh panta, kai Ierousalh\m estai
patoumenh uJpo\ eqnwn, acri ou
plhrwqwsin kairoi eqnwn.

19/ Ap 11,6: outoi ecousin th\n


exousian kleisai to\n oujrano/n, ina mh\
uJeto\ brech ta hJmera thv
profhteia aujtwn, kai exousian
ecousin epi twn uJdatwn strefein
aujta ei aima kai pataxai th\n ghvn en
pash plhghv oJsaki ean qelh/swsin.

Lc 4,25: ep alhqeia de legw uJmin,


pollai chvrai hsan en tai hJmerai
Hliou en tw Israh/l, ote ekleisqh oJ
oujrano\ epi eth tria kai mhvna ex, w
egeneto limo\ mega epi pasan th\n
ghvn,

20/ Ap 12,5: kai eteken uio\n arsen, o

Mt 2,6: kai su\ Bhqleem, ghv Iou/da,

mellei poimainein panta ta eqnh en


rJabdw sidhra. kai hJrpasqh to\ teknon
aujthv pro\ to\n qeo\n kai pro\ to\n qro/
non aujtouv.

oujdamw elacisth ei en toi hJgemo/sin


Iou/da: ek souv gar exeleu/setai hJgou/
meno, osti poimanei to\n lao/n mou to\n
Israh/l.
Lc 2,32: fw ei apokaluyin eqnwn
kai do/xan laouv sou Israh/l.

Probabile allusione
nascita del messia26.

simbolica

alla

26. La maggioranza dei commenti, seguendo la tesi di A. Feuillet (Le Messie et sa Mre
daprs le chapitre XII de lApocalypse, Etudes Johanniques, Paris 1962, 272-310), leggono
in questo testo un riferimento diretto alla nascita messianica del mattino di Pasqua,
attraverso i dolori del parto che corrispondono al Calvario (p. 279). Ma si ammette che

126

G. SEGALLA

21/ Ap 12,9: kai eblh/qh oJ drakwn oJ


mega, oJ ofi oJ arcaio, oJ kalou/meno
Diabolo kai oJ Satana, oJ planwn th\n
oikoumenhn olhn, eblh/qh ei th\n ghvn,
kai oi aggeloi aujtouv met aujtouv eblh/
qhsan.

Lc 10,18: eipen de aujtoi: eqewroun


to\n satanan w astraph\n ek touv
oujranouv peso/nta.

22/ Ap 13,10: ei ti ei aicmalwsian,

Mt 26,52: to/te legei aujtw oJ Ihsouv:

ei aicmalwsian uJpagei: ei ti en
macairh apoktanqhvnai aujto\n en
macairh apoktanqhvnai. Wde estin hJ
uJpomonh\ kai hJ pisti twn agiwn.

apo/streyon th\n macairan sou ei to\n


to/pon aujthv: pante gar oi labo/nte
macairan en macairh apolouvntai.

23/ Ap 13,11.13: Kai eidon allo

Mt 7,15: Prosecete apo\ twn


yeudoprofhtwn, oitine ercontai pro\
uJma en endu/masin probatwn, eswqen
de eisin lu/koi arpage.

qhrion anabainon ek thv ghv, kai eicen


kerata du/o omoia arniw kai elalei w
drakwn. kai poiei shmeia megala, ina
kai puvr poihv ek touv oujranouv katabainein ei th\n ghvn enwpion twn anqrwpwn,

In ambedue i casi i falsi profeti si camuffano da agnello o da pecora.


24/ Ap 14,4b: outoi oi akolouqouvnte

Lc 9,57/Mt 8,19: Kai poreuomenwn

tw arniw opou an uJpagh. outoi


hjgorasqhsan apo\ twn anqrwpwn
aparch\ tw qew kai tw arniw,27

aujtwn en thv oJdw eipen ti pro\ aujto/


n: akolouqh/sw soi opou ean aperch.

25/ Ap 14,6: Kai eidon allon aggelon

Mt 24,14/Mc 13,10: kai khrucqh/setai


touvto to\ eujaggelion thv basileia en

peto/menon en mesouranh/mati, econta

indirettamente vi risuoni anche la nascita di Ges a Betlemme secondo Matteo e la minaccia


della sua morte. In questo senso va anche il recente commento di E. Lupieri: Che quanto egli
(Giovanni) vede (in cielo) corrisponda a immagini tradizionali giudaiche innegabile; che
rifletta in qualche modo la nascita di Ges perseguitato da Erode, almeno secondo il primo
Vangelo, possibile. Tutto ci per secondario rispetto a ci che Giovanni vuol dire. La
vicenda storica di Ges certo fondamentale per il cristianesimo primitivo e per quella che
deve essere stata la fede personale del veggente di Patmo; tuttavia, nella storia umana di
Ges tutto sarebbe anche potuto essere diversoQuello che conta che tutto si sia gi
realizzato in Dio; solo perci tutto pu essere realmente accaduto nella storia. Pu essere
rivisto o previsto da Giovanni, pu verificarsi ancora alla fine dei tempi (LApocalisse di
Giovanni, a cura di E. Lupieri, Valla-Mondadori, Milano 1999, 196-97; il corsivo mio).
27. Si veda lo studio monografico di M. Mazzeo, La sequela di Cristo nel libro dellApocalisse, Paoline, Milano 1997.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

127

eujaggelion aiwnion eujaggelisai epi


tou\ kaqhmenou epi thv ghv kai epi
pan eqno kai fulh\n kai glwssan kai
lao/n,

olh thv oikoumenh ei martu/rion pasin


toi eqnesin, kai to/te hxei to\ telo.

26/ Ap 14,14: Kai eidon, kai idou\

Mt 26,64/Mc 14,62: legei aujtw oJ

nefelh leukh/, kai epi th\n nefelhn


kaqh/menon omoion uio\n anqrwpou,
ecwn epi thv kefalhv aujtouv stefanon
crusouvn kai en thv ceiri aujtouv
drepanon ojxu/.

Ihsouv: su\ eipa. plh\n legw uJmin: ap


arti oyesqe to\n uio\n touv anqrwpou
kaqh/menon ek dexiwn thv dunamew
kai erco/menon epi twn nefelwn touv
oujranouv.

27/ Ap 14,15-16: kai allo aggelo


exhvlqen ek touv naouv krazwn en fwnhv
megalh tw kaqhmenw epi thv nefelh:
pemyon to\ drepano/n sou kai qerison,
oti hlqen hJ wra qerisai, oti exhranqh
oJ qerismo\ thv ghv. kai ebalen oJ kaqh/
meno epi thv nefelh to\ drepanon
aujtouv epi th\n ghvn kai eqerisqh hJ ghv.

Mt 13,24-30: la parabola escatologica


della mietitura.

28/ Ap 18,4: Kai hkousa allhn fwnh\n


ek touv oujranouv legousan: exelqate oJ
lao/ mou ex aujthv ina mh\ sugkoinwnh/
shte tai amartiai aujthv, kai ek twn
plhgwn aujthv ina mh\ labhte,

Lc 21,20-21: Otan de idhte kukloumenhn uJpo\ stratopedwn Ierousalh/m,


to/te gnwte oti hggiken hJ erh/mwsi
aujthv. to/te oi en thv Ioudaia feugetwsan ei ta orh kai oi en mesw aujthv
ekcwreitwsan kai oi en tai cwrai
mh\ eisercesqwsan ei aujth/n,

29/ Ap 18,21: Kai hren ei aggelo


iscuro\ liqon w mu/linon megan kai
ebalen ei th\n qalassan legwn:
outw oJrmh/mati blhqh/setai Babulwn
hJ megalh po/li kai ouj mh\ euJreqhv eti.

Lc 17,2 (Mt 18,6; Mc 9,42): lusitelei


aujtw ei liqo muliko\ perikeitai peri
to\n trachlon aujtouv kai erriptai ei
th\n qalassan h ina skandalish twn
mikrwn tou/twn ena.

30/ Ap 18,24: kai en aujthv aima


profhtwn kai agiwn euJreqh kai
pantwn twn esfagmenwn epi thv ghv.

Lc 11,50 (Mt 23,35): ina ekzhthqhv to\


aima pantwn twn profhtwn to\
ekkecumenon apo\ katabolhv ko/smou
apo\ thv genea tau/th,

31/ Ap 19,6-9; 21,2: le nozze della


sposa con lAgnello, lo sposo.

Mc 2,18-20 parr; Gv 3,29: Ges sposo,


annunciato in forma enigmatica e simbolica.

128

G. SEGALLA

32/ Ap 19,9a: Kai legei moi: grayon:


makarioi oi ei to\ deipnon touv gamou
touv arniou keklhmenoi.

Lc 14,16-17: O de eipen aujtw:


anqrwpo/ ti epoiei deipnon mega, kai
ekalesen pollou\ kai apesteilen to\n
douvlon aujtouv thv wra touv deipnou
eipein toi keklhmenoi: ercesqe, oti
hdh etoima estin.

1.2. Risonanze della tradizione giovannea


1/ Ap 1,5 e 19,6: Ges re

Gv 18,36-37: Ges re

2/ Ap 1,5b: Tw agapwnti hJma kai lu/

1Gv 1,7: kai to\ aima Ihsouv touv uiouv

santi hJma ek twn amartiwn hJmwn en


tw aimati aujtouv,

aujtouv kaqarizei hJma apo\ pash


amartia. (cf. anche Gv 13,34; 15,9)
1 Gv 2,2: kai aujto\ ilasmo/ estin
peri twn amartiwn hJmwn, ouj peri twn
hJmeterwn de mo/non alla kai peri olou
touv ko/smou.

3/ Ap 1,7: Idou\ ercetai meta twn


nefelwn, kai oyetai aujto\n pa ojfqalmo\ kai oitine aujto\n exekenthsan,
kai ko/yontai ep aujto\n pasai ai
fulai thv ghv. nai, amh/n.

Gv 19,37: kai palin etera grafh\


legei: oyontai ei on exekenthsan. (Zc
12,10)

4/ Ap 3,20: Idou\ esthka epi th\n qu/ran


kai krou/w: ean ti akou/sh thv fwnhv
mou kai anoixh th\n qu/ran, [kai]
eiseleu/somai pro\ aujto\n kai deipnh/
sw met aujtouv kai aujto\ met emouv.

Gv 3,29: oJ ecwn th\n nu/mfhn numfio

5/ Ap 3,14b: Tade legei oJ amh/n, oJ


martu oJ pisto\ kai alhqino/, hJ arch\
thv ktisew touv qeouv: Ap 22,13:
egw to\ alfa kai to\ w, oJ prwto kai oJ
escato, hJ arch\ kai to\ telo.

estin: oJ de filo touv numfiou oJ


esthkw kai akou/wn aujtouv cara
cairei dia th\n fwnh\n touv numfiou.
auth oun hJ cara hJ emh\ peplh/rwtai.

Gv 1,1-3: En archv hn oJ lo/go, kai oJ lo/


go hn pro\ to\n qeo/n, kai qeo\ hn oJ lo/
go. outo hn en archv pro\ to\n qeo/n.
panta di aujtouv egeneto, kai cwri
aujtouv egeneto oujde en. o gegonen (cf.
anche Col 1,15)

6/ Ap 11,8: kai to\ ptwma aujtwn epi


thv plateia thv po/lew thv megalh,
hti kaleitai pneumatikw So/doma

Gv 19,20: touvton oun to\n titlon


polloi anegnwsan twn Ioudaiwn, oti
eggu\ hn oJ to/po thv po/lew opou

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

129

kai Aigupto, opou kai oJ ku/rio aujtwn


estaurwqh.

estaurwqh oJ Ihsouv: kai hn gegrammenon Ebraisti, Rwmaisti, Ellhnisti.

7/ Ap 12,11: kai aujtoi enikhsan


aujto\n dia to\ aima touv arniou kai dia
to\n lo/gon thv marturia aujtwn kai
oujk hjgaphsan th\n yuch\n aujtwn acri
qanatou.

Gv 12,25: oJ filwn th\n yuch\n aujtouv


apollu/ei aujth/n, kai oJ miswn th\n
yuch\n aujtouv en tw ko/smw tou/tw ei
zwh\n aiwnion fulaxei aujth/n.

8/ Ap 19,13: kai peribeblhmeno ima-

Gv 1,1.2.14; 19,34

tion bebammenon aimati, kai keklhtai


to\ onoma aujtouv oJ lo/go touv qeouv.

9/ Ap 21,3b: idou\ hJ skhnh\ touv qeouv

Gv 1,14: Kai oJ lo/go sarx egeneto kai

meta twn anqrwpwn, kai skhnwsei met


aujtwn, kai aujtoi laoi aujtouv esontai,
kai aujto\ oJ qeo\ met aujtwn estai
[aujtwn qeo/],

eskh/nwsen en hJmin, kai eqeasameqa


th\n do/xan aujtouv, do/xan w monogenouv para patro/, plh/rh carito
kai alhqeia.

Il verbo skhnoun nel NT ricorre solo in Gv 1,14 e 4 volte nellApocalisse.


Per il quarto vangelo, oltre alle 9 risonanze specifiche nei testi, sono
state rilevati una decina di sintagmi e parole, comuni in modo singolare ai
due scritti, di cui diamo lelenco:
Apocalisse

Giovanni

1/ poiein shmeion

2/ threin ta entola

4 (1Gv 5x)

3/ deiknumi (=rivelare)

4/ ebraisti

5/ marturia

6/ nikan

17

14 (nel resto del NT 4x)

14 (1Gv 6x e 2Gv 1x)


1

7/ piazein

8 (nel resto del NT 3x)

8/ shmainein

9/ sfazein

0 (1Gv 2x)

10/ filein

13

130

G. SEGALLA

1.3. Quale tradizione e quale funzione


Nelle tabelle comparate ho riportato ben 32 risonanze della tradizione
sinottica e 9 di quella giovannea (e la terminologia singolarmente comune), senza preoccuparmi di distinguere fra citazione implicita, allusione o
altro. Io stesso sono rimasto sorpreso per la copiosa messe di risonanze
evangeliche nel racconto dellApocalisse.
Per un minimo di articolazione di tali risonanze, ci si pu chiedere
a quali tradizioni di Ges attinge maggiormente lApocalisse e in quali
testi.
Vi ricorre poco la storia di Ges come eventi esterni a parte la sua
ascendenza giudaica e davidica (Ap 5,5a; 22,6; cf. 3,7; 12,5-6) e la sua
morte a Gerusalemme (Ap 11,8), mentre si presuppone il ritorno in vita
dal regno dei morti (Ap 1,5), anche se non si usa la terminologia tipica
della risurrezione. Pi tenue il rapporto con la trasfigurazione di Ges
(Ap 1,16-17; 14,14) e lapertura e la lettura del libro sacro a Nazaret (Ap
5,1-5).
Pi frequentata invece la tradizione dei detti di Ges. E difatti su
questa che si concentra lo studio del Vos. Ma quali forme letterarie dei
detti di Ges sono pi usate? Non c dubbio: i detti di genere
escatologico. Risonanze di detti escatologici o del discorso escatolgico di
Ges ricorrono in 15 dei 32 testi sinottici (ai nn. 2,4,5,9,10,16,17,18,21,
23,26,28,29,30); in secondo luogo viene il ricorso alle parabole e al loro
tipo di discorso ai nn. 7,8,27; un detto riguarda la sequela (n. 24), uno la
futura evangelizzazione (n. 25) e due lo sposo (nn. 31-32). Meno forte
il ricorso alla tradizione giovannea, ma significativo: il tema dello sposo,
di Ges re, la morte di Ges a Gerusalemme, il detto sulla rinuncia alla
propria vita; il resto deriva dal kerygma giovanneo, cio dalla tradizione
postpasquale su Ges, privilegiando leco del prologo.
I testi dellApocalisse, in cui maggiormente si concentrano le risonanze, sono le sette lettere e i sette sigilli, circa i 2/3; pi sporadicamente
compare nel resto del libro, se si eccettua lacuto dello sposalizio conclusivo (Ap 19-20), ove risuonano congiuntamente i motivi del banchetto e
dello sposo. Un forte impatto ha perci la simbologia dellAgnello e dello Sposo, presenti nella tradizione sinottica e giovannea, sia pure in forma diversa.
Come si pu constatare, la tradizione dei detti escatologici di Ges e in
seconda battuta quella mistica del banchetto, dellAgnello e dello Sposo,
vengono proiettate in un nuovo orizzonte per celebrare la vittoria dellAgnello sulla triade demoniaca e i conseguenti cielo nuovo, terra nuova e

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

131

nuova Gerusalemme, che discende dal cielo. Tale vittoria fondata su quella gi conseguita da Ges con la sua morte, il suo sangue e la sua risurrezione, ed radicata nelle parole profetiche del Ges terreno. Luso della
tradizione sinottica e di quella giovannea coerente con la narrazione
apocalittica della lotta e della vittoria sulle forze del male, che si scatenano
contro le comunit cristiane.
Il particolare ricorso alla tradizione di Ges dunque corrispondente al
genere letterario e alla finalit dellApocalisse.
Ma, oltre a queste ampie risonanze sparse nellApocalisse, si trovano
in essa dei cenni ad una tradizione di Ges pi ampia, che i cristiani sono
invitati a custodire e a confessare in una situazione difficile.

2. La testimonianza di Ges, espressione sintetica della tradizione


gesuana, custodita e testimoniata
Osserviamo anzitutto che lApocalisse, insieme alla lettera agli Ebrei28, il
libro del NT fuori dei vangeli, in cui ricorre ben 9 volte il nome di Ges
da solo, con riferimento sicuro al Ges terreno. Complessivamente
Gesvi ricorre 14 volte: 9 da solo (1,9.9.; 12,17; 14,12; 17,6; 19,10.10;
20,4; 22,16), tre volte unito a Cristo, tutte nel prologo (1,1.2.5) e due con
Kurio nellinvocazione finale dellepilogo (22,20.21). Gi questo primo
rilievo statistico elementare ci dice linteresse dellautore e del libro per il
Ges terreno.
Ora, in cinque delle nove volte che ricorre il nome di Ges, vi compare unito ad un sintagma fisso h (thn) marturia(n) ihsou (1,9; 12,17;
1910.10; 20,4; cf. anche 6,9 ove sicuramente sottinteso).
Tale costatazione ci pone una domanda legittima: perch questa singolare presenza del nome di Ges, identificato con lAgnello sgozzato,
che ricorre 28 volte nellApocalisse? E che cosa significa lespressione
fissa: la testimonianza di Ges? Il nome di Ges rimanda alla persona
storica, che sta a fondamento della profezia contenuta nellApocalisse,
mentre lespressione Ges Cristo nel prologo (1,1.2.5) designa il Signore glorioso, lAgnello sgozzato che sta in piedi in mezzo al trono
(Ap 5,6) di fianco a colui che vi siede. Ora Ges Cristo soggettoautore della rivelazione, che riceve da Dio Padre (Ap 1,1.6; 2,28; 3,5.21;
14,1) e trasmette a Giovanni per mezzo dellangelo. Subito dopo, nel

28. Eb 2,9; 3,1; 4,14; 6,20; 7,22; 10,19; 12,2.24; 13,12.

132

G. SEGALLA

prescritto (Ap 1,5a), egli viene presentato con tre qualifiche, che caratterizzano tre momenti della sua esistenza e missione universale, terrena
e celeste:
Ges Cristo
il testimone fedele (durante la sua missione terrena fino alla morte):
il primogenito dei morti (con la sua risurrezione)
e il principe dei re della terra (per la signoria universale a lui data
dal Padre e la vittoria sulla bestia e i re della terra: Ap 19,16 nel quadro
di 19,11-21).
La dossologia che sale dallassemblea liturgica fa ancora memoria di
colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati mediante il suo sangue
(Ap 1,5b).
Dopo questo prologo con forti riferimenti a Ges, alla sua morte-risurrezione, al suo amore sempre attuale, quando inizia la narrazione vera e propria, si legge per la prima volta lespressione fissa la testimonianza di
Ges. Tenuto conto della precedente qualifica testimone fedele, deve riferirsi al contenuto della testimonianza, che ha origine da lui: il genitivo di
Ges infatti, come il genitivo dellincipit Rivelazione di Ges Cristo un
genitivo soggettivo e di autore. La testimonianza di Ges la tradizione
viva di lui, della sua persona e del suo insegnamento. Tale tradizione viene
chiamata testimonianza sia perch nella sua missione terrena egli testimoni il Padre sia perch tale tradizione di Ges devessere testimoniata dai
cristiani, in situazione di persecuzione, fino a rimetterci la vita (Ap 12,11).
Per dimostrare questa tesi, analizziamo i cinque testi in cui compare.
Il primo lo si trova nella breve narrazione autobiografica, che offre
lambientazione spazio-temporale delle visioni:
Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione e regno e
perseveranza in Ges, fui nellisola di Patmo, a causa della parola di Dio
e della testimonianza di Ges (Ap 1,9).
Giovanni, mediatore privilegiato della rivelazione di Ges Cristo fu
dunque relegato nellisola di Patmo a causa della parola di Dio e della testimonianza di Ges, una testimonianza, certo, antecedente la rivelazione
di cui sar privilegiato e che ha testimoniato (Ap 1,2). Le due espressioni,
parallele, si riferiscono ambedue alla tradizione viva di Ges; parola di
Dio infatti nel NT sinonimo della tradizione evangelica originaria29,

29. B. Gerhardsson, Memory & Manuscript, 223-24.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

133

mentre la testimonianza di Ges designa il suo contenuto. Il genitivo di


Ges non pu essere oggettivo (testimonianza resa a Ges) per il parallelismo con parola di Dio. Daltronde la marturia nel senso di tradizione
evangelica di Ges, attestata dal discepolo che Ges amava, tipica della tradizione giovannea, come pure il fatto che Ges dice le parole (la parola) di Dio(Gv 17,8.14, cf. anche 12,9). Lo dimostra e lo conferma la recente
monografia di R. Heinze30.
In Ap 6,9 si ha un secondo testo, in cui per il genitivo di Ges
chiaramente sottinteso31. Lo si legge allapertura del quinto sigillo:
E quando apr il quinto sigillo, vidi sotto laltare dei sacrifici le anime
(le persone) di quelli sgozzati a causa della parola di Dio e della testimonianza (di Ges) che avevano (possedevano).
Qui si ha qualcosa di nuovo, la proposizione relativa, che potrebbe
sfuggire tanto breve hn eicon. La testimonianza di Ges viene considerata possesso dei cristiani che per causa di essa furono sgozzati come
lAgnello. Essi rimasero fedeli alla persona e allinsegnamento di Ges, che
possedevano. I commenti recenti (Swete, Prigent, Corsini, Lupieri, Beale)
trascurano completamente la breve proposizione relativa che avevano,
mentre essa di somma importanza, per arguire una tradizione di Ges,
custodita e mantenuta a costo della vita.
Il terzo testo si legge nel racconto della guerra del drago contro la donna avvolta nel sole (Ap 12,1) e contro i rimanenti del suo seme, qualificati come coloro che custodiscono i comandamenti di Dio e che hanno
(possiedono) la testimonianza di Ges (Ap 12,17). Il motivo del possesso della testimonianza coerente col testo precedente. La novit rispetto
ai due gi considerati sta invece nel fatto che la testimonianza di Ges
non in parallelo con la parola di Dio, ma con i comandamenti di Dio,
che nella tradizione giovannea sono sinonimi dellinsegnamento impegnativo di Ges (come abbiamo visto sopra, il sintagma ricorre 2x nellAp, 4x
in Gv e 5x nella 1Gv) e riassumono la tradizione parenetica di lui, nei discorsi di addio (Gv 13-17) e nella 1Gv.

30. A. Heinze, Johannes-apokalypse, 301: o logo tou qeou kai h marturia Ihsou

umschreibt unter diesen Voraussetzungen eine ihm vorgegebene, ihn zu einer Handlung
antreibende Grsse; der Genitiv Ihsou wre in diesem Fall Gen. Sub., so dass es sich um
durch Jesus gegebene Zeugnis handeln wrde.
31. Per motivi di ritmo Lohmeyer sostituisce che avevano con Ges (Die Offenbarung,
63). Mentre N. Brox sostiene che anche se non si specifica di Ges , jedoch ist klar dass
es um das Zeugnis Jesu geht (Zeuge und Mrtyrer [SANT, 5], Ksel, Mnchen 1961, 94).
Cos anche Charles, A Critical, 174.

134

G. SEGALLA

Il quarto testo ricorre nel racconto dello sposalizio dellAgnello con la


donna, per lui adornata, contrapposta alla grande prostituta, punita con la
distruzione di Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle
abominazioni della terra (Ap 17,5 in Ap 17-18). Sono le parole con cui
langelo interprete ammonisce Giovanni, che cade davanti ai suoi piedi per
prostrarsi a lui, dopo che aveva annunciato la beatitudine di coloro che sono
invitati alle nozze dellAgnello (Ap 19,9):
Bada di non farlo: sono un conservo tuo e dei tuoi fratelli, quelli che
hanno (possiedono) la testimonianza di Ges.infatti la testimonianza di
Ges lo spirito della profezia (Ap 19,10).
questo un testo cruciale per identificare la testimonianza di Ges con
la tradizione gesuana, interpretata dopo la sua glorificazione presso il Padre mediante il Paraclito, il quale far capire ai credenti il significato delle
sue parole e il senso profetico che hanno in ordine al presente e al futuro
(Gv 14,26; 15,26; 16,12-15), come accade nellApocalisse. La testimonianza di Ges, nella tradizione giovannea, tale in quanto viene ricordata e
intepretata mediante la testimonianza dello Spirito (di profezia) (Gv 15,26;
16, 12-15). Il Paraclito che testimonia e interpreta Ges, strettamente legato alla memoria di ci che Ges aveva detto ai discepoli e che essi non
avevano ancora compreso (Gv 14,26; cf. anche 2,21-22; 12,16). Per la terza volta risuona qui il motivo del possesso della testimonianza di Ges, in
quanto i cristiani lavevano ricevuta ed accolta nella tradizione, che custodivano e vivevano32. La testimonianza di Ges esprime la pienezza del
Vangelo, che cambia lesistenza33, cos da renderla evidente nel mondo,
talmente evidente da creare una possibile opposizione. La testimonianza di
Ges rimanda dunque al vangelo di Ges, interpretato dallo Spirito.
Il quinto testo ricorre nella breve pericope dellannuncio del regno
millenario del Messia (Ap 20,1-6):
E vidi troni e sedettero su di essi e fu dato loro un giudizio, e le anime
(le persone) dei decapitati a causa della testimonianza di Ges e a causa
della parola di Dio e quanti non si prostrarono alla bestia n alla sua immagine e non presero il marchio sulla fronte e sulla loro mano (Ap
20,4). Le due motivazioni usuali qui sono invertite nellordine rispetto alla
prima di Ap 1,9. Il martirio per decapitazione stato conseguenza della
32. Cf. A. Satake, Die Gemeindeordnung in der Johannesapokalypse (WMANT, 21),
Neukirchener V., Neukirchen 1966, 102, n. 4: ecw habe immer den Sinn an etwas
festhalten: an keiner Stelle verbindet es sich dagegen mit einer Aufgabe fr Christen. Cf.
anche J. Beutler, Martyria, Frankfurt 1972, 189.
33. A. Heinze, Johannes-apokalypse, 303.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

135

resistenza alladorazione della bestia e della sua immagine. Tale resistenza


motivata dalla testimonianza di Ges e dalla parola di Dio, che i cristiani
possedevano, professavano e vivevano. La parola di Dio quanto contenuto nella testimonianza di Ges, cio nella tradizione evangelica, da loro
accolta, custodita e testimoniata fino alla morte.
In conclusione, la testimonianza di Ges la tradizione che da lui ha
origine; nellorizzonte giovanneo, riflette la testimonianza fedele di Ges
alla verit di Dio, contrapposta alla menzogna e allinganno del mondo,
rappresentato dalla superpotenza politica pagana, che pretende ladorazione e il servizio come fosse Dio, scimiottando lAgnello. Tale testimonianza viene identificata con lo spirito di profezia, perch interpretata dallo
Spirito donato da Ges, glorificato presso il Padre. La qualifica di testimonianza dovuta anche al contesto di lotta e di giudizio (Ap 20,4) contro la potenza soverchiante di Satana e dei suoi accoliti. Il vangelo di Ges
diviene testimonianza di Ges: testimonianza della verit contro la menzogna e linganno, di Dio contro Satana, del bene e della giustizia contro il
male e lingiustizia. La testimonianza di Ges si identifica con la parola di
Dio e con i suoi comandamenti.
Che vi sia una tradizione di Ges da mantenere (kratein) e da custodire (threin) lo si arguisce anche dai pochi, ma significativi testi, in cui ricorrono i due verbi custodire e mantenere in tre delle sette lettere alle
chiese: Tiatira, Filadelfia e Sardi.
Alla chiesa di Tiatira il Figlio di Dio (Ap 2,18) verso la fine della
sua lettera raccomanda:
Non butto su di voi altro pesose non che manteniate saldamente quello che avete (o ecete krathsete), fino a che io non sia giunto (Ap 2,24b-25).
Qui non viene espresso alcun oggetto del mantenere se non un generico quello che avete (possedete). Cos? Che si tratti di insegnamento
tramandato lo si evince anzitutto dal contesto immediatamente precedente,
ove si parla di insegnamento (thn didachn): Ma a voi dico, ai restanti che
sono in Tiatira, quanti non hanno questo insegnamento (di Gezabele: 2,20),
i quali non hanno conosciuto le profondit di Satana come loro dicono
(Ap 2,24a). Ci che hanno e che devono mantenere saldo dunque un altro insegnamento, quello della tradizione autentica di Ges.
Se dal contesto immediato, passiamo a quello canonico del NT, si incrociano altri due testi in cui il verbo kratein, usato in Ap 2,24, ha per oggetto la
paradosi, la tradizione dei padri in Mc 7,3 e le tradizioni che vi sono state insegnate, a voce o per lettera in 2Ts 2,15. Di quale insegnamento e di quale
tradizione si tratta se non di quella di Ges, che, come abbiamo visto sopra,
nellApocalisse viene chiamata la testimonianza di Ges?

136

G. SEGALLA

Nella lettera alla chiesa di Sardi si usa il verbo threin (custodire) nellorizzonte semantico di ricevere ed ascoltare:
Tieni a mente dunque come hai ricevuto e hai ascoltato, e custodisci/
threi e pentiti (ap 3,3a). Nel NT il verbo paralambanein/ricevere usato per ricevere ed accogliere insegnamenti e tradizioni trasmesse (1Cor
15,1; Fil 4,9). Ora la chiesa di Sardi invitata a ricordare linsegnamento ricevuto ed ascoltato e a custodirlo affinch produca la metanoia. La
predicazione di Ges, nella tradizione evangelica, inizia proprio con linvito al pentimento e alla fede nel vangelo (Mc 1,14-15). Nel contesto della
chiesa, ove il vangelo era gi stato predicato ed accolto nella fede, il pentimento viene dopo, come conseguenza di un richiamo a ravvivare quanto e
come stato accolto e ascoltato.
Nella lettera alla chiesa di Filadelfia ricorrono ambedue i verbi, threin
e kratein, custodire e mantenersi saldi.
Il Santo e Veritiero la elogia: Conosco bene le tue opere: ecco ho posto di fronte a te una porta aperta che nessuno pu chiuderla (!), poich hai
poca forza, e tuttavia hai custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio
nome (Ap 3,8). La comunit viene dunque elogiata perch ha custodito
lautentica tradizione di Ges, la sua parola e lha custodita anche di fronte
alla prova, non rinnegando il nome di Ges.
Pi avanti la esorta ancora alla perseveranza:
Mantieni saldo quello che hai . Il comando uguale a quello che
abbiamo gi incontrato nella lettera alla chiesa di Tiatira (Ap 2,25); come
abbiamo sopra dimostrato, si tratta della tradizione di Ges, dellinsegnamento ricevuto, cui si deve essere fedeli nella prova.
Le lettere alle chiese di Tiatira, di Sardi e di Filadelfia ci offrono
dunque brevi, ma preziose indicazioni, che invitano a tener salda la tradizione di Ges (il suo nome in Ap 2,13). Si presuppone perci che i
cristiani di queste comunit siano in possesso (ecein) di un insegnamento, che va custodito, mantenuto saldo, vissuto e difeso nella prova,
la testimonianza di Ges. I verbi qui usati sono impiegati nel NT per
indicare un insegnamento tradizionale da custodire nellautentica fede
e da tenere saldo nella prova. Che questo insegnamento sia quello di
Ges ci sembra dimostrato dallespressione fissa la testimonianza di
Ges e dalluso della tradizione evangelica, come sopra stato dimostrato.
La testimonianza di Ges non perci quella offerta nel libro
dellApocalisse (Ap 1,1-2), ma quella ricevuta dalle comunit cristiane al
loro inizio e che devono custodire e mantenere nella prova e far rivivere
per la conversione.

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

137

3.
La memoria simbolica del Ges terreno fonda la verit del presente
in ordine al futuro ultimo
Non vi dubbio dunque che la memoria di Ges circoli, discretamente,
nelle lettere e nelle visioni dellApocalisse, ancorch ri-figurata allinterno
di una narrazione profetico-apocalittica.
Alla fine di questo nostro itinerario alla scoperta della memoria di
Ges, dobbligo una domanda sintetica: quale figura di Ges trova risonanza nellApocalisse? E quale ri-figurazione ne viene data? La prima domanda corrisponde alla figura che risulta dai testi della tradizione
evangelica intrecciati nella narrazione apocalittica. La seconda risponde
invece al cambiamento da essa subito, per corrispondere alla funzione che
assunse allinterno del nuovo mondo del testo, costituito dal libro profetico.

3.1.

Quale figura del Ges terreno

La figura che domina dal proemio (Ap 1,5) alla battaglia decisiva (Ap
19,13) fino alle nozze conclusive (Ap 21,9) e alla sua collocazione nella
citt celeste sul trono di Dio, da cui nasce il fiume di acqua viva (22,1):
quella dellAgnello sgozzato. Anche se questa figura esplicita appare solo
in Ap 5,6.9 e 13,8, in modo indiretto tuttavia presente dovunque. Persino
il cavaliere, fedele e veritiero che siede sul cavallo bianco avvolto con
una veste immersa nel sangue (Ap 19,13), il sangue della croce (Ap 11,
8). Il re dei re, il Vincitore si presenta sempre con la sua carta di identit
storica pi precisa, anche se trasformata in un potente simbolo: la morte
violenta come testimone fedele (Ap 1,5; 11,8). Le 28 volte (7x4) che
Ges compare sulla scena come Agnello (sgozzato) porta sempre la sua
connotazione originaria datagli dalla prima apparizione in Ap 5,6.9. Ora,
la figura che pi gli si avvicina nella tradizione evangelica e di cui potrebbe essere risonanza quella del Ges giovanneo, che dopo la morte ritorna
ai suoi discepoli con i segni del crocifisso: le mani forate dai chiodi e il
petto squarciato (Gv 20,20.25-27); e gi allinizio della narrazione evangelica Giovanni laveva proclamanto lAgnello di Dio che toglie il peccato
del mondo (Gv 1,29; 19,36); ed lui che con la sua morte e risurrezione
ha vinto il mondo (Gv 16,33) ed dunque il Vincitore.
Un secondo tratto del Ges terreno, pur rimanendo sempre implicito e
simbolico, quello del Ges Messia Sposo, che si rivela discretamente nella metafora delle nozze in cui presente lo sposo (Mc 2,18-20 parr), fa
capolino nelle parabole dellattesa e in particolare in quella delle 10 vergi-

138

G. SEGALLA

ni (Mt 25,1-13); in Gv 3,29 sulla bocca di Giovanni Battista la metafora


diviene esplicita ed arriva al suo meriggio negli ultimi due capitoli
dellApocalisse (21,2.9; 22,17), un intreccio che potrebbe essere oggetto di
studio.
Un terzo tratto del Ges terreno si ricava dalle molte risonanze
nellApocalisse della predicazione escatologica di Ges, registrata nella tradizione sinottica, per cui indirettamente si presenta come il profeta
escatologico, che annuncia prossima la fine del mondo attuale e la venuta
di un mondo nuovo. La sua futura venuta come Figlio delluomo si
ammanta di colori apocalittici come giudizio finale in cui compare con le
nubi del cielo (Ap 1,7.13; cf. Mt 24,30). I moniti che risuonano ed esortano i cristiani perseguitati alla fedelt nella professione di fede (Ap
3,5b.8b.11) e le minacce di giudizio contro il potere personificato, che li
opprime: assicurano i profeti assassinati e testimoni di Ges che Dio far
giustizia (Ap 18,24; Lc 11,50). La tradizione pi insistita dei detti di Ges
perci decisamente quella escatologica, ove il dualismo fra comunit cristiana e mondo politico-religioso appare con pi evidenza.
Giovanni, autore dellApocalisse, ricorda dunque del Ges terreno
quanto gli poteva servire per la rivelazione che peraltro riceve dallo stesso
Ges Cristo per mezzo dell'angelo. Per un lettore che conosce la tradizione evangelica del Ges terreno, tale memoria ha la funzione di far percepire la continuit fra le rivelazioni profetiche di Ges Cristo e la
tradizione di Ges: re-messia, crocifisso, profeta fedele e veritiero del regno di Dio e del suo avvento futuro con la vittoria nel giudizio finale. La
testimonianza di Ges espressione apocalittica per la tradizione di
Ges reinterpretata mediante lo Spirito della profezia (Ap 19,10).
Il Ges della storia dunque fondamento e fondazione della rivelazione apocalittica. La tradizione storica di lui viene ri-figurata in funzione
delle comunit cristiane deboli e provate.

3.2.

La ri-figurazione apocalitica della tradizione di Ges

La memoria del Ges terreno, custodita nei Sinottici e in Giovanni e inserita nella trama dellApocalisse (Ges vincitore come crocifisso, profeta
escatologico del futuro regno di Dio, Sposo delle nozze con la comunit
degli eletti) vi risuona trasformata dal nuovo orizzonte letterario e dalla
nuova funzione.
Il Signore risorto con i segni dei chiodi e il petto squarciato si trasfigura simbolicamente nellAgnello sgozzato, che sta in piedi nel mezzo del

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

139

trono di Dio (Ap 4,2; 5,6). LAgnello sgozzato e vivente, anzi vittorioso
(Ap 5,5; 17,14) fa parte di un nuovo universo simbolico. In cielo, luogo
della trascendenza divina, e allorigine di quanto narrato nel dramma
dellApocalisse, sta fisso e solenne il trono di Dio, sede simbolica del suo
potere sovrano e universale. Dio colui che seduto senza figura, ma
raffigurato solo con dei colori di pietre preziose che colpiscono il
veggente (Ap 4,2b-3). LAgnello sgozzato in piedi, a destra del trono, riceve da Dio sette qualifiche: potenza e ricchezza e sapienza, e forza e
onore e gloria e benedizione (Ap 5,12). Anche se vi possono risuonare i
motivi anticotestamentari dellagnello pasquale e del servo sacrificato (Is
53,7ss) tuttavia un simbolo che ha come referente storico unitario il
Ges giovanneo: agnello che toglie il peccato del mondo (Ap 1,5b; 5,9;
cf. Gv 1,29; 19,36). NellApocalisse per il crocifisso risorto e vincitore, ed per questo che munito di sette corna (la pienezza della potenza) e di sette occhi (la pienezza della rivelazione). E si trasforma pure
in ariete capo-branco che guida i suoi alla lotta e alla vittoria (Ap 17,14;
19,13). Ges il crocifisso risorto, che siede alla destra di Dio e da lui
riceve potere e sovranit sulla storia presente e futura. Per questo pu rivelarne il corso fino alla discesa sulla terra della Sposa, adornata per
lAgnello sposo, la comunit cristiana unita a lui per sempre. Mentre nel
vangelo il movimento dal passato di Ges (la sua missione storica) al
presente: il Signore crocifisso e risorto presente nella sua comunit di discepoli cui dona lo Spirito promesso; lAgnello sgozzato invece simbolo che muove dal presente verso il futuro, rappresentato drammaticamente
dalle sette lettere e dalle visioni, e tuttavia in continuit, a monte nella
memoria simbolica, con la sua missione passata, compiuta ma ancora da
completarsi nella storia futura.
La seconda ri-figurazione quella che compare implicitamente e di
sfuggita nelle lettere (Ap 3,20) e con solenne drammaticit nella visione
finale (Ap 21,1-22,17): Ges Sposo e la Sposa che lo incontra scendendo
dal cielo, la donna dellAgnello (Ap 21,9), la nuova Gerusalemme. La
tradizione evangelica del Ges Sposo-Messia si presenta in due forme diverse: 1/ quella sinottica considera Ges Sposo e la sua missione terrena
come un banchetto di nozze con lui Sposo, ove perci non ha senso il digiuno (Mc 2,19 parr), e rimanda il digiuno al tempo futuro in cui lo Sposo
sar rapito (la sua morte violenta); 2/ quella giovannea, posta sulla bocca
di Giovanni B. assume la figura dellincontro intimo della sposa con lo
sposo (come nellApocalisse), percepito con grande gioia allesterno dallamico dello sposo come voce dello Sposo, che parla e comunica con la
Sposa, la comunit messianica, che lo ascolta. Va ricordato che in Gv la

140

G. SEGALLA

fenomenologia della voce ha una grande importanza (Gv 3,8; 5,25;


10,3.4.5.16; 18,17), che potrebbe essere oggetto di uno studio.
La rifigurazione simbolica dello Sposo e della Sposa nellApocalisse
strettamente legata alla figura principale dellAgnello sgozzato, come
espressione pi alta dellamore (Ap 1,5b). Lo Sposo infatti lAgnello e la
Sposa la donna dellAgnello (Ap 21,9), una realt celeste, che viene da
Dio e rappresenta la sua dimora in mezzo agli uomini, la nuova Gerusalemme (Ap 21,3).
E tuttavia, nonostante le nozze e la presenza amorosa, che sembra definitiva, rimane pur sempre una tensione e una distanza temporale fra la comunit cristiana e Ges. Per quanto vicino, lo Sposo deve ancora venire,
per cui la Sposa e lo Spirito alla fine invocano con un gemito accorato:
Vieni! (Ap 21,17) e il libro si chiude con Amen. Vieni, Signore Ges
(Ap 22,20). Ritornando alla promessa iniziale (Ap 1,1-3) Ges promette di
nuovo che verr presto (Ap 22,20a). La tensione verso il futuro dunque
rimane, anche se le nozze sono state celebrate.
Come il precedente, anche questo secondo simbolo, radicato nel passato della tradizione evangelica, tutto orientato dal presente al futuro, un
presente di vittoria e unione definitiva nella visione simbolica, ma ancora
da compiersi nel tempo della chiesa che continua, contemplando con gioiosa fede e speranza quella visione.
Nei due ultimi capitoli dellApocalisse risuonano, in modo nuovo anche il motivo parabolico della sposa che attende lo Sposo e quello del banchetto di nozze. Nelle lettere alle sette chiese lattesa della Sposa diviene
un monito alla fedelt e alla perseveranza nella prova (Ap 2,10.13; cf.
17,14), mentre la celebrazione simbolica delle nozze intende anticipare
lunione definitiva degli eletti con Ges Sposo, suscitando in loro ancor
pi forte linvocazione e laspettativa della sua prossima venuta.
Infine il Ges profeta escatologico che ha annunciato il futuro regno di
Dio e la venuta del Figlio delluomo dopo cataclismi cosmici e storici, diviene nellApocalisse il Rivelatore celeste, che annuncia in grandiose visioni il prossimo corso della storia: la lotta fra lAgnello gi vincitore con la
triade demoniaca e la vittoria finale fino ai cieli nuovi, alla terra nuova e alla
nuova Gerusalemme con labitazione di Dio in mezzo agli uomini e la pace
in senso biblico. Questa nuova rivelazione continua e compie la rivelazione storica, contenuta nella tradizione evangelica di Ges, per invitare alla
fedelt e alla speranza la comunit cristiana nel momento della prova.
Le risonanze della tradizione evangelica di Ges vengono incluse e utilizzate per un nuovo dramma, che si svolge in cielo, attraverso visioni impressionanti, che si ripercuotono sul cosmo e sulla storia con la condanna

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GESU TERRENO

141

definitiva di Satana, responsabile attraverso i suoi rappresentanti di un sistema religioso-politico antidivino e oppressore; e la vittoria definitiva dellAgnello con la sua comunit di eletti.
La memoria di Ges, crocifisso e tornato in vita (Ap 1,5) il fondamento
storico, costituito dalla tradizione, che da lui ha avuto origine, trasmessa dai
dodici apostoli, fondamenti della nuova Gerusalemme, che scende dal cielo (Ap 21,10.14). E riceve il nome nuovo di testimonianza di Ges. Cos la
testimonianza passata di Ges si intreccia con quella nuova, apocalittica dello stesso Ges Cristo per suscitare sempre nuovi testimoni che lo seguono
sulla stessa via della prova di amorefino a donare la vita.
Il mistero del futuro, avvolto nello stupendo manto delle visioni simboliche si fonda nel mistero del passato di Ges testimone fedele e veritiero.
Passato del Ges Profeta escatologico e Messia crocifisso-risorto e futuro dellAgnello sgozzato che vince trionfalmente Satana con i suoi accoliti,
per portare agli uomini la comunione e la pace definitiva con Dio e fra loro:
sono a servizio del presente: una comunit esigua, povera e provata, cui viene data per la certezza di una vittoria, non mediante le proprie forze, bens
mediante la potenza divina di Colui che ha gi vinto con la sua morte e risurrezione ed ora siede alla destra del trono di Dio, sovrano dominatore del dramma che misteriosamente si svolge allinterno della storia.
Giuseppe Segalla
Professore invitato
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI


E IL LORO LINGUAGGIO

G. Biguzzi

Con il numero luomo misura i tempi e gli spazi, scoprendo o creando in


essi ordine e armonia. Luomo dei primordi, magari con lausilio delle dita
della mano, avr contato i pezzi della cacciagione o della pesca e gli oggetti dello scambio in natura. Poi, divenendo sempre pi sapiens e sempre
pi ludens, e cio sempre pi sofisticato, luomo ha usato il numero anche
per il calcolo astratto, per la speculazione, per il gioco, per la musica, e per
lespressione artistica. In questo quadro sinscrive anche lassunzione del
numero nel linguaggio sacro,1 e uno degli scritti religiosi che pi abbondantemente e sofisticatamente si serve dei numeri per parlare di Dio, delle
Potenze a lui avverse, e della loro rispettiva azione nel cosmo e nella storia, lApocalisse di Giovanni.2
La simbologia numerica di Ap stata studiata da U. Vanni insieme con
gli altri simbolismi del libro, e poi da Adela Yarbro Collins nel quadro pi
ampio della letteratura apocalittica,3 e poi ancora da numerosi commentatori, anche se limitatamente al 666 di Ap 13,18.4 Come il 666, cos anche
1. O. Rhle, ajriqme/w, ariqmo/, in GLNT, I (Brescia 65 [Stuttgart 1933]), 1230, spiega il
sorgere delluso religioso dei numeri come segue: Luomo si avvede in qualche modo che
dietro ai numeri vi una forza o una legge, giacch nota che alcuni numeri ricorrono regolarmente. Ma tale legge egli non in grado di afferrare, cos che quello che i numeri hanno
di inintelligibile diventa per lui un mistero, e allora immagina che nei numeri, come anche
nelle lettere dellalfabeto, agisca qualche forza arcana Nascono in tal modo i numeri sacri che si incontrano ad ogni pi sospinto nella magia e nella religione, senza che si possa
capire perch siano proprio certi numeri, come ad esempio 3, 7, 9 a godere di una speciale
preferenza.
2. Adela Yarbro Collins, Numerical Symbolism in Jewish and Early Christian Apocalyptic
Literature, in A.N.R.W., II, 21.2 (Berlin - New York 1984), 1272, 1286, afferma che
lapocalisse giovannea detiene il primato, non solo allinterno del NT ma anche nei confronti di tutta la letteratura apocalittica. I numeri di Ap, tra cardinali, ordinali e frazionali,
sono 275 (283, se si contano quelli che entrano in composizione), in un totale di 405 versetti e 22 capitoli, con una frequenza media di 1,3 numeri per ogni due versetti e di 12,5
numeri per ogni capitolo.
3. U. Vanni, Il simbolismo dellApocalisse, in Greg 61 (1980), 461-506, ripreso in U.
Vanni, Lapocalisse. Ermeneutica, esegesi e teologia (Bologna 1988), 31-61 (da cui le citazioni); Adela Yarbro Collins, Numerical Symbolism, 1221-1287.
4. Cf. C. Clemen, in ZNW 2 (1901), 109-114; 11 (1910), 204-223; P. Corssen, in ZNW 3
(1902), 238-242; 4 (1903), 264-267; 5 (1904), 86-88; E. Vischer, in ZNW 5 (1904), 84-86;

LA 50 (2000) 143-166

144

G. BIGUZZI

gli altri numeri sono di solito studiati e interpretati ognuno preso a s, ma


uno studio del genere non esaustivo perch, come si cercher di mostrare, i numeri di Ap sono riconducibili a un sistema in qualche modo unitario.
I numeri simbolici fondamentali di Ap sono il 7 e il 12, e per hanno
una loro rilevanza anche il 3, il 4, e il 10. Gli uni e gli altri saranno studiati
qui sotto, prima in riferimento a Dio e al Cristo (I), e poi in riferimento
alla Triade composta dal Drago, dalla Bestia che sorge dal mare e dal Falso Profeta (II). Nellultima parte, raccogliendo linvito di Giovanni a calcolare con sapienza il numero della Bestia, si scender ai dettagli circa il
numero di gran lunga pi famoso di Ap, il 666 di 13,18 (III).

I. I numeri e la perfezione dellagire divino

1. Il numero 7 in Ap 1-3
Il primo numero che sincontra in Ap il numero 7. Compare due volte
in 1,4 e cio nel primo versetto che viene dopo il lungo titolo (1,1-3).
Tutta la prima parte di Ap (Ap 1-3) sar poi dominata da quel numero,
poich il sette vi ricorre 15 volte e poich vi compare un solo altro
numero, il numero 10, in Ap 2,10. Il 7, che sar poi presente in modo
massiccio anche nella seconda parte (Ap 4-22) con 40 ricorrenze, in tal
modo il numero pi importante dellapocalisse giovannea,5 come daltra
parte hanno rilevato gi i commentatori antichi. Fra i greci basti citare

C. Bruston, in ZNW 5 (1904), 258-261; G.A. van den Bergh van Eysinga, in ZNW 13 (1912),
293-305; A.H. McNeile, in JThSt 14 (1913), 443-444; H.A. Sanders, in JBL 37 (1918), 9599; W. Hadorn, in ZNW 19 (1919-1920), 11-29; W.E. Beet, in Exp 8thS 47, n. 121 (1921),
18-31; F. Dornseiff, in FF 12 (1936), 369; E. Vogt, RevBb 6 (1944), 192-194; P.W. Skean,
in CBQ 10 (1948), 398; P.S. Minear, in JBL 72 (1953), 93-101; F. Cramer, in ThGl 44
(1954), 63; C. Cecchelli, in Studi in onore di G. Funaioli (Roma 1955), 23-31; D.R. Hillers,
in BASOR n. 170 (1963), 65; E.M. Bruins, in NedThT 23 (1968-1969), 401-407; Th.
Hberle, in SchwKZ 137 (1969), 548-550; W.G. Baines, in HeithJ 16 (1975), 195-196; L.
van Hartingsveld, in T. Baarda et al., a cura di, Miscellanea Neotestamentica, II (NTSuppl
48, Leiden 1978), 191-201; M. Oberweis, in ZNW 77 (1986), 226-241; G. Bohak, in
JournStudPseud 7 (1990), 119-121; M.G. Michael, in DeltBibMel 28 (1999), 33-39.
5. Le ricorrenze di epta in Ap sono 60 su di un totale neotestamentario di 88, mentre laggettivo ordinale ebdomo ricorre 5 volte in Ap su un totale neotestamentario di 9 ricorrenze.

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

145

Andrea di Cesarea (fine sec. VI, inizio sec. VII) che in Ap trova quel numero da ogni parte / pantacouv e, fra i latini, Beda il Venerabile per il
quale il numero 7 usato da Giovanni con mistica solerzia; e poi
Berengaudo e Gioacchino da Fiore per i quali lAp sta interamente sotto il
segno del numero 7.6 Daltra parte, il numero 7 proverbiale in molte
culture, probabilmente a partire dalle 4 fasi del ciclo lunare,7 ed solitamente considerato numero sacro per essere frequentemente in relazione
con divinit, templi e riti religiosi. Giovanni parte dunque da una convenzione consolidata ma, anche qui come sempre, arricchisce creativamente
ci che trova e ripropone.
Nel v. 1,4 il sette figura come numero delle chiese destinatarie del
libro, alle quali in quel versetto Giovanni rivolge il suo augurio iniziale.
Gi da molto tempo i commentatori hanno fatto notare che nella regione
esistevano anche altre chiese: per esempio quella di Troade, 170 km a
nord della Pergamo di cui parla Ap 1,11 e 2,12,8 ma soprattutto, nel giro
di soli 15 km dalla Laodicea conosciuta e menzionata da Giovanni (Ap
1,11 e 3,14), esistevano le chiese di Colosse e Gerapoli fondate da Epafra
(Col 1,7), un discepolo di Paolo. Ebbene, chi era attivo a Laodicea non
poteva non esserlo anche per esempio a Colosse, dal momento che le due
chiese si scambiavano lettere apostoliche (Col 4,16), e daltra parte non
si pu neanche obiettare che Giovanni di Patmos non aveva motivo dinteressarsi alle chiese paoline, dal momento che anche la chiesa di
Laodicea era paolina (cf. Col 2,1; 4,13ss), e di essa Giovani parla appunto in Ap 1,11 e 3,14.

6. Andrea di Cesarea (fine sec. VI), PG 106, 353.B: pantacou to\n ebdomon ariqmo\n
paralambanei; Beda ( 735), PL 93, 131.A: Hunc enim mystica solertia numerum pene

ubique servat; Berengaudo (sec. IX o, meglio, sec. XII), PL 17, 845.D, e 892.B: Totus hic
liber in septenario numero consistit; Gioacchino da Fiore ( 1202), Enchiridion super
Apocalypsim, Burger ed., 101-102: Librum istum septenarius totus [= totum ?] possidet
numerus. Su Berengaudo, sul suo nome, e sulla sua ambientazione cronologica cf. G.
Biguzzi, I settenari nella struttura dellApocalisse (Bologna 1996), 13, nota 4.
7. Cf. K.H. Rengstorf, epta, in GLNT, III (Brescia 1967 [Stuttgart 1933]), 807: la
ragione [della rilevanza del numero 7 presso molti popoli] quasi certamente non va cercata
nellesistenza dei sette pianeti, ma nelle quattro fasi lunari di sette giorni ciascuna. Le
fasi lunari, osservabili a qualsiasi latitudine, da sempre sono servite da base per il computo
e la divisione del tempo, come dicono i molti calendari lunari dellantichit.
8. Troade era circa alla stessa distanza a nord di Pergamo, che Efeso a sud. La celebrazione
notturna di cui parla At 20,7ss (ma cf. anche 2Cor 2,12) dice che gi alla fine degli anni 50
a Troade esisteva una comunit di credenti con assemblee eucaristiche settimanali.

146

G. BIGUZZI

Se dunque le chiese della regione erano pi delle 7 che in Ap 1,4 sono


chiamate le chiese dAsia, si deve pensare che Giovanni metta in scena
solo 7 chiese per amore del numero settenario e del suo simbolismo. Questo almeno stato supposto fin dal sec. II: il Frammento Muratoriano per
esempio si basa sul numero settenario delle chiese cui Ap indirizzata
per affermare che essa ha una destinazione universale (licet septem
ecclesiis scribat tamen omnibus dicit). La stessa interpretazione sar ripetuta, quasi con le stesse parole (quod uni dicit, omnibus dicit) e con
lo stesso riferimento alle 7 chiese cui anche Paolo ha scritto, nel pi antico commentario a noi giunto, quello di Vittorino di Pettovio.9 Ripetono
poi la stessa cosa quasi tutti i commentatori antichi, pur variando le formule.10
Alle 7 chiese dAsia Giovanni rivolge laugurio epistolare di grazia
e pace, indicando come fonte dei beni che augura in primo luogo Colui che era, che e che viene, in terzo luogo Ges Cristo, testimone
fedele ecc. e, in secondo luogo, i 7 spiriti di Dio, che sono il secondo elemento settenario di Ap. Di questi 7 spiriti di Dio lAp parla quattro volte: in relazione o con Dio (1,4; 3,1; 4,5), o con il Cristo (3,1;
5,6), o, infine ci che qui pi interessa , con tutta la terra: Vidi un
Agnello con 7 corni e 7 occhi che sono i 7 spiriti di Dio, inviati in
tutta la terra (apestalme/noi ei pasan th\n ghn) (5,6). Sembra
allora di poter dire che i doni messianici della grazia e della pace vengono alle 7 chiese da tutta la Triade divina ma, a motivo del comune
numero settenario, grazia e pace sono recate alle 7 chiese in modo particolare dai 7 spiriti, soprattutto perch, secondo 5,6 per dirla con le
parole di R. Bauckham , il piano di Dio sulla storia e sul mondo e la
potenza salvifica del Cristo sono messi in atto in tutta la terra attraverso linvio dei 7 spiriti.11

9. Canone Muratoriano (180 d.C. circa), ll. 58-59; Vittorino ( 304), PL Suppl. I, 110.
10. Cf. Primasio di Adrumeto ( 552), Andrea di Cesarea (fine sec. VI), Beda ( 735),
Ambrosio Autperto ( 784), Beato di Libana (scripsit 786 circa), Alcuino ( 804), Aimone
di Halberstadt ( 835), Walafrido Strabone ( 849), Bruno di Segni (scripsit 1079 circa),
Anselmo di Laon ( 1117), Riccardo di San Vittore ( 1173), Berengaudo (sec. IX, o XII),
Martino di Len (sec. XIII), e il commentatore siro Dionisio Bar Salb (sec. XII).
11. R. Bauckham, The Theology of the Book of Revelation (Cambridge 1993), 112-113:
The seven Spirits are sent out into all the earth to make his victory effective throughout
the world. While God himself () dwells in heaven, not yet on earth, and while the Lamb,
victorious through his death on earth, now shares his Fathers throne in heaven, the seven
Spirits are the presence and power of God on earth, bringing about Gods kingdom by
implementing the Lambs victory throughout the world.

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

147

Le chiese sono 7, dunque, in qualche modo perch Dio e lAgnello le


hanno plasmate con linvio dei 7 spiriti.12

2. Il 10 come numero della tribolazione


Laltro numero di Ap 1-3 il numero 10, che compare nel messaggio alla
chiesa di Smirne dove detto che probabilmente i capi di quella chiesa
saranno gettati in carcere per una carcerazione di 10 giorni: Ecco, il diavolo sta per gettare in carcere alcuni di voi, affinch siate messi a prova, e
avrete una tribolazione di 10 giorni (2,10). F. Hauck pensa che una carcerazione di 10 giorni sia una carcerazione breve13 ma, al contrario, poich
per esperienza primordiale ogni persona collega il numero 10 con il numero delle dita delle mani,14 una tribolazione di 10 giorni pi probabilmente
una tribolazione lunga, essendo necessarie tutte le 10 dita delle mani per
fare il calcolo. Piuttosto, per, il fatto che quei giorni siano conteggiati,
dice che sono sotto il controllo di Dio e che porteranno una sofferenza
umanamente meno insopportabile di una che non si sa quando mai potr
finire.15
Il numero 10 dunque qui il numero dellagire di Satana,16 e tuttavia
lazione di Satana resta sotto il controllo di Dio che nella sua provvidenza
determina i tempi e li aggiudica.

12. Cf. per esempio A. Schlatter, Die Briefe und die Offenbarung des Johannes (Stuttgart

1921), 235-136, che commenta Ap 1,4 scrivendo: Da in der Provinz Asien sieben
Gemeinden nebeneinandergestellt sind, ist die dortige Kirche als ein Werk der gttlichen
Weisheit und Kraft gekennzeichnet, die nichts unvollkommen tut.
13. F. Hauck, de/ka, in GLNT, II (Brescia 1966 [Stuttgart 1935]), 832: [In Ap 2,10 il
numero dieci] indica una persecuzione di breve durata, cf. Dan 1,12.14.
14. Cf. lo stesso F. Hauck, de/ka, 829: Alla radice dellimportanza attribuita al numero
dieci sia in Israele che in altri popoli sta labitudine originaria di numerare sulle dita di una
o di entrambe le mani, e cf. O. Rhle, ariqme/w, ariqmo/, 1229: In origine il contare
non era un atto intellettuale, ma un atto di estrema concretezza, poich il primitivo pu contare solo aiutandosi con le dita delle mani ecc.. A. Quacquarelli, Numeri (simbolica), in
DPAC (Casale M. 1983), 2446, parla di flexio digitorum, loquela digitorum.
15. I 10 giorni di Ap 2,10 in qualche modo sono lequivalente di quanto dice 1Cor 10,13,
secondo cui Dio non mette alla prova gli uomini oltre le proprie forze, e, insieme con le
prove, d la forza per sopportarle.
16. Di per s o diabolo si potrebbe tradurre anche genericamente con lavversario, chi
ti ostile, ma pi probabilmente va qui tradotto con il diavolo, Satana, soprattutto per
lassenza del genitivo di voi / umwn.

148

G. BIGUZZI

3. Il 7 di Dio e dellAgnello in Ap 4-22


Nella seconda parte dellApocalisse il numero 7 non parla pi delle chiese
dAsia le quali scompaiono pressoch interamente dalla scena,17 sostituite
dalla chiesa che noi diremmo universale.18 Vi parla invece dei due schieramenti che vi si contrappongono, con un duplice valore: il primo potrebbe
essere chiamato iconografico perch serve a definire descrittivamente gli
antagonisti della vicenda, mentre il secondo deve dire il ritmo e la natura
della loro azione.19
In funzione iconografica il numero 7 anzitutto messo in rapporto con
Dio, con lAgnello e con due gruppi di angeli, ministri di Dio. Quanto a
Dio, 7 lampade ardono davanti al suo trono (4,5), e la sua destra nellatto
di porgere un rotolo la cui apertura impedita da 7 sigilli (5,1). Quanto
allAgnello, egli ha 7 corni, simbolo di potenza (5,6),20 e 7 occhi, probabilmente simbolo di conoscenza (5,6, cf. anche 1,14). E infine, due gruppi di
7 angeli vengono equipaggiati rispettivamente con 7 trombe (8,2; cf. poi
8,6), e con 7 coppe o recipienti liturgici (15,7; cf. anche 16,1; 17,1; 21,9),
i quali a loro volta contengono 7 flagelli (15,1.6.8; 21,9). I due gruppi angelici sono al servizio di Dio, non dellAgnello,21 perch degli angeli delle
trombe detto che stanno al cospetto di Dio (oi enw/pion tou qeou esth/kasin, 8,2), e di quelli delle coppe detto che escono dal tempio della tenda della testimonianza, e cio dal luogo della divina Presenza (15,5).
In tutte queste ricorrenze il numero 7 deve in qualche modo dire il mistero di Dio e della sua volont, remota alla conoscenza degli uomini per
un impedimento settuplice (i 7 sigilli), o deve dire la potenza ed efficienza
dei suoi ministri (i due gruppi di 7 angeli), o ancora la grande potenza (i 7
corni) e lubiquit (i 7 occhi) salvifica del Cristo.

17. Un unico probabile riferimento alle chiese dAsia in Ap 22,16: Io, Ges, ho mandato
il mio angelo per testimoniare a voi circa le chiese (epi\ tai ekklhsi/ai).
18. Cf. G. Biguzzi, I settenari nella struttura dellApocalisse, 288-291.
19. Cf. Ibidem, 11-13.
20. I corni vanno intesi in continuit con il linguaggio del salmista secondo il quale in essi

si concentra la potenza durto e la pericolosit del bufalo: Salvami dalla bocca del leone, e
dai corni dei bufali (Sal 21,22; cf. anche Nm 23,22; Dt 33,17). I corni compaiono in
molta iconografia orientale antica sulle teste delle divinit per dire la loro potenza divina
positiva: cf. J.B. Pritchard, ANEP, nn. 513-515, 524-526, 529, 538 ecc.
21. Per E.-B. Allo, Saint Jean. LApocalypse (Paris 1921), 102, gli angeli delle trombe sarebbero appunto al servizio dellAgnello, e quelli delle coppe sarebbero da identificare con
quelli delle coppe (p. 229).

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

149

Altre volte invece il 7 parla dellagire di Dio e dellAgnello: contrassegnati dal numero 7 nella loro natura o nella loro immagine, Dio e lAgnello agiscono con unazione settuplice in quattro grandi cicli narrativi. In Ap
2-3 il Cristo pasquale detta a Giovanni 7 messaggi, uno per ognuna delle 7
chiese dAsia come gi annunciavano i vv. 1,11 e 1,19 (prima azione
settuplice dellAgnello), mentre in Ap 6-8 lAgnello apre, uno dopo laltro,
i sigilli che impedivano la lettura del rotolo (seconda azione settuplice dellAgnello). Dio poi, non direttamente, ma mediante i due gruppi di angeli,
agisce prima con i flagelli delle 7 trombe per indurre a conversione gli idolatri che adorano demoni e idoli (Ap 8-11, cf. soprattutto 9,4 e 9,20-21) e,
mediante i 7 angeli delle coppe, riversa flagelli invece sugli idolatri che
adorano la Bestia e la sua statua, anche qui nel tentativo di convertirli (cf.
soprattutto 16,9.11).22
In questi archi narrativi lagire settuplice un agire perfetto, al quale
nulla da togliere e nulla da aggiungere. I messaggi alle 7 chiese infatti
sono non generici, ma basati su di una conoscenza precisa e profonda, e
quanto mai accurati e adeguati nella diagnosi che conducono e nella terapia che prescrivono. I 7 sigilli apposti al rotolo che nella mano di Dio
significano la pi ermetica e la pi impenetrabile delle sigillazioni e quindi
il profondo mistero della volont divina, cos come lapertura dei 7 sigilli
da parte dellAgnello significa apertura totale e rivelazione perfetta.23 La
pressione di Dio nei confronti degli idolatri delle due idolatrie, infine, non
potrebbe essere pi articolata e pi completa perch messa in atto da tutte le direzioni (dal cielo, dalla terra, dallabisso) ed esercitata in tutti gli
ambiti possibili (terra, acque salate, acque dolci, firmamento, aria ecc.).24

4. Il 4 e il suo simbolismo cosmico


In collegamento con il trono di Dio, in Ap 5 vengono menzionati una prima volta i Quattro Viventi come dignitari della corte divina (4,4, e poi 5,14;
7,11; 14,3; 19,4 ecc.), insieme con i Ventiquattro Vegliardi. Nonostante i
tratti angelici che vengono loro dai serafini di Is 6, i Viventi sembrano da
22. Cf. G. Biguzzi, I settenari nella struttura dellApocalisse, 152-154, per il settenario delle

trombe, e 166-167, per il settenario delle coppe.


23. Cf. Ibidem, 179-196.
24. Cf. per esempio A. Schlatter, Die Briefe und die Offenbarung des Johannes, 135, che
scrive: dient die Siebenzahl als Merkmal fr die Werke Gottes, um die Vollkommenheit
auszudrcken, in der sich der Wille Gottes in ihnen offenbart und verwirklicht.

150

G. BIGUZZI

interpretare prevalentemente in prospettiva cosmica. Ognuno di essi nel suo


aspetto rappresenta infatti il meglio del regno animale,25 mentre il loro numero quaternario e la loro collocazione ai quattro lati del trono divino parlano dei quattro punti cardinali.26
Il v. 7,1 mette in scena poi quattro angeli che hanno potere sui quattro
venti e che sono insediati ai quattro angoli della terra.27 Il simbolismo
cosmico qui del tutto evidente, come lo sar poi nella descrizione della
Gerusalemme nuova, di cui detto che ha quattro lati (h po/li tetra/gwno
keitai), e che i suoi lati sono volti ai quattro punti cardinali: a oriente (apo\
anatolh), a nord (apo\ borra), a sud (apo\ no/tou) e ad ovest (apo\
dusmwn) (21,13). Anche i 1.600 stadi (multiplo di quattro; = 4 x 4 x
1.000) di 14,20 devono probabilmente esprimere il dilagare, in tutte le
direzioni, del sangue che sale fino al morso dei cavalli.28
Il simbolismo del numero 4 insomma il simbolismo della totalit cosmica e dellazione universale di Dio messa in atto attraverso gli angeli dei
venti suoi ministri, ed il numero delle creature che attraverso i Quattro
Viventi cantano eternamente la sua lode nella liturgia celeste.
25. Il primo Vivente ha le fattezze del leone, e universalmente il leone ritenuto il pi forte

degli animali selvatici. Il secondo Vivente ha le fattezze del toro, e il toro il pi forte degli animali domestici. Il terzo Vivente ha volto come di uomo, e luomo lessere pi nobile di tutto il regno animale. Il quarto Vivente, infine, ha le fattezze dellaquila e laquila il
pi forte dei volatili. Che Giovanni voglia sottolineare le caratteristiche tipiche dei quattro
animali, lo si ricava non solo dal fatto (trascurabile ma a suo modo indicativo) che laquila
si libri in volo (omoion aetw petome/nw) quasi a dire che unaquila non tale se non in
volo, ma si ricava poi soprattutto dal fatto che le quattro fattezze caratterizzano lidentit
distinta dei Quattro Esseri, mentre esse sono ibridamente presenti in ognuno dei Viventi in
Ez 1. Quanto allordine di successione, Giovanni parte dalla foresta (leone), continua con
lambiente domestico (bue, uomo) e finisce con il cielo (aquila), coinvolgendo la totalit
dei luoghi dove si manifesta la vita, sia in linea orizzontale, sia in linea verticale: luomo
non al vertice ma al centro, perch al vertice ci sia il cielo, abitazione di Dio.
26. H. Balz, te/ssare, in GLNT, XIII (Brescia 1981 [Stuttgart 1969]), 1160: I quattro
punti cardinali e le quattro regioni del mondo abbracciano lintero orizzonte. quindi breve il passo per giungere al significato traslato della quaternariet come base e fondamento
della globalit, della totalit, della completezza
27. I quattro angoli (gwni/ai) della terra, menzionati anche in 20,8, sono da intendere come
i quattro quadranti della terra, corrispondenti ai quattro punti cardinali (cos H. Balz, te/ssare, 1177, nota 75), pi che come i quattro lati della terra che sarebbe concepita come
un quadrangolo, come vogliono E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes (Tbingen
1926), 65; e J. Jeremias, gwni/a, in GLNT, II (Brescia 1966 [Stuttgart 1933]), 735 (La
terra immaginata rettangolare). Cf. il titolo accadico re dei quattro angoli della terra,
citato in Balz (ibid., 1160, nota 15).
28. Cos per esempio J. Sweet, Revelation (Philadelphia, PA), 233, che scrive: a symbol
of the world (4 x 4 the four corners), ma cf. gi Girolamo nella recensio Victorini:
id est per omnes mundi quattuor partes (PL Suppl. I, 162).

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

151

5. Il 12 come numero del popolo di Dio


In tre ampi contesti figurano poi il numero dodici laltro numero fondamentale di Ap , e i suoi multipli. Il primo contesto quello di 7,5-8,
dove si elencano uno dopo laltro i nomi delle 12 trib dIsraele a ognuna
delle quali si attribuiscono 12.000 membri contrassegnati con il sigillo del
Dio Vivente. multiplo del 12 non solo il 12.000 di ogni trib (= 12 x
1.000), ma anche il totale di 144.000 (12.000 + 12.000 + 12.000 ecc. =
144.000) che viene annunciato in Ap 7,4 e poi ripetuto in 14,1.3.
Il secondo contesto in cui ricorre il numero 12 quello della visione della Donna messianica in Ap 12 la quale reca sulla testa (epi\\ th kefalh) una
corona di 12 stelle. Soprattutto a motivo di quel numero 12, ma anche per il
fatto di avere come figli il Messia e i suoi discepoli (12,5 e 12,17), e per la
protezione che Dio le riserva (come nellantico esodo, vv. 6 e 14) per 3 anni
e 1/2 nel deserto, la Donna il popolo messianico dellAT e del NT, il quale in
tal modo nuovamente contrassegnato con il numero 12.29
Nel terzo contesto, che quello della Gerusalemme escatologica, il
numero 12 segna anzitutto e soprattutto gli spazi della citt, e poi anche i
suoi tempi. La citt che, come si visto, ha 4 lati (21,16), in ognuno dei
lati delle mura ha 3 porte (v. 13) e 3 fondamenti (cf. v. 14). Il numero 12
si pu dunque ottenere con la moltiplicazione di 4 x 3 sia per le porte
che per i fondamenti, ma poi esplicitato da Giovanni stesso quando dice
che sulle 12 porte sono 12 angeli e i 12 nomi delle trib dIsraele (21,12),
e sui 12 fondamenti i 12 nomi dei discepoli dellAgnello (21,14), e quando
dice che i fondamenti sono composti di 12 diverse pietre preziose (21,1920) e le 12 porte invece di 12 perle tutte dun pezzo (21,21). In particolare,
il 12 delle trib e il 12 degli apostoli dellAgnello parlano diacronicamente
dellunico popolo di Dio per il quale preparata la Gerusalemme nuova, e
forse la stessa somma di 12 + 12 da vedere anche nel numero dei Ventiquattro Vegliardi della corte divina dei quali, come si gi visto, Ap parla a molte riprese (4,4 ecc.).30 Il dodici torna poi attraverso i suoi multipli
nelle misure della lunghezza, della larghezza e dellaltezza della citt che
29. Cf. G. Biguzzi, La Donna, il Drago e il Messia in Ap 12, in Theotokos 8 (2000),
33-34.
30. Cos intendono per esempio anche alcuni commentatori antichi come Vittorino (PL
Suppl. I, 121: sunt xxiiii patres xii apostoli et xii patriarchae); Andrea di Cesarea
(253.D: dia twn ib' presbute/rwn, tou\ en th Palaia dialamyanta: dia de\ twn ete/rwn
ib', tou en th Ne/a diapre/yanta), e cf. Walafrido Strabone che invece dei patriarchi
introduce 12 profeti (PL 144, 718.C: Viginti quatuor seniores: duodecim prophetae,
duodecim apostoli).

152

G. BIGUZZI

sono di 12.000 stadi (21,16) e nel perimetro delle sue mura che di
144.000 cubiti (21,17).
Quanto poi ai tempi, nella Gerusalemme nuova lalbero di vita, irrigato
dal fiume dellacqua di vita, porta 12 frutti, uno per ogni mese (22,2), cos
che nella citt escatologica il 12 misura dei tempi come lo degli spazi.
Il numero 12 dunque il numero del popolo di Dio sia per il passato
(le 12 trib), sia per il presente (i 12 discepoli dellAgnello; - i 144.000
protetti dai flagelli dellira per mezzo del contrassegno del Dio vivente; la Donna perseguitata dal Drago), sia per il futuro, nella sua meta
escatologica (la Gerusalemme discendente dal cielo). Il confronto del 12 di
Ap 4-22 con il 7 di Ap 1-3 rivela poi che Giovanni, per parlare del popolo
di Dio, ricorre al 7 in chiave pneumatica e a livello di chiese locali, mentre
impiega il 12 in chiave storico-salvifica e per luniversale, unico Israele di
Dio dellAT e del NT.

II. La triade antidivina e il risvolto diabolico dei numeri


1. La Triade antidivina e la parodia del 3 e del 7
Per lautore di Ap il numero non solo ordine e perfezione, e non solo
divino: di fatto di esso si impadroniscono anche le forze avverse a Dio e al
Cristo. Per illustrare il lato diabolico del numero conviene partire dal
Drago, il capofila degli avversari di Dio, che in Ap 12 si oppone alla Donna messianica ravvolta di sole, e al Messia che essa d alla luce.
Sconfitto in cielo (12,8-9) e in difficolt sulla terra (12,13-17), il Drago si apposta sulla spiaggia del mare, come alla ricerca e in attesa di complici (12,18). Dal mare emerge infatti in suo aiuto una Bestia che tutte le
genti finiscono per adorare (13,1-8), mentre una seconda Bestia sorge dalla
terra e induce gli abitanti della regione a costruire una statua alla prima
Bestia, chiedendo loro, anche con il ricorso alla violenza, di renderle culto
e adorazione (13,11-17). Alla Triade divina, dunque, da cui venivano grazia e pace per le 7 chiese dAsia, si contrappone una Triade anti-divina e
idolatrica, da cui per i discepoli dellAgnello vengono invece insidie alla
fede, e persecuzioni. In tal modo Giovanni delinea la vera e propria parodia con cui la Triade idolatrica scimmiotta Dio e lAgnello,31 e che potreb31. Per tutti cf. R. Halver, Der Mythos im letzten Buch der Bibel. Eine Untersuchung der
Bildersprache der Johannes-Apokalypse (Hamburg - Bergstedt 1964), 39, che chiama Satana la scimmia di Dio - die Affe Gottes.

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

153

be essere illustrata con i molti elementi di parallelismo antitetico contenuti


nella narrazione,32 ma che qui va illustrata a partire dai numeri e dal loro
simbolismo. I numeri della Triade idolatrica, come quelli della Triade divina, sono in parte numeri iconografici e in parte numeri dellagire.

2. Il soprannumero dei 10 corni e diademi


Quanto ai numeri iconografici, il Drago ha 7 teste, 10 corni e 7 diademi
(12,3) mentre la Bestia-dal-mare ha 7 teste, 10 corni e 10 diademi (13,1;
cf. anche 17,3.7.9ss). I numeri caratterizzanti sono dunque il 7 e il 10, di
cui il 7 parodia dei numeri di Dio e dellAgnello, mentre il 10, che era
numero del dia/bolo gi in 2,10, esprime grande potenza fisica (10 corni)
e grande potere politico (10 diademi).33
Quello che merita attenzione il soprannumero dei 10 corni sia del
Drago sia della Bestia, in rapporto alle loro teste, che sono soltanto 7. Alcuni interpreti si limitano a registrare la mancata simmetria,34 altri attribuiscono la discordanza dei numeri al maldestro accostamento di fonti non
rielaborate e unificate come sarebbe stato necessario,35 ma pi probabilmente la sproporzione tra il 10 e il 7 intenzionale e parla, da un lato di
arrogante ostentazione di potenza e, dallaltro, di disordine e di caos. Nella
gi di per s mostruosa policefalia di Drago e Bestia, c dunque un ele-

32. Cf. per esempio il titolo di P. Barnett, Polemical Parallelism etc., in JSNT n.35 (1989),

111-120.
33. Quanto alle 7 teste, D.H. Lawrence, Apocalisse (Roma 1995 [Firenze 1931]), 77, scrive
lapidariamente: Sette teste, sette vite, mentre Ch. Hauret, Eve transfigure. De la Gense
lApocalypse, in RHPR 59 (1979), 330, definisce i diademi del Drago come emblme
de sa royaut multiforme. Sui diademi cf. poi G. Biguzzi, La Donna, il Drago e il Messia
in Ap 12, 39-41.
34. E.-B. Allo, LApocalypse, lxi (Comment donc faudrait-il rpartir les cornes sur les
ttes?); J. Bonsirven, LApocalypse de Saint Jean (Verbum Salutis, 16; Paris 1951), 216
(Les dix cornes saccordent peu avec les sept ttes), Ch. Brtsch, La clart de
lApocalypse (Genve 11940, 51965), 206 ( tout cet attirail surcharg le rend peu
symtrique et assez cocasse).
35. Cos W. Bousset, Die Offenbarung Johannis (Gttingen 11896, 61906), 337; A. Loisy,
LApocalypse de Jean (Paris 1923), 228; E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes, 97;
A. Gelin, LApocalypse, in L. Pirot, a cura di, La Sainte Bible, XII (Paris 1938), 629; E.
Lohse, LApocalisse di Giovanni (Brescia 1974 [Gttingen 31971]), 125-126 (Questi due
elementi, derivanti da tradizioni diverse, non vengono armonizzati fra di loro). Difficilmente per il soprannumero pu essere spiegato a questo modo, dal momento che lo si ritrova sia per il Drago che per la Bestia.

154

G. BIGUZZI

mento che deve allarmare ed allertare i cristiani delle chiese dAsia, e tutti
i lettori.36

3. 3 e 1/2 come 7 dimezzato e mancato


Se nella sua parodia antidivina la Triade si appropriata dei numeri
iconografici di Dio e dellAgnello, non riesce per ad appropriarsi del 7
quale numero dellagire. In 12,6 linsidia del Drago costringe la Donna al
ritiro nel deserto per 1.260 giorni. Nel doppione pi che parallelo di
12,14 la Donna si rifugia nel deserto per un tempo, e tempi,37 e la met di
un tempo, e dunque per 3 tempi e 1/2 . La strana espressione riprende
Dn 7,25 e 12,7 dove i tre tempi (kairoi/) e mezzo sono i tre anni e mezzo
della persecuzione di Antioco IV Epifane, durata dal giugno del 168 a.C.
al dicembre del 165. In 13,5, poi, la Bestia-dal-mare riceve il potere di agire per 42 mesi.38 Poich si tratta sempre dello stesso tempo (1.260 giorni =
42 mesi di 30 giorni = 3 anni e 1/2), e poich la chiave interpretativa di
questi numeri nel rimando ai 3 tempi/anni e mezzo ricavati da Dn
7,25,39 ci che con essi Giovanni vuol dire che il Drago (12,6.14) e la
Bestia-dal-mare (13,5) agiscono in un tempo che la met del 7. In ogni
versione possibile, dunque, e cio facendo il calcolo in giorni, in mesi o in
anni, il Drago e la Bestia hanno un agire dai tempi dimezzati, un agire
mancato, rispetto al potente ed efficace e perfetto agire di Dio e dellAgnello.40 La parodia di Dio e dellAgnello da parte della Triade idolatrica ha
corto respiro, dunque, e lesito dello scontro tra i due schieramenti
prevedibile e scontato: la perfetta azione di Dio non pu non avere la meglio sullazione claudicante e dimezzata del Drago e della Bestia.

36. G. Biguzzi, La Donna, il Drago e il Messia in Ap 12, 38-41.


37. B.J. Le Frois, The Woman Clothed with the Sun (Ap 12), (Roma 1954), 186, scrive che

nel libro di Dn it may reasonably be supposed that the plural stands for the dual; similmente A. Kassing, Die Kirche und Maria. Ihr Verhltnis im 12. Kapitel der Apokalypse
(Dsseldorf 1958), 53.
38. Cf. poi i 42 mesi durante i quali la citt santa lasciata in bala delle genti (11,2) e i
1.260 giorni del difficile ministero profetico dei Due Testimoni fra gli abitanti della terra
(11,3).
39. W. Hadorn, Die Offenbarung des Johannes (Leipzig 1928), 8, parla di danielische
Zahl.
40. Cf. E.-B. Allo, LApocalypse, 143, che cita da Holtzmann lespressione die gebrochene
Siebenzahl, e che di suo aggiunge: 31/2 signifie ce qui est arrt au milieu de son
cours.

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

155

In tal modo, per Giovanni lo scontro tra i due schieramenti che si fronteggiano nella storia esprimibile con i numeri. Mentre larma dei loro avversari il caos e la prevaricazione, larma di Dio e dellAgnello lordine
dei numeri: i numeri dellagire divino e messianico sono come la rete in
cui le forze sataniche sono chiuse da ogni lato, catturate, e vinte.41

III. Calcolare il numero della Bestia (13,18)


1. Coinvolgimento del lettore di Ap nei calcoli
Linvito in Ap 13,18 a calcolare il numero della Bestia non coglie di sorpresa il lettore perch gi in precedenza egli stato coinvolto in calcoli e
operazioni aritmetiche e lo sar soprattutto nella finale descrizione della
Gerusalemme escatologica.42
In 7,4-8, per esempio, Giovanni prima d la somma totale dei 144.000
contrassegnati con il sigillo del Dio vivente, e poi d gli addendi: 12.000
dalla trib di Giuda, 12.000 dalla trib di Ruben ecc., e 12.000 dalla trib
di Beniamino. In Ap 11-13 Giovanni poi chiede al lettore, come si visto, di cogliere lequivalenza tra i 3 tempi e 1/2 di 12,14, i 42 mesi di 11,2
e 13,5, e i 1.260 giorni di 12,6, con i relativi calcoli di moltiplicazione o
divisione. In Ap 12,3 e 13,1 probabilmente egli chiede poi al lettore, come
si visto, di notare il soprannumero dei 10 corni o diademi di Drago e
Bestia rispetto alle loro 7 teste, e la non-corrispondenza si rileva con la pi
elementare delle sottrazioni. In Ap 17,10-11 chiede al lettore di sommare
5 + 1 + 1 per ottenere il totale di 7 re, anche se poi, in virt della sua
speciale aritmetica,43 egli stesso sconvolge il calcolo soggiungendo che
uno dei 7 re sar anche lottavo della serie (v. 11b). In Ap 21, infine, il lettore deve moltiplicare 3 (porte) x 4 (lati della citt escatologica) cos da
raggiungere il numero di 12 porte come totale. E ancora con la divisione
deve poi ritrovare il numero 12 quale numero di base nei 12.000 stadi di
larghezza, lunghezza e altezza della citt (v. 16), e deve sommare 1 + 1 +
41. G. Biguzzi, I settenari nella struttura dellApocalisse, 252-253, nota 99, citando M.
Rissi (1952), R. Halver (1964), e Adela Yarbro Collins (1984).
42. Cf. Ibidem, 111, e 137, con molti rimandi a U. Vanni, Il simbolismo dellApocalisse,
in Id., LApocalisse. Ermeneutica, esegesi e teologia (Bologna 1988, rist. 1998).
43. J. Bonsirven, LApocalypse de Saint Jean, 36 (Cette opration ne relverait-elle pas
dune arithmtique spciale au voyant et lui permettant de dire quun huitime fait partie
des sept nomms antrieurement, mlange de lordre quantitatif et du qualitatif?).

156

G. BIGUZZI

1 fino a 12, nellelenco delle pietre preziose dei fondamenti della citt
(vv. 19b-20), e deve distribuire i 12 frutti dellalbero tra i mesi dellanno,
attribuendo una fruttificazione ad ogni mese: lalbero di vita () produce 12 frutti, dando per ogni mese il suo frutto (22,2).
Quando Giovanni chiede al lettore questi calcoli non lo fa senza motivo, ma per impegnarlo in una lettura partecipata e creativa, e per dirgli che
ci di cui si sta parlando importante e lo riguarda, e che lui stesso a
essere in questione. E questo non pu non essere vero anche e soprattutto
per il calcolo esplicitamente richiesto ( yhfisa/tw to\n ariqmo\n tou
qhri/ou)! che il lettore deve saper fare del numero del nome della Bestia.
Lantica mitologia greca metteva sulle labbra della Sfinge di Tebe
lenigma circa lanimale che cammina prima a quattro gambe e poi a due
e poi a tre, ma attraverso Edipo di esso dava la soluzione. Giovanni di
Patmos invece non svela la soluzione del suo 666, limitandosi a invitare il
lettore alla sapienza e alla perspicacia: Qui sta la sapienza (sofi/a). Chi
ha perspicacia (nou) calcoli il numero della Bestia: infatti numero duomo. E il suo numero 666. Il qui / wde con cui si apre linvito al calcolo, per Ruperto di Deutz ( 1130) era come un dito puntato con grande
preoccupazione su qualcosa al cui riguardo necessaria ogni vigilanza:
[Giovanni] vuole che il suo lettore sia vigilante quando, indicando con il
dito il punto preciso, dice: Qui sta la sapienza.44 Giovanni chiede sofi/
a e nou per qualcosa dunque che ben pi che un gioco.45 Tra laltro in
15,2 egli dice per esempio che il numero della Bestia qualcosa che il credente vince, cos come deve vincere la Bestia stessa: dunque questione di
vita o di morte, come nella Tebe della mitologia greca lo era la soluzione
dellenigma della Sfinge.

2. Il 666 secondo gli antichi e secondo i moderni


Volendo passare in rassegna le interpretazioni del fatidico numero della
Bestia date nei secoli, il primo commentatore, e al riguardo probabilmente
44. Vigilantem vult esse auditorem dum quasi digito designans atque circumspiciens: Hic,
inquit, sapientia est (PL 169, 1083.D). Gi Ireneo riteneva lindicazione di quel nome
come stimolo alla vigilanza (Nunc autem numerum nominis ostendit, ut caveamus illum
venientem, scientes quis est). Secondo Martino di Len invece la sapienza e lintelligenza
sono necessarie per non cadere nellinganno, dal momento che lAnticristo si presenter con
il nome di Cristo, essendo in realt suo avversario implacabile (PL 209, 371.D).
45. Cf. G.R. Beasley-Murray, The Book of Revelation (Grand Rapids, MI, 1978), 219: John
did not intend to pose a riddle for his readers. The issue was far too serious for that.

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

157

anche il pi grande di ogni tempo, Ireneo (Adv. Haer. 5, 28-30). Ireneo


anzitutto ci informa sulla tradizione interpretativa a lui precedente riferendo tre nomi che erano a vario titolo ritenuti il nome nascosto in Ap 13,18.
In secondo luogo difende con fermezza il 666 contro la variante testuale
del 616 che egli attribuisce allerrore di un copista: merita indulgenza
dice Ireneo chi ritiene il 616 con ingenuit e senza malizia, ma ricade
sotto le minacce di Ap 22,18-19 chi invece per secondi fini toglie intenzionalmente cinquanta unit al numero della Bestia. In terzo luogo Ireneo tenta almeno quattro nuove vie interpretative del nome.
Quanto ai tre nomi con i quali i predecessori di Ireneo avevano interpretato il 666, essi sono: EUANQAS, LATEINOS e TEITAN. Il primo
sarebbe la libera traduzione in greco (euanqa, composto con eu- e -anqo,
fiore) del nome del procuratore della Giudea dal 64 al 66, Gessius Florus
(florus, da flos, -ris),46 il secondo rimanderebbe allimpero romano-latino,
e il terzo rimanderebbe non solo ai Titani della mitologia greco-latina ma
anche al culto del sole.47
Quanto al suo proprio apporto, Ireneo: (i) ricerca nella Scrittura numeri paralleli che possano avere valore tipico per la Bestia, e li trova nei
600 anni di No che sarebbero da sommare con i 60 cubiti di altezza e i
6 di larghezza della statua di Nabucodonosor, cos che lapostasia e lido-

46. Cos F.H. Colson, Euanthas, in JThSt 17 (1916), 100-101: It seems to me incredible
that the suggestion whom first put forward should have been meaningless (). The
governor [= Gessio Floro] whose barbarities are described at length by Josephus, () whose
oppression brought on the fatal war, perhaps according to his deliberate intention, of whom
Tacitus says duravit tamen patientia Iudaeis usque ad Florum procuratorem, must long
have been a name of horror to every Jew (p. 100). Va detto comunque che per designare il
procuratore romano in questione, Giuseppe Flavio adopera la traslitterazione Ge/ssio
Flwro. meno convincente linterpretazione di Euanqa proposta da F. Dornseiff, Die
Rtsel-Zahl 666 in der Offenbarung des Johannes, 369 (Euanqa : ein
Wohlblhender! das ist ein grimmiger, bitterer Witz. Dem rmischen Kaiser und dem
Rmer berhaupt, dem Lateiner, ging es wirklich gut; der konnte sich aus der Habe seiner
Opfer vollfressen). Sulla scia di Colson, cf. J. Bonsirven, LApocalypse de Saint Jean, 235236, nota 1. Per molti autori Euanqa invece un nome senza significato: cf. H.B. Swete,
The Apocalypse of St. John (London 11906, 21907), 175 (the impossible word Euanthas);
W. Barclay, Revelation XIII, in ExpT 70 (1959), 295 (Euanthas is itself meaningless);
Josephine Massyngberde Ford, Revelation (Anchor Bible, 38; Garden City, NY, 11975, 41980),
226 (Euanqa is meaningless).
47. Scrive infatti Ireneo: et divinum putatur apud multos esse hoc nomen, ut etiam sol
Titan vocetur ab his qui nunc tenent. Cf. poi per esempio anche la recensio Victorini che
dice: Teitan, quem gentiles Solem Phoebumque appellant (PL Suppl. I, 157). Per
ulteriore documentazione su Teitan cf. Th. Zahn, Die Offenbarung des Johannes, II (Leipzig
- Erlangen 1926), 467, nota 79.

158

G. BIGUZZI

latria dellAT preannuncerebbero quelle del tempo dellAnticristo con cui


egli identifica la Bestia; (ii) dal contesto dellintera vicenda della Bestia
ricava che il 666 il nome di qualcuno che non ha consistenza (quasi
qui non sit), perch in 17,8 detto che la Bestia fu e non (kai\ ouk
estin), ascender dallabisso, e andr in perdizione. Ma soprattutto
Ireneo (iii) rinuncia a fare calcoli con lettere e numeri, dicendo che il 666
pu equivalere a troppi nomi cos che non ha senso accanirsi nei calcoli,
e dicendo che, daltra parte, se fosse stato indispensabile conoscere quel
nome, lo Spirito Santo e Giovanni ce lo avrebbero consegnato; di conseguenza, (iv) egli riflette sul 666 in s stesso, rilevando che contiene tre
volte il 6: una volta per le unit, una volta per le decine, e una volta per
le centinaia; (v) cos che Ireneo attribuisce al 666 il valore e la forza di
numero di ricapitolazione, e ci che il 666 ricapitola e riassume detto
da Ireneo con una lunga serie di sinonimi: liniquit, la malvagit, la ribellione a Dio, la falsit dellidolatria, lapostasia, la malizia, la pseudoprofezia, e linganno.
Ireneo ha fatto scuola e le strade da lui aperte sono state battute dopo
di lui per tentativi simili. Qualcuno come lui ha cercato nelle Scritture numeri simbolici e collegabili con il 666: il caso di Beda il Venerabile, il
quale trova nellAT che a Salomone, vero re, ogni anno veniva pagato un
tributo di 666 mila talenti doro, e lAnticristo, seduttore e tiranno, vorrebbe lo stesso omaggio (PL 93, 172.D); ed il caso di Ruperto di Deutz, il
quale scrive esplicitamente: Sanctam Scripturam consulamus ecc. (PL
179, 1085.A). Spesso, poi, stata ripetuta la riflessione sul numero 6 come
numero (non di ricapitolazione ma) dincompletezza,48 o stranamente
come numero di perfezione.49 Qualche volta si saggiamente imitata la
ritrosia di Ireneo a dare soluzioni: cos hanno fatto Riccardo di San Vittore,
Bruno di Asti, e soprattutto Berengaudo che scrive: De re tam incerta nihil
audeo definire (PL 17, 972.A).

48. Cos Ruperto di Deutz, per il quale il numero 7 numero di Dio, il quale nel settimo

giorno della creazione si ripos, ed numero dellAgnello che secondo lo stesso libro di
Ap ha 7 corni. Ma lAnticristo si ferma al numero 6 dice Ruperto , perch nusquam ad
septimum pervenit, quia numquam poenitentiam egit, sive acturus est (PL 169, 1088.C).
49. Cos Walafrido Strabone (734.C), Anselmo (PL 162, 1549.C-D), per i quali il 6 indica
la perfezione minima, quella dei coniugati; il 60 la perfezione mediana, quella di coloro che
abbandonano il matrimonio e vivono in castit; il 600 la perfezione massima, quella di chi
vive compiutamente lintegrit del corpo e dello spirito. E cf. poi Aimone (PL 117, 1103.D1104.B), e Riccardo (PL 196, 809.A-B).

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

159

Molto pi spesso, invece, chi commentava il 666 di Ap 13,18, ha percorso la strada dei precursori di Ireneo cos che, sotto il suo influsso,50 alcuni per esempio hanno riproposto TEITAN51 o LATEINOS,52
prolungando dunque linterpretazione antiromana di Ap. Sulla stessa linea
e in base allo stesso metodo, quello del valore numerico delle lettere o
gematria, sono poi stati proposti ANTEMOS, [honori] contrarius e quindi inetto,53 o contrapposto a Dio e al Cristo; e poi ARNUME,54 nego,
negator, in quanto lAnticristo colui che combatte e nega il Cristo; e poi
DICLUX, nome in lingua latina e vicino al nonsenso;55 e infine
GENSERIKOS, inteso come gentium seductor, nome che fu proposto
evidentemente sotto limpressione suscitata in tutta Europa dalloccupazione di Cartagine (439 d.C.) e dal saccheggio di Roma (455 d.C.) da parte
del re dei Vandali.56 Lunica ulteriore precisazione che dopo Ireneo i commentatori antichi hanno aggiunto che la lingua del nome da proporre devessere il greco, dal momento che lAp scritta in lingua greca. Dice per
esempio Bruno di Asti: Alcuni hanno voluto esprimere questo nome an-

50. Non certo a caso che per esempio Ippolito (prima met sec. III) riproponga gli stessi

tre nomi che si trovano in Ireneo (De Antichr. 50,11-14).


51. Cos hanno fatto Ippolito (De Antichr. 50,10), le recensioni posterior e postrema di

Vittorino di Pettovio, Andrea e Areta di Cesarea, Beda, Aimone, Walafrido Strabone,


Ruperto di Deutz (che parla di giganteum nomen, 1084.C), e Martino di Len.
52. Riproponendo le interpretazioni di Ireneo, Ippolito sposta la sua preferenza su
LATEINOS (oi kratounte eti nun eisi Lateinoi, De Antichr. 50,17). Sulla sua scia si
collocano Andrea di Cesarea (340.D), e Areta di Cesarea (PG 106, 681.B).
53. Cos, per esempio le recensioni di Vittorino, e poi Primasio, Beda, Aimone, Anselmo di
Laon, Ruperto di Deutz (da cui sono tratte le traduzioni in latino dei singoli nomi), e
Riccardo di San Vittore. Senso migliore quello attribuito ad ANTEMOS da Walafrido
Strabone: qui Christo contrarius dicitur (734.B), e da Bruno, che aggiunge: inde
enim Antichristus vocatur (677.A).
54. Cos Ippolito (De cons. mundi 28,20), Primasio, Beda, Aimone, Walafrido Strabone, e
Ruperto. Per il mondo bizantino cf. le soluzioni riportate da Andrea di Cesarea (340.D).
55. Tra gli antichi, Ruperto si trova in difficolt a dare un qualche significato a questo nome
( quid ad illum hominem hic numerus pertineret?, 1084.D). Altri invece azzardano interpretazioni pi o meno soddisfacenti: Diclux, quo nomine per antiphrasin expressum
intelligimus Antichristum; qui cum a luce superna priuatus sit atque abscissus, transfigurat
tamen se in angelum lucis, audens se dicere lucem (le recensioni di Vittorino, PL Suppl. I,
157 e 158); quia ipse se lucem esse dicit (Walafrido Strabone, PL 114, 734.C); Ipse
fatebitur se esse lucem (Aimone, 1103.B); Quid aliud hoc significare videtur, nisi quod
ejus adulatores eum deprecantes, dicent: Dic Lux; loquere, legislator, ne taceas, tu qui
lumen es, monstra per quam viam incedere debeamus (Bruno, 677.C-D).
56. Cos le recensioni di Vittorino posterior e postrema, Aimone, Bruno, e Ruperto.

160

G. BIGUZZI

che in latino, ma poco pertinentemente, poich questo libro stato scritto


in greco (PL 165, 677.C).57
Nellepoca delle controversie confessionali nella quale lAp stata selvaggiamente strumentalizzata come arma per colpire lavversario, ha portato i protestanti a vedere nella Bestia il papato e a interpretare il suo numero
per esempio con ITALIKH EKKLHSIA, la chiesa italica, oppure con
PAPEISKOS, papista, mentre da parte cattolica stato proposto per
esempio LOUQERANA, (ribellione) luterana / cose luterane.58 Il ritorno
allinterpretazione di Ap in chiave di storia contemporanea e in particolare in
chiave anti-imperiale, ha portato invece gli interpreti degli ultimi secoli a
cercare nel 666 il nome di qualche imperatore romano. J.B. Bossuet (scripsit
1689) ha riproposto DICLUX interpretandolo come DIoCLes aVgVstVs,
Diocleziano Augusto; Grotius (= H. de Groot, scripsit 1644) ha proposto
OULPIOS, Ulpio (Traiano); F. Spitta (1889) ha proposto GAIOS
KAISAR, Gaio (Caligola) imperatore;59 G.A. Deimann (1908) ha proposto KAISAR QEOS, [L] Imperatore [] Dio;60 H. Kraft (1974) ha proposto M. NEROUA, M. Nerva imperatore; L. von Hartingsveld (1978), ha
proposto QEYSAR DWMYTYANUS, Domiziano imperatore (in lettere
ebraiche), e precedentemente quattro interpreti (C.F.A. Fritzsche, 1831; F.
Benary, 1836; F. Hitzig, 1837; E. Reu, 1837), ognuno indipendentemente
dallaltro, avevano proposto QSR NRWN, Nerone imperatore (in lettere
ebraiche),61 che attualmente la pi condivisa delle interpretazioni.62
57. Cos Vittorino, le Omelie pseudo-agostiniane (attribuite a Cesario dArles, 543),

Primasio, Aimone, Walafrido, Anselmo, Riccardo, e Martino di Len. Bruno dice chiaramente che va esclusa la lingua latina (di DICLUX). Unica eccezione il pseudo-Isidoro
(PL Suppl. IV, 1860) per il quale la lingua devessere invece quella ebraica.
58. Cf. la rassegna di W. Barclay, Revelation xiii, 295-296.
59. Per queste informazioni su Bossuet, Grotius e Spitta cf. E.-B. Allo, LApocalypse, 212.
60. Per questinterpretazione (e per quella di L. von Hartingsveld, 1978) la somma del valore numerico delle lettere 616, e dunque linterpretazione presuppone la variante dei manoscritti che era conosciuta gi al tempo di Ireneo.
61. Linformazione si trova in W. Bousset, Die Offenbarung Johannis, 105-106, e E.-B.
Allo, LApocalypse, ccxl. La scrittura difettiva di QSR (invece di QYSR) che costituiva
una difficolt per laccettazione dellipotesi, stata poi confermata da uno dei documenti di
Wadi Murabbaat (DJD II, n. 18, tav. XXIX), come documenta D.R. Hillers, Revelation
13,18 and a Scroll from Murabbaat, 65.
62. Cos per esempio W. Bousset, Die Offenbarung Johannis, 106, e 373 (endgltig
sichergestellt; diejenige Lsung, die alle andern aus dem Felde schlgt); R.H. Charles, A
Critical and Exegetical Commentary on the Revelation of St John, I (Edinburgh 1920), 367
(This solution appears to satisfy every requirement); J. Roloff, Die Offenbarung des
Johannes (Zrich 1984), 145 (wird man urteilen mssen da); C.H. Giblin, The Book
of Revelation (Collegeville, MN, 1991) 135 (almost certain).

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

161

A partire da A.G. van den Bergh van Eysinga (1912), con una certa insistenza viene poi proposta uninterpretazione aritmetica del 666, che un
numero doppiamente triangolare, essendo esso triangolare del numero 36
che, a sua volta, triangolare del numero 8.63 La somma dei numeri da 1 a
8, cio, ammonta a 36, e la somma dei numeri da 8 a 36 ammonta a 666.
Poich secondo gli antichi il numero triangolare (ariqmo\ tri/gwno) ha lo
stesso valore e significato del suo numero di base, il numero 666 di Ap
13,18 da mettere dunque in relazione al numero 8, come in qualche modo
fa il v. 17,11: e la Bestia [il cui numero 666] che era e non , lottavo re / ogdoo, ed uno dei 7. In conclusione, come numero doppiamente triangolare, il 666 sarebbe in stridente contrasto con il numero
quadrato64 del Cristo e con il 144.000 dei suoi discepoli, rappresentando
tutta liniquit dellAnticristo e, insieme,65 la repentinit della sua fine.

3. Bilancio e prospettive
Intorno allirritante mistero66 del numero di Ap 13,18 sono dunque sorti
tre tipi dinterpretazione. Linterpretazione pi antica perch anteriore a
Ireneo e tuttora di gran lunga la pi diffusa quella gematrica, la quale va
in cerca di un nome le cui lettere ebraiche o greche o latine diano la somma di 666 con il loro valore numerico. Ireneo poi ha inaugurato linterpretazione del valore del 666 come numero ricapitolativo e simbolico,
interpretazione che alcuni antichi hanno seguito spesso in linea subordinata alla gematria e che non assente neanche tra gli interpreti moderni. Linterpretazione aritmetica del 666 come numero triangolare, lultima a essere
proposta, la quale si colloca idealmente in continuit con le speculazioni

63. G.A. van den Bergh van Eysinga, Die in der Apokalypse bekmpfte Gnosis, in ZNW

13 (1912), 293-305; E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes, 115-116, J. Sweet,


Revelation, 218-219, E. Lupieri, LApocalisse di Giovanni (Milano 1999), 218-219 (presso
il quale cf. la disposizione triangolare dei numeri da 1 a 36).
64. Sui numeri triangolari, quadrati, e rettangolari, cf. R. Bauckham, The Climax of
Prophecy. Studies on the Book of Revelation (Edinburgh 1993), 390-394 e, in particolare
lessenziale definizione dei tre tipi di numeri a p. 392: the sum of successive numbers
[= numero triangolare], the sum of successive odd numbers [= numero quadrato], the sum
of successive even numbers [= numero rettangolare].
65. J.-P. Charlier, Comprendre lApocalypse, I (Paris 1991), 291: Nous serions donc en
prsence dune absolutisation de 8, par voie de double triangulation.
66. P. Prigent, LApocalisse di S. Giovanni (Roma 1985 [Lausanne - Paris 1981]), 426.

162

G. BIGUZZI

numerologiche di pitagorici e gnostici, andata pian piano guadagnando


sostenitori, ma stenta a farsi accettare.
E non senza motivo.67 Linterpretazione aritmetica infatti, se in qualche
modo spiega il rimando di Giovanni al numero della Bestia, non spiega
invece il rimando al suo nome, non prendendo neanche in considerazione
il fatto che Giovanni parli del nome della Bestia (13,17bis; 14,11; 15,2) e
soprattutto del numero del suo nome (13,17; 15,2). Linterpretazione
gematrica invece con ogni probabilit presupposta dallimperativo
yhfisa/tw. Il verbo yhfi/zw deriva da yhfo, sassolino levigato68 e, significando di per s contare con pietruzze, qui significa invece calcolare con lettere perch il calcolo riguarda un nome. Non c commentatore
allora che con A. Deimann e Th. Zahn non rimandi al graffito pompeiano
che in lingua greca dice: Amo colei il cui numero 545 filw h
ariqmo fme, ma forse ancora pi esplicito il testo citato nel dizionario
di Liddell - Scott - Jones alla voce yhfi/zw, perch invita a calcolare con
le lettere: ea\n yhfi/sh to\ en en gra/mmasin ktl / se calcolerai il [termine] en in base a[l valore numerico delle sue] lettere, (Theologoumena
Arithmeticae 64).
Se la via gematrica probabilmente quella intesa e voluta da Giovanni per i suoi contemporanei, essa per non potr mai portare ad alcun risultato certo perch, come molti autori fanno osservare, non sappiamo
quale sia lalfabeto in base al quale si deve fare il calcolo, n sappiamo
di quante lettere sia composto il nome, cos che lenigma resta necessariamente aperto a un numero indefinito di possibili soluzioni.69 Le lettere
greche con valore numerico sono 27,70 e, se per esempio il nome nasco67. Ibidem, 427, questa soluzione messa al gradino pi basso delle possibilit di essere

quella giusta.
68. Il verbo yaw significa raschiare, spianare, levigare. Lequivalente latino di yhfo
calculus che a sua volta viene da calx, calce , da cui calcolo, calcolare.
69. Cf. J. Bonsirven, LApocalypse de Saint Jean, 235: comportant un nombre indfini
de solutions; A. Loisy, LApocalypse de Jean, 258-259: Le chiffre peut sadapter bien
des noms La signification du chiffre est introuvable si lon ne consulte que les possibilits
de combinaison arithmtiques; J. Behm, Die Offenbarung des Johannes (Gttingen 71956,
1
1932), 78: Das Ratspiel um die zu whlenden Zahlen und Buchstaben ist endlos; O.
Rhle, ariqmew, ariqmo/, 1237: Di tutti i tentativi di soluzione nessuno pienamente
soddisfacente, cos che viene spontaneo chiedersi se valga la pena di farne degli altri, che
avrebbero sempre soltanto il carattere di puri tentativi. Ma cf. gi Ireneo: multa sunt
quae inveniuntur nomina habentia numerum hunc (Adv. Haer. 5, 30,3).
70. Nellet ellenistica si usarono i 24 segni dellalfabeto attico con laggiunta dello stigma
() per il numero 6, del koppa (corrispondente al latino q) per il numero 90, e del sampi
( , antico segno locale per ss) per il numero 900; cf. D. Pieraccioni, Morfologia storica
della lingua greca (Messina - Firenze 31975, 11954), 171, con la nota n. 2, e 172.

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

163

sto sotto il 666 fosse di 6 lettere come il TEITAN di Ireneo, avremmo sei
incognite, ognuna delle quali dovrebbe essere elevata alla 27a potenza.
ben vero che poter raggiungere la certezza circa il nome nascosto in 13,18
significherebbe raggiungere la certezza anche sullinterpretazione globale
di Ap, e in particolare circa il bersaglio principale preso di mira dallaggressivo Giovanni di Patmos. Ma quella certezza ci dunque
irrimediabilmente preclusa.
Di conseguenza bisogna rinunciare alla soluzione piena dellenigma e,
senza rimpianti e con un po di opportunismo, accontentarsi di una soluzione parziale. Di fatto il 666 pu cedere un po del suo mistero se viene
collegato e confrontato con gli altri numeri di Ap, perch fortunatamente il
resto del simbolismo numerico giovanneo, come si visto, in buona misura alla nostra portata. Richiamando Ireneo, P. Prigent dice che la sua interpretazione del 6 come numero di ricapitolazione non molto
convincente, ma che il principio interessante. Ed su questa strada che
bisogna mettersi a cercare.71

4. Tentativi di interpretare il 666 in base al simbolismo del 6


Un numero che abbastanza spesso viene messo in relazione di contrasto con
il 666 il numero 7, e cio il numero dellagire perfetto di Dio e dellAgnello. Restando per tre volte al di sotto del 7, il 666 significherebbe
una perfezione clamorosamente mancata. E.-B. Allo per esempio usa le
espressioni: pouvoir incomplet, une chose manque e Prigent: 7 lacunoso e imperfezione irrimediabile.72 Altri autori arrivano alla stessa
conclusione, mettendo il 666 in relazione con il numero 8 o, meglio con
l888 che, secondo il calcolo di Orac. Sybill. 1, 324-331, il valore numerico del nome di Ges in greco, IHSOUS.73
71. Cf. P. Prigent, LApocalisse di S. Giovanni, 430-433 (citazioni alle pp. 431 e 432). Sulla

stessa linea cf. poi per esempio L. Morris, Revelation (Grand Rapids, MI, 1987), 169: We
should understand the expression purely in terms of symbolism of numbers; G.R. BeasleyMurray, The Book of Revelation, 220: It [= 666] was significant in itself; W.J. Harrington,
Revelation (Sacra Pagina, 16; Collegeville, MN, 1993), 144: If seven is the perfect number,
then six is the penultimate, incomplete number.
72. E.-B. Allo, LApocalypse, 194; P. Prigent, LApocalisse di S. Giovanni, 432.
73. Cf. per esempio R. Halver, Der Mythos im letzten Buch der Bibel, 40: ist die Zahl
des Tieres 666 der Versuch, die heilige 7-Zahl zu erreichen, ohne es zu vermgen, e G.R.
Beasley-Murray, The Book of Revelation, 221: If the contrast between 666 and 888 was
present to Johns mind, the use of 666 in 13,18 crowned in a superb way the theme of
satanic imitation that runs throughout chapter 13.

164

G. BIGUZZI

Delle due proposte, la prima si scontra per con il fatto che il 7 da


Giovanni attribuito anche al Drago (12,3: 7 teste e 7 diademi) e alla Bestia
(13,1; 17,3.7.9ss: 7 teste),74 cos che a ragione H. Kraft scrive: Anche
limperfezione ha il suo vertice nel numero 7.75 Tra laltro proprio sulle 7
teste della Bestia, Giovanni imbastisce tutta una vera e propria speculazione iconografica per dire che la Bestia vulnerabile (una delle teste fu
colpita a morte, 13,3), o per aiutare il lettore a collocare topograficamente
la Grande Prostituta che la cavalca (le 7 teste sono 7 monti su cui siede la
donna, 17,9), o per dire che le 7 teste sono simbolo di potere politico (le
7 teste sono 7 re), e per dire che uno di quei re la Bestia stessa, la
quale va in perdizione ecc. (17,11). Quanto poi al confronto da stabilire tra
il 666 e il numero 888 quale numero di Ges, la difficolt viene dal fatto
che in Ap il numero 8 una volta numero della Bestia (17,11) e mai in
nessun modo numero di Ges, tanto vero che l888 e il suo simbolismo
cristologico sono da cercare negli Oracoli Sibillini.76
Unintuizione di Ch. Brtsch, da lui non messa a frutto, aiuta a dire
qualcosa di meglio. Lidea quella di vedere il 6 o il 666 non in se stessi,
ma integrandoli nel sistema simbolico dei numeri di Ap.

5. Il 666 in relazione al 12 e non al 7


Nel commento ad Ap 1,4 dove si incontra il primo numero di Ap, Brtsch
afferma che i numeri 7 e 12 caratterizzano generalmente la pienezza dellopera divina mentre le cifre troncate come il 3 e 1/2 e il 6, met del 7 e
rispettivamente del 12, lasciano intravedere limperfezione, linconsistenza e la fine miserabile delle imprese demoniache.77 Dei due elementi sui

74. Lo fa notare per esempio B.J. Le Frois, The Woman Clothed with the Sun, 124, nota 1:

It is worth noting that whereas the number 7 is employed in the Apocalypse both for the
things of God and for the mimicry of Satan, the number 12 (and its multiples) is used
exclusively in a god sense for those who are on the side of God.
75. H. Kraft, Die Offenbarung des Johannes (Tbingen 1974), 183: Auch die
Unvollkommenheit hat ihren Hhepunkt in der Sieben.
76. Cf. anche Ireneo, Adv. Haer. 1, 15, 2.5.
77. Ch. Brtsch, La clart de lApocalypse, 26, e 232: Alors que 7 et 12, ainsi que les
nombres drivs, caractrisent gnralement la plnitude de loeuvre divine, les chiffres
tronqus (comme 3 12 et 6, la moiti respectivement de 7 et de 12) trahissent
limperfection, linconsistance et mme leffondrement final des entreprises dmoniaques;
on a relev que ce chiffre contient 3 fois celui de 6, qui natteint pas la plnitude de
7 et nest pas que la moiti de 12.

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

165

quali Brtsch fa leva, quello del 7 come numero della perfezione stato
escluso poco pi sopra, perch il 7, come s visto, numero anche del
Drago e della Bestia. A questo si aggiunge il fatto che in Ap la regola dei
numeri imperfetti in quanto mancanti di una unit, sconosciuta. invece
attestata in 5 testi (11,2.3; 12,6.14; 13,5) la regola del numero imperfetto
perch dimezzato, anche se per il solo numero 3 e 1/2, quale met del 7.78
In tal modo, la via del 6 quale met del 12, intravista da Brtsch, non
solo senza controindicazioni, ma rientra nel modo giovanneo di costruire
simbolismi numerici. ben vero che in greco il 666 non laccostamento
di tre 6 come nei numeri arabi,79 bens di 600 (exako/sioi), di 60 (exe/konta), e di 6 (ex), e tuttavia pur sempre multiplo del 6 e somma di suoi
multipli. C di pi perch, quando il lettore (Ap 1,3) avrebbe letto nelle
assemblee delle chiese di Asia linvito a calcolare il numero della Bestia,
lorecchio degli ascoltatori sarebbe stato colpito tre volte dallo ex- e dalla sibilante con i quali iniziava sia il numero delle centinaia (ex-akosioi),
sia il numero delle decine (ex-ekonta), sia infine il 6 delle unit (ex).80
Il 666 dunque anzitutto una cifra tutta giocata sul numero 6, miserabile met del numero 12, che il numero del popolo di Dio. Di conseguenza, in secondo luogo, esso dice che la Bestia non ha nulla a che fare con il
popolo di Dio, e che, viceversa, le chiese dAsia e tutti i discepoli dellAgnello non hanno nulla a che fare con la Bestia. Senza la minima esitazione, chi legge lApocalisse deve conseguentemente optare per la parte
giusta: deve mettersi dalla parte dei 12 apostoli dellAgnello, e dei 144.000
segnati in fronte col sigillo del Dio vivente, e devessere ben consapevole
che la patria verso cui in cammino la Gerusalemme nuova, con le sue
12 porte, con i suoi 12 fondamenti, e con i 12 frutti dellalbero di vita.
78. Cf. gli autori citati nella nota 40.
79. Cf. invece per esempio W.E. Beet, The Number of the Beast, 25: Let us seek for a

solution by treating the number [666] in pure symbolic wise For us it will no longer be
six hundred and sixty-six, but simply 6, 6, 6, three sixes standing side by side, and by their
juxtaposition emphasising the idea or ideas represented by a single 6; E.-B. Allo,
LApocalypse, 194 (form de trois six); W.J. Harrington, Revelation, 144 (six-six-six
being emphatically negative), e G.K. Beale, The Book of Revelation (Grand Rapids, MI,
1999), 718-728, che a pi riprese parla di triple six, triple sixes, triple repetition of
sixes, six repeated three times.
80. Essendo il 666 lelemento centrale di una delle esortazioni pi enfatiche e pi solenni
di Ap, non fuori luogo segnalarvi la presenza di una figura retorica: il triplice ripetersi di
ex d vita infatti ad una allitterazione (cf. Blass - Debrunner, 489, 7); anzi, ad una
assillabazione, poich nelle tre parole si ripete la stessa sillaba (cf. R. Berardi, Dizionario
dei termini della critica letteraria, Firenze 1969, 15, e 34). Per la sonorit della ripetizione
di ex, cf. R. Bauckham, The Climax of Prophecy, 394.

166

G. BIGUZZI

I numeri di Ap parlano dunque di Dio e del Cristo, del loro essere e del
loro agire. Parlano delle 7 chiese dAsia, dellazione pneumatica che in esse
Dio e lAgnello dispiegano, e del popolo che venendo da lontano, dallIsraele delle 12 trib, va verso la citt delle 12 porte e dellalbero di vita. Non
parlano per solo del passato o del futuro: parlano anche delle insidie che
nel tempo intermedio, breve ma decisivo, vengono dal mondo che cerca di
sostituirsi a Dio, di carpire ai popoli ladorazione che devono a Dio, e cerca dincrinare la fedelt dei discepoli dellAgnello.
I numeri di Ap dicono dunque come credere e quali scelte fare. cos
che il lettore passa da un episodio allaltro del libro, imparando a riconoscere, a scegliere, e a schierarsi, con la certezza interiore che i numeri trasmettono. Il lettore di Ap coinvolto anche emotivamente: lo dicono le
immagini, il vocabolario e la vasta gamma di generi letterari cui Giovanni
ricorre. Ma a lui Giovanni insegna di dominare le emozioni con la lucidit
e razionalit dei numeri, cos che i numeri di Ap chiedono e danno sapienza e perspicacia.
Giancarlo Biguzzi
Pontificia Universit Urbaniana, Roma

LA BIBBIA IN ARAMAICO
Verso una mutua definizione di Giudaismo e Cristianesimo

G. Bissoli

La Bibbia in aramaico: il targum


Il secolo XX segna una delle pi importanti scoperte archeologiche mai
fatte, il ritrovamento dellantica biblioteca di Qumran, presso il Mar Morto. Gli antichi rotoli hanno fatto luce sulla fedele trasmissione del testo
della Bibbia ebraica; ci hanno permesso di conoscere non solo il pensiero
della comunit, ma anche i fermenti spirituali che circolavano nellambiente giudaico da due secoli prima della nostra era fino allinizio della
guerra che vide la distruzione di Gerusalemme e del tempio, 70 d.C.
A questa scoperta possiamo accostarne unaltra, sinora limitata al
mondo degli specialisti, ma che integra i dati che la biblioteca di
Qumran ci fornisce per chiarire un periodo tanto importante sia per il
giudaismo come per il cristianesimo. La scoperta avvenuta nel 1949 a
Roma nella Biblioteca Vaticana. Il Prof. Alejandro Dez Macho, spagnolo dei Missionari del S. Cuore, che lavorava alledizione del targum
di Onqelos per la Bibbia Poliglotta di Madrid, trov un manoscritto erroneamente catalogato come targum di Onqelos. Proveniva dalla Pia
Domus Neophytorum, era stato copiato a Roma nel 1504 per conto di
Egidio da Viterbo, ministro generale degli eremiti di S. Agostino e poi
cardinale; compreso entro uno stock di 42 volumi, acquistati nel 1896
per 4000 lire del tempo, entr nella Vaticana lanno 1891 con la sigla
Neofiti 11.
Il confronto con frammenti di targum palestinese provenienti dalla
Geniza del Cairo, pubblicati da Paul Kahle nel 1930 o scoperti dallo stesso
Dez Macho, confermava che si trattava di un intero targum palestinese.
Esso si aggiungeva a quelli gi conosciuti: il summenzionato targum di
Onqelos, proprio della tradizione babilonese, il targum I di Gerusalemme o
dello Pseudo-Gionata, comprendente Pentateuco e Profeti, e il cosiddetto

1. R. Le Daut, Jalons pour une histoire dun manuscript du Targum palestinien, Bib 48

(1966) 509-533, 527.


LA 50 (2000) 167-180

168

G. BISSOLI

targum II di Gerusalemme o targum Frammentario. Da questo ritrovamento


ricevette nuovo impulso lo studio dei targum2.

La natura del targum


La parola targum significa traduzione. Sembra dimostrato che la sua origine venga dalla lingua ittita, da un vocabolo che significa annunciare,
spiegare, tradurre. Nel Talmud targum designa i testi biblici in lingua aramaica: per targum di Esdra si intendono le parti aramaiche del
libro di Esdra; per targum di Daniele si indicano le parti di Daniele in
aramaico. In seguito per targum si intese la traduzione della Bibbia in lingua aramaica per luso liturgico della sinagoga. Quando cominci questuso? La tradizione rabbinica ne riconosce linizio con Esdra, quando a
Gerusalemme, alla porta delle Acque, fece la grande convocazione degli
esiliati rientrati in patria (Ne 8,1-12). La popolazione non parlava pi
lebraico e nella sinagoga ci fu bisogno di tradurre il testo sacro nella lingua allora parlata, laramaico.
Ma il targum pi di una traduzione, in quanto vi si accompagna lattivit di interpretazione. Anche quando sembra letterale, il targum contiene elementi pi o meno lunghi di parafrasi e di spiegazioni, di
attualizzazioni e anche di correzioni del testo: in altri termini, lattivit
targumica fa nascere un testo nuovo da un bagno contemporaneamente di
cultura e di mentalit3.

Caratteristiche del targum


Caratteristica del targum che la parafrasi si integra col testo, in quanto ne
vuol dare il senso, attualizzandolo per i fedeli che frequentano la sinagoga.
frutto della ricerca esegetica propria della scuola (Bet ha-Midrash), ma
trasmessa al popolo che si raduna in preghiera. Per questo
A. cerca di essere chiaro, comprensibile alla gente comune
B. introduce delle glosse di spiegazione

2. In seguito usiamo le abbreviazioni: TJ1 per il targum I di Gerusalemme o dello Pseudo-

Gionata e TJ2 per il targum Frammentario; Gn R per Genesi Rabba.


3. A. Paul, Intertestament (CEv 14), Paris 1975, 25-26.

LA BIBBIA IN ARAMAICO

169

C. esegesi di livello popolare


D. elimina le contraddizioni
E. combina passi diversi della Bibbia, staccandoli dal proprio contesto per meglio attuarne il senso
F. attualizza dati storici e geografici; riflette le idee dellepoca e dellambiente del traduttore; introduce parafrasi morali ed esortazioni4.
Per sua natura il targum trasmesso oralmente ed soggetto a continua mutazione. Ad un certo punto trova una sua stesura scritta. Nella biblioteca di Qumran si trovano frammenti di targum dei libri di Giobbe e
Levitico. Per il materiale pi antico contenuto nelle recensioni scritte, giunte sino a noi, il targum mostra di appartenere ad una tradizione comune di
ambiente palestinese anteriore alla seconda rivolta contro Roma5.
In TJ1 a Gn 21,21 ricorrono i nomi di Adisha e Fatima, rispettivamente
moglie e figlia di Maometto. Quindi come terminus ad quem possiamo
mettere lepoca araba per la fissazione scritta di questo targum, che il pi
eclettico.

Lattualizzazione storica del targum


Portiamo un esempio per vedere come il targum attualizza storicamente
la Bibbia. Prima ricordiamo i dati biblici. Al momento della nascita dal
seno materno usc il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo,
e fu chiamato Esa (Gn 25,25). Una volta cresciuti i due gemelli,
Giacobbe mostra unattitudine casalinga, mentre Esa diventa cacciatore
e vive nei campi. Un giorno che Giacobbe aveva preparato una minestra
di lenticchie, Esa, tornato dalla campagna, gli dice: Lasciami mangiar
di questa minestra rossa, perch io sono sfinito per questo fu chiamato
Edom (Gn 25,30). unetimologia connessa con la parola adom (rosso), assonanza con Edom. Egli lantenato degli Edomiti (Gn 36,18-19;
cf Mal 1,2-4)6.

4. R. Le Daut, La Nuit Pascale. Essai sur la signification de la Pque partir du targum

dExode XII 42 (An Bibl 22), Rome 1963, 58-62.


5. A. Dez Macho, En torno a la datacin del Targum Palestinense, Sefarad 20 (1966)
11-16.
6. M. Harl, La Gense (La Bible dAlexandrie), Paris 1986, 209: purrakh, rosso di
colorito; gioco sonoro dellebraico fra adom (rosso) e Edom, altro nome di Esa.

170

G. BISSOLI

Sappiamo che dallepoca di Adriano i rabbini identificano Roma con la


figura di Esa-Edom7. Giuda b. Ilai (130-160 d.C.) disse: Il mio maestro Baruc [pu essere una referenza criptica ad Akiva; o: sia lui benedetto] era solito dire: la voce di Giacobbe grida per quanto gli han fatto
le mani di Esa a Betar 8. Nel mese di agosto del 135 le legioni romane presero laccampamento di Bar Kokba a Betar, non lontano da
Betlemme.
Secondo Gn 27 lanziano patriarca Isacco chiese a Esa di portargli
della cacciagione per mangiare e poi benedirlo prima di morire. TJ1 precisa che la data era il 14 Nisan, vigilia della pasqua (v. 1). Rebecca disse a
Giacobbe di preparare due capretti grassi, uno per la pasqua e laltro per
lofferta della festa (v. 9). Essa rivest Giacobbe delle vesti preziose di
Esa, che provenivano dal primo uomo (v. 15). Infatti prima dellistituzione del sacerdozio di Aronne, la funzione sacerdotale per cui anche le
vesti spettava al primogenito. Da Adamo, il primo uomo, in poi le vesti
sacerdotali passavano in eredit al primogenito. Giacobbe si present al
padre e gli offr la carne. Gli mancava il vino: langelo gliene procur e
offr del vino che era stato nascosto nei suoi grappoli sin dai tempi dellorigine del mondo (v. 25).
Cosa dice il targum di Esa? Ora la Parola del Signore gli aveva impedito di prendere della selvaggina pura, ma egli aveva trovato un cane e
laveva ucciso. Ne prepar le carni (v. 31). Present la sua cena al padre: Isacco fu preso da grande tremore, quando ud la voce di Esa e alle
sue narici giunse lodore del suo piatto, simile allodore del fuoco della
geenna (v. 33).
Il targum dello Pseudo-Gionata sottolinea la differenza fra i due fratelli. Giacobbe, rivestito delle vesti sacerdotali offre cibo puro e adatto alla
festa, mentre Esa prepara un cane, ritenuto animale immondo. Il particolare del cane proprio di questo targum. Quindi indizio utile per conoscere il carattere, la provenienza ed anche lepoca di questa tradizione
targumica. Nella religione greco-romana, infatti, il cane serviva come vittima nei sacrifici. A Roma veniva sacrificato nelle lupercalia, festa che
scadeva a febbraio, e nelle robigalia (25 aprile). I cani rossi erano sacri-

7. M. D. Herr, Esau as Rome in the Haggadah, EJ 6, 858. S. Zeitling, The Origin of the
Term Edom for Rome and the Christian Church, JQR 60 (1965) 262-263. D. Cohen
Gerson, Esau as Symbol in Early Medieval Thought, in: A. Altmann, ed., Jewish
Medieval and Renaissance Studies, Cambridge Mass. 1967, 19-48, pp. 26-27.
8. Talmud di Gerusalemme, Taanit 4:8; 68d; Gn R 65,21.

LA BIBBIA IN ARAMAICO

171

ficati a Ecate trivia a beneficio dei morti. A questo aspetto pu collegarsi


laccenno del targum alla geenna. Se Esa un nome in codice per Roma,
la glossa rivela lerudizione del targumista e la sottostante polemica contro
un uso pagano di Roma. Laggiunta targumica risale allepoca in cui il
paganesimo era la religione ufficiale dellimpero9.
Non mancano altri accenni contro Roma. Mentre erano ancora nel seno
materno, i gemelli si urtavano perch dice la Bibbia diverranno due
popoli e il primogenito servir allaltro (Gn 25,23). La glossa di Neofiti
precisa: perch il regno di Esa (giunge) alla fine, in seguito (verr)
Giacobbe: il suo regno non sar distrutto e non verr meno per i secoli
dei secoli. Chiaro il riferimento a Dn 7,14.
Nellelenco dei discendenti di Esa si rammenta un certo Magdiel, che
lo Pseudo-Gionata precisa essere cos chiamato a causa del nome della
sua citt Torre-Potente, Roma (rwmy) la peccatrice (ayyabata) (TJ1
Gn 36,43).
Nel contesto delloracolo di Balaam predetta la fine dellimpero: La
loro fine sar lannientamento e la loro distruzione [durer] per sempre.
Al posto del nome di Roma la recensione di Neofiti mostra una volta una
omissione ed unaltra unevidente abrasione (N Nm 24,24). Anche se il
contesto del passo tratta di Roma pagana e non di quella dei Papi, il codice
di Neofiti preferisce eliminare il nome di Roma, che invece presente nelle altre recensioni.

Rapporti fra sinagoga e chiesa nei sec. I-III


Nei targum ci sono molti accenni alla Roma imperiale, che dominava in
quel tempo. Non ci permettiamo anacronismi e distinguiamo Roma pagana
da quella cristiana. Ci sono degli accenni al movimento cristiano, sorto e
diffuso in mezzo alle comunit ebraiche della madrepatria? Alcuni autori
del NT avvertono la distinzione dal giudaismo (Mt, Gv, Eb). Il giudaismo
inizi il processo di ostracismo dei cristiani dalla sinagoga con Rabban
Gamaliele II (80/90 fino al 110), patriarca dellaccademia di Jabne: nella
preghiera liturgica associ nella maledizione contro gli eretici (minim)
anche i cristiani (norim)10.

9. R. Hayward, Targum Pseudo-Jonathan to Genesis 27:31, JQR 84 (1993) 177-188.


10. Segal Alan F., Two Powers in Heaven. Early Rabbinic Reports About Christianity and

Gnosticism (SJLA 25), Leiden 1977, 152.

172

G. BISSOLI

Lesclusione dei cristiani dalla sinagoga non avvenne immediatamente. Una lettera scoperta nelle grotte del deserto di Giuda riporta
lordine del generale in capo Bar Kokhba di non recare noia a certi
galilei. Per alcuni studiosi (Milik, Vermes) sono cristiani di origine
ebraica11.
Anche se non siamo certi dellidentificazione di questi galilei, abbiamo la testimonianza di Giustino. Egli, nativo di Neapolis in Samaria, scrive di essersi convertito alla fede cristiana per avere visto la costanza dei
martiri, periti durante la seconda rivolta contro Roma (Apol. I,31). Unaltra prova: fino al 134 d. C. a Gerusalemme la sede episcopale era tenuta da
giudeo-cristiani, discendenti della linea familiare di Ges; trasformata la
citt in Aelia Capitolina, subentr come vescovo Marco, col quale inizi la
linea gentilo-cristiana12.
Sebbene fosse avvenuta la distinzione e la separazione fra le due comunit, Giudei e Cristiani vivevano sempre fianco a fianco. Un secolo
dopo, abitando a Cesarea, Origene fu il primo dei Padri a rivolgersi ai
rabbini per aiuto: egli avvert limportanza di consultarli nella questione
della trasmissione della Bibbia e del canone. Tenne anche discussioni
pubbliche con i maestri della sinagoga. Il dialogo religioso era una preoccupazione del tempo. Il contatto con gli ebrei non era difficile. I rabbini erano molto disposti a dibattere la loro causa in pubblico o a discuterne
in privato13 .Ad Antiochia la viva curiosit della famiglia imperiale vi
incoraggi dei dibattiti fra dirigenti giudei e cristiani, includendo Ori-

11. E. Feldman, Bar Kokhba, Encyclopaedia Judaica 4, Jerusalem 1972, 237; P. Benoit,
et al., Discoveries in the Judaean Desert II: Les Grottes de Murabbat, Oxford 1961, 159161.
12. B. Bagatti, Alle origini della chiesa. II: Le comunit gentilo-cristiane (Storia e attualit,
5), Citt del Vaticano 1981, 9.
13. Nicholas R. M. de Lange, Origen and the Jews. Studies in Jewish-Christian
Relations in Third-Century Palestine (University of Cambridge Oriental Publications
Published for the Faculty of Oriental Studies), London New York Melbourne 1978
(rist. ediz. 1976), p. 134. Idem, Jewish Influence on Origene, in: H. Crouzel G.
Lomiento J. Rius-Camps, ed., Origeniana. Premier colloque international des tudes
origniennes (Montserrat, 18-21 septembre 1973 (QVetChr 12), Bari 1975, 225-242. A
Cesarea il luogo dove si tenevano i dibattiti in pubblico probabilmente era lodeon.
Le antiche fonti rabbiniche tuttavia nominano ledificio b bdn (casa di rovina),
cacofemismo per b-wad (accademia). Il termine peggiorativo serviva dapprima
per indicare i luoghi pagani, dove per ordine di Adriano la popolazione giudaica era
costretta ad assistere a spettacoli pagani (M. Jastrow, A Dictionary of the Targumim,
the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature: I, New York 1950
[rist.], voce NdyEba, 5).

LA BIBBIA IN ARAMAICO

173

gene14. I rabbini contemporanei di Origene erano R. Joshua b. Levi e


Hoshaya, ma non sappiamo se questi fossero i saggi cui fa riferimento
lo scrittore cristiano nelle sue opere.
Grazie ad Origene, abbiamo dei dati precisi per lambiente di Cesarea
Marittima, la capitale della regione. Origene, che mor verso il 255, vi
tenne pi volte discussioni con rabbini, in presenza di molta gente che
poteva far da giudice (Contra Celsum I,55)15. La base comune era la
Scrittura: Dico questo al Giudeo, non perch come cristiano io nego fede
ad Ezechiele e ad Isaia, ma per convincerlo, attraverso le testimonianze
comuni alla mia ed alla sua fede (CC I,45). Con lesperienza acquisita
in queste discussioni, Origene avvert il bisogno di avere una buona preparazione sul testo. Per questo prepar le sue ben note Exapla. In una
lettera ad Africano scrisse: Se noi ci prepariamo nelle nostre discussioni
con loro, essi non rideranno sprezzantemente come loro costume ,
verso i credenti gentili per lignoranza della giusta lettura che essi possiedono16.
Possiamo capire meglio il clima di queste discussioni, da alcuni detti
di R. Abbahu ( 309), il rabbino pi importante della scuola di Cesarea,
attivo un po dopo il tempo di Origene. Commentando la frase Dio non
un uomo da poter mentire, contenuta nellepisodio di Balaam (Nm 23,19),
egli spiega: Se uno ti dice io sono Dio, mente; oppure sono il Figlio
delluomo, alla fine se ne pentir; se dice: salgo al cielo, egli promette,
ma non si avverer17. evidente la polemica anticristiana18.

14. De Lange, Origen, 12. La notizia dedotta da Eusebio di Cesarea (cf. G. Bardy, Eusbe
de Csare. Histoire Ecclsiastique. Livres V-VII [SC 41], Paris 1955, p.120-121 [VI, XXI,
3-4]). Pi preciso Simonetti, che scrive: Origene fu anche convocato ad Antiochia presso
Giulia Mamea, limperatrice madre di Alessandro Severo (forse nel 231): M. Simonetti
E. Prinzivalli, Storia della Letteratura Cristiana Antica, Casale Monferrato (AL) 1999, 125.
15. A. Colonna (a cura), Contro Celso (Classici UTET: la religione cattolica), Torino 1971.
16. Ep. Afr, 9, cf. Nicholas R. M. de Lange, Origne: la lettre Africanus sur lhistoire de
Suzanne. Introduction, texte, traduction et notes (SC 302), Paris 1983. Sul clima di questi
dibattiti vale losservazione generale che Origene lamenta un certo orgoglio e un senso di
superiorit abbinata a disprezzo, quando non vero e proprio odio verso i cristiani [] o
insulti verso Ges e i cristiani: Giuseppe Sgherri, Giudaismo, in: Adele Monaci Castagno
(a c. di), Origene. Dizionario: la cultura, il pensiero, le opere, Roma 2000, 200-206, cit.
p. 201.
17. Talmud di Gerusalemme, Taanit II,1, 65b.
18. S. T. Lachs, R. Abbahu and the Minim, JQR 60 (1970), 199-200; Lee I. Levine,
Caesarea onder Roman Rule (SJLA 7), Leiden 1975, 83.

174

G. BISSOLI

Tracce di polemica anticristiana nel targum


Nel targum la polemica molto pi velata19. Nel II secolo il
marcionismo divulg dottrine, in cui si riteneva la divinit presentata
dallAT cattiva, falsa, creatrice di cose cattive, capace di spingere a commettere furti ed altre iniquit. Il targum non prese posizione direttamente
contro leresia sorta fra i cristiani, ma sembra labbia tenuta presente, insistendo su temi tipici della fede giudaica:
Dio misericordioso (TJ1 Gn 7,4; 7,10; 38,26 ecc.);
premia il bene e castiga il male (Gn 3,24; 27,33; 46,17; 49,1 ecc.);
esiste un giudizio universale alla fine del mondo (Gn 4,7; 39,16; 49,15
ecc.).
Aspetti polemici anticristiani possiamo coglierli nellesegesi che il
targum fa della Scrittura.
Negli apocrifi dellAT, ma anche fra i cristiani, si riteneva che Enoc
non fosse morto, ma assunto direttamente nel mondo di Dio. R. Abbahu
dimostr che dal testo biblico si deduce che anche Enoc mor (Gn R.
XXV,1). Un secolo prima di lui anche R. Jos b. alafta (T3, circa 130160: uno dei discepoli di R. Aqiba) pose la stessa questione. La glossa a N
Gn 5,23 concorda con questi maestri e scrive: egli mor e fu tolto dal
mondo.
TJ1 Gn 1,2 ed 8,1 parafrasa il termine ebraico ra con spirito di
misericordia: sembra per non favorire linterpretazione cristiana che usava il passo come prova della Trinit.
Eb 7,11 si basa su Gn 14,18 per provare che il sacerdozio levitico
doveva essere sostituito da quello secondo lordine di Melchisedek. TJ1
aggiunge che questo antico personaggio fu sacerdote in quel tempo, quindi in seguito non lo fu. Nedarim 32b riporta una tradizione di R. Ishmael
che interpreta Gn 14,18 e applica il Salmo 110,1 ad Abramo: il sacerdozio
di Melchisedek pass ad Abramo20.
Antichi scritti cristiani prendono il numero 318 dei servi di Abramo
(Gn 14, 14) come riferimento al nome di Ges e alla croce (Barn. 9,8;

19. E. Levine, Some Characteristics of Pseudo-Jonathan Targum to Genesis, Aug 11


(1971) 89-103.
20. F. Manns, Les Rapports Synagogue-Eglise au debut du IIe sicle aprs J.-C. en
Palestine, LA 31 (1981) 105-146, cit. 121. G.J.J., Petuchowski, The Controversial Figure
of Melchisedek, HUCA 28 (1957) 136.

LA BIBBIA IN ARAMAICO

175

Clem., Str., 6,11); TJ1 se ne serve per esaltare Eleazaro, pi forte di 318
armati.
Un ultimo esempio: seguendo la pi antica tradizione rabbinica,
lApocalisse di Giovanni esclude dallelenco delle dodici trib di Israele la
trib di Dan, perch considerata fautrice di idolatria (cf Ap 7,5-8). TJ1 a
Gn 49,16 parafrasa: Fra quelli della casa di Dan deve sorgere un uomo
che giudicher il suo popolo con giusti giudizi; le trib di Israele insieme
gli obbediranno.
Sono alcuni esempi della disputa fra le due comunit riguardo allinterpretazione della S. Scrittura. Tutte le polemiche fra ebrei e cristiani di questo periodo e in seguito non sono prese di posizione gratuite, ma vertono
sul significato del testo biblico.

Il targum e la preghiera
Lasciando da parte la polemica, vediamo un aspetto caratteristico del
targum, la preghiera21. Il targum al Pentateuco si riferisce alla preghiera o
a persone che pregano in circa 220 versetti. Innumerevoli sono i sinonimi
della preghiera come: cercare o chiedere istruzione davanti al Signore, chiedere o cercare misericordia dal Signore, benedire, gridare, pregare davanti
al Signore, supplicare, avvicinarsi, prostrarsi, adorare, servire, stare davanti, intercedere, stendere o alzare le mani, meditare, prostrarsi, chiedere aiuto, ascoltare.
Inoltre grandi figure bibliche mostrano il valore della preghiera. Adamo
si rivolse al Signore allinizio: Te ne prego, per la misericordia [che sta]
davanti a te, Signore, che noi non siamo considerati come le bestie, che mangiano lerba che si trova sulla superficie dei campi! Noi lavoriamo e, grazie
allopera delle mie mani, ci nutriremo dei frutti della terra. In questo modo
[Dio] distinguer i figli degli uomini dalle bestie (TN Gn 3,18, cf TJ1).
La tradizione giudaica d grande importanza al merito dei padri. PsJ
ci presenta Mos che, sceso dal monte e vista la collera di Dio sul punto di
sterminare il popolo, invoc il Nome grande e glorioso e fece tornare dalla tomba Abramo, Isacco e Giacobbe che si misero in preghiera davanti al
Signore: con la preghiera di intercessione dei patriarchi si evit la distru-

21. M. Maher, The Meturgemanim and Prayer, JJS 41 (1990) 226-246; 44 (1993) 220235. L. Smolar M. Aberbach, Studies in Targum Jonathan to the Prophets, New York
1983, 164-169.

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G. BISSOLI

zione del popolo (Dt 9,19). Abramo fu il primo a intercedere per altre persone (Gn 18,22ss; 20,17). Il targum ricorda pi volte la sua preghiera di
intercessione (Gn 12,8; 13,4; 14,22; 17,3; 17,20; 18,22; 19,27 ecc.). In occasione del sacrificio di Isacco sul monte Moria, Abramo rese culto e preg. Dopo aver ricordato al Signore di non aver avuto nessuna esitazione a
obbedirgli, domanda a favore dei discendenti di Isacco: Quando i suoi figli si troveranno in tempi di calamit, ricordati dellaqeda del loro padre
Isacco e ascolta la voce della loro supplica. Esaudiscili e liberali da ogni
tribolazione (NGn 22,14).
Infine ricordiamo Aronne, che dopo aver offerto vari sacrifici nella tenda dellincontro, alz le sue mani in preghiera verso il popolo. Alzare le
mani una formula usata in riferimento alla benedizione sacerdotale (NLv
9,22). In occasione della mormorazione del popolo contro Mos ed Aronne,
il Signore minacci di distruggere il suo popolo. I due intercedettero. Aronne
fece lespiazione con lincenso e stette in preghiera nel mezzo e con
lincensiere fece una separazione fra i morti e i vivi (TJ1 Nm 17,13). Questa
menzione della preghiera pu riflettere lattitudine di una certa spiritualizzazione del sacrificio. Il targum d grande valore alla preghiera; coglie ogni
occasione per inculcarla al popolo, mostrando come la praticarono i grandi
del passato e come essa bene accetta a Dio. La comunit della sinagoga
una comunit che prega in ogni situazione della vita.

Il targum e il Nuovo Testamento


Gli esegeti hanno gi messo in evidenza molti punti in cui il NT usa il linguaggio religioso riportato nella tradizione targumica22. Non solo, il NT si
chiarisce attraverso le tradizioni targumiche. Il Nome divino Colui che ,
che era e che sar modificato nel-lApoccalisse in Colui che , che era
e che verr. Sempre nellApocalisse ricorre la frase la seconda morte,
tipica del targum. Nel vangelo di Matteo: avete sentito che vi fu detto
(Mt 5,21 e TGn 9,6); in Luca: benedetto il ventre che ti ha portato (Lc
11,27 e TGn 49,25); Siate misericordiosi come il vostro Padre misericordioso (Lc 6,36 e TJ1 Lv 22,28); nei Sinottici: con la misura con cui
misurate sar misurato a voi (Mt 7,2; Mc 4,24; Lc 6,38 e TGn 38,26).

22. G. Dalman, Die Worte Jesu, Leipzig 1930, ed.2. M. McNamara, The New Testament
and the Palestinian Targum to the Pentateuch (AB 27), Rome 1966. R. Le Daut, La
tradition juive ancienne et lexgse chrtienne primitive, RHPhR 51 (1971) 31-50.

LA BIBBIA IN ARAMAICO

177

Alcuni punti difficili del NT possono essere chiariti attraverso il ricorso al


midrash contenuto nel targum, p.e. il velo di Mos e il velo rimosso mediante la conversione (2Cor 3,7-4,6 e TEs 33 e 34; TJ1 Nm 7,89). La difficile espressione il Signore lo Spirito (2Cor 3,17) diventa chiara,
confrontandola con il midrash secondo il quale lo Spirito rivelava i decreti
di Dio nella tenda dellincontro (TJ1 Nm 7,89; Es 33,11.20).
Possiamo risalire anche allo strato pi antico del vangelo per chiarirlo
con il targum. Nel vangelo ricorre lespressione regno di Dio, senza mai
spiegarne il contenuto. Da un secolo fino agli anni pi vicini a noi hanno
attribuito lespressione allambiente apocalittico, ma in questo genere di
letteratura non ricorre mai lespressione. Alcuni lhanno attribuita al mondo religioso rabbinico, per cui si riferirebbe allautorit divina che uno
accoglie su di s mediante lobbedienza. Questo per un concetto morale proprio del rabbinismo tardivo, ma non del tempo di Ges23. Pur con la
riflessione di tanti studiosi, non si percepisce il concetto base della
predicazione di Ges.
Il Chilton ha identificato 8 ricorrenze nel targum dei profeti, che sebbene sia una compilazione tardiva, mostra di essere in sintonia con il contenuto della frase evangelica.
Per es. TZc 14,9:
Il testo ebraico dice: E il Signore sar il re su tutta la terra.
Il Targum rende cos la frase: E il regno del Signore sar rivelato su
tutti gli abitanti della terra.
Troviamo gli stessi elementi nel targum a Abdia 21:
Il testo ebraico dice: E il regno sar del Signore.
Il targum: E il regno del Signore sar rivelato su tutti gli abitanti della terra.
Evidentemente la frase stereotipa: per quel tempo era comune. Il termine aramaico regno (atwklm) vien usato per lebraicoKlm, a cui si aggiunge il predicato (ylgtya) che enfatizza la sua futura manifestazione. Il
regno di Dio un realt che gi esiste: basta che venga manifestato. Il testo biblico prospetta questo evento per il futuro e cos fa il targum.
La tradizione rabbinica riporta un detto di R. Eliezer b. Hyrcanos24, discepolo di R. Johanan b. Zakkai, secondo il Neusner attivo in Galilea al tempo di Ges.
23. B. D. Chilton, Targumic Approaches to the Gospels. Essays in the Mutual Definition of

Judaism and Christianity (Studies in Judaism), Lanham, MD 1986, 99-107.


24. H. S. Horovitz - I. A. Rabin, ed., Mechilta DRabbi Ismael, Jerusalem 1970, ed. 2., p.

186, l. 5-6.

178

G. BISSOLI

Afferma R. Eliezer: E il Luogo (Mwqmh) sar uno solo (yIdyIjy) per


leternit (Mlwob) e il suo regno (wtwklm) sar per sempre (Mlwol).
Segue la citazione di Zc 14,9. Questa attestazione ci riporta ai tempi di
Ges.
La maggioranza delle ricorrenze provengono dal targum di Isaia: 31,4;
40,9; 52,7, che confermano lespressione gi vista. Nellultima citazione il
testo ebraico dice:
Il vostro Dio regna; il targum spiega: il regno del vostro Dio rivelato.
La frase di Is 40,9 seguita dalla specificazione in potenza (Pwqtb).
In Mc 9,1 anche Ges parla di regno di Dio che viene en dunamei, in potenza. In tutti questi passi si tratta di unattivit di Dio che interviene a
favore del suo popolo Israele. La predicazione di Ges riassunta nellespressione il regno di Dio vicino (Mc 1,15) e questo anche lannuncio affidato ai Dodici, inviati in Galilea (Mt 10,7). La comparazione dei
testi targumici prova che lespressione regno di Dio equivale al termine
ebraico Klm, re. Non afferma la sovranit di Dio in generale, quanto un suo
preciso intervento da re nei fatti umani. Il regno lautorivelazione di Dio.
Il Chilton commenta: per il targum di Isaia come per Ges: regnum Dei
Deus est25.

Conclusione
Allinizio della nostra era e nello spazio di pochi decenni il popolo ebraico
sub grandi prove. Nel 70 fu distrutta Gerusalemme con il tempio. Negli
anni 115-117 la popolazione ebraica si sollev nelle regioni della Cirenaica,
dellEgitto e a Cipro, provocando la repressione di Traiano con decine di
migliaia di vittime26. Nel 133-135 la Giudea insorse contro Roma e limperatore Adriano scacci gli abitanti dalla Giudea, ricostru Gerusalemme
come citt pagana col nome di Aelia Capitolina, proib la circoncisione,
fece bruciare i testi sacri, uccise i maestri pi ragguardevoli.
Il Giudaismo antico nato dalla Scrittura ed portatore della Scrittura.
Dopo queste grandi sventure, fu per merito dei rabbini che la comunit
giudaica continu ad esistere come comunit religiosa e nazione. Nel 200

25. Chilton, Targumic Approaches, 99.


26. V. A. Tcherikover A. Fuks, Corpus Papyrorum Judaicarum, I, Cambridge, Mass.

1957, 86-87.

LA BIBBIA IN ARAMAICO

179

abbiamo la compilazione della Mishna (dal verbo shanah, ripetere: in


senso stretto significa imparare ci che tradizione orale). Le norme della
Mishna (opera dei Tannaim) con il commento dei maestri successivi
(Amoraim), dette origine al Talmud, cio studio (dal verbo lamad, imparare): abbiamo quello detto di Gerusalemme, frutto dellattivit delle
scuole palestinesi, e quello di Babilonia, frutto delle accademie di
Mesopotamia. Tra gli scritti rabbinici del sec. II d.C. collochiamo anche la
messa per iscritto del materiale targumico palestinese.
Sempre nel corso del II sec. d.C. in Palestina avviene la distinzione e
la separazione fra le comunit giudaica e cristiana. Il targum riporta solo
pochi cenni di polemica riguardante linterpretazione di alcuni passi
biblici. La polemica molto sfumata. La si coglie soltanto paragonando
linterpretazione biblica targumica con quella differente, offerta dalla
letteratura cristiana.
Tra il 70 e il 135 entro il giudaismo si svilupp unaspra lotta contro le
tendenze spirituali che ne minacciavano lesistenza. Anzi dobbiamo risalire ad una data anteriore. Negli anni 40 dellera cristiana nelle sinagoghe di
Roma le discussioni furono tanto violente, da turbare lordine pubblico. Per
questo fatto lautorit civile espulse tutti gli ebrei dalla capitale. celebre
il passo di Svetonio (Vita Claudii 25,4): Judaeos assidue tumultuantes
impulsore Chresto: lespulsione avvenne probabilmente nel 49 d.C. ed
ricordata anche negli Atti degli Apostoli (At 18,2).
Il Dialogo con Trifone di san Giustino martire risale al sec. II. A quellepoca il dialogo era un genere letterario per affermare le proprie tesi. Ma
in questopera Giustino descrive il carattere giudaico non troppo amichevolmente, anzi spesso arriva allinvettiva. Lo stato sociale, cui era relegato
il cristiano, era allora al livello pi basso della societ. Uno scrittore cattolico americano si chiede se questo possa spiegare il fenomeno. Lantagonismo porta non solo ad un profondo sentimento di autogiustificazione, ma
anche ad un forte rigetto dellaltro27.
Tuttavia Origene trasse molto profitto dal contatto con i maestri della
sinagoga. Il suo insegnamento giov alla chiesa dOriente e mediante le
traduzioni di Rufino e Girolamo anche alla chiesa di Occidente. Nel 1993
la Pontificia Commissione Biblica pubblic un documento, che si intitola:
Linterpretazione della Bibbia nella Chiesa. Fra gli approcci basati sulla
tradizione ricorda le tradizioni interpretative giudaiche (I,C2). Il Giudaismo

27. V. Martin, A House Divided. The Parting of the Ways Between Synagogue and Church

(Studies in Judaism and Christianity), New York 1995, 173.

180

G. BISSOLI

tuttavia ce lo prova la breve scorsa sul targum , non ci offre solo un


metodo interpretativo: lambiente naturale e spirituale di Ges, dei suoi
primi discepoli e della comunit primitiva. Lebraismo di Ges una scoperta del sec. XX da parte degli esegeti cristiani. Anche da parte di dotti
ebrei c stata unapertura verso il cristianesimo: Martin Buber nutr rispetto per Ges e Franz Rosenzweig pens che giudaismo e cristianesimo sono
due partner nel programma divino di redenzione del mondo.
Dopo tanti secoli che ci separano dalle origini, la chiara distinzione fra le
due religioni trova inutile ogni polemica. I vantaggi culturali che il dialogo
port in antico fanno sperare bene per il reciproco beneficio anche agli inizi del nuovo millennio.
Giovanni Bissoli, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE


Le cycle biblique de Gdon

S. Lgasse

Introduction
Le livre des Juges se prsente comme la continuation du livre de Josu et
comme le rcit de la priode qui stend entre linstallation dIsral en Canaan et linauguration de la monarchie. Le dbut (1,12,5) et la fin du livre
(ch. 1721) forment un cadre qui chappe et a t rattach tardivement
lhistoire des juges. Celle-ci, qui va de 2,6 16,31, constitue le corps de
louvrage. Cest une composition ralise partir de donnes diverses, isoles lorigine et dont lactuelle disposition chronologique est artificielle1 .
Au reste, bien des obscurits demeurent ce sujet et la critique littraire est loin doffrir un rsultat unanime. Est sre seulement lattribution
de la refonte finale aux rdacteurs deutronomistes qui utilisent ces rcits
pour illustrer et appuyer leur doctrine de la rtribution telle quelle sexprime en Dt 28,15-68 et se rsume en Josu 23,16 : Si vous transgressez
lalliance que YHWH vous a prescrite vous disparatrez rapidement de
la bonne terre quil vous a donne.
Ainsi se rpte dans lhistoire des juges le schma suivant : 1) Isral
dsobit Dieu sous forme didoltrie ; 2) oppression des ennemis comme
chtiment divin ; 3) appel au secours de Dieu ; 4) apparition dun librateur (histoire du hros) ; 5) retour du pays au calme.
lintrieur de cet ensemble le cycle de Gdon2 nest pas plus dune
seule venue que le reste. Cest une succession dpisodes dorigine et de
cachet diffrents o se mlent des faits dont le hros englobe en ralit
1. Sur la distinction, au demeurant assez artificielle, entre grands et petits juges, voir

R. De Vaux, Histoire ancienne dIsral, II (EtB), Paris 1973, 10-11.


2. L. Alonso-Schkel, Heros Gedeon. De genere litterario et historicitate Jdc 6-8, VD 32

(1954) 3-20, 65-76 ; C.F. Whitley, The Sources of the Gideon Stories,VT 7 (1957) 157164 ; W. Beyerlin, Geschichte und heilsgeschichtliche Traditionsbildung im Alten Testament. Ein Beitrag zur Traditionsgeschichte von Richter VI-VIII, VT 13 (1963) 1-25 ; B.
Lindars, Gideon and Kingship, JThS 16 (1965) 315-326 ; H. Haag, Gideon-JerubbaalAbimelek, ZAW 79 (1967) 305-314 ; L. Schmidt,Menschlicher Erfolg und Jahwes Initiative. Studien zu Tradition, Interpretation und Historie in den berlieferungen von Gideon,
Saul und David (WMANT 38), Neukirchen - Vluyn 1970 ; De Vaux,Histoire ancienne dIsral, II, 315-326 ; J.A. Emerton, Gideon and Jerubbaal,JThS 27 (1976) 289-312 ; A.G.
Auld, Gideon : hacking in the heart of the Old Testament, VT 39 (1989) 257-267 ; Gibert,
LA 50 (2000) 181-262

182

S. LGASSE

deux personnages dabord distincts : Gdon etYerubbaal, et dont laccent


est tantt militaire (quoique finalement sacralis) tantt religieux. Le rcit,
compar aux autres cycles du mme genre dans les Juges, accuse certaines
diffrences. On remarque surtout les prolongements, une fois la victoire
obtenue, qui stendent de 7,23 8,32, avec la poursuite de lennemi (7,23
8,3), de nouveaux rcits de guerre (8,4-21), lhistoire de lphod et de la
royaut (8,22-27), enfin les dtails sur la descendance de Gdon (8,29-31).
Mais il faut aussi noter quau dbut le hros tarde paratre : la dtresse
dIsral coupable et ses supplications succde dabord lintervention dun
prophte anonyme (6,7-10), intrusion deutronomiste dans le rcit, avec un
discours qui demeure sans effet mais, dans ltat actuel du texte, fait
dautant mieux ressortir lefficacit de laction qui va suivre.
Celle-ci se rpartit dans une succession de douze pisodes : vocation
du hros (6,11-16) ; sacrifice lange deYHWH (6,17-24) ; destruction de
lautel de Baal et construction dun nouvel autel (6,25-32) ; coalition des
ennemis et convocation des tribus par Gdon (6,33-35) ; le signe de la
toison (6,36-40) ; prparatifs du combat (7,1-8) ; le songe du Madianite
(7,9-15) ; lattaque et le victoire (7,16-22) ; poursuite de lennemi, Oreb et
Zeb (7,238,3) ; nouveaux rcits de guerre, Zbah et Salmunna (8,4-21) ;
lphod et la royaut (8,22-27) ; conclusion du cycle (8,28-35).
LAntiquit, juive et chrtienne, sest penche sur ces divers pisodes
en y oprant un choix au gr des possibilits quon pensait y reconnatre.
Des omissions dlibres se remarquent aussi, l o le texte se rvlait
improductif ou choquant. la diffrence des auteurs modernes, le but, chez
les anciens, ntait pas de savoir comment et dans quel but tel rcit a t
crit mais, tant entendu quil sagit dun texte sacr, den extraire le plus
possible pour la foi et sa mise en pratique. Cest ce quil nous faut prsent illustrer par des exemples3 .

Ancienne littrature juive


Cest, on la dit, un message religieux qui est au premier plan chez ceux
qui, dans lantiquit juive, utilisent ou commentent le livre des Juges. Ici
Vrit historique et esprit historien. Lhistorien biblique de Gdon face Hrodote. Essai
sur le principe historiographique, Paris 1990 ; J. Taner, The Gideon Narrative at the Focal
Point of Judges, BS 149 (1992) 146-161.
3. Lessentiel de cet ouvrage a paru dans le Bulletin de Littrature Ecclsiastique 86 (1985)
163-197 ; 92 (1991) 163-180. Nous avons opr ici quelques additions et modifications.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

183

toutefois on constate une varit dont il est utile de prsenter dabord les
principaux tmoins, individuels ou collectifs.
Philon dAlexandrie, que nous rencontrerons loccasion, est avant tout
un commentateur du Pentateuque. Il admet que la Bible possde plusieurs
sens : le sens naturel des mots et des phrases, plus un sens cach quil revient lallgorie de dcouvrir ; il distingue enfin une interprtation suprieure qui provient dune illumination divine (De Abrahamo 119).
Lallgorie4 , quant elle, demande un effort. Mais celui-ci en vaut la peine
dans une opration tellement importante que Philon en vient pratiquement
lidentifier avec lexgse.
En cela il nest que lhritier dune tradition judo-grecque, laquelle
dpend de linterprtation allgorique des mythes dHomre par les stociens. Ces mythes, pris la lettre, sont souvent indignes de la divinit. Il
tait donc ncessaire de leur trouver un sens acceptable. Les stociens distinguaient entre les cas ou le pote parle selon la vrit (kata altheian)
et ceux o il sexprime selon les apparences ou lopinion (kata tn
doxan).
De mme Philon, qui connat les mythes grecs et tient Homre en haute
estime (Quaest. in Gen. IV, 2), sinspire de ses interprtes stociens (les
physikoi) quand il dcouvre dans les textes bibliques un sens cach. Celuici lui permet non seulement dinterprter les anthropomorphismes et autres
dtails incompatibles avec la transcendance divine, mais encore doffrir un
enseignement imprgn de philosophie grecque, encore quirrductible
une seule cole et en fait clectique.
Le but poursuivi par ce philosophe qui croit la Bible est dtablir un
pont entre deux cultures et doffrir aux Grecs une lecture satisfaisante des
critures juives. Linfluence de lallgorie philonienne sur les auteurs chrtiens a t considrable, comme on pourra sen rendre compte dans la second partie de cet article. Par lintermdiaire dOrigne principalement, elle
stend jusquau moyen ge et au-del.
4. Voir J. Ppin, Mythe et allgorie. Les origines chrtiennes et les contestations judo-

chrtiennes (PhE), Paris 1958, 221-242 ; I. Christiansen,Die Technik der allegorischen


Auslegungswissenschaft bei Philon von Alexandrien (BGBH 7), Tbingen 1969 ; V.
Nikiprowetzky, Le Commentaire de lcriture chez Philon dAlexandrie. Son caractre et
sa porte. Observations philologiques (ALGHL 11), Leiden 1977 ; Idem, Brve note sur
le commentaire allgorique et lexposition de la Loi chez Philon dAlexandrie, dans :Mlanges bibliques et orientaux en lhonneur de M. Mathias Delcor (AOAT 215), Kevelaer Neukirchen - Vluyn 1985, 321-329 ; J.R. Sharp, Philos Method of Allegorical Interpretation, EAJTh 2 (1984) 94-102 ; Y. Amir, The Transference of Greek Allegories to
Biblical Motifs in Philo, dans :Sefer ziqqarn liShmuel Sandmel... Studies in Hellenistic
Judaism in Memory of Samuel Sandmel, Chico 1984, 15-25.

184

S. LGASSE

Comme Philon mais dune autre faon, lhistorien Flavius Josphe fait
oeuvre dapologte. Car sil recueille les traditions interprtatives de son
peuple5 , il utilise, jusqu Nhmie (vers 440 av. J.-C.), lensemble des livres canoniques pour raconter lhistoire dIsral. Or, son but nest pas seulement de la faire connatre : lesAntiquits juives sont destines aux Grecs
et aux Romains cultivs, en vue de susciter parmi eux respect et admiration, lencontre des sarcasmes et calomnies que les Juifs enduraient de la
part des paens. Cette vise apologtique, que lauteur nonce parfois explicitement6 , est perue par quiconque a soin de comparer les donnes
scripturaires leurs parallles chez Josphe : les frquentes modifications
quon y constate montrent assez quil veut prsenter lhistoire sous le jour
le plus favorable son peuple. Cela doit sentendre principalement du point
de vue moral, mais sans omettre un souci dadaptation culturelle au milieu
destinataire. Ainsi Josphe vise lintelligibilit, et cest pourquoi il use
dun vocabulaire plus conforme celui de ses lecteurs ou encore met de
lordre dans des pisodes embrouills. Mais Josphe non seulement veut
difier et tre compris, il veut aussi plaire.
Une influence du roman grco-romain est sensible dans sa faon de
raconter. Elle se trahit par deux phnomnes principaux7 : dabord, une
dramatisation qui fait appel limagination et tend provoquer lmotion
du lecteur tout en mettant en relief la puissance divine; secondement, Jos-

5. La prsence chez Josphe de nombreuses donnes apparente aux excroissances narrati-

ves des rabbins a conduit certains auteurs lui attribuer lemploi dun targum crit : voir S.
Rappaport, Agada und exegese bei Flavius Josephus, Vienne 1930, XX-XXIII ; G. Vermes,
Scripture and Tradition in Judaism. Haggadic Studies (StPB 4), Leiden 1961, 3-4. Voir
aussi les remarques de R. Le Daut, Introduction la littrature targumique, Premire partie, Rome 1966, 56-58. Il sagit l, toutefois, dune simple hypothse. Sur la Bible de Josphe et sa langue (hbreu ou/et grec des Septante) voir E. Nodet, La Bible de Josphe. I : Le
Pentateuque (Josphe et son temps 1), Paris 1996. - Sur Josphe et son utilisation de lhistoire biblique, voir aussi N.G. Cohen, Josephus and Scripture. Is Josephus Treatment of
the Scriptural Narrative Similar Throughout the Antiquities I-XI?, JQR 54 (1963-64) 311332 ; H.W. Attridge,The Interpretation of Biblical History in the Antiquitates Judaicae of
Flavius Josephus (HDR 7), Missoula 1976 ; T.W. Franxman,Genesis and the Jewish
Antiquities of Flavius Josephus (BibOr 35), Rome 1979 ; D.L. Christensen, Josephus and
the Twenty-Two-Books Canon of Sacred Scripture, JRTS 29 (1986) 21-30 ; L.H. Feldman
- G. Hara (d.), Josephus, The Bible and History, Detroit 1989 ; Ch. Gerber, Die Heilige
Schrift des Judentums nach Flavius Josephus, dans : M. Hengel - H. Lhr (ed.),
Schriftauslegung im antiken Judentum und im Urchristentum (WUNT 73), Tbingen 1994,
91-113. - Sur Gdon dans les Antiquits juives de Josphe (V, 210-234), voir L.H.
Feldman, Josephus Portrait of Gideon, REJ 152 (1993) 5-28.
6. AJ XVI, 174-178 ; voir aussi prface, 14-26.
7. Voir Attrige, The Interpretation, 39-40.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

185

phe psychologise quand il dcrit les caractres de ses personnages, leurs


sentiments et les motifs qui les poussent agir. Toutes choses qui ne tranchent pas, pour lessentiel, sur lhistoriographie hellnistique, dont Josphe
veut tre lui-mme un reprsentant8 .
Avec les Antiquits bibliques du Pseudo-Philon9 , cest, malgr certaines similitudes, un autre genre littraire quon aborde. En premier lieu,
cette oeuvre, quon ne possde quen traduction latine vulgaire travers le
grec, repose sur un original hbreu et elle fut, lorigine, destine exclusivement aux Juifs. Dautre part lauteur utilise moins les rcits bibliques
quil ne les prolonge, la faon du Chroniste traitant les livres de Samuel
et des Rois, ou encore de lApocryphe de la Gense dcouvert Qumrn.
Lhistoire sainte est ici refondue, abrge ou augmente de dtails pris
dans la tradition orale, en somme manie comme un hritage vivant dont
la lettre appelle une nouvelle rdaction afin de mieux servir.
quoi ? Non dfendre quelque doctrine sotrique ou sectaire. Sans
prjudice dune ventuelle polmique anti-samaritaine, ce qui dcoule avant
tout de cette relecture de lhistoire biblique, cest la volont de rappeler au
judasme commun, celui des assembles synagogales, les grands thmes de
sa foi et les obligations quelle implique, le tout tant domin par lide
unificatrice de lalliance. Oeuvre de parnse et ddification, les Antiquits bibliques sont le tmoin dun type dinterprtation antrieur la ruine du
Temple, ce dont le judasme qui succde cette catastrophe noffre plus
gure de parallle. Ce judasme en effet ne connat, sous la direction des
rabbins, quun seul texte, celui de lcriture canonise et, plus particulirement, de la Torah, texte sacr qui, pour ainsi dire, ne se refait pas, mais ne
peut tre que scrut, jusquen ses moindre dtails, et comment.
Cest ce type dapproche que prsentent les midrashim10 . Les plus anciennes de ces compositions sont centres, comme lest la Mishna, sur les

8. AJ prface, 1-17.
9. Sur cette oeuvre, voir M. Delcor, Philon (Pseudo-), DBS VII, 1354-1375, et lintroduction ldition des Antiquits bibliques, coll. Sources Chrtiennes.
10. Le mot midrash, avant de stendre un genre littraire et un type douvrages dtermin, signifie linterprtation du contenu de lcriture en fonction des lments fournis
par le texte mme (K. Hruby, Lecture juive de la Torah et connaissance de Dieu, LumVie
28 [1979] n 44, 25-38 26). Voir galement R. Bloch, Midrash, DBS V, 1263-1281 ; A.G.
Wright, The Literary Genre Midrash, Staten Island, NY 1967, avec la mise au point de R.
Le Daut, propos dune dfinition de midrash, Bib 50 (1969) 395-413. Sur la diffrence entre le genre littraire du midrash et le commentaire (pesher) de type qumranien,
voir I. Rabbinowitz, <Pesher/Pittaron>. Its Biblical Meaning and its Significance in the
Qumran Literature, RdQ 8 (1973) 219-232 (231).

186

S. LGASSE

rgles visant lapplication de la Loi (halakhah), les dcisions et les discussions acadmiques qui sy rfrent. Elles contiennent cependant certains
lments haggadiques, cest--dire ayant pour but, laide de considrations, dexemples et de dveloppements narratifs, ldification de lusager.
La haggadah11 apparat galement en maint passage des deux Talmuds.
Elle domine dans les midrashim postrieurs, compilations qui commentent
le texte biblique12 en reproduisant les rflexions des sages et des extraits
dhomlies synagogales. Il est quasiment impossible de dcrire avec prcision ce genre littraire, tant sont nombreux et varis les moyens employs
pour extraire du texte le maximum de substance vitale13 .
Il est sr, en tout cas, que, pour reprendre une comparaison des rabbins
(b. Shabbat 88b ; voir Jrmie 23,29), le roc scripturaire, sous le marteau
de lexgte, clate en une infinit de sens. Mais il est encore un aspect,
lequel coordonne cette pluralit : cest que, le point de dpart tant un passage biblique, celui-ci est considr comme appartenant un difice littraire et religieux dont la cohrence ne fait pas lombre dun doute et dont
on ne conoit pas quon puisse le dissocier.
Un convergence circule lintrieur du corpus sacr, de sorte quexplications et complments puisent leur substance dun bout lautre de la
Bible, au gr de linspiration et des ncessits. Ajouter que lexercice est
domin par la certitude que rien nest crit ton intention dans les Prophtes et les crits que Mose ny fasse allusion dans la Tora14 . Celle-ci
constitue elle seule la rvlation complte et lon admet quelle contient
implicitement tout le reste : Prophtes et crits15 .
Do les exemples que lon rencontrera au cours du prsent article, o
lon voit se profiler les dtails du cycle de Gdon dj dans tel passage du
Pentateuque, comme les bndictions de Jacob et la description des tendards des tribus dans le livre des Nombres.

11. Telle est lorthographe normale. Elle saffaiblit en aggadah (avec alef initial au lieu de

h) dans le Talmud palestinien.


12. lexception du Yalqut Shimoni, sorte de chane ralise par Simon ha-Darshan au
milieu du XIIIe sicle et qui suit les trente-quatre livres de la Bible hbraque, il nexiste
pas de midrash consacr au livre des Juges. Les commentaires des divers pisodes sont rpartis et l dans la littrature rabbinique.
13. Sur lhermneutique rabbinique, voir surtout H.-L. Strack - G. Stemberger, Introduction au Talmud et au Midrash (Patrimoine - Judasme), Paris 1986, 273-404. On pourra lire
aussi J. Bonsirven, Exgse rabbinique et exgse paulinienne (BThH), Paris 1939, ainsi
que laperu de C. Touati sur la haggada dans l article Rabbinique (Littrature), DBS IX,
1038-1041.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

187

La situation dIsral avant lintervention de Gdon (Jg 6,1-6)


Conformment au schma densemble du livre des Juges, il faut sattendre
au pire en ce qui concerne la situation dIsral avant lintervention du hros sauveur qui a nom Gdon. Pourtant la conjoncture a ceci de particulier que, grce au cantique de Dbora (Jg 5), Dieu avait alors pardonn
son peuple :
R. Abba ben Kahana a dit au nom de R. Juda ben Ilay : Avant le cantique
il est crit (Jg 4,1) : et les Isralites recommencrent faire le mal aux
yeux de YHWH, alors quaprs le cantique il est crit simplement (Jg
6,1) : Et les fils dIsral firent le mal aux yeux de YHWH. Est-ce quils
le faisaient pour la premire fois ? Non, mais en ralit le cantique avait
dj effac ce qui avait prcd16 .

Cette interruption dans le pch nempchera pas celui-ci de reprendre


vie sous forme didoltrie (voir Jg 3,7). Daprs le Pseudo-Philon, Isral se
laissa sduire par les sortilges dun certain Aod, prtre et magicien madianite. Celui-ci, pour prouver linefficacit de la Tora, avait fait apparatre
le soleil en pleine nuit17 . Alors
le peuple fut stupfait et dit : Voil ce que peuvent les dieux des Madianites, et nous, nous ne le savions pas. Dieu voulut prouver Isral et voir
sil resterait dans les iniquits ; il les laissa faire, et laventure alla droit
son chemin : le peuple dIsral sgara et se mit servir les dieux des
Madianites18 .

Cette idoltrie revt un tour particulier dans la haggadah rabbinique, o


lon apprend que les Isralites adoraient alors leur propre reflet (babuah)

14. Num. Rabba 10,6 sur Nb 6,2.


15. Voir les rfrences dans G.F. Moore, Judaism in the First Centuries of the Christian

Era. The Age of the Tannaim, I, Cambridge 1927, 239-240.


16. Cant. Rabba 4,1, 3 : Dunsky, 100-101 Yalqut
;
II, 60 (709). Voir aussi Rachi sur Jg

6,1. Le midrash continue en assimilant ce cas celui de David, lui aussi purifi aprs son
cantique (2 S 22).
17. Voir Sifr Deut. 84 sur Dt 13,3-4 : Finkelstein, 149, o lon envisage que Dieu, en vue
de sonder lamour de son peuple, accorde aux faux prophtes pouvoir mme sur le soleil,
la lune, les toiles et les plantes. Mais voir aussi Apule, Mt. XI, 22, o lauteur dcrit
son exprience initiatique :nocte media vidi solem candido coruscantem lumine ; Snque,
Hercule sur lOeta, 462 :nox media solem vidit. Ce type de prodige doit tre distingu de
son homologue produit par Dieu parmi les signes eschatologiques (Am 8,9 ;4 Esd 5,4 ;Asc.
Is. 4,5). Voir Pseudo-Philon, SC, t. II, 179.
18. 34,1-5 ; trad. SC.

188

S. LGASSE

dans leau19 , curieuse pratique dont les rabbins, jusqu mieux inform,
sont les seuls tmoins20 .
Lapostasie entrane le chtiment divin. Dieu dit :
Je les livrerai aux mains des Madianites, puisque cest par eux quils ont
t gars. - Il les livra entre leurs mains, et les Madianites commencrent rduire Isral en servitude21 .

Du reste, si lon en croit Josphe, les Madianites ne manquaient pas


dastuce : ils pratiquaient leurs razzias seulement en t, permettant ainsi
aux Isralites de labourer en hiver afin de semparer de leurs rcoltes au
bon moment22 .
Les rabbins soulignent lenvi les ravages oprs par Madian. Mais
dabord ils montrent que Madian est lennemi traditionnel dIsral en rapprochant Juges 6,3-33 ; 7,12 de Nombres 22,7 o lon voit les anciens de
Moab et de Madian intervenir auprs de Balaam pour quil maudisse Isral23 .
Linvasion des ennemis pse lourdement sur le peuple (Jg 6,1-2) et le
rduit une grande misre (Jg 6,6), tant et si bien que les Isralites ne
pouvaient mme plus offrir le sacrifice du pauvre (voir Lvitique 14,21)24 .
Ou encore :
Que veut dire : ils savilirent dans leur faute (Ps 106,43) ? Cela veut dire
quil devinrent pauvres au milieu des peuples du monde, car il est dit (Jg

19. Yelammedenu sur Lv 17,3, daprs lArukh : Kohut, t. II, 6. Le Yalqut donne Tanhuma

comme source, mais aucune des recensions de ce midrash natteste la chose.


20. Voir aussi b. Hullin 41b, o la dfense dimmoler une victime sacrificielle sur la mer
est justifie du fait dune ventuelle interprtation idoltrique : on pourrait croire quon sacrifie la divinit de la mer. Et sil est permis de sacrifier sur une mare, cest que leau
dune mare est trouble : do pas de risque dy reflter sa propre image laquelle on pourrait croire que le sacrifice est offert. En b. Abodah zarah 47a il est spcifi quon peut boire
leau dune source, mme si quelquun y a offert un culte son propre reflet dans leau, car
ce nest pas leau elle-mme qui a t lobjet dun culte (dans ce cas elle serait interdite).
Un lien ventuel avec la captromancie (voir N. Huged, La Mtaphore du miroir dans les
ptres de saint Paul aux Corinthiens, [BTh], Neuchtel - Paris 1957, 75-95) nest pas
carter. Voir aussi, propos de la croyance la prsence de lme dans lombre ou le reflet
dans leau dune personne et son rapport avec le mythe de Narcisse, J.G. Frazer, Le Rameau dor, I (Bouquins), Paris 1981, 537-542.
21. Pseudo-Philon 34,5 ; trad. SC.
22. AJ V, 212.
23. Ex. Rabba 27,5 sur Ex 18,1.
24. Midr. Ps. 106,43 (8) : Buber, 456-457. Cela, daprs R. Samuel. En revanche, R.
Berekyah interprte le verbe wayiddal, en Jg 6,6, dans le sens dune dchance morale.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

189

6,6) : Et Isral fut trs appauvri cause de Madian. Que veut dire : Isral fut appauvri ? R. Isaac et R. Lvi divergent sur ce point. Lun dit :
Cest quils taient pauvres en bonnes oeuvres. Lautre a dit : Cest quil
navaient mme pas de quoi offrir un sacrifice, selon que nous lisons (Lv
14,21) : Et si cest un pauvre et sil na pas de quoi25 .

Par ce chtiment Dieu se montrait logique avec les engagements contracts dans la Tora o la prosprit du peuple dpend de sa rectitude (Dt
11,13-17). Et cest pourquoi le midrash, en insistant sur ton froment, ton
mot, ton huile frache (Dt 11,14), fait ressortir le contraste entre ces paroles et Juges 6,3, o justement les produits du sol sont dits chapper aux
Isralites pour tre la proie de leurs ennemis, alors que ces mmes paroles
saccordent avec Isae 62,8-9 : Je ne donnerai plus ton bl en nourriture
tes ennemis, etc.26 .
Mais on peut remonter plus haut que le temps des juges, jusqu lpoque de linstallation en Canaan, quand Dieu donnait aux Isralites, en prenant aux peuplades du monde tout ce quelles possdaient, argent et or,
champs et vignes et villes, cela, pour quils puissent sadonner ltude
de la Tora. Hlas ! Ces mmes Isralites ont souill le pays par leur mauvaise conduite :
Ils lont souill par lanathme dAkhan (Jos 7), car ainsi est-il crit :
Vous tes entrs et vous avez souill mon pays (Jr 2,7). - Cela veut dire :
par lanathme dAkhan. Et vous avez fait de mon hritage une abomination (Jr, ibid.). - Cela veuit dire : par lidole de Mikha27 (Jg 17). Et que
leur a fait le Saint-bni-soit-il ? Il les a exils de leur pays, car il est dit
(Dt 29,27) : et YHWH les a extirps de leur sol. Que signifie : et il les
a extirps ? Cela veut dire que leur force sest affaiblie28 : ils semaient et
se donnaient de la peine, et les peuplades du monde venaient et emportaient leurs rcoltes, car il est dit (Jg) : Il arrivait que si Isral semait,
Madian montait, avec Amalec et les fils de lOrient, et ils montaient contre lui, et ils campaient auprs deux et ravageaient les produits de la
terre29 .

25. Tanhuma, Behar 3 ;Tanhuma Buber, Behar 53b-54a, 106-107. Voir aussi Yalqut I, 864
(593), et Rachi sur Dt 11,14.
26. Sifr Deut. 42 : Finkelstein, 91 Yalqut
;
I, 864 (593) ; Rachi sur Dt 11,14.
27. Noter le paralllisme homophone entre be-herem Akan et be-selem Mikah (le paralllisme est bris dans ldition de Buber par lintroduction dun shel dans le second membre).
28. Un rappport tymologique artificiel est tabli entre les verbes natash (extirper) et
tash(ash) (tre affaibli).
29. Tanhuma, Qedoshim 11. Texte peu prs identique dans Tanhuma Buber, Qedoshim
39b, 78.

190

S. LGASSE

Au lieu dune rflexion sur crime et chtiment, le Talmud donne, en


sappuyant sur le mme passage, une leon de prvoyance :
Rab Hinena ben Papa a dit : Quon ait toujours soin davoir du grain dans
sa maison, car les Isralites nont t appels pauvres qu propos du manque de grain, car il est dit (Jg 6,3) : Et il arrivait que si Isral semait, etc.
Et il est crit aussi (Jg 6,4) : Et les Madianites campaient auprs deux.
Et il est encore crit (Jg 6,6) : Et Isral fut trs appauvri cause de
Madian30 .

Les jours du Messie ne sont pas pour Isral un horizon pleinement


rassurant si lon en croit la littrature rabbinique. Une sorte de paroxysme
du mal doit frapper Isral lui-mme et non pas seulement les peuples
paens, lheure o le Messie viendra (la Mishna, Sota 9,15, dit : sur les
talons du Messie)31 . Cest dans cette perspective que la description de
Juges 6,3-4 sert faire une comparaison :
Eux qui auront mang la chair de mon peuple (Mi 3,3). - Cela est appuy
par le passage suivant (Lv 26,17) : Vos adversaires dominerontparmi
vous32 . Je nen susciterai pas contre vous, mais ils surgiront parmi vous
et dentre vous. Il est dit en effet (Jg 6,3-4) : Et il arrivait que si Isral
semait, Madian montait, avec Amalec et les fils de lOrient : ils montaient
contre lui. Ils campaient auprs deux et ravageaient les produits de la
terre. Mais quand je susciterai des adversaires dentre vous et par vous,
eux iront chercher ce qui est cach dans vos rserves33 .

Ou, en plus dvelopp :


Un temps viendra ou les dents des dvoreurs dIsral auront une longueur
de 24 coudes. Dans leur ensemble les sages disent : 30. Mais quelle diffrence en pareil cas entre 24, 25 ou 30 ? Mais les sages ont dit aussi : 9
mois pour la femme enceinte, 24 pour celle qui allaite34 . Le nourrisson
tire du lait du sein de sa mre tout au long de ces 24 mois et mme si elle
en meurt, il ne fait pas cas delle. De mme les dvoreurs dIsral. Ils dpouilleront les pauvres et les dvoreront. Que si ces derniers en meurent,
ils nen seront pas affects. Mme quand les nations du monde se dressent

30. b. Baba Mesia 59b.


31. Voir aussi b. Sanhedrin 97a.
32. Selon linterprtation du midrash il ne sagit pas dennemis trangers qui devront domi-

ner sur Isral mais doppresseurs qui se trouvent dans ou au sein du peuple lui-mme.
33. Yalqut II, 551 (861), sans rfrence. Voir aussi Rachi sur Lv 26,17.
34. Voir J. Preuss, Biblisch-talmudische Medizin, New York 1971 (d. de 1911 complte),
443-445, 470-474.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

191

pour piller largent des Isralites, elles ne sen prennent qu ce qui est
visible, comme il est dit (Jg 6,3-4) : il arrivait que si Isral semait,
Madian montait, avec Amalec, etc. Ils campaient prs deux et ravageaient
les produits de la terre, etc. Mais il nen va pas de mme avec les dvoreurs dIsral. Ceux-l dpouilleront les pauvres et les dvoreront. Ils briseront leurs os, les feront bouillir dans une marmite et la graisse viendra
la surface. Ils la mangeront et jetteront les os aux ordures. Car il est dit
(Mi 3,3) : Eux qui auront mang la chair de mon peuple et corch la
peau qui les recouvre, rompu leurs os et bris comme dans un chaudron,
comme de la viande lintrieur dune marmite35 .

Le prophte anonyme (Jg 6,7-10)


Lintervention dun prophte anonyme raconte en Juges 6,7-10 est un passage o la critique moderne saccorde reconnatre une insertion opre
un stade rcent de lhistoire du texte. Cest l pour le prdicateur loccasion dtoffer une apologie de la prire partir dExode 29,1 : Et voici la
chose (ou : la parole,ha-dabar) que tu leur feras. lpoque o le Temple nexiste plus,
Isral dit : Matre du monde, les princes pchent, puis il offrent un sacrifice et il leur est pardonn. Le grand prtre oint pche, puis il offre un
sacrifice et il lui est pardonn (voir Lv 4,3-12). Mais nous, nous navons
plus de sacrifice ! - Dieu leur dit : Et si toute la communaut dIsral a
pch lassemble offrira un taurillon tout jeune en sacrifice expiatoire
(Lv 4,13-14). Ils lui dirent : Nous sommes pauvres et nous navons pas de
quoi offrir des sacrifices ! - Dieu leur dit : Ce sont des paroles que je dsire, car il est dit (Os 14,3) : Prenez avec vous des paroles et revenez
YHWH, et jeffacerai tous vos pchs.

Cette puissance de la prire est ensuite illustre laide dune srie de


tmoignage bibliques, depuis la dlivrance de la servitude gyptienne,
propos de laquelle ont peut dj lire que les fils dIsral crirent vers
Dieu (Ex 2,23). De mme, dit Dieu,
aux jours des juges nai-je pas entendu leur cri travers les pleurs. Comme
il est dit (Jg 6,7) : Or il advint, quand les fils dIsral crirent vers
YHWH cause de Madian, que YHWH envoya aux fils dIsral un prophte, etc.36 .

35. Seder Eliahu Rabba (26) 24 : Friedmann, 133-134.


36. Ex. Rabba 38,4 sur Ex 29,1.

192

S. LGASSE

Ce prophte, anonyme dans le texte sacr, ne lest plus dans le midrash.


Comme lange de YHWH en Jg 2,137 , il est identifi Pinhas le prtre,
petit-fils dAaron (Nb 25,7.11)38 , selon une schmatisation aux nombreux
spcimens39 . Josphe40 fait aussi tat de la qualit prophtique de Pinhas
et le midrash lexalte en soulignant que son visage, quand lEsprit Saint
reposait sur lui, flambait comme une torche, do sa dsignation comme
ange (voir Ps 104,4)41 .

Les origines de Gdon (Jg 6,11)


Gdon tait fils de Yoash, du clan dAbizer (Jg 6,11), de la demi-tribu de
Manass. Josphe42 glose en crivant que Gdon tait parmi les petites
gens (en oligois) de la tribu de Manass, traduction dun texte en ralit
peu clair et o il se pourrait que Josphe cultive dessein lquivoque dans
le but davantager le hros, comme il le fait pour Jepht et Samson43 : sil
est vrai que, daprs le texte biblique, la famille de Gdon est la plus
pauvre en Manass (Jg 6,15), lexpression hoi oligoi dsigne les oligarques dAthnes44 .
37. Lev. Rabba 1,1 sur Lv 1,1 : Margulies, t. I, 2-3 ( propos de Ps 103,20) Yalqut
;
II, 40
(705) citant par erreur Tanhuma (voir Margulies, ibid., 3, n. 1).
38. Seder Olam Rabba 20 : Ratner-Mirsky, 83. Voir aussi Rachi sur Jg 2,1 et surb. Megillah
14a.
39. Pinhas est ainsi identifi lie (Pseudo-Philon 48, 1-2 etc. ; voir Ginzberg,The Legends
of the Jews, VI, 316-317, et les rfrences dans Pseudo-Philon, SC, t. II, 209-211). La mre
de Samson est identifie Haslelponi, descendante de Juda (1 Ch 4,3), dans b. Baba Batra
91a ;Num. Rabba 10,5 sur Nb 6,2, Mikal (1 S 18,20-27 etc.) Eglah (2 S 3,5 ; 1 Ch 3,3) dans
b. Sanhedrin 21a ;Yalqut II, 141 (731); voir aussi Rachi sur 2 S 3,5 ; 1 Ch 3,3 etc. Un phnomne analogue se vrifie dans lvangile de Matthieu o le Lvi traditionnel (Mc 2,14 ; Lc 5,
27) est devenu Matthieu, lun des Douze (Mt 9,9) et o Salom (Mc 15,40) a t remplace
par la mre des fils de Zbde (27,56). Voir R. Pesch, Levi-Matthus (Mc 2,14 / Mt 9,9 ;
10,13). Ein Beitrag zur Lsung eines alten Problems, ZNW 59 (1968) 40-56.
40. AJ V, 120.
41. Lev. Rabba 1,1 sur Lv 1,1 : Margulies, t. I, 3. Comparer avec la transfiguration dtienne en Ac 6,15, elle aussi en rapport avec lEsprit Saint (Ac 6,5 ; 7,55). Sur ce thme voir
les textes rassembls par H.-L. Strack - P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament
aus Talmud und Midrasch, Mnich 1956 (2e d.), t. I, 752; t. II, 665-666.
42. AJ V, 213.
43. Josphe embellit les origines de Jepht (AJ V, 257 ; comparer Jg 11,1) et de Samson
(AJ V, 276). Les trois juges, Gdon, Jepht et Samson sont associs dans la mme grandeur dme dans le Talmud.
44. Thucydide, 6, 38 ; Platon,Politique, 291d ; Dmosthne, 1396, 21.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

193

Lappartenance de Gdon Manass en fait un descendant du patriarche Joseph et, par lui, de Jacob et de Rachel (Gn 30,22-24). Do, dabord,
la place faite au hros parmi les gloires qui illustrrent la ligne respective
des deux matriarches, La et Rachel :
chacune Dieu a donn deux nuits : la nuit de Pharaon (Ex 12,29) et la
nuit de Sennachrib (2 R 19,35) La, la nuit de Gdon (Jg 7,9) et la
nuit de Mardoche Rachel, comme il est dit (Est 6,1) : en cette nuit-l,
le roi ne put dormir45 .

De Rachel passons Joseph. La Bible rapporte que ses frres, ayant entendu le rcit de ses songes, le souponnrent dambition et lui posrent les
questions suivantes : Rgneras-tu vraiment sur nous ? Ou exerceras-tu vraiment la domination sur nous ? (Gn 37,8). Ce ddoublement, o les modernes ne voient quune simple rptition synonymique, ne passe pas pour
insignifiant aux yeux des glossateurs juifs, attentifs aux moindres dtails du
texte : pour eux, celui-ci laisse entendre que deux rois, Jroboam et Jhu46 ,
et deux juges, Josu et Gdon, figureront dans la postrit de Joseph47 .
Josu tait en effet phramite (Nb 13,8). Cest pourquoi un parallle
est tabli entre lui et Gdon partir de la bndiction de Jacob. Quand
celui-ci dclarait : Que lange qui ma sauv de tout mal bnisse ces jeunes gens ! (Gn 48,16), ces paroles visaient en fait Josu et Gdon : tous
deux descendaient de Joseph, tous deux bnficirent dune apparition
dange (Jos 5,13-14 ; Jg 6,12), enfin le termenaar (enfant, adolescent),
employ dans le verset cit de la Gense, concorde avec lge des deux
futurs hros lors de leurs exploits. De mme, quand le patriarche ajoutait :
Que soit voqu en eux mon nom48 (Gn 48,16), il faisait allusion aux
apparitions danges dont furent gratifis respectivement Josu (Jos 5,13-15)
et Gdon (Jg 6,11-21), cause dExode 23,31, o Dieu dclare au sujet
de lange guide dIsral : puisque son nom est en lui49 .

45. Gen. Rabba 70, 15 sur Gn 29,16 : Theodor-Albeck, t. II, 815 ; voir
Lam. Rabba I, 2

(23) ( propos de Ps 77,7). Mose, vainqueur de Pharaon, et zchias, vainqueur de Sennachrib, descendaient de La, respectivement par Lvi et Juda (Gn 29,34-35 ; Ex 2,1) ; Gdon et Mardoche descendaient de Rachel, respectivement par Joseph et Manass (Gn
30,22-24 ; 48,1 ; Jg 6,15) et par Benjamin (Gn 35,16-18 ; Est 2,5).
46. Jroboam tait phramite daprs 1 R 11,25. Quant Jhu, rien nest dit de sa tribu
dans la Bible mais sa ville tait Ramot de Galaad (2 R 9,1), situe effectivement sur le territoire de Manass.
47. Midr. ha-gadol sur Gn 48,16 : Margulies, 824.
48. Pour Gdon, voir Jg 6,15. Pour Josu, voir Ex 33,11 (Nb 11,27).
49. Midr. ha-gadol sur Gn 48,16 : Margulies, 824.

194

S. LGASSE

Mais on sait aussi quEphram, le second, fut bni avant Manass,


lan, et cela malgr lopposition de Joseph (Gn 48,17-20). Lexplication
de cette anomalie est dordre historique et providentiel. Commentant
Qohelet 12,11 : les paroles des sages sont comme des aiguillons
(kaddarebonot), le midrash rectifie50 :
Ne lis pas kaddarebonot, mais kad rabbanut (quand la supriorit). Quand
Jacob dcida que la supriorit serait Ephram, le Saint-bni-soit-il rendit
sa parole ferme comme un clou bien plant, et il dit : Puisque Jacob a dcid quEphram serait le premier, moi, de mon ct, je lui ai donn la prsance en tout : concernant les juges, les tendards, les rois et les offrandes.
Concernant les juges : il y eut dabord Josu, qui tait juge et dont il est dit
(Nb 13,8) : De la tribu dEphram, Hoshea, fils de Nun ; ce nest quensuite que vint Gdon, fils de Yoash, qui tait de la tribu de Manass51 .

La mme succession se vrifie propos des tendards des tribus (Nb


2,18.20), au sujet des rois (Jroboam prcde Jhu) ainsi que des offrandes
lors de la conscration de lautel, daprs Nombres 7,48.5452 .
Concernant les tendards en particulier, celui de Manass53 , par sa dcoration, annonait les combats victorieux de notre hros. Sur cet tendard
un buffle (rem)54 tait brod, par rfrence au texte : et ses cornes sont
des cornes de buffle Tels sont les milliers de Manass (Dt 33,17). Cela
fait allusion Gdon, fils de Yoash, qui tait de la tribu de Manass55 .

50. Selon le procd al tiqri, lequel ne se borne pas toujours changer la vocalisation ou

disjoindre le mot comme ici, mais peut aller jusqu modifier les lettres (consonnes) ellesmmes : voir W. Bacher,Die exegetische Terminologie der jdischen Traditionsliteratur,
Leipzig 1899-1905 (rimpr. Darmstadt 1965), t. I, 175-177 ; J. Bonsirven,Exgse rabbinique et exgse paulinienne, 120-122, 127.
51. Num. Rabba 14,4 sur Nb 7,48 ; voirGen. Rabba (appendice), 97,5 sur Gn 48,20 :
Theodor-Albeck, t. III, 1248.
52. Nb 7,48 : Celui qui apporta son offrande le septime jour fut lishama, fils dAmmihoud, prince des fils dEphram. Nb 7,54 : Celui qui apporta son offrande le huitime
jour fut Gamaliel, fils de Pedaour, prince des fils de Manass.
53. En fait, la Bible (Nb 2,18-20) ne mentionne que ltendard dphram, passant sous silence celui de Manass, tout comme du reste celui de la majorit des tribus dans leur numration.
54. Sur cet animal, son identit dans la Bible ainsi que son volution lgendaire dans la
haggadah, voir A.H. Godberg, The Unicorn in the Old Testament, AJSL 56 (1939) 256296 ; E. Levine, A Study of <Aggadat qarn reemim>,Sef 36 (1976) 251-265. Rachi sur
Dt 33,17, crit : Le taureau a une force redoutable mais ses cornes ne sont pas belles, tandis que le rem a de belles cornes, mais sa force est moindre; cest pourquoi Il a donn
Josu la vigueur du taureau et la beaut des cornes du rem.
55. Num. Rabba 2,7 sur Nb 2,2.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

195

Ce commentaire sappuie sur la bndiction de Mose visant les fils de


Joseph. juste titre, car les milliers de Manass se retrouvent dans la
suite de lhistoire dIsral, quand Gdon triompha de Zbah et de
Salmunnah, dont larme, daprs Juges 8,10-11, comptait environ 135.000
guerriers56 . Le Targum tmoigne galement de cette interprtation hardie,
piloguant en outre sur la comparaison animale :
De mme quil est impossible de labourer avec les premiers-ns du gros
btail et de rduire en servitude les cornes du buffle, ainsi il nest pas possible aux fils de Joseph dtre rduits en servitude. Ils seront levs, exalts et suprieurs toutes les nations de la terre, sortant au combat contre
leurs ennemis et contre leurs adversaires et tuant rois et princes : telles les
myriades dAmorrhens que mit mort Josu, fils de Noun, qui tait de la
tribu des fils dEphram et tels les milliers de Madianites que mit mort
Gdon, fils de Joas, qui tait de la tribu des fils de Manass57 .

Apparition de lange et premier sacrifice de Gdon (Jg 6,11-24)


Josphe, qui omet tout ce qui correspond Juges 6,17-4058 , traduit sa faon et par gard pour ses lecteurs non juifs lintervention surnaturelle par
laquelle dbute lhistoire de Gdon : le messager divin nest plus un ange
comme dans la Bible mais un spectre (phantasma) qui avait laspect dun
jeune homme59 . Autre particularit : aprs le salut de lapparition Gdon
dclare : V
raiment, cest l une marque signale de sa faveur que je me
serve dun pressoir au lieu dune aire battre le bl !60 . Raction sarcastique61 , qui prolonge celle du hros en Juges 6,13 : lincongruit du lieu mon56. Sifr Deut. 353 sur Dt 33,17 : Finkelstein, 415. Voir galement Rachi sur Dt 33,17.
57. Targ. palestinien (Neofiti), Dt 33,17 ; trad. R. Le Daut, SC 271, 290, 292.
58. Il sen souvient cependant en racontant langlophanie Manoah et sa femme, pa-

rents de Samson :AJ V, 283-284. Mais voir aussi Pseudo-Philon 42,9.


59. AJ V, 313 ; voir aussi I, 331 ; V, 277GJ,
; V, 381. Josphe rationalise. Sur sa rserve

lgard des anges, voir G. Kittel, Aggelos, ThWNT I, 79 ; A. Schlatter,Kleine Schriften


zu Flavius Josephus, Darmstadt 1970, 32-34 ; G. Delling, Josephus und das Wunderbare,
NT 2 (1958) 291-309 (308-309), ou Idem, Studien zum Neuen Testament und zum
hellenistischen Judentum, Gttingen 1979, 130-145 (144-145) ; Feldman, Josephus Portrait of Gideon, 21, 28. Au sujet de laspect juvnile de lapparition, voir 2 M 3,26 ; Mc
16,5. Selon Josphe, cest galement sous laspect dun beau jeune homme que lange du
Seigneur se manifeste la future mre de Samson, ce qui, cause de la jalousie de Manoah,
dclenche un authentique drame conjugal (AJ V, 276-281).
60. AJ V, 213.
61. Voir Feldman, Josephus Portrait of Gideon, 11.

196

S. LGASSE

tre que Gdon est amen se cacher sous la menace du pillage madianite.
Donc, o est la faveur divine ?
Le rflexe pusillanime de Gdon (Jg 6,15) est pour le Pseudo-Philon
loccasion de souligner la valeur morale de lappel :
Et Gdon dit : Qui suis-je et quest la maison de mon pre pour que jaille
attaquer les Madianites? - Et lange lui dit : Tu penses peut-tre que la voie
de Dieu est semblable la voie des hommes. Les hommes recherchent la
gloire du monde et les richesses; Dieu recherche le juste bien et la bont.
Maintenant donc, va, ceins tes reins, et le Seigneur sera avec toi. Cest toi
quil a choisi pour tirer vengeance de ses ennemis, comme il vient de ten
donner lordre62 .

Quoique ces paroles voquent celles de Samuel lors de lonction royale


de David (1 S 16,7 ; voir Is 55,8-9), ici ce nest pas tant la faiblesse que
Dieu choisit pour raliser son oeuvre que lhomme juste63 en dpit de son
insignifiance sociologique.
Aussi bien convient-il dexcuser la demande de signe (Josphe lomet)
qui succde lassurance divine (Jg 6,17). Rien de plus facile si lon se
souvient que Mose lui-mme na pas craint dagir de la sorte (Ex 3,1112)64 , comme le rappelle cette prire de Gdon :
Que mon Seigneur ne sirrite pas si je dis un mot (voir Gn 18,30). Voici
que Mose, le premier de tous les prophtes, a demand au Seigneur un
signe, qui lui a t donn. Pour moi, qui suis-je, sinon sans doute celui
que le Seigneur a choisi ? Quil me donne un signe, afin que je sache que
je suis guid 65!

Encore daprs le Pseudo-Philon, le signe accord dpasse en clat le


rcit des Juges, non sans sinspirer du miracle du Carmel (1 R 18,34-39)66 .
Lange en effet prescrit Gdon daller recueillir de leau dans un lac
avoisinant et de la rpandre sur la pierre. Accdant au dsir du hros, lange
transforme cette eau en un mlange de feu et de sang, et le sang nvacua
pas le feu, et le feu ne fit pas disparatre le sang. Lpisode sachve en

62. 35,5 ; trad. SC.


63. Voir Peudo-Philon 27,14 : Dieu, pour sauver son peuple, na pas besoin du grand nombre mais de la saintet.
64. La demande nest quimplicite.
65. Pseudo-Philon 35,6 ; trad. SC. Ces dtails sont repris dans laChronique de Yerahmel
58,7 : Gaster, 175.
66. La similitude existe dj au niveau du seul texte biblique par le truchement du feu miraculeusement produit : voir Lvi Ben Gershom (Ralbag) sur Jg 6,21.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

197

notant que Gdon, la vue du prodige, sollicita dautres signes, qui lui
furent accords : cela nest-il pas crit dans le livre des Juges 67
?.
Avant lintermde du prophte anonyme le texte porte que les Isralites, rduits la misre par les razzias de Madian, crirent vers YHWH
(Jg 6,6). Le midrash dveloppe ce propos un message desprance en citant lappui plusieurs exemples bibliques pour commenter Exode 23,20 :
Voici que jenvoie mon ange devant toi.
Quand les Isralites crient devant lui (lange), le salut leur arrive. Ainsi au
buisson ardent, car il est dit (Ex 3,9) : Voici que le cri des fils dIsral
est arriv jusqu moi68 . De mme propos de Gdon (Jg 6,11.14) :
Alors vint lange de YHWH et il sassit sous le trbinthe et il dit : Va
avec cette force qui est tienne et tu sauveras Isral. Et ainsi en sera-t-il
dans les temps venir (messianiques), quand lange se manifestera : la
dlivrance surviendra pour Isral, car il est dit (Ml 3,1) : Voici que jenvoie mon ange et il dblayera la route devant toi69 .

Le fait que lange sassoit sous le trbinthe (Jg 6,11) na pas pass
inaperu et contribue rendre compte de lexpression YHWH Sebaot
(Sabaoth). Si Dieu est ainsi dsign dans le texte sacr,
cest quil ralise sa volont (sibyono)70 parmi ses anges, quand il le dsire, et il les fait asseoir, car il est dit (Jg 6,11) : Et lange de YHWH
vint et sassit sous le trbinthe. Parfois aussi il les fait tenir debout, car
il est dit (Is 6,2) : Des sraphins se tenaient debout au-dessus de lui. Et
encore (Za 3,7) : Je te donnerai accs parmi ceux qui se tiennent debout
ici. Parfois il leur donne lapparence des femmes, car il est dit (Za 5,9) :
Et voici quapparurent deux femmes. Il y avait du vent dans leurs
ailes71 .

cause de la parole de lange : YHWH est avec toi, vaillant guerrier ! (Jg 6,12), Gdon est assimil David qui, juste raison, attribuait
toutes ses victoires la puissance de Dieu. Cest parce que Dieu est avec
lui que Gdon, lui aussi, saura lart de la guerre et pourra triompher de

67. Pseudo-Philon 35,6-7. La formule finale, qui sinspire de la Bible (Jos 10,13 ; 1 R

14,19 ; 15,7.23.31 etc.) rapparat en 43,4 ; 56,5. Les autres signes se limitent en fait
lpreuve de la toison.
68. Daprs Ex 3,2, cest lange de YHWH qui apparat Mose dans la flamme du buisson.
69. Ex. Rabba 32,9 sur Ex 23,20.
70. Le mot hbreu (sebaot) est interprt daprs laramen sibyon(a), dsir, volont
(ici avec affixe personnel hbreu).
71. Ex. Rabba 25,2 sur Ex 16,4.

198

S. LGASSE

ses ennemis. Ainsi dans cette glose du Psaume 114 : Bni soitYHWH,
mon rocher, lui qui enseigne mes mains le combat, et mes doigts la
bataille :
Je ne savais pas lart de la guerre, mais le nom du Saint-bni-soit-il quil
soit bni ! ma instruit. Et cest ainsi que Sal dit David (1S 17,37) :
Va, et que YHWH soit avec toi ! Cest ainsi quon lit encore (Jg 6,12) :
YHWH est avec toi, vaillant guerrier !72 .

Mais cette parole vient galement appuyer par avance lexemple de


Booz et de ses moissonneurs (Rt 2,4) et prescrire la mention du nom de
Dieu73 dans toute salutation entre Isralites. Et si lon objecte que, dans le
cas de Gdon, il ne sagit pas dune salutation, lange tant en ralit
charg dun message pour le hros, dautres textes sont allgus (Pr 23,22 ;
Ps 119,126) qui confirment la ncessit dhonorer cet ancien usage74 .
Celui-ci est du reste confirm par le tribunal de Dieu. R. Josu du Sud
(Deromaya) a dit : Lebeit din75 dici-bas a dcid trois choses et le beit
din cleste les a ratifies. Ce sont les suivantes : la destruction de Jricho,
lobligation du rouleau dEsther ( lire le jour de Pourim) et la salutation
en mentionnant le nom de Dieu. Le texte scripturaire qui soutient cette dernire prescription est Ruth 2,4. Mais comment tablir que le beit din cleste saccorde avec les juges terrestres ? L
criture enseigne (Jg 6,12) :
Un ange de Dieu apparut Gdon et lui dit : Le Seigneur est avec toi,
vaillant guerrier !76 .
La raction de Gdon nest pas dabord de protester de son indignit
ni mme de stonner quune telle parole soit adresse lui, mais il soublie
pour ainsi dire et sinclut tout naturellement dans le peuple, puisquil dit
nous : Si YHWH est avec nous, do vient tout ce qui nous arrive ? Dieu,
qui a sauv Isral de lesclavage gyptien aurait-il oubli son peuple ?

72. Midr. Ps. 144, 1 (1) : Buber, 533.


73. Sous forme de mtonymes (kinnuyim), il va de soi.
74. M. Berakot 9,5 ;b. Berakot 63a ;Yalqut II, 61 (709).
75. Cour rabbinique de justice.
76. j. Berakot IX, 5, 14c. Gdon tait juge, fonction qui est assimile celle dun membre des cours rabbiniques. Une variante de ce passage du Yerushalmi se lit en b. Makkot
23b, o les trois dcisions du beit din sont : a) lobligation du rouleau dEsther, b) celle
de saluer en employant le nom divin ( lappui : Rt 2,4 et Jg 6,12), c) la dme. Lnonc
est en outre attribu R. Josu ben Lvi. Autre variante en Ruth Rabba 4,5 sur Rt 2,4 :
lnonc est attribu R. Tanhuma, exprimant lopinion commune. Les trois dcisions
sont : a) la salutation au nom de Dieu (Rt 2,4 ; Jg 6,12), b) lobligation du rouleau dEsther, c) la dme.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

199

Or, prcise la haggadah, lappel de Gdon eut lieu la nuit de la Pque,


aprs quil eut prononc les paroles suivantes :
O sont toutes les merveilles, o sont les prodiges que Dieu a accomplis
pour nos pres en cette nuit-l, quand il frappa les premiers-ns des gyptiens et fit sortir Isral le coeur en joie ? (voir Jg 6,13)77 . - Parce que Gdon avait ainsi plaid la cause dIsral, le Saint-bni-soit-il dit : Il est
juste que je me manifeste lui dans ma gloire Alors le Saint-bni-soitil lui dit : Puisque tu as eu le courage de plaider la cause dIsral, cest
grce toi quil sera dlivr78 .

Une variante de cette glose sur le texte sacr est attribue R. Juda,
fils de R. Shallum :
Aux jours de Gdon Isral tait dans la dtresse. Le Saint-bni-soit-il
dsirait trouver quelquun qui plaidt en sa faveur, mais il nen trouvait
pas, car cette gnration tait pauvre dobissance aux commandements
et de bonnes oeuvres. Ds que Dieu eut trouv en Gdon le mrite davoir
plaid la cause dIsral, aussitt lange lui apparut, car il est dit (Jg 6,14) :
Et lange de YHWH vint lui et lui dit : Va avec cette force qui est
tienne, cest--dire par la force du mrite que tu as acquis en plaidant la
cause de mes fils79 .

Mais voici une autre forme de mrite80 . Dans cette interprtation la


question pose par Gdon : Comment sauverai-je Isral ? (Jg 6,15) est
comprise au sens de : par quel mrite ?. Et la parole de lange :a,V
avec
cette force qui est tienne (6,14) veut dire : En guise de rcompense pour
les gards que tu as manifests envers ton pre. En effet, conclut le
midrash, il avait dit son pre : Pre, tu es vieux, va tasseoir la maison. Moi, je vais semer et moissonner, et je te nourrirai81 .

77. Rachi sur Jg 6,13 : La veille au soir, mon pre ma fait rciter le Hallel et jai entendu

comment Isral est sorti dgypte.


78. Yelammedenu dans Yalqut II, 62 (709).
79. Tanhuma, Shofetim 4 ; voir aussi Rachi sur Jg 6,14.
80. Sur lide de mrite (zekut) dans le judasme rabbinique voir A. Marmorstein, The Doctrine of Merit in Old Rabbinic Literature and the Old Rabbinic Doctrine of God.
Prolegomenon by R.J. Zwi Werblowsky, New York 1968 (1re d. 1920) ; E.E. Urbach,The
Sages, their Concepts and Beliefs, II, Jrusalem 1975, 1024 : index,s.v. Merit etc.
81. Midr. ha-gadol, sur Gn 48,16 : Margulies, 824. Rachi sur Jg 6,11 : Son pre tait en
train de battre et de tamiser. Il lui dit : Pre, tu es vieux, et si les idoltres arrivent tu ne
pourras pas tchapper. Laisse-moi battre ta place. Selon Qimhi, ibid., ce geste de pit
filiale valut Gdon dtre choisi par Dieu : Lange lui dit : Parce que tu as accompli un
prcepte lourd, tu es digne de dlivrer mes fils immdiatement. Autres parallles dans
Ginzberg, The Legends of the Jews, IV, 200, n. 99.

200

S. LGASSE

Mais tout en tant un exemple de pit filiale, Gdon brille par son
humilit82 . Au vrai, il figure parmi les grands humbles de lhistoire dIsral. Le midrash nous lapprend lorsquil commente le Psaume 22,7 : Et
moi, je suis un vermisseau et non un homme :
Cest ainsi que le Saint-bni-soit-il accorde aux justes des grandeurs,
alors quils se considrent eux-mmes comme tant peu de chose. Abraham a dit (Gn 18,27) : Je suis poussire et cendre. Mose et Aaron ont
dit (Ex 16,7) : Que sommes-nous?. David a dit (Ps 22,7) : Je suis un
vermisseau et non un homme. Sal a dit (1 S 9,21) : Ne suis-je pas un
Benjaminite, dune des plus petites tribus dIsral et ma famille nestelle pas la plus infime dentre toutes les familles de la tribu de Benjamin ?83 . Gdon a dit (Jg 6,14) : Voici que mon clan est le plus faible
en Manass et moi, je suis le plus petit dans la maison de mon pre.
Les impies en revanche senorgueillissent quand Dieu leur octroie des
grandeurs, tmoin Pharaon (Ex 5,2), Goliath (1 S 17,10), Sennachrib (2
R 18,35), Nabuchodonosor (Dn 3,15), Balthasar (Dn 5,23), Hiram, roi
de Tyr (z 28,2)84 .

La protestation dhumilit du hros en Juges 6,15 alimente, dans lun


des plus anciens midrashim, le merveilleux dans lequel baigne lensemble
des ralits exodiales. Cest ainsi que Mose, arriv au terme de sa carrire,
eut, estime-t-on, du haut du mont Nbo, une vision prophtique : non content dembrasser dun regard tout le pays, il obtint de voir des personnages
et des faits venir. On le dduit en sappuyant chaque fois sur deux passages, le premier emprunt Deutronome 34. Cest ainsi que Mose a pu,
entre autres, voir Gdon :
Comment tablir que Dieu lui a montr Barac ? Parce quil est dit (Dt
34,2) : et tout Nephtali ; or, ailleurs le texte porte (Jg 4,6) : et Dbora
envoya appeler Barac, fils dAbinoam, de Qedesh de Nephtali. Et comment tablir que Dieu lui a montr Josu dans son royaume? Parce quil
est dit (Dt 34,2) : et le pays dEphram Hosha (Josu), fils de Nun. Et
comment tablir que Dieu lui a montr Gdon ? Parce quil est dit (Dt

82. Sur cette vertu (anawah) dans la pense rabbinique, voir F. Bohl, Die Demut (nwh)

als hchste der Tugenden. Bemerkungen zu Mt 5,3.5, BZ 20 (1976) 217-223 ; Urbach,The


Sages, I, 588-589. Sur la mme vertu Qumrn et dans les Testaments des Douze Patriarches, voir S. Lgasse, Jsus et lenfant (EtB), Paris 1969, 226-227.
83. Citation complte.
84. Midr. Ps. 22,7 (20), daprs certains certains manuscrits : voir la traduction allemande
de A. Wnsche, Midrasch Tehillim oder haggadische Erklrung der Psalmen usw., Trves
1892 (rimpr. Hildesheim 1967), 201 (manque dans ldition Buber).

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

201

34,2) : et de Manass ; or, ailleurs le texte porte (Jg 6,15) : voici que
mon clan est le plus faible en Manass, etc.85 .

La rponse de lange en Juges 6,16 : T


u battras Madian comme un seul
homme, sert expliquer, par analogie, une phrase des bndictions de Jacob concernant Simon et Lvi (Gn 49,6) : Car dans leur colre ils ont tu
un homme86 :
Mais est-il vrai quils nont tu quun seul homme ? Nest-il pas crit au
contraire (Gn 34,25) : Et ils entrrent dans la ville en pleine scurit et
ils turent tous les mles. Mais cela fut compt par le Saint-bni-soit-il
et pour eux-mmes comme sil sagissait dun seul homme. Il en va de
mme quand on lit (Jg 6,16) : Tu battras Madian comme un seul
homme. Autre exemple similaire (Ex15,1) : Il a jet la mer cheval et
cavalier87 .

La promesse de lange de rester jusquau retour de Gdon avec son


offrande (Jg 6,18) est de bonne augure et lon peut en dduire que cette
offrande est davance agre, linverse de ce qui a lieu avec Manoah, pre
de Samson, cause de la phrase en Juges 13,16 : Mme si tu me retenais,
je ne mangerais pas de ton pain88 .
Le miracle du feu consumant le chevreau et les pains sans levain (Jg
6,21) na laiss aucune trace chez Josphe, lequel omettra pareillement plus
loin le double prodige de la toison. Les deux faits, qui rpondent une
manire de sommation de la part de Gdon (Jg 6,17-18.36.39) sont un signe de manque de foi et donc contrecarrent le projet apologtique de
lauteur. Celui-ci, du reste, rduit le miraculeux des rcits bibliques afin de
les rendre plus rationnels et, par l, plus adapts ses lecteurs.
Les rabbins nont pas ce souci et, chez eux, le miracle du feu sinscrit
dans une de ces numrations mnmoniques dexemples scripturaires dont
la littrature rabbinique offre de nombreux tmoignages89 . Une de ces listes nous enseigne que douze feux tombrent du ciel, rpartis comme suit
travers gnrations et poques : six en signe daccueil de sacrifices,
dapaisement et de compassion; les six autres en signe de colre et de ven85. Mekilta, Amaleq 2 sur Ex 17,14 : Horowitz-Rabin 184 Yalqut
;
I, 823 (575) ; voir aussi

Sifr Deut. 357 sur Dt 34,2 : Finkelstein, 426.


86. En fait le singulier est ici collectif, ish signifiant de lhumanit, des hommes. Le

midrashiste lentend comme un singulier au sens strict.


87. Tanhuma, Wayyehi 10. Voir aussi Rachi sur Gn 49,6.
88. Seder Eliahu Rabba 12 (13) : Friedmann, 60.
89. Voir W.S. Towner, The Rabbinic Enumeration of Scriptural Examples. A Study of a

Rabbinic Pattern of Discourse with Special Reference to Mekhilta dR. Ishmael, Leiden 1973.

202

S. LGASSE

geance. la premire catgorie appartiennent 1) la conscration du tabernacle (Lv 9,24), 2) loffrande de Gdon (Jg 6,21), 3) celle de Manoah (Jg
13,20), 4) celle de David (1 Ch 21,26), 5) la ddicace du temple de Salomon (2 Ch 7,1.3), 6) le sacrifice dlie au Carmel (1 R 18,38)90 .
Les paroles : et le feu monta du rocher (Jg 6,21) sont recueillies dans
une argumentation haggadique destine, une fois encore, accrotre le
merveilleux de lExode, ici propos des eaux de Mriba :
R. Simon a dit : et il a donn ses eaux (Nb 20,8). - Le rocher produit du
feu, car il est dit (Jg 6,21) : et le feu monta du rocher. Il produit du miel,
car il est dit (Dt 32,13) : et il donne sucer le miel du rocher. Il produit de
lhuile, car il est dit (Dt, ibid.) : et lhuile du caillou du rocher. Mais il ne
produit pas de leau. prsent remarque bien : Mose a prescrit au rocher :
Tu ne feras jaillir que de leau, comme il est dit (Nb 20,8) : il a donn ses
eaux. Sil tait au pouvoir de lhomme de produire de leau partir du
rocher, il ne pourrait le faire sans mlanger les liquides, ce qui les amnerait
se corrompre. Et supposer quil puisse les mlanger, pourrait-il mlanger leau et le feu dans un mme rservoir ? Est-ce que leau nteindrait
pas le feu ? Vois donc les prodiges qua fait le Saint-bni-soit-il : il a runi
au coeur du rocher de lhuile et du miel et de leau et du feu 91!

Lpisode sachve par ldification dun premier autel ddi YHWHShalom (Jg 6,24). Le Targum glose :
Et Gdon btit l un autel YHWH et il offrit sur lui un culte YHWH
qui lui avait accord la paix jusqu ce jour92 .

Une rfrence ce mme passage apparat dans lhomlie qui commente Lvitique 7,11-12 (sacrifices shelamim) et que seconde le refrain :
Grande est la paix :
R. Yudan fils de R. Yos a dit : Grande est la paix, puisque le Saint-bnisoit-il est appel Paix, comme il est dit : Et il appela YHWH paix93 .

90. Daprs un midrash inconnu cit et glos dans le commentaire de Bahye Ben Asher sur

Lv 9,24 : Chavel, t. II, 448-449 (448) ; en plus bref,


Sifr zuta sur Nb 11,1 ; Horowitz, 268 ;
Midr. ha-gadol sur Nb 11,1 : Rabinowitz, 162-163.
91. Yelammedenu, dans Yalqut I, 76 (521-522).
92. Rachi sur Jg 6,24 : YHWH tait en paix avec lui.
93. Lev. Rabba 9,9 : Margulies, t. I, 190. Voir aussiSifr Num. 42 sur Nb 6,26 : Horowitz,
47 ;Num. Rabba 11,7 sur Nb 6,26 ;Pereq ha-Shalom ;Yalqut I, 711 (464), citant Lev.
Rabba 9,9 ; II, 711 (904). La phrase biblique signifie littralement que lautel est appel
YHWH-Paix, non que le YHWH est appel Paix. Rachi la bien vu propos de Jg 6,24 (lamizbeah), mais non propos de b. Shabbat 10b (la-Qaddosh-baruk-hu) ni de b. Sanhedrin
44a (Paix est le nom du Ciel).

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

203

La Gemara, de son ct, sappuie sur ce verset pour fonder linterdiction de saluer quand on se rencontre dans les bains publics, puisque cette
salutation comprend le mot shalom et que Dieu fut ainsi dnomm par
Gdon94 .
Mais quittons les bains publics pour les rgions clestes et les anciennes spculations sotriques :
Les arabot (septime ciel)95 dans lesquelles rsident justice et droit, intgrit, trsors de vie, trsors de paix, trsors de bndiction, les vents et les
brises qui rpandront la fracheur et la rose par laquelle le Saint-bni-soitil fera revivre les morts (voir Is 26,19).
Justice et droit, car il est crit (Ps 89,15) : Justice et droit sont la base de
son trne.
Intgrit, car il est crit (Is 59,17) : il a revtu la justice comme une cuirasse.
Trsor de vie, car il est crit (Ps 36,10) : car cest chez toi quest la source
de vie.
Trsor de paix, car il est crit (Jg 6,24) : et il lappela YHWH-Paix96 .

Le second sacrifice de Gdon (Jg 6,25-32)


Le second sacrifice de Gdon fait suite la destruction de lautel de Baal
et du pieu sacr (ashrah) (Jg 6,25-28). Josphe passe cet incident sous silence pour viter chez ses lecteurs laccusation dintolrance contre les
Juifs. Les rabbins ne pouvaient au contraire quapprouver le zle du hros,
mais non le fait que le sacrifice offert sur le bois de lashrah eut lieu sur
un sommet montagneux (Jg 6,26)97 . Comment concilier cela avec la prohibition du culte des hauts-lieux 98
? Certains rabbins refusent dincriminer
Gdon. Cest lui en effet que sapplique la parole du psaume (60,9) :
Manass est mien (Gdon est de la demi-tribu de Manass). De plus, il

94. b. Shabbat 10b ;Yalqut II, 62 (709) (voir note prc.).


95. Littralement nuages, le plus lev des tages clestes : il y a sept cieux reqiim),
(

les voici : le rideau wilon),


(
le firmament (raqia), les cieux (shehaqim), la rsidence (zebul),
la demeure (maon), la fondation (makon), les nuages (arabot) :b. Hagigah 12b ;Abot
de-R. Natan 37 ;Midr. Ps. 112,1 (2) : Buber, 471 etc.
96. b. Hagigah 12b ;Yalqut I, 339 (834) ; abrg enYalqut II, 62 (709).
97. Rosh maoz (littralement tte de refuge) dsigne soit quelque bastion situ au sommet dune montagne soit ce sommet lui-mme.
98. Dt 12,2 ; 1 R 12,31 ; 14,23 ; 15,14 etc.

204

S. LGASSE

a agi sur lordre de Dieu (Jg 6,26)99 . Et puis la Bible offre sur ce point des
exceptions. Il est vrai que lorsque Josu a difi un autel sur lbal (Jos
8,30), le tabernacle tait encore Gilgal et les cultes des hauts-lieux
navaient pas encore t abolis par linstauration du sanctuaire central de
Shiloh. Mais ce nest plus le cas avec lie : cette poque la prohibition
des hauts-lieux (issur bamah) tait dsormais en vigueur. Pourtant lie a
bien sacrifi sur le Carmel et cela, daprs lordre exprs de Dieu. Cette
constatation permet R. Yos ben Hanina de poser en principe quun sacrifice sur les hauts-lieux na jamais t autoris que par un prophte spcialement mandat en vue dune exception100 .
Il reste que ce sacrifice de Gdon a manifestement gn les rabbins,
qui nont pas toujours pris soin de le justifier. Ainsi R. Abba ben Kahana,
matre palestinien du dbut du IVe sicle, a dress la liste des irrgularits
commises en la circonstance :
Sept transgressions ont t commises en rapport avec le taureau de Gdon : il a t offert avec le bois de lashrah ; il a t immol sur des pierres tailles101 ; il avait t rserv en vue dun culte idoltrique102 ; il avait
t lui-mme ador ; il fut sacrifi par un lac103 ; de nuit ; enfin Gdon
tait trop jeune104 .

Lappel aux armes et lpreuve de la toison (Jg 6,33-40)


la diffrence des Pres de lglise, les rabbins ont peu exploit la section qui stend en Juges 6,33-40. Notons cependant que la condition ex-

99. Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,28 ;Tanhuma Naso 28 ;Tanhuma Buber, Naso 21a.
100. Lev. Rabba 22,9 sur Lv 17,3 : Margulies, t. II, 518-519 Yalqut
;
I, 579 (363) ; II, 103
(720) ; 779 (923) ; voir aussi
Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,48.
101. Supposes avoir form lautel de Baal. Leur emploi tait illgitime daprs Ex 20,25 ;
Dt 27,5-8 ; Jos 8,31.
102. Rachi sur Jg 6,25 : il avait t engraiss pendant sept ans en vue du culte des astres.
103. Gdon ntait pas prtre.
104. Lev. Rabba 22,9 sur Lv 17,3 : Margulies, t. II, 519. Mme compte, avec quelques variantes, en j. Megillah I, 14, 72c. Une variante rapporte en Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,48
ajoute la cinquime irrgularit le fait que Gdon tait un descendant de prtres des idoles (ben kemarim). Une autre variante (b. Temurah 23b-29a ;Yalqut II, 62, 709) compte
huit irrgularits, dans lordre suivant : 1) le sacrifice a t offert hors du sanctuaire, 2) de
nuit, 3) par un lac, 4) avec les ustensiles du culte de lAshra, 5) sur les pierres de lautel
de Baal, 6) en utilisant le bois de lAshra, 7) en immolant un animal destin lidoltrie, 8)
et qui avait t lui-mme ador.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

205

prime par Gdon au verset 37 sert illustrer Deutronome 13,2 : Si


quelque prophte ou un songeur de songe surgit de ton sein et te donne un
signe ou un prodige :
Et sil te donne un signe - dans le ciel, selon lcriture (Gn 1,14) :
Quils servent de signes. - Un prodige - sur la terre, selon lcriture
(Jg 6,37) : Sil y a de la rose sur la seule toison et que ce soit sec sur
toute la terre, etc.105 .

Mais il convient surtout de citer les rflexions suivantes sur le rle de


Dieu dans les maux qui frappent les hommes :
Gdon se mit prouver Dieu par la toison, car il est crit (Jg 6,39) :
Puiss-je faire lpreuve de la toison rien quune fois ! Or, quest-il
crit ? Quil en fut ainsi (Jg 6,38)106 . Dans ce passage le Saint-bni-soitil nassocie pas son nom107 . Il a dit : Le monde entier serait dans la dtresse et moi, jy associerais mon nom ? Il est crit en effet (Ps 5,5) : Car
tu nes pas un Dieu qui prend plaisir au mal, le mchant nest pas accueilli
par toi. Mais quand Gdon eut demand (Jg 6,39) : Que ce soit sec sur
la seule toison, le Saint- bni-soit-il a dit : Du moment que la rose
tombe et que le monde se rjouit, jassocierai mon nom, car il a t dit (Jg
6,40) : Et Dieu fit ainsi cette nuit-l. De mme, quand Jrmie prophtisait des paroles de rconfort, Dieu y associait son nom, car il a t dit (Jr
2,2) : Ainsi parle YHWH : Je me souviens pour toi de la pit de ta jeunesse. Mais quand Jrmie profrait des paroles de reproches, il est crit
(Jr 1,1) : Paroles deJrmie. Ainsi galement pour Mose : alors que
les discours se succdent, introduits par : Et YHWH parla Mose,
quand Dieu intervient pour rprimander, il est crit (Dt 1,1) : Ce sont les
paroles108 .

Ou encore, sous forme de variante :


Le Saint-bni-soit-il dit Gdon : Jai dcid que je serai une rose pour
Isral (Os 14,6), et toi, tu as dit (Jg 6,37) : Que ce soit sec sur toute la
terre dIsral. Cela se peut-il vraiment ? Non, je nagirai pas ainsi. - En
effet il nest pas crit dans ce passage : Et Dieufit ainsi, mais : il en
fut ainsi (Jg 6,37) : cela sest produit de soi-mme. Mais quand Gdon

105. Sifr Deut. 8,3 sur Dt 13,2 : Finkelstein, 149. Voir aussi Rachi sur Dt 13,2 (avec une
variante o la rose figure comme exemple du prodige venant du ciel).
106. Il sagit du premier prodige, quand la toison seule fut baigne de rose alors que le sol
alentour restait sec.
107. Ne se nommant pas explicitement Dieu indique labsence dengagement dans laction
voque.
108. Yelammedenu dans Yalqut II, 62 (709) ; abrg enYalqut II, 553 (861).

206

S. LGASSE

eut dit (Jg 6,39) : Que ce soit sec sur la seule toison, on lit la suite
(6,40) : et YHWH fit ainsi en ce jour-l, etc. Pourquoi ? Parce quil est
crit : Je serai une rose pour Isral109 .

Par ces remarques sur la lettre des textes le midrash aborde le problme
mtaphysique de lorigine du mal et tmoigne de la rpugnance des rabbins mettre Dieu directement en contact avec lui110 . Ainsi encore dans
largumentation suivante :
R. Elizer ben Pedat a dit au nom de R. Yohanan : Le nom du Saint-bnisoit-il nest pas mentionn propos du mal mais seulement propos du
bien. Tu apprends quil en est ainsi du fait quau moment o le Saint-bnisoit-il cra la lumire et les tnbres et leur donna des noms, il mentionna
son nom propos de la lumire mais ne le mentionna pas propos des
tnbres, car il a t dit : etDieu appela la lumire jour et il appela les
tnbres nuit (Gn 1,5). Ainsi il mentionna son nom propos de la lumire, mais quand il arriva aux tnbres, le texte ne dit pas : Dieu appela
les tnbres nuit, mais seulement : il appela111 .

Slection des combattants et preuve de leau (Jg 7,1-8)


La version que Josphe112 donne de la leve des troupes en vue du combat se
singularise sur plusieurs points. La premire slection (Jg 7,3), qui carte
22.000 poltrons, est omise. En revanche Josphe ajoute un dtail : cest au
rcit, fait par Gdon, de sa vocation que 10.000 hommes se lvent sur le
champ, prts pour le combat. Cette notice apologtique et difiante est suivie
dune apparition divine en songe113 o Dieu manifesta Gdon linclination
de la nature humaine lamour-propre et laversion quelle porte ceux qui
se considrent dune valeur suprieure, et comment, loin dattribuer la vic-

109. Tanhuma Buber, Toledot 69b.


110. Il nempche que les rabbins, dans lensemble, rpugnent tout autant soustraire entirement le mal laction divine, par crainte du dualisme : voir Urbach,The Sages, I, 275276. Sur Dieu et le mal moral dans le judasme, voir A. Hayman, Judaism and the Problem
of Evil, SJTh 29 (1976) 461-476.
111. Tanhuma, Tazria 9. Variante en Gen. Rabba 3,6 sur Gn 1,3 : Theodor-Albeck, t. I,
23 : Le Saint-bni-soit-il nattacha jamais son nom au mal, mais seulement au bien, selon
quil a t dit (Gn 1,5) : <etDieu appela la lumire jour>, alors quil nest pas crit au
mme passage : <Dieu appela les tnbres nuit>, mais : <il appela les tnbres nuit>.
112. AJ V, 215-217.
113. Kata tous hypnous. Sur ce motif, o linfluence de la Bible se mle chez Josphe
lhritage hellnistique, voir A. Oepke, Onar, ThWNT V, 232-233.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

207

toire Dieu, les guerriers la considraient comme tant leur, du fait quils
formaient une arme nombreuse, digne de rivaliser avec lennemi.
Les remarques sur la tendance au mal de la nature humaine se rptent
dans les Antiquits juives auxquelles Josphe confre de la sorte une teinte
philosophique114 . Mais sil moralise loccasion, il noublie pas la vise
thologique. Prsentement, la rduction de larme na dautre but que
dapprendre aux combattants que la victoire est remporte grce au secours
divin (voir Jg 7,2), point de vue en tout traditionnel115 . Lpreuve qui suit
est renforce, ayant lieu vers midi, au moment o la chaleur tait la plus
intense. Et Josphe dexpliciter le passage plutt obscur en Juges 7,5-6116 .
Deux groupes se dessinent : dune part, ceux qui se mettent genoux (ou
stendent :kataklithentas) pour boire, donc prennent leur temps et dominent leur soif, dautre part, ceux qui boivent avec prcipitation. Les premiers, apparemment les plus disposs, sont carts, et les seconds, au
nombre de 300, sont dsigns pour le combat, eux pourtant qui avec
crainte et en dsordre avaient lev leau dans leurs mains vers leurs lvres. Il est ds lors bien vident que cest Dieu qui opra la victoire.
Cest galement la conviction des rabbins. Toutefois leur exgse est diffrente. Si les hommes qui ont pli le genoux pour boire sont exclus de larme, ce nest pas en tant que forts, pour mieux faire ressortir ensuite laction
divine, mais en tant quidoltres. Les hommes de cette gnration, on la vu,
adoraient leur propre reflet dans leau. Au contraire ceux qui laprent leau
avec leur main sont les dignes prdcesseurs des fidles dont il est dit (1 R
19,18) : Je laisserai en Isral 7000 hommes, tous ceux dont les genoux non
pas flchi devant Baal. Cest eux galement quest applique cette parole
de Miche (5,6) : Et le reste de Jacob sera, au sein de peuples nombreux,
comme une rose venant de YHWH, comme des ondes sur le gazon117 .
114. III, 290 (philautos) ; IV 193 ; V, 317 ; VI, 262-263, 341. Comparer Plutarque,
Aratos,
1 :Philautou gar andros, ou philkalou. ce sujet voir Attridge, The Interpretation, 140143 (Nature in the moralizing in the Antiquities).
115. 1 S 14,6 ; 17,47 ; 1 M 3,16-22.
116. Linterprtation de Josphe rejoint le sens biblique, pourvu quon accepte damender
le texte en dplaant les mots : avec leur main leur bouche du verset 6 au verset 5, la
suite de : quiconque se mettra genoux pour boire. On obtient ainsi deux groupes : ceux
qui se couchent pour laper comme les chiens et ceux qui se mettent genoux pour boire en
saidant de leurs mains. Les seconds savrent beaucoup plus aptes une attaque subite,
surtout par derrire. Or, Dieu choisit les premiers ! Voir R.C. Boling,Judges (AB 6A),
Garden City, NY 1975, 145-146.
117. Tanhuma Buber, Toledot 69b ;Yalqut II, 62 (709). Ce passage, qui est la continuation
du commentaire de lpisode de la toison, allgue aussi Is 26,19, en prcisant que la rose
est le symbole de la rsurrection.

208

S. LGASSE

Ainsi ce nest plus un petit nombre dincapables que Dieu choisit pour
sauver Isral mais une minorit de justes, prfigurant le reste saint annonc par les prophtes118 .

Descente au camp ennemi et songe du pain dorge (Jg 7,9-15)


Refondu par Josphe119 , le rcit en Juges 7,12-15 acquiert plus de cohrence. Le serviteur qui accompagne Gdon (Jg 7,10) est aussi un soldat, ce qui cadre avec le danger de la circonstance et en renforce aussi
le caractre dramatique. On notera lomission de lvocation des troupes
ennemies rpandues dans la valle (Jg 7,12), hors-doeuvre dautant plus
superflu que Gdon ne pouvait contempler ce spectacle en pleine nuit.
Un souci dexplication se manifeste quand Josphe crit que Gdon,
sapprochant de lune des tentes, trouva ses occupants veills : lun
deux racontait un rve son compagnon, de telle sorte que Gdon pouvait lentendre (voir Jg 7,13). Noter aussi la formule rationalisante : il
lui semblait (edkei) quun pain dorge (ibid.), une convention bien
caractristique de lauteur120 . Mais son apport le plus substantiel concerne
le pain dorge. Daprs le songe, celui-ci tournoie travers le camp et
sen vient renverser la tente du roi et celles de tous les soldats, dtail
supplmentaire (voir Jg, ibid.), destin souligner lintgralit de la dfaite, mais qui cadre mal avec la suite du rcit, tant dans la Bible que
chez Josphe lui-mme, o il est question des deux rois madianites Oreb
et Zeb121 . Pareillement ajoute est la remarque au sujet du pain dorge,
trop vil pour tre consomm par les hommes. Cela prpare linterprtation du soldat madianite : sil voit ici lannonce de la destruction de sa
propre arme, cest que
de toutes les graines, celle quon appelle lorge est reconnue comme la
plus vile; et de toutes les races asiatiques, celle des Isralites, comme on
peut le voir, est devenue maintenant la plus mprisable et elle sapparente

118. Is 4,3 ; 10,20-21 ; 60,21 ; So 3,12-13.


119. AJ V, 218-221.
120. Sur ce type de formule chez Josphe, voir Delling, Josephus, 297, n. 4, ou Idem,
Studien, 135, n. 20. G. MacRae, Miracles in the Antiquities of Josephus, dans : C.F.D.
Moule (d.), Miracles. Cambridge Studies in their Philosophy and History, Londres 1965,
129-147 (132-136) ; S. Lgasse, dans : X. Lon-Dufour (d.),
Les Miracles de Jsus selon
le Nouveau Testament, Paris 1977, 110-113.
121. Josphe parle de rois, comme la Bible hbraque en Jg 8,5.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

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la nature de lorge; et parmi les Isralites la grandeur dme ne peut se


trouver prsent que chez Gdon et ses compagnons en armes. Puis donc
que tu as dit avoir vu ce pain renverser nos tentes, jai bien peur que Dieu
nait accord Gdon la victoire sur nous122 .

Josphe utilise un lieu commun lorge comme nourriture de btail123


pour rendre plus directe lapplication du songe la prochaine victoire
isralite. Il se fait en mme temps lcho du mpris paen envers les Juifs.
Dans lensemble cependant, Josphe suit de prs le texte sacr. Il nen va
pas de mme chez le Pseudo-Philon, o le songe et son objet ont totalement disparu et o une toute autre raison vient justifier cette sinistre prvision de la rumeur publique :
Vous verrez venir sur vous le dsarroi inimaginable caus par lpe de
Gdon, car Dieu a livr entre ses mains le camps des Madianites : il commencera nous faire disparatre, y compris la mre et les enfants. Car nos
pchs sont leur comble, comme nos dieux nous lon fait voir, et nous
ne les avons pas crus. Et maintenant, levons-nous, portons assistance nos
vies, et fuyons124 .

122. AJ V, 220-221.
123. Voir Sifr Num. 8 sur Nb 5,15 (Horowitz, 14), au sujet de la farine dorge offerte
loccasion de lordalie : de mme que laction de la femme est celle dun animal, de mme
son offrande est une nourriture danimal ;b. Sota 15a-b : Elle a donn manger son
amant les mets les plus coteux du monde, cest pourquoi son offrande est une nourriture
danimal ; mme argumentation dansPesiqta rabbati 18, 4/5 (92b). Daprs Philon (Spec.
leg. III, 57), lorge convient aussi bien aux animaux dpourvus de raison quaux hommes
dshrits ; cest le symbole que la femme en tat dadultre ne se distingue pas des btes
dont les accouplements se font sans distinction ni rgle (trad. A. Moss). Voir aussi II,175
(lorge nourriture de seconde catgorie). Comparer Jrme (In Osee I, 3,2 : CChSL 75, 35)
et sa polmique : Parce quil na pas son poux (divin : voir Os 3,3non
: eris viro), il (Isral) ne se nourrit pas de nourriture dhommes, de bl et de lgumes, mais de lorge des
btes de somme sans raison (Os 3,2), ruminant la lettre vile qui tue et priv de lesprit qui
vivifie (2 Co 3,6). Cest pourquoi dans la Loi galement la femme qui est accuse dadultre par son mari mle de la farine dorge la boisson destine la convaincre de son
crime. tant devenue semblable aux <chevaux et aux mulets qui nont pas dintelligence>
(Ps 31,9), elle se nourrit daliments de chevaux et de mulets. Pour Augustin (Sermo 130,
1 : PL 38, 725 In
; Joh. tract. 24,5 : PL 35, 1594-1595) les pains dorge multiplis par le
Christ sont la figure de lancienne alliance. Les rabbins en revanche considrent le bl
comme le symbole dIsral :Pesiqta rabbati 10,3 (35a) : <Ton ventre est un monceau de
bl> (Ct 7,3). Ce monceau est Isral. Et pourquoi Isral est-il compar du bl ? Parce que
ses grains sont fendus au milieu, ce quon ne trouve pas dans les lentilles ni dans tout le
reste des crales. Et pourquoi les grains de bl sont-il fendus ? Parce que toutes les autres
crales lui sont infrieures. Entendons : la circoncision, dont le grain de bl fendu est
limage, rend Isral suprieur tous les autres peuples. Voir la version plus dveloppe du
mme commentaire dans Midr. Ps. 2,13 (v. 12) : Buber, 30-31.
124. 36,1 ; trad. SC.

210

S. LGASSE

Ici comme tout au long de loeuvre, lauteur introduit la note morale :


de mme que la ruine de Sodome (Gn 18,20) et lextermination des Cananens (Dt 12,31 ; 18,12 ; Sg 12,3-4), le dsastre madianite est un chtiment
de Dieu motiv par la perversion de ce peuple. Curieusement, le thme prophtique de lavertissement divin125 est appliqu aux idoles paennes.
Cest aussi un message moral que transmet la haggadah. La galette
dorge et ses mfaits dans le camp ennemi sont lexpression du rle que la
pit filiale de Gdon jouera dans la prochaine victoire : navait-il pas, au
risque dtre captur par les infidles, fourni son pre cette mme nourriture 126
?
Ce rapprochement, toutefois, reste exceptionnel. Le plus souvent les
midrashim rejoignent la ligne pascale dj observe. La parole du psalmiste : Je me souviens de mon chant la nuit (Ps 77,7) voque les trois
nuits o Isral fut dlivr : la nuit de Pharaon (Ex 12,29), la nuit de Gdon (Jg 7,9), la nuit de Sennachrib (2 R 9,35)127 .
Autre connexion avec la Pque, par le truchement de loffrande de la
premire gerbe (omer) prescrite en Lvitique 23,9-14. Cette offrande, selon linterprtation rabbanite de Lvitique 23,15128 , avait lieu le lendemain
de la Pque ou premier jour des Azymes, soit le 15 Nisan, aprs lequel on
comptait sept semaines que clturait la fte des Semaines (shabuot), ou
fte de la Moisson (hag ha-qasir), autrement dit, la Pentecte. Les sept
semaines taient values partir du dbut de la moisson de lorge, la plus
prcoce des crales, et le cinquantime jour concidait avec la fin de la
moisson du bl129 . Daprs les anciens rabbins, soucieux de marquer limportance du prcepte de la premire gerbe, cest cause de son accomplissement quIsral fut sauv au temps de Gdon :

125. Is 50,2 ; 65,12 ; 66,4 ; Jr 7,13 ; 26,5 ; Mt 23,37 par. Lc 13,34.


126. Midr. ha-gadol sur Gn 48,6 : Margulies, 824-825 (le texte continue en citant Jg 6,11b ;
7,13-14).
127. Pesiqta de-Rab Kahana 17,1 : Mandelbaum, t. I, 281 Lam.
;
Rabba 1, 2, 23 ;Yalqut
II, 816 (933).
128. Sur les autres interprtations et la diversit des calculs qui sensuivent voir J. Van
Goudoever, Ftes et calendriers bibliques (ThH 7), Paris 1967 (3e d.), 30-48.
129. Aprs la disparition du Temple, le souvenir de ces rites agricoles a survcu dans la
Synagogue o partir du soir du 15 Nisan commence le calcul de lomer (sefirat haomer), cest--dire, en ralit, du temps qui spare Pque et Pentecte, par la formule :
Aujourdhui, premier, deuxime, etc., jour de lomer. Cette priode, linverse de ce
quon attendrait, nest pas joyeuse, mais la commmoraison des martyrs dIsral en a fait
une saison austre, interrompue, il est vrai, partir du 33e jour ou lag (= lamed + ghimel =
33) ba-omer, correspondant au 18 Iyyar, o prennent place des festivits populaires.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

211

R. Josu ben Lvi a dit : Ce fut (cette offrande de lomer) qui se tint
auprs des (Isralites)130 aux jours de Gdon, car il a t dit (Jg 7,13) :
Et Gdon arriva, et voici quun homme racontait un songe, et il disait :
Voici que jai eu un songe, et voici quune miche (selil) de pain tournoyait
dans le camp de Midian ; elle arriva jusqu une tente, elle la heurta et la
mit par terre ; elle la renversa de haut en bas, et la tente seffondra.
Quest-il signifi par un selil de pain dorge ? Nos matres disent : Cela
a trait au fait que cette gnration tait vide (salul)131 de justes. - En vertu
de quel mrite furent-ils donc sauvs (nissolu) ? En vertu du mrite indiqu par la miche (selil) de pain dorge. - Et en quoi consiste-t-il ? accomplir le prcepte de la premire gerbe132 .

Le terme selil ne se lit quune fois dans toute la Bible et son sens nest
pas parfaitement assur. Peu importe : il suffit quil se prte un jeu de
mots. Celui-ci est double : il sopre, dune part, avec le participesalul, littralement, clarifi, de lautre, avec le parfait nifal du verbe nasal, tre
sauv ; Do lallusion successive la dchance morale des Isralites au
temps de Gdon et au salut qui nen est pas moins accompli par ce dernier. Mais ce selil est dorge, et lorge compose la premire gerbe, prmices de toutes les crales. Il nen faut pas davantage pour que le texte
vienne appuyer le rle protecteur, parce que mritoire, de lobissance ce
prcepte. Plus tard on nhsitera pas dater la victoire dIsral de la nuit
mme o avait eu lieu loffrande de la gerbe133 .

Les campagnes de Gdon (Jg 7,168,21)


Lallgorie philonienne134 retient des campagnes de Gdon la destruction
de la tour de Phanuel (Jg 8,8-9.17). Celle-ci, comme son homologue de
Babel, reprsente lorgueil impie qui croit pouvoir conqurir les cieux
pour y asservir les valeurs intelligibles et les soumettre au monde sensi-

130. Pour les sauver.


131. Largumenation joue sur le qer-ketib en Jg 7,13, respectivemnt slyl et slwl : voir Rachi

sur Jg 7,13.
132. Pesiqta rabbati 18, 5 (92b), cite en Yalqut I, 643 (400) ; II, 62 (709). Voir galement

Lev. Rabba 28,6 sur Lv 23,11 : Margulies, t. II, 660-661 Pesiqta


;
de-Rab Kahana 8,4
(71a) : Mandelbaum, t. I, 142.
133. Rachi sur Is 9,3 : Car eux aussi (les Madianites) succombrent tous ensemble en une
seule nuit, et ce fut la nuit de la rcolte de lomer, comme il est dit (citation de Jg 7,13).
Voir aussi Ginzberg, The Legends of the Jews, VI, 200, n. 100.
134. Philon, Conf. ling. 128-132.

212

S. LGASSE

ble, alors que les ralits clestes sont en elles-mmes inaccessibles135 .


cette prtention soppose la justice, qui vient dtruire les villes que les
enfants de Can ont leves contre lme infortune, entendons, laction
des sages et des bons, action vigoureuse dont Gdon devient le symbole.
Et Philon de jouer sur les tymologies, dabord propos de la tour
dont le nom est rvl dans le livre des Juges : en hbreu, elle sappelle
Phanuel, ce que nous traduisons par volte-face devant Dieu (apostroph
theou). En effet, le chteau-fort, tabli sur la vraisemblance des arguments, ntait construit dans aucune autre intention que celle de dvier les
penses et de les dtourner des honneurs quon rend Dieu136 .

Mais voici que Gdon, dont le nom signifie piraterie, incarne le


juste137 , ce pirate qui malmne linjustice et qui sans cesse dsire sa mort.
Cest pourquoi il se tient prt pour la destruction de cette forteresse,
comme Gdon dclarant aux gens de Phanuel : Quand je reviendrai avec
la paix, je dtruirai cette tour (Jg 8,9)138 .
La suite cependant vire au psychologique et le retour de Gdon symbolise ce type de conversion par laquelle lesprit (nous) revient, stant
ressaisi et dcid renverser tout argument qui cherche persuader lintelligence de faire volte-face devant la saintet. Et de mme que Gdon
dclare : Quand je reviendrai avec la paix (Jg 8,9, Septante), le moment idal pour cette opration guerrire, cest, paradoxalement, celui o
la demeure intrieure de lhomme baigne dans la paix : En effet, grce
cette stabilit et cette tranquillit de lintelligence, que la pit engendre
naturellement, tout argument fabriqu par limpit est renvers139 .
Quittons lallgorie pour le rcit. Ladaptation de celui des guerres de
Gdon par Josphe140 se caractrise la fois par une srie de complments
et par de substantielles omissions. Lhistorien commence par renforcer le
lien entre le songe du pain dorge et le dbut des hostilits : Gdon raconte ses troupes ce quil vient dentendre chez lennemi, et leffet est
135. J.G. Kahn, Philon, De confusione linguarum (Oeuvres de Philon 13), Paris 1963, 19 et

26.
136. 129 ; trad. J.G. Kahn.
137. Voir A. Jaubert, Le Thme du <reste sauveur> chez Philon :Philon dAlexandrie,
Lyon 11-15 septembre 1966, Paris 1967, 243-253 (248).
138. 130 ; voir aussi 49, o le sage est prsent, cause de la haine du mal, comme
un homme daversion et de combat, pacifique certes par nature, mais par l-mme hostile
ceux qui souillent la beaut dsirable de la paix (trad. J.G. Kahn).
139. 130-132 ; trad. J.G. Kahn.
140. AJ V, 222-229.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

213

141
instantan : cest lexaltation phronmatisthentes)
(
. Le dpart pour le
combat a lieu vers la quatrime veille, selon la division romaine de la
nuit142 , soit vers trois heures du matin. Pourquoi les flambeaux sont-ils dans
les cruches ? Josphe croit utile de lexpliquer : cest afin de dissimuler
lapproche des Isralites aux yeux de lennemi. Les trompettes deviennent
ici des cornes de bliers qui sont utilises en guise de trompettes, un trait
archaque et de couleur locale, inspir sans doute par le rcit de la prise de
Jricho143 . La description du camp ennemi, quoique faisant dfaut dans la
Bible, a cependant d tre suggre Josphe par la notice de Jg 6,33 qui
montre tout Madian, Amalec et les fils de lOrient runis face Isral.
Lhistorien dpeint avec emphase la vaste tendue sur laquelle stationne
une authentique coalition internationale comprenant un imposant corps de
chameaux, lensemble tant rparti suivant les nations (kata ta ethn) et
dispos lintrieur dun unique cercle. La description est impressionnante
mais sans la comparaison avec les sauterelles et le sable quon lit en Jg 5,12
et qui, par leur exagration, naurait pas t du got des lecteurs. La panique sempare de ces troupes alors que les soldats sont encore assoupis, car
ctait la nuit et Dieu lavait voulu ainsi.
Dieu combat avec Isral 144
! La confusion est telle que les allis
sentretuent (voir Jg 7,23) cause de la diversit de leurs langages. Le
bruit de la victoire stant rpandu dans le reste dIsral, une poursuite gnrale sorganise dont Josphe rsume considrablement le rcit (voir Jg
7,238,23). La suite est rordonne. Laffaire de Sukkot (Jg 8,4-7.13-17)
et le conflit avec les phramites (Jg 8,1-3) sont renvoys aprs la guerre
contre Madian. Entre temps Gdon et ses troupes ont ananti une premire
arme, puis une seconde, compose de 18.000 hommes145 , dont notre hros capture les deux chefs qui priront de sa main quand il sera revenu
Ophra, son village natal.
Compar au rcit dramatique de Josphe, la notice du Pseudo-Philon
(36,2) mrite peine dtre mentionne. De lpisode biblique il ne reste
quun ple rsum do peu prs tous les traits originaux ont disparu.
Seules les trompettes sont pargnes. Le souci ddifier saccompagne par-

141. Ces traits psychologiques et motionnels sont une des caractristiques de Josphe : voir

Attridge, The Interpretation, 40 et n. 3.


142. Comparer Jg 7,19.
143. Jos 6,5.6.7.8.13 ;AJ V, 23.
144. Sur Dieu symmachos et autres expressions de la providence spciale de Dieu envers

Isral dans les Antiquits juives, voir Attridge, The Interpretation, 78-79.
145. Jg 8,10 : environ quinze mille.

214

S. LGASSE

fois de platitude. Quil suffise au lecteur dattribuer la victoire Dieu, dont


lEsprit avait pntr Gdon de sa force146 .
On a vu plus haut comment la haggadah attribue la nuit de Gdon
une place parmi les nuits clbres o Isral triompha de ses adversaires.
lencontre de la chronologie dominante qui fixe les vnements autour de
la Pque, lAggadat Esther les situe au mois dEllul (aot-septembre), dans
un calendrier ressortissant au projet de Haman dexterminer les Juifs. Alors
que Haman cherche le mois le plus convenable pour raliser son sinistre
dessein, tous sauf un lui paraissent devoir tre carts, du fait quen eux
Dieu a accompli quelque prodige en faveur des Isralites :
En Nisan, ils sont sortis dgypte.
En Iyyar, le Saint-bni-soit-il les a sauvs de la maison dAmalec, car
il a t dit (Ex 17,13) : Et Josu dcima Amalec.
En Siwwan la Tora leur a t donne et ils ont aussi mis mort Zrah
le Couchite, car il a t dit (2 Ch 14,8) : Et sortit contre eux Zrah le
Couchite ; et il est crit la suite (2 Ch 15,10) : et ils se rassemblrent Jrusalem au troisime mois.
En Tammuz leurs pchs ont t pardonns, et ils lont emport sur les
rois des Amorrhens et le soleil sest arrt pour eux aux jours de Josu.
En Ab fut captur par eux le roi dArad aux jours de Mose, car il est
crit (Nb 33,38.40) : Et le prtre Aaron monta au mont Hor au cinquime mois Et le Cananen, roi dArad, apprit. Il apprit quAaron tait mort et sen vint combattre Isral, et Isral fit un voeu et
YHWH couta la voix dIsral et livra le Cananen (Nb 21,3).
En Ellul YHWH les dlivra de Madian et dAmalec et les livra leur
pouvoir aux jours de Gdon.
En Tishri leur royaut fut renouvele par la ddicace du Temple aux
jours de Salomon, comme il a t dit (1 R 8,2) : cest le septime
mois.
En Marheswan fut achev la construction du Temple, car il est crit (1
R 6,38) : en lan onze, au mois de Bl147 , la Demeure fut termine.
En Kislew et Tebet ils vainquirent Sihon et Og.
Au mois de Shebat la Tora et les dix Paroles leur furent enseignes, car
Mose leur dit (Dt 27,9) : En ce jour tu es devenu un peuple. Et le
texte dit aussi (Dt 1,5) : Et Mose commena exposer la Loi.
146. Et Gedeon... induit spiritum Domini, et virtutificatus ; voir 27,10 (Qnaz) ; 39,8

(Jepht). Sur le rle important de lEsprit divin dans le livre, voir Ch. Perrot, Antiquits
bibliques, II (SC), 63-65 : lauteur voit ici un des traits qui apparentent lesAntiquits bibliques loeuvre de Luc dans le Nouveau Testament.
147. Nom du huitime mois (octobre-novembre) dans lancien calendrier isralite (cananen), correspondant Marheshwan de la dnomination babylonienne.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

215

Mais en Adar peine et chagrin les affectrent, parce quen ce mois


mourut Mose notre matre148 .

Les dveloppements sont maigres dans le midrash au sujet des guerres


de Gdon149 . Cest peine si lon allgue Juges 7,25 au sujet des corbeaux
(orebim) qui apportaient lie sa nourriture au torrent de Kerit (1 R
17,6) : des corbeaux au sens propre orebim
(
mammash) selon Rabina, et
non deux hommes appels Oreb, dont lun apportait du pain le matin et
lautre de la viande le soir, comme on pourrait le dduire de ce nom ddoubl en Juges 7,25 (objection de R. Aha ben Minyoni)150 .
Notons aussi le point dbattu qui a trait au nombre des veilles de la
nuit151 , quatre ou trois, selon la division romaine ou isralite. En faveur de
la premire opinion on allgue le Psaume 119,62 : au milieu de la nuit
(hasot laylah) je me lve pour te rendre grce. Le premier mot, hasot,
tant un pluriel, on en conclut que le milieu de la nuit est compos de deux
veilles, donc que la nuit en comprend quatre. Ajouter le verset 148 du
mme psaume : mes yeux ont devanc les veilles, ce qui indique que lIsralite pieux qui se lve minuit pour prier et mditer la Loi a plusieurs,
cest--dire deux veilles devant lui. Mais lopinion contraire a pour elle la
notice de Juges 7,19, o il est dit que Gdon et les hommes qui laccompagnaient arrivrent au camp au commencement de la veille du milieu :
sil ny a quune seule veille au milieu, cest que les veilles sont en nombre impair de trois. Pourtant ne peut-on pas comprendre la veille du milieu au sens de la fin de la deuxime veille et du commencement de la
troisime, ce qui permettrait dadmettre quatre veilles ? Ou encore la mme
expression ne dsignerait-elle pas le temps qui va du commencement de la
seconde veille jusqu la fin de la troisime ? Non, car le texte porte :
veille du milieu, au singulier.

148. III, 7 : Buber, 28-29. Plus haut (28) le mme midrash nous apprend que Haman ntait
quincompltement inform : Quand le sort tomba sur le mois dAdar, il se rjouit dune
grande joie. Il dit : Il mest tomb sur le mois o Mose notre matre est mort. Or, il ne
savait pas que, si Mose tait mort le 7 Adar, ctait aussi le 7 Adar quil tait n. Variantes et complments haggadiques sur les sorts dEsther 3,7 dans Ginzberg, The Legends of
the Jews, IV, 299-402, et les notes : VI, 464-465, n. 106-111.
149. Au sujet du cri de guerre des troupes de Gdon (pe pour YHWH et pour Gdon :
Jg 7,20) ou encore de la phrase en Nb 21,7 (Nous avons parl contre YHWH et contre
toi), les Tosafot (sur b. Sanhedrin 63a) font ressortir que ces paroles ne sopposent pas au
principe pos par Simon ben Yohay selon lequel Quiconque associe le nom du Ciel quelque chose dautre sera arrach du monde : en effet, daprs les Tosafot, ce qui est interdit
ici, cest dassocier au nom divin celui dautres divinits.
150. b. Hullin 5a ;Yalqut II, 209 (757).

216

S. LGASSE

En dfinitive, cest la division en quatre veilles qui lemporte, car Gdon na pas compt la premire veille, du moment quil envisageait une
attaque nocturne, les ennemis tant encore veills lors de la premire
veille. Donc, en parlant de veille du milieu, le texte vise en ralit la troisime veille dune nuit qui en comporte quatre.

Gdon idoltre (Jg 8,24-27)


Le livre des Juges jette une ombre sur Gdon quand il rapporte quavec
les riches dpouilles prises sur lennemi, il fit un phod et lrigea dans sa
ville, Ophra, o tous les Isralites se prostiturent derrire cet phod, qui
devint un pige pour Gdon et pour sa maison (Jg 8,27).
Josphe sest arrang pour prvenir tout scandale en vacuant la notice
sans autre forme de procs152 . En revanche le Pseudo-Philon ne dissimule
pas cette faute; bien plus, il attribue Gdon en personne le culte idoltrique : ayant recueilli les bracelets dor que portaient les Isralites, dun
poids de douze talents, Gdon prit (le mtal) et en fit des idoles, quil se
mit adorer153 . Ce crime, en bonne logique divine, ne pouvait rester impuni. Toutefois, vu les inconvnients qui auraient rsult du chtiment de
Gdon pendant sa vie, Dieu dcide de lexcuter aprs sa mort154 . Et voici
son soliloque :
Dieu dit : Il ny a plus quune seule voie : je ne puis reprendre Gdon
durant sa vie, puisquil a mis mal le sanctuaire de Baal. Car tout le
monde a dit cette occasion : Que Baal se venge ! (Jg 6,32). Et maintenant, si je le chtie pour avoir commis liniquit envers moi, on dira : Ce
nest pas Dieu qui la chti, cest Baal, puisque auparavant il a pch
envers lui155 . Aussi Gdon mourra-t-il dans une heureuse vieillesse, et

151. Lam. Rabba 2,19 (22) ;j. Berakot I, 1, 2d ;b. Berakot 3b ;Tos. Berakot 1,3 : Zuckermandel, 1 ;Yalqut II, 63 (709).
152. Comparer avec le jugement de Ben Sira (46,11) pour qui tous les juges furent fidles
Dieu.
153. 36,3 ; trad. SC.
154. Au sujet des vues de lauteur sur le sort des hommes aprs la mort et dans lattente de
la rsurrection, voir Antiquits bibliques, II (SC), 54-55.
155. En Pesiqta rabbati VI, 7 (25b), David adresse Dieu cette prire : Matre des mondes, je prvois par mon don de prophtie que le Temple la fin sera dtruit. Or, malheureusement tout ce que jai vou sa construction vient des temples des idoltres que jai
dtruits. - David craignait que les nations du monde naillent dire : Est-ce que David simagine, lui qui a dtruit le temple de nos dieux et a fait de ses dpouilles un temple pour son

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

217

(lon naura rien dire)156 . Mais aprs que Gdon sera mort, je le chtierai une bonne fois pour avoir commis le mal envers moi157 .

Les rabbins ne mnagent pas non plus Gdon au sujet de son idoltrie. Cependant ils soulignent non seulement que lambiance tait favorable cette dernire mais encore, loccasion, que Gdon tait lui-mme
un rejeton de prtres des idoles (ben kemarim)158 . Rien de trs surprenant,
ds lors, quil ait cd la fois lenvironnement et lhrdit favorisant
le culte de ces mmes idoles. Cest quoi servirent bijoux et vtements ts
lennemi et dont Gdon fit un phod159 .
Cet objet a donn bien du mal lancienne exgse, tant juive que chrtienne. Hlas ! On en est presque au mme point de nos jours. Car en fait
le mot phod dsigne trois choses dans la Bible : une sorte de pagne160 , une
bande dtoffe prcieuse formant le vtement le plus extrieur du grand
prtre et auquel tait attach le pectoral portant les sorts sacrs (urim et
tummim)161 , enfin, comme en Juges 8,24-27, un objet cultuel, mais dont le
rle divinatoire est galement attest plusieurs reprises162 . Laissons aux
biblistes et aux archologues le soin de dbrouiller le rapport entre ces diverses acceptions163 . Au sujet de lphod de Gdon, on tiendra prsent
lesprit que, daprs les descriptions de lExode (28,6-14 ; 39,2-29),
lphod du grand prtre ne faisait quun avec le pectoral quil soutenait. Or,
le pectoral tait orn de douze pierres prcieuses, chacune pour une tribu
dIsral (Ex 28,21 ; 39,14). Lahaggadah suppose que, parmi elles, Joseph
nayant quune pierre, celle-ci reprsentait la demi-tribu dEphram.
Manass tait ds lors exclu. Cest pourquoi Gdon, dsireux de laver
cet affront, fabriqua un phod portant le nom de Manass. Bien que lui-

propre Dieu, que sa faute a t efface ? Nos dieux se sont dmens et ils ont pris leur revanche, et ils ont dtruit le temple de son Dieu ! - Cest pourquoi David pria pour que Salomon nai pas besoin de ces dpouilles pour construire le Temple : d. Friedmann complte
daprs le ms. de Parme : voir W.G. Braude,Pesikta rabbati. Discourses for Feasts, Fasts,
and Special Sabbaths, translated from the Hebrew, I, New York 1968, 129.
156. Texte lacuneux.
157. 36,4 ; trad. SC.
158. Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,48.
159. Gen. Rabba 44, 20 sur Gn 15,15 : Theodor-Albeck, t. I, 442 Ruth
; Rabba 1,2 sur Rt 1,1.
160. 1 S 2,18 ; 22,18 ; 2 S 6,14.
161. Ex 29,5 ; Lv 8,7 ; plus rcent : Ex 28,6-14 ; 39,2-7.
162. Jg 17,5 ; 18,14.17.20 ; 1 S 2,28 ; 14,3 ; 21,10 ; 23,6.9 ; 30,7 ; Os 3,4.
163. Voir R. De Vaux, Les institutions de lAncien Testament, II, Paris 1960, 200-206; K.
Elliger, Leviticus (HAT 4), Tbingen 1966, 116-117.

218

S. LGASSE

mme lait consacr au vrai Dieu (le-shem Shamayim), ses compatriotes en


firent une idole164 . Donc, quelles quaient pu tre les intentions de Gdon,
son acte eut un effet dsastreux pour Isral. Telle est la raison qui le fait
classer parmi les juges165 qui ne mettent pas en pratique ce quils enseignent. Daprs lEcclsiaste (9,16), la sagesse du pauvre est mprise.
Bien sr, il ne peut sagir ici de rabbins pauvres sous langle conomique,
tel Aqiba. La pauvret en question est dordre moral et le texte voque le
cas de lancien qui explique la Tora en rendant pauvres ses paroles, cest-dire en ne les mettant pas en pratique. Cest ce qui arriva pour deux juges, Samson et Gdon :
Samson se laissa entraner par ses yeux, et pourtant il jugea Isral aux
jours des Philistins durant vingt ans (Jg 15,20). Au sujet de Gdon il est
dit (Jg 8,27) : Et Gdon en fit un phod, etc. ; et pourtant il jugea
Isral !166 .

Deux mauvais exemples. En consquence on ne sera pas surpris que


Gdon, pour sa part, ne figure pas parmi les personnages les plus minents
dIsral. Son cas est allgu pour tablir quun prsident de cour rabbinique (beit din) ou de communaut, quelle que soit son insignifiance par
ailleurs, est lgal des plus grands. Il suffit pour sen rendre compte de rapprocher plusieurs passages bibliques (1 S 12,6.11 ; Ps 99,6), daprs lesquels trois personnages secondaires, savoir Yerubbaal-Gdon, Samson167
et Jepht, sont placs au mme niveau que Mose, Aaron et Samuel :
Trois personnages de moindre importance sont placs parmi trois autres
de haute importance. Cela pour tapprendre que le beit din de Yerubbaal
est aussi important devant Dieu168 que le beit din de Mose, et que le beit
din de Jepht est aussi important que le beit din de Samuel. Cela, pour
tapprendre que quiconque a t dsign comme chef de la communaut,
164. Yalqut II, 54 (708) ; la source nest pas donne.
165. Assimilation du juge Gdon un prsident de cour rabbinique. Cette assimilation
est encore plus claire dans lexemple suivant.
166. Qo. Rabba 9,16, 1. Mme tradition dans Ruth Rabba 1,2 sur Rt 1,1.
167. En 1 S 12,11 lhbreu porte Bedan, nom inconnu par ailleurs. Les Septante ont Barac.
Les commentaires modernes corrigent parfois en Abdon (Jg 12,13.15). Lexplication rabbinique (b. Rosh ha-shanah 25a ; Rachi sur 1 S 12,11) est que Samson appartenait la tribu
de Dan. On trouve galement Bedan, comme pre dun certain Bleas (= Tola ?), successeur dAbimlek dans la judicature, chez Clment dAlexandrie, Strom. I, 21, 110, 5 : SC
30, 312. Y. Zakowitch (Yiftah - Bedan, VT 22 [1972] 123-125) reconstruit le texte de 1 S
12,11 pour aboutir identifier Bedan Jepht. Tos. Rosh ha-shanah 2,2 (Zuckermandel,
211) identifie Bedan avec Samson.
168. Littralement le Lieu (ha-Maqom).

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

219

ft-il le plus insignifiant parmi les insignifiants, est lgal des plus minents parmi les plus minents169 .

Cette argumentation, cependant, nimplique aucun jugement moral sur


notre hros. Du reste, a-t-il vraiment pch celui dont le texte sacr (Jg
8,32) nous dit quil mourut aprs une heureuse vieillesse ?170 . Nest-ce
pas l, au contraire, un sceau appos par Dieu la justice humaine ? Non,
car en fait Gdon ne la pas mrit. Selon R. Simon ben Laqish,
de trois hommes il est dit : dans une heureuse vieillesse : dAbraham
(Gn 15,15), et il la mrit ; de David (1 Ch 29,28), et il la mrit ; de
Gdon, et il ne la pas mrit, car il a t dit : et il en fit un phod, - en
vue de lidoltrie171 .

Lpisode de lphod nempcha pas Gdon dassurer Isral une priode de paix : Madian ne releva plus la tte et le pays fut en repos pendant quarante ans, aussi longtemps que vcut Gdon (Jg 8,28). Il va de
soi mais le Seder Olam172 le prcise que dans ces quarante ans ne sont
pas compris les sept ans de loppression de Madian (Jg 6,1). Cela suppose
galement que lintervention guerrire du hros fut rapide, lui permettant
par la suite de jouir lui-mme longuement de la paix quil avait procure
ses compatriotes173 .

Grandeurs et vertus de Gdon


Ayant pass sous silence lhistoire de lphod, Josphe est dautant plus libre dexalter la grandeur morale de Gdon. Cest ainsi quil raconte le
169. Tos. Rosh ha-shanah 2,1 : Zuckermandel, 211. De mme enb. Rosh ha-shanah 25a-

b ;Qo. Rabba 1,4, 4.


170. Ce trait est retenu par le Pseudo-Philon 36,4, malgr sa disqualification de Gdon.
171. Gen. Rabba 44,20 sur Gn 15,14-15 : Theodor-Albeck, t. I, 442 Yalqut
;
II, 64 (709).
Cest lphod en tant que vtement que se rfre R. Jacob de Kefar-Hanan, quand il allgue Jg 8,27 propos des paens qui se prosternent pour adorer devant le vtement de mtal
des idoles (Is 30,22a) :j. Abodah zarah III, 8, 43b.
172. Ratner, 54, qui signale galement le point de vue contraire.
173. Sur le retour dIsral lidoltrie aprs la mort de Gdon (Jg 8,33), on notera que
Baal Berit, objet de ce culte, est identifi en b. Shabbat 83b, Zebub, le Baal dEqron (2
R 1,2.3.6.16) : chaque Isralite en avait fait une reprsentation miniaturise quil portait
dans sa poche pour en conserver le souvenir. Il ltait de sa poche, la serrait en la baisant.
Ailleurs (j. Abodah zarah III, 8, 43a ;j. Shabbat IX, 1, 11d) on allgue Jg 8,33 pour dterminer, par comparaison, la taille de lidole susceptible dentraner une impuret (allusion
au phallus et la circoncision).

220

S. LGASSE

conflit opposant ce dernier aux Ephramites (Jg 8,1-3) de telle faon quil
tourne lavantage du hros. Alors que les Ephramites, jaloux de son succs, dcident de marcher contre lui174 , sa raction est celle dun homme
de modration (metrios) et un modle de toute vertu. Mais celui qui incarne, sous la plume de lhistorien, le type du sage stocien, est aussi un
homme religieux : il rpond en effet ceux qui lagressent quil a agi sur
lordre de Dieu et non par dcision personnelle. De plus, il fait acte dhumilit en dclarant que la victoire tait redevable ceux qui avaient combattu sous ses ordres tout autant qu lui-mme. Ayant calm la colre des
Ephramites, il prvient le dclenchement dune guerre civile (Josphe se
souvient des luttes fratricides de la guerre juive) et ainsi se montre plus
utile ses compatriotes quil ne lavait t par ses succs militaires175 .
Cette sagesse continue de se manifester au cours des dernires annes
de Gdon. Celui-ci, qui dsirait renoncer sa fonction de juge176 , est contraint par son entourage lexercer pendant quarante ans. Les gens lui soumettent leurs diffrends et ses sentences ont force de loi177 . Pour finir
Josphe rejoint la Bible (Jg 8,22) en crivant que Gdon mourut dans un
ge avanc et fut enseveli Ephra, sa patrie178 .
Bien moins avantageux, le portrait moral que les rabbins font de Gdon ne manque pas cependant de traits difiants. On a dj not la pit
filiale du hros, son dvouement envers ses compatriotes et sa rectitude en
gnral, le tout motivant le choix divin. Relevons aussi sa modestie, que
prouve son refus de la royaut, quand il dclare : Ce nest pas moi qui
dominerai sur vous ni mon fils non plus; cest YHWH qui dominera sur
vous (Jg 8,23). Cette rponse et la demande qui la provoque permettent
dexpliquer pourquoi Abimlek, fils de Gdon, a rgn trois ans sur Isral
(Jg 9,22) : ce fut en rcompense de lhumilit de son pre.Ainsi le midrash,
commentant Proverbes 18,12 :
Avant la ruine le coeur humain senorgueillit : cela sapplique
Abimlek, dont la ruine nest survenue que lorsquil sest enorgueilli et

174. Ce trait va beaucoup plus loin quil nest dit dans la Bible. Cest une dramatisation qui
fera dautant mieux ressortir la sagesse de Gdon. Nanmoins Josphe remarque que les
phramites durent payer plus tard le prix de leur insolence, comme on lapprend par lpisode de la tour de Sichem (Jg 9,46-49 ;AJ V, 160).
175. AJ V, 230. Sur une rminiscence ventuelle de lnide, voir Feldman, Josephus
Portrait of Gideon, 23.
176. Loffre de la royaut (Jg 8,32-33) est ainsi modifie.
177. Comme les rabbins Josphe attribue la fonction de juge un caractre judiciaire.
178. AJ V, 230.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

221

quil a tu ses frres. - Avant lhonneur lhumilit (anawah) : cela sapplique Gdon son pre. En effet quand les Isralites lui dirent : Domine sur nous, toi, ton fils et le fils de ton fils, il leur dit : Moi, je ne
dominerai pas sur vous (Jg 8,22-23). Ces gens lui ont dit trois choses et
il leur a dit trois choses179 . Le Saint-bni-soit-il dit : Tu parles ainsi ? Par
ta vie ! Je vais susciter de toi un fils qui rgnera trois ans cause de ces
trois choses que tu as dites, selon cette parole de lcriture : Avant lhonneur lhumilit. Cest pourquoi on lit : et Abimlek exera le pouvoir
en Isral pendant trois ans (Jg 9,22)180 .

Gdon devient ainsi un modle de cette vertu dhumilit (anawah),


recommande par les sages de lancien Isral181 et dont Mose lui-mme
offre le type accompli (Nb 12,3 ; Si 45,4)182 . La parnse rabbinique
abonde dans ce sens183 . En mme temps elle indique en quoi consiste cette
vertu : absence de ressentiment et de colre, aptes provoquer la violence,
douceur provenant dune volont conciliante. Telle est, on doit le supposer,
lattitude de Gdon, dont lexemple, ajout plusieurs autres, vient alimenter un thme dominant de la morale des rabbins.

Anciens auteurs chrtiens


Les premiers commentaires chrtiens de la Bible se trouvent dans le Nouveau Testament o divers genres sont dj reprsents. Largumentation qui
tend tablir que Jsus et lglise naissante accomplissent ce qui a t
annonc dans les critures sacres dIsral est seulement un des aspects du
recours ces dernires. Ailleurs les chrtiens expriment leurs convictions,
les catchtes leurs exhortations en sappuyant sur la Loi et les Prophtes,
souvent sans annoncer quil sagit dune citation ou dune rminiscence :
le langage est celui de lcriture dont les mots viennent tout naturellement
sous la plume des auteurs, lesquels considrent que ces livres, qui sont le
bien des Juifs, sont devenus celui des chrtiens, eux seuls tant dsormais
aptes en dire le sens vritable.
179. savoir les trois lments de la demande et de la rponse, forms respectivement par
1) toi, 2) ton fils, 3) le fils de ton fils, - 1) moi, 2) mon fils, 3) YHWH.
180. Tanhuma Buber, Wayyera 51b-52a ; Aggadat Bereshit 26 : A. Jellinek, Bet haMidrasch, IV, Jrusalem 1967 (4e d.), 40-41 ; rsum dansYalqut II, 63 (709).
181. Pr 15,33 ; 18,12 ; 22,4 ; Si 3,17-20 ; 4,8 ; 36,4.
182. Voir J. Schildenberger, Moses als Idealgestalt eines Armen Jahwes, dans : la rencontre de Dieu. Mmorial A. Gelin, Le Puy 1961, 71-84.
183. On la not plus haut propos de la premire apparition de lange.

222

S. LGASSE

Car, crit Paul, cest quand on se convertit au Seigneur que le voile


tombe, ce voile qui continue de cacher aux Juifs la vrit de lcriture (2
Co 3,13-16). Parfois on peut aussi parler de commentaire. Ainsi propos
de tel passage de la Gense (15,6) sur la foi dAbraham (Ga 3,6-18 ; Rm
4,9-25), dune exhortation du Deutronome (30,11-14) sur la parole de
Dieu (Rm 10,6-8) ou de lapplication au Christ du Psaume 110,4 et, plus
brivement, du Psaume 40,7-9 (Septante) dans lptre aux Hbreux (5,1
7,25 ; 10,5-10). Paul montre quil a t form lexgse rabbinique et use
de la mme libert quelle pour faire natre de lcriture le sens le plus
opportun. Il joue, par exemple, sur le singulier du mot descendance
(sperma), un terme collectif en Gense 13,15 ; 17,19, pour y reconnatre
le Christ (Ga 3,16). Mais il recourt aussi lallgorie, conscient dexposer un sens diffrent de celui qui dcoule naturellement du texte, quand il
voit dans Agar et Sara le symbole des deux alliances (Ga 4,24). L, Paul
fait apparatre un hritage grec dont on retrouve chez les Pres de lglise
des traces plus explicites.
Comme Paul et les autres crivains du Nouveau Testament, les premiers
Pres de lglise nont dautres livres sacrs que ceux des Juifs dans la traduction grecque des Septante, tant que le corpus notestamentaire naura
pas acquis le statut canonique dcritures sacres (on peut situer le fait au
plus tard au milieu du IIe sicle). La certitude est alors ce quexprime
Ignace dAntioche quand il crit aux Magnsiens (8,2) :
les divins prophtes ont vcu selon Jsus-Christ ; cest pourquoi ils ont t
perscuts. Ils taient inspirs par sa grce, pour que les incrdules fussent pleinement convaincus quil ny a quun seul Dieu, manifest par Jsus-Christ son Fils qui est son Verbe sorti du silence, qui en toutes choses
sest rendu agrable celui qui lavait envoy184 .

Ce sont les chrtiens qui dtiennent la cl des livres sacrs des Juifs, et si
tous les crivains du IIe sicle ne sont pas aussi arrogants leur gard que le
Pseudo-Barnab, cest bien par une exgse christocentrique de la Bible que
Justin sefforce de convaincre derreur le Juif Tryphon. Un peu plus tard lhermneutique dIrne, contre les Valentiniens et les Marcionites qui rejetaient
lAncien Testament, met au jour les richesses quil contient en figures et paraboles, trsor cach aux Juifs, dsormais accessible aux chrtiens185 . Le critre essentiel dinterprtation est la rgle de foi ecclsiale, lautorit extrieure
qui protge lexgte de larbitraire ou de lhrsie.
184. Trad. Th. Camelot, SC 10, 101, 103.
185. Adv. haer. IV, 26, 1 : Harvey, t. II, 235 ; SC 100/2, 712-715.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

223

Lexploitation du champ scripturaire pour y dcouvrir le Christ est grandement facilite quand les chrtiens sapproprient linstrument que leur lgue
le Juif Philon et pratiquent la mthode allgorique. Lcole dAlexandrie, reprsente surtout par Clment et Origne186 , adapte de faon originale cette
mthode lexgse chrtienne des textes bibliques, dans la double certitude
croyante que dans toute la Bible un mystre divin est communiqu et que les
deux Testaments en ralit ne font quun. La prophtie, crit Clment, est
pleine de gnose, parce quelle est don du Seigneur et que, dautre part, le
Seigneur la explique aux aptres187 . Et Origne prcise :
il est bien clair que Mose voyait en lesprit (no) la vrit de la Loi, et les
lvations figures (tas kata anaggn allgorias) des histoires crites par
lui. Josu avait lintelligence du vrai qui a eu lieu aprs la dfaite des vingtneuf rois, pouvant voir mieux que nous de quelles ralits les choses accomplies par lui taient les ombres188 .

Ainsi, pour Origne, lallgorie tait dj prsente et active dans lesprit


des hros bibliques et leur procurait la connaissance du mystre chrtien.
Pour que lexgte y parvienne lui-mme partir des textes, quelques
principes sont ncessaires. Lun deux est que si le sens littral est indigne
de Dieu, il faut admettre que le texte signifie autre chose (ainsi propos
des anthropomorphismes); de mme quand le sens littral contient une erreur vidente, une invraisemblance historique ou une contradiction interne.
tant bien entendu que tout, dans la Bible, est porteur dun sens profond,
de sorte que ce qui parat banal premire vue doit tre dpass. Sans
compter le recours la symbolique des noms et des chiffres.
Lallgorie a t combattue chez les chrtiens ; des Latins, comme
lauteur final des Reconnaissances pseudo-clmentines mlant laptre
Pierre sa polmique189 ou comme Tertullien qui, dans la ligne dIrne et
en bon juriste, prne la rgle de foi comme principe dinterprtation190 ,
prludant ainsi Augustin191 et au Commonitorium de Vincent de Lrins192 .
186. Celui-ci se fait en outre lapologte de lallgorie contre Celse pour qui lallgorie

chrtienne tait un subterfuge en vue de donner un sens lev des textes mdiocres (C.
Cels. IV, 48.50 : SC 136, 306-309, 312-315).
187. Strom. VI, 8, 68, 3 : PG 9, 289.
188. In Joh. com. VI, 4 (22) : SC 157, 146.
189. Voir J. Ppin, Mythe et allgorie. Les origines grecques et les contestations judo-chrtiennes (PhE), Paris 1958, 443-444.
190. De praescr. 19,3 : CChSL 1, 201.
191. De doctr. christ. III, 2 (2) : BA XI, 340-341.
192. II, 5 : CChSL 64, 149 : Quod ubique, quod semper, quod ab omnibus credendum est.

224

S. LGASSE

Chez les Grecs, lcole dAntioche (improprement nomme)193 ne se borne


pas contester lallgorie, elle prconise sa propre mthode. Lattachement
de ses partisans au sens littral et leur tendance rationalisante sallient
chez eux la volont de saisir dans lAncien Testament les signes du Nouveau. La theoria194 dont ils se font les champions est simplement plus sobre que lallgorie. Elle fait la part belle lintelligence (cest une
considerata perceptio) ; elle ne sattache pas, comme lallgorie, au dtail
du texte mais ce qui sen dgage comme tant le plus important195 .
Ceux des Pres antiochiens qui se sont exprims ex professo sur le sujet, en lespce Thodore de Mopsueste, son disciple Thodoret de Cyr
ainsi que Julien dclane, noncent ce propos quelques principes dont ils
montrent lapplication dans la pratique. Pour ces auteurs, attentifs avant
tout aux annonces et prfigurations messianiques, celles-ci ne sont pas surimposes un sens littral quil conviendrait finalement doublier mais
elles en manent connaturellement comme lbauche devient un tableau
achev. Cela dit, les Antiochiens ne sont pas ports multiplier les prophties messianiques et, dans tels cas, savent faire ressortir quil y a
dabord une porte littrale, ombre de ce qui doit se manifester en Jsus196 .
Au fond, double sens homogne, ce qui ne fait que rejoindre lintention du
prophte. Car dans cette cole on ne doute pas que les crivains sacrs aient
peru la plnitude messianique de leurs propres oracles : suivre les aptres tels quils sexpriment dans le Nouveau Testament on apprend que les
prophtes embrassaient les vnements de leur poque dans leur droulement, mais en mme temps, par des digressions subites (per excursus
subitos)197 ou une intelligence supplmentaire (per sensuum cumulos), ils
ont indiqu des choses venir et ils ont enseign que leur sublimit devait
tre perue dans les rcits des choses passes198 .
193.

Voir V. Ermoni, Antioche (cole thologique d),


DTC I/2, 1435.
194. Voir A. Vaccari, La Theoria nella scuola esegetica di Antiochia, Bib 1 (1920) 3-36.
195. Daprs la dfinition de Julien dclaneIn( Os. 1, 10-11 : PL 21, 971) : Theoria est
in brevibus plerumque aut formis aut caussis earum rerum, quae potiores sunt considerata
perceptio.
196. Voir, par exemple, Thodore de Mopsueste (Com. in Zach. 9,8-10 : PG 66, 556-557)
sur la prophtie de Zacharie 9,9 applique dans les vangiles lentre de Jsus Jrusalem : Thodore note que loracle visait dabord Zorobabel.
197. Julien (In Ioel 3 : PL 21, 1052, 1054, 1055) reconnat que le prophte nen revient pas
moins au temps et aux circonstances historiques qui ont provoqu loracle, aprs la digression (excursus) et le transfert (excessus) qui lui ont fait considrer lavenir messianique.
198. Julien dclane, In Amos 9,14 : PL 21, 1103. Voir le commentaire de ce texte et
dautres textes analogues dans Vaccari, La Theoria, 24-26.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

225

Sans tre formules de faon aussi prcise ces rgles sont appliques
chez un autre Antiochien, on veut parler de Jean Chrysostome, contemporain de Thodore de Mopsueste et lve comme lui de Diodore de Tarse.
Chrysostome rpugnait lallgorie199 et voyait dans les ralits de lAncien Testament lesquisse de celles du Nouveau :
Cest comme la peinture : un artiste a dessin le portrait dun roi. Tant
quil na pas appliqu les couleurs, on nappelle pas cette esquisse <le
roi>. Mais lorsquil la peinte, le <type> est rejet dans lombre par la
vrit et disparat. Cest alors quon scrie : <Voyez le roi 200
!> .

Linfluence antiochienne se fait sentir chez les Latins. Jrme, bien


quil ne soit jamais parvenu se dfaire de lallgorie, entendait, sous linfluence dApollinaire de Laodice et des traditions juives, se rallier aux
distinctions qui voquent la theoria. propos de Jrmie 16,14-15, il crit :
Manifestement, cest la future restauration du peuple dIsral qui est prdite, laquelle, selon la lettre (iuxta litteram), a t accomplie en partie (ex
parte); mais selon lintelligence spirituelle, cette restauration est dcrite
comme devant saccomplir plus vritablement et plus parfaitement (verius
atque perfectius) dans le Christ201 .

On ne saurait pourtant relativiser lhritage de lallgorie alexandrine,


celle dOrigne avant tout, dans la patristique latine et chez les mdivaux. Elle fut en effet considrable malgr la furieuse querelle origniste
qui se droula depuis 394 jusqu la mort de Rufin, traducteur dOrigne. Augustin, dont on ne sait dans quelle mesure il eut accs aux crits
de ce dernier202 , dut affronter, avant sa conversion, lobstacle que constituait lAncien Testament, que les Manichens discrditaient mais que
lallgorie des sermons dAmbroise laidrent recevoir203 . Sans rompre avec la mthode, il sen faut quAugustin lait par la suite privilgie comme lui fournissant la cl des critures. Sans doute, quiconque
tire de son tude une ide utile ldification de la charit, sans rendre
pourtant la pense authentique de lauteur, dans le passage quil interprte, ne fait pas derreur pernicieuse ni ne commet le moindre men199. Et de ce fait tait embarrasss par la dclaration de laptre de son coeur en Galates
4,24 (voir Chrysostome, Com. in e ad Gal. 4,3 : PG 61, 662).
200. In e ad Phili hom. 10 : PG 62, 257.
201. Com. in Ier. 3, 16 : PL 24, 783.
202. Voir H. De Lubac, Exgse mdivale, I/1 (Th 41), Paris 1959, 213-214.
203. Conf. III, 7, 13-14 ; VI, 3, 3 ; 4,6 : BA XIII, 386-389, 520-523, 526-529. Voir De
Labriolle, Saint Ambroise et lxgse allgorique, APhCh 155 (1908) 591-603.

226

S. LGASSE

songe204 . Mais Augustin prne la recherche dans le but de saisir la


pense des auteurs bibliques en rsolvant les ambiguts de leurs textes,
en distinguant le sens propre du figur, en expliquant les passages obscurs par ceux qui sont clairs. Par dessus tout, que le lecteur consulte la
rgle de la foi (regula fidei) quil a reue des passages plus clairs de
lcriture ou de lautorit de lglise205 .
la fin de lre patristique, au VIe sicle, saint Csaire dArles se servait beaucoup des homlies origniennes, dont ils transcrivait des pages
entires pour sa propre prdication. Dans le dernier tiers du sicle, saint
Grgoire le Grand, qui savait peu de grec, en faisait galement un large
profit206 . Il demeure que Grgoire, en particulier, pratique son exgse sur
plusieurs registres, prludant ainsi la thorie mdivale du quadruple
sens. Cest ce qui dcoule en effet du jugement de Paul Diacre dans sa Vie
de saint Grgoire, selon laquelle celui-ci, expliquant le livre de Job, enseigne comment il doit tre compris selon la lettre (iuxta litteram), de quelle
manire on doit le rapporter aux mystres (sacramenta) du Christ et de
lglise, en quel sens il faut lapproprier chacun des fidles207 .
Reproduire ici pour les Pres de lglise syriaque ce qui vient dtre
fait pour leurs homologues grecs et latins serait prsomption de notre part.
Sur Aphraate et phrem, on pourra sinformer auprs de A. Baumstarck,
Geschichte der syrischen Literatur, Bonn 1922 (rimpr. Berlin 1968), 3052 ; I. Ortiz De Urbina,Patrologia syriaca, Rome 1965 (2e d.), 46-51, 5683 ; R. Duval,La Littrature syriaque (BHH), Paris 1900 (2e d.) (rimpr.
Amsterdam 1970), 225-229, 331-337 ; J.-B. Chabot,Littrature syriaque
(BCSR), Paris 1934, 23-39.

Le nom de Gdon : en qute dune tymologie


Ltymologie du nom de Gdon telle que lexposent les Pres de
lglise mrite une attention spciale, non pour sa valeur scientifique,
mais parce quelle nous introduit dans un domaine qu la suite de Philon les allgoristes chrtiens ont exploit et qui a donn lieu de vritables dictionnaires. Le Liber interpretationis Hebraicorum nominum de

204. De doctr. christ. I, 36 (40) : BA XI, 230-231.


205. Ibid., III, 2 (2) : BA XI, 340-341.
206. De Lubac, Exgse mdival, I/1, 222.
207. De intrepr. div. Script. 3 : PL 131, 996.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

227

Jrme208 est le premier tmoin connu du genre. Bien que louvrage, en


ce qui concerne lAncien Testament, se prsente comme la refonte et la
traduction dun catalogue similaire de Philon, ses sources sont en ralit
plus complexes209 . Pour Gdon, Jrme nous laisse le choix entre deux
interprtations : soit tournant autour dans le sein, soit tentation de leur
iniquit (circuiens in utero sive tentatio iniquitatis eorum)210 .
Grce la sagacit de F. Wutz211 on est en mesure dapporter une explication raisonnable ces deux tymologies. Lorigine de la premire est la
moins vidente. Toutefois la version grecque dAquila oriente la recherche
quand elle rend, en Psaume 75,11 (conjugaison piel) et en Zacharie 11,10
(conjugaison qal), le verbe gada par perikoptein (couper autour, dvaster), ce qui donne, en latin et au participe, circumcidens, terme qui a pu tre
facilement dform en circumiens212 ou circuiens, allant autour. Reste in
utero. Or, une variante du texte de Jrme, inutile213 , inutile ou nuisible,
pourrait bien reprsenter sinon loriginal, au moins une correction daprs
une tradition diffrente et plus ancienne. Elle permet de remonter jusqu
lhbreu awen (wn), nant ou malheur214 , terme qui a d servir interprter lafformante du nom de Gdon (Gidon : gd +wn).
On a moins de peine tracer litinraire par lequel les anciens sont arrivs tentatio iniquitatis eorum si lon sait que Philon215 traduit le nom
de Gdon par peiratrion, troupe de pirates, un mot qui, dans la Bible
des Septante, rend par trois fois lhbreu gedud, razzia, bande (Gn
49,19 ; Jb 19,12 ; Ps 18, LXX 17,30), tandis que
peirateuein, pratiquer la
piraterie, y est lquivalent du verbe gud (Gn 49,19 bis). Le mme Philon216 note que Gad est le symbole dattaque et contre-attaque de pirates.
En raison de la similitude morphologique, il tait facile de passer de lide
de piraterie celle de tentation (peirasmos, peirazein)217 , et cest ce
208. CChSL 72, 57-151 (d. de Lagarde).
209. Louvrage de base sur le sujet est celui de F. Wutz, Onomastica sacra. Untersuchungen

zum Liber interpretationis nominum Hebraicorum des hl. Hieronymus (TU 41), 2 vol., Leipzig 1914-1915 (t. I, 1-12).
210. CChSL 72, 100.
211. Onomastica sacra t. I, 270-271 et 637.
212. Ainsi chez Grgoire le Grand.
213. Codex F (Frigisesensis). Le codex H (Bambergensis) porte inutiles.
214. De prfrence la particule ngative ein propose par Wutz, Onomastica sacra, t. I, 637.
215. Conf. ling. 130.
216. Somn. 2, 35.
217. LOnomasticon de Tischendorf a les deux :Gad peiratrion peirasmos : Wutz,
Onomastica sacra, t. I, 270.

228

S. LGASSE

quont fait les Pres, commencer par Jrme propos de Gad218 . Ici de
mme, pour le premier lment du nom de Gdon. Le second, savoir on (wn), aura t compris daprs awon (wn), pch, iniquit, comme
lappuie le Lexicon Origenianum publi par le Mauriste Martianay219 , qui
porte Gedeon220 paradikasmos. On ne saurait dire, faute de parallle, si
le pronom eorum, sans correspondance dans le mot hbreu221 , remonte audel de la rdaction de Jrme lui-mme.
La premire tymologie fournie par ce dernier permet Grgoire le
Grand de rattacher Gdon le mystre de lincarnation du Fils de Dieu
dans le sein de la Vierge :
Quel est donc celui qui tourne dans le sein (circumiens in utero) sinon
Dieu tout-puissant nous rachetant selon son plan, embrassant tout par la
divinit et assumant une humanit dans le sein dune femme ? Cest dans
ce sein quil sest incarn sans y tre enferm, puisquil y a sjourn par
sa nature dhumaine faiblesse, alors quil se trouvait hors du monde222 par
la puissance de sa majest223 .

Origine du hros
Au sujet du clan de Gdon, celui dAbizer, Origne montre quil sait
lhbreu : selon lui,Abizer signifie secours de mon pre224 , une dnomination hautement significative qui permet Origne dinterprter la
218. CChSL 72, 67 : Gad tentatio siue latrunculus uel fortuna ; 75 : Gad tentatio siue
acinctus uel latrunculus ; 160 : Gad tentatio. Ajouter, 75 : Gadi haedus siue tentatio mea ;
100 : Gadam tentatio uel adcinctio populi ; 80 : Dibongad sufficienter intellegens
tentationem ; 116 : Mageddo de tentatione ; 104 : Maggedon tentans. Comparer Procope de
Gaza, Com. in Gen. 49, 19 (PG 87/1, 505-506) : Nomen autem Gad significat tentationem
aut probationem.
219. PL 23, 1217-1218.
220. On suppose ici une lacune, avec omission de peiratrion (ou dj de peirasmos ?).
221. En revanche, quand il rend Gedeoni par tentatio iniquitatis uel tentatio humilitatis
meae (CChSL 72, 82), Jrme tmoigne dune interprtation o lafformante thique -i est
comprise comme un pronom affixe. Ici la variante humilitatis meae relve dune mtathse,
wn devenant nw (anaw), humble, cf. anawah, humilit.
222. Variante : du sein.
223. Mor. in Iob 30, 73 : PL 76, 565. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud. 5 : PL
83, 384.
224. Patris mei auxilium. En ralit ce nom veut dire : Pre est secours (avecyod de
liaison) : voir M. Noth,Die israelitische Personennamen, im Rahmen der gemeinsemitischen Namengebung, Stuttgart 1928, rimr. Hildesheim 1966, 33-38, 68-70.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

229

phrase en Juges 6,34 : et il appela derrire luiAbizer225 . Ngligeant


lapplication collective de ce nom, Origne note quun individu ainsi
nomm nest alors nulle part (qui utique nusquam erat) et il conclut : Il
apparat donc que Gdon na pas appel un homme mais a invoqu le secours de son Pre suprme226 .
La chane de Procope de Gaza nous apprend que Gdon, lorsque lappel divin le surprit, tait chiliarque227 . En effet, daprs Juges 6,15 lu dans
les Septante, le hros objecte lange : V
oici que mon <millier> (h
chilias mou)228 est le plus petit en Manass. Il convient dautre part de
rappeler le passage de lExode (18,13-26) ou Jthro conseille Mose de
choisir parmi le peuple des hommes capables et pieux, pour en faire des
chefs de milliers (chiliarchous), chefs de centaines, chefs de cinquantaines et chefs de dizaines (Ex 18,21). Ainsi, la tribu de Manass tait reste
divise en groupes soumis des chiliarques et Gdon tait lun deux.
Cest en tant que chef de mille quil se plaignit de ce que ceux qui taient
sous ses ordres fussent faibles229 .

Situation dIsral au temps de Gdon (Jg 6,1-6)


Selon le schma du livre des Juges les pchs dIsral attirent les ennemis.
Origne passe ici au plan spirituel et, laissant le peuple de lAncien Testament, considre sans plus lIsral selon lEsprit : quand les chrtiens ngligent les commandements de Dieu et mprisent le Christ, cest alors que
les dmons renforcent leur puissance contre eux (voir Jg 6,2). Ou encore,
de mme que les Isralites voyaient le fruit de leurs semailles ravag par
lennemi (Jg 6,3-4), cest quand ce que nous avons sem se corrompt que
les ennemis attaquent nos cultures. Cest l semer selon la chair et non
selon lEsprit (Ga 6,8). Cest aussi semer dans les pines (Mc 4,7 par.).
Les chrtiens doivent par consquent prendre garde de perdre tout le grain
des bonnes oeuvres accumules en dilapidant leur vie dans les plaisirs de
ce monde : ils auront beau avoir engrang dans la chambre de leur cons225. Vocavit... post se Abiezer. Comparer Septante, A :kai ebosen Abiezer opis autou.
226. Hom. 8 in Iud. 3 : GCS, Origne, 7, 510-511.
227. Mme point de vue, en plus bref, chez Augustin (Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 34 : CChSL
33, 348) qui cependant nentend offrir quune hypothse (an quid aliud ?).
228. Lhbreu lef signifie la foi clan et millier. Les Septante optent ici tort pour le
second sens, comme en 1 S 10,19 (Hexaples et rec. lucianique) ; 23, 23 ; Is 60,22.
229. Com. in Iud. : PG 87/1, 1065.

230

S. LGASSE

cience, tout leffort antrieur sera devenu vain (voir z 3,20). Do la recommandation de veiller sur son coeur (Pr 4,23).
Cette recommandation vaut tout spcialement lorsque aux ennemis spirituels se substituent les perscuteurs. Cest alors le moment de confesser
sa faiblesse et de prier Dieu de ne pas livrer ses fidles aux mains de
Madian, aux btes (Ps 73 hbr. 74,19), ceux qui disent : Quand viendra le temps o pouvoir nous sera donn dagir contre les chrtiens ? Quand
seront-ils livrs entre nos mains ceux qui disent avoir ou connatre Dieu ?.
Occasion pour Origne, lhomme qui comptait toujours avec la possibilit
du martyre230 , dpiloguer sur sa valeur inestimable, sur ce baptme dont
le rle purificateur surpasse celui du baptme deau, puisque celui qui a
reu le premier ne peut plus pcher : aprs un tel baptme, les Madianites
eux-mmes ne sauraient envahir lme pour en dtruire et dvaster les
fruits231 .

Apparition de lange et premier sacrifice de Gdon (Jg 6,11-24)


Au sujet de lapparition de lange Gdon, les Pres prtent attention aux
lieux et aux circonstances. Et dabord cest sous un chne que lange vient
sasseoir (Jg 6,11). et cest l galement que Gdon offre son sacrifice
(6,19). Si Procope de Gaza se contente de rapprocher ces dtails de lapparition divine Abraham sous le chne de Mambr (Gn 18,1)232 , nous devons Ambroise une application au mystre de la croix : Gdon ntait-il
pas plac lombre de ce qui figurait dj la croix sacre et la sagesse
vnrable233 ? Il est encore moins indiffrent que le messager divin surprenne notre hros occup battre le bl dans un pressoir (Jg 6,11). Cette
opration annonce en effet lacte du souverain Juge sparant les saints lus
du rebut de la paille vide. Mais le local a aussi son importance, car il est
limage de lglise, pressoir de la source ternelle : en elle le fruit de la
vigne cleste se rpand en abondance. Ceux qui sy rassemblent, doivent,

230. H.F. Von Campenhausen, Les Pres grecs, Paris 1963, 51. Sur le martyre chez Origne, voir Hartmann, Origne et la thologie du martyre daprs les Protreptikon, ETL 34
(1958) 773-824; H. Crouzel, Mort et immortalit selon Origne, BLE 79 (1978) 19-38,
81-96, 181-196 (33-36).
231. Hom. 8 in Iud. : GCS, Origne, 7, 507.
232. Com. in Iud. : PG 87/1, 1065. Les Septante (A) ont dans les deux cas le motdrys. Lhbreu en revanche porte elon (pluriel construit) en Gn 18,1 et elah en Jg 6, 11.19.
233. De Spir. sancto I, Prol., 1 : CSEL 79, 15.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

231

pour recevoir la grce divine, accepter une purification : tel le grain dbarrass de la paille, les fidles, rudoys par le bton de la vrit, ont dposer les vtement superflus du vieil homme avec ses actions (Col
3,9)234 ?
Dans ce rcit le texte sacr laisse subsister une quivoque, parlant tantt de lange du Seigneur (6,11.12.20.21.22) tantt du Seigneur luimme (6,14.16), lequel sexprime en son nom propre en disant : Nest-ce
pas moi qui tenvoie ? (6,14).Augustin offre une solution ce problme :
la diffrence de Dbora sadressant Barac (Jg 4,6), lange est ici revtu
dautorit divine (tamquam ex Domini auctoritate), du fait que le mme
Dieu qui a donn mission Gdon a galement envoy vers lui son
:
tecum potens
ange235 . Autre point : la salutation de lange Dominus
fortitudine (Jg 6,12) est interprte contresens par Augustin, soucieux de
sauvegarder les privilges divins : en voyant dans le motpotens non un
vocatif mais un nominatif, il soustrait Gdon un dnomination juge
excessive pour lattribuer Dieu236 . propos de lexpression In me, Domine (Jg 6,13.15), le mme Augustin glose en traduisant par : Regardemoi237 . Une autre remarque philologique lui permet de prciser la fonction
de lange au cours du rite qui va suivre : puisque Gdon dit seulement :
Joffrirai et non : Je toffrirai mon sacrifice (6,18), il indique quil
nenvisage pas de sacrifier lange. Du reste celui-ci le montre bien puisquil remplit ici loffice de ministre238 . Cest galement ce que pense
Thodoret de Cyr : en mettant le feu loblation (6,21) lange na pas ravi
Dieu lhonneur qui lui est d, mais il a exerc la fonction de prtre, lorsque, frappant la roche de sa canne, il a dvor loffrande tout entire dun
feu prodigieux (paradoxi)239 .
Passons lallgorie qui affecte les dtails du sacrifice. Le bton qui,
pour Procope, voque appui et secours240 est le type de la croix du Christ

234. Ibid. : CSEL 79, 15. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud. 3 : PL 83, 381 ; Ps.
Augustin, Sermo 108 de tem : PL 39, 1816-1818.
235. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 33 : CChSL 33, 348.
236. Ibid. : CChSL,ibid.
237. Ibid., Qu. 34 : CChSL,ibid. Lhbreu b adonay est une simple formule par laquelle
un infrieur introduit une rplique au cours dune conversation avec un suprieur. Pardon
la rend bien en franais. Voir L. Koehler - W. Baumgartner, Hebrisches und aramisches
Lexikon zum Alten Testamnt, I, Leiden 1967 (3e d.), 117.
238. Ibid., Qu. 35 : CChSL 33, 348-349.
239. Qu. 13 in Iud. : PG 80, 501.
240. Com. in Iud. : PG 87/1, 1065.

232

S. LGASSE

selon le Pseudo-Augustin241 . Encore daprs Procope, le rocher illustre la


fermet de la foi, et cest pourquoi Pierre a reu son nom du Christ. Cette
foi, avec laide de Dieu, consume les ennemis spirituels, tel le feu qui jaillit
miraculeusement du rocher (6,21). Mais celui-ci prfigure aussi le Christ,
vrai rocher (1 Co 10,4) qui reviennent par-dessus tout les grces (divines), lui par la puissance duquel on met en pices les ennemis242 . Le
mme rapport est prcis par Ambroise : pour lui, le rocher est le type du
corps du Christ ; il se rfre non sa divinit mais sa chair
, elle qui a
inond les coeurs des peuples assoiffs du ruisseau intarissable de son
sang. Ici une transition nous amne une application morale. En effet le
Seigneur Jsus, par sa crucifixion, a aboli dans sa chair les pchs du
monde, et non seulement les fautes en acte, mais encore les convoitises des
esprits. Cest ce que traduit la double matire du sacrifice en Juges 6,19 :
la chair du chevreau se rfre la faute en acte, le jus aux sductions des
convoitises, comme il est crit : <Le peuple senflamma dune convoitise
criminelle, et ils dirent : Qui nous donnera de la viande manger ?> (Nb
11,4). Mais de mme que le feu jailli de la pierre a consum loffrande de
Gdon (6,22), de mme la chair du Seigneur, remplie de lEsprit divin, a
consum tous les pchs de la nature humaine : le Christ nest-il pas venu
jeter le feu sur la terre ? (Lc 12,49)243 .
Lautel dnomm par Gdon Paix du Seigneur244 a suscit un rapprochement avec lptre aux phsiens (2,14) : cette appellation, recueillet-on chez Procope, est une figure de la Passion du Christ, lui qui, en
soffrant lui-mme en sacrifice, est devenu notre paix245 .
Augustin suit une autre piste en sinterrogeant sur la lgitimit dun
sacrifice offert hors du tabernacle (voir Dt 12,13). Comme celui-ci, au
temps de Gdon, se trouvait Silo, ctait l quil fallait sacrifier ! Fort
bien, mais Gdon na fait quobtemprer la volont de Dieu transmise
par lange. Et puis lcriture ne manque pas dexemples o lon saperoit
que Dieu avait prvu des exceptions. Abraham a reu lordre dimmoler son
fils en dehors du sanctuaire (Gn 22,2) ; lie a sacrifi au Carmel, sur une
rvlation et une inspiration de Dieu (1 R 28,30) ; Salomon a fait de mme
sur les hauts-lieux (1 R 3,4 ; 2 Ch 1,3-6). Cest que Dieu, quand il a tabli
ces lois, ne la pas fait pour lui mais pour les hommes. Aussi bien doit-on
comprendre quen accomplissant tout ce quil a prescrit depuis et qui tait
241. Sermo 108 de tem : PL 39, 1818.
242. Com. in Iud. : PG 87/1, 1065.
243. De Spir. sancto I, Prol., 3 : CSEL 79, 16. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud.
3 : PL 83, 382 ; Ps. Augustin,
Sermo 108 de tem : PL 39, 1816 et 1818.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

233

contraire ces lois, les hommes, loin de se comporter en transgresseurs,


faisaient acte de pit et dobissance. Il faut nanmoins mettre une rserve pour les hauts-lieux, puisque lcriture ne loue pleinement que les
rois qui les ont dtruits, alors que les autres, mme vertueux, sont lobjet
dun blme sur ce point. Mais, en dfinitive, on doit conclure que ce culte,
quand il sadressait Dieu lui-mme et non aux idoles, Dieu le tolrait
plutt quil ne linterdisait (sustinebat potius quam vetabat).
Quant notre hros, non seulement il faut en carter tout soupon
didoltrie car ce nest pas la pierre en question que le sacrifice fut
offert mais encore, du fait que de cette pierre sortit le feu qui consuma
le sacrifice, celui-ci prend lallure dune prophtie. De mme en effet que
leau du rocher de lExode (Ex 17,6), le feu produit sous les yeux de Gdon signifie le don du Saint-Esprit que le Seigneur Christ a rpandu sur
nous en grande abondance (Jn 7,37-39 ;Ac 2,3 ; Lc 12,49)246 .

Le second sacrifice (Jg 6,25-32)


Puisquil possdait un autel ddi Baal (Jg 6,26), le pre de Gdon tait
idoltre. Il est facile den dduire que le veau qui lui appartenait tait nourri
en vue du culte de Baal. En limmolant aprs avoir dtruit le sanctuaire
paen, Gdon, note Thodoret, non seulement faisait acte de pit mais
encore se comportait en matre pour les autres, car il donnait ainsi une
leon ses congnres en les menant de lerreur la vrit247 . Mais, selon
Procope, ce veau tait aussi la figure de celui qui a t offert pour
nous248 . Ambroise dveloppe cette typologie quil tend au second veau,
g de sept ans249 , que Gdon reoit lordre dadjoindre au premier :
Cet homme instruit et qui voyait prophtiquement lavenir prta attention
aux mystres den haut. Cest pourquoi il mit mort, selon les oracles, le
veau que son pre destinait aux idoles et immola lui-mme Dieu un autre
veau de sept ans. Par cet acte il rvla avec clat que tous les sacrifices
244. Septante :eirne kyriou.
245. Com. in Iud. : PG 87/1, 1065-1068.
246. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 36 : CChSL 33, 349-350.
247. Qu. in Iud. 14 : PG 80, 501.
248. Com. in Iud. : PG 87/1, 1068.
249. La suite du rcit biblique ne mentionne plus que lui et oublie le premier animal. En
fait, le texte hbreu de Jg 6,25 est trs probablement corrompu. Voir le dtail et un essai de
reconstitution dans Schmidt, Menschlicher Erfolg, 6-7.

234

S. LGASSE

paens devaient tre abolis aprs lavnement du Seigneur et quon offrirait Dieu lunique sacrifice de la Passion du Seigneur pour la rdemption du peuple. Ce veau en effet tait le Christ en figure (erat in typo
Christus), dans lequel rsidait la plnitude des sept vertus spirituelles,
comme la dit Isae (11,2). Ce veau, Abraham la galement offert (Gn
18,7) quand il vit le jour du Seigneur et quil sest rjoui (Jn 8,56). Cest
lui, (le Christ), qui tait (alors) offert sous la figure tantt dun chevreau,
tantt dune brebis, tantt dun veau. Dun chevreau, du fait que le sacrifice est offert pour le pch (Lv 16,15-22) ; dune brebis, parce que la victime est volontaire (Jr 11,19 ; Is 53,7) ; dun veau, du fait que la victime
est sans tache (Lv 4,3)250 .

Coalition contre Isral (Jg 6,33)


Tout Madian, Amalec et les fils de lOrient sunirent ensemble, passrent
le Jourdain et camprent dans la valle de Yizrel (Jg 6,33). Madian,
daprs Origne, signifie hors du jugement251 , ce qui permet dappliquer
cette population la parole de saint Paul sur les paens : Quiconque aura
pch sans la Loi, prira aussi sans la Loi (Rm 2,12)252 . En dautres termes, les Madianites auront le sort de ceux qui, ntant pas sous le joug de
la loi mosaque, nauront pas tre jugs par Dieu daprs elle, sans prjudice de la rfrence la loi naturelle, perceptible et impose tous253 . Plus
svre, Grgoire le Grand explique pourquoi les Madianites portent un nom
qui signifie de iudicio : cest qu trangers la grce du Rdempteur, ils
portent jusque dans le terme de leur nom le salaire dune juste damnation254 . Quant Amalec, cest un peuple qui lche255 : ainsi le comprend
Origne, qui glose : une nation (toute) terrestre, adonne au ventre et la
gourmandise256 . Au sujet des fils de lOrient, le mme Origne est perplexe. Si le texte portait : fils de lOccident, cela se comprendrait, car
les fils de lOccident sont les fils des tnbres. Mais comment dsigner

250. De Spir. sancto I, Prol., 4 : CSEL 79, 17. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud.
3 : PL 83, 382; Ps. Augustin,Sermo 108 de tem : PL 39, 1816 et 1818.
251. tymologie fantaisiste qui figure dj chez Philon, Mut. nom. 106. Le mot est dcompos en min - din.
252. Hom. 8 in Iud. 1 : GCS, Origne, 7, 508-509.
253. Voir Origne, Com. in e ad Rom. II, 8-9 sur Rm 2,12-16 : PG 14, 890-893.
254. Mor. in Iob 30, 25 : PL 76, 656.
255. De am, peuple, et laqaq, lcher. Ltymologie est fantaisiste.
256. Hom. 8 in Iud. 1 : GCS, Origne, 7, 509.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

235

les ennemis dIsral dune appellation qui voque le lever de la lumire


divine, la rvlation, le salut ? Et surtout quelle application ef
fectuer qui
convienne lglise ? V
oyons si nous pouvons trouver en des passages
aussi difficiles de lcriture quelque sens digne des pages divines. La rponse vient immdiatement : de mme que le Christ, en Zacharie 6,12, est
nomm Orient, de mme quiconque reoit le nom du Christ est dit fils
de lOrient. Mais parmi les chrtiens se trouvent des hrtiques qui,
sunissant aux paens et aux Juifs, combattent lglise et la foi catholique : ce sont eux que le texte sacr dsigne ici du nom de fils de lOrient
alors quils viennent combattre le peuple de Dieu257 .
Mais Origne revient au symbolisme dvelopp dans lhomlie prcdente. Cest juste titre, selon lui, que la multitude des ennemis est compare aux sauterelles (Jg 6,5 ; 7,12). En effet les dmons, comme celles-ci,
nont pour domicile ni le ciel ni la terre258 , mais lespace intermdiaire,
latmosphre paisse quils empoisonnent de leurs mfaits. Mme allusion
aux dmons dans le nom de Yizrel (Iezrael). Son sens tymologique est
semence de Dieu259 : par l, il indique que les ennemis spirituels ne saventurent pas chez ceux o la divine semence a port ses fruits, tandis que, selon
la parabole vanglique (Lc 8,12), le diable prvient toute germination de la
parole seme. En outre, le site tant une valle, laisse entendre que cette
parole a t reue bassement, indignement et, pour ainsi dire, dans la mentalit judaque. Cest pourquoi, dans ce cas, les dmons non pas de peine
larracher du coeur des hommes. En revanche, celui qui a su slever de la
bassesse de la lettre aux hauteurs de lesprit, linterprte spirituel de la
parole, ni les Madianites ni les Amalcites ne peuvent rien enlever, non
plus que les fils de lOrient ne peuvent le piller, du fait que cet homme est
dsormais tabli sur le sommet lev de lintelligence spirituelle260 .

Le signe de la toison (Jg 6,36-40)


Le signe de la toison a donn naissance un courant dinterprtation qui a
fait fortune. Centre dans son ensemble sur lhistoire du salut ainsi que le
sort successif des Juifs et de lglise universelle, cette exgse accuse ce257. Ibid.
258. Hom. 9 in Iud. 2 : GCS, Origne, 7, 522 ; voir aussi Origne,
Exhort. ad mart. 45 :
GCS, Origne, 1, 41-42.
259. Exactement : que Dieu rend fcond.
260. Hom. 8 in Iud. 2 : GCS, Origne 7, 510.

236

S. LGASSE

pendant certaines variantes. On peut le noter en considrant ses deux reprsentants les plus anciens : Irne et Origne.
Premier tmoin, Irne voit ici la prfiguration du don de lEsprit Saint,
dabord accord Isral, puis au Christ et, par lui, lglise. Cest la raison pour laquelle Gdon, aprs la demande dun premier signe, en sollicite un second :
il prophtisa par l que sur la toison de laine, qui seule avait dabord reu
la rose et qui tait la figure du peuple dIsral, viendrait la scheresse,
cest--dire que le peuple ne recevrait plus de Dieu lEsprit Saint selon
ce que dit Isae : Je commanderai aux nues de ne pas pleuvoir sur elle
(Is 5,6) tandis que sur toute la terre se rpandrait la rose, qui est lEsprit de Dieu. Cest prcisment cet Esprit que le Seigneur son tour a
donn lglise en envoyant des cieux le Paraclet sur toute la terre261 .

Avant de retrouver ce type dinterprtation chez Origne, voyons comment celui-ci sefforce de prvenir un scandale. On stonne en effet que
Gdon, aprs un prodige aussi merveilleux que celui qui vient dtre opr
par lange ait pu requrir un nouveau signe, de plus ddoubl. Nest-il pas
crit : T
u ne tenteras pas le Seigneur ton Dieu (Dt 6,16 ; Mt 4,7 par
.) ?
En ralit, rpond Origne, le succs de la demande montre bien quelle
nallait pas contre ce commandement divin, Dieu ne pouvant accorder ce
qui va contre la loi dont il est lauteur. Mais il y a plus, car, en se comportant de la sorte, Gdon, homme trs croyant, nous donne en fait un
exemple de prudence spirituelle. Sans doute a-t-il vu un ange, mais il savait aussi que les anges de tnbres peuvent se transformer en anges de
lumire (2 Co 11,14). Do cette vrification, parce que le spirituel
prouve tout (1 Co 2,15). Gdon se dit : Je veux... prouver cet esprit
pour voir sil est de Dieu (cf. 1 Jn 4,1). Il tait du reste incit dans ce sens
par son prdcesseur Josu, lequel navait pas craint dinterroger lange
guerrier qui lui apparaissait en lui disant : Es-tu pour nous ou pour nos
adversaires ? (Jos 5,13)262 .
Dailleurs, rtorque Ambroise, comment considrer cette recherche de
preuves comme empreinte de doute et dincertitude, alors que son auteur
nonait des mystres ?. En ralit Gdon, loin dtre dans le doute, prvenait nos propres doutes en sollicitant une manifestation de caractre prophtique263 . Et quannonait-elle ? IciAmbroise, comme de nombreux
261. C. haer. III, 17, 3 ; trad. A. Rousseau - L. Doutreleau, SC 211, 335 et 337.
262. Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne 7, 511 et 513.
263. De Spir. sancto I, Prol., 6 : CSEL 79, 18. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud.
4 : PL 83, 382.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

237

autres, dpend de lallgorie typologique dOrigne, lequel se souvient modestement des opuscules (in libelllis suis) dun de ses prdcesseurs264 pour
dvelopper lexgse suivante : la toison reprsente Isral dabord baign de
la rose de la loi mosaque alors que les autres peuples sont dans la scheresse, mais vient le temps o, avec le Christ, ce sont les Gentils qui reoivent
la parole de Dieu et o les Juifs incrdules en sont dsormais privs. Telle est
lhistoire du salut, dont laboutissement suscite llan de lorateur :
Vois tout ce peuple qui, form des Gentils, sest rassembl par toute la
terre, ayant en lui la rose divine. Vois-le baign de la rose de Mose,
inond des crits des prophtes. Vois-le qui verdoie dans lhumidit de
lvangile et des aptres. Vois par contre lautre toison, cest--dire le
peuple juif, subissant la scheresse et laridit en labsence de la Parole,
selon quil est crit : Les fils dIsral seront longtemps sans roi ni prophte ; il ny aura ni autel ni victime ni sacrifice (Os 3,4). Tu constates
combien la scheresse demeure chez eux, quelle immense aridit de parole divine est leur sort.

Et pourtant le Christ nest-il pas venu chez les siens? Cest en effet ce
que constate Origne, quand il ajoute lexgse prcdente cette rflexion
sur le Psaume 71 (hbr. 72),6 : Et il descendra comme la pluie sur la toison et comme des gouttes sur la terre. Oui, le Christ est bien descendu sur
la toison, autrement dit, parmi le peuple de la circoncision. Mais sa grce a
inond de fait le reste de la terre, nous apportant les gouttes de la rose
cleste, pour que nous buvions, nous qui tions, sur la terre entire, desschs dune aridit chronique. Aussi peut-on comprendre que
saint Gdon, considrant dans lesprit de prophtie lordre dans lequel
devait saccomplir le mystre, ne sest pas content de demander un premier signe Dieu, mais en a requis un second, inverse du premier. Il savait
en effet que la rose divine, qui nest autre que la venue du Fils de Dieu,
devait advenir non seulement aux Juifs mais galement et la suite aux
Gentils, parce que le salut des Gentils drive de lincrdulit dIsral265 .

Si Thodoret ne fait au fond que rsumer la premire explication


dOrigne266 , Procope renchrit sur la seconde. Et dabord les termes du
264. l pourrait sagir dIrne (quOrigne ne cite jamais nommment : communication

orale dHenri Crouzel), encore que les nuances qui sparent les deux commentaires soient
sensibles : celui dOrigne sarticule en effet sur lide de parole, alors que lvque de
Lyon songe au don de lEsprit.
265. Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne, 7, 513.
266. Qu. 15 in Iud. : PG 80, 501 : les dons chus aux Isralites passent ensuite la nature
humaine tout entire, qui reoit les dons spirituels dont Isral est dsormais priv.

238

S. LGASSE

psaume illustrent, selon lui, le caractre particulier de la venue du Christ,


dont la gnration charnelle sest accomplie discrtement et dans le mystre (hsychs kai mystiks). En effet une toison ne fait pas de bruit
quand elle reoit la pluie, ni la terre non plus quand elle reoit des gouttes. De mme cest ainsi qua eu lieu la conception du Seigneur. Mais
Procope noublie pas le droulement du plan du salut, non toutefois sans y
apporter une prcision qui modifie lexgse orignienne : ceux qui ont
reu la pluie du Christ, la toison inonde, ce nest pas Isral tout court,
celui dont lincrdulit devait faire chec lconomie divine, mais les
sauvs dIsral, cest--dire les Juifs convertis qui, unis aux paens, formeront le nouveau peuple de Dieu, comme lexprime cette pseudo-citation
de David : cause des Gentils et des sauvs dIsral267 . De la sorte, les
deux membres de phrase du Psaume 71,6 nexpriment plus deux actes successifs mais un seul et mme acte : la fondation de lglise en ses deux
composantes initiales268 .
Ayant constat cette variante, renouons avec Origne qui poursuit en
scrutant les moindres dtails du texte sacr. Celui-ci prcise que la toison
fut tendue sur laire, donc l o se trouvait le bl moissonn. Deux passages vangliques (Mt 9,37 ; 3,12 par
.) viennent propos donner la cl en
dclarant : V
oici que jtends la toison sur laire (Jg 6,37), Gdon prvoyait par lEsprit que le Christ rassemblerait son peuple sur son aire et l,
il le purifierait, tenant en main la pelle vanner, que l galement il sparerait la paille du froment269 . Ici, rien nest arbitraire. Et cest pourquoi
aussi laction du hros pressant la toison dans un bassin quil remplit ainsi
deau (Jg 6,38) possde une signification prophtique : elle voque et annonce la scne du lavement des pieds, quand Jsus versa dans un bassin
la rose de la grce cleste dont il lavait les pieds de ses disciples. Et
Origne de formuler cette prire :
Viens, je te prie, Seigneur Jsus, fils de David ; te les vtements que toi,
Seigneur, tu as revtus cause de moi, et ceins-toi cause de moi. Verse
de leau dans un bassin, lave les pieds de tes serviteurs et dissous les
souillures de tes fils et de tes filles. Lave les pieds de notre me, afin que,
timitant et marchant sur tes traces, nous tions nos vtements et disions :
Dans la nuit jai t mon vtement : comment le remettrais-je ? Disons
aussi : Je me suis lav les pieds : comment les resalirais-je ? (Ct 5,3).

267. Cette phrase ne se lit ni dans les Psaumes ni dans le reste de la Bible. Elle fait nanmoins songer Is 10,20 (hoi sthentes tou Iakb) ou Is 49, 6.
268. Com. in Iud. : PG 87/1, 1068.
269. Voir Ambroise, propos de Jg 6,11.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

239

Mais Jsus a galement prescrit ses disciples de limiter en se lavant


les pieds les uns aux autres (Jn 13,14). Cest bien ce quentreprend de faire
aussi le prdicateur :
Je veux donc, moi aussi, laver les pieds de mes frres, laver les pieds de
mes condisciples. Et cest pourquoi je prends de leau et puise aux sources dIsral, cette eau que jobtiens en pressant la toison isralite. Jobtiens cette eau en pressant tantt la toison du livre des Juges, tantt celle
des Rois, tantt celle dIsae ou de Jrmie. Et je verse cette eau dans le
bassin de lme afin que par la parole de lenseignement, les auditeurs
soient purifis des souillures des pchs, rejettent loin deux toute impuret des vices et quils aient les pieds purs par lesquels ils sengagent
comme il convient dans la prparation de lvangile de la paix270 .

Pareillement sensible au symbolisme de lhistoire du salut, phrem lui


adjoint celui du baptme dans une strophe de lhymne VII sur lpiphanie :
Dans la toison qui est reste sche de la rose Jrusalem tait reprsente,
Dans le bassin qui tait plein deau le baptme tait reprsent.
Celle-l resta sche comme celle dont elle tait le type,
Celui-ci se remplit comme celui dont il tait le symbole271 .

Lecteur dOrigne, Ambroise lui a emprunt la substance de son propre commentaire272 , non toutefois sans certaines amplifications, telle la
suivante, ce quon comparera au texte dOrigne prcdemment cit. Certains traits, dont lun ajout au rcit biblique, de lapparition de lange
Gdon font ressortir la grandeur du mystre contenu dans le lavement des
pieds des disciples par le Sauveur :
Je veux donc, moi aussi, laver les pieds de mes frres, je veux accomplir
le commandement du Seigneur. Il a voulu que je naie point honte, que je
ne ddaigne pas de faire ce que lui-mme a fait le premier. Il est bon, le
mystre de lhumilit, puisque tout en lavant les souillures dautrui je me
purifie des miennes. Mais tous ne pouvaient pas atteindre ce mystre. Sans
doute Abraham lui aussi voulut laver les pieds (Gn 18,4), mais ce fut par
sentiment dhospitalit. Pareillement Gdon voulait laver les pieds
lange du Seigneur qui lui apparut273 , mais il voulait les laver un seul, il

270. Hom. 8 in Iud. 5 : GCS, Origne, 7, 614-615.


271. Strophe 14 : CSCO 186 (syr., 82), 165.
272. De Spir. sancto I, Prol., 6-16 : CSEL 79, 18-22. Rsum dans leDe viduis 18-19 : PL
16, 240.
273. Ce dtail, qui manque dans la Bible rsulte dune influence de Gn 18,4.

240

S. LGASSE

le voulait comme un signe dhommage, non comme le don dune communion avec lui (Jn 13,8)274 .

Avec Jrme cest encore la tradition exgtique qui voit dans le rcit
de la toison lannonce de la diffusion universelle de lvangile :
Depuis que, la toison de Jude sche, lunivers entier a t mouill de la
rose cleste, depuis que beaucoup qui venaient de lOrient et de lOccident se sont couchs dans le sein dAbraham (Mt 8,11), Dieu a cess de
ntre connu quen Jude et son nom de ntre glorifi quen Isral (Ps
75,2), mais cest sur la terre entire qua port la voix des aptres et jusquaux extrmits de la terre leurs paroles (Ps 18,5)275 .

Augustin fait appel plusieurs fois lpisode de la toison276 , mais cest


en commentant le Psaume 71,6 quil se montre le plus original. cette
occasion il dveloppe la seconde exgse dOrigne. Dans ce verset, nous
dit-il, le psalmiste-prophte renvoie laction du juge Gdon et il nous
apprend quelle sest accomplie dans le Christ (de Christo id habere
finem). Son sens est en effet
que le peuple dIsral fut dabord une toison sche dpose au milieu de
laire, cest--dire au milieu de lunivers. Le Christ est donc descendu
comme une pluie sur la toison alors que laire restait encore sche. Et cest
pourquoi il a dit : Je nai t envoy quaux brebis perdues de la maison
dIsral (Mt 15,24). Cest l en effet quil a choisi la mre dans le sein
de laquelle il voulait prendre la forme desclave pour se montrer aux hommes; cest l quil sest procur des disciples auxquels il a donn un commandement semblable sa propre dclaration : Ne prenez pas le chemin
des paens, mais allez dabord (primum) vers les brebis perdues de la maison dIsral (Mt 10,5-6). En disant : Allez dabord ite
( primum) vers
celles-ci, il montrait que, dans la suite, quand il y aurait lieu de couvrir
deau laire entire, ils iraient vers dautres brebis qui nappartiendraient
pas lancien peuple dIsral et dont le Seigneur a dit : Jai encore
dautres brebis qui ne sont pas de ce bercail, etc. (Jn 10,16). Do cette
parole de lAptre : Jaffirme en effet que le Christ sest fait ministre des
circoncis, etc. (Rm 15,8). Cest ainsi que la pluie est descendue sur la
toison, tandis que laire restait encore sche. Mais lAptre ajoute : les

274. De Spir. sancto I, Prol., 3 : CSEL 79, 21-22.


275. E 58 ad Paulinum 3 ; trad. J. Labourt,Saint Jrme, Lettres, III (Coll. des Univ. de
France), Paris 1953, 76.
276. E ad cath. 5, 10 : BA XXVIII, 526-529 Sermo
;
131, 9 : PL 38, 533-534 (avec lallusion orignienne au lavement des pieds ;De gr. Christi II, 25, 29 : BA XXII, 218-221 E;
177, 14 : CSEL 44, 682-683 Enar.
;
in Ps. 137, 9 (v. 4) : CChSL 40, 1084 ; Ps. Augustin,
Sermo 108 de tem : PL 39, 1817-1818.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

241

nations cependant glorifient Dieu pour sa misricorde (Rm 15,9), ce qui


est laccomplissement, le temps tant arriv de cette prdiction du prophte : Le peuple que je navais pas connu ma rendu un culte, en me
prtant loreille il ma obi (Ps 17,45). Aussi voyons-nous que, par la
grce du Christ, alors que la nation juive demeurait dessche, lunivers
entier, dans toutes les nations qui le composent, a t arros des torrents
de la grce chrtienne dverse par les nues qui en taient charges
Dautre part, il me semble que si la nation juive est dsigne sous le couvert de la toison, cest soit du fait quelle devait tre dpouille de toute
autorit doctrinale, comme une brebis est dpouille de sa toison, soit
parce quelle tenait cache cette pluie fertilisante, quelle ne voulait pas
voir se rpandre au dehors, cest--dire sur les paens incirconcis (quam
nolebat praeputio praedicari, id est incircumcisis Gentibus revelari)277 .

Cest ainsi que Gdon et sa toison sont introduits dans un tableau de


lhistoire du salut qui tourne la polmique antijuive.
Tout autre est loptique de Pierre Chrysologue. Chez lui la toison est
seulement le symbole de la chair virginale que le Christ reoit de sa mre
et dont limmolation procure le salut de lhumanit. Ici, cest encore le
Psaume 71,6 qui donne lieu la comparaison suivante :
Alors quelle provient du corps, la toison ignore les passions du corps. De
mme la virginit, tout en tant dans la chair, ignore les vices de la chair.
Ainsi la pluie cleste, tombant calmement (placido illapsu), sest rpandue sur la toison virginale et leau tout entire de la divinit sest cache
dans lavide toison, jusqu ce que, presse au moyen du gibet de la croix,
elle se rpande en pluie de salut dans le monde entier278 .

Prolongeant les considrations prcdentes, un sermon anonyme, probablement du haut moyen ge279 , dveloppe les vertus de la toison, cette
fois sur un registre nettement marial :
Le prophte David en effet avait dj attest que le Sauveur devait descendre dans le sein de la Vierge de faon secrte et mystrieuse (latenter
et secreto) quand il disait : Il descendra comme la pluie sur la toison (Ps
71,6). Quoi daussi silencieux et discret que la pluie se rpandant sur une
277. Enar. in Ps. 71, 9 (v. 6) : CChSL 39, 978.
278. Sermo 143 de Annuntiatione : PL 52, 583. Ce sermon est prsent avec certitude
comme authentique par A. Olivar, Deux sermons restitus saint Pierre Chrysologue,
RBn 59 (1949) 114-136 (130).
279. Ps. Ambroise, Sermo 5, de natali Domini 3 (PL 17, 611-614) = (avec quelques variantes) Ps. Maxime de Turin, Sermo 5, de natali Domini 3 (PL 57, 541-544). Daprs R. Laurentin
(Court trait de thologie mariale, Paris 1953, 134, n 57), sappuyant sur une communication de Mlle Mutzenbecher, ce sermon (incipit :Qua gratia vel quibus laudibus) se trouve
dans le codex Saint-Gall ; il est donc antrieur la seconde moiti du VIIIe sicle.

242

S. LGASSE

toison de laine ? Celle-ci ne frappe loreille daucun son, elle nclabousse


dhumidit le corps de personne, mais sans incommoder quiconque, elle
aspire de toute sa substance (toto corpore) la pluie rpandue dans ses
multiples parties. Dpourvue de fente (scissuram) qui formerait en elle un
canal unique, elle offre, dans sa douceur compacte, de multiples canaux,
et ce qui semble ferm cause de lpaisseur est largement ouvert en raison de la finesse. Cest donc juste titre que nous comparons Marie la
toison. Car elle a conu le Seigneur de telle sorte quelle la absorb de
tout son corps (toto corpore) sans que ce mme corps ait subir de brisure (scissuram). Elle sest faite douce pour laccueillir avec dfrence,
dure, pour conserver sa virginit. Cest bien, dis-je, juste titre que Marie
est compare la toison, puisque les vtements du salut destins aux peuples sont tisss partir de son fruit. Marie est bien toison, car cest de son
doux sein quest sorti lagneau qui, portant le lainage cest--dire la chair
de sa mre, couvre les plaies de tous les peuples dune moelleuse toison. Car la blessure du pch tout entire est recouverte de la laine du
Christ, rchauffe par le sang du Chist et, pour recouvrer la sant, vtue
du manteau du Christ280 .

Slection des combattants et preuve de leau (Jg 7,1-8)


Origne suit le rcit biblique (Jg 7,2-3)281 lorsquil justifie la premire puration de larme en notant que ce ne sont pas des combats humains et que,
selon le Ps 32,16, le roi nest pas sauv par la grandeur de sa puissance. Ici
les exclus partent deux-mmes, tant timides et craintifs de coeur (Jg 7,3).
Pour Origne, ce ne sont pas l deux qualifications synonymes. Timide
sapplique celui qui tremble aux premires chauffoures, mais non au
point dtre atteint dans son coeur, de sorte quil pourra reprendre courage.
En revanche la seconde expression, cause du mot coeur, voque le lche
qui, avant mme dtre en face du danger, saffole. Mais quon se garde bien
de limiter la porte du texte aux circonstances historiques du temps de G-

280. PL 17, 613-614 ; 57, 542-543. Ce morceau se retrouve dans la compilation du Ps.
Rufin, Com. in LXXV Psalmos, Ps. 71, 6 (PL 21, 938), qui continue en renouant avec lapplication classique lhistoire du salut. Sur lexploitation mariale ultrieure, voir H.
Marracci, Polyanthea mariana, Cologne 1709, s.v. Vellus. Dans un autre secteur, une fusion, opportune croyait-on, fut effectue au bnfice de la maison de Bourgogne, entre la
toison dor de Jason et la toison de Gdon : voir H. Huizinga,LAutomne du moyen ge,
Paris 1975, 104-105.
281. Une rminiscence de Jg 7,3 se lit chez Tertullien (Adv. Marc. IV, 16,1 : CChSL 1,
581), introduisant le commandement de lamour des ennemis par ces mots :loquere in aures
audientium. Voir aussi 4 Esd 15,1 :Ecce loquere in aures plebis meae.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

243

don, car aujourdhui encore le prince de notre milice, le Seigneur et Sauveur Jsus Christ, clame ladresse de ses soldats : Si quelquun est timide
et craintif de coeur, quil ne vienne pas mes combats ! quivalemment
retentit ici la parole du Christ : Celui qui ne prend pas sa croix et ne me suit
pas, etc. (Lc 14,26-27.33), par laquelle il carte et loigne de son camp les
timides et les pusillanimes. Et comme son arme combat laide de la seule
foi et non par la force physique, il arrive souvent que les femmes aient la
victoire, telles Dbora ou Judith, et, sans aller chercher dans lAntiquit,
telles ces femmes et ces jeunes vierges qui, aujourdhui encore, endurent le
martyre. Loccasion est de nouveau bonne dentretenir les fidles sur ce
grave sujet en leur donnant cette fois un conseil de prudence : que ceux qui
se sentiraient trop faibles naillent pas sexposer au martyre, de peur dapostasier. En effet, lessentiel est de ne pas renier Jsus, quon a confess une
fois et senfuir pour ne pas renier le Christ, cest encore le confesser. Par
consquent, si quelquun est timide et craintif de coeur, quil quitte le camp,
quil revienne chez lui, de peur de donner aux autres un exemple de crainte
et de terreur et davoir, par la suite, endurer le supplice que lApocalypse
(21,8) promet aux lches.
cette rfrence au martyre Origne ajoute une autre explication, tant
il est vrai que dans presque tous les actes des anciens sont reprsents
dnormes mystres282 . Sur lordre de Dieu Gdon entreprend une seconde puration (Jg 7,4-8). La descente dans leau suggre naturellement
laccs au baptme, et cest pourquoi les vingt-deux mille carts de larme symbolisent les catchumnes qui, effrays par les exigences de la vie
chrtienne, ont refus daller plus avant et ont t rprouvs. Les autres
sont venus vers leau, mais, selon le texte sacr (Jg 7,4), pour y tre mis
lpreuve. Cest que les nophytes doivent tre sur leurs gardes et, la diffrence de ceux qui sagenouillrent pour boire, demeurer debout et fermes
devant les tentations qui les attendent283 , sans se pencher vers les besoins
terrestres et corporels, ni concder aux vices en se prosternant, pousss
par la soif du pch284 .
Ce sont galement les forts (idonei et fortes) que Grgoire dElvire reconnat dans les trois cents qui participeront au combat. Mais pourquoi si
peu ? Cest que beaucoup sont appels mais peu sont lus (Mt 22,14).
282. In omnibus paene veterum gestis mysteria designantur ingentia. Sur ce genre de remarque et la conviction quelle exprime chez les pres et les mdivaux, voir De Lubac,
Exgse mdivale, I/1, 119-128.
283. Origne cite Is 35,3 ; Ga 5,1 ; Ph 4,1 ; 1 Th 3,8.
284. Hom. 9 in Iud. : GCS, Origne, 7, 520.

244

S. LGASSE

Grgoire voit ici lexpression du petit reste fidle, allguant Is 10,22 (cit
en Rm 9,27) : Le nombre des fils dIsral serait-il comme le sable de la
mer, un reste seulement sera sauv285 .
Sur le mme passage Procope nous laisse le choix entre deux interprtations contradictoires. Certains identifient dans ceux qui laprent leau du
torrent sans flchir le genou des indolents et des paresseux (ntheis kai
argous). Ce sont pourtant ces fidles qui, la suite de Gdon, ont remport la victoire. De mme, cest en choisissant les faibles de ce monde,
des pcheurs et un artisan en cuir (Paul), que le Christ a mis fin lattaque
des nations, entendons, des puissances dmoniaques dont Madian est le
symbole. Mais on peut aussi inverser lexgse et considrer que les trois
cents qui ont lap leau sont des forts, ceux qui ne cdent pas la facilit
mais pratiquent lascse et la temprance : Cest une belle vertu que la
temprance (egkrateia), comme en tmoignent les compagnons de Gdon
qui ont triomph de Madian286 .
Doctrine et exemple, telle est la perspective dans laquelle Grgoire le
Grand envisage cette seconde partie de lpisode en lappliquant ceux qui
enseignent dans lglise. Leau, cest la doctrine de sagesse. Ne pas plier
le genou pour boire signifie la rectitude de laction (recta operatio). Le
Christ part au combat contre les ennemis de la foi avec ceux qui, tout en
puisant aux eaux de la doctrine, ninflchissent pas la rectitude des
oeuvres (Rm 2,13 ; He 12,2). De tels hommes manifestent dans leur action ce quils proclament de bouche; ils puisent spirituellement aux flots
de la doctrine, sans se pencher charnellement par de mauvaises actions,
comme il est crit : <Elle nest pas belle la louange dans la bouche des
pcheurs> (Si 15,9)287 .
Cette application est bauche par Origne, que stimule une difficult
du texte. En Juges 7,5 on lit : T
ous ceux qui laperont leau avec la langue
comme lape le chien. Mais au verset suivant les mmes sont dits avoir
lap leau avec leur main leur bouche288 . Lallgorie rsout le dilemme :
285. Tract. Origenis 14,3 : CChSL 69, 107.
286. Com. in Iud. : PG 87/1, 1068.
287. Mor. in Iob 30,74 : PL 76, 566.
288. Ainsi dans lhbreu et LXX B. Loriginal est probablement corrompu. LXX A remplace, au verset 6, main par langue et supprime leur bouche, un arrangement manifeste. Augustin (Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 37 : CChSL 33, 350), qui fait remarquer que la
plupart des codices latins omettent avec leur main au verset 6, sefforce de concilier les
deux gestes : les trois cents prenaient leau dans le creux de la main et la jetaient dans leur
bouche; cest en cela quils imitaient les chiens qui, en buvant naspirent pas leau longs
traits comme les boeufs mais lattirent avec leur langue.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

245

les soldats du Christ doivent agir de la main et de la langue, cest--dire


en oeuvre et en parole (Mt 5,19). Mais Origne nest pas quitte de la comparaison des chiens. Vu la perspective qui le guide, il ne saurait tre indiffrent au fait que le chien, ce quon dit, conserve plus que les autres
animaux lamour de son matre et que son affection ne sefface ni par le
temps ni sous les mauvais traitements289 .
Demeurons en compagnie de ces animaux familiers o nous entrane
pareillement Augustin quand il commente le Psaume 67,24 :Lingua canum
tuorum ex inimicis ab ipso. Mais ici la meute scripturaire subit une soigneuse discrimination. Parmi les chiens mentionns dans les deux Testaments, ceux quon doit retenir, ce sont de louables et non de dtestables
chiens. Il faut donc exclure ceux dont parle lAptre aux Philippiens (Ph
3,2), quand il crit : Gardez-vous des chiens ! carter galement ces
animaux fainants qui ne savent pas aboyer mais naiment qu dormir (Is
56,10). En revanche, la parole de la Cananenne, suivie de la louange de
Jsus (Mt 15,27-28 par.) dessine un tout autre modle : chiens fidles
leur matre et qui aboient contre ses ennemis pour la dfense de sa maison. De plus, comme le mme verset du psaume porte : detes chiens et
quil fait lloge non de leurs dents mais de leur langue, comment ne pas
songer lpisode des Juges qui nous occupe ? En effet ce nest pas en
vain ni sans un profond mystre que Gdon reut lordre de ne mener au
combat que ceux qui avaient lap leau du fleuve comme des chiens, traant ainsi la figure des fidles du Christ qui participent sa victoire290 . Il
est vrai quAugustin connat une autre application, non moins instructive :
comme il ressort de la rponse de Jsus la Cananenne (Mt 15,26 par.)
ou encore de lpisode o David se qualifie lui-mme de chien devant
Sal (1 S 24,15), cet animal est le symbole dune humanit vile et mprisable, et cest parmi elle que le Seigneur, selon Paul (1 Co 1,28), a recrut
les membres de son glise291 . Pour en finir avec le sujet, notons que lhistoire de la Cananenne a pareillement inspir Grgoire dElvire, plus attentif au texte vanglique quand il voit dans les trois cents la figure des
Gentils avant leur accs la foi292 .

289. Hom. 9 in Iud. 2 : GCS, Origne, 7, 520-521.


290. Enar. in Ps. 67,32 (v. 24) : CChSL 39, 892-893. Mmes considrations dans E
149,1,10 : CSEL 49, 357-358.
291. Qu. in Hept. ;Qu. Iud. 37 : CChSL 33, 351.
292. Tract. Origenis 14,18 : CChSL 33, 351. Autres dveloppements sur les chiens propos de Mt 15,26-27 par., mais sans allusion Jg 7,5, chez le Ps. Chrysostome, In Chan. et
Phar. 1 : PG 59, 653-655.

246

S. LGASSE

Sur un registre diffrent, Grgoire de Nazianze se souvient du mme


pisode lorsque, dans son Discours dadieu, il sadresse aux Pres du Ier
Concile de Constantinople et la foule des fidles runis dans lglise
des Saints Aptres. Clbrant le petit nombre des orthodoxes nicens, il
les compare tour tour Abraham, seul face tous les Cananens (Gn
12,6), Lot, seul devant les Sodomites (Gn 19,6-11), Mose devant les
Madianites (Ex 2,15), aux trois cents compagnons de Gdon qui,
vaillamment, ont lap leau du torrent, aux maigres troupes dAbraham
mettant en fuite les troupes innombrables des rois de la Dcapole (Gn
14,14-15). Et lvque de se souvenir que, selon lcriture293 , la multitude importe peu et que loeuvre divine saccomplit au sein dune minorit fidle294 .
Il nous faut prsent considrer le nombre lui-mme des combattants,
ce nombre dont les virtualits ont donn lieu dinpuisables dveloppements chez les Pres. Comme souvent, Origne donne le coup denvoi :
les trois cents, soit cent multipli par trois, reprsentent le nombre de la
Trinit parfaite, sous lequel toute larme du Christ est recense. Cest en
elle que nous souhaitons, nous aussi, tre enrls295 . Sur le mme thme
Grgoire le Grand est plus disert : le nombre cent signifie dordinaire la
plnitude de la perfection. Multipli par trois, il ne peut voquer que la
parfaite connaissance de la Trinit. Et voici lapplication :
Cest avec ceux qui sont aptes connatre les choses divines, qui sentendent possder une ide parfaite de la Trinit qui est Dieu, cest avec
ceux-l que notre Seigneur a dtruit les adversaires de la foi, cest avec
eux quil est descendu au combat de la prdication296 .

Mais lallusion lorthodoxie trinitaire est encore trop peu pour qui
veut extraire toute la substance dun chiffre aussi prometteur. Pour y russir on avait les encouragements dune tradition dj ancienne, comme en
tmoigne le Pseudo-Barnab (9,8) : dsormais le nombre trois cents vo-

293. Rm 9,27 (Is 10,22) ; 11,4 (1 R 19,18) ; 1 Co 10,5.


294. Orat. 42,7 (PG 36, 468). Voir aussi Orat. 4,19 (PG 35, 548), o, dans une srie de

prodiges bibliques qui commence avec lenlvement dHnoch et sachve par les miracles du Christ et des aptres, Grgoire nomme, entre autres, la terre et la toison
demeurant tour tour couvertes de rose et prserves de lhumidit la poigne de
soldats dlite qui laprent dans lesquels fut mise la foi en la victoire et qui vainquirent
de fait, selon lespoir qui reposait en eux, les milliers dhommes bien suprieurs leur
petit nombre.
295. Hom. 9 in Iud. 2 : GCS, Origne, 7, 521.
296. Mor. in Iob 35 : PL 566.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

247

quera, par lentremise de la lettre tau, la croix du Sauveur297 . Ainsi, le


pome Adversus Marcionem du Pseudo-Tertullien, dans sa laus patrum,
retient ce rapport parmi dautres symboles puiss dans le cycle de Gdon :
Et de fait, sur ce prsage, Gdon terrassa des monceaux de pillards,
en combattant avec le peuple du Christ et peu de soldats,
avec trois cents cavaliers (la lettre grecque tau en est le chiffre)
arms de torches et de cors de musiciens298

Le tau est le signe de la croix et les cors proclament la vie. Lauteur du


pome prend soin dindiquer ses lecteurs latins la raison du symbolisme.
Il en va de mme chez Grgoire dElvire, qui sexplique :
Trois cents scrit chez les Grecs avec la lettre tau. Cette lettre, du fait
quelle porte une branche dresse limage de larbre de la Passion et
lautre tendue son sommet comme une antenne (de navire), montre le
signe bien vident de la croix.

Gdon, type du Christ, a vaincu ses ennemis par ce nombre, de


mme que Mose, tendant les mains en forme de croix, obtint le triomphe
sur Amalec (Ex 17,11-12)299 . Plus loin cependant Grgoire se souvient
aussi du symbolisme trinitaire quand il arrive au passage o il est dit que
Gdon divisa ses trois cents hommes en trois bandes (Jg 7,16). Quon
ne sy trompe pas : si Gdon a procd de la sorte, ce nest pas seulement
quil sest comport en bon stratge, attentif rpartir ses forces, mais cest
aussi afin que
limage de la croix, de laquelle les trois cents, grce la lettre tau, sont
marqus, fasse ressortir la rpartition de la Trinit. Car nul nemporte la
victoire sil ne croit lgale puissance et au pouvoir identique du Pre,
du Fils et de lEsprit Saint. Voil par quel mystre Gdon a vaincu ses
ennemis, et cest galement par lui que nous, qui croyons au Christ,
avons coutume de triompher de toute mchancet de la puissance adverse300 .

297. Sur ce symbole dans lensemble de la littrature patristique, voir H. Rahner, Symbole
der Kirche. Die Ekklesiologie der Vter, Salzbourg 1964, 406-431. Concernant le sort ultrieur de ce signe, voir D. Vorreux, Un symbole franciscain, le tau : histoire, thologie et
iconographie, Paris 1977.
298. Hoc etenim signo praedonum strauit aceruos / Congressus populo Christi sine milite
multo. / Tercento equite (numerus Tau littera Graeca) / Armatis facibusque et cornibus ore
canentum / Tau signum crucis, et cornu praeconia uitae : CChSL 2, 1436.
299. Tract. Origenis 14,14 : CChSL 69, 107.
300. Tract. Origenis 14,17 : CChSL 69, 110.

248

S. LGASSE

Ici se fait sentir linfluence dzchiel 9,4.6301 . Mais comment ne pas


rappeler un autre chiffre, celui des trois cent dix-huit serviteurs avec lesquels Abraham vainquit les rois coaliss (Gn 14,14) ? Encore un signe : aux
trois cents qui, ut saepe dictum est, reprsentent la croix sajoutent dix-huit
autres. Et Grgoire de sinscrire dans la vieille tradition gmatrique302 :
dans ce chiffre dix-huit je vais montrer avec vidence que se trouve le
nom de Jsus, car chez les Grecs dix-huit sexprime par iota et ta303 , lettres qui servent crire le nom de Jsus (IH OY )304 .
Augustin fait galement le lien entre les trois cents soldats de Gdon
et le peloton dAbraham en remarquant que le nombre de larme du patriarche, dpassant de dix-huit larme de Gdon, symbolise le temps o
devait saccomplir le mystre figur par la bndiction de Melchisdec
Abraham, le troisime ge, sub gratia, succdant aux deux premiers, ante
legem et sub lege. Or chacun de ces ges a pour symbole le nombre six,
cause de sa perfection, et trois fois six font dix-huit. Voil pourquoi cette
femme dont parle lvangile (Lc 13,11) tait malade depuis dix-huit ans,
elle que le Christ dlivra de lesclavage du dmon305 .
Mais revenons au tau et la croix. Grgoire dElvire tait contemporain dAmbroise, lequel prend lui aussi son compte le mystre des trois
cents prvu par saint Gdon qui indiquait que le monde devait tre
dlivr de linvasion dennemis encore plus cruels, non par le nombre
dune multitude mais au moyen de la croix306 . De son ct Augustin enrichit lhritage de ses prdcesseurs : le tau, qui voque la croix307 , est une
lettre grecque, donc reprsente la foi des Gentils dans le Crucifi, comme
Paul le signifie en dsignant ces derniers du nom de Grecs (Rm 2,9 ; 1
Co 1,22-24). juste titre du reste, car la langue grecque a une si grande
prminence sur toutes les autres langues des Gentils quelle mrite de les
reprsenter toutes308 .
301. Voir C. Schneider, Metpon, ThWNT IV, 639, et les commentaires.
302. Dj chez les Ps. Barnab 8,9 et Clment dAlexandrie, Strom. 6,11 : PG 9, 304-317.
Le pape Libre (Socrate, Hist. eccl. 4,12 : PG 67, 492) appliquait ce chiffre aux 318 pres
de Nice. Autres tmoignages patristiques dans Rahner, Symbole, 420.
303. Le texte porte par erreur kappa.
304. Tract. Origenis 14,21-22 : CChSL 69, 110-111.
305. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 37 : CChSL 33, 351.
306. De Spir. sancto 1, Prol., 5 : CSEL 79, 17.
307. Enar. in Ps. 67,32 (v. 24) : CChSL 39, 892. Sur la croix chez Augustin, voir M. Pontet, Lexgse de saint Augustin prdicateur, Paris s.d., 355-370.
308. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 37 : CChSL 33, 350-351.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

249

Terminons ce point avec Grgoire le Grand chez qui apparaissent quelques particularits. Et dabord sa remarque concernant le tau : cette lettre,
nous dit-il, noffre quune similitude avec la croix ; pour obtenir une identit, il faut munir le tau dune branche suprieure309 . Comme le souligne
Hugo Rahner310 , on voit que le sens, quon peut appeler grec, de lallgorie est en train de mourir. Les prdcesseurs de Grgoire ne sembarrassaient pas de tant de scrupules ou bien, comme Jrme311 , rappelaient la
forme de croix du taw dans lancien alphabet hbreu (samaritain), ce dont
Grgoire natteste pas la moindre ide. Peu importe, car son but est avant
tout moral : en suivant Gdon, les trois cents, dont le nombre signifie la
croix, annoncent ceux qui suivent le Christ dans ses souffrances en portant
leur croix (Mt 16,24 par.). Mais au temps de Grgoire le martyre a cd la
place un autre type de combat :
Ceux qui suivent le Seigneur portent dautant plus rellement leur croix
quil se domptent vigoureusement eux-mmes et sont tourments de compassion, fruit de la charit, lgard de leur prochain. Cest pourquoi il
est dit par le prophte zchiel (9,4) : Marque duntau au front les hommes qui gmissent et saffligent312 .

Descente au camp ennemi et songe du pain dorge (Jg 7,9-14)


Cest le mystre de la croix qui domine encore le commentaire de Grgoire
dElvire lorsquil aborde ce prambule de la victoire. Ayant rappel le triomphe du Christ sur les puissances dmoniaques (Col 2,15), il fait ressortir que
le camp ennemi se trouvait dans une valle (Jg 7,1.8) : do, en y descendant, Gdon prfigure la descente du Christ aux enfers, l o toute puissance des tnbres et les esprits immondes ont leurs lieux et siges. Et
noublions pas le symbolisme des trois cents : accompagnant le hros, ils
reprsentent, ici encore, la croix par laquelle devait tre extermine une
309. Notandum vero est quia iste trecentorum numerus in Tau littera continetur, quae crucis

speciem tenet. Cui si super transversam id quod in cruce eminet adderetur, non iam crucis
species, sed ipsa crux esset : Mor. in Iob30,25 : PL 76, 566.
310. Symbole, 423.
311. Com. in Ez. 3,9 : CChSL 75, 106-107. Voir aussi Ps. Jrme (Bde),In Lam. Ier. : PL
25, 792. On devine limportance de cette ancienne configuration du taw hbreu pour lapplication chrtienne dz 9,4 : voir Rahner,Symbole, 410-411.
312. Mor. in Iob 30,35 : PL 76, 566. Isidore de Sville Alleg.
(
76 : PL 83, 111) rsume en
quelques mots lallgorie traditionnelle au sujet du tau : Gdon avec ses trois cents hommes
est le type du Christ qui a remport la victoire sur le monde par le signe de la croix. En effet
le nombre trois cents est contenu dans la lettre tau, laquelle offre laspect dune croix.

250

S. LGASSE

foule innombrable dennemis, cest--dire des lgions de dmons313 . Mais


avant lattaque Gdon, par un geste de la divine bont, est invit envoyer
son serviteur en observation auprs des soldats ennemis314 : Si tu crains de
descendre. Cette crainte voque celle de Jsus au jardin de lAgonie,
crainte humaine, bien sr, et qui naffecte pas la divinit mais visait dmontrer lhumanit relle du Christ, tout comme la soif, la faim, la fatigue,
les pleurs, la tristesse et, pour finir, la mort (postremo dum moritur). Ici Grgoire lance une pointe contre les hrtiques doctes qui nient que le Christ
ait revtu une chair dhomme et disent quil a t un fantme. Quant au
serviteur de Gdon, il est la figure de Jean-Baptiste, prcurseur et fourrier
(metatorem) de lavnement du Seigneur, non seulement sur terre mais encore aux enfers o il la prcd dans la mort.
Le spectacle qui soffre au regard de lenvoy est dcrit par Grgoire
selon la version biblique dont il dispose : Et Madian etAmalec et tous
les ennemis315 taient comme des sauterelles et les chameaux taient sans
nombre (Jg 7,12). Madian est limage de lenfer et Amalec celle de la
mort. La comparaison des sauterelles convient merveille (mirifice) aux
ennemis, dans lesquels lvque, la suite dOrigne316 , devine les puissances dmoniaques infestant lair que nous respirons, selon la parole de
lAptre en Ephsiens 5,12. Nen doutons pas,
ces puissances, qui voltigent comme des sauterelles dans lair de ce
monde, dvorent et dtruisant dans leur cruaut comme une moisson la
rcolte des bonnes dispositions, autrement dit les jenes fconds des hommes et leur nature fertile en justice.
313. Selon la version de la descente de Jsus aux enfers qui y voit une dlivrance des mes
par le triomphe du Christ sur les puissances dmoniaques : voir H. Quillet, Descente de
Jsus aux enfers, DTC IV/1, 598-603.
314. Tel nest pas le sens de Jg 7,10, et cela, mme dans la version que reproduit Grgoire,
puisquelle porte :Si tu times descendere, descendet et puer tuus in castra : Gdon est invit se faire accompagner de son serviteur.
315. Omnes contrarii, ce qui pourrait aussi signifier ceux den face, donc voquer lhbreu de Jg 7,12 qui porte kol ben qedem (qedem : tymologiquement ce qui est devant,
do Orient ; voir LXX pantes
:
hoi hyioi anatoln ; Vg :omnes orientales populi). Il est
cependant douteux que la Vetus Latina trahisse ici une influence de lhbreu (voir les rserves de T. Ayuso Marazuela, La Vetus Latina Hispana, I, Madrid 1953, 188-190). Bien plutt son texte rvle une interprtation facilitante, laquelle pourrait tout aussi bien tre
loeuvre de Grgoire lui-mme, dsireux damorcer son exgse dmoniaque. De fait
contrarius substantiv nest pas rare chez les Pres pour dsigner le diable ou les dmons :
voir les rfrences dans A. Blaise - H. Chirat, Dictionnaire latin-franais des auteurs chrtiens, chez lauteur (A. Blaise) 1954, 217.
316. Hom. 8 in Iud. 2 : GCS, Origne, 7, 522 : La multitude des dmons a t compare
aux sauterelles parce que le domicile des dmons nest ni le ciel ni la terre.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

251

Quant aux chameaux, leur aspect voque


les princes des dmons, difformes, dmesurs et tortueux, chez lesquels rien
nindique un coeur droit, et qui, brlant des flammes de la dmence, grincent
des dents afin dvacuer plus nergiquement la rage de leur malice.

On arrive ainsi au songe, qui reprsentait un plat dans lequel tournait


un pain317 , faon indirecte (sinuose) de dsigner
le sein de la Vierge Marie dans lequel tournait le Christ, pain de vie, n
dune femme sous la Loi (Ga 4,4), cette Loi que notre Seigneur ntait
pas venu abolir mais accomplir (Mt 5,17) Il vint frapper le camp des
ennemis, savoir toute puissance du diable, et briser toute malice de Satan par la force de sa majest318 .

Mais un pain dorge est-il apte signifier un tel mystre ? Les interprtations rapportes par Procope tmoignent davis diffrents. Pour les uns,
le pain dorge, aliment fruste, est le signe de la temprance (egkrateia)
grce laquelle la victoire a t remporte sur le camp de Madian. Pour
les autres, limage vise non les soldats de Gdon mais leurs adversaires :
la nature grossire du pain fait penser la dbauche qui caractrisait les
Madianites et par laquelle ils avaient nagure dvoy Isral (Nb 25,118)319 . Augustin retient le mme aspect, mais pour lappliquer la fondation de lglise : cette figure a la mme signification que celle des chiens :
le Sauveur devait confondre les superbes par ce qui est mprisable aux
yeux du monde (1 Co 1,28)320 .

Le raid nocturne : cruches et trompettes (Jg 7,15-22)


Lopration-surprise dcrite en Juges 1,15-22, notamment le stratagme mis
en oeuvre par Gdon, na pas manqu danimer la verve allgorique des
Pres. Mais avant den venir au dtail, notons, avec Thodoret, que Dieu, en
317. Magis itaque illa vel maggida in qua panis volvebatur. Le texte biblique (Jg 7,13) cit

par Grgoire porte :et ecce magida panis hordeaceus volvebatur in castra Madian, o le
mot magis est pris dans son sens de rcipient et o, corollairement figure un in qui ne
correspond ni lhbreu ni aux Septante : dans ceux-ci kai
( idou magis artou krithiniou) le
mot magis signifie miche ou galette. tant donn que Grgoire se singularise sur ce
point (voir T. Ayuso Marazuela, La Vetus Latina Hispana, II, Madrid 1967, 294-295), on le
souponne davoir, ici encore, modifi le texte de sa citation en vue de lexgse qui suit.
318. Tract. Origenis 14,5-16 : CChSL 69, 107-110.
319. Com. in Iud. : PG 97/1, 1068.
320. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 39 : CChSL 33, 351-352.

252

S. LGASSE

la circonstance, sest servi de soldats sans quipement guerrier (gymnois),


annonant ainsi lenvoi des aptres, pareillement dmunis, dans lunivers321 .
Cest aussi un mystre prophtique que, daprs Grgoire le Grand, recle
lentreprise de Gdon, car elle chappe aux rgles habituelles du combat :
Qui en effet est jamais venu au combat avec des cruches et des lampes ?
Qui, savanant contre des armes, a nglig les armes ? Ce serait l pour
nous choses bien ridicules si elles navaient t terribles pour les ennemis.
Mais nous avons appris, au tmoignage de la victoire, ne pas tenir pour
ngligeable ce qui sest pass. Ainsi Gdon, savanant au combat, signifie lavnement du Rdempteur, au sujet duquel il est crit :Tollite
portas, etc. (Ps 23,7.9)322 .

Mais examinons ce qui compose cet trange armement. Origne donne


llan allgorique. Les torches, selon lui, renvoient aux lampes allumes,
symbole de la vigilance chrtienne (Lc 12,35 ; Mt 25,1-13)323 , ainsi qu
la lumire que le Christ exhorte ses disciples faire briller devant les hommes (Mt 5,16) : Cest avec de telles lampes que doit combattre le soldat
du Christ, brillant de la lumire des oeuvres et de la splendeur des actions.
Et pour les trompettes : Celui qui parle des choses clestes, qui disserte
des ralits spirituelles, qui rvle les mystres du Rgne des Cieux (Mt
13,11), celui-l sonne du buccin. La matire dont sont faites ces trompettes nest pas non plus sans signification. En effet il est dit du saint : <Sa
corne sera exalte dans la gloire> (Ps 111,9). De l, la trompette de chacun
est dite de corne, du fait quelle expose la science multiple du Christ et les
mystres de sa croix qui est dsigne par la corne.
Origne conclut son homlie par cette exhortation :
Que dans cette guerre la lumire des oeuvres, la forme de la science, la
prdication de la parole divine nous prcdent. Combattons nous aussi par
des hymnes, des psaumes et des cantiques spirituels, chantant et clamant
vers Dieu (Col 3,16 ; Ep 5,19), pour que nous mritions dobtenir de lui
la victoire dans le Christ Jsus, notre Seigneur, qui est la gloire dans les
sicles des sicles. Amen324 .

Alors que Thodoret considre ici lenvoi des aptres portant les torches des miracles et la trompette de la prdication325 , cest aux cruches
321. Qu. in Iud. 16 : PG 80, 501; idem Procope,Com. in Iud. : PG 87/1, 1068.
322. Mor. in Iob 30,25 : PL 76, 565. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud. : PL 83,
383-384.
323. Procope (Com. in Iud. : PG 87/1, 1069) renvoie explicitement aux vierges sages de
lvangile.
324. Hom. 9 in Iud. 2 : GCS, Origne, 7, 521-522.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

253

que sattache tout particulirement Grgoire dElvire, intarissable comme


de coutume. Ayant indiqu ses ouailles que le mot hydriae de son texte
biblique signifie chez les grecs vasa aquaria, il na pas de peine voir dans
ces rcipients limage de nos corps de chair, faits de limon du sol (Gn 2,7)
et prpars en vue de leau du baptme : Paul ne les compare-t-il pas des
vases dargile (2 Co 4,7) ? Mais les cruches de Gdon taient vides (Jg
7,16), images des corps non encore baptiss. Cependant, si tel est le symbole, pourquoi briser les cruches ?Voici la rponse : Personne ne doute,
frres, quaucun chrtien ne puisse remporter la victoire sur ses ennemis
sil na, au pralable, bris en son intrieur ses oeuvres charnelles par la
force de lesprit. Mais tout est loin dtre dit sur ces cruches, et lpisode
de Jrmie chez le potier (Jr 18,3-4) nous apprend que lhomme, dabord
form limage de Dieu mais ensuite contamin par le pch, navait pas
encore t cuit par lEsprit de feu dans le four de lglise. Cest pourquoi
il a fallu le refaire et, dans ce but, il a t bris puis, tel largile, remodel
selon de justes proportions dans leau du baptme. Le divin potier
a plong lme dans la piscine baptismale puis, len ayant retire, la mise
sur la roue de lvangile en la faisant tourner par les mouvements prcipits des professions de foi. Alors, il a rendu lme bien structure par ses
engagements, coordonne par les liens de la rgle de vie et, du fait quelle
tait galement enflamme de lardeur de lEsprit, apte et capable de recueillir la grce cleste.

cette exgse sacramentelle Grgoire joint lexhortation morale. Les


cruches brises indiquent aussi que dans le combat de la perscution nous
ne pouvons vaincre le diable, notre ennemi, que si nous brisons nos corps
par le martyre, par la varit des supplices et, pour finir, par la mort ellemme. Mais il y a aussi les torches et les trompettes. Les premires reprsentent les torches du martyre et les flambeaux resplendissants de la foi.
Que le chrtien brise les vices charnels ou quil subisse le martyre, il
manifeste aux gars la lumire de la vrit que recouvrent, dans la nuit
de ce monde, les tnbres de lignorance. Cest ainsi galement qu
limage des vierges de lvangile, il va au devant du Seigneur poux lors
de sa venue et pntre avec lui dans la chambre nuptiale. Enfin
nous utilisons aussi des trompettes, qui sont les louanges des oeuvres divines, par lesquelles, grce nos sonneries guerrires, nous tenons en haleine les soldats du Christ, ou bien nous pouvons, en faisant retentir le
bruit dune rauque fanfare, terrifier les rebelles et rveiller les dormeurs326 .
325. Qu. in Iud. 16 : PG 80, 504.
326. Tract. Origenis 14,23-29 : CChSL 69, 111-112.

254

S. LGASSE

Grgoire le Grand stend lui aussi sur le singulier attirail des soldats
de Gdon dont il donne, demble, la triple signification par une manire
de lexique : les trompettes dsignent la clameur des prdicateurs (de
lvangile) ; les torches, la clart des miracles ; les cruches, la fragilit des
corps. En fait, le dveloppement qui suit est centr avant tout sur le martyre des aptres et la conversion des perscuteurs :
Ceux que notre Chef a mens avec lui au combat de la prdication ont t
tels que, mprisant le salut des corps, ils ont abattu leurs ennemis en mourant eux-mmes et triomph de leurs pes non par des armes, non par des
pes, mais par le support. Car cest bien sans armes que nos martyrs sont
venus au combat sous le commandement de leur Chef, mais avec des
trompettes, mais avec des cruches, mais avec des torches ! Ils ont sonn
de la trompette en prchant ; ils ont bris les cruches en opposant aux glaives ennemis leurs corps pour tre briss par la souffrance ; ils ont brill
par les torches quand, aprs la destruction de leurs corps, ils ont tincel
par les miracles. Et sans attendre, les ennemis en fuite se sont retourns :
voyant tinceler de miracles les corps des martyrs dfunts, briss par la
lumire de la vrit, ils ont cru ce quils avaient combattu.

Tant il est vrai que les prdicateurs de lvangile ont remport plus de
succs une fois morts327 que par laction quils menrent de leur vivant,
autrement dit,
les ennemis ont rsist aux cruches328 , mais ils se sont enfuis devant les
torches. Car les perscuteurs de la sainte glise ont bien rsist aux prdicateurs de la foi tant quils se trouvaient dans leurs corps; mais aprs la
destruction de ceux-ci, ils ont pris la fuite lapparition des miracles, tant
donn que, saisis de frayeur, ils ont cess de perscuter les fidles. En
dautres termes, par la prdication des trompettes, les cruches des corps
tant brises, ils ont t terrifis en voyant les torches des miracles.

Mais il ne faut pas ngliger un dtail : les soldats de Gdon tenaient leur
trompette dans la main droite et leur cruche dans la gauche. Or, daprs lestimation courante, la droite quivaut ce qui est important, la gauche ce qui
est ngligeable. Do lapplication : les martyrs du Christ ont en haute estime la grce de la prdication; ils tiennent en revanche pour peu de chose
lintrt des corps. Mais les torches voquent aussi la lampe que, selon lvangile (Mt 5,15), on ne doit pas mettre sous le boisseau, cest--dire lavantage
temporel, lequel ne doit pas cacher la lumire de la prdication, ce que, en
327. Cest lunion mystique, on la prdication de lvangile que saint Jean de la Croix
applique le mme pisode dans la Monte du Carmel, l. II, ch. 10.
328. entendre symboliquement non daprs la lettre du texte biblique.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

255

vrit, aucun lu ne fait. Il convient au contraire de placer cette lumire sur


le candlabre, soit la condition corporelle sur laquelle la lampe est pose
quand on fait passer le soin de la prdication avant ce mme corps329 .

Eau du torrent et guerre sainte : baptme et ascse


Remontons dans le pass et quittons lglise grecque et latine pour la syriaque en unissant les deux pisodes de Juges 7,1-8 et 7,15-22. La VIIe
Dmonstration dAphraate Sur les pnitents concerne les asctes330 qui,
stant engags, lors de leur baptme, vivre dans la continence, ont succomb par la suite. Aphraate les exhorte confesser leur faute leur pre
spirituel, tandis que celui-ci est invit leur rserver un accueil plein de
misricorde. Puis, les pnitents devront revenir leurs premiers engagements. Cest rappeler ces derniers quest consacre une exhortation dont
lessentiel paraphrase les consignes de guerre du Deutronome (20,1-9)331 .
Elle commence par ces mots :
vous qui avez t appels au combat, coutez le son de la trompette et
prenez courage. Je madresse aussi vous qui portez les trompettes, prtres, scribes et sages

Aprs cette tirade, en prose rythme, Aphraate poursuit :


Et je vous dis vous, joueurs de trompette, quand vous aurez achev votre exhortation, voyez qui retourne en arrire et observez ceux qui restent;
faites descendre leau de lpreuve ceux qui soffrent eux-mmes au
combat. Quiconque est vaillant, leau lprouvera ; mais ceux qui sont lches seront carts de l332 .

329. Mor. in Iob 30,25 : PL 76, 566-567. Sur cette institution prmonastique dans les communauts syriaques, objet dun long dbat, voir les remarques de T. Jansma, Aphraates
Demonstration VII 18 and 20. Some Observations on the Discourse on Penance, PdO 5
(1974) 21-48 ; R. Murray,Symbols of Church and Kingdom. A Study in Early Syriac Tradition, Cambridge 1975, 12-17. Il est loin dtre prouv que les connexions asctiques du
baptme, lpoque et dans le milieu dAphraate, aient perdu de leur vigueur et que lexhortation de Dm. VII,18 nait t alors quune simple survivance liturgique, comme le
soutient A. Vbus, Celibacy, a Requirement for Admission to Baptism in the Early Syrian
Church, Stockholm 1951; Idem, A History of Asceticism in the Syrian Orient (CSCO, subs.,
14, t. I), Louvain 1958, 93-95, 175-178.
330. Voir R. Murray, The Exhortation to Candidates for Ascetical Vows at Baptism in the
Ancien Syriac Church, NTS 21 (1974-75) 59-80 (60-61) ; Idem,Symbols, 15.
331. Voir Murray, The Exhortation ; Idem,Symbols, 15.
332. Dm. VII,18 : PS I/1, 341 et 344.

256

S. LGASSE

Telle est la discrimination que prfigure lpisode du torrent en Juges 7,47, type du baptme, symbole du combat (asctique) et image des <solitaires>, peu nombreux comme les trois cents guerriers de Gdon et conformes
la sentence vanglique : Beaucoup sont appels, mais peu sont lus (Mt
22,14)333 . Suit une parnse devant tre adresse aux candidats au baptme
par les joueurs de trompette, les hrauts de lglise et dont le sens est de
mettre ces candidats devant un choix : quils dcident avant le baptme sils
veulent mener la vie asctique ou tre chrtiens maris, grant leur proprit
et les affaires de ce monde334 . Aprs quoi, les ministres conduiront leau
du baptme ceux qui auront t choisis pour le combat et ils les prouveront.
Ici la comparaison avec les guerriers de Gdon devient boiteuse335 : ce nest
pas en effet pendant la crmonie du baptme que les prtres pouvaient observer les critres permettant de slectionner les sujets aptes la vie asctique ! Mais pour qui lenseignement est avant tout une paraphrase scripturaire
ladhsion au texte sacr devient une ncessit. Cest pourquoi Aphraate continue en mettant au jour le grand mystre que recle lordre donn par Dieu
Gdon : Quiconque aura lap leau comme un chien doit aller au combat
(daprs Jg 7,5). Ce mystre, le voici :
De tous les animaux qui ont t crs avec lhomme aucun naime son
matre comme le chien, ni ne veille jour et nuit ses cts. Quoique son
matre le frappe souvent, il ne le quitte pas. Quand il accompagne son
matre la chasse et quun lion vigoureux tombe sur ce dernier, il donne
sa vie sa place. Cest ainsi que se comportent ls vaillants qui se sont mis
part au moyen de leau. Ils suivent leur matre comme des chiens, donnent leur vie pour lui, mnent courageusement son combat et veillent jour
et nuit ses cts. Ils aboient comme des chiens, mditant la loi jour et
nuit (Ps 1,2). Ils aiment notre Seigneur et lchent ses plaies (Lc 16,21)
quand, recevant son corps, ils le placent sous leur regard336 et le lchent
de leurs langues comme le chien lche son matre. Ceux, par contre, qui
ne mditent pas la loi sont appels chiens muets qui ne peuvent aboyer
333. Dm. VII,19 : PS I/1, 244-345.
334. Dm. VII,20 : PS I/1, 345.
335. Voir E.J. Duncan, Baptism in the Demonstrations of Aphraates the Persian Sage,

Washington 1945, 102-103.


336. Allusion un mode de rception de leucharistie (voir aussi Dm. XX,8 : PS I/1, 905)

dont tmoignent Cyrille de Jrusalem Cat. myst. 5,21-22 (PG 32, 1123-1126) et Jean Damascne, De fide orth. 4,13 (PG 94, 1149). Le premier exhorte ainsi le fidle : puisque sur
ta main droite va se poser le Roi, fais-lui un trne de ta gauche ; dans le creux de ta main
reois le corps du Christ, et rponds : Amen. Aprs avoir avec attention sanctifi tes yeux
par le contact du saint corps, prends-le et veille nen rien laisser perdre (trad. J. Bouvet,
Saint Cyrille de Jrusalem Catchses baptismales et mystagogiques, Namuir 1962, 485).

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

257

et tous ceux qui ne sadonnent pas au jene sont appels chiens avides337
et incapables de se rassasier (Is 56,10-11). Mais ceux qui sappliquent
implorer la misricorde reoivent le pain des enfants et on le leur jette (Mt
15,6)338 .

Laissant le symbolisme des chiens, Aphraate se tourne ensuite vers


lautre groupe, ceux qui sont exclus :
Que ceux qui se prosterneront pour boire de leau naillent pas avec toi au
combat (Jg 7,5), de peur quil ne succombent339 et ne soient vaincus dans
le combat. En effet ceux qui buvaient leau paresseusement prfiguraient
la chute (spirituelle). Cest pourquoi, mon trs cher, il convient que ceux
qui doivent succomber au combat ne ressemblent pas ces lches, de peur
quils ne tournent le dos la bataille et de ne deviennent un objet de mpris pour leurs compagnons340 .

Autrement dit, que les chrtiens qui se savent inaptes la continence


naillent pas se joindre ceux qui sengagent sur cette voie en recevant le
baptme ; ils sexposeraient un lamentable retour en arrire.
Ainsi se dveloppe une typologie au service dune double conception
de la vie chrtienne et, conjointement, des implications du baptme. On
retrouve cette conception, avec le lot dimages guerrires qui la sous-tend,
dans les hymnes baptismales, dites Sur lpiphanie, attribues
phrem341 . Cest le cas, tout particulirement, de lhymne 8 (strophes 1617)342 . Moins suggestive de ce point de vue, lhymne 7 (strophes 8-9) tou337. Littralement dont lme est avide.
338. Dm. VII,21 : PS I/1, 348-349.
339. Il est peu prs impossible de rendre en franais la concidence du syriaque qui emploie ici le mme verbe nfal pour tomber terre ou se prosterner et succomber dans
la bataille.
340. Dm. VII,21 : PS I/1, 349. Gdon figure aussi enDm. XXI,22 : PS I/1, 985, entre
Samson et Barac, dans un catalogue rythm de justes perscuts. Sur cette forme littraire,
voir R. Murray, Some Rhetorical Patterns in Early Syriac Litterature, dans :A Tribute to
A. Vbus, Chicago 1977, 109-131.
341. Lauthenticit de ces hymnes, mise en doute par E. Beck (CSCO, 187, syr. 83, V-VI)
est confirme, au moins pour certaines dentre elles, grce deux tudes de A. De Halleux,
Une cl pour les hymnes dphrem dans le ms. Sinai Syr. 10, Le Muson 85 (1972) 171197 : Idem, La transmission des hymnes dphrem daprs le ms. Sinai Syr. 10, dans :
Symposium Syriacum 1972, OrChrA 197 (1974) 21-62 (38).
342. CSCO 186, syr. 82, 173. Concernant les deux degrs de la vie chrtienne daprs
phrem, voir E. Beck, Asctisme et monachisme chez saint phrem, OrSyr 3 (1958) 273298. On notera cette apprciation de lauteur : Selon toute vraisemblance, on peut affirmer que la tradition, en clbrant phrem en tant que moine, a confondu le monachisme
avec lasctisme de la jeune glise, et quelle a complt le portrait de lascte phrem par
certains traits dun pseudo-moine phrem (298).

258

S. LGASSE

che directement notre sujet. Ici lexemple de Gdon et de sa troupe figure


au milieu dune srie de types bibliques du baptme :
partir de leau Gdon sest choisi les hommes qui ont triomph dans la
bataille.
Vous tes descendus dans leau pure; remontez, triomphez au combat.
Recevez de leau le pardon et du combat le couronnement.
Baptiss, prenez vos lampes, comme les gens de Gdon ont pris des
torches.
Triomphez des tnbres par vos torches et du silence par vos hosannas.
Car Gdon, lui aussi, dans la bataille, a vaincu par le son (des trompettes) et la flamme343 .

Sans vouloir enquter ici sur larrire-plan de cette adaptation du motif


de la guerre sainte au baptme et ses implications asctiques344 , remarquons que le rcit des Juges a contribu pour sa part exprimer une conception qui a profondment marqu le christianisme syriaque et na pas t
sans conditionner son volution au cours de sicles.

Gdon idoltre ? (Jg 8,24-27)


Avec le butin pris sur les Madianites, Gdon fit un phod et lrigea dans
la ville, Ophra. Tout Isral alla se prostituer derrire (cet phod) et il fut
un pige pour Gdon et toute sa maison (Jg 8,27).
Au sujet de lphod de Gdon, les Pres de Lglise se situent loccasion sur le plan technique345 . Thodoret le confond purement et simplement
avec le vtement du grand prtre, auquel tait attach le rational (logion)346 .
Il prcise que celui-ci jouait le rle dinstrument divinatoire et servait en particulier indiquer la future victoire pendant la guerre (1 S 14,18-19)347 . Cest
aussi au vtement (ependyma ou epmis, superhumerale) du grand prtre que
songe dabord Augustin, qui ne tarde pas cependant sinterroger : comment
Gdon a-t-il pu y introduire lnorme quantit dor prleve sur lennemi
343. CSCO 186, syr. 82, 164.
344. Voir ltude approfondie de Murray, The Exhortation, 67-80.
345. En vue de dbrouiller le rapport entre les diverses acceptions de lphod dans la Bible

voir De Vaux, Les institutions de lAncien Testament, II, 200-206 ; Elliger,Leviticus, 116-117.
346. Logion ou logeion dsigne le pectoral dans les Septante et les autres versions grecques
de la Bible chez Josphe (AJ III,163), Philon (Vita Mos. II,13), et gard la fonction oraculaire de cet ornement. Ltymologie du terme hbreu correspondant (hoshen) est discute.
La Vulgate rend machinalement le grec par rationale.
347. Qu. in Iud. 17 : PG 80, 504.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

259

(Jg 8,26) ? Car il sagissait bien dune vtement, comme le confirme lexpression ephud bar (= ephod bad) pour dsigner la tunique de lin que la mre
de Samuel fit pour son fils (1 S 2,18). Augustin offre une premire solution
ce problme : le vtement en question tait tout en or et si raide quil pouvait
tenir debout : il nest pas dit en effet que Gdon le dposa, mais quil le
dressa (statuit). Plus loin cependant Augustin envisage dautres possibilits.
La premire est de comprendre lphod comme pars pro toto : avec lor des
dpouilles Gdon aurait fond un sanctuaire, avec tous ses ornements et
ustensiles sacrs, parmi lesquels figurait lphod pontifical ; celui-ci les rsumait tous, tant le vtement par excellence du sacerdoce. Mais on peut
aussi penser que Gdon, pour confectionner lphod, nutilisa quune partie
des dpouilles, juste ce qui tait ncessaire348 .
Plus dlicat est le problme pos par lidoltrie que Gdon dclencha
par cette opration. Thodoret sefforce dinnocenter notre hros : si, apparemment, celui-ci commit une infraction la Loi, puisque seuls les prtres
pouvaient porter lphod, en fait on ne peut laccuser dimpit (asebeia).
Car, dabord, tant prince et stratge, il avait besoin de cet accessoire pour
sorienter dans ses campagnes, comme ce fut le cas plus tard pour Sal (1 S
14,18-29). Quant au rle idoltrique de cet objet, Gdon nen est pas responsable : cest le peuple qui, loccasion de lphod, a sombr dans liniquit. Mal lui en prit dailleurs, car ce qui arriva par la suite Abimlek et
aux Sichmites (Jg 9,22-49) montre assez que laccord pervers de ceux qui
usrent de (lphod) procura leur massacre gnral du fait de la dissension
laquelle cet accord aboutit. Car ceux qui sentendirent pour massacrer les
fils de Gdon (Jg 9,5) se dtruisirent mutuellement349 .
Pour Augustin en revanche, Gdon fut bel et bien coupable dans cette
affaire. Non quil ait dvoy le peuple en rigeant lui-mme une idole :
lphod nen tait pas une mais un vtement sacerdotal. Pourtant il tait
interdit de faire quoi que ce soit de semblable en dehors du cadre du tabernacle et de son culte. En effet si, consacrs au culte de Dieu dans le tabernacle, de tels objets taient par le fait mme labri dhommages
idoltriques, il nen allait pas de mme quand ils se trouvaient hors du
sanctuaire lgitime. Ce fut donc une faute qui entrana la perte de Gdon
et de sa famille350 . Mais nouvelle question comment se fait-il que, selon la Bible (Jg 8,28), le pays ait t en repos pendant quarante ans, alors
que Gdon venait dentraner Isral dans le pch en rigeant lphod ?
348. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 41 : CChSL 33, 352-354.
349. Qu. in Iud. 17 : PG 80, 504-505.
350. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 41 : CChSL 33, 352-355.

260

S. LGASSE

Cest que le rcit procde par prolepse : lauteur a joint la description


des dpouilles lusage quen fit Gdon. En ralit, celui-ci ne commit sa
faute qu la fin de sa vie et cest alors que le chtiment sabattit sur sa
descendance351 . Mais on pourrait galement admettre que lphod fut rig
plus tt, selon lordre du rcit biblique, tout en notant que cette transgression fut moindre que celle des Isralites aprs la mort de Gdon (Jg 8,33).
Lphod, qui contrevenait assurment la volont de Dieu, restait en luimme un objet destin au culte lgitime du tabernacle. En revanche, le
culte des idoles ne peut mme pas sautoriser du prtexte fallacieux de
suivre la religion des pres. Cest pourquoi Dieu, qui avait tolr patiemment lphod au point daccorder la paix au pays, ne put laisser impunie
lidoltrie flagrante (apertissimam post idola fornicationem) commise par
la suite352 .

Grandeur et vertus de Gdon


Le premier auteur chrtien mentionner Gdon est celui de lptre aux
Hbreux, o Gdon figure en tte dune numration de hros de la foi
dans lancienne alliance : Et que dirai-je encore ? Le temps me manquerait si je racontais ce qui concerne Gdon, Barac, Samson, Jepht, David,
ainsi que Samuel et les prophtes. Parmi eux il en est qui, grce la
foi montrrent de la vaillance la guerre, refoulrent des invasions trangres (11,32-34). Nul doute quici Gdon ne soit inclus.
Quant aux Pres de lglise, lestime dans laquelle ils le tiennent dpasse de beaucoup ce quon peut recueillir dans la littrature juive. Mais il
faut remarquer que plusieurs dentre eux ont de bonnes raisons pour cela :
non seulement Gdon, par son action anti-idoltrique, fut un matre denseignement (didaskalos) parmi ses contemporains353 , mais il tait encore
prophte. Non quil ait prononc des oracles, mais la typologie guide ici la
lecture et permet de saisir travers tout acte et toute parole du hros une
prfiguration des ralits chrtiennes et, partant, de lui attribuer une vue
prophtique sur lavenir. Si Gdon se comporte et sexprime de faon parfois surprenante, ce ne saurait tre sans motif. Un homme si grand et dun
telle qualit (vir tantus et talis), dont le saint aptre crivant aux Hbreux

351. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 42 : CChSL 33, 254.


352. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 43 : CChSL 33, 354-355.
353. Thodoret, Qu. in Iud. 14 : PG 80, 501.

EXGSE JUIVE ET EXGSE PATRISTIQUE

261

(lptre est attribue Paul) fait mention dans le catalogue des prophtes
(He 11,32), prvoit en effectuant chacune de ses dmarches toute sorte de
mystres354 . Partout il reconnat par la vigueur de son esprit le symbole
dune ralit spirituelle355 et, dou dun sens prmonitoire, il ne cesse de
prter attention aux mystres den haut356 . Jusquau nom mme de Gdon qui, nous lavons vu, annonce lincarnation du Fils de Dieu !
Mais il convenait quune fonction aussi sublime saccompagnt de la
plus haute qualit morale. Alors que tel Pre vante la modestie de Gdon357 , cest la foi qui, au jugement de lensemble, constitue sa vertu principale, comme il dcoule dHbreux 11,32. Homme trs croyant358 , cest
en mettant sa foi en Dieu quil a triomph de tant de milliers dennemis
avec trois cents hommes, ce qui explique que Paul lait compt au nombre des croyants359 . Cest dans cette perspective que, selon Thodoret, il
faut comprendre lordre divin en Juges 6,14 : V
a avec cette force qui est
tienne revient dire : A
vec cette foi dispose tes troupes et tu vaincras.
Gdon en effet, daprs le verset prcdent, se souvenait des merveilles
accomplies par Dieu et il avait sur Dieu une doctrine ferme (bebaian
doxan) qui lamenait penser que Dieu pourrait, sil le voulait, sauver facilement (les Isralites) des calamits qui les opprimaient360 . Aussi ne
faut-il pas stonner que certains Pres361 nhsitent pas gratifier Gdon
du titre de saint.
Simon Lgasse, ofm cap
Institut Catholique, Toulouse

354. Origne, Hom. 8 in Iud. 5 : GCS, Origne, 7, 514.


355. Ambroise, De Vid. 18 : PL 16, 240.
356. Ambroise, De Spir. sancto I, Prol., 4 : CSEL 79, 17.
357. Thodoret, Qu. in Iud. 13 : PG 80, 501 metrii
:
kechrmenos phronmati, propos de

la rpartie en Jg 6,15.
358. Origne, Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne, 7, 513.
359. Procope, Com. in Iud. : PG 87/1, 1065.
360. Qu. in Iud. 13 : PG 80, 501.
361. Origne, Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne, 7, 513 sanctus,
(
sanctissimus Gedeon) ;

Ambroise, De Spir. sancto I, Prol., 5 : CSEL 79, 17 sanctus


(
Gedeon) ; Prol., 11 : CSEL
79, 20 (sanctus Hierobaal) ;De vid. 18 : PL 16, 240 sanctus
(
Gedeon).

262

S. LGASSE

Sources juives (ditions utilises)


Aggadat Esther : d. S. Buber, Cracovie 1897 ; Vilna 1925 (seule cette dernire dition a
t utilise).
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Krauss, 9 vol., Vienne 1878-1885 (rimpr. New York 1955).
Cantique rabba : d. Sh. Dunsky, Jrusalem - Tel Aviv 1980.
Chronique de Yerahmel : M. GASTER,The Chronicles of Jerahmeel Translated for the
first time from a unique manuscript in the Bodleian Library together with an introduction, critical notes Prolegomena by F. Schwarzbaum, New York 1971 (1re d. 1899).
Deutronome rabba : d. S. Liebermann, Jrusalem 1964, 2e d.
Flavius Josphe, Oeuvres, d. et trad. de H.St. Thackeray - R. Marcus - A. Wikgren - L.H.
Feldman, coll. (The Loeb Classical Library), 9 vol., Londres - Cambridge (Mass.) 19261965 (rimpr. diverses). - Les Antiquits juives. tablissement du texte, trad. et notes
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Gense rabba : d. J. Theodor - Ch. Albeck, 3 vol., Berlin 1912-1936 ; 2e impression avec
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Mekhilta de Rabbi Ishmael : d. H.S. Horiwitz - I.A. Rabin, Jrusalem 1960, 2e d.
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Midrash ha-gadol : d. M. Margulies - A. Steinsalz - Z.M. Rabbinowitz - S. Fisch, 5 vol.,
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Midrash rabba : texte traditionnel, 2 vol., Vilna 1878 (rimpr. Jrusalem 1961).
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Pirq de-Rabbi Eliezer. A Critical Edition Codex C.M. Horowitz, Jrusalem 1972.
Philon :Les Oeuvres de Philon dAlexandrie, publies sous le patronage de lUniversit de
Lyon par R. Arnaldez - C. Mondsert - J. Pouilloux, 36 vol., Paris 1961-1992.
Pseudo-Philon, Les Antiquits bibliques. T. I Introduction
:
et texte critique par D.J. Harrington,
traduction par J. Cazeau, revue par Ch. Perrot et P.-M. Bogaert. T. II :Introduction littraire, commentaire et index par Ch. Perrot et P.-M. Bogaert (SC 229-230).
Sifr Nombres et Sifr zuta : d. H.S. Horowitz, Leipzig 1917 (rimpr. Jrusalem 1966).
Sifr Deutronome : d. L. Finkelstein - S. Horowitz, Berlin 1939 (rimpr. New York 1969).
Seder Eliahu rabba et Seder Eliahu zuta : d. M. Friedmann, Vienne 1902 (rimpr. Jrusalem 1969).
Seder Olam rabba : d. B. Ratner - S.K. Mirsky, New York 1966.
Talmud babylonien : texte traditionnel, 20 vol., Vilna 1880-1886, etHebrew-English Edition of the Babylonian Talmud, 26 vol., Londres 1960-1990.
Talmud palestinien : d. Krotoschin, 1866 (rimpr. Jrusalem 1969).
Targum : A. Sperber (d.),The Bible in Aramaic. II :The Former Prophets according to
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Tosefta : d. M.S. Zuckermandel (1880-1882), avec supplment de S. Liebermann. Nouvelle dition avec notes additionnelles et correction, Jrusalem 1970.
Yalqut Shimoni : texte traditionnel, d. B. Landau, 2 vol., Jrusalem 1960 (cit suivant le
remez et les pages de cette dition).

IL SENO DEL PADRE (Gv 1,18)


NELLA PATRISTICA PRECALCEDONESE

M. C. Paczkowski

La tradizione dellesegesi cristiana dei primi secoli ricca di tante esperienze metodologiche e acquisizioni dottrinali. Ne fa parte il prologo del
IV Vangelo che, com largamente dimostrato, incide sulla riflessione della Chiesa antica. Sicuramente conviene seguire la linea interpretativa su un
punto scarsamente conosciuto: le risonanze dellespressione giovannea
seno del Padre (cf. Gv 1,18). Il materiale analizzato permetter di porre
in evidenza alcuni elementi che sono da considerare non solo come prodotti delle controversie, ma anche come acquisizioni dellesegesi cristiana
antica.

Dalle ascendenze giudeocristiane allinterpretazione gnostica


La riflessione dei primi Padri su Gv 1,18 attraversata da orizzonti
giudeocristiani e gnostici. Gi nel Vangelo di Verit si legge un testo particolarmente indicativo: il Padre scopre il suo seno; il suo seno lo Spirito
Santo1. Lidentificazione del ko/lpo con il pneuvma presente anche nelle
Odi di Salomone (Il Verbo) - dice il testo - esiste nel seno del Padre, invisibile, senza divisione, un solo Dio2. Tuttavia gi lautore dellVIII libro
degli Oracoli Sibillini si esprime in un modo molto simile al prologo di
Giovanni: Sorto nel tuo seno prima di ogni creatura, / il consigliere egli ,
degli uomini il creatore e della vita lautore3. Lapocrifo inculca che la
prima genesi avviene tramite il Logos preesistente. Il suo frutto luomo, creato a immagine di Dio, pur essendo di terra e mortale. Gli ambienti

1. Il Padre [] scopre il suo seno, il suo seno lo Spirito Santo. Egli manifesta ci che di

lui era nascosto ci che di lui era nascosto suo Figlio , in modo che per le sue
misericordie gli eoni lo conoscano e cessino di soffrire nella ricerca del Padre, riposandosi
in lui, sapendo che questi il riposo. Ev. Veritatis XII; 9-20; cf. J. Mnard (par),
Lvangile de vrit (Nag Hammadi Studies 2), Leiden 1972, 51.
2. Cf. 19,4; 28,2.5: J.H. Charlesworth (ed.), The Odes of Salomon, Missoula 1977, 82; 109.
3. Oracula Sib. 439-440: GCS 8, 170.
LA 50 (2000) 263-314

264

M. C. PACZKOWSKI

manichei invece compresero lespressione giovannea come il luogo dove


si attua la fecondit materna4.
Nella polemica antignostica di Ireneo di Lione si incontra un numero
considerevole di citazioni giovannee che egli fu costretto a spiegare o alle
quali allude. Ci attesta che il vescovo di Lione si trov di fronte ad una
elaborazione ereticale abbastanza vasta dei principi giovannei5. Nel contesto polemico questo autore riprende la dottrina giovannea per ribadire che
il Figlio manifesta il Padre. Tutte le creature apprendono che
c un solo Dio Padre che contiene tutte le cose, che d a tutti lesistenza, cos come detto nel Vangelo: Dio nessuno lha mai visto, ma il
Figlio Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18).
Cos sin dallorigine il Figlio rivela il Padre, poich sin dallorigine
con il Padre6.

Invece nel libro III troviamo la citazione di Gv 1,18 in riferimento allincarnazione che permette agli uomini di comprendere e di vedere il Figlio di Dio7. In realt il Dio invisibile pu essere visto per mezzo del Figlio,
il quale non al di fuori di lui, ma esiste nel seno del Padre8.
Ireneo di Lione propone anche un altro tipo di interpretazione del seno
del Padre, considerandolo come luogo di elezione dei salvati. (Cristo) si
prodigato [] per pura bont al fine di raggrupparci nel seno del Padre
(ut nos colligeret in sinum Patris)9.
Clemente utilizza il vangelo giovanneo per confutare alcuni presupposti estranei alla fede cristiana. Negli Exerpta ex Theodoto questa caratteristica particolarmente evidente. E lui che ha rivelato il seno del Padre,
lui - il Salvatore. Riferendosi alla citazione di Is 65,7 lautore degli
Exerpta spiega il significato del seno come pensiero (ennoia)10 che ri4. Cf. Acta Archelai 47: PL 10, 1508 A-B.
5. Cf. il prospetto delle citazioni elaborato da J. Hoh in Die Lehre des hl. Irenus ber das

Neue Testament, Mnster 1918, specialmente a p. 198.


6. Adversus Haer. IV,20,6-7: SC 100/2, 646-647. Ireneo attribuisce le parole di Gv 1,18 al

Signore stesso. Cf. SC 100/1, 252.


7. Cf. SC 210,282.
8. Adversus Haer. III,11,5: SC 211,154-155. Nel paragrafo seguente Gv 1,18 citato per
esteso (cf. ibid. III,11,6: SC 211, 154-155).
9. Adversus Haer. V,2,1: SC 153, 30-31. Nel Testamentum Abr. A 20 si legge che Isacco e
Giacobbe saranno collocati sul seno di Abramo, luogo di beatitudine eterna, dove non c
fatica, tristezza e lamento, ma pace, gioia e vita senza fine. Cf. M.E. Stone, The Testament
of Abraham. The Greek Recensions (Texts and Translations 2) Missoula 1972, 56.
10. Altrove al posto di ennoia Clemente usa enqu/mhsi. Excerpta ex Theodoto 7,1: SC 23
bis, 68-69.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

265

siede nellanima, da dove questo pensiero trae la sua operazione11. In questa maniera il Nostro applica il concetto scritturistico allanima, linterno
pi intimo delluomo12.
Clemente pone le basi della dottrina del Dio benevolo e condiscendente. In realt luomo oggetto dellamore divino. E come non amato colui per il quale lUnigenito inviato dal seno del Padre, come Logos,
ragione della fede13? - si chiede il nostro autore. Queste constatazioni sono
il cuore della dottrina alessandrina e in questo punto sembrano essere in
immediato rapporto con linterpretazione giudeocristiana. Nella sua elaborazione, come in quella degli autori alessandrini, lespressione il seno del
Padre interpretata come il pensiero intimo di Dio e viene purificata da
ogni sospetto di antropomorfismo sconveniente14.
Contempla i misteri della carit e allora vedrai il seno del Padre che soltanto il Figlio Unigenito rivela. Dio stesso carit e per questa carit si
rese visibile a noi; la parte ineffabile di lui Padre, ma la parte che si
resa visibile alla nostra sofferenza madre. Con un atto di carit il Padre
prese natura femminile e il grande segno di questo atto colui che egli
gener da se stesso15.

Con questo rapido accenno, pi che con lanalisi esegetica, Clemente


fa emergere unimmagine gnostica. La generazione del Figlio permette di
presentare la fecondit divina nella sua dimensione femminile16. Tuttavia
non si propone di analizzare il mistero trinitario. E ci perch secondo le

11. Exerpta ex Theodoto 8,1.2: SC 23, 72-73.


12. Il concetto ripreso da Evagrio il Pontico, monaco-teologo e fervente origenista. Per

questo autore il seno sinonimo dellanima. Cf. In Eccl. 7,9 (Scholion 58): SC 397, 162163; In Prov. 25,26 (Scholion 317): SC 340, 408-409. Nella maniera pi diffusa Evagrio ne
parla a proposito di Pr 16,33: Penso che nella misura uguale il seno indica sia lintelletto
che la scienza. Ma c anche il seno riprovevole, che indica chiaramente ignoranza. In
Prov. 16,33 (Scholion 152): SC 340, 246-247.
13. Paedagogus I,3,8: SC 70, 124-125.
14. Sicuramente Clemente doveva conoscere le correnti cristiane, soprattutto di ascendenza
asiatica, che affermavano una certa corporeit di Dio. I loro rappresentanti spingevano in
tal senso alcuni brani scritturistici.
15. Quis dives salvetur 37, 1-2: GCS 30 (17/2), 183-184.
16. Negli Oracula Chaldaica il seno inesprimibile identificato con Rhea-Hecate; cf.
ibid. 56: E. des Places (texte et tr.), Oracles Chaldaques (Les Belles Lettres), Paris 1971,
81. Hecate si identifica con il terzo principio che svolge un ruolo intermediario tra Dio-Padre e lintelletto-Logos. Hecate anche lanima del mondo; cf. G. Sfameni Gasparro,
Oracoli-II: Oracoli caldaici, DPAC, II, 2491.

266

M. C. PACZKOWSKI

concezioni gnostiche nel pleroma17 lelemento femminile identificato con


lo Spirito. Clemente prudentemente fa ruotare tutto il ragionamento intorno allinsegnamento della carit che sottolinea lapertura di Dio verso il
mondo18. Il punto cruciale la tesi dellincarnazione come atto di carit
divina. Indubbiamente il maestro alessandrino si rif al teantrismo di Cristo e crede nella persistenza della natura divina nel Logos preesistente e
poi incarnato19.
Clemente non si ferma solo su queste considerazioni. Negli Stromata,
servendosi di Gv 1,18 introduce nozioni di vera e propria teodicea.
Lapostolo Giovanni (dice): Nessuno ha mai visto Dio; lunigenito Dio,
che nel seno del Padre, ce lha fatto conoscere (Gv 1,18). Riferendosi
allespressione seno di Dio, di per s sconcertante e misteriosa, alcuni
hanno definito il Signore come abisso, che comprende e racchiude tutte le
cose nellintimo di se stesso, senza poter essere raggiunto da nessuno, nella sua infinit [] Indubbiamente un discorso su Dio difficilissimo a
farsi. Se infatti gi unimpresa tuttaltro che semplice discernere il principio di qualsiasi cosa, figuriamoci quando si tratta del primo e pi antico
dei principi, che poi anche la causa dellessere e del divenire di tutte le
cose20.

Le esigenze della polemica antivalentiniana imponevano a Clemente di


andare oltre le prospettive scritturistiche. Egli allude perci al termine buqo/
e identifica il ko/lpo divino con la mente (la Sapienza) di Dio, che tutto conosce e racchiude tutte le cose; nessuno pu uguagliarla perch infinita21.
17. La formazione del pleroma era il tema centrale dellesegesi valentiniana del prologo di

Gv.
18. Cf. A. Orbe, La teologa del Espritu Santo. Estudios Valentinianos IV, Roma 19561966, 82.
19. Cf. G. Gennaro, Il Dio invisibile e il Figlio unigenito (Io. 1,18), RivBibIt 4 (1956) 171.
20. Stromata V, 81,2 - 5: SC 278, 158-159. Sono significative le menzioni del ko/lpo negli
Oracoli caldaici che si possono collegare con il brano riportato. La dottrina espressa in
questa raccolta di oracoli di ispirazione platonica e riguarda loperato di un Dio trascendente. Il testo dichiara: Nel seno della triade tutte le cose sono state sparse; Oracula
Chaldaica 28: de Places, Oracles Chaldaques, 73. Altrove il riferimento alle concezioni
neoplatoniche risulta pi palese: Le idee si dispongono intorno ad un seno terribile, ibid.
37: de Places, Oracles Chaldaques, 75-76. Per le altre menzioni del ko/lpo in Oracula
Chaldaica cf. ibid. 32; 35: de Places, Oracles Chaldaques, 74-75.
21. Clemente insiste sul concetto dellinfinit, per escludere nel Verbo la dimensione di
parzialit. I valentiniani supponevano che lentimema del Padre, manifestando agli uomini
la scienza, si fosse separato dal seno o dalla mente di Dio. Tuttavia, il pleroma sarebbe
rimasto intatto, mentre la sua epifania terrena dovrebbe coincidere con una defezione di
grandezza.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

267

Lautore degli Stromata ricorda lidentica pienezza della divinit nel


Padre e nel Figlio, ma in quanto rappresentante della teologia del Logos,
si mostra molto attento allazione rivelatrice del Verbo. E proprio in questo
contesto si incontra la menzione di Gv 1,18. Il Logos il primo interprete
dei comandamenti divini: Figlio Unigenito che ci dispiega il seno del Padre22. Il Verbo - Redentore rivela quindi il pensiero misterioso di Dio e
indica la via verso il seno del Padre23, nella vita eterna, nel regno dei cieli24. Per Clemente il Verbo il rivelatore di Dio invisibile perch il Figlio Unigenito del Padre. Lui solo, in quanto Figlio che nel seno del
Padre, ha visto Dio che invisibile per essenza. In realt rimane ununica
strada per conoscere quanto ci ignoto: la grazia di Dio ed il solo Logos
che presso di lui25.

Posizione di Origene
Lutilizzo di Gv 1,18 si nota ad Alessandria non solo nel contesto polemico contro la gnosi eterodossa, ma anche nei vari filoni della teologia del
Logos. In realt, dopo le importanti premesse poste da Filone di Alessandria e dal prologo di Gv, la suddetta riflessione si abbozzata nelle opere
degli Apologisti durante il II secolo.
Lanalisi di Gv 1,18 che presenta Origene26 fa parte della sua
cristologia scritturistica, e ci nonostante le inclinazioni speculative e le
formulazioni ontologiche che hanno trovato il loro sbocco in alcuni tratti
del suo Commento a Giovanni. Tuttavia linteressamento dellAlessandrino
verso linizio del IV Vangelo rivela chiaramente che i suoi interessi
cristologici erano stimolati dai problemi suscitati dallo gnosticismo.
Proprio in questo contesto Origene ha dovuto occuparsi dellespressione oJ ko/lpo touv patro/. Lanalisi di questa espressione si inserisce
nellesegesi di tutto il passo di Gv 1,18 e tocca i concetti centrali sui cui
ruotava la disputa tra Origene stesso ed Eracleone. La discussione toccava
22. Stromata I, 26,169: SC 70, 167.
23. Sinesio di Cirene (ca. 370 - ca. 415) ) prega Dio di poter volare dal mondo visibile
verso la tua dimora, verso il tuo seno; cf. Hymnus 1 (3), 37-40: A. Garzya (a cura di),
Opere di Sinesio di Cirene (Classici greci UTET) Torino 1989, 738-739.
24. Quis dives salvetur 42: GCS 30 (17/2), 190.
25. Stromata V, 81,6 - 82,4: SC 278, 160-161.
26. Per il prospetto di citazioni di Gv 1,18 in Origene cf. B.D. Ehrman - G.D. Fee - M.W.
Holmes, The text of the fourth Gospel in the writings of Origen, I, Atlanta1992, 59-60.

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M. C. PACZKOWSKI

prima di tutto lattribuzione delle parole di Gv 1,18. Per lesegeta gnostico


esse non potevano essere attribuite ad un personaggio psichico e profeta
del demiurgo come Giovanni Battista, perch appartengono alleconomia
spirituale27.
I testi che si riferiscono a Gv 1,18 fanno presupporre che per Eracleone
il seno del Padre pu essere inteso come luogo della dimora di una delle
maschere attraverso le quali parla il demiurgo28. Una di esse identificata con la persona di Giovanni Battista che, diventato discepolo29, pu arrivare alla conoscenza dellinconoscibile Dio ed affermare che nessuno ha
mai visto Dio30. Rimettendo le cose a posto il grande maestro alessandrino
spiega:
In corrispondenza con il fatto che egli Dio Unigenito e Figlio, stata
usata qui lespressione seno del Padre. Tutto ci che riguarda la divinit infatti ineffabile e devessere quindi significato a noi, che siamo uomini, con espressioni di carattere umano: affatto naturale pertanto che
levangelista per esprimere lintimit [del Figlio] con il Padre abbia scritto: Egli che nel seno del Padre (Gv 1,18)? Di coloro che sono salvati
e hanno parte alle promesse di Dio sta scritto infatti che andranno nel seno
dAbramo, unicamente perch egli chiamato padre dei credenti. Allo
stesso modo, siccome egli Figlio, si dice che nel seno di colui che lha
generato. Come gli uomini credenti vengono a essere nel seno dAbramo
[perch fu] credente, cos egli nel seno [del Padre] in quanto Figlio.
Occorre per intendere lespressione seno del Padre, cos come occorre
intendere tutte le espressioni di carattere umano applicate a Dio31.

La generazione del Figlio si identifica con la contemplazione ininterrotta della profondit del Padre da parte del Figlio Dio32 o, in altre parole,
il Figlio costantemente nutrito dal Padre33 che gli comunica in ogni
27. Cf. A. Orbe, El primer testimonio del Bautista sobre el Salvador segn Heraclen,

EE 30 (1956) 5-36. Orbe sostiene che Eracleone riscontrava nel Battista la presenza della
doppia dimensione: psichica e pneumatica.
28. Si tratta di un titolo abusato dagli gnostici. Ci spiega lestrema cautela con cui Origene
applica questo appellativo al Logos-Cristo (cf. In Joan. I, 19,110: SC 120, 118-119). Il nome
riservato piuttosto al Padre (cf. In Joan. II, 34, 199: SC 120, 344-345). Nel commento
origeniano al IV Vangelo evidente la preoccupazione di dimostrare che il Padre di Cristo
- Verbo identico al Dio dellAT chiamato proprio demiurgo.
29. Cf. In Joan. VI,111: SC 157, 212-213.
30. Cf. In Joan. VI,13: SC 157, 138-139.
31. In Joan. fr. XIV: BEP 12/4, Atene 1957, 345.
32. Cf. In Joan. II, 2, 18: SC 120, 218-219.
33. Cf. In Joan. XIII, 34, 219: SC 222, 148-149.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

269

momento la sua propria divinit. Origene suggerisce le soluzioni pi ardite


nei punti in cui le posizioni gnostiche erano fuorvianti.
LAlessandrino conclude lesposizione con lattacco contro la probole
o prolatio valentiniana che paragona la generazione divina ad una generazione corporale, con separazione fra il generato ed il genitore. Per gli
gnostici si trattava implicitamente non solo di una rappresentazione corporea, ma anche della supposizione che il generato esce dal genitore divenendo estraneo a lui. Ora il Figlio non abbandona il Padre: egli dimora
allinterno del Padre, anche nellincarnazione quando il Figlio nello stesso tempo presente sulla terra con la sua anima umana34.
Alla fine del commento al IV Vangelo Origene propone lanalisi di Gv
13,25 e, per spiegare che cosa significhi il seno di Ges35, egli accumula su questo passo pi considerazioni di quante risultavano necessarie36. Del resto, sembra essere il primo ad estrapolare testi riguardanti il
seno alla ricerca di uninterpretazione pi completa e una coesione interna con relativa valenza teologico - spirituale.
Le parole: Uno dei suoi discepoli era appoggiato al seno di Ges vanno
intese in modo degno del privilegio, che da una parte ben si addice al Figlio di Dio che lha concesso e dallaltra ben si addice a chi da lui era
amato. E se c anche un significato simbolico nel fatto che Giovanni era
allora appoggiato al seno di Ges, (ritenuto degno di questo privilegio,
perch stimato degno di un amore tutto speciale da parte del Maestro),
questo simbolo significa, a mio giudizio, che Giovanni era appoggiato al
petto del Logos nel senso che aderiva al Logos e si riposava in lui anche
negli aspetti pi mistici, cos come anche il Logos nel seno del Padre,
secondo quanto sta scritto: Il Figlio Unigenito, che nel seno del Padre,
lui ce lha rivelato. In modo simile dovremo anche intendere il seno
dAbramo, se non interpretiamo in senso troppo meschino quel passo37.

Origene evoca gli aspetti pi mistici per sottrarre il concetto del seno
divino ad unaccezione letterale e materialista. LApostolo Giovanni riposava sul seno di Ges come questi nel seno del Padre. Il nostro autore ritie34. Cf. In Joan. XX, 18: SC 290, 232-233, cf. H. Crouzel, Origene, Roma 1986, 254.
35. Analoghe interpretazioni ritroviamo in Tertulliano (De praescriptione haereticorum
XXII,4: CCL 1, 203), Ilario (De Trinitate II,21: CCL 62, 57), Ambrogio (De institutione
virginis 46: Opera [= Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera]14/2, 146-147) e
Agostino (De consensu Ev. I,4,7: NBA [= Nuova Biblioteca Agostiniana. Opere di
SantAgostino] 10/1, 8-9).
36. In Joan. XXXII, 23, 274: SC 385, 304-305.
37. In Joan. XXXII, 23, 263-265: SC 385, 298-301.

270

M. C. PACZKOWSKI

ne che la rivelazione pi profonda frutto di intimit. Ci adombra lo stesso evangelista nel v. 18 del prologo38. Si deve costatare per che, in questo
caso, lespressione di Gv 1,18 oltrepassava un determinato quadro della
rassegna dei testi scritturistici analizzati. Perci il nostro versetto citato
senza suscitare una particolare attenzione esegetica dellAlessandrino. Tuttavia interessante notare che Origene conclude lesposizione con lattacco contro una comprensione troppo letterale e carnale dellespressione
scritturistica. Il dottore alessandrino affermer altrove che il Verbo, grazie
alla sua bont, comunica agli uomini quanto attinge presso il Padre39.
Dal commento evangelico passiamo al De principiis dove il passo di
Gv 1,18 occupa un posto rilevante nella trattazione sistematica di alcune
tematiche teologiche. Le problematiche suscitate dalle espressioni giovannee sono connesse con la problematica antignostica. Servendosi di Gv
1,18 lAlessandrino tratta della natura di Dio Padre e del Figlio, il tipo di
rivelazione che il Figlio fa del Padre, lidentit del Dio rivelato nellAT con
il Padre di Ges Cristo40 e la loro sola e identica onnipotenza41. Ci confermato con la pi grande chiarezza dal Ringraziamento di Gregorio
Taumaturgo, che riproduce linsegnamento ricevuto dal suo grande maestro: il Padre ha fatto il Figlio uno con lui e per cos dire si avviluppa di
lui per la forza di suo Figlio del tutto uguale alla sua propria42. Il Verbo
di natura divina perch presso Dio e persevera nella contemplazione delle profondit del Padre.

Altre posizioni difensive e polemiche


Alcuni autori preniceni combattono contro le posizioni monarchiane e
modaliste raccolte intorno a Noeto, Sabellio e Prassea. Invano per si attenderebbe nei secoli II e III una interpretazione di Gv 1,18 ricca di particolari. Questo fenomeno andrebbe visto nella prospettiva pi ampia. Nei
primi anni del II secolo si nota la mancanza di utilizzazione del Vangelo di

38. Il discepolo riposava nella facolt principale di Ges e nel significato intimo della sua

dottrina. In Canticum I,2,3: SC 375, 192-193.


39. Cf. M. Simonetti, Dio (Padre), in A. Monaci Castagno (a cura di), Origene.
Dizionario. La cultura, il pensiero e le opere, Roma 2000, 124.
40. Cf. De principiis I, 1,2-4; I, 1,6-7; II, 4,4: SC 252, 92-97; 98-107; 288-289.
41. Cf. De principiis I, 2,10: SC 252, 132-139.
42. Panegyricus in Origenem IV, 37: SC 148, 110-113; cf. Crouzel, Origene, 254.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

271

Gv. Questo silenzio sul Vangelo spirituale testimonia i contrasti sviluppatisi circa gli scritti giovannei. Le cause sono da ricercare nei problemi creati
dagli gnostici e montanisti che, a vario titolo, si richiamavano agli scritti
del Discepolo Amato43.
Si conosce la reazione difensiva degli scritti giovannei da parte di
Ippolito di Roma. Nel Contra Noetum egli combatte una dottrina simile al
sabellianismo che identificava Padre e Figlio in base ad alcuni testi tratti
principalmente dal IV Vangelo44. Uno dei brani di questopera ippolitiana
usa Gv 1,1845 nel contesto dellanalisi delle prerogative del Verbo Incarnato che si manifesta come espressione visibile della volont del Padre. Bar
3,36.38 costituisce la struttura portante; Gv 1,18 e 3,13.32 invece dimostrano che il Padre diede al Figlio ogni conoscenza e solo lui conosce il suo
pensiero. Come Ippolito, molti autori del III secolo mostravano come il IV
Vangelo testimoniasse il fatto che lunit Padre/Figlio tale che implica la
distinzione tra di essi. Su questo punto la riflessione ippolitiana simile a
quella di altri Padri.
Ippolito costituisce per uneccezione perch negli autori fuori dellarea
giudeo - cristiana e alessandrina, per quanto ci giunto, lespressione oJ
ko/lpo touv patro/ non sembra aver rivestito un particolare significato.
Tertulliano invece inserisce il concetto del seno divino nella polemica antimarcionita46 ingaggiata nellAdversus Praxean. Alle prese con
Prassea, lAfricano insiste sullazione rivelatrice di Cristo e sul suo carattere personale. Non c dubbio che solamente il Figlio conosce il Padre e
(il Figlio) ha manifestato il suo seno47 perch non fu il Padre a rivelare il
suo seno48. Grazie al Figlio e alla sua esortazione contenuta nel Vangelo49,
gli uomini possono riconoscere apertamente tanto la signoria divina del
Padre quanto la propria figliolanza.

43. Tra la fine del II secolo e la met del III secolo a Roma un presbitero di nome Gaio si

illudeva di poter sradicare i vari errori respingendo i due scritti giovannei. Cf. E. Prinzivalli,
Gaio (e Alogi), DPAC, II, 1415.
44. Si tratta di Gv 1,1; 10,30; 14,9.
45. Cf. Contra haeresin Noeti 5,5: R. Butterworth (ed. and transl.), Hippolytus of Rome.
Contra Noetum, London 1977, 56-57.
46. Leretico, afferma Tertulliano, indica come ricompensa di Cristo e del suo Dio il seno
e il porto celeste. Adversus Marcionem IV,34: CCL 1, 637-637.
47. Adversus Praxean VIII,3: CCL 1A, 1167.
48. Adversus Praxean XXI,3: CCL 1A, 1187; cf. anche Adversus Praxean XV,6: CCL 1A,
1179.
49. Cf. soprattutto De oratione II,4: CCL 1A, 259.

272

M. C. PACZKOWSKI

Il materiale fornito da Ippolito e Tertulliano di grande importanza,


anche se limitato in estensione. Completa infatti vari punti contenutistici e
interpretativi che la polemica con gli gnostici aveva messo da parte. Tuttavia si tratta degli ultimi testimoni dellesistenza di una lettura variegata,
soppiantata in seguito da interpretazioni teologiche.

Gv 1,18 nei dibattiti teologici del IV secolo


Nella controversia ariana il Vangelo di Gv, in particolare i suoi primi versetti, offrono una solida base per la difesa del Credo di Nicea. Si scopre
una mutua illuminazione tra la Scrittura e la tradizione teologica. Tuttavia
nel caso dellinterpretazione di Gv 1,18 si trattava di una tradizione gi
selezionata. Dopo il primo concilio, tra tanti modelli interpretativi precedenti dellespressione seno del Padre viene scelto, ripetuto e riprodotto,
anche se con modifiche, solo quello di chiaro stampo teologico. Il problema centrale connesso con linterpretazione di Gv 1,18 quello dei rapporti
intertrinitari.
In questo contesto uno sguardo rapido su Efrem il Siro offre le considerazioni di un testimone privilegiato della tradizione arcaica della Chiesa,
vivendo ai margini della cultura teologica di stampo greco. Egli dovette
esporre la dottrina della Trinit e dellincarnazione, lottando contro il
razionalismo degli scrutatori (ariani). Lo fa senza ricorrere ad un linguaggio tecnico, ma fortemente biblico. In questo contesto polemico si comprende la sua interpretazione teologica di Gv 1,18.
La natura del Verbo essere generato. E perci il Verbo manifest da se
stesso che non solo da s, ma generato, egli non il Padre, ma il
Figlio. Per questo disse: Dio nessuno lha mai visto, ma il Figlio
Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18) e Vado
al Padre (Gv 16,17). E se sulla base di ci che stato detto affermi: Non
generato, fai mendace la Scrittura che dice: era e aggiunge che (Egli)
nato dal Padre suo50.

In Efrem spesso appare la spiritualit improntata su elementi giovannei


e perci con un forte rilievo della figura del Padre. Nei sermoni De fide
lautore siriaco afferma che Cristo, al termine della sua missione terrena
ritorna al Padre, dove vive abbracciato amorosamente nel suo seno e sie-

50. In Diatesseron I,2: CSCO 145, 2-3.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

273

de alla sua destra sul trono; Lo ama e Lo guarda51. Luso dellespressione


giovannea si nota anche altrove. Il Figlio congiunto con Lui ed separato da Lui. E nel suo seno e alla sua destra52. Un altro aspetto
dellesegesi efremiana rimanda al segreto divino: il Figlio nascosto nel
suo grembo53.
In seguito si potr scoprire che le interpretazioni dei grandi Padri di
questepoca coincidono nei tratti fondamentali, anche se sono presenti alcune differenze nei dettagli. La ricchezza inesauribile della nostra espressione si rivela nelle interpretazioni che ne sono state fatte e nel modo in
cui ha aiutato e ispirato la Chiesa nel mantenimento e nella crescita della
retta fede.
Allespressione seno del Padre si fa ricorso nella Lunga esposizione
di fede54 per rilevare il pi possibile lunione del Figlio e del Padre. (Il
Padre e il Figlio) non possono essere separati luno dallaltro, perch il
Padre abbraccia tutto il Figlio e tutto il Figlio connesso e unito col Padre
ed egli solo riposa ininterrottamente nel seno paterno55.

La posizione di Atanasio
Le riflessioni di Atanasio su Gv 1,18 si inseriscono saldamente nella direttrice cristologica dellesegesi alessandrina. La marginalit dellattivit
esegetica del vescovo di Alessandria non ha influito minimamente su questa linea. Perfino le opere attribuite indebitamente ad Atanasio denotano
chiaramente i tipici elementi di questa riflessione56.
Il contesto della polemica antiariana esigeva la sottolineatura della condizione divina del Figlio, la sua armonia e unit col Padre. Gv 1,18 si trovava tra le espressioni tipicamente antiariane. Cos, gi il predecessore di

51. De fide ser. I,79: CSCO 213, 3.


52. De fide ser. II,593: CSCO 213, 29. Lunit con il Padre affermata anche nel De fide
ser. II,595; V,101: CSCO 213, 29; 55.
53. De fide ser. V,165: CSCO 213, 57.
54. Cf. Socrate, Historia ecclesiastica II,19: PG 67, 232 C.
55. Cf. A. Hahn, Bibliothek der Symbole und Glaubensregeln, Breslau 18973, 192-196.
56. Interpretando il Sl 44 lautore del quarto discorso Contra Arianos mette come
equivalenti i versetti 1 e 2. Ci che viene dal profondo del cuore eterno e ci che nasce
dallutero va compreso come eterno. Similmente se lUnigenito nel seno, anche il Diletto
nel seno (oJ monogenh\ en ko/lpoi, kai oJ agaphto\ en ko/lpoi); Oratio contra Arianos
IV, 26: PG 26, 508 C-509 A.

274

M. C. PACZKOWSKI

Atanasio, Alessandro, accostando Gv 1,1 e 1,18 riteneva il Figlio generato


fin dalleternit e, come tale, sempre Dio57.
In Atanasio questo tratto cristologico giustificato piuttosto raramente
con il ricorso allespressione di Gv 1,18. Nellinterpretazione atanasiana di
Col 1,16 traspare che il Figlio superiore per natura alle creature perch
nei confronti del mondo creato il Creatore (ktisth de twn ktismatwn)58.
Invece nel De decretis Nicaenae synodi il vescovo di Alessandria testimonia che il Figlio nel Padre e il Padre nel Figlio59. Cos lespressione nel
seno indica la vera generazione del Figlio dal Padre (ek touv patro\ touv
uiouv gennhsin)60. Atanasio sottinea lunicit del Figlio poich Egli basta
da solo ad esaurire la fecondit del Padre.
[Dio] essendo semplice per natura, non Padre che di un solo Figlio, e
questultimo lunico generato, unico nel seno del Padre (mo/no en toi
ko/lpoi touv patro/ esti), solo riconosciuto dal Padre come proveniente
da Lui, secondo la Scrittura: Questo il mio Figlio diletto, nel quale mi
sono compiaciuto (Mt 3,17)61.

Riflettendo sul testo classico della polemica ariana, cio Pr 8,22,


Atanasio sottolinea limportanza delle espressioni giovannee e afferma:
Sulle cose fatte e create Giovanni si esprime alla maniera seguente: Tutto
stato fatto per mezzo di Lui (Gv 1,3). Del Signore dice: Dio nessuno lha
mai visto, ma il Figlio Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato
(Gv 1,18). Se quindi il Figlio, non una creatura, se, al contrario, una creatura, non certamente il Figlio (ei toinun uio/, ouj ktisma, ei de ktisma, oujc
uio/) [] Egli non pu essere alla stessa maniera Figlio e creatura [] Non
pu essere considerato da Dio e fuori di Lui62.

Infine, il vescovo alessandrino applica le parole controverse del libro dei


Proverbi alluomo creato, perch solo al Figlio si addice essere in eterno
e nel seno del Padre (to\ aidiw einai kai en ko/lpoi einai touv patro/)63.
57. Cf. M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo (Studia Ephemeridis Augustinianum
11), Roma 1975, 55.
58. Oratio contra Arianos I, 62: PG 26, 280 B.
59. Cf. Simonetti, La crisi ariana, 271-272.
60. De decretis Nicaenae synodi 21: PG 25, 453 C. Atanasio riporta per intero Gv 1,18
introducendo il brano con lespressione: oJ Iwannh de legwn.
61. De decretis Nicaenae synodi 11: PG 25, 434 D.
62. De decretis Nicaenae synodi 13: PG 25, 437 D-440 A.
63. De decretis Nicaenae synodi 14: PG 25, 440 B-C.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

275

E doveroso accennare allanonima Oratio contra Arianos IV. Lo scritto


attribuito ad Atanasio mette in guardia contro le interpretazioni letterali degli antropomorfisti64. Del resto, non si trattava di opinioni rare. Ne testimonianza il fatto che ancora alla fine del IV secolo alcuni monaci egiziani
professavano lantropomorfismo di Dio. Lespressione giovannea sicuramente poteva alimentare queste convinzioni. Da qui il richiamo di uno dei
fondamenti della dottrina teologica degli scrittori alessandrini. Il principio di
incorporeit di Dio, di chiara derivazione platonica, era presente con preponderanza in Origene, il quale per non ne trovava un appoggio abbastanza forte nella Scrittura65. Inoltre, in questo contesto polemico il centro di gravit si
sposta sulle questioni delle relazioni intertrinitarie: Mt 11,27 associato a Gv
1,18 e Gv 14,9 per dimostrare che il Padre e il Figlio costituiscono lunit66.
Invece per provare che le propriet del Figlio e del Verbo sono intercambiabili, lautore cita Gv 10,30; 1,18; 12,4567.
Il richiamo dellespressione seno del Padre nelle opere pseudoatanasiane non si limita solo a questi esempi ma spazia dai richiami dellidentit
del Verbo68, la sua immutabilit69 e lesistenza ab aeterno70, alla specificazione dellesistenza divina e umana del Cristo71.

64. Cf. Oratio contra Arianos IV,17-24: PG 26, 492 A-501 B.


65. Cf. Simonetti, Dio (Padre), 119.
66. Oratio contra Arianos IV, 23: PG 26, 501 C.
67. Cf. Oratio contra Arianos IV, 19: PG 26, 495 B.
68. Dunque risulta che, se il Figlio nel seno del Padre, il Verbo non prima del Figlio:

niente prima di colui che nel Padre. Il Verbo possiede la propria identit: Senza dubbio
quando il Figlio nel seno del Padre (Egli) fuori del Padre. Non due, Verbo e Figlio,
sono nel seno del Padre ma bisogna che ci sia uno solo, e questi il Figlio Unigenito (ouj
gar amfo/tera, o te lo/go kai oJ uio/, en toi ko/lpoi, all ena einai dei kai touvton to\n
uio/n, o esti monogenh/); Oratio contra Arianos IV, 16: PG 26, 490 B.
69. De incarnatione contra Apollinarium libri II,17: PG 26,1161 B. Si tratta di un principio
abbastanza comune presso i Padri del IV secolo che esclude la possibilit di interpretare
lincarnazione del Verbo di Dio come una mutazione della divinit.
70. Rifacendosi al Sl 73,12 lautore afferma: Se la mano nel seno e anche il Figlio nel
seno, ne consegue che il Figlio la mano ed essa (si pu identificare) con il Figlio per
mezzo del quale il Padre ha fatto ogni cosa (hJ ceir en tw ko/lpw, kai oJ uio\ en tw ko/lpw, oJ
uio\ an eih hJ ceir, kai hJ ceir an eih oJ uio/, di ou epoihse ta panta oJ path/r); Oratio
contra Arianos IV, 26: PG 26, 508 C-509 A.
71. Colui per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, per nove mesi fu portato nel
grembo (della Vergine), ma non lasci il seno del Padre (en gastri egeneto, kai twn
ko/lpwn twn patrikwn oujk aphllotriwqh); Sermo in nativitatem Christi 3: PG 28,
964 C.

276

M. C. PACZKOWSKI

Atanasio nelle riflessioni sulla natura di Cristo inserisce la presentazione dellincarnazione secondo lo schema mercantile presente in numerosi
testi origeniani72. Quale incremento dunque si aggiunse allimmortale che
assunse [la natura] mortale? [] Quale mercede maggiore poteva aversi
da chi eterno Dio e re, e che nel seno del Padre (Qew aiwniw kai
basilei, kai onti en toi ko/lpoi touv Patro/)? [] Questo avvenne ed
stato scritto per causa nostra e per noi73. Dal contesto si comprende bene
che il vescovo di Alessandria vuole evidenziare le caratteristiche fondamentali della divinit del Figlio.

Didimo il Cieco e Sinesio di Cirene


E significativo che proprio tra gli autori di cerchia alessandrina e seguaci
di Origene nellesegesi si trovi un personaggio che si occupa con interesse
dellespressione seno del Padre. Si tratta di Didimo il Cieco che si allinea con la tradizione della sua citt natale e interpreta il seno spirituale
come la parte superiore della ragione (hJgemoniko/n)74.
Non di poco interesse sono le sue asserzioni cristologiche basate sullespressione tratta da Gv 1,1875. NellIn Zachariam Didimo inserisce la
spiegazione di Is 9,5 e fa notare: Bisogna osservare lesattezza di questa
profezia. Essa esprime chiaramente che il Bambino di Maria (Vergine)
nato per noi e in questo modo ci donato il Figlio Unigenito che proviene
dal seno del Padre (to\n [] Uio\n dedo/sqai to\n ek twn ko/lpwn touv
Patro\ Monogenhv)76. Qui la menzione della Vergine serve a garantire la
reale umanit di Cristo associata alla sua posizione di Figlio dellOnnipotente.
Il discorso didimiano basato sui Salmi verte sulla differenza tra la figliolanza di Cristo e la figliolanza degli uomini. In realt
Con (il Dio Padre) c solo il Figlio Unigenito, nel seno del Padre (mo/no
aujto/ esti monogenh\ wn en ko/lpoi touv patro/). Quando si tratta di legit-

72. Cf. J.A. Alcain, Cautiverio y redencin del hombre en Origenes, Bilbao 1973.
73. Oratio contra Arianos I, 48: PG 26,112 A.
74. In Ps 33,14: PG 39, 1331 C.
75. Didimo assimil in maniera prodigiosa il testo scritturistico. Infatti non potendo

consultare i manoscritti a causa della sua cecit, sempre citava i testi a memoria.
76. In Zachariam IV,234: SC 85, 922-923.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

277

tima prole nominiamo il grembo. Infatti, una cosa sono i propri figli, altra
quelli di adozione. Ogni volta che indichiamo i veri figli, non quelli adottivi, chiamiamoli frutto del grembo dei loro genitori. Per questo Dio, indicando il suo proprio Figlio e lUnigenito, ricorda il grembo77.

Questo autore non esita a vagliare alcune espressioni salmodiche di


sapore antropomorfico. Nel commento al Sl 117 Didimo chiarifica che venendo il Signore non si mosso, n passato da un luogo allaltro perch
immobile e immutabile [] (Egli viene) dalla casa del Signore, procede dal seno del Padre colui che viene (twn ko/lpwn twn patrikwn estin oJ
erco/meno)78. Dello stesso tenore la sua inserzione antiantropomorfica
nellIn Zacchariam: siccome Dio incorporeo [] e non pu ricevere
nessuno degli attributi del corpo. Per richiamare il principio dellincorporeit di Dio Didimo cita come testimonianze Col 1,15; 1Tm 1,17; Gv
1,18 e 6,4679.
Gv 1,18 appare anche nellopera intitolata De Trinitate80, attribuita a
Didimo. Si tratta di una sintesi abbastanza completa della problematica
trinitaria. Nellinterpretazione dellespressione oJ ko/lpo touv patro/ non
ci sono differenze di fondo con le affermazioni delle altre opere
didimiane81. Lautore si occupa della posizione del Figlio presente presso il
Padre. (La Scrittura) chiama (il Figlio) superiore a tutto ci che esiste,
grande e Dio altissimo [], che insieme siede alla destra del Padre e si
trova sul suo seno (ei to\n ko/lpon aujtouv onta). Egli la vita eterna e la
luce vera82. Laltro brano evoca la gloria della divinit. LEvangelista
ricolmo di Dio dice che la sede degna del Figlio il seno del Padre [] Il
suo divino e ineffabile seno si trova nella maest dei cherubini83. Un po
pi avanti lautore del De Trinitate lega Gv 1,1884 con Eb 1,385.
77. In Ps 109,5: PG 39, 1540 C-D.
78. In Ps 117,26b.27a : PG 39, 1564 C.
79. Cf. In Zachariam V,32-33: SC 85, 984-985.
80. Lautenticit didimiana di questa opera stata messa in serio dubbio. Tuttavia il De
Trinitate rivela affinit significative con altre opere di questo autore.
81. Per le citazioni di Gv 1,18 nei manoscritti scoperti a Tura cf. B.D. Ehrman, Didymus
the Blind and the text of the Gospels, Atlanta 1986, 128.
82. De Trinitate I,34: PG 39, 433 B.
83. De Trinitate I,26: PG 39, 392 C-393 A.
84. Didimo riporta aujto/ al posto di ekeino: cf. PG 39, 394, nota 13. Nel De Trinitate II,
5,10: PG 39,496 A si osserva una interessante versione del testo che riporta: oJ monogenh\
qeo/ [] en toi ko/lpoi touv patro/.
85. Cf. De Trinitate I,26: PG 39, 393 A.

278

M. C. PACZKOWSKI

Un caso interessante costituisce levocazione del concetto di ko/lpo da


parte di Sinesio di Cirene, vescovo di Tolemaide. Si tratta dellinterpretazione fuori dagli schemi scritturistici e inserita in un miscuglio di idee pagane e
cristiane. Negli Inni Sinesio si rif alle tematiche cristiane neoplatoniche, sforzandosi di avvicinarsi al mistero divino. Non si ha, quindi, esclusivamente un
accavallarsi di elementi speculativi, ma anche composizioni che rivelano un
animo profondamente religioso. E al tuo seno che germinarono la luce, lintelletto e lanima (ek swn blasthsen ko/lpwn kai fw kai nouv kai yuca)86,
proclama in un suo inno poetico rivolgendosi al Signore di tutto.
In questo autore appare la problematica trinitaria congiunta con la
tematica antieunomiana87. Nella sua teologia trinitaria la questione principale la descrizione della generazione del Figlio, concepita tra laltro,
come un movimento di manifestazione. Il Figlio ha manifestato dal suo
seno inconoscibile (agnwstwn ko/lpwn) i frutti del parto del Padre e, nel
rivelarlo, rivel se stesso88. Le concezioni e gli influssi alessandrini si vedono ancora meglio quando il vescovo di Tolemaide descrive il seno
come lamore creatore del Padre e fonte di esistenza. In realt tutte le creature colgono dal seno del Figlio un legame che, grazie alla [sua] potenza, discende dallineffabile seno del Padre, dalla monade nascosta (ex arrh/
twn patrikwn ko/lpwn, krufia monado)89.

Padri Cappadoci
Nella polemica antieunomiana dei Padri Cappadoci si nota un crescendo nel
riportare Gv 1,18, come attestano i brani di Gregorio Nisseno. E tuttavia
inutile cercarvi la speculazione sulla dicitura oJ ko/lpo touv patro/ di cui
abbondavano alcuni brani di autori precedenti. Ci conseguenza dello
spostamento dallinteresse esegetico speculativo a quello dommaticoteologico. La confutazione di Eunomio da parte dei Cappadoci durava per
anni, seguendo passo passo le vicende del pensiero cristiano di quellepoca e
perci non deve stupire il fatto che si giunti alle precise puntualizzazioni
dottrinali basate su Gv 1,18. Luso dellespressione oJ ko/lpo touv patro/
limitato spesso ad un semplice richiamo, segno questo che essa assunse un
significato assai forte e normativo dal punto di vista teologico.
86. Hymnus 3 (5), 28-29: Garzya, Opere di Sinesio di Cirene, 770-771.
87. Cf. E. Cavalcanti, Sinesio di Cirene, DPAC, II, 3218-3219.
88. Hymnus 4 (6), 6-8: Garzya, Opere di Sinesio di Cirene, 774-775.
89. Hymnus 2 (4), 191-200: Garzya, Opere di Sinesio di Cirene, 764-765.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

279

Basilio Magno
Nel trattato De Spiritu Sancto Basilio di Cesarea afferma che il Signore
stesso a indicare chiaramente la sua identit di onore con il Padre nella
gloria90. A testimonianza di ci egli cita alla lettera vari testi scritturistici:
Gv 14, 9; Mc 8, 38, Gv 5, 23 e due riferimenti tratti dal prologo del IV
Vangelo. Gli eretici invece
non tenendo conto di nessuno di questi testi, impongono al Figlio il posto
destinato ai nemici; il seno del Padre una cattedra degna del Figlio
(ko/lpo [] patriko/, Uiw kaqedra prepousa); per il posto dello
sgabello per i piedi per quelli che devono essere ancora sottomessi (cf.
Sl 110,1)91.

Basilio nel citare il testo di Gv 1,18 in questo brano del De Spiritu


Sancto riporta lespressione oJ ko/lpo touv patro/. La nozione presentata
dal Padre cappadoce non poteva essere pi chiara: lappellativo di
Unigenito Dio nella lettura del testo sacro comporta automaticamente
lidentificazione del Logos con il Figlio, e il Figlio con Dio. Un altro particolare lo rivela la spiegazione del termine seno. Intendendo questa
parola in senso carnale e basso, si circoscrive Dio e si immagina la sua
forma, la figura e la posizione corporale92.
Tutte queste considerazioni sono ben lontane dalla nozione di un essere semplice, infinito e incorporeo. La meschinit di tale idea, toccherebbe il Padre allo stesso modo che il Figlio (...). (Chi lo ammette) dovr
assumere tutte le conseguenze di ordine corporeo che derivano da (tale)
immagine93.
Ci che abbiamo detto in precedenza a proposito dellespressione ei
to/n ko/lpon touv patro/, riferita a Cristo, sembra essere in contrasto con il
brano seguente che tocca il problema della vera adorazione.
Non crede nel Figlio colui che non crede nello Spirito, n crede nel Padre
colui che non crede nel Figlio. Poich non possibile dire: Ges il Si90. De Spiritu Sancto VI, 15: SC 17 bis, 292-293.
91. De Spiritu Sancto VI, 15: SC 17 bis, 292-293.
92. De Spiritu Sancto VI, 15: SC 17 bis, 294-295.
93. De Spiritu Sancto VI, 15: SC 17 bis, 294-295. Unidea molto simile la si incontra
nellAdversus Eunomium. Basilio vi analizza il tema del trono del Padre che significa la sua
gloria. La Scrittura insegna, rileva il Cappadoce, che il Figlio siede alla destra del Padre e
promette che verr nella sua gloria (cf. Mt 16,17) il che significa che ha la stessa gloria del
Padre. Cf. Adversus Eunomium I, 25: SC 299, 260-262.

280

M. C. PACZKOWSKI

gnore se non nello Spirito Santo (1 Cor 12,3) e: Dio nessuno lha mai
visto, ma il Figlio Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato
(Gv 1,18). Costui escluso dalla vera adorazione, poich non possibile
adorare il Figlio se non nello Spirito Santo, n possibile invocare il Padre se non nello Spirito Santo94.

Il nostro Cappadoce aderisce qui ad unaltra lezione di Gv 1,18:


monogenh/ uio/. Lapparizione di questa versione pu essere il risultato di

una tendenza dellautore alluniformit nellesposizione perch si parla


costantemente del Figlio95.
Lintroduzione di Gv 1,18 ha come scopo la confutazione dei presupposti di Eunomio. Questo eretico, secondo la relazione del Nisseno, attacca la posizione ortodossa di Basilio che non tiene conto dellaggiunta nel
seno del Padre96. Lessere del Verbo appare staccato dal suo contesto e
viene considerato solo per se stesso. Gregorio attribuisce ad Eunomio laffermazione: Non in senso proprio colui che si trova nel seno di Colui
che 97. Per Eunomio lultima ragione della strumentalit e subordinazione del Logos sta nella sua generazione. La Scrittura poi denomina realmente Cristo come lUnigenito (Gv 1,18). Questa sarebbe una chiara
prova del fatto che il Verbo subordinato realmente a Dio quanto allessere. Ne consegue il rifiuto di vedere nel Figlio la stessa sostanza del
Padre. La via della confutazione di questo punto di vista, come dimostra
il nostro Cappadoce, si trova nel dato rivelato. Si deve cercare, per quanto possibile, di risalire alla luce della rivelazione fino allorigine del
Figlio nel Padre.
Una delle lettere indirizzate ad Anfilochio98 inquadra lesegesi di Gv
1,18 intorno al dilemma anomeo: Adoriamo ci che conosciamo o ci che
non conosciamo? Nella sua risposta epistolare il vescovo di Cesarea espo-

94. De Spiritu Sancto XI, 27: SC 17 bis, 342-343.


95. Nel trattato Adversus Eunomium troviamo il titolo di monogenh/ uio/, ma senza

riferimenti a Gv 1,18. Il nostro autore in questo caso insiste sul titolo Figlio mostrando
che non esiste una dottrina pi importante nel Vangelo della nostra salvezza che la fede
nel Padre e nel Figlio (Adversus Eunomium II, 22: SC 305, 88-89). Cos insorge contro
quelli che proclamano un Padre che non ha generato ed un Figlio che non stato generato
(Adversus Eunomium II, 22: SC 305, 90-91).
96. Contra Eunomium X: PG 45,841 D.
97. Eunomio, Exp. fidei III, 4-5: R.P. Vaggione, Eunomius. The Extant Works, Oxford 1987,
152.
98. Epistula 234, scritta nel 376; cf. Y. Courtonne, Saint Basile. Lettres. Texte tabli et
traduit, III (Les Belles Lettres), Paris 1966, 41.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

281

ne gli argomenti scritturistici nellultima parte della lettera. Il versetto di


Gv 1,18 ne costituisce il punto di partenza99.
LAnaphora presenta una allusione molto significativa al versetto in
questione. Basilio nel contesto di preghiera e di lode che rivolge al Padre,
accennando allincarnazione: LUnigenito Figlio Tuo, che nel Tuo seno
(cf. Gv 1,18), da Te Dio e Padre [...] volle condannare il peccato nella sua
carne100.
Si vede qui una certa imprecisione (molto comprensibile, dato il contesto
liturgico) nello stabilire il significato dellespressione giovannea essere nel
seno del Padre. Sembra che in questo contesto non sia tanto importante se
laffermazione giovannea venga interpretata come presenza del Verbo presso Dio oppure come la sua dimora presso di Lui nella gloria101.

Gregorio di Nissa
Il Nisseno appare contemporaneamente predicatore del mistero di Cristo e
interprete speculativo delle verit della fede cristologica102. Cos nel De vita
Moysis il mistero della persona del Figlio sottolineato dal susseguirsi dei
99. Basilio afferma: alcuni si interrogano se Dio nessuno lha mai visto; proprio il Figlio
Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (cf. Gv 1, 18). Che cosa il Figlio fa
conoscere del Padre? La sostanza o la potenza? Se la potenza, ci che stato annunciato lo
conosciamo. Se la sostanza, dove, dico, afferma che la sua sostanza era della
generazione? Epistula 234, 3: Courtonne, Saint Basile. Lettres, III, 43.
100. Citiamo il testo dellAnafora secondo P. Scazzoso, Introduzione alla ecclesiologia di
San Basilio, Milano 1975, 153.
101. Le considerazioni di Basilio non si limitano agli aspetti dommatici. Egli menziona il
dolce seno di Abramo come luogo del futuro riposo. Cf. Enarratio in prophetam Isaiam
VIII, 214: P. Trevisan, San Basilio. Commento al profeta Isaia. Testo, introduzione e note
(Corona Patrum Salesiana. Series graeca), I, Torino 1939, 250-251. Pi avanti, descrivendo
lopera di Emmanuele, il Cappadoce parla della loro dimora nel seno della misericordia.
Cf. Enarratio in prophetam Isaiam VIII, 217: Trevisan, San Basilio. Commento al profeta
Isaia, I, 258-261. La presenza di Gv 1,18 attestata anche nelle opere di dubbia autenticit.
Nellomelia In aquas lespressione oJ wn ei to\n ko/lpon touv patro/ accostata alle altre
espressioni del prologo giovanneo: oJ en archv pro\ qeo/n, qeo/, lo/go kai qeouv uio/ (cf. linea
82). Laltro esempio costituito dallomelia In Psalmum 28. Lautore della omelia inizia
linterpretazione di Sl 28,4. La trattazione si apre con la questione della testimonianza di
Giovanni il Battista (cf. Gv 1,32). Poi segue una piccola raccolta dei testi sul battesimo del
Signore. Lesegeta ritorna sullargomento spiegando: Sono sublimi queste acque e
testimoniano la gloria dellUnigenito, perch il Signore tuon sulle acque. Subito dopo
lautore riporta per esteso Gv 1,18 con la versione en toi ko/lpoi touv Patro; cf. In
Psalmum 28 [hom. 2], 3: PG 30,77 A.
102. Cf. A. Grillmeier, Ges il Cristo nella fede della Chiesa, II, Brescia 1982, 699.

282

M. C. PACZKOWSKI

titoli cristologici. Cristo dimora presso il Padre, seno del patriarca103,


terra dei viventi (monh\ para tw Patri kai patriarcou ko/lpo kai cwra
zwntwn)104 . Descrivendo gli episodi della vita di Mos, il Nisseno fa riferimento a Es 4,6 e vi inserisce il filone teologico.
Il profeta dice: Questo mutamento della destra dellAltissimo (cf. Sl
77,11), nel senso che la natura divina, considerata nella sua immutabilit,
si mutata e ha assunto la nostra forma e il nostro aspetto con il suo condiscendere alla debolezza della natura umana. E infatti in quel momento
la mano del legislatore, tesa avanti al seno della veste, si mut e assunse
un colore contrario a quello naturale; e, di nuovo riposta nel seno, torn
allaspetto che le era proprio e naturale. E il Dio Unigenito, che nel
seno del Padre105, la destra dellAltissimo (oJ monogenh\ Qeo/, oJ wn en
ko/lpoi touv Patro/, outo/ estin hJ dexia touv Uyistou): quando ci apparve fuori del seno, fu modificato a nostra somiglianza; poi, dopo che
ebbe guarito le nostre debolezze, di nuovo ricondusse nel suo seno la
mano che era stata in mezzo a noi e che aveva preso il nostro colore (e il
seno dove sta la mano destra il Padre) (th\n en hJmin genomenhn ceira kai
kaqhJma crwsqeisan epi to\n idion ko/lpon [ko/lpo de thv dexia oJ
Path/r]). Allora non aveva modificato la sua natura impassibile, tanto da

provare la passione, ma aveva modificato lelemento mutevole e sottoposto alle passioni per condurlo alla impassibilit, facendolo partecipare a
ci che immutabile106.

In Cristo gli uomini sono, quindi, introdotti nel medesimo seno e diventano oggetto della tenerezza paterna. Non mancano per altri richiami
dove la fede cristiana nella divinit del Figlio e la sua consustanzialit col
Padre sono esposte con molta chiarezza. Commentando il Cantico107 il
Nisseno si riferisce allincarnazione e prosegue:

103. Gli eretici si sono separati dal seno del padre della fede (Abramo); Contra Eunomium

II,1,84.
104. De vita Moysis II, 247: SC 1 bis, 111.
105. Il Nisseno riporta sempre lespressione giovannea in plurale en ko/lpoi touv Patro/.
Non si tratta per di un argomento per supporre una tale versione testuale nel testo
neotestamentario usato da Gregorio. Probabilmente egli citava a memoria questa espressione. Cf. J.A. Brooks, The New Testament text of Gregory of Nyssa, Atlanta 1991, 109.
Egemonio, che autore degli Acta Archelai redatti nella met del IV secolo, testimonia
unaltra lezione, al plurale (in sinibus Patris); cf. Acta Archelai 47: PG 10, 1508 A-B; E.
Prinzivalli, Archelao di Carcara, DPAC, I, 317.
106. De vita Moysis II, 29: SC 1 bis, 40.
107. Nelle omelie In Canticum canticorum si trovano quattro riferimenti a Gv 1,18, ma solo
due contengono la menzione del seno del Padre.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

283

Per esporre questa dottrina (dellincarnazione) in modo pi preciso serviamoci delle parole stesse della Bibbia [] Mentre esisteva come uomo, a
motivo dello splendore della sua gloria, mostrava che Dio stesso si era
manifestato nella natura umana e che Egli aveva continuato ad essere il
Figlio Unigenito di Dio, vivente nel seno del Padre (Qeo\ efanerwqh en
sarki, qeo\ de pantw oJ monogenh/, oJ en toi ko/lpoi wn touv patro/)108.

Il Nisseno sottolinea che il fondamento di ogni visione di Dio la


persona di Cristo a causa della sua caratteristica insita nella sua duplice
natura: umana e divina109.
Nellomelia 15 dello stesso commento Gregorio traduce in termini
teologici il racconto di Lc 2,13-14. Lo fa nel modo seguente: Il Dio che
nellalto dei cieli, colui che nel seno del Padre (oJ wn en toi ko/lpoi touv
patro/), per la buona volont che tra gli uomini, si mescola alla carne e
al sangue affinch spunti in terra la pace110.
Le considerazioni riguardanti il seno del Padre sono presenti nel libro III del Contra Eunomium Questa parte dellopera del Nisseno differisce dalle altre. In realt il libro III dedicato quasi esclusivamente
allesegesi di alcuni passi biblici, interpretati da ariani e Eunomio in modo
distorto. Il polemista poteva farlo con pi facilit dato che per Eunomio
largomentazione scritturistica non aveva un peso decisivo. Cerano per
delle eccezioni. Una di esse era costituita da Pr 8,22111. Il Nisseno consacra
una lunga sezione allesegesi ortodossa di questa pericope. In sostanza, egli
riferisce il passo alleconomia salvifica delluomo. Questa interpretazione
viene approfondita con riferimenti ad alcuni versetti biblici di valore decisivo. Infine, riassume lautore del Contra Eunomium:
E evidente... che il Dio superiore alluniverso non possiede in s niente
di creato o che gli sia aggiunto al di fuori: non la potenza, non la sapienza, non la luce, non la parola, non la vita, non la verit; nessuna insomma
delle realt che si contemplano nella pienezza del seno divino (en tw
plhrwmati touv qeiou ko/lpou) - e tutto questo costituisce il Dio unigenito,
colui che nel seno del Padre112.

108. In Canticum canticorum 13: GNO VI, 381. Nel suddetto brano il Nisseno introduce
due citazioni del prologo giovanneo con la formula outw eipo/nto touv Iwannou.
109. Cf. In Canticum canticorum 13: GNO VI, 380; 381.
110. In Canticum canticorum 15: GNO VI, 443.
111. Cf. M. Van Parys, Exgse et la thologie trinitaire. Prov. 8, 22 chez les Pres
cappadociens, Irnikon 43 (1970) 362-379.
112. Contra Eunomium III: PG 45, 581 C.

284

M. C. PACZKOWSKI

Il Nisseno appoggia una posizione tipicamente nicena: il Figlio non


fatto perch della stessa sostanza del Padre113 e possiede ogni qualit
divina. In altre parole: il Dio Unigenito, il Verbo che nel seno del Padre
(oJ wn en toi ko/lpoi touv patro/) ed re e Signore, ogni nome e pensiero sublime, non ha bisogno di diventare nessuna cosa buona, dal momento
che lui la pienezza di tutte le cose buone114.
Per riaffermare la divinit del Figlio il Nisseno evoca non solo le
espressioni di Gv 1,18, ma anche il concetto del bene. Si tratta di un chiaro riferimento alla dottrina platonica secondo cui Dio veniva identificato
con il vero bene115. Buono e sopra ogni bene lUnigenito Dio che nel
seno del Padre. (E) colui (poi) che nel seno del Padre come non potrebbe
essere generato116? Pi avanti egli costata:
Colui che nel seno del Padre non permette che si veda mai vuoto di s il
seno del Padre. Egli non una delle cose che vengono nel seno del Padre
dal di fuori, ma siccome lui la pienezza di ogni cosa buona, quello che
nel principio sempre visto nel Padre, senza attendere di essere nel Padre
per mezzo della creazione117.

In unaltra occasione il nostro autore presenta la visione del seno del


Padre, come la culla del Figlio perch in esso si trova la sorgente di tutto ci che il Figlio118. Nellultimo trattato chiamato comunemente
Refutatio il linguaggio con cui Gregorio aggredisce Eunomio sembra pi
duro. Ci causato dalla preoccupazione dellambiguit del pensiero
eunomiano. Il Nisseno spiega perci che tutto quello che buono ed
bene si osserva sempre esistente intorno alla fonte del buono; ma sicuramente buono, e al di l di ogni cosa buona, il Dio Unigenito, che nel seno
del Padre (en toi ko/lpoi touv patro/) - nel seno, non vi entrato119.
In un altro luogo del Contra Eunomium Gregorio Nisseno offre una
interpretazione soteriologica di alcuni titoli di Cristo. Egli si basa principalmente sul titolo Primogenito (prwtoto/ko) (Col 1,15.18; Rom 8,29)
ma sostiene la sua opinione mediante il richiamo al concetto del113. Cf. Contra Eunomium VIII: PG 45, 768 C-777 A.
114. Contra Eunomium VI: PG 45, 728 B.
115. Cf. Contra Eunomium VI: PG 45, 728.
116. Contra Eunomium IX: PG 45, 801 A-C.
117. Contra Eunomium III: PG 45, 581 C-D.
118. Contra Eunomium VIII: PG 45, 800 B-C.
119. Refutatio confessionis Eunomii I,8: GNO II, 315.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

285

lUnigenito (monogenh/) (Gv 1,18)120. In questa occasione il Nisseno si


rende conto dellabuso ariano dellappellativo del Primogenito. Perci
segue la tendenza degli altri autori ortodossi a distinguere i due appellativi.
Ci impone, secondo il procedimento del Nisseno, una distinzione e
differenziazione di piani e soprattutto il richiamo allambito atemporale.
Essendo la realt divina diversa da quella umana, le caratteristiche del
Figlio vanno intese diversamente da quelle umane. A questo principio si
ricollega la costatazione che il Figlio sapienza e potenza e luce e vita e
tutto quello che si osserva esistente nel seno del Padre (panta osa en tw
patrikw qewreitai ko/lpw)121. Eunomio contraddicendo Basilio, difeso
con tanta determinazione dal fratello, proclama assurde e nuove dottrine
secondo le quali Colui che nel seno del Padre non , e colui che nel principio ed nel seno del Padre non perch nel principio ed nel Padre e si
vede che nel seno di colui che ? E non in senso proprio, in quanto in
colui che 122? E molto significativo il riferimento contemporaneo sia al
versetto 1 che al 18 del prologo giovanneo. Eunomio, come riferisce
Gregorio, non tiene conto dellaggiunta nel seno del Padre e stacca lessere del Verbo dalla pienezza della divinit. Secondo Eunomio laggiunta di
principio e seno esclude dallessere colui che 123. Infatti il Dio
unigenito non esiste propriamente, poich nel seno del Padre e tutto quello
che in qualche cosa , stato assolutamente escluso dallessere124.
Per Gregorio la replica si trova nelle parole stesse del Vangelo e Gv
tronca ogni rigiro e smaschera la malizia degli eretici125. Il quarto
Evangelista propone infatti il principio di reciprocit che segna le relazioni intertrinitarie. In realt
Dire che il Figlio nel seno del Padre equivale a dire che il Padre nel
Figlio [] Quando il Figlio, come dicono (gli eretici) non era, il seno del
Padre che cosa conteneva? Sicuramente essi o concederanno che il seno
era pieno o supporranno che era vuoto. Se il seno era pieno, certamente
era il Figlio la pienezza del seno del Padre; se, invece, essi vedono un
120. Lui che Dio Unigenito diventa il primogenito della creazione, lui che lUnigenito
nel seno del Padre. E fatto e detto il primogenito della creazione in relazione a coloro che
per mezzo della nuova creazione sono salvati; Contra Eunomium IV: PG 45, 637 C. Su
questi concetti cf. Grillmeier, Ges il Cristo, II, 169.
121. Contra Eunomium VIII: PG 45, 800 B.
122. Contra Eunomium X: PG 45, 841 B.
123. Cf. Contra Eunomium X: PG 45, 841 A.
124. Contra Eunomium X: PG 45, 844 A.
125. Cf. Contra Eunomium X: PG 45, 844 C.

286

M. C. PACZKOWSKI

vuoto nel seno del Padre, allora non faranno altro che attribuirgli la perfezione come il risultato di un accrescimento126.

Il Nisseno convinto che il mistero di Dio Padre ha illuminato il mistero del Figlio. Lo stesso avviene per le singole prerogative delle divine
Persone.
Lespressione seno del Padre ha sempre una luce da dare al mistero
cristologico e trinitario nei suoi vari aspetti. Cos avviene quando si analizzano i concetti del generante e generato. Si deve costatare, avvisa Gregorio, che la natura del generante non divisa in parti. Invece, Eunomio
non ammette che provenga veramente dal Padre colui che nel seno del
Padre, perch teme di mutilare la natura immacolata del Padre per mezzo
della sussistenza del Figlio127. Con ricorso alla stessa espressione vengono rigettati i dubbi e le titubanze legati al concetto eunomiano di posterit del Figlio. Non posteriore colui che eterno, sostiene il vescovo di
Nissa, e non estraneo alla vera natura divina colui che procede dal Padre
ed nel seno del Padre e ha in se stesso il Padre128.
Il nostro polemista fa riferimento a Gl 3,1 traendone delle conclusioni
molto significative concernenti la partecipazione del Figlio alla gloria del
Padre. Infatti si pone la questione: Colui che non invidia a nessuna carne
la comunione con il suo spirito, come pu non far parte della propria gloria il Dio Unigenito, che nel seno del Padre e che possiede tutte le cose
che il Padre possiede129? La risposta a questo quesito conduce alla
confutazione delle tesi eunomiane.
Il Nisseno contraddice la concezione eunomiana secondo cui il Figlio
sarebbe il prodotto di una operazione del Padre. (Il Figlio) sigillo delloperazione colui che era nel principio in Dio Verbo ed era osservato esistente nelleternit del principio di tutte le cose, il Dio Unigenito, che nel
seno del Padre130.
Il largo uso di Gv 1,18 da parte di Gregorio rivela la sua linea difensiva di fondo contro Eunomio: garantire unesegesi quanto pi possibile
ortodossa.

126. Contra Eunomium X: PG 45, 844 C-D.


127. Refutatio confessionis Eunomii IX,61: GNO II, 336.
128. Refutatio confessionis Eunomii IX,72: GNO II, 342.
129. Refutatio confessionis Eunomii XVII,122: GNO II, 361.
130. Refutatio confessionis Eunomii XXIII,162: GNO II, 380. Lo stesso argomento svolto

in Contra Eunomium I con maggior ampiezza; ma senza il riferimento a Gv 1,18.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

287

Gregorio Nazianzeno
Mentre la controversia ariana stava raggiungendo la sua fase finale scoppiata la disputa apollinarista. Gregorio di Nazianzo aveva espresso una
chiara condanna delle tesi di Apollinare di Laodicea, un esegeta attento
della Bibbia e un vigoroso avversario dellarianesimo che negava per la
presenza di unanima razionale in Cristo mentre sottolineava in lui lunit
tra Dio e uomo.
Secondo la convinzione ben radicata che la Scrittura manifesta e insegna la divinit del Figlio, Gregorio Nazianzeno ne riporta le testimonianze. In realt a partire dalle parole grandi e sublimi che noi conosciamo e
che noi proclamiamo la divinit del Figlio [] E il figlio unico che nel
seno del Padre (oJ monogenh\ uio/, oJ wn ei to\n ko/lpon touv patro/)131.
Nel suddetto brano il Nazianzeno raccoglie tutti i termini relativi alla divinit del Figlio e cita per esteso Gv 1,18. Lo fa secondo un criterio meccanico, ma ampiamente diffuso tra i teologi difensori di Nicea.
Le acquisizioni antiariane divenute ormai patrimonio comune dei credenti traspaiono in occasioni inaspettate. E il caso della lettera, attribuita
sia al Nisseno che al Nazianzeno132, che afferma: Il Signore di tutto il creato, il Figlio Unigenito che nel seno del Padre, umili se stesso non solo
stabilendosi nella natura umana con lincarnazione, ma accolse perfino
Giuda, suo traditore133. Nel suddetto brano non solo c riferimento a Gv
1,18, ma anche a altre formule cristologiche neotestamentarie134.

I rappresentanti della scuola di Antiochia: Giovanni Crisostomo e Teodoro


di Mopsuestia
Lesegesi alessandrina e antiochena in gran parte convergono intorno a Gv
1,18. Nel commento a Gv di Teodoro e nelle omelie di Giovanni Crisostomo si sviluppano le considerazioni molto simili a quelle degli scrittori di Alessandria. E ci nonostante che il IV Vangelo non sia da considerare
un testo che si presti a evidenziare le principali doti degli esegeti spiccatamente letteralisti. Le aperture dottrinali dellesegesi crisostomiana dimo131. Orat. XXIX, 17: SC 250, 212-213.
132. Essa porta, rispettivamente, i numeri 1 e 249.
133. Epistula 249,16: P. Gallay, Saint Grgoire de Nazianze. Lettres, II, Paris 1967,
142-144.
134. Lautore riporta Gv 1,1; Fil 2,6; 2,8; Ebr 1,3.

288

M. C. PACZKOWSKI

strano, ad esempio, che il vescovo di Costantinopoli molto pi


alessandrino che antiocheno nella sua cristologia135.
Giovanni Crisostomo iniziando lomelia XV su Gv invoca la prudenza nel
comprendere le parole della Scrittura (cf. Sl 118,18)136. Nel passo che viene letto oggi, si dice che Dio ha un seno, cosa che caratteristica dei corpi;
ma nessuno sar tanto sciocco da pensare che lIncorporeo sia un corpo137.
Il Crisostomo si imbatte continuamente nei testi invocati dagli ariani e
dagli anomei che dovrebbero provare lessenziale differenza tra il Padre e
il Figlio. In realt gli eretici non hanno alcun diritto di evocare i testi
giovannei nel senso da loro voluto138. Il quarto Evangelista assai esatto.
Osservate con quanta sicurezza parli lEvangelista. Dopo aver detto, infatti, che Dio non lo ha mai visto nessuno, non aggiunse: il Figlio, il
quale lo ha visto, ce lo ha rivelato; ma enunci un concetto molto pi
vasto e comprensivo che non sia quello di vedere, dicendo: Il Figlio
Unigenito, che nel seno del Padre; vivere nel seno del Padre infatti
molto di pi che vederlo. Infatti chi vede soltanto, non ha una conoscenza
esatta e completa di ci che oggetto della sua osservazione; ma chi vive
nel suo interno, non ne ignorer nessun aspetto139.

La verit insegnata dalla Chiesa, sostiene il predicatore, concorda perfettamente con i testi giovannei.
Levangelista ricorre al termine seno, facendoci apparire tutto chiaro
con questa sola parola, se non perch grande laffinit e lunit della
sostanza, in quanto assolutamente identica la conoscenza e pari la potenza. Il Padre, infatti, non terrebbe nel suo seno qualcuno che avesse
unaltra natura; n quello oserebbe vivere nel seno del Padre, se fosse servo e una delle innumerevoli creature - giacch il vivere nel suo seno si
addice soltanto al vero figlio, che pu trattare il genitore con molta confidenza e non ha affatto una posizione dinferiorit rispetto a lui140.

135. Grillmeier, Ges il Cristo, II, 789.


136. Si deve mirare a comprendere tutto convenientemente, cio nel senso spirituale. Cf.
In Joannem hom. XV,1: PG 59, 97.
137. In Joannem hom. XV,1: PG 59, 97. Si nota un fenomeno curioso di inversione delle
singole parti di Gv 1,18.
138. Cf. J. Quasten, Patrologia, II, Casale Monferrato 1983, 442.
139. In Joannem hom. XV,2: PG 59, 99.
140. In Joannem hom. XV,2: PG 59, 99.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

289

Nellespressione giovannea Crisostomo riscontra unintimit di associazione tra il Padre e il Figlio. Lespressione nel seno esprime lunit e la
variet della sostanza divina. Il Padre non poteva avere nel suo seno unaltra sostanza e la ricchezza del suo essere propria anche al Figlio. Cos il
vescovo di Costantinopoli pensa alla pura presenza del Verbo in Dio141.
Giovanni adoper lespressione in principio era per mostrare che il
Figlio nel seno del Padre senza principio e dalleternit142. Questo principio annienta i pericoli di antropomorfizzazione:
Non esiter a pronunziare, nei riguardi di Dio, una parola che si addice
alluomo, cio seno; purch per non pensiate ad una cosa umile. Vedete quanto grande la bont e la Provvidenza del Signore? Dio attribuisce a se medesimo un termine che non gli si addice, affinch, almeno cos,
voi riusciate a vedere e a pensare qualcosa di grande e di sublime []
Perch qui si usa la parola seno, cos terrena e carnale? Forse per farci
nascere il sospetto che Dio sia corporeo? [] Non forse evidente che
essa stata pronunziata affinch da essa comprendiamo che il Signore
veramente lUnigenito e che realmente coeterno al Padre143?

Nelle omelie In Genesim il vescovo di Costantinopoli annoda allespressione giovannea seno del Padre il versetto di Fil 2,7. Colui che
nel seno del Padre ha voluto assumere la forma di servo e sostenere tutto
ci che riguarda lesistenza corporale144.
Lesegesi antiochena ha risentito del cambio nellambito delle discussioni che si erano ristrette agli argomenti tratti dalla controversia ariana
(anomea) e apollinarista145. Giovanni Crisostomo perci si rivela pi attento al senso dellespressione seno del Padre negli scritti polemici. Nellomelia intitolata nella PG De incomprehensibili Dei natura il vescovo
di Costantinopoli attinge dal repertorio classico delle immagini per affermare la concezione della trascendenza di Dio. Accanto agli esempi del
trono e della destra egli analizza lespressione di Gv 1,18. Se senti
seno non puoi intendere n il seno n il posto (mh\ ko/lpon einai

141. Cf. Gennaro, Il Dio invisibile e il Figlio unigenito, 172.


142. Crisostomo riferisce Gv 1,18 al Verbo non incarnato. Cf. Gennaro, Il Dio invisibile

e il Figlio unigenito, 172.


143. In Joannem hom. XV,2: PG 59,99.
144. In Genesim hom. XXIII,6: PG 53, 205; cf. anche PG 53, 319.
145. Sulla concezione cristologica dellIn Joan. di Teodoro di Mopsuestia si veda K.
Schferdiek, Theodor von Mopsuestia als Exeget des vierten Evangeliums, Studia
Patristica 10 (TU 107), Berlin 1970, 242-246.

290

M. C. PACZKOWSKI

no/mize, mhde to/pon). Con la parola seno si intende vicinanza e fiducia

presso colui che ha generato (il Figlio)146. Altrove il vescovo di


Costantinopoli rileva che il termine seno sottolinea che si tratta di vera
generazione147.
Lespressione giovannea dimostra nel modo pi chiaro che Egli (il
Figlio) in comunione con il Padre, cos come sedendosi alla (sua) destra.
Il Padre non avrebbe sopportato sul seno il Figlio se questi non fosse della
stessa natura e lo stesso Figlio, se fosse inferiore per natura, non avrebbe
potuto sussistere nel seno paterno. Poich (Egli ) Figlio e Unigenito, e sta
nel seno del Padre, conosce tutte le cose del Padre suo. Lesposizione
crisostomiana si conclude con allusione a Es 3,14 e Gv 1,18. Per il
Crisostomo i due versetti biblici diventano una sorta di definizione della
divinit. Si tratta di un dato tradizionale e perci il ribaltamento delle categorie scritturistiche sul piano speculativo permette di affermare che il Figlio dalleternit nel seno del Padre148.
Componendo, invece, un completo commento a Mt il Crisostomo non
solo sferra ripetuti attacchi contro i manichei149, ma accusa anche gli
anomei: Voi che dite di conoscere la sostanza (di Dio) e volete che il Figlio non conosca il giorno; (quel) Figlio che sempre nel seno del Padre150?
Si tratta probabilmente di una nota antianomea in cui il Crisostomo
fustiga questi eretici per la loro sfrontatezza blasfema di racchiudere Dio
nei limiti della ragione umana151 e di vanificare il mistero dellessenza divina. Non si pu neppure affermare la differenza tra il Padre e il Figlio.
Lappellativo indica la realt152. La fonte principale contro i presupposti

146. De incomprehensibili Dei natura IV,4: PG 48, 732.


147. Cf. In Ps. 109,4: PG 55, 267.
148. De incomprehensibili Dei natura IV,4: PG 48, 732 (O wn en toi ko/lpoi touv Patro/
, to\ aidiw einai en toi ko/lpoi touv Patro\ dunato\n eklabein). Crisostomo allude a Gv

1,18 anche nel sermone che segue; cf. De incomprehensibili Dei natura V,1: PG 48, 736.
149. Cf. Quasten, Patrologia, II, 440.
150. In Matthaeum hom. XXVII,2: PG 58, 703.
151. Cirillo di Gerusalemme, alludendo a Gv 1,18, parla di Dio che mai nessuno ha potuto
vedere (cf. Catecheses VI,5: W.C. Reischl - J. Rupp, Cyrilli Hierosolymitani archiepiscopi
opera quae supersunt omnia, 1, Mnchen 1860 (ed. anast.), 160-161) ed quindi
ininvestigabile e inenarrabile (cf. Catecheses VII,11: Reischl - Rupp, Cyrilli Hierosolymitani opera, 1, 220-221).
152. Cf. De consubstantiali hom. VII : PG 48, 758. Il Crisostomo unisce nelle espressioni
tratte da Ebr 1,3 lindicazione di Gv 1,18.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

291

erronei la Scrittura. Cos con le parole di Gv 1,18 lEvangelista introduce il degno testimone e il maestro della fede153.
Teodoro di Mopsuestia che il rappresentante pi tipico dellesegesi
antiochena154, inizia la riflessione della cristologia antiochena propriamente detta. LAntiocheno tocca le tematiche antiariana e antiapollinarista
nel suo commento a Gv155. La discussione sullinterpretazione della figura
di Cristo fornita dallarianesimo e dallapollinarismo ha trovato in lui un
interlocutore stimolante156. Nonostante la sua esegesi sommaria157 dellespressione giovannea seno del Padre da considerare il suo contributo positivo alla soluzione del problema cristologico. Si pu intuire che
Teodoro ricco di tradizioni ereditate dal suo ambiente ecclesiale158 che si
possono riconoscere in semplici accenni o nelle esposizioni pi nutrite159.
Cos per lAntiocheno lespressione di Gv 1,18 indica che il Figlio
inseparabilmente unito al Padre. Fissato questo principio, il vescovo di
Mopsuestia riporta lanalogia proveniente dalla realt umana: il seno designa una parte inseparabile dalluomo. Ci che teniamo nel nostro seno
a noi unito. Tra gli esempi scritturistici si hanno due Salmi 78,12 (LXX) e
88,51160. Non si pu negare che la preoccupazione maggiore di Teodoro
rappresentata dallapollinarismo e a ci dovuto laccenno allautorit dellinsegnamento di Ges con autorit che chiude questa sua riflessione.
Invece nellinterpretazione di Rm 9,5 Teodoro rileva lunit e la distinzio-

153. De incomprehensibili Dei natura IV,3: PG 48,731.


154. M. Simonetti, Teodoro di Mopsuestia, DPAC, II, 3384.
155. Si tratta della pi notevole scoperta degli scritti di Teodoro sul NT. La versione siriaca
con una traduzione latina fu pubblicata da J.M. Vost, in Theodori Mopsuesteni
Commentarius in Evangelium Iohannis Apostoli. Textus, in CSCO 116, Louvain 1940.
156. Grillmeier, Ges il Cristo, II, 814.
157. Sono apparsi alcuni studi sullesegesi teodoretiana di Gv. J.M. Vost, Le commentaire
de Thodore de Mopsueste sur saint Jean daprs la version syriaque, in RB 32 (1923) 522551; X. Ducros, La traduction syriaque du commentaire de Thodore de Mopsueste sur
lEvangile selon saint Jean, in BLE 28 (1927) 145-159, 218-230; J.L. McKenzie, The
Commentary of Theodore of Mopsuestia on John 1, in TS 14 (1953) 73-84; M.F. Wiles,
The Spiritual Gospel. The Interpretation of the Fourth Gospel in the Early Church, Cambridge 1960.
158. R.A. Greer, Theodor of Mopsuestia Exegete and Theologian, London I961. Lautore
sottolinea limportanza della terminologia cristologica biblica in Teodoro di Mopsuestia.
159. Laffermazione simile si pu fare a proposito di Teodoreto da Cirro. In realt
lespressione seno (dal Sl 109,4) rivela lidentit di natura. Tu mostri in Te stesso la
sostanza di Colui che genera. In Ps. 109,4: PG 80, 1772 A.
160. Comm. in Ev. Iohan. I,18: CSCO 115,39.

292

M. C. PACZKOWSKI

ne delle nature di Cristo. Per sottolineare la divinit del Verbo questo autore introduce Gv 1,18161, per senza farne unesegesi pi dettagliata.
Sintesi di Cirillo di Alessandria
Lesame del Commento a Giovanni162, uno dei vertici dellesegesi cirilliana,
offre una rapida sintesi delle acquisizioni di esegesi precalcedonese di Gv
1,18. La lettura del IV Vangelo conferma la tendenza dogmatica e polemica nellesegesi del patriarca alessandrino. Si pu affermare che i simboli di
Nicea e di Costantinopoli sono criteri ermeneutici di lettura. Il commento
cirilliano un contenitore di tesi ereticali163 contestate. Il nostro commentatore d delle notizie sugli ambienti marginali dellinizio del V secolo,
spesso sconosciuti. Tuttavia la sua spiegazione essenzialmente destinata
a confutare leresia di Ario e di Eunomio e a fondare la teologia trinitaria.
Linterpretazione di Gv 1,18 costituisce per Cirillo loccasione per introdurre lexcursus cristologico contro gli eterodossi di vario genere. In
queste occasioni Cirillo presenta unesegesi ben centrata e di maggior originalit rispetto ai commenti veterotestamentari, ma scarsamente innovativa. Questo autore afferma ad esempio che bisogna osservare [] che
levangelista [] chiama Dio il Figlio, e afferma che egli nel seno del
Padre, per dimostrare ancora una volta che di gran lunga diverso dalla
creatura, e che ha una sua propria esistenza dal Padre e nel Padre164.
Fin dallinizio della sua interpretazione di Gv 1,18 lesegeta
alessandrino presta una particolare attenzione al senso dogmatico del testo
giovanneo e alla confutazione delle dottrine eretiche, dimostrando in primo luogo che il Figlio della stessa sostanza divina del Padre e ciascuna
delle Persone Divine possiede la propria sostanza personale.
Il Verbo [] Dio per natura. Per questo motivo anche levangelista
dice che il Verbo nel seno del Padre, affinch tu comprenda che in lui
e da lui, secondo quanto ha detto il Salmista: Dal grembo, prima dellau-

161. Cf. Homilia VI, 4: R. Tonneau, Les homlies catchtiques de Thodore de Mopsueste,

Citt del Vaticano 1949, 136-137.


162. Questo voluminoso commento comprende dodici libri suddivisi in capitoli. I libri 7 e

8, che interpretano Gv 10,18-22,48 sono scomparsi, tranne un piccolo numero di frammenti


conservati nelle catene esegetiche e di autenticit peraltro dubbia.
163. D. Pazzini, Linterpretazione del Prologo di Giovanni in Origene e nella patristica
greca, in ASE 11/1 (1994) 52.
164. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 177 B.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

293

rora, ti ho generato (Sl 109,3). Come, in questo passo, usa propriamente


le parole dal grembo per dire da lui, prendendo la similitudine da
quello che succede negli uomini (dal grembo escono quelli che nascono
fra gli uomini); cos, quando dice nel grembo, non vuole significare
soltanto nel grembo del Padre che genera il Figlio, esprimendosi come
nello splendore conveniente a Dio e nellineffabile processione verso la
propria persona, ma che contiene, a sua volta, lui; infatti, non per un taglio o per divisione, a guisa di un corpo, uscito dal Padre il divino germoglio. Perci il Figlio, in un luogo, dice di essere nel Padre ma, nello
stesso tempo, di avere il Padre in se stesso (cf. Gv 14,11)165.

Il patriarca alessandrino descrive lattivit generativa nel Padre. Il Figlio identico a Lui nella sostanza e nellessere. Con uguale insistenza egli
proclama la coeternit delle Persone divine, senza accennare per allespressione oJ wn e identifica il seno con la sostanza perch il Figlio
della sostanza e nella sostanza del Padre.
Altrove Cirillo afferma a proposito della generazione dal seno del Padre che il Figlio non ha avuto inizio nel tempo166. Il nostro autore introduce un termine specifico della teologia trinitaria e parla di pericoresi
(penetrazione). E uno spunto per abbattere le tesi eretiche. In questo
modo comprenderemo che il Figlio nel seno del Padre non come lo intendono alcuni, soliti a combattere Dio [] Essi pervertono tutto ci che
retto167. Per il nostro autore si tratta soprattutto della negazione della divinit di Cristo che la sua vera natura. La riflessione teologico - esegetica
di Cirillo preannuncia gi lavversario risoluto del dualismo nestoriano168.
Ma per ora le sue preoccupazioni sono altre, anche se non gli sfugge il rischio di una concezione troppo rigida dellunit di Cristo che potrebbe
vanificare la sua umanit. Gli eretici combattuti dal nostro affermano che
per il fatto che si dice che il Figlio nel seno del Padre non si dovrebbe
credere che
Egli frutto della sostanza [del Padre] e della sua natura increata. Ma
non avete sentito, essi dicono, nelle parabole evangeliche (cf. Lc 16,19),
dove Cristo parlava del ricco e di Lazzaro, che Lazzaro, dopo la sua morte, fu portato nel seno di Abramo? Forse che, poich si dice che Lazzaro

165. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 180 B.


166. Dial. de Trinitate IV,519: SC 237, 182-183.
167. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 180 D.
168. Cirillo cita Gv 1,18 affermando lunit di Cristo. Cf. Quod unus sit Christus 768-769:
SC 97, 482-483; Scholia (De Incarnatione Domini) 16: PG 75, 1390-1391.

294

M. C. PACZKOWSKI

era nel seno di Abramo, penserete che egli era da lui e con lui per natura?
O non piuttosto rifiuterete di fare questa affermazione, ragionando rettamente e ammetterete, voi con noi, che seno significa amore? Dunque, noi
diciamo che il Figlio nel seno di Dio Padre, cio nellamore, come, del
resto, anchegli dice in un luogo: il Padre ama il Figlio (Gv 3,25)169.

Il retto discorso della verit che fa Cirillo basato sulla Scrittura170.


Voi date il significato di amore alla parola seno: cos almeno abbiamo
sentito poco fa da voi. Allora, dunque, poich Dio am il mondo (Gv
3,16), secondo quanto ha detto il Salvatore, e il Signore ama le porte di
Sion (Sl 87, 2), come canta il santo Salmista, senza rischio diremo che
nel seno di Dio Padre c lo stesso mondo e le porte di Sion? E quando
dice al grande Mos: Metti la mano nel tuo seno (Es 4,6)171, dimmi,
forse che gli ordin di amare la sua mano o non piuttosto di nasconderla?
Ma come non provocheremo il riso, anzi, come non ci comporteremo da
empi verso lo stesso Padre, se diciamo che tutto nel suo seno, e ci che
il bene inafferrabile del solo Unigenito lo rendiamo comunicabile agli
altri, tanto che il Figlio non ha nulla di pi delle creature172?

Cirillo contesta lidentificazione seno - amore. Si tratta di un mutuo e sostanziale amore che intercorre tra il Padre e il Figlio. Altrove egli
insiste sullidentificazione giovannea tra lo Spirito Santo e lAmore divino
(cf. 1Gv 4) che accende il desiderio di Dio173.
Prima di tutto per quando diciamo che il Figlio nel seno del Padre,
non intenderemo altro che egli da lui e in lui. Il patriarca alessandrino
prosegue:
Se noi esaminiamo con acribia la forza di quel pensiero, troveremo che vuol
dire questo e non altro. Levangelista ha detto: lUnigenito Dio che nel
seno del Padre. Prima ha detto Unigenito e Dio, poi ha aggiunto subito che nel seno del Padre perch si capisse che anche il Figlio da lui e
in lui per natura, adoperando la parola seno per sostanza174.

169. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 180 D-181 A.


170. Lesempio viene dato anche in Dial. de Trinitate dove con Gv 1,18 il nostro auotre
collega 1,1.9; 3,31; 8,23. Cf. V,549: SC 237, 274-25.
171. Per il collegamento tra Gv 1,18 e Es 4,6 cf. Scholia (De Incarnatione Domini) 16: PG
75, 1390-1391.
172. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 181 B-C.
173. Cf. PG 73,300 C; PG 73,520 D.
174. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 181 C.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

295

Per il vescovo di Alessandria si tratta di una specie di tipologia teologica che prende la similitudine dalle cose corporee. Si deve ammettere che
le cose sensibili sono, in qualche modo, tipi delle cose intelligibili; e ci
che in noi usato per capire le cose che sono al di sopra di noi. E spesso
accade che le cose corporee siano prese in una similitudine, affinch ci
portino alla conoscenza di concetti pi sottili, anche se si comprendono in
relazione al proprio tempo nel modo in cui probabilmente sono state dette. Di tale specie dico che quel detto di Mos: Metti la mano nel tuo
seno (Es 4,6) [...] Quel che si dice, poi, di Lazzaro che fu collocato nel
seno di Abramo, non solo non contrasta, ma addirittura viene incontro al
nostro insegnamento175.

Le espressioni scritturistiche, come quella di Gv 1,18, rimangono le


pietre di paragone della fede ortodossa176. Tuttavia queste affermazioni di
Cirillo possono suggerire il perch della sua scarsa originalit nellinterpretare lespressione oJ ko/lpo touv patro/. A causa degli eretici lespressione
evangelica risultava troppo eversiva, capace di mettere in crisi e di
relativizzare il sistema cristologico tradizionale. Allepisodio descritto in Es
4,6 Cirillo si riferisce ancora negli Scholia de Incarnatione Unigeniti177. Il
patriarca alessandrino riporta appellativi di Cristo per offrire poi alcuni
chiarimenti sulla questione dellunione ipostatica. I testi anticotestamentari
di partenza servono come punto di appoggio per lanalisi del titolo
cristologico destra di Dio. Cirillo osserva:
La divina Scrittura chiama il vero Figlio destra di Dio Padre. [Il Padre]
stesso Lo presenta con le parole: La mia destra ha disteso i cieli (Is
48,13) e il beato Davide canta: Dalla parola del Signore furono fatti i cieli (Sl 33,6) [] Fino a quando il Verbo fu nel seno del Padre, Egli
risplendeva con la gloria della divinit. Per non quando fu tirato fuori, e
ci avvenne attraverso lincarnazione o enanqrwphsi, e fu mandato in
una carne simile a quella del peccato (Rm 8,3) [] Tuttavia Egli ritorna
ancora nel seno del Padre (fu risvegliato alla vita mediante la risurrezione
dai morti). Come la mano [di Mos] diventata sana, cos il nostro Signore Ges Cristo apparir ancora alla fine dei tempi nella integrit e nella gloria della sua divinit178.

175. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 181 C-D.


176. Cf. Quod unus sit Christus 768 e: SC 97,482-483.
177. Il testo completo si trova solo in antiche traduzioni. Ci serviamo della versione latina.
178. Scholia de Incarnatione Unigeniti 16: PG 75,1390 C-1391 A.

296

M. C. PACZKOWSKI

Per Cirillo lUnigenito il Verbo generato179 che gli Scholia descrivono nella sua incarnazione salvifica e nella glorificazione.
Echi della preoccupazione di accentuare la cristologia tradizionale si
ritrovano nel Dialogi de Trinitate. Il mistagogo Giovanni [] presenta
come un mistero ineffabile la condizione di Figlio Unigenito, il quale nel
seno di Dio e Padre, comprovando cos [] che la sua generazione non
falsa180. Lespressione seno del Padre per Cirillo uno dei tanti dettagli
del testo biblico che costituiscono le armi valide nella controversia antiariana. Le motivazioni di questa discussione ci rimangono sconosciute181,
ma aiutano a vedere lo sfondo delle precisazioni che hanno provocato le
aggressioni del nestorianesimo.
Si constata che per Cirillo il discorso esegetico-teologico su Gv 1,18
toccava inevitabilmente i problemi del momento, ma importanti per i fondamenti stessi delle fede cristologica. Non deve perci stupire il fatto del
suo ritorno agli argomenti noti e dibattuti in precedenza.

Linterpretazione degli autori latini


Le grandi dispute dommatiche ebbero, come si sa, una eco meno profonda
nellOccidente latino. Ci non significa che gli autori latini non abbiano
fatto caso a Gv 1,18. Anche per loro, come per gli autori della pars
Orientis, era importante porre le basi per la cristologia ed entrare nel cuore della vita intima della Santissima Trinit che Dio stesso ha rivelato per
mezzo del suo Figlio.

Autori minori dellOccidente latino


Nellarea della letteratura esegetico-teologica latina risulta utile ricorrere
non solo agli autori e alle opere maggiori, emananti da personalit di rilievo, ma anche ricercare nel campo della produzione minore. Le opere
un po trascurate dagli studi costituiscono talora letture inaspettate e
originali.

179. Cf. In Joannis Ev. I,10: PG 73, 177 B-182C.


180. Dial. de Trinitate II,437: SC 231, 282-283.
181. Cf. G. Jouassard, Activit littraire de saint Cyrille dAlexandrie jusqu 428. Essai
de chronologie et de synthse, in Mlanges Z. Podechard, Lyon 1945, 169.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

297

Linterpretazione particolare presentata da Novaziano va inquadrata


nella via tracciata prima da Tertulliano. Egli per procede con una maggiore sicurezza nelle questioni trinitarie e cristologiche. Nel De Trinitate
Novaziano si preoccupa di manifestare il Figlio assoggettato al Padre.
Lespressione giovannea che ci interessa viene usata nel presentare Cristo
come il messaggero di Dio. Egli , quindi, quellangelo che parl ad Agar
(cf. Gen 21,17) e langelo del gran consiglio.
Questo titolo di angelo gli dato poich rivela lintenzione nascosta nel
seno del Padre, come afferma Giovanni (cf. Gv 1,18). Se dunque Giovanni afferma che colui che rivela il seno del Padre il Verbo che si fece
carne allo scopo di manifestare il seno del Padre, ne segue che il Cristo
non soltanto uomo, ma anche angelo. E si manifesta nelle Scritture
come colui che non soltanto angelo, ma Dio182.

Non c dubbio che gli autori latini fanno tesoro di molti elementi
esegetici gi sperimentati e traggono un apporto dalla lunga controversia
ariana. Tuttavia per le considerazioni ancorate palesemente nella tradizione bisognava attendere Ilario e Ambrogio.
Primo tra gli scrittori latini che fanno riferimenti non solo occasionali
a Gv 1,18 Mario Vittorino. Il suo obiettivo la confutazione globale delle tesi ariane. Ne risente largomentazione di carattere biblico che sostiene
la dimostrazione di Mario Vittorino. Un unicum nellambiente latino costituisce la sua spiccata predilezione per il IV Vangelo di cui cita ampi brani
dando limpressione di una lettura continua. Nelle pagine dellAdversus
Arium risalta quanto il IV Vangelo sia stato il fondamento della teologia
trinitaria antiariana183.
Con la sensibilit di un buon grammatico Mario Vittorino fa le considerazioni riguardanti la traduzione dellespressione greca ei to\n ko/lpon.
Tradurremo meglio come grembo (melius dicemus gremio) ci che i
Greci esprimono per ei to\n ko/lpon che significa nel grembo. Tuttavia sia questa sia laltra parola significano che il Figlio generato, che
egli generato al di fuori di lui e che sempre con il Padre perch
stato detto: colui che nel seno del Padre. Colui che investigher diligentemente e comprender con fede tutte queste cose, (lo far) alla luce
di tutta la Scrittura184.
182. De Trinitate XVIII,22-23: CCL 4, 47-48.
183. Cos M. Simonetti in A. Di Berardino (a cura di), Patrologia, III, Casale 1983
(ristampa) 74.
184. Adversus Arium IV,33: SC 68, 598-601.

298

M. C. PACZKOWSKI

Da questo articolato ragionamento, in cui ci che si dice del Figlio si


intende rivolto allesterno, lautore ricava luguaglianza del Padre e del
Figlio. Negli Hymni de Trinitate lespressione evidenzia il rapporto di intima comunione185. Tu conosci il Padre - si dice del Figlio - perch sei nel
suo seno e sei da lui generato186.
NellAdversus Arium lespressione in gremio una sorta di dichiarazione della figliolanza divina del Verbo187.
E possibile parlare di Dio e del Figlio. Ma in realt chi ci ha parlato del
Padre? E il Figlio. Chi costui? Colui che nel seno ( Quis iste? Qui est
in gremio). Egli non soltanto procede (dal Padre), ma rimane Figlio nel
(suo) seno (in gremio semper est filius). Solo lui ci istruisce sufficientemente sul Padre188.

Pi avanti questo autore specifica che il Figlio presso il Padre per


tutto ci che riguarda il suo agire, invece se si tratta dellessere Egli nel
seno del Padre (quod est esse in gremio patris exsistens)189. Laffermazione giovannea indica anche la continuit dellessere del Figlio nel Padre. Il
Discepolo Diletto dice che Egli il Figlio nel grembo del Padre e lo
sempre: non solo sempre vede il Padre, ma sempre nel Padre190. Vittorino distingue presso Dio e nel seno di Dio191 come due aspetti dellesistenza del Figlio come persona distinta e nello stesso tempo unita al Padre
- fonte della divinit. Mario Vittorino dichiara eresia il confondere questi
due aspetti e soprattutto affermare che in gremio implica estraneit del Figlio dalla sostanza del Padre192.
Mario Vittorino il precursore dellinserimento dello Spirito Santo nellarticolazione dellessere di Dio. Basandosi sul rapporto di reciprocit fra
le Persone divine, questo autore attribuisce al Figlio e allo Spirito qualit
comuni. In questo contesto troviamo lespressione di Gv 1,18. Cos come
il Figlio viene dal seno del Padre ed nel (suo) seno (a gremio Patris et in

185. Mario Vittorino segue lo stesso ragionamento che nei versetti 205-2-7 di questo inno;
cf. SC 68, 248-249.
186. Hymni de Trinitate III, 232: SC 68, 650-651.
187. Cf. Adversus Arium I,15.16: SC 68, 222-223; Ad Candidum 16: SC 68, 152-155.
188. Adversus Arium I, 2: SC 68, 192-193.
189. Adversus Arium I, 5: SC 68, 198-199.
190. Adversus Arium I, 16: SC 68, 222-223.
191. Cf. Ad Candidum 16. 23: SC 68, 154-155; 160-161.
192. Cf. Ad Candidum 26: SC 68, 162-163; Adversus Arium I, 15: SC 68, 222-223.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

299

gremio Filius), cos dal seno del Figlio (proviene) lo Spirito (sic a ventre
Filii Spiritus)193.
Mario Vittorino presenta una nuova e originale esegesi che apre la strada allinterpretazione occidentale. Va notato per che, nonostante i pochi legami con la tradizione anteriore, la sua spiegazione di Gv 1,18 abbastanza
conforme alle elaborazioni pi saldamente tradizionali.
Gli autori minori latini nelluso di Gv 1,18 dimostrano un tecnicismo
sorprendente che rivela una notevole competenza in materia e prova un livello abbastanza elevato della speculazione antiariana. Questo tratto traspare con molta evidenza negli scritti del luciferiano Faustino che espone punti
fondamentali della dottrina antiariana194. Non lo fa con grande originalit, ma
in modo chiaro e incisivo195. Faustino usa lespressione in sinu patris come
conferma della figliolanza divina di Cristo. Il Figlio viene definito come
Unigenitus, solus verus, inseparabilis paternae substantiae perch nel seno
del Padre. E specifica nel De Trinitate: I figli adottivi si trovano nel seno
di Abramo (in sinu Abrahae), ma colui che il vero e lUnigenito Figlio
nel seno del Padre (in sinu Patris)196. Siamo nel capitolo 20 del suo trattato
De Trinitate che costellato di riferimenti allespressione in sinu Patris.
Per Faustino si tratta della dimostrazione che il Figlio dellinseparabile
sostanza del Padre (inseparabilem paternae substantiae). Servendosi dellespressione giovannea, questo autore con competenza solleva la questione
di superiorit del Figlio nei confronti degli angeli. Nessuno di loro pu essere paragonato al Figlio. Tutti gli angeli sono creati (facti sunt), solo il Figlio stato generato (solus Filius natus est), al quale il Padre aveva detto:
Siedi alla mia destra. Cos sta da solo lUnigenito Figlio che nel seno
del Padre197.
Un buon rappresentante della dottrina tradizionale della Chiesa in molti
campi Zenone di Verona. La sua teologia trinitaria, come in altri scrittori
occidentali di stampo notevolmente arcaico. Questo autore sottolinea che
lopera della creazione viene compiuta dal Figlio che conosce perfettamente
la volont del Padre. Infatti colui che, rimanendo nel seno del Padre (qui in
sinu patris commanens) non aveva appreso la perfezione della volont di
Lui, la possedeva in s198.
193. Adversus Arium I, 8: SC 68, 204-205.
194. Anche Lucifero di Cagliari ricorda con tutta la forza la fede della Chiesa definita a
Nicea. Cf. De non conveniendo cum haereticis 9: CSEL 14, 18.
195. Cf. M. Simonetti, Faustino, DPAC, I, 1335.
196. De Trinitate 20: CCL 69, 317.
197. De Trinitate 28: CCL 69, 327.
198. Tractatus I, 56: CCL 22,131.

300

M. C. PACZKOWSKI

Degno di menzione anche Massimo di Torino. Si tratta di un vero


maestro della fede. Egli per non entra nel vivo delle controversie teologiche. Commentando i testi biblici ogni tanto mette in guardia contro i residui dellarianesimo199. In questo contesto appare il riferimento a Gv 1,18:
(Cristo) viene tenuto in grembo della madre [], ma il Padre gli offre
perennemente il calore del suo grembo. Leggiamo che Egli ininterrottamente riposa nel seno del Padre. Dopo la citazione completa di Gv 1,18 il
vescovo di Torino continua: Il Signore riposa volentieri nel grembo dei
santi [] Ma il grembo in cui riposa Cristo non costituito dal grembo
corporeo [] Il grembo per Cristo era, nellevangelista Giovanni, la fede;
in Dio Padre, la divinit; in Maria sua Madre, la verginit200.
Un altro autore - Febadio di Agen - confutando la formula filoariana
del sinodo di Sirmio, adatta gli argomenti antimonarchiani di Tertulliano201.
In primo luogo rimprovera agli avversari di basare lesegesi di alcuni versetti giovannei sulla natura anzich sulla persona con intento preciso di
negare lunica sostanza202.
Interpretando Is 58,8 questo autore afferma: Nessun uomo lo potr
(narrare). Nessuno poteva farlo se non colui che proviene dal seno del
Padre ed Egli in primo luogo ci ha rivelato il mistero della sua nascita203. In seguito egli fa riferimento a Gv 1,18 affermando che solo il
Padre conosce la generazione del Figlio. Che significa questa frase se
il Signore non ha voluto che fossimo nellignoranza: Vengo dal Padre (Gv 16,27) e dal seno del Padre204? Laffermazione chiusa
con Mt 11,27. Interpretando Gv 14,18 Febadio presenta una piccola
antologia di passi giovannei a partire da Gv 1,18205. Questa raccolta
doveva suggerire la consustanzialit oppure la dipendenza del Figlio dal
Padre. In realt Febadio afferma a proposito delle formule giovannee:
non si tratta della confessione dellinferiorit (del Figlio), ma della
proclamazione dellunit206. Infine egli ribadisce che il Figlio nel

199. Cf. M. Pellegrino, Massimo di Torino (I), DPAC, II, 2178.


200. Sermo100 (extrav.), 2: CCL 23, 398-399.
201. Si tratta di Adversus Praxean. Cf. M. Simonetti, Febadio, DPAC, I, 1338.
202. Il riferimento di obbligo fu Gv 14,28; cf. Liber contra Arianos 9: PL 20, 20 A- B.
203. Liber contra Arianos 9: PL 20, 19 B.
204. Liber contra Arianos 9: PL 20, 20 A- B.
205. Gv 17,10; 5,19; 6,38.
206. Liber contra Arianos 12: PL 20, 21 D-22 A. Febadio chiude con le altre citazioni del
IV Vangelo: Gv 6,29; 14,10; 7,6.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

301

seno invisibile (qui in sinu invisibilis perseverat) ed della stessa


sostanza del Padre207.
Si nota che lautore sviluppa la propria esegesi contestando quella eretica. Per Febadio Gv 1,18 rivela le prerogative del Verbo, in primo luogo la
sua dipendenza interdivina come generato dal seno paterno.
Tra gli autori latini particolarmente importante appare Ilario di Poitiers
che in immediato rapporto con il mondo teologico greco. A pieno titolo
egli pu essere considerato lesegeta delleterna nascita divina del Figlio
unico, come della sua immanenza nel Padre e della sua uguaglianza con
lui208. Attingendo dagli autori di lingua greca, il vescovo di Poitiers distingue con sicurezza in Cristo lumano e il divino con le loro peculiari nozioni. La riflessione ilariana sullespressione seno del Padre non si trova
nella parte iniziale del De Trinitate dove il prologo del IV Vangelo acquista un ruolo assolutamente centrale, ma usa con pi padronanza Gv 1,18
nei contesti polemici delle altre parti della sua opera. Cos ribadisce, ad
esempio, che Giovanni parl del Figlio Unigenito come Dio, non come
perfetta creatura di Dio209.
Nellesegesi del Sl 109,3 si osserva una raccolta di testi riguardanti
uterus e sinus divini. Luso della parola seno suggerisce che egli realmente ha generato da s colui che ha generato. Non si tratta della parola
seno nel senso proprio, ma di unimmagine impiegata per rivelare la realt della generazione210.
Si nota il valore dimostrativo delle immagini grazie alle quali si pu
capire lidea di generazione del Figlio211 che nato in modo ineffabile,
partecipe della sua reale divinit212. E evidente che per il vescovo di
Poitiers soltanto il concetto di generazione pu garantire lunit di sostanza tra il Padre e il Figlio. Le repliche simili alla scissione ariana fra eternit del Padre e temporalit del Figlio si ritroveranno in altri scrittori del

207. Liber contra Arianos 18: PL 20, 26 B.


208. B. De Margerie, Introduzione alla storia dellesegesi. II: I primi grandi esegeti latini,
Roma 1984, 79.
209. De Trinitate VI,40: CCL 62, 244-245.
210. De Trinitate XII,10: CCL 62 A, 586.
211. Prudenzio lega il concetto della generazione del Figlio con il cuore del Padre: Corde
natus ex Parentis ante mundi exordium; Liber Cathemerinon: Hymnus IX,10: A. Ortega I. Rodriguez (ed.), Obras completas de Aurelio Prudencio. Introduccin general,
comentarios, ndices y bibliografa (BAC [Patrologia] 427), Madrid 1981, 116-117; Corde
Patris genita est Sapientia, Filius ipse est; Liber Apotheosis, Praef. I, 2: ibid., 178-179.
212. De Trinitate VI,16: CCL 62, 214.

302

M. C. PACZKOWSKI

tempo. Ilario non fa nientaltro che riassumere il pensiero teologico orientale e occidentale in questa materia.
Ambrogio
Ambrogio di Milano parlando delluterus Patris attinge sicuramente dalla
tradizione anteriore. Sulla scia degli altri autori considera il prologo
giovanneo la sintesi delle cruciali verit teologiche. Gv 1,18, come gli altri
versetti dellinizio del IV Vangelo, appare importante per la discussione
trinitaria e per la polemica antiariana.
Evocando il concetto del grembo (uterus) divino, il vescovo milanese afferma che si tratta di un arcano e interiore segreto della sostanza del
Padre213, che n gli angeli n gli arcangeli n le potest n le dominazioni
n alcun altra creatura pot mai penetrare214. Di fronte a questo mistero,
stiamo attenti a non separare la sostanza del Figlio unigenito dal seno
del Padre e, per cos dire, dallutero e dal mistero della natura del Padre; stiamo attenti a non compromettere la generazione divina a causa delle parole con cui si esprime la reale assunzione della carne215.
Gli stessi concetti si vedono in filigrana nel De virginitate. Il Padre ha
generato il Verbo dallutero, come il Figlio, dal cuore Lo ha emesso come
una parola [] Il Padre Lo ama, tanto da portarLo sul suo seno, da metterlo alla sua destra216. Anche in altre analisi dellespressione in questione
Ambrogio raggiunge indubbiamente un livello elevato di esegesi dove la
teologia domina incontrastata. Cos avviene nel De interpellatione Iob et
David dove, parlando del Giordano raffigurante Cristo che divide la terra, il vescovo di Milano aggiunge che il Figlio nel seno e nellintimo
del Padre (in sinu et secreto Patris)217.
NellExpositio Evangelii secundum Lucam il nostro cita Gv 1,18 nellargomentazione antiariana. Gli eretici, negando leternit del Verbo ne
negavano la divinit. La testimonianza giovannea indica il Figlio che trascende le stesse potenze celesti (ultra caelestis est potestates)218. Poi, per

213. Lespressione nel seno equivale nellintimo della mente e nel segreto dellanimo.
Epistula 77,5: Opera 21, 156-157.
214. De fide IV,8,88: Opera 15, 294-295.
215. De Incarnatione Domini Sacr. 2,13: Opera 16, 380-381.
216. De virginitate III,1,3: Opera 14/1, 210-211.
217. De interpellatione Iob et David IV, 4, 15: Opera 4, 236-237.
218. Expositio Evangelii secundum Lucam I: Opera 11, 122-123.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

303

dimostrare che la divinit postula lunit, il nostro allespressione che


nel seno del Padre aggiunge: e siede alla destra del Padre (qui est in sinu
Patris, qui sedet ad dexteram Patris)219.
Questi per non sono gli unici punti della controversia ariana che
Ambrogio discute con rigore. Le sue argomentazioni appaiono alle volte
molto vive e si servono delle stesse argomentazioni degli avversari. In questo contesto non mancano le considerazioni sulla rivelazione operata dal
Figlio220.
Nel De patriarchis Ambrogio invita a interpretare Lc 11,25, secondo
il senso spirituale, considerando la generazione del Signore secondo la
divinit e secondo la carne.
Il Padre dice:
Il mio cuore effuse la Parola buona, perch il Figlio fu generato dallintima e incomprensibile sostanza del Padre ed sempre con lui. Quindi
anche levangelista dice: Nessuno ha visto mai Dio, se non il suo unigenito
Figlio, che nel seno del Padre; egli lo ha rivelato. Come dunque per
seno spirituale del Padre sintende, per cos dire, lintimo recesso dellamore e della natura del Padre, nel quale sempre il Figlio, cos anche il
grembo del Padre quello dellinteriore segreto spirituale dal quale, come
da un ventre materno, stato generato il Figlio. Cos, per luso di parole
diverse, ora leggiamo il grembo del Padre, ora il suo cuore, dal quale
effuse la Parola, ora la sua bocca, dalla quale procedette la giustizia,
usc la sapienza, come appunto dice: Dalla bocca dellAltissimo sono
uscita (Eccl 24,3). Cos, dal momento che non fissato un unico termine
e tutti hanno il medesimo significato, ciascuno di questi indica il mistero
spirituale della generazione paterna piuttosto che una parte del corpo.

Bisogna per specificare, conclude Ambrogio che come intendiamo la


generazione dal Padre, cos, per raggiungere una fede perfetta, dobbiamo
intendere la generazione da Maria221.
Servendosi dellargomento scritturistico e condannando ogni scisma nel
De Incarnatione Domini Sacramento Ambrogio presenta leresia apollinarista con i suoi due aspetti principali: la separazione del Verbo dal seno
del Padre che conduce alla negazione della divinit, e la negazione della
realt dellincarnazione.

219. Expositio Evangelii secundum Lucam II: Opera 11, 156-157.


220. Cf. De interpellatione Iob et David I,9,31; De paenitentia I,14: Opera 4, 168-169; 17,
214-215.
221. De patriarchis XI,51: Opera 4, 58-61.

304

M. C. PACZKOWSKI

Se si cerca il Figlio di Dio lo si trova nel seno del Padre con laiuto
dello spirito evangelico. Pensate che il seno del Padre sia un luogo (sinum
patris locum putatis) e vi domandate come nata la sapienza, quando il
profeta dice: Luomo non conosce la sua via? Pensate che la sua nascita sia simile a quella degli uomini? Ma Giobbe dice che Non stata trovata tra gli uomini (Gb 28,14)222.

Nel De fide III Ambrogio non segue un discorso lineare, ma presenta


efficacemente vari argomenti in difesa della dottrina nicena. Contro le obiezioni ariane il vescovo di Milano evoca lespressione il seno del Padre e
cita per esteso Gv 1,18.
Come non abita la luce inaccessibile il Figlio, dal momento che il Figlio
nel seno del Padre []. Il Padre luce (lo ) anche il Figlio, poich Dio
luce (quomodo autem lucem inaccessibilem non habitat Filius, cum in sinu
Patris Filius sit, lux autem Pater, lux etiam ipse sit Filius, quia Deus lux
est?) []. Non separino [] il Figlio, quando leggono Dio soltanto, e
non separino il Padre quando leggono il Figlio soltanto223.

Il vescovo milanese ha rafforzato gli argomenti precedenti con questo


rilievo importante che rileva la posizione del Figlio. Egli non pu essere
separato dal Padre perch nel suo seno ed luce.
Siamo nel contesto in cui viene ribadita la divinit del Figlio. In lui
sono presenti le perfezioni attribuite al Padre. Di conseguenza, ribadisce
Ambrogio sulla scia di Atanasio, il Figlio, godendo degli stessi attributi,
deve essere considerato consustanziale al Padre.
E perch tu non creda che questo puro e semplice argomento, eccoti
anche la testimonianza: Dio nessuno lha mai visto, ma il Figlio
Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18). Come,
dunque, pu essere solo il Padre se il Figlio nel seno del Padre? Come
pu rivelare colui che non vede224? Dunque il Padre non solo225.

Nonostante la mancanza di creativit e forti influssi atanasiani,


Ambrogio interpretando Gv 1,18 offre una risposta adeguata alle necessit
dottrinali del suo tempo. Lo fa ripensando i dati scritturistici e proponendo
222. De Incarnatione Domini Sacr. 5,42: Opera 16, 404-405.
223. De fide III, 3,22: Opera 15, 202-203.
224. Nel De Ioseph Gv 1,18 rivela la qualit dellinterprete della divinit (interpres

divinitatis) che possiede Cristo, cf. XIV,84: Opera 3, 408-409.


225. De fide III, 3,24: Opera 15, 204-205.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

305

i principi dottrinali attraverso lesegesi dei passi biblici. La presenza di Gv


1,18 in questi contesti appare molto significativa.

Girolamo
Lesegesi geronimiana unifica in una visione sintetica le disparate menzioni del seno nella Scrittura. Girolamo riporta vari significati attribuibili a
questo termine226, dimostrando il valore della ricerca erudita e filologica.
In questa spiegazione del libro di Isaia il grande esegeta latino si preoccupa di delineare un graduale completamento delle immagini e delle idee. In
questo procedimento non va oltre i significati morali e spirituali, senza occuparsi del senso teologico. Nella convinzione che in alcuni casi bisogna
scartare linterpretazione letterale degli antropomorfismi scritturistici,
lesegeta latino accenna che in sinu indica la profondit del cuore (in
cordis arcano) e la coscienza della persona227. Toccando altrove lo stesso
problema, Girolamo afferma che si accetta il paragone antropomorfico del
seno a motivo della diversit delle cause e dei sensi di interpretazione228.
Si sa che il grande Dalmata affront le polemiche teologiche solo saltuariamente e perch costretto dai problemi del momento. Tuttavia la lettura cristologica affiora nel commento In Ps. e l si possono ritrovare le
allusioni pi significative a Gv 1,18.
Esaminando un versetto salmodico (Sl 73,11: Perch trattieni nel seno
la destra?), Girolamo allude enfaticamente alla misteriosa preesistenza del
Figlio. Per la lunga lotta contro larianesimo ha influito sulla sua riflessione ed egli insiste sulla relazione mutua tra il Padre e il Figlio. Perch per
tanto tempo tieni nascosta (la tua destra) nel seno? Il tuo cuore effuse una
buona parola (cf. Sl 44,2). Stendi la tua destra e liberaci. Rivelaci il mistero
nascosto da generazioni. Glorifica la tua destra. Una delle osservazioni che
seguono rivolta espressamente contro i seguaci di Ario: Cosa dice (il
Salmista)? Fa conoscere la tua destra, che da sempre ed () nel tuo
seno229. Girolamo considera il termine destra un titolo cristologico che
appare pi comprensibile e pi completo alla luce delle altre espressioni.

226. Cf. In Is. 18,65: CCL 73 A, 749-750.


227. Cf. In Is. 18,65: CCL 73 A, 749-750.
228. Commentarii in prophetas minores (In Zachariam) III, 14: CCL 76 A, 878.
229. In Ps. 89,12: CCL 78, 125.

306

M. C. PACZKOWSKI

Anche nel commento al Sl 106 (105),2 (Chi pu narrare i prodigi del


Signore?), Girolamo inserisce uno spunto cristologico: Nessuno degno
di proclamare la potenza del Signore, se non solo il Figlio []. Solo colui
che nel seno del Padre ed potente, pu proclamare e narrare la forza del
Potente230. Invece nel Sl 109,4 il riferimento al seno solo un modo per
indicare la paternit divina231.
Nella lettura dei testi profetici il nostro autore inserisce vari aspetti della rivelazione del Figlio232. Cos il suo commento a Zc ribadisce che solo
lUnigenito Figlio che nel seno del Padre (Unigenitus Filius qui est in
sinu Patris) conosce linvisibile Dio233.
Agostino
Il grande dottore della Chiesa latina si impegn appassionatamente nelle
controversie cristologiche234. Nel condurre la sua polemica egli non aveva
altra scelta che quella indicata da altri scrittori ecclesiastici235: indicare la
giusta interpretazione di questi passi della Scrittura che sembravano avvalorare le tesi eretiche. Cos avvenne anche con linterpretazione dellespressione giovannea seno del Padre. LIpponate deve chiarificare che Dio
ha un seno non nello stesso modo in cui sono disposte le membra del corpo umano, ma lespressione stata trasferita da una sostanza corporea ad
una incorporea affinch comprendessimo che il Figlio Unigenito stato
generato dalla sostanza del Padre236. Il linguaggio biblico, quindi, una
sorta di trasposizione delle realt visibili in quelle invisibili. Tuttavia usando i paragoni corporei, Dio si adatta alla comprensione umana.
In che modo (Dio) si manifest al suo servo, adattandosi a lui?
LUnigenito Figlio, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato. Che significa nel seno del Padre? Significa nel segreto del Padre. Dio, in-

230. In Ps. 105,2: CCL 78, 193.


231. Cf. In Ps. 109,4: CCL 78, 224.
232. A questo proposito cf. soprattutto Commentarii in Ezechielem XIII, 44: CCL 75, 640;
Dialogi contra Pelagianos III,12: CCL 80, 115.
233. Commentarii in prophetas minores (In Zachariam) III, 14: CCL 76 A, 878.
234. Per una visione complessiva delle questioni cristologiche in Agostino cf. G. Madec,
Christus, in Augustinus-Lexikon, I, 845-908.
235. La questione degli influssi sullesegesi agostiniana del IV Vangelo studiata da M.
Comeau, Saint Augustin exgte du quatrime vangile, Paris 19302, 27.
236. Contra Maximinum II,18,1: NBA 12/2, 284-285.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

307

fatti, non ha un seno, una piega [] Poich il nostro seno nascosto, per
questo chiamiamo seno lintimo segreto del Padre. Colui che conosce il
Padre nel suo intimo segreto, venuto a rivelarcelo. Infatti, Dio non lo ha
mai veduto nessuno. Ma venuto lUnigenito stesso del Padre, e ci ha
raccontato tutto ci che ha visto237.

Il brano appena citato si trova allinterno del commento condizionato


dagli scopi omiletici. Tuttavia Agostino accenna allaspetto cruciale per
comprendere lespressione seno del Padre238: lintimo profondo e il segreto dellEssere divino239. Altre interpretazioni agostiniane sottolineano
che si tratta di un luogo arcano, nascosto. Perci seno (utero) del Padre
da identificare con la sua segreta sostanza240. Proprio questa lettura dellespressione di Gv 1,18 fa da ponte per la comprensione del mistero di Dio
e di Cristo241.
LIpponate servendosi dellespressione in sinu Patris coglie occasione
per presentare una vera e propria lezione di ortodossia trinitaria indirizzata
ai fedeli. Osserva, ad esempio, che il Figlio divenuto uomo si intratteneva
con gli uomini sulla terra, non per questo non era anche nel seno del Padre
come il Verbo Unigenito242. Lo stesso ripete a proposito del Sl 109.
Nostro Signore Ges Cristo [] viene quaggi e rimane lass; ritorna lass e non cessa dessere quaggi. Ascolta quello che dice altrove levangelista e, se puoi, comprendi; se non puoi, credi: Nessuno ha mai visto Dio;
il Figlio unigenito che nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato. Non

237. In Iohannis evang. tract. III, 17-18: NBA 24, 62-63.


238. Beda il Venerabile legge il seno come il segreto del Padre, facendo presupporre
perfino luso proverbiale di questa formula: cf. In S. Johannis ev. exp. I,18: PL 92, 645.
239. E dentro di te colui che ti ascolta, dentro nel segreto, che il salmista chiama seno
dicendo: La mia preghiera si ripercuoteva nel mio seno (Sl 34,13) (In Iohannis evang.
tract. X, 1: NBA 24, 62-63). Commentando invece Gb 19,29 lIpponate spiega che in sinu
significa allinterno, dove nessuno vede, cio nella coscienza (in interioribus ubi nemo
videt, id est in conscientia) (Adnotationes in Iob 19: NBA 10/3, 88-89).
240. Cf. soprattutto In Ps. 109,16: NBA 27, 982-983.
241. Giustamente egli disse: Voi mi conoscete e sapete di dove sono, secondo la carne e
laspetto umano. Ma secondo la divinit no: Io non sono venuto da me, e chi mi ha mandato
veritiero, e voi non lo conoscete; se volete conoscerlo, credete in colui che egli ha mandato
e allora lo conoscerete. Nessuno - infatti - ha mai visto Dio, se non lUnigenito Figlio che
nel seno del Padre, e che ce lo ha rivelato; e nessuno conosce il Padre se non il Figlio
e colui al quale il Figlio vorr rivelarlo (Mt 11,27). In Iohannis evang. tract. XXXI, 3:
NBA 24, 674-675.
242. Sermo 71: NBA 30/1, 438-439.

308

M. C. PACZKOWSKI

dice che era nel seno del Padre243, quasi che venendo in terra abbia abbandonato il seno del Padre. Parlava qui in terra, e diceva di essere lass
in cielo; e partendo di qua, che cosa ha detto? Ecco, io sono con voi sino
alla consumazione dei secoli (Mt 28,28)244.

La generazione del Figlio non conciliabile con le implicazioni spazio-temporali e si devono rifiutare i ragionamenti teologici fondati sulle
analogie di questo genere.
Un caso a parte costituisce linterpretazione del seno divino nel Commento ai Salmi in cui Agostino approfondisce in tutti i sensi la parola di
Dio245. Cos nella lettura del Sl 109 inserisce la spiegazione della seconda
parte di Gv 1,18. La sua interpretazione in collegamento con le considerazioni sulla generazione del Figlio. Questo seno (che gener il Verbo)
lo stesso che ventre, ed il seno e il ventre sono qui usati al posto di segreto.
Che cosa significa dal ventre? Significa: nel segreto, di nascosto, cio da
me stesso, dalla mia sostanza246.
LIpponate sviluppa in modo lineare il suo commento al prologo
giovanneo, premettendo anzitutto che la filosofia platonica dice le stesse cose
dellinizio di Gv. Agostino si interess di quegli aspetti che riteneva propri della
verit cristiana personificata in Cristo247. Tuttavia nellesegesi agostiniana di
Gv 1,18 si vedono piuttosto le divergenze che le affinit. Ne causa linterpretazione essenzialmente cristologica. Cos commentando linizio del IV Vangelo
Agostino inserisce linterpretazione della generazione ineffabile del Verbo dal
seno del Padre (ab aeterno). Passa poi allinterpretazione della generazione
del Salvatore dal seno della Vergine (in tempore). Si tratta delle due nascite
mirabili: divina e umana. La prima eterna, fuori del tempo e senza corpo nel seno del Padre248. Tuttavia la Verit che nel seno del Padre sorta
dalla terra perch fosse anche nel seno di una Madre249. Il parallelo seno del
243. Invece per i polemisti antiariani il verbo erat/hn permetteva di cogliere lesistenza di
Cristo ab aeterno e la continuit eterna del Figlio. Cf. Simonetti, La crisi ariana nel IV
secolo, 194.
244. In Iohannis evang. tract. XXXV, 3: NBA 24, 734-735.
245. (Il Salmista) afferma, a modo di paradosso, che Dio non sottrarr la propria misericordia da lui, quasi che noi non conoscessimo lUnigenito Figlio che nel seno del Padre.
In lui infatti luomo non ha una sua personalit, ma in una sola persona Egli Dio e uomo.
In Ps. 88, 2,3: NBA 27, 84-85.
246. In Ps. 109,16: NBA 27, 982-983.
247. Cf. Confessiones VII,9,13: NBA 1, 194-195.
248. Sermo 214,6: NBA 32/1, 226-227.
249. Sermo 185,1: NBA 32/1, 8-9.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

309

Padre - seno della Madre costituisce un altro angolo focale della riflessione cristologica di Agostino. (Cristo) bello come uno sposo, forte come un
prode, amabile e terribile, severo e sereno [], rimanendo nel seno del Padre
entr nel grembo della madre (manens in sinu Patris, implevit uterum
matris)250. Il suddetto parallelismo pu presentarsi come una kenosis del
Verbo che parla nel seno del Padre, tace nel grembo della madre251.
Il vescovo di Ippona era particolarmente atto a combattere la dottrina
manichea. In occasione della polemica antimanichea appare lo scritto intitolato Contra Adimantum. La confutazione agostiniana dimostra che i
manichei mettevano in opposizione alcuni brani tratti dallA e dal NT. Cos
i racconti delle rivelazioni divine venivano contrapposti a Gv 1,18252. Cos
i manichei tendono insidie e affermano che tutto il contrario si trova nel
Nuovo Testamento253. Attraverso la sua accurata esegesi il vescovo di
Ippona ritiene che i brani selezionati dagli eretici non contraddicono gli
argomenti dei cattolici.
La vecchia eresia ariana era ormai teologicamente sconfitta, ma i sostenitori di questa dottrina tornavano ogni tanto alla ribalta254. Agostino
dimostra quanto essi fossero poco sensibili allestrema delicatezza della
verit che manipolavano e semplificavano. Polemizzando contro
Massimino255, Agostino evoca lespressione giovannea256, ma alla fine osserva:
Ti immagini il seno come la capacit che il Padre maggiore ha di accogliere e contenere il Figlio minore, come una casa contiene fisicamente
un uomo o come il seno della nutrice accoglie il bambino []. (Cristo)
crebbe in forma di servo e divenne maggiore di quanto non lo era stato
nella forma di Dio, cos che prima era stato portato nel seno del Padre,
mentre ora siede alla destra del Padre []. Accetta il fatto che viene nominato il seno del Padre perch si capisca che luno generato e laltro
colui che genera257.
250. Cf. Sermo 195,3: NBA 32/1, 68-69.
251. Sermo 196,3: NBA 32/1, 74-75.
252. Ignoriamo per lesegesi sviluppata dai manichei.
253. Contra Adimantum 9: PL 42, 139-140.
254. Cf. M.G. Mara, Arriani, Arrius, in Augustinus-Lexikon, I, 450-459.
255. Sulla polemica cf. Mara, Arriani, Arrius, 456-457.
256. Pater [] tenens in sinu suo et habens (Collatio cum Maximino: PL 42, 728); cum

prius portaretur in sinu Patris, nunc sedeat ad dexteram Patris (Contra Maximinum II,9,2:
PL 42, 764).
257. Contra Maximinum II,9,2: NBA 12/2, 230-233.

310

M. C. PACZKOWSKI

Il vescovo di Ippona si serve della regula canonica, secondo cui nei


testi scritturistici che riguardano il Figlio bisogna distinguere le affermazioni relative a Cristo come Dio (nella forma di Dio) da quelle relative a
Cristo - uomo (secondo la forma di servo).
LIpponate accentua la reciprocit nella relazioni Padre-Figlio.
Lespressione sinus Patris viene vista da lui come lindicazione della intimit creata dalla perfetta comunione tra le Persone Divine258. In riferimento a Gv 6,46 si pu affermare che il Padre come se tenesse il Figlio e lo
avesse nel suo seno, secondo la testimonianza di Giovanni259. Agostino
andava per al di l della questione esegetica pura e semplice, perch la
sua esposizione mirava a sintetizzare la fede della Chiesa nella maniera
catechetica e omiletica. Con questi obiettivi esamin il significato del Credo cristologico e lo riconobbe strettamente connesso con nozioni scrituristiche, tra cui un posto rilevante riservato a Gv 1,18260. La riflessione
agostiniana su sinus Patris si inserisce nellinsieme della sua eredit teologica che si rivel determinante nel fissare i tratti della cristologia latina.

Conclusioni
Finiamo la nostra trattazione nel pieno del grande dibattito su Cristo di cui
il prologo del IV Vangelo ha fatto parte, incidendo sulla riflessione della
Chiesa dei primi secoli. Linterpretazione dellespressione seno del Padre
non si trovata soltanto allinterno dei pochi commenti patristici a Gv,
taluni giunti in frammenti, ma in scritti di vario genere. Nel corso della ricerca si dovevano verificare i dati forniti dagli indici globali261 e particolari della ricorrenza di Gv 1,18 nei singoli autori e nelle singole opere. Non
sempre per la citazione, anche letterale e completa, implicava linterpre-

258. Cf. J.F. Moloney, In the Bosom of or Turned towards the Father?, Australian

Biblical Review 31 (1983) 64.


259. Collatio cum Maximino: NBA 12/2, 140-141. Agostino conclude citando Gv 16,15.
260. Lespressione in sinu Patris usata da Agostino anche in altri contesti. Troviamo la
citazione di Gv 1,18 a proposito dellazione rivelatrice del Verbo. Cf. In Iohannis evang.
tract. XLVII, 3: NBA 24, 334-335; Epistulae140,18; 147,6.9.11.12.15: NBA 22, 384-385;
392-393; 400-401; 410-411. Si tratta sempre della rivelazione mistica. Ci che Egli rivela
- precisa Agostino - non riguarda la visione del corpo, ma la visione dellanima.
Lespressione analizzata si incontra anche nella formula introduttiva a Mt 13. Sermo 73 A,1:
NBA 30/1, 488-489.
261. Cf. fino al III secolo gli Indici della Biblia Patristica.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

311

tazione dellespressione seno del Padre. In realt si rivelata pi stimolante una ricerca complessiva e una lettura diretta dei testi per ritrovare non
solo le citazioni esplicite, ma anche i riferimenti indiretti. Questi ultimi si
sono rivelati, alle volte, assai preziosi in quanto segni di familiarit con
lespressione analizzata.
Si potuto vedere che fin dallinizio Gv 1,18 diventa unespressione
impiegata direttamente nellelaborazione dottrinale. E ci nonostante il fatto che inizialmente il filone teologico sia caratterizzato da una certa sobriet, daltronde non priva di fascino e capace di risvegliare vivo interesse.
Nella letteratura apocrifa e gnostica si trova lidentificazione del seno
con lo Spirito Santo oppure con le caratteristiche della maternit divina. Nella polemica antignostica la citazione di Gv 1,18 tra quelle che gli
autori cristiani sono costretti a spiegare con frequenza.
Per gli esponenti della scuola alessandrina lespressione giovannea analizzata indica lazione rivelatrice del Verbo-Redentore che svela il pensiero
misterioso di Dio. Lo attesta la riflessione di Clemente, ma ancora pi chiaramente quella di Origene. Dai dati emersi risulta che gli interessi cristologici di questultimo erano stimolati dai problemi suscitati dallo gnosticismo. Cos lAlessandrino ha dovuto occuparsi dellespressione oJ
ko/lpo touv patro/ toccando i concetti centrali della disputa con Eracleone
(lattribuzione delle parole di Gv 1,18 e la generazione del Figlio).
Oltre agli ambienti alessandrini vano cercare nei secoli II e III una
interpretazione di Gv 1,18 particolareggiata. Non manca, tuttavia, una eccezione costituita dagli scritti attribuiti a Ippolito Romano che richiama il
significato particolare dellespressione in questione. Altro materiale fornito da Tertulliano che inserisce il concetto del seno divino principalmente nella polemica antimarcionita.
Nellesegesi cristiana antica senza dubbio esisteva la lettura amplificata del dato giovanneo che permetteva di concentrarsi sulla cristologia. Fin
dallinizio sono individuabili quegli aspetti giovannei che ancora oggi sono
considerati dagli esegeti tra i pi specifici e qualificanti. Si tratta di quegli
elementi da considerare non solo come prodotti delle controversie, ma anche come acquisizioni dellinterpretazione scritturistica antica. I risultati
raggiunti dallesegesi cristiana dei primi secoli sullespressione seno del
Padre confermano la verit che il centro dellannunzio cristiano di natura teologica, cio teocentrico e non antropocentrico262.

262. Cf. J. Feiner-M. Lhrer, Mysterium salutis, 2, Brescia 19733, 526.

312

M. C. PACZKOWSKI

Nei dibattiti teologici del IV secolo i primi versetti di Gv offrono una


solida base per la difesa del Credo niceno. Gv 1,18 costituiva lindicazione della consustanzialit del Padre e del Figlio263. A ci si aggiunge la
ferma convinzione che soltanto la retta fede in Dio e in Cristo pu fondare
linterpretazione di qualsivoglia espressione scritturistica. Cos si afferma
sempre pi intensamente il predominio di questa prospettiva e, di conseguenza, a partire dallinizio dellepoca postnicena saranno vani gli sforzi
per cercare linterpretazione di Gv 1,18 in altri ambiti se non in quello
dottrinale.
In un autore che propone una tradizione arcaica, come Efrem il Siro, si
scopre una mutua illuminazione tra la Scrittura e la tradizione teologica.
Tuttavia nel caso dellinterpretazione di Gv 1,18 si trattava di una tradizione non solo affermata, ma anche selezionata e ridotta agli elementi di chiaro stampo teologico (cristologia e relazioni intertrinitarie). Le riflessioni di
Atanasio su seno del Padre si inseriscono saldamente nella direttrice
cristologica di tutta lesegesi alessandrina, con la sottolineatura della condizione divina del Figlio, la sua armonia e unit col Padre, senza tralasciare la specificazione dellesistenza divina e umana del Cristo. Didimo il
Cieco si allinea con questa tradizione interpretativa e mette in evidenza la
posizione del Figlio presente presso il Padre. Invece in Sinesio di Cirene si
hanno dei dati interpretativi sporadici con una riflessione condotta fuori
dagli schemi scritturistici e inserita in un miscuglio di idee platoniche e
cristiane.
I Padri Cappadoci nella loro riflessione su Gv 1,18 spostano sistematicamente linteresse esegetico e speculativo verso quello dommatico-teologico. Si tratta delle conseguenze della polemica antieunomiana. In Basilio
e Gregorio Nisseno si hanno spesso dei semplici richiami dellespressione
oJ ko/lpo touv patro/, che assunse un significato assai forte e normativo
dal punto di vista teologico. Poche considerazioni di Gregorio di Nazianzo
su Gv 1,18 rivelano le implicazioni della disputa apollinarista. Nonostante
il fatto che con Didimo e i Cappadoci la discussione teologica assume la
nuova dimensione che quella pneumatologica, non vengono riscoperti
nuovi modelli interpretativi di Gv 1,18.
Il Commento a Gv di Teodoro di Mopsuestia e le omelie di Giovanni
Crisostomo attestano che lesegesi antiochena intorno a Gv 1,18 converge
con quella di tipo alessandrino. Linterpretazione crisostomiana rivela aperture dottrinali molto significative. In Teodoro invece la riflessione su seno

263. Cf. Moloney, In the Bosom of or Turned towards the Father?, 64.

IL SENO DEL PADRE (GV 1,18)

313

del Padre si presenta come uno degli stimoli per la soluzione della questione cristologica.
Cirillo di Alessandria, commentando il IV Vangelo, presenta una vera
sintesi delle acquisizioni di esegesi precalcedonese di Gv 1,18. La lettura
di Gv conferma la tendenza dogmatica e polemica nellesegesi del patriarca alessandrino. Cirillo presenta uninterpretazione ben centrata, ma scarsamente originale, provocata inevitabilmente dal ritorno agli argomenti noti
e dibattuti.
Linterpretazione di Gv 1,18 da parte degli autori latini si allinea con
lesegesi dei Padri greci e richiama aspetti cristologici. Ci evidente non
solo negli autori di rilievo, ma anche negli scrittori minori, che presentano
talora letture inaspettate e originali. Tra questi interpreti c prima di tutto
Novaziano che segue la via interpretativa tracciata da Tertulliano, ma con
una maggiore sicurezza nelle questioni trinitarie e cristologiche. Primo tra
gli scrittori latini che fanno riferimenti non solo occasionali a Gv 1,18
Mario Vittorino che intende elaborare una teologia trinitaria antiariana. Ne
nasce una nuova e originale esegesi che apre la strada allinterpretazione
occidentale. Altri autori minori latini nelluso di Gv 1,18 dimostrano un
tecnicismo sorprendente che rivela una notevole competenza in materia e
prova un livello abbastanza elevato di speculazione antiariana (Faustino,
Zenone di Verona, Massimo di Torino e Febadio di Agen). Invece in Ilario
di Poitiers si nota lo sfruttamento delle acquisizioni del mondo teologico
greco. E interessante notare che questo autore si rif a Gv 1,18 non tanto
nelle sezioni esegetiche delle sue opere, ma nei contesti pi propriamente
polemici.
Ambrogio di Milano considera il prologo giovanneo la sintesi delle
cruciali verit teologiche e un serbatoio delle risposte adeguate alle necessit dottrinali del suo tempo. Perci la presenza di Gv 1,18 in questi contesti appare molto significativa. Lesegesi proposta da Girolamo unifica in
una visione sintetica le disparate menzioni del seno nella Scrittura, valorizzando la ricerca erudita e filologica. Il dottore latino si discosta in questo modo da una numerosa schiera di autori che interpretavano Gv 1,18
senza mostrare le preoccupazioni specificamente esegetiche.
Riflettendo sullinizio di Gv, Agostino accentua la reciprocit nella relazione Padre-Figlio. Lespressione sinus Patris viene vista da lui come
lindicazione della intimit creata dalla perfetta comunione tra le Persone
Divine. E un elemento determinante nel fissare i tratti della cristologia latina.
Le posizioni degli scrittori greci e latini si completano a vicenda. Tuttavia nella tradizione greca troviamo una maggiore ricchezza di significati

314

M. C. PACZKOWSKI

dellespressione seno del Padre: insistenza sul Verbo coeterno e


consustanziale a Dio, laccentuazione di una attivit generativa del Padre e
lo status eccezionale del Figlio. Invece i latini si limitavano piuttosto a
sottolineare lidentit del Figlio col Padre secondo la sostanza e a spiegare
il concetto dellimmanenza264. Questa particolarit il riflesso del fatto che
il grande dibattito cristologico tra il IV e il V secolo si svolse in prevalenza
in Oriente e nellambito della teologia greca.
I teologi della Chiesa precalcedonese fondarono la loro dottrina sulle
testimonianze bibliche. La loro interpretazione non sempre era scontata,
come testimoniano i risultati dei loro commenti a Gv 1,18. Bisogna tuttavia aggiungere che su questo punto pi ricca e pi interessante risultava la
riflessione della Chiesa prenicena. In realt non pochi tra gli autori
attestano lesistenza di unesegesi variegata che in seguito verr soppiantata
da spiegazioni di tenore prevalentemente teologico. Ci forse indicazione del fatto che nel loro insieme i Padri hanno non tanto dei limiti nei modi
di accostarsi alla Scrittura ma delle finalit precise nellusarla. Come si
visto, le loro categorie ermeneutiche rispecchiano con evidenza la fede della Chiesa antica, globalmente decisa a non separare il Figlio dal Padre.
Mieczysaw Celestyn Paczkowski, ofm
Studium Theologicum Jerosolymitanum

264. Cf. le considerazioni fatte da Gennaro, Il Dio invisibile e il Figlio unigenito,

172.

THE MONASTERY OF CHARITON


SURVEY AND EXCAVATIONS

Y. Hirschfeld

The monastery of Chariton was one of the largest and most important in
the Judean Desert. It was founded as a laura in the mid-fourth century CE.1
It is related that Chariton wandered southwards from the monastery of
Douka (Deir el-Quruntul west of Jericho) to a place located 14 stadia
(some 2.6 km) from the village of Tekoa.2 After a group of monks had gathered around him, Chariton founded the laura, which was known as Souka
after the name of the place in Syriac.3 The monastery was later given the
name of the Old Laura, probably to distinguish it from the Great Laura
of Sabas in Nahal Kidron and the New Laura south of Tekoa. A third name,
the monastery of Chariton, was given to the monastery even later, apparently after the transfer of Charitons remains from the monastery of Pharan
after the Muslim conquest.4
The monastery, known in Arabic as Khirbet Khureitun, is located on
the edge of a sheer cliff on the western side of Nahal Tekoa (Wadi
Khureitun) (Photo 1). Two routes lead to it: the first descends from the

1. Vailh suggested that the monastery was founded in 345 CE; S. Vailh, Rpertoire
alphabtique des monastres de Palestine, ROC 4 (18991900), pp. 524525.
2. Life of Chariton 23, ed. G. Garitte, La vie prmonastique de S. Chariton, Bulletin de
lInstitut Historique Belge de Rome 21 (1941), p. 33. For a translation into English, see L.
Di Segni, The Life of Chariton, in V. L. Wimbush (ed.), Ascetic Behavior in Greco-Roman Antiquity: A Sourcebook, Minneapolis 1990, pp. 396420.
3. In the view of Chitty, the name Souka derives from suq (Arabic: market), which is translated as laura in Greek; D. J. Chitty, The Desert A City, Oxford 1966, p. 15. In the opinion
of Abel, the name derives from tsuq (Hebrew: cliff), because of the steep cliffs of Nahal
Tekoa in which the monastery is situated; F. M. Abel, Gographie de la Palestine, I, Paris
1933, p. 471. For the identification of Souka with the monastery of Chariton, see Y. Tsafrir,
L. Di Segni and J. Green, Tabula Imperii Romani Iudaea Palaestina, Jerusalem 1994, p.
236.
4. The first source that mentions the monastery of Chariton by this name is Epiphanius
Monachus in the early eighth century; Epiphanius Monachus 15, ed. Donner, p. 71; H.
Donner, Die Palstinabeschreibung des Epiphanius Monachus Hagiopolita, ZDPV 87
(1971), pp. 6682. On the claim that the name was given to the monastery after the removal
of the body of Chariton from the monastery of Pharan after the Arab conquest, see S.
Schiwietz, Des morgenlandische Mnchtum, II: Das Mnchtum auf Sinai und in Palstina
im vierten Jahrhunder, Mainz 1913, p. 142.

LA 50 (2000) 315-362; Pls. 1-26

316

Y. HIRSCHFELD

direction of Bethlehem, crosses


Nahal Tekoa and continues south
towards the monastery, and the second descends from Tekoa via a
small ravine (Fig. 1). The core of
the laura and most of its cells are
scattered over the slope to the north
of the ravine. Some 400 m south of
it is one of the largest karstic caves
in the region. This cave, known in
Arabic as el-Maaza, was erroneously identified for many years as
the Cave of Chariton, i.e. the cave
in which, according to tradition,
Chariton secluded himself in the
last years of his life (Photo 2).5 To
the south is a small spring whose
Arabic name is Ein en-Natuf (the
dripping spring). This is an appropriate name for the spring, whose
water drips slowly through a crack
in the cliff and collects in a small
pool that has been hollowed out by
the water at the foot of the cliff. A Fig. 1 Location map of the monastery
path from the monastery passes the of Chariton.
spring and continues southeast to
an additional cave. This cave, which has two levels and an alcove above
them, is identified as the Hanging Cave of Chariton.6
During 19811982 I conducted a comprehensive survey at the monastery of Chariton, during which most of the remains visible on the surface
were documented and the Hanging Cave of Chariton was discovered and
identified. In 1989 the cave was excavated and all its elements were cleared
and documented.7 This paper presents the results of the survey of the monastery and the excavation of the cave.
5. For a description of the cave and the history of its research, see A. Strobel, Die

Charitonhhle in der Wste Juda, ZDPV 83 (1967), pp. 4663.


6. Y. Hirschfeld, Archaeological Survey of Israel: Map of Herodium (108/2), Jerusalem
1985, pp. 5355, site No. 26 (Hebrew); Y. Hirschfeld, La grotte de saint Chariton, RB 95
(1988), pp. 270272.
7. The results of the survey of the monastery of Chariton were published in Hirschfeld, Map

THE MONASTERY OF CHARITON

317

Historical Background
The monastery of Chariton was active for a relatively long period, from its
foundation in the mid-fourth century to at least the end of the twelfth century, some 850 years in all.8
The Life of Chariton, whose anonymous author was apparently a monk
in the monastery that bore his name, gives only a few details of the laura.9
It tells how Chariton settled at the place called Souka and founded the laura
after a number of monks had gathered around him. Some time later
Chariton decided to leave the laura and live in a cave in a cliff, not far from
the monastery. The caves location high in the cliff gave it the name the
Hanging [Cave] of Chariton. In the words of the author of the biography,
the cave was so high that it is impossible to climb up there except with a
ladder. These two details, the caves location near the laura and the need
for a ladder to reach it, helped us to identify it. While he lived in the cave,
Chariton performed a miracle. His advanced age made it difficult to fetch
water. Since he did not want to impose on the members of the community,
he prayed to God and immediately, from a corner of the cave, a limpid,
cool stream was made to flow forth, and it flows to this very day. 10 This
supposed miracle has left tangible traces: on the rock wall of the cave are
remains of travertine, evidence of a constant flow of spring water. The
water was drained by a system of channels into a series of cisterns, which
were discovered during the excavation (see below). Recent studies have
shown that the fourth century marked the beginning of a more humid period, characterized by a significant increase in rainfall.11 Thus the miracle
of Herodium (above, n. 6), pp. 3648 (site No. 17), 5658 (site No. 27). For an additional
publication, see Y. Hirschfeld, Chariton, in: E. Stern (ed.), New Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, Jerusalem 1993, pp. 297298. The excavation of the
Hanging Cave was conducted with the assistance of Rivka Calderon. Students of the
University of St. John in Minnesota took part in the excavation. The excavation team included Erez Cohen (surveyor) and Zev Radovan (photographer).
8. For a comprehensive historical survey of the monastery of Chariton, from its foundation
in the fourth century to its abandonment in the Crusader period, see S. Vailh and S.
Ptrids, Saint Jean le Palolaurite prcd dune notice sur la vieille laure, ROC 9 (1904),
pp. 333356.
9. On the author of the Life of Chariton, see Di Segni, Life of Chariton (above, n. 2), p.
393.
10. Life of Chariton 24, ed. Garitte, pp. 3334.
11. A. S. Issar and D. Yakir, The Roman Periods Colder Climate, BA 60 (1997), pp. 101
106. See also the general book, A. S. Issar, Water Shall Flow from the Rock: Hydrology
and Climate in the Lands of the Bible, Heidelberg 1990, p. 179. There are additional sites

318

Y. HIRSCHFELD

of the flowing of the spring from the cave wall may be explained by the
climatic conditions of the period.
After the death of Chariton, the Hanging Cave remained a sacred
site and continued to attract pilgrims. This is evident from the biography
of another monk, Cyriac, who lived for many years at the monastery of
Chariton. According to its author, Cyril of Scythopolis, Cyriac arrived at
the monastery in 485.12 From the list of Cyriacs assignments, we learn of
a number of the Old Lauras elements. His first tasks were domestic: baking bread, nursing the sick, hosting guests and acting as steward. He held
each of these posts for one year. He was subsequently made treasurer of
the church and prayer leader, and eventually ordained as a priest.13 From
this list we learn that the Old Laura contained, in addition to the church,
a bakery, an infirmary, a guesthouse and a service complex that would
have included storerooms for equipment and supplies. The biography of
Cyriac is rich in stories illustrating life in the Old Laura. Thus, for example, while Cyriac was a prayer leader, one of his duties was to beat on
the wooden board whose sound announced that the monks of the laura
should wake and pray in their cells.14 One can easily imagine how the
sound would have reverberated between the cliffs of the ravine in the
silence of the desert night.
After 31 years in the monastery of Chariton, i.e. in 516, Cyriac decided to live as a solitary hermit in the nearby deserts of Natoupha and
Rouba. While he was in the desert, he gained a reputation as a healer and
a holy man, and many sought his company.15 Despite his life of solitude,

in the Judean Desert in which signs of the flowing of water are evident, for instance Bir elQatar (the dripping cistern), where a monastery was founded in the sixth century; Y.
Patrich, Sabas, Leader of Palestinian Monasticism, Washington 1995, p. 149. On signs of
travertine at Bir el-Qatar, see M. Marcus, The Northern Judean Desert, Jerusalem 1986, p.
130 (Hebrew).
12. Life of Cyriac 7, ed. E. Schwartz, Leipzig 1939, p. 226. According to Cyril, Cyriac
moved to the monastery of Chariton immediately after the split between the monasteries of
Euthymius and Theoctistus, which began in 485. On the chronology of the life of Cyriac,
see A. J. Festugire, Les moines dOrient, III/1: Les moines de Palestine, Cyrille de
Scythopolis, vie de saint Euthyme, Paris 1962, pp. 6869, n. 29. On the career of Cyriac as
a monk and hermit, see Chitty, The Desert (above, n. 3), pp. 126127.
13. Life of Cyriac 7, ed. Schwartz, pp. 226227. On the various posts held by monks in a
Judean Desert laura, see Y. Hirschfeld, The Judean Desert Monasteries in the Byzantine
Period, New Haven and London 1992, pp. 7279.
14. Life of Cyriac 8, ed. Schwartz, p. 227.
15. Cyriac Ibid. 10, ed. Schwartz, p. 228. On the deserts of Natoupha and Rouba, see
Tsafrir, Di Segni and Green, Tabula (above, n. 3), pp. 193 and 216 respectively.

THE MONASTERY OF CHARITON

319

Cyriac maintained his connection with the monastery of Chariton.16 During the great outbreak of plague in 542, the elders of the monastery
begged Cyriac to return to the monastery to protect its inmates from the
plague. As a revered holy man, Cyriac was accommodated in the cave
of Chariton ( h/ i/), where he lived for five
years.17 We learn from this that the cave continued to be considered a holy
place and pilgrimage site. Cyril of Scythopolis himself often visited the
holy cave of Chariton to receive encouragement from his spiritual mentor Cyriac.18
A few further details on events in the Old Laura are provided by another source, the Life of Xenophon of the sixth century. According to this
source, one of the monks, known as the Elder, lived in his cell for fifty
consecutive years.19 One of the sons of Xenophon, Arcadius, met the Elder
and learned from him of the way of life in the monastery.20
Another source, the Life of Maximus, which is preserved in the Syriac
version, tells of the dangers faced by the monks.21 According to the author,
the brother of the lauras abbot died from the bite of a camel which belonged to a man of eastern origin who happened to be at the monastery.22
The camels owner was probably a Saracen who was visiting the Old Laura,
perhaps staying at the guesthouse (as noted above, the guesthouse was one
of Cyriacs responsibilities).
The Old Laura was among the important monasteries that continued to
function after the Muslim conquest.23 It is mentioned under the name Mar
Chariton in the work of Epiphanius Monachus of the early eighth century

16. According to Cyril (Life of Cyriac 15, ed. Schwartz, p. 232), while Cyriac was in the
desert a monk of the monastery of Chariton named John served as his disciple. This monk
acted as a guide for Cyril when he wished to visit Cyriac in the desert.
17. Life of Cyriac 10, ed. Schwartz, p. 229.
18. Ibid. Cyril explicitly states that many people visited the saint while he was in the sacred
cave of Chariton (ibid. 15, ed. Schwartz, p. 231).
19. Life of Xenophon, ed. A. Galante, De vita SS. Xenophontis et sociorum, AB 12 (1903),
pp. 388389.
20. On Xenophon and his two sons, see Chitty, The Desert (above, n. 3), p. 143. A late
tradition mistakenly connects Xenophon and his sons with the Great Laura of Sabas (Mar
Saba); see Patrich, Sabas (above, n. 11), pp. 106107, n. 18.
21. The Syriac version of the Life of Maximus was translated into English by S. Brock, An
Early Syriac Life of Maximus the Confessor, AB 91 (1973), pp. 229346.
22. Life of Maximus 4, ed. Brock, p. 315.
23. On the continued existence of the monastery after the conquest, see R. Schick, The
Christian Communities of Palestine from Byzantine to Islamic Rule, Princeton 1995, p. 373.

320

Y. HIRSCHFELD

and in the Life of Stephen Sabaites of the end of that century.24 In the eighth
century scholarly monks of the monastery, such as Stephen of Ramla, translated Greek literary works into Arabic.25 One of the patriarchs of Jerusalem, the monk and physician Thomas (807821), was abbot of the
monastery of Chariton before his appointment.26 In the list of churches and
monasteries in the Holy Land known as the Commemoratorium of 808 CE,
the tomb of St. Chariton is mentioned, as well as a small monastery which,
according to the author of this source, was built by Chariton a mile away
from the tomb.27 During this period the monks suffered greatly from robbery and massacres; thus, for instance, in the story of the Twenty Martyrs
of the Great laura (Mar Saba) we also learn of hermits in the Old Laura
who were captured and tortured by Saracens.28 From this we may conclude
that the core of the laura was still unwalled at that time.
It was probably because of these massacres in the Judean Desert and the
Jerusalem region that the monks of the Old Laura abandoned their cells,
built walls around the structures of the core and took refuge within them.
Despite the lack of security, monks continued to live at the Old Laura until
the Crusader period. Important evidence on the tomb of Chariton is provided by a letter of Theodore of Stoudios, abbot of the monastery of
Stoudion in Constantinople, to the monks of the monastery of Chariton.
The letter, sent in about 810, mentions the tomb of the saint in the courtyard of the monastery.29 In sources of the Crusader period the monastery is
24. On Epiphanius Monachus, who visited the Holy Land in about 715, see above, n. 4. For

a translation of the text into English see J. Wilkinson, Jerusalem Pilgrims before the Crusades, Jerusalem 1977, pp. 118119. The Life of Stephen Sabaites mentions the monks of
the Old Laura (Souka); see Vita Stephani Sabaites, AASS Julii III, p. 589. On this vita see
G. Garitte, Le dbut de la Vie de S. tienne le Sabaite retrouv en arabe au Sinai, AB 77
(1959), pp. 332369.
25. On the intense literary activity in Mar Saba and Mar Chariton in the eighthninth centuries, see S. H. Griffith, Greek into Arabic: Life and Letters in the Monasteries of Palestine in the Ninth Century, Byzantion 56 (1986), pp. 117138.
26. A. Linder, The Christian Communities in Jerusalem, in: J. Prawer (ed.), The History
of Jerusalem in the Early Islamic Period (6381099), Jerusalem 1987, p. 103 (Hebrew).
27. Commemoratorium de casis dei 34, eds. T. Tobler and A. Molinier, St. Galen and Paris
1879, p. 303; English translation Wilkinson, Jerusalem Pilgrims (above, n. 24), p. 303. The
existence and location of the small monastery are uncertain.
28. Passio XX martyrum Sabaitarum, AASS Mart. III, p. 170. The massacre of twenty
monks of the Great Laura (Mar Saba) took place in 797; see Patrich, Sabas (above, n. 11),
p. 330; Linder, Christian Communities (above, n. 26), p. 113. A few years later, in about
809, the monastery was attacked again, as attested by Theophanis, Chronographia (ed. C.
de Boor, Leipzig 1883), p. 499.
29. Theodorus Studite, ed. J. P. Migne, PG 99, cols. 11681169.

THE MONASTERY OF CHARITON

321

described as walled. The Russian pilgrim Abbot Daniel, who visited the
Holy Land in 1106, describes the walls of the monastery and mentions the
tomb of Chariton, located in the larger of the two churches.30 In addition,
Daniel notes the graves of Cyriac, Xenophon and his two sons, Arcadius
and Joannes, located outside the walls of the monastery. The composition
of Joanes Phocas of 1185 is one of the latest sources that describe the monastery of Chariton as being active.31 The monastery was apparently abandoned after this period and was used for shelter by the inhabitants of the
region. The monks cells were destroyed and the cisterns under them were
breached and used as dwellings. Walls were built across the mouths of the
caves that surround the monastery, and they too became dwellings. This occupation was dated by the finds of the excavation to the Mamluk period
(thirteenth to fourteenth centuries),32 indicating that by then the monastery
had ceased its activity.

History of Research
The first scholar to describe the monastery of Chariton was the Swiss T.
Tobler, who visited the site in the mid-nineteenth century. He described a
tower-like structure in the monastery and described a fragment of a marble
column that he found there.33 The second visitor to the site was the French
scholar V. Gurin. He noted the tower, which the inhabitants of the region
called Bab el-Wad Khureitun (the Gate of the Ravine of Chariton).34
According to Gurin, near the tower was a large reservoir, known in Arabic as Bir el-Uneiziya, from which the local shepherds watered their
flocks.
The researchers of the Palestine Exploration Fund, C. R. Conder and H.
H. Kitchener, dated most of the remains of the monastery, including the
30. For Abbot Daniels description of the monastery, see B. de Khitrowo, Itinraires russes

en Orient, vie et plerinage de Daniel, Genve 1889, p. 48. For a translation into English,
see C. W. Wilson, The Pilgrimage of the Russian Abbot Daniel (PPTS 4), London 1895,
pp. 4849.
31. PG 133, ed. J. P. Migne, col. 960. For an English translation of the Greek text, see A.
Stewart, Pilgrimage of Joanes Phocas (PPTS 5), London 1896, pp. 3334.
32. Hirschfeld, Map of Herodium (above, n. 6), p. 38.
33. T. Tobler, Topographie von Jerusalem und seinen Umgebungen, II, Berlin 1854, pp.
509510, 528.
34. V. Gurin, Description gographique, historique et archologique de la Palestine, III,
Jude, Paris 1869, pp. 133139.

322

Y. HIRSCHFELD

tower, vaults and cisterns, to the Crusader period, i.e. the twelfth century.35
However, they believed that the reservoir of Bir el-Uneiziya was earlier,
dating from the Byzantine period.
A comprehensive summary of the history of the monastery was published in 1904 by S. Vailh and S. Ptrids. They note the existence of the
Hanging Cave and even describe some of the details that we discovered
in our excavation.36 A. Strobel published a history, description and field
study of the traditional site of the Cave of Chariton (el-Maaza).37 An article by B. Bagatti provides a further survey of the history of the monastery and a general description of its remains.38 During the 1970s a detailed
survey of the Cave of Chariton (el-Maaza) was carried out by G. Man.39
This survey conclusively showed that this is merely a karstic cave and that
its identification with Chariton is mistaken.
During our survey of the monastery of Chariton and its surrounding,
carried out in the 1980s, three main building periods were discerned: 1) the
original construction of the Byzantine period, 2) later constructional additions and 3) additions and alterations carried out after the monastery had
ceased to function. 40
The construction of the original phase is characterized by its high quality: the walls are straight, the building stones are large and the cisterns are
plastered with the reddish hydraulic plaster typical of the Byzantine period.41 To this period we may attribute the large reservoir (Bir el-Uneiziya),
most of the cells and some of the structures of the core. The complex of
the Hanging Cave was also attributed to the Byzantine period on the basis of the finds of the excavation (see below).
Building additions of the second phase were discerned mainly in the
core of the laura. The construction of the Early Arab period is similar to
that of the Byzantine period, though a decline in quality is evident. This
phase is characterized by secondary use of earlier building stones.
35. C. R. Conder and H. H. Kitchener, The Survey of Western Palestine, II, Judaea, Lon-

don 1883, p. 357.


36. Above, n. 8.
37. Above, n. 5.
38. B. Bagatti, La laura di Suka sul Wadi Kareitun, LTS 47 (1971), pp. 336345.
39. G. Man, Mapping the Cave of Chariton, Teva Vaaretz 18 (1976), pp. 210214 (Hebrew).
40. Hirschfeld, Map of Herodium (above, n. 6), pp. 3648 (site No. 17).
41. Y. Porath, Hydraulic Plaster of Aqueducts as a Chronological Indicator, in: D. Amit,

Y. Hirschfeld and Y. Patrich (eds.), The Aqueducts of Ancient Palestine, Jerusalem 1989, p.
75 (Hebrew).

THE MONASTERY OF CHARITON

323

The changes that took place at the site after the abandonment of the
monastery at some time after the Crusader period are easily recognized.
This latest phase has the character of a squatters occupation and consists
mainly of the conversion of caves and rock shelters into dwellings by
blocking their mouths with walls built of building stones in secondary use.
Most of the cisterns under the cells of the Byzantine period were broken
into and converted into dwellings.
The distinction between the different building phases at the site was
supported by the ceramic finds. Potsherds collected from the surface
within the monastery belong to all three periods.42 Most of them dated
from the Byzantine period (fifth to seventh centuries), including redslipped ware and fragments of the decorated lamps that were typical of
the area in this period (Fig. 2). The pottery of the Early Arab period is
characterized by colored glazes and by geometric patterns on lamps
(Fig. 3).The Medieval sherds are characterized by geometric patterns in
red and brown on a white background. Vessels of this kind were common from the Mamluk period (thirteenth to fourteenth centuries) and into
modern times.
The ceramic finds and the survey of the architectural remains indicate
that the main building stage was in the Byzantine period.43 The activity of
the Early Arab and Crusader periods appears to have been limited in extent, though future excavations at the site may show that this activity was
more extensive than appears at present. After the Crusader period all activity ceased at the monastery, and the site was used as dwellings by local
shepherds and Bedouin.

Description of the Remains


In the monastery of Chariton, as in all monasteries of the laura type, there is a
clear distinction between the structures of the core, located in the northern
part of the site, and the cells scattered over the southern slopes (Fig. 4).44 An

42. I was assisted in the identification of the ceramic finds of the monastery of Chariton by

Rivka Calderon (Birger) and Anna de Vincenz; I am most grateful to them.


43. This contrasts with the view of Conder and Kitchener (above, n. 35), who believed that

most of the monasterys remains should be dated to the Crusader period. A comprehensive
and systematic excavation is needed to establish the date of the later remains at the site.
44. On the characteristics of the lauras of the Judean Desert, see Hirschfeld, Judean Desert
Monasteries (above, n. 13), pp. 1833.

324

Y. HIRSCHFELD

extensive network of paths connects the various elements: some utilize the
natural rock terraces and others, where access is difficult, are supported by
retaining walls. The network of paths transformed the laura into a coherent
monastery.

Fig. 2

Pottery from the monastery of Chariton, Byzantine period.

THE MONASTERY OF CHARITON

Fig. 3

325

Pottery from the monastery of Chariton, Early Arab and Medieval periods.

326

Y. HIRSCHFELD

Fig. 4 The monastery of Chariton: the core of the laura, the cells and the Hanging Cave.

The core of the laura


The core is built on a steep slope in the northern part of the site (Photo 3).
At the top are the remains of a tower (the northern tower), from which two
walls descend. One wall runs southwards to a second tower (the southern
tower), and another runs eastwards to the foundations of a third tower (the
eastern tower) (Fig. 5). The steep slope on which the buildings were constructed ends in a vertical cliff, more than 20 m high.
The total area enclosed by the walls is some 2000 sq. m. The monasterys entrance gate was apparently in the center of the northern wall, which

THE MONASTERY OF CHARITON

Fig. 5

327

Plan of the remains of the core of the laura.

runs between the northern and the eastern towers. The entrance is not preserved, but its location can be surmised by the two towers protruding 2 m
from the line of the wall. The towers are both 4 m long and are 2.8 m apart.
The path leading to the monastery terminates in the space between the towers, where we postulate the existence of a gate. The western wall, which
runs between the northern and the southern towers, is preserved to a height
of 1.5 m (Photo 4). The wall, 1.1 m thick, is built of relatively large stones
(up to 0.8 m long) on the outside, and of smaller stones laid in cement on
the inside. There are seams between the wall and the towers, indicating that
the wall was built at a later stage (apparently during the ninth century).
The core of the laura contained at least one church (Abbot Daniel mentions two in the Crusader period).45 The existence of a church is indicated
by two architectural elements found at the site: a fragment of a chancel
screen post and a grooved stone base for the insertion of a chancel screen
panel (Fig. 6). The post is made of smoothed local limestone; it measures
20 20 cm in section and is 45 cm high (Photo 5). The base, also made of
local limestone, measures 45 20 cm and is 28 cm high (Photo 6).
45. Above, n. 30.

328

Y. HIRSCHFELD

Fig. 6 A fragment of a chancel screen post (A) and a grooved stone base (B) found
in the lauras core.

The northern tower stands in a strategic location at the top of the slope,
at an elevation of 590 m above sea level, enabling control of the approaches
to the monastery. This is a rectangular structure measuring 11.4 15.4 m;
its walls are preserved to a height of 4 m (Photo 7). The walls are built of
large stones on the outside and small stones on the inside. The core of the
wall contains large quantities of cement, a technique that is also typical of
the other parts of the monastery. Both the ground and the second floors
were roofed with barrel vaults (Fig. 7). Within the foundations of the north
wall is a rock-hewn cistern, measuring 2.6 4.0 m and 3 m deep. The cistern is fed by rainwater that was drained from the roof of the tower by an
internal drainpipe. The outer wall of the tower was better built in the upper
story than in the ground floor. In the north wall one can discern the jamb
of a door that led to the rooms on this side of the tower. According to the
suggested reconstruction in Fig. 8, the tower had two stories on the southwestern side and at least three on the northeast.
The southern tower is preserved to its full original height of some 6 m
(Photo 8). It measures 6.4 9.5 m. It comprises two wings: a northern
wing, which probably had only one story, and a southern wing with two
stories (Fig. 9, Photo 9). Two windows, one in each story, are preserved in
the southern wall. The original ceiling was made of a mixture of small

THE MONASTERY OF CHARITON

329

Fig. 7

Longitudinal section of the northern tower, looking at the north wall.

Fig. 8

Proposed reconstruction of the northern tower (drawing: Leen Ritmeyer).

330

Fig. 9

Y. HIRSCHFELD

The southern tower, looking south.

stones and white plaster. Around the roof of the tower is a parapet 0.25 m
high consisting of two courses of stones.
In the northeastern corner of the core complex, the defensive wall is
preserved to a height of more than 4 m. Adjacent to the wall are the foundations of the eastern tower (Photo 10). Within its foundations is an oval
cistern, measuring 2.5 2.8 m and roofed with a stone vault. Beyond the
cistern is a large cave (5.5 8.0 m), extended by hewing in the rock. In the
floor of the cave is preserved a small well-plastered pool (approx. 2 2
m); next to this pool was found the chancel screen post mentioned above.
The remains inside the monastery were built on two levels: an upper
level around elevation 580 m, and a lower level around elevation 570 m
which contained most of the structures. On the upper level only a few walls
have survived, though a fragment of white mosaic was found in situ. In the
cliff that separates the two levels there are a number of caves and rock shel-

THE MONASTERY OF CHARITON

331

ters. In the mouth of one of the caves a


cross surrounded by a circle 15 cm in
diameter was incised in the rock (Fig.
10). The structures of the lower level
form two blocks, a northeastern block
and a central block to its southwest. The
buildings are supported by massive retaining walls, forming a framework to
contain the huge quantities of earth that
comprised the platform on which the
structures were built. The northeastern
block protrudes by 56 m above the
level of the slope. Its total length is 9 m
and its walls are preserved to a maxiFig. 10 A cross in a medallion incised in the rock in the core of the mum height of 2.5 m. The central block
is larger and more complex. It is some
laura.
20 m long and its retaining walls are
preserved to a height of 45 m. Within the mass of structures one may discern a cistern (2 4.6 m) installed in the foundations. The superstructures
of the buildings have not survived, but they were probably large and impressive. The modern-day monastery of Mar Saba, with its walls, towers
and retaining walls (Photo 11), may give us an idea of the appearance of
the monastery of Chariton towards the end of its existence.

The water supply system and gardens


In the slope that descends to the southwest from the core of the laura, remains of agricultural terraces of various sizes and of an irrigation system
consisting of reservoirs, cisterns and pools are discernible (Fig. 11). The
water installations are well preserved and some are still functioning today.
The system was planned as an integral whole to drain runoff water and utilize it for domestic use and irrigation of the monasterys gardens.46
At the top of the ravine that runs through the area of the monastery is
the huge reservoir known in Arabic as Bir el-Uneiziya (well of the
goats) (Photos 12-13). This is the most impressive remnant of the monas46. I have described the water supply system of the monastery of Chariton in a separate

article: Y. Hirschfeld, The Water Supply System of the Monastery of Chariton, in Amit,
Hirschfeld and Patrich, Aqueducts (above, n. 41), pp. 205312 (Hebrew).

332

Y. HIRSCHFELD

tery. The reservoir was filled by winter flash floods that were diverted into
it by channels 150 m long. The walls of the reservoir are built of hard limestone. Its southern end, facing the ravine, is preserved to a height of 3.8 m.
The walls were stepped to increase their strength, with each course being
recessed by 12 cm from the one below it (Photo 14). The reservoir is rectangular, measuring 14.0 19.4 m. Its interior consists of one main hall and
two adjacent subsidiary rooms on the west.
The top of the ceiling of the main hall is 5 m above the current floor level.
It consists of two adjacent barrel vaults, supported by two massive pilasters
(1.5 2.6 m in section) and three arches in the center of the hall and by the
reservoirs outer walls (Photo 15). The hall is fully plastered, including the
ceiling, with thick layers of reddish hydraulic plaster. It could store at least
600 cu. m of water. At the top of the vaults were four openings for drawing
water. In recent times three of the openings have been blocked with concrete
by the local Bedouin, leaving open only the southeastern opening.

Fig. 11 Plan of the remains of the core of the laura, the water supply system, the
gardens and the nearby cells.

THE MONASTERY OF CHARITON

Fig. 12

333

Lateral section of the reservoir, showing the crosses in the eastern wall.

The function of the two subsidiary rooms on the west is unclear. One of
them, in the northwestern corner, perhaps served as a settling pool. This is
a small room (interior dimensions 2.5 3.1 m). The second room, measuring 2.5 6 m, apparently served as an inspection room. It has an opening
to the exterior facing south. Its ceiling, made of ashlars, is completely preserved (Photo 16).
On the inside of the eastern wall of the reservoir, 1.6 m from the top of
the vault, two large crosses in medallions are molded in the plaster (Figs.
12, 13a-b; Photo 17). The external diameter of the medallions is 1.3 m and
the internal diameter 0.9 m. The motifs used for the borders of the medallions (basket, leaf and fleur-de-lys) are well known in Byzantine art. The
outlines are painted in red. The crosses, which decorated the closed and
dark interior of the reservoir, were not visible from the outside and had a
purely symbolic value. They should be regarded as equivalent to foundation inscriptions, like the cross and the inscription found in the reservoirs
of the Nea Church in Jerusalem.47 The Nea inscription mentions the Emperor Justinian, who provided financial support for the project, and Abbot
Constantine, who supervised the construction of the reservoir. On the basis
of this parallel and the quality of the construction, we may surmise that the
reservoir of the monastery of Chariton was also constructed with the support of one of the Byzantine emperors.
47. N. Avigad, A Building Inscription of the Emperor Justinian and the Nea in Jerusalem,
IEJ 27 (1977), pp. 145151.

334

Figs. 13a-b
Cohen).

Y. HIRSCHFELD

The two crosses that decorate the wall of the reservoir (drawing: Erez

Two large agricultural terraces were identified in the area of the monastery. The larger one is located to the north of the ravine that crosses the
area of the monastery. The terrace, about 180 m long and 525 m wide, is
supported by massive retaining walls along its entire length (Photo 18).
These retaining walls protected the terrace from the erosive force of the
winter floods. The smaller terrace is on the southern bank of the ravine; it
is about 35 m long and 515 m wide.
In these gardens, with a total area of about 3000 sq. m, the fruits and
vegetables that supplemented the diet of the monks were grown.48 Though
individual plots were found next to most of the cells, the large plots were
probably worked communally. The common gardens, together with the
monks private gardens, made the monastery into a man-made oasis in the
desert (Fig. 14).

The cells
In the survey of the Old Laura remains of 39 cells were identified. They
are scattered over a large area, measuring 700 m north-south and some 150
48. On the diet of the monks of the Judean desert, see Hirschfeld, Judean Desert Monasteries (above, n. 13), pp. 8291.

THE MONASTERY OF CHARITON

335

Fig. 14 Proposed reconstruction of the monastery of Chariton (drawing: Leen


Ritmeyer).

m east-west, a total of 10.5 hectares. For the most part the cells are simple
one-room structures. Cisterns were installed in the foundations of many of
them; their function was not only to store water but also to level the surface for the construction of the cell.49 The agricultural terraces found near
most of the cells sometimes contained additional cisterns. The cells are
connected by a network of paths.
The distribution pattern of the cells is characterized by an increase in
the distance between cells as one proceeds from the core of the laura. Most
of the cells are concentrated on the slope to the southwest of the lauras
core, where the average distance between them is 20 m. On the other hand,
further to the south the distance between the cells increases and reaches 60
m and more.
The preservation of the cells is fairly good, many of them standing to a
height of 12 m or more. This is because of the cisterns below them, which
continued to be used after the abandonment of the monastery; many of
49. In previous publications I treated the cells with cisterns integrated in their foundations

as cisterns alone. This error stemmed from the fact that in most cases the walls of the cells
above the cisterns are not preserved.

336

Y. HIRSCHFELD

them became improvised dwellings. In the following the cells are described
from north to south.
Cell 1 is built against the southern tower of the core of the laura. It is
square, measuring 5.5 5.5 m (external dimensions). Below it is a cistern
whose vaulted roof is completely preserved. The cistern is oval, with a diameter of 2.5 m and a depth of 2.3 m, and its capacity is estimated at about
14.3 cu. m. At the base of the vaulted roof of the cistern the opening of a
ceramic pipe, 12 cm in diameter, is preserved (Photo 19). It was probably
part of a drainpipe installed within the wall that drained rainwater from the
roof of the cell into the cistern. In the center of the vaulted roof of the cistern is a square opening (0.5 0.5 m) for drawing water. This is a standard
size of opening that appears in most of the cisterns, and presumably
matched the size of the vessels that the monks used for drawing water. In
the medieval period, after the monastery had ceased to function, the southern wall of the cistern was breached and it became a dwelling.
Cell 2 is 45 m west of No. 1. It measures 4.2 m square and has relatively thick walls (0.8 m). Beside the cell is a rounded cistern (diameter
1.5 m), and adjacent to it is a terrace 14 m long.
Cell 3 is located some 40 m to the northwest. It is oval in shape, with
external dimensions of 4 5.5 m, and has a cistern below it. Some 10 m
south of the cell, a terrace wall 28 m long is preserved. At the western
end of the terrace a flight of 12 rock-hewn steps was discerned. The steps
ascend in a straight line perpendicular to the nearby ravine; their function
is not clear.
Cells 4 and 5 are adjacent to one another. They are particularly large
and are preserved to a height of 34 m above surface level (Photo 20).
Cell 4 is rectangular, measuring 3.2 10 m. Its walls, about one meter
thick, are perpendicular to the face of the natural rock terrace behind it.
Under the cell is a cistern roofed by a barrel vault, part of which is preserved (Photo 21). A breach in the southern wall of the cistern points to
its use as a dwelling after the abandonment of the monastery. Cell 5 is
round, with an external diameter of 7.5 m. Its walls are stepped; the
thickness of 1.9 m at the base decreases to 1.4 m at the top (Fig. 15).
Below the cell was a large cistern whose roof is completely preserved
(Photo 22). The roof consists of two large arches, each 1.1 m wide, supporting four massive stone beams. Near the roof are the round openings
of two ceramic pipes 12 cm in diameter. The pipe on the western side
brought water into the cistern, while the opposite pipe drained excess
water. Above the roof a section of the white mosaic floor of the cell is
preserved.

THE MONASTERY OF CHARITON

337

Fig. 15 Lateral section of the cistern in the foundations of Cell 5, looking west.
Note the openings for the entry and exit of water.

Cell 6 is close to Cell 5. This is a relatively small cell (2.5 3.5 m),
with a small cistern below it.
Cell 7 is larger, with external dimensions of 4.5 5 m, and its walls are
preserved to a height of 2.4 m. The base of the cistern below it was cleared
by excavation (Photo 23). The cistern is sealed by the reddish hydraulic
plaster typical of the Byzantine period.
Cell 8 is round, with an external diameter of 3.5 m and has a cistern
beneath it. Six meters to its south is Cell 9, whose walls are preserved to a
height of 2.8 m. This cell is rectangular (4.2 6 m) and has a vaulted cistern below it.
Cell 10 is 25 m to the west. It is rectangular (2.5 4 m) and preserved
to a height of 1.2 m. Beside it is a large terrace which was shared by Cell
14 (below). Ten meters to the west is Cell 11, one of the best-preserved
cells in the monastery. Below it is a cistern roofed by a dome built of fieldstones. From the cell a terrace wall extends for some 25 m to the west. On
this terrace are the relatively small Cells 12 and 13.

338

Fig. 16

Y. HIRSCHFELD

Plan of Cell 14.

Cell 14, whose walls stand to a height of 2.2 m, is located on a natural


rock terrace (Fig. 16, Photo 24). It is rectangular, with external dimensions
of 3.2 4.5 m and walls 0.7 m thick. Below it is a cistern, and beside it is
a terrace with an area of 140 sq. m.
Cell 15 is some 15 m to the east. It is rectangular (3.3 4 m) and has a
cistern 2.8 m deep below it. The eastern wall of the cistern is a later opening, made when the cistern had gone out of use.
Cell 16, 30 m from Cell 15, is irregular in shape. It is relatively small,
measuring 1.8 2.1 m. Close to it the retaining wall of one of the paths
connecting the cells is preserved.
Cell 17 is located 15 m to the south. It is rectangular, measuring 5.2
6.6 m. Below it is a cistern 3.7 m deep. At the base of the roof of the cistern is the opening of a ceramic pipe 12 cm in diameter, and at the top of
the roof is an square opening (0.5 0.5 m) for drawing water. This cell
belongs to a group of cells (Nos. 1722) located along the northern garden
terrace of the monastery. Three of them (Nos. 1820) are located at the
southern end of the terrace. Cell 18 is oval (4.1 8.5 m), Cell 19 is round
(diameter 4 m), and the northernmost, Cell 20, is almost square (4 4.3
m). All three had cisterns below them.
Cell 21 was nicknamed by us the Hanging Cell, because of its location on the edge of a cliff 16 m high (Photo 25). The cell is rectangular,
measuring 3 4.5 m in external dimensions (Fig. 17). Its walls, 0.7 m thick
and preserved to a height of 2.8 m, are built of dressed stones on the exte-

THE MONASTERY OF CHARITON

Figs. 17a-b

Plan and section looking west of the Hanging Cell.

339

340

Y. HIRSCHFELD

rior and medium-sized and


small fieldstones on the interior. Below the cell is
preserved a vaulted cistern,
sealed with the reddish hydraulic plaster typical of
the Byzantine period. Just
below the roof is the round
opening (diameter 11 cm)
of the ceramic pipe that
brought water into the cistern (Photo 26). In the opposite corner, at a lower
level, is the opening of the
pipe that drained excess
water. Above the vault of
the cistern a fragment of
the mosaic floor of the
cell, 30 cm thick, was preserved. The floor consists
of small tesserae and a
bedding layer of lime plaster 1 cm thick, and a foundation consisting of small Fig. 18 Proposed reconstruction of the Hanging
stones and mortar. Adja- Cell (drawing: Erez Cohen).
cent to the cell were two
terraces. The lower terrace is 7 m long, and above it is the long terrace wall
that comprises part of the large agricultural plot of the monastery. Fig. 18
presents a proposed reconstruction of the appearance of the hanging cell
in the Byzantine period.
Cell 22, which is poorly preserved, is built against the terrace wall that
supports the large agricultural plot on the southwest.
In the area to the south of the ravine that descends from Bir elUneiziya, five additional cells were surveyed (Nos. 2327). Two of them
are in the large agricultural plot. Cell 23, which is oval (3.3 3.5 m), is at
the eastern end of the plot. Cell 24, which measures 3 3.2 m, is located
25 m away to the northwest. Each cell has a cistern beneath it. Three additional cells are at the top of the ravine. Cell 25 is almost square (3 3.5 m)
and abuts a large boulder that protects it from winter floods. Cell 26, 12 m
to the west, measures 3.2 3.5 m and also abuts a boulder 6 m wide. Both

THE MONASTERY OF CHARITON

341

the above cells have cisterns below them. Cell 27 is round and measures
only 1.5 m in diameter. In view of its small size, it was possibly not a cell
but a cistern. Near it was found another square cistern (1.1 1.1 m) with
remains of a quarry beside it (Photo 27). At the base of the quarry lies a
large building stone that for some reason was not removed. This fact indicates that the building stones of the monastery were quarried from the rock
that underlies it.
Remains of twelve additional cells were surveyed along the slope between the monastery and the Hanging Cave (above, Fig. 4). The cells are
scattered over the slope at random, utilizing the natural rock terraces. Two
springs issue from the slope. One of them, Ein en-Natuf, will be described
below. The second, which is near Cell 35 and lacks a name, springs from a
vault built in a natural crack (Photo 28). The remains of the vault attest to
the exploitation of this spring by the monks, though its date is uncertain.
Cell 28 is located some 200 m to the southwest of the large reservoir,
Bir el-Uneiziya. It is rectangular (external dimensions 4.9 5.9 m) and its
walls are preserved to a height of 1.4 m. Between the foundations of the
walls, 1.2 m wide, is a cistern. To the south of the cell is an agricultural
plot some 25 m long.
Cell 29 is 80 m from Cell
28. It is rectangular, measuring 4.5 6.5 m in external
dimensions. Below it is a
cistern whose vaulted roof
is completely preserved.
Cell 30 is poorly preserved; near it the remains
of a round cistern were discerned.
Cell 31 is well preserved
(Photo 29). Its external walls
contain stones that reach a
length of one meter or more.
On its eastern side is a later
opening that enabled use of
the cistern as a dwelling. The
cell is rectangular, measuring 5.5 6.7 m (Fig. 19). In
its foundations, which are
Fig. 19 Plan of Cells 3132.
about one meter thick, a

342

Y. HIRSCHFELD

vaulted cistern is almost completely preserved (Photo 30). The cistern is


constructed from stones up to 0.4 m high at its base and decreasing in size
towards the top. The top of the vault is 4.8 m above the floor, and the
capacity of the cistern may be estimated as at least 65 cu. m. In the roof is
a square opening (0.5 0.5) for the drawing of water.
Cell 32 is south of Cell 31. It is oval in shape, measuring 4.5 5 m.
Below it is a completely preserved cistern, and to its south is an agricultural plot about ten meters long. A smaller plot is located to the west and
north of Cells 3132.
Cell 33 lies 40 m to the southeast. It is trapezoid in shape, measuring 5
5.5 m in external measurements (Fig. 20). Below it is a round cistern, 2
m in diameter and 1.7 m deep. An agricultural plot extends some twenty
meters to the west of the cell. On its western edge is a cistern, located in a
crack in the rock that borders the terrace.
Cell 34 is 60 m to the south. It is rectangular, measuring 3.7 6.2 m on
the exterior. Its walls are 0.9 m thick and below it is a cistern 3.5 m deep.
To its south extends an agricultural plot, some 70 m long. At the end of the
plot is the rectangular Cell 35 (3.6 6.2 m). The plot was probably cultivated jointly by the monks who occupied the two cells.
Cell 36 is located to the south of the spring. It is oval (4.1 5 m) and
has a cistern below it. Below the cell is a terrace 50 m long. At the northern end of the plot is the spring, and at its southern end is Cell 37. This
cell is rectangular (3.3 7.8 m)
and has walls 0.8 m thick preserved to a height of 0.7 m. Cell
38, at the foot of the slope, is
poorly preserved.
Cell 39 is the southernmost
cell. Its walls are preserved to a
height of 2.5 m (Photo 31). The
rectangular cell is exceptionally
large, measuring 6.1 10.1 m
(Fig. 21). Under it is a cistern,
whose eastern wall was breached.
The roof of the cistern, 2.5 m
above the wall, is completely preserved (Photo 32). At the top of
the roof are two square openings
for drawing water, each measuring 0.5 0.5 m. Cracks in the Fig. 20 Plan of Cell 33.

THE MONASTERY OF CHARITON

343

internal plaster of the cistern


have been repaired with mud
plaster. Agricultural plots extend from both sides of the cell.
The large number and
good preservation of the cells
supply ample data on their
shape and components, as
summarized in the Table 1:
see p. 345.
From these data, we may
draw some conclusions about
the cells at the Old Laura.
About three-quarters of the
cells are quadrangular in shape,
either rectangular or square.
Only three (Nos. 5, 8, 19) are
round, and seven are oval.
The monks apparently preferred stone-built cells to
caves or rock shelters, despite
the fact that the rocky surroundings of the monastery
contain many karstic caves.
The average size of the cells
is fairly constant, though there
are some very small cells with
an area of less than 5 sq. m
(Nos. 13, 16 and 27) and
some large cells, such as Nos.
5 and 39, with an area of over
Fig. 21 Plan of Cell 39.
40 and 60 sq. m respectively.
More than half of the cells
(56.4%) have an area of 2025 sq. m. This area is inclusive of the walls,
which are usually 0.7 m thick. If we subtract the area of the walls, we are
left with an average living space of 1416 sq. m for each monk.
Another feature that characterizes the cells of the laura of Chariton is
the cistern in the foundations. In 31 cases (87%) a cistern was found below
the cell. The numerous cisterns ensured supplies not only of drinking water, but also of water for the irrigation of the agricultural plots. Remains of

344

Y. HIRSCHFELD

agricultural terraces were found beside 27 (69%) of the cells. On them the
fresh fruit and vegetables that enriched the diet of the monks were grown.
An interesting feature is the distance between the cells. Although the
distance ranges from zero (the two adjacent cells 4 and 5) to 160 m (the
distance between cells 37 and 38), these are exceptional cases. The average distance between the cells is 35 m. This distance is characteristic of
the lauras of the Judean Desert, and seems to have been an accepted norm.50

Ein en-Natuf
Ein en-Natuf flows from a cleft in a rock cliff 20 m high (Photo 33). On a
natural rock terrace below the spring were found two small pools and the
remains of agricultural terraces (Fig. 22). The pools are hewn from the rock
and connected by channels (Photo 34). One pool is square (0.6 0.65 m)
and the second is rectangular (0.6 0.9 m). They are 0.40.5 m deep.

Fig. 22

Plan of the remains below Ein en-Natuf.

50. Hirschfeld, Judean Desert Monasteries (above, n. 13), p. 31.

345

THE MONASTERY OF CHARITON

Table I. The cells of the monastery of Chariton: shape, size and


associated
remains.
No.Shape

External
Area
Cistern Cistern Agricul- Distance
measure- incl. walls below beside tural
from
ments (m.) (sq. m)
cell
cell
plot
nearest
cell (m)

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39

5.5 5.5
4.2 4.2
4 5.5
3.2 10
7.5 (diam)
2.5 3.2
4.5 5
3.5 (diam)
4.2 6
2.5 4
4.5 6
2.2 2.5
2 2.2
3.2 4.5
3.3 4
2.1 1.8
5.2 6.5
4.1 8.5
4 (diam)
4 4.3
3 4.5
4 4.5
3.3 3.5
3 3.2
3 3.5
3.2 3.5
1.5 (diam)
4.9 5.9
4.5 6.5
?
5.5 6.7
4.5 5
5 5.5
3.7 6.2
3.6 3.2
4.1 5
3.3 7.8
?
6.1 10.2

Square
Square
Oval
Rect.
Round
Rect.
Rect.
Round
Rect.
Rect.
Oval
Square
Square
Rect.
Rect.
Oval
Rect.
Oval
Round
Square
Rect.
Square
Oval
Square
Square
Square
Round
Rect.
Rect.
?
Rect.
Oval
Trapezoid
Rect.
Rect.
Oval
Rect.
?
Rect.

30.2
17.6
22
32
40.6
8
22.5
9
25.2
10
27
5.5
4.4
14.4
13.2
3.8
33.8
34.8
12.5
17.5
13.5
18
11.5
9.6
10.5
11.2
1.7
28.9
29.2
?
36.8
22.5
27.5
22.9
22.3
20.5
25.7
?
62.2

+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
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-

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+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+

45
45
20
0
0
8
4
5
6
25
12
8
18
15
15
30
15
70
5
20
40
25
20
25
20
15
10
170
80
30
40
4
40
60
80
100
40
60
160

Notes

Two adjacent cells


"

Path near cell


Monastery garden
"
"
"
Hanging Cell
Monastery garden
"
"
Built against boulder
"
Small, perhaps cistern?
S. of laura
"
Poorly preserved
Double cell
"

Near spring
Poorly preserved
Southernmost cell

346

Y. HIRSCHFELD

Table II. The pottery from the Hanging Cave.


No. Location

Vessel

Fabric

Period

1 Below plaster floor


of lower level

Storage jar

Coarse, gray core

Iron Age II

2 Below plaster floor


of lower level

Storage jar

Coarse, gray core

Iron Age II

3 Below plaster floor


of lower level

Small bowl

Delicate, well levigated,


Fine Byzantine Ware

Byzantine

4 Above plaster floor


of lower level

Holemouth jar

Coarse

Iron Age II

5 Above plaster floor


of lower level

Bowl

Coarse, red decoration

Mamluk

6 Above plaster floor


of lower level

Jug

Delicate, Fine
Byzantine Ware

Byzantine

7 Above plaster floor


of lower level

Gaza jar

Coarse

Byzantine

8 Above plaster floor


of lower level

Jug

Delicate, Fine
Byzantine Ware

Byzantine

9 Above plaster floor


of lower level

Jug

Delicate, black slip

Byzantine

10 Above plaster floor


of lower level

Bowl

Green glaze

Abbasid

11 Above plaster floor


of lower level

Bowl

Wavy decoration

Byzantine

12 Above plaster floor


of lower level

Krater

Coarse, yellowish

Early Arab

13 Above plaster floor


of lower level

Bowl

Combed decoration

Early Arab

Bowl

Delicate, Fine
Byzantine Ware

Byzantine

Cooking pot

Reddish

Byzantine

14 Upper level
15 Upper level

THE MONASTERY OF CHARITON

Fig. 23

The pottery from the Hanging Cave.

347

348

Y. HIRSCHFELD

Close to the pools is a large agricultural terrace, some 8 m wide and 20


m long, i.e. an area of 160 sq. m. Two sections of the terrace wall are preserved. The western section, 7 m long, is built of exceptionally large stones;
some of them reach a length of 1.3 m. The second section of wall, 11 m
long, is built of medium-sized and small stones, like the terraces of the
nearby monastery. The difference in construction between the two sections
points to the possibility that they were built in different periods. Though
there are no archaeological data for the dating of the pools below the spring
and the terrace beside them, it seems likely that the terrace was part of the
monasterys garden in the Byzantine period.

The Hanging Cave


The site known as the Hanging Cave of Chariton is located some 300 m
southeast of Ein en-Natuf. Two paths lead to it, one from the core of the
laura along a natural rock terrace and the other from the direction of Tekoa
via a small ravine known as Wadi Shaab el-Ein (the Gorge of the
Spring). The latter bypasses the cliff to the south of the cave to provide
fairly convenient access.
The cave has two levels, containing niches, hewings in the rock and
cisterns, with an alcove above them. On the natural rock platform outside
the cave is an agricultural terrace with two pools beside it (Photo 35). The
identification of the cave as the place where Chariton secluded himself at
the end of his life was based on two factors: 1) the discovery of crosses
and monograms of the Byzantine period in the alcove located above the
upper level and 2) the fact that access to the upper level and the alcove is
possible only by using a ladder, exactly as described in the Life of
Chariton.51
The excavation carried out in April 1989 concentrated on the two levels
of the cave. In the lower level (i.e. the ground floor) the plaster floor enabled distinction between material found on the floor and material from
below it. In the upper level the rock floor was cleared and a few finds were
made. The finds of the excavation include a selection of pottery vessels,
fragments of marble panels, roof tiles and two metal vessels.
The pottery found under the plaster floor of the lower level (Fig. 23)
dates the floor to the Byzantine period, since none of the sherds postdates
this period: two date from the Iron Age II, and all the others are of the
51. Above, n. 10.

THE MONASTERY OF CHARITON

349

Fig. 24 Iron plasterers trowel (left) and bronze hanger (right), found in the lower
level of the cave.

Byzantine period.52 In contrast, the pottery found above the floor consisted
of mixed sherds from the Byzantine and Early Arab periods.
Three fragments of marble panels were found in the excavation. Two of
them were found above the floor of the lower level. The first is 14 mm
thick and the second 26 mm thick. The fragments, which are well smoothed
on both sides, were apparently used for facing. The third fragment, found
in the upper level, was 11 mm thick and smoothed on only one side. The
upper level also yielded fragments of roof tiles, which perhaps came from
a roof erected over an opening.
In the lower level, in addition to the pottery and the marble fragments,
two metal vessels were found. One is an iron plasterers trowel and the
other a small bronze hanger (Fig. 24). The plasterers trowel, 20 cm long
including the handle (Photo 36), was found in the bedding of the plaster
floor of the cave and was apparently used by the workmen who laid the
floor and left there for some reason. The hanger, 4 cm high, was probably
used to suspend an object. To its upturned lower end was fixed a kind of
wrapped pipe, 3 mm in diameter, into which the object to be suspended
could be inserted.
Remains outside the cave. On the natural rock platform below the
cave, the remains of an agricultural terrace and pools were found (Photo
37). The rock platform is relatively large, measuring 35 m long, 7.6 m wide
and about 2 m. high (Fig. 25). At its western end four fairly narrow steps
(0.6 m wide) were hewn in the rock, enabling ascent to the terrace. From
the steps a fairly wide passage (1.6 m wide) runs along the terrace wall to
the mouth of the cave. At a point where the passage narrows, an external
52. Rivka Birger and Anna de Vincenz assisted in the identification of the potsherds.

350

Y. HIRSCHFELD

retaining wall, 2.6 m long and 1.4 m high, was built (Photo 38). The wall
enabled the laying of a paving, whose preserved remains consist of large
stone slabs up to 0.7 m long.
The agricultural terrace on the rock platform is well preserved (Photo
39). It is 11 m long and 12.8 m wide. Its retaining wall is preserved to a
height of two courses (0.4 m high). Excavation of the terrace revealed
brown fertile earth, sterile of finds. The monks probably cultivated a small
orchard here.
Between the terrace and the massive wall behind it was a rock surface
18 m long and 2.56 m wide, an area of some 70 sq. m. In its floor were
hewn 56 small round cavities, whose function and date are unclear. Above
the surface is the roof of a rock shelter that supplies shade for most of the
day. The cool and shady surface is a pleasant spot to this day, and in the
Byzantine period it probably served as a waiting and resting area for visitors to the cave.
At the end of the terrace, below the mouth of the cave, two well-preserved pools were discovered (Photo 40). The larger of the two is in the

Fig. 25 Plan of the remains on the lower level of the Hanging Cave and the
rock platform in front of it.

THE MONASTERY OF CHARITON

Fig. 26

351

Plan and section of the two pools.

form of a sitting bath. Its walls, preserved to a height of 0.5 m, were built
against the rock. The external measurements of the pool are 1.2 2.2 m
(Fig. 26). The walls, 0.4 m thick, are well built and sealed on the inside by
the characteristic reddish hydraulic plaster of the Byzantine period. In the
base of the pool is a step 10 cm high, dividing it into two levels. In the
southeastern corner of the pool, at the point where water enters it from the
nearby cistern (below), is a small step (15 25 cm), whose function was
probably to protect the floor of the pool from the flow of water.
From the bath-like form of the pool and its location at the mouth of the
cave, it seems likely that it served as a baptismal pool. The existence of
baptismal pools in monasteries and holy places is attested by both literary
sources and archaeological finds.53
Excess water from the bath-like pool was apparently drained into a
small rectangular pool beside it, with external measurements of 0.7 1 m
53. On baptismal pools in the monasteries of the Judean Desert, see M. Ben-Pechat, Bap-

tism and Monasticism in the Holy Land: Archaeological and Literary Evidence, in: G. C.
Bottini, L. Di Segni and E. Alliata (eds.), Christian Archaeology in the Holy Land: New
Discoveries, Jerusalem 1990, pp. 501522.

352

Y. HIRSCHFELD

and walls 0.25 m thick. Attached to it on the west are walls that enclose a
trough-like structure, 1.3 2.3 m, whose function is unclear.
The caves lower level. The cave consists of three levels: the lower
entrance level, the upper level and the alcove above it. The lower level
comprises a large space, 16 m long, 27 m wide and an average of about 4
m high (Fig. 27). The cave has two entrances facing northeast: the larger
western entrance, 3.1 m wide and 2.9 m high, served as the main entrance,
while the eastern entrance is only 1.5 m wide and difficult of access (Photo
41). Between the two entrances is a natural rock pillar, measuring 2.5 2.8
m in section, which is part of the outer wall of the cave.

Fig. 27

Longitudinal section of the Hanging Cave, looking west.

Excavation of the cave revealed a plaster floor with remains of a cistern


below it. The coarse plaster of the floor was 0.4 cm thick and was laid on a
bedding of stoneworkers debris, 10 cm thick (Photo 42). The cistern had a
vaulted roof (which was not preserved), strong enough to enable visitors to
walk safely on the floor above it. The plaster floor was designed to prevent
seepage of damp from the rock floor of the cave. Patches of coarse plaster
1 cm thick are preserved on the cave walls. On the surface of the plaster are
incisions in a herringbone pattern, made to improve the adhesion of the next
layer. The plastering of the floor and walls of the cave attests to its use as a
place of worship.

THE MONASTERY OF CHARITON

Fig. 28

Plan and longitudinal section of the upper level, looking west.

353

354

Y. HIRSCHFELD

Attached to the southern wall of the cave are two cisterns with a basin
between them. Deposits of travertine on the rock above the cisterns are
evidence of a spring that fed the cisterns in the past. Signs of running water were also discerned on the rock walls of the upper level. The two cisterns with the basin between them were built as a single unit. The larger
cistern is oval, measuring 2.1 1.4 m. The cistern wall against the rock
wall of the cave is preserved to a height of 1.8 m. The second cistern is
also oval and measures 0.9 1.4 m. Between the two cisterns is a round
basin, 0.6 m in interior diameter, which apparently received overflow water from the cisterns. The open basin was probably used for drinking or for
washing.
From the basin a rock-hewn channel leads into the cistern below the
center of the cave. The cistern is kidney-shaped, measuring 2 5 m (internal measurements). Its lower part is hewn in the rock and its roof was
vaulted. The walls are preserved up to the springers of the vault, 2.2 m
above the cistern floor. The capacity of the cistern may be estimated as at
least 15 cu. m.
The total water storage capacity of the cisterns greatly exceeds the requirements of a single hermit, a fact that supports the assumption that the
Hanging Cave was a focus of pilgrimage in the Byzantine period.
The caves upper level. Ascent from the lower to the upper level of the
cave is possible only by using a ladder. The opening between the two levels is located in the center of the ceiling, 4.5 m above the floor (Photo 43).
The opening is rather small (0.5 1 m). Around the opening were laid several stone beams, apparently to stabilize a wooden ladder or staircase.
The interior of the upper level of the cave is irregular in shape and quite
large, measuring 4 8 m (Photo 44). The ceiling height is 45.5 m (Fig.
28). The cave mouth is 4.5 m wide and 1.8 m. high, and supplies abundant
light to the interior. The mouth is divided into two by a natural rock pillar
(0.6 0.8 m in section).
The walls of the cave bear signs of hewing and remains of sooty plaster. In the northwestern wall of the cave is a semicircular apse-like niche.
The niche, 1.4 m in diameter, faces northeast and thus was probably the
apse of a chapel. On each side of the niche are 23 rock-hewn steps, 1.52
m long, forming a passage 2.53 m wide.
In the northwestern wall of the cave is a large rock-hewn niche, about 0.6
m above the floor (Photo 45). The niche, which has a flat base and a halfdomed roof, is shallow (only 0.25 m deep), 0.95 m high and 0.5 m wide.
Around its opening is a carved recess 4 cm wide, perhaps intended to hold a
wooden door. Inside the niche are two horizontal grooves, 0.25 m apart, into

THE MONASTERY OF CHARITON

355

which wooden shelves were probably inserted. From its location it seems
likely that sacred items connected with the services conducted in the cave
were stored in this niche.
A larger niche, whose base is flush with the floor, is located some 2 m to
the east (Photo 46). The niche is 0.25 m deep, 0.7 m wide and 1.7 m high. In
the base are carved two round hollows, each 13 cm in diameter, symmetrically spaced. The niche is positioned under the opening in the cave wall that
leads to the upper alcove. This location may not be coincidental: the niche
may be a memorial niche connected with the biography of Chariton.
In the floor beside the niche a long trough-shaped cavity was hollowed
out of the rock (Photo 47). It is 1.8 m long, 0.6 m wide and 0.3 m deep. At
the western end of the cavity the hewers left a small ledge, a kind of pillow, 0.2 m high. From the size and shape of the cavity one may speculate
that this was a tomb. If this is the case, a person of significance in the history of the site was interred here.
Close to the southern wall of the cave a cistern, channels and several
niches were found (Photo 48). The cistern is oval, measuring 0.5 1.3
and some 2 m deep. Above the cistern the hewers left a kind of rock
bridge, 0.25 m wide, to which the rope of a bucket was perhaps tied. In
the rock above the cistern traces of travertine can be discerned, evidence
of running water in the past. From the cistern a rock-hewn channel runs
along a rock shelf that borders the chapel on the south. The channel, 4.5
m long, drained overflow water from the cistern through the opening in
the floor of the cave into the cisterns of the lower level. Beside the channel is a round niche, 0.35 m in diameter, in which a jar of drinking water
perhaps stood. In the wall of the cave are additional niches and small
shelves, presumably for lighting devices (oil
lamps). Many patches of plaster are preserved
on the rock, heavily blackened with soot. Examination of the plaster showed that it is of
good quality, painted white and applied in
two layers each 12 cm thick. On the plaster
one may discern very faint traces of painted
geometric designs.
The opening to the upper alcove is located
in the northern corner of the cave, some 3 m
above the floor. Here too a ladder is necessary to reach the opening. The opening is
Fig. 29 Elevation of the
opening leading to the al- rather small (0.4 0.5 m), making passage
through it difficult (Fig. 29). The inner side
cove.

356

Y. HIRSCHFELD

of the opening is wider, measuring 0.6 0.9 m. In the jambs are


cavities for a bolt, and in the
threshold and the jambs are cavities for hinges. From this we may
assume that the opening was
blocked by a wooden shutter to
keep out pests and unwelcome
visitors. The other openings in
both levels of the cave were
probably blocked in a similar
manner. The shutters perhaps
consisted of wooden lattices,
which have not survived; such
lattices are shown in our proposed reconstruction of the site in
the Byzantine period (Fig. 30).
The complex of remains in the
upper level the chapel, wall
niches and water systems
Fig. 30 Proposed reconstruction of
the Hanging
Cave in the
Byzantine period (drawing: Leen Ritmeyer).

Fig. 31a
Plan of the
alcove, looking east.

THE MONASTERY OF CHARITON

357

shown that the main activity of the site took place here. Visitors probably
ascended to this level to take part in religious rites that were almost certainly connected with the figure and memory of St. Chariton.
The alcove. Some 5 m from the opening of the upper level and 3 m
above it is the alcove in which Chariton presumably secluded himself
(Photo 49). The alcove is hewn from the rock at a terrifying height of
about 15 m above the ground. To reach it from the outside one must hug
the face of the vertical cliff. Access to the alcove is possible only because
of the natural rock ledge, some 0.7 m wide, along which runs a channel
that drained runoff water from the cliff into the water system of the cave
(Fig. 31a-b). The channel, 3.5 m long, provides footholds that enable one
to climb relatively safely into the alcove above it. Beside the ledge, be-

Fig. 31b Lateral section of the


alcove, looking
east.

358

Y. HIRSCHFELD

tween the cave mouth and the alcove,


is a rock-hewn niche with a cross
above it (Photo 50). The rectangular
niche measures 0.4 0.7 m and is 12
cm deep. Around its opening is a recess that perhaps held an icon. The
cross above it is very simple, with a
vertical arm 20 cm long and a horizontal arm 10 cm long. The cross and the
possible icon niche below it are indications of the sacred character of the
place.
Below the rock ledge, opposite the
niche and the cross above it, a tethering hole is carved in the rock (Photo Fig. 32 Elevation (partly reconstructed) of the opening of the al51). The hole, 4 cm in diameter, was cove.
used to anchor a rope that reached the
foot of the cliff. Was the rope used to raise various supplies, or was it
used from the beginning to climb to the alcove? It is possible that during
Charitons lifetime the rope was already used for climbing. It is related
that when Sabas came to Nahal Kidron, before the building of the monastery that bore his name, he took up residence in a cave. According to
Cyril, he [Sabas] hung a rope at the mouth of the cave when ascending
or descending because of the difficulty of the ascent.54 It is conceivable
that Chariton did the same when he took up residence in the Hanging
Cave. Only later, after the installation of ladders inside the cave and the
opening of the passages, was it possible to reach the alcove in a more
convenient fashion.
The alcove is about 2 m above the rock step mentioned above. To improve the ease of access, three steps were hewn in the rock. They are not
identical in shape: two are 0.6 m wide, while the third is only 0.35 m
wide. The steps average 0.3 m high and 0.25 m deep. To the west of the
steps is an elliptical cistern, 1.7 m long, 1.1 m wide, and 1.5 m deep to
the top of the silt that it contains today. The cistern ensured a supply of
water to the hermit who lived in the alcove.
The hermits alcove, which is mostly hewn from the rock, is well preserved (Photo 52). It is bell-shaped, measuring 2.1 m long, 1.2 m wide
54. Life of Sabas 15, ed. Schwartz, p. 98. I personally would be reluctant to dangle from a

rope tied to a hole in the rock high in the cliff.

THE MONASTERY OF CHARITON

359

and a maximum of 1.9


m high. Of the entrance, which faces
west, the threshold,
the interior jamb and
part of the lintel are
preserved (Photo 53).
These preserved remains enable the reconstruction of the
dimensions of the entrance: 0.6 1 m (Fig.
32). Around the entrance is hewn a recess that probably
held a wooden door.
In the threshold and
Fig. 33 Proposed reconstruction of the alcove in the
the lintel are two cavi- Byzantine period (drawing: Erez Cohen).
ties, one opposite the
other, for the hinges of the door.
An additional cavity for a bolt is
hewn in the jamb. These data on
the entrance support the assumption that there was a masonry wall
in the facade of the alcove. This
is the only way to reconstruct the
rest of the frame of the entrance
in a way that would enable the fitting of a door. The blocking of the
alcove with a wall would have
given the hermit who occupied it
protection from climatic extremes
and stormy weather, especially in
the winter, as shown in the proposed reconstruction of the alcove
(Fig. 33).
The interior of the alcove was
carefully finished. Patches of
yellowish plaster are preserved
on the floor and the rock walls. Fig. 34 The crosses and monograms.

360

Y. HIRSCHFELD

Near the wall, a round hollow 0.4 m in diameter is hewn in the floor;
its function was probably to drain water that penetrated, perhaps during
rain, into the alcove. A small bench, 0.4 m deep and 18 cm high, runs
across the full width of the eastern end (1.2 m). It was probably used
by the alcoves occupant for seating or perhaps even sleeping. It is related that Euthymius used to sleep sitting up, holding with both hands
a rope that was suspended in a corner of his cell.55 Above the bench, at
a height of 1.06 m, is a small niche (8 12 cm) which presumably
held a lamp. This is attested by the signs of soot that remain on the
plaster above the niche. Above this niche is another, larger one, measuring 15 16 cm and 11 cm deep. This perhaps held a wooden beam,
since in the opposite western wall is a niche at the same height and of
identical dimensions. A beam of this kind could have served as a shelf
on which various items could be placed, or from which they could be
suspended.
On the eastern wall of the alcove, 1.5 m above the floor, three painted
crosses with Greek monograms were found (Photo 54). They are painted
in black, red and yellow. The eastern cross is the largest of the three
(Fig. 34). It is painted in bright red; its vertical arm measures 18.5 cm
and its horizontal arm 16 cm. At the ends of the arms are Greek letters
representing the well-known formula () () ()
() (Jesus Christ Son of God). The second cross is painted in
black and yellowish-ochre; its vertical arm is 20 cm long and its horizontal arm 17 cm. The third cross, in the southern part of the alcove, is
blurred. Under the crosses a second monogram painted in bright red is
preserved (Photo 55). The monogram consists of two letters: the upper
one seems to be an omega, and the lower one may be a stylized alpha.
In this case, we have an example of the Christian formula based on
Revelation 22:13: I am the Alpha and the Omega, the first and the last,
the beginning and the end. This monogram in association with a cross
is extremely common in Christian inscriptions, for example in the monastery of Theoctistus.56

55. Life of Euthymius 21, ed. Schwartz, p. 34.


56. Y. Patrich and L. Di Segni, New Greek Inscriptions from Theoctistus Monastery in

the Judean Desert, Eretz-Israel 19 (1987), p. 274 (Hebrew).

THE MONASTERY OF CHARITON

361

Summary
The presence of the crosses and monograms confirms the identification
of the alcove as the place where Chariton spent his last years. The choice
of the alcove high in the cliff is suggestive of the extremely ascetic tradition of Syrian monasticism. Charitons residence in the alcove, suspended between heaven and earth, is reminiscent of famous Syrian
monks, such as Simon Stylites, who lived on top of columns in the fifth
century. The Life of Cyriac records that the monks of the Old Laura
preserved the cave and the alcove above it and turned it into a holy
place. The alcove in which Chariton secluded himself was entrusted to
Cyriac when he too was recognized as a holy man. Cyril of Scythopolis
himself was among the many visitors who reached the place during the
Byzantine period and were able to pray in the rock-hewn chapel, immerse themselves in the pool at the entrance and rest on the shady rock
surface beside it. The immersion pool was perhaps also used for the
baptism of infants from the vicinity.
The Hanging Cave was an integral part of the monastery of
Chariton, which was one of the largest and most important lauras of the
Judean Desert. The remains of the monastery are characteristic of a laura.
They consist of two elements: the core, including a church and various
communal buildings, and cells scattered over a wide area. An extensive
system of paths connecting the different elements creates a coherent
monastic complex.
The building of the monastery on a steep slope is typical of the lauras
of the Judean Desert. The choice of a wild and inaccessible location in
the desert provided the tranquillity and solitude that the monks sought.
The cisterns and other water storage installations ensured an ample supply of water. The terrace and agricultural plots turned the monastery into
a man-made oasis. Terraces were found beside most of the cells, at Ein
en-Natuf and at the entrance of the Hanging Cave. Like hard-working
peasants, the monks tilled the soil and tended orchards, despite the harsh
conditions in the desert. The structures of the core and the cells, surrounded by greenery, probably looked like a typical Mediterranean village in the wilderness.
This picture of the monastery in the Byzantine period changed during the Early Arab period. In the later phases of the existence of the
monastery, apparently from the eighth century and onwards, the monks
abandoned the cells and moved into the structures of the core. Because
of the deterioration in security, the core was surrounded by a defensive

362

Y. HIRSCHFELD

wall and towers. During this period and up to the end of the twelfth
century, the monastery of Chariton probably looked like the monastery
of Mar Saba today, a fortified complex clinging to the steep cliff of the
ravine.
Yizhar Hirschfeld
The Hebrew University of Jerusalem

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

J. Patrich

1. St. Paul at Caesarea


St. Paul1 was in confinement for two years (ca. 58-60? CE)2 in Caesarea.
This chapter in his life took place at the end of his third missionary journey to the gentiles. He was brought to Caesarea in chains, under a heavy
military escort of 200 soldiers, 70 horsemen and 200 spearmen, at the command of two centurions, after being arrested in Jerusalem by the Roman
tribune (cili/arco) in the city - Claudius Lysias. The arrest took place on
Pentecost 58 CE, after a Jewish mob had attacked him in the temple, suspecting that he had polluted the holy precinct by letting gentiles in, among
them one - Trophimas the Ephesian, with whom he was seen together in
the streets of Jerusalem. The mob was incited by Jewish pilgrims from
Asia, who opposed Pauls missionary activity in their synagogues and
among the Greeks in their cities, and accused him of preaching to the Jews
living among the gentiles not to circumcise their sons and to abandon the
Law. Before being brought to Caesarea Paul was interrogated by the tribune in the barracks (parembolh/) of Jerusalem (i.e. - the Antonia fortress)
about his identity, origin and behavior, being exempt from scourging when
1. For Pauls biography see: Bibliotheca Sanctorum (Roma 1968) 164-94; F. L. Cross and
E. A. Livingstone (eds.), The Oxford Dictionary of the Christian Church (London-New
York-Toronto 1974) 1046-49; A. Kazhdan (ed.), The Oxford Dictionary of Byzantium (New
York 1991) 1604-5. D. Attwater, The Penguin Dictionary of Saints (Ayllesbury 1965, reprt.
1974) 266-68; D. H. Farmer, The Oxford Dictionary of Saints2 (New York 1987) 339-40.
See also: Marie-Franoise Baslez, Saint Paul, Paris 1991; Jrgen Becker, Paul, lapotre
des Nations (tr. from German J. Hoffmann), Paris 1995. The Greek critical edition of Acts
was published by C. Tischendorf, Novum Testamentum Graece (Leipzig 1872, reprt. Graz
1965). The English translations consulted were Nestle and Marshal, The Interlinear GreekEnglish New Testament2, London 1959 (rprt. 1969); The New Revised Version; The Inclusive Version; The New Testament in Hebrew and English, published by The Society for
Distributing the Holy Scriptures to the Jews, London, and R. B. Rackham, The Acts of the
Apostles (London 1901, reprt. Ann Arbor, Michigan 1964).
2. Pauls arrest in Jerusalem and his confinement and trial in Caesarea are given in Acts
21:15-27:1. For the chronology, in the last two years of procurator Felix, see: E. Schrer,
The history of the Jewish People in the age of Jesus Christ (175 B.C.A.D. 135), G. Vermes
and F. Millar (rev. and edd.) I (Edinburgh 1973) 459-66. See also: G. Ogg, The Chronology
of the Life of Paul (1968).

LA 50 (2000) 363-382; Pls. 27-30

364

J. PATRICH

he declared that he was a Roman citizen. The tribune first suspected that
he was the Egyptian who a few days earlier had led out into the wilderness
4000 men of the Assassins (Sicarii),3 thus breaking the civil order, but
when it was realized that he was accused by the Jews for breaking their
Law, Paul was given to the sentence of the Jewish council (Sanhedrin /
sune/drion). Paul brought discord among the Pharisees and Sadducees of
the council, by presenting his stance (pertaining to the resurrection of
Christ, and the Holy Spirit), as beliefs in personal resurrection, in the angels and in the spirits - disputed issues between the two Jewish sects. The
dissension aroused in the council was so violent that the tribune had to take
Paul out from there by force, for fear that he would be torn to pieces by the
two parties. Back in custody in the barracks, a plot of the high priests, the
elders and more than forty people to murder Paul next time he came to their
court was brought to the attention of the tribune by Pauls nephew - the
son of his sister, residing in Jerusalem. In order to prevent it the tribune
decided to dispatch him, under military escort, with a letter, to be sentenced
in front of the procurator Felix at Caesarea.
Felix (procurator ca. 52-60? CE) put Paul in custody in the praetorium
of Herod - the palace and officium of the Roman procurator - until his accusers would come from Jerusalem. Ananias the high priest and the elders
arrived after five days, and the prosecutor was a certain rhetor, named
Tertullus.4 After hearing both sides, the verdict was postponed until the arrival of the tribune Claudius Lysias. Paul was given to a lenient custody
(custodia libera), under the surveillance of a centurion, being permitted to
be visited and served by his acquaintances. Paul was known to the local
community. Some of its members had journeyed with him to Jerusalem for
Pentecost. Among the brethren in Caesarea were the evangelist Philip and
his four virgin daughters who prophesied, at whose house Paul and his
company spent several days before going up to Jerusalem.5 Imprisoned
with Paul was Aristarchus, and he was served by Luke, a gentile, author of
Acts, his companion for many years in the voyages to the gentiles, and eyewitness to his adventures in Jerusalem and Caesarea. It seems that Luke
3. The event of the Egyptian ringleader of a rebellious group is also narrated by Josephus

War 2.13.5 (261-3); Ant. 20.8.6 (169-72). According to War they were 30.000 in number,
and they gathered on Mount of Olives. The governor Felix attacked them with his troops,
killed and scattered the followers of the Egyptian, or took them prisoners, but the Egyptian
himself escaped the massacre and disappeared. The event took place shortly before Pauls
arrest. See Schrer, (supra n. 2) 464.
4. Acts 24. The trial took place 12 days after Paul first arrived to Jerusalem.
5. Acts 21:8-16.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

365

completed his Gospel during this sojourn of two years in the province, having easy access to the Palestinian apostolic tradition. Some of Pauls Epistles (to the Ephesians, Colossians and Philemon) might have been written
in this period, and sent from Caesarea. His messenger to the churches in
Asia was Tychicus.6
Actually the trial was not resumed for two years, until the end of Felixs
governorship,7 although Felix summoned Paul many times, hoping to extort from him a bribe for his release. One of these encounters was together
with his consort Drusilla - a beautiful Jewish princess, daughter of Agrippa
I and sister of Agrippa II, whom Felix had married through the intervention of a magician from Cyprus called Simon, in defiance of the law which
strictly forbade the marriage of a Jewess with a pagan.8 Paul was asked to
present the essentials of his creed in front of them.
Under Porcius Festus (procurator ca. 60-62? CE) the conclusion of the
trial was not delayed any longer.9 About two weeks after assuming procuratorship he ordered Paul to be brought in front of him, while he sat on
the judgement platform (epi touv bh/mato).10 A Jewish delegation that arrived from Jerusalem presented the accusations, and Paul defended himself.
But he rejected the suggestion of the judge to transfer the issue to the decision of the Sanhedrin in Jerusalem, and be judged there at his presence.
Being a Roman citizen he appealed unto Caesar, to be sentenced in Rome.11

6. For St. Pauls and St. Lukes work at Caesarea, see Rackham, (supra n.1) 449-51. See

also G. Downey, Caesarea and the Christian Church, in: Ch. Fritsch (ed.), The Joint Expedition to Caesarea Maritima, Vol. I: Studies in the History of Caesarea Maritima,
[BASOR Suppl. Studies 19] (Missoula, Montana 1975) 23-42. E. Krentz, Caesarea and
early Christianity, in: R. L. Vann (ed.), Caesarea Papers 1 [JRA Suppl. Ser. 5] (Ann Arbor, MI 1992) 261-67, mentions the Epistle to the Philippians as the best exemple of Prison
epistles to be written in Caesarea, though the Christian tradition suggests Rome. W. G.
Kmmel, Introduction to the New Testament (Eng. tr. H. C. Kee, London 1975) 328-29
brings the pros and cons of each place, and favors (ibid. 346-47) Caesarea as the writing
place of the Epistle to the Colossians. According to Kmmel (ibid. 347) Mark also was with
Paul in Caesarea, and the runaway slave Onesimus met Paul there (ibid. 348-49). Pauls
biography and chronology is given by Kmmel in pp. 252-55. He places Pauls arrival in
Jerusalem in 55/56 CE.
7. The prolonged delay might have been the result of the dispute aroused at that time in the
city between the Jews and the Syrian inhabitants, over the equality of citizenship
(ijsopoliteia). See Schrer, (supra n.2) 465.
8. Ant. 20.7.2 (141-3).
9. Acts 25.
10. Ibid. 25:6.
11. Ibid. 25:11.

366

J. PATRICH

The appeal was approved by the judge. But before being dispatched from
the harbor of Caesarea in a boat to Rome, together with other prisoners,
under guard of a centurion named Julius, Paul encountered two other members of the Jewish royal family - Agrippa II and his other sister - Berenice,12
who came to Caesarea to greet Festus on his appointment. Paul was summoned into the audience hall (to\ ajkroath/rion),13 in the presence of Festus,
Agrippa and Berenice, the military tribunes, and the prominent men of the
city, to present his case. Festus asked Agrippas advice in formulating the
letter to the emperor concerning Pauls affair. After the hearing the king,
Festus, Berenice and the others, withdrew (presumably to a side chamber,
or to an adjacent suite), saying to one another that the man had done nothing worthy of death or imprisonment.14 But since he had appealed to Caesar, he could not be set free. A few days later Paul with other prisoners
sailed to Italy.

2. The praetorium of Herod - the site of St. Pauls custody and


hearing
The archaeological excavations carried out in Caesarea since the mid 70s,
brought to light the entire complex of the praetorium of Herod (Photo
1). Within it the law court, or audience hall (to\ ajkroath/rion of Acts
25:23), and the bema (ibid. 6) occupied by the governor and his council
(sumbou/lion - ibid. 12) during the assizes, can be identified with a high
degree of certainty.15
12. Renowned for her beauty, Berenice later attracted the attention of Vespasian. Later she

became the mistress of Titus, his son, until she had to leave Rome after he was proclaimed
emperor.
13. Ibid. 25:23. According to Rackham (supra, n.1) 461, this auditorium was a different hall
than the regular governors hall of justice.
14. Ibid. 26:31.
15. On this complex, excavated by several expeditions (Hebrew University of Jerusalem,
University of Pennsylvania, and the Israel Antiquities Authority) see: L. Levine and E.
Netzer, Excavations at Caesarea Maritima 1975, 1976, 1979 Final Report [Qedem 21],
Jerusalem 1986; E. Netzer, The Palaces of the Hasmonean and Herod the Great, (Jerusalem 1999) 109-114 (Hebrew); E. Netzer, The Promontory Palace, in: A. Raban and K. G.
Holum, Caesarea Maritima: A Retrospective after Two Millennia, (Leiden 1996) 193-207;
Kathryn L. Gleason, Ruler and Spectacle: The Promontory Palace, ibid. 208-228; Barbara
Burrell, Palace to Praetorium: The Romanization of Caesarea, ibid. 228-47. See also: B.
Burrell, K. L. Gleason, and E. Netzer, Uncovering Herods Seaside Palace, Biblical Archaeology Review 19 (1993) 50-57, 76; K. L. Gleason et al., The Promontory Palace at
Caesarea Maritima: Preliminary Evidence for Herods Praetorium, JRA 11 (1998) 23-52.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

Fig. 1

367

Plan of suggested chapel in area KK within the complex of the warehouses.

368

J. PATRICH

Herods palace extended over two terraces with a difference of elevation of ca. 3.6 m.The two-storied, lower-terrace palace (110 55 m in dimensions),16 built in the first phase of the building operations at Caesarea,
(dated 22-15 B.C.E.), served as the private wing. It occupied a natural
promontory, extending 100 m into the Mediterranean.The E side and the
SE corner were cut out of the rock. The various wings, founded almost at
sea level, surrounded a large, rectangular rock-cut pool (35 18 m), 2 m
deep, lined with hydraulic plaster, with a rectangular base, presumably for
a statue, at its center. It was a swimming pool, filled with sweet water, typical of Herodian palaces.17 The E wing, the best preserved, constituted a
dining suite looking west, comprising a central hall flanked on either side
by two small rooms. The thick lateral walls of the Herodian triclinium suggest a vaulted ceiling; there was no second story above this hall. The western side, that might have served as the living quarters, is poorly preserved.
Access to the second story and to the upper terrace was through a staircase
located in the NE corner.
The upper terrace, on the higher part of the promontory and of a
slightly different orientation, served as the public wing. It was built around
a vast courtyard (42 65 m) surrounded by porticoes.18 A raised square platform, for some monument, or for the emplacement of a bema, stood in its
During the years 1995-97, in the framework of the Israel Antiquities Authority excavations
directed by Y. Porath, additional parts of the N, S, and E wings of the praetorium were
exposed. For a short preliminary note see: B. Rochman, Imperial Slammer Identified, Biblical Archaeology Review 24.1 (1998) 18; Y. Porath, Hadashot Arkheologiyot: Excavations
and Surveys in Israel 112 (2001) 40-41. See also: H. M. Cotton and W. Eck, Governors
and their Personnel on Latin Inscriptions from Caesarea Maritima, Proceedings of the Israel Academy of Sciences and Humanities VII.7, Jerusalem 2001, 215-240.
16. Thus Gleason et al., JRA 11 (1998) 29, but according to Burrell, Caesarea Retrospective
240, the dimensions of the rectangular structure (without the semicircular W projection) was
40 80, while according to Netzer, ibid. 198, 200, 201, it was 83 51, giving a total area of
ca. 4400 sqm for the lower story, including the projections, and 8000 in two stories.
17. Swimming pools were also found in Herods palaces at Jericho, Masada, Herodium and
Hyrcania. See: E. Netzer, The Swimming Pools of the Hasmonean Period at Jericho,
Eretz-Israel 18 (1985) 344352 [Hebrew]. For a shorter version , see E. Netzer, The Swimming Pools of the Hasmonean Period at Jericho, Leichtweiss Institut fr Wasserbau der
Technischen Universitt Brownschweig, Mitteilungen 89 (1988), 1-12. For Hyrcania see: J.
Patrich, Hyrcania, in: E. Stern (ed.), The New Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, Israel Exploration Society, Jerusalem 1993, II, 639-641.
18. The W half of the upper terrace was excavated by the University of Pennsylvania expedition, directed by Gleason and Burrell, while the E half, and farther areas to its E, belonging to the Roman praetorium, and the entire S wing, were excavated by the Israel
Antiquities Authority expedition headed by Y. Porath, (supra, n. 15). The most detailed
plans published so far are to be found in Cotton and Eck, supra, n. 15. A basilica of a

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

369

center, and to its east there was constructed a vast underground water cistern with two compartments, T-shaped in its ground plan.
The N wing of the upper terrace held two suites separated from each
other by a service corridor. The W suite (on the Penn excavation area) was
facing S, while the E one (on the IAA excavation area) was facing N. The
W suite, of symmetrical layout, held in its center a basilical audience hall
(192 sqm), flanked by smaller rooms and service corridors. The N part of
the hall, that seemingly accommodated a dais, or a bema,19 had a heated
floor set on stone suspensurae / hypocaust. It seems that over this bema
the Roman governor and his council (concillium / sumbou/lion) held their
assizes, including those pertaining to St. Paul, mentioned above.20
A small bath unit, including a Jewish miqveh, was located to the west
of this suite. The E suite had on its S four rooms facing N, towards a stone
paved courtyard with a circular fountain at its center. It is likely that to this
suite, overlooking the sea and the city, Festus, Agrippa and the other magnates present in St. Pauls hearing withdrew.
The S wing of the upper palace was occupied by a large Roman bathhouse.
The entrance to the palace was from the E, via a square propylon
with four turrets set at its corners. Another, higher tower, rose above this
propylon, overlooking the hippodrome/stadium. Only the foundations of
the propylon and of adjacent tower have been preserved. Under Roman
rule Herods palace was extended farther to the east, adding ca. 50 m
along the S curved end of the hippodrome/stadium.21 Latin inscriptions
mentioning various functionaries and rooms of the officium were found
in this extension.22
single nave, yet unpublished, with apses and its E and W ands, was built at a later date in
the NE part of the courtyard.
19. See plan and reconstruction in Gleason et al. JRA 11 (1998) (supra, n. 15) Figs. 4c, 7,
13, and discussion in Burrell, Caesarea Retrospective (supra, n. 15) 229.
20. For the audience hall see Gleason et al., ibid. pp. 33, 45-48, Figs. 4c, 7, 13. The side
chamber where Agrippa and Berenice withdrew, together with Festus and the other magnates, can be identified as R. 6 in Fig. 7 there, unless it was to the E suite, depicted in
Fig. 4c.
21. According to Porath (oral information) the entire complex of the two-terrace palace
postdates Herods reign. However, this interpretation disregards the fact (pointed out by
Netzer, in Gleason et al. [supra n. 15] p. 38, n. 29), that the N wall of the palaces upper
terrace is bonded into the W cavea wall of the hippodrome/stadium, and ignores the fact
that the praetorium where St. Paul was put in custody was known as the Praetorium of
Herod (Acts 23:35).
22. See Cotton and Eck, supra, n. 15.

370

J. PATRICH

Although still standing in the Byzantine period, according to the excavators,23 the audience hall of the W suite was never converted into a chapel.
A Byzantine apsidal structure located farther to the east, within the bounds
of the former Roman praetorium, had a Greek inscription calling for the
salvation of Silvanus and Nonna. No cross accompanies the inscription - a
common feature in Christian Greek epigraphy to be expected here as well,
if the structure was used by Christians. The apse, oriented to the east, is
very shallow, leaving no room for a synthronon, and there was neither a
bema nor an altar. Thus it should not be excluded that this structure was
actually a Samaritan synagogue, oriented eastward to Mt. Garizim, located
to the east of Caesarea.

3. A chapel of St. Paul?


In the extant literary sources there is no record of a church or chapel dedicated to St. Paul in Caesarea.24 Nevertheless, several finds from area KK,
located in the south-western zone of the city, may suggest that such a
chapel did exist there.25

Eulogia bread stamp of St. Paul (Photo 2)26


The stamp was found in building I of the complex of warehouses. It is circular in shape (10.4 cm in diameter), 1 cm thick, made of well fired pinkreddish clay. A pyramidal, knob-shaped handle, 3.5 cm wide and 3 cm
thick, is attached to the center of the rear side. More than half of the original disk is preserved.

23. Gleason et al., JRA 11 (1998); Burrell, Caesarea Retrospective (supra, n. 15) 240-47.
24. For a brief survey, with references, on the churches and chapels of Caesarea see: J. Patrich,
Urban Space in Caesarea Maritima, Israel, in: J. W. Eadie and T. Burns (eds.), Urban
Centers and Rural Contexts, Michigan State University Press 2001, 77-110.
25. For a preliminary report on the excavation in area KK see: J. Patrich et al., The Warehouse Complex and Governors Palace (Areas KK, CC, and NN, May 1993-December
1995), in: Caesarea Papers 2 [The Journal of Roman Archaeology, Supplement Series,
Number 35], edited by Kenneth G. Holum, A. Raban and J. Patrich, Portsmouth, Rhode Island 1999, 70-108.
26. Object no. 10/94 KK17 L.012 B.0086 001. For a detailed description, including artistic
and liturgical significance, see: J. Patrich, Four Christian Objects from Caesarea Maritima,
Israel Museum News (forthcoming).

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

371

The decorations were incised in the clay before firing. The circumference
is decorated by two concentric bands, the outer one bearing a wavy, zigzag
line, and the inner - a Greek inscription, more than half of which is preserved.
The suggested reading of the complete inscription is: Blessing of the Lord
upon us, and of Saint Paul.27 According to Leah Di Segni, there is no place
for another name besides that of St. Paul. The inner area of the medallion depicts an arched ciborium over a cross. The arch is supported by two columns,
decorated by a similar zigzag line. A surrounding circle of dots is disturbed
in its lower part by a smaller cross in a circle - seemingly one of a pair. Similar dots are depicted between the arms of the larger cross. The arms of the
crosses have flaring. Another cross with flaring arms is depicted on the rear
side. The other marks on this side are not clear.
The inscription, as deciphered by Di Segni, associates the stamp with a
shrine dedicated to Saint Paul, presumably the apostle. The name Paul is
also incised on the rear side of a pottery plate found on the same spot. The
shape of the stamp and the inscription on it indicate that it was a eulogia
bread stamp, which differed from eucharistic bread stamps in the following aspects.28 While the eucharistic bread was given to the faithful during
the rite, after being consecrated on the altar, the eulogia bread was distributed as a eulogia (literally - blessing) to the faithful after the conclusion of
the rite and their dismissal; it was also acquired by pilgrims visiting a
church, a monastery or a martyrs shrine, or distributed to the poor as alms
on particular feasts. Also, it could be distributed to the faithful in connection to a certain feast - either a great festival, or a Saints day - rather than
being strictly associated with a certain site.29
Yet other finds from this area, presented below, bring further evidence
for the possible existence of a Christian chapel somewhere in area KK.

27. See the following contribution by Leah Di Segni, and eadem. Inscription on a Eulogia

Stamp, Israel Museum News (forthcoming).


28. G. Galavaris, Bread and Liturgy. The Symbolism of Early Christian and Byzantine
Bread Stamps (Madison Milwaukee and London 1970). The identification of this object as
a eucharistic bread stamp in Patrich, (infra n. 30) 172, fig. 25 was therefore erroneous.
29. Galavaris (supra, n. 28), pp. 132-33, 137-161. Of particular interest for the stamp under
discussion is the one from Thessalonica, of ca. the 6th century, depicted there, Fig. 77. The
blessing of the Lord is followed by the blessings of St. Andrew and (presumably) St. Paul
(ibid., pp. 128, 141-143). In another stamp, from Vienna, St. Peter and St. Paul, identified
by their names, are flanking a cross. The surrounding Greek inscription reads: The blessing of the Lord on us. The cross is the beginning of life. Galavaris (Fig. 79, pp. 146-48)
associates this stamp with bread distributed on the festival day of Peter and Paul. The shape
of the handle of this stamp resembles ours.

372

J. PATRICH

Frescos depicting crosses and wall inscriptions


Several plastered building stones found in debris (Photo 3) in the dolium hall
of Building I, in the Area KK complex of warehouses (Fig. 1), depicted large
painted crosses of the crux gemmata type, with the abbreviated formula IC
XC A W above and below the arms, and Greek inscriptions, in a single line
underneath.30 At least three such crosses can be restored.31 Their location in
the debris, and the fact that the lower story walls are preserved on either side
to a considerable height, indicate that they came from the second story. This
upper story hall, located above the central section of the dolium hall, and
overlooking the entire compound of warehouses, is our candidate for the suggested chapel (Fig. 2-5). One of the inscriptions, referring perhaps to the Holy
Cross, as suggested by Di Segni, might be associated with the cross depicted
on the above-mentioned eulogia bread stamp. Two masonry blocks depict red
painted branches (fig. 6), one with traces of a cross to its left. These branches
were perhaps placed at the beginning and end of the inscriptions.
The central section of the dolium hall of Building I is retained on the
inside and on the outside by five pairs of attached pilasters. The retaining pairs
of pilasters, and the thick accumulation of kurkar plastered blocks retrieved
therein, including fragments of white mosaic floor, suggest the existence of a
second story above this section, which is preserved up to the springing course
of the arches. Blocks plastered on three of their faces originated from the arches.
The presumed upper story chapel (Fig. 2-5), could have been 10.25 m long and
ca. 5.65 m wide (internal dimensions). On its west the chapel might had a small
5.65 4.40 m courtyard. Access from the lower floor could have been by a
wooden staircase installed in the room (3.8 4.7 m, internal dimensions) on
the southern side of the dolium hall, leading directly to the prayer hall.32

30. For a detailed description of the KK complex of warehouses see: J. Patrich, Warehouses and Granaries in Caesarea Maritima, in: A. Raban & K. G. Holum (eds.), Caesarea
Maritima - Retrospective After Two Millennia, Louvain-New York-Kln, 1996, pp. 146-76.
Figs. 23-24 on pp. 170-71 depict one of the painted crosses reproduced here. For the Greek
inscriptions see the following article by Leah Di Segni.
31. One cross with an inscription underneath, presented by Di Segni, below, as inscription
1, and already reconstructed graphically in Patrich, supra, was restored by the conservation
team of the Israel Antiquities Authority. See: Y. Israeli and D. Mevorah, Cradle of Christianity, The Israel Museum, Jerusalem, 2000, 34.
32. Aspects of engineering and architectural stability of the possible upper story chapel in
this place were discussed with conservation architect at Caesarea excavations, D. Abu
Hazeira, who expressed his absolute confidence that an upper story did exist over the central section of the dolium hall. I am indebted to him for his opinion. But the hypothesis

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

Fig. 2

Fig. 3

St. Paul chapel. Plan.

St. Paul chapel. NS section, looking E.

373

374

Fig. 4

J. PATRICH

St. Paul chapel. EW section, looking S.

Fig. 5
St. Paul chapel. Suggested reconstruction, from SW, including the staircase room and the burial chamber.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

Fig. 6

375

Red painted branches on plaster.

The architectural members


Besides the above-mentioned frescos and wall inscriptions, found in the
upper story debris, the following decorated architectural fragments, mostly
of marble, might have originated in the suggested chapel, although found
dispersed throughout KK area, in a post-occupational fill, or reused in a
later stratum. These are not finds to be expected in a mundane context of
warehouses, yet their attribution to a one and single hall, interpreted as a
chapel, although possible, is far from being certain.
All members are made of gray Proconessian marble, unless otherwise
specified.

Ciborium (baldachino) columns (Fig. 7)


1. 10/94 KK23 L.018 B0076 001. Marble, complete, but broken into two pieces.
2.04 m high; lower section, 70 cm high, vertically fluted; upper part diagonally fluted upward to the right. Lower diameter 28 cm, top diameter 27 cm,
22 cm below the top, and 24 cm at an elevation of 1.40 m.
2. 10/94 KK23 L.008 B0046 001. Marble, complete, but broken into two pieces.
2.12 m high, diagonally fluted upward to the right. Lower diameter 23 cm, top
diameter 21 cm. In spite of the variance in shape and size, the columns might
have been used for a kind of ciborium, as suggested in figs. 2-5.

presented below is based more on the interpretation of the archaeological data suggesting
an upper story chapel, than on the possible existence of an upper story on purely architectural grounds.

376

J. PATRICH

Fig. 7

Ciborium (baldachino) columns.

Fig. 8

Table legs.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

377

Table legs (Fig. 8)


3. 10/94 KK27 L.009 B0021 001. Marble, upper part, 21 cm long. Lower diameter 9 cm, upper diameter 11 cm.
4. 42/93 KK18 L000 B0066 001. Leg fragment, 14 cm high, marble, 10 cm in
diameter.
5. 10/94 KK15 L.550 B0221 001. Capital of an altar leg (?), marble, 8 cm high,
upper surface ca. 8.5 8.5 cm, has a shallow cavity. The tiny size excludes
the possibility that this was a table leg of regular size. It might have served as
a decorative piece of a smaller installation, such as a decorative tiny niche.

Table Plates (Fig. 9)


It is hard to tell which (if any) of the plates detailed bellow, four of which
were certainly circular, actually belonged to the presumed chapel, and
which, if any, had served as an altar table plate.
6. 42/93 KK20 L.231 B0110 001. Small fragment 13 cm long, of a circular table
plate, of the Theodosian relief type,33 ca. 3 cm deep, and 2 cm thick. White
marble, inner diameter ca. 52 cm, preserved rim ca. 5.5 cm wide, depicting a
feline tail to the right of an acanthus flower, presumably of an heraldic, antithetic arrangement.
7. 10/94 KK28 L.035 B0059 001. Ten fragments of a circular table plate, 77 cm
in diameter, 1.4 cm thick and 2.8 cm deep. Rim width 6.4 cm. White marble.
8. 03/96 KK35 L.079 B0111 001. Four fragments of a circular table plate,
marble, 100 cm in diameter, ca. 2 cm thick, very shallow concavity. Rim decorated by a beads pattern.
9. 42/93 KK21 L.122 B0090 001. Three fragments of a circular table plate, white
marble, 109 cm in diameter, 4 cm deep, 3.5 cm thick, 4 cm high rim (on the
inside).
10. 42/93 KK20 L.000 B0057 001. White marble, fragment 10 11 cm, 1.5-3 cm
thick, diameter ca. 20 cm.

33. For a catalogue of these table plates see: Jutta Dresken-Weiland, Relieferte Tischplatten

aus Theodosianischer Zeit (Roma, Citta del Vaticano 1991). I am indebted to D. Amit for
bringing this publication to my attention. A larger fragment of an altar of this type depicting on the rim a hunting scene was found recently in a monastery in Jerusalem. See: D.
Amit, J. Seligman and I. Zilberbod, The Monastery of Theodoros and Kyriakos on the
eastern Slope of Mount Scopus, in: A. Faust and E. Baruch, eds., New Studies on Jerusalem [Proceedings of the Sixth Conference, Ingeborg Rennert Center for Jerusalem Studies,
Bar Ilan University, December 7th 2000], Ramat Gan 2000, 166-74 (Hebrew, with an English summary at pp. 11*-12*).

378

Fig. 9

J. PATRICH

Table plates.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

Fig. 10

Screen and other plates.

379

380

J. PATRICH

Screen and other Plates (Fig. 10)


11. 10/94 KK24 L.024 B0103 001. Screen plate upper fragment 22 23 cm, 3 cm
thick, grey marble, rear face rough. Upper band incised by a 1.2 wide chisel;
decoration depicting poppy cob and buds.
12. 10/94 KK24 L.026 B0107 004. Screen plate corner. Grey marble, 26 24 cm,
2 cm thick, rear face smooth. Decoration incised with a 1 cm wide chisel.
13a. 10/94 KK24 L. 026 B0107; b. 07/95 KK08 L.035 B0130. Decorative plates,
grey marble, decorated in champs lev technique, depicting vegetal motives.
a. Right part, 34cm long, 15.5-11cm broad, 3.4cm thick, drill in upper edge.
b. fragment, 10x10cm, 1.75cm thick.
13b. 07/95 KK08 L.035 B0130. Screen plate fragment 10 10 cm, 1.75 cm
thick. Grey marble, decorated in champs lev technique, depicting a wreath.
14. 10/94 KK17 L000 B0070 001. Screen plate? Fragment, 16 cm long, 5 cm
thick, grey marble. Depicting a conch and a wreath? in relief. 42/93 KK21
L.127 B0105, 13 cm long, of similar thickness and motif, might have been
another piece of the same screen.
15. 42/93 KK13 L.327 B.007534. Decorative plate. Marble, ca. 30 30 cm, 3 cm
thick; left lower corner and right upper corner missing. Dimensions too small
for a screen plate. Floral (?) emblem emerging from a vase flanked by two
crosses surrounded by a strip connecting two palmets. Two buds, or fleur de
lis decorate both lower corners, and an awning the uppermost part.

Burial inscriptions and sarcophagi


Several Greek burial inscriptions on marble plates retrieved in area KK may
indicate that the chapel also served for burial, or that a burial chamber was
attached to it.35 One inscription (Fig. 11a) reads +Mhmorion Korn(h)lia
(Tomb of Cornelia). Another (Fig. 11b) reads +Qhke [d(ia)f(erousa)]
Anastas[iou] kai Axia+ ([Private] tomb of Anastasius and Axia) refer-

34. This plate was already presented in Patrich (supra, n. 30) 175, Fig. 29.
35. For a survey on burial practice in the churches and chapels in Palestine see H. Goldfus,

Tombs and Burials in Churches and Monasteries of Byzantine Palestine (324-628 A.D.),
Ph.D. Dissertation, (Princeton University 1997, UMI Dissertation Services). Christian burials (unlike veneration of martyrs relics), was quite rare within urban confines, and when
occurring within the wall, it was near the outskirts of the city, as in the case of the Mortuary
Chapel at Jerash, or Kyria Maria Monastery and the Martyrs Church in Scythopolis both within an intramural cemetery. Although imperial legislations and ecclesiastical stance
forbade intramural burial (see Di Segnis reservations below), these finds indicate that such a
practice did occur. Although one cannot exclude the possibility that both sarcophagi and
burial inscriptions mentioned below came from the extramural cemeteries of Caesarea, in my
opinion an origin adjacent to the finding spot should be preferred.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?

Fig. 11

Burial inscriptions.

Fig. 12

Sarcophagus KK16 L.171 B0012.

381

382

J. PATRICH

ring perhaps to a communal burial36. In this context we should mention two


sarcophagi found in this area, that were reused as water basins in the irrigation system of a terraced garden constructed over the ruined and abandoned
Byzantine structures in Areas KK and CC.37 One (Fig. 12) was found in Well
KK16.171,38 and the other at the entrance to Vault CC07, near another well
(Fig. 13).39 The occurrence of sarcophagi together with burial inscriptions in
area KK, may not be due to chance. Taking into consideration their heavy
weight, it seems unlikely that the sarcophagi were brought from the extramural burial grounds, at a distance of ca. 700 m to the east, just in order to serve
as irrigation basins. It would have been much simpler to construct such basins near the wells, using masonry blocks. Therefore, it is much more reasonable to assume that they originally stood in proximity to the wells where they
were found.
Due to their weight, it would be reasonable to suggest that the two sarcophagi were originally located in the room annexed to the chapel on the south,
which measured ca. 3 3.5 m (Figs. 4 and 5) and had a fill of earth under its
floor, rather than in the chapel itself. The only possible entrance to this room
was 2.75 m from the north, and since its floor level was lower than the chapels floor, it served as a kind of a crypt. We should assume several wooden
steps, or a ladder, leading down from the chapel.

Eulogia flasks
Four St. Menas flasks (Fig. 14), one eulogia flask of St. Simeon the Elder
(Fig. 15), and a silver (eucharistic?) spoon (Fig. 16) were also retrieved in
the post-occupational dirt and garden soil that covered area KK,40 but
again one cannot positively affirm that they came from the presumed
chapel.
Joseph Patrich
University of Haifa

36. The inscriptions were deciphered and translated by Leah Di Segni.


37. This irrigated garden constitutes our stratum IIIa. See Patrich et al. (supra n. 25), 72.

See also: idem, Excavations and Surveys in Israel 17 (1998) 56, Fig. 26.
38. Object no. 10/94 KK16 L.171 B0001.
39. Object no. 10/94 CC07 L.002; Photo no. C94-29-13.
40. For a detailed description of these objects see Patrich, supra n. 26.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA?


THE INSCRIPTIONS

L. Di Segni

Area KK yielded a considerable harvest of epigraphic finds. These included


inscribed artifacts (bullae, weights, inscribed pottery) possibly related to the
commercial activities that took place in the storerooms on the ground floor
of the building, as well as many fragmentary inscriptions on stone (mostly
marble) and a number of more unusual finds: pieces of plaster decorated in
paint with religious images (crosses, haloed figures) and inscriptions, and
an eulogia stamp. The inscription on the stamp mentions St. Paul, and by a
remarkable coincidence, a fragment of platter found in the same spot is
inscribed with this name.
A bread stamp is a movable object, and therefore its discovery in this
area could not be given any special significance in itself, but for the fact
that a notable number of architectural elements of a kind usually associated with a church or chapel were also discovered here (see Patrich, above).
If we add to this combination of data the striking number of paintings and
inscriptions on fresco, all of religious character, we reach the conclusion
that these remains belonged to some sacred space, probably a chapel: this
must have been located on the upper storey of the building, since the fragments of fresco were found atop the debris of the ground floor.1 The discovery of the eulogia of St. Paul and of the platter bearing the same name
perhaps part of a set of ware belonging to the chapel? lends weight
to the hypothesis that this sacred space was dedicated to St. Paul, or at least
hosted a cult of the saint.
Was this a private chapel or did it belong to the community? The compound in which it is found is interpreted by the excavators as a private building. Moreover, the location of the chapel on an upper storey, with no direct
1. Unlike stone, that can travel far without suffering damage, plaster is rather brittle and

liable to go to pieces if disturbed. Some of the fragments were large, which seems to show
that they had not been submitted to much displacement. It must be stressed that the religious character of the painted images and inscriptions would not provide sufficient grounds
for the existence of a chapel: figures of saints were painted on the wall of a vaulted passage, north of Area KK, which probably had no sacred function at all. However, the association of all the finds architectural elements, pieces of ecclesiastical furniture, religious
paintings and the eulogia stamp can hardly be ascribed to mere chance.
LA 50 (2000) 383-400

384

L. DI SEGNI

access from the street, makes it reasonable that it was privately owned and
used. This does not exclude, however, that it may have been opened to the
public in special occasions for instance, for the festival of the patron saint
or that it could be used for sacred ceremonies not only by the owner and
his household, but also by employees and clients (both in the Roman and in
the modern sense) who frequented the house for social and economical reasons. To all these people would the bread stamped with St. Pauls blessing be
distributed, after they had taken part in the holy rites in the place.
In the debris in Area KK two sarcophags were discovered, and three
epitaphs can be identified among the many fragmentary inscriptions on
stone scattered in the area. Can this be taken as evidence that the chapel
had a funerary function? It seems unlikely. The location of the chapel on
an upper storey rendered it unfit for this use,2 and its situation in the very
heart of the city made burial in it unlawful. The Roman law which forbade
burial within the cities was re-enacted in the 6th century (CJ III, 43, 12)
and it is hard to believe that it would be violated in the capital of Palaestina
Prima, under the very nose of the governor whose palace was nearby. John
Chrysostom opens a homely on the dedication of a cemeterial chapel with
the rhetorical question, why is the community meeting outside the city?
The answer is a reminder to his listeners that the sacred building they have
come to consecrate is intended for burial, and therefore could not be erected
within the walls.3 In his study on burial in churches in Byzantine Palestine,
Goldfus comes to the conclusion that churches used for burial in cities and
villages were located outside or at most on the fringe of the inhabited area.4
His survey refers only to Western Palestine, but the situation appears to
have been similar also beyond the Jordan. The so-called Mortuary Church
in Gerasa rather a mortuary chapel attached to the Church of SS Peter
and Paul was indeed destined for burial, but though it was technically
located within the city wall, it is tucked into the rocky hillside on which

2. This location naturally prevented deposition of the dead in graves under the floor, as well

as the disposition of sarcophagi anywhere but in the small side room to the south of the
suggested area of the chapel, which lay on a fill of earth. But this would have required carrying the cumbersome and heavy sarcophagi up a narrow wooden staircase (there is no place
for any other means of ascending to the second floor), and arranging them in a space hardly
large enough to hold them, and certainly unsuited for the activity required in order to lay
bodies in them (e.g., removing and replacing the stone lids). Even the carrying of the corpse
upstairs would have been a painfully undignified business.
3. De coemeterio et cruce, PG 49, col. 393.
4. H. Goldfus, Tombs and Burials in Churches and Monasteries in Byzantine Palestine,
UMI Dissertation Services, Ann Arbor, Mich., 1997, pp. 238-239, cf. p. 97.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

385

the wall itself stands, at the fringe of the city and in the midst of an uninhabited area.5 In Madaba, the Church of the Holy Apostles could well have
been a funerary church too: at least, it is located in a cemeterial area and
had a memorial chapel attached to its northern side (the chapel of Priest
John, built as an addition to the main building). But the area is at the southeastern edge of the town, and it is by no means certain that there was a city
wall marking the limits of the urban area.6
Three epitaphs were admittedly discovered in this area. However, they
are only three out of 32 inscriptions on stone found in Area KK.7 Though
they catch the eye, for two of them are almost whole while all the others
inscriptions are fragments,8 the epitaphs form only 9% of the entire group.
The remaining inscriptions are difficult to locate because of their sorry
state: nevertheless, at least seven can be recognised as fragments of public
dedications, of which four at least belonged to civil buildings,9 and two
5. C.B. Welles, The Inscriptions, in C.H. Kraeling, Gerasa, City of the Decapolis, New

Haven 1938, p. 486, nos. 333-334 (the dedicatory inscription is open to more than one interpretation, and does not prove that the parents of the dedicator were buried in the vault
attached to the chapel, or indeed that they were dead when the chapel was dedicated); R.
Khouri, Jerash, A Frontier City of the Roman East, London and New York, 1986, pp. 130132. The case of the so-called Mortuary Church is similar to that of the Kyria Maria monastery in Beth Shean (G.M. Fitzgerald, A Sixth Century Monastery at Beth Shan
(Scythopolis), Beth-shan Excavations IV, Philadelphia 1939). The church of this monastery,
though not properly a funerary church, had burial places reserved for the use of the donor's
family and of other privileged persons. The monastery itself was attached to the city wall,
at some distance from the residential quarters of Byzantine Scythopolis.
6. M. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, Jerusalem, 1989 (SBF Collectio Maior 34);
id., Iscrizione imperiale e alcune stele funerarie di Madaba e di Kerak, Liber Annuus 39
(1989), pp. 105-117. The imperial inscription is evidence of the existence of gates at
Madaba under Elagabalus, but gates and towers do not necessarily imply the existence of a
wall, as the examples of Gerasa and Scythopolis clearly show. I wish to thank Fr M.
Piccirillo for discussing the issue of funerary churches with me.
7. I do not count several fragments of a large inscription on marble, giving a list of tariffs
for clerical services in the court of justice, which were found in Area KK. More fragments
of the same inscription were found in Area CC, where the palace of the governor was located, and those discovered here evidently came from there.
8. There is nothing remarkable in the fact that two of the three epitaphs were comparatively
whole: tombstones in Caesarea are usually small, 20 cm across or less, and 3-5 cm thick,
and thus rather sturdy. Dedications, on the other hand, were usually inscribed on large slabs,
which were more liable of being broken, either by accident or intentionally, in order to be
reused. The third tombstone was cut and reused as a stopper, perhaps in the very storerooms
where it was found.
9. One of the fragments perhaps refers to a basilikhv (civil basilica), another may contain
the word ajkrovpoli": if these readings are true, the stones must have reached this spot from
a place some distance from Area KK. The term acropolis can only refer to the platform on
which the Temple of Augustus had once stood, and the octagonal church was later built.

386

L. DI SEGNI

seemingly to sacred ones. Three other fragments can be recognised as private dedications. It would be wrong, therefore, to single out the epitaphs
and to ascribe a special significance to their presence here. Though the
possibility that they belonged to the chapel cannot be completely ruled out,
it is more likely, in my opinion, that the slabs were brought from a
cemeterial area out of town, to be reused as building material; or perhaps
to be burnt for lime, since all are made of marble. Several lime kilns were
found in the near vicinity.10
Thus, the inscriptions presented here are only those which most likely
did belong to this spot. Several of the inscriptions painted on plaster were
still attached to building stones which apparently had fallen from the upper
floor of the building. Some fragments of plaster may come from the walls
of the ground floor, on which traces of plaster and paint were observed by
the excavators. The bread stamp and the inscribed platter are also presented
here, though we cannot be absolutely sure that they belonged to the chapel
whose existence we postulate.

Inscriptions painted on plaster


1 a-e. 12/25 KK 22 L. 625 B. 0171 (Fig. 1). Five fragments composing a
large crux gemmata, about 1 meter high one of at least three such
crosses whose remains were found among the debris of Building I. Above
the horizontal bar of the cross the letters I C are painted in red, ca. 9 cm
high; below are an A and an , also in red and slightly larger. The characters are elegantly shaped, with curling ends; the alpha and omega have
decorative serifs. The formula I(hsou'") C(risto;)" a[lfa w\ (mevga) refers to
Ap. 1:8, I am the Alpha and the Omega, says the Lord, as well as to Ap.
21:6 (I am the Alpha and the Omega, the beginning and the end) and
22:13 (I am the Alpha and the Omega, the first and the last, the beginning
and the end).
At the foot of the cross a red-painted inscription ran, of which only the
letters LNKAUCHM (7-8 cm high) remain. The first three letters seem
10. Epitaphs are the most common class of inscriptions in Caesarea (and in Palestinian epigraphy in general). All were found out of context, scattered among the ruins or reused in
later buildings; many were discovered within the boundaries of the Byzantine city, where
they had been brought from the cemeterial areas. See C.M. Lehman and K.G. Holum, The
Greek and Latin Inscriptions from Caesarea Maritima, Boston, Ma., 2000 (The Joint Expedition to Caesarea Maritima Excavation Reports, no. 5, The American School for Oriental
Research), p. 24.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

Fig. 1

Inscriptions 1 a-e.

387

388

L. DI SEGNI

to be the desinence of a noun ending in -lo", in the genitive plural; the rest
belong to the word kauvchma, meaning pride, or boast. The use of such
a word seems to indicate that the fragment does not belong to a dedicatory
inscription, but to some less prosaic text, a quotation of some kind. The
term occurs both in the Old and in the New Testament, but the surviving
letters do not match any quotation from either. In the Gospel we find also
the verb kauca'sqai, to boast, to exult, both in a negative and in a positive sense (e.g., in phrases like to exult in the Lord). Some forms of this
verb could match the last six letters of the fragment, but no quotation
matches the whole fragment.
Even if the fragment belongs to a quotation from a literary text which
has come down to us, its identification is close to impossible, given the
scanty remains of the inscription. The term kauvchma is used hundreds of
times by the Church Fathers, whose writings are the most likely source of
this text. However, some tentative suggestion might be supplied by the accompanying word and by the representation of the crosses. Though the
ending in -lo" is very common, the context favours a term connected with
holiness, like a[ggelo" or ajpovstolo".11 Kauvchma can be found coupled
with one or the other of these words in several homelies of John
Chrysostom on the cross. For instance, in Sermo in venerabilem crucem the
cross is exhalted through a long series of epithets, among which stauro;"
ajpostovlwn katavggelma, stauro;" martuvrwn kauvchma (cross, the proclamation of the apostles; cross, the pride of the martyrs: PG 50, col. 819).12
In another homely ascribed to the same Church Father, In adorationem
verae crucis, again the cross is praised with a series of appellations, among
which problhvtwr ajpostovlwn, khvrugma profhtw'n, kauvchma martuvrwn
monazovntwn kauvchma (promoter of the apostles, message of the prophets, pride of the martyrs... pride of the monks: PG 62, col. 748). In a third
homely ascribed to Chrysostom, In venerandam crucem, the litany of
praises of the cross includes the expressions to; tw'n ajggevlwn a[rrhton
qevama, to; tw'n brotw'n kauvchma (the ineffable vision of the angels, the
11. Tamar Avner suggested xuvlwn, but the restoration xuvlwn kauvchma seems unlikely.
Xuvlon, wood or tree is sometimes used as a synonym of the life-giving cross, but the use
of the plural in this sense is infrequent, albeit not unknown (e.g. Theophanes, Chron., ed. de
Boor, pp. 272, 273). A connection between xuvla as synonym of staurov" and kauvchma might
be plausible, but not in the grammatical relationship that appears in the fragment.
12. This homely, though ascribed to John Crysostom as early as the 7th century, may in
fact be spurious. Some ascribe it to John of Jerusalem: see CPG 4525. If this is indeed the
text that was quoted in our inscription, its authorship is of no importance, so far as it was a
well-known text ascribed to some orthodox Church Father.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

389

pride of the mortals: PG 59, col. 675). Another of Chrysostoms homelies,


De coemeterio et cruce, pronounced at the consecration of a funeral chapel,
contains a long exhaltation of the cross: to; tou' Patro;" qevlhma, hJ tou'
Monogenou'" dovxa, to; tou' Pneuvmato" ajgallivama, oJ tw'n ajggelw'n kosmov",
th'" Ekklhsiva" hJ ajsfavleia, to; kauvchma Pauvlou, to; tw'n aJgivwn tei'co",
to; fw'" th'" oijkoumevnh" aJpavsh" (the will of the Father, the glory of the
Only-begotten, the exultation of the Holy Ghost, the ornament of the angels, the security of the Church, the pride of Paul, the fortification of the
saints, the light of the whole world: PG 49, cols. 396-397). Allowing for
some slight change in the order of the words, any of these phrases could be
the one quoted in our inscription. The cross is called kauvchma in several
homelies of the same author (who seems to have had a particular liking for
this word13) and especially kauvchma Pauvlou, with reference to a saying of
St. Paul in Gal. 6:14: But far be from me to glory except in the cross of
our Lord Jesus Christ, by which the world has been crucified to me, and I
to the world.14 The reference to the cross as Pauls pride appears in
Chrysostoms homely In Math. 26:39, together with other laudatory epithets of the cross similar to those quoted above: Staurov", to; tou' Patro;"
qevlhma, hJ tou' UiJou' dovxa, to; tou' Pneuvmato" ajgallivama, to; Pauvlou
kauvchma; Cross, the will of the Father, the glory of the Son, the exultation of the Holy Ghost, the pride of Paul: PG 51, col. 35). The association
of the term kauvchma to St. Paul may be significant, if the chapel decorated
by this inscription and the crosses was indeed dedicated to St. Paul.
2 a-b. 12/25 KK 22 L. 625 B. 0170 (Fig. 2). Two fragments, the first with
the letters I, under which are the remains of the left arm of a crux
gemmata, the other with an A under the left arm of such a cross. The let13. John Chrysostom uses this term no less than 153 times (data from TLG), and mostly as
his own original expression, not in quotation or in a paraphrasis of the Scripture. This is a
very large number even on the face of this author, exceptional prolificness. For comparison, Theodoretus uses kauvchma 24 times, and mostly in quotations, almost never as an expression of his own. For the cross as kauvchma in Chrysostom's homelies, see for instance
Adv. Judaeos hom. III, PG 48, col. 868; De confessione crucis, PG 52, col. 842; In
exaltationem venerandae crucis, PG 59, col. 679.
14. The cross is called kauvchma, with explicit reference to St. Paul and to his saying in Gal
6:14, also in a homely by Athanasius, De passione et cruce Domini, PG 28, col. 245, but
his words do not match the fragment. For the sake of completeness, we shall note that
Athanasius' homely De virginitate, ch. 24, PG 28, col. 280, contains a phrase in praise of
continence which might match our fragment: w\ ejgkravteia, cara; profhtw'n kai; ajpostovlwn
kauvchma (O continence, joy of the prophets, pride of the apostles...). However, in no way
could this quotation fit the circumstances, namely, the depiction of the crosses.

390

Fig. 2

L. DI SEGNI

Inscriptions 2-4.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

391

ters, ca. 13 cm high, are painted in red and have decorative curls and serifs. Clearly they belonged to the same formula as no. 1 and were attached
to a second cross.
3. 12/25 KK 22 L. 625 B. 0170 (Fig. 2). A fragment with a small cross and
the beginning of an inscription, that may have run under the foot of a large
cross like in no. 1. Possibly the inscription was associated to the same cross
to which no. 2 was attached, since the fragments were found in the same
spot The letters, ca. 8 cm high, are elegantly shaped in red paint. Only the
letters ANQRP can be read. They must belong to the word a[nqrwpo",
case and number unknown, standing at the beginning of a sentence.
As in no. 1, clearly we have no prosaic dedication here, but a quotation
of some kind. Anqrwpo" without article and at the beginning of a sentence
is not very common, and one is forcefully reminded of Luke 10:30, the
beginning of the parable of the Good Samaritan (Anqrwpov" ti" katevbaine
ajpo; Ierusalh;m eij" Iericwv, A man was coming down from Jerusalem to
Jericho...). Some commentaries to this passage by John Chrysostom and
Basilius of Caesarea begin with the same phrase (CPG 3073, 4855). However, if this quotation was inscribed at the foot of a cross, the parable of
the Good Samaritan does not seem especially relevant. Other patristic
works beginning with the word a[nqrwopo" are either later than the probable date of this chapel and its inscriptions (e.g., two works by John of
Damascus and Andreas of Crete: CPG 8087, 8187) or unlikely to be used
in such a context (a polemic work against heretics by Athanasius, CPG
2242).
There is however no reason to take for granted that the quotation
was the opening sentence of a patristic work: it is much more likely to
be the beginning of a sentence within such a work. If so, the chances of
identification are practically nil. All the same, it is worth noting that in
one of Chrysostoms homelies mentioned above as possible source of the
quotation in no. 1, immediately before the series of laudatory appellations of the cross, we find the following sentence: Eklhvqh a[nqrwpo",
i{na se qeo;n kalevsh/: ejklhvqh uiJo;" ajnqrwvpou, i{na se uiJo;n qeou' kalevsh/
(He [Jesus] was called a man, so that you could be called a god; he
was called son of man, so that you could be called son of God: Sermo
in venerabilem crucem, PG 50, cols. 818-819). With only a slight change
in the order of the first two words, this sentence might match the quotation: it certainly fits the circumstances, for the cross was the instrument of mans redemption and of the opening of the reign of heaven to
human kind.

392

L. DI SEGNI

4. 12/25 KK 22 L. 625 B. 0170 (Fig. 2). A fragment with a blank, followed


by the letters wTE, painted in red, ca. 7 cm high. It was clearly the beginning of a line, but not necessarily the beginning of a sentence. Wte means
so that or because, and there is no way to link it to any definite quotation.
5 a-b. 05acxfigxx5; 05bcxfigxx2 (Figs. 3). Two fragments, one showing a sigma, 9 cm high, surmounted by a horizontal stroke, the typical abbreviation mark of the nomina sacra, and the other of an alpha, ca. 11 cm
high. Both letters are decoratively traced in red paint. Underneath the sigma
are coloured remains of the right arm of a crux gemmata, and to the right
of the alpha are the remains of the stem of the cross. Again we have the
formula: I(hsou')" C(risto;)" a[lfa w[.

Fig. 3

Inscriptions 5-7.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

Fig. 4

393

Inscription 8.

6. cxxxx2 (Fig. 3). A fragment of plaster showing a sigma painted in red,


9 cm high, surmounted by a horizontal stroke. No doubt it was part of either I(hsou')" or C(ristov)" of the usual formula flanking a cross. Considering the size of the letter, it must have been a large cross and probably a
crux gemmata, like nos. 1, 2 and 5.
7. cxx (Fig. 3). A large fragment of plaster, with a line of script in red paint.
The characters are 7-8 cm high. Many of the letters are unreadable.

- - IMOIIAIIIGADEUP - I can make nothing of it.


8. cxx-xbx (Fig. 4). A large fragment of plaster, with two lines of script
in red paint. The characters are ca. 5 cm high. The first line is enclosed in
a red frame; probably the whole inscription was framed and the lines of
script were separated by a horizontal stripe. Several of the letters are unreadable.
- - KOUNONIAOFERN
- - A . AFY - - -

394

Fig. 5

L. DI SEGNI

Inscriptions 9 a-c

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

395

- - - - KOUNONIA oJ fevrwn
- - A . AFY - - Could the first legible word in l. 1 be koinwniva? However, it makes
no special sense in conjunction with the following word, which is clear
enough: He who brings.. or bears. In l. 2, the sequence FY is impossible in Greek: perhaps the letter after phi is not psi but hypsilon: in this
case, the line may contain a word like katafuvgion, refuge, or
ajnafughv, retreat, or ajnafuvhsi", growth. The inscription cannot be
deciphered, but it clearly is not a dedication. It may well be a quotation,
certainly not from the Septuagint or the New Testament, but perhaps from
some ecclesiastical writer.
9. 7/95 KK9 L. 039 B. 0058 (Fig. 5). Fragment of plaster, bearing two letters, DH, and part of a cross, painted in red. The letters are 10 cm high.
Other fragments of plaster with undecipherable marks in red paint were
discovered nearby (7/95 KK 9 L. 045 B. 0074).
10. 7/95 KK 25 L. 086 B. 0001 (Fig. 6). Fragment of red-coloured plaster,
ca. 4x4.6 cm, bearing a horned cross and remains of writing. An alpha can
be faintly made out above the right arm of the cross. Perhaps part of the
formula N(ivk)a or N(ik)a'/ written across the stem of a cross, meaning Win
(o cross)!, or (the cross) wins.15
11 a-e. 7/95 KK 29 L. 046 B. 0138 (Fig. 7). Five fragments of plaster with
remains of decoration and writing in red paint.

a. Large piece of plaster, with remains of three letters, preserved


height ca. 7 cm; originally they must have been at least 10 cm high:
- OIP followed by a blank. Undecipherable.
b. Large piece of plaster, with remains of decoration and a letter, or a
cross, preserved height 8 cm.
c. Piece of plaster, 12x8 cm, with two letters 8 cm high: KA or KC,
perhaps part of the formula Cristo;" nika/', or possibly K(uvrio")
C(ristov").
d. Piece of plaster, 3.5 x4 cm, with remains of Q or E.
e. Piece of plaster, 4x3 cm, with remains of L.
15. See for instance SEG XL, no. 1460 (H. Qastra); J. Cldat, ASAE 16 (1916), p. 20, fig.

11 (Ostracina); IGLJ V, no. 2116 (Syria).

396

L. DI SEGNI

Fig. 5

Inscription 9.

Fig. 7

Inscriptions 11 a-e.

Fig. 6

Inscription 10.

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

397

Bread stamp
12. 10/94 KK 17 L. 012 B. 0086 (Fig. 8). Circular stamp, 10.4 cm in diameter, 1 cm thick, with knob handle on the back. Part of the stamp is missing. The flat surface is decorated with an arch surmounting a cross, with
two smaller crosses at the sides. See description by Patrich, above.16 A
Greek inscription apparently went all around the disk, since the first word
is almost exactly centred above the arch and on top of the cross within. The
extant part of the script is 19 cm long, and about 13.5 cm of inscribed text
are missing. The letters are 0.5-0.7 cm high. The text reads:

Fig. 8

Inscription 12.

16. This stamp and its inscription have also been discussed at length by J. Patrich and by

myself in a joint article in Israel Museum News (forthcoming).

398

L. DI SEGNI

- - AULOEULOGIAKUEPFHMA - Eujlogiva K(urivo)u ejpf hJma'" kai; tou' aJgivou Pauvlo(u).


Blessing of the Lord upon us, and of Saint Paul.
The last letter of Pauvlo(u) is replaced by a diagonal stroke which serves
as an abbreviation mark or a word divider. The restored text counts 13 characters, giving an average of one character for each cm of available space,
exactly as in the extant fragment.
The artefact is a bread stamp for making eujlogivai. Its function was to
impress a sacred name or symbol over loaves of bread baked for a church.
These loaves would then be consecrated and distributed to the faithful at the
eucharist (prosforav), or blessed and given out after the liturgy as alms, or
as tokens of goodwill and Christian love.17 Not only bread, but other eatables were given out in the same spirit, and pilgrims would get them from
priests or monks in the holy places they visited.18 The mention of a name of
saint in addition to the simple Blessing of the Lord upon us may mean that
the bread was given out at a church dedicated to this particular saint, or that
it was distributed in any church on the feast of that saint.19
Beside St. Paul the apostle, two martyrs by the name Paul are known,
both from Caesarea. The first was martyred together with the famous teacher
Pamphilus and other Christians on February 16, year 309 or 310, and is commemorated in the Jerusalem Calendar on February 6.20 Another Paul was
17. See for instance Cyril of Scythopolis, Life of Cyriac, ch. 16, ed. E. Schwartz, Leipzig,

1949, p. 232 (Texte und Untersuchungen 49 ii); John Moschus, Leimonarion, ch. 42, PG 92,
col. 2896. In this story Moschus uses both terms, prosforav for the eucharistic bread, and
eujlogiva for the bread given in charity. According to G. Galavaris, Bread and the Liturgy. The
Symbolism of Early Christian Bread Stamps, Madison, Milwaukee-London, 1970, p. 141, the
phrase Eujlogiva Kurivou ejf hJma'", which echoes the dismissal of the Liturgy of St. John
Chrysostom, means that the bread with this stamp was distributed at the end of the liturgy.
18. See for instance Itinerarium Egeriae, chs. III, 6, XI, 1, XV, 6, XXI, 3, ed. E. Franceschini
and R. Weber, in Itineraria et alia geographica, Turnhout, 1965 pp. 40, 51, 56, 65 (CCSL
175); Antonini Placentini Itinerarium, chs. 27, 46, ed. P. Geyer, ibidem, pp. 143, 152; Cyril of
Scythopolis, Life of Sabas, ch. 39, ed. E. Schwartz, p. 130. On blessings of water and oil in
ampules, see Antonini Placentini Itinerarium, chs. 11, 20, 39, 42, CCSL 175, pp. 135, 139,
149, 151. On all kinds of eulogiae eatables and objects - obtained in holy places of Palestine, see B. Bagatti, Eulogie palestinesi, Orientalia Christiana Periodica 15 (1949), pp.
126-166; P. Maraval, Lieux saints et plerinages dOrient, Paris, 1985, pp. 237-241.
19. Galavaris, Bread and the Liturgy, pp. 141-153.
20. Eusebius, De martyribus Palaestinae XI, 1-28, ed. E. Schwartz, Leipzig, 1908, pp.
931-945 (GCS 9 ii); G. Garitte, Le Calendrier Palestino-Gorgien du Sinaiticus 34 (Xe
sicle), Bruxelles, 1958, p. 152. On February 6 Paul is mentioned by name, and he is
commemo-rated again, though not by name, among Pamphylus' companions on February

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

Fig. 9

399

Inscriptions 13.

martyred with two virgins, one called Valentina, the other Ennatha or Manatha,
on July 16, 308.21 It is possible that one or the other is meant in an invocation
to Paul and Germanus (Agie Pau'le kai; Germanev) on a roof tile in a 6thcentury church in Umm er-Rasas, which may have been dedicated to the Caesarean martyrs, possibly having some relics of them under its altar.22 However,
the hint to Paul the apostle implicit in the description of the cross as kauvchma,
and the greater importance of the apostle in the calendar of the saints, all
point to him as the patron of the chapel, or at least the subject of the festival in
which cakes stamped with his name were given out to the faithful.
16 and on November 28: Garitte, ibidem, pp. 157, 397 (Subsidia hagiographica 30). The
Georgian Calendar of Jerusalem was compiled in the 10th century, but reflects the liturgical use in the Holy City also in earlier centuries. For the year of Pamphilus and Paul's
martyrdom 310 rather than the traditional 309 see Bibliotheca Sanctorum X, Rome,
1968, col. 98.
21. Eusebius, De martyribus Palaestinae VIII, 5-12, pp. 926-927; Martyrologium Hieronymianum, July 16, PL 30, cols. 466-467; on the same date in the Greek synaxaries.
22. M. Piccirillo, La chiesa di San Paolo a Umm al-Rasas', Liber Annuus 47 (1997), pp.
389-390: here Paul is taken for the apostle, but it is much more likely that he was a Caesarean martyr, for Germanus was another martyr of Caesarea. He was killed on November 13,
308, together with other three or four martyrs, among which is again mentioned Ennatha or
Manatha (Eusebius, De martyribus Palaestinae IX, 4-8, p. 929; Garitte, Calendrier
Palestino-Gorgien, p. 382): possibly the two groups, martyred in the same year, were
mixed together in the cult.

400

L. DI SEGNI

Inscribed platter
13. 10/94 KK 17 L. 000 B. 0096 (Fig. 9). Fragment of a shallow bowl or
platter. Remains of inscription incised around the outer base, in letters 1 cm
high.
- PAULO - Pauvlou - Perhaps part of a longer inscription mentioning Saint Paul and possibly
attesting that the platter belonged to a church named after the saint.23

Conclusions
Considering the epigraphical finds in Area KK, the most striking feature is
the large number of inscriptions on fresco, all of which or at least those
that can be identified have a religious character. This, together with the
discovery of many pieces of ecclesiastical furniture, points to the existence
of a sacred space in this area. The location of some of the fragments, atop
the debris of the ground floor, indicates that such space was located on an
upper storey. The finding of the eulogia stamp and the platter, both bearing
the name of St. Paul, confirms the impression that a chapel dedicated to
this saint may have stood here. The presence of some epitaphs among the
many fragments of inscriptions on stone from this area cannot be taken as
evidence that the chapel was used also for burial.
Leah Di Segni
The Hebrew University of Jerusalem

23. A similar case perhaps in the santuary of Moses on Mount Nebo: L. Di Segni, The

Greek Inscriptions, in M. Piccirillo and E. Alliata (eds.), The Memorial of Moses. The
Results of the Excavations (1949-1995), Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Maior
27, Jerusalem, 1998, p. 437, no. 28.

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM


Lettre de larchitecte Jean-Baptiste Guillemot Melchior de Vog

L. Bonato M. Emery

Le document que nous publions ici appartient aux archives de Melchior de


Vog conserves au Centre Historique des Archives Nationales (Paris)1.
Accessibles au public depuis 1998, les archives de ce grand rudit, en particulier sa correspondance, prsentent un intrt fondamental. Membre fondateur des Oeuvres des Ecoles dOrient, Vog2 a entretenu dtroites
relations avec les hauts dignitaires du clerg. Lorsquil fut appel au poste
dAmbassadeur Constantinople en 1870, il mit profit sa position pour
tendre laction de la France en Terre Sainte. On lui doit, en particulier, la
restauration de lglise dAbou-Gosh. A cette poque, la France poursuivait dj une politique de restauration des monuments placs sous sa protection. Ainsi, larchitecte Jean-Baptiste Guillemot sadresse tout
naturellement Vog afin dattirer son attention sur un clotre mdival
attenant la basilique de la Nativit de Bethlem et qui, selon lui, mritait
dtre restaur. Il semble cependant que le clotre avait t remarqu, sensiblement la mme poque, par larchitecte Christophe Edouard Mauss3,
ainsi que Flicien de Saulcy nous lapprend en 18744 :

1. Ref. 567AP197.
2. Sur Melchior de Vog, voir entre autres : Jean Charay, Le marquis de Vog,

archologue et historien, Aubenas, 1968 ; J-B. Chabot, Le marquis de Vog, notice sur
ses travaux dpigraphie et darchologie orientale , JA, 1916, XIe srie, tome IX, p. 313345 ; S. Reinach, Melchior de Vog , RA, 1916, III, p. 429-447 ; D. Sidersky, Le
centenaire dun grand franais : de Vog , Feuilleton du journal des dbats du 19 octobre,
JA, 1929 ; L. Jalabert, Le marquis de Vog, lorientaliste et larchologue, Etudes, tome
149, 20 dcembre 1916, p. 709-740 ; R. Cagnat, Notice sur la vie et les travaux de M. le
Marquis de Vogu , CR IBL, 1918, 10, p. 77-113 ; E. Trogan, Le Correspondant, 25
novembre 1916 ; Ncrologie, Le Figaro, 12 novembre 1916, Le Temps, 11 novembre 1916.
3. Christophe Edouard Mauss est n Rouen en 1829. Architecte, lve de Constant
Dufeux, il fut charg de plusieurs missions en Orient. En 1862, le gouvernement franais
l'envoya Jrusalem pour restaurer l'glise Sainte-Anne. En 1864, il fit partie de la mission
de Flicien de Saulcy pour l'exploration de la Mer Morte et des contres de l'Ammonitide
au del du Jourdain. En 1866, il dirigea la reconstruction de la grande coupole de l'glise
du Saint-Spulcre en collaboration avec M. Eppinger, architecte du gouvernement russe.
4. F. de Saulcy, Archologie : le clotre de Beit-lehem, Le Moniteur des Architectes, VIII,
22 avril 1874, col. 73f., pl. 23-24.
LA 50 (2000) 401-410; Pls. 31-38

402

L. BONATO M. EMERY

Lune des plus intressantes dcouvertes faites par Mauss, architecte du domaine de la France Jrusalem est le clotre quil a
retrouv au milieu des constructions relativement modernes du couvent latin de Beit-lehem, au milieu desquelles il avait t, pour ainsi
dire, empt, touff.
Nous navons pu trouver que des informations lacunaires concernant la
biographie de Jean-Baptiste Guillemot. N en 1856 Laval, il a suivi les
cours darchitecture de lEcole des Beaux-Arts o il fut llve de Constant Moyaux5 (promotion de 1875). Charg des fouilles dEmmaus
(Koubeibeh), il est lauteur dun rapport de 30 pages intitul : EmmasNicopolis, publi Paris (impr. de la Socit de typographie) en 1887. Nous
savons quil entreprit par la suite des fouilles Amwas.
Lhistoire du clotre est relativement complexe6. Un simple prieur
Augustinien, jouxtant le ct nord de la basilique de la Nativit, fut construit entre 1101 et 1110. Les nombreuses constructions et travaux dembellissement de la basilique partir de 1187, naffectrent pas le btiment qui
fut transform en clotre en 1347 avec larrive des Franciscains et servit
ensuite datrium lancienne glise Sainte-Catherine restaure en 16727.
Plus tard, la galerie ouest a t transforme en cole.
Le clotre fut menac de disparition, comme en tmoigne Flicien de
Saulcy en 18748 :
Les R.P. Franciscains qui occupent aujourdhui le couvent de
Beit-lehem avaient form le projet de faire disparatre le clotre si
heureusement retrouv et dtablir sur son emplacement je ne sais
quelle construction qui ntait nullement indispensable, mais jai
tout lieu desprer que ce projet dsastreux ne sera pas mis excution et que lun des dbris les plus curieux des constructions religieuses leves en Terre Sainte pendant la courte dure du Royaume
latin de Jrusalem, sera conserv et mis labri de tout danger futur.
Finalement, ce nest que trs tardivement, en 1947, que la Custodie de
Terre Sainte dcida de le restaurer.

5. Architecte de la Cour des Comptes (Paris).


6. Voir B. Bagatti, Gli antichi edifici sacri di Betlemme, Jerusalem, 1952, p. 185-186.
7. B. Meistermann, Nouveau guide de Terre Sainte, Paris, 1907, p. 227.
8. Saulcy, ibid., col. 73f.

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

403

Le clotre des Franciscains de Bethlem est le plus grand du genre dans


toute la rgion9. A lorigine, chacun des cts tait constitu de trois longues arcades en tiers-point. Celles-ci prsentaient une partie suprieure
pleine et souvraient sur le prau par trois baies en plein cintre spares
par des colonnettes jumelles relies entre elles au niveau de la base et du
couronnement. En 1925, Enlart a vu ces arcades bouches10. Les galeries
du clotre sont votes dartes, les arcs doubleaux pais sont sans moulure et en tiers-point. Ils reposent du ct de la cour sur des colonnes engages et du ct des btiments, sur des consoles. Certaines arcades sont
spares entre elles par des contreforts sans ressauts, poss sur un socle et
se terminant par un glacis bord dune tablette au-dessus dun cordon.
Un grand nombre de chapiteaux antiques, feuilles dacanthes, ont t
remploys. Dautres, souvent mutils, prsentent deux rangs de grandes
feuilles et datent probablement du XIIIe sicle11. La restauration dcide
en 1947 a montr que certaines corbeilles prsentaient des figures humaines et animales. Enfin, les bases des colonnes sont simples et se composent de deux tores de diffrent diamtre spars par une gorge.

* * *
Le manuscrit de Guillemot, malgr un texte parfois abscons et un vocabulaire architectural encore peu formalis, prsente un intrt certain ne serait-ce que par la qualit de ses dessins. Bien quil ne soit pas dat, on peut
affirmer que ce document a t crit alors que Vog tait ambassadeur
Constantinople, entre 1870 et 1875. Il donne un tat fiable du clotre au
cours de cette priode : ainsi, confirme-t-il la prsence de la claire-voie
dans les grands arcs en tiers-point, comme lavait dj constat Mauss. En
revanche, Enlart ne mentionnant pas cet lment structurel, il y a tout lieu
de supposer que des travaux, visant probablement consolider le btiment,
ont t effectus avant 1925.
Comme il le laisse supposer au dbut de sa lettre, Guillemot a ralis
cette tude sur le clotre des Franciscains de Bethlem de sa propre initiative. Melchior de Vog, par sa position dambassadeur auprs de la Porte
9. Un autre btiment plus modeste est celui de Sainte-Maria Antiqua (prs du SaintSpulcre) datant du XIe sicle.
10. C. Enlart, Les btiments des croiss dans le Royaume de Jrusalem, Paris, 1925-1928,
p. 65.
11. Enlart, ibid., p. 68.

404

L. BONATO M. EMERY

et ses activits en Terre Sainte, tait linterlocuteur privilgi lorsquil


sagissait de faire don la France de btiments dsaffects, comme ce fut
le cas de lglise dAbou-Gosh. Malheureusement, la proposition de Guillemot, qui prconisait une reconstruction plutt quune restauration, fut laisse sans suite. Il fallut attendre la deuxime moiti du XXe sicle pour voir
renatre ce clotre qui apparat comme lun des rares tmoins du genre, attestant la vitalit constructrice des ordres religieux en Palestine.
Etude
sur le clotre des Rvrends Pres Franciscains
Bethelehem
A Monsieur le Comte de Vog, ambassadeur
de France Constantinople
Ce petit travail est bien minime, mais il est offert par une respectueuse sympathie et un architecte reconnaissant des belles et bonnes choses que vous
avez crites sur les monuments de la Terre Sainte.
J.B. Guillemot
Architecte Jrusalem
(2) La conviction dsintresse quil nexiste quun seul moyen conciliant dobtenir la conservation et la restauration dun spcimen intressant
darchitecture religieuse me fait oser lenvoi de ces quelques notes et croquis sur le clotre des Rds Pres Bethlem.
Un paralllogramme de 17 mtres 80, sur 18.70, irrgulirement divis,
sur chaque face, en quatre traves par des contreforts massifs et des arcs
en tiers-point, sans saillie12.
Des diffrences, trs apparentes, de niveau dans la corniche suprieure,
dans les sommets rampants des piliers13 et dans les archivoltes un des
contreforts absent remplac par le fut tronqu dune colonne A recevant
un tailloir retour une maladroite construction moderne, affecte aux
coles B, absorbant les quatre traves ouest tel est laspect actuel de la
cour du clotre.
12. Les contreforts sont sans ressaut et les arcs sont sans relief apparent. Lauteur a

probablement voulu dire que les arcs taient dpourvus de moulures.


13. Guillemot fait sans doute allusion aux contreforts. Leur sommet rampant ne serait autre
que ce quEnlart qualifie pour sa part de chaperon : une sorte de protection au sommet des
contreforts (Enlart, ibid., p. 68). Aujourdhui, les termes glacis et talus seraient plus
appropris, le talus ayant moins de pente que le glacis.

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

405

Mais chaque trave encadrait une claire-voie trilobe avec colonnettes


et chapiteaux gmins dun galbe gracieux et dune fine excution qui ont
t enfouis sous un remplissage maonn.
(3) Si quelques chapiteaux seulement ont t dgags14, dans chaque
trave, la mme lvation, lil retrouve la saillie de tous les autres
tailloirs15. B.
Il est ncessaire dobserver que lensemble est loin dtre complet :
dans certaines parties, chapiteaux et colonnettes ont disparu. Dans
dautres, le couronnement veuf de sa colonne reste suspendu au tailloir,
ainsi quun encorbellement sous la retombe de larc. Evidemment, une
mutilation barbare ayant compromis la solidit des trilobes, a ncessit la
grossire construction qui les cache aujourdhui.
Aprs un examen attentif de lappareil des contreforts, de diffrents
dtails irrguliers et (dans la galerie intrieure), des chapiteaux mutils qui
restent, nous verrons plus loin que le rtablissement mme de la claire-voie
ne rendrait pas le clotre son tat primitif.
(4) Pour lornementation des chapiteaux gmins, chaque accouplement est dun mme dessin mais les groupes sont varis. A est le caractre le plus frquent, B est la variante la plus loigne du type.
Quelque soit lge attribu logive16, on a lieu dtre surpris de la
voir reposer sur de pareils supports.
Entre la deuxime et la troisime trave est, apparat un brusque changement de niveau, dans le cordon suprieur des grands arcs et le sommet
des contreforts.
Cette irrgularit difficile expliquer autrement que par une reprise
de luvre, atteste nanmoins une grande prcipitation et ngligence dans
la restauration.
14. Effectivement, deux dessins laissent apparatre la claire-voie dans un arc de dcharge.

Par le terme dgags , lauteur laisserait peut-tre supposer quil ne sagit non pas dun
effondrement accidentel mais dun dgagement en vue dun examen structurel. Enlart, au
dbut des annes 1920, ne parle aucunement de cette claire-voie, il est alors probable que
l'arc dgag a t rebouch.
15. Tailloirs des chapiteaux des colonnettes de la claire-voie.
16. Le terme dogive est improprement utilis dans le sens darc bris, comme au XIXe
sicle (E Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonn de larchitecture franaise du XIe au XVIe
sicle, Paris, 1858-1868, p. 446) alors que dans linterprtation actuelle, ce terme (du latin
augmenter, renforcer) ne signifie ni arc bris, ni arc en tiers-point. Logive est un arc tendu
diagonalement pour renforcer ou souligner les arrtes de vote dune trave carre,
barlongue, ou plus rarement polygonale (M. de Vog et J. Neufville (3e d. revue et
corrige par R. Oursel), Glossaire de termes techniques (Zodiaque), La Pierre-qui-Vire,
1983).

406

L. BONATO M. EMERY

Il est bien impossible daccorder ce dsordre avec le soin visible de


lexcution des colonnettes gmines.
(5) Voici un autre dtail plus saisissant, qui peut appuyer ma dernire
observation : du mme ct Est, un contrefort absent laisse voir un large
tailloir avec les retours, pris dans le mme bloc, des chapiteaux gmins
de la claire-voie. Cest exactement la mme lvation, la mme saillie et le
mme profil que les autres petits tailloirs engags. A.
Quelle figure ferait cette colonne sans chef17 X, si on dcouvrait les
chapiteaux des retours V ? Elle a t visiblement pose aprs coup.
La disposition de cette trave aurait-elle droit danesse sur les contreforts ? Mais alors le profil B qui prouve linutilit de cette saillie, puisque
les grands arcs sont fleur du mur, affirmerait que ces arcs sont galement postrieurs et quils ont remplac dautres arcatures saillantes, reposant sur les larges tailloirs N18.
Combien en effet serait plus monumental cet encadrement des trilobes.
(6) Avant de se laisser entraner trop rapidement par cette supposition,
il est urgent de reprendre attentivement lexamen de lappareil des diffrents dtails de la construction : Les grandes ogives19 descendent sur les
flans (sic) des contreforts derrire lesquels elles se perdent sans sy relier20.
Toute la partie infrieure des contreforts est simplement applique contre le mur, ainsi quun revtement, sans quune seule de ses assises paraisse
pntrer dans sa construction. A la hauteur des tailloirs gmins, une
coupe en biais A, livre passage la moulure qui senfonce lgrement dans
le contrefort. La partie rampante suprieure C se relie parfaitement avec
les assises en retour21.
Il serait possible que les hauts des murs aient t repris en mme temps
que la construction des contreforts lesquels auraient entran la suppression des tailloirs de face22 dont nous avons vu un spcimen la dernire
page. Cependant, aussi prs de langle rentrant quon puisse faire une
coupe sur une moulure retour, il reste toujours, la partie infrieure (vers
langlet23) un indice du retour de cette moulure X.

17. Colonne sans chapiteau.


18. Guillemot semble se contredire car il vient de mentionner que la colonne a t pose

aprs coup.
19. Voir le sens dogive, cf. supra, note 15.
20. Il sagit de deux lments disparates qui nont pas t construits en mme temps et ne

sont pas relis structurellement.


21. Cela semble vouloir dire que le contrefort et le bouchage sont contemporains.

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

407

Je lai vainement cherch.


(7) Passons maintenant dans les galeries du clotre o presque tous les
chapiteaux des matres piliers24 divisant les traves sont apparents mais
mutils et drangs de leur ancienne place. Dans la galerie Est, prs de
lentre, un chapiteau sans colonne et sans arc attire lattention plus
franchement roman que les groupes gmins, son tailloir est plus pais et
dun profil diffrent. Cest lunique comme forme parmi les nombreux spcimen encore existants.
La vote, visiblement postrieure ddaigne de retomber dans laxe de
ce support et franchit les deux traves sans le secours de larc-doubleau.
Cest une preuve encore de labsence densemble des diffrentes restaurations du clotre.
(8) La galerie latrale la basilique a conserv tous ses grands chapiteaux (des colonnes) divisant les traves : ils sont mutils ; des colonnes
absentes ont t remplaces par des fts en maonnerie, quelques uns sont
pans coups.
Ici, la parent avec les chapiteaux gmins des trilobes est frappante :
mme profil, mme tailloir et mme hauteur. Cest en plaant en regard les
deux profils A celui des grands chapiteaux, B celui des petits gmins,
quon demeure convaincu quils appartiennent au mme groupe.
Naurait-on pas l lexplication du tailloir retour de la cour du clotre ? Dans ce cas, si le doute nest plus possible, les grands arcs-ogives de
la cour et les contreforts deviennent trangers lancienne disposition
les diffrences de niveau qui existent actuellement seraient luvre dun
remaniement postrieur de tout ldifice.
(9) De la similitude des derniers profils, do rsulte larrangement
probable des chapiteaux par groupes, naissent deux combinaisons la premire A o les retours nexistent qu lintrieur, mais il faudrait alors supposer que le tailloir retour, plac actuellement dans la cour du clotre,
aurait t enlev lun des groupes intrieurs. La seconde B paratrait plus
logique : les tailloirs faisant retour sur les quatre faces, le spcimen de la
cour se trouverait parfaitement sa place. Il est dailleurs la mme lvation que ceux des colonnettes gmines tandis que les tailloirs des grands
chapiteaux sont plus levs.

22. Lauteur se rfre probablement au tailloir de la colonne tudie la page 5 du

manuscrit.
23. Intervalle entre deux bossages.
24. Colonnes supportant la retombe des votes et des arcs doubleaux.

408

L. BONATO M. EMERY

Cependant la disposition prsente M est loin de rpondre cet arrangement : Ce contrefort de 1m08 de large derrire lequel les pieds-droits
des trilobes ont une lgre pntration W, laisserait, aprs sa disparition,
un espace galant le double du tailloir de la colonne intrieure G. Cette
colonne se trouve mme plus souvent droite ou gauche que dans laxe
du contrefort.
En prsence de ces difficults, il faut, ou nier la concordance visible des plus importants dtails ou admettre quune reconstruction complte a employ ces dtails, plus anciens, sur de nouvelles mesures.
(10) Voici la trave la plus intressante du clotre, puisque cest la seule
o lon voit les tailloirs des trilobes, ressortant en saillie sur le mur X .
Ce dtail permet dapprcier la diffrence de leur niveau avec les grands
chapiteaux A et celle, plus grande encore, des encorbellements fixs au mur
de la basilique B.
Ces changements dlvation ne seraient-ils pas simplement le produit
de lexhaussement du sol par le temps qui, chaque restauration, aurait
exig la surlvation des supports ?
Celui du mur de la basilique B, le plus bas de tous, aurait t laiss
sa place comme un titre prcieux de proprit.
Pourtant son profil disgracieux et la lourdeur de son ensemble sont loin
daider toute supposition dhomognit des trilobes et des grands chapiteaux, la construction primitive.
(11) Limpossibilit darranger llgance des profils des chapiteaux
avec la lourde simplicit des supports attenants la Basilique, ma suggr la pense de les placer en regard et sur une mme chelle.
Il se pourrait en effet que ces encorbellements ne soient que de simples
pannelages, attendant encore le ciseau du sculpteur.
Dans cette mme trave, prcdemment dcrite, existe une colonne dont
le carr de la base porte retour sur lun des cts A. Ce dtail peut dabord
paratre sans importance ; mais laffinit de ses cts avec le tailloir isol
de la cour et la largeur des matres piliers rclame un nouvel examen de
larrangement primitif :
N est la largeur25 actuelle des matres piliers sparant chaque trilobe ;
les colonnettes gmines V sont exactement leur place. La colonne intrieure G se rpte lextrieur la place des contreforts E et la moulure
des tailloirs, faisant cordon, relie tout lensemble.
Cette dernire supposition me parat plus certaine que les prcdentes
parce que les dimensions dpaisseur et de largeur sont identiques avec
25. Largeur est pris ici dans le sens de dimension .

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

409

ltablissement actuel. Mais avant de my arrter, jai voulu analyser toutes les autres probabilits.
(12) Pour cette coupe perspective, jai essay la rsurrection dune trave parmi les principales parties de lancienne construction.
1. Les grands arcs de dcharge devaient tre saillants ; tmoin le tailloir
de la cour dont la saillie est de 30 centimtres.
2. Tous les chapiteaux devaient tre arrangs par groupes sur le mme
niveau. Sans cela, le matre de luvre neut pas fait les grands trop
courts pour la grosseur des colonnes et les petits trop allongs pour
les fts des trilobes.
Il neut pas fait non plus des tailloirs de mme profil et mme paisseur pour des corbeilles de dimensions diffrentes. Cette identicit (sic) de
profil et de hauteur, pour sacrifier le dtail lensemble ne peut avoir eu
dautre but que le maintien de tous les supports au mme niveau. Il reste
maintenant savoir si les arcs taient plein cintre ou en tiers-point.
(13) Il est impossible de nier lemploi de logive, en Orient, une poque trs recule, comme simple dtail architectonique26. Mais on peut affirmer quantrieurement au XIIe sicle, elle ne la jamais t dune faon
absolue, cest--dire, de sorte que cette forme domine toutes les lignes de
luvre et en devienne la logique.
Larceau tant la dominante du monument qui nous occupe, il est fort
probable que la premire disposition tait en plein cintre27.
A mon avis, le clotre de Bethlehem a t construit vers le VIIme si28
cle . Ainsi que presque toutes les constructions de cette poque29. Les votes trop charges par les remplissages en maonnerie poussaient en dehors
des appuis que rien ne contrebutait. Les meurtrissures des dtails attestent
aussi que des chocs violents sont venus aider cette prdisposition de ldifice et en compromettre la solidit.
Une reconstruction des votes et du sommet de luvre, a t opre
vers le XIIIIe sicle qui me parat tre lpoque des contreforts et de la
moulure suprieure.

26. Ogive dans le sens darc. Cf. supra note 15.


27. Arceau : petit arc en plein cintre.
28. Le monastre augustinien auquel appartient le clotre a t construit par les croiss,

probablement la fin du XIIe sicle (Bagatti, ibid., p. 185).


29. Constantin fit difier une glise en 326 qui fut reconstruite par Justinien vers 530.

410

L. BONATO M. EMERY

Enfin, une seconde mutilation des trilobes a ncessit la construction


du mur o ils sont enfouis.
La rdification du clotre, dans son tat primitif, ne me parat pas
abordable. Le simple dgagement des trilobes en conservant les contreforts
et les grands arcs ogives, prsente mme de grandes difficults.
Il faudrait alors refaire un nombre important des colonnettes et chapiteaux gmins qui manquent ou sont mutils et plusieurs petites arcatures
pourraient bien scrouler si on enlevait les remplissages. Le rtablissement, dans sa largeur, de la trave Nord-Est qui na que 2m48 tandis que
ses voisines ont 4m08, entranerait la dmolition de la plus grande partie
de ce ct.
Sur les quatre galeries, une seule possde toutes les colonnes et chapiteaux des matres piliers encore tout est mutil (sic). Il en manque donc
prs des trois-quarts.
Les contreforts du ct Ouest, o sont actuellement les coles, ont t
supprims.
Loyalement, dans quel sens quon le prenne, ce nest pas une restauration qui est possible : cest une reconstruction.
(14) Quand le chiffre rel de cet important travail sera prsent, je suis
convaincu quil sera bien difficile de lobtenir.
Le clotre est donc condamn rester dans cet tat dplorable, moins
que les Rvrends Pres soient autoriss lentreprendre et il me semble
que, pour arriver ce rsultat, il serait raisonnable de leur faire quelques
concessions. Jentends par ces dernires, non un secours dargent, mais la
permission darranger la conservation du clotre avec la construction de
leur glise30. Un examen impartial des lieux ma fait reconnatre quil
nexistait dailleurs aucun autre emplacement.
Daignez recevoir, Monsieur le Comte, lassurance de mon sincre dvouement.
J.B. Guillemot, architecte Jrusalem.
Lucie Bonato Maryse Emery
UMR 7041 - Archologies et Sciences de lAntiquit
Maison Ren Ginouvs - CNRS, Paris I, Paris X

30. Eglise Sainte-Catherine construite dans les annes 1880. Le clotre ne fut restaur qu

partir de 1948.

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS


NEL WADI AYN AL-KANISAH MONTE NEBO

C. Sanmor - C. Pappalardo

Nel sito di Ayn al-Kanisah, collocato a sud del Monte Nebo, sulle pendici
dellaltopiano transgiordanico che rapidamente scendono verso il Mar Morto (Katf al-Ghawr in arabo), sono stati scavati i resti di un complesso monastico bizantino intitolato alla Theotokos.
La missione archeologica dello Studium Biblicum Franciscanum ha riportato in luce nel corso della campagna di scavo del 1994 la chiesa, lipogeo
sottostante e gli ambienti settentrionali del monastero; nellanno successivo
lo scavo ha interessato invece gli ambienti disposti attorno al grande cortile
centrale E ed il settore a sud della chiesa, al fine di completare il quadro
topografico del complesso e di individuarne le diverse fasi di sviluppo.
Due saggi sono stati poi effettuati al di sotto del mosaico del cortile E
nei pressi della porta settentrionale di accesso al monastero (saggio 1) e
allesterno della porta stessa (saggio 2), al fine di recuperare materiali provenienti da un contesto stratigrafico unitario e sigillato, utili alla datazione
del cortile e quindi degli ambienti ad esso connessi.

Il monastero
Non si vuole in questa sede riproporre dati gi ampiamente riportati altrove (Piccirillo 1998; Gitler 1998), ma ci sembra comunque necessario ricordare brevemente la disposizione dei vani del monastero da cui proviene la
ceramica qui di seguito presentata.
Strutturalmente il monastero si presentava, al momento dello scavo,
organizzato secondo tre aree funzionali, distinte ma armonicamente e
programmaticamente disposte attorno al cortile centrale E:
1. La cappella con il diakonikon annesso (B3)
2. I vani di abitazione probabilmente del recluso nominato nelliscrizione (B1, B2 e C)
3. I vani di servizio ad ovest del cortile E (E1, forse la toilette, E2,
ambiente mosaicato con cisterna, E4 la cucina, E5, vano con un armadio e
con sedili contro le pareti, di cui stata ritrovata anche la serratura in ferro
di chiusura).
LA 50 (2000) 411-430; tavv. 39-42

412

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Fig. 1. Pianta generale del monastero della Theotokos ad Ain Kanisah.

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

413

Gli ingressi erano originariamente a nord e ad est attraverso porte aperte lungo il muro di cinta di tutto il complesso, secondariamente ad ovest
attraverso una scalinata costruita sopra i livelli di abitazione della cucina.
Un altro gruppo di ambienti si collocava a sud della chiesa, dotato di
ingresso autonomo da est; ad un certo momento, molto probabilmente in
relazione con la ricostruzione del monastero ricordata dalliscrizione posta
allingresso della chiesa, datata al 762, al tempo del vescovo Giobbe di
Madaba (Piccirillo 1994), essi vennero riempiti delle loro stesse macerie e
lingresso dal cortile a questala chiuso.
Al momento dellabbandono, come testimoniato dalla ceramica rinvenuta, erano certamente in uso la prima e la seconda area funzionale (Alliata
1994), mentre nella terza notevoli cambiamenti dovevano essere intervenuti, soprattutto per quanto riguarda il nuovo accesso da ovest al monastero (cfr. sopra).

I contesti stratigrafici
La ceramica presentata in questo studio,1 scelta fra le forme e le tipologie
pi significative, proviene da diversi contesti stratigrafici, identificabili
come:
livelli precedenti alla costruzione del cortile (saggio 1 e saggio 2).
livelli di vita di VI secolo
ultima occupazione e fase di abbandono
Alcune sezioni illustrano con maggiore chiarezza la situazione
stratigrafica rinvenuta nel corso dello scavo, da cui proviene la ceramica
qui presa in analisi.

Livelli precedenti alla costruzione del cortile


Saggio 1 (Fig. 2-3)
Il saggio stato eseguito in prossimit della porta settentrionale di accesso
al monastero; costituito da un quadrato di circa 1,70 per lato. La
1 Il presente articolo vuole essere il completamento dellanalisi della ceramica proveniente

dallo scavo gi in parte fatta da Eugenio Alliata nel suo articolo del 1994.

414

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Fig. 2. Saggio 1: sezione Ovest-Est. 1. Porta settentrionale N (USM 11); 2. dente


di fondazione di 3 (USM 12); 3. Muro N che taglia il mosaico (US 13); 4. Muro
nord cui si appoggia il mosaico (US 1); 5. Non scavato.

Fig. 3. Saggio 1: sezione Nord-Sud, allinterno del muro settentrionale del


monastero. 1. Muro perimetrale N (USM 1); 2. Fondazione di 1 (USM 2); 3. Cavo
di fondazione (US 3); 4. Riempimento di 3 (US 4); 5. Mosaico bianco del cortileE
(US 5); 6. Calce bianca (US 6); 7. Cenere compatta (US 7); 8. Ciottoli del letto del
mosaico (US 8); 9. Terra gialla pi compatta (US 9); 10. Strato sterile argilloso
moilto compatto, non scavato (US 10).

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

415

stratigrafia risultava sigillata dalle tessere bianche del mosaico del cortile
E o tuttal pi dal suo letto di preparazione.
Questultimo (US 8), costituito da ciottoli di superficie e forma irregolari disposti orizzontalmente, copriva il primo ricorso del muro di cinta
settentrionale del monastero (USM 1).
Uno strato di circa 24 cm. (US 9), costituito da terra gialla e numerosi
frammenti ceramici, pertinenti a forme per lo pi intere o quasi, era stato
steso sullargilla sterile della montagna (US 10) evidentemente per realizzare la piattaforma su cui edificare il complesso. Il taglio per la messa in
opera della fondazione USM 2 di USM 1, intercetta questo strato di
livellamento.
I frammenti presentati sono 11, di cui molti appartenenti a forme quasi
complete.

Fig. 4. Saggio 2: sezione Nord-Sud. 1. Soglia (USM 11); 2. Muro settentrionale


(USM 1); 3. Battuto (US 12); 4. Roccia (US 13); 5. Macerie (US 14); 6. Pietre e terra
gialla (USM 15); 7. Terra bruna con tessere bianche, rari cocci, grumi di calce,
carboncini (USM 16); 8. Argilla gialla compatta, verso il muro mista a calce (USM
17); 9. cenere e carboncini (USM 18); 10. Macerie scavo 1994.

416

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Saggio 2 (Fig. 4-5)


Questo sondaggio stato eseguito allesterno della porta settentrionale;
misura circa 1.20 m. per lato. Pur avendo restituito solamente due frammenti di ceramica, ha permesso tuttavia di individuare le modalit di costruzione del muro settentrionale.
A causa del ripido declivio della montagna stato infatti necessario,
per rinforzare il muro, addossargli (US 12 il piano di cantiere della
costruzione del muro) circa 1.60 m. di macerie di vario tipo (US 15-17),

Fig. 5. Saggio 2: sezione Est-Ovest, allesterno del muro settentrionale del


monastero. 1. Stipite porta N (USM 11); 2. Soglia porta N; 3. Muro perimetrale
esterno; 4. Battuto.

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

417

fino al livello della soglia USM 11. In questo modo stato colmato anche il forte dislivello che intercorre fra il cortile e lesterno del muro di
cinta.

Livelli di vita del VI secolo


La stratigrafia di questa fase legata allutilizzo del grande vano E4 come
cucina; la maggior parte dei frammenti ceramici (7) provengono infatti dalla cenere (US 30) del forno che si estendeva uniformemente su tutta la superficie del pavimento (US 37) costituito da terra battuta e dalla roccia
argillosa su cui tutto il complesso edificato.
A questa fase appartengono, oltre al forno (US 37), anche una vaschetta
in pietra (US 22), appoggiata ad un pilastro (USM 21) e due canalette (USM
19 e 20).

Ultima occupazione e fase di abbandono


I frammenti ceramici dellultima fase di vita del complesso monastico
provengono ancora una volta dallambiente E4 e dalladiacente ambiente
E2.
Nel primo vano il pavimento venne rialzato con uno strato di terra
gialla ricco di cocci e calcinacci (US 28), da cui sono stati selezionati 10
frammenti ceramici, e su di esso venne poggiata la scala di accesso al
monastero da ovest.
Nel vano E2, mosaicato in tessere bianche di circa 1 cm. per lato ed
accessibile direttamente dal cortile, si apriva la bocca di unampia cisterna. Prima del definitivo abbandono stato individuato in questo ambiente
un focolare (US 40) da cui provengono due frammenti. Dallo strato di abbandono provengono altri due frammenti.
Sempre a questo momento sono da mettere in relazione le forme di
ceramica da cucina (3) e da immagazzinamento (1) ritrovate schiacciate
sui gradini dellipogeo, strutturalmente connesso con il rifacimento del
mosaico della chiesa, datato dalliscrizione al 762.
Della zona D del monastero, in cui le macerie riempiono numerosi
vani e da cui non attestata la provenienza di ceramica tardiva, pubblichiamo nel presente articolo lunico pezzo rinvenuto intero, cio una lucerna ritrovata nellambiente D6 fra i resti del muro nord-sud che lo
delimita ad ovest.

418

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Fig. 6. Ambiente E4. sezione I (Nord-Sud).

Fig. 7. Ambiente E4: forno. Sezione II (Nord-Sud).

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

419

Catalogo della ceramica


Presentiamo qui di seguito lo studio di 42 frammenti provenienti dallarea
di scavo del monastero di Ayn al-Kanisah, selezionati fra i pi significativi per contesto stratigrafico, tipologia e stato di conservazione.

Livelli precedenti alla costruzione del cortile

Saggio 1 (Fig. 8,1-11)

a. dalla terra gialla sotto il letto del mosaico - US 9

1 Kn 584. Anforetta. Diam cm 7. Imp. fine (rari granellini di carbonato di calcio); col. rosso; decorazione a fasce di tre linee parallelle incise; cott. media.
Le superfici esterna e interna dellanfora presentano una diffusa incrostazione
di carboncini e cenere.
2 Kn 547-48-90. Anforetta. Diam. cm 10. Imp. fine (rari granellini di carbonato
di calcio); col. rosa, esterno bianco; decorazione a linee incise; cott. media.
(Smith 1989, pl. 48.10). VI-inizi VII sec.
3 Kn 550-809. Brocca. Diam. cm 6. Imp. granuloso (granelli di carbonato di calcio di varia grandezza); col. rosso in sezione, bianco allesterno; cott. media.
4 Kn 593. Catino. Diam. cm 26-30. Imp. fine; col. rosso; decorazione a linee
parallele incise; cott. medio-forte.
5 Kn 545. Catino. Diam. cm 14. Imp. granuloso (rari carbonati. rare impurit);
col. rosso; cott. forte.
6 Kn 554-587-631. Catino. Diam. cm 30. Imp. granuloso (carbonati di piccole e
grandi dimensioni, porosit); col. rosso; decorazione a linee parallele incise;
cott. media. (Alliata 1988, fig. 5.1).
7 Kn 806.Tazza. Diam. cm 11. Imp. fine; col. rosso; decorazione a linea ondulata incisa; cott. forte.
8 Kn 679. Tazza. Diam. cm 12. Imp. fine; col. rosso; cott. forte.
9 Kn 549. Piatto. Diam. cm 26. Imp. granuloso (granellini bianchi di media grandezza); col. rosso; cott. media.
10 Kn 553. Piatto. Diam. cm 32. Imp. granuloso; col. rosso chiaro allesterno,
rosa allinterno; cott. debole. Pseudo-sigillata.
11 Kn 546. ?. Imp. finemente granuloso; col. rosso; decorazione incisa; cott.
media.

420

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

1
2

7
6

11
10

12
13
Fig. 8. Ceramica dai saggi 1 e 2.

cm

10

421

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

Saggio 2 (Fig. 8,12-13)

a. riempimento US 15
12 Kn 556. Brocca. Imp. granuloso (granellini di calcare) col. grigio in sezione,
bianco allesterno; cott. media.
13 Kn 594. Piatto. Diam. cm 28. Imp. fine; col. rosso; cott. forte. Transjordanian
red-slip ware A, VI-inizi VII sec. (Smith 1989, pl. 46.9-15).

2
1

7
cm

Fig. 9. Ceramica dalla cenere del forno dellambiente E4.

10

422

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Livelli di vita del VI secolo

Ambiente E4 (Fig. 9)
a. dalla cenere del forno US 30
1 Kn 705-706-657-728. Brocca. Diam. cm 6. Imp. fine; col. rosso in sezione,
superficie esterna bianca; decorazione incisa a pettine; cott. media.
2 Kn 694-695. Pentola. Diam cm 13. Imp. granuloso, piccoli granelli calcarei e
qualche porosit; col. marrone- nero allesterno; cott. media.
3 Kn 697-698-730. Tegame. Diam. cm 7. Imp. granuloso (carbonati di calcio);
col. rosso, superficie esterna nera; cott. media. (Sodini-Villenuve 1992,
fig.8.11 da Cesarea Marittima; Magness 1993, p. 213). Tegame con due impugnature diverse di cui una dalla caratteristica forma con alloggiamento per un
manico di legno. Ritrovato quasi intero. VI-VII secolo.
4 Kn 701. Coperchio. Diam. cm 2 sulla presa. Imp. granuloso; col. rosso,
ingobbio esterno. grigio scuro; cott. media.
5 Kn 707. Coperchio. Diam. cm 5. Imp. granuloso; col. rosa in sezione, ingobbio
esterno rosa con decorazione dipinta rossa. Lingobbio assente nella parte
inferiore del manico; cott. media.
6 Kn 692. Catino. Imp. granuloso; col. rosso, ingobbio esterno grigio; cott. forte.
7 Kn 699. Tazza. Diam. cm 11. Imp. fine, rare impurit calcaree; col. rosa in
sezione, ingobbio grigio allinterno e sullorlo; cott. forte (Smith 1989, tav.
51.24). Imitazione ceramica di forme vitree.

Ultima occupazione e fase di abbandono

Ambiente E4 (Fig. 10,1-12)


a. dalla terra gialla sotto il crollo US 28
1 Kn 656. Anfora. Diam. cm 8. Imp. fine, rari carbonati appena visibli; col. rosso, ingobbio esterno bianco con pittura rossa; cott. forte.
2 Kn 652. Anforetta. Diam. cm 11. Imp. fine; col. beige; ingobbio bianco allesterno e decorazione pitturata a onde marroni; cott. forte. (Alliata 1991, fig.
14.2; Alliata 1994, fig. 2.3).

423

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

2
1

6
7

10
cm

Fig. 10. Ceramica dellultima occupazione e abbandono in E4.

10

424

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

3 Kn 658. Anforetta. Diam. cm 8. Imp. fine; col. beige, grigio allesterno; decorazione a pittura rosso-bruna allesterno; cott. metallica. Osservazioni: da notare linsolita ondulazione del collo che generalmente molto pi liscio.
4 Kn 659-757. Anforetta. Diam. cm 10. Imp. granuloso (pochi granellini calcarei
di varia grandezza, qualche rara porosit); col. rosso, ingobbio bianco con pittura rossa a onde allesterno; cott. media.
5 Kn 654-738-713. Brocca. Diam. cm 4. Imp. fine (rari granellini calcarei); col.
rosso in sezione, bianco allesterno; decorazione ad onde marroni dipinte su
tutto il corpo, il collo, e la parte superiore dellorlo; cott. media.
6 Kn 655. Brocca. Diam. cm 6,6. Imp. granuloso (granelli minuti di carbonato
di calcio e granelli di basalto); col. marrone in superficie, rosso in sezione;
cott. forte. (Smith 1981, pl. 61.1). Secondo quarto VIII sec.
7 Kn 649. Pentola. Diam. cm 11. Imp. granuloso (carbonati di calcio di piccola
e media grandezza, qualche impurit); col. in superficie est. nero, in sezione
grigio, in superficie int. rosso; decorazione a linee parallele incise al tornio;
cott. media. (Alliata 1991, fig. 15.4. Dove per ci sono tracce di pittura).
8 Kn 646. Tegame. Diam. cm 22. Imp. granuloso; col. marrone; cott. media.
(Alliata 1994, fig. 4.10).
9 Kn 708-709. Tazza. Diam. del fondo cm 4,2. Imp. fine; col. grigio; cott. forte.
(Smith 1989, pl. 54.7 / 61.6). Primo-secondo quarto dellVIII sec.
10 Kn 662. Piatto. Diam. cm 30. Imp. granuloso (granelli calcarei di varie dimensioni); col. rosso, grigio sulla sup. esterna, ingobbio bianco e decorazione ad
onde rosse sulla superficie interna; cott. forte.

b. dal riempimento della canaletta 1 US 19


11 Kn 671-672-674. Tegame. Diam. cm 20. Imp. granuloso (granellini di
carbonato di calcio); col. rosso, nero allesterno; cott. media.
12 Kn 673. Catino. Diam. cm 18. Imp. granuloso (granellini calcarei di varie dimensioni); colore arancione; decorazione a pittura rossa allesterno e lungo
lorlo; cott. forte. (Whitcomb 1988, fig. 1.1.h.). 750-800 d.C.

Ambiente E2 (Fig. 11,13-16)

a. dal focolare US 40
13 Kn 574. Anfora. Diam. cm 8. Imp. fine; col. rosso; cott. forte.

425

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

11

12

13

14

15

16
cm

Fig. 11. Ceramica dellultima occupazione e abbandono in E4 ed E2.

10

426

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

14 Kn 571. Catino. Diam. cm 34. Imp. granuloso (carbonati anche di grandi dimensioni); col. rosso, ingobbio bianco allesterno; decorazione a linee ondulate incise; cott. media.

b. dalla terra gialla sotto il crollo US 39


15 Kn 558a-682. Coperchio. Diam. cm 30. Imp. fine (granellini minuti e rari); col.
rosso; cott. media. Osservazioni: durante la cottura il coperchio si deformato
nella sua parte superiore.
16 Kn 558. Catino. Diam. fondo cm 22. Imp. granuloso; col. rosso; dec. a righe
ondulate incise; cott. media.

Ipogeo (Fig. 12,1-4)

a. sui gradini
1 Kn 510. Catino. Diam. cm 53. Imp. granuloso; col. rosa, ingobbio beige allesterno; decorazione ad onda incisa a stecca; cott. media. (Alliata 1994, fig.
3.8). Stesso impasto (solo un po pi granuloso) della ceramica ommayade.
Anche lingobbio uguale. Stesso catino, ma con decorazione pi complessa
trovato nella stanza C, dellultima occupazione.
2 Kn 489-494. Tegame. Diam. cm 18. Imp. granuloso (granellini di varia grandezza di carbonato di calcio); col. grigio, nero allesterno; cott. media. (Alliata
1994, fig. 4.11).
3 Kn 267-272-495. Tegame. Diam. cm 24. Imp. granuloso; col. nero esternamente, rosso-nero in sezione e allinterno; cott. media. (Alliata 1994, fig.
4.10).
4 Kn 498-492-494. Tegame. Diam. 18-20. Imp. granuloso (carbonati di varie
dimensioni e impurit); col. nero; cott. media. (Alliata 1994, fig. 4.11). Presenta un diametro irregolare.

Da raccolta di superficie (Fig. 13,1)


1 Kn 612. Tazza. Diam. cm 12. Imp. fine; col. rosso, ingobbio bianco allesterno. Decorazione dipinta a linee geometriche rosse; cott. media. (SanmorPappalardo 1997, fig. 9.5).

427
CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

3
Fig. 12. Ceramica rinvenuta sui gradini di accesso allipogeo.

cm

10

428

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Dalle macerie dellambiente D6: terra gialla presso il muro US 37


(Fig. 13,2)
2 Kn 943. Lucerna. Imp. fine; col. grigio; decorazione impressa in rilievo a
stampo; cott. forte. (Alliata 1991, fig. 24.7).

Conclusioni
La ceramica proveniente dai saggi 1 e 2 si caratterizza per il colore rosso
degli impasti e per le forme tipiche dei contesti di VI-VII secolo sia al
Mukhayyat che a Pella, e per le decorazioni incise a linee orizzontali sia
sui catini che sulle anforette.
Tale cronologia si accorda pienamente con quella, proposta su basi
stilistiche, del primo mosaico della cappella. In tal modo il cortile mosaicato ed il muro perimetrale sono da ritenere in fase con la cappella
stessa.
I livelli di vita inerenti a questo momento, identificati nellambiente E4,
hanno restituito un pezzo di particolare interesse (fig. 9, n 3) che per la
sua completezza permette di definire con precisione una tipologia finora
conosciuta solo frammentariamente. Il confronto proveniente da Cesarea
Marittima attesta lampiezza della sua diffusione.

cm

10

Fig. 13. Tazza raccolta in superficie e lucerna rinvenuta in D6.

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS

429

I frammenti appartenenti allultima occupazione presentano decorazione dipinta, forma ed impasto tipici della ceramica appartenente alle
fasi pi recenti dei monumenti della regione. Il contesto di seconda met
dellVIII secolo, datato anche dalle monete rinvenute in US 32 (Gitler
1998), trova peraltro un preciso termine post quem nella data del
rifacimento del mosaico della chiesa (762 d.C.).
Ad una frequentazione nel periodo abbaside rimanda un unico frammento (tav.6 n1), rinvenuto sulle pendici della collina, con la caratteristica decorazione dipinta rossa, applicata dopo la cottura su un ingobbio
bianco.
Chiara Sanmor - Carmelo Pappalardo, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

Bibliografia
Alliata E.
1988 La ceramica dello scavo della cappella del prete Giovanni a Kh. el-Mukhayyat,
LA 38, 317-360.
1991 Ceramica dal complesso di S. Stefano a Umm al-Rasas, LA 41, 365-422.
1994 Alcuni vasi scelti dellultima occupazione del monastero di Ayn Kanisah, in M.
Piccirillo, Le due iscrizioni della cappella della Theotokos nel wadi Ayn al-Kanisah
- Monte Nebo, LA 44, 535-538.
Gitler H.
1998 The Coins, in M. Piccirillo - E. Alliata (a cura di), Mount Nebo. New Archaeological Excavations. 1967-1997, Jerusalem, 550-567.
Magness, J.
1993 Jerusalem Ceramic Chronology circa 200-800 CE. Sheffield.
Piccirillo M.
1994 Le due iscrizioni della cappella della Theotokos nel wadi Ayn al-Kanisah - Monte Nebo, LA 44, 535-538.
1998 The Monastic Presence, in M. Piccirillo - E. Alliata (a cura di), Mount Nebo.
New Archaeological Excavations. 1967-1997, Jerusalem, 193-219.
Sanmor C.-Pappalardo C.
1997 Ceramica dalla chiesa di San Paolo e dalla cappella dei Pavoni - Umm al Rasas,
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Smith R.H.
1973 Pella of the Decapolis, I, The College of Wooster.
1989 Pella of the Decapolis, II, The College of Wooster, 95-141.

430

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Sodini J.-P. - Villeneuve E.


1992 Le passage de la cramique byzantine la cramique omeyyade en Syrie du nord,
en Palestine et en Transjordanie, in La Syrie de Byzance lIslam VIIe-VIIIe sicles,
Damas, 195-218.
Whitcomb D.
1988 Khirbet el-Mafjar Reconsidered: The Ceramic Evidence, BASOR 271, 51-67.

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

Gh. Bisheh

In early February, 2000 a report reached the Dept. of Antiquities of Jordan


about the discovery of patches of mosaic pavements at Qastal following
earth moving operations. A guard was appointed and the site kept protected
until the beginning of June when salvage excavations were carried out1.
Al-Qastal, well-known for its Umayyad qasr and adjacent mosque2, is
situated 24 km to the southeast of Amman next to the highway which leads
to Queen Alia International Airport. The excavated structure lies at a distance of some 400 m to northwest of the qasr and 20 m to the west of the
western reservoir from which it is separated by a paved street.

The Excavations
The structure was excavated through a grid of seven squares measuring 4 4 m
and 5 5 m. The mixed debris in the excavated squares, especially in squares
6 and 7, were surprisingly productive in providing ceramic material, fragments of carved stucco and fresco paintings as well as large amounts of variously shaped marble fragments, plain buff and coloured tesserae including
glass. Also the existence of wall mosaics was made certain not only from the
recovery of large amounts of tiny tesserae but also from the retrieval of plaster window frames with tiny cubes still adhering to them. Considering the
state of preservation of the building whose walls had been robbed out to foundation level-with the exception of short lengths of walls delimiting the southern room and which are preserved to a height of one to two courses - and the
mixed nature of the finds, it is only natural that we know neither the full
1. This article is a short version of a detailed report written in Arabic and submitted to the

Registration Centre of the Dept. of Antiquities of Jordan.


I would like to express my sincere thanks to Dr. Fawwaz al-Khrayshah, director-general of
the DOA, for entrusting me with the supervision of these excavations. I am also grateful to
Drs. Erin Addison and Stephania Dodoni for logistical help, to Ms. Safinaz Kubajah and
Mr. Ali al-Dajah for drawing the plans, to Raghda Zawaydeh for consolidating the mosaic
floors, and to Shaykh Shibli al-Fayez for support and hospitality. Photographic documentation by the author and M. Piccirillo.
2. The bibliography is extensive and can be conveniently found in Addison, 2000: 477-90.
LA 50 (2000) 431-438; Pls. 43-46

432

GH. BISHEH

extent nor the exact manner in which the walls were covered. It is likely,
however, that the carved stucco and the glass mosaic were used sparingly to
emphasize specific areas, e.g. window frames and niches.
The core unit of the partially exposed building (Fig 1; Photos 1-2) is a
large room (A) 8.80 m long from north to south but whose east-west length
remains unknown because its eastern extension lies underneath the paved
street. The northwestern corner is occupied by a circle 1.55 m in diameter
outlined by a shallow channel 0.36 m wide and enclosed within a square
3.00 m to the side (Photos 3, 5). In the southeastern corner of the square
stands a marble pedestal (0.39 0.37 0.26 m) topped by a base 0.35 m in
diameter. A similar pedestal must have stood at the southwestern corner as
indicated by the impressions left on the mortar bedding; a narrow groove
cut into the floor and extending between the corner pedestals suggest that
the square area was marked off by some kind of balustrade. The impressions left on the mortar bedding indicate that the circle was paved with
square marble ties whereas long rectangular slabs were used to pave the
bands defining the square. The area immediately to the east of the enclosed
circle was paved with hexagonal and small indented square slabs. The rest
of the floor of the large room was paved with tilted elongated hexagons
and small squares laid in such a way as to form quatrifoils. The function of
the marked off square remains uncertain and definitely has nothing to do
with water or a fountain pool. If the large room was an audience-hall, used
among other functions for entertainment, it may be assumed that this restricted corner was the place where the singer, dancer or musician stood
when performing his/her act.
Entrance to the large room was through a door opened on the northern
side. Only the western door-jamb (a monolithe 1.20 m high) and a doorsill 1.35 m wide were exposed. The door-sill which has three sockets and a
curving groove for a sliding door might extend another 0.85 m to the east
if the door was centrally placed in the northern wall. Preceding the large
room (A) is an ante-chamber or a vestibule (3) whose walls have been completely robbed out. The exposed surface which was paved with mosaics
measures 4.60 m from north to south and 3.82 m from east to west, but if
we add the width of the surround of the tessellated floor (0.28 m) we arrive at the figure 4.10 as the width of the vestibule. The mosaic floor is
largely destroyed but the preserved portions show a border of stepped
crenellation enclosing a field decorated with intersecting double diagonal
rows which form indented squares filled with lozenges (Photo 4).
Opening in the middle of the western side of the large room (A) is an
apsed alcove (B), a step higher, measuring 6.10 by 2.30 m Two small doors,

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

Fig. 1

433

General plan of the excavations.

to right and left, each 0.85 m wide, open into the flanking rooms (1 and 2).
A little further to the west of each door is a semi-circular niche 0.83 m deep
and 0.65 m wide, perhaps intended to receive statues. From the opus-sectile
remaining in situ and the mortar impressions (Photo 1), the pavement of
the apsed alcove can be divided into three sections: a band extending across
the two niches paved with a single long rectangular slab of marble; the
apsed section to the west paved with elongated hexagons, and the rectangular part to the east paved with dark brown or black and white marble tiles
forming six-pointed stars. These central pavements were bounded on the
north and south sides by a border 0.50 and 0.30 m wide respectively. The
niches show a pavement of square tiles. Along the edges of the robbed out
side walls there still remain short lengths of thick plaster layer faced with
marble veneer. The thresholds opening onto the southern and northern
rooms (1 and 2) were paved with mosaics similar to that in the vestibule,

434

GH. BISHEH

i.e. indented squares formed by intersecting double diagonal rows filled


with lozenges and stepped crenellations placed in the middle of the base of
the lateral triangular compartments. On the north and south sides of the ruglike threshold mosaic is a border which consists of a simple fillet with rectangular merlons and a central upright forming alternately inverted
T-shapes.

The Mosaic Floors in the Northern and Southern Rooms


Considering the extensive damage of the building whose walls had been
razed down to the foundation levels, it is miraculous that substantial portions of the mosaic floors to the north and south of the apsed alcove were
well preserved. The northern room (2) is a square measuring 3.30 m to the
side. Its mosaic floor (Color Plates III) is framed by a border of three-stand
guilloche which is flanked by lines of alternately inverted T-shapes with
colours counterpoised. The field is decorated with interlaced scuta with
concave ends outlined in simple double-strand guilloche leaving an octagonal compartment in the centre which is the focal point of the floor, quartercircles at the corners and triangular spaces along the middle of each side.
The central octagonal compartment depicts a fierce lion who had just
pounced on the back of a bulky bull trying to bring him down (Photo 1 and
Color Plates I, III).
The scene is rendered so realistically that we can observe the intense
concentration of the lion and his forepaws piercing the neck of the bull
who seems to be collapsing under the weight of the lion. The gradation of
colour tones and shading not only bring out anatomical details such as
legs, muscles and ribs, but also give the animals life and depth. In contrast to the formal treatment of heraldic animals which can be seen in
many Byzantine church mosaic pavements in Jordan (Piccirillo, 1993; Nos.
122; 139; 213; 266), the scene here shows the lion in vivid attack. The
corner quarter-circles show birds and leafy plants drawn against white
backgrounds. The northeastern panel shows a duck with the head turned
backward and the panel in the southeastern corner depicts a partridge pecking a leafy plant (Photo 1 and Color Plates IV, VIII). Other two partially
preserved birds, possibly a duck and a partridge, occupy the remaining
corners. The triangular spaces along the middle of each side show polychrome triangles of superimposed chevrons which have rainbow effect.
The design of the southern room (1) is identical to that of room 2 except
that here the central octagon is taken up by a leopard devouring a gazelle

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

435

(Photo 1 and Color Plates V, VII). The scene rendered so realistically reveals a taste for the extremes of ferocity and pathos. The accented eye, the
bare fangs and the spiked teeth which pierce the twisted neck of the gazelle and makes it bleed profusely all combine to emphasize the ferocity
of the leopard and the agony of the suffering gazelle (Photo 1 and Color
Plates VII). Images like these (a lion attacking a bull and a leopard tearing
a gazelle) were bound to conjure up certain associations of power and
defeat of adversaries. Although the overall design of these two mosaic
floors is simple and finds parallels in several mosaic floors from the region of Madaba (Piccirillo, 1996; Nos. 109; 124), their execution is far
more superior to comparable floors and show considerable technical skill.
The vitality of the animal scenes and the subtle gradation of colour tones
were mainly due to the large palette and the tiny size of the tesserae which
included numerous glass cubes. These tesserae were graded in size and
diminished at the heads and necks; their average density ranged between
145-90-48 tesserae per 10 cm2.
To the east of the vestibule (3) are two rooms (4, 5) divided by a crude
wall built of irregularly shaped stone with chinks set in mortar. Only a
single row of this wall remains; the other walls delimiting these two rooms
have disappeared without a trace and the main evidence for their existence
is a thick floor (0.20 m thick) of pure lime. The exposed surface of room 4
measures 3.90 m by 3.00 m. Two depressions with plastered interior,

Fig. 2

Pottery from the excavations.

436

GH. BISHEH

ca. 0.80 m across and 0.45 m deep, were sunk into the floor surface; the
upper part (rim) of one of these depressions was built with dried mud
coated with white wash, and three brick tiles incised with double curving
lines were placed around the rim (Photo 6). Set into these depressions were
creamy buff, thick walled basing with combed surface decoration; thick
lime encrustation covered the interior surfaces. These basins, dated to the
second half of the eight-century, were apparently used for the preparation
of lime mortar, as indicated by the presence of lumps of pure lime plaster
in the vicinity. This means not only that rooms 4 and 5 were later additions, but also that the original function of the building had changed. It is
even likely that those engaged in the preparation of lime mortar were responsible for robbing out the building stones and marble pavements of the
original structure. Although the pottery does not derive from stratified contexts, with the exception of the thick-walled, comb decorated basins, they
constitute a relatively homogeneous assemblage which can be dated to ca.
720-800 A.D. These pottery assemblages (Fig. 2; Photo 9) include the ubiquitous red-painted ware, the thick walled basins with bands of comb decoration, the fine buff (Mafjar) ware and a channel-nozzle lamp with scroll
and floral motifs. The carved stucco fragments (Photos 10-11) also support
a date not before 720 A.D. for the original construction of the building.

Context and Ownership


The lay out of the partially exposed structure is strongly reminiscent of
the plan of the audience-hall at Qusayr Amra and Hammam al-Sarh. It is
likely therefore that the large room (A) and the apsed alcove (B) was an
audience-hall, a place for entertainment where poets, singers and musicians
could be received; it is also likely that this audience-hall was part of a bath
complex as at Amra and Sarh. We may also assume that the excavated
building belonged to the patron of the qasr and adjacent mosque, and was
closely connected with them just as Hammam al-Sarh was connected with
Qasr al-Hallabt (Bisheh, 1982:143). In fact the similarity between Qastal
and Hallabat is striking; both have a qasr with elaborate decorations in
mosaic, carved stucco, fresco paintings and marble veneers, extra-mural
mosque, hydraulic installations and farther removed bath. But who is the
patron or owner of the qasr at Qastal? Poetry of the Umayyad period associate both Muwaqqar and Qastal with Yazid bin Abd al-Malik (720-24) and
his son al-Walid (743-44). A verse in a panegyric addressed to Yazid, the
poet Kuthayyir Azza mentions Muwaqqar and Qastal in a context which

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

437

indicate that both belonged to the same patron: May God bless the quarter (family) whose abode is in Muwaqqar (and extends) to Qastal al-Balqa
of the elevated chambers (Mahrib)3.
In another poem composed by the same poet in praise of Yazid, mention is made of the two Qastals (bi-1 Qastalayn): May God reward a quarter in Muwqqar with pleasant life, / and May the thunder clouds let fall
copious rains / With the abounding clouds and pouring showers / He was
bestowed in the two Qastals with abundant boon. (Kuthayyir Azza,
1971:340-41;349). The two Qastals here clearly refer to Qastal and
Muwaqqar just as al-Irqayn is used to refer to Kufa and Basrah or alQaryatayn for Mecca and Medina. Among other poets who paid a visit to
the court of al-Walid b. Yazid at Qastal was Said b.Murra al-Kindi: They
deliberately move to a spot where his dwellings, are / not surpassed in
generousity nor even come close to his / when the fires of the two quarters
in Qastal appeared to them, / They chose among all the dwellings your fire
to halt (Atwan; 1981; 387; note 3). Al-Azdi reports that upon the death of
Hisham and the succession of al-Walid to the caliphate in 743, Khalid bin
Abd-Allah al-Qasri travelled from Damascus to the residence of al-Walid
at Qastal (al-Azdi, 1967:52). All these quoted verses and references support the identification of the two Umayyad palatial buildings at Muwaqqar
and Qastal as the residences of Yazid bin Abd al-Malik and his son alWalid. Additional references in the Vita di Santo Stefano Sabaita indicate that in the eighth-century a monastery and caves inhabited by monks
existed at Qastal (Pirone, 1991: 53; 97; 229;303;347)4.
Ghazi Bisheh
Department of Antiquities of Jordan, Amman

3. Mahrib/Mahrib (Sing.Mihrb) means a throne-room, the most honourable sitting place,

the highest chamber in a house. Such a meaning as an elevated chamber is supported by a


verse attributed to Waddh al-Yaman: A mistress of a mihrb when I come to her I do not
meet her until I ascend a flight of steps.
4. I am grateful to Dr. Pierre Bikai, director of ACOR, for directing my attention to this
source.

438

GH. BISHEH

Bibliography
Addison, E.H., The Mosque at al-Qastal: report from al-Qastal Conservation and Development Project, 1999-2000, ADAJ, XLIV (2000) 477-90.
Atwan, H., Al-Walid bin Yazid: Ard wa-Naqd, Beirut 1981.
Bisheh,G., The second season of excavations at Hallabat, 1980, ADAJ, XXVI (1982) 13334.
Kuthayyir Azza, Diwan, ed. I. Abbas, Beirut 1971.
Piccirillo, M., The Mosaics of Jordan, Amman 1993.
Pirone, B. (Ed.), Leonzio di Damasco. Vita di S. Stefano Sabaita (725-794). Testo arabo,
introduzione, traduzione e note (The Franciscan Centre of Christian Oriental Studies,
Monograph 4), Cairo 1991.

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI DELLA CHIESA


DEL VESCOVO SERGIO AD UMM AL-RASAS DI GIORDANIA
E. Gautier di Confiengo

Sono ben noti gli scavi del grande complesso ecclesiastico di Santo Stefano
tra le rovine della citt di Umm al-Rasas, citt della diocesi di Madaba1.
Le impressionanti strutture di questi edifici, dei mosaici e degli oggetti
ritrovati, come ben pubblicate dallo scopritore Padre Michele Piccirillo
aprono un qualche raggio di luce sulla vita di una provincia cristiana di
confine, isolata nel VII secolo dal resto della cristianit per lavvento del
ciclone islamico. Lalto linguaggio architettonico ed iconografico qui rappresentato lascia intravedere la presenza di una comunit dotata di s grande fervore e spessore culturale da trasmettere una continuit di fede fino ai
giorni nostri.
In particolare lo straordinario tappeto musivo della chiesa del Vescovo
Sergio portato alla luce nel 1986 colpisce per la bellezza e variet dei motivi figurati. Alla loro vista viene spontanea la domanda: quale il senso
del programma iconografico che lo ha ispirato? Oggi purtroppo si vede il
tappeto sconciato dallintervento iconoclasta della fine del VIII secolo2 e
dalle ingiurie del tempo, ma, non ostante ci, possibile leggerne ancora il
senso generale ed investigare a riguardo dello spirito che ha animato i committenti.
Si tratta di mosaici di alta qualit, coevi alla chiesa e quindi della fine
del VI secolo, bellesempio di opera della scuola di Madaba: per descriverne le immagini, si segue la traccia elaborata dallo scopritore.
Entrando nella chiesa dallingresso centrale della navata (fig. 1), sulla
soglia si trova subito il medaglione con il nome di alcuni offerenti che invocano la salvezza (), la soglia completata da una decorazione
di motivi geometrici che formano sei ottagoni per parte con al centro immagini di animali e frutti.

1. M. Piccirillo - E. Alliata (a cura di), Umm al-Rasas - Kastron Mayfaah I. Gli scavi del
complesso di Santo Stefano, Gerusalemme 1994 (= Piccirillo-Alliata 1994); B. Hamarneh,
Giordania bizantina ed ommayade nel V-VIII secolo. Testimonianze epigrafiche, VC 33
(1996) 57, 75.
2. M. Piccirillo, Iconofobia o iconoclastia nelle chiese di Giordania?, in Bisanzio e lOccidente. Studi in onore di F. de Maffei, Roma 1996, 173-191.

LA 50 (2000) 439-452; tavv. 47-50

440

E. GAUTIER DI CONFIENGO

Si passa quindi nella navata centrale interamente ricoperta dal fastoso


tappeto musivo, che incorniciato da girali di vite con grappoli e foglie,
che formano sette medaglioni sul lato corto e quattordici su quello lungo,
al loro interno gustose scene legate alla vendemmia. Si riconosce un contadino che guida un asino carico di cesti duva verso il torchio, cesti pieni
di frutta, una gabbia da uccelli, un animale dalle lunghe orecchie, sembra
una volpe, che mangia luva. Ai vertici del pavimento sono quattro figure
apparentemente identiche, a mezzo busto, giovani con veste che ricade sulla spalla e cornucopia in mano. Solo quella di Sud-Est, rimasta sotto
lambone, indenne, delle altre si indovinano i contorni, probabilmente
rappresentano le Stagioni.
Il tappeto centrale diviso in undici registri. I primi dieci sono percorsi da girali di acanto posti in modo da formare anchessi dei medaglioni
che lasciano spazio a scene figurate. Lintervento iconoclasta stato anche
qui pesante, ma le immagini volute dal committente, ancora intuibili, sono
qui riassunte secondo la descrizione che ne d P. Piccirillo3, invertendo la
numerazione dei registri, per seguire litinerario del fedele che entra nella
chiesa dalla porta principale:
I. al centro la terra () rappresentata come una dama con una lunga
tunica, in capo una ghirlanda di frutti, dei sobri gioielli; essa porta in grembo un velo con altri frutti, nello stesso girale un carpocrate, ed un altro nel
girale di destra;
II. in ogni girale un animale: da sinistra toro, leone, leone, toro;
III. due offerenti a cavallo: Giovanni () e Pietro (),
come indica la scritta, accompagnati da arciere e fante;
IV. scena di pastorizia molto danneggiata, P. Piccirillo la ricostruisce
ipoteticamente: uomo con animale da soma tenuto per le briglie seguito da
due animali;
V. un altro offerente, Soel () con frusta in mano guida un aratro
trainato da una coppia di buoi a destra un uomo tiene un bambino a cavalcioni sulle spalle mostrandogli una chiesa con annessa cappella;
VI. un pastore seduto suona un flauto - due pecore, un cane (o un capro?) accovacciato;
VII. Baricha () si difende da una fiera - Giovanni ()
con un dittico in mano - figura in piedi con letto di bronzo sulle spalle;

3. Piccirillo-Alliata 1994, 122s. Un dettagliato studio analizza lapparato iconografico delle

cinque chiese di Kastron Mefaa recentemente messe alla luce: P. Baumann, Sptantike
Stifter im Heiligen Land, Wiesbaden 1999 (= Baumann 1999).

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

441

VIII. Giovanni (figlio di) Porfirio ( ) e Zongon


() immobilizzano con corde un bovino per macellarlo - due ragazzi, i figli di Sofia ( ): il primo ha un fiore in mano;
IX. due ragazzi, i figli di Giovanni ( ) - una chiesa
con porta aperta verso cui - Ovadia figlio di Esau ( ) incensa
- una fenice con testa radiata;
X. al centro lAbisso () rappresentato come animale marino,
la figura prende tutta la larghezza dei quattro girali di acanto.
Oltre questo insieme di vignette sui dieci registri, verso il presbiterio
vi una scena, questa non incorniciata dallacanto, che prende tutta la larghezza con quattro alberi carichi di frutta. I due laterali sono melograni, i
due al centro sono olivi che Robab () bacchia, raccogliendo in un
cesto le olive cadute.
Con due gradini si sale sul presbiterio, su di esso, davanti alla mensa
eucaristica vi un medaglione gemmato che contiene la scritta dedicatoria,
affiancato da due agnelli, due alberi di melograno chiudono la scena.
Questa finalmente integra, gli iconoclasti non sono intervenuti nello spazio riservato al clero.

Il programma iconografico
Il tappeto stato ben descritto dallo scopritore e nello stesso volume
Basema Hamarneh individua il valore simbolico del programma iconografico dellintero tappeto, allinterno di una rappresentazione cosmica di
animali e personaggi posti tra i due poli della Terra e del Mare4 (fig. 2,
a, b). Si vuole procedere in questo senso cercando, con laiuto dei possibili Maestri ecclesiastici della comunit il senso profondo delle immagini
rimaste.
Secondo quanto contenuto nel medaglione dedicatorio del presbiterio,
si pu ritenere che il programma della chiesa sia stato indicato dal
presbitero Procopio che si dato premura e cura ( ) di
mosaicare tutta lopera della santissima chiesa, ai tempi del santissimo e
beatissimo vescovo Sergio5. anche il clima spirituale dellepigrafe che

4. B. Hamarneh, I mosaici del complesso di S. Stefano: proposta di lettura, in Piccirillo-

Alliata 1994, 231-240.


5. Piccirillo-Alliata 1994, 258. Il termine assai usato nelle epigrafi di dedicazione

dei pavimenti musivi delle chiese della diocesi di Madaba, come vediamo ripetuto nei pavimenti di dieci diverse chiese riportati da M. Piccirillo in Madaba. Chiese e Mosaici,

442

E. GAUTIER DI CONFIENGO

si legge nella cattedrale di Apamea sullOronte, capitale della Siria II, che
loda il vescovo Paolo che presenta il mosaico dai vari colori, lui che ha lo
spirito ornato dai dogmi dellalto. La scritta nel centro di un mosaico
quadrato, con animali la cui presenza assume anche qui evidente valore
simbolico6.
Labside della chiesa del vescovo Sergio conteneva solo poche tracce
di intonaco, esso era dipinto con semplici motivi geometrici7. Il messaggio catechetico delle immagini figurative che a Roma o a Ravenna lasciato sulle pareti qui inserito sul pavimento. In questa posizione per
non potevano essere inserite immagini sacre, esse sarebbero state calpestate dai fedeli durante le celebrazioni, invece, logicamente, si trovano
solo immagini con allusioni, con ambientazione del mondo spirituale di
cui era permeata la Comunit8. Immagini del cosmo rappresentato qui
con le personificazioni di terra e mare, scene di vita quotidiana, inquadrate nello spirito della scritta: O Signore Dio che hai fatto il cielo e la
terra, d vita ad Anastasio, a Tommaso a Teodora e Salamonios il
mosaicista come si legge nel medaglione centrale del pavimento della
cattedrale di Madaba9.
Per la lettura del nostro mosaico si utilizzi allora la guida di due Maestri di allora, S. Cirillo e S. Giovanni di Gerusalemme, vescovi della Citt
santa nella seconda met del IV secolo, essi hanno lasciato nelle catechesi

Jerusalem 1989 (= Piccirillo 1989). Lespressione compare anche in quattro chiese di Siria
tra quelle studiate da P. Donceel-Vote, Les Pavements des glises de Syrie et du Liban,
Louvain la Neuve 1988 (= Donceel-Vote 1998). Il termine non sembra usuale
nelle epigrafi e non lo si trova in altre chiese della diocesi di Madaba, n nei mosaici studiati da Donceel-Vote. Le due parole sono utilizzate assieme solo nellepigrafe della chiesa di Quwaysmah: Piccirillo-Alliata 1994, 259, anche Baumann 1999, 366.
6. Siamo nel primo terzo del VI secolo, vedi J. Ch. Balty, Lvque Paul et le programme
de la cathedrale dApame, in Mlanges Collart, Lausanne 1951.
7. Tracce di mosaici parietali nella cattedrale di Madaba ed in altre chiese della diocesi sono
ricordate da Piccirillo 1989, 337.
8. Sulluso delle immagini nelle chiese vedi il contributo di V. Fazzo, I Padri e la difesa
delle immagini, in A. Quacquarelli (ed.), Complementi interdisciplinari di Patrologia,
Roma 1989. In modo esplicito il tema stato trattato da S. Nilo di Ancira, discepolo di S.
Giovanni Crisostomo, nella Lettera alleparco Olimpiodoro, PG 79, 577. Vedere anche H.
Brandenburg, Christussymbole im frhchristislichen Bodenmosaiken, RQ 64 (1969) 89s
(= Brandenburg 1969).
9. Piccirillo 1989, 105. Anche la raffigurazione della sola croce, non presente nei pavimenti delle chiese della diocesi di Madaba, rara nei pavimenti coevi del modo cristiano, e ove
inserita, posizionata perlopi ove non calpestabile, Brandenburg 1964, 123.

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

443

una appassionata testimonianza di vita cristiana con vive immagini che richiamano troppo alcune di quelle che troviamo rappresentate nel nostro
tappeto musivo per pensare ad una casualit; seguiamo allora questo testo
come una guida per una loro rilettura.
La IX catechesi battesimale espone le meraviglie della creazione: nessuno sopporti coloro che dicono che uno lautore della luce e un altro
quello della tenebra era necessario che essi non solo si stupissero e ammirassero la struttura del sole e della luna, ma come alcuni sono indizi
dellestate e altri dellinverno e come alcuni mostrano il momento della
semina, mentre altri indicano linizio della navigazione lacqua nelle viti
vino che rallegra il cuore delluomo mentre negli olivi olio che fa risplendere il volto delluomo, inoltre si trasforma in pane che rinvigorisce
il cuore delluomo e produce differenti qualit di frutti10.
Si vedono quindi i dieci registri inquadrati tra la Terra con i suoi frutti ed il Mare ricco di pesci, rappresentato dallAbisso, e grappoli ovunque
nonch la raccolta delle olive che riporta a questo clima. Nella parte mediana sono inserite scene della vita della comunit di Giovanni, Robab,
Ovadia ed i loro figli magari col fiore in mano o in atteggiamento familiare a cavalluccio sulle spalle, Giovanni e Zangon, macellai, che stanno
legando un bovino. Il lavoro delluomo parte attiva della creazione (Catechesi IX, 13).
La cornice che come abbiamo visto racchiude tutto linsieme degli undici registri percorsa da tralci di vite con grappoli e foglie, essa forma
girali che racchiudono scene di vendemmia ed animali, la valenza simbolica ovunque. Richiamandosi a Giovanni 15, 1-5, Cirillo aggiunge: se rimarrai nella vite crescerai come tralcio fruttifero; se non vi rimarrai sarai
distrutto dal fuoco. Produciamo dunque degnamente frutti (Catechesi I, 4).
Per i Padri la vigna rappresenta la casa della Sapienza, Cristo la vera vigna11. Attendere alla vigna equivale a custodire la santa dottrina. La volpe
che mangia luva il simbolo dellastuzia degli uomini12, immagine ambivalente, ma per Origene le volpi sono le eresie: catturate per noi tutte le
piccole volpi che saccheggiano le viti spiega in Cant. Om. IV, 1,2.

10. Cirillo di Gerusalemme, PG 33, 648, A. La recente traduzione: Cirillo e Giovanni di

Gerusalemme Catechesi prebattesimali e mistagogiche, G. Maestri - V. Saxer, Milano 1994,


preceduta da un approfondito saggio di V. Saxer.
11. Origene, Comm. in Canticum Canticorum III, 8, 9, 10, SC 376, Paris 1992, 568.
12. Origene, Comm. in Canticum Canticorum III, 8, 9, 10, SC 376, Paris 1992, 568

444

E. GAUTIER DI CONFIENGO

La gabbia per uccelli rappresenta il corpo che impedisce allanima di


accorgersi della luce intelligibile celeste (Agostino, Soliloquia I, 14, 24),
come ha ben proposto Grabar studiando il pavimento di una chiesa di
Mopsuestia13. Qui abbiamo la gabbia senza uccello, vi si nasconde una allusione a qualche avvenimento? Le stagioni che chiudono ai vertici la cornice stessa danno il ritmo alla vita cristiana (Catechesi IX, 8).
Salendo poi sul presbiterio, si entra in ambiente paradisiaco: i due
agnelli sono una immagine classica, ma S. Cirillo aggiunge: e poich
abbiamo toccato i temi del paradiso mi sono davvero stupito della verit
delle figure, ero come un agnello innocente, lagnello che toglie i
peccati del mondo (Catechesi XIII, 19). Essi sono tra due melograni carichi di frutti, simbolo della fertilit della Parola, sono tra i prodotti che gli
esploratori hanno portato a Mos dalla Terra Promessa (Num 13, 24). Rappresentazione frequente nella zona, senza andar lontano nella stessa
Kastron Mefaa li vediamo nella chiesa di Santo Stefano l accanto, poi nella chiesa dei Leoni ed in quella N delle chiese gemelle del Castrum. Essi l
rappresentano gli alberi del Paradiso come dice lo sposo nel Cantico nel
giardino di noci sono sceso per vedere se fiorivano i melograni (Cant
6,11). Per Cirillo questo giardino anche il luogo ove Ges fu crocefisso
(Catechesi XIV, 5). La presenza sul presbiterio di questi alberi assume allora una doppia valenza, legandosi direttamente al sacrificio eucaristico.
Come e da dove vedevano i fedeli questi mosaici? Durante le funzioni
essi erano nella navata centrale, oppure in quelle laterali14, poich erano
rigorosamente divisi: uomini a destra e donne a sinistra? I sedili ancora
esistenti lungo la navata di sinistra e la parete di fondo15 erano completati

13. A. Grabar, Loiseau dans la cage, CA 16 (1966) 9s. La gabbia vuota rappresentata

anche in altri esempi: M. Piccirillo, La chiesa dei Sunna a Madaba, LA 43 (1993) fig.
11. Limmagine della gabbia con luccello entro, fuori o anche sulla porta aperta, assai
comune nelle chiese del Levante (Donceel-Vote 1988), ed anche presente in alcuni mosaici pavimentali di sinagoghe: R. Ovadiah, A. Ovadiah, Mosaic Pavements in Israel,
Roma 1987. Per la tematica del significato catechetico delle immagini nelle chiese vide:
M. Guarducci, La pi antica catechesi figurata: Il grande musaico della basilica di Gasr
Elbia in Cirenaica, in Atti Acc. Naz. Lincei, Mem., VIII, vol. XVIII (1975) 659-686.
Anche: H. Maguire, Earth and Ocean, the Terrestrial World in Early Byzantine Art,
Pennsilvania 1987.
14. J. Sauvaget, La Mosque Ommeyade de Medine, Paris 1947, 1
15. Piccirillo-Alliata 1994, 72. Anche nella basilica a tre navate recentemente scavata a
Petra sono stati identificati dei sedili, questa volta in legno trovato carbonizzato, lungo le
mura laterali: R. Schick - Z.T. Fiema - K. Amr, The Petra Church Project 1992-93. A
Preliminary Report, ADAJ 37 (1993) 55-66.

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

445

da analoghi lungo la navata destra poi scomparsi con la realizzazione della


chiesa di S. Stefano? In tal caso la ricca decorazione centrale era completamente visibile agli occhi dei fedeli durante le celebrazioni, mentre un disegno geometrico che ornava le navate laterali rimaneva sotto i loro piedi
Oltre a questi significati simbolici, presenti peraltro nelle decorazioni
di altri edifici ecclesiastici della regione, il mosaico della chiesa del vescovo Sergio ha aspetti di unicum che meritano di essere approfonditi.

Luomo con il lettuccio sulle spalle


Questa immagine che nel VII registro, sul lato destro, assai curiosa (fig.
3 a). Alla nostra immaginazione ricorda subito il miracolo del paralitico che
i Vangeli riportano in due episodi distinti, a Cafarnao ed a Gerusalemme
presso la piscina di Bezatha16. La nostra rappresentazione non ha particolari che la ambientino, allusiva anche a scene di vita quotidiana? ad un fedele che traslocava, o che portava il suo lettuccio sul tetto della casa per
passare al fresco la calda notte estiva, come si usa ancora in quelle terre?
Non riusciremo a scioglierne il senso, ma essa si situa tra altre di vita quotidiana, nello stesso registro vediamo Baricha che si difende da una fiera
con una lunga lancia, Giovanni con un dittico in mano.
Il letto qui rappresentato, rimasto indenne dallintervento iconoclasta,
costituito da un telaio con quattro gambe di bronzo su cui tesa una rete
di corda; un letto portatile, per gli antichi grabatus (), una specie di branda usata da malati e da gente povera.
Il miracolo del paralitico rappresentato in numerose immagini in pittura e scultura, nelle Catacombe di Roma17 sin dalla met del III secolo e
nel loro quasi contemporaneo battistero della domus ecclesiae di Dura
Europos presso il lontano Eufrate18, fino alle immagini del VI secolo, di
Ravenna, un paio di generazioni prima del nostro19.
Presso i Padri latini e greci i due episodi sono stati commentati in
funzione penitenziale: la paralisi, il lettuccio sono segno di peccato, ad

16. Il primo riportato dai Sinottici: Mt 9,1-8; Mc 2,3-12; Lc 5,18-26, il secondo da Gio-

vanni (5,1-9).
17. DACL XIII, voce Paralytique.
18. The Excavation at Doura Europos, Final Report VIII, 2, New York 1967, tav. XXXIV.
19. G. Bovini, I mosaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, Firenze 1958, tav. XIII, la sce-

na compositiva simile, la forma ed il materiale del letto, che qui di legno, sono diversi.

446

E. GAUTIER DI CONFIENGO

entrambi i paralitici, Ges prima rimette i peccati, poi dona la guarigione


fisica20.
S. Cirillo di Gerusalemme ha dedicato una particolare orazione sullepisodio descritto da Giovanni, testo che inizia con le icastiche parole che
qui riportiamo nella traduzione del Toutte: Ubicumque apparuerit Jesus,
ibi etiam adest salus e che termina con linvito: nec amplius pecces21. Il
presbitero Procopio trasforma in immagine linsegnamento di Cirillo, esortando i suoi fedeli alla penitenza.
Nello stesso VII registro, al centro rappresentato un uomo stante, di
cui resta solo un profilo tondeggiante, con un dittico in mano. questa una
immagine che ha una precisa collocazione nella liturgia eucaristica, il
momento della lettura dei nomi dei personaggi da ricordare nella Sinassi,
come ci ricorda S. Giovanni di Gerusalemme nella V catechesi mistagogica22. Sono i nomi dei loro santi? Riporta uno scolio alla Gerarchia Ecclesiastica di Dionigi Aeropagita: si scambia labbraccio santissimo e si fa la
recitazione misteriosa e sovramondana dei nomi scritti sulle tavolette23.
Siamo in un complesso cimiteriale, potrebbe essere un sommesso ricordo
dei fedeli ai loro cari defunti24?
Il registro successivo, VIII, contiene la scena dei due macellai, Giovanni con in mano unascia e Zangon che legano il bovino, saranno sicuramente i donatori della porzione del mosaico; al di l dellimmagine di un
episodio della vita di ogni giorno, si pu cogliere forse unallusione contro
la teoria della metampsicosi. Epifanio di Salamina che accusa i manichei
di non voler mangiar carne in quanto seguaci di questa dottrina (Pan. X,
34). Epifanio era nato presso Eleuteriopoli, citt della Palestina rappresentata nella Carta di Madaba come in altri pavimenti musivi di edifici ecclesiastici della regione, e anche nella contigua chiesa di S. Stefano25.
20. Tra le tante citazioni ricordiamo: Cromazio di Aquileia, Ilario di Poitiers nei loro com-

menti a Marco 2, 3-12, poi S. Giovanni Crisostomo, In Matth. hom., 30, PG 57, Teodoreto
di Ciro, In Ps CII, PG 80 1686C, ed anche in Ps CVI, PG 80, 1742D.
21. In Paralyticum iuxta piscinam jacentem, PG 33, 1131ss; traduzione italiana di G. Bissoli
in LA 31 (1981) 177-190. Largomento era caro a Cirillo che lo riprende nella X Catechesi,
paragrafo 13, (traduzione 1994, 322). In questa sede chiama esplicitamente Ges medico
con il collegamento Jesus - , limmagine qui un ex voto?
22. Giovanni di Gerusalemme, PG 33 (traduzione Saxer, Milano 1994, 614).
23. Scolia in Dionysius Aeropagita, PG 4 (traduzione Scazzoso, Milano 1981, 185).
24. Piccirillo-Alliata 1994, 107. Baumann 1999, 77 lega le due scene di Johannes con il
dittico e luomo con il lettuccio e le interpreta come padrone (ha la tunica) e servo, ci anche in riferimento al mosaico della Megalopsichia di Yakto, ivi, tav. 9.
25. Piccirillo-Alliata 1994, tav. XV. Carta di Madaba (n. 84), e nella chiesa dellacropoli di

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

447

La fenice
Lultimo girale a destra del IX registro contiene una bella immagine di fenice
radiata, purtroppo sfigurata dallintervento degli iconoclasti (fig. 4a).
Essa chiaramente caratterizzata dal nimbo da cui si dipartono numerosi
raggi, come negli esempi integri della zona, a Wadi Ayn o in Siria26, vista di
profilo ed leggibile dai contorni, mentre la volumetria del corpo stata
cancellata cos da non permettere di identificare i colori del piumaggio, se
non su di un brano del ventre che appare grigio e parte delle zampe che hanno
tessere alternativamente gialle e rosse; di fronte ad essa vi una lacuna che
termina con limmagine di una piccola figura tonda, formata con una circonferenza pi scura, un corpo roseo, ed al centro un punto bianco, a destra verso
la fenice, si vede una protuberanza realizzata con ununica tessera scura.
Gli otto raggi irradianti dal nimbo sono un riferimento allogdoade,
simbolo dellottavo giorno, quello della Resurrezione. Anche in ci il nostro mosaico particolare, nella Regione si vedono rappresentate altre
fenici, ma il nimbo attorno al capo ha sette o dieci raggi27.
Limmagine della fenice, usata per legare la Resurrezione alla resurrezione di ogni uomo, stata citata dai Padri da Clemente Romano in poi28.
Cirillo di Gerusalemme, nostra guida, lo richiama direttamente nella XVIII
Main: Amos Kloner, The City of Eleuteropolis in M. Piccirillo - E. Alliata (ed.), The
Madaba Map Centenary, Jerusalem 1999, 244s (= Piccirillo-Alliata 1999). Quanto allimmagine dei macellai siamo daccordo con Baumann 1999, 79 che difficile sostenere che
ricordi il sacrificio di Ges, sia perch non usuale nella tradizione, sia perch non si mai
visto un riferimento di questo ordine inserito nella navata per essere calpestato dai fedeli.
26. Nella stessa diocesi di Madaba nel pavimento della cappella della Theotocos di Wadi
Ayn vi una fenice radiata, della met del VI secolo. M. Piccirillo, Le due iscrizioni della
cappella dellaTheotokos nel Wadi Ayn al-Kanisah sul Monte Nebo, LA 42 (1992) tav. 24.
Altra rappresentazione stata recentemente trovata a Petra, nella basilica citata in nota 15.
Sono note le altre fenici di Siria, a Houad e Houarte riportate da Donceel-Vote 1988, e
quella di Dafne: D. Levi, Antioch Mosaics Pavements, Princeton 1947, 35s. Sul mito della
fenice vedere: R. Van den Broeck, The Myth of the Phoenix According to Classical and
Early Christian Tradition, Leiden 1972 (= Van den Broeck 1972), F. Bisconti, Aspetti e
significati della fenice nella letteratura e nellarte del Cristianesimo primitivo, VC 16
(1979) 21-40.
27. A. Quacquarelli, Logdoade patristica e suoi riflessi nella liturgia e nei monumenti
(Quaderni di Vetera Christianorum 7), Bari 1973. Quanto al numero dei raggi nel nimbo
delle fenici, in Palestina ne contiamo otto solo nella chiesa di Umm Gerar presso Gaza (Van
den Broek 1972, nota 27), in Siria sono indifferentemente cinque, sei e sette nei mosaici di
Hama citati in nota 31, cinque a Dafni. Anche in Occidente il numero dei raggi spazia da
cinque a dieci senza apparenti attenzioni allogdoade. Nel mondo pagano i raggi sono quasi
costantemente sette.
28. Clemente, Epistola ai Corinti XXV, SC 167.

448

E. GAUTIER DI CONFIENGO

catechesi, con una affermazione che pi forte di quelle degli altri autori
cristiani: Dio, cui era nota lincredulit degli uomini, cre luccello che si
chiama fenice29.
La presenza di numerose immagini di fenice in mosaici di chiese di
Palestina e Siria non deve pertanto stupire, inoltre da questa regione che
parte il mitico uccello nel suo volo verso il luogo della rigenerazione; rappresentata in positure diverse, la fenice posta sul nido entro un calice
come nel mosaico di Umm Gerar per rafforzarne il valore cristologico.
Recenti scavi a Hama, sullOronte (lantica Epiphania) hanno portato alla
luce i pavimenti di due basiliche con rappresentazioni di fenici30: nella cattedrale della citt, la fenice rappresentata come cicogna nimbata e raggiata
affacciata ad altro uccello, nel mosaico della basilica del vicino villaggio
di Tayybat al-Imam vi sono due raffigurazioni con fenici. Nella zona
absidale sono rappresentate Betlemme e Gerusalemme con architetture simboliche, a fianco di ciascuna vi una fenice raggiata, esse sono identiche,
simmetriche ed affrontate in posizione araldica, cosa curiosa perch sempre citato come unicus avis. Nella stessa chiesa, nella navata Sud, altra
fenice raggiata al di sopra di un cantaro a fianco del quale sono due agnelli. Siamo nellanno 442, come appare in una scritta in mosaico31.
Al di sotto dellimmagine della fenice vi poi una lacuna nella figura.
Cosa rappresentava limmagine scomparsa? Essa alta circa 1/4 dellaltezza della fenice, la mancanza delle tessere nel pavimento non evidenzia un
intervento iconoclasta sullimmagine, anche se nemmeno indica il contrario in quanto un eventuale rifacimento iconoclasta avrebbe potuto saltare.
Per lo scopritore limmagine quella di un frutto che esce dalla decorazione di acanto analogamente a quelli che si vedono nel II registro accanto alla terra, ma si vuole qui proporre unaltra ipotesi.
Lanalogia della nostra figura alla testa del gabbiano che sorvola le acque nel mosaico della Sala di Ippolito della vicina Madaba32, o locchio del

29. Cirillo, Cat. batt., XVIII, 8 (Milano 1994, 555).


30. B. Bagatti, Uccelli nei pavimenti musivi delle cappelle funerarie palestinesi, RAC 29

(1953) 207-214.
31. Abdurrazzaq Zaqzuq, Nuovi mosaici pavimentali nella regione di Hama, in Milion 3,

Arte profana e arte sacra a Bisanzio, Roma 1995 (Atti del convegno, Roma 1990). Alla luce
di questi recenti ritrovamenti opportuno un approfondimento della presenza in Siria Palestina del tema, anche con riferimento ai Padri orientali, aprendo un nuovo capitolo
allesaustiva ricerca di Bisconti 1979.
32. M. Piccirillo, I Mosaici di Giordania, Roma 1986, 200. Il mosaico datato met del VI
secolo, circa trenta anni prima del nostro.

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

449

bovino del pavimento di Apamea33, ci permettono di proporre lidea che si


tratti di una testa in cui evidente locchio ed il becco (fig. 4b). In tale
ipotesi potrebbe il nostro allora essere un piccolo uccello, la fenice risorta
dalle ceneri, completando limmagine e rafforzando il concetto di Resurrezione.
Due vignette con chiesa sono contenute nel nostro tappeto musivo: nel
V registro la prima con due chiese affiancate e nel IX una pi grande, sola,
al centro dello stesso registro che contiene la fenice (fig. 3 b, c). Le loro
tipologie architetturali sono diverse, ma entrambe riportano la tenda annodata sulla porta principale, segno di sacro e di mistero.
Nel primo esempio la rappresentazione prospettica rovescia la parete
absidale, aprendola e ponendola in vista. Limmagine qui non sembra avere un senso architettonico, le due facciate sono eguali, piuttosto pare realizzata per rafforzare laspetto soggettivo della visione dallinterno della
chiesa da parte delluomo col bimbo cavalcioni sulle spalle che glie la indica. Si pu leggerla come il padre che sta descrivendo al bambino il senso
dei riti che l si svolgono.
Laltra chiesa, quella del IX registro, rappresentata con prospettiva
convenzionale, nel fianco sono cinque finestre con i vetri suddivisi, le porte sono spalancate ed ogni battente ha tre file di borchie chiare, si direbbero raggianti. Di fronte ad esse vi la figura stante di Ovadia figlio di Esau,
come spiega la didascalia, in atto di incensare. Le porte sono aperte: Ges
la porta come tradizione nella Scrittura e come scrive Origene e poi i
Padri34. La scritta sullingresso del presbiterio dice ama il Signore le porte di Sion pi di tutte le tende di Giacobbe rifacendosi al Salmo 86,2. Le
porte gemmate ci portano alla comunit degli eletti nella Gerusalemme celeste descritta dallApocalisse (21,18-21).
Le cinque finestre della vignetta corrispondono allora a quelle della
nostra chiesa, come si pu vedere in pianta, trasformata in dimora degli
eletti.
La cerimonia dellincensamento nella Gerusalemme del IV secolo avveniva nellAnastasis la Domenica prima che il Vescovo leggesse il Vangelo della Resurrezione35. Dionigi Aeropagita ci spiega il senso di questo
simbolo: consideriamo la sua divina bellezza e guardiamo come si con-

33. J. Balty, Mosaques Antiques de Syrie, Bruxelles 1977.


34. Origene, Hom. in Num. XXV, 6 (SC 242, 18, 2).
35. Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, 24,10 (a cura di N. Natalucci, Firenze 1991, 162,

286).

450

E. GAUTIER DI CONFIENGO

viene alle cose divine, il vescovo che procede con il profumo dellincenso
dal divino altare fino alle parti estreme del tempio nella stessa maniera,
conforme a Dio il divino vescovo se rivolge con bont la scienza unitiva
della sua gerarchia verso i suoi sudditi usando le moltitudini dei sacri simboli occulti36. Ovadia il turiferario che ha regalato un turibolo bronzeo
alla chiesa? Anche a questa domanda non potremo rispondere.

Abyssus
La scena del X registro gi stata descritta: un mostro marino di cui rimangono solo alcuni tratti del corpo, occupa le 4 posizioni, un remo issato
a m di stendardo sporge, si indovinano dei pesci.
Nella diocesi di Madaba chiese con immagini del mare non mancano,
oltre alla chiesa degli Apostoli in Madaba stessa, che ha al centro del tappeto un grande medaglione con personificazione del mare su cui campeggia la scritta , nella chiesa di S. Sergio nel castrum della nostra
citt vi poi unaltra raffigurazione dello stesso mostro, ma senza scritta37.
Curiosa questa ripetuta presenza di pesci e di personificazioni marine in
localit distanti non pochi giorni di cammino dal mare! Ci che per un
unicum tra tutte le personificazioni note del mare la parola Abyssus.
Il termine usato nellAntico e Nuovo Testamento per lo pi con riferimento al mondo informe prima della creazione, il caos primordiale:
= senza fondo38, e di conseguenza il luogo abitato dai demoni,
come nei Salmi, o nellepisodio dellindemoniato; nellApocalisse il termine usato sei volte, sempre nellaccezione di luogo per il demonio, per i
perduti39. Solo raramente il termine ha nella Bibbia il valore positivo di
Oceano. Il termine Abisso nuovo in epigrafi ecclesiastiche o no, Giovanni di Gaza, nel VI secolo descrive la grande rappresentazione allegorica del
cosmo nelle terme della sua citt: la scena quadripartita, a levante il Sole
tra gli altri, le ore, la fenice, a mezzogiorno lOceano con Eos, a
ponente con la Terra, tra angeli ed i Karpoi, a Nord, tra altri an-

36. Dionigi Aeropagita, Ecclesiastica Hierarchia, III, 3, PG 3, 428 D (traduzione Scazzoso,


Milano 1981, 176).
37. M. Piccirillo, La chiesa del prete Wail a Umm al- Rasas, in F. Manns - E. Alliata (eds.),
Early Christianity in Context, Jerusalem 1993, 313-334, fig. 395; Baumann 1999, 115.
38. Apocalisse 9,1.11; 11,7; 17,8; 20,1. Inoltre vedi nel Vangelo di Luca VIII, 27.
39. Genesi 1,1 il termine usato nella traduzione dei LXX e nelle traduzioni latine.

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

451

geli40. Ma la grande immagine di Gaza rientra in una descrizione del cosmo posta in luogo pubblico, non vuole avere alcun valore catechetico41.
Nella nostra chiesa il senso dellimmagine e della parola Abisso deve
probabilmente essere letto come suggerisce un passo di Agostino ,
che vuol dire pesce, un nome che esprime in senso spirituale Cristo in
quanto soltanto lui pu mantenersi vivo, cio senza peccato al fondo di
questa condizione mortale, come nella profondit delle acque (in huius
mortalitatis abysso velut in aquarum profunditate)42.
La nostra guida intitola il capitolo 11 della IX Catechesi, Sapienza di
Dio nel mare, e dice: chi pu descrivere la bellezza dei pesci, chi la
grandezza dei cetacei e la natura degli anfibi? chi la profondit e vastit
del mare? Il presbitero Procopio chiude cos il programma della navata
centrale che era iniziato con la Terra ed i suoi frutti.
La raffigurazione dellAbisso posta centralmente, in prossimit del
presbiterio, questo suggerisce alcuni non casuali nessi su altri piani di significato. S. Efrem descrive come il cercatore di perle deve tuffarsi nudo
nellOceano ed aprirsi un cammino tra i mostri marini cos gli asceti penetrano nudi tra gli uomini di questo mondo. Anche Cirillo di Gerusalemme
usa questa espressione di discesa nellacqua come seconda nascita cristiana quando scrive: ad imitazione del Cristo che in occasione del suo battesimo scende nel Giordano a spezzare il potere del drago ( il drago
Behemot di Giobbe) affinch acquisissimo il potere di camminare sugli
scorpioni e sui serpenti. Tu che ti rechi dal Padre degli spiriti devi passare
per questo drago43.
In tal modo si spiega meglio la collocazione di questa immagine presso
il presbiterio, come soglia verso il luogo pi santo della chiesa, la purificazione che debbono affrontare gli asceti per accedere.
Conclusioni
Nonostante lintervento iconoclasta degli uomini e del tempo, si riesce a
cogliere come i mosaici della chiesa del vescovo Sergio rappresentano un
punto assai alto della scuola dei mosaicisti di Madaba. Il loro programma

40. C. Caupane, Il Kosmicos Pinax di Giovanni di Gaza, JB 28 (1979) 195.


41. G. Downey, Gaza in the early sixth century, Oklahoma, 1963.
42. Agostino, De Civitate Dei, XVIII, 23.
43. Cirillo, Cat. batt., IX,11 (Milano 1994, 305).

452

E. GAUTIER DI CONFIENGO

rappresenta scene di vendemmia ed episodi della vita quotidiana che, alla


luce dellepigrafe del presbitero Procopio, possono essere letti secondo le
omelie dei Padri di Terrasanta.
Nel programma possiamo distinguere i diversi ruoli del cristiano: il Vescovo benedice, il presbitero cura, il fedele offre. La vita scandita tra limmagine della Terra e dellAbisso ed i frutti della terra e del lavoro sono cos
benedetti, la cura della vite, la pastorizia, la caccia, la macellazione di un
bovino. Le concordanze tra la lettura iconografica di questo tappeto musivo
e quella di testi patristici di autori come S. Cirillo e S. Giovanni di Gerusalemme troppo stringente per essere casuale. La trasposizione di passi
biblici sul piano spirituale aveva gi da tempo acquistato un ricco simbolismo con un suo linguaggio metaforico che ha basi comuni in tutto lorbe
cristiano, da Oriente ad Occidente, assumendo ovviamente caratteri e particolarit regionali. Alla diocesi di Madaba apparteneva il santuario del
Nebo, meta di pellegrinaggi, come ci ricorda Egeria. La mappa della chiesa di San Giorgio che abbraccia il Mediterraneo dallEgitto alla Fenicia, e
la ricchezza delle immagini nei tappeti musivi, con rappresentazioni del
mare, di pescatori, di citt, testimonia un innegabile collegamento di questa regione al mondo cristiano che era veicolo di merci ed idee44.
Molti dati sfuggono, si conosce troppo poco del mondo della Transgiordania di questo periodo, la mancanza di altri documenti non permette
di avere risposte alle tante domande che sorgono, ma la ricchezza di significati che emergono dalla lettura di queste immagini cos dense di simboli
ci fa apparire pi vicini gli uomini di allora. Vediamo nelle immagini di
questa chiesa, di cui non conosciamo neanche la dedicazione, particolarit
uniche nelliconografia dellepoca che ci fanno immaginare una comunit
intellettualmente fervida, in collegamento con il mondo, ma con una sua
originalit ed indipendenza da moduli esterni.
Edoardo Gautier di Confiengo
Via C. Montalcini, 12, 00149 Roma

44. I. Shahid, The Madaba Mosaic Map Revisited, in Piccirillo-Alliata 1999, 147s. Sem-

brano invece riduttive le conclusioni di Baumann quando, a proposito del complesso delle
cinque chiese di Kastron Mefaa, sostiene che non vi chiara prova che le immagini dei
mosaici possano essere interpretate in modo simbolico allegorico, e limita la lettura al senso culturale storico: Baumann 1999, 333s.

HOSPEDERIAS RURALES EN LA SIRIA BIZANTINA

I. Pea

Es impresionante comprobar el nmero de santuarios que existan en Siria


durante la poca bizantina. En nuestra reciente publicacin sobre los lugares de peregrinacin, hemos catalogado 99 santuarios, la mayora de ellos
ubicados en la regin de las Ciudades Muertas del norte de Siria.
Cronolgicamente se remontan a los siglos IV, V y VI1.
Ya desde mediados del siglo IV vemos a los cristianos sirios y en especial a los monjes, desplazarse por motivos devocionales a los santuarios
donde se guardaban reliquias de algn mrtir o encaminarse a los lugares
donde vivan ascetas clebres en santidad. As, el anacoreta Julin Saba
visit el santuario de san Dionisio en Ciro2, y las santas reclusas Marana y
Cira de Alepo peregrinaron a los santos lugares de Jerusaln y despus las
vemos trasladarse al santuario de santa Tecla de Seleucia de Isauria3. Los
mrtires y los santos monjes, amigos de Dios, eran considerados intercesores privilegiados ante la divinidad, adems de curanderos de enfermedades.
La gloria de una iglesia, de un pueblo, era poseer las reliquias de un santo.
Teodoreto de Ciro proclama: Los filsofos y los oradores han cado en el
olvido. El pueblo no conoce el nombre de los emperadores y de los generales, pero todos conocen los nombres de los mrtires mejor que el nombre
de los amigos ntimos4.
No era todo piedad en la posesin de una reliquia insigne. sta aseguraba a quien la posea la gloria y los milagros y, como resultado, la llegada
de peregrinos. Ni que decir tiene que stos no venan con las manos vacas. Tenemos el ejemplo de Rasafe/Sergipolis villa asentada en plena estepa siria, que guardaba el cuerpo del mrtir san Sergio. Gracias a su tumba
la villa se convirti en gran centro religioso y comercial. Del mismo modo,
la prosperidad de Telanisos, aldea situada junto a la columna de san Simen
el Protoestilita, fue debida a la afluencia de visitantes. A juzgar por los restos arqueolgicos conservados, Telanisos viva holgadamente del hospeda-

1. Pea I., Lieux de plerinage en Syrie (SBF Collectio Minor 38), Jerusalem 2000.
2. Teodoreto de Ciro, Historia Religiosa, en PG 82,1322.
3. HR, 1491.
4. Graecarum affectionum curatio, en PG 83,1024.

LA 50 (2000) 453-458; ll. 51-52

454

I. PEA

je de peregrinos y de los souvenirs del santo: iconos, medallones,


eulogias, cirios y frascos de aceite bendito, autentificados con la imagen
del estilita. A ambos lados de la Via Sacra, de casi un kilmetro de longitud, que una Telanisos con el santuario, se encontraban pequeas tiendas
de souvenirs, construidas en profundidad, en donde se vendan objetos
religiosos.
Con los peregrinos afluan a los santuarios y a las ciudades que los acogan, traficantes y mercaderes que vendan sus productos a esa heterognea
muchedumbre de consumidores. He aqu el origen de algunas ferias, como
la de Rasafe que se celebraba el 15 de noviembre de cada ao, fiesta patronal de san Sergio. San Basilio de Cesarea se queja de que muchos, con
motivo de las fiestas patronales, aprovechaban el lugar y la ocasin para
tratar asuntos materiales, establecer ferias y mercados pblicos5. La feria
de Edesa segua a la fiesta religiosa de santo Tomas y duraba 30 das. Su
fama lleg a Occidente6.
La peregrinacin y el comercio se vieron favorecidos por la seguridad
que reinaba bajo la Pax Byzantina y por la importante red de calzadas y
caminos, con sus mutationes y mansiones, que los romanos construyeron y
los bizantinos mantuvieron. Ahora bien, este heterogneo mundo de viandantes necesitaba una red de alojamientos. Los encontramos a lo largo de
las calzadas, en las sedes comerciales del aceite de oliva y, sobre todo, en
los centros de peregrinacin. Encontramos hospederas civiles y eclesisticas, stas dependiendo de una institucin religiosa: episcopal o monstica.
La arquitectura de estas hospederas rurales es casi siempre la misma:
edificio alargado, de planta baja y piso, con galera en el piso, sostenida
por pilastras, ms raramente por columnas. Frecuentemente encontramos en
la planta baja pesebres ptreos, por lo que se concluye que estaba destinada a cobijo de animales, mientras que en el piso se alojaban los viajeros.
La presencia de caballerizas supone que los viajeros venan de lejos, a caballo o en asno. Sin embargo la mayora de los viandantes, gente de escasos recursos, se desplazaba a pie.
En la regin de las Ciudades Muertas encontramos numerosas hospederas eclesisticas, cuya existencia est probada por la arqueologa, por
la proximidad a un punto de culto cristiano o por la epigrafa. Conviene
precisar que la jerarqua cristiana se vio precisada a crear sus propias hospederas con el fin de evitar inconvenientes fcilmente comprensibles, que

5. Basilio de Cesarea, Regulae Fusius Tractatae, en PG 31,1019.


6. Gregorio de Tours, Liber miraculorum, en PL 71,1,32.

HOSPEDERIAS RURALES EN LA SIRIA BIZANTINA

455

se producan en los albergues civiles, en donde la promiscuidad entre hombres y mujeres era norma general. De hecho, textos administrativos y jurdicos romanos ponen de manifiesto la poca consideracin que se tena de
la profesin hotelera7. Por los escritos de san Gregorio de Nisa conocemos
los peligros a los que se exponan los peregrinos que visitaban los santos
lugares de Jerusaln: Las hospederas, los caravasares y las posadas que
se encuentran en los lugares de Oriente, muestran una abusiva libertad e
indiferencia por el mal. Cmo ser posible a quien atraviesa su humo no
tener los ojos irritados? All donde el odo se mancha, el ojo se mancha y
se mancha el corazn, que advierta los inconvenientes para los ojos y los
odos?8 De aqu el recelo de las autoridades eclesisticas por estos lugares
de encuentro, y el inters por crear su propia red hotelera.
El concilio de Nicea, ao 325, recomienda en su canon 75, a los obispos la ereccin en sus dicesis de hospederas, con responsable eclesistico al frente, de tal manera que cada ciudad tuviera la suya9. Por su parte la
Didascalia Apostolorum Arabica (XXXV,18) prescribe: Junto a la iglesia
haya un lugar donde alojar a los peregrinos y el cuidado de ellos incumbe
al presidente de la iglesia. Las Constitutiones Apostolorum (111,19,1) sealan, entre los oficios del dicono, el ocuparse de los viajeros e indigentes.
En honor de la Iglesia siria hay que resaltar la solicitud por la acogida a los
huspedes, y con ellos a los pobres y a los enfermos. Juliano el Apstata
pone de manifiesto la admiracin que suscitaban, entre los ciudadanos de
Antioqua, las variadas obras de beneficencia llevadas a cabo por la Iglesia
local. En su Epistola 89 el emperador escribe al pontfice pagano Teodoro:
Es vergonzoso saber que nuestros pobres estn desprovistos de nuestra
ayuda mientras que los impos galileos (lase, cristianos) mantienen a sus
propios fieles y a los nuestros.
De hecho, a la sombra de un gran nmero de iglesias rurales sirias encontramos un slido edificio rectangular, amplio y bien iluminado, precedido generalmente de un patio. Es el xenodokon o pandokon eclesistico,
destinado a acoger huspedes. Se distingue de las casas privadas por tener
grabados grafitos en sus muros. A veces las inscripciones vienen en nuestra ayuda para determinar an ms la finalidad del edificio.
Entre las ruinas de las Ciudades Muertas hemos hallado hospederas monumentales: el edificio situado al S-E de la catedral de Brad; la

7. Chevallier R., Voyages et dplacements dans lempire romain, Paris 1988, 31.
8. Epistolae, en PG 46,2,7.
9. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Florentiae 1759, 1006.

456

I. PEA

hospederia de Keseijbe, a la sombra de la iglesia oeste; la hospedera


aneja a la iglesia de Markyanos Kyris de Babisqa, erigida en el ao 401
de nuestra era; el xenodokon de la iglesia de los santos Pablo y Moiss
de Dar Qita del ao 436; el edificio junto a la iglesia oeste de Baqirha;
la suntuosa hospedera, dotada de galera, situada a unas decenas de
metros al N-E de la torre de Kaukanaya; la hospedera formada por dos
edificios de dos pisos en el patio de la baslica sur de Fasuq; el vasto
edificio de 30,00 x 16,20 metros situado al sur de la baslica de Kefr
Mares; el edificio de dos pisos a la sombra de la baslica este de Meez,
etc, etc.
Dignos de mencin especial son: el edificio formado por planta baja
y dos pisos, al que se aadieron tres nuevas alas de un solo piso, articulados alrededor de un patio de 20 x 10 metros, situado en el centro de
Telanisos, as como el conjunto de cuatro slidas construcciones hechas
con mediano y gran aparejo, situadas al S-0 en las afueras de Qalb Loze.
Hay que tener en cuenta que Qalb Loze posee una de las baslicas ms
bellas de Siria, centro de peregrinaciones. Parece que todas estas hospederas gozaban de una cierta organizacin hotelera y sanitaria, donde se
suministraba a los huspedes, no slo techo y comida, sino tambin cuidados mdicos.
Hay hospederas ms modestas, formadas por un pequeo y nico edificio de planta baja y piso. Se trata de posadas donde el viajero encontraba
cobijo para pernoctar. Las hemos encontrado a la sombra de las iglesias de
Qirq Bize, Santa Mara de Cheikh Soleyman, iglesia norte de Banaqfur,
iglesia este de Keseijbe, baslica del siglo IV de Batuta, en Nuriye junto a
la iglesia paleocristiana, en Surqaniya en el edificio rectangular de 12 x 7
metros no lejos de la iglesia del siglo IV.
A veces la hospedera se reduce a una sola habitacin. La iglesia de
Firkia tiene aneja una habitacin con pavimento cubierto de mosaico policromo, con esta inscripcin: En nombre del Seor, bajo el pisimo y santsimo Pablo, sacerdote y archimandrita, fue puesto el mosaico en esta
habitacin de huspedes, el da primero del mes de Panemos, del ao 822,
cuarta indiccin. Cristo, guarda esta habitacin. La fecha, de la era
seleucida, corresponde a julio del ao 511 de la era cristiana.
Por una inscripcin conocemos el pandokon de Kefr Nabo, en el Jbel
Semaan, construido en los aos 504-505 de la era cristiana como cumplimiento de un voto a san Acheos (Zaqueo?)10. Esta hospedera de 40 me-

10. IGLS, 378.

HOSPEDERIAS RURALES EN LA SIRIA BIZANTINA

457

tros de larga por 15 de ancha, tiene una particularidad. Una pared divide al
edificio de N-S en dos partes desiguales y sin comunicacin entre s. Cada
parte tiene entrada propia. Creemos que el ambiente ms espacioso estaba
reservado a alojamiento de hombres y el otro a las mujeres. Idntico muro
divisorio lo encontramos en la pequea hospedera de Surqania, arriba
mencionada. A tener en cuenta que la separacin entre hombres y mujeres
era norma general en las hospederas eclesisticas. El peregrino annimo
de Piacenza, que visit Jerusaln hacia el ao 570, nos dice, hablando del
conjunto hotelero construido por Justiniano junto a la baslica de Santa
Mara la Nueva, que tena dos hospederas, una para los hombres, la otra
para las mujeres11.
No slo las iglesias tenan establecimientos hoteleros, tambin los tena la mayora de los monasterios. La arqueologa as como las fuentes literarias prueban el espritu acogedor de los monjes sirios. Eran los
monasterios situados a lo largo de las vas de comunicacin y aquellos ubicados en los centros de peregrinacin los que se consagraban a esta actividad social: monasterios de Brad, de Qalaat et-Tuffah, Bachmichli, Bafettin,
Breij, Deir Tormanin, Deir Teleda, etc.
Las reglas monsticas de Maruta y de Rabbula recomiendan a los superiores la prctica de la hospitalidad12. Por el escritor Teodoreto de Ciro
sabemos que Teodosio se preocupaba sobremanera de los huspedes y
para acogerlos haba designado monjes de carcter amable13.
Lo ms sorprendente es, sin embargo, saber que hasta los mismos eremitas, reclusos y anacoretas, engolfados en la oracin, tenan tiempo para
practicar la virtud de la hospitalidad14. El anacoreta Basilio, nos dice
Teodoreto, sobresala en la obra divina de la hospitalidad y los reclusos
Maysimas, Zebinas y Asclepio abran la puerta de su celda a los viajeros15. Haba eremitas que se excedan en atenciones. Uno de ellos era
Abrahn de Carres, quien tena mesa abierta y serva a sus huspedes y
peregrinos pan blanco, vino perfumado, pescado y legumbres, sin partici-

11. Antoninus Placentinus, Itinerarium, 23,141.


12. Vbus A., Syriac and arabic documents regarding legislation relative to syrian asceticism, Stockolm 1960, 40,123; Turbessi G., Regole monastiche antiche, Roma 1974,
315.
13. HR, 1516.
14. HR, 1491.
15. HR, 1526,1548,1551.
16. HR, 1423.

par l en el banquete: sed cum illis non epulabatur16. Razn tena la


virgen espaola Egeria de estar satisfecha del recibimiento amable y corts que la tributaron los monjes sirios, santos y verdaderos hombres de
Dios17.
Ignacio Pea, ofm
Custodia de Tierra Santa, Jerusaln

17. Arce A., Itinerario de la virgen Egeria, Madrid 1980,245.

SINTESI DEGLI ARTICOLI


ABSTRACTS

LA 50 (2000) 459-468

ABSTRACTS

LO SPIRITO, FORZA DIVINA DEL CREATO A. Niccacci

Spirit-ra is the force of life coming from God. It plays different functions: in
the cosmos, in animals, in humanity and in God himself. As such, it generates
a certain con-naturalness, or congruousness, among the different worlds
divine, animal, human, and the cosmos as a whole. There results a vision of
reality that is biblical but reflects in a special way the wisdom movement. With
the help of relevant biblical texts, the paper traces a quick overview of the different functions of the term ra in the Old Testament while leaving aside the
functions of the Spirit of God in the prophets, the judges and the heroes of Israel, the king, and the Messiah, which are most frequently dealt with by scholars. It illustrates the Spirit in the cosmos, in the living creatures, in the human
being; Gods Spirit in humanity, spirit of humanity; Spirit and flesh, Adam and
Christ; Spirit and new creation; Spirit as hypostasis?; Spirit-ra for a theology of the feminine; Spirit and ecumenism. More and more, Ra is a term impossible to define exactly and at the same time able to take on ever new and
superior connotations.
Pgs. 9-23

ESILIO, DIASPORA E RIMPATRIO IN Ger 24 V. Lopasso

Jer 24 announces the return of king Jeconiah and of those who were exiled
in Babylonia in 597 B.C. By contrast, Zedekiah and the other survivors of the
catastrophe in 587 B.C. are destined to extinction and perpetual loss of identity in the dispersion. The text reveals a conflict between these two groups of
Jews. The conflict is resolved in favour of Jeconiahs group, because this group
has had the privilege of experiencing the exile. To explain this result, the text
omits any reference to the exile of Zedekiahs group in 587, and considers it
together with those who remained in the Land or went to Egypt. This point of
view recalls the way in which the Chronicher presents the relationship between the returnees and those who remained in Judah during the exile. Only
the community of those who returned from Golah can be identified as the true
Israel, the object of Yhwhs faithfulness. All the rest are to be excluded from
this community.
Pgs. 25-35

462

ABSTRACTS

BLESSED ARE THE MEEK, FOR THEY SHALL INHERIT THE EARTH

F. Manns
Blessed are the meek, for they shall inherit the land. The second beatitude is a
quotation of Ps 37. To understand the meaning of the beatitude it is necessary to
verify how the pluralistic Judaism of the first century read Ps 37. In the Apocalyptic milieu, in Qumran Pesher, in hellenistic Judaism and even in Pharisaic texts
Psalm 37 had a symbolic meaning. The Land was symbol of wisdom, eternal life
and heaven. Matthew's Gospel is closer to rabbinic Judaism than to the other
trends of Judaism. Insisting on the future: They shall inherit the land, Jesus gives
to the land an eschatological meaning which is close to the Kingdom.
Pgs. 37-51

IL PASTO DEL SIGNORE, ALLA MENSA DEL SIGNORE. ALCUNI PROBLEMI


SULLE TRADIZIONI DELLA EUCARESTIA N. Casalini

In this essay I have investigate again the most important traditions on the Last
Supper (or the Eucharist) in the New Testament (Jn 6,51c-58; 1Cor 11,17-34;
Mk 14,22-25; Lk 22,14-20; Acts 2,42-47 and 20,7-11). The purpose is to answer
some open questions, especially (a) the relationship between the Eucharist and
communal meal, and (b) between the Eucharist and Passover meal; further, (c)
the Eucharist and pardon of sins, (d) conditions of participation. Concerning the
first two questions, I show that there is a clear distinction between what we call
the Eucharist and the conditions of its institution, i.e., the Last Supper, which
was a real meal (1Cor 11,25) or a Passover meal (Mk 14,12 and Lk 22,15). Concerning the third question, I suggest that pardon of sins is implied in the celebration of the Eucharist that is the memorial of the death of Christ, the Lord (1Cor
11,26), who died for our sins (1Cor 15,3c). Concerning the fourth question, the
most sensitive one, I try to show that, even if the Eucharist is for the forgiveness
of sins, public sinners are excluded by implication (cf. 1Cor 5,9-13).
Pgs. 53-113

LA MEMORIA SIMBOLICA DEL GES TERRENO NEL LIBRO DELLAPOCALISSE G. Segalla

After an introduction outlining the status quaestionis and proposing intertextuality (inter-dependence of texts) as a method of research the author divides
the article in three parts. First, The Gospel tradition and the book of Revelation in which inter-textual relations of the book of Revelation with Synoptic and
Johannine traditions are analysed. Then the author passes on to examine the single
syntagma, the testimony of Jesus as an expression of tradition of the historical
Jesus. He arrives at the symbolic apocalyptic representations of Jesus, viz., lamb,

ABSTRACTS

463

bridegroom and eshatological prophet and concludes that the truth of the revelation, a present reality with a view to fulfilment in future, is indeed based on the
tradition of the historical Jesus.
Pgs. 115-141

I NUMERI NELLAPOCALISSE DI GIOVANNI E IL LORO LINGUAGGIO

G. Biguzzi
The basic symbolic numbers in the book of Revelation are number 7 and 12, but
number 3, 4 and 10 also have some relevance in it. All these numbers are here
reviewed first in relationship to God and the Christ, and then the Triad, i.e., the
Dragon, the Beast coming from the sea and the Beast coming from the land. This
survey shows how numbers describe sometimes the identity of the main characters in Revelation and other times their way of behaving and acting. Besides, the
numbers in Revelation can be harmonised into a unitary and coherent system,
which helps us not to decipher, as many have attempted to do, but in some measure to understand the number 666 of 13,18, the most mysterious and famous
number not only of Revelation but also of universal literature.
Pgs. 143-166

LA BIBBIA IN ARAMAICO. VERSO UNA MUTUA DEFINIZIONE DI GIUDAISMO


E CRISTIANESIMO G. Bissoli

Apart from the fact that the Palestinian Targum presents the Scripture as actually read in the Synagogue, can we find in them traces of the early Christian
community! Since they took written form in the second century AD onwards, especially addressing problems of the Synagogue, one may not expect much to respond to this curiosity. There are polemic aspects, directed rather against
particular points in the Scripture from which the nosrim - and above all the
gnostics - draw hints for their own doctrine than against the Christian community in itself. The polemic is so hidden that only by knowing heterodoxical interpretations of a text is it possible to understand how the Targum means to defend
its community.
Nevertheless it is during the time of Origens residence at Caesarea that we have
the greatest number of witnesses for a raport between Christianity and sages of
the Synagogue. This Christian master has had enormous gains by contacts with
the Rabbis. The whole church benefitted from it in interpreting the Scripture.
Importance of Targum for interpretation of the NT is being accepted today. Experience, past and present, invites us to interfaith-dialogue with Judaism for a
scriptural exegesis rooted in its native Sitz im Leben.
Pgs. 167-180

464

ABSTRACTS

EXGSE JUIVE ANCIENNE ET EXGSE PATRISTIQUE. LE CYCLE


BIBLIQUE DE GDON S. Lgasse

The dialectic method, which consists in a parallel reading of the Rabbinic texts
and the commentaries of the Church Fathers, have yielded abundant fruit in
exegesis. The author of this paper applies this method to the cycle of Gideon, a
character already mentioned in the Letter to the Hebrews 11:32-34. Strangely
enough, the Church Fathers, more than the Rabbis, assign a great importance
to the figure of Gideon. Because of his anti-idolatrous activity, Gideon is presented as a didaskalos, an instructor for his contemporaries. For Origen he
shows traits of a prophet who announces every kind of mysteries. In this respect, typology guides the reading and allows to perceive in Gideons deeds and
words a prefiguration of Christian realities. For Ambrose, Gideon pays attention to the mysteries coming from on high; faith is his main virtue, and therefore he merits to be called a saint. Similarly, the Rabbis outline a moral portrait
that includes edifying traits. The divine choice was motivated by his filial piety
and his dedication to his compatriots. His modesty manifests itself in the fact
that he refuses regality, because Yahweh alone should reign over his people.
Rabbinic paraenesis underlines Gideons humility, which evokes that of Moses,
consisting in an absence of any resentment and in a mildness that is fruit of a
conciliatory attitude.
Pgs. 181-262

IL SENO DEL PADRE (Gv 1,18) NELLA PATRISTICA PRECALCEDONESE

M.C. Paczkowski
The article examines the patristic interpretation of the Johannine expression
bosom of the Father. Most rich and interesting in the examination are the viewpoints of the pre-Nicaean authors. Taken into consideration are the thoughts of
the Judeo-Christians in arriving at a Gnostic point of view. These considerations
move onward to the position of Origen and the polemics of the Third Century
forum. After the fourth Century, it is most generally recognized as being a theological finality in the exegesis of John 1:18. There are subsequently no new models of interpretation. The positions of the various Greek and Latin Church writers
come together completely on this point. John 1:18 constitutes the clear and definitive reference to a consubstantiality of the Father and of the Son. At every
point of the discussion in the Greek tradition is found a greater richness and significance of the term bosom of the Father, which insists on the coeternal and
consubstantial Word inhabiting in God. In contrast, the Latins restrain this significantly more to the underlying identity of the Son with the Father according to
substance. This is explained by use of the concept of immanence.
Pgs. 263-311

ABSTRACTS

465

THE MONASTERY OF CHARITON. SURVEY AND EXCAVATIONS Y.

Hirschfeld
The monastery of Chariton (the Old Laura) was one of the most important in
the Judean Desert. The site, known in Arabic as Khirbet Khureitun, is located
on the cliff of Nahal Tekoa (Wadi Khureitun), south-southeast of Bethlehem. In
1981-82 the remains of the monastery were surveyed and partly excavated.
During the survey the remains of the Hanging Cave, mentioned in the Life of
Chariton, were found. The first part of the article describes the remains of the
entire monastery: the core with its wall and three towers, the 39 cells scattered
over the slopes of Nahal Tekoa, the water supply system and the gardens. The
second part is devoted to the description of the Hanging Cave, which became a
holy place and a destination for pilgrims in the Byzantine, Early Arab and
Crusader periods. The cave comprises a water system on the lower level, a
chapel on the intermediate level and the alcove of St. Chariton on the upper
level, about 15 m above ground.
Pgs. 315-362

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? J. Patrich


Herods praetorium (Acts 23:35), that served as the place and officium of the
Roman governors of Judaea, was the site of the two-years confinement of St. Paul
at Caesarea, and the site of his hearings in front of Felix and Festus (Acts 21:1527:1). The suggested chapel of St. Paul is located at a distance of ca. 300 m to
the north, in the midst of a 5th c. complex of warehouses associated with a vast,
Byzantine palatial mansion. A thick layer of debris containing plaster blocks with
frescos depicting large colorful crosses of the crux gemmata type together with
Greek inscriptions (presented by Leah Di Segni in the following article), architectural fragments of marble, and other small finds retrieved nearby suggest the
existence of a second-story chapel in this location. An eulogia bread stamp and a
pottery plate, both bearing the name Paul found in this area as well as the
painted crosses and a Greek inscription written under one of them suggest that
this chapel was dedicated to St. Paul.
Pgs. 363-382

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA MARITIMA? THE INSCRIPTIONS

L. Di Segni
Several Greek inscriptions, accompanying large crosses of the crux gemmata type,
were painted on fragments of plaster found among the debris of the second storey
of Building I, one of several warehouses in Area KK. The texts included sacred
formulas and quotations from the Church Fathers. An eulogia of St. Paul was
also found here, as well as many marble fragments of church furnishing. It is

466

ABSTRACTS

suggested that the inscriptions and crosses decorated the walls of a private chapel,
possibly dedicated to St. Paul. Though fragments of four epitaphs were also found
in Area KK, the writer believes that their presence here was not connected to the
chapel, and the latter was not used for burial.
Pgs. 383-400

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM. LETTRE DE LARCHITECTE JEAN-BAPTISTE GUILLEMOT MELCHIOR DE VOG L. Bonato

- M. Emery
In a letter to Melchior de Voge, French Ambassador in Constantinople, JeanBaptiste Guillemot, an architect, tried to draw the attention of France, which
has always claimed to be the patron of the Holy Places, on the poor condition
of the Franciscan cloister in Bethlehem. In his letter, now held at the Centre
Historique des Archives Nationales (Paris), Guillemot gives an accurate description of the cloister in the years 1870-1875. He also submitted a project for the
cloisters restoration, or rather reconstruction, founded on a complete study of
the building and guesses as to its original state. Guillemots project did not start
before 1948.
Pgs. 401-410

CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS NEL WADI AYN ALKANISAH MONTE NEBO C. Sanmor - C. Pappalardo

This study presents the pottery recovered during excavations conducted in 1995
in and around the large central courtyard E and the sector towards the south of
the church, with the aim of completing the topographical picture of the complex
and identifying its various stages of development. Special attention is paid to the
collection of pottery unearthed by two specimen soundings effected below the
mosaic of courtyard E near the northern entrance gate of the monastery (specimen I) and just outside the gate (specimen II), originating from a lone closed
stratigraphic context, useful in the dating of the courtyard and, as a result, also
of its surroundings. The thick red colour of the mixture and the shape and decorations of the pottery point to VI-VII century, fully agreeing with the period suggested on stylistic basis of the first mosaic of the chapel. Thus the mosaic courtyard
and the surrounding wall belong to the same period of the chapel itself. Levels of
habitation inherent to this period are identified in section E4. The fragment belonging to the last occupation point to the second half of the VIIIth century. Furthermore, this dating coincides with some coins recovered in a fireplace in E4. It
confirms a precise end post quem to the date of restoration of the mosaic in the
church (762 AD).
Pgs. 411-430

ABSTRACTS

467

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL G. Bisheh


In the Spring 2000, a mosaiced structure was located and excavated at Qastal,
at a distance of some 400 m. to northwest of the well-known Umayyad qasr. The
core unit of the partially exposed building is a large room opening in the middle
of the western side into an apsed alcove with two flanking rooms paved with
mosaics. The two square fields are decorated with interlaced scuta generating
an octagonal compartment in the centre where a hunting scene is depicted, a lion
attacking a bull, and a leopard tearing a gazelle. The two scenes are rendered
realistically .
Pgs. 431-438

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI DELLA CHIESA DEL VESCOVO


SERGIO AD UMM AL-RASAS DI GIORDANIA E. Gautier di Confiengo

The archaeological findings of the ecclesiastical complex of St. Stephen at Umm


el Rasas (Kastron Mefaa) in Trans Jordan, have brought to light two separate
churches with floor mosaics of the highest quality made by artisans of the Madaba
school.
The numerous figures depicted are still visible and preserved rather well in spite
of partial destruction by iconophobes. The oldest church, so called of Bishop
Sergio (587 AD), displays a carpet of mosaics with a deep symbolical meaning
which can be interpreted through the homilies of Cyril and John, both bishops of
Jerusalem at the end of the IV century.
Represented are symbols of universal meaning to the Church: the earth with its
fruits, grapes, symbolic animals: lambs, lions, peacocks, bulls. A pattern frequently
met in Trans Jordanian churches, which in this case conveys a stronger meaning, like the phoenix with the head surrounded by a nimbus with eight rays; a
number referring to the Resurrection. The most characteristic element of this
iconographical program are the strikingly vibrant scenes of everyday life: a man
carrying his own bed remind the Bethesda miracle (Jn 5, 1-9; Mt 9, 1-8, Mk 2, 312, Lk 5, 18-26) and the call of Cyril to his faithful herd to avoid sins. A man
carried his son on his shoulders and indicates him the church, the shepherd. These
are pictures of strong catechetical meaning, which can be traced to the preaching of the two bishops of Jerusalem.
Pgs. 439-452

HOSPEDERAS RURALES EN LA SIRIA BIZANTINA I. Pea


From the middle of the fourth century, we see Syrian Christians treveling for devotional reasons to the tombs of the martyrs, or setting out for places where
celebrated ascetics lived in sanctity. With the pilgrims, also came traders and
merchants seeking to sell their products. All were in need of lodging, which they

468

ABSTRACTS

found along the principal roads, but especially in centers of pilgrimage. We find
monumental inns which had a certain hotel and sanitary organization. Most of
all, we find more modest inns composed of a single, one storey building. At times,
the inn is reduced to a single room adjoining the church. The Syrian Church is to
be admired for the creation of its own network of inns. Thus, the pilgrim Egeria
had reason to be satisfied at her welcome by Syrian monks, saints and true men
of God.
Pgs. 453-458

RICERCA STORICO-ARCHEOLOGICA
IN GIORDANIA XX - 2000

LA 50 (2000) 469-504; tavv. 53-68

470

RICERCA IN GIORDANIA

AMMAN
Tell al-Mashhad

Massuh
Kh. al-Mukayyat Madaba Qastal
Umm al-Rasas

Tuleilat Qasr
Mousa Hamid
Tafila
Busayra

Petra Jabal Haroun

km

Principali loclit della Giordania menzionate nella relazioni

50

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

471

RICERCA STORICO-ARCHEOLOGICA
IN GIORDANIA XX - 2000

a cura di M. Piccirillo

I. RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

1. Tafila-Busayra Archaeological Survey Phase 2, 2000 Season


The second season of the Tafila-Busayra Archaeological Survey (TBAS) took
place in May-June 2000. TBAS team members continued the search, begun in
1999, for archaeological sites in an area of around 480 square kilometers from
just west of Tafila and Busayra to the desert region on the east immediately
north of Jurf ad-Darawish. (A report on the 1999 season appeared in LA 49,
1999, 477-478)
Specific objectives of the 2000 season were: 1) to survey the remaining
63 random squares (500 x 500 m) in Zone 2, the plateau region, not covered
during the 1999 season and the six squares (500 x 500 m) in Zone 3, the desert
region immediately north of Jurf ad-Darawish; 2) to carry out a purposive survey of areas of both Zones 2 and 3 not covered by random squares; 3) to continue to investigate the archaeological materials associated with the Pleistocene
lake in the Jurf ad-Darawish region; 4) to carry out further ground-proofing
of potential sites on aerial photographs of the survey territory; and 5) to continue to attempt to connect geographically with the territory of the Wadi alHasa Archaeological Survey (1979-1983).
In conjunction with their transecting of the 63 random squares of Zone 2,
TBAS team members surveyed sites that are either within or in the general
vicinity of the random squares. Archaeological periods represented in both the
random squares and associated sites are generally the same.
TBAS team members surveyed five sites within the six random squares of
Zone 3. Here again, the periods represented in the random squares and sites of
this zone are almost identical.
The purposive survey during the 2000 season of 18 additional sites in the
Pleistocene lake area produced material that represents well the Lower and
Middle Paleolithic, the Late Epipaleolithic, and the Chalcolithic. Upper Paleolithic materials, although present in the collections, is not abundant. With the
exception of the Roman and Byzantine periods, ceramic materials are absent.
This would seem to indicate that the lake was mostly devoid of water for at
least the past five-six thousand years.

472

RICERCA IN GIORDANIA

Of the 19 potential sites on three aerial photos ground-proofed this season, 44% are, in the judgment of TBAS team members, sites. This finding is
in keeping with that of the past seasons work.
TBAS team members were successful in connecting with the territory of
the Wadi al-Hasa Archaeological Survey by means of the Kings Highway
(Num 20.17; 21.22) in the west, the Roman Road (Via Nova Traiana) in the
center, and the Hajj Route in the eastern segment of the survey territory.
The most common site-types of the 139 (26 of which TBAS team members judge to be major architectural ones) surveyed this season include: enclosure/seasonal camps with architecture; seasonal camps/lithic production or
processing centers without architecture (generally along the shores of the Pleistocene lake); watchtowers; milestones or milestone fragments; agricultural
complexes; forts; and water-catchment facilities.
The lithic periods mentioned above relative to the Pleistocene lake are
also present in other areas of the survey territory. There is very little evidence of Early Bronze and no evidence of either Middle or Late Bronze
settlement, or even sherds, in the area surveyed. There is some Iron I remains but they probably date to the end of the period. The best represented
ceramic materials come from the Iron II, Early Roman (Nabataean), and
Byzantine. In addition, although there is little in the way of Early Islamic
materials, the Middle/Late Islamic period is well represented, especially at
major agricultural sites.
Further information on the work of the TBAS is available at: http://
www.stfx.ca/people/bmacdona/tbasweb/welcome.htm.
B. Macdonald
St. Francis Xavier University - Antigonish, Nova Scotia

2. Preliminary Report on Archaeological Investigations at Ayn Jadidah


near Mt. Nebo, Jordan (Pl. 53)
From March 23rd until April 16th 2000 a small group of Danish archaeologists from the Carsten Niebuhr Institute in Copenhagen (Ingolf Thuesen) and
from the Danish Institute in Damascus (Inge Demant Mortensen and Peder
Mortensen) stayed at Mount Nebo under the auspices of the Franciscan Archeological Institute. The object of this years investigation was the so-called
Conders circle near Ayn Jadidah a few km southeast of Mount Nebo ( cf.
letter no. 5/2/983 of the 23rd of March 2000 from the Department of Antiquities in Amman). The representative of the Department of Antiquities was Mr.
Hazem Yaser from Madaba.
The work carried out this year represents a continuation of the surveys in
1992 - 98. Covering approximately 3 5 square kilometers, the area is very rich

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

473

in archaeological sites and monuments some of which were already known,


and in some cases investigated, by members of the Franciscan Archaeological
Institute. 747 sites and monuments - in time ranging from the Lower Paleolithic to the Late Ottoman periods - have been located, described and put on
the map. However, before we are ready to write up the final publication of the
survey a few supplementary investigations of megalithic monuments in the
area would be useful.
The first of these monuments is a large, roughly circular structure discovered and first described by Colonel C.R. Conder in his Survey of Eastern Palestine (London 1889). Above the spring of Ayn Jadidah he found
what he described as a large, oval platform surrounded by a rubble wall and
divided into two irregular portions by a wall running ESE-WNW (cf. the
attached copy of Conders drawing, fig. 1). The monument is situated between a large Late Chalcolithic/Early Bronze Age settlement northeast of the
spring and a high plateau towards south with a large number of dolmens,
menhirs and lines of stones.
In order to determine the date of the circle and possibly to get an idea
about its function, a detailed map of the monument was commenced and in
this connection the stones of the walls were cleared along a 110 meter long
section across the monument.
The investigation showed that the central platform, with a diameter of approximately 45 meters, was surrounded by a rampart, 25-30 meters wide, and
founded on bedrock, sloping towards north, so that the height of the rampart
varies from c. 3 to 8 meters above bedrock.
The rampart seems to be polygonal. It is constructed as a series of segmented terraces apparently filled in with stones and with one or two larger
stonewalls on top. Sherds of coarse pottery found on the stonewalls indicate a
Late Chalcolithic/Early Bronze Age date for the rampart. The same age can be
attributed to a large building, the stone foundations of which were discovered
just below the surface of the central platform,
The rubble wall dividing the platform into two irregular segments, as described by Colonel Conder, is still visible. Byzantine sherds were found among
its stones, and it is built on top of a 10-15 cm thick layer of ancient debris
covering the foundations of the earlier structure. Like some of the more recent
heaps of stone visible on the central platform the rubble wall may possibly be
related to agricultural activities in the Byzantine Period.
Situated between a Late Chalcolithic/Early Bronze Age settlement and a
high plateau with more than a hundred dolmens overlooking the large polygonal platform with its impressive rampart and its major central building - all of
the same age - Conders Circle is a unique and extremely important monument. During two seasons, in 2001 and 2002, we should like to complete our
plan of the site and to carry out supplementary studies of the monument which
hopefully might lead to an understanding of its function. We were therefore

474

RICERCA IN GIORDANIA

horrified when the landowner, Mr. Abdu Awad Turman from Madaba turned
up at the site and told us that he intended in the near future to level the monument to the ground by the help of a bulldozer (2 days work, he said ) in order to build a house on the plateau.
I hope that the Department of Antiquities will be able to preserve the site
or at least to delay its destruction, so that this extremely important and unique
prehistoric monument can be documented as part of Jordans national heritage.
Mt. Nebo, April 17th 2000.
P. Mortensen - I. Thuesen
Danish Institute in Damascus
Carsten Niebuhr Institute in Copenhagen

3. Khirbet al-Mukhayyat Topographic Survey, 2000 (Pls. 54-55)


It is generally accepted that the landscape of any given geographical setting
operates as a key element in its selection for settlement and/or abandonment.
It follows, therefore, that a systematic investigation into the occupational history of a specific human settlement should begin with an understanding of the
physical environment upon which that settlement was built. Implicit in this
strategy is the understanding that landscapes organize physical activities and
represent this organization within a broader cultural frame of reference operating on both the levels of experience (as physical spaces) and perception (as
representations) (A. Smith, Imperial Archipelago: The Making of the Urartian
Landscape in Southern Transcaucasia. PhD Doctoral Dissertation. University
of Arizona, 1996, 38).

Previous Exploration
Sandwiched between the Wadi Afrit and Wadi Mukhayyat, the impressive
mound of Khirbet al-Mukhayyat stands as an opposing edifice overlooking the
Dead Sea and the Jordan Valley visible to the southwest through the Wadi
Jadidah. Located only 9 km northwest of Madaba, modern exploration of
Khirbet al-Mukhayyat began in 1863 with a brief visit by F. De Saulcy, who is
generally credited with being the first to record its name (F. De Saulcy, Voyage en Terre Sainte, Paris 1865, 289-96). In the summer of 1901, A. Musil
explored the site more systematically, identifying the Churches of SS. Lot and
Procopius, and of Amos and Kasiseus, and creating the first detailed topographic plan of the site (A. Musil, Arabia Petraea, Wien, 1907, 334-48, fig. 1).
N. Glueck visited Mukhayyat in 1932, comparing the well-preserved fortifications with those of the fortress at al-Mashhad near Ayoun Musa and al-

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

475

Medeiyineh to the south. He is also credited with identification of the rock cut
along the southern end of the site as a moat (N. Glueck, Explorations in Eastern Palestine, Vol. 2, New Haven 1935, 110-11).
Much of our current knowledge of Khirbet al-Mukhayyat comes from the
efforts of the Studium Biblicum Franciscanum, which began in 1933 with Fr. J.
Mihaichs excavation of the mosaics in the Chapel of the Priest John, on the eastern slope of the tell, and in the Church of Saint George on the acropolis. In the
1960s, an expedition led by J. Ripamonti conducted excavations at Rujm alMukhayyat, as well as a survey of the area that produced two Iron Age tombs,
both of which were subsequently published by S. Saller in 1965 (S. Saller, Iron
Age Tombs at Nebo, Jordan, LA, 16, 1966, 165-298; see also S. Saller - B. Bagatti,
The Town of Nebo (Khirbet el-Mekhayyat), Jerusalem 1949). Work continued in
the early 1970s at Khirbet al-Mukhayyat under the direction of Fr. M. Piccirillo.
It was during this time that a comprehensive preservation and conservation program was initiated involving all of the excavated mosaics and related architecture at the site. In the late 1980s and early 1990s this work continued with detailed
excavations on the acropolis and surrounding area, resulting in the primary data
that has afforded our current understanding of the occupational sequence at
Mukhayyat (for further description, see Piccirillo The Churches on Mount Nebo
- New Discoveries, in Mount Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997.
Edited by M. Piccirillo and E. Alliata, Jerusalem 1998, 221-44). In addition to the
preservation and conservation efforts at Mukhayyat, work was undertaken to
collate and document the extant architecture and topographical elements observed
over sixty years of archaeological investigation by the Franciscans, the results of
which are presented in figures 2 and 3.
The final investigation, which began in 1992 and lasted until 1996, was a
systematic survey of the region in and around the Mount Nebo ridge. A Danish team led by P. Mortensen and I. Thuesen conducted this more recent effort
under the auspices of the Franciscan Archaeological Institute at Mount Nebo
and the Danish Institute in Damascus. During this survey, no less than 747 sites
were documented, with the objective of identifying archaeological sites in order that they might be protected from destruction by modern development or
road construction (Mortensen, P., and Thuesen, I., The Prehistoric Periods,
in Mount Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997. Edited by M.
Piccirillo and E. Alliata, Jerusalem 1998, 85-99).
Consistently, all recorded descriptions of Khirbet al-Mukhayyat by previous explorers have made reference to its imposing physical appearance and its
strategic position guarding one of the primary access routes leading from the
Jordan Valley up to the Madaba Plain. These observations are reinforced by
the well-preserved fortification system that encircles the primary occupation
zone at the top of the ridge, as well as the presence of Rujm al-Mukhayyat, a
fortress-like construction due east from Mukhayyat overlooking the Wadi Afrit
(Benedettucci, F. and Sabelli, R., The Edifice at Rujm al-Mukhayyat, in

476

RICERCA IN GIORDANIA

Mount Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997. Edited by M.


Piccirillo and E. Alliata, Jerusalem 1998, 127-131).

The 2000 Mukhayyat Topographic Survey


The imposing physical landscape surrounding Mukhayyat has commanded the
attention of all visitors, and as such has resulted in several maps, illustrations
and charts being produced for the site and its environs over the course of more
than 150 years of exploration. The work presented here should be viewed as a
continuation of these efforts in striving to define with greater precision and detail the landscape that both encompasses and creates Khirbet al-Mukhayyat.
The Mukhayyat Topographic Survey (MTS) team consisted of the author,
assisted by T. Griffith, D. Elder and R. Saghour, of the Jordanian Department
of Antiquities. In addition, the Tell Madaba Archaeological Project (TMAP),
under the direction of Dr. T. Harrison, provided financial and logistical assistance. Finally, Fr. M. Piccirillo of the Franciscan Archaeological Institute permitted access to the site, in addition to providing archival photos and maps of
the Mukhayyat region.
The goal of any intensive topographic survey is to acquire as much data
as possible regarding the landscape under analysis. In this respect, the MTS is
no different from any other topographic initiative. Although the survey
timeframe was restricted to a four-day period, the use of digital technology
(GPS and Leica Total Station) significantly accelerated the rate of data collection. Over the four-day period a total of 1,478 topographic points were recorded. In order to streamline data acquisition and accuracy, as each days
points were downloaded from the Total Station, the data was subsequently incorporated into an AutoCAD* drawing that also included a digitized top-plan
of all the exposed architecture at Mukhayyat based on the finalized site plan
(see fig. 2). In this way, it was possible to maximize our efforts and avoid repetition in data collection. The primary objective of the survey was to collect as
much topographic information as was possible in order to create a DEM (Digital Elevation Model) that would allow for regional as well as micro-topographical studies. In addition, it is anticipated that once incorporated into a
regional GIS framework, such data would also aid in other studies focused on
more geomorphologic and hydrological concerns.
Although previous mapping efforts have been documented and published, it
was necessary that a new site benchmark be established for all future survey and
excavation work to be carried out at Mukhayyat under this initiative. After a quick
pedestrian investigation of the site, it was decided that the most obvious location
for the site datum would be at the northwest corner of the acropolis outside the
Church of St. George. This location provided excellent line of sight for the entire
length of the tell along its western edge as well as down the Wadi Jadidah towards

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

477

the Dead Sea. A portable GPS unit was used to provide accurate (<3m) elevation
and coordinate data for the new site benchmark. In addition to this datum, several subsidiary reference points were established in order to be able to obtain readings from sections of the ridge not within the line of sight of the primary datum.
So as to maintain accuracy, all subsidiary reference points (4 in total) were
backshot using the primary site datum at the top of the acropolis. This ensured
that all topographic information was tied into the same coordinate orientation. All
coordinate and elevation data were recorded in UTM format for compatibility with
earlier survey work as well as existing databases such as JADIS (Jordan Antiquities Database and Information System).
At the end of the four-day survey period, all topographic information was
collated into a single dataset. Although the DEM efforts are still in progress, some
preliminary results can be demonstrated. To date, two maps have been produced.
The first image, produced using Surfer*, a topographic mapping software program,
is a grey-shaded relief map that emphasizes the more obvious topographical features of the site, in particular, the rock-cut moat towards the southern end of the
site and the acropolis. The second image (fig. 4), created using ArcViews 3D
Analyst* extension, is a contour line and color-shaded map that presents the major
topographical features of Mukhayyat: the acropolis, the northern slope, and the
3-tiered southern ledge, all of which are clearly illustrated.

Observations
It is evident, when one compares these two maps to the earlier topographic images generated for Mukhayyat (figs. 1 and 3), that there are some discrepancies
in the overall shape of the site, particularly on the eastern and southern slopes. In
all cases, the three-tiered profile of the upper mound is clearly documented. However, the discrepancies are more evident in the area outside of what generally is
understood to be the main occupational zone of the site. Musils plan clearly details a more rounded topography that in turn works towards de-emphasizing the
southeastern ledge. It is not clear whether this was intended, or was a result of
inaccurate mapping methodology. The more recent topographical efforts (fig. 3),
while providing an accurate representation of the northern slope and its Ottoman
and Byzantine structures, completely excludes the southeastern ledge. The reason for such exclusion is most likely related to the purpose of this map, which
was to highlight the Byzantine settlement and its structures at the site.
The present initiative attempts to minimize such selective emphasis by
including all encompassing landscape features into the base map. The present
reality is that Mukhayyat demonstrates a slightly inverted S shape, incorporating a gentle slope towards the south and a more sharply everted slope along
its eastern side. This reinterpretation of the topography may have wider implications for Mukhayyat when combined with analysis of the fortifications and

478

RICERCA IN GIORDANIA

settlement history of this and other hilltop fortresses in the region. It is anticipated that as work progresses, efforts to expand the topographic information
database will include the wadi bottoms and opposing slopes surrounding the
site. This will assist in greater magnification of the micro-topography of
Mukhayyat and its relationship to its built environment.
During the initial pedestrian review of the site it became clear that not all
the visible architectural features had been recorded on the most recent plan.
Based on this observation, a secondary objective was incorporated into the
MTS. This further objective was to capture and document the spatial data related to those structures not incorporated into the overall site plan. Given the
time restriction of the 2000 survey, only a few of these elements could be investigated and recorded. If a comprehensive DEM of Mukhayyat is to be created, it is important that this effort continue. Consequently, it is anticipated that
this objective will be a top priority in a forthcoming field season.
A. J. Graham - T. Harrison
Department of Near & Middle Eastern Civilizations
University of Toronto

4. Ayn-Naqa and Tuleilat Qasr Mousa Hamid Excavations 2000


During April 2000 excavations took place at Ayn Naqa and Tuleilat Qasr
Mousa Hamid in the Ghor es-Safi. The project was funded by the Ministry of
Foreign Affairs of Greece and was conducted by a team of Greek archaeologists from the University of Ioannina in Greece.
The main objectives of the project were to investigate the badly robbed cemetery site of Ayn Naqa and search for the settlement which belonged to it. One
good candidate for this settlement was the recently discovered site of Tuleilat
Qasr Mousa Hamid.
At Ayn Naqa, 17 tombs were excavated which were constructed of large
wadi pebbles. Although almost all had been recently robbed-out, important
information concerning their construction and date were gained. Some had
fragmentary and complete objects associated with the burials. On the basis of
pottery and other finds, most could be dated to the Early Bronze Age I-II period (ca. 3,100 - 2,600 B.C.). One tomb had Middle Bronze Age II B period
(ca. 1,750 B.C.) pottery fragments. Similar results were also mirrored in a surface collection which was conducted to the north and south of the excavation
trench. One exceptional find was an early Byzantine tombstone (5th century
A.D.) inscribed in Greek which was recovered immediately to the west, down
slope of the Bronze Age cemetery.
Tuleilat Qasr Mousa Hamid is an extensive, low-laying tell in the Wadi
al Hasa alluvial fan surrounded by modern agricultural fields, with dozens

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

479

of large saddle quern stones and Iron Age pottery strewn on the surface.
Two small test trenches where made on the south-west to distinguish the
outer limits of the site, and one 5m x 4m trench near the centre in order to
determine the depth of stratigraphy. There were two phases of Iron Age II
(ca. 900 B.C.) occupation on orange clay virgin soil. The earliest phase
revealed a wall made of adobe bricks with associated pottery, animal bones,
metalwork and quern stones. The later phase was a ca. 2 meter diameter pit
cutting into the earlier level. The finds from these excavations confirmed
that the pottery and quern stones found on the surface came from stratified
contexts, and that they belonged to a substantial agricultural settlement in
the later Iron Age period.
During a survey at the north-west end of Tuleilat Qasr Mousa Hamid, two
recently dug irrigation pits revealed Nabataean/Roman pottery sherds which
may have derived from a farmstead of the period.
K. D. Politis
University of Ioannina, Greece

5. Report on the second archaeological investigation campaign at the site


of Tell al-Mashhad (2000) (Pls. 56-58)
The second season of the Project of Archaeological Researches in the site of
Tell al-Mashhad (Ayun Musa - Madaba) was carried out during the month of
October 2000, in the framework of the archaeological activities of the
Franciscan Archaeological Institute on Mount Nebo.
The staff was composed of a number of specialists from the Fondazione
Ing. Carlo M. Lerici (Politecnico di Milano): Dr. Fabio Parenti (surveyor),
Dr. Luca Aprile (surveyor), Dr. Paola Conti (geophysist), Dr. Sylvie Coubray
(archaeobotanist) and Dr. Francesco M. Benedettucci (archaeologist and Director). The representative from the Department of Antiquities of Jordan was
Dr. Adnan Nuqrash.
The activities carried out during the second archaeological research campaign at the site of Tell al-Mashhad during the month of October 2000 were
focused on four main objectives:
1) the realization of a systematic topographical map of the site and its
immediate surroundings;
2) three geophysic tests, using georadar and geoelectric instruments, in
selected points of the site surface;
3) continuation of the excavation of an architectonical structure lying
South of the modern road, on the Wadi Ayun Musa cliff;
4) study of the objects found during the 1999 campaign.
The main results may be summed up as follows:

480

RICERCA IN GIORDANIA

Topography
The realization of a topographical map (scale 1:1000) of the site of Tell alMashhad and its immediate surroundings (fig. 1) was one of the main objectives of the campaign. It was particularly urgent, because the only map of the
site is the schematic plan sketched by N. Glueck in the 30s. This sketchplan
did not include the area south of the modern road.
The surveyed area focused on Tell al-Mashhad, but also included the Ayun
Musa springs and the cultivated fields, just at the west side of the site.
During this season it was possible to establish the network of fixed points,
using a tacheometer, and to realize the first preliminary map, to be completed
in the next campaign.
During site reconnaissance it was observed that on the South side of the
modern road, the urban area extended for a further stretch towards the West,
as is shown by the remains of architectonic structures in the direction of the
Byzantine churches of Kayanos and of the Deacon Thomas. In this area there
was a high concentration of masonry structures and surface potsherds, particularly of fragments dating from the Iron II and Byzantine periods. It was also
possible to collect two hand-axes, dated to the Lower Paleolithic period, just
at the entrance of the cave under the springs.

Geophysical investigations
A geophysical prospecting campaign has been carried out on the Iron Age site
of Tell al-Mashhad-Ayun Musa, with the aim of both giving further information about the site (like detecting buried stone structures similar to those excavated in the previous campaign), and possibly giving some indications for the
purpose of planning next excavations.
Three areas were chosen for prospecting; the location is represented in the
topographic map enclosed (fig. 1: A, B, C).
Areas A and C were chosen for the existence of stone structure traces in
the surface, possibly related to archaeological remains. Both of them are inside the site defined by field survey.
Area B was chosen because, even though there wasnt any trace of possible buried structure, it seemed reasonable to hypothesise a settlement, as it
consists in a large, flat area in a predominant position immediately behind the
squared structure on the top of the hill.
Considering the knowledge about archaeological structures and the
stratigraphycal characteristics of the first ground layers, it was decided to use
geoelectric and georadar methods.
The soil is in fact characterized by sand and limes with frequent limestone
stones. In this context electric method, based on the measurements of resistiv-

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

481

ity variation in subsoil, is likely to detect limestone structures as those found


during the excavations. Considering the highly resistive soil, it is necessary for
the structures to be big enough to cause a sufficient contrast in resistivity values. It has been also necessary to carry out measurements with a high density,
to detect even weak anomalies.
As far as georadar method is concerned, based on the propagation of electromagnetic waves in the ground and on the detection of reflection surfaces, it
is also in this case reasonable to advance the hypothesis that it can detect
discontinuities such as those due to stone structures. Nevertheless, results have
been partially compromised by strong surface irregularities, as it often happens
in similar environments. This method was useful for the study of bedrock
morphology, as this represents a strong discontinuity as compared to the soil.
In area A a 30 x 40 meter surface was investigated. The results of geoelectric prospecting have been represented in figure 2, where original resistivity data are given. The strong effect of geological condition is clear: all the
north-east area and a western sector are characterised by high resistivity values, due to the almost total lack of soil: in fact, at the edge of the investigated
area limestone outcrops begin. Values decrease along a long strip with approximate north-south direction, where at least one meter of soil above the limestone is likely to be found. Inside this area some evident discontinuities,
marked with dashed black lines in the figure, are detectable. Considering the
shape, the clear change in resistivity values and their direction, perpendicular
to the slope, like excavated structures, it is reasonable to hypothesise that these
anomalies are due to buried masonry structures. Moreover, most of the times,
the location of these anomalies doesnt coincide with the traces on the surface:
it is possible that these traces are connected with stones, maybe used for delimitation, that are only on the surface.
In the eastern area it is more difficult to interpret the results, because of
the high resistivity that characterises all this sector: in this case possible
anomalies connected with stone structures are much less evident. Anyway, an
anomaly that could be caused by remains of buried structures has been marked
by a dashed black line. In this case a possible structure should lie directly on
the bedrock.
Also area B was investigated both with geoelectric and with georadar
method (fig. 3). In this case the effect of the geological setting is particularly
clear, as values decrease moving from west (where, immediately behind the
surveyed area, limestone outcrops are present) to east. It was possible to detect this bedrock trend also through georadar profiles, that becomes deeper
eastward.
On the map of original resistivity values, no particular anomaly was detected. In figure 3 values after the removing of a third order trend are represented, so as to emphasise lower wavelength anomalies, probably not
connected with geological setting.

482

RICERCA IN GIORDANIA

The clearest feature after this elaboration is a rectangular shaped anomaly


in the south-western sector, about 5 x 7 metres, marked in the figure with a
dashed black line.
In the south-eastern sector a circular shaped anomaly is visible, but it
seems to follow a morphological feature.
In our opinion an excavation in the south-western sector of area B is worth
planning, as it is possible that the mentioned anomaly is connected with a buried stone structure. This could give further data on the site definition and delimitation as no traces of structures are here present on the surface.
In area C, at the boundary of the archaeological site, only geoelectric prospecting was carried out, as the strong slope and the frequent stones on the surface made georadar prospecting more complicated.
Also in this case some possible archaeological features have been detected, while alignments of surface stones dont seem to continue below the
surface.

Excavation
The excavation activities were concentrated on a series of rooms identified in
the southern area of the site, on a cliff about 20 metres above the wadi bed, on
which heaps of stones and detritus probably resulting from the collapse of the
overlying structures lay.
The most significant structure in the area is a massive wall preserved for a
length of about 20 metres, erected directly on the bedrock and emerging from
the ground to a height of at least 1.8 m. It runs in an E-W direction and is built
of large, roughly-dressed dry-laid stones. On the South side it supports the
walls of at least three rooms, two of which excavated during the 1999 campaign (cf. LA 49, 1999, 497-500).
During the season 2000 the excavation tests were concentrated on the
room 3 (figg. 4 and 5); like rooms 1 and 2, this room did not show the presence of a wall in the southern side (just on the edge of the cliff); doors and
windows were also absent.
If rooms 1 and 2 revealed the presence of a very important occupation,
dated to the Iron Age II, with the remains of a very well-made pavement and
many structures (silos and fire-places), the room 3 had not great traces of a
human occupation. Pavements and fixed structures, like fire-places, were completely absent; a possible fire-place was probably in the North-Eastern corner,
but it should have been used very occasionally.
The very scarce pottery collected is datable to the latest phase of Iron Age
II. The most interesting object was a small carinated bowl, found in fragments
at the bottom of the Northern wall. This typology is very well represented also
in the pottery from the rooms 1 and 2.

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

483

Study of the objects from the 1999 campaign


Several charred grain and legume specimens, as well as charcoal from the
wooden container in which the remains of these grains were conserved, all of
which were found in the upper level of room 1, were subjected to a battery of
preliminary tests.
In particular, the wood charcoal specimens were subjected to a type of
analysis that, by using effective identification methods (microscopic examination of cross, tangential and longitudinal sections of the finds) yields an
overall picture of the vegetation of a given environment of archaeological
interest and highlights the type of selection of tree species made by man.
The remains analysed were found to belong to olive tree wood (Olea
europaea), which presumably indicates the presence of olive growing in
the Tell al-Mashhad region. In this period, the whole Near East region underwent intensive deforestation; it is thus likely that the branches pruned
from the cultivated trees were used as firewood, or to make charcoal and
tools. The practice of tree cultivation may be assumed from the exceptional
relative abundance of fruit trees found on the archaeological site between
the Iron Age and the classical periods. The massive use of pruning residues as firewood is a strong indication of the gradual decrease in the forest
areas due to the need for farmland and the exploitation of timber. In the
course of time, therefore, the landscape became more open and more permanently determined. In the 2000 campaign was also possible to identify
remains of other types of woods, like Salix (willow) and Pinus Halepensis
(Halep Pine).
Seed remains were subjected to carpological analysis. In the case of cultivated plants, this type of test can yield a picture of the gradual spread of the
individual domesticated species in time and space, as well as allowing an estimation, in palaeoeconomic terms, of the relative importance of each species.
A complementary approach is also possible through the study of weeds, the
phytosociological and ecology study of which affords an idea of the crop situation over time, of the nature and fertility of the soil, farming techniques, the
sowing seasons and the harvesting processes.
In the case of the carpological remains of Tell al-Mashhad, two particularly abundant species were identified, Hordeum vulgare (4-6 rowed unhusked
barley), in the sub-sample of which caryopses of one-seeded grain, probably
Triticum aestivum/durum, Hordeum distichum (two-rowed barley) and an oat
grain (the latter two may be considered as weeds vis-a-vis barley), and Lens
culinaris (lentil), the sub-sample of which contained several seeds of a weed
of the Galium aparine type, which could provide interesting data concerning
the cultivation of leguminous crops around Tell al-Mashhad. It is also of interest the practice of food conservation, particularly in the case of barley, the
seeds of which were enveloped in their gluma at the time of charring. Other

484

RICERCA IN GIORDANIA

important species were Pisum (peas), Vicia Ervilia (chick-pea) and Vitis
(grape-stone).
As for pottery, the objects from rooms 1 and 2 seem datable to the latest
phase of Iron Age II (VIII-VI century B.C.). The best represented types are
the carinated bowls, whose diameter does not exceed 10-12 cm., the Ridged
Neck Jars and kraters with a large mouth and a great number of handles (2 up
to 8). Bowls and kraters are very well represented also in the production
emerged by the Khirbet el-Mukhayyat tombs.

Conclusions
1) The nature of the site. Tell al-Mashhad appears to have been a mainly agricultural settlement, as demonstrated by the great number of grinding stones,
mortars and pestels scattered on all the site surface. This hypothesis can also
be confirmed by the presence of the spring and by the richness and fertility of
soils in the vicinity of the site.
The settlement was probably structured in terraces, realized to create a
solution in the natural slope of the hill. This situation is confirmed by the presence of a number of lines of stones, running usually in the East-West direction. It is probably the case of the Northern wall of rooms 1, 2 and 3.
2) The nature of the excavated structures. The area of the excavations carried out during the seasons 1999 and 2000 revealed the presence of a number
of rooms, whose use was mainly domestic/communitarian. In fact, the room 1
seems to have been a store-room, as demonstrated by the presence of a great
number of jar potsherds, with an occasional use as kitchen, for the presence of
a fire-place in the North-Western corner. The room 2 showed the presence of
at least three fire-places with a high number of potsherds from jar, kraters and
cooking-pots. The room 3 was very different from 1 and 2 for the absence of a
pavement. Probably it was used only occasionally, as demonstrated by the possible presence of a very small fire-place in the North-Eastern corner.
3) Chronology. Until now, it seems still very difficult to establish a complete occupational sequence of the site.
The main occupational phase seems to have been the Iron Age IIc (about
720-550 B.C.), corresponding to the period of Assyrian and Babylonian domination of Transjordan. The two inscriptions found during the campaign 1999,
and the most of the pottery typologies are datable to this period.
The last phase of occupation was the byzantine period, particularly in the
western sector of the site, where a small necropolis, probably linked to the
presence of the churches of Kayanos and Deacon Thomas, is still visible.
F. M. Benedettucci
Fondazione Ing. C. M. Lerici - Studium Biblicum Franciscanum

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

485

6. Tell Madaba Excavations, 2000


The 2000 Tell Madaba Archaeological Project (TMAP) field season represented the third year of full-scale excavations in Fields B and C on the western slope of Tell Madaba, and continued the effort to document the extensive
archaeological sequence preserved on the tell acropolis begun in 1998. The
season was conducted between July 9 and August 27. The principal objectives
in Field B were to 1) complete excavation and documentation of the Early
Roman/Nabataean (Field Phases [FP] 2 and 3) and Late Hellenistic (FPs 4 and
5) strata, 2) consolidate the architectural remains from these strata, 3) establish the parameters for continued excavations into earlier, pre-classical strata,
and 4) continue excavation of the Iron Age (FPs 6 and earlier) remains defined
within these parameters. In Field C, meanwhile, the primary goal was to complete the excavation, documentation and consolidation of a series of Late Byzantine/Early Islamic structures to the west of the pre-classical city wall
damaged by bulldozer clearing operations in the early 1980s.
By the end of the season, excavation of the Late Hellenistic and Early
Roman/Nabataean strata first articulated during the 1998 and 1999 seasons was
complete, with Iron II levels fully exposed (and partially excavated) within a
confined area (ca. 10 x 15 m) against the interior of the town fortification wall
(for further description of this sequence, see previous report in LA 48 [1998]:
536-39). The excavations in Field C, however, revealed the well-preserved remains of a building complex considerably more extensive than previously
thought, and therefore warrants additional description here. The two-phase architectural sequence spanning the Late Byzantine/Early Islamic transition (6th7th/8th Centuries C.E.) first hypothesized in 1998, and reinforced with
stratigraphic evidence in 1999, was further substantiated by the 2000 season
findings.
Initially believed to have been isolated shops that backed against the preclassical town fortification wall, the 2000 season excavations demonstrated
unequivocally that these structures were the back rooms of a large building
complex, at least 20 m [N-S] x 30 m (E-W) in size, that faced on to a possible
north-south street to the west. The complex was erected on a series of bedrock
terraces that ascended from the west toward the fortification wall. Although
the building has not yet been fully excavated, thus far excavations have revealed a series of interconnected rooms with variously paved floors. In at least
two rooms, the floors were paved with decorated mosaic pavements. One contained a field of fleurettes or rosebuds framed by a double-swastika meander
border, while the second depicted a large amphora flanked by a ram and a
horned stag, with a simple border of diamonds. Several rooms preserved remains of arches, and in one case an intact vault, which had supported a second
story to the building. At least one second-floor room contained a decorated
mosaic floor.

486

RICERCA IN GIORDANIA

One of the more striking features of the Field C building is the elaborate
water system that serviced it. Fragmentary pieces of large ceramic drainpipes
were recovered from the excavated debris, and several meters of intact clay
piping were found embedded behind plaster in one of the buildings walls. In
another room, the excavations revealed a network of water channels and trapdams concealed beneath a heavy flagstone pavement. In addition, many of the
buildings rooms were equipped with rectangular stone drainage basins. The
building also produced a wealth of small finds, including a ceramic assemblage
representative of the 6th and 7/8th centuries, a bronze jug and other metal
implements, several coins and a ceramic stamp seal. While the primary function of the complex remains unclear, its layout and associated finds suggest a
wealthy private residence.
Timothy P. Harrison
Department of Near and Middle Eastern Civilizations
University of Toronto

7. Finnish Jabal Haroun Project 2000 - Preliminary Report (Pls. 59-61)


The Finnish Jabal Haroun Project (FJHP) has carried out its third fieldwork
season between August 4 and September 21, 2000. The project is directed by
Prof. Jaakko Frsn, University of Helsinki, and sponsored by the University
of Helsinki and the Academy of Finland. The Projects personnel included almost 30 archaeologists, cartographers, conservators and students from Finland,
Sweden, Italy, Jordan and the US. The excavation site is a large, ruined architectural complex located on a high plateau below the summit of the Mountain
of Aaron (Jabal Haroun) near Petra in southern Jordan. According to the Jewish, Christian and Islamic traditions, the mountain is believed to be the burial
place of Aaron, Moses brother. The 2000 excavations continued to expose the
mono-apsidal, basilican church, the chapel, and other structures, all being the
components of a Byzantine (5th-7th century A.D.) monastic /pilgrimage center dedicated to St. Aaron. Simultaneously, the Projects survey team continued its field investigations in the environs of Jabal Haroun.

Cartographic Activities
The main objective of the cartographic work was the continuation of the 1999
activities in way to produce a 3D computerized model of the entire Jabal
Haroun mountain and its environs. For this purpose a variety of activities were
conducted including the gathering of topographical and locational information,
tachymetry, digital photography, and photogrammetry. Simultaneously, the

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

487

members of the cartographic team were daily involved in assisting the excavation and survey teams in recording all structures, strata, features, and main artifacts which emerged or were noted during the excavation and survey. The
cartographers have also recorded significant topographical features of the surveyed area, which helped to create a detailed map and a computerized 3D
model of the area, and which will be instrumental in understanding of the relationship between the environment and the human-made agricultural multipurpose installations which are located there.

The Excavations
The purpose of the third season of excavations at the site of the Byzantine
monastic/pilgrimage complex of St. Aaron was to expose the selected but representative yet non-ecclesiastical parts of the complex, in addition to the continuation of excavations of the church and the chapel. The excavation work
was conducted in five trenches designated Trench I, J, K, L and M (see Fig. 1)
The excavations in Trench I covered the western part of the chapel, where there
is a door connecting the north aisle of the church with the chapel. Well preserved northern wall of the chapel was exposed as well as the remains of the
western wall. The extant flagstone pavement appears to have been a stone
buildup for a secondary (latest) floor in the chapel. Two pilasters supported a
N-S arch which spanned the space of the chapel in this area. Four stone
benches were built against the walls. The removal of the series of substantial
stone tumbles inside the chapel yielded numerous fragments of painted plaster, some still attached to the stones. In addition to possible floral designs, several fragments featured painted Greek letters. The sounding against the western
bench exposed well preserved remains of a baptismal font of a cruciform type,
all plastered over (Fig. 2). The font was skillfully integrated with the bedrock
in this area. The baptismal installation should belong to the earliest phase of
occupation in the chapel. However, the font was apparently abandoned and
backfilled, probably after the first destruction of the church and the chapel (end
of Phase I). It is reasonable to assume that the painted plaster fragments found
in Trench I belonged to the original (earliest) decoration of this room, probably on the western wall, when it functioned as a baptistery. Probably, the extant remains of the western wall represent its rebuilt form from Phase II, with
discarded plaster fragments thrown in as the walls fill.
Ca 11 m west from the chapel is Trench J. The selection of this area for
excavation was dictated by a need to ascertain the nature of occupation in the
area northwest of the church, i.e., between the cistern and the North Court. The
excavations revealed a structure which consisted of three rooms - South, North
and Northeast rooms (Fig. 3). The occupation of this structure was long-lasting, including modifications and attachments of walls, buttresses and installa-

488

RICERCA IN GIORDANIA

tions. Of particular interest is South Room which, at a certain point of time,


was subdivided by a N-S wall with a doorway. The room was accessed by a
door on the west side and later, an arch was inserted into the doorway, perhaps
as a response to a collapsed lintel. Two installations were inserted in the eastern part of that room, including a large pithos-like jar internally lined up with
the waterproof mortar, and a small bench-like structure. Still later, the jar was
filled up with the lime slag refuse, apparently when the entire room was no
longer in use. The North Room features flagstone pavement. Its interior was
filled by stone collapse but the lowermost layer - a very sandy soil - contained
more than 40 000 stone tesserae of a large size, monochrome type, which are
generally found everywhere at the site. It appears that the room was a collecting and storing point of these objects at a certain point of time, probably in
anticipation of their burning for lime. Intensive occupation also took place in
the area between the South Room and western walls of the narthex of the
church. Three water channels were found there, two probably being gutters to
collect water from the walls of the structure, and the third one probably for
carrying water from the cistern to an unknown collecting point east of Trench
J. The soil layers associated with these channels featured numerous broken
cooking pots, bones, heaps of ash and concentrations of charcoal.
Farther west is Trench K which covers the highest area at the site, including the central and the northern room, out of three such spaces located at the
western side of the monastic complex. The excavations of the central room
revealed a large structure, well built with very large sandstone ashlars of a type
not observed anywhere at the site (Fig. 3). The structure continues north, turning into a large (northern) room with arches still preserved on the surface. That
northern extention was not excavated in 2000. The interior of the structure was
completely filled up with stones carefully laid out in layers. Two separate systems of steps and landings led up to the top of this structure and the adjacents
ones. It is possible that the structure represents a monumental platform or podium for a non-preserved superstructure. Considering the unique type of masonry and the substantial differences in construction between this and the other
structures at the site, it is most probable that it represents a Nabataean/Roman
period building adjacent to the cistern. Also, an extensive clearance of the area
between the platform and the cistern took place in 2000. A paved courtyard
was exposed there which features two flagstone floor levels, and a bench built
against the wall of the platform. Between the platform and the building in
Trench J, there was a single E-W arch supported by pilasters and arch springers, which probably marked the entry from the cistern area into the passage
leading to the North Court.
Trench L covers the western-central area (part of the nave) of the Phase I
church, which most probably became an open court (atrium) in Phase II. The
excavations revealed well-preserved flagstone pavement which was laid out in
Phase II, but the soundings in this pavement have exposed remains of the bed-

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

489

ding for the earlier, marble pavement. The wall which partitioned the church
in Phase II was exposed too, and its interior featured many reused broken fragments of marble furnishing of the Phase I church. Surprising was the lack of a
massive buttress built against this wall on its western side; such buttress was
found in the adjacent square (B). Remains of the late occupation of the court
(campfires, bones) were also found on the top of the extant pavement.
Finally, the excavation activities included the area of the southern half of
the central apse of the basilican church and its south pastophorion (Trench M).
The excavated part of the apse revealed well-preserved two rows of the
synthronon installation but the marble pavement of the apses interior was very
fragmentary. Inside the pastophorion, an enigmatic installation was found built
against its northern wall. The installation resembles a small tomb or large, deep
storage bin constructed of stone blocks and having a roof made of slabs. The
interior was relatively deprived of finds, excluding some fish bones. Adjacent
( in the NE corner) was a circular pithos-like stone installation with a small
opening at the top, which also did not yield any finds. The larger installation
may have served as a tomb or ossuarium, but most probably this function
changed into some sort of storage at the later time. Although both installations
appear secondary, i.e., should not be associated with the earliest phase of the
churchs existence, they were most probably built in Phase II when the entire
structure had still retained its ecclesiastical function.

The Survey
An archaeological survey was continued in two separate areas. The most extensive work was conducted in the area southwest of the mountain, between
Wadi es-Saddath, Wadi al-Mahatta, Wadi Theran at-Tulua and Jabal al-Farasa.
The purpose was to cover the runoff area of these wadis. A small-scale fieldwork was conducted on the slopes of Tafet Jabal Haroun, on the northern and
northeastern side of the mountain. In total, the survey areas covered approximately 1,053,000 square meters.
The surveyed areas (denoted by H, I, J, and W) were systematically walked by
the survey members in order to collect surface material (lithics and pottery)
and to locate and record archaeological sites. In these areas, 30 major sites
were recorded, including numerous barrages and terrace walls (in clusters of
several such structures per site). The largest barrages (over 40 m long and 4.5
m high) are on an alluvial plain in Area I. Different types of barrages were
discerned on the basis of their location in wadis and their function which included slowing down runoff water or keeping fertile surface soil in small terrace fields. Six Middle and Late Paleolithic sites recorded in 2000, can be
preliminarily divided into quarry sites, ridge sites and microlithic sites. Particular attention was paid to the nature of the bedrock and the origin of flint

490

RICERCA IN GIORDANIA

and chert used on sites. The geomorphology of the area and flow mechanisms
of surface material were also investigated. Remains of an ancient road from
Wadi Araba (through Abu Khusheiba) to Petra were documented, including
the ruins of several small buildings alongside. These road remains are most
probably related to the road already recorded in Area T, during the 1999 survey. The road probably dates to the Nabataean/Roman period, although the
extant remains (including the rudimentary pavement) may be of a later date.
The survey of the northern and northeastern side of Jabal Haroun has yielded
six new sites, the small number of which being probably related to the steep
topography of the area. A dwelling site with at least three house remains
was recorded. The site is on a steep slope; the difference in altitude between
the lowest and the highest structure is over 40 m. A preliminary estimate for
the occupation span of the site ranges from the Nabataean period to the
Middle Ages.

Finds and Other Activities


Large quantities of ceramics were recovered during the 2000 campaign, including types (probably late) which were infrequent or absent in the finds of the previous seasons. The majority of pottery types were cooking pots and jars, an
observation which appears consistent with the nature of occupation in some excavated areas. Glass finds were numerous too and primarily included 5th-early
7th century church lamps. Two types were common: three-handled lamps with
wick, and polycandelon type with hollow stem. Also, some window pane glass
was found. Other finds included a multitude of decorated marble fragments of
churchs furnishing, such as screens, (altar?) tables, liturgical vessels, etc..
In addition to the consolidation and repairs of the walls, a specialized and
expertly repair of the wall plaster over the synthronon in Trench M was undertaken by the Projects conservators. They also consolidated marble pavements
previously exposed in other trenches, and wall plaster which still adhered to
the newly excavated walls. The conservators have also reinforced and consolidated pavements and benches in the area of Trench K, and protected the
painted plaster on stones coming from Trench I. Samples of that plaster will
undergo further conservation in Finland.
Further studies and conservation tests were conducted on the mosaic floor
discovered during the 1999 campaign and located in the churchs narthex.
Originally, the mosaic featured an almost symmetrical arrangement of zooand anthropomorphic designs on both sides of the central door to the basilica,
a colorful border band of three intertwined bundles or chevrons, and some
separate intricate geometric designs (Fig. 4). Except for the entire chevron pattern, geometric designs, and the occasional fragments of human or animal bodies, the designs are not preserved since the mosaic was heavily altered by

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

491

iconoclastic activities. The iconoclasts had removed not only almost all faces
but also main parts of human and animal bodies, and replaced them with plain
large-size tesserae. However while the replacement was generally well-done,
the removal was often careless, thus the preserved details allow for an overall
reconstruction. This kind of deliberate damage which, however preserves the
mosaic in its entirety, is generally dated to the 8th century (late Umayyad-early
Abbasid period), and is known from other churches in Jordan and Palestine.

Preliminary Observations
The FJHP 2000 fieldwork season has provided substantial amount of information concerning the site and its environs, which will be properly studied and
assessed in the nearest future. However, there is no doubt that the general phasing scheme (= three major phases) of the churchs history, as developed after
the 1999 campaign and presented in ADAJ 1999, will remain unchanged.
The most important new element in the assessment of the architectural chronology at the site is the appearance of a large, apparently non-Byzantine monumental building at the site, which seems to date to the Nabataean/Roman
period. The location of Jabal Haroun in relation to Petra and to some main
communication routes would make it natural to expect Nabataean occupation
remains situated on the plateau below the mountains summit. The platform
might have served as a base for a large watchtower. However, considering the
quality and monumentalism of the design, and the presence of architectural
elements (cornices) which could have belonged to such, and which were found
reused in the church construction, a sacral structure (temple? shrine?) seems a
more plausible suggestion.
Significant is also the discovery of the baptistery in the space of the
chapel. The cruciform baptismal font is the second installation of this kind
known from southern Jordan, closely parallelled by the canopied font from the
Petra church, uncovered in 1996. The Jabal Haroun font should date to the
earliest phase of Byzantine occupation (Phase I), most probably dated to the
later 5th century A.D., which is also the date of the Petra church baptistery. It
is notable that apparently after the first destruction, not only the font but also
the baptismal function of the room appear to have been abandoned. Instead, in
Phase II, the chapel received a large masonry pedestal in the apse, which could
have served as a depository of relics. One may wonder whether the relics were
translated from the summit top shrine (under the current Islamic weli) down to
the plateau and into the newly refurbished chapel during Phase II.
Of interest is also the evidence for activities which were discerned in the
western part of the monastic complex. It is highly probable that some of the
fillowing were conducted in the latest phases of the churchs use and probably
afterwards too. In addition to remodelling, reconstructing and rebuilding of

492

RICERCA IN GIORDANIA

structures (thus probably also changing their initial function), extensive cooking is well evidenced. It is also probable that lime burning and slaking took
place somewhere within the area of monastic complex. So far, the firmly dated
and well-parallelled ceramic material from the FJHP site includes types not
later than the end of the 7th century/early 8th century, but it is reasonable to
assume that further studies may push this date forward.
Jaakko Frsn and Z. T. Fiema
University of Helsinki

8. Umm al-Rasas Campaign 2000 - Excavation Report (Pls. 62-63)


As in previous years, the Umm al-Rasas Archaeological campaign has been
funded by the Custody of Terra Santa and the Italian Ministry of Foreign
Affairs.
The excavation in this campaign was concentrated in Locus 09 (Atrium
of the Church of Saint Paul). An area delimited to the east by the winery (Sector 06), to the south by the rooms set externally to the Chapel of the Peacocks
and to the north by the atrium and the service rooms of the Church of Saint
Paul (Sectors 01, 02, 03 and 04). The excavation turned out to be more complex than expected. A deep and vast edifice came immediately to light, in
some way related to the presser, probably used as a semi-underground warehouse (fig. 1-2).
The 13 by 8 meters edifice is divided into two separate but intercommunicating areas. It was reached through a flight of steps that started from the west
corridor of the winery (sector 06) and led to the first lower floor. The staircase
was divided into two flights of steps by a landing, on which there opened two
small slit windows that gave light to the north room. The entrance to the south
room was set at the level of the second step of the lower flight. Beyond the
door, five irregular steps set on a wall led down to the underlying rooms. These
are made up of a series of five long narrow areas lying in a north-south direction divided by four series each having two arches. A series of five small
arches, in an east west direction, developed from the space between the arches.
The ceiling, made of stone slabs, rested upon these arches. At the time of the
excavations, the only ceiling slabs in place were those set at the end of the
entrance stairs. The rest of the slabs were brought back to light within the collapsed debris together with a certain number of doorjambs, a positive witness
to the existence of a higher floor, and a segment of a masonry wall found in
the north west corner discovered during the 1999 campaign (cf. excavation
report LA, 1998, 542-546).
The floor of this room was made up of stone slabs set one against each other
and which was also the ceiling to a further underlying area. As a result of the

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

493

investigations that were possible to carry out in the area, this underlying area
must have been very similar, structurally, to the upper level. The floor / ceiling
slabs were discovered broken up and caved in, as a result of the fall, up to the
floor level of the lower storey. We found only two slabs that even though broken were still in situ. It was only possible to partially bring to light two arches
of the lower level. The space between the arches was completely jammed by the
stones from the collapse and ash and earth from the abandonment. The floor of
the lower level turned out to be the natural bedrock that had been flattened. This
floor turned out to be at a level of 7.466 meters to the Umm al-Rasas GPS point.
It was not possible to establish the access point to this lower level due to the
grave problems relating to the stability of the structures.
An aperture, set between the spans of the last two arches to the west, led
from the south to the north room. The sectors in this area turn out to be very
much different from the ones in the south room, both in structure and stratigraphy. The room turns out to be made up of a single level covered with stone slabs
held upon three arches having an approximate span of 5m and having a beaten
earth floor. All the three arches are fallen. Four slit windows opened on the west
wall that also had a square niche. Below the windows there ran a raised wall
filled with stones and yellow earth. Two further slit windows were set in the east
wall overlooking the stair landing. Beneath the windows there was a recess in
the wall delimited by a low wall. The two central sectors, partially excavated up
to the beaten earth floor level are characterized by the presence of a segment of
a pilaster and a north south wall which crest is at the same level as the floor. The
portion of pilaster rests against the south wall of the area and is what remains of
a pilaster that probably rose upon the resulting base set between two arches to
support an upper structure of which no traces remain.
The two areas are very different in their stratigraphy. The larger south area
made up of two superimposed levels, was completely full of the collapse of the
stone structures, particularly the arches and the stone slabs that covered both
levels. Slabs and arch ashlars were discovered up to the level of the rock flooring of the lower level. A hearth was identified, where the ceiling was still in situ,
where the stairs meet the first arch to the east. This is the only witness to a late
re-use of this sector of the area. The ash of the hearth abundantly filled the strata
beneath the arch. Burnt mud bricks, one of which still intact, were discovered in
the ash. Descending below the lower floor ceiling, we discovered a stratum of
soft yellow earth, mixed with patches of ashes that contained fragments of burnt
earthenware and wall plaster. Of the arches, which delimited the only space in
which it was considered possible of extending the excavations in depth, the top
ones had collapsed one on top of the other in an eastern direction. Having documented the collapsed arch, it was removed to uncover what was left of the lower
rooms ceiling, and to allow us to proceed with the in-depth excavation. The
lower arches were structurally intact. The top ashlars of the arches show a hewn
lodgement to take the ceiling slabs.

494

RICERCA IN GIORDANIA

The stratigraphy of the North room was different; all of the area turned
out to be filled up by a large stratum of compact yellow earth, mixed with elements from the collapse. Large fragments of white plaster and mortar were
found as well as abundant patches of ashes. The stratum of yellow earth and
elements from the fall extended to the beaten earth floor, brought to light only
at the south corners of the room. The beaten earth floor in the two corners
shows diverse characteristics; darker and less compact to the west, lighter in
colour and much more compact and carefully prepared and laid in the east. The
collapse of the closing east wall on top of that of the arch was found still in its
original fall position in the vicinity of the northeastern corner.
The excavation of this vast deep edifice, totally unexpected in this zone of
the Saint Paul and Peacocks complex, sheds new light on the life in the city of
Umm al-Rasas, thanks to the fact that, for the first time, we have had the opportunity to excavate a multi-storied edifice. The building is practically deprived of any indications that could help us understand its function.
Notwithstanding this, its structure as well as the explicit relationship it finds
itself in with the wine presser in the vicinity, one can deduce that the building
was used as a warehouse and not as a dwelling place. Thus the complex acquires a different configuration; in the area between the two churches there had
been built a large and well-organized industrial complex for the production of
wine, complete with presser and warehouse.
J. Abela - C. Pappalardo
Studium Biblicum Franciscanum

9. Una nuova chiesa nel villaggio di Massuh - Madaba (Tavv. 64-67)


Il ritrovamento di una base di colonna modanata a nord delle rovine del khirbat
di Massuh, 10 km a nord di Madaba, 3 km a est di Hesban, ha condotto allidentificazione di una nuova chiesa. Lindagine archeologica condotta dal
Dipartimento delle Antichit di Giordania rappresentato dal signor Hazim
Yaser Ispettore delle Antichit di Madaba, in collaborazione con lo Studium
Biblicum Franciscanum del Monte Nebo, si protratta dal mese di agosto a
quello di settembre del 2000.

Le rovine di Massuh
Le rovine furono visitate dagli esploratori del Survey of Eastern Palestine nel
1881 che notarono un esteso edificio a sud est del khirbat. Nel 1970 il Dipartimento delle Antichit inizi lo scavo di una chiesa sul pendio orientale del
khirbat con un doppio pavimento mosaicato, che fu in parte pubblicato da Van

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

495

Elderen. Lo scavo fu ripreso e esteso a tutta la chiesa nel 1983 dagli archeologi del Monte Nebo. Per studiare il mosaico inferiore fu deciso di rimuovere il
mosaico superiore della navata centrale, in seguito esposto nellambito del
Parco Archeologico di Madaba (LA, 1983, 335-346).
Le rovine del khirbat si sviluppano da sud a nord su un poggio della campagna a nord di Madaba e a est di Hesban, che supera gli 800 metri di altezza.
Un nuovo elemento alla topografia del villaggio lhanno aggiunto recentemente i tombaroli sempre pi attivi e determinati alla ricerca di un oro impossibile. Tra i campi, a sud ovest delle rovine del villaggio e a nord est, hanno
setacciato palmo a palmo un esteso cimitero con tombe ad arcosolio scavate
nella roccia del sottosuolo che sono state meticolosamente depredate. Tra le
tombe del cimitero di sud ovest abbiamo notato alcune cisterne scavate sempre nella roccia del sottosuolo, un pressoio, e una possibile casa colonica quadrangolare con al centro una cisterna.

La nuova chiesa
La nuova chiesa di forma basilicale monoabsidata (25 m x 15 m). Delle
murature resta solo la traccia del perimetro e il primo ricorso del muro
orientale costituito da grossi blocchi squadrati con bozza bassa (fig. 1).
Nel mosaico restano le linee di tessere di contorno della porta centrale in
facciata. Il tetto era sorretto da colonne di cui restano in situ alcune basi
modanate in pietra. La luce tra le colonne di soli 1.30 m. La ricostruzione
ipotetica della struttura muraria possibile seguendo il limite del mosaico del
pavimento del corpo della chiesa e di quello del presbiterio.
Il presbiterio sopraelevato di almeno due gradini si sviluppa fino alla terza
fila di colonne. I gradini con gli incavi per la balaustra furono rimossi. Lincasso sul fianco della base dellallineamento sud permette di tracciare la linea
dei pilastrini e dei plutei della balaustra. In relazione con la corda absidale si
sono conservate, ad appena 15 cm di profondit sotto il livello di superficie, le
basi delle colonne del ciborio e gli incassi delle colonnine dellaltare nella calce del letto di preparazione del mosaico. Al centro tra le colonnine era conservata in gran parte la custodia in pietra a forma di croce del reliquiario (fig. 2).
Un frammento di colonnina quadrangolare era ancora inserito nel suo
alloggiamento di calce allinterno dellallineamento della balaustra a sud dellingresso del presbiterio, che abbiamo identificato con il sostegno di una mensa per le offerte.
Nella navata nord della chiesa, allaltezza dellinizio del presbiterio, un gradino interrompeva il programma musivo introducendo in un ambiente che serviva da anticamera al vano di servizio orientale a nord dellabside. Una installazione
simile era stata ottenuta in un secondo tempo nella navata meridionale di fronte
allambiente di servizio corrispondente, con linstallazione di un chiusura pog-

496

RICERCA IN GIORDANIA

giata sul mosaico, a giudicare dallincasso sul lato sud della base della colonna, e
dalla presenza di una struttura quadrangolare in malta di calce poggiata sul mosaico al centro della navata (fig. 6). Anche qui questa area protetta serviva da
anticamera allambiente di servizio meridionale a fianco dellabside.
La chiesa sub una ristrutturazione che interess la navata centrale. Alcuni
blocchi quadrangolari in pietra addossati alla parete interna delle basi
modanate, intonacati e inseriti nel mosaico con laggiunta di una linea di contorno, rimandano ad un ridimensionamento della larghezza della navata o ad
un rafforzamento della struttura preesistente.
Nel mosaico della navata sud, nei pressi della parete, si nota la traccia di un
doppio pilastrino quadrangolare aggettante nella navata, anomalia sottolineata
dal programma musivo. Abbiamo pensato allesistenza di una porta. In continuazione, sempre nellangolo di sud ovest della navata sud, fu ottenuta scavando in profondit una vasca impermealizzata allinterno con calce idraulica.

Il mosaico
Il pavimento della chiesa fu mosaicato con un programma vario e tecnicamente
curato anche nel taglio e nella messa in opera delle tessere, oltre che nella scelta
delle composizioni geometriche di base. Sul piano tecnico, i mosaicisti fecero
uso di diversi tipi di tessere differenziate nelle misure: piccole nel presbiterio,
medie nella navata centrale, pi grandi nelle navate laterali, di modulo maggiorato nellintervento di restauro. In una iscrizione della navata nord nei pressi del
gradino in pietra dellambiente di servizio si conservato il nome di un benefattore: +Signore Ges Cristo accetta lofferta del tuo servo Epifanio, di sua moglie e dei suoi figli, il quale per voto abbell (la chiesa) (fig. 3).
Nel presbiterio una fascia di acanti con frutti chiudeva allesterno sui lati
e sul lato occidentale larea rettangolare centrale absidata circondata da una
treccia a doppio capo. In un secondo tempo sul mosaico furono inseriti laltare
con il reliquiario e le basi del ciborio.
Nellarea a ovest dellaltare si riconosce il motivo di una coppia di pavoni
affrontati, di cui resta la coda con gli occhi, con sui lati un motivo vegetale
con boccioli di fiori rossi a cuore intercalati da volatili. A est dellaltare si sviluppa fino al semicerchio absidale un albero di pero. Tra le fronde di colore
grigio dellaberello, risaltano le pere rese con tessere gialle. Tecnicamente il
mosaico si fa notare per la misura quasi miniaturizzata delle tessere policrome.
Nella navata centrale, che risulta il settore pi danneggiato, aiutandosi con
i pochi stralci di modeste dimensioni rimasti, possibile immaginare la composizione generale. Il tappeto, circondato da una fascia di girali di acanto animati con scene di vita e da una fascia continua di cancorrenti, era suddiviso in
due pannelli. La decorazione del pannello orientale era impostato su una composizione di croci di scuta.

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

497

Nel pannello occidentale era stata eseguita una grande e elaborata composizione di cerchi intrecciati di diverse dimensioni degradanti verso linterno
circondata da una treccia a due capi allinterno di un quadrato. Negli angoli
tra la treccia e il quadrato erano state inseriti due volatili affrontati ad unanfora biansata da cui fuoriuscivano viticci con grappoli duva. I girali dangolo
della fascia perimetrale erano decorati con maschere fogliate (fig. 4).
Nei girali superstiti della fascia perimetrale si riconoscono scene di caccia, volatili e animali. Sul lato sud, con una gazzella che si gratta il muso con
il piede, resta un giovane vestito di una corta tunica bianca legata alla vita che
tiene un cervo per le corna ramificate (fig. 5). E lunica figura umana del
mosaico giunta quasi intatta.
Gli intercolunni come le due navate laterali erano in gran parte decorati
con composizioni geometriche.

Restauri nel mosaico


Vistosi restauri eseguiti con tessere bianche di modulo maggiorato e perci
facilmente isolabili sono presenti nel mosaico. Un ampio stralcio di tessere
bianche fu aggiunto sul lato ovest della fascia del presbiterio a sinistra dellingresso, forse in relazione con un allargamento dellarea.
Nella navata centrale, il restauro riguarda principalmente il perimetro dei
pilastri quadrangolari aggiunti alle basi di colonne originarie. Dettaglio che pu
servire come punto di riferimento cronologico per datare anche i restauri del
mosaico al tempo dellintervento strutturale di rimpiccolimento o di rafforzamento della navata centrale.

Arredo liturgico
Con le basi del ciborio, lalloggiamento dellaltare, una colonnina della tavola
per le offerte e la custodia in pietra del reliquiario sotto laltare, nello scavo
sono stati recuperati alcuni frammenti di plutei in scisto bituminoso, uno dei
quali con resti di una doppia linea di iscrizione in greco, una colonna in scisto
bituminoso del ciborio con intagliata una croce sul fusto e alcuni frammenti di
marmo.

Conclusione
Nella chiesa gi nota di Massuh, ubicata al centro delle rovine, ci eravamo
soffermati sul presbiterio sopraelevato e prolungato nella navata. Lesame archeologico in questa chiesa aveva chiarito una evoluzione del presbiterio e

498

RICERCA IN GIORDANIA

della balaustra di chiusura veramente singolare che si poteva seguire cronologicamente dal quinto alla seconda met del settimo secolo.
Nella chiesa nord che presentiamo, un elemento singolare, da approfondire sotto laspetto liturgico, costituito dallarea protetta da una chiusura aggiunta nelle due navate laterali di fronte allambiente di servizio. Lelemento
quadrangolare costruito in malta di calce aggiunto sul mosaico della navata sud
nellarea allinterno della balaustra, pu spiegarne la funzionalit con la possibile presenza di un reliquiario. Parallelamente, anche la divisione originaria
nella navata nord, potrebbe avere la stessa funzionalit.
Da un saggio in profondit al centro della chiesa fino a raggiungere il terreno vergine, si potuto chiarire la contemporaneit tra la costruzione della
chiesa e il programma del mosaico pavimentale. Dallesame delle tipologie
ceramiche raccolte nello scavo in un contesto archeologico molto disturbato,
perci da mettere in relazione con le rovine del villaggio pi che con la storia
abitativa della chiesa, si pu solo dedurre una occupazione del sito dallepoca
romana allepoca omayyade-abbaside, con una rioccupazione in periodo
mamelucco.
Il mosaico della chiesa non mostra traccia evidenti di iconofobia nel mosaico. Dopo labbandono, da datare alla fine del settimo secolo-prima met
dellottavo, risultano rioccupati lambiente di servizio di nord est e larea sulla
facciata, dove stata riportata alla luce una abitazione del tardo periodo
omayyade-abbaside. Il guasto al mosaico della navata centrale va perci attribuito alla rioccupazione dopo labbandono, alla spoliazione delledificio per
materiali da costruzione, e in parte allattivit agricola moderna.
Lesame del mosaico con tracce vistose di restauro con tessere bianche di
modulo maggiorato e la presenza di nuove basi di pilastri inserite allinterno
delle basi delle colonne originarie, rimandano al rifacimento delledificio con
un ridimensionamento della larghezza della navata centrale, e un cambiamento statico. Dagli archi longitudinali poggiati sulle colonne, si era passati agli
archi trasversali in direzione nord-sud. Non chiaro se lintervento era stato
occasionato da una distruzione violenta, o da un indebolimento della struttura,
entrambi i fenomeni forse provocati da un terremoto.
Lestesa zona cimiteriale intorno allabitato e le due chiese finora esplorate, come pure le numerose case ben costruite in conci squadrati presenti sul
khirbat, testimoniano a favore della prosperit economica degli abitanti di questo insediamento agricolo sviluppatosi in epoca romano-bizantina-omayyade
nella fertile campagna dellaltopiano tra Madaba e Esbous.
Il nome del villaggio, che al tempo del califfo al-Mamoun (IX sec.) era
conosciuto con lo stesso nome di Massuh, stato conservato dai beduini della
Balqa.
M. Piccirillo
Studium Biblicum Franciscanum

RELAZIONI DELLE SPEDIZIONI ARCHEOLOGICHE

499

10. A Short Note on the Minaret at Qastal (Pl. 68)


Although the minaret attached to the northwestern corner of the mosque at
Qastal had been known from as early as the nineteenth-century and its plan
was drawn by Brnnow and Domaszewski in 1897 (Brnnow and Domaszewski, Die Provincia Arabia, Strassbourg 1905, II: 100-101; Figs. 68183), yet it never figured in the extensive literature dealing with the origins
of the minaret (E.H. Addison, The Mosque at al-Qastal: Report from alQastal Conservation and Development Project, 1999-2000, ADAJ, XLIV,
2000: 477-90). The most recent publication on the minaret in Islam concludes that, the minaret was invented not early in the first century of Islam, but at the end of its second century, not in Umayyad Syria but in
Abbasid Mesopotamia, and in the beginning it had a little if anything to do
with the call of prayer (J. Bloom, Minaret: Symbol of Islam, Oxford Studies in Islamic Art, VII, 1989, 175). We may concur with some of these
conclusions but not all. The ideas that the minaret was invented in
Mesopotamia (though I believe before the Abbasid period), and that it was
not in common use (at least throughout the Umayyad period), are reasonable. The minaret at Qastal (fig. 1) which has a cylindrical shaft 5.00 m. in
diameter and resting on a rectangular socle measuring 4.90 m. by 2.60 m.
forms a salient on the north and west walls of the mosques courtyard (fig.
2). A projecting cornice moulding marks the beginning of the second storey
and serves as a base for the channelled corinthian pilasters. It seems that
seven such pilasters stood on the cornice with panels of blind and open
niches between them. A spiral staircase which until recently stood to a level
slightly higher than the moulded cornice (Addison, 2000: Fig. 11) took up
the interior space. The masonry of the minaret which consists of fine ashlar
masonry is exactly like the exposed masonry of the west wall and must be
contemporary (fig. 3). It should also be noted that the round buttresses of
the qasrs exterior walls also rested on square socles. The importance of this
isolated and little recognized minaret warrants a re-examination of the conclusions advanced by Bloom.
In a curious report al-Baladhuri states that Ziyad bin Abihi built a minaret of stone when he enlarged the mosque of Basra in the year 45 A.H. / 665
A.D. (Baladhuri [Ahmad b. Yahya], Futuh al-Buldan, ed. R.M. Ridwan, Cairo
1932, 343). Creswell doubted this report because no author other than
Baladhuri mentioned it (K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, Oxford
1969, I, pt. 1:45). There is, however, some textual evidence - mainly poetic which indicates that the minarets appeared in Iraqi towns during the first decade of the second Islamic century, if not earlier. A poem composed by alFarazdaq (d. 110 A.H. / 728-29 A.D.) Khalid bin Abd-Allah al-Qasri, the
governor of Iraq from 105-120 A.H. / 723-38 A.D., is taunted for having built
a Biah (chapel) for his Christian mother and is accused of destroying the

500

RICERCA IN GIORDANIA

minarets of the mosques (Bloom, 1989: 38). This satiric poem is probably an
allusion to the report which states that Khalid al-Qasri ordered the demolition of the minarets when he heard a poet recite:
I wish I were among those who give the call to prayer during the day
for they can see those who are on the roofs.
They give signals or they receive them,
how lovely are those beautiful tall necks.
(Al-Isfahani [Abu al-Farag], Kitab al-Aghani, Beirut 1957, XXX: 164;
Ibn al-Athir, Al-Kamil fi al-Tarikh, Beirut 1965, V: 279; G. Bisheh, The
Mosque of the Prophet at Madinat throughout the First Century A.H. With
Special Emphasis on the Umayyad Mosque, Ph. D. Dissertation, Univ. of
Michigan, 1979, 287-88; Bloom, 1989: 28.The author of al-Aghani attributes
these verses to the Medinan poet al-Sari bin Abd al-Rahman (cf. also Bloom,
1989: 28 and note 39).
The poet Jarir, on the other hand, praises Khalid al-Qasri for having
built a minaret so tall that it almost reached the stars, the like of which had
never seen before (Bloom, 1989: 36-37). Bloom, however, points out that
the word Manar in these verses refers to a lighthouse rather than a
mosques minaret. Though this interpretation cannot be ruled out, it should
be noted that the specific words Manar al-Masajid (minarets of the
mosques) are used by al-Farazdaq, Jarirs contemporary (Bloom, 1989: 38).
Furthermore, the first hemistich in Jarirs verses may be translated as, You,
i.e., Khalid al-Qasri, built the illuminated minaret (manar) to guide to the
path of righteousness (ala al-Huda). The verse seems to have religious
connotations possibly associated with the minaret of a mosque. About a
century and a half later, al-Jahiz (d. 225 A.H. / 869 A.D.) speaks of the
minarets of Kufa as different from those of Basra. The former, he says, were
modelled after the bell-towers of the Melkites and Jacobites, by which he
probably meant that they were square in plan, in contrast to the cylindrical
towers of Basra (C. Pellat, The Life and Works of al-Jahiz, trans. by D.M.
Hawke, London, 1969, 193).
Two conclusions may be drawn from the foregoing: First, we learn that
there were a number of minarets in Iraq from as early as the first decades
of the second Islamic century and perhaps earlier. However, an often
quoted verse by al-Farazdaq in which he says that the Adhan (call to
prayer) was recited from the wall of every city (al-Tabary, Tarikh, Cairo
1961, VI: 520; Creswell, 1969, I, 1:59), may indicate that the minaret as a
distinctive feature of mosque buildings remained relatively rare throughout
the first century of Islam. Second, it seems that the minaret never rigidly
conformed to one particular type; they could be square, cylindrical or even
polygonal.

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

501

In view of the close relationship between al-Balqa and Iraq, in the


Umayyad period (G. Bisheh, Qasr al-Mshatta in the light of a recently found
inscription, SHAJ, III, 1987, 196), it is likely that the Iraqi minarets, as those
in Basra, were the model for the minaret at al-Qastal, the earliest extant minaret in the Islamic world.
G. Bisheh
Department of Antiquities of Jordan

II. BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

L.E. Stager - J.A. Green - M.D. Coogan (eds.), The Archaeology of Jordan and
Beyond. Essays in Honor of James A. Sauer, (Harvard Semitic Museum
Publications. Studies in the Archaeology and History of the Levant 1), Winona
Lake 2000, XVI-529 pp., foto, piante, tavole e figure nel testo.
Il volume qui preso in visione divenuto un tributo post-mortem allo studioso
americano James A. Sauer, morto prematuramente a causa di una grave malattia
(1945-1999). In origine era stato progettato per celebrare la sua carriera di
archeologo e studioso, ma la sorte ha fatto s che diventasse il suo memorial volume. James A. Sauer, uomo di vasti interessi scientifici e di valide visioni,
pragmatico e capace di progettare il futuro, ha diretto il centro di studi americano
in Amman (ACOR) dal 1974 al 1981. Sotto il suo impulso e la sua vasta
competenza, il centro di ricerche archeologiche e storiche della Giordania ha
raggiunto alti livelli di professionalit e di efficienza. Fu professore allUniversit
di Harvard (Pennsylvania) e curatore dello University Museum. Per due termini
consecutivi fu eletto Presidente di ASOR durante gli anni 80.
J.A. Sauer era uno dei migliori specialisti di ceramica dellarea siropalestinese, avendo imparato larte negli scavi di Taanach e Deir Allah. Ha operato
con scavi, surveys e ricerche in Siria (nella valle dellOronte), in Giordania (cf.
Tell Siran, Tell Hebn) e nello Yemen (cf. J.A. Sauer - A. Blackely - R.M. Toplyn,
Site Reconnaisance in North Yemen, vol. 2, Washington 1983). In Cipro ha
promosso la fondazione del locale CAARI (Cyprus American Archaeological
Research Institute). Fu uno dei principali promotori delle conferenze sulla storia
e larcheologia di Giordania, iniziate nel 1980 a Oxford e proseguite con regolarit
secondo una scadenza quadriennale. In Giordania sono meritevoli i suoi studi sulla
ceramica di Tell Hebn, Tell Siran, e altri progetti di ricerca.
Molti colleghi ed estimatori hanno offerto pi di 50 contributi per la sua
memoria. Il volume inizia con la presentazione della carriera accademica di J.A.

502

RICERCA IN GIORDANIA

Sauer: W.E. Rast ne ricorda i frutti principali come Direttore di ACOR (pp. 3-6);
R.S. Abujaber mette in luce il contributo dato dallo scomparso allo sviluppo
dellarcheologia di Giordania (pp. 7-15). Seguono le note biografiche e le lettere
commemorative, pp. 16-25. Alle pp. 26-28 troviamo la lista delle pubblicazioni
di J.A. Sauer. Dato il numero considerevole degli interventi, si impone una scelta
dei contributi che ritengo pi significativi. P. Bienkowski offre un saggio sui
rapporti tra Assiria e Transgiordania nel periodo del Ferro II (pp. 44-58). R.M.
Brown presenta uno studio sulla ceramica invetriata dei secoli 13-15 (pp. 8499). F.M. Cross, che fu collega di J.A. Sauer negli scavi di Tell Hesban, legge un
ostracon in ebraico letterario proveniente da Horvat Uza, il sito edomita nel
Neghev. Il contenuto delle 13 linee una riflessione filosofica sulla vita e sulla
morte; la datazione proposta la fine del 7 secolo a.C. (pp. 111-113). L.G. Herr
presenta uno studio sulle fortificazioni LB-F I di Tell el-Umeiri (pp. 167-179.
D.Homs-Fredericq segnala le case colonnate di Leun (pp. 180-195). M.S.
Joukowsky offre un contributo sugli scavi (1993-1996) del Grande Tempio di Petra
(pp. 221-234). N.I. Khairy legge alcune iscrizioni nabatee di Umm el-Jimal (pp.
255-265). N.L. Lapp offre uno studio delle fiaschette da pellegrino di epoca
bizantina, conservate nel Bible Lands Museum di Pittsburgh (pp. 277-289). B.
MacDonald segnala una nuova interpretazione del sito di Khirbet el-Medeineh
nel wadi al-Hasa: il sito fortificato non risale allepoca moabita come aveva
proposto N. Glueck (cf. EEP 2, New Haven 1935: 104-105) ma al periodo tardoromano. Di conseguenza non si pu identificare Khirbet el-Medeineh con IieAbarim di Num 21,11; 33,44 (pp. 317-327). J.M. Miller rilegge le mappe
dellaltopiano di al-Kerak preparate nel 19 secolo da J. Burckhardt (1812.1822)
e da E. Robinson (1838.1841) che sono state la base di tutte le pubblicazioni successive. S.T. Parker presenta uno studio notevole sul Limes di Palestina e
Transgiordania da Diocleziano fino a Eraclio (367-388). Da notare infine lo studio di R.T. Schaub sulla terminologia e la tipologia dei vasi carenati del periodo
BA I-II (pp. 444-464). Un Indice dei siti chiude il volume (pp. 525-529).
La memoria di J.A. Sauer rimane viva nei progetti e nelle iniziative culturali,
sociali ed economiche da lui promosse per lo sviluppo della ricerca storicoarcheologica nel Medio Oriente. Il volume commemorativo soltanto un tributo
preparato dai colleghi e segnalato allattenzione degli estimatori.
P. Kaswalder

B. MacDonald - R. Adams - P. Bienkowski (eds.), The Archaeology of Jordan,


(Levantine Archaeology 1). Sheffield 2001, XV-704 pp., foto, mappe e figure
nel testo.
Il corposo volume edito da B. MacDonald, R. Adams e P. Bienkowski rende
un servizio meritorio agli studiosi di archeologia della Giordania. Da tempo si

BIBLIOGRAFIA SULLA GIORDANIA

503

sentiva la necessit di preparare una sintesi dei risultati relativi alle singole
epoche eseguita dagli specialisti di ciascun periodo e di presentarla in modo
sistematico e facilmente accessibile al grande pubblico.
Un capitolo introduttivo a cura di P.G. Macumber (pp. 1-30) segnala le
caratteristiche fisiografiche della Giordania, cio lambiente naturale sul quale
si svolta la storia delluomo che ha occupato e sfruttato il suolo giordano. La
ricchezza e variabilit dellambiente comprende la fossa giordanica e il Mar
Morto; laltopiano fertile di al-Qura; le montagne dellAjlun; il bacino di alAzraq; laltopiano di basalto nero a nord-est; la montagna centrale (al-Jibal);
la montagna meridionale (al-Hisma). Ciascuna di queste aree geologiche soffre
un clima particolare e presenta differenti condizioni ambientali per la vita
umana.
Il volume offre di seguito una serie di 15 capitoli dedicati a ciascun
periodo archeologico, dal Paleolitico fino al periodo ottomano. I capitoli sono
abbastanza ampi e coprono vari aspetti dei singoli periodi storico-archeologici.
Non sono tutti della stessa lunghezza e dello stesso spessore scientifico. Ci
dipende non tanto dalla capacit dei singoli studiosi ma dal fatto che alcuni
periodi archeologici in Giordania sono poco rappresentati. Vedi ad esempio il
Medio Bronzo o il periodo Persiano che sono deboli, a fronte della forte
presenza dei Nabatei. Dallo stato attuale della ricerca si possono fare previsioni
sullo sviluppo futuro dellarcheologia transgiordanica e un bilancio positivo dei
risultati gi ottenuti finora.
La serie degli interventi vede impegnati i principali specialisti dei singoli
periodi archeologici. Inizia D.I. Olszewski con una panoramica sui periodi del
Paleolitico ed Epipaleolitico (pp. 31-65). G.O. Rollefson presenta le grandi
potenzialit del periodo Neolitico (pp. 67-105). Il periodo Calcolitico affidato
a S.J. Bourke (pp. 107-158). Il periodo del Bronzo Antico I-III a cura di G.
Philip occupa le pp. 163-232. A G. Palumbo (pp. 233-269) affidata la
presentazione del singolo periodo Bronzo Antico IV. S. Falconer offre il suo
contributo sul Medio Bronzo (pp. 271-289). J. Strange alle pp. 291-321
presenta il Tardo Bronzo. L.G. Herr - M. Najjar studiano il periodo del Ferro
(pp. 323-345). P. Bienkowski illustra il periodo persiano pp. 347-365. S.G.
Schmid si occupa dei Nabatei (pp. 367-426) e P. Freeman del periodo romano
(pp. 427-459). Il periodo bizantino a cura di P. Watson (pp. 461-502). Il
periodo omayyade e quello abbaside a cura di Q. Whitcomb (pp. 503-513). I
periodi fatimida, ayyubide e mamelucco sono stati curati da A. Walmsley (pp.
515-559). A. McQuitty presenta il periodo ottomano (pp. 561-601).
La seconda parte del volume caratterizzata da interventi pi brevi,
centrati su alcuni temi specifici dellarcheologia giordana. Tra questi i sistemi
di approvigionamento idrico (J.P. Oelsen, pp. 603-614); il fenomeno del
pastoralismo (A. Betts, pp. 615-619); la tradizione agricola giordana (C.
Palmer, pp. 621-629); la tecnica di creazione della ceramica (H. Franken, 653657); gli scritti transgiordanici (A. Millard, pp. 659-662); i mosaici di

504

RICERCA IN GIORDANIA

Giordania (M. Piccirillo, pp. 671-676); i castelli crociati (D. Pringle, pp. 677684); i fortini ottomani (A. Petersen, pp. 685-691). Un indice dei nomi
geografici chiude il volume (pp. 693-704).
Lo scopo dichiarato dai promotori delliniziativa editoriale quello di
offrire agli studenti e ai cultori dellarcheologia giordana un testo generale e
aggiornato. Lo scopo degli editori riuscito quasi alla perfezione e ora
possibile consultare un manuale completo dalla preistoria ai tempi moderni. Va
segnalato anche qualche errore in fase di stampa perch disturba la
pubblicazione. Ad esempio, il capitolo 4 (sul Calcolitico) termina a p. 158, e
subito a fianco inizia il capitolo 5 (sul Bronzo Antico) con la p. 163. Tra i pregi
del volume invece sono da menzionare la bibliografia aggiornata di ogni
singolo intervento; la buona documentazione fotografica e di piante; interessante pure la presenza di una medesima mappa geografica che accompagna i
singoli periodi archeologici.
P. Kaswalder

RECENSIONI E LIBRI RICEVUTI

LA 50 (2000) 505-608

RECENSIONI

Verhoeven U.

Rler-Khler U.

Bader G.

Fox M.V.

Nay R.

Mandirola R.
Pennacchini B.

Tuckett C.M. (ed.)


Berder M.

Lamarche P.
Sacchi A.

Naluparayil
Chaco J.

Das Totenbuch des Monthpriesters Nespasefy


aus der Zeit Psammetichs I (A. Niccacci)

510

Zur Tradierungsgeschichte des Totenbuches


zwischen der 17. und 22. Dynastie (Tb 17)
(A. Niccacci)

510

Psalterium affectuum palaestra. Prolegomena


zu einer Theologie des Psalters (E. Cortese)

511

A Time to Tear down and a Time to Build up.


A Reading of Ecclesiastes (A. Niccacci)

512

Jahwe im Dialog. Kommunikationsanalytische


Untersuchung von Ez 14,1-11 unter Bercksichtigung des dialogischen Rahmens in Ez 8-11
und Ez 20 (A. Niccacci)
526
Giona. Un Dio senza confini (V. Lopasso)

541

Introduzione alla storia di Israele nellepoca


dellAntico Testamento (V. Lopasso)

542

The Scriptures in the Gospels (N. Casalini)

543

La pierre rejete par les btisseurs :


Psaume 118,22-23 et son emploi dans les
traditions juives et dans le Nouveau Testament
(F. Manns)

545

Evangile de Marc (N. Casalini)

548

Un Vangelo per i lontani. Come leggere Marco


(G.C. Bottini)

550

The Identity of Jesus in Mark.


An Essay in Narrative Christology (N. Casalini)

551

508

RECENSIONI

Garca Prez J.M.


Herranz Marco M.

Thiselton A.C.

Barbaglio G.

Hengel M.
Schwemer A.M.

Manzi F.

Beale G.K.

La infancia de Jess segn Lucas


(L.D. Chrupcaa)

556

The First Epistle to the Corinthians. A Commentary on the Greek Text (L.D. Chrupcaa)

560

La teologia di Paolo. Abbozzi in forma


epistolare (A.M. Buscemi)

563

Paulus zwischen Damaskus und Antiochien. Die


Unbekannten Jahre des Apostels (N. Casalini)
567
Melchisedek e langelologia nellEpistola agli
Ebrei e a Qumran (G. Bissoli)

572

The Book of Revelation. A Commentary on the


Greek Text (N. Casalini)

575

Adinolfi M.

Alle limpide correnti della Bibbia (G.C. Bottini) 577

Clarke A.D.

Serve the Community of the Church. Christians as


Leaders and Ministers First-Century Christians in
the Graeco-Roman World (M.C. Paczkowski)
578

Harrington D.J.

Invitation to the Apocrypha (M.C. Paczkowski)

580

Misiarczyk L.

Il midrash nel Dialogo con Trifone di Giustino


martire (M.C. Paczkowski)

581

Manual de Gramtica Siraca (M. Pazzini)

583

Breve Diccionario Siraco, Siraco-CastellanoCataln (M. Pazzini)

583

Barrington Atlas of the Greek and Roman World


(A.M. Buscemi)

584

The Ancient Metallurgy of Copper. Researches


in the Arabah 1959-1984 (P. Kaswalder)

586

Ferrer J.
Nogueras M.A.
Ferrer J.
Nogueras M.A.

Talbert R.J.A. (ed.)

Rothenberg B. (ed.)

RECENSIONI

Donald T.A.
et alii

Donald T.A.
et alii

Pea I.
Schmidt-Colinet A.
Stauffer A.
al-AsAd Kh.

509

Excavations at the City of David 1978-1985


Directed by Yigal Shiloh. Vol. V: Extramural
Areas (P. Kaswalder)

587

Excavations at the City of David 1978-1985


Directed by Yigal Shiloh. Vol. VI: Inscriptions
(P. Kaswalder)

590

Lieux de plerinage en Syrie (M. Piccirillo)

591

Die Textilien aus Palmyra. Neue und alte


Funde (G. Geiger)

594

von Breydenbach B. Peregrinationes. Un viaggiatore del Quattrocento a Gerusalemme e in Egitto (M. Piccirillo) 597
Adinolfi M.
Bruzzone G.B.

Viaggio del cuore in Terra Santa (G.C. Bottini)

602

Adinolfi M.
Bruzzone G.B.

In Terra Santa con i Papi (G.C. Bottini)

602

Libri ricevuti

604

510

RECENSIONI

Verhoeven Ursula, Das Totenbuch des Monthpriesters Nespasefy aus der Zeit
Psammetichs I. pKairo JE 95714 + pAlbany 1900.3.1, pKairo JE 95649,
pMarseille 91/2/1 (ehem. Slg. Brunner) + pMarseille 291 (Handschriften des
Altgyptischen Totenbuches, Band 5), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 1999,
XII-53 pp., 56 Photo-Tafeln, 72 Umschrift-Tafeln Autographiert von Barbara
Lscher, DM 124.
Il progetto delle universit di Bonn e di Kln, finanziato dalla Deutsche
Forschungsgemeinschaft, di curare una nuova pubblicazione del Libro dei Morti
(LdM) dal Nuovo Impero al Periodo Romano continua con il presente volume
che, come i precedenti, comprende tre parti: introduzione della curatrice, riproduzione fotografica e poi trascrizione geroglifica dei manoscritti.
Nellintroduzione la curatrice spiega che il LdM di Nespasefy, di epoca
saitica, stato scelto per il fatto che, in base alla genealogia del proprietario,
si pu risalire alla famiglia Besenmut, sacerdoti di Tebe al tempo della XXV/
XXVI dinastia. Per questo motivo esso costituisce una base affidabile di confronto con altri esemplari altrimenti non databili. Daltra parte la grafia tardoieratica di questi manoscritti stata oggetto di studio da parte della medesima
Verhoeven. Inoltre della recensione saitica del LdM era finora pubblicato poco
materiale.
Il papiro di Nespasefy, che viene qui pubblicato per la prima volta in forma completa, si compone di cinque parti, distribuite in diversi musei, che insieme raggiungono la lunghezza di 15 metri. Le cinque parti, di cui finora era
pubblicata solo quella che in origine era conservata a Tbingen, provengono
dalla zona di Tebe e probabilmente fecero parte, insieme a numerosi sarcofagi,
di un ritrovamento avvenuto nel 1858 sotto la direzione di Auguste Mariette.
Sono datate nella XXVI dinastia al tempo di Psammetico, intorno al 650 a.C.
Secondo la curatrice le cinque parti costituivano in origine tre o quattro
rotoli separati. Questo LdM fu preparato appositamente per il proprietario dato
che il suo nome e i titoli sono inseriti nel testo, non aggiunti posteriormente.
Dal momento che una copia quasi completa del LdM, il papiro di Nespasefy
molto probabilmente la fonte pi antica del cosiddetto ordine saitico dei detti funerari, riprodotto nelle copie posteriori, mentre la numerazione corrente si
basa sullordine del papiro di Torino 1791 edito da Lepsius.
Non posso non dire, anzi ripetere, che i promotori del progetto, come anche la curatrice e la casa editrice, meritano riconoscenza e plauso da parte degli egittologi per questo splendido lavoro.
Alviero Niccacci, ofm

Rler-Khler Ursula, Zur Tradierungsgeschichte des Totenbuches zwischen


der 17. und 22. Dynastie (Tb 17) (Studien zum Altgyptischen Totenbuch,
Band 3), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 1999, XII-244 pp., DM 128.

G. BADER

PSALTERIUM AFFECTUUM PALAESTRA

511

Il volume esamina la storia della trasmissione del cap. 17 del Libro dei Morti
(LdM), che uno dei passi pi importanti e maggiormente riprodotti dellintera
raccolta funeraria. Dopo un periodo di studi di circa 20 anni, lautrice in grado
di delineare lintera storia della trasmissione esaminando tutte le attestazioni conosciute del cap. 17 del LdM e del suo antecedente, il detto 335 dei Testi dei
sarcofagi (CT = Coffin Texts), il che costituisce unimpresa di avanguardia
mai realizzata prima in egittologia. Questo tentativo omnicomprensivo, dice la
prefazione, pu servire da modello per conoscere meglio le tecniche di trasmissione dei testi egiziani, comprese le contaminazioni e le trasformazioni, per ricostruire il processo relativo sulla base di tutte le forme attestate e per sperimentare
il funzionamento del metodo di critica testuale stabilito da Maas.
La ricerca si inserisce nel progetto di edizione del LdM dal Nuovo Impero
al Periodo Romano finanziato dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft. Lautrice parte dallo stemma elaborato in un suo studio del 1979 sul cap. 17 del
LdM (GOF IV, 10) nel quale aveva tenuto conto degli esemplari della XVII e
soprattutto della XVIII dinastia. Con alcune modificazioni lo stemma viene
riprodotto a p. 6 (Abb. 1). Nel presente studio esamina 38 nuovi esemplari del
Nuovo Impero e 31 del Terzo Periodo Intermedio. Nel primo capitolo lautrice
stabilisce uno stemma degli esemplari del Nuovo Impero (p. 76, Abb. 25) e
uno di quelli del Terzo Periodo Intermedio (p. 174, Abb. 58). Nel secondo capitolo esamina poi le contaminazioni del LdM 17 sino alla XXII dinastia.
Nella conclusione viene riassunta la trasmissione del LdM 17 in grafia
geroglifica (ramesside), che scompare a Tebe verso la fine della XXI dinastia,
e in grafia ieratica, che invece continua. Si offre anche uno sguardo sulla storia della tradizione posteriore.
Il volume, molto tecnico e pieno di sigle, corredato da una serie di indici e
di concordanze delle sigle, dei nomi dei proprietari, degli esemplari e dei testi.
Alviero Niccacci, ofm

Bader Gunter, Psalterium affectuum palaestra. Prolegomena zu einer


Theologie des Psalters (Hermeneutische Untersuchungen zur Theologie 33),
J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tbingen 1996, IX-266 pp., DM 178.

Il libro consta di una introduzione (cos la teologia del salterio) e di tre parti
e dieci paragrafi: uno nellintroduzione e tre in ogni parte. La prima parte (pp.
50-110) tratta i concetti preliminari (Palestra, Exercitium, Lectio), la seconda
(pp. 111-186) le presentazioni del salterio nei Padri (specialmente Atanasio e
Agostino) e in Lutero, la terza (pp. 187-253) il ritmo, la musica, la salmodia e
la teologia (sonora) del Nome. Chiudono il libro due elenchi, degli autori citati e dei temi e termini greci, latini e tedeschi.

512

RECENSIONI

Chi si aspetta una teologia dei salmi resta deluso. Fin dallinizio lA., distinguendo tra salmi e salterio, fa capire che si occupa del salterio, secondo il gusto
luterano, pi che dei salmi, secondo il gusto calvinista. Egli per attirato soprattutto dalluso liturgico dei salmi nella chiesa primitiva, greca e latina e, pi precisamente, della sua maniera di cantare i salmi, soprattutto nei monasteri.
Lo stesso proemio ai salmi di Lutero, come pure la precedente trattazione
sui Padri, non vuol essere una presentazione esauriente del loro pensiero; si
tratta solo di qualche frase (p. 181). Sembra piuttosto il pretesto per dare una
descrizione di tutto il lavorio dei monaci e della Chiesa attorno alla recitazione e al canto dei salmi. In effetti, tutto sembra culminare nel 9 (Psalmodie),
la trattazione della salmodia e della musica liturgica gregoriana.
Dopo la prima delusione, per, il biblista rimane piacevolmente sorpreso di
fronte allammirazione di un protestante per il canto liturgico dei salmi nella
Chiesa. Ed unammirazione che fa riflettere non solo i liturgisti sullimpiego
dei salmi nella liturgia di oggi, confrontata su questo punto con quella antica.
Infatti, nonostante ci che dicono le vigenti istruzioni circa luso dei salmi nella
liturgia postconciliare e al contrario di quella antica, i canti abituali nel culto di
oggi raramente sono presi dal salterio, fosse anche come parafrasi.
Un altro motivo di riflessione lammirazione per quello che abbiamo
chiamato lavorio attorno al salterio. Neanche i vangeli sono trattati con altrettanto affetto nella liturgia monastica. evidente che la Chiesa si sforza cos di
esprimere al meglio la sua preghiera, cio principalmente nei salmi, cercando
di imprimervi i moti (quelli disciplinati ed ascetici) e la melodia dellanima.
Ci rivela anche la coscienza di quella musicalit e di quel ritmo poetico speciale di cui i salmi sono particolarmente ricchi, pi ricchi di ogni altra parte
della Bibbia, anche nel testo originale, di cui, peraltro, lA. non si occupa. Tutte
cose belle, daccordo. Per questa non una teologia dei salmi o del salterio.
Tuttal pi una teologia della liturgia cristiana dei salmi.
Manca nel libro una lista delle abbreviazioni e sigle e, nonostante laccuratezza caratteristica delleditrice, si nota qualche errore. Cos sembra a p. 72
(l.5: Grece glorie), 108 (nota 285, l.11 dal fondo: pronunciatone), 212
(nota 529, l.5: geichartigen), 253 (l.15 dal fondo: Palmmelodie).
Enzo Cortese

Fox Michael V., A Time to Tear down and a Time to Build up. A Reading of
Ecclesiastes, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids,
Michigan - Cambridge, U.K. 1999, XVIII-422 pp., $ 30.00, 18.99.
Iniziato come revisione di uno studio precedente, Qohelet and His Contradictions (1987), il presente volume diventato pian piano, a detta dellautore,
un libro in molti aspetti diverso, per quanto le tesi di fondo siano rimaste

FOX M. V.

A TIME TO TEAR DOWN AND A TIME TO BUILD UP

513

immutate (p. ix). Rispetto allo studio precedente Fox d maggior rilievo alla
fase positiva del pensiero di Qohelet: il costruire accanto al distruggere.
La prefazione elenca e discute brevemente sette commentari recenti (dal 1980
al 1998) con cui Fox si confronta nel corso della ricerca.
1. Presentazione e sintesi. Il problema del libro di Qohelet consiste notoriamente nelle contraddizioni che presenta: come se riportasse diverse voci
in contrasto tra loro. Fox chiarisce subito la sua posizione: le contraddizioni
non vanno eliminate ma spiegate. My primary thesis scrive is a simple
one: The contradictions in the book of Qohelet are real and intended. We must
interpret them, not eliminate them (p. 3). E delinea la sua soluzione con un
linguaggio chiaro e suggestivo che caratterizza sua esposizione: Qohelets
contradictions are the starting point but not the message of the book. He
marshals them to tear down meaning, but it does not stop there. He is not a
nihilist. He also builds up meaning, discovering ways of creating clarity and
gratification in a confusing and indifferent world (ibid.).
Per interpretare le contraddizioni Fox procede nel modo classico: studio
del lessico e del contesto. Mette in guardia per subito dal pericolo di
sistematizzare troppo, con il rischio di tradire lautore sacro il cui pensiero ha
un episodic, discontinuous, staccato character (p. 3). Nonostante tutto, annota, il libro di Qohelet non misterioso n esoterico ma, al contrario, intende
insegnare la sapienza al popolo.
In linea generale Fox condivide limpressione che riceve qualsiasi lettore
di Qohelet, che egli riassume in tre punti:
(1) Everything in this life is, in some way, inadequate worthless, vain, futile,
transient, or senseless, and injustices abound. (2) There is no point in striving too
hard for anything, whether wealth or wisdom. (3) It is best simply to enjoy what
you have when you have it and fear God. To this the traditional interpreters add:
and study the Torah (p. 4).

Pur condividendo grosso modo questa interpretazione piuttosto diffusa,


Fox dissente rispetto al primo punto, circa cio il modo di intendere linadeguatezza di ogni cosa. Il suo punto di vista espresso in queste parole:
Qohelet is primarily concerned with the meaning of life rather than with the values of possession, the duration of existence, or the benefits of human striving.
Qohelet denies lifes meaningfulness by calling everything hebel, absurd and
reut rua, senseless. But even when meaning collapses, meaningfulness remains
an irreducible value, and local meanings can be reconstructed (p. 5).

Per realizzare il suo progetto Fox presenta una serie di saggi riguardanti
quattro temi: (1) The absurd (chapter 2); (2) justice and its violation (chapter
3); (3) Knowledge and ignorance (chapters 4-5); (4) efforts and results
(chapters 6-8), and (5) the premises of Qohelets thought (chapter 9) (pp. 45). Lo svolgimento di questi temi occupa una grande parte del volume (pp. 27145). Segue poi il commentario con traduzione, note di critica testuale (con le

514

RECENSIONI

correzioni proposte dallautore) e annotazioni esegetiche. Il commentario comprende anche tre excursus: sul tempo nel catalogo dei tempi in 3,1-8, sul
poema dellinvecchiamento e della morte nel c. 12 e alla fine un excursus generale sulle diverse voci che si fanno sentire nel libro.
Come premessa, Fox discute il contesto di Qohelet, che evidentemente
quello della sapienza, ma non solo quello, e sottolinea il fatto che non si pu
parlare di scuola di sapienza in senso stretto, n si possono far risalire i diversi generi letterari della Bibbia a diverse scuole, magari in conflitto tra di
loro, secondo una moda frequente tra gli studiosi. Tratta poi dei paralleli, in
particolare con la filosofia ellenistica e con lidea dellassurdo di Albert
Camus e nelle letterature del Vicino Oriente Antico, soprattutto quella egiziana; delle contraddizioni e dei vari modi di superarle o spiegarle, a partire dalle
tendenze armonizzatrici della tradizione giudaica fino alle varie proposte moderne: aggiunte posteriori, citazioni di diversi parlanti, dialogo tra persone diverse, dialettica di opinioni differenti, o anche disturbi psichici dellautore.
Secondo Fox, hebel significa absurd nel senso di Camus: the absurd is
irrational, an affront to reason the human faculty that seeks and discovers
order in the world about us (p. 31); indica che qualcosa is contrary to reason
perhaps only to human reason, but that is the only reason we have access to,
unless one appeals to revelation (p. 34). Lidea di assurdo, continua lautore, molto antica, essendo attestata gi in Egitto (nel senso di rovesciamento
dellordine stabilito), e perci non un concetto impossibile in uno scritto antico, per quanto non si conosca altro termine ebraico, egiziano o accadico che
esprima lo stesso concetto di hebel. Daltra parte, lespressione che accompagna hebel, cio ret ra, oppure rayn ra, viene intesa da Fox come
senseless thoughts. Both forms of the phrase egli spiega refer to a
jumble of thoughts, imaginations, and desires that fill the mind (p. 45). In
pratica, per Fox, hebel e ret/rayn ra sono equivalenti e il senso del loro
uso il seguente: All is absurd is ultimately a protest against God (p. 49).
Un secondo tema complesso riguarda la giustizia, specificamente la tensione tra la giustizia di Dio e le ingiustizie di cui il mondo pieno. Se comprendo bene la sua posizione che , diciamo cos, variegata, Fox afferma che,
da una parte, le ingiustizie del mondo non annullano la giustizia di Dio ma,
dallaltra, la giustizia di Dio non risolve il problema delle ingiustizie del mondo: Theodicy does not work for Qohelet (p. 66); He is not polemical
He is not even skeptical Nor is he disputing theodicy He accepts one
principle of theodicy, future judgment, but this does not solve the problem or
ease his malaise Qohelet is complaining not only about injustices but also,
more fundamentally, about the irrationality of the world which holds such
contradictions. It is absurd (pp. 68-69).
Terzo tema complicato quello della sapienza secondo Qohelet. Per Fox,
nuova senza precedenti la metodologia di questo saggio, il quale sperimenta
i piaceri della vita non per goderli ma per acquisire conoscenza, per risponde-

FOX M. V.

A TIME TO TEAR DOWN AND A TIME TO BUILD UP

515

re alla domanda filosofica cosa buono per luomo?. Come i filosofi greci,
Qohelet segue il principio dellautonomia della ragione, per cui cerca di andare oltre i confini della conoscenza degli antichi saggi israeliti. Lassurdo una
delle conoscenze nuove che egli apporta, mentre per gli antichi saggi la sapienza indipendente dalla mente umana. Per Qohelet la sapienza benefica ma
mancante: non porta a capire la razionalit degli eventi; vulnerabile eppure
apporta un certo vantaggio a chi la segue. Con tutto ci Qohelet non si mette
in polemica con i saggi tradizionali; intende solo mettere in guardia da attese
eccessive.
Illustrando il quarto tema riguardante gli sforzi e i risultati, Fox esamina
la terminologia caratteristica di Qohelet: fatto e evento (indicati con i verbi
e hy), fatica (ml), occupazione (n, inyn), le cose positive della
vita (leq parte, yitrn vantaggio, im gioia ecc.). Conclude che
Qohelet non solo negativo. Se il vantaggio che luomo ricava dalla sua attivit non sufficiente, non significa che non ci sia affatto; occorre lavorare con
moderazione; in fondo vengono date indicazioni per cavarsela nel proprio lavoro. Per Fox Qohelet non un predicatore di gioia, come proposto da qualcuno; nel suo linguaggio im significa piacere, non gioia. Le ragioni per
godere della vita sono: i premi vengono dati in modo disuguale; luomo non
comprende lagire di Dio; la morte elimina ogni differenza tra luomo e lanimale.
Nel capitolo complessivo prima del commentario, intitolato The End of
the Matter, Fox qualifica Qohelet nel modo seguente: Qohelet is a man of
faith, who trusts in God and his justice. He is also a man of doubt, who knows
the realities that violate his belief. Yet he insists on taking hold of the one
while not letting go the other (p. 134). Due realt contrapposte che i commentatori sia antichi che moderni hanno cercato in vario modo di tenere insieme. Per Fox il Dio di Qohelet un padrone duro: governa da lontano,
imprevedibile nellamministrare la giustizia, assegna compiti ma non fornisce
i mezzi per assolverli, non conforta gli oppressi. A detta di Fox stesso, This is
an uncomfortable theology, and one need not accept it as valid and other
Biblical authors wouldnt have but this is Qohelets teaching, and it should
not be muted (p. 138).
Fox esamina poi le due fasi delloperazione intellettuale di Qohelet: il distruggere (The Subversion of Meaning) e il costruire (The Reconstruction
of Meaning). Egli ritiene che, secondo il saggio, la conseguenza di un atto,
perch sia giusta, deve possedere cinque qualit: essere immediata, individuale, riconoscibile, costante e definitiva. E commenta: If a consequence violates
these stipulations, it is absurd and senseless Qohelet seems determined to
see absurdity everywhere. He posits criteria for meaningfulness so rigorous
that almost nothing can meet them. Even if something is good, it can still be
absurd (p. 139). Nonostante questa conclusione cos drastica, Fox ritiene che
Qohelet riesca anche nella fase positiva del costruire; identifica infatti le cose

516

RECENSIONI

buone della vita e offre consigli, suggesting how we can make the best of the
bad deal that is life (p. 140). Non offre soluzioni vere e proprie ma piuttosto
ripieghi, dato che la realt insanabile.
Per quanto verso la fine Qohelet ripeta linizio affermando che tutto
assurdo (12,8; cf. 1,2), il libro non finisce l. Segue un postscript (12,1314) che in genere i commentatori ignorano perch ritengono che sia aggiunta
posteriore. Fox condivide solo in parte questa opinione:
This addition is not an irrelevant appendage. The author of the postscript,
probably a later scribe who was perhaps the books copyist, did not delete or refuse
to copy hakkol hebel By leaving that statement and the like intact, he is
conceding its validity, to a degree. The book now says: Even if everything is
absurd, nevertheless we must fear God and keep his commandments (p. 144).

2. Sullinterpretazione generale. Confesso che la lettura delle pagine che


ho sintetizzato finora stata, da un lato, interessante a motivo dello stile piacevole e della quantit delle informazioni che esse forniscono; dallaltro, stata estremamente faticosa a motivo dellinterpretazione generale del libro di
Qohelet che prospettano. Innumerevoli volte sono rimasto colpito da interpretazioni di Qohelet che suonano estreme, distruttive, mentre Fox continua a ripetere che il messaggio del libro non si ferma l ma intende anche costruire. Il
passaggio dallaffermazione di assurdo allaffermazione di senso nella realt viene affermato continuamente ma francamente non sono riuscito a vedere
in che modo si compia. In altre parole, Fox sostiene costantemente che le contraddizioni di Qohelet sono vere e volute e non si devono vanificare in un
concordismo di tipo tradizionale, devono essere tenute insieme, ambedue rappresentano il messaggio del libro e bisogna perci interpretarle. Il problema
che non vedo in che modo possano coesistere in quelle forme estreme n in
che modo Fox le interpreti. Limpressione che ho avuto che, s, Fox le tiene
insieme ma le giustappone, non le interpreta davvero.
Cerco ora di motivare questa impressione generale e di delineare una diversa proposta di lettura, una proposta che ho presentato anni fa nel volume
La casa della sapienza, nel capitolo intitolato Qoelet o la sapienza degli opposti. Non ho adottato neanche io la non-soluzione di quelli che eliminano il
problema ipotizzando personaggi diversi allinterno del libro (citazioni implicite, dialoghi o redazioni successive del testo). Ritengo anchio che non bisogna vanificare le contraddizioni, che anzi esse costituiscono il tessuto della
presentazione complessiva; tuttavia occorre cercare di interpretarle in una visione coerente, senza vanificarle ma anche senza inasprirle oltre il dovuto. Il
problema fondamentale decifrare la visione di base del saggio, i presupposti
che guidano la sua ricerca e che forse consentono di riconciliare le contraddizioni dellesperienza.
Per arrivare allo scopo che mi sono proposto necessario considerare un
termine importante in Qohelet: fare (), un verbo che compare 43 volte,

FOX M. V.

A TIME TO TEAR DOWN AND A TIME TO BUILD UP

517

pi che in altri libri sapienziali pi lunghi come Proverbi e Giobbe. Si trova


detto di Dio, delluomo e viene anche usato in modo impersonale, nel qual caso
per lo pi riferito a Dio (il cosiddetto passivo teologico; ma per essere precisi occorrerebbe esaminare i passi relativi). Il libro di Qohelet profondamente interessato al fare, cio alla creazione, che lopera di Dio, e non solo
passata ma anche continua; interessato agli avvenimenti della vita e della storia, che sono attivit di Lui (nascosto) e insieme delle creature, e allattivit
delluomo. Nella visione di Qohelet, come del resto in quella degli altri saggi
biblici, lopera delluomo si esercita sullopera di Dio; in qualche modo Dio e
luomo sono insieme allopera nel mondo: questo costituisce il fascino e insieme il lato tremendo dellattivit delluomo sulla terra.
Un passo emblematico in questo senso il seguente: Vidi loccupazione
che Dio ha dato / ai figli delluomo per occuparsi di essa. / Tutto [Dio] ha fatto
() bello a suo tempo; / anche loscurit (? et-hlm) ha posto nei loro
cuori, / di modo che luomo non comprenda (trovi) / lopera che Dio ha fatto
(et-hammaeh er hlhm) dallinizio alla fine (3,10-11). Passo
emblematico e per controverso, soprattutto per quanto riguarda il senso di
lm, come annota anche Fox (pp. 210-211). Rashi lo intende come mondo,
anzi come la sapienza del mondo, che Dio ha posto nel cuore delle creature,
non per in modo completo. Dalla grafia del termine Rashi stabilisce anche un
collegamento di lm con la radice lm essere nascosto: E per questo lm
scritto qui in modo difettivo, nel senso di nascondimento (halm). Il
senso essere nascosto o essere oscuro stato suggerito anche da autori moderni, per quanto il confronto con altre lingue semitiche suggerisca che le radici
soggiacenti erano in origine diverse: rispettivamente con ayin e con ghayin. Un
passo di Ben Sira, in cui compare la radice lm essere nascosto, recita: k plwt
mh yy / wnlm mnw plw poich sono meravigliose le opere del Signore / e
nascosta al mortale la sua attivit (Sir 11,4).
Il senso di Qo 3,10-11 dunque che Dio ha affidato alluomo il compito
di occuparsi della creazione; ora il Creatore ha fatto ogni cosa bella a suo tempo, anche quello che agli occhi delluomo male, ma Dio ha come annebbiato
il cuore umano cosicch luomo non pu comprendere fino in fondo lo scopo
delle opere della creazione n il senso degli avvenimenti.
Come esplicita Ben Sira, Dio ha fatto tutto a coppie, con bene e male uno
di fronte allaltro (si ricordi il catalogo dei tempi appropriati per attivit
costruttive e attivit distruttive in Qo 3,1-8): Di fronte al male il bene / e di
fronte alla vita la morte / Tutte [le cose] sono duplici, una di fronte allaltra
/ e [Dio] non fece nulla di superfluo (Sir 33/30,14; cf. 39,33). Questa idea
ritorna unaltra volta in Qohelet: Osserva lopera di Dio (et-maeh
hlhm), / poich chi potr raddrizzare quello che Egli ha curvato? / Nel
giorno della gioia sii nella gioia / e nel giorno della sventura osserva! / Appunto una cosa di fronte allaltra ha fatto Dio / allo scopo che luomo non comprenda (trovi) / niente (di ci che sar) dopo di lui (7,13-14). Sia la gioia

518

RECENSIONI

che il dolore vengono da Dio e bisogna accoglierli dalla sua mano convinti che
sia luno che laltro sono buoni a loro tempo: hanno cio uno scopo preciso
nel piano divino. Linvito che ne deriva godere della gioia quando Dio la
concede, riflettere quando egli manda il dolore, allo scopo di comprendere
quale sia il suo messaggio attraverso le alterne vicende della vita.
Questo invito a godere della gioia e a riflettere nel dolore il succo della
faticosa ricerca del saggio Qohelet e il nocciolo del suo insegnamento. Non a
caso quellinvito formulato in due parti che corrispondono alla duplice realt
delineata dallautore lungo tutta lopera: da un lato la convinzione di fede,
positiva, comune alla tradizione di Israele, dallaltro il dato dellesperienza
personale del saggio, negativo, che contraddice le attese delluomo sulla base
della fede. Il primo esempio di questa contrapposizione si trova in 3,16-22: di
fronte alla vista che lingiustizia domina nel luogo stesso in cui essa dovrebbe
abitare, il tribunale (v. 16), Qohelet enuncia due riflessioni parallele introdotte
dalla medesima formula, Dissi io nel mio cuore: prima che Dio giudicher il
giusto e il malvagio a suo tempo, convinzione di fede (v. 17); poi che Dio lascia prevalere lingiustizia per mostrare agli uomini che sono mortali come le
bestie, conclusione del saggio (vv. 18-21).
Ma questa riflessione terribile non lultima parola. Luomo non ha una
risposta alla domanda del perch la vita sia cos contraddittoria; come si legge
in Qo 3,11, luomo non potr mai comprendere lopera che Dio ha fatto e,
possiamo aggiungere, che fa lungo la storia dallinizio alla fine; in altre
parole, il piano della creazione, o sapienza di Dio, pu s essere conosciuto attraverso lesperienza delle creature ma mai in modo completo. Personalmente
sono convinto che su questo punto il libro di Qohelet non si discosti fondamentalmente dalla posizione di Proverbi e di Giobbe, nonostante lopinione
contraria degli interpreti. Qohelet problematico come Giobbe, molto pi di
Proverbi, nel senso che mette in luce le contraddizioni inerenti allattivit delluomo sulla terra, come Giobbe mette in luce le contraddizioni legate alla sofferenza del giusto. Ma ambedue, Qohelet e Giobbe, non si discostano dalla
posizione, talvolta detta ortodossa, di Proverbi. In realt tutti i saggi hanno
una posizione ortodossa, nel senso che condividono tutti la fede in Dio creatore e provvidente; la differenza che Qohelet e Giobbe rivolgono la loro riflessione a due aspetti problematici dellesistenza, diversi tra loro (rispettivamente lattivit umana e la sofferenza del giusto) ma convergenti in quanto
il problema essenziale che essi pongono uno: Dio. Dio il problema delluomo, il rapporto con lui, sia nellattivit che luomo svolge nel mondo come
anche nel problema del perch della sofferenza del giusto. Sono, questi, problemi non trattati, o trattati solo marginalmente, in Proverbi e negli altri libri
sapienziali; tuttavia sia per Qohelet che per Giobbe il punto di riferimento ultimo, al di l dellesperienza angosciosa, resta quello che principio fondamentale della sapienza: temere Dio e osservare i suoi comandi (Qo 12,13),
oppure temere Dio e stare lontano dal male (Gb 28,28).

FOX M. V.

A TIME TO TEAR DOWN AND A TIME TO BUILD UP

519

Dicevo che la riflessione negativa non lultima parola di Qohelet. In effetti alla fine di Qo 3 che stiamo esaminando si trova la seguente affermazione: Perci vedevo che non c niente di buono / pi che luomo possa rallegrarsi delle sue opere (yima hdm bemayw), / perch questa la sua
parte (elq); / perch chi lo porter a vedere / quello che sar dopo di lui
(lirt bemeh eyyihyeh aryw, forse meglio: a godere di quello che sar
dopo di lui) ? (3,22).
A questo punto notiamo la sequenza: convinzione di fede, positiva (3,17);
riflessione del saggio, negativa (3,18-21); conclusione: godere della propria
attivit perch questo dono di Dio (3,22). importante notare che questa
sequenza lato positivo, lato negativo, conclusione con invito a godere si
ritrova, con variazioni, in altri tre passi: 5,7-19, 8,16-9,10 e 11,7-12,7 (su questultimo passo vedi pi avanti, 3). Secondo Qohelet linvito a godere le gioie che Dio nella sua bont concede lunica conseguenza valida da trarre di
fronte alle contraddizioni dellesistenza. Questo pensiero attraversa praticamente tutto il libro e ne determina la struttura letteraria e il senso, come ho
cercato di mostrare nel capitolo gi citato di La casa della Sapienza; si veda
anche la mia recensione a V. DAlario, Il libro di Qohelet nella presente rivista
43 (1993) 551-558.
3. Su alcuni dettagli. Dopo ci che ho detto nel paragrafo precedente, si
comprender che sono piuttosto scettico, per non dire totalmente negativo, circa la legittimit di rendere il termine caratteristico hebel con absurd e di accostare Qohelet a Camus. Pi semplicemente, la realt vana perch, alla
fine, non corrisponde alle attese delluomo; essenzialmente perch nulla, neppure la sapienza, serve ad evitare la morte. Il giudizio di vanit non
ontologico, non cio un giudizio sulla realt in s, che per Qohelet solo Dio
conosce fino in fondo, ma funzionale alle attese e ai valori delluomo. Credo
che Qohelet non si sarebbe mai sognato di affermare che la realt assurda,
per il semplice motivo che essa opera di Dio e perci il suo senso si misura su Dio, sulla sua sapienza, cio sul piano divino della creazione, non sulla
comprensione che luomo riesce ad acquisire tramite lesperienza. Come non
credo proprio che Qohelet avrebbe sottoscritto laffermazione di Fox il quale,
trattando del rapporto atto-conseguenza (il cosiddetto Tat-Ergehen-Zusammenhang) afferma: Natural retribution is a matter of probabilities, not an
invariant process (p. 55). Semplicemente perch un saggio ebraico non parlerebbe mai di una retribuzione naturale. Ci che guida gli eventi non il gioco delle probabilit ma lordine stabilito dal Creatore; un ordine che per non
fisso, automatico, ma viene costantemente controllato da Dio. Ed per questo che il problema delluomo Dio.
Ci significa che le cinque condizioni perch la realt abbia senso che Fox
desume da una serie di passi di Qohelet (p. 139) sono almeno insufficienti, in
quanto tengono conto soltanto del lato negativo dellesperienza, trascurando il
lato positivo della fede e la soluzione proposta dal saggio con linvito a gode-

520

RECENSIONI

re di ci che Dio concede. In fondo quelle cinque condizioni non tengono conto della convinzione fondamentale di Qohelet che misura del mondo non
luomo ma Dio creatore e alla fine rischiano di essere fuorvianti. Devo confessare che mi sono trovato innumerevoli volte di fronte ad affermazioni di questo tipo. Ad esempio, dire che Qohelet condivide con la filosofia greca the
autonomy of the individual reason (p. 81) significa non prendere sul serio le
affermazioni di fede, nonostante la dichiarata intenzione di tener conto di entrambi i poli delle contraddizioni delineate nel libro biblico. Dire che lidea
che la sapienza tradizionale sia a static entity, independent of the human
mind (p. 84) mi pare uninterpretazione caricaturale della personificazione
della Sapienza in Proverbi. Affermare che lo scetticismo di Qohelet is of a
deeper sort, non direct at other peoples knowledge, but at knowledge itself
(p. 85), da un lato contraddice la fede del saggio, dallaltro vanifica il suo sforzo sovrumano di ricercare la sapienza, la quale se rimane lontana (7,23-24),
non perch sia irraggiungibile in s ma perch luomo non potr mai comprendere tutta lopera di Dio. Sembra in effetti che la contrapposizione che Fox
stabilisce tra Qohelet e i saggi tradizionali sia da ripensare radicalmente.
Cos pure saranno da rivedere le differenze che egli rileva tra lautore
Qohelet e gli autori dellepilogue (12,9-12) e del postscript (12,13-14), di
cui parla nellexcursus III, dato che sono argomenti collegati a ci che abbiamo appena detto.
Nellintroduzione al commentario Fox giudica negativamente le varie proposte di struttura di Qohelet, presentate soprattutto a partire dagli anni 60, e
afferma che neppure la pi seguita, quella di A. Wright, basata su criteri
affidabili e alla fine non significativa per linterpretazione. Scrive infatti:
The plan does not match the thought; daltra parte: A text can be coherent
even without a neat design (p. 149). Fox ritiene che la mancanza di un ordine
preciso nello svolgimento sia un fenomeno attestato in vari scritti vicino-orientali antichi; nel caso di Qohelet egli pensa che questa mancanza venga compensata da una forte coerenza interna:
If, however, we look beneath the jagged literary surface we find a strong
conceptual organization. The body of the book, 1:3 to 12:7, argues for a single
proposition: all is absurd. The book opens with this central thesis and proceeds
to establish it by reporting on Qohelets quest for knowledge, which led to and
validated this thesis (p. 150).

Osserverei, da un lato, che se davvero la tesi centrale del libro che tutto
assurdo, non si vede come sia possibile estrarre da esso un qualche valore
positivo in un modo razionale e coerente. In effetti ho gi segnalato che Fox
passa in modo brusco da affermazioni di assurdit ad affermazioni di significato di cui non sono riuscito a vedere la coerenza. Daltro lato, le contraddizioni che leggiamo in Qohelet, positiva e negativa, non sono semplicemente
giustapposte; il saggio insegna infatti che, per quanto rimanga la limitatezza

FOX M. V.

A TIME TO TEAR DOWN AND A TIME TO BUILD UP

521

della comprensione umana (e non potrebbe essere diversamente), si pu convivere con esse se si accetta il principio di godere del proprio lavoro quando
Dio lo concede e di riflettere quando Dio manda linsuccesso e la prova. Questo significa, in ultima analisi, il principio che per ogni cosa c un tempo
(3,1).
Il principio del tempo giusto attraversa lintero libro di Qohelet e ne illumina la struttura letteraria. Detto in breve, il libro comprende due parti parallele: 1,12-7,24 e 7,25-12,7, precedute dal titolo (1,1) e da una cornice: 1,2-11 /
/ 12,8-14. Le due parti comprendono ciascuna sette suddivisioni: la prima,
1,12-2,26; 3,1-22; 4,1-16; 4,17-5,11; 5,12-19; 6,1-9; 6,10-7,24; la seconda,
7,25-8,1; 8,2-8; 8,9-15; 8,16-10,7; 10,8-19; 10,20-11,6; 11,7-12,7. Si pu, cio,
determinare una struttura o composizione letteraria abbastanza precisa sulla
base del principio del tempo giusto e con laiuto di mezzi stilistici, formule
introduttive, parallelismi, ecc. Fox invece afferma:
But expectations of a structured discourse are mostly frustrated by the rather haphazard arrangement in other parts of the book. This lack of sequential organization is not a riddle but a characteristic of style, and it need not be repaired by
scholarly ingenuity (p. 152).

In effetti nel commentario vero e proprio Fox suddivide il testo in unit


senza pretendere di stabilire una gerarchia tra di esse, interessato piuttosto a
seguire il movimento del pensiero. Dubito per che si possa raggiungere questo obbiettivo senza curarsi dello svolgimento concreto del testo; come ho osservato sopra, il movimento del pensiero in tre fasi (positiva, negativa, sintesi)
determinante. C interazione tra logica e composizione.
Il testo di Qohelet complicato da comprendere e da tradurre sia per lo
stile personalissimo dellautore che per le difficolt oggettive del lessico, della
grammatica, della sintassi e del pensiero. Per questo motivo si verificano differenze notevoli nelle traduzioni e gli interpreti si vedono costretti a modificare il testo in vari punti. piuttosto sorprendente per che Fox accetti pi di
una volta congetture critico-letterarie proposte tra la fine del XIX e linizio XX
sec. senza consultare per lo pi gli interpreti ebraici tradizionali. Penso infatti
che le loro proposte siano da valutare seriamente prima di ritenere il testo corrotto e adottare congetture moderne che non abbiano il supporto delle versioni
antiche. Direi anzi che anche nel caso in cui le versioni antiche riflettano un
testo o una lettura diversa da quella masoretica e forse anche migliore di essa,
linterprete abbia comunque il dovere di cercare di capire il senso del testo
come stato trasmesso. Da questo punto di vista il commentario di F. Delitzsch
un sussidio inestimabile.
Pur non avendo fatto un controllo completo, direi che alcune proposte di
Fox appaiono discutibili. Ad esempio, egli afferma che Qoh 2:12b makes no
sense as it stands and is certainly corrupt (p. 182), senza ricordare che interpreti come Rashi e Delitzsch non condividono la sua sicurezza; in 3,12 la sua

522

RECENSIONI

correzione n b bm non c bene per essi in n b *bdm there is


nothing good for <man> (p. 192) non necessaria dato che il bm pu riferirsi a ben dm di 3,10. Altra correzione non necessaria viene proposta in
8,12: e eh r *mz an offender may do evil <for years>, con la
motivazione: MTs meat, lit. does evil one hundred of is impossible (p.
286); ma Rashi annota: This is an ellipsis, and it is connected to the words
preceding it, saying: a hundred days, a hundred years, a hundred thousand
(cf. A.J. Rosenberg [ed.], The Five Megilloth, vol. 2, New York 1992, 105).
Un caso di dubbia analisi sintattica 6,2: er yitten-l hlhm /
er neksm wekbd / wenenn sr lenap mikkl er-yitawweh /
wel-yalenn hlhm lekl mimmenn / k nokr yklenn / zeh
hebel wl r h, tradotto da Fox: God gives a man wealth and property
and honor, so that he does not lack for his appetite anything he might desire,
yet God does not allow him to consume any of it, but rather a strange
consumes it. This is an absurdity and an evil sickness. Al riguardo Fox annota: This verse is an anacoluthon, a sentence that changes syntactically
direction in mid-course The effective predicate of the sentence is not man
but the situation described in 2a (p. 242). Si tratta di unannotazione piuttosto
criptica, se non proprio incomprensibile. Non si capisce infatti come si possa
dire che la proposizione cambi direzione a met corso. In realt il termine iniziale regge le proposizioni che seguono e che lo determinano, fino a
yklenn; il tutto forma un unico sintagma nominale che funge da quello che
in termini tradizionali viene chiamato casus pendens (o protasi), mentre ci
che segue, zeh hebel wol r h, costituisce la proposizione principale collegata al casus pendens (o apodosi). Per cui si tradurr: (Quanto ad) ogni
uomo a cui Dio dia / ricchezza, possedimenti e onore / e non manchi di nulla
di quanto il suo essere possa desiderare, / ma a cui Dio non conceda la possibilit di goderne (mangiarlo), / anzi ne goda (mangi) uno straniero, / questo vanit e malattia cattiva. Fox non solo chiama questa costruzione
impropriamente anacoluto, come purtroppo fanno altri studiosi, ma spezza
anche il legame delle frasi in un modo che rischia di oscurare la tessitura del
brano. Bisogna riconoscere per che non facile tradurre quella costruzione
in un inglese accettabile.
Un altro caso analogo 6,6: (a) weill y elep nm pamayim / (b)
e
w b l r / (c) hl el-mqm ed hakkl hlk, che comprende due
protasi coordinate (a-b) e unapodosi introdotta con hl (c), mentre Fox stranamente stacca lultima proposizione e lascia le prime due in sospeso traducendo: And even if a man should live a thousand years twice over, if he did not
experience enjoyment. . . . Oh, everyone goes to the same place!. E annota:
This sentence too [come il v. 5!] goes off track. Qohelet starts out once again
listing the conditions for a desirable life but suddenly gives up and just exclaims
(hlo) in despair or frustration upon the universality of deaths power. His outburst is not quite logical (p. 244).

FOX M. V.

A TIME TO TEAR DOWN AND A TIME TO BUILD UP

523

Direi piuttosto che lanalisi di Fox goes off track dato che 6,6 pu essere tradotto senza problema: And if he has lived twice a thousand years long,
and not seen goodDo not all go hence to one place? (Delitzsch). Quanto al
senso, 6,6 fa parte di un brano che presenta tre casi analoghi, ognuno con un
elemento positivo e uno negativo, mentre la conclusione sempre negativa: se
uno ha molti beni ma Dio non gli concede di goderne, questo vanit (6,2); se
uno ha cento figli e vive molto a lungo ma non si sazia di gioia, meglio di lui
un aborto (6,3-5); se uno vive duemila anni ma non vede la gioia, andr allo
stesso luogo come tutti (6,6).
Dopo aver rinunciato per quasi tutto il libro a cercare unorganizzazione
letteraria nel testo, Fox si concede uneccezione verso la fine. Scrive infatti:
11:7-12:8 is a single unit, organized as a series of imperatives advising
enjoyment of life when one is young (p. 316). Riguardo al v. 8 scrive, prima in
forma possibilista: Qoh 12:8 is a linchpin between the body of the work and the
epilogue and could be attached to either unit (ibid.); ma poi in modo deciso:
In the most memorable inclusio in the Bible, the book of Qohelet returns to its
opening declaration. This verse and 1:2 bracket the book, and the external
(authorial) perspective reappears. But the reader does not stop suddenly at 12:7.
Qoh 12:8 is both the climax of this poem [i.e. 12,1-7] and an encapsulation of
the book (p. 332). Per Fox dunque 12,8 include lintero libro ripetendo 1,2.
Ora questo dovrebbe comportare il fatto che il corpo del libro compreso tra 1,2
e 12,7 sia ununit letteraria che qui si conclude, cosa che per non appare dal
commentario di Fox. Diversamente, 12,8 sarebbe non uninclusione ma una ripresa letteraria di 1,2; cos infatti nella struttura che ho proposto sopra, in cui
il corpo del libro si compone di due parti parallele comprese entro una cornice
con due suddivisioni a loro volta parallele tra loro: 1,2-11 e 12,8-14.
Per Fox 11,7-12,8 comprende tre unit cos caratterizzate: A. 11:7-10. The
light: carpe diem B. 12,1-7. The darkness: memento mori C. 12:8. All is
absurd (pp. 315-316). Ora per 11,9-10 difficilmente pu essere separato da
12,1. Si notano infatti varie somiglianze:
- la serie di imperativi rivolti albr giovane in 11,9-10 ema
e
w hallk wed wehsr wehabr sii allegro e cammina ma
sappi e togli e allontana continua in 12,1: zekr ma ricorda;
- lespressionebm bertek nei giorni della tua giovinezza di 11,9 si
ripete, con semplici varianti grafiche, in 12, 1: bm berteyk;
- lespressionek hayyaldt wehaart hbel perch ladolescenza e i
capelli neri sono vanit di 11,10 viene in qualche modo specificata dal cosiddetto poema (12,1-7).
In effetti 12,1-7 presenta la medesima dinamica di 11,9-10. La medesima
dinamica compare anche in 11,7-8, con la differenza che questultimo passo
in terza persona, rivolto alluomo in generale, mentre 11,9-10 indirizzato
al giovane in forma diretta. Ecco come possiamo indicare le somiglianze allinterno del brano:

524

RECENSIONI

11,8Poich se anche molti anni


vivr luomo,
in tutti questi sia allegro
e ricordi i giorni delle tenebre
che saranno molti:
tutto quello che verr vanit.
9
Sii allegro, o giovane,
nella tua adolescenza
e il tuo cuore ti renda felice
nei giorni della tua giovent
e cammina nelle vie del tuo cuore
ma sappi che su tutto questo
Dio ti chiamer in giudizio.
10
E togli la preoccupazione
dal tuo cuore
e allontana la tristezza dalla tua carne
perch ladolescenza e i capelli neri
sono vanit.

12,1

E ricorda il tuo Creatore


nei giorni della tua adolescenza
fino a quando non verranno
i giorni tristi
2fino a quando non si oscureranno
il sole e la luce
(continua nei vv. 2-5)
6
fino a quando verr allontanata
la corda dargento
(continua nei vv. 6-7)

Ho indicato in corsivo gli inviti a godere e a ricordare Dio, in sottolineato


semplice i riferimenti alla giovent, in sottolineato doppio quelli alla vecchiaia. Si vede cos che la logica del poema (12,1-7) parallela a quella del passo che precede (11,7-10); la differenza che il primo sviluppa i riferimenti alla
vecchiaia mediante una descrizione abbastanza dettagliata, e in parte misteriosa, di una cerimonia funebre a cui partecipa tutto il villaggio (su questo argomento si veda lexcursus II di Fox).
Una conseguenza di quello che abbiamo detto che la divisione di Fox in
tre unit non rispecchia bene la dinamica del brano. Ne segue anche che il brano si estende da 11,7 a 12,7 (non fino a 12,8). Inoltre i titoli che Fox d alle
tre suddivisioni non sono appropriati. In fondo ritroviamo qui, alla fine, lo
schema che ho rilevato in 3,16-22, in 5,7-19 e in 8,16-9,10, cio un movimento del pensiero in tre fasi: lato positivo, lato negativo e infine sintesi o
superamento della contraddizione mediante linvito a godere di ci che Dio
concede e finch lo concede.
La dinamica che abbiamo delineato non nega le contraddizioni attribuendole a personaggi differenti, n le vanifica mediante un irenico concordismo.
Prende seriamente ambedue gli aspetti e cerca di capire come Qohelet suggerisca di comporli insieme in un modo vivibile. Non si pu dire che Qohelet
risolva le contraddizioni, n lo potrebbe, perch la risoluzione riservata alla
sapiente e libera provvidenza di Dio. Questa conclusione fa capire che Qohelet

FOX M. V.

A TIME TO TEAR DOWN AND A TIME TO BUILD UP

525

non n un pessimista o un nichilista, n un edonista (per cui meglio lasciar


perdere il carpe diem degli epicurei!), n uno sconsiderato predicatore della
gioia. un saggio che riflette sulla propria esperienza alla luce della fede senza negare le contraddizioni, anzi portando spietatamente alla luce i lati negativi, dal punto di vista delluomo, dellesistenza.
A questo punto si comprender meglio unosservazione fatta sopra, che
cio per quello che posso vedere la distinzione che Fox pone tra Qohelet,
lautore dellepilogo e lautore del poscritto andrebbe riesaminata; per me
anzi essa non sussiste, almeno dal punto di vista del pensiero (si veda anche
la mia recensione del volume edito da M.L. Barr, Wisdom, You Are My
Sister in LA 48 [1998] 577-586, specialmente p. 583). Intendo dire che, sia
lautore del libro uno o pi, la finale 12,8-14 non solo riprende laffermazione iniziale 1,2 (tutto vanit) ma conclude e sintetizza lintera esposizione
affermando: alla fine di tutto resta solo Dio e il suo timore. Questo pensiero
viene espresso con una serie di sei unit grammaticali a due membri che
conferiscono alle frasi una solennit lapidaria: sp dbr / hakkl nim /
et-hlhm yer / weet-miwtyw emr / k-zeh kol-hdm Fine della
cosa, / tutto stato sentito: / Dio temi / e i suoi comandamenti custodisci /
perch questo il tutto delluomo (12,8). vero che kol-hdm significa
normalmente ogni uomo, o tutti gli uomini, non il tutto delluomo;
tuttavia se, come sembra, questo kol riprende hakkl della seconda unit
(hakkl nim), forse quellinterpretazione non esclusa, considerato anche
lo stile molto personale del libro; quanto al senso calza perfettamente. Del
resto anche le altre interpretazioni non sono esenti da difficolt, dato che
hanno bisogno di una qualche integrazione: For this is (the substance) of
every man (Fox), for this is the end of every man (Delitzsch), mentre
linterpretazione di Rashi non chiaro quale traduzione rifletta: Because
for this matter, the entire man (kol hdm) was created (Rosenberg, The
Five Megillot, 165; ma Delitzsch assicura che kol-hdm mai significa tutto
luomo!).
Ci che segue scritto con un linguaggio altrettanto solenne: (12,9) E
oltre ad essere un saggio, Qohelet / insegn anche la conoscenza al popolo; /
ponderando e ricercando (mentre/poich ponderava e ricercava, weizzn
weiqqr: due weqatal!), formul molti detti. / (10) Qohelet cerc di trovare
pregevoli parole / e uno scritto di/con rettitudine, parole di verit. / (11) Le
parole dei saggi sono come pungoli (kaddorbnt) / e come chiodi ben piantati (kemamert) sono le sentenze raccolte; / sono state date dallunico Pastore. Fox si discosta da questa traduzione soprattutto nel v. 11: The words of
the sages are like goads, and the [words of] masters of collections are like
implanted nails set by a shepherd. Egli afferma che soggetto di nitten
mreh ed non il lontano le parole dei saggi ma pungoli / chiodi, e
quindi reh ed indica un pastore imprecisato, quello che li ha piantati,
non Dio come si intende generalmente. Scrive:

526

RECENSIONI

But in the Bible, God is called shepherd in his capacity as keeper and protector,
which is not relevant here, and the epithet shepherd is never used by itself to
refer to God Nor are the words of the wise ever said to be given by God.
Wisdom as a personified entity and as a personal intellectual and moral power is
given by God, and perhaps the essential, abstract message of Wisdom is also a
divine gift. But the specific teachings of the sages do not come from him directly
(p. 355).

Queste decise asserzioni contengono, a mio parere, uninterpretazione non


corretta degli scritti sapienziali, non solo di Qohelet, come ho cercato di mostrare nel corso della presente recensione (si pu vedere anche lultimo capitolo del mio saggio La casa della Sapienza, intitolato Unit e diversit. La
proposta religiosa della sapienza). Sulla scia di G. von Rad, Weisheit in Israel,
sono convinto che non si pu porre quella contrapposizione tra Sapienza personificata e sapienza dei saggi. Ambedue sono legate alla fede in Dio creatore:
la prima personificazione della voce del creato (lauto-rivelazione del creato, come la chiama von Rad), mentre linsegnamento dei saggi frutto della
loro esperienza dello stesso creato alla luce del timore di Dio. Non sono voci
differenti, quella della Sapienza e quella dei singoli saggi, neppure quella di
Qohelet, nonostante la sua durezza, e neppure quella di Giobbe, nonostante le
sue accuse veementi a Dio. Penso quindi che lunico Pastore sia Dio, come
si intende comunemente, e che Qo 12,11 sia unaffermazione dellunit fondamentale della sapienza biblica.
Si pu dire quindi che se in 12,8 si ripete lannuncio caratteristico dellinizio vanit delle vanit (1,2), tuttavia dopo il lungo e faticoso percorso quelle
parole non sono emblema di incertezza e di smarrimento. Alla fine, dopo che
tutto stato detto, resta solo il timore di Dio e lobbedienza ai suoi comandamenti. Questo atteggiamento permette di convivere con le contraddizioni dellesistenza cogliendo il lato positivo che esse contengono: godere quando Dio
concede la gioia e riflettere quando manda la prova. Questa sapienza di
Qohelet scaturisce da un senso fortissimo di Dio e della sua libert sovrana, e
da un senso fortissimo delluomo da lui dipendente in tutto, a lui aperto, che
di lui vive e gioisce e anche soffre e muore. Nientaltro ha valore nel mondo
(La casa della Sapienza, 106).
Direi in conclusione che il commentario di Fox tanto ricco quanto problematico. Non potr comunque mancare dalla biblioteca di nessuno che sia
interessato a un libro cos affascinante e attuale come quello di Qohelet.
Alviero Niccacci, ofm
Nay Reto, Jahwe im Dialog. Kommunikationsanalytische Untersuchung von
Ez 14,1-11 unter Bercksichtigung des dialogischen Rahmens in Ez 8-11 und
Ez 20 (Analecta Biblica 141), Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma 1999,
XII-428 pp., L 50.00, $ 30.00.

NAY R.

JAHWE IM DIALOG

527

Frutto di una tesi dottorale difesa presso il PIB di Roma nel 1997 sotto la direzione di H. Simian-Yofre, il volume presenta una ricerca estremamente dettagliata su una pericope del libro di Ezechiele, 14,1-11, in modo particolare dal
punto di vista del processo di comunicazione o dialogo. Lo scopo della ricerca
sia teorico che pratico, ma lesposizione soprattutto pratica, preferendo
mostrare la teoria applicata concretamente al testo.
Il cap. I presenta in breve i fondamenti teorici dellanalisi dialogica e, pi
ampiamente, lo stato della ricerca su Ez 14,1-11; il cap. II dedicato ai problemi riguardanti lunit della pericope, la critica textus, la grammatica e la
sintassi; il cap. III si propone di determinare la situazione del discorso di 14,111 in rapporto a due pericopi particolarmente simili, i cc. 811 e 20; infine il
cap. IV, il pi lungo (oltre 150 pp.), espone lanalisi dialogica vera e propria. I
passi principali dellesposizione, molto articolata nelle sue varie suddivisioni,
sono accompagnati da una serie di sintesi parziali (Zwischenergebnis e
Ergebnis; il cap. III ha anche un Ergebnis finale, detto Ergebnisse nel
testo, p. 180) che aiutano a seguire liter lungo e impegnativo. La sintesi finale, anchessa abbastanza ampia, riprende, talvolta alla lettera, le sintesi parziali e si conclude con una prospettiva (Ausblick) che enumera tre problemi che
richiedono un ulteriore approfondimento: la localizzazione del profeta durante
loracolo 14,1-11 (lautore sembra non essere del tutto sicuro della posizione
adottata nel corso della ricerca); il rapporto di questa pericope con il resto del
capitolo, 14,12-23; i criteri di composizione del libro di Ezechiele al di l delle tre unit dialogiche esaminate (14,1-11 e i cc. 811 e 20).
In sintesi Nay ritiene che 14,1-11 sia il resoconto in prima persona di una
parola di Dio che incarica il profeta di comunicare un messaggio a un gruppo
di Anziani di Israele. Bench tutto loracolo sia rivolto al profeta, si distinguono tre parti oltre lintroduzione narrativa (vv. 1-2): un discorso agli Anziani (vv. 6b-8) collocato tra due istruzioni al veggente che non devono essere
comunicate agli Anziani (vv. 3-6a e 9-11). Largomento chiaramente il culto
degli idoli, ma si discute se gli Anziani siano rappresentanti degli esuli a Babilonia o degli abitanti rimasti in Giuda dopo la deportazione del 597. Il contesto dei cc. 811 e 20 dimostra per Nay la seconda ipotesi: gli Anziani sono
rappresentanti di Giuda venuti temporaneamente a Babilonia dove risiedeva il
profeta. I cc. 811 descrivono le pratiche idolatriche in Gerusalemme e annunciano la totale distruzione; 14,1-11 conferma questo annuncio ma lo mitiga con un invito alla conversione (v. 6); infine il c. 20, constatata la
persistenza del culto idolatrico, annuncia la punizione di Dio che consister
nel far uscire gli esuli dallidolatria verso un luogo di purificazione, dopo di
che avverr il raduno dei dispersi e il ristabilimento del culto del Signore sul
santo Monte.
1) Pragmalinguistica. La ricerca di Nay si basa su alcuni risultati della
pragmalinguistica (vengono citati in particolare U. Eco e J.-M. Adam) e della
teoria del testo (introdotta nellesegesi tedesca da H. Schweizer, afferma la nota

528

RECENSIONI

10, p. 7). Concetti base della pragmalinguistica sono lingua, testo e dialogo, questultimo comprendente i primi due:
Pragmalinguistisch wird Sprache als besondere Form des sozialen Handels und
als Interaktion zwischen Dialogpartnern in konkreten Gesprchssituationen verstanden. Diesem Sprachbegriff (Sprache als Handlung) steht die systemorientierte
Sprachauffassung gegenber, welche die Sprache als semiotisches System kommunikativer Zeichen begreift. () Mit P. Schmidt verstehen wir Text pragmalinguistisch als Realisat eines kommunikativen Prozesses zwischen dem Texthersteller und dem Textrezipient. Der Text ist das Produkt und Zeugnis eines Dialoges
zwischen Gesprchspartnern. Um einen Text zu begreifen, ist das Gesagte in der
Gesprchskonstellation zu erfassen. Diese bildet den Kontext der Auslegung. Das
Gesprch ist dann begriffen, wenn man die mitgeteilte Kommunikation qua Kommunikation versteht, also den Text unter Bercksichtigung von Funktion, Status
und Wirkabsicht der Gesprchspartner interpretiert. Der Textsinn ist folglich das
Resultat des Zusammenspiels vieler kommunikativer Faktoren (pp. 8-9).

Di conseguenza la pericope Ez 14,1-11 viene interpretata sulla base del


colloquio (Gesprch) che essa implica, al quale prendono parte gli Anziani di Israele, il profeta e Dio. Nay si pone subito il problema se sia possibile
supporre un quadro coerente per questo colloquio collocato in un testo
profetico, o se non si debba prima risolvere il problema delle glosse o aggiunte posteriori. A questo problema egli ritiene di poter dare una risposta solo al
termine della ricerca, altrimenti, afferma, si rischia di operare interventi critico-letterari prima di comprendere il testo. Osserva opportunamente:
Das fhrt zuzeiten dazu, da Unverstandenes als inhaltliche Spannung interpretiert und literarkritisch geglttet wird. Die Exegese gert in Gefahr, sich nicht
mit Texten, sondern mit Textrekonstruktionen zu beschftigen, die auf Interpretationsfehlern basieren (pp. 5-6).

La sintesi finale ha un paragrafo sulle conseguenze della ricerca in rapporto alla critica letteraria, per si limita a notare, in termini generali, che
Viele literarkritische Anstze leiden an einem textlinguistischen Manko. ()
Die Dialoganalyse leistet einen Beitrag zur Kriterienbildung und dient dazu,
den literarkritischen Wildwuchs einzudmmen, indem sie ein Kontrollinstrument bereitstellt, um literarkritische Rekonstruktionen an Hand textlinguistischer Kriterien auf dem Textebene zu verifizieren (pp. 341-342). Non ho
trovato invece una risposta diretta al problema se in Ez 14,1-11 siano riscontrabili glosse, ma dallinsieme suppongo che la risposta dellautore sarebbe
negativa.
Un altro principio di analisi che ritengo positivo considerare il testo come
ununit, contro il frazionamento nei singoli elementi: Erst das Ganze macht
Sinn, und die Einzelteile sind nur im seinem Licht verstehbar (p. 13). Cos
pure positivo affermare la priorit della realt nel testo (Wirklichkeit im
Text) sulla realt in s (Wirklichkeit in sich), o verit storica, che interessa per lo pi gli interpreti:

NAY R.

JAHWE IM DIALOG

529

Die Wirklichkeit in sich kann also nicht an der Wirklichkeit im Text vorbei
erforscht werden. Die Textfiktion ist die sprachliche Nachahmung der Wirklichkeit
und oft deren einziger Zeuge. De (sic) Nachahmung ist dem Original zwar
unterlegen, sie stellt aber zugleich eine Neuschpfung dar. Will man zu einem
historischen Urteil ber die dem Abbild zugrundeliegende reale Wirklichkeit
gelangen, kommt man an der Beobachtung der Textfiktion nicht vorbei (pp.
14-15).

Se comprendo bene, lautore non intende negare lindagine storica dei fatti in s, dato che egli stesso in qualche modo la pratica; intende piuttosto affermare la priorit della verit del testo sulla verit storica. questo un punto
importante per una corretta valutazione dei testi. Infatti, come ho cercato di
mostrare varie volte, attraverso mezzi linguistici appropriati lautore fornisce
la sua personale presentazione della realt, che pu coincidere con lordine dei
fatti accaduti ma pu anche divergere. In altre parole lautore pu decidere di
modificare la realt in vario modo (nellordine dello svolgimento, mediante
sottolineature proprie, dettagli detti o taciuti, ecc.) per un suo scopo. Se le informazioni del testo sono controllabili sulla base di fonti esterne, si potr apprezzare al meglio luso che lautore fa della realt (senza comunque dimenticare che anche le fonti esterne sono, o almeno possono essere, ideologiche
come spesso si afferma di quelle bibliche!) e si potr quindi delineare la sua
strategia di comunicazione e il suo scopo. Un errore purtroppo frequente
valutare il testo sulla base della vera o presunta realt dei fatti senza tener conto della sua propria verit.
Pi avanti Nay ritorna sul problema del rapporto tra realt del testo
(Skriptum) e realt storica (Faktum) affermando che, soprattutto quando il
testo lunico testimone di un fatto, tanto pi si comprender il primo, quanto
pi si comprender il secondo. In questo contesto afferma anche che lapproccio
pragmalinguistico da lui adottato intende preparare la via alla ricerca storica:
Der pragmalinguistische Ansatz zielt darum auf die direkt zugngliche, textlichfiktive Wirklichkeitsebene. Von ihr ausgehend sucht historisches Arbeiten zur hinter dem Text stehenden geschichtlichen Wirklichkeit vorzudringen. Die pragmatische Methode legt also die im Text enthaltene fiktive Wirklichkeit zutage und ist
dem Text und seiner Geschichte verpflichtet (p. 22).

Resta comunque il dato espresso pocanzi che lautore pu modificare la


realt per un suo scopo di comunicazione. In rapporto al problema delicato,
accennato nella nota 64 a p. 22, se la narrazione biblica meriti la qualifica di
story o di history, sar bene notare che modificare la storia nel senso appena indicato non significa falsificarla o inventarla ma piuttosto utilizzarla per
uno scopo preciso.
Nay discute poi il metodo moderno, soprattutto di area anglofona, noto
come Rhetorical Criticism o Literary Criticism, il quale prende in considerazione la struttura dei testi nella loro forma finale. Pur apprezzandolo per

530

RECENSIONI

certi aspetti, egli lo accusa di considerare il testo wie ein geordnetes und
statisches Kunstwerk (p. 26), perch si disinteressa della dimensione temporale e dialogica del testo stesso. Mentre questi rilievi mi sembrano pertinenti,
non comprendo invece il senso della seguente affermazione:
Der Text wird als Zeugnis einer Handlung, genauer, der Sprachhandlung, verstanden. () Es wird also nicht der abendlndische Kunstgeschmack, sondern die zeitgenssische Kommunikationserfahrung auf Dialoge vergangener Tage bertragen.
Diese Transposition ist gerechtfertigt, weil die meisten biblischen Texten dem heutigen Leser nicht wie Funksprche aus dem All vorkommen, sondern im groen
und ganzen verstndlich sind. Daraus folgt, da die Bibeltexte eine Kommunikation voraussetzen, die sich nach Regeln vollzieht, die auch die Kommunikation in
unserem Alltag lenken (p. 27).

Da un lato non capisco bene perch non si debba tener conto del gusto artistico orientale; dallaltro non sono sicuro che sia davvero giustificato applicare lattuale esperienza del dialogo a dei testi antichi per il semplice motivo
che essi sono nel complesso comprensibili al lettore moderno. Non trovando
risposta a questi dubbi (la nota 80 a p. 27 non mi aiuta), mi resta limpressione
che sia presente, qui e forse altrove, una diffidenza un po esagerata verso le
conoscenze extra bibliche, che sono al contrario molto utili per linterpretazione della Bibbia purch siano utilizzate in modo appropriato.
Nella parte dedicata alla storia della ricerca su Ez 14,1-11 vengono passati
in rassegna ben 27 commentatori, da Origene a L.C. Allen (1994), allo scopo
di controllare se siano sensibili verso lanalisi dialogica e se offrano degli spunti validi per la ricerca successiva dellautore. Da questo excursus storico prende lavvio il cap. II, ma non capisco bene in che modo lexcursus stesso si
colleghi al prosieguo della ricerca, anche perch manca una sua valutazione
alla fine del lavoro.
2) Sintassi. Studiando i limiti della pericope, Nay decide di separare i vv.
1-11 dal resto del capitolo 14 a motivo della presenza nel v. 12 di unintroduzione, frequente in Ezechiele, detta Wortereignisformel: Poi venne a me la
parola del Signore dicendo. Lascia per aperto il problema del rapporto tra le
due pericopi a motivo di alcuni punti oscuri che restano. Presenta poi il testo
ebraico di 14,1-11, con traduzione a fronte (pp. 105-106), suddiviso in unit
enunciative (uerungseinheiten) numerate con lettere minuscole progressive (a, b, c, ecc.) seguendo la Biblia Hebraica transcripta (BHt) edita da W.
Richter (1993), vol. 9.
Anche se non lo dice, nei confronti della BHt Nay si concede per qualche
libert su cui vale la pena fermarsi in quanto chiamata in causa lanalisi
sintattica. La divisione della BHt intende indicare i limiti delle proposizioni che
compongono il testo. Nay la segue anche nellanalisi di rOmaEl dicendo, il
sintagma che introduce il discorso diretto (v. 2b), che viene messo in una riga
a s per quanto non costituisca una proposizione da solo, essendo nientaltro
che un complemento composto della preposizione lamed e di un infinito con

NAY R.

531

JAHWE IM DIALOG

funzione di nome (vedi nota 7, p. 105, a proposito del v. 2b); e lo stesso fa nel
v. 7g con yIb wl_vrdIl. Non segue invece la BHt nel modo di numerare le varie
unit enunciative, ad esempio nel v. 3, in cui la BHt separa il vocativo MdDa_NR;b
dal resto della frase, ma numera lespressione seguente ancora con la lettera a,
mostrando di non considerare il vocativo come una proposizione a s; Nay invece usa una lettera differente per il resto della frase, il che giusto poich il
vocativo analizzabile come una proposizione ellittica.
Altre differenze si notano nel trattamento del casus pendens nei vv. 4, 7 e
9. Riporto qui sotto la divisione del v. 4, con la numerazione della BHt paragonata con quella di Nay:
BHt:
BHt:
BHt:
BHt:
BHt:

dP
dPR1
dPR2
dPR3
d

lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa


w;bIl_lRa wyDlw;lg_tRa hRlSoy rRvSa
wynDp jAkOn MyIcy wnOwSo lwvVkImw
ayIbnAh_lRa aDbw
wyDlw;lg bOrV;b ;hDb wl yItynSon hwhy ynSa

Nay:
Nay:
Nay:
Nay:
Nay:

d
e
f
g
h

Le sigle della BHt indicano che la frase d casus pendens (P) e che le seguenti sono tre proposizioni relative (R1-3) collegate al casus pendens d, detto
Matrixsatz. Ora, da un lato non si capisce come la proposizione dPR3 possa dirsi relativa; infatti mentre rRvSa pu essere ellittico in dPR2, non lo pu
certo essere in dPR3 che inizia con weqatal; di questultima proposizione si
potr dire che continua una relativa, o che si traduce con una relativa, non certo che sia relativa dal punto di vista grammaticale. Nay, da parte sua, non rispetta la divisione gerarchica della BHt e adotta una numerazione progressiva.
Devo dire che questo riflette lanalisi corretta, dato che il casus pendens forma
una proposizione a s stante che equivale a una proposizione circostanziale, o
protasi, posta prima della proposizione principale, o apodosi. Nella divisione
della BHt, invece, anche lultima proposizione riportata sopra, che appunto
lapodosi, riceve la sigla d, il che significa che forma una sola proposizione
con il casus pendens. Il motivo che gli editori hanno adottato la posizione di
W. Gro circa lanalisi della cosiddetta Pendenskonstruktion (si veda la mia
discussione in The Syntax of the Verb in Classical Hebrew Prose, 204-205,
nota 81). Secondo Gro, la proposizione che ho chiamato apodosi collegata
al casus pendens, viene detta perci zugehriger Satz e forma con esso
ununica matrice (Matrixsatz).
Il caso del v. 7 analogo. Per la BHt tutto il versetto costituisce ununica
proposizione matrice, con un casus pendens (lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa) seguito
da ben cinque proposizioni relative, mentre quella che in realt lapodosi viene scomposta in un secondo pendens (aP2, hwhy ynSa) e in un altro elemento
con participio (a, yI;b w;l_hnSon). Ora, da un lato, delle proposizioni relative
solo la prima autentica, essendo introdotta da rRvSa (aPR1), mentre le altre
comprendono due weyiqtol (aPR2-3) e un weqatal (aPR5), che certo non

532

RECENSIONI

costituiscono proposizioni relative, e un waw-x-yiqtol (aPR4) che, per la sua


posizione tra weyiqtol e weqatal non costituisce neppure esso una proposizione
relativa; daltro lato, lapodosi yI;b w;l_hnSon hwhy ynSa viene scomposta, senza alcun motivo visibile, in due parti, mentre invece costituisce la proposizione
principale con waw + soggetto + participio predicato, come ritiene giustamente Nay (p. 106, nota 10).
La posizione della BHt ancor pi problematica nellanalisi del v. 9. Il
nome ayIbnAhw viene giustamente indicato come pendens (aP); le due proposizioni seguenti vengono numerate in forma progressiva (b-c), e dunque, a
differenza di quelle dei vv. 4 e 7, non appartengono alla matrice del pendens,
mentre vi apparterrebbe la proposizione successiva ayIbnAh tEa yItyE;tIp hwhy ynSa
awhAh (a). Direi che questa analisi sfida ogni logica. Da un lato, lultima proposizione viene collegata alla matrice del casus pendens ignorando, non so
per quale motivo, le due proposizioni intermedie; dallaltro, una proposizione
del tutto analoga a quella qui siglata a, nel v. 7 viene scomposta in due parti,
di nuovo non capisco per quale motivo. Sembra evidente una certa dose di
arbitrariet.
Il confronto di questi tre versetti con casus pendens permette di trarre due
conclusioni interessanti per quanto riguarda la struttura delle frasi. Confrontiamo i vv. 4 e 9:
v. 4
(a) lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa
(b) () w;bIl_lRa wyDlw;lg_tRa hRlSoy rRvSa
(c) ayIbnAh_lRa aDbw
(d) wyDlw;lg bOrV;b ;hDb wl yItynSon hwhy ynSa

v. 9

ayIbnAhw
hR;tUpy_yIk
rDb;d rR;bdw
awhAh ayIbnAh tEa yItyE;tIp hwhy ynSa

Questo confronto mostra che hRlSoy rRvSa (4b) equivale funzionalmente a


hR;tUpy_yIk (9b), cio ambedue specificano il casus pendens: ognuno della Casa di
Israele, che porr, E il profeta, quando si lascer ingannare. Ho documentato questa equivalenza con vari esempi nella recensione al volume in onore
di W. Richter, Text, Methode und Grammatik, in LA 44 (1994), 3 e 5.
Unaltra conclusione si pu trarre confrontando i vv. 4 e 7:
v. 4
(a) lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa
(b) w;bIl_lRa wyDlw;lg_tRa hRlSoy rRvSa
(c) wynDp jAkOn MyIcy wnOwSo lwvVkImw
(d)
(e)
(f) ayIbnAh_lRa aDbw
(g) wyDlw;lg bOrV;b ;hDb wl yItynSon hwhy ynSa

v. 7

rgAhEmw lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa


lEarVcyV;b rwgy_rRvSa
yrSjAaEm rznyw
w;bIl_lRa wyDlw;lg lAoyw
wynDp jAkOn MyIcy wnOwSo lwvVkImw
yIb wl_vrdIl ayIbnAh_lRa aDbw
yI;b w;l_hnSon hwhy ynSa

NAY R.

JAHWE IM DIALOG

533

Colpisce la presenza nel v. 7 di due weyiqtol (c-d), seguiti da un x-yiqtol


(e) che probabilmente legato ad essi come sfondo al primo piano. Colpisce
perch nel v. 4 troviamo invece un x-yiqtol (c) seguito da un weqatal (f). Di
regola, un costrutto x-yiqtol indicativo (cio non volitivo) viene continuato con
weqatal per indicare coordinazione e successione, mentre quando segue un altro x-yiqtol segno che si intende evitare la coordinazione/successione e si
intende invece indicare lo sfondo. In base a questo uso, (4c) indica sfondo
mentre (4f) indica coordinazione: (a) Ognuno della Casa di Israele, (b) che
porr (far salire) i suoi idoli nel suo cuore, (c) mentre linciampo della sua
iniquit metter davanti al suo volto, (f) quando verr al profeta.
Questa analisi suppone che le forme x-yiqtol e weqatal del v. 4 si riferiscano al futuro. Esiste per la possibilit che si riferiscano al passato. In effetti
lebraico usa quelle forme sia in riferimento al futuro (soprattutto nel discorso
diretto) che in riferimento al passato (soprattutto nella narrazione storica); nel
primo caso esse vengono tradotte con il futuro, nel secondo con limperfetto.
Ora almeno due indizi suggeriscono che nel v. 4 si riferiscano piuttosto al passato. Un indizio positivo: la presenza di un qatal nel v. 5 (wrOzn rRvSa che si
erano allontanati); laltro negativo: lassenza di weqatal per il futuro
nellapodosi, a differenza degli altri due casi analoghi che stiamo esaminando
(vv. 8 e 9-10). Se dunque il v. 4 si riferisce al passato la traduzione sar:
Ognuno della Casa di Israele, che poneva i suoi idoli nel suo cuore, mentre
linciampo della sua iniquit metteva davanti al suo volto, quando veniva al
profeta, io stesso, il Signore, mi sono impegnato a rispondergli in questa situazione (in ci) secondo la moltitudine dei suoi idoli.
Resta da spiegare la comparsa sorprendente di weyiqtol nel v. 7c-d. Di regola, mentre weqatal la continuazione coordinata di x-yiqtol indicativo, come
detto sopra, weyiqtol la continuazione coordinata di (x-) yiqtol volitivo. Nel
caso presente weyiqtol sembra sottolineare la volontariet delle azioni indicate, cosa diversa dalla semplice possibilit futura, per cui possiamo tradurre il
v. 7 nel modo seguente: Poich ognuno della Casa di Israele e degli immigrati che vorr risiedere in Israele e tuttavia vorr separarsi da me, vorr porre i
suoi idoli nel suo cuore e linciampo della sua iniquit mettere (mentre linciampo vorr mettere) davanti al suo volto, quando verr al profeta per
consultarmi per mezzo di lui, io stesso, il Signore, mi impegno a rispondergli
secondo me.
Dopo poche annotazioni di critica testuale, in cui non accetta nessuna delle correzioni del testo proposte dagli studiosi (pp. 107-108), Nay discute alcuni problemi grammaticali e sintattici, soprattutto il valore delle forme verbali
yItynSon (qatal) nel v. 4h e hnSon (participio) nel v. 7h. Secondo lautore esse sono
inattese nellapodosi dei testi legali, in cui usualmente si trova x-yiqtol o
weqatal (pp. 111-112). davvero notevole, quanto rara, questa attenzione alle
forme verbali e lo sforzo di valutarle sulla base di criteri sintattici, piuttosto
che semplicemente sulla base della scelta personale dellinterprete. A questo

534

RECENSIONI

scopo Nay ricorre al confronto con la LXX e con la Vulgata sulla scia di B.
Zuber e di W. Gro. Si osserva per che per quanto la LXX e la Vulgata traducano yItynSon con il futuro (rispettivamente apokriqh/somai e respondebo), Nay
ritiene che vada tradotto con il passato come il parallelo yItyE;tIp, anchesso un
qatal inatteso nellapodosi (v. 9d), mentre entrambe le versioni antiche traducono yItyE;tIp con il passato (peplanhka e decepi). Nay ne trae una conclusione
che risulta importante per la sua ricerca: dunque Dio ha gi dato una risposta
nel quadro di un atto linguistico (Sprachhandlung) del contesto passato. E
anticipando il risultato della sua analisi ulteriore, afferma che Dio ha gi risposto a quegli Anziani idolatri durante la visione nel Tempio (Ez 811), cio
nel corso di unaltra pericope in cui il culto idolatrico svolge un ruolo importante cos come in una terza pericope riguardante anchessa gli Anziani e il profeta (Ez 20). Pi avanti precisa che la risposta consiste nella morte di uno degli
Anziani idolatri di Giuda venuti presso il profeta, di nome Pelatia (11,13), una
morte che unammonizione per quelli che si comportano allo stesso modo
(pp. 216-217).
Un altro problema sintattico trattato con attenzione il valore dei tempi
dei vv. 4 e 7, che per Nay appartengono al genere del detto giuridico
(Rechtswort). Egli afferma che le forme yiqtol e weqatal del v. 4, in conformit allo stile legale casuistico, indicano una situazione generale non legata a
un tempo preciso e perci, sullautorit di W. Gro (p. 118, nota 76), le traduce con il presente. Nota poi che si produce un passaggio brusco dalla situazione generale (protasi, v. 4d-g) a un caso particolare collocato nel passato
(apodosi con x-qatal, v. 4h). In linea generale direi che emerge, qui come altrove, una certa tensione tra il valore usuale delle forme verbali, che Nay valuta seguendo fondamentalmente la mia Sintassi del verbo, e le difficolt
concrete dei passi in esame, per risolvere le quali egli adotta di volta in volta
approcci sintattici diversi e non sempre conciliabili tra loro.
Come nel v. 4, Nay afferma il valore atemporale dello yiqtol del v. 7b e
anche dei due weyiqtol di 7c-d, i quali sarebbero degli yiqtol con waw congiuntivo, non consecutivo, e avrebbero la funzione di protasi. Ora per, da un
lato, non capisco come sia possibile che siano iussivi i due weyiqtol di 7c-d
ma non lo yiqtol di 7b, se vero che i primi sono collegati al secondo con un
waw congiuntivo e sono quindi coordinati; daltro lato, la costruzione del v. 7
analoga a quella del v. 4: sostantivo (7a), seguito da una frase con rRvSa +
yiqtol che lo qualifica (7b) e da altre frasi collegate con weyiqtol (7c-d) e xyiqtol (7e). Ne segue che la protasi costituita dal sostantivo iniziale insieme
alle qualificazioni che laccompagnano, cio da 7a-e, non da 7c-e soltanto. Alla
protasi 7a-e segue in 7f una seconda protasi con weqatal come in 4g. Ecco in
concreto lanalisi che propongo per il v. 7:
(1a protasi)

(a) rgAhEmw lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa yI;k


(b) lEarVcyV;b rwgy_rRvSa

NAY R.

(2a protasi)
(apodosi)

JAHWE IM DIALOG

535

(c) yrSjAaEm rznyw


(d) w;bIl_lRa wyDlw;lg lAoyw
(e) wynDp jAkOn MyIcy wnOwSo lwvVkImw
(f-g) yIb wl_vrdIl ayIbnAh_lRa aDbw
(h) yI;b w;l_hnSon hwhy ynSa

Riguardo al participio hnSon nellapodosi (7h), Nay afferma che esprime anchesso una situazione generale nel presente, il che giusto. Tuttavia non vedo
perch le forme verbali x-yiqtol e weqatal usate nella protasi del v. 7 (e anche
9) non possano avere il valore usuale di futuro pur delineando evidentemente
delle situazioni generali; in questo caso il participio hnSon indicherebbe contemporaneit nel contesto futuro. In effetti secondo luso normale il participio
esprime contemporaneit alla forma verbale dominante, se non esso stesso la
forma dominante, nel qual caso esprime il tempo presente.
3) Analisi dialogica. Nel cap. III, dedicato alla situazione del discorso
(Redesituation), lautore cerca di chiarire i presupposti necessari per interpretare lenunciato di Ez 14,1-11 alla luce delle altre due pericopi che appartengono alla medesima costellazione discorsiva (Gesprchskonstellation),
cio Ez 811 e 20. Egli interessato a controllare in particolare se gli Anziani
di cui si parla siano davvero rappresentanti degli esuli in Babilonia, come si
pensa generalmente, o non siano invece rappresentanti degli abitanti di Giuda
rimasti nel paese (detti Restjuda). Accanto a 14,1-11, Ez 811 e 20 sono i
passi in cui il profeta riceve da Dio un messaggio per gli Anziani, e per questo
Nay li chiama pericopi degli Anziani (ltestenperikopen).
Applicando il metodo dialogico a queste pericopi, Nay distingue tre livelli
di comunicazione: verso lesterno, tra narratore e ascoltatore/lettore, aspetto
che per egli non tratta; tra Dio e il profeta, per la parte del messaggio riservato al secondo; tra il profeta e gli Anziani, per la parte del messaggio destinato
a questi ultimi. Latto linguistico mostra per Nay un carattere progressivo:
prima lindirizzato il profeta, detto figlio delluomo, poi gli Anziani e infine il circolo generale dei lettori, attraverso una riscrittura progressiva del
testo, detta Fortschreibung da W. Zimmerli: eine Fortschreibung osserva
Nay kommunikativer Natur (), durch die der ursprngliche Dialog auf
neue Adressaten ausgeweitet wird (p. 129). Il che per, non avendo seguito
nel resto della ricerca, pu apparire come unapertura piuttosto estemporanea
verso lanalisi diacronica del libro di Ezechiele.
Nel riassunto finale Nay accenna alle conseguenze dellanalisi dialogica
per la critica della forma e anche per lintenzione del testo/dellautore. Riguardo a questultimo punto egli afferma che nei testi dialogici inesatto parlare
di intenzione del testo o dellautore; bisogna parlare piuttosto di intenzione di
chi guida il dialogo, cio di Dio stesso in Ez 14,1-11; meglio ancora, di intenzioni al plurale, di Dio e dei suoi partner il profeta e gli Anziani, che
interagiscono tra loro. Lautore conclude:

536

RECENSIONI

Die Sprachhandlung entfaltet sich somit al Konfrontation mehrerer Intentionen,


die von den Intentionen des vermittelnden Propheten bzw. Schreibers des Textes,
die in Ez 14,1-11 kaum zur Sprache kommen, zu unterscheiden sind (p. 342).

In mancanza di ulteriore spiegazione, posso dire solo che questa frase mi


lascia perplesso. Infatti lapproccio linguistico basato sulla tessitura grammaticale-sintattica, sulla forma e sullordine secondo cui le informazioni vengono comunicate, mi porta ad assegnare il primato allintenzione dellautore del
testo, o comunque di chi fu il responsabile della redazione finale. Il dialogo,
come ogni altra forma letteraria, non sceso dal cielo gi composto ma ha ricevuto espressione e forma dallo scrittore. Si possono, certo, identificare le
intenzioni dei protagonisti, ma difficilmente si potr prescindere dal fatto che
esse sono giunte a noi filtrate attraverso la personalit dellautore.
La lettura che Nay fa della prima pericope degli Anziani (Ez 811), che
poi il punto di partenza della sua interpretazione di 14,1-11, la seguente (pp.
156-159): gli Anziani si radunano davanti al profeta, il quale va in estasi (8,1);
dopo un po di tempo emette ad alta voce un grido (9,8), al quale gli Anziani
reagiscono con unaffermazione (11,3); in questa situazione viene al profeta
una parola del Signore per essi (11,5-12); durante la proclamazione di questa
parola muore Pelatia (11,13); allora il profeta grida di nuovo (11,13). Lautore
si impegna a fondo per dimostrare che esiste un legame tra quei versetti, che
pure sono collocati a distanza tra loro e sono legati al contesto loro proprio. Se
capisco bene il suo pensiero, i cc. 811 sono ambientati nella casa del profeta
in Caldea dove gli Anziani sono seduti (8,1); solo il profeta vede in visione i
fatti che accadono a Gerusalemme; gli Anziani sentono solo il grido di orrore
che egli emette di fronte alla strage di quelli che non hanno il tau sulla fonte
(9,8); lAnziano Pelatia muore davanti al profeta che in visione lo ha visto
compiere pratiche idolatriche a Gerusalemme; a quel punto il profeta di nuovo
grida inorridito (11,13). Nay osserva che questa specie di bilocazione di Pelatia
pone un problema solo apparente se si tiene conto dei diversi livelli del testo:
quello della visione e quello del dialogo. Il che, lo confesso, mi lascia piuttosto perplesso, anche perch allinizio il profeta ha davanti a s gli Anziani di
Giuda mentre alla fine racconta la visione non a loro ma agli esuli (11,25).
Questo cambiamento dovrebbe indicare che i cc. 811 non presuppongono il
medesimo scenario e che la visione non avviene durante lincontro del profeta
con gli Anziani di Giuda.
Raccolti insieme e riassunti nella sintesi finale, spiccano alcuni punti che
Nay ha inteso precisare nei minimi dettagli al punto di apparire quasi eccessivo.
Ad esempio, egli intende in modo molto concreto il v. 3: gli Anziani che vanno
dal profeta per consultare il Signore non solo hanno fatto una scelta interiore a
favore degli idoli ma anche portano amuleti al collo, nascosti sul cuore, e in
linea con questo egli intende il v. 5: prendere per il cuore non sarebbe
unespressione metaforica sul tipo di quella di Os 2,16, ma indicherebbe il gesto
concreto di strappare gli amuleti che gli Anziani portavano appunto sul cuore.

NAY R.

JAHWE IM DIALOG

537

Riguardo poi alla posizione religiosa degli Anziani, Nay ritiene che essi
oscillino tra Dio e gli idoli, come si vede sia in 8,12 che in 14,1. Secondo la
sua ricostruzione i nuovi capi di Giuda temevano, da un lato un attacco dei
babilonesi, dallaltro il ritorno degli esuli e speravano nel mantenimento dello
status quo. Ma se questo vero, viene da domandarsi come mai gli Anziani di
Giuda si rechino dal profeta a Babilonia, con il rischio di essere accusati di
tramare contro il potere, e come si pu sottoscrivere linterpretazione di Nay
che lappello di Dio alla conversione in 14,6 sia rivolto agli Anziani mentre
secondo il dettato del testo esso rivolto alla Casa di Israele. Appare problematico anche il modo di intendere il peccato del profeta, a cui secondo
14,10 viene rivolta la stessa minaccia dellinterrogante idolatra. Per Nay il peccato consiste nel comunicare agli Anziani il messaggio di salvezza di 14,11,
che doveva rimanere riservato agli esuli. Ora, che ci siano delle tensioni in
questa soluzione mi sembra piuttosto chiaro, anche perch non vedo come possano essere separati invito alla conversione e promessa di salvezza, che di solito vanno insieme. Se gli Anziani sono i destinatari del primo (v. 6), non vedo
come non lo siano anche della seconda (v. 11).
La divisione di Ez 14,1-11 in quattro unit: introduzione narrativa (vv. 1a2b), prima istruzione al profeta (vv. 3a-6a), discorso agli Anziani (vv. 6b-8e) e
seconda istruzione al profeta (vv. 9a-11e), appare problematica per almeno due
motivi. Da un lato, non corrisponde bene alla lettera del testo; infatti quella
che viene indicata come prima istruzione al profeta contiene lordine di parlare agli Anziani (v. 4a), mentre quello che viene detto discorso agli Anziani in
realt rivolto alla Casa di Israele (v. 6a); inoltre la cosiddetta seconda istruzione al profeta letterariamente continuazione dellunit precedente rivolta alla
Casa di Israele e tratta di un profeta che non di per s Ezechiele ma uno qualsiasi a cui si rivolga lisraelita o limmigrato secondo il caso delineato nei vv.
7-8. Daltro lato, la divisione proposta spezza la sequenza di due frasi, perci
di alla Casa di Israele (v. 6a) e cos ha parlato il Signore Dio (v. 6b), che
di solito si trovano insieme nella medesima unit testuale, come ad esempio
nel v. 4.
Nay considera giustificata la sua divisione di 14,1-11 e lidentificazione del
pubblico degli indirizzati (das Zielpublikum) in base alla sua analisi
dialogica, secondo la quale gli Anziani sono inviati dei residenti di Giuda e
anche rappresentanti della Casa di Israele (v. 6a), per cui ci che viene detto
a questa detto a loro. Afferma inoltre che i vv. 4c-8e non formano una unit
dal punto di vista dialogico, ma francamente la forza del suo argomento mi
sfugge (p. 132).
Seguendo invece il dettato del testo si pu fare di 14,1-11 una lettura abbastanza differente, che mi convince di pi. Il profeta riceve lordine di parlare prima agli Anziani, ai quali deve comunicare un messaggio che riguarda
la Casa di Israele (vv. 4-5), evidentemente a significare che ci che viene
detto per tutti gli israeliti vale anche per loro. Poi riceve lordine di rivolgere

538

RECENSIONI

alla Casa di Israele linvito alla conversione (v. 6), motivato dalla minaccia
che chiunque, israelita o immigrato, non intenda convertirsi e ugualmente
vada dal profeta per conoscere la parola del Signore, il Signore stesso lo
annienter, e cos conclude loracolo conoscerete che io sono il Signore (vv. 7-8). Si nota in questultima frase lappello diretto, in seconda persona plurale, riferito con tutta probabilit alla Casa di Israele a cui il messaggio
destinato. Linvito alla conversione del v. 6 riceve poi una seconda motivazione, coordinata e parallela a quella dei vv. 7-8, che riguarda il profeta a cui
eventualmente si rechino lisraelita o limmigrato di cui sopra. Il profeta che
pretenda dir loro una parola da parte di Dio, mentre questi vuole negarla e
vuole invece rispondere a suo modo (v. 7h), quel profeta avr la medesima
sorte dellinterrogante idolatra, affinch conclude loracolo la Casa di
Israele non devii pi da dietro a me, e cos non saranno pi contaminati a
causa dei loro delitti, ma saranno per me un popolo e io sar per loro Dio
(v. 11), il che una conclusione parallela a e cos conoscerete che io sono
il Signore (v. 8d-e).
Direi perci che la parola che il Signore indirizza al profeta riguarda anzitutto gli Anziani che sono venuti a consultare loracolo, ma ha come scopo
ultimo la Casa di Israele, a cui destinato linvito alla conversione e la promessa della nuova alleanza.
4) Interpretazione. Devo confessare che la lettura del lunghissimo cap. IV
dedicato allanalisi dialogica stata particolarmente dura e impegnativa, anche perch, da un lato lanalisi estremamente dettagliata, dallaltro il percorso di ricerca adottato rende inevitabili ripetizioni e ritorni allindietro, con
buona pace dellautore il quale afferma che mentre il cap. III ha studiato le
premesse del discorso, il cap. IV dedicato allo sviluppo del discorso stesso.
A questo proposito egli parla di aspetto diacronico del dialogo, cosa che per
resta allinterno del testo e non da confondere con la ricostruzione della situazione storica, come precisa la nota 1 (p. 185):
Synchronie und Diachronie sind eng verbunden. Die hier vorgenommene Unterscheidung rechtfertigt sich nur aus praktischen Grnden. Man beachte, da Diachronie den Ablauf der Sprachhandlung bezeichnet, der vom historischen
Sachverhalt oder von der Textentstehung zu unterscheiden ist.

Nellanalisi del dialogo Nay prende in considerazione due fattori nuovi: il


tempo e il luogo. Inoltre, seguendo H. Schweizer, introduce la categoria della
macro proposizione (Makrosatz), che il risultato dellinsieme di unit
minori che si collegano tra loro dal punto di vista sintattico: In Makrosatz
stehen die uerungseinheiten zueinander in einem textsyntaktischen
Verhltnis (p. 187). In questo contesto egli riprende ancora una volta la mia
teoria sintattica e la applica al passo profetico. Nella nota 15 cita una mia affermazione di anni fa secondo cui la teoria da me proposta vale per i testi di
prosa e che la poesia funziona in un modo completamente diverso. Nay ha ra-

NAY R.

JAHWE IM DIALOG

539

gione di affermare: Wie dem auch sei, Ez 14,1-11 ist ein besprechender Text,
der nach den von Niccacci fr solche Texte angegebenen Kriterien beurteilt
werden kann (p. 187). In effetti negli ultimi anni ho cambiato idea: fondamentalmente la poesia analizzabile secondo i criteri del discorso diretto.
Lanalisi dialogica riesamina le suddivisioni di Ez 14,1-11 stabilite nel cap.
III. Come novit segnalo una lunga ricerca sul v. 9d (ayIbnAh tEa yItyE;tIp hwhy ynSa
awhAh). Nay insiste che non sia lapodosi ma la continuazione del casus
pendens, e questo per due motivi: primo perch non presenta una copia
pronominale del casus pendens ma la ripetizione di esso (awhAh ayIbnAh tEa); secondo perch il costrutto x-qatal fuori luogo nellapodosi (pp. 192-193). Ora
per, primo non capisco perch la copia pronominale sia segnale di casus
pendens mentre non lo sia la ripetizione del nome stesso, che di per s un
segnale ancora pi esplicito di ripresa; secondo, gi a proposito di yItynSon (v.
4h) lautore ha espresso riserve circa la legittimit di un qatal nellapodosi di
un detto giuridico (pp. 115-120), ma in quel caso lha accettato perch secondo lui il verbo richiama una risposta/punizione di Dio avvenuta nel passato. Qui invece ritiene che il qatal sia fuori luogo e intende la proposizione 9d
come specificazione del casus pendens 9a parallela allaltra specificazione 9b:
(9a) Und der Prophet, (9b) wenn er in Ekstase versetzt wird (9c) und ein
Gotteswort spricht, (9d) wobei ich, Jahwe, diesen Propheten in Ekstase versetzt
habe, (9e) dann strecke ich meine Hand ber ihn aus (p. 106; traduzione
un po diversa a p. 312).
Ora per non pu non colpire la somiglianza delle sequenze nei vv. 4, 7
e 9:
- v. 4
(d) () lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa
(g) ayIbnAh_lRa aDbw
(h) wyDlw;lg bOrV;b ;hDb wl yItynSon hwhy ynSa
- v. 7
(a) () rgAhEmw lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa yI;k
(f-g) yIb wl_vrdIl ayIbnAh_lRa aDbw
(h) yI;b w;l_hnSon hwhy ynSa
- v. 9
(a) () ayIbnAhw
(c) rDb;d rR;bdw
(d) awhAh ayIbnAh tEa yItyE;tIp hwhy ynSa
I tre versetti sono costruiti secondo uno schema sintattico comune che
comprende tre elementi: casus pendens, specificato in vario modo (4d, 7a e
9a), weqatal di protasi (4g, 7f-g e 9c), hwhy ynSa seguito da una forma verbale
(qatal in 4h e 9d, participio in 7h) nellapodosi. Sarebbe strano, e quindi da
dimostrare, che 9d richiedesse unanalisi diversa. Per me lanalisi inequivocabile: E il profeta, quando si lascer ingannare, se dir una parola, io stesso,
il Signore, ho ingannato quel profeta. Perci stender la mia mano su di lui.
Il qatal ha motivo di essere in quanto linganno da parte di Dio precede la risposta del profeta e perci si traduce con il passato o, se si preferisce, con il

540

RECENSIONI

futuro anteriore (avr ingannato) dato che si tratta di unanteriorit rispetto


a uneventualit futura (il futuro anteriore un valore ben attestato del qatal in
contesto futuro). Si noti inoltre che il senso di htp ingannare, come riconoscono in genere i commentatori, bench Nay si impegni a fondo per dimostrare che significa far entrare in estasi, detto di Dio nei riguardi del profeta
(pp. 307-317).
Un punto delicato dellinterpretazione di Ez 14,1-11 riguarda il senso preciso delle espressioni Casa di Israele, Giuda e popolo di Dio. Nay, da
un lato riconosce unequivalenza di fondo tra Anziani di Israele (14,1) e
Anziani di Giuda (8,1), dallaltro per pone una contrapposizione netta tra
Casa di Israele, che una categoria religiosa generale, e Giuda che designa
la gente rimasta nel paese (Restjuda). Il messaggio di 14,1-11 nel quadro
delle altre due pericopi sugli Anziani , secondo lautore, che i rimasti in
Giuda, per il fatto che sono idolatri, saranno annientati mentre il nuovo popolo di Dio sar costituito dagli esuli (p. 327). Ora per una contrapposizione
cos netta non mi convince del tutto. Purtroppo uno dei passi principali che
potrebbero chiarire il pensiero del profeta, 11,14-21, inizia con una frase di
difficile interpretazione che rende problematico il senso generale del brano.
La frase si pu tradurre nel modo seguente (ma altre traduzioni sono possibili): (Parla Dio al profeta) I tuoi fratelli sono i tuoi fratelli, cio gli uomini
della tua parentela (della tua redenzione/riscatto), e tutta la Casa di Israele
nella sua totalit, coloro ai quali gli abitanti di Gerusalemme hanno detto:
State lontano dal Signore; a noi stata data questa, la terra, in eredit!
(11,15). Queste parole dovrebbero essere la risposta di Dio al grido del profeta in 11,13: Ohim, Signore Dio, vuoi annientare il resto di Israele?, e
quindi dovrebbe precisare chi sia davvero il resto di Israele. Ma i problemi
di interpretazione sono molteplici, ad esempio lespressione MlDvwry yEbVvOy va
intesa come gli abitanti di Gerusalemme in generale, cio tutta la popolazione, oppure come i responsabili di Gerusalemme, prendendo il verbo bvy
nel senso di sedere in trono, cio occupare un posto di autorit, come avviene in certi casi? Inoltre, che significa state lontano dal Signore, oppure
allontanatevi dal Signore, dato che ambedue le traduzioni sono possibili? In
44,10 (e anche in Ger 2,5) allontanarsi dal Signore significa abbandonare il
suo culto per servire gli idoli. Dunque forse quellespressione non tanto un
invito da parte della popolazione di Gerusalemme in generale agli esuli a rimanere fuori dal paese, ma piuttosto un invito da parte della nuova classe dirigente rivolto a tutti gli Israeliti ad abbandonare la fede e il culto del
Signore. Il motivo che la terra non pi del Dio di Israele ma stata data
alla nuova classe dirigente (a noi) dai nuovi padroni babilonesi e quindi bisogna servire gli di di questi ultimi, non pi il Dio di Israele. probabile
comunque che laccusa divina di 11,15 riguardi in modo diretto i responsabili del popolo, tra cui gli Anziani occupavano un posto di rilievo, non il popolo in generale che era vittima piuttosto che responsabile. Ritengo, cio, che

MANDIROLA R.

GIONA. UN DIO SENZA CONFINI

541

Ezechiele continui la linea dei profeti pi antichi, secondo i quali i responsabili della distruzione sono le guide della nazione (capi politici, sacerdoti, profeti e giudici, cf. Mic 3), mentre il popolo oppresso, chiamato il mio
popolo, merita comprensione; esso anzi, una volta purificato dalla prova,
sar il resto da cui si former il nuovo popolo di Dio (cf. il mio saggio sul
cap. 2 di Michea: Un profeta tra oppressori e oppressi, 130-132).
Ho cercato di dare un resoconto per quanto possibile corretto di questa ricerca seria e dettagliata come poche ma, per quanto vi abbia dedicato molto
tempo, possibile che mi siano sfuggiti alcuni argomenti e che quindi talvolta
il mio resoconto sia inadeguato. In vari punti ho offerto anche delle idee personali per proporre soluzioni che ritengo pi soddisfacenti. Ma chiunque si
metta a studiare Ezechiele si accorger quanto sia un profeta sottile e sfuggente, forse per questo anche cos affascinante. Molte cose restano oscure, o almeno aperte a soluzioni diverse. Mi auguro comunque che la prospettiva
dialogica illustrata da Nay possa costituire un punto di riferimento per gli
esegeti moderni in cerca di strade percorribili che permettano di uscire dalla
confusione e da un certo impasse.
Alviero Niccacci, ofm

Mandirola Renzo, Giona. Un Dio senza confini (Lettura pastorale della Bibbia 6), Edizioni Dehoniane, Bologna 1999, 205 pp., L. 24.000.
Il libro si presenta come una lettura spirituale del libro di Giona. Dopo un
capitolo introduttivo in cui vengono presentati vari argomenti utili per comprenderlo nel suo aspetto letterario e teologico, spiegato il testo biblico, suddiviso per brani, ma seguendo una lettura continua di tutto il libro (1,1-2; 1,3;
1,4-7; 1,8-16; 2,1-11; 3,1-3a; 3,3b-4; 3,5-10; 4,1-3; 4,4-11).
LA., per vari anni missionario in Africa, si pone da un punto di vista particolare, la missione, alla luce della quale cerca di interpretare tutta la vicenda
del profeta, nel suo rapporto con Dio e con i destinatari dellannuncio. Ciascun capitolo presentato ricorrendo al metodo della lectio divina: preghiera
iniziale, testo biblico, lectio, meditatio, oratio, preghiera finale e riflessioni. In
tal modo viene facilitata lassimilazione dei contenuti e, come mostrano le riflessioni al termine di ogni capitolo, il dovuto aggancio con la vita; passaggio,
questultimo, che caratterizza il metodo proposto.
Nella parte dedicata alla lectio si nota lo sforzo di recuperare quanto utile per la comprensione del testo anche nel suo aspetto letterario. Qualche volta
sono sollevate perfino domande di interpretazione e vengono richiamate nozioni di natura lessicale, in modo comprensivo e semplice, e allinterno della
finalit che il libro si prefigge, quella di essere uno strumento facile di riflessione e di preghiera per coloro che si avvicinano per la prima volta a Giona.

542

RECENSIONI

Nella meditatio si cerca di attualizzare il contenuto esposto nella prima


parte e di considerarlo in una prospettiva di fede.
Il terzo passaggio consiste in una preghiera (oratio) rivolta al Signore con
la seconda persona. Il suo contenuto determinato dai passaggi, precedentemente fatti, della lectio e della meditatio. Ogni capitolo si chiude con alcune
linee di riflessione che invitano il lettore a verificarsi con il contenuto stesso
della preghiera. Cosicch la preghiera parte dalla Parola e giunge alla vita.
Concludendo, il volume pu essere considerato un sussidio utile e semplice sia per riscoprire la bellezza e lattualit del libro di Giona sia per ricavarne frutti spirituali in un contesto di preghiera e di ascolto.
Vincenzo Lopasso

Pennacchini Bruno, Introduzione alla storia di Israele nellepoca dellAntico


Testamento (Convivium Assisiense Instrumenta 1), Edizioni Porziuncola,
Assisi 2000, 236 pp.
Il lavoro si presenta come una prima presentazione della storia dIsraele ai
tempi dellAntico Testamento, inserita nellambiente culturale che gli proprio. Esso consta di undici agili capitoli: nel primo e nel secondo capitolo, di
carattere introduttivo, sono trattate rispettivamente la geografia delle terre
bibliche (Palestina, Mesopotamia, Egitto, Siria-Palestina) e la storia del Vicino Oriente Antico relativa al periodo anteriore ai patriarchi, che costituisce linizio della storia di Israele. Nei capitoli III-XI presentata la storia del popolo
ebraico dalle origini a Giuda Maccabeo.
In ciascun capitolo la materia strutturata allo stesso modo. Dopo una tavola cronologica, posta proprio allinizio, in cui sono riportati sinotticamente
gli eventi pi importanti dei paesi vicini relativamente allepoca di cui tratta il
capitolo, si espone la storia biblica dei tempi dellAntico Testamento.
Gli avvenimenti, presentati nei libri biblici, sono presentati, tenendo presente la storia dei popoli circonvicini, con cui Israele nel corso della sua storia
si dovuto per varie ragioni confrontare. Anche se allo scenario internazionale non sempre riservata una trattazione distinta, linteresse per questinquadramento si mantiene sempre vivo.
I richiami allAntico Testamento vengono fatti con citazioni fuori testo, in
nota, forse per non appesantire la narrazione dei fatti, e sono ridotti allessenziale. Essenziali e succinte sono le stesse note che, come suggerisce di intendere lo stesso A., hanno un carattere didattico.
Nellesposizione non si entra in questioni di natura storiografica concernenti, ad esempio, il problema delle origini di Israele, o la validit storica del
testo biblico; solo rare volte vengono menzionate le fonti extrabibliche a nostra disposizione. Esse non vengono richiamate anche quando sarebbe stato

TUCKETT C.M. (ED.)

THE SCRIPTURES IN THE GOSPELS

543

utile per un confronto con il testo biblico. Ci forse si spiega alla luce del carattere didattico dellopera con la quale sintende soltanto narrare i fatti in
modo da comprenderli meglio alla luce dellambiente medio-orientale.
Questo scopo si sarebbe raggiunto meglio se il testo fosse stato arricchito
di altri excursus, oltre a quello sui Sumeri, dettato forse dallesigenza di far
conoscere limportanza di questo popolo per il terzo millennio a.C.; inoltre
linserimento di cartine geografiche avrebbe reso pi confortevole il lavoro
dello studente.
Concludendo, ci sembra che lo studente pu trovare in questo manuale un
utile strumento per conoscere meglio i fatti dellAntico Testamento. Egli per
dovr tenere presente che si tratta solo di uno strumento utile per fare i primi
passi nello studio della storia e che ben presto dovr ricorrere a sussidi di natura differente.
Vincenzo Lopasso

Tuckett C.M. (ed.), The Scriptures in the Gospels (BETL CXXXI), Leuven
University Press, Leuven 1997, pp. 721.
Il libro raccoglie relazioni e contributi presentati al 45 Colloquium Biblicum
Lovaniense (31 luglio 2 agosto 1996), dedicato al tema The Scriptures in the
Gospels, con il sottotitolo metodologico Intertextuality. The Use of the Old
Testament in the Four Gospels. Questo scomparso nelledizione degli atti che
io recensisco. Probabilmente gli Editori hanno compreso che il progetto con
ci indicato non era stato realizzato. In effetti manca una relazione che discuta
a fondo il problema del rapporto intertestuale tra NT e AT e le sue implicanze
teologico-esegetiche. Il poco che su questo detto lo si pu leggere nel punto
I della relazione di C.M. Tuckett (pp. 3-6). Ma largomento solo genericamente indicato e risolto in funzione dello scopo specifico del suo saggio: egli
la intende nel senso corrente, di riferimento esplicito dellautore del testo del
NT ad altri testi dellAT (p. 6). Ci gi qualche cosa. Ma non era forse opportuno cogliere una tale occasione internazionale per dibattere a fondo e in
modo generale il problema, tenendo conto delle nuove metodologie letterarie
(inter-testualit, narratologia, rilettura)? E come spiegare lassenza di Hans
Hbner che a quella data aveva gi pubblicato i tre volumi della sua Biblische
Theologie des Neuen Testaments (Bd. 1-3, 1991-1995), redatta proprio con il
metodo della intertestualit (i.e. VT in Novo)?
Dei quindici Main Papers del volume due sono dedicati a Q: C.M.
Tuckett, Scripture and Q (pp. 3-26); F. Neyrinck, Q 6,20b-21; 7,22 and
Isaiah 61 (pp. 27-64); tre a Matteo: J. Lust, Mic 5,1-3 in Qumran and the
New Testament, and Messianism in the Septuagint (pp. 65-88); D. Senior,
The Lure of the Formula Quotations: Re-assessing Matthews Use of the Old
Testament with the Passion Narrative as Test Case (pp. 89-115); W. Weren,

544

RECENSIONI

Jesus Entry into Jerusalem: Matthew 21,1-17 in the Light of the Hebrew
Bible and the Septuagint (pp. 117-141); quattro a Marco: C. Focant, La
recontextualisation dIs 6,9-10 en Mc 4,10-12, ou un exemple de non citation
(pp. 143-175); J. Marcus, Scripture and Tradition in Mark 7 (pp. 177-195);
C. Breytenbach, Das Markusevangelium, Psalm 110,1 und 118,22 f. Folgetext
und Prtext (pp. 197-222); A.Y. Collins, The Appropriation of the Psalms of
Individual Lament by Mark (pp. 223-241); tre a Luca: P.-M- Bogaert, Luc et
les Ecritures dans lEvangile de lEnfance la lumire des Antiquits
Bibliques: Histoire sainte et livres saints (pp. 243-270); A. Denaux, Old
Testament Models for the Lukan Travel Narrative. A Critical Survey (pp. 271305); M. Morgen, Lc 17,20-37 et Lc 21,8-11.20-24. Arrire-fond scripturaire
(pp. 307-326); tre a Giovanni: M. Theobald, Schriftzitate im LebensbrotDialog Jesu (Joh 6). Ein Paradigma fr Schriftgebrauch des vierten
Evangelisten (pp. 326-366); M.J.J. Menken, The Use of the Septuagint in
Three Quotations in John: Jn 10,34; 12,38; 19,24 (pp. 367-393); U. Busse,
Die Tempel-metaphorik als ein Beispiel von impliziten Rekurs auf die
biblische Tradition im Johannesevangelium (pp. 395-428).
La novit pi evidente che la trattazione inizi con Q, la supposta fonte
dei logia di Ges, usata in modi diversi dagli autori dei Vangeli sinottici. F.
Neirynck, con la solita acribia, si limita allo studio di Is 61; ma C.M. Tuckett
a tutto il libro di Isaia. Tuttavia lo studio effettivo limitato a Is 53 (e testi
collaterali, quali Dan 7,13 e Sap 2-5) (pp. 15-20) e Is 61 (pp. 20-26). Forse
altri testi dello stesso profeta meritavano di essere presi in considerazione, apparendo in comune: per es. Is 2,14 (LXX) in Mt 1,23/Lc 1,27; Is 40,3 in Mt
3,3/Mc 1,3/Lc 3,4-6; Is 9,1 in Mt 4,16-17/Lc 1,78-79; Is 42,1 in Mt 4,17 e Mt
12,18/Mc 1,11/Lc 3,22; Is 6,9-10 in Mt 13,14-15/Mc 4,11-12.
Nel saggio di D. Senior il lettore trova un accurato status quaestionis molto utile sulle Formula Quotations o Erfllungszitate (pp. 90-103), naturalmente precedente alla nuova sintesi di J. Miler, Les citations daccomplissement
dans lEvangile di Matthieu, Roma 1999, che lA. del saggio non poteva conoscere, ma che tuttavia non sostituisce la sua presentazione delle opinioni di
G. Stanton (A Gospel for a New People, Edinburgh 1992, 346-363) e di W.D.
Davies - D. Allison (The Gospel according to St. Matthew, Edinburgh 1988,
29-58).
Degno di interesse il saggio di A. Denaux sui possibili modelli narrativi
per la sezione centrale del Vangelo di Luca: il viaggio di Ges verso
Gerusalemme (Lc 9,51-18,14 o 19,27/28 o 19,44/46/48), in particolare quello
deuteronomistico (cf. C.F. Evans 1955, D.P. Moessner 1989, W.M. Swartley
1994), quello del nuovo esodo (M.L. Strauss 1995), o il motivo tipologico
della peregrinazione nel deserto (E. Mayer 1996). Il risultato negativo
dellesame (p. 296) attesta che una tale ricerca un vicolo cieco e che il
problema pi vasto, perch riguarda il modo in cui Luca usa in genere lAT,
che probabilmente non lo stesso nelle diverse sezioni del racconto.

BERDER M.

LA PIERRE REJETE PAR LES BTISSEURS

545

Esemplare la trattazione di M.J.J. Menken sulle tre citazioni (da LXX?)


in Gv 10,34 12,38 19,24; ma pi utile per la problematica generale delluso
dellAT in Gv potrebbe essere il saggio di M. Theobald, in particolare le pagine di riflessione teorica finale (pp. 361-366). Non so se sia opportuna lequivalenza da lui posta tra ton logon autou (i.e. di Dio) di Gv 5,38 e il logos di
Gv 1,1 che crea un vizioso circolo ermeneutico cristologico, che forse lautore
del Vangelo non ha inteso. In ogni caso la conclusione tratta dallesame di Gv
6 che la storia di Israele sarebbe totalmente irrilevante per il narratore (p.
362) produce una aporia teologica insolubile con lappello insistente che lo
stesso narratore fa per mezzo di Ges alle scritture come testimonianza a lui
resa da Mos (Gv 5,39 e 5,45-47; cf. 1,45) e dalla voce di Dio che in esse si
esprime (Gv 5,38?). Forse la categoria di irrilevanza non precisa, perch
quella storia rievocata come modello negativo, quindi antitipico a quello
vero, che Ges stesso. Questa categoria elimina la contraddizione creando
un rapporto di tipologia antitetica, in cui il modello che preannuncia superato dal vero, che ne preserva la figura, mostrandone la realt da esso indicata:
Ges il pane vero, che pu saziare la loro fame, che quello dato dal cielo ai
peregrinanti nel deserto voleva indicare.
Come si vede, la silloge una miniera di materiale utile per il lavoro
esegetico sulle Scritture e il loro uso intertestuale. Peccato che il Colloquio
Lovaniense non abbia colto loccasione per riesaminare tutta la questione, alla
luce delle nuove metodologie, cosa a cui si pu ancora rimediare prevedendone uno futuro che estenda la trattazione alluso teologico dellAntico in tutto il
Nuovo Testamento.
Nello Casalini, ofm

Berder Michel, La pierre rejete par les btisseurs : Psaume18,22-23


1
et
son emploi dans les traditions juives et dans le Nouveau Testament (tudes
bibliques NS 31), Librairie Lecoffre J. Gabalda et Cie Editeurs, Paris 1996, 473
pp., F 390.
Le document rcent de la Commission Biblique intitul Le peuple juif et ses
saintes Ecritures dans la Bible chrtienne consacre un chapitre aux mthodes
juives dexgse employes dans le Nouveau Testament. Les mthodes juives
dexgse sont reprises dans le Nouveau Testament, affirme ce document. Le
travail de Michel Berder tudiant linterprtation du Psaume 118 dans le judasme paratestamentaire et dans le Nouveau Testament offre une illustration
de cette mthode qui vient dobtenir officiellement droit de cit dans le monde
chrtien.
Lauteur focalise sa recherche sur le Ps 118,22-23 suivant la piste explore
par Giesler et Snodgrass. Pour ltude du judasme, tant donn la difficult de

546

RECENSIONI

fixer les dates des traditions, il suit une prsentation thmatique et non pas chronologique. La dmarche comporte trois tapes. Cest ltude du Psaume
118,22-23 quest consacre la premire partie. Aprs la prsentation gnrale du
psaume dans lexgse moderne lauteur passe lexgse des versets 22-23.
Quelle est la pierre rejete par les btisseurs et quel est son rapport avec dautres
pierres mentionnes dans la Bible? Puisque certains critiques font appel Is
28,16 et Za 4,7 pour expliquer le verset 22, lauteur analyse ces textes.
La deuxime partie traite de linterprtation et de lutilisation du Ps 118,2223 dans les traditions juives : les versions grecques, leTestament de Salomon,
les textes de Qumran et la littrature rabbinique.
Lauteur passe dans la troisime partie linterprtation du Ps 118,22-23
dans le Nouveau Testament : la citation qui conclut la parabole des vignerons
homicides, Ac 4,11 et 1 P 2,4-10. Dautres passages notestamentaires qui peuvent faire allusion aux versets en question sont mentionns. En conclusion
lauteur revient sur les aspects littraires, hermneutiques et thologiques.
Soixante pages de bibliographie sont apposes en finale de louvrage, puisquil
sagit dune thse de doctorat en thologie catholique.
Lauteur propose un vaste panorama des hypothses envisages par les
commentateurs sans toujours prendre position. La diversit des thses en prsence est le reflet de louverture que manifeste lcriture du texte. A la fin du
premier chapitre lauteur crit : La varit des dates et des identifications
proposes par les commentateurs est un signe de cette ouverture (p. 105).A
la fin du second chapitre il insiste : Mais propos de ces deux versets, nous
pouvons faire la mme remarque qu lissue de la prsentation densemble du
psaume : ils sont caractriss par une grande ouverture, que nous devons respecter. La mtaphore des v. 22-23 garde de multiples possibilits dvocation (p.159). Le bilan de lenqute mene dans les traditions juives est
assez maigre. Parmi les interprtations de type individuel, lapplication
davidique parat nettement la plus reprsente. Elle est reprise dans des genres
littraires varis et des moments diffrents de lhistoire du judasme (p.
242). Lexamen des diffrentes positions concernant lorigine de la citation
biblique en Mc 12,10-11 et // montre qu un consensus est loin dtre acquis
sur ce point (p. 289). L
hypothse dune parole de Jsus prononce dans un
autre cadre que celui de la parabole est prfre par lauteur. Pour la citation
du Ps 118,22-23 en Ac 4,1-22 sa formulation originale au sein des crits
lucaniens nous parat renvoyer une source que Luc aurait utilise. Il nest pas
impossible quelle fasse cho une prise de parole effective de Pierre, mais ce
point nest gure vrifiable (p. 315). Quant ltude de 1 P 2,4-10 compar
Rom 9,30-33 elle permet lauteur de conclure lexistence probable
dune tradition commune sur laquelle les auteurs des deux ptres ont pu sappuyer (p. 358).
Devant la rptition de formulations prudentes on a limpression que lexgse est la science du probable. Cela dautant plus que si on se contente comme

BERDER M.

LA PIERRE REJETE PAR LES BTISSEURS

547

le fait souvent lauteur daligner les opinions des auteurs au lieu danalyser le
texte lui-mme.
Quelques observations de dtail. Il est clair que le Nouveau Testament a
hrit une Bible interprte dont nous avons les traces dans le Targum, Qumran, dans la littrature apocalyptique et la littrature rabbinique. Sil en est
ainsi, pourquoi sattarder ltude du sens historique du texte tel que tentent
de le reconstituer les exgtes modernes? Ce status quaestionis napporte pas
beaucoup la comprhension du texte au premier sicle. Pourquoi exclure de
ce status quaestionis les Pres de lEglise qui peuvent apporter parfois plus que
les exgtes modernes?
On a limpression que lauteur est dchir entre deux mthodes : dune part
il emploie la mthode historico-critique et dautre part il voudrait souvrir aux
richesses de la mthode rabbinique. Mais narrivant pas rconcilier les deux
mthodes, il sme encore plus de doutes dans la mentalit du lecteur.
En ce qui concerne linterprtation du Ps 118,22-24 dans les traditions rabbiniques un certain nombre de remarques simpose. Le choix de lexposition
thmatique reste fort contestable : la classification du matriel en sources de la
priode des tannaim et des amoraim aurait t plus avantageuse. Le Midrash
Tannaim na pas sa place entre un texte de Yalqut Shimoni et Exode Rabba (p.
217). Aprs avoir cit des sources tardives du Moyen-Age et des cabbalistes,
lauteur affirme que les sources juives dont lantriorit par rapport aux
Evangiles est incontestable (p. 266). Il y a l de quoi surprendre le lecteur
qui sait que la polmique anti-chrtienne a influenc trs souvent les sources
juives tardives. La datation du Targum du Ps 119,22-23 reste indcise : Le
Targum peut contenir des traditions plus anciennes (p. 212). Pour le dater on
pourrait reprendre le critre de A. Dez Macho : ce qui est anti-mishnique est
pr-mishnique. Il est difficile de concevoir que lauteur du Targum, sil avait
crit aprs le dbut de lre chrtienne, maintienne une tradition qui donnait
raison aux chrtiens. Le fait quil lait maintenue signifie quelle est antrieure
lre chrtienne. Pour la tradition du Messie, fils de Joseph, lauteur hsite
entre son antiquit et sa datation plus rcente. En fait de nombreuses tudes,
que lauteur ignore, ont montr quil sagit dune tradition du second sicle qui
entend expliquer la dconfiture de Bar Kokba dclar par R. Aqiba Messie
dIsral. Enfin, on aurait aim voir soulign lemploi des middot dans les textes de la littrature rabbinique que lauteur cite avec abondance. Bref une mthodologie pour tudier les textes rabbiniques manque dans cette thse.
Pourtant ce ne sont pas les essais proposs rcemment qui font dfaut.
De mme la page 213, lorsque lauteur interprte le texte de Pesahim
119a, il oublie de mentionner la rforme liturgique faite par R. Gamaliel aprs
la destruction du Temple.
Lorsquil tudie la tradition psolet la page 224, qui lui permet dinterprter les versets 22-23 en rfrence Jacob, il oublie dtudier lvolution
de cette tradition dans le Targum Nofiti de Gen 49,1 et Dt 6,1, ce qui lui aurait

548

RECENSIONI

permis de retrouver le noyau original et les ajouts successifs. Les tudes de E.


Corts sur le genre littraire du Testament ont ouvert la piste dans ce sens.
Dans les Evangiles synoptiques la citation du Psaume 118 se prsente
comme la suite de la parabole des vignerons homicides. Mais quel est le lien
entre la parabole et la citation? Pour lauteur il y a une discontinuit de limagerie employe. La parabole pourrait trs bien se passer de la citation. Cependant si toutes les trois versions synoptiques rapportent la citation, il doit y avoir
un lien entre les deux. Le jeu de mots eben-ben qui remonte lAncien Testament et qui est connu par Flavius Josphe pourrait trs bien constituer ce lien.
Lauteur, lorsquil tudie 1 P 2,4-10, voque le verbe etethsan qui signifie que certains achoppent la pierre dachoppement (p. 355) parce quils ont
t destins cela. Il cite Chevallier : Cest l une disposition de Dieu .
Voil donc un argument en faveur de la prdestination. Si on veut viter
lcueil il y a une solution trs simple : au lieu de lire un passif on peut trs
bien prfrer le moyen ethethsan: ils se sont destins eux-mmes cela. Du
coup, il nest plus question de prdestination. De plus on aurait aim que
lauteur insiste davantage sur les techniques de lexgse juive lorsquil tudie
1 P 2,4-10.
Enfin personne ne reprochera lauteur de se limiter aux textes. Cependant les exgtes qui ont pass quelques temps Jrusalem prtent gnralement attention aux donnes archologiques et aux realia. Puisque le Nouveau
Testament a interprt la pierre en fonction de Jsus et que limage de la tte
dangle voque le statut dont a bnfici le ressuscit par une intervention divine, est-ce extrapoler que de voir dans le rocher du Calvaire une pierre rejete par les btisseurs nous sommes dans une carrire de pierres et la pierre
du Calvaire est fissure dans les deux sens? Pourquoi ne pas admettre que cette
pierre rejete par les btisseurs ait stimul la rflexion chrtienne ? Il faut bien
expliquer pourquoi la communaut chrtienne, voire Jsus lui-mme, a choisi
le symbole de la pierre, alors quil y en avait tant dautres exploiter. Le judasme avait associ la pierre dangle avec le Temple. Quant au christianisme
il dfinira rapidement le corps du Ressuscit comme nouveau Temple. Bref, il
arrive quun travail trs rudit fasse oublier les problmes de mthodologie.
On saura gr Michel Berder davoir ouvert une approche de lEcriture qui
devrait tre applique de nombreux textes.
Frdric Manns, ofm

Lamarche Paul, Evangile di Marc (EB.NS 33), Librairie Lecoffre J. Gabalda


et Cie, Paris 1996, pp. 431, F 450.
Il commento di P. Lamarche al Vangelo di Marco veramente unico nel suo
genere, e probabilmente eccezionale per la sua concentrazione teologica e spi-

LAMARCHE P.

EVANGILE DI MARC

549

rituale. Ci non deve trarre in inganno nessuno. Il testo esaminato con il rigore proprio al metodo filologico e storico, a cui lA. fa esplicito riferimento
con asciuttezza essenziale (pp. 27-28), la stessa che egli adopera per ogni questione, e che forse la sua pi pregiata attitudine intellettuale.
Dopo una contratta orientazione bibliografica (pp. 7-11) sui repertori gi
elaborati (il punto di riferimeto costante The Gospel of Mark. A Cumulative
Bibliography 1950-1990, BETL 102, ed. F. Neirynck et al., Leuven, 2a ed.
1992), sui commentari pi utili (per es. M.D. Hooker, R.H. Gundry, J. Mateos
- F. Camacho, R. Pesch, J. Gnilka; ignora D. Lhrmann, HNT 3, 1987) e sui
saggi pi noti e pi recenti, in ordine cronologico dal 1990, data in cui cessa
la Bibl. di F. Neyrinck, segue una brevissima introduzione (pp. 13-25), veramente inconsueta per questo genere. Egli non d notizie storiche e letterarie,
ma solo coordinate per una lettura teologica essenziale, divise in tre categorie:
1) false idee da scartare, 2) tre griglie teologiche da usare per la comprensione, 3) le caratteristiche teologiche e narrative del testo in esame.
Lidea predominante di queste direttive una sola e fondamentale: il Vangelo di Marco lesposizione narrativa di una rivelazione di Dio, nella croce,
nella debolezza e nellimpotenza di Ges, il Cristo, Figlio di Dio (p. 14). Quindi secondo il principio ermeneutico enunciato, egli mostra che tutto il racconto sorretto da una teologia della croce, che pone tale vangelo accanto a Paolo,
a cui rimanda spesso come necessario complemento teologico e interpretativo
(pp. 14-15.18.28).
Da questa visione teologica fa anche dipendere con coerenza la tecnica
narrativa: lincomprensione (dei discepoli e degli avversari) (pp. 19-21), il segreto messianico che nasconde tale mistero, i.e. lidentit di un Figlio di Dio,
che si rivela nellabbassamento o, come dice lA., nellamore kenotico (pp. 2122), il segreto ironicamente contraddetto per manifestare il senso di un tale
mistero (pp. 22-23) e infine il titolo stesso di Figlio di Dio, il cui significato
dato proprio nel momento della passione e dellabbandono sulla croce (Mc
14,62 e 15,39) (pp. 24-25).
Su questa impostazione ermeneutica non si pu non consentire. LA. ha
veramente colto lessenziale. Pi problematiche sono le sue preferenze letterarie. Per esempio, egli sembra favorire lidea di un Proto-Marco per giustificare
quegli aspetti del racconto in cui il Vangelo di Marco pare pi primitivo di Mt
e di Lc; e lidea di un Deutero-Marco per spiegare la sua teologia pi evoluta
e sviluppata degli altri due Vangeli che costituiscono la tradizione sinottica (pp.
17-18).
Ci non mi sembra necessario. Se egli concede che la sua teologia genuinamente paolina che, come noto, anteriore di una generazione (a. 50-58 d.C.)
alla fissazione scritta della tradizione sinottica (a. 70/85 d.C.), allora non c
nessuna difficolt ad ammettere una sintesi tra primitivit narrativa e profondit
teologica. Ma io mi domando se si possa ritenere pi primitivo un narratore
che stato capace di svelare il mistero di Dio nella croce del Cristo con tale

550

RECENSIONI

maestria narrativa. Il Vangelo di Marco un capolavoro teologico perch anche un capolavoro narrativo: un vero racconto breve, a scopo iniziatico!
Questo ha compreso anche Paul Lamarche e per questo il suo commento
raccomandabile a tutti coloro che vogliono essere introdotti al mistero di Dio,
quale si rivela in Ges, il Figlio di Dio crocifisso, il cui segreto svelato nel
racconto del vangelo.
Laccesso a tale mistero rivelato nel testo facilitato da un metodo
espositivo adeguato allo scopo. Alla traduzione di ogni pericope segue un commento esegetico immediato, a cui aggiunto in testo un complemento di Note
critiche e bibliografiche, che informano sullo stato delle discussioni esegetiche
in corso. Ci molto utile per quel lettore che, oltre alla comprensione teologica e spirituale, desidera avere anche una conoscenza reale della problematica
filologica del testo in esame. Ci deve mettere in guardia e dissuadere da ogni
lettura superficiale. Limmediatezza della percezione teologica sempre fondata su una sicura valutazione critica, anche l dove lA. sembra eccedere e
strabordare per effusione dellanima.
Nello Casalini, ofm

Sacchi Alessandro, Un Vangelo per i lontani. Come leggere Marco (Cammini


nello Spirito. Biblica 40), Paoline Editoriale Libri, Milano 1999, 362 pp., L.
34.000, E. 17,56.
LAutore di questo bel commento al Vangelo di Marco ampiamente noto nel
panorama dei biblisti italiani. Ha al suo attivo articoli scientifici, una poderosa
introduzione alle lettere del Nuovo Testamento, diverse monografie su temi di
teologia biblica e commenti a singoli libri biblici. La sua vasta conoscenza
riflessa nel commento che qui viene segnalato.
Il volume si apre con due capitoli introduttivi sullorigine del Vangelo e su
idee, immagini e attese che circolavano nellambiente e al tempo di Ges. Se
nel primo si trovano le consuete informazioni sulla formazione dei Vangeli e
sulla composizione di Marco in particolare, nel secondo si ha una breve e densa
sintesi di teologia e cristologia. Va raccomandata la lettura di questa sintesi magistrale in cui Sacchi delinea un percorso di teologia biblica che il lettore ritrover continuamente nel corso del commento al secondo Vangelo.
Senza mai appesantire il testo con analisi storico-letterarie, ipotesi o discussioni e rinvii bibliografici, Sacchi offre il meglio che lesegesi contemporanea ha
prodotto sul Vangelo di Marco. Il lettore informato coglie immediatamente la
saggezza e lequilibrio col quale Sacchi fa suoi i punti di convergenza raggiunti
dai commentatori di Marco e riferisce quelli sui quali vi ancora discussione o
diversit di scelte interpretative. Il tutto in uno stile semplice, chiaro e quasi delicato l dove tocca i problemi dellautenticit storica e punti dottrinali sensibili.

NALUPARAYIL C. J.

THE IDENTITY OF JESUS IN MARK

551

Il commento del testo risulta sempre attento a cogliere i collegamenti espliciti e impliciti allinterno di tutto il racconto evangelico. Uguale cura si riscontra nei costanti e opportuni riferimenti ai Vangeli Sinottici e a Giovanni, ad altri
scritti del Nuovo Testamento e alla letteratura giudaica antica (Giuseppe
Flavio, Qumran, targum, apocrifi). La comprensione di questi ultimi rinvii
facilitata dal dizionarietto ricco di cinquantasei voci sul mondo giudaico al
tempo di Ges posto alla fine del volume.
Sacchi articola il commento seguendo le dieci sezioni che egli individua
in Marco: I: 1,1-13 La prima comparsa di Ges; II: 1,14-3,35 Il regno di Dio
in azione; III: 4,1-34 La crescita del regno di Dio; IV: 4,35-5,43 La prima missione ai gentili; V: 6,1-8,26 Un pane per la salvezza di giudei e gentili; VI:
8,27-10,52 Il cammino verso la croce; VII: 11-12 Lultima grande sfida; VIII:
13 Gli ultimi tempi; IX: 14-15 La fine del giusto; X: 16 Risorto per una vita
nuova.
Ciascun capitolo inizia con la giustificazione della divisione adottata e la
descrizione della suddivisione in pericopi o brani e si conclude con le
puntualizzazioni sulla funzione e il significato della rispettiva sezione.
Il commento si muove con grande equilibrio sul binario Ges e il suo
Vangelo sono per Israele e per le nazioni, anche se lintento dichiarato di Sacchi quello di far risaltare costantemente che i destinatari sono i lontani:
quelli del tempo di Ges e della comunit cristiana delle origini, e quelli di
oggi, indicati con sobri e efficaci spunti di attualizzazione. Lattenzione ai due
aspetti storicamente oggettivi non mai attenuata dalla straordinaria sensibilit di Sacchi per la dimensione universale del secondo Vangelo. Per essere pi
espliciti, penso si debba dire che Sacchi commenta felicemente Marco con la
competenza dellesegeta e la sensibilit del missionario. Ci si vede chiaramente e con coerenza nel capitolo introduttivo significativamente intitolato
Israele e le nazioni, nel commento ai singoli brani, nelle conclusioni alle
dieci sezioni e nel capitolo conclusivo Il Vangelo dei gentili.
A proposito di lontani, su cui giustamente insiste questo commento, torna alla mente un aneddoto di Paolo VI il quale incontrando un fine letterato e
maestro dei nostri tempi, David Maria Turoldo noto per la sua attenzione ai
lontani, ebbe a dire: Padre Turoldo, siamo tutti lontani!.
G. Claudio Bottini, ofm

Naluparayil Chaco Jacob, The Identity of Jesus in Mark. An Essay in Narrative Christology (SBF Analecta 49), Franciscan Printing Press, Jerusalem 2000,
XVIII-636 pp., $ 50.00.
Con ammirazione presento il saggio di Jacob Naluparayil, The Identity of Jesus
in Mark, perch la sintesi che ha compiuto veramente degna di rispetto per il

552

RECENSIONI

metodo rigorosamente applicato, per le analisi accuratamente eseguite e per il


risultato raggiunto che ritengo valido, anche se alcune delle sue scelte
esegetiche o ermeneutiche possono suscitare seri problemi, su cui necessario
continuare la ricerca, per affinare la stessa metodologia.
Il titolo del saggio non deve trarre in inganno nessuno, perch ci che lA.
ha realizzato una completa cristologia del Vangelo di Marco che, come
noto, un racconto rivelativo, guidato da ununica domanda fondamentale:
Chi quel Ges di Nazaret, che il narratore chiama Cristo, Figlio di Dio (Mc
1,1)? Quindi il titolo scelto indica con esattezza lo scopo per cui tale Vangelo
stato scritto: presentare la vita di Ges di Nazaret, in modo da suscitare nel
lettore la domanda di stupore: Chi mai costui?
LA. ha cercato di rispondere applicando il metodo narrativo in conformit
al genere del testo, perch le soluzioni elaborate con il metodo storico-critico
non solo si contraddicono tra loro e si escludono a vicenda, ma non concordano
neppure nella interpretazione di ogni pericope del racconto. Ci dovuto al
fatto che questo metodo ha un presupposto ermeneutico errato, e cio che i
titoli dati a Ges si equivalgono, come appare evidente nella nota sintesi di F.
Hahn, Christologische Hoheitstitel, Gttingen 1963.
Quindi per alcuni il Vangelo di Marco propone una cristologia che d la
preminenza al titolo Figlio di Dio (per es. C.R. Kazmierski, Jesus, the Son
of God. A Study of the Markan Tradition and its Redaction by the Evangelist,
Wrzburg 1979, XIII-XIV; J. Zmijewski, Die Sohn-Gottes-Prdikation im
Markusevangelium. Zur Frage einer eigenstndigen markinischen Titelchristologie, SNTU 12 [1987] 5-34; J.D. Kingsbury, The Christology of Marks
Gospel, Philadelphia 19892, 47-155; C. Breytenbach, Grundzge markinischer
Gottessohn-Christologie, in: H. Paulsen - C. Breytenbach [eds.], Anfnge der
Christologie, Gttingen 1991, 169-184). Costoro trovano conferma alla loro
ipotesi nel fatto che tale titolo compare nei momenti pi importanti della
narrazione. Nellepisodio del battesimo la voce di Dio dice: Tu sei il mio
Figlio amato (Mc 1,11). Nella epifania della trasfigurazione la stessa voce
divina conferma le sue parole dicendo: Questo il mio Figlio amato.
Ascoltatelo (Mc 9,7). Nella scena della morte sulla croce il centurione che
sta davanti a Ges crocifisso esclama: Veramente questo uomo era il Figlio
di Dio (Mc 15,39).
Ma per altri esegeti la vera cristologia di Marco costituita dal titolo Figlio
dellUomo (per es. G. Dautzemberg, Zwei unterschiedliche Kompendien
markinischer Christologie? berlegungen zum Verhltnis von Mc 15,39 zu Mk
14,61f., in: B. Jendorff - G. Schmalenberg [eds.], Evangelium Jesu Christi heute
verkndigen, Giessen 1989, 17-32; U. Kmiecik, Der Menschensohn im
Markusevangelium, Wrzburg 1997, 294-298; M. Theobald, Gottessohn und
Menschensohn. Zur Polare Struktur der Christologie im Markusevangelium,
SNTU 13 [1988] 37-79). Essi trovano conferma di questa ipotesi in un dato di
fatto narrativo: Ges qualifica sempre se stesso come Figlio dellUomo e si serve

NALUPARAYIL C. J.

THE IDENTITY OF JESUS IN MARK

553

di questa designazione per insegnare il suo destino ai discepoli e per manifestare


la sua vera identit in pubblico. Quando Pietro lo riconosce affermando: Tu sei
il Cristo (Mc 8,29), Ges lo invita al silenzio (Mc 8,30) e annuncia per la prima
volta la passione, la morte e la resurrezione del Figlio dellUomo (Mc 8,31), di
cui preannuncia subito la venuta nella gloria del Padre suo (Mc 8,38). Dunque il
Figlio dellUomo Ges stesso che ha la coscienza di essere il Figlio di Dio.
Lo stesso accade nella scena del processo davanti al sinedrio (Mc 14,6162). Il sommo sacerdote gli domanda: Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?. Ges risponde Io sono e aggiunge Vedrete il Figlio dellUomo
seduto alla destra della Potenza e veniente con le nubi del cielo. Dunque i
titoli Cristo e Figlio di Dio sono una qualifica data al Figlio dellUomo.
lui infatti che siede sul trono alla destra di Dio, come erede del suo potere e
quindi del suo regno.
LA. del saggio ha assunto questo dato narrativo come principio
ermeneutico e di esso si servito per risolvere il problema della identit di
Ges nel racconto del Vangelo di Marco, mostrando con una analisi rigorosa
ed accurata del testo che luomo Ges di Nazaret in realt lapparizione sulla
terra del Figlio dellUomo, divino e celeste, di cui d testimonianza la Scrittura
nella visione di Dan 7,13-14 (LXX).
Quindi la denominazione Figlio dellUomo non un titolo, ma la
designazione di quel personaggio divino, che apparso sulla terra in Ges
Nazareno. lui infatti che riceve i titoli di Cristo e Figlio di Dio, perch lui
il vero erede del regno (Mc 8,38 e 14,62; cf. 10,35-40).
Con questo risultato lAutore ha superato la precedente sintesi cristologica
di Marco elaborata da J.D. Kingsbury, The Christology of Marks Gospel
(1983). Costui infatti aveva compreso che nel racconto di Marco c una
differenza tra i diversi titoli dati a Ges e il titolo Figlio dellUomo, con cui
Ges designa se stesso. Ma non sapendo spiegare in che cosa consista, lo ha
interpretato come un titolo maestatico, non avendo compreso che indicava
la persona stessa di quel misterioso essere divino apparso in Ges nel mondo.
Ma lA. ha superato anche tutti i precedenti tentativi di mediazione, fatti per
conciliare la cristologia del Figlio di Dio con la cristologia del Figlio
dellUomo (per es. K. Scholtissek, Die Vollmacht Jesu. Traditions- und
redaktionsgeschichtliche Analyse zu einem Leitmotiv markinischer Christologie, Mnster 1992, 281-290; Idem, Der Sohn Gottes fr das Reich Gottes,
in: T. Sding [ed.], Der Evangelist als Theologe. Studien zum Markusevangelium, Stuttgart 1995, 63-90; P. Mller, Wer ist dieser? Jesus im
Markusevangelium, Neukirchen - Vluyn 1995, 141-145) in quanto si rivelano
insufficienti e puramente funzionali di fronte allevidenza dei dati narrativi.
LA. infatti ha dimostrato con precisione che il narratore del Vangelo di
Marco intende presentare luomo Ges di Nazaret come lapparizione sulla
terra del Figlio dellUomo, divino e celeste, di cui si legge in Dan 7,13. Costui
il vero Cristo, il Figlio di Dio e lerede del regno. Ma con questa dimostra-

554

RECENSIONI

zione ha decisamente superato tutte le precedenti cristologie narrative del


Vangelo di Marco, per le quali Ges semplicemente un uomo (R.C. Tannhill,
The Gospel of Mark as Narrative Christology, Semeia 16 [1980] 57-95; D.
Rhoads - D. Michie, Mark as Story. An Introduction to the Narrative of the
Gospel, Philadelphia 1982; J.D. Kingsbury, Conflict in Mark. Jesus, Authorities, Disciples, Minneapolis 1989, 31-61). Ci non corrisponde allintenzione
di chi ha scritto il Vangelo per mostrare che quel Ges che appare come un
semplice uomo in realt un essere divino apparso nel mondo.
Devo per aggiungere che questa nuova sintesi cristologica, cos validamente elaborata, risulta problematica per alcune scelte metodologiche che lA.
ha dovuto fare per liberare la ricerca della cristologia di Marco dal vicolo cieco
in cui era finita. Ne indico alcune, non per denunciare una sua deficenza, ma
per mostrare che nella sua opera appaiono in modo evidente tutti i limiti dello
stato attuale della ricerca.
Il cap. II, che tratta del rapporto tra Mc e la cosiddetta Quelle (Q), o
Fonte dei detti di Ges, si fonda su una duplice ipotesi storico-critica: 1) che
tale fonte (Q) sia realmente esistita, 2) che sia possibile ricostruirla seguendo
Luca, che pare essere il pi fedele alla tradizione tramandata. Ma, come noto,
la prima ipotesi, anche se ragionevole, gratuita e senza conferma storica. La
seconda veramente problematica, da quando stato mostrato che la presunta
Fonte dei detti (Q), ricostruita su Luca, ha lo stile di Matteo (R.H. Gundry;
cf. M.D. Goulder).
Il cap. III, che tratta del rapporto di Marco con le collezioni narrative premarciane (PMC), si fonda sullipotesi che queste collezioni, o raccolte di fatti
evangelici, siano realmente esistite come presupponeva la metodologia della
Formgeschichte. Ma nel racconto di Marco non stato possibile individuarle
chiaramente. Lo stile con cui scritto cos perfettamente unitario, da non
lasciare discernere in alcun modo che cosa egli ha realmente preso dalla
tradizione, che certamente in qualche modo doveva esistere.
Quindi lipotesi degli esegeti che hanno cercato di ricostruire le collezioni
evangeliche pre-marciane si contraddicono su ogni pericope, perch con il
metodo della Redaktionsgeschichte possibile attribuire tutto il testo a Marco
o tutto alla tradizione che egli ha ricevuto, perch ogni versetto del suo Vangelo
soggetto a compromesso, essendo possibile attribuirlo alluno o allaltro
campo per mancanza di un valido criterio selettivo.
Per uscire da questo intrigo insolubile, lA. stato costretto a pagare un
grave tributo: non potendo trovare ragioni filologicamente valide per approvare
luna o laltra ipotesi, ha adottato il metodo maggioritario, scegliendo come
pre-marciane solo quelle collezioni narrative che ottengono il consenso di un
numero maggiore di studiosi. Ma, come noto, il criterio di maggioranza non
ha alcun valore per la metodologia storica quando manca la prova, anche se
pu essere utile come tentativo di mediazione tra le ipotesi estreme della
ricerca.

NALUPARAYIL C. J.

THE IDENTITY OF JESUS IN MARK

555

Io devo dare atto allA. di aver avuto la tenacia di procedere e perseverare


nonostante la confusione delle ipotesi che egli ha trovato in questo campo
determinato della materia trattata. Anche se il risultato raggiunto con il metodo
storico-critico oggi appare a tutti totalmente incerto e quasi privo di ogni valore
storico, egli lo ha coraggiosamente assunto come punto di partenza del suo
lavoro, non per convalidarlo, ma solo per mostrare che da solo non aiuta a
risolvere il problema della cristologia del Vangelo di Marco. Per questo lo ha
decisamente integrato con i procedimenti e le analisi letterarie del metodo
narrativo, che, come noto, ha un principio metodologico fondamentale:
lassunzione unitaria del testo, cos come si presenta al lettore nella sua stesura
finale.
Questo metodo da lui applicato con coerenza nei capp. IV, V, VI, in cui
esamina la trama del racconto evangelico, il punto di vista dei diversi
personaggi che ne determinano lo sviluppo (le autorit del popolo, Ges, i
discepoli) e il modo in cui il narratore tratteggia Ges, che il personaggio
principale. Da questa analisi fondamentale egli ha tratto una conferma
inequivocabile di un risultato gi raggiunto con lanalisi della tradizione: Ges
ha la coscienza di essere il Figlio dellUomo sulla terra (Mc 2,10) e cos egli
si presenta ogni volta che parla della sua autorit (exousia) (Mc 2,10.28), del
destino di morte che lo aspetta (Mc 8,31; 9,31; 10,33-34) e del suo futuro
ritorno nella gloria del Padre suo (Mc 8,38; 13,26; 14,62).
Tuttavia anche lapplicazione dei procedimenti letterari del metodo
narrativo non senza problemi, che devono essere con chiarezza risolti per
dare una maggiore consistenza e un maggiore rigore scientifico ai risultati. Ne
indico uno solo, perch anche quello che appare pi evidente dalla lettura
del saggio. LA. ha deciso di adottare la tecnica esegetica del cosiddetto
Reader-Response Criticism, che consiste nel dedicare molta attenzione
alleffetto che la lettura del racconto esercita su chi legge per trasformarlo in
quel lettore ideale, a cui il narratore sembra rivolgersi implicitamente nella sua
narrazione (cf. Semeia 48 [1989]: tutto il fascicolo dedicato al problema del
lettore implicito nel testo). Ci legittimo ed metodologicamente corretto,
perch corrisponde alla vera intenzione per cui un racconto scritto. Ma
diventa problematico quando il lettore ritiene di dover interpretare tutto il testo
secondo la sua percezione interiore, perch in questo modo corre continuamente il rischio di ricadere in quel deprecabile soggettivismo che rendeva
arbitrari e quasi assurdi molti dei risultati conseguiti con il metodo storicocritico. Ma in questo caso larbitrariet pu diventare pi grave. Se il lettore
non segue con rigorosa fedelt le affermazioni esplicite del testo, gli pu
accadere di leggere anche ci che non vi scritto e che non corrisponde alla
intenzione di colui che lo ha composto.
Con questa osservazione non voglio dire che lA. di questo nuovo saggio
di cristologia di Marco abbia letto il racconto in modo arbitrario. Anzi, per
quanto gli stato possibile, ha aderito con passione e fedelt allo sviluppo della

556

RECENSIONI

trama del racconto stesso, e in questo modo passato inavvertitamente dal


metodo narrativo a quello teologico e ha creduto di leggere nel testo stesso il
senso del mistero suscitato dalla lettura nel suo spirito.
Io sono convinto che questo significato spirituale deve essere preso in seria
considerazione, perch corrisponde allo scopo per cui il testo stato scritto.
Ma la sua validit come principio ermeneutico dipende solo dalla corrispondenza con ci che effettivamente narrato. Voglio dire che la percezione
spirituale del senso del racconto evangelico tanto pi valida e perfetta quanto
pi lordine delle realt spirituali percepite corrisponde alla logica e allo
sviluppo delle cose narrate. Se questa corrispondenza manca, anche linterpretazione esegetica diventa dubbia e problematica.
Quindi anche lapplicazione di tale metodo (Reader-Response Criticism)
richiede molta finezza di spirito per mantenere distinto il senso letterale
narrativo (che un simbolo del mistero divino rappresentato) dal senso
spirituale che il significato teologico percepito dal lettore nello spirito, perch
solo una corretta percezione della logica del racconto permette di individuare
con chiarezza lordine delle realt teologiche che le vicende narrate
significano.
Ma devo riconoscere che in questo campo la ricerca appena allinizio
(R.M. Fowler, Let the Reader Understand. Reader-Response Criticism and the
Gospel of Mark, Minneapolis 1991; J.-P. Heil, The Gospel of Mark. A ReaderResponse Commentary, New York, 1992; M.A. Tolbert, sowing the Gospel.
Marks World in Literary and Historical Perspective, Minneapolis 1993).
Quindi il limite che io vedo nel saggio dellA. non da addebitare a un suo
difetto, ma allincertezza che ancora regna nellapplicazione di questo metodo.
Ci che invece egli ha fatto veramente unico e la sua sintesi della cristologia
di Marco merita il rispetto e lattenzione non solo degli studiosi del NT, ma
anche di ogni lettore che cerca in quel testo un senso per la sua vita e il suo
destino. LA. infatti sembra averlo trovato per se stesso leggendolo e per questo
stato capace di esporlo per iniziare al mistero di Cristo chiunque desidera
comprenderlo seguendo il percorso da lui tracciato nel suo saggio che, come il
Vangelo, un vero discorso iniziatico.
Nello Casalini, ofm

Garca Prez Jos Miguel - Herranz Marco Mariano, La infancia de Jess


segn Lucas (Studia Semitica Novi Testamenti 6), Fundacin San Justino,
Ediciones Encuentro, S.A., Madrid 2000, 146 pp.
Gli AA. di questo breve ma interessante saggio, da esperti in campo della
filologia biblica sono convinti che il primo compito degli studiosi che intendono fare una buona esegesi consiste nellidentificare eventuali anomalie della

GARCA PREZ J.M. - HERRANZ M.M. LA INFANCIA DE JESS SEGN LUCAS

557

redazione e del senso di un testo biblico. In seguito occorre spiegare come mai
ha potuto nascere quello strano testo greco che si ha di fronte. La risposta
dei due studiosi frutto di lunghi anni di investigazione linguistica dedicati ai
vangeli e alle lettere di Paolo. La loro conclusione viene data nel Prologo del
libro in questi termini: nuestra intencin directa e inmediata nunca ha sido
buscar argumentos para demostrar que los evangelios fueron escritos en arameo
y, por lo que se refiere a los dos primeros captulos de Lucas, en ebreo. Esto,
el hecho de los originales semticos de estos escritos, ha aparecido ante nosotros
con claridad mientras buscbamos luz para los pasajes oscuros mediante un
trabajo filolgico del que formaba parte importante la hiptesis o posibilidad
de que en esos casos el texto griego representaba una traduccin defectuosa de
un original hebreo o arameo (p. 8). In altre parole le anomalie e le
incongruenze intravviste nei testi greci del NT sarebbero dovute ad una traduzione imperfetta di un originale semitico. Questo poi potrebbe avvalorare lipotesi secondo cui gli scritti evangelici sono stati scritti prima in ebraico o
aramaico e in un secondo tempo tradotti in greco. Lo stesso vale per le lettere
di Paolo (pp. 19-20).
Sempre nel Prologo gli AA. precisano inoltre che il loro saggio, bilingue
per giunta, indirizzato ad un largo pubblico di lettori dotati di una preparazione media. Per questo motivo parso loro opportuno di ridurre allessenziale lapparato bibliografico (poco pi di tre pagine di bibliografia generale, oltre
alle note di rimando nel testo) e la documentazione linguistica. Forse anche
per questa ragione, di indole per cos dire commerciale, il titolo del libro annuncia ben pi di quanto realmente contenga. Laggiunta di un sottotitolo
avrebbe potuto evitare tale malinteso.
Il corpo della monografia formato da una introduzione e sette capitoli.
Nellintroduzione vengono presentati due criteri per garantire la storicit dei
vangeli; il primo la testimonianza di Paolo che parla degli scritti evangelici
diffusi nelle comunit cristiane (2Cor 1,13); il secondo sono i racconti evangelici stessi, il cui originario tenore aramaico indice di una storia viva.
I capitoli che seguono prendono di mira alcuni passi del vangelo dellinfanzia di Luca e tentano di spiegare le anomalie del testo biblico: Lc 1,31-35
lannuncio a Maria (cap. I), Lc 1,39-40.41-56 la visita di Maria nella casa di
Elisabetta (cap. II), Lc 2,1-3.7 la nascita di Ges a Betlemme (cap. III), Lc
2,8.10-14 lannuncio angelico ai pastori (cap. IV), Lc 2,22-24.34-35 Simeone
e la spada di Maria (cap. V), Lc 2,43-46.49 Ges dodicenne nel tempio (cap.
VI). Il capitolo conclusivo (VII), riallacciandosi a quanto gi delineato nellintroduzione (pp. 21-24), intende rispondere alla domanda circa il tempo in cui
stato scritto il vangelo di Luca offrendo a tal fine unanalisi pi dettagliata di
2Cor 8,18-19. Levangelista menzionato da Paolo non sarebbe altro che
Luca, per cui la stesura del III vangelo andrebbe collocata intorno allanno 50.
Non possibile e neppure facile sintetizzare in poche righe il contenuto dei
singoli capitoli. Ritengo comunque utile dare uno sguardo su uno dei testi ana-

558

RECENSIONI

lizzati per conoscere meglio il metodo utilizzato. Nella scena dellannuncio


dellangelo ai pastori viene notata, fra le tante, una stranezza che intacca il
senso di Lc 2,12. Ed questa: se lannuncio angelico ha per oggetto un fatto
soprannaturale, che quello della nascita del Signore in quanto Salvatore e
Messia, non sembra logico ritenere che il segno indicato ai pastori a conferma
di questo evento possa essere semplicemente un bambino avvolto in fasce, trattandosi di un fatto del tutto naturale. Va ricordato infatti che in altri due annunci contenuti nel vangelo dellinfanzia di Luca, quello a Zaccaria e quello a
Maria, il segno sempre di ordine soprannaturale (il mutismo di Zaccaria / il
concepimento della sterile e anziana Elisabetta). Il ricorso alla filologia aiuta a
risolvere il problema. In ebraico, come si pu notare ad es. in Gen 24,40-41,
non infrequente lomissione del suffisso oggetto, anche quando ci potrebbe
oscurare il senso. Tenuto conto di questo fenomeno, loriginale semitico di Lc
2,12 suonerebbe come segue: E questo sar per voi un segno: lo troverete (il
Cristo Signore menzionato nel v. precedente) come un bambino avvolto in fasce. Si noter che in questa ritraduzione il sostantivo bre/fo non oggetto
del verbo eurh/sete ma predicativo delloggetto che swth/r di cui si parlava
prima. A questo punto si impone la conclusione: Resulta claro, por tanto, con
una claridad meridiana que lo revelado a los pastores por el ngel no es el
hecho de que ha nacido el hijo de Mara, sino el misterio de que en ese hijo de
Mara ha nacido de ellos, como Salvador, esto es, como Mesas, su Seor en la
ciudad de David (p. 80).
Oltre allesempio citato mi sembrano particolarmente interessanti le analisi
volte a risolvere le difficolt del testo di Lc 1,57 (pp. 56-57), Lc 2,2 (pp. 6367), Lc 2,7 (pp. 70-73), e quella riguardante il passo di 2Cor 8,18-19 nellultimo capitolo; molto di meno in quanto un po artificiose mi sono parse
quelle di Lc 1,34 (pp. 40-41), Lc 1,46-47 (pp. 49-53), Lc 2,14 (pp. 81-85).
Da lettore medio preparato e quindi non da vero esperto in materia mi sia
concesso di esprimere qualche osservazione generale sul contenuto. Premetto
che gli spunti di riflessione critica, non sempre da riferire al saggio in questione, hanno ricevuto comunque lo stimolo dalla sua lettura.
fuori dubbio che non si pu avere una degna esegesi senza un lavoro
duro, rigoroso della filologia; invece perlomeno discutibile il seguito di questa frase: tuttavia dobbiamo avvertire che la filologia sui testi del NT non potr
essere per niente completa se questa non diventa, in caso di necessit, una
filologia bilingue (p. 8). Questa affermazione parte dal presupposto che gli
scritti del NT hanno avuto una doppia redazione linguistica: prima semitica (in
aramaico o ebraico) e in un secondo momento sono stati tradotti o redatti in
greco. Il presupposto in quanto tale sembra legittimo e giustificato dalla presenza di numerosi semitismi e forme di linguaggio estranee alla lingua greca. Tuttavia, la conclusione certa che se ne pu trarre al massimo quella che il testo del
NT affonda le sue radici in un retroterra chiaramente semitico per quanto concerne le fonti e la formazione culturale della gran parte degli autori biblici. Non

GARCA PREZ J.M. - HERRANZ M.M. LA INFANCIA DE JESS SEGN LUCAS

559

esiste (o, se vogliamo essere pi ottimisti, non stato finora trovato) nessun
testo del NT scritto in una lingua semitica. Lo stesso discorso vale e in maniera
ancor pi decisa per le fonti degli scritti neostestamentari. Fiumi dinchiostro
sono stati versati per dimostrare lesistenza di vari proto-qualcuno, ma il dibattito risulta puramente accademico e il giudizio fatto a tavolino (e talvolta
nellimmaginario degli studiosi) per forza ipotetico. Intendiamoci: qui non
viene messa in discussione lutilit di una ricerca del genere; la critica riguarda
esclusivamente il modo di trarre le conclusioni che trascendono i dati a nostra
disposizione. Lassenza di un invitato alla festa pu far pensare anche ad una
disgrazia; questa ipotesi, fra le tante pi o meno verosimili, non potr tuttavia
tramutarsi in certezza, finch la verit non venga alla luce; e allora potrebbe
anche risultare che il motivo era meno tragico e assai banale: una semplice dimenticanza. Fuori metafora: perch fra le varie ipotesi sulla formazione ad es.
dei vangeli canonici non si potrebbe accogliere anche quella sempre come
ipotesi, comunque che li considera scritti direttamente in greco?
Gli AA. del saggio escludono questa ipotesi, perch sarebbe inconcepibile
che un autore del testo greco potesse scrivere in un greco tanto oscuro. Resta
da vedere tuttavia se quello che appare oscuro lo sia davvero. Non riesco a
capire ad es., perch nel contesto di Lc 1,39 si ritiene stridente la locuzione eij
polin Iouda, intesa come provincia di Giudea, scorgendovi una traduzione
difettosa dellebraico hnydm, se il significato principale di poli appunto citt (pp. 45.48). Insieme a quello delloscurit del greco biblico si affaccia
un altro problema. Se ammettiamo che gli originali semitici sono stati
succesivamente tradotti in greco (unipotesi poco probabile per Luca-Atti),
come spiegare allora il fatto che lautore di quella versione (in tal caso lo si
dovrebbe chiamare piuttosto traduttore) non si sia reso conto delloscurit e
non abbia cercato di chiarirla? Perch non ne era capace o perch nutriva grande rispetto per il testo sacro?
Unaltra domanda riguarda la questione di fondo, ossia la presunta oscurit di certi testi biblici. Prima di ritradurre il testo in un (inesistente!) originale,
non si dovrebbero forse cercare le risposte alle incongruenze e anomalie anzitutto allinterno del libro biblico stesso, scrutando lintenzione teologica dellautore e lo sfondo della filologia della lingua greca? Non detto infatti che
loscurit risentita oggi costituiva un problema ieri. Quanto poi alla ricostruzione delloriginale testo semitico con le armi della filologia, doveroso
quantomeno rimanere nel campo dellopinabile, data la variet grammaticale e
sintattica delle lingue. vero che per motivare le loro scelte gli AA. del saggio offrono sempre degli esempi di costruzioni semitiche presenti nella Bibbia. Ma questo non potrebbe aprire la strada a ricercare eventualmente nel
campo filologico altri appoggi, ugualmente solidi, per dare forza ad altre proposte di ritraduzione parallele o addirittura diverse?
Di fronte a questa serie di interrogativi sorprende la sicurezza con cui gli
AA. del saggio qualificano lesito delle loro ricerche. Si veda ad es. p. 40 dove

560

RECENSIONI

la proposta ritraduzione delloriginale ebraico di Lc 1,34 viene valutata in questi termini: En esta redaccin es claro que Mara alude a un voto de
virginidad, previo incluso a su desponsorio con Jos. Il lettore intelligente
in grado di trarre da solo le conclusioni se queste davvero scaturiscono dallanalisi (e questo non mi sembra il caso del passo menzionato prima) senza
dovergli continuamente suggerire il giudizio.
Concludendo devo confessare che la lettura del saggio stata molto gradevole. Si potr dissentire su qualche punto dellindagine o sul procedimento
addottato, ma il valore stimolante della ricerca difficilmente contestabile.
Bisogna essere grati ai due AA. che hanno presentato in una forma semplice e
lineare il risultato dei loro studi specialistici in un campo praticamente inaccessibile alla maggioranza dei lettori. Alla lode unito laugurio di proseguire
e di rendere ancora pi fruttuosa linvestigazione da cui si spera di poter ottenere valide risposte anche alle domande sollevate da questo metodo complesso e avvincente.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm

Thiselton Anthony C., The First Epistle to the Corinthians. A Commentary on


the Greek Text (The New International Greek Testament Commentary), Wm.
B. Eerdmans Publishing Co., Grand Rapids, MI - Cambridge, U.K. 2000,
xxxiii-1446 pp.
Il poderoso commento di A.C. Thiselton sulla 1 lettera ai Corinzi non passer
inosservato e ci non solo per la sua mole a dir poco impressionante. Ai commenti tanto prolissi e dettagliati ci siamo ormai abituati. Si pu discutere il
concetto di giuste proporzioni, ma le cause remote di un continuo aumento delle
pagine vanno senzaltro ricercate, da una parte, nelle scelte di metodo e/o nellindirizzo di questo genere di lavori, e nellevoluzione sempre pi accelerata
del campo dellindagine, dallaltra.
Non sar inutile ricordare che la prestigiosa serie del NIGTC, di cui fa
parte il commento di Thiselton, si propone di rendere un servizio soprattutto a
quegli studenti e studiosi del testo greco del NT che sono interessati di meno
alle questioni tecniche e desiderano invece calarsi di pi nel contenuto degli
scritti biblici. Lintento quindi ha carattere prettamente teologico, anche se la
comprensione teologica del testo viene basata (come era giusto aspettarsi) sui
risultati dellesegesi storico-critico-linguistica.
La Prefazione del volume apre la frase-autoconfessione dellA.: I have
tried to produce a commentary which is as closed to being thorough, definitive, and at times distinctive and original as is possible within the limits of
my ability (p. xvi). Questo enunciato potrebbe sembrare a qualcuno presuntuoso. Credo tuttavia che Thiselton abbia raggiunto in buona parte le fi-

THISELTON A.

THE FIRST EPISTLE TO THE CORINTHIANS

561

nalit che si prefisse. Anche lo stato definitivo, a condizione per che


con ci si intenda la presentazione e il dialogo con la pi recente indagine
scientifica in materia.
Prima di passare al capitolo introduttivo, il lettore trover una lista di Abbreviazioni e la Bibliografia, suddivisa in commentari alla 1Cor e opere selezionate con criteri di importanza e data della pubblicazione (a partire dagli anni
ottanta). Oltre a queste poche pagine, allinizio di ogni sezione sono incluse
altre liste bibliografiche dedicate ad argomenti specifici (mi sembra una scelta
molto indovinata). Ulteriore materiale di rinvio racchiuso infine nelle numerose note in fondo pagina.
NellIntroduzione (pp. 1-52) sono discussi vari temi di interesse generale
che riguardano lambiente storico-socio-culturale dei destinatari della lettera
(la citt di Corinto), limportanza e la stratificazione della comunit cristiana
di Corinto, loccasione dello scritto, il ruolo della retorica nellepistolario
paolino.
Segue il commentario vero e proprio che si estende su 1300 pagine! La
1Cor viene suddivisa da Thiselton in sei parti: I. Address, Greeting, and
Thanksgiving (1:1-9); II. Causes and Cures of Splits within the Community;
Loyalty-Groupings or Status-Groupings in Conflict with the Nature of the
Cross, the Spirit, and the Ministry (1:104:21); III. Moral Issues which
Demand a Clear-Cut Verdict (5:16:20); IV. Response to Inquiries about Marriage and Related Issues and about Associations with Idols (7:111:1);
V. Freedom, Status, Reciprocity
, and Respect for the Other in the Ordering of
Public Worship and in Attitudes toward Spiritual Gifts (11:214:40); VI. The
Resurrection of the Dead (15:1-58); VII. Further Matters of Concern (16:1-24).
Si tratta quindi in sostanza di una struttura classica, con qualche titolo forse
troppo lungo.
Allinizio di ogni capitolo o sezione si trova una breve introduzione finalizzata ad offrire una visione preliminare del brano. In seguito si passa alla traduzione del testo greco seguita dal commento di ogni versetto e spesso di
singole parole, in cui sono incluse le questioni di sintassi e lessicografia, della
critica testuale, dello sfondo socio-storico del testo (tenuto in particolare considerazione), di strategia retorica e teologia.
Al termine del volume, come naturale, si trovano vari indici: tematico,
degli autori moderni e delle fonti antiche in cui sono compresi anche i libri
biblici.
scontato che il materiale contenuto in un volume di tali dimensioni andr incontro a varie critiche o voci di dissenso. Personalmente preferisco un
commento meno completo nei singoli settori (con il rischio di non riuscire a
trovare alla fine quello che si cerca) e pi concentrato su un campo preciso.
Ma questo come si detto allinizio non evidentemente lo scopo del nostro commentario. Apprezzo invece le note di approfondimento molto numerose sui temi di particolare interesse e un altro genere di note che presentano

562

RECENSIONI

la storia degli effetti di un testo (Wirkungsgeshichte), dove si spazia


dallesegesi patristica a quella medievale e protestante fino ai tempi moderni.
Queste note (ne ho contate 44), ben distinte grazie alluso di un carattere diverso, si rivelano assai preziose per chi volesse rapidamente informarsi su un
tema o argomento specifico.
Puramente a titolo desempio mi soffermo su 1Cor 11,27, per vedere come
il commentatore traduce e giustifica la sua interpretazione. Confesso che la
scelta del passo non affatto casuale, dato che qualche anno fa proprio questo
versetto stato oggetto di un mio studio apparso su questa rivista (1996; ma si
veda anche il saggio di N. Casalini in questo numero, specialmente 3 verso
la fine e 7). Leggiamo anzitutto la traduzione di Thiselton: Consequently,
whoever eats the bread or drinks the cup of the Lord in a way that is not fitting
will be held accountable for so treating the body and blood of the Lord (p.
849). Questa frase si potrebbe rendere in italiano come segue: Di conseguenza, chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore in un modo inappropriato (non adeguato / corrispondente / idoneo), sar ritenuto responsabile di
trattare cos (di avere tale comportamento nei riguardi del) il corpo e il sangue
del Signore. Il lettore italiano noter subito la diversit nella traduzione facendo un rapido confronto con la versione a lui familiare, quella ufficiale della
CEI: Perci chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del
Signore, sar reo del corpo e del sangue del Signore. Il corsivo mette in evidenza le differenze di traduzione e insieme i due problemi maggiori di 1Cor
11,27. Il primo riguarda lavverbio ajnaxiw che indica fondamentalmente un
agire contrario ad una legge o norma. Secondo Thiselton, che cos giustifica la
sua scelta, a Paolo interessa soprattutto che lattitudine e la condotta del credente corrispondano al messaggio e alla solennit di quanto viene proclamato.
Per cui la sua traduzione sembra pi esatta dellabituale indegnamente che
fa pensare ad una condizione morale personale non riferibile cio direttamente al nucleo centrale del mistero eucaristico come potrebbe essere ad esempio lubriachezza biasimata in 1Cor 11,21b o lignoranza di chi non sa
distinguere il corpo del Signore dal pane comune e lo considera quindi cibo
profano (1Cor 11,29).
Strettamente legato con il precedente, il secondo problema concerne invece la traduzione dellespressione enoco estai tou swmato kai tou aimato
tou kuriou. Anche in questo caso la traduzione di Thiselton mette laccento
sulla persona contro la quale viene perpetrato il crimine e non tanto sulla persona del colpevole di un reato. Il sacrilegio eucaristico, dovuto alla mancanza
morale di cui sopra, non costituisce quindi il principale centro dinteresse. La
responsabilit primaria di carattere cristologico. Tenuto conto infatti del pensiero paolino, leucaristia insieme lannuncio della morte sacrificale del Signore e la partecipazione al corpo e al sangue del Risorto che dona la vita. Tale
annuncio non si riduce per alla mera ripresentazione sacramentale del gesto
di donazione di Ges, ma necessariamente deve tramutarsi in realt, quando

BARBAGLIO G.

LA TEOLOGIA DI PAOLO

563

cio la fede dei partecipanti alla cena del Signore trova una corrispondenza o
un riflesso nella vita. Solo allora quellannuncio rituale in piena sintonia con
la realt racchiusa nei segni del pane e del vino. Ho espresso qui il mio modo
di capire il senso di 1Cor 11,27, il quale non sembra per diverso dal sentire
teologico di Thiselton. Ecco le sue parole: Exegesis suggests neither, on one
side, the notion of sacrilege against the elements themselves, nor, on the other
side, mere answerability for social disruption. The focus remains on Christ,
and Christ crucified, as proclaimed through a self-involving sharing in the
bread and wine. If stance and lifestyle make this empty of content and
seriousness, participants will be held accountable for so treating the body and
blood of the Lord (p. 890). Coloro che preferiscono una maggiore fedelt al
testo non saranno probabilmente soddisfatti della traduzione di Thiselton che
ha bisogno, come in questo caso, di ampliare il testo di glosse. Altri invece, a
cui interessa di pi la portata teologica gli saranno certamente grati.
A quanto pare, quello di Thiselton il primo commento sul testo greco
della 1Cor in versione inglese dai tempi del rinomato commentario di
Robertson - Plummer, la cui edizione rivista risale al 1914. C da sperare che
il nuovo commentario riscuota fra i lettori un successo simile, anche perch ha
tutte le carte in regole per centrare questo obiettivo.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm

Barbaglio Giuseppe, La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare (La


Bibbia nella storia 9), Edizioni Dehoniane, Bologna 1999, 783 pp., L. 84.000.
Lopera ha una struttura semplice e tradizionale: una Prefazione (pp. 7-8), a
cui seguono le Abbreviazioni (pp. 9-10) e di seguito sette capitoli: Alla chiesa
dei tessalonicesi (pp. 11-55), Alla chiesa di Corinto: prima lettera (pp. 57-207),
Alla chiesa di Corinto: seconda lettera (pp. 209-312), Alla chiesa di Filippi (pp.
213-379), Al carissimo Filemone (pp. 381-399), Alle chiese di Galazia (pp. 401501), Ai credenti di Roma (pp. 503-720). Ciascuna di queste parti, poi, si suddivide in due sezioni: Introduzione, che prende in considerazione i diversi
problemi storico-letterari delle varie lettere: data e luogo di composizione,
destinatari, struttura e genere letterario della lettera e, a volte, anche le testimonianze antiche del cristianesimo del I-II sec. (pp. 334 nota 89; 393 nota 31;
422 nota 58; 531-532), e la Comunicazione teologica, in cui si prendono in
esame i diversi abbozzi teologici delle sette lettere autentiche; il tutto completato con una Visione dinsieme (pp. 721-769). In quanto alla Bibliografia,
lA. ha preferito inserirla lungo il corso dellopera, man mano che venivano
trattate le varie lettere e le loro problematiche particolari.
Lidea che guida lopera, Barbaglio la esprime sia allinizio della sua opera (pp. 7-8) che verso la fine di essa (pp. 726-727). Cos, a p. 7 afferma: Pa-

564

RECENSIONI

olo non ha scritto trattati teologici, n epistole che mal nascondono la propria
realt di esposizioni dottrinali, ma vere e proprie lettere di circostanza, legate
alle situazioni contingenti dei destinatari e del mittente. La conseguenza
chiara: Limmagine di lui teologo (Paolo), come emerge da una lettura attenta delle sue lettere, non quella di un pensatore gi in possesso di una teologia
sufficientemente completa ed elaborata, per cui, sollecitato dai suoi
interlocutori, pu comunicare soluzioni preconfezionate. Appare invece un teologo in faciendo; la sua teologia nasce negli sforzi di rispondere ai vari problemi affrontati e come elaborati di riflessione parziale e provvisoria Appare
anche un teologo in progress che avanza da stadi pi elementari (p. 7). La
stessa idea espressa con molta forza a p. 726: Da parte mia, sono persuaso
che troppo spesso si sia passati sopra alle esposizioni del suo pensiero, ritenute troppo analitiche, protesi a cercare una sua teologia, data come sottesa alle
lettere e presente gi nella sua mente. importante denunciare il presupposto
non criticamente vagliato che lapostolo sia stato un teologo per se stesso, al
di fuori delle sue lettere, che ne sarebbero solo una traduzione parziale e applicata alle situazioni dei destinatari, e che sia possibile ricostruire le line portanti, o lispirazione di fondo, o il centro, come si dice, della sua teologia.
Invece la lettura attenta dei suoi scritti mostra che egli appare piuttosto un teologo in actu exercito, provocato da domande e sollecitazioni che gli giungevano dalle sue comunit e da avversari e critici, ma anche dalla sua mente non
soddisfatta da elaborazioni precedenti avvertite come parziali e, a volte, incongrue, dunque bisognose di essere riprese e precisate, ma anche corrette. Questultimo brano molto significativo sotto diversi punti di vista: 1) La
teologia di Paolo che ci viene proposta non bada a un sistema unitario, ma
presentazione di una serie di abbozzi in forma epistolare o le teologie delle
singole lettere (p. 8); 2) tali abbozzi sono ricostruiti attraverso unattenta e
analitica presentazione delle sette lettere autentiche, seguendo lordine cronologico che lA. ritiene probabile; 3) Paolo, tenuto conto di ci, non un teologo di professione, ma un missionario, un attivista che ha elaborato nel tempo
una profonda interpretazione basata sulla christologia crucis et simul gloriae
(p. 738).
Un giudizio sullopera di Barbaglio necessariamente complesso e anche
difficile ad esprimersi in poche pagine. Non intendo entrare nei dettagli, dato
che lopera stessa mostra come molti problemi possono ricevere varie e contrastanti interpretazioni. Mi limito solo a rilevare la grande competenza e autorevolezza dellA. nel trattare le varie lettere e i loro infiniti problemi.
Lopera, da questo punto di vista, ricchissima di contenuto e di suggestioni
che nascono da unassidua comunione dellA. con le lettere paoline. La chiarezza e padronanza con cui tratta i problemi sono frutto di tale amore per gli
scritti di Paolo e per la sua forte personalit di autentico evangelista che incarna limmagine del crocifisso e insieme del Signore della gloria (p. 738). Detto
questo, mi sembra giusto esprimere anche delle critiche, che in nessun modo

BARBAGLIO G.

LA TEOLOGIA DI PAOLO

565

vogliono mettere in discussione il valore dellopera e dellA. che lha composta. Si vuole solo presentare delle piste di riflessione critica sullopera e sul
suo svolgimento.
Mi sembra che lopera pi che una teologia sia unIntroduzione speciale
alle lettere di Paolo e le sue comunicazioni teologiche risultino delle parafrasi, a volte generali, a volte esegetiche e a volte anche teologiche, del contenuto delle lettere paoline, in ogni caso, delle parafrasi un po pi approfondite
di quelle che si trovano normalmente nelle Introduzioni particolari o generali
del NT. In verit lesposizione complessiva dellopera (breve presentazione dei
problemi introduttori di datazione, localizzazione, autenticit, destinatari e
strutturazioni del testo, a cui segue unestesa comunicazione teologica) la fa
somigliare pi ad una introduzione che a una teologia. vero che lA. con
tale procedimento vuole situare concretamente il pensiero di Paolo e pi che
una teologia vuole offrire degli abbozzi di teologia. Anzi, egli maneggia i
contenuti delle idee come una materia informe, tanto da far venire il dubbio se
realmente si tratti di teologia o di una serie di problemi affrontati da Paolo
quasi per caso. In tal senso, si pu vedere lesposizione della comunicazione teologica delle singole lettere. Tale procedimento legittimo, ma non so
se sia il pi adatto a mostrare una teologia, che di per s qualcosa di sistematico, non per Paolo, ma per gli studiosi che ne vogliono mostrare lorigine e
lo sviluppo. Inoltre, tale metodo parafrastico ha costretto lA. a ripetersi continuamente, appesantendo la lettura e a volte facendo perdere il filo dello sviluppo teologico del pensiero di Paolo.
Lobbiettivo chiaro: far vedere al lettore che Paolo non aveva una teologia, ma che la sua era una teologia in faciendo. Ora, tutto ci mi sembra
strano e in qualche modo tradisce la personalit dellapostolo. Paolo un exrabbino fariseo. So che il Barbaglio sobbalzer e penser subito al ritratto
lucano di Paolo; ma non c proprio bisogno di pensare a tale ritratto, meglio richiamare alla mente Gal 1,13-14; Fil 3,5; 2Cor 11,22, in cui Paolo riferisce del suo passato di Ebreo, di Israelita, di Fariseo, di persona zelante della
legge e delle tradizioni dei suoi padri. In base a ci, mi sembra difficile pensare che Paolo non avesse una teologia. Egli aveva una teologia che scaturiva
dalla parola ispirata dellAT. Ad essa egli rimasto sempre fedele, sia che ad
essa faccia riferimento diretto (nella maggioranza delle lettere) o indiretto (1Ts;
Fm). Ci lo ammette lo stesso autore, quando parla di interpretazione delle
Scritture (pp. 744-754), anche se mi sembra che non abbia compreso del tutto
il modo come Paolo utilizza la Scrittura, che a mio parere non solo un metodo di fare teologia (pp. 744-754), ma anche la fonte della teologia paolina. Per
questo, decisivo appare il riferimento alla Scrittura... (perch) le Scritture
sono attestazione divina e contengono la rivelazione di Dio incarnata nella storia israelitica (p. 552). Paolo non propone una nuova religione n una nuova
teologia, ma lo stesso Dio rivelatosi in quella storia e nella parola della Scrittura (p. 552). Di tale teologia, poi, Paolo fa, insieme a tutta la Chiesa primiti-

566

RECENSIONI

va, unattenta rilettura midrashico-tipologica alla luce del mistero di Cristo. Lo


ammette anche il nostro A., quando scrive: Lapostolo si muove con dati elementari di fede presenti nei suoi lettori, che li hanno ricevuti certo dallannunzio cristiano e dalla prassi ecclesiale. La sua argomentazione teologica vi si
appoggia come su solida base per offrirne una lettura interpretativa nuova, capace di rispondere agli interrogativi suscitati (p. 615; cf. anche p. 660). Proprio per questo la sua teologia viva, non cristallizzata e adattabile a molte
situazioni della vita ecclesiale e sociale. Paolo non parte da zero, ma possiede
la teologia dellIsraele di Dio e la catechesi tipologica della comunit primitiva (At 2,42), che egli da solo (Gal 2,21-24) o insieme a Barnaba ha esposto
prima oralmente ad Antiochia (At 11,26; 13,1) e poi per iscritto alle comunit
del mondo greco-romano. In tal senso, credo che abbia molto pi rilievo quanto scrive lA.: In realt si tratta di un rapporto stretto (tra teologo e missionario) che vede quello subordinato a questo; la sua teologia non solo in
funzione della missione e della cura danime, ma anche forma concreta e specifica della sua azione missionaria e pastorale (p. 728). In tal senso, condivido lidea che la teologia di Paolo una teologia in progress, anche se di
progressivit nellopera del Barbaglio se ne vede molto poca. E quella proposta nella Visione di insieme (pp. 721-769) non pu essere considerata una teologia di Paolo in progress, ma una ripetizione di alcuni dati esposti
precedentemente in modo analitico.
Infine, mi sia permessa una critica ad alcuni dettagli dellopera, ma ai quali
lA. sembra attribuire molta importanza. In primo luogo, linterpretazione del
genitivo nellespressione dikaiosunh tou Qeou (cf. pp. 554; 575; 684 nota 564).
LA. scrive: la suddetta connessione (il vangelo luogo di epifania della
giustizia di Dio) spinge a vedere nella formula un genitivo soggettivo (la giustizia propria di Dio), non di autore (giustizia donata da Dio). Non si pensi per a
una qualit divina intemporale: trattandosi sempre di manifestazione della potenza di Dio, siamo di fronte a un concetto dinamico-operativo: la sua azione
salvificamente creatrice (p. 554). Dal punto di vista filologico, la traduzione
la giustizia propria di Dio presuppone un genitivo possessivo o di appartenenza e al limite un genitivo di qualit: Dio giusto (cf. Smyth, Greek Grammar,
1320-1321), non un genitivo soggettivo; daltra parte, mi sembra che il genitivo
dautore si distingua dal genitivo soggettivo solo perch nel primo caratterizzato da un nome proprio o considerato tale (cf. BDR 163,1,1; Zerwick,
Graecitas, 36-38; Abel, Grammaire, p. 177; Turner, Syntax, 211). Io credo che
non sia cos importante e decisivo decidere sul senso filologico dellespressione, ma importante e decisivo non separare i due aspetti, come ha fatto in maniera molto chiara lA.: Liniziativa di Dio giusto (gen. possessivo o di
qualit) e giustificante (gen. soggettivo o di autore) (p. 578).
Laltro dettaglio si trova a p. 475 nel titolo: Libert responsabile: agiti
dallo Spirito. Il participio agiti piace molto allautore (pp. 475; 486). Non
discuto se tale traduzione sia la pi appropriata; lo stesso autore la pone tra

HENGEL M. - SCHWEMER A.M.

PAULUS

567

virgolette. Pi discutibile il senso che, nonostante tutto, essa sottintende: la


passivit del cristiano nellessere guidato dallo Spirito. Tale senso non credo
che lo si possa ricavare da Gal 5,16-18, e di ci ne cosciente lo stesso autore
(p. 486), un testo che impegna il cristiano, guidato dallo Spirito, a lottare in
maniera personale contro la carne. vero che lagesqe di 5,18 pu essere un
passivo, ma pu essere anche un medio-causativo (cf. Corsani, Galati, 355) e
meglio ancora un passivo permissivo: lasciarsi condurre. Questultimo significato migliore, perch d senso allazione continua e abituale del presente e
inoltre si conforma meglio al pensiero dellApostolo che fa dello Spirito il
motore propulsore della vita spirituale del cristiano (cf. anche 4,6), del suo
camminare (5,16) secondo lo Spirito.
Alfio Marcello Buscemi, ofm

Hengel Martin - Schwemer Anna Maria, Paulus, zwischen Damaskus und


Antiochien (WUNT 108), Mohr Siebeck, Tbingen 1998, pp. 541.
Il problema affrontato in questo saggio riguarda il divenire biografico e teologico di Paolo negli anni 33-49 d.C. secondo la cronologia comune, che sono
definiti oscuri per la scarsit delle informazioni a nostra disposizione (pp.
27-30).
Alle fonti usate per la ricostruzione dedicato un settore speciale (pp.
31-40), dove sono elencati i testi biografici delle Lettere di Paolo (Gal 1,10
2,18; Fil 3,2-11; 1Cor 9,1-23; 15,1-15; 2Cor 11,32-33 citato in nota a p. 32;
Rom 1,1-17; 9,1-5; 15,14-33) e gli Atti degli Apostoli 915. Ma di queste, solo
alcune interessano direttamente gli anni in esame: Gal 1,102,14; 2Cor 11,3233 e Fil 3,5-6; At 7,58; 8,1.3; 9,1-30; 11,25-26.27-30; 12,24-25.
Luso di At 13,114,28 (il cosiddetto primo viaggio) ambiguo e crea
una certa aporia nel discorso, perch considerato come il primo fatto che segna la fine degli anni oscuri di Paolo (datato al 46-47 d.C.), prima della riunione apostolica di Gerusalemme (datata al 48/49 d.C.) (cf. Gal 2,1-10) (p.
403). Ma poi indirettamente invocato come riferimento testuale allinizio del
periodo discusso (anni 37/39 d.C.), con riferimento a Gal 1,21 (poi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia) (p. 246), ed di nuovo richiamato a met
di tale periodo per spiegare lattivit di Barnaba e Paolo dopo lanno trascorso
insieme ad Antiochia, e di cui si legge in At 11,26 (datato al 40/41 d.C.) e computato come biennale (pp. 338.395-396).
Data la scarsit delle informazioni (9 versetti in Gal 1,15-24; 2 versetti in
2Cor 11,32-33; 2 versetti in Fil 3,5-6), il lettore si potrebbe stupire che sia stato possibile scrivere un libro di tale mole: 543 pagine! bene quindi che io ne
faccia una semplice descrizione, con qualche valutazione critica, affinch chi
legge sappia che cosa contiene e a quale uso potrebbe giovare.

568

RECENSIONI

Delle pagine indicate, settanta sono dedicate a tre tavole e dodici indici per
facilitare la consultazione (pp. 473-543). Tolte queste, restano 471 pagine di
testo che uno potrebbe ritenere ancora eccessive, data la scarsit delle fonti,
ma che si potrebbero giustificare tenendo conto che il poco che si potrebbe
estrarre dalle lettere di Paolo e dagli Atti degli Apostoli ambientato nel molto che possiamo sapere dalle fonti storiche profane e archeologiche sullo stato geografico, economico, sociale e politico, culturale e religioso delle regioni
in cui ha svolto il suo apostolato.
Quindi la trattazione divisa in otto capitoli secondo un supposto ordine
cronologico dei fatti che su di lui sappiamo. Il cap. 1 dedicato a considerazioni preliminari. Le pi importanti sono quelle che riguardano levoluzione
teologica e umana di Paolo, che il vero problema dibattuto, ma che brevemente indicato (pp. 27-30) e quelle delle fonti riguardanti questo periodo, a
cui ho gi accennato (dal 33 al 49 d.C.), in cui tale evoluzione sarebbe avvenuta, secondo lopinione dominante: i.e. dalla conversione presso Damasco
(o in Damasco?) al raduno apostolico di Gerusalemme, dopo il primo viaggio
missionario con Barnaba nei territori della Cilicia, della Pisidia e della
Licaonia (pp. 31-44).
Faccio notare che gli AA. (M. Hengel, in questo caso!) sono decisamente
contrari allipotesi di una maturazione o mutazione evolutiva nel pensiero teologico di Paolo (supposta da G. Strecker, U. Schnelle, F.H. Horn, J. Becker,
Th. Sding e altri) (pp. 28-29) e soprattutto non favoriscono quella pi complessa e audace di possibili aporie irrisolte nel pensiero paolino, che oggi
alcuni (pi di uno), sarebbero disposti ad ammettere per la evidente testimonianza dei testi (cf. H. Risnen) (pp. 8-9).
Gli altri capitoli (da 2 a 8) seguono il supposto ordine degli eventi del periodo da loro ricostruito. Il cap. 2 dedicato a Damasco e alla conversione di
Paolo. Ma le parti specificamente paoline sono il n. 1 sulla cronologia del periodo prepaolino (pp. 43-60) e il n. 2, che si occupa della conversione, del
battesimo e del mandato apostolico avuto in quella citt (pp. 60-80). Il resto
del capitolo dedicato alla comunit giudaica di Damasco (pp. 81-132), alla
forza di attrazione del Monoteismo giudaico (pp. 132-139), allorigine della
comunit cristiana di Damasco (pp. 139-146) e alla prima missione degli
Ellenisti fuori della Palestina (pp. 157-162).
Il cap. 3 si occupa della nuova autocoscienza apostolica di Paolo e del fondamento della sua teologia. In questo, lA. (ancora M. Hengel!) propone la tesi
a lui cara, che gi dallinizio erano presenti in Paolo la sua coscienza apostolica e la dottrina teologica della giustificazione, proprie della et pi matura. Ma
per dimostrare questo deve anticipare a quel periodo affermazioni delle lettere
del tempo posteriore (per es. 1 e 2 Cor, Rom, Gal). E ci a qualche esegeta pi
sensibile al metodo storico potrebbe non piacere e quindi non convincere.
Il cap. 4 dedicato allArabia, dove Paolo si reca subito dopo la conversione (Gal 1,17) e al re dei Nabatei Areta IV che l regnava (9 a.C. 40 d.C.).

HENGEL M. - SCHWEMER A.M.

PAULUS

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LA. convinto che gi questo viaggio fosse apostolico in adempimento al


mandato ricevuto di andare ai popoli e ritiene che egli lo giustificasse con
ragioni teologiche: per es. la parola di Dio per mezzo di Ger 12,14-17 rivolta
al vicino, che avrebbe appreso a seguire le vie del suo popolo. Tuttavia Paolo, con la coscienza pi chiara del dopo, fa iniziare la sua attivit apostolica
da Gerusalemme e dintorni (apo Ierousalm kai kykl-i) (Rom 15,19) (cf. p.
147). Ci si potrebbe spiegare meglio se si considera la visita a Cefa in
Gerusalemme, avvenuta tre anni dopo la conversione (Gal 1,18), come il vero
inizio simbolico della sua predicazione.
Il cap. 5 si occupa del ritorno a Damasco e della fuga dalla citt (2Cor
11,32-33; cf. At 9,23-25). Su questo punto, seguendo la ricostruzione di Ernst
Axel Knauf (pp. 465-471), gli AA. tendono a diminuire limportanza storica
della notizia giurata, data da Paolo in 2Cor 11,32-33. Se egli dice che
lEthnarca di re Areta vigilava la citt dei Damasceni (ephrourei tn polin
Damasknn), non storicamente corretto affermare che tale Ethnarca era solo
il capo o lo stratega della colonia dei Nabatei, che occupava un quartiere della
citt (pp. 212-213). Ma molto pi verosimile supporre che il re Areta IV avesse di fatto esteso il suo controllo su tutta la citt dopo la morte del Tetrarca
Filippo (a. 33/34 d.C.). Ci permetterebbe di spiegare meglio la grave decisione di Roma (lImperatore Tiberio) di mandare contro di lui un esercito sotto la
guida di Vitellio, Governatore della Siria (p. 182). Non si fa guerra ad un re
per scaramucce di confine, ma solo per contrastare la sua effettiva espansione
di potere su un territorio per cui Roma rivendicava influenza e ambiva allamministrazione diretta.
Il cap. 6 esamina la visita di Paolo a Cefa in Gerusalemme, tre anni dopo
la conversione (Gal 1,18-20; cf. At 9,26-30). Levidente discordanza delle due
fonti, che non sembrano concordare in nulla, crea non pochi problemi storici. I
fatti da esse indicati non si lasciano armonizzare in modo alcuno, nonostante
la buona volont degli AA. (pp. 216-226). La loro valutazione critica resa
pi ardua anche dal fatto che in At 22,17-21 lA. di Atti lascia fare a Paolo un
rapporto simbolico totalmente diverso non solo da quello di Gal 1,18-20 ma
anche dal proprio in At 9,26-30 con laggiunta di una visione supplementare
del Signore nel Tempio che lo esorta a lasciare senza indugio la citt.
Il tentativo degli AA. di armonizzare le due fonti supponendo che la visita
sia stata segreta (in incognito) per timore dei nemici (pp. 218-219) e che
durante i colloqui con Cefa sia stata concordata la formula del vangelo quale si legge in 1Cor 15,3-8 (p. 233), potrebbe apparire pi simile al romanzo
storico che non alla sobria ricostruzione di un fatto, su cui nulla sappiamo.
Il cap. 7 dedicato allattivit di Paolo nei territori a nord della Siria: Tarso
e Cilicia (cf. Gal 1,21 e At 9,30). Su questa attivit Paolo di un silenzio ermetico e ci che gli AA. dicono per interpretarlo non pu essere confermato.
Per prima cosa invertono indebitamente lordine dei territori. Paolo dice in Gal
1,21: Poi andai ai territori della Siria e della Cilicia. Essi affermano che lor-

570

RECENSIONI

dine delle attivit fu inverso, i.e. Cilicia e Siria, evidentemente per armonizzare con la notizia di At 9,30 secondo cui, da Gerusalemme, Paolo fu fatto scendere a Cesarea e mandato a Tarso, che era il capoluogo della Cilicia e sua
patria, secondo il narratore di questa storia (cf. At 9,11; 21,39; 22,3; 23,34) (pp.
232-246). Quindi egli sarebbe il fondatore della comunit cristiana di quella
citt (pp. 246-250).
Ci non storicamente corretto, perch la prima ipotesi contraria allaffermazione esplicita di Paolo, la seconda totalmente ignorata da lui stesso,
bench limportanza della citt a quel tempo era tale che la supposta fondazione, se fosse stata reale, non poteva restare senza traccia nella sua biografia
personale, di cui spesso fa menzione nelle sue lettere.
Il cap. 8 dedicato esclusivamente ad Antiochia e allattivit missionaria
di Paolo (e Barnaba) connessa con questo primo centro cristiano. Da solo, occupa poco meno della met di tutta la trattazione (pp. 274-471). Tuttavia le
pagine effettive dedicate a Paolo riguardano il suo supposto trasferimento da
Tarso ad Antiochia (At 11,25-26) (pp. 274-275); il rapporto di Antiochia e
Gerusalemme rievocato in At 11,1915,35, di cui gli AA. seguono il ductus
narrativo, facendone un commento, in particolare sul rapporto tra Barnaba e
Paolo, sullanno trascorso insieme in quella citt (At 11,25-26) (pp. 314-340);
e gli effetti della vicenda antiochena sulla formazione della sua teologia (pp.
404-464).
Gli AA. fanno giustamente rilevare che le formule tradizionali, quali si leggono in 1Cor 11,23-25 (listituzione dellEucarestia), in 1Cor 15,1-11 (in part.
vv. 3-8) (il vangelo che Cristo morto per i nostri peccati ed risorto kata tas
graphas, seguito dalla lista delle apparizioni) rivelano una indubbia matrice
gerosolomitana e non antiochena (pp. 423-433.434.438). Anche la professione
di fede, che si legge in 1Cor 8,6 di una pi grande antichit, per la sua evidente parentela con lo shema in lingua greca: kyrios ho theos hmn, kyrios
heis estin (pp. 417-418). La stessa considerazione vale per la formula (o acclamazione) battesimale, quale si legge in Gal 2,26-29, la cui impostazione universale esclude per se stessa ogni referenza locale (pp. 438-443).
La conclusione brevissima (pp. 462-464) riguarda un confronto cronologico tra Paolo e Lutero. Ci al lettore indipendente e intelligente potrebbe
apparire fuori luogo e rivelare la natura apologetica del libro, nonostante limponente inquadramento storico.
Lo stile dellesposizione ha preservato la forma parlata originaria di lezioni accademiche, tenute da M. Hengel nel febbraio-marzo 1996 presso il PIB di
Roma (Joseph Gregory McCarthy Lectures). Ci rende scorrevole il testo e
facilita lassimilazione dellargomento. Ma ha un evidente svantaggio: manca
la concisione e soprattutto una pi rigorosa definizione della problematica
scientifica (storica, esegetica, teologica), spesso oscurata da un tono di appassionata polemica, pi adatto per lapologia e il dibattimento pubblico, che non
per un saggio che si vuole storico. LA. (bisogna ricordarlo: Martin Hengel!)

HENGEL M. - SCHWEMER A.M.

PAULUS

571

non perde mai loccasione per rettificare molte opinioni correnti, divergenti
dalle sue, usando parole franche e qualche volta anche mordaci.
Quindi non sarei in errore se dicessi che il libro un regolamento di conti (in tedesco potrei dire Abrechnung), in particolare con la Religionsgechichtliche Schule e i suoi rappresentanti pi qualificati, che hanno di fatto dominato
le opinioni sulla storia del cristianesimo primitivo e della sua teologia: W.
Bousset, R. Bultmann e seguaci.
In poche pagine (pp. 423-433), il lettore vede dissolte nel nulla categorie
sacrosante per la periodizzazione e la classificazione delle tendenze religiose
di quel tempo: Heidenchristentum, heidenchristliche Urgemeinde, hellenistische Gemeinden, la distinzione tra palestinensische Urgemeinde e hellenistisches Christentum e soprattutto la categoria fondamentale di vorpaulinisches Christentum, vengono spazzate via con un colpo di spugna a vantaggio di una sola categoria: il giudeo-cristianesimo multiforme di Gerusalemme, quindi palestinese ed ellenistico nello stesso tempo, perch i cosiddetti
Ellenisti (cf. At 6,1; [6,9?]; 9,29) non erano altro che Giudei parlanti greco,
nati probabilmente nella diaspora (p. 56) e stabiliti in quella citt provenendo
dai diversi centri giudaici dellImpero Romano.
Se ci sia un vantaggio per il lavoro esegetico, lascio il giudizio ad uno
storico. Ma lesistenza di un cristianesimo ellenistico (i.e. di lingua greca) prepaolino fuori dubbio. La LXX era in circolazione dal III sec. a.C. e la sua
tendenza cristologica a tutti nota, perch la vera matrice della fede e della teologia cristiana primitiva. Anche se i portatori di questa corrente religiosa erano Giudei greci o simpatizzanti greci dei Giudei, le sue idee teologiche
erano gi state sistematizzate prima di Paolo e senza lapporto di Paolo (cf. il
caso emblematico di Apollo, Alessandrino: At 18,24-25 e 1Cor 1,12; 3,4-6.22;
4,6; 16,12).
Ma lo stesso Paolo in Rom 15,26-27 (un testo capitale per la tesi di M.
Hengel!) non attribuisce a se stesso i beni spirituali (ta pneumatica) che ha
dato ai popoli, ma li ritiene beni dei Giudei. Dunque, gi prima di lui, cera
una sintesi teologica (cristologica e soteriologica) ellenistica pre-paolina, perch elaborata in lingua greca sulla base della LXX (kata tas graphas!), a cui
anche Paolo si ispira nella sua predicazione, fatta sulla scrittura greca (!) (cf.
At 17,1.11).
Per questo mi sembra che, se anche Martin Hengel riconosce esplicitamente il debito del pensiero di Paolo verso quella che egli chiama vorpaulinische
christologische Grundlage (p. 163), forse la categoria di cristianesimo
ellenistico (i.e. di lingua greca) pre-paolino da mantenere, perch realmente utile per comprendere la sua dipendenza verso la tradizione della fede comune, che era allorigine.
Riabilitata Gerusalemme come centro di formazione e irradiazione del cristianesimo primitivo, era naturale che Antiochia di Siria diventasse solo una
periferia culturale, senza reale importanza per la formazione della teologia

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RECENSIONI

del movimento cristiano delle origini e di quella paolina. Quindi se il lettore


vuole sapere che cosa pensi M. Hengel sulla Theologiegeschichte des
Urchristentums di Klaus Berger (2a ed. 1995), che fa di Antiochia il centro
teologico fondamentale di quel tempo, basta che legga la nota 1781 di p. 433,
dove non ce n solo per lui (chronologisch chaotisch!), ma anche per la
recensione innica di Kurt Flasch (FAZ L. 24, Nr. 230, del 4.10.1994), a cui
insinua malignamente di non aver letto realmente lopera, ma di averne fatto
solo una lettura trasversale.
In realt ci non basta per liquidare unopera sintetica di tale mole (777
pagine di testo effettive), sia in bene sia in male, e ci che M. Hengel propone
non una storia del cristianesimo primitivo, a cui aspira, n una sintesi della
teologia del cristianesimo delle origini, di cui la sua opera manca.
Quindi il recensore si augura che un tale studioso possa fare luna e laltra, perch solo in questo modo pu avere influenza sulle future generazioni
esegetiche. Ci che qui scritto non basta a questo, ma segna solo una tappa
del suo cammino, che ancora lungo. Penso tuttavia che bisogna rendere onore a Anna Maria Schwemer, la co-autrice, se la serie di lezioni originarie abbia
assunto la forma di un panorama delle origini cristiane, conferendo ad esse
linquadramento storico e archeologico che le rende veramente utili per ogni
consultazione sullargomento.
Nello Casalini, ofm

Manzi Franco, Melchisedek e langelologia nellEpistola agli Ebrei e a


Qumran (AnBib 136), Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma 1997, XVII434 pp., L. 52.000, $ 37.00.
Col lavoro di F. Manzi abbiamo di fronte una dissertazione dottorale presentata al Pontificio Istituto Biblico di Roma il 18 dicembre 1966. Il suo relatore,
Prof. A. Vanhoye, nella prefazione scrive che si tratta di un ottimo studio che
risponde ad unesigenza sentita da molti anni. Con la scoperta dei manoscritti
di Qumran si present subito lidea di una dipendenza diretta della lettera agli
Ebrei da questo ambiente esseno. Nella grotta XI furono scoperti dei frammenti
che presentano un personaggio chiamato Malch edek, che pu essere messo in rapporto con Eb 7, che tutti riconoscono di tipo midrashico. Opinioni e
interpretazioni avevano bisogno di una verifica seria. Ora Manzi si sobbarcato
alla fatica di fare unanalisi di estrema precisione.
Nel cap. I si pone di fronte alle possibili interpretazioni coeve di Gn
14,18-20 e del Salmo 110 (109),4. LA. conclude che la figura biblica di
Melchisedek si prestava facilmente come supporto a unideologia regale o sacerdotale. La lettera agli Ebrei prende loracolo del salmo per elaborare una
cristologia sacerdotale e ben quattro scritti di Qumran traggono degli spunti

MANZI F.

MELCHISEDEK E LANGELOLOGIA

573

dal racconto genesiaco per coniare una propria concezione della figura di questo personaggio.
Il cap. II analizza questi scritti qumranici: 4QAmranb 2 1-6; 3 1-2
(4Q544), chiamato Visioni di Amran; 4Q401 11 1-3 o Cantici dellOlocausto del Sabato; 11QMelch (11Q13), detto Documento di Malch edek;
1QapGen XII 13-17, chiamato Apocrifo della Genesi. LA. avverte di non
uniformare la figura melchisedekiana che si pu ricavare da questi scritti. Tra
laltro essi sono di genere letterario differente: lApocrifo della Genesi a met
fra il midrash e il targum e non fa che ripetere i dati della Scrittura circa un
personaggio umano; i Cantici sono di carattere innico liturgico e raffigurano il
nostro personaggio come sacerdote; le Visioni di Amran sono un testamento e lo presentano come essere celeste in contrasto con Melch rea, spirito
del male; infine il Documento di Malch edek un pesher tematico escatologico. Da questultimo Manzi ricava che il nome teoforico di Melchisedek
vien preso come titolo. Quindi lo traduce con Re di Giustizia, che corrisponderebbe al tetragramma sacro.
Il cap. III studia il ritratto sacerdotale del Melchisedek nella lettera agli
Ebrei. Nel IV confronta i metodi interpretativi in Ebrei e a Qumran. Nel V
confronta i vari ritratti di Melchisedek. Conclusione: anche se c un contatto
indiretto a livello ideologico e terminologico legato soprattutto allapocalittica,
la lettera agli Ebrei non dipende affatto da Qumran. Di questa posizione chiara
e provata non possiamo che essere grati al lavoro di Manzi.
LA. dedica una lunga trattazione al processo che avviene nel giudaismo
postesilico per salvare il concetto della trascendenza di Dio. Per esprimere la
mediazione salvifica si ricorse a figure trascendenti costituite da personaggi
biblici, da ipostasi divine o dalla tradizionale figura di un angelo di Dio. Siccome la prospettiva del nostro documento escatologica, non sembra pi necessario salvaguardare la trascendenza divina, ricorrendo allespediente
teologico di un mediatore salvifico di natura angelica. Attribuendo a JHWH il
titolo di Re di Giustizia, lo si descrive come colui che porta la salvezza agli
uomini. A questo scopo, il suo intervento giudiziario si specifica in termini di
perdono per coloro che sono schierati dalla sua parte e di vendetta per coloro
che si sono ribellati contro il suo patto e contro i comandamenti divini
(p. 236).
Lapocalittica giudaica non trova difficolt ad attribuire il giudizio finale a
Dio stesso: come nella protologia creatore, cos nellescatologia giudice.
Cos lo presentano lApocalisse delle Dieci Settimane e lAssunzione di
Mos. Seguendo la tesi di Manzi, dovremmo pensare che lautore di
11QMelch ricorra ad un nome teoforico per indicare Dio, dando adito al fraintendimento di scambiare Dio con Melchisedek, personaggio della Genesi.
Verso la fine il testo, purtroppo lacunoso su questo punto (linee 24-25),
reso con il tuo Dio [Melchisedek (?)]. Non mi sembra che lespressione ci permetta di prendere questa figura genesiaca come lo stesso JHWH. Un

574

RECENSIONI

passo della Scrittura ce ne pu dare la spiegazione. Il Signore dice a Mos:


ti ho posto Dio (h[orp'l] yhila yTit'n) per il faraone (Es 7,1). La traduzione liturgica ufficiale italiana ne rende il senso: Io ti ho posto a fare le veci
di Dio per il Faraone. Altrettanto pu aver inteso lautore qumranico del I
sec. a.C. Quindi prendiamo la figura di Melchisedek come figura celeste, angelica, che agisce come plenipotenziario di Dio nellepoca escatologica. Nello stato attuale linizio del frammento, citando il passo di Lv 25,13, parla di
remissione dei debiti nellanno giubilare e lapplica per gli ultimi tempi ai
prigionieri, eredit di Melchisedek (linee 3-4). Per questi la liberazione avverr affrancandoli [dal peso di] tutte le loro iniquit. Nei termini propri del
giorno dellespiazione continua: si dovr espiare (rpkl) per tutti i figli di
Dio. Manzi tratta di questo verbo a p. 249, affermando che ha una duplice
accezione di espiare e di perdonare. Anche se nella Scrittura ci sono alcune ricorrenze in cui il verbo ha il senso di perdonare e il soggetto agente
la divinit (ad es. Dt 21,8a; Ger 18,23; Sal 65,4; 78,38; 79,9; 2Cr 30,18 cf.
B. Lang, rP,Ki kipper, TWAT IV, 315) i riti del giorno dellespiazione hanno
sempre il sacerdote come soggetto agente. Anche se nel frammento non ricorre il titolo, di certo questo lufficio di Melchisedek. Lui esercita le funzioni
di Dio sia per affrancare dal peso di tutte le loro iniquit quelli della sua
parte, sia per fare vendetta di Belial e dei suoi spiriti. In questopera saranno a lui di aiuto tutti gli angeli di [giustizia] (linea 14). Ora uno dei titoli pi antichi di JHWH di essere Signore delle schiere, mentre un
angelo come Raffaele pu dire di un altro angelo, Michele, di averlo avuto
come aiuto nella battaglia (cf. Dn 10,21). Quindi le numerose citazioni
bibliche contenute nel frammento, che mostra di essere del genere letterario
del pesher tematico, servono per elucidare le mansioni di questo spirito celeste a favore dei buoni nellultimo e conclusivo giubileo.
Siamo daccordo con Manzi che lescatologia del documento qumranico
ancora futura, mentre nella lettera agli Ebrei gi compiuta per Cristo e
tende ad una futura realizzazione solo per i cristiani. Dissentiamo da lui per
quanto riguarda la figura di Melchisedek tratteggiata nel documento
qumranico. Per salvare la trascendenza di Dio, il giudaismo ricorse a mediatori celesti come Enoc, larcangelo Michele, il Figlio delluomo, il Messia e
anche Melchisedek. Lapocalittica giudaica non poteva immaginare il rinnovamento finale, se non partendo dal livello celeste. Da questi antecedenti si
comprende come Ges negli ultimi tempi, fatta la purificazione dei peccati (Eb 1,3), cio dopo aver espiato i peccati del popolo (2,17), in cielo
il sommo sacerdote eterno.
Anche se dissentiamo su questo punto, ci auguriamo che lopera recensita
favorisca il dibattito su questi argomenti e richiami lattenzione degli esegeti
su temi tanto interessanti.
Giovanni Bissoli, ofm

BEALE G.K.

THE BOOK OF REVELATION

575

Beale Gregory K., The Book of Revelation. A Commentary on the Greek Text
(The New International Greek Text Commentary), William B. Eerdmans
Publishing Company, Grand Rapids, MI - Cambridge, U.K. 1999, pp. LXIV1245, $ 75.00.
Limponente commento di G.K. Beale allApocalisse di Giovanni si compone
di 1245 pagine, di cui 1157 di testo effettivo e le rimanenti divise tra un indice di Autori moderni e un indice esaustivo biblico e di altri scritti antichi. A
ci si devono aggiungere quattro pagine di Preface, in cui il Commentatore
(= C) spiega lorigine e la durata del tempo impiegato per comporlo (dal 1987
al 1995: sette anni per la prima stesura e un ottavo anno per laggiornamento
bibliografico delle pubblicazioni uscite nel periodo della stesura). Ci significa che il confronto scientifico effettivo e serrato riguarda soprattutto le opere
uscite prima del 1987, inizio della stesura. Seguono le pagine dedicate alle
abbreviazioni e quelle pi cospicue per la bibliografia (36 pagine di AA. effettivamente adoperati nella discussione critica). La mole dellopera sarebbe
stata quasi doppia se leditore non avesse adoperato un duplice livello di stampa, usando un carattere minore per gli ulteriori sviluppi esegetici e per i molteplici saggi di chiarificazione, su concetti e problemi, che completano
lesposizione.
Delle pagine effettive del testo, quelle numerate da 1 a 176 sono dedicate
a una Introduction: una vera monografia sui problemi introduttivi riguardanti il libro esaminato. Sulla data il C. si attiene a quella tarda, intorno al 95 d.C.,
sotto limperatore Domiziano, secondo la tradizione tramandata da Ireneo. La
situazione delle Chiese a cui il libro inviato, giustamente caratterizzata in
due modi: a) pericolo di compromesso con il culto idolatrico per ragioni sociali ed economiche (Ap 2,14-15.20), b) da ostilit dei Giudei (Ap 2,9). Di
conseguenza lo scopo del libro di incoraggiare i credenti a non compromettersi, e di dissuadere con severe ammonizioni coloro che propendono per la
compromissione (p. 33). Lopera quindi non rivolta principalmente a pagani,
ma alle Chiese, affinch rettifichino il loro modo di agire e di vivere.
Sul problema dellautore, il C. si attiene allipotesi pi ragionevole: chi
scrive si chiama Giovanni e altro di lui non dato sapere se non ci che lui
stesso dice di s e della sua condizione nella presentazione. Si ritiene un profeta (Ap 22,9) e si trova sullisola di Patmos, forse relegato, per la testimonianza resa a Ges (Ap 1,9).
Per il genere non chiaro. Ritiene lopera una combinazione del genere
epistolare (Ap 1,4 e 22,21) con il genere apocalittico-profetico (Ap 1,1; Ap 1,3
e Ap 22,6-7.10) (p. 38). Ci non corretto. LA. del testo presenta la sua opera come rivelazione (apokalypsis: Ap 1,1) e dice espressamente che le sue
parole sono di profezia (logous ts prophteias: Ap 1,3; 22,7.10). Quindi tutta
la visione avuta nella rivelazione una profezia scritta e inviata per lettera (Ap
1,11). I generi infatti non sono mescolati e le sette Chiese, a cui i discorsi

576

RECENSIONI

profetici sono inviati, non sono pi interpellate direttamente nelle visioni seguenti, anche se non mancano inviti diretti al lettore, affinch comprenda il
mistero delle parole (cf. Ap 13,9.18 e 17,9).
Il punto di vista interpretativo (Major Interpretative Approaches), il C.
lo definisce eclettico (pp. 48-49), perch unifica il principio ermeneutico idealista, che vede nella visione una descrizione della lotta eterna tra bene e male
senza riferimento storico, e il principio ermeneutico storicista, che vede in
essa precisi riferimenti a fatti e personaggi storici. Il C. concede che alcuni di
questi potrebbero essere reali, ma convinto che le visioni si possano riferire
a diversi eventi storici che accadono nel tempo intermedio, tra i due avventi di
Cristo (p. 65).
Ma questa intenzione anche dellA. del testo? O solo una scelta
ermeneutica del suo interprete? In realt, costui considera come storici anche
gli eventi finali del ritorno di Cristo, del giudizio e della instaurazione del
Regno di Dio nella nuova creazione (p. 48), ci che nessuno sarebbe disposto
a concedere, perch questi sono solo simboli di realt della fede. Ma il C. non
sembra fare questa distinzione, bench riconosca la natura simbolica dellApocalisse (pp. 50-69) e accetti come corretta la metodologia che rifiuta per
principio ogni interpretazione storicizzante (pp. 65-69). Per questo non esita a
datare il millennio, di cui in Ap 20,1-6 durante il tempo intermedio, quello
della Chiesa (pp. 972-974.984-1007), bench lA. del testo dica che tale evento coincide con la prima resurrezione (haut h anastasis h prt: Ap
20,5b). Dunque oltre la storia e non pi nel tempo della Chiesa!
Tuttavia egli ha ragione quando afferma che i simboli della rivelazione
indicano una realt che gi stata inaugurata con la morte di Cristo e la sua
resurrezione. Quindi la rendono realmente presente per esortare, correggere e
invitare a perseverare (p. 69).
Alluso dellAT in Apocalisse il C. dedica molta cura. Anzi, questo riferimento da lui ritenuto una chiave interpretativa fondamentale del libro (XIX).
Bench non ci siano citazioni esplicite, egli convinto che Giovanni tragga il
suo materiale da fonti semitiche e da fonti greche modificando spesso le une e
le altre (p. 78) e facendo di esse un uso molteplice (narrativo, tematico, analogico, universalistico, o inverso), senza escludere quello pi comune del compimento, che per il C. solo possibile (p. 93), ma che per lA. del testo
lunico reale: Nei giorni del suono del settimo angelo, quando suoner, si
compir anche il mistero di Dio (kai etelesth to mystrion tou Theou), come
aveva annunciato ai suoi servi, i profeti (Ap 10,7).
Ma il C. ha una tesi speciale al riguardo. LA. del testo tende ad imitare
deliberatamente lo stile dellAT, producendo senza dubbio molti solecismi, o
irregolarit grammaticali, ma creando nel lettore della sua visione quel sentimento di rispetto e venerabilit dovuta ai testi sacri imitati, come se anche la
sua opera fosse arcana e da venerare come quelli (p. 96). Ci non si pu dimostrare. Ma leffetto spirituale rilevato dal C. indubitabile!

ADINOLFI M.

ALLE LIMPIDE CORRENTI DELLA BIBBIA

577

Alla struttura dedicata una parte preponderante, che comprende non solo
la trattazione esplicita, ma anche il commento ad Ap 1,19 che, come tutti sanno, il verso fondamentale a cui si richiamano coloro che dividono il testo in
due parti maggiori: I. Ap 1,19-3,22, le cose che sono (ha eisin); II. Ap 4,122,6, le cose che accadranno dopo queste (ha mellei genesthai meta tauta)
(cf. U. Vanni, F. Hahn, J. Lambrecht). Il C. invece propone una divisione in
sette parti, che potrebbero diventare otto tenendo conto di quelle che lui chiama interlocking sections (Ap 8,2-4; 11,9; 15,2-4; 17,1-3; 19,9-10; 21,9-10;
22,6). Il fatto stesso che siano possibili due diverse ipotesi di composizione,
dimostra la fragilit del criterio letterario di divisione indicato. In realt le
sezioni di congiungimento non lo sono, perch sono tutte subordinate a un
diverso inizio narrativo (Ap 8,1-6; 11,15-19; 16,17-21; 19,1-8; 21,1-8).
La teologia, in questa abbondanza letteraria, appare come la povera vedova (pp. 171-176). Ma tale mancanza supplita dal commento effettivo, in
cui evidente che il C. stato mosso dal desiderio genuino di chiarire tutto,
anche se molto resta di fatto oscuro. LApocalisse ancora un libro sigillato e
misterioso, anche dopo il suo notevole e pregevole sforzo scientifico.
Nello Casalini, ofm

Adinolfi Marco, Alle limpide correnti della Bibbia (Odorifera verba Domini
1), Centro Propaganda e Stampa di Terra Santa Dragonetti Edizioni, Milano
- Montella 2000, 320 pp., L. 35.000.
La parola ispirata di Dio, si sa, chiara e trasparente, trasmette senza inquinamenti la volont paterna di Dio. Ispirandosi a una frase di SantAmbrogio,
lAutore si propone di offrire al lettore qualche sorso delle limpide correnti
della Bibbia. Fa piacere constatare che il bicchiere che egli porge riflette la
limpidezza delle acque bibliche. Fuori metafora, con il presente volume padre
Adinolfi si sforza di presentare con lucidit e perspicacia i trenta temi che
tratta.
Fanno da introduzione due saggi. Il primo su Dio che si autorivela e ispira
la Bibbia e sugli autori letterari dei libri sacri. Il secondo sulla parola di Dio in
Ebrei 4,12-13.
Seguono tre capitoli sulle origini delluniverso in Genesi 1,1-2,4, su Sara
e Agar e sul simbolismo sponsale nei profeti Osea e Geremia.
Le centottanta pagine che seguono puntano lobiettivo sul Nuovo Testamento. Dopo uno sguardo sulla storia della salvezza nei vangeli dellinfanzia
di Ges e sul tema lucano dellamore, si esaminano le parabole e i miracoli
nei quattro vangeli, la comunit primitiva e le apparizioni di Ges risorto.
Sette capitoli son poi dedicati a Paolo e alle sue lettere, due capitoli alla 1
Pietro e tre alla lettera agli Ebrei. Gli ultimi tre studi hanno per oggetto la

578

RECENSIONI

missione profetica del popolo di Dio, la dimensione biblica del Catechismo


preparato dalla CEI per gli adulti, i personaggi neotestamentari nella Divina
Commedia.
Chiude il volume una pagina di storia dellesegesi dei vangeli, il Napoleone non mai esistito che nel 1835 S.-B. Prs scrisse per mettere alla berlina i
semplicistici libelli anticristiani di C.-F. Dupuis.
Le 33 pagine di indici, curati da padre G.B. Bruzzone, provano la diligenza, laccuratezza e la cultura di padre Adinolfi.
Lo stile di padre Adinolfi limpido, cio essenziale, nitido e perspicuo.
Chi comincia a leggere un suo scritto, preso non solo dal contenuto ma anche dalla forma avvincente della sua prosa e difficilmente smette prima di aver
finito. Ci vale anche per questi saggi esegetici.
Significativamente la collana, di cui il volume costituisce il primo numero, ha per titolo Odorifera verba Domini = Profumate parole del Signore. La
frase di San Francesco il quale diceva di s: Poich sono servo di tutti, sono
tenuto a servire a tutti e ad amministrare le fragranti parole del mio Signore.
Padre Adinolfi, francescano che ha speso una vita a studiare e insegnare la
Parola di Dio, pu dire con verit di averle fatte sue. Generazioni di giovani,
che hanno seguito i suoi corsi universitari, uomini e donne che hanno frequentato le settimane bibliche da lui animate, gliene sono profondamente grati.
bello rilevare che il Centro Propaganda e Stampa di Terra Santa a Milano contribuisce cos a diffondere non solo il profumo della Terra di Ges e
Maria, ma anche la conoscenza e lamore per la parola di Dio che il grande
documento del Concilio Vaticano II sulla Divina Rivelazione ha definito sorgente pura e perenne della vita spirituale.
G. Claudio Bottini, ofm

Clarke Andrew D., Serve the Community of the Church. Christians as Leaders
and Ministers (First-Century Christians in the Graeco-Roman World), William
B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan - Cambridge, U.K.
2000, IX-305 pp., $ 25.00, 15.99.
Lopera di Clarke costituisce il secondo volume della serie First-Century
Christians in the Graeco-Roman World, consacrata alla cristianit del I secolo nel contesto del mondo greco-romano. Si tratta di un periodo estremamente
importante nella formazione della cristianit, periodo in cui essa prese contatto con il mondo greco-romano, perdendo i tratti di una setta giudaica.
LA. investiga sulla natura dellorganizzazione e sui modelli dellautorit
in seno alle prime comunit cristiane. La trattazione si divide in due parti:
Leadership in the Graeco-Roman Society e Leadership in the Christian
Community. Nella prima parte lA. si rif ai modelli profani della leadership,

CLARKE A.D.

SERVE THE COMMUNITY OF THE CHURCH

579

descrivendo i principi e le pratiche dellimpianto organizzativo delle comunit


politiche, sociali e religiose nellambito dellimpero romano: citt, colonie,
associazioni sociali e religiose, famiglie e comunit sinagogali. Le conclusioni
confermano che i cristiani risentivano dellinflusso della forte espansione civilizzatrice greco-romana, senza trascurare gli elementi istituzionali giudaici.
Iniziando la seconda parte, lA. discute la presenza dei modelli istituzionali indicati precedentemente nella formazione della struttura organizzativa
delle prime comunit cristiane. Il Clarke specifica le considerazioni paoline,
analizzando come lApostolo nella sua corrispondenza alle numerose comunit offre importanti misure per lesercizio dellautorit in ogni chiesa e le ragioni per la loro applicazione. LA. conferma la convinzione degli studiosi che
il NT riflette il processo di istituzionalizzazione della comunit, quando la
Chiesa carismatica (tempo di composizione della 1Cor) gradualmente adattava
una struttura gerarchica (rappresentata al tempo di composizione delle lettere
pastorali). Lambiente istituzionale venne consolidato, come attesta la primitiva letteratura cristiana, e un gruppo religioso inizialmente esiguo divenne comunit universale. Clarke passa quindi allanalisi dei modelli di autorit
adottati dalle comunit cristiane. LA. pone la questione se la cristianit avesse cambiato o incorporato i modelli profani dellautorit. La risposta costituita dalliter investigativo sulla personalit dellapostolo Paolo e le sue
comunit. Pi distintamente, il Clarke conferma il dinamismo delle istituzioni
ecclesiastiche lungo tutto il periodo apostolico. Per assolvere un qualsiasi compito di responsabilit nella Chiesa, non mai bastata solo abilit umana o alto
rango sociale, ma stata necessaria la docilit personale allo Spirito Santo.
LA. mostra che le lettere paoline riflettono queste particolarit accennando
agli uffici e ai ministeri nelle prime comunit cristiane. Del resto, secondo Fil
1,1, ciascuna comunit possedeva numerosi sovrintendenti o collaboratori
nellopera apostolica. Per Clarke il modo di distinzione tra le categorie di ufficio abbastanza chiaro, soprattutto quando viene analizzata la questione riguardante la leadership di stampo secolare alla luce di 1-2Cor (pp. 174-189),
Rm (pp. 189-191), Fil (pp. 192-197), 1-2Tes (pp. 197-201), Gal (pp. 201-202)
e Fm (pp. 202-207).
Lesercizio dellautorit nella Chiesa primitiva spesso era in netto contrasto con i suoi modelli greco-romani. Le fonti letterarie e archeologiche
attestano che nel I secolo non esisteva una netta distinzione tra lautorit carismatica e gerarchica, ma una connessione tra i due aspetti. LA. fa intendere
che questo tratto traspare non solo nellinsegnamento di Paolo, ma anche nel
modo di esercitare la sua autorit e il ministero (pp. 209-247), con applicazione del titolo di padre e di apostolo (pp. 218-223; 228-232). LApostolo,
come testimoniano At 20,17-1 e Tt 2,1, ha davanti lintegrit della comunit e
della dottrina, non uffici concreti, il che spiega il motivo per cui la responsabilit venga assegnata agli anziani che hanno qualit personali provate e riconosciute.

580

RECENSIONI

Il compito dellA., soprattutto nella seconda parte della monografia, era


abbastanza complesso perch il NT non sembra interessarsi tanto dellorganizzazione comunitaria; il primo posto lo hanno apostoli, ministri e testimoni.
Soprattutto questultima qualifica non da confondere con i poteri istituzionali. Anche lapostolato non semplicemente una leadership, perch quando il
Signore confer ai suoi discepoli il potere di battezzare, di perdonare o di ritenere i peccati (cf. Mt 18,18; Gv 20,23), non intendeva semplicemente istituire
lufficio di leaders con la facolt di ammettere nuovi membri e escludere coloro che si comportavano in maniera scorretta (cf. 2Cor 13,1). Non da trascurare il ruolo cruciale della predicazione del kerygma nella formazione e
organizzazione delle comunit, chiamate ecclesia perch riunivano i convocati
dalla parola apostolica nelle quali il ruolo del vescovo-leader era particolarmente chiaro.
Uscendo fuori dallambito di ricerca di Clarke, ci si pu chiedere in che
misura le istituzioni antiche sono ancora presenti nellordinamento ecclesiastico. Lattenzione si rivolge subito alle comunit orientali, pi resistenti ai cambiamenti nel corso del tempo. Proprio esse preservarono gli elementi assai
antichi originatisi ai primordi della Chiesa, nonostante che le spiegazioni che
attualmente se ne danno, non si richiamino a questa arcaicit.
La discussione tuttaltro che finita. Perci c da augurarsi che anche gli
altri volumi della serie First-Century Christians in the Graeco-Roman World
contribuiscano in ugual misura a delineare i tratti di quei processi che, favoriti
dalle circostanze storiche, diedero alla Chiesa di origine giudaica una fisionomia istituzionale rinnovata.
Va sottolineato che lopera corredata da unesauriente bibliografia e dagli indici che riportano: antiche fonti letterarie, passi biblici citati, temi principali e autori moderni citati.
Mieczysaw Celestyn Paczkowski, ofm

Harrington Daniel J., Invitation to the Apocrypha, William B. Eerdmans


Publishing Company, Grand Rapids, Michigan - Cambridge, U.K. 1999, viii222 pp., $ 60.00, 30.00.
Harrington indubbiamente unisce le doti dellesegeta critico con gli impegni
del docente della Sacra Scrittura e le esigenze della divulgazione. La sua pubblicazione ideata come introduzione al primo approccio con i libri deuterocanonici e apocrifi dellAT, ma anche come una comoda guida su alcuni aspetti
della letteratura anticotestamentaria. LA. fa capire che questa sua ultima fatica frutto di una lunga esperienza di docenza. Si tratta di testi studiati con
distacco scientifico, ma anche riletti e meditati.
Nonostante un titolo fuorviante per un cattolico medio, tra i pregi dellopera
si ha in primo luogo una sintetica trattazione della questione canonica degli

MISIARCZYK L.

IL MIDRASH NEL DIALOGO CON TRIFONE

581

Apocrypha dellAT (pp. 3-6), secondo la nomenclatura geronimiana, accolta


in seguito dalle comunit protestanti. La trattazione di ciascun libro basata su
tre livelli: letterario, storico e teologico. In ogni capitoletto conclusivo, in cui
sviluppa delle questioni chiamate teologiche, lA. focalizza il mistero della
sofferenza che fa sorgere le domande su Dio e la condizione umana, sul significato della vita individuale e della storia. Harrington passa in rassegna Tb, Gdt,
aggiunte a Est, Sap, Sir, Bar, lettera di Geremia, aggiunte a Dn, 1-2Mac, Esd Ne (1Esd). Segue la trattazione del poema apocrifo intitolato Orazione di
Manasse (un salmo penitenziale da mettere in relazione con 2Cr 33,11-13) e
del Sl 151 aggiunto in numerosi codici dei LXX e in molte versioni orientali. I
capitoli finali sono occupati dalle trattazioni su 2 e 4 Mac e 2Esd. LA. si ingegna a chiarire la prospettiva secondo cui vengono studiati i libri biblici, trattandoli in capitoli separati e applicando a ciascuno un titolo specifico. Non mancano
i riferimenti bibliografici essenziali in lingua inglese e lindice dei nomi.
Harrington, in maniera ponderata, introduce le ultime e migliori tesi degli
esegeti odierni e suscita la voglia di ulteriori approfondimenti da parte degli
studenti. LA. si augura che il suo libro contribuisca a rinfrescare gli studi
sullAT. vero daltronde che alla teologia della sofferenza gli studi biblici
non hanno riservato molta attenzione. Lautore invece scopre il filo conduttore
dellesperienza e della realt della sofferenza umana anche fuori dai contesti
usuali. In un punto si ha limpressione che Harrington semplifichi le cose. Parla infatti dellinflusso di 4Mac sulla letteratura cristiana del martirio senza fare
alcun accenno allintenzione dellautore dellapocrifo di staccare lattenzione
dei suoi lettori dalla figura di Cristo sofferente e dai suoi imitatori, proponendo le figure dei martiri ebraici.
Harrington ha preannunciato una trattazione pi sistematica della teologia della sofferenza. Tuttavia anche in questopera di carattere generale si
dovrebbero citare per lutilit degli studenti alcune pubblicazioni essenziali,
come quelle di J.A. Sanders, Suffering as Divine Discipline in Old Testament
and Post-Biblical Judaism, Rochester 1955 e di J.M. McDermott, La sofferenza umana nella Bibbia. Saggio di teologia biblica, Roma 1991.
Mieczysaw Celestyn Paczkowski, ofm

Misiarczyk Leszek, Il midrash nel Dialogo con Trifone di Giustino martire,


Pocki Instytut Wydawniczy, Pock 1999, 287 pp.
Si tratta di una tesi dottorale in Theologia et Scientiis Patristicis difesa al
Pontificio Istituto Augustinianum. La ricerca condotta sotto la guida di P.
Grech e J. Sievers presentata in modo sistematico e saldamente fondata sulle
fonti. Lo studio volge lattenzione a Giustino che lunico, tra i primi
apologeti cristiani, ad offrire elementi utili per esplorare linterpretazione

582

RECENSIONI

biblica in quellepoca. Ma non solo; in base ai molti studi il Dialogo di


Giustino da considerare, almeno in parte, una buona fonte per la ricostruzione dellesegesi giudaica antica.
Nel praecursus lA. raccoglie il materiale midrashico del Dialogo. Il
Misiarczyk fa tesoro di alcuni studi in cui il materiale stato parzialmente individuato e raccolto. Mancava tuttavia una raccolta complessiva e organica che
facilitasse laccesso al materiale dispirazione midrashica nel Dialogo e le sue
corrispondenze negli scritti rabbinici. In modo sistematico lA. associa ai brani giustinei i testi della tradizione giudaica che riflettono le idee o le tradizioni
simili. Lesposizione si snoda poi in due parti. La prima raccoglie lesegesi
giustinea dei passi veterotestamentari interpretati in chiave cristologica. Pi
precisamente si tratta delle teofanie del Verbo ai patriarchi e a Mos (cap. I),
alcuni Salmi (110,1; 45,7-8; 72,5.17; cap. II), lesegesi di Pr 8,22 (cap. III) e
del racconto della creazione delluomo secondo Gn 1,26 e 3,22 (cap. IV). La
seconda parte dello studio tratta la tematica della venuta del Messia-Salvatore.
LA. espone linterpretazione delle prove profetiche tratte dallAT che Giustino
tratta non soltanto analiticamente, ma anche sistematicamente. I singoli capitoli di questa parte vertono sullorigine non umana di Cristo (cap. V), la sua
nascita verginale (cap. VI), lidentit nascosta del Messia annunziato da Elia
(cap. VII) e il valore messianico di Gn 49,10 (lo scettro di Giuda) e Nm 24,17
(la stella di Giacobbe; cap. VIII). Si scorge certamente che largomento
profetico privilegiato nelle discussioni condotte da Giustino con un esponente del popolo ebraico. Tuttavia largomentazione dellapologeta continua innegabilmente lesegesi degli scrittori ispirati del NT. Avviene che nellinterpretazione dei testi profetici egli superi la dimostrazione catechetica, sulla
quale si allineavano i dossier dei Testimonia, e si orienti verso un commento
cristiano della Scrittura. Questi fatti sono innegabili nonostante che la loro interpretazione venisse fatta con lorecchio molto attento a ci che sostenevano
gli avversari. Daltro canto non si pu aspettare che solo i cristiani fossero
debitori delle scuole esegetiche giudaiche. Sicuramente cera un flusso continuo di idee fra le due parti, tanto pi che il raggiungimento del significato pi
profondo era riservato al campo del midrash. Gli esegeti ebrei e cristiani dovevano estendere molto le reti di ricerca nellintento di trovare un materiale
esegetico utile. C perci da chiedersi quanti midrashim sono stati influenzati
dalla polemica con i Minim. Il salto qualitativo dovuto alla considerazione
del fatto dellIncarnazione che fornisce la chiave per intendere il vero significato dellAT, che i giudei invece hanno misconosciuto perch hanno interpretato il testo sacro solo alla lettera, senza riconoscere che le profezie si sono
ormai realizzate in Cristo.
Nella conclusione lA. sintetizza i risultati raggiunti, raggruppandoli in due
blocchi che dimostrano la presenza nelle fonti del giudaismo delle tradizioni
richiamate da Trifone o definite giudaiche da Giustino e elementi di midrash
usati dallapologeta cristiano nelle sue interpretazioni dei testi veterotesta-

FERRER J. - NOGUERAS M.A.

MANUAL DE GRAMTICA SIRACA

583

mentari. Misiarczyk si muove su un terreno molto difficile, soprattutto per


lestrema difficolt di datare i testi rabbinici. Inoltre, bisogna essere sempre
molto prudenti quando si tratta di stabilire le fonti originarie di un determinato
orientamento esegetico e teologico. Per giunta, spicca la radicalit di Giustino
che non solo assimila il metodo midrashico o i suoi risultati, ma si appella ai
fatti storici per sancire la verit cristiana quale compimento delle profezie (distruzione dellantica Sion-Gerusalemme). La pubblicazione, pur essendo solo
lesordio scientifico dellA., invita a ulteriori ricerche e specificazioni in questi campi.
Sotto laspetto formale la pubblicazione lascia un po a desiderare. Era
auspicabile una edizione pi conforme alle esigenze dellarte grafica e tipografica. Il testo stato elaborato elettronicamente e non appare ben curato tipograficamente. Su ogni pagina fanno brutta impressione le forme non
tipografiche delle virgolette e degli apostrofi, gli spazi inadeguati tra le citazioni e il corpo del testo e la forma poco felice dei separatori delle note. Non
mancano errori di stampa e linguistici.
Mieczysaw Celestyn Paczkowski, ofm

Ferrer Joan - Nogueras Maria Antnia, Manual de Gramtica Siraca


(Estudios de Filologa Semitica 2), Universitat de Barcelona, rea dEstudis
Hebreus i Arameus, Barcelona 1999, 151 pp.
Ferrer Joan - Nogueras Maria Antnia, Breve Diccionario Siraco, SiracoCastellano-Cataln (Estudios de Filologa Semitica 1), Universitat de
Barcelona, rea dEstudis Hebreus i Arameus, Barcelona 1999, V-324 pp.
La grammatica, frutto della collaborazione di un docente e di una ricercatrice
dellUniversit di Barcellona, stata supportata dai proff. J. Ribera Florit e G.
del Olmo Lete, cattedratici della medesima universit e autori ben noti nella
cerchia dei semitisti.
Lopera si inserisce nella scia della grammatica ormai classica di L.
Palacios, del benemerito monastero di Montserrat, la quale rimasta una pietra miliare nello studio del siriaco, in particolare in ambiente cattolico. Come
questa un manuale che fornisce il materiale di studio in maniera sintetica e
chiara. Vi abbondano tavole grammaticali per ogni parte del discorso, in particolare per il verbo (ad es. il participio alle pp. 71-74).
Lopera inizia con alcune pagine introduttive contenenti una nota
bibliografica, una divisione schematica della lingua aramaica e una breve storia della lingua siriaca. Segue un dettagliato capitolo sulla fonetica al quale si
aggiunge la morfologia. Questultima parte illustrata da molte tavole, soprattutto per quanto riguarda il verbo. Nella parte sintattica (pp. 95-107) vengono
ripresi i temi pi importanti presentati nella morfologia: nome e aggettivo, pro-

584

RECENSIONI

nome, tempi/modi del verbo, complementi, proposizioni, e altro. Completano


lopera dieci tavole dei paradigmi (pp. 109-146).
Siamo certi che questa grammatica, data la sua chiarezza e semplicit, incontrer il favore degli studenti di lingua spagnola e non solo.
Il Dizionario vuol essere soprattutto uno strumento di lavoro pratico, simile ad altri dizionari ormai classici quali quelli di R. Kbert, W. Jennings e L.
Costaz. Ora anche lo studente di lingua spagnola (sia castigliano che catalano)
ha a disposizione un sussidio che gli permette un approccio confortevole alla
lingua siriaca.
Il dizionario costruito sul Nuovo Testamento siriaco (Peita) e su alcuni
brani classici che vengono di solito affrontati dai principianti. ordinato
alfabeticamente e non per radici. Fanno eccezione le voci verbali che vengono
elencate, come di consueto, secondo la radice o secondo la corrispondente forma del perfetto peal.
Chiarezza e semplicit sono le doti che permetteranno allopera di incontrare il favore del pubblico al quale destinata.
Massimo Pazzini, ofm

Talbert Richard J.A. (ed.), Barrington Atlas of the Greek and Roman World,
Princeton University Press, Princeton - Oxford 2000, XXVIII-204 pp., 102
maps + CD-ROM of the Map-by-Map Directory, $ 325.00.
Lopera monumentale, non solo per il formato dellatlante (102 mappe di
33.7x46.4 cm), ma per limpiego di tempo (1988-2000), ricerche e denaro ($
4.5 million) che ha richiesto a Talbert e ai suoi 10 vicars, 73 compilers e 95
reviewers. Il risultato magnifico e latlante si presenta chiaro, di ottimo livello cartografico, ricco e preciso nei suoi contenuti.
Nel suo insieme lopera contiene una Prefazione che riassume liter del
progetto, le difficolt che si sono presentate lungo il processo di realizzazione
e i dovuti ringraziamenti a tutti coloro che hanno contribuito a donarci un cos
meraviglioso strumento di lavoro; lIntroduzione, in cui si pone in risalto
lorigine dellopera (la raccomandazione dellAmerican Philological Association del 1980), gli obbiettivi per portare avanti la ricerca: avere un publisher
(Princeton University Press) e una buona ditta cartografica (Donneley
Cartographic Services); realizzare il progetto in un tempo ragionevole e con
un prezzo ragionevole; stabilire il formato: ampio e con un numero ridotto di
scale da utilizzare (1:1.000.000 per le regioni fuori del mondo classico;
1:500.000 per la parte centrale del mondo classico; 1:250.000 per Atene, Roma
e Bisanzio/Costantinopoli; 1:5.000.000 per delle vedute di insieme del Baltico,
dellArabia, dellEst-Africa, dellIndia e Sri Lanka; trattare la materia in
maniera comprensiva e comprensibile.

TALBERT R.J.A. (ED.)

BARRINGTON ATLAS

585

Lo scopo principale dellopera quello di offrire unampia e aggiornata


presentazione delle caratteristiche fisiche e culturali del mondo classico grecoromano dentro un quadro di tempo abbastanza vasto (550 a.C.-640 d.C) e
servendosi dei dati delle scienze storiche, epigrafiche e archeologiche. Seguono
unimportante Guida alla lettura dellatlante, completata da una Map Key che,
aprendola, rende un buon servizio lungo il lavoro di consultazione; i dati per
la produzione della MapQuest, concernenti tutti gli accorgimenti computeristici
usati nella produzione delle mappe e del Map-by-Map Directory; le 102 mappe
e il Gazetteer (= Dizionario dei nomi dei luoghi geografici).
Non mia intenzione fare una recensione dellopera, ma offrire solo
qualche rilievo su qualche punto discutibile. Daltra parte, unampia
recensione, sotto forma di intervista al Talbert, stata pubblicata in JRA 14
(2001) da S.E. Alcock - H.W. Dey - G. Parker e la si pu trovare anche in
internet.
Spesso nellIntroduzione e nella Guida si legge che certe scelte non sono
state fatte secondo un qualche criterio specifico, ma con flessibilit e in
maniera selettiva (cf. pp. XVIII, XXIV, XXV). Ora, anche se una certa
flessibilit pu essere ammessa, non mi sembra per che essa sia un buon
criterio, quando si tratta di indicare certi nomi di localit o applicare certe
indicazioni del Map Key. Cos, nella mappa 65, in cui si trova la Pisidia,
volendo localizzare la Colonia Caesarea Antiochea, non vi sono riuscito. Sono
ricorso al Gazetteer e con mia sorpresa ho scoperto che nella mappa 3
Antiochia/Caesarea lunica citt che viene riportata. Mi sembra strano,
quindi, che essa non venga riportata anche nella mappa 65.
Nella bellissima mappa 27 (17x24.5 ins) sulla Sicilia, cercando la localit
Adranon, mi sono trovato in imbarazzo vedendo riportato il paese di
Biancavilla, sottolineato in rosso. Ora, stando al Map Key, ci significa che
Biancavilla doveva essere una localit gi presente nel periodo tardo romano
tra il 30 a.C e il 300 d.C. vero che qualche autore (cf. per es. The World
Gazetteer) ritiene che in quel territorio vi potesse essere la citt di Inessa,
ricordata da Euripide, Tucidide e altri autori greci, ma la maggioranza degli
esperti la pongono verso le attuali citt di S. Maria di Licodia, Civita o Poira,
Nicolosi e persino Mascali. Ma, a prescindere dalla precisa identificazione del
luogo della citt di Inessa, bisogna riconoscere che lattuale Biancavilla non
ha nulla a che fare con Inessa, dato che essa non esistita prima del 1488 d.C.,
anno in cui fu fondata dal conte G. Tommaso Moncada nel territorio di Adrano
per dare alloggio ad una colonia di cristiani albanesi che fuggivano dai
massacri dei turchi in Albania. Pertanto, mi sembra che Biancavilla non possa
apparire in un atlante che riguarda il periodo classico greco-romano, dato che
essa non era una villa romana (cf. il segno posto vicino al nome della citt) del
periodo tra il 30 a.C. e il 300 d.C. Pertanto, sarebbe pi logico porre il nome
di Inessa con un punto interrogativo.
Alfio Marcello Buscemi, ofm

586

RECENSIONI

Rothenberg Beno (ed.), The Ancient Metallurgy of Copper. Researches in the


Arabah 1959-1984, vol. 2, Institute for Archaeo-Metallurgical Studies, Institute
of Archaeology, University College, London 1990, XXI-191 pp., ills.
Nelle miniere di Timna e dellArabah si trovano numerose risposte relative alla
nascita della scienza e dellarte del rame. La ricerca pluridecennale condotta
da Rothenberg nella Valle di Timna (1959-1990) ha conseguito al riguardo non
pochi risultati validi sia per la storia e larcheologia biblica, sia per la scienza
e la tecnica metallurgica pura.
La regione di Timna si trova nel wadi Meneiyeh, 30 km a nord di Eilat a
ovest della Valle dellArabah. una miniera a cielo aperto, dove i minerali del
rame sono stati trovati e sfruttati fin dagli albori della civilt delloriente antico. La prima occupazione della regione mineraria e le prime miniere con relative fornaci risalgono al periodo neolitico. La data proposta da Rothenberg (p.
XIV) per le prime cave e fornaci infatti il 4500 a.C., una data sorprendente
nel quadro delle culture della regione.
Linizio delle attivit estrattive viene attribuito ai rari abitanti locali, i
soli che riuscivano a vivere nelle regioni inospitali dellArabah e del Sinai.
Questi gruppi umani erano separati dalle regioni fertili del Canaan e dellEgitto e dalle culture che si stavano sviluppando contemporaneamente.
Questi proto-minatori avevano sviluppato una tecnica autonoma per estrarre
il rame e per farne la prima raffinazione. Lestrazione era fatta con oggetti
litici, di cui viene documentata la presenza appunto fin dalle fasi finali del
neolitico. Si ricava che a Timna venivano eseguite soltanto le prime due
fasi del processo di lavorazione del rame, cio lestrazione e la lavorazione
del metallo grezzo. Si otteneva la produzione di lingotti di rame grezzo,
portato altrove per la successiva lavorazione. A Timna manca la fase finale
della industria del rame, che la produzione degli oggetti finiti di metallo.
Questa veniva fatta evidentemente altrove, non nella regione pressoch inabitabile dellArabah.
Una fase particolarmente significativa dello sfruttamento minerario di
Timna si ebbe nel periodo del Nuovo Regno con le dinastie 19 e 20. Oltre al
Sinai, dove gli egiziani estraevano il turchese e altri minerali preziosi (vedi
Serabit el-Khadem), i faraoni controllavano tutta la regione a sud del Canaan
per scopi industriali. La presenza dei faraoni nellArabah e fin nel cuore del
Negev non aveva altri obbiettivi che le miniere di Timna e del wadi Amram
poco a sud di Timna.
Il volume in esame segue quello dedicato al santuario egiziano e poi
madianita di Timna pubblicato da B. Rothenberg, The Egyptian Mining Temple
at Timna. Researches in the Arabah 1959-1984, vol. 1, London 1988. Il volume che presentiamo frutto della cooperazione di vari esperti che affiancano
Rothenberg nello studio della scienza antica del rame. Si compone di una introduzione ad opera di H.G. Bachmann e di sei contributi specifici. Alcuni trat-

DONALD T.A. (ET ALII)

EXCAVATIONS AT THE CITY OF DAVID

587

tano argomenti per specialisti della metallurgia, altri suscitano interesse per la
storia culturale di Timna e dellArabah.
Cap. 1, a cura di B. Rothenberg, Copper smelting furnaces, tuyeres, slags,
ingot-moulds and ingots in the Arabah: the archaeological data, pp. 1-77. Le
conclusioni dello studio rivelano che lestrazione e la prima semplice lavorazione del rame nellArabah sono iniziate nel quinto millennio a.C. e sono continuate fino al Bronzo Antico I, 4500-2995 a.C. (terminologia usata dagli
autori: Sinai-Arabah-Copper Age-Early Phase). Seguono lintroduzione di materiali refrattari e il continuo sviluppo delle tecnologie per la fusione del metallo nel periodo del Tardo Bronzo e nel periodo romano. Cap. 2, a cura di J.F.
Merkel, Experimental reconstruction of bronze age copper smelting based on
archaeological evidence from Timna, pp. 78-122. Cap. 3, a cura di M.
Bamberger - P. Wincierz, Ancient smelting of oxide copper ore, pp. 123-157.
Cap. 4, a cura di M.S. Tite et alii, Technological characterisation of refractary
ceramics from Timna, pp. 158-175. Cap. 5, a cura di I. Roman, The copper
ingots, pp. 176-181.
Il Cap. 6, a cura di N.H. Gale et alii, The adventitious production of
iron in the smelting of copper, pp. 182-191, tratta una questione dibattuta e
molto interessante per larcheologia biblica. Il problema conoscere quando
e come luomo riuscito a produrre il ferro, cio il metallo duro e resistente
che ha sostituito il rame e il bronzo nella produzione di armi, di utensili e di
oggetti artistici. In archeologia biblica si usa far iniziare il XII secolo a.C.
con lintroduzione del ferro, chiamato appunto periodo del Ferro I per distinguerlo dallultima fase del Tardo Bronzo. Nello scavo del Site 2, Area F (nel
1964) e del tempio di Hator (nel 1969) erano stati trovati alcuni oggetti di
ferro, tra cui molti anelli, che si pensava fossero stati importati dallEgitto.
Ulteriori analisi hanno rivelato che gli oggetti di ferro trovati a Timna sono
stati ottenuti durante la lavorazione locale del rame e risalgono al Tardo Bronzo, cio al XIV e XIII secolo a.C. Per caso, quindi, lavorando il rame, i
metallurgisti dellArabah sono riusciti a produrre il ferro in un periodo anteriore a quello supposto normalmente.
Pietro Kaswalder, ofm

Donald T. Ariel (et alii), Excavations at the City of David 1978-1985 Directed
by Yigal Shiloh. Vol. V: Extramural Areas (Qedem 40), The Institute of
Archaeology, The Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem 2000, XII-169
pp., ills.
Il volume presenta il rapporto finale dello scavo di un breve tratto di Ophel,
situato verso la parte meridionale della collina. Interessa da vicino gli studiosi
della topografia di Gerusalemme, perch riguarda i canali di Siloam e la zona
della torre di Siloam. Il cap. 1 (D.T. Ariel - Y. Lender) descrive lArea B a

588

RECENSIONI

est delle tombe reali. Larea era stata scavata da R. Weill (cf. R. Weill, La cit
de David. Compte rendu des fouilles excutes, Jrusalem, sur le site de la
ville primitive. Campagne de 1913-1914, Paris 1920; Idem, La cit de David.
Compte rendu des fouilles excutes, Jrusalem, sur le site de la ville primitive. Campagne de 1923-1924, Paris 1947) e studiata da L.-H. Vincent (L.-H.
Vincent, Jrusalem sous terre, London 1911; Idem, La cit de David dapres
les fouilles de 1913-1914, RB 30 [1921] 410-433; 541-569; L.-H. Vincent A.M. Stve, Jrusalem de lAncient Testament. Recherches darchologie et
histoire, Paris 1954).
Il primo elemento emblematico di questa zona della citt antica la struttura circolare definita impropriamente la torre di Siloe (pp. 18-21). R. Weill
usava mettere in relazione questa torre con quella di Siloam menzionata in
Lc 13,4. Ma studi successivi e le nuove ricerche archeologiche portano a conclusioni differenti. La struttura circolare, rimasta per una altezza di 1.20 metri,
costituisce la base di un colombario posto fori della cinta muraria della citt
ellenistico-romana. Questa si trova molto pi in alto rispetto al fondovalle dove
situata la torre. Le colombe e le tortore erano allevate per fornire offerte al
tempio o per la produzione di concime per gli orti. Nel circondario di
Gerusalemme sono stati individuati 40 siti per lallevamento di colombe. Pure
allinterno della citt di Davide stato trovato un colombario di pianta rettangolare. Il colombario fu distrutto nella guerra del 70 d.C.
Il secondo elemento studiato negli scavi attuali (pp. 13-18) la rete di tunnel che porta lacqua dalla sorgente di Ghion alla Piscina di Siloam. Il canale
di Ezechia che a tuttoggi porta lacqua dal Ghion a Siloam e ai giardini reali, viene definito tunnel n.2; mentre il tunnel di Siloam diventa il tunnel n.1.
Questo tunnel esterno, scavato lungo la parete a livello della strada, era stato
visto nel 1881 e ripulito per un tratto di 74 metri da C. Schick (cf. C. Schick,
The Aqueducts at Siloam, PEFQS 19 [1886] 88-91; Idem, Second Aqueduct
to the Pool of Siloam, PEFQS 19 [1886] 197-200). Poi era stato riscavato da
R. Weill per circa 60 metri (cf. R. Weill 1920). Lesame archeologico di Y.
Shiloh ha interessato nuovamente il tunnel per trovare una risposta ad alcuni
interrogativi rimasti in sospeso. Lopera idraulica n.1 risulta essere stata fatta
prima dello scavo del tunnel di Ezechia, che risale allVIII secolo a.C. Ma non
sembra possibile attribuirla al periodo di Salomone, cio al X secolo a.C. Il
tunnel n.1 and in disuso dopo la creazione del tunnel n.2. Un argomento di
carattere archeologico che aiuta a consolidare lipotesi secondo la quale il tunnel di Siloam non fu pi usato dopo il 701 a.C. la presenza di un edificio
costruito proprio sopra la parte finale dello stesso (cf. il Building 130 della
pubblicazione).
Il cap. 2 (D.T. Ariel, Y. Hirschfeld e N. Savir) offre un saggio della
stratigrafia dellArea D1, che si trova immediatamente a ovest e in alto rispetto allArea B. Anche questa zona era stata scavata, almeno in parte, da R. Weill
(cf. le pubblicazioni del 1920 e 1947). La stratigrafia riguarda le fasi del Ferro

DONALD T.A. (ET ALII)

EXCAVATIONS AT THE CITY OF DAVID

589

I (strati 15 e 14); del Ferro II (strati 12, 9); del periodo ellenistico (strato 7);
del periodo erodiano (strato 6), e del periodo romano successivo alla distruzione del 70 d.C. (strato 5). Le aree presentano muri di contenimento, edifici
domestici e terrazzamenti extra-murali, che si trovano fuori della cinta muraria
posta in alto sulla cresta della collina. Unappendice al cap. 2 (pp. 73-74) presenta lo studio di una figurina marmorea molto mal conservata. Per di pi,
loggetto dopo essere stato fotografato e studiato sparito. La figurina presenta due leoni sdraiati.
Nel cap. 3 (A. de Groot e D.T. Ariel) viene studiata la ceramica delle Aree
B e D. presentata la ceramica a partire dallo strato 21 (Calcolitico) fino allo
strato 9 (Periodo persiano). Il Medio e il Tardo Bronzo sono assenti, mentre
interessante la presenza di ceramica del Ferro I anteriore al X secolo a.C. (strati
15 e 14). Lo strato 12, con la ceramica dellVIII secolo a.C., risulta essere il
pi ricco di materiale. Si trova diffuso in tutta larea, e in abbondanza. Nello
strato 9 stata trovata poca ceramica del VI secolo a.C. Nello strato 9 comparsa ceramica di epoca persiana, a indicare che la rioccupazione della citt di
Gerusalemme dopo lesilio in Babilonia raggiungeva le Aree B e D. La ceramica degli strati 8 e 7 (ellenistica) non studiata in dettaglio, ma viene solo
presentata nelle Figure 28 e 29.
Il cap. 4 (D.T. Ariel e A. de Groot) contiene una discussione impegnativa dei
resti trovati nelle due Aree di scavo B e D1. Alle conclusioni raggiunte dai primi
scavi diretti da Y. Shiloh nel 1982 gli autori possono aggiungere i risultati delle
nuove campagne di scavi intraprese a partire dal 1995. In particolare, le due aree
studiate nel rapporto configurano un quartiere domestico cresciuto fuori delle
mura cittadine a partire dal X secolo a.C. per raggiungere il massimo di espansione durante la fase finale del Ferro II (VIII secolo a.C., strato 12).
Nel capitolo finale troviamo una nuova e interessante discussione su origine e funzione del tunnel n.1 (tunnel di Siloam) dovuta alle scoperte sensazionali fatte nei pressi della sorgente del Ghion. Lo scopo del primo canale era
chiaramente di portare lacqua vicino alla vasca chiamata oggi Birket alHamrah, ma i dettagli a questo punto si perdono. Non sono chiare ad esempio
le funzioni delle numerose finestre aperte lungo il corso del tunnel, e non
sempre sicura la sua datazione. In base ai risultati del recente scavo di R.
Reich e E. Shukron nei pressi della Fontana della Vergine (Ghion) risulta che
la prima parte del tunnel n.1 fu scavata gi nel periodo del Medio Bronzo e
che quindi il secondo settore del tunnel fu aggiunto molto tempo dopo per sopperire alle necessit della Gerusalemme israelitica (cf. S. Rosenberg, The
Siloam Tunnel Revisited, Tel Aviv 25 [1998] 116-130; R. Reich - E. Shukron,
Light at the End of the Tunnel, BA 25 [1999] 22-72). Le conclusioni delle
ricerche di D.T. Ariel e A. de Groot devono essere confrontate con i risultati
ottenuti nello scavo dellaltra area, posta pi a nord, e non sempre le spiegazioni degli archeologi concordano.
Pietro Kaswalder, ofm

590

RECENSIONI

Donald T. Ariel (et alii), Excavations at the City of David 1978-1985 Directed
by Yigal Shiloh. Vol. VI: Inscriptions (Qedem 40), The Institute of
Archaeology, The Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem 2000, X-194
pp., ills.
In questo volume dedicato alla memoria di Yair Shoham, epigrafista autorevole della spedizione diretta a suo tempo da Y. Shiloh, sono presentate le iscrizioni rinvenute su ostraca, sigilli, bullae, stampi di giare. il sesto volume della
serie che pubblica i rapporti di scavo effettuati nella Citt di Davide (Ophel) e
diretti da Y. Shiloh ed rivolto anzitutto agli specialisti di epigrafia.
Nel cap. 1, J. Naveh legge le 31 iscrizioni ebraiche e aramaiche purtroppo in
cattivo stato di conservazione. Praticamente sono spezzoni di iscrizioni quasi
incomprensibili e soggetti a varie ricostruzioni testuali e ipotesi di lettura. I testi
sono gi stati presentati in varie pubblicazioni; qui ricevono il loro contesto
archeologico ed epigrafico. Il primo testo (IN 1.) uniscrizione monumentale
incisa su una lastra di pietra rosa. La datazione proposta il VII secolo a.C.
Delle 4 linee originali sono parzialmente leggibili solo sette parole e il testo
finale alquanto controverso. La seconda iscrizione (IN 2.) fatta con inchiostro su una giara e si compone di 3 linee: il testo presenta tre nomi di persona
accompagnati dalla descrizione di una attivit: 1) s ben Ahiel, il laceratore?
di stracci; 2) yahu, ben isdiahu, il raccoglitore di argento; 3) yahu, ben
Yedayahu, il raccoglitore [di oro?] La terza e la quarta iscrizione (IN 3. e IN
4.) riportano due liste di cinque nomi scritti con inchiostro. Le altre iscrizioni
sono frammenti incompleti oppure con appena un nome o una parola. Unappendice di M. Sharon presenta un ostracon in lingua araba: scritto nellanno
102. Lanno 102 dellEgira il 720 d.C. in piena epoca omayyade; a questa data
risale la morte di Omar II a cui successe il califfo Yazid II.
Il cap. 2 a cura di Y. Shoham, deceduto prematuramente nel 1997, offre
tutti i frammenti di iscrizioni trovati su cocci di ceramica. Si tratta di incisioni
fatte prima o dopo la cottura del vaso. Si leggono alcune lettere dellalfabeto
ebraico. In una breve appendice M. Hfner presenta quattro ostraca in cui si
leggono lettere della lingua Sud Arabica, databili al periodo del Ferro II.
Il cap. 3, dedicato alla lettura delle bullae in ebraico, senza dubbio il pi
importante. Y. Shoham, sotto la direzione e la consulenza di J. Naveh,
ripropone la lettura delle 45 bullae, quasi tutte gi pubblicate da Y. Shiloh e
altri esperti. Erano state trovate nellArea G durante la campagna di scavo del
1982. Y. Shoham ripropone la lettura di tutte le bullae e una discussione dei
nomi, della scrittura e dellortografia impiegata. La maggior parte dei nomi (26
su 54 in totale) termina in -yahu, un elemento teoforico molto usato nel periodo del Ferro II (cf. Aiyahu, Azaryahu, Shemayahu, ecc.). Uno solo termina in -yah (cf. ananyah), ma su questo resta il dubbio a causa di una frattura
della bulla. Il risultato attuale conferma lipotesi che il teoforico -yah era poco
usato prima dellesilio di Babilonia. I nomi con lelemento teoforico -el sono

PEA I.

LIEUX DE PLERINAGE EN SYRIE

591

quattro: Elishama, Elnatan, Eliyaqim e Yishmael. Alcuni nomi non compaiono nellebraico dellAntico Testamento, ma sono letti su sigilli o altre iscrizioni (cf. Magen, Ahiab, bnzkr, y, rm, pn, tblm, zkr, Silla, Gaddiel,
Immadiyahu, Refayahu, ecc.).
Il cap. 4 a cura di B. Brandl ripropone la discussione di alcune bullae
anepigrafiche con decorazioni. Tra i motivi decorativi figurano un volatile (B
46), la sfinge (B 47), la divinit Sin (B 48), la colomba (B 49).
Nel cap. 5 Y. Shoham segnala 46 giare del tipo lmlk. Sette esemplari presentano lo scarabeo a quattro ali e 39 quello a due ali. I nomi pi usati sono
brn (Hebron, 13 volte), zf (Zif, 9 volte), mmt (Mamshit?, 4 volte) e wkh
(Soco, 1 volta). Su 31 manici compare il segno di circoli concentrici, quasi
sempre a fianco dello scarabeo a due ali.
Nel cap. 6 Y. Shoham presenta il sigillo di Elyaqim (ben) Mikha e poi
alcune impressioni di sigilli nei quali compaiono altri nomi di persona (ushai
(di) Elishama; Shallum (di) Aa (di) efanyahu).
Nel cap. 7 sono presentati 37 stampi con rosetta a cura di J.M. Cahil.
Nel cap. 8 Y. Shoham segnala i numerosi manici di pentole e altri vasi di
ceramica con incisioni. Si trova in prevalenza la lettera X, incisa con dimensioni e orientazione variabili.
Nel cap. 9 D.T. Ariel e Y. Shoham studiano alcuni manici con stampo di
epoca persiana e ellenistica. Tra i segni si notano il leone, la croce, la ruota, la
lettera et e la gemma. Tra le parole prevalgono i nomi di yhwd, yhd e yh. In
22 stampi, composti da una stella a cinque punte, compare il nome yrlm.
Nel cap. 10 D.T. Ariel offre la concordanza del luogo di provenienza di
tutti gli oggetti pubblicati nei volumi V e VI della serie.
Pietro Kaswalder, ofm

Pea Ignacio, Lieux de plerinage en Syrie (SBF Collectio Minor 38),


Franciscan Printing Press, Jerusalem 2000, 284 pp., ills., $ 30.00.
Le fonti storiche contemporanee mostrano nelle citt e nelle campagne di Siria
fin dai primi secoli un cristianesimo precoce e maturo fondato sullinsegnamento degli Apostoli Pietro e Paolo, cresciuto sullesempio dei martiri durante
le persecuzioni, fortificato in tempo di pace dalla parola ispirata di vescovi dalla
sicura dottrina teologica e culturale, e dalla vita degli asceti vero vanto del
popolo cristiano siriano.
La ricerca archeologica moderna ha riportato allattenzione le innumerevoli testimonianze monumentali e epigrafiche di una presenza attiva cristiana
in un periodo di massima espansione urbana e di benessere economico favorito da una relativa calma sui confini orientali con limpero persiano la quale
permetteva i commerci con lentroterra e con la costa mediterranea. Dobbia-

592

RECENSIONI

mo essere grati a padre Ignacio Pea, da decenni impegnato nello studio delle
antichit cristiane di Siria, per aver dedicato una monografia ai ricordi della
devozione del pellegrinaggio tra le comunit cristiane di Siria. La recente visita di Papa Giovanni Paolo II a Damasco in occasione del Grande Giubileo cristiano (5-7 Maggio, 2001) ha ridato nuovo slancio ad una pratica che ha
sempre fatto parte della vita di queste comunit di origine apostolica.
Le orazioni di San Giovanni Crisostomo nativo di Antiochia capitale della
provincia romana di Siria in onore dei Santi Martiri Babila, Barlaam, Ignazio,
Giuliano, Foca, Iuventino, Luciano, Roano, Massimino, Eustatio, Melezio
un muro invincibile a protezione della citt diventata Theopolis la citt di Dio
, e le vite degli asceti siriani raccontate da Teodoreto vescovo di Cirro
attestano non solo la venerazione che le popolazioni cristiane nutrivano per i
loro santi, ma leccezionalit coraggiosa e lordinariet di una vita cristiana
diventata normativa anche per altre comunit dellimpero.
Lo storico Sozomeno racconta la prova di coraggio corale dimostrata dalla
popolazione cristiana di Antiochia al tempo di Giuliano lApostata che aveva
ordinato lo sfratto del corpo di san Babila dal quartiere di Dafne che limperatore voleva riaprire al culto di Apollo. Tutta la popolazione cristiana di
Antiochia accompagn in processione il corpo del martire posto su un carro
cantando salmi e cantici fino al luogo primitivo della sepoltura: Uomini e
donne, giovani e vergini, vecchi e bambini (laccompagnarono) facendosi coraggio a vicenda con il canto dei salmi durante il tragitto I salmi erano intonati da chi aveva ben imparato a cantarli, mentre la folla rispondeva alternando
in coro armonico lantifona seguente: Onta ai servi degli idoli, essi che si vantano della vanit. In onore del martire il vescovo Melezio tra il 378-380 fece
costruire una grande basilica a croce greca nel quartiere Qaussia sulla sponda
del fiume Oronte e il martire riprese la via del ritorno.
Teodoreto introduce la sua Storia Religiosa dedicata a 72 atleti della virt,
con ricordi personali sulla quotidianit devota della vita di ogni giorno: Ero
allora un ragazzo e accompagnavo mia madre nella visita che ella rendeva di
tanto in tanto allasceta Afraate il Persiano. Una volta egli non fece che socchiudere la porta, come era sua abitudine e intrattenerla un po prima di benedirla, ma a me mi fece entrare e mi don una parte delle sue eulogie. Di un
altro recluso Pietro il Galata ricorda: Spesso mi metteva sulle sue ginocchia e
mi offriva uva passa e pane.
San Giovanni Crisostomo nellomelia in onore del martire san Giuliano ad
un certo punto aggiunge: Quando lassemblea si sar dispersa, potete sedervi
nei pressi delloratorio del martire, sotto un fico o sotto una vigna, e procurare
al vostro corpo qualche soddisfazione.
lo stesso vescovo a incoraggiare con fine sensibilit pastorale il culto dei
martiri per stornarli dalle feste in onore degli idoli che si svolgevano nei templi
pagani e che ancora attiravano gli abitanti della citt: Si cantano gli inni, i
salmi, e le lodi a colui che vede ogni cosa, e si celebra in memoria di questi

PEA I.

LIEUX DE PLERINAGE EN SYRIE

593

uomini, leucarestia, il sacrificio da cui bandito il sangue e la violenza. Non


vi ricercato n lodore dellincenso n il macellaio, ma una luce pura che
basta a illuminare quelli che pregano. Vi si aggiunge sempre un pasto frugale
a favore dei poveri e degli infelici.
Una polemica contrapposizione con il culto pagano che leggiamo in una
iscrizione proveniente da una chiesa di Ezra, a sud di Damasco: Ora, se tu
consideri la potenza del Salvatore Signore e Dio, rendi gloria al santo Salvatore che ha fatto perire le opere degli idoli, perch questa dimora, una volta era
stata costruita per dei demoni scolpiti, costruita in pietre cattive, che la parola
di Cristo ha separato e ha suscitato dalle pietre ben levigate, la dimora del suo
servo e buon cavaliere Sergio, per lo zelo e le opere dei figli del nobile Teodoro
che hanno voluto avere lo stesso Sergio come santo protettore, egli che sdegn
la potenza terrestre e accett supplizi crudeli dalla testa ai piedi perch inchiodato ai piedi lillustre (martire) non mosse la testa, e offr la sua persona alla
morte, donandola al suo Signore Salvatore e per una vita terrestre ricevette in
cambio la vita celeste.
In questo clima di fede e di venerazione per i martiri, Giovanni Crisostomo
invita i fedeli ad esprimere i sentimenti intimi con espressioni esterne di culto
di cui non vergognarsi: Avvicinatevi presso la tomba del martire, versatevi
torrenti di lacrime, rompete i vostri cuori, prendete una eulogia sulla tomba
abbracciate la bara, restate inchiodati alla cassa. Non soltanto dalle ossa dei
martiri, ma dalle loro tombe provengono le benedizioni.
Da questo fervore nascono sia il culto per le reliquie dei martiri attestato
dai reliquiari piccoli e grandi delle chiese di Siria, un culto mai venuto meno
in tutta la chiesa, sia il pellegrinaggio ai santuari costruiti in loro onore.
Teodoreto scrive della fiumana di fedeli che si riversava presso la colonna
di Simeone lo Stilita lui vivente e poi alla basilica cruciforme costruita intorno
alla colonna sulla quale aveva trascorso tanti anni come un candeliere acceso
per illuminare il popolo di Dio. Altri santuari di Siria attiravano durante lanno folle di fedeli. Fuori di Antiochia, santuari di massa furono il santuario di
san Giobbe nel Hauran e di Santa Tecla a Seleucia di Isauria, entrambi visitati
dalla pellegrina Egeria verso la fine del IV secolo, il santuario dei santi Martiri Sergio e Bacco a Rasafe nella steppa orientale, il santuario dei Santi medici
Cosma e Damiano a Ciro che prese il nome di Aghiapolis al tempo dellimperatore Giustiniano la Citt Santa, come Gerusalemme, e la basilica della Santa
Croce di Apamea, che ebbe il titolo di metropolis grazie alla preziosa reliquia
che nel 568 la comunit cristiana dovette dividere con Costantinopoli.
Una vitalit di fede da far invidia al fenomeno del pellegrinaggio di epoca
medievale che in Siria aveva la sua meta principale nel santuario di Sidnaya,
la Lourdes dei cristiani di Siria e di Giordania ancora oggi fiorente.
Scrive Burcardo di Strasburgo: A tre miglia da Damasco (in realt, ad una
ventina di chilometri!) si trova una localit posta tra i monti che si chiama
Sidnaia abitata dai cristiani e vi sta una chiesa situata nella campagna e dedi-

594

RECENSIONI

cata in onore della gloriosa Vergine in cui dodici monache e otto monaci servono assiduamente Dio e la Beata Vergine.
In quella chiesa vidi un quadro di legno della misura di un braccio in
lunghezza e di mezzo braccio di larghezza, posta sul muro, dietro laltare
del santuario, dentro una nicchia protetta da una grata di ferro a forma di
cancello. Anticamente fu dipinta su quel quadro limmagine della beata
Maria ma adesso ci che mirabile a dirsi, la pittura penetrata nel legno
ed emana incessantemente un olio odorifero superiore allodore del balsamo. Molti cristiani, saraceni e giudei, spesso vengono guariti con quellolio
da varie infermit.
Sta attento che quellolio mai viene a mancare per quanto se ne prenda.
Mai nessuno osa toccare il suddetto quadro, ma si concede che venga visto.
Lolio conservato religiosamente da un cristiano e se viene preso per qualsiasi infermit con devozione e fede sincera assistendo alle messe solenni celebrate in onore della Santa Vergine, senza dubbio otterr la grazia. Tutti i
Saraceni di quel territorio si radunano in quel luogo insieme ai cristiani nella
festa dellAssunzione e della Nativit della gloriosa Vergine per pregare; i
Saraceni offrono con la pi grande devozione le loro preghiere rituali.
Nota che questo quadro fu fatto in Constantinopoli e dipinto in onore della
beata Vergine. E da l fu portato a Gerusalemme da un patriarca. A quellepoca
una badessa del sopradetto luogo di Sidnaia ando a Gerusalemme per pregare,
e ottenuto quel quadro dal patriarca lo port alla chiesa a lei affidata. Ci accadde nellanno dellIncarnazione 870. Ma in seguito il sacro olio cominci a
uscire per molto tempo da quellimmagine.
I cronisti cristiani e musulmani ricordano la grande devozione che i
Templari ebbero per il santuario di Sardanale, che visitavano, con il permesso del Sultano, durante i periodi di tregua. Fu visitato anche dal fratello di
Saladino Malek al-Adil. Gli stessi cronisti arabi narrano che fino al tempo di
Nur ed-Din, i sultani di Damasco inviavano 50 misure di olio annue per le lampade che ardevano davanti alla sacra immagine.
Michele Piccirillo, ofm

Schmidt-Colinet Andreas - Stauffer Annemarie - al-AsAd Khaled, Die


Textilien aus Palmyra. Neue und alte Funde (Damaszener Forschungen, Band
8), Verlag Philip von Zabern, Mainz am Rhein 2000, xii-201 pp., ills.
Es liegt schon fast zehn Jahre zurck, da ich das Nationalmuseum in Damaskus besucht habe. Zu den Gegenstnden, die mich besonders beeindruckt hatten und die mir im Gedchtnis geblieben sind, gehrt die Sammlung von
Textilien, die in Palmyra gefunden worden sind, und zwar wegen ihrer hervorragenden Erhaltung und ihrer bleibenden Schnheit.

SCHMIDT-COLINET A. (ET ALII)

DIE TEXTILIEN AUS PALMYRA

595

Das vorliegende Werk hat es sich zur Aufgabe gemacht, alle bisher in
Palmyra gefundenen Textilien zusammenfassend zu dokumentieren, als Abschlu eines Projektes, das Dokumentation und Restauration der Funde umfate. Obwohl das Thema klar eingegrenzt ist Dokumentation nur der
Textilien aus einem geschlossenen Komplex handelt es sich dabei um ein
komplexes Unternehmen. Themenbereiche, die dem auf den Nahen Osten spezialisierten Archologen ferner liegen, wurden deshalb anderen Autoren anvertraut (die Seiden mit chinesischen Inschriften: Lothar von Falkenhausen, die
farbanalytischen Untersuchungen: Harald Bhmer und Recep Karadag, die
Analyse der Goldfden: Anna Rinuy).
Die Einleitung beschreibt Forschungsgeschichte und Arbeitsziel. Die Textilien stammen aus sieben Grbern, die ins 1. und 2. Jahrhundert n. Chr. datiert
werden knnen. Eine genauere Datierung dagegen ist kaum mglich, es finden
sich allenfalls Hinweise auf eine relative Chronologie. Da die Grber von alters her zugnglich waren, befanden sich die Textilien in der Regel nicht mehr
im originalen Kontext, und es ist auch mit der Mglichkeit zu rechnen, da in
spteren Zeiten Textilien hinzugekommen sind. Einerseits sind die Textilien
und vor allem ihre Farben durch Lichtabgeschiedenheit und Trockenheit hervorragend erhalten, andererseits wurden fast alle Stoffe schon in der Antike
zerteilt, um sie ihrem neuen Verwendungszweck anzupassen. Die Toten wurden nmlich nicht in ihren Kleidern bestattet, sondern die Stoffe wurden zum
Bandagieren zerschnitten und zum Teil neu vernht. Bei den Textilienfunden
ist zu unterscheiden zwischen denen, die in den 30er Jahren geborgen und
grtenteils von Rudolph Pfister untersucht und beschrieben wurden und den
Neufunden aus den 80er und 90er Jahren. Vorliegendes Buch greift Pfisters
Werk auf, aktualisiert es und bringt die Neufunde dazu in Beziehung. Abschlieend geht die Einleitung noch auf Konservierung und Prsentation der
Textilien ein. Sie benennt die Probleme bei den Altfunden mit den damaligen
Konservierungs- und Lagerungsmethoden und beschreibt detailliert die modernen Konservierungsmanahmen. Eine zustzliche Schwierigkeit solch eines
Projektes im Nahen Osten kann man zwischen den Zeilen erkennen, wenn es
heit: Die an dem Projekt beteiligten Institutionen und Personen standen in
keinem Kontakt mit dem Kunst- und Antikenhandel. (S. 6)
Das Kapitel Material und Technik beschreibt die verschiedenen Fasern
Leinen, Schafwolle, mglicherweise Wolle von Kaschmirziegen, Ziegenhaar,
Baumwolle, Seide (echte und sogenannte Wildseide), und hochqualitative
Mischgewebe - und die Arten, aus den Fasern Fden zu spinnen (mit Rckschlssen auf die Herkunft); es beschreibt separat die verwendeten Goldfden
und deren Analyse; es liefert Informationen ber Frbe- und Webtechniken,
Walken, Dekorationen (vor allem der Seidenstickereien) und Nhte; es versucht die Rekonstruktion von Kleidern und Dekorationen (wobei sowohl rmischer als auch parthischer Einflu zu erkennen ist). Es ist auffallend, wie
aufwendig die Techniken, wie wertvoll die Stoffe und wie hoch ihre Qualitt

596

RECENSIONI

waren. Freilich mu das nicht reprsentativ sein fr die Alltagskleidung in


Palmyra, da alle Funde aus den Grbern der Oberschicht stammen.
Ein eigenes Kapitel ist der Ornamentik gewidmet. Es beschreibt nicht nur
Einzelmotive und Ornamentstreifen, sondern gibt auch jeweils Hinweise auf
Zeugnisse aus der Malerei und auf Mosaiken, auf Skulpturen und Architekturdekorationen, auf Wechselwirkungen zwischen Architektur- und Textildekorationen, und zwar sowohl aus Palmyra selbst als auch aus anderen
Kulturen. Kurz geht es eigens ein auf den Dekor auf chinesischen Seiden.
Das folgende Kapitel handelt vom kulturhistorischen Kontext. Es klrt,
inwieweit aus Textilfunden aus den Grbern der Oberschicht Rckschlsse
gezogen werden knnen auf deren mgliche Vorlieben, auf Produktion und
Handel (nicht nur von Stoffen), auf technische Entwicklung und Perfektion und
auf die Bestattungssitte der Mumifizierung. Am Ende des Kapitels ist das Johannesevangelium (mit Hinweisen auf die synoptischen Parallelen) zitiert als
genaueste zeitgenssische Beschreibung dieses Vorganges (S. 57). Dieser
Vergleich ist zwar interessant fr den Bibelwissenschaftler wie auch fr den,
der sich mit jenen Bestattungssitten beschftigt, aber er birgt Probleme, die
unerwhnt bleiben: Jesus war kein Angehriger der Oberschicht. (Dieser Widerspruch kann mglicherweise gelst werden mit dem Hinweis auf die
Erhhungstheologie des Johannesevangeliums.) Schwerer wiegt ein anderer
Unterschied: es findet sich kein Hinweis darauf, da der Leichnam Jesu mumifiziert werden sollte; im jdischen Palstina war die Mumifizierung nicht
verbreitete Praxis.
Ein eigenes Kapitel behandelt chinesische Inschriften auf Seide, und zwar
nicht nur die beiden Stoffe, die in Palmyra gefunden wurden, sondern allgemein alle bisher bekannten beschriebenen Seiden aus jener Zeit (der stlichen Han-Zeit), die ber weite Teile Asiens zerstreut gefunden wurden. Diese
Stoffe werden im historischen wie auch im kulturellen Kontext beschrieben
und ihre Texte transkribiert und ins Deutsche bersetzt. Die Bedeutung dieser
erstmalig in dieser Form zusammengestellten Publikation (vgl. S. 93) drfte
weit ber das eigentliche Thema dieses Buches hinausgehen, fhrt aber gleichzeitig weg von ihm, zumal, worauf auch der Autor selbst hinweist, der kulturelle Hintergrund der chinesischen Stoffe ihren Benutzern in Palmyra fremd
gewesen ist.
Das nchste Kapitel erklrt die Techniken der farbanalytischen Untersuchungen und listet deren Ergebnisse auf. Es gibt einen berblick ber Frbeinsekten, -schnecken und -pflanzen sowie deren Verwendung und eventuelle
Rckschlsse daraus auf die Herkunft der Textilien.
Als letztes Textkapitel folgt noch eine Zusammenfassung auf deutsch und
(leicht erweitert) auf arabisch.
Der zweite Hauptteil des Buches ist der Katalog, eine Beschreibung der
ca. 550 gefundenen Stofffragmente (wobei Fragmente, die zu einem Textil gehrten, zusammen numeriert und gezhlt sind). Jedes Fragment hat eine

VON BREYDENBACH BERNHARD

PEREGRINATIONES

597

Katalognummer, entweder eine Kombination aus Buchstaben und Zahl (wenn


mehrere Textilschichten noch mit einem Mumienfragment zusammen gefunden wurden) oder nur durch eine fortlaufende Zahl (bei Einzelfunden). Der
Katalog ist aufgeteilt in Neufunde und Altfunde (durch R. Pfister) und geordnet nach Fundort und Material. Bei jedem am Ende des Buches abgebildeten
Fragment ist auf die entsprechende Tafel verwiesen, dann folgt die Inventarnummer (die auch den Aufbewahrungsort angibt), die Mae, Literaturangaben,
eine detaillierte Beschreibung des Textils, eventuell weitere Erklrungen sowie erluternde Zeichnungen. Der Katalogteil schliet mit einer Konkordanz
der Inventar-(Pfister-)Nummer und der entsprechenden Katalognummer, einem
Sachregister und einem Index von Zitaten aus klassischen Werken.
Den dritten Hauptteil des Buches schlielich bilden Photographien: 8
Farbtafeln folgen den 104 Tafeln, die leider nur schwarz-wei sind. Fast jede
dieser Tafeln enthlt mehrere (bis zu 8) Photos, berwiegend von den Textilien, teils auch von Arbeitsprozessen, von Architekturelementen oder von
Farbrohstoffen.
Die Tafeln sind fortlaufend durchnumeriert (die Farbtafeln eigens, mit rmischen Ziffern), bei mehreren Photos auf einer Tafel wird durch Buchstaben unterschieden. Bei jedem Photo gibt es einen Verweis auf die entsprechende
Katalognummer (und umgekehrt). Die parallele Existenz verschiedener Numerierungssysteme (Tafeln und Farbtafeln, Katalognummern sowie die eigens durchnumerierten Abbildungen im Textteil) machen die Handhabung des Werkes ein
bichen umstndlich, besonders da innerhalb des Textes teils auf Abbildungen,
teils auf Katalognummern, teils auf die (Farb-)Tafeln verwiesen ist.
Das ganze Werk macht den Eindruck, da es uerst sorgfltig und genau
gearbeitet ist, sowohl in der Beschreibung der Textilien als auch in den Erklrungen und den Einbettungen in die jeweiligen Kontexte.
Corrigenda:
S. 13 re., 4.-6. Z.: Der Ausdruck ungefrbte Baumwolle (...), die zudem
nicht gefrbt ist ist berkorrekt.
S. 22 re., 4./5. Z.: nicht Abb. 15, sondern Abb. 16.
S. 23 re., 13. Z.: nicht Taf. 80, sondern Taf. 80a.
Gregor Geiger, ofm

von Breydenbach Bernhard, Peregrinationes. Un viaggiatore del Quattrocento a Gerusalemme e in Egitto. Ristampa anastatica dellincunabulo. Traduzione italiana e note di G. Bartolini e G. Caporali. Prefazione di M. Miglio.
Saggio introduttivo di G. Bartolini, Vecchiarelli Editore Roma nel Rinascimento, Roma 1999, XXIII-316 pp. + 186 (ripr. inc.), ills., L. 80.000.
Nellattivit editoriale e di studio riguardante il complesso fenomeno del pellegrinaggio, opera pia ma nello stesso tempo anticipazione dellesplorazione

598

RECENSIONI

geografica e antiquaria moderna, segnaliamo la lodevole iniziativa del prof. M.


Miglio e del suo gruppo che ripubblica un successo editoriale del 1400 mancante nella traduzione italiana.
Lopera del canonico di Mainz infatti la prima pubblicazione illustrata a
stampa di un itinerarium come ricordo del pellegrinaggio e delle cose viste e
sperimentate ma nello stesso tempo pensata come una guida per i futuri pellegrini e viaggiatori che avessero desiderato ripercorrerne lesperienza.
Una impresa editoriale pensata con spirito imprenditoriale, preparata e realizzata con la collaborazione di un pittore che assicur lillustrazione come
documentazione de visu (Enrico Reuwich), di un dotto latinista domenicano
che rivide il testo e probabilmente aggiunse gli excursus geografici e teologici
(Martin Roth), e dellesperienza di un francescano poliglotta che da un anno
viveva a Gerusalemme al quale si devono il dizionario delle parole pi utili in
arabo, le informazioni sui popoli presenti in Terra Santa e altri dettagli utili
(Paul Walther da Guglingen, a sua volta autore di un itinerario: Itinerarium ad
Terram Sanctam et ad Sanctam Catharinam). Il risultato di questa impresa
culturale e imprenditoriale nella quale lautore aveva investito una bella somma un libro dotto, bello tipograficamente, e illustrato con xilografie non per
semplice abbellimento ma per rendere pi credibile (certiorem) la sua narrazione.
Il viaggio si svolse tra il 1483 (25 aprile partenza dalla Germania verso
Venezia) e il febbraio del 1484 (ritorno a Venezia). Lopera in latino fu pubblicata a Mainz nel 1486, alla quale seguirono fino al 1502 10 edizioni in diverse
lingue europee, con nuove edizioni nei secoli successivi, a testimonianza dellinteresse suscitato e del suo valore documentario.
Lopera divisa in due parti: litinerario a Gerusalemme e quello al Monte
Sinai con ritorno via lEgitto. Aggiunte notevoli sono lexcursus geografico
sulla Terra Santa, quello sui popoli che vivevano in Terra Santa e in particolare sullIslam (dove si ripetono tutti i luoghi comuni della polemica antimusulmana) e il dizionario dei termini pi comuni in arabo.
Per i Francescani della Custodia di Terra Santa litinerario del Breidembach una testimonianza complementare dellopera contemporanea di padre
Francesco Suriano (Il Trattato di Terra Santa e dellOriente, 1485 prima stesura, 1514 seconda stesura, 1524 opera a stampa, edito da padre Girolamo
Golubovich, Milano 1900). Ai Frati Minori e alla loro attivit a favore dei pellegrini, il canonico dedica una bella pagina nellexcursus sui popoli che vivono in Terra Santa (p. 172): Ci sono anche in questi ultimi tempi e da un certo
numero di anni a Gerusalemme alcuni devoti che professano la fede ortodossa, uomini religiosi, che dagli altri uomini sul posto sono chiamati, come lo
sono, Latini, ma dai Saraceni Franchi. Sono infatti figli e fratelli di S. Francesco, da noi abitualmente chiamati frati minori, inviati col dai loro superiori.
Nel caso che alcuni vengano spostati o muoiano, sono sostituiti da altrettanti e
vivono secondo la regola del loro Ordine con le elemosine dei pellegrini devo-

VON BREYDENBACH BERNHARD

PEREGRINATIONES

599

ti che arrivano l dalle terre cristiane e di alcuni altri principi fedeli che, mossi
dalla devozione per i luoghi sacri e dalla piet cristiana, non trascurano di far
avere loro ogni anno delle elemosine.
Questi stessi francescani accolgono con benevolenza i pellegrini che via
via arrivano, li trattano caritatevolmente, mostrano loro i luoghi santi, curano
gli infermi e li aiutano per quanto possono nella varie incombenze. Gli stessi
frati hanno col un monastero sul monte Sion, dove stanno tutti insieme 24
frati, al servizio del Santissimo Signore. Non lontano di l hanno da curare e
provvedere a un convento femminile di S. Chiara, e l ci sono almeno sei suore. Ma hanno anche in affidamento il tempio della gloriosa Vergine Maria a
Betlemme e nello stesso posto un convento con 6 frati dellOrdine, che custodiscono e mantengono devotamente il Santissimo Presepe del Signore. Anche
allinterno del tempio del glorioso Sepolcro del Signore, tengono sempre due
frati che cambiano spesso e ne mandano con continuit sempre degli altri.
Gli stessi frati devono provvedere alle necessit di tutti questi luoghi e
persone. E nondimeno subiscono grandissime e continue vessazioni e molestie, come facile immaginare, tanto dagli infedeli quanto dagli eretici di cui
si parlato, che li insultano e li dileggiano, affliggendoli grandemente e
amareggiando loro la vita. Tuttavia sono certo che se essi non fossero presenti
sul posto, noi Latini avremmo difficolt ad accedere in sicurezza ai luoghi santi, tanto lodio e labominazione che portano nei nostri confronti quei perfidi
e grandissimi apostati del cristianesimo.
A questa testimonianza generale segue nel racconto del pellegrinaggio
lesemplificazione pratica giorno dopo giorno di quanto i frati facevano per i
pellegrini fin dal loro arrivo nel porto di Giaffa (p. 35). Arrivammo a Giaffa,
cio Joppen e fermammo la nostra galea gettando le ancore a poca distanza.
Il patron, secondo la consuetudine, mand subito alcuni dei suoi a Rama,
e a Gerusalemme per il salvacondotto, presso il padre Guardiano dei
francescani del monte Sion e per la guida dei pellegrini che comunemente si
chiama turcimanno Il 5 di luglio, infine, giunsero a Giaffa i cavalieri del
soldano che presso di loro si chiamano mamelucchi, e insieme con loro il
padre guardiano nominato sopra, con due suoi confratelli che ci portarono da
Rama e da Gerusalemme il salvacondotto scritto... L8 luglio furono portati
gli asini a tutti noi pellegrini, con i quali in tre ore giungemmo a Rama
Arrivati a uno jugero da Rama fummo costretti a scendere dagli asini, a camminare a piedi, e a portare ciascuno le sue cose sulle spalle Quindi fummo
di nuovo contati e rinchiusi in una vecchia costruzione. Ci sono molti edifici
a volta e una fonte con acqua abbastanza buona. Questa casa stata attrezzata come ospizio per i pellegrini da Filippo duca di Borgogna, di buona memoria, e assegnata ai frati del monte Sion, e quindi si chiama anche ospedale
dei pellegrini. Il giorno 9 luglio, per ordine e disposizione del padre guardiano, uno dei suoi frati celebr la messa davanti a noi a Rama e, giunto
alloffertorio, rivolgendosi a noi ci diede istruzioni sul modo di comportarci

600

RECENSIONI

in Terra Santa, esponendoci le regole in latino, in italiano e in tedesco cinque regole da tenere ben presenti per non rendere vane le fatiche e spese del
vostro pellegrinaggio sino a qui. Istruzioni in lingua tedesca che quasi sicuramente furono spiegate da padre Paul Walther da Guglingen che divenne uno
dei collaboratori del Breidenbach.
Una volta espletate le pratiche burocratiche, guidati dai frati, i pellegrini
iniziano il loro pellegrinaggio dirigendosi verso Gerusalemme dove vennero
alloggiati nellospedale davanti al Santo Sepolcro. Nel loro giro della citt
giungono anche al convento del Monte Sion dove vengono invitati a mangiare
con i frati, dopo la processione seguita dalla Santa Messa (p. 40). Dopo aver
girato per tutti questi luoghi entrammo nel convento del monte Sion dove c
una bella chiesa a volte che, come credo, era stata addobbata e preparata pi
accuratamente del solito per il nostro arrivo con preziosi tappeti e ornamenti
appesi alle pareti: queste cose furono donate alla chiesa da Filippo duca di
Borgogna, per sua devozione, insieme con un sussidio annuo, finch visse, di
1000 ducati, per il mantenimento dei frati che servono Dio. E il suo successore, lattuale vittorioso e illustrissimo duca di Borgogna Massimiliano (Primo
dAsburgo), ha seguito lesempio dei suoi predecessori. Appena noi pellegrini
fummo entrati, i frati celebrarono solennemente lufficio della messa, completato il quale, vestiti dei loro sacri paramenti, fecero una processione che noi
seguimmo, come di costume Finita la processione, fummo invitati dal
guardiano e dai suoi frati, com dabitudine, a mangiare con loro.
Unaltra bella pagina il racconto della doppia visita alla basilica del Santo Sepolcro (p. 43) e alla basilica della Nativit a Betlemme (p. 51). Il 12 luglio ad ora di vespro, i pagani, cio i rettori della citt santa di Gerusalemme
ci fecero entrare nel venerando tempio del Sepolcro del Signore: dopo aver
aperto le porte ci contarono e ognuno di noi pag 5 ducati; e in nessun altro
caso questo tempio viene da loro aperto se non quando arrivano i pellegrini o
per dare il cambio ai frati che sono l come custodi. Appena fummo entrati,
richiusero il tempio. Con noi entrarono anche il guardiano e molti suoi
confratelli Visitammo devotamente gli altri luoghi di questo tempio con devozione per tutta la notte andando in giro in modo di processione, mentre i frati
minori ci precedevano e spiegavano. I luoghi sono questi, per elencarli in dettaglio: prima la cappella del Sepolcro del Signore... poi una cappella dedicata
in onore della gloriosa Vergine Maria, nella quale il padre guardiano e i suoi
confratelli entrarono e indossarono i sacri paramenti e cominciarono una solenne processione con canti, che noi seguivamo passo a passo, sino ad arrivare
allaltare maggiore della chiesa Alla fine, in processione, entrammo nella
sopra ricordata venerabile cappella, ampia e rotonda, nel cui centro si trova il
glorioso Sepolcro del Signore Usciti di qua tornammo nella prima cappella
dedicata alla Vergine Maria, da cui era partita la processione, che l si concluse. Finita la processione, ciascuno si rifocill con cibo e bevande e per il resto
della notte ognuno and qua e l visitando nel tempio i luoghi sacri secondo i

VON BREYDENBACH BERNHARD

PEREGRINATIONES

601

propri voti e desideri. Quelli che allalba si sarebbero comunicati confessavano, ciascuno per conto suo, i propri peccati ai confessori che erano l per questo. Nel giorno successivo, cio il 14 luglio, dopo aver ascoltato la messa
nellospedale di San Giovanni, visitammo i luoghi santi al seguito del guardiano e di alcuni suoi confratelli che ci precedevano e ci illustravano. Venuta la
sera del 14 luglio, festa della dispersione degli apostoli, ci recammo al monte
Sion dai frati, dove trovammo gli asini gi preparati e, saliti su di essi, arrivammo a Betlemme ad una bellissima chiesa consacrata in onore della Vergine Appena giunti l i francescani composero una processione e noi li
seguimmo subito tenendo in mano le candele accese Nello stesso giorno,
cio il 15 luglio, tornammo a Gerusalemme circa allora di pranzo.
Il Breidembach con il padre domenicano Felix Fabri che faceva parte del
gruppo, uno dei primi testimoni della pratica di investitura dei Cavalieri del
Santo Sepolcro, nata proprio in questi anni per la presenza a Gerusalemme nel
convento del Monte Sion di un terziario francescano tedesco, che se ne fece
propagatore (I. Mancini, La Custodia di Terra Santa e linvestitura dei Cavalieri del Santo Sepolcro, in: Militia Sancti Sepulchri. Idea e Istituzioni, Atti
del Colloquio Internazionale a cura di K. Elm e C.D. Fonseca, Citt del Vaticano 1998, 289-309). Dopo aver mangiato ci riposammo un poco perch la
notte successiva ci avrebbero fatto entrare per la seconda volta nel tempio del
Sepolcro del Signore. Secondo una vecchia consuetudine, infatti, i pellegrini
vengono fatti entrare tre volte Allalba del giorno dopo, cio il 16 luglio,
molti dei nostri compagni di pellegrinaggio nobili di nascosto dai pagani che
non tollerano questo fatto presero il cingolo militare (furono investiti cavalieri del S. Sepolcro) e compirono i riti tradizionali conseguendo cos il titolo
militare.
Alcuni frati si unirono al gruppo dei pellegrini che raggiunse il fiume
Giordano (p. 54): Il giorno dopo, cio il 18 luglio, prendemmo la direzione
del Giordano Vennero con noi alcuni frati del monte Sion e ci accompagnarono alcuni pagani per non cadere di nuovo nelle mani degli Arabi.
Il canonico inoltre si assunse le spese di due frati che fecero parte del
gruppetto di 18 pellegrini che proseguirono il viaggio fino a Santa Caterina al
Sinai: cerano anche due francescani, Paul e Thomas (da Cracovia), esperti in
molte lingue. Quel Paul padre Paul Walther da Guglingen incontrato in Terra Santa che collabor direttamente alla realizzazione dellopera.
Dando il giusto merito e ringraziamento ai curatori, in particolare a Gabriella Bartolini alla quale si deve la nutrita e solida introduzione storica, personalmente ai fini del lavoro, pi che la riproduzione anastatica del volume
originale (sarebbe bastata qualche pagina a esemplificazione), avrei preferito
la trascrizione del testo latino per rendere pi maneggevole il lavoro di consultazione dellopera.
Michele Piccirillo, ofm

602

RECENSIONI

Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, Viaggio del cuore in Terra Santa,
Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2000, 399 pp., L. 35.000, E. 18,08.
Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, In Terra santa con i Papi, Edizioni
Piemme, Casale Monferrato 2000, 96 pp., L. 12.000, E. 6,20.
1. Una parola sul titolo di questa pubblicazione dalla grafica molto curata sui
santuari di Terra Santa, preparata da padre Marco Adinolfi in collaborazione
con padre Gian Battista Bruzzone che operano nel Centro Propaganda e Stampa di Terra Santa in Milano. Il termine cuore purtroppo svilito nel linguaggio corrente, ma esso usato qui nel senso pi genuino della Bibbia a indicare
le profondit dellessere dellindividuo nelle quali avviene il contatto con Dio.
Non si tratta dunque di unaffannosa scorribanda tra una localit e laltra della
Terra Santa che lascia in superficie le impressioni dei vari santuari. Come si
dice nella presentazione, il libro intende far percepire e assaporare il messaggio biblico appena si indugi su questa o su quella pagina.
Lineare la struttura del volume che pur raggiungendo le 400 pagine, si legge con agilit e interesse. I santuari di Terra Santa sono visti nelle tre zone di
cui si compone il paese: la Galilea, la Samaria e la Giudea, termini ormai familiari a ogni cristiano dalla lettura e dallascolto dei Vangeli. La presentazione di ogni santuario inizia con una delle pi antiche testimonianze di autori
vissuti o venuti in pellegrinaggio nella terra di Ges, da Eusebio di Cesarea a
Egeria, dallAnonimo di Piacenza a S. Giustino, Origene e S. Girolamo. Segue un brano di un Padre della Chiesa che trasmette il messaggio spirituale del
luogo. Si passa poi ai brani evangelici ampiamente citati e diligentemente commentati, relativi agli eventi della storia della salvezza ivi accaduti o commemorati. Ogni paragrafo termina con una preghiera liturgica preceduta da un
breve testo di un pellegrino moderno, da Joergensen a Frossard, da Barzini a
Piovene, che ricorda lesperienza del suo incontro con i Luoghi Santi e i
francescani.
Sono molte le finestre che si aprono sulla storia passata o sulla vita di
oggi in campo pastorale, liturgico, sociale e culturale dei Francescani che da
circa otto secoli custodiscono i Luoghi Santi per incarico dei Romani Pontefici. Non poteva mancare a questo riguardo laccenno ai risultati degli scavi degli archeologi francescani in questultimo secolo.
Arricchiscono il volume oltre trenta medaglioni di personaggi nati o vissuti in Palestina, da Abramo a Isaia, da S. Pietro a Maria di Magdala, oppure
di celebri visitatori antichi o recenti, come S. Francesco dAssisi e S. Ignazio
di Loyola, Geremia Bonomelli e Angelo Roncalli, Matilde Serao e Cesare
Angelini.
Il viaggio del cuore in Terra Santa non dunque una delle numerose
guide che indicano puntigliosamente al pellegrino tutte e singole le localit da
visitare. E neppure un prontuario per la celebrazione del Grande Giubileo del
Duemila. un libro che sul filo del discorso biblico invita a prepararsi ade-

ADINOLFI M. - BRUZZONE G.B.

IN TERRA SANTA CON I PAPI

603

guatamente allincontro con Cristo nella sua terra o a rievocarlo quando si


tornati a casa.
2. Coniugando felicemente lamore per la Scrittura e laffetto per la Terra Santa, i medesimi biblisti francescani pubblicano un elegante tascabile dal titolo attuale e accattivante. Il lettore di In Terra Santa con i Papi per cos dire
preso per mano e condotto da un Luogo biblico ad un altro, da un santuario
allaltro con una semplicit e naturalezza che lo avvincono e quasi non gli permettono di arrestarsi.
Ripercorrendo i passi di Giovanni Paolo II, lultimo successore di Pietro,
venuto come pellegrino in Terra Santa in occasione del Grande Giubileo del
Duemila, gli autori conducono il lettore prima sulle memorie bibliche della
sponda est del Giordano facendolo sostare al Memoriale di Mos sul Monte
Nebo, ad Amman e al fiume Giordano. Poi lo accompagnano in Galilea, al
Monte delle Beatitudini, ai Santuari evangelici del Primato di Pietro, della
Moltiplicazione dei pani e di Cafarnao, situati sulla sponda nord-occidentale
del Lago di Tiberiade, e a Nazaret. Il viaggio culmina in Giudea sostando sui
santuari cristiani di Betlemme e Gerusalemme. Non manca una tappa presso il
Muro occidentale del Tempio e a Yad Vashem, due luoghi per motivi diversi
cari alla memoria ebraica e visitati con rispetto dalle altre fedi religiose.
Il volumetto si apre con una scorrevole introduzione sul significato e la
portata del pellegrinaggio nella Bibbia. Poi la parola data ai Papi a cominciare dal primo della serie. I singoli capitoletti infatti iniziano sempre con un
testo preso dalla 1 Lettera di Pietro seguito da un altro scelto dai discorsi di
Giovanni Paolo II pronunciati in occasione del pellegrinaggio giubilare. I successivi tre testi papali, uno di carattere storico, uno di tenore spirituale e un
terzo di interesse francescano, fanno risuonare la voce di trenta sommi pontefici, dando cos unidea dellamore effettivo e dellinteresse costante che i Papi
hanno avuto per la Terra Santa.
Il libretto arricchito da una scelta di testi presi dagli appunti di viaggio
di due futuri papi: Angelo Roncalli (nel 1906) e Karol Woitya (nel 1963),
questi tradotti per la prima volta dal polacco, e da brevi ma intense preghiere
dellattuale Papa.
Due libri sulla Terra Santa scritti in un linguaggio limpido e scorrevole e
con la competenza e lamore che contrassegnano i due illustri autori. Essi renderanno un servizio unico agli animatori del pellegrinaggio e alle guide dei
pellegrini. Ci auguriamo che la loro mole contenuta e la cura editoriale che la
Piemme vi ha impiegato li rendano parte del bagaglio essenziale di molti pellegrini in Terra Santa.
G. Claudio Bottini, ofm

LIBRI RICEVUTI

Adinolfi Marco, Alle limpide correnti della Bibbia (Odorifera verba Domini
1), Centro Propaganda e Stampa di Terra Santa Dragonetti Edizioni, Milano
- Montella 2000, 320 pp., L. 35.000.
Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, Viaggio del cuore in Terra Santa,
Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2000, 399 pp., L. 35.000, E. 18,08.
Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, In Terra santa con i Papi, Edizioni
Piemme, Casale Monferrato 2000, 96 pp., L. 12.000, E. 6,20.
lvarez Barredo Miguel, La iniciativa de Dios. Estudio literario y teolgico
de Jueces 1-8 (Publicaciones Instituto Teolgico Franciscano. Serie Mayor 31),
Editorial Espigas, Murcia 2000, 327 pp.
Ariel Donald T., Excavations at the City of David 1978-1985 Directed by Yigal
Shiloh. Vol. V: Extramural Areas (Qedem 40), The Institute of Archaeology,
The Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem 2000, 169 pp., ills.
Schmidt-Colinet Andreas - Stauffer Annemarie - al-Asad Khaled et alii, Die
Textilien aus Palmyra. Neue und alte Funde (Damaszener Forschungen 8),
Verlag Philip von Zabern, Mainz am Rhein 2000, XII-201 pp., ills.
Attridge Harold W., La lettera agli Ebrei. Commento storico esegetico (Letture bibliche 12), Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 1999, 724 pp.,
L. 88.000.
Barth Marcus - Blanke Helmut, The Letter to Philemon. A New Translation
with Notes and Commentary (The Eerdmans Critical Commentary), William
B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, 2000, XVIII-561 pp.,
$ 40.00, 25.00.
Bosetti Elena, Marco. Il rischio di credere (Bibbia e catechesi), Edizioni
Dehoniane, Bologna 2000, 153 pp., L. 22.000
Cervera i Valls Jordi, Esa, el rebutjat de la comunitat. Tradicions jeuves en
He 12,16-17 (Collectania Sant Paci 67), Edicions Facultat de Teologia de
Catalunya, Barcelona 1999, 229 pp.

LIBRI RICEVUTI

605

Clarke Andrew D., Serve the Community in the Church. Christians as Leaders
and Ministers (First-Century Christians in the Graeco-Roman World), William
B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan - Cambridge, U.K.
2000, IX-305 pp., $ 30.00, 15.99.
Donfried Karl P. - Beutler Johannes (eds.), The Thessalonians Debate.
Methodological Discord or Methodological Synthesis?, William B. Eerdmans
Publishing Company, Grand Rapids, Michigan - Cambridge, U.K. 2000, XVI384 pp., $ 25.00, 15.99.
Ferrer Joan - Nogueras Maria Antnia, Manual de Gramtica Siraca
(Estudios de Filologa Semitica 2), Universitat de Barcelona, rea dEstudis
Hebreus i Arameus, Barcelona 1999, 151 pp.
Ferrer Joan - Nogueras Maria Antnia, Breve Diccionario Siraco, SiracoCastellano-Cataln (Estudios de Filologa Semitica 1), Universitat de
Barcelona, rea dEstudis Hebreus i Arameus, Barcelona 1999, V-324 pp.
Figueras Pau, From Gaza to Pelusium. Materials for the Historical Geography
of North Sinai and Southwestern Palestine (332 BCE 640 CE) (Beer-sheva.
Studies by the Department of Bible and Ancient Near East, XIV), Ben-Gurion
University of the Negev Press, Beer-sheva 2000, XIII-384 pp., ills.
Forte Bruno, Apocalisse. Introduzione e traduzione, Edizioni San Paolo, Milano 2000, 130 pp., L. 18.000.
Forte Bruno, Dove va il Cristianesimo? (Giornale di Teologia 271), Edizioni
Queriniana, Brescia 2000, 164 pp., L. 20.000.
Forte Bruno, Piccola Mistagogia. Introduzione spirituale alla fede
(Spaziopreghiera), Edizioni Paoline, Milano 2000, 99 pp., L. 6000.
Freedman David Noel - Myers Allen C. - Beck Astrid B., Eerdmans
Dictionary of the Bible, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand
Rapids, Michigan - Cambridge, U.K. 2000, XXXIII-1425 pp., ills., $ 45.00,
30.00.
Gignoux Philippe, Rassembler au monde. Nouveax documents sur la thorie
du macro-microcosme dans lantiquit orientale (Bibliothque de lEcole des
Hautes tudes 106), Brepols, Turnhout 1999, 194 pp., BEF 1457,29.
Goh Lionel - Chee Kong Lee (eds.), Bible 2000 Exibition, Studium Biblicum
Hong Kong Hong Kong Bible Society, Hong Kong 2000, 93 pp., ills.

606

LIBRI RICEVUTI

Hengel Martin - Schwemer Anna Maria, Paulus zwischen Damaskus und


Antiochien. Die Unbekannten Jahre des Apostels (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament 108), J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tbingen
1998, XXII-543 pp., DM 198.
Herrojo Julin, Cana de Galilea y su localizacin. Un examen crtico de las
fuentes (Cahiers de la Revue Biblique 45), Librairie Lecoffre J. Gabalda et Cie
diteurs, Paris 1999, 147 pp., F 155.
Iersel Bas van, Marco. La lettura e la risposta. Un commento (Commentari
biblici), Queriniana, Brescia 2000, 512 pp., L. 78.000.
Kapkin David, Marcos. Historia humana del Hijo de Dios (Escuela Bblica),
Medelln 1998, VII-720 pp.
Kapkin David, 1 y 2 Tesalonicenses. Ya viene el Seor (Escuela Bblica),
Santaf de Bogot 1997, V-284 pp.
Lgasse Simon, Lptre de Paul aux Galates (Lectio Divina - Commentaires
9), Les ditions du Cerf, Paris 2000, 496 pp., F 275.
Leonardi Giovanni, Atti degli apostoli (opera di Luca: II volume) traduzione
strutturata. Analisi narrativa e retorica (Sussidi biblici 56), Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1998, 210 pp., L. 23.000.
Leonardi Giovanni, Atti degli apostoli (opera di Luca: II volume) testo greco
strutturato. Analisi narrativa e retorica (Sussidi biblici 61b), Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1998, 152 pp., L. 20.000.
Leonardi Giovanni, Vangelo secondo Matteo. Traduzione strutturata. Analisi
letteraria e narrativa. Messaggio e problemi introduttori (Sussidi biblici 6364), Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1998, 264 pp., L. 30.000.
Leonardi Giovanni, Vangelo secondo Marco. Traduzione strutturata. Analisi
letteraria e narrativa. Messaggio e problemi introduttori (Sussidi biblici 6667), Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1999, 177 pp., L. 25.000.
Misiarczyk Leszek, Il midrash nel Dialogo con Trifone di Giustino martire,
Pocki Instytut Wydawniczy, Pock 1999, 287 pp.
Nay Reto, Jahwe im Dialog. Kommunikationsanalytische Untersuchung von
Ez 14,1-11 unter Berchsichtigung des dialogischen Rahmens in Ez 8-11 und
Ez 20 (Analecta Biblica 141), Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma 1999,
XII-428 pp., L. 50.000, $ 30.00.

LIBRI RICEVUTI

607

Pennacchini Bruno, Introduzione alla storia dIsraele nellepoca dellAntico


Testamento (Convivium Assisiense Istrumenta 1), Edizioni Proziuncola, Santa Maria degli Angeli 2000, 238 pp., L. 30.000.
Quinn Jerome D. - Wacker William C., The First and Second Letter to
Timothy. A New Translation with Notes and Commentary (The Eerdmans
Critical Commentary), William B. Eerdmans Publishing Company, Grand
Rapids, Michigan / Cambridge, U.K. 2000, LXXVII-918 pp., $ 65.00, 35.00.
Riloba Fortunato, Jes Hijo de Mara en el Corn y el Evangelio. Base para
un dilogo islamo-cristiano, Editorial Claret, Barcelona 2000, 231 pp.
Sez Carlos - Lpez Teodoro - Martn ngel, Peregrinacin a Tierra Santa,
Centro Tierra Santa Edicel, Madrid 2000, 456 pp., ills.
Sgargi Giorgio, Lettera ai Colossesi (Biblia NT 11), Edizioni Dehoniane,
Bologna 1999, LIV-158 pp., L. 45.000.
Segalla Giuseppe, Lettera ai romani. Traduzione strutturata. Analisi letteraria e narrativa (Sussidi biblici 69), Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1999,
89 pp., L. 18.000.
Segalla Giuseppe, Vangelo secondo Giovanni. Traduzione strutturata (Sussidi
biblici 56), Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1997, 130 pp., L. 18.000.
Sgargi Giorgio, Lettera ai Colossesi (Biblia NT 11), Edizioni Dehoniane,
Bologna 1999, LIV-158 pp., L. 45.000.
Sieg Franciszek et alii, Studies on the Bible. To Commemorate the 400th
Anniversary of the Publication of Jakub Wujek Translation of the Bible 15991999, Bobolanum, Warszawa 2000, 344 pp.
Stager Lawrence E. - Greene Joseph A. - Coogan Michael D., The
Archaeology of Jordan and Beyond. Essays in Honor of James A. Sauer
(Harvard Semitic Museum Publications. Studies in the Archaeology and
History of the Levant 1), Eisenbrauns, Winona Lake 2000, XVI-529 pp., $
85.00.
Taylor Justin, Les Actes des deux Aptres. IV: Commentaire historique (Act.
1,18,40) (tudes Bibliques Nouvelle Srie 41), Editions J. Gabalda et Cie,
Paris 2000, XXXII-245 pp., F 190.

608

LIBRI RICEVUTI

Tettamanzi Dionigi, Il tempo della missione della Chiesa. Meditazione sulla


Pentecoste (Piemme religione), Edizioni Piemme, Alessandria 2000, 167 pp.,
L. 20.000.
Thiel Winfried, Knige (Biblischer Kommentar. Altes Testament IX/2.1),
Neukirchener Verlag, Neukirken - Vluyn 2000, 80 pp.
Tuckett Christopher M. (ed.), The Scriptures in the Gospels (Bibliotheca
Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium 131), Leuven University Press,
Leuven 1997, XXIV-721 pp., FB 2400.
Van Voorst Robert E., Jesus Outside the New Testament. An Introduction to
the Ancient Evidence, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand
Rapids, Michigan - Cambridge, U.K. 2000, XIV-248 pp., $ 22.00, 12.99.
Verheyden Joseph (ed.), The Unity of Luke-Acts (Bibliotheca Ephemeridum
Theologicarum Lovaniensium 142), Leuven University Press, Leuven 1999,
XXV-828 pp., FB 2400.

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM


ANNO ACCADEMICO 1999-2000

LA 50 (2000) 609-621

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM


ANNO ACCADEMICO 1999 2000

I. STUDENTI
Nellanno accademico 1999 2000 hanno frequentato lo Studium Biblicum
Franciscanum 64 studenti, di cui 44 ordinari, 12 straordinari, 8 uditori. Due
studenti hanno difeso la tesi di laurea e dieci hanno conseguito la licenza.

Tesi di Licenza
ABI-AAD R., Le Liban dans lAncien Testament Histoire et images, 103 pp.
(moderatore: A. Niccacci).
ARIAS M., Las ltimas dos copas del Apocalipsis. Un estudio exegticoteolgico de Ap 16,12-21, 138 pp. (moderatore: F. Manns).
CASTILLO S., Yo soy la vid, vosotros los sarmientos (Jn 15,1-17), 105 pp.
(moderatore: F. Manns).
CHIOVARO V., La Sapienza ordine di relazioni. Lettura esegetica di Sap 8,221 e Sir 51,13-30 nel contesto sapienziale, 94 pp. (moderatore: A. Niccacci).
DE LUCA S., La predicazione agli spiriti in prigione in 1Pt 3,18-20a e i suoi
influssi sulla concezione del descensus ad inferos nei primi secoli, 123 pp.
(moderatore: F. Manns).
GARAU A., Deuteronomio 4,1-40. Una delle formulazioni definitive del monoteismo mosaico, 88 pp. (moderatore: E. Cortese).
RENDN G., La enseanza de Jess sana y libera. Estudio exegtico de Lc
13,10-17, 149 pp. (moderatore: G.C. Bottini).
SZYMANSKI P., Nagroda dla zwyciezcy w listach do ksciow (Ap 2-3), 106
pp. (moderatore: L.D. Chrupcaa).
VELASCO A., Autoridad y servicio. Ensayo exegtico-teolgico de Lc 22,2430, 98 pp. (moderatore: G.C. Bottini).
WJTOWICZ R., Studio esegetico di Ap 21,1-5b. Ecco la tenda di Dio con
gli uomini, 122 pp. (moderatore: F. Manns).

612

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

Tesi di Laurea
NALUPARAYIL Jacob Chacko, The Identity of Jesus in Mark, Jerusalem, 1999,
xviii 746 pp. (patrono: N. Casalini; correlatore: G.C. Bottini; censore: G.
Bissoli).
Who is Jesus according to the gospel of Mark? A variety of answers have been
given to this question in the course of Markan research, each one emphasizing
a particular aspect of Marks presentation of Jesus. As a consequence, there
appears to be no consensus on the Markan Christology. It is against this background that the present dissertation, under the title The Identity of Jesus in
Mark, attempts to answer the question of Jesus identity.
This dissertation progresses in three stages, each stage forming a part of
the thesis, viz., part I, preliminary investigations, part II, Jesus of the Markan
narrative, and part III, Jesus-Son of Man is Christ the Son of God.
Part one: Preliminary Investigations. This part of the thesis is intended to
prepare the necessary background for the research as such. It comprises of
three chapters. Chapter one undertakes mainly a survey of scholarly research
on the question of Jesus identity in Mark and evaluation of the current methodologies. It produces two prominent results.
One, among the different Christological theories, the Son of God
Christologies which emphasize the title Son of God, and the Son of Man
Christologies which acknowledge the predominance of the Son of Man,
dominate the present Christological discussion. In addition, the attempt to negotiate a balance between these two poles is found in the polar Christology
and the integrative Christology.
Two, an evaluation of the prevalent methodologies leads us to the decision
to apply in this research a combined methodology of narrative criticism and
synoptic comparison.
Q and pre-Markan collections constitute two streams of pre-Markan tradition. In chapters two and three I attempt to compare the Christology of these
two streams of pre-Markan tradition with that of Mk. These comparisons
should enable us to arrive at some preliminary indications on the prominent
Christological trends of Mark. The outstanding results of these two comparisons are the following.
One, Mk shares in the pre-Markan traditions common heritage of employing the designation the Son of Man as the name of the divine person
present in Jesus of Nazareth, by sustaining its distinctive feature as the unique
and exclusive self-designation of Jesus. Two, all other Christological titles in
the pre-Markan tradition play a qualifying role to the divine name the Son of
Man. Mk appears to elaborate this pre-Markan Christological speciality by
developing the two titles the Christ and the Son of God as confessional
Christological titles. Three, Mk uses one sphere of the Son of Mans life-his-

ANNO ACCADEMICO 1999-2000

613

tory, viz., his destiny of death-resurrection which is his earthly mission, in order to elucidate the confessional Christological titles of the Christ and the Son
of God.
In part two of the dissertation, I try to answer the question of Jesus identity by making use of narrative criticism. I concentrate here on three narrative
elements of Mark. Each of these narrative elements constitutes a subsequent
chapter of the thesis: chapter 4, the plot of Mark and Jesus; chapter 5, points
of view and Jesus; and chapter 6, Jesus the protagonist of Mark.
The important results of narrative analysis can be thus summarized. The
development of the plot with its corresponding affective response in the reader
displays that Jesus is the divine Son of Man, whose way is entrusted with
the reader in order to be followed. Points of view of God, Jesus, and the narrator converge, providing us with a reliable answer that Jesus is the divine Son
of Man on earth. The reconstruction of the character Jesus through analysis of
his character traits testifies that the Son of Man operates as the name of the
divine person present in Jesus of Nazareth. Thus the narrative analysis has
shown that the Son of Man functions as the name of the divine person
present in Jesus and consequently the identity question stands definitely answered that Jesus is the divine Son of Man on earth.
Part three is designed to investigate closely into the two principal designations of Jesus, viz., the Son of Man and Christ the Son of God.
In chapter 7, i.e., Jesus-the Son of Man, I take a closer look at the exclusive features of the Son of Man by analyzing all instances of the Son of Man
designation in Mk. This enables us to expose all what Mk wants to communicate to the reader about his protagonist, Jesus-Son of Man, i.e., features of his
personality, his earthly mission, his divine power, his destiny, his pre-existence,
his future office etc. The most important result is the following. The protagonist of Mk, Jesus of Nazareth, has the self-consciousness that he is the heavenly Son of Man on earth, whose life span comprises of three phases, i.e., his
earthly life, his existence prior to his coming on earth, and his future coming
at eschaton.
Now, the remaining question is about the relation between the designations
the Son of Man and the Son of God. What is the meaning and function of
the Christ, the Son of God in its association with the name the Son of
Man? To find an answer to this question, chapter 8, i.e., Jesus, the Christ the
Son of God, takes up all instances of the title the Son of God and its equivalents. As a result, we discover that the Son of Man is Gods Son or the Father
of the Son of Man is God. While the Son of Man stands for the identity of
the divine person, the titles the Christ and the Son of God play qualifying
roles to the person, expressing one or other aspect of the Son of Man. These
two titles are used in Mk as confessional titles to the person, Jesus-Son of Man.
In addition, one finds in the narrative a systematic reinterpretation of the
Christ, the Son of God with the earthly phase of the Son of Mans life, i.e.,

614

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

his destiny of suffering, death, and resurrection. In other words, the earthly
phase of the Son of Mans life is used to expose the significance of these two
confessional titles.
The following thesis is formulated as the final conclusion: according to
Mk, Jesus is the Son of Man on earth (2:10). The designation the Son of Man
stands for the identity of the divine person present in Jesus of Nazareth. It functions as the name of the divine person whose earthly name is Jesus. This thesis
is anchored on the textual evidence of a unique feature of the designation the
Son of Man. That is, it is consistently used in Mk as the unique and exclusive
self-designation of Jesus. It is used only for Jesus and only by Jesus. By means
of the narrative analysis we discovered that the narrator guides the reader towards the perception that the divine person present in Jesus of Nazareth as the
Lord (1:2-3) and the beloved Son of God (1:11) is the Son of Man on earth
(2:10, 28). Moreover, in the world of story Jesus considers himself to be the
heavenly Son of Man on earth. That means, the protagonist of the story of
Mark has the self-perception that he is the Son of Man. That the narrative noun
the Son of Man operates as the locus of all supernatural traits of the protagonist confirms it as his divine name. In short, what the narrator recounts is
the story of the Son of Man, whose life span comprises of three phases: his
earthly life, his future coming at eschaton, and his existence prior to his coming on earth (J.C. N.)
DOUGHERTY Damien R., Isaian Servant, Lucan Savior. The Use of Isaiah
52,13-53,12 (LXX) in Luke-Acts and the Meaning of the Death of Jesus, Jerusalem 1999, XVIII-321 pp. (patrono: G.C. Bottini; correlatore: A.M. Buscemi;
censore: F. Manns).
Table of Contents
Chapter One: Theologia crucis, Theologia gloriae: State of the Vexata Quaestio.
Chapter Two: The servant of Yahweh in Deutero-Isaiah.
Chapter Three: Jesus reckoned with the wicked. Isaiah 53,12d in Luke 22,37
and 23,33-34.
Chapter Four: Jesus humiliated and exalted. Isaiah 53,7-8 in Acts 8,32-33.
Chapter Five: Jesus Servant and Righteous. Isaiah 52,13 and 53,11-12 in
Acts 3,12-26 and 4,27.30.
Conclusions
This dissertation was undertaken in an attempt to respond to a genuine
need which came to the surface as a result of our rather extensive survey to
examine the history of the Theologia crucis/Theologia gloriae issue as well as
the entire spectrum of theories concerning the nature of the soteriology that
emerges from Luke-Acts and the many and varied explanation for presumed

ANNO ACCADEMICO 1999-2000

615

omissions. As the debate over whether or not Luke-Acts attributes an expiatory value to the death of Jesus has endured for well over a century and a half
and appeared deadlocked, it was decided to approach the solution of the problem from a rather novel route, taking the lead from a preliminary article of
G.C. Bottini who contended that the manner in which Luke utilized allusions
and citations to the Deutero-Isaian Suffering Servant Songs in the course of
his narrative could serve as a key to a deeper comprehension of Lucan
soteriology.
To the degree that exegetes apprehend and utilize the paradigm of the Suffering Servant in their comprehension of the Lucan passion narrative, they will
subscribe to an interpretation of Luke that will enable them to perceive and to
appreciate his soteriology of the salvific value of the death of Jesus as a vicarious expiation for sin. The evidence for the Lucan utilization of the Suffering Servant title-theme which permeates the Gospel and the Acts of the
Apostles is far too strong to be ignored and, once it is studied comprehensively, it must be appreciated as the interpretative key to an understanding of
the expiation for sin accomplished through the crucifixion and death of Jesus.

II. NUOVI VOLUMI NELLE SERIE DELLO SBF


I. Pea, Lieux de plerinage en Syrie du IVe au VIe sicle (SBF Collectio Minor
36), Jerusalem 2000.
A.M. Buscemi, Gli inni di Paolo. Una sinfonia a Cristo Signore (SBF Analecta
48), Jerusalem 2000.
J.C. Naluparayil, The Identity of Jesus in Mark. An Essay on Narrative
Christology (SBF Analecta 49), Jerusalem 2000.
G.C. Bottini, Giacomo e la sua lettera. Una introduzione (SBF Analecta 50),
Jerusalem 2000.
S. Loffreda, Ceramica del tempo di Ges. Vasi della Terra Santa nel periodo
romano antico (63 a.C. 70 d.C.) (SBF Museum 14), Jerusalem 2000.
Liber Annuus 49 (1999) 600 pp.; 48 pls.

III. PUBBLICAZIONI DI TESI PRESENTATE ALLO SBF


NALUPARAYIL Jacob C., The Identity of Jesus in Mark, Jerusalem 2000,
XVIII, 636 pp.

616

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

IV. ATTIVIT ARCHEOLOGICA

Scavi e restauri in Giordania


Come di consueto riportiamo la relazione del direttore della missione
archeologica dello SBF al Monte Nebo, P. Michele Piccirillo.

La campagna archeologica 2000


Alla campagna hanno partecipato: padre John Abela, Garbo Younes, padre
Mariano Bernard Arndt, padre Carmelo Pappalardo, Martina Poller, Anthony
Farrugia, Vincent Michel, Chiara Sanmor, Samanta De Ruvo, Marcello Forgia, Stefano Zamboni, padre Stephen Sciberras.
I partecipanti sono stati impegnati sul Monte Nebo, a Umm al-Rasas e a
Massuh. A Nitl, limpegno si esaurito nella precisazione del rilievo architettonico del complesso.
Sul Monte Nebo. In occasione dellanno giubilare del 2000, stato lastricato lingresso al santuario in relazione con il monumento/monolito in pietra
di Vincenzo Bianchi. Dopo la visita del 20 Marzo, il monumento stato dedicato a Papa Giovanni Paolo II in ricordo del suo pellegrinaggio. Per non intralciare il normale scorrimento dei pellegrini sempre pi numerosi, che
visitano il santuario, stato aperto un nuovo ingresso di servizio al conventino
francescano sul lato meridionale della montagna.
Il gruppo di studio finanziato dal Ministero degli Affari Esteri dItalia ha
continuato la ricerca per definire il progetto di restauro del Memoriale di Mos.
Limpegno maggiore dellanno giubilare si incentrato sul Mount Nebo
Interpretation Center, la sala espositiva ricavata in un ampio ambiente dellala
orientale del monastero bizantino dove i pellegrini avranno una visione dinsieme della storia del santuario e della montagna.
Umm al-Rasas. Lo scavo si concentrato nel cortile tra la Chiesa di San
Paolo a Nord e la cappella dei Pavoni a Sud, riportando alla luce un ambiente
che si sviluppa in profondit su tre piani ad archi sovrapposti in relazione con
il vicino pressoio per il vino. Con buona probabilit da identificare con la
cantina del complesso vinario.
Una trincea di saggio di controllo stata aperta sullangolo di sud ovest
della Chiesa dei Leoni.
Massuh. In cooperazione con il Dipartimento delle Antichit abbiamo seguito lo scavo di una nuova chiesa di pianta basilicale identificata a nord delle
rovine e rilevato il cimitero con tombe ipogee scavate nella roccia che si sviluppa a nord est e a sud ovest del khirbat.

ANNO ACCADEMICO 1999-2000

617

La chiesa del VI secolo fu mosaicata con donativi di Epifanio e della sua


famiglia.
Scavi e restauri nel Vicino Oriente. Continua limpegno per il restauro di
Qasr Hisham a Gerico in collaborazione con lUNESCO e il CISS (Collaborazione Italiana Sud Sud). Il progetto triennale, di cui padre Michele Piccirillo
direttore scientifico, finanziato dalla Cooperazione Italiana del Ministero
degli Affari Esteri.
Continua anche limpegno per lo scavo e il restauro del santuario di
Amwas-Nicopolis.
Nel mese di luglio si svolto sul Monte Nebo il primo progetto di cooperazione tra gli studenti palestinesi del Jericho Workshop e quelli della Madaba
Mosaic School, con linizio del restauro del mosaico della Chiesa di San Giorgio a Khirbat al-Mukhayyat.

Operazioni di restauro
Restauro del soffitto della Grotta del Getsemani. Gli affreschi di epoca medievale che decorano la volta della Grotta del Getsemani sono stati ripuliti e restaurati da una quipe di restauratori italiani durante i mesi di febbraio e marzo.
Pulitura dei mosaici del Calvario. Gli studenti del Jericho Workshop, sotto la direzione dellesperto Franco Sciorilli, hanno portato a termine la pulitura dei mosaici della volta e delle pareti della Cappela del Calvario.
Restauro dei cervi della Basilica dellAgonia. Il Grande Giubileo del 2000
iniziato con una amara sorpresa per i frati della comunit al servizio del santuario del Getsemani. La mattina dell11 febbraio, scoprirono che durante la
notte ladri audaci avevano divelto i due cervi dal frontone della basilica, mutilandoli barbaramente, perch gli zoccoli dei due animali erano restati inchiodati al loro posto. Un pronto intervento della polizia palestinese condusse,
qualche giorno dopo, al ritrovamento delle due sculture, opera pregevole di
Duilio Cambellotti. I due cervi erano privi delle corna, e con le zampe spezzate. Domenica 17 settembre, festa delle Stimmate di San Francesco, giunto a
Gerusalemme, via Monte Nebo, lo scultore Vincenzo Bianchi accompagnato
dai suoi aiutanti i signori Giovanni Venditti e Annino Cucciniello di Isola Liri.
I due cervi sono stati restaurati e rimessi al loro posto.
Spada di Goffredo di Buglione. E stato eseguito il calco della spada di
Goffredo di Buglione chiesto al padre Custode di Terra Santa dai Cavalieri del
Santo Sepolcro. Dopo aver chiarito le modalit economiche e tecniche, il calco stato eseguito dai tecnici dellIsrael Museum. La spada gi tornata nella
sacrestia del S. Sepolcro.
Restauro di libri. In occasione della mostra In Terra Santa. Dalla Crociata alla Custodia dei Luoghi Santi, su richiesta del Direttore del Museo, il Centro di Fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di Stato di Roma ha

618

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

restaurato le seguenti opere librarie: Zuallart, El Devoto Viaje; Conductas


1615-1720; Trattato delle Piante di Fra Bernardino Amico, Roma 1609; Trattato delle Piante di Fra Bernardino Amico, Roma 1620 (nuova acquisizione);
Elucidatio Terrae Sanctae di Padre Francesco Quaresmi, I-II Voll., Antverpiae
1639.
Segnaletica nei santuari. Finora stato possibile terminare due grandi pannelli esplicativi in inglese per il santuario di Cafarnao e due bilingui, in arabo
e inglese, per il Monte Nebo, provvisti di una struttura portante in metallo.
Placche in ottone con testo in inglese, sono state eseguite per i due santuari
del Getsemani (Grotta del Tradimento e Basilica dellAgonia) e uno per
Cafarnao. Lo scopo quello di dare ai visitatori, a nome della Custodia di Terra Santa, responsabile del santuario, le informazioni essenziali: lepisodio
evangelico ricordato, la testimonianza pi antica dei pellegrini, gli scavi eseguiti, ci che si pu visitare.

V. BIBLIOTECA
Linformatizzazione continua a pieno ritmo e di pari passo procede il controllo
e la revisione di tutti i dati immessi nel computer. Gli utenti possono usufruire
di un tempo prolungato di accesso alla Biblioteca e di strumenti di ricerca aggiornati. Si dotata la prima sala di Consultazione, accanto allingresso, di un
computer in grado di leggere anche i CD-Rom che vengono a far parte del
patrimonio librario della Biblioteca.
Nel periodo settembre 1999 giugno 2000 sono entrati 1264 volumi: 519
allinterno delle collane, 511 volumi monografici, 234 in dono. Un notevole
lavoro durante lanno stato quello di recuperare titoli ordinati negli ultimi
anni ma mai arrivati.

VI. MUSEO
Nuove acquisizioni: peso di epoca bizantina con facciata di chiesa; peso di
epoca bizantina II+B; quattro scrapers da Tuleilat al-Ghassul.
Mostre. Gran parte degli oggetti esposti nella mostra: In Terra Santa. Dalla
Crociata alla Custodia dei Luoghi Santi, Palazzo Reale, Milano 17 febbraio 24 giugno 2000, provengono dalle collezioni del Museo dello SBF. Oggetti
dello stesso Museo sono stati esposti nelle seguenti mostre: Romei e Giubilei, Roma, Palazzo Venezia 1999; The Cradle of Christianity, The Israel
Museum, Jerusalem 2000; Truly Fake. Moses Wilhem Shapira, Master
Forger, The Israel Museum, Jerusalem, 2000.

ANNO ACCADEMICO 1999-2000

619

VII. AVVENIMENTI DI RILIEVO


Il giorno 6 novembre 1999 ha luogo, in presenza del Nunzio apostolico mons.
Pietro Sambi, la difesa della tesi di Jacob C. Naluparayil (India).
L8 novembre 1999, memoria del Beato Giovanni Duns Scoto, P. Castor
Garca, Vicario custodiale, presiede la solenne concelebrazione a cui segue la
prolusione di P. Paolo Garuti OP, docente allEBAF di Gerusalemme, dal titolo Sapienza di parole, sapienza della Parola. Retorica antica e Nuovo Testamento.
Il 21 novembre vengono presentati al Christian Information Centre i due
libri di M. Piccirillo e E. Alliata dedicati al Monte Nebo e alla Carta di
Madaba.
Numerosi docenti e studenti dello SBF partecipano nella chiesa di Saint
Etienne il 27 novembre al funerale di P. R. J. Tournay OP, professore e direttore emerito dellEBAF, deceduto il 25.
Il 17 dicembre sono nostri ospiti a pranzo il Ministro generale, P. Giacomo Bini e il definitore generale P. Peter Williams. Sono presenti anche P.
Dobromir Jazstal e il P. Custode di Terra Santa, P. Giovanni Battistelli.
Il giorno 20 dicembre ha luogo la difesa della tesi di Damien Dougherty
ofm (USA).
Il 17 febbraio 2000 arriva allo SBF P. Marco Adinolfi che rester allo SBF
fino a Pasqua per tenere un corso di esegesi di NT come professore invitato. A
distanza di una settimana, il 24 febbraio, giunge anche mons. Giuseppe
Segalla, professore di Sacra Scrittura nella Pontificia Facolt Teologica dellItalia Settentrionale. Egli terr due corsi nel II semestre e si fermer per un
periodo di studio durante lestate.
Il 9 marzo ci lascia don Enzo Cortese per rientrare in diocesi dopo un quinquennio di insegnamento allo SBF come professore invitato. Gli esprimiamo
la riconoscenza e la stima di colleghi e studenti.
Pellegrinaggio giubilare del Papa in Terra Santa dal 22 al 26 marzo. Vengono sospese le lezioni per permettere a studenti e docenti di partecipare alle
varie celebrazioni. I membri dello SBF sono stati impegnati in vari modi nella
preparazione e nello svolgimento della visita papale.
Giunge la lieta notizia che il 25 marzo il Santo Padre ha nominato vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza (Italia) P. Rodolfo Cetoloni ofm, studente
presso lo SBF negli anni 1971-1973. P. Rodolfo ha conservato un legame molto stretto con la Terra Santa e con lo SBF. Il 14 giugno riceviamo una notizia
dello stesso genere. Il Papa ha nominato vescovo di Cachoeira do Sul (Brasile) P. Irineu Slvio Wilges ofm. Il neo-eletto ha trascorso un periodo sabbatico
a Gerusalemme ed ha frequentato lo SBF nellanno accademico 1991-1992.
Dal 22 giugno al 3 luglio ha luogo lescursione in Turchia organizzata dallo SBF. Vi partecipano una quindicina di persone (studenti e docenti). Lescursione era stata preparata da un seminario nel corso dellanno accademico.

Dal 3 luglio al 25 agosto si svolge il corso intensivo di ebraico moderno


(ulpan) per principianti. Le lezioni sono state tenute dalla signora Edna
Kadman, professoressa israeliana, e hanno avuto luogo presso il convento di
San Salvatore (sede dello STJ) per un totale di 160 ore di lezione. Hanno partecipato a questo corso 15 studenti provenienti da 9 paesi. Il corso stato organizzato da P. Jerzy Kraj, Moderatore dello STJ.
Durante il mese di settembre E. Alliata e P. Kaswalder hanno guidato un
folto gruppo di alunni del PIB di Roma in una nuova esperienza di studio in
Terra Santa: un corso di archeologia-geografia. Il corso stato alternato fra
lezioni ed escursioni ai siti archeologici.
Ricordiamo come graditi ospiti e visitatori dello SBF: un gruppo di studenti cappuccini provenienti da Modena e da Villafranca sotto la guida di P.
Oriano Granella, fondatore e direttore della rivista Eteria (1. 12. 1999); lo studioso Paolo Pieraccini (5. 12. 1999); gli ex alunni B. Rossi e V. Cottini (Capodanno 2000); prof. B. Pirone dellIstituto Orientale di Napoli per un soggiorno
di studio di tre settimane (gennaio 2000); P. Jos Carballo, nostro ex alunno e
ora Segretario generale per la formazione e gli studi OFM (30. 01. 2000);
mons. Jean-Bosco Ntep vescovo della diocesi di Eseka (Camerun) (26. 03.
2000); V. Chiovaro, ex alunno (2. 05. 2000); mons. Vicente Zico, arcivescovo
di Belm (Brasile), e mons. Carlos Verzeletti suo Vescovo ausiliare insieme ad
alcuni docenti del seminario diocesano (14. 05. 2000); mons. Pierre dOrnellas,
vescovo ausiliare di Parigi, accompagnato dallex alunno P. Faure (17. 05.
2000); gli ex alunni G. Rizzi e J. Loureno Duarte (29. 05. 2000); prof. Daniela Fabrizio della Statale di Milano (17. 06. 2000); prof. G. Ligato per soggiorno di studio (luglio 2000).

TAVOLE

Y. Hirschfeld
J. Patrich
L. Bonato
M. Emery
C. Sanmor
C. Pappalardo
G. Bisheh
E. Gautier di Confiengo
I. Pea
M. Piccirillo

The Monastery of Chariton


1 - 26
A Chapel of St. Paul at Caesarea Maritima 27 - 30
Le clotre des Franciscains Bthleem

31 - 38

Ceramica dal monastero della Theotokos


Two Umayyad Mosaic Floors from Qastal
La catechesi figurata nei mosaici
Hospederas rurales en la Siria bizantina
Ricerca in Giordania XX - 2000

39 - 42
43 - 46
47 - 50
51 - 52
53 - 68

Y. HIRSCHFELD

Photo 1 The gorge of


Nahal Tekoa (Wadi
Khureitun) as seen from
the monastery, looking
southeast.

Photo 2 The cave of elMaaza to the south of the


monastery of Chariton
(the entrance to the cave
is marked with an arrow),
looking south.

THE MONASTERY OF CHARITON

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 3 Aerial view of the core of the laura, looking west.

Photo 4 The wall descending to the southern tower, looking south.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 5 (left)
The chancel
screen post
found in the
core of the
laura.
Photo 6 (right)
The stone base.

Photo 7
Remains of
vaults in the
northern tower,
looking
northwest.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 8 The southern tower,


looking northeast.

Photo 9 Lateral section of


the southern tower, looking
at the south wall.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 10 Remains of the


northeastern tower, looking
west.

Photo 11 The monastery of


Mar Saba, looking northwest
(courtesy Israel Antiquities
Authority).

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photos 12 The large reservoir known as Bir el-Uneiziya, looking northeast.

Photos 13 The large reservoir known as Bir el-Uneiziya, looking northwest.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 14 The southern wall of the reservoir, looking northeast.

Photo 15 The interior of the reservoir, looking northeast.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 16 The vaulted room in


the western part of the
reservoir, looking north.

Photo 17 The cross under the


southern vault of the reservoir,
looking east.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 18 The retaining wall


of the large terrace along the
ravine descending to Nahal
Tekoa, looking northwest.

Photo 19 The opening of a


ceramic pipe, found in the
cistern of Cell 1.

10

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 20 The two large


adjacent cells (Nos. 45), with
Cell 8 on their right, looking
north.

Photo 21 The vaulted cistern in


the foundations of Cell 4,
looking east.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 22 The two arches


supporting the ceiling in the
foundations of Cell 5. Note
the opening for the drawing
of water at the apex of the
vault.

Photo 23 The floor of the


cistern below Cell 7,
looking east.

11

12

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 24 Cell 14, looking


northwest.

Photo 25 The Hanging


Cell (No. 21), looking
northeast.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 26 The cistern in the


foundations of the Hanging Cell,
looking west.

Photo 27 A quarry, looking north;


note the building stone lying at its
base.

13

14

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 28 A vault above a small spring near Cell 35, looking west.

Photo 29 View from outside Cell 31, looking southwest.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 30 The
cistern below Cell
31, looking
northwest.

Photo 31 Cell 39,


looking northwest.

15

16

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 32 The cistern below Cell 39, looking east.

Photo 33 Ein en-Natuf, looking south.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 34 A pool at Ein enNatuf, looking southeast.

Photo 35 General view of


the Hanging Cave, looking
south. The upper alcove is
marked by an arrow.

17

18

Photo 36

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

The trowel.

Photo 37
The rock platform in front Photo 38
The retaining wall along
of the Hanging Cave, looking east. the path, looking southwest.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

19

The two pools at the


Photo 39
The agricultural terrace on Photo 40
the platform in front of the Hanging entrance to the Hanging Cave,
looking east.
Cave, looking east.

Photo 41
The openings of the Hanging Cave, looking northeast. Note the
central cistern being uncovered under the floor.

20

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 42
The interior of
the lower level of the
Hanging Cave, looking
east.

Photo 43
The opening
leading to the upper level,
looking southeast.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 44
The interior of the
upper level, looking
northwest.

Photo 45
The niche in the
northwestern wall of the
cave, looking southwest.

21

22

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 46
The niche under the
opening to the alcove, looking
northwest.

Photo 47
The cavity in the floor
beside the niche, looking
northwest.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 48
Hewings in the
rock in the southern wall of
the cave, looking southeast.

Photo 49
The alcove and the
mouth of the upper level of
the cave, looking east.

23

24

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 50
A rock-hewn niche
below the alcove, with a
cross above it.

Photo 51
The tethering hole
in the rock below the alcove,
looking down.

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 52
The alcove, looking east.
Note the crosses and monograms
painted in the eastern wall.

Photo 53
The opening of the
alcove, looking west.

25

26

Y. HIRSCHFELD THE MONASTERY OF CHARITON

Photo 54
Crosses and monograms painted on the plaster of the eastern side
of the alcove.

Photo 55

A monogram painted in red below the three crosses.

J. PATRICH

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA

Photo 1 The Praetorium of Herod (aerial photo).

Photo 2 Eulogia bread stamp of St. Paul from Caesarea.

27

28

J. PATRICH

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA

Photo 3
Upper story
debris in the E part of
the dolia hall.

Photo 4
Fallen sarcophagus at the entrance of
Vault 7.

J. PATRICH

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA

Photo 5
St. Menas
flask from Caesarea.

Photo 6
St. Symeon the Elder flask
from Caesarea.

29

30

Fig. 14-15
in Caesarea.

J. PATRICH

A CHAPEL OF ST. PAUL AT CAESAREA

A drawing of the ampullae of St. Menas and St. Symeon found

L. BONATO - M. EMERY

Fig. 1

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Lettre de J. B. Guillemot. Page 2.

31

32

L. BONATO - M. EMERY

Fig. 2

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Lettre de J. B. Guillemot. Page 3.

L. BONATO - M. EMERY

Fig. 3

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Lettre de J. B. Guillemot. Page 4.

33

34

L. BONATO - M. EMERY

Fig. 4

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Lettre de J. B. Guillemot. Page 7.

L. BONATO - M. EMERY

Fig. 5

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Lettre de J. B. Guillemot. Page 8.

35

36

L. BONATO - M. EMERY

Fig. 6

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Lettre de J. B. Guillemot. Page 9.

L. BONATO - M. EMERY

Fig. 7

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Lettre de J. B. Guillemot. Page 10.

37

38

L. BONATO - M. EMERY

LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM

Fig. 8
Le clotre de
Bethlem pendant les
travaux de restauration
excuts par larch. A.
Barluzzi (1948-1951).
Bagatti, Gli Antichi
edifici, Fot. 74.

Fig. 9
Le clotre de
Bethlem aprs sa
restauration. Bagatti, Gli
Antichi edifici, Fot. 77.

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

Foto 1

Ambiente E4.

Foto 2
Il forno.

Ambiente E4.

AYN AL-KANISAH

39

40

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

AYN AL-KANISAH

Foto 3
E2.

ambiente

Foto 4
ambiente
E5 con armadio e
sedile.

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

AYN AL-KANISAH

Foto 5

Area D. Veduta generale da nord.

Foto 6

Kn 554-587-631.

41

42

C. SANMOR - C. PAPPALARDO

AYN AL-KANISAH

Foto 7 e 8
698-730.

Kn 697-

Foto 9 (in basso a


sinistra)
Kn 550809 e Kn 705-706657-728.
Foto 10 (in basso a
destra)
Kn 943

GH. BISHEH

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

Photo 1

Qastal - Jordan. The excavated rooms.

Photo 2

Qastal - Jordan. General view of the excavation.

43

44

GH. BISHEH

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

Photo 3

Qastal - Jordan. The northern rooms.

Photo 4

Qastal - Jordan. The mosaic in room 3.

GH. BISHEH

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

Photo 5

Qastal - Jordan. The circle in the northern room.

Photo 6

Qastal - Jordan. The basin in room 4.

Photo 7

Detail of room 2.

Photo 8

Detail of room 2.

45

46

GH. BISHEH

TWO UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL

Photo 9
pottery.
Photo 10-11
fragments.

Umayyad
Stucco

E. GAUTIER

Foto 1

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

Umm al-Rasas. Chiesa del Vescovo Sergio, il tappeto musivo.

47

48

E. GAUTIER

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

Foto 2a

Umm al-Rasas. Chiesa del Vescovo Sergio, lAbisso (X registro).

Foto 2b

Umm al-Rasas. Chiesa del Vescovo Sergio, la terra (I registro).

E. GAUTIER

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

49

Foto 3a
Umm al-Rasas. Chiesa del Vescovo Sergio, luomo con il lettuccio
sulle spalle (VII registro).

Foto 3b
Umm al-Rasas. Chiesa del Vescovo Sergio, chiesa con porte
gemmate (IX registro).

50

E. GAUTIER

LA CATECHESI FIGURATA DEI MOSAICI

Foto 3c
Umm al-Rasas. Chiesa del
Vescovo Sergio, chiesa doppia (V
registro).
Foto 4a
Umm al-Rasas. Chiesa del
Vescovo Sergio, fenice (IX registro).
Foto 4b
Gabbiano da Madaba, la
Sala dellIppolito (VII registro).

I. PEA

HOSPEDERIAS RURALES

Fig. 1

Cheikh Soleyman: Hospedera junto al santuario de Santa Mara.

Fig. 2

Kaukaba: Hospedera civil.

51

52

I. PEA

HOSPEDERIAS RURALES

Fig. 3

El Kefeir de Jbel el-Ala: Grafitos en el muro de la hospedera.

Fig. 4

Hospedera del monasterio S-E en Telanisos.

AYN JADIDAH

Fig. 1

The Conders Circle at Ayn Jadidah on Mount Nebo.

53

54

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 1
Topographic plan of Khirbet
al-Mukhayyat created by A. Musil
(1907).

Fig. 2
Site plan detailing visible
architectural features as documented
by the Franciscan excavations.

KHIRBET AL-MUKHAYYAT

55

Fig. 3
Topographic plan of Khirbet alMukhayyat, excluding architectural
features.

Fig. 4
ArcView* Digital Elevation
Model of Khirbet al-Mukhayyat, with
colored contour intervals and relief
shading.

56

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 1. The new Topographical Map of Tell al-Mashhad in the Ayun Musa
Valley (by L. Aprile and F. Parenti).

AL-MASHHAD

Fig. 2. Tell al-Mashhad


Geoelectric Prospecting
of Area A.

Fig. 3. Tell al-Mashhad


Geoelectric Prospecting
of Area B.

57

58

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 4. Tell al-Mashhad. Room 3.

Fig. 5. Tell al-Mashhad. The Walls of Room 3.

JABAL HAROUN

Fig. 1. Jabal Haroun. The updated plan of the Monastic Complex of St.
Aaron.

59

60

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 2. Jabal Haroun. The baptismal font uncovered in Trench I.

Fig. 3. Jabal Haroun. The Nabataean/Roman structure uncovered in Trench K


(to the left), and the structure from Trench J (to the right). The remains of
the arch are in the center.

JABAL HAROUN

Fig. 4. Jabal Haroun. The northern part of the mosaic floor in the narthex.

Fig. 5. Jabal Haroun. The area of the excavations.

61

62

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 1. Umm al-Rasas. The excavated area south of the winery.

63
UMM AL-RASAS

Fig. 2. Umm al-Rasas. The excavated area south of the winery.

64

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 1. Massuh. La chiesa nord al termine dello scavo.

MASSUH

Fig. 2. Massuh. Il presbiterio della chiesa nord.

Fig. 3. Massuh. Liscrizione nella navata nord.

65

66

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 4. Massuh. La testa fogliata nellangolo di sud ovest della fascia.

Fig. 5. Massuh. Giovane cacciatore. Dettaglio del lato sud della fascia.

MASSUH

Fig. 6. Massuh. La testata della navata sud.

67

68

RICERCA IN GIORDANIA

Fig. 1. Qastal. The base of the minaret attached to the northwestern corner of
the Umayyad mosque.

Fig. 2. Qastal. The plan of the Umayyad mosque.

UMAYYAD MOSAIC FLOORS FROM QASTAL - Jordan

I. Qastal Jordan. A Lion


Pouncing on
the Back of
a Bull in
Room 2.

II. Qastal Jordan.


General Plan.

III. Qastal - Jordan.


Mosaic Floor in
Room 2. General View.
IV. Qastal - Jordan.
Duck Depicted in One
of the Corner Quartercircles of the Room 2.
Detail.

V. Qastal - Jordan.
Mosaic Floor in
Room 1. General View.
VI. Qastal - Jordan.
Partridge Depicted in
One of the Corner
Quarter-circles of
Room 1. Detail.

VII. Qastal - Jordan. Detail of the


Hunting scene (Leopard and
Gazzelle) from Room 1.
VIII. Qastal - Jordan. Bird
Depicted in One of the Corner
Quarter-circles of Room 2.

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