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Annual of the
Studium Biblicum Franciscanum
Jerusalem
LIBER ANNUUS
L
2000
JERUSALEM
Editor
Co-editors
Editorial Board
G. Claudio Bottini
Eugenio Alliata, L. Daniel Chrupcaa
Giovanni Bissoli, Marcello A. Buscemi, Nello Casalini,
Lino Cignelli, Pietro Kaswalder, Stanislao Loffreda,
Frdric Manns, Alviero Niccacci, Massimo Pazzini,
Michele Piccirillo, Rosario Pierri, Tomislav Vuk
1951-1999
40 volumes
40
"
59
"
14
"
ISSN 0081-8933
INDICE GENERALE
Articoli
A. Niccacci
V. Lopasso
25
37
53
F. Manns
N. Casalini
G. Segalla
G. Biguzzi
G. Bissoli
S. Lgasse
115
143
167
315
J. Patrich
363
L. Di Segni
383
L. Bonato
M. Emery
C. Sanmor
C. Pappalardo
G. Bisheh
E. Gautier di
Confiengo
I. Pea
401
411
431
439
453
459
Ricerca storico-archeologica
in Giordania XX2000
469
505
609
Tavole
1-68
ARTICOLI
A. Niccacci
Spirito-ra forza di vita che proviene da Dio. Svolge funzioni differenti: nel cosmo, negli animali, nellumanit e in Dio stesso. In quanto tale
costituisce una certa connaturalit tra il mondo divino, quello animale e
umano e il cosmo nel suo complesso. Ne risulta una visione integrata della
realt, che biblica ma che si riflette in modo speciale nella corrente
sapienziale.
Spirito-ra fra i termini biblici pi ricchi, come parola, vita, sapienza. Abbraccia una vasta gamma di significati senza che sia possibile tracciare confini precisi tra luno e laltro. Linterprete che voglia definirlo si
trova molte volte in difficolt. Significa vento (accezione cosmologica),
respiro (accezione zoologica e umana) oppure spirito (accezione teologica)?
Senza pretendere di definirlo con esattezza, far un panorama delle diverse funzioni che il termine ra svolge nellAntico Testamento. Mi atterr alle funzioni non strettamente teologiche. Non tratter cio la
funzione dello Spirito di Dio nei profeti, giudici ed eroi di Israele, re, Messia, che quella maggiormente illustrata dagli studiosi1.
1. Si consultino le voci di dizionario: Anchor Bible Dictionary, Holy Spirit, III, 260-280;
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A. NICCACCI
secca le acque, come in occasione del diluvio (Gn 8,1) o al passaggio del
Mar Rosso (Es 14,21; 15,8.10)?2 Oppure spirito-soffio proveniente da Dio,
inizio di vita e strumento di creazione (cf. 2)?3
La seconda possibilit preferibile per due motivi. Da un lato, quando
in Gn 1,9 si descrive la separazione delle acque dalla terraferma, non si
parla dello spirito-vento, ma la separazione avviene secondo lo schema
Dio disse e fu fatto. Daltro lato, il verbo usato per lo spirito di Dio
(meraepet), in Dt 32,11 viene usato per laquila che, dopo aver svegliato i
piccoli, si agita (yerap) sopra di essi4, allarga le ali e li prende sopra di
s5. Dunque il verbo si pu intendere in rapporto aglinizi della vita nel
cosmo. Commenta Rashi: Il Trono della Gloria stava in aria e aleggiava
sulla superficie delle acque con il vento della bocca del Santo, sia benedetto, e con la sua parola, come colomba che aleggia sul nido. Acoveter, in
lingua straniera6.
Nelle cosmogonie orientali il vento-aria ha funzione ordinatrice. Per gli
egiziani laria (il dio Shu) manteneva separata la terra (il dio Gheb) dal cie2. In Sal 18,16 la terminologia dellesodo del popolo viene usata per il singolo (David):
Le sorgenti delle acque divennero visibili, / si rivelarono le fondamenta della terra, / per la
tua minaccia, o Signore, / per il soffio del tuo furore (minnimat ra appek, lett. per il
soffio dello spirito del tuo naso; cf. 2 Sam 22,16).
3. Sullinterpretazione di Gn 1,2 si veda la ricerca di K. Smoroski, Et Spiritus Domini
ferebatur super aquas. Inquisitio historico-exegetica in interpretationem textus Gen. 1,2c,
I, Biblica 6 (1925) 140-156; II, 275-293; III, 361-395 (interpretazione giudaica; Padri
orientali; Padri occidentali; scrittori medievali e posteriori; esegesi), e anche F. Manns, Le
symbolisme eau-Esprit dans le judasme ancien, Jerusalem 1983, spec. 51-53.
4. Il verbo rp si trova anche in Ger 23,9 nel senso di scuotersi, agitarsi: Si spezzato
(nibar) il mio cuore, / dentro di me si sono scosse (rp) le mie ossa. Nel mito ugaritico
di Aqhat il verbo rp si dice delle aquile che volteggiano sul protagonista (cf. G. Del Olmo
Lete, Mitos y leyendas de Canaan segn la tradicin de Ugarit. Textos, versin y estudio,
Madrid - Valencia 1981, 624, s.v.).
5. Un bel testo di Qumran applica agli umili/fedeli lazione dello Spirito allinizio della
creazione: wl nwym rww trp wmwnym ylyp bkw Sugli umili alegger il suo Spirito
(= di Dio) e i fedeli rinnover con la sua forza (4Q521). Su questo e altri testi del
giudaismo esseno sullo Spirito di Dio si pu consultare E. Puech, LEsprit saint
Qumrn, LA 49 (1999) 283-297.
6. degno di nota il fatto che questo aleggiare sulle acque sia attribuito a una colomba,
piuttosto che a unaquila, come in Dt 32,11, non solo dai cristiani ma anche dai giudei: cf.
W. Hildebrandt, An Old Testament Theology of the Spirit of God, Peabody (MA) 1995, 3739. Il riferimento alla colomba si trova gi nel Talmud (Hagigah 15a: The Babylonian Talmud: Seder Moed, ed. I. Epstein, London 1938, 92) e nel Midrash (Midrash Rabbah:
Genesis, I, ed. H. Freedman - M. Simon, London 1939, 18). Per acoveter coprire,
aleggiare nel commentario di Rashi si veda J.C. Greenberg, Foreign Words in the Bible
Commentary of Rashi, rev. ed., Jerusalem 1992, 23; G. Sed-Rajna (ed.), Rashi 1040-1990.
Hommage Ephram E. Urbach, Paris 1993, 415 (in Is 5,5).
11
lo (la dea Nut)7. Nel racconto biblico una funzione simile svolta dal firmamento (raqa), che separa le acque inferiori da quelle superiori, mentre
laltra divisione, tra mari e terraferma, operata direttamente dalla parola
di Dio (Gn 1,9-10).
2) Spirito negli esseri viventi
Ogni carne in cui spirito di vita (ra ayym) (Gn 6,15).
Per la Parola del Signore i cieli furono fatti / e per lo spirito (ra)
della sua bocca tutti i loro ornamenti (Sal 33,6).
[29] Se nasconderai il tuo volto, verranno meno; / se ritirerai il loro
spirito (ram), moriranno / e alla loro polvere ritorneranno; [30] se
manderai il tuo spirito, saranno creati, / affinch tu rinnovi la superficie
della terra (Sal 104,29-30)8.
Se (Dio) porr verso di lui (= uomo) il suo cuore, / se il suo spirito e
il suo respiro (r wenimt) a s ritirer, / morir ogni carne insieme
/ e luomo alla sua polvere ritorner (Gb 34,14).
Lidea che la creazione avviene per la Parola del Signore o per il suo
Spirito riflette lo schema del primo racconto di creazione, attribuito allautore sacerdotale (Gn 1,1-2,4): Dio disse e fu fatto. unidea molto pura,
quasi filosofica, dellazione creatrice, per cui Israele si distingue tra le nazioni vicino-orientali antiche9. Il secondo racconto, attribuito allautore
7. Per liconografia della cosmogonia egiziana, e anche delle altre orientali, si consulti O.
Keel, The Symbolism of the Biblical World, New York 1978, cap. I, figg. 25-27: il dio
dellaria-Shu tiene separati la terra-Gheb (elemento maschile) e cielo-Nut (elemento
femminile); in qualche immagine il faraone prende il posto di Shu, cio compie la medesima
funzione cosmogonica ordinatrice (sostiene lordine del cosmo: figg. 20-21). Lam 4,20
esprime una concezione simile in termini israelitici: spirito del nostro naso (ra appn)
lUnto del Signore, cio il re fa vivere la nazione.
8. Lett.: [29] Nasconda tu (tastr) il tuo volto / ritiri tu (tsp) il loro spirito [30]
Mandi tu (tealla) il tuo spirito / affinch tu rinnovi (teadd) la superficie della terra.
Le forme verbali tastr, tsp e tealla sono yiqtol di prima posizione nella proposizione
con valore iussivo e funzionano come protasi (cf. P. Joon, A Grammar of Biblical Hebrew,
vol. 2, ed. T. Muraoka, Roma 1993, 167a), mentre il weyiqtol teadd dovrebbe indicare
lo scopo.
9. paragonabile, per quanto riguarda lEgitto antico, il cosiddetto Documento di teologia
menfita: cf., ad esempio, A.-M. Esnoul et al. (edd.), La naisssance du monde: Egypte
ancienne - Sumer - Akkad - Hourrites et Hittites - Canaan - Isral etc., Paris 1959, 17-91
(spec. pp. 62-64).
12
A. NICCACCI
La Sapienza personifica il piano della creazione che Dio, come un perfetto architetto, concepisce nei minimi dettagli prima di cominciare lopera
e poi realizza (cf. Prv 8; Gb 28 ecc.)11.
10. Cf. anche G. Baumann, Gottes Geist und Gottes Weisheit. Eine Verknpfung, in: H.
Jahnow et al. (edd.), Feministische Hermeneutik und Erstes Testament. Analysen und
Interpretationen, Stuttgart - Berlin - Kln 1994, 138-148; M. Priotto, Logos, Sophia,
Pneuma, Theotokos 8 (2000) 457-484.
11. Basti rimandare alla mia trattazione in La casa della Sapienza, Cinisello Balsamo (MI)
1994, 137-176.
13
nel giorno in cui furono creati. [3] Poi Adamo comp 130 anni e gener
(un figlio) a sua somiglianza, secondo la sua immagine, e lo chiam Set
(Gn 5,1-3).
Chi sparge il sangue delluomo, dalluomo il suo sangue verr sparso, poich a immagine di Dio (Dio) fece luomo (Gn 9,6).
12. Sap 2,23 presenta la destinazione delluomo allimmortalit come segno dellimmagine
di Dio: Perch Dio cre luomo per lincorruzione (aphtharsii) e come icona della sua
eternit (eikona ts idias aidiottos) lo fece.
13. G.A. Jnsson. The Image of God. Genesis I:26-28 in a Century of Old Testament
Research, Stockholm 1988. Unesposizione dei problemi legati allimmagine di Dio
nelluomo (se Adamo fu creato ermafrodito secondo Gn 1,27; se anche Dio fu immaginato
ermafrodito, come in certe concezioni vicino-orientali antiche; se Adamo, secondo Gn
5,3, trasmise a Set la sua propria immagine soltanto e non anche quella di Dio) e la
bibliografia relativa si trovano nel mio saggio La paternit di Dio. Linee di sviluppo
dallAntico al Nuovo Testamento, in Mysterium Regni Ministerium Verbi (Mc 4,11;
At 6,4). Scritti in onore di mons. Vittorio Fusco, a cura di E. Franco, Bologna 2000, 247271, 1 e le note 7, 9, 62.
14
A. NICCACCI
Nel secondo racconto solo Adamo detto essere vivente sia in Gn 2,7
che in 2,1914.
Questultimo un testo complesso che viene normalmente corretto, ma
dal punto di vista sintattico ben costruito. Si pu tradurre: e in qualunque modo (quanto a tutto quello che) Adamo, in quanto essere vivente,
avrebbe chiamato ognuno (degli animali), quello sarebbe stato il suo
nome. Cos inteso, Gn 2,19 significa che Adamo capace di dare il nome
adatto ad ogni essere proprio in quanto un essere vivente15.
Cos Adamo, formato dalla terra esattamente come gli animali, si distingue da essi per lo spirito-respiro che Dio ha soffiato nelle sue narici.
Ci costituisce la sua dignit, esattamente come limmagine di Dio nella
prospettiva del primo racconto.
La creazione della donna avviene in modo singolare. Il primo racconto
indica il rapporto unico di lei con luomo affermando che i due furono creati come ununit (Gn 1,27; cf. supra); il secondo esprime la stessa idea
affermando che la donna fu tratta dalluomo (2,21-22), non direttamente
dalla terra come un essere separato da lui o come gli animali. Lunit viene
espressa mediante un nome speciale:
Questa verr chiamata donna (i) / perch dalluomo fu presa questa (m luqo-zzt) (Gn 2,23).
Prima del peccato il nome significativo per entrambi, quello che esprime il loro rapporto, dunque -i. Dopo il peccato un altro nome diventa significativo:
[19] (Dio disse a Adamo) Con il sudore del tuo volto mangerai pane,
/ finch tornerai alla terra (dm), / perch da essa fosti preso (k
14. Nel primo racconto, invece, anche gli animali sono detti esseri viventi (Gn 1,20.21.24,
ecc.).
15. Cinque diverse interpretazioni di questo difficile passo si trovano elencate in U. Cassuto,
A Commentary on the Book of Genesis. Part I, From Adam to Noah: Genesis I-VI,8, Jerusalem 1961, 130-131. Linterpretazione di Isaac Samuel Reggio simile a quella data sopra:
Every name given by the man, who is a living creature, to each one of the animal and
birds, that is its name (corsivo aggiunto). Cassuto invece propone: and whatever name
the man would give to each one / of the living creatures / that would be its name (p. 126).
Egli spiega che nepe ayy accusativo di limitazione e definizione avente lo scopo di
precisare quanto detto prima: within the category of living creatures. Adamo avrebbe cio
lincarico di dare un nome non a tutte le creature ma solo a quelle viventi. Penso per che
linterpretazione data sopra sia la pi coerente.
15
Luomo-dm torner alla terra-dm, padre di unumanit destinata alla morte. La donna riceve un nome nuovo, spiegato con un gioco di
parole aww-y Eva-vivente: lei che porta avanti la vita. Inoltre leii resta il perno dellesistenza di lui- come prima del peccato. Egli
nasce allinterno di una famiglia (padre-madre), ma deve lasciarla per aderire alla sua i: e cos diventeranno una sola carne (Gn 2,24)16.
Nel seguito del racconto lautore yahvista mostra che la permanenza
dello spirito di Dio nelluomo condizionata a un corretto rapporto con la
donna.
[2] I figli di Dio videro che le figlie delluomo erano belle e si presero per mogli fra tutte quelle che scelsero. [3] Allora il Signore disse: Il
mio spirito non lotter a proposito delluomo (l-ydn r bdm) in
eterno, perch appunto egli carne. Perci la sua vita sar 120 anni (Gn
6,2-3).
16. Cf. Sir 36, 24-26: [24] Chi compra una donna, inaugura il possesso, / un aiuto adatto a
lui e una colonna dappoggio. [25] Chi non ha una siepe, la sua propriet sar saccheggiata,
/ e chi non ha la moglie gemer randagio: cf. A. Niccacci, Siracide o Ecclesiastico.
Scuola di vita per il popolo di Dio, Cinisello Balsamo (MI) 2000, 45.
17. Invece di lotter, la LXX ha rimarr (katameini); cos anche la Vulgata
(permanebit) e molti interpreti moderni, ad esempio Cassuto, A Commentary on the Book
of Genesis, 295-296 (da una radice dnn). Lesegesi giudaica quanto mai divisa circa il
senso di Gn 6,3. Varie interpretazioni sono riportate in H. Freedman - M. Simon (edd.),
Midrash Rabbah: Genesis, I, London 1939, 214-217. Si veda anche bSanh 108a; cf. E.A.
Speiser, Ydwn, Gen 6 3, JBL 75 (1956) 126-129, il quale suggerisce: My spirit shall not
answer for man forever, in that he too is but flesh, collegando ydn allaccadico dinnu e
allaramaico ndn custodia, guaina (dello spirito, cf. Dn 7,15).
16
A. NICCACCI
[5] Il Signore vide che era grande la malvagit delluomo sulla terra
e che ogni progetto dei pensieri del suo cuore era solo malvagio tutto il
tempo. [6] E il Signore si pent che aveva fatto luomo sulla terra e si rattrist nel suo cuore.
Qualunque sia il senso preciso dellepisodio dei figli di Dio e delle figlie delluomo in Gn 6,2-3, chiaro che la causa per cui Dio decide di ritirare il suo Spirito dalluomo dopo un certo periodo, e cos limitare la
lunghezza della sua vita, un disordine nel rapporto con la donna. Ci conferma limportanza del rapporto di coppia in relazione allo Spirito di Dio
presente nelluomo e in relazione alla vita18.
Cio: non let che porta saggezza, come vuole lopinione corrente,
ma lo Spirito di Dio posto nelluomo.
18. In questa prospettiva si comprende, almeno in parte, un testo oscuro come Ml 2,13-16,
in cui il popolo si chiede perch Dio non gradisca le sue offerte. La risposta la seguente:
[14] Per il fatto che il Signore stato testimone fra te e la moglie della tua giovinezza, /
verso la quale tu sei stato infedele, / mentre lei la tua compagna e la moglie del tuo patto.
[15] Eppure non (vi) ha fatto lUnico (ed), / a cui appartiene il resto (= il permanere?)
dello spirito (er ra)? / E cosa lUnico (hed) chiede? / La discendenza di Dio! /
Perci farete attenzione al vostro spirito (berkem) / e verso la moglie della vostra
giovinezza nessuno sia infedele! / [16] Poich (lUnico) odia il ripudiare ha detto il Signore Dio di Israele, / e (chi lo fa) coprir di violenza il suo (proprio) manto ha detto il
Signore degli eserciti. / Perci farete attenzione al vostro spirito (berkem) / e non sarete
infedeli. LUnico molto probabilmente epiteto di Dio; si confronti: Non abbiamo tutti
un Padre unico (b ed)? / Non un Dio unico (l ehd) ci ha creati? (2,10).
19. Cf., in generale, J. Trublet (ed.), La sagesse biblique, Paris 1995.
20 H.W. Wolff, Antropologia dellAntico Testamento, Brescia 1975 (orig. ted. 1973), spec.
3.
17
Chi ha conosciuto il tuo pensiero (= di Dio) se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito (to hagion sou
pneuma) dallalto? (Sap 9,17).
18
A. NICCACCI
[10] Ma a noi Dio lo ha rivelato per mezzo del suo Spirito. Infatti lo
Spirito tutto scruta, anche le profondit di Dio. [11] Chi infatti degli uomini conosce le cose delluomo se non lo spirito delluomo che in lui?
Cos anche le cose di Dio nessuno le conosce se non lo Spirito di Dio.
[12] Noi per non lo spirito del mondo abbiamo ricevuto, ma lo Spirito
che da Dio, affinch conosciamo le cose donateci da Dio (1 Cor
2,10-12).
19
23. Cuore e spirito sono spesso in connessione: Sal 34,19; 77,7; 143,4.
20
A. NICCACCI
[26] Dar a voi un cuore nuovo e uno spirito nuovo porr dentro di
voi. Toglier il cuore di pietra dalla vostra carne e dar a voi un cuore di
carne. [27] Il mio spirito porr dentro di voi e far in modo che voi nelle
mie leggi camminiate, e cos i miei giudizi custodirete e farete (Ez
36,26-27).
21
24. E.T. Mullen, Jr., The Divine Witness and the Davidic Royal Grant: Ps 89:37-38, JBL
102 (1983) 207-218; M. Sekine, Wort, Name und Geist im Alten Testament in bezug
auf die Frhzeit Israels dargestellt, AJBI 14 (1988) 3-9; Encyclopaedia Judaica, Ruah
Ha-Kodesh, 14, 364-368. Nei testi di Qumran lo Spirito Santo non unipostasi distinta
da Dio: cf. Puech, LEsprit saint Qumrn, 290-291.
25. Cf. recentemente R.H. Fuller, The Vestigia Trinitatis in the Old Testament, in C.A.
Evans - S. Talmon (edd.), The Quest for Context and Meaning. Studies in Biblical
Intertextuality in Honor of James A. Sanders, Leiden - New York - Kln 1997, 499-508;
M. Nobile, Paternit di Dio, Spirito di Dio, Sapienza divina (Prodromi della Trinit
nellAntico Testamento), in G. Bertone (ed.), La Trinit. Approccio biblico - teologico letterario - artistico, LAquila 2000, 33-49.
26. Theologisches Wrterbuch zum Alten Testament VII, 424-425.
22
A. NICCACCI
femminista, hanno mosso critiche a questo filone interpretativo ritenendolo non abbastanza avanzato27.
Gi nellantichit una parte della Chiesa di ispirazione giudeo-cristiana
aveva confuso o identificato lo Spirito Santo con Maria, proprio a motivo
del genere femminile del termine28. Anche nellIslam lo Spirito Santo viene identificato con Mariam, la madre di Ges, o con langelo Gabriele29.
9) Spirito ed ecumenismo
Essendo forza divina diffusa nel cosmo, lo Spirito pervade e anima tutti i
popoli, culture e religioni30. Questa prospettiva invita a guardare in modo
positivo tutte le realt umane per scoprirvi le tracce di Dio e i semi della
rivelazione. Lo Spirito, che spira dove vuole, non si lascia rinchiudere in
nessuno schema, area geografica o religione. In un certo senso tutte le religioni, nella misura in cui sono autentiche, cooperano alla diffusione del
Regno di Dio.
La concezione dello Spirito come forza divina del cosmo strettamente legata alla fede in Dio creatore, che la prospettiva caratteristica della
sapienza biblica. Prospettiva diversa, ma non disgiunta, da quella del Dio
Salvatore, fondata sullesodo, il patto, la Legge di Mos e la storia della
salvezza. Nei Salmi le due prospettive creazione e storia della salvezza
appaiono insieme, come realt parallele e complementari, a indicare che
fanno parte di un unico piano divino31. Nel Deutero Isaia la fede in Dio
creatore del mondo viene proclamata per suscitare la speranza in Dio salvatore del suo popolo (cf. ad es. Is 40,12-31). Le due prospettive vengono
espressamente identificate in Sir 24,22 e Bar 4,1 (la sapienza la Legge di
27. Si veda E. Bosetti, La donna nel Nuovo Testamento, in: L. Borriello et al. (edd.), La
donna: memoria e attualit, vol. II, 1, Citt del Vaticano, 46-117, con bibliografia nelle note
1 e 30.
28. E. Testa, La fede della Chiesa Madre di Gerusalemme, Roma 1995, cap. VI, spec. pp.
146-148.
29. Encyclopdie de lIslam, Djabrl, II, 372-373.
30. R.K. Johnston, God in the Midst of Life. The spirit and the Spirit, Ex auditu 12 (1996)
76-93.
31. A. Niccacci, La lode del Creatore. Linno egiziano di Aton e la tradizione biblica,
Ephemerides Theologicae Zagrabienses 64 (1994) 137-159 (= Z.I. Herman [ed.], Diaconus
Verbi: Marijan Jerko Fuak 1932 1992, Zagreb 1995, 137-159).
23
La ricchezza teologica di questa prospettiva viene esplicitata nel seguente passo dal Libro della Sapienza:
[24] Poich tu ami tutte le cose esistenti / e nulla disprezzi di quanto
hai creato; / se avessi odiato qualcosa, non lavresti neppure creata. [25]
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? / O conservarsi se tu
non lavessi chiamata allesistenza? / [26] Tu risparmi tutte le cose, perch tutte sono tue, Signore, amante della vita (Sap 11,24-26).
Conclusione
Ra un termine tanto indefinibile quanto capace di sempre nuovi e superiori significati: da vento, agente di Dio che arreca vita ma anche distruzione; a respiro sia degli animali che degli uomini; a spirito vivificante
presente nelluomo e infine a Spirito di Dio stesso. vita per tutti gli esseri, anche per quelli che secondo la nostra concezione sono inanimati. In
tutto il cosmo lo spirito-vento seminatore di vitalit. Negli uomini anche energia per una condotta nella giustizia e nella rettitudine. In Dio raggiunge il culmine della sua energia, santit e bont.
Alviero Niccacci, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
32. Si veda la nota 11.
33. Cf. Is 57,16 Infatti non in eterno contester, / n per sempre sar adirato, / ma lo spirito
che proviene da me si commuover (oppure: verr meno, ra millepnay yap), /
poich i respiri (nemt) io ho fatto. La piet del Creatore verso le sue creature si esprime
V. Lopasso
1. Note introduttive
Ger 24 contiene il racconto della visione di due canestri di fichi: luna, piena di fichi eccellenti; laltra, di fichi cos cattivi che non si potevano mangiare. Queste due ceste sono il simbolo della sorte che toccher alle due
porzioni di popolo, ai deportati in Babilonia e ai rimasti nel paese, cui sono
indirizzate, rispettivamente, una parola di salvezza (vv. 5-7) e una parola
di giudizio (vv. 8-10). Nei loro riguardi Yhwh avverte la stessa sensazione,
di desiderio o di rigetto, che si prova di fronte a questi due canestri.
Il simbolo dei fichi guasti ripreso in 29,16-20, dove decretata, usando un linguaggio simile a quello di 24,8-10, lestinzione dei rimasti.
Ger 24 in gran parte costituito dal discorso con cui Yhwh, mediante
la parola di salvezza e la parola di giudizio, spiega loggetto della visione.
La parola di salvezza introdotta dalla frase del v. 5 io avr riguardo
(ryka), per il bene (hbwfl), dei deportati di Giuda, che viene ripresa nel
v. 6 con termini simili (io poser lo sguardo [yny[ ytmcw] sopra di loro per
il loro bene. La frase del v. 5 viene ripresa in modo parallelo per introdurre la parola di giudizio nel v. 8 (io far [ta] di Sedecia re di Giuda,1 dei
suoi capi e del resto di Gerusalemme, ossia dei superstiti in questo paese, e
di coloro che abitano nel paese dEgitto.... per il male [h[rl]). Al verbo
ryka e allespressione hbwfl corrispondono ora ta e h[rl (v. 9).2
In base allampio spazio occupato dal discorso di spiegazione di Yhwh
nei vv. 4-10, non sembra che il racconto sia voluto al fine di narrare
unesperienza soggettiva del profeta, sul modello di 1,11-12 e 1,13-14.
Contro questo scopo depone anche la presenza nel v. 5 della formula del
messaggero, ripetuta in forma breve nel v. 8, la quale non ha ragione di
esistere nel racconto di unesperienza come quella visionaria, mentre si
addice alla proclamazione di un messaggio destinato al pubblico.
26
V. LOPASSO
La frase del v. 8 coloro che abitano nel paese dEgitto rimanda a quei
giudei che, dopo la caduta di Gerusalemme, per paura dei babilonesi che li
avrebbero potuti considerare responsabili dellassassinio di Godolia fuggirono dal paese per trovare scampo in quella terra (Ger 40; 41-42). Questa
frase, essendo apposizione al lvwry tyrav (il resto di Gerusalemme; v.
8), identifica il gruppo dei rimasti in Gerusalemme con coloro che vi vennero lasciati da Nabucodnosor, dopo la deportazione del 587. Il brano suppone quindi la diaspora egiziana. Non ci sono elementi che ne possano
giustificare lambientazione durante il regno di Sedecia, dopo la prima
deportazione del 597; 3 n si pu a questo scopo far leva sulla rubrica del
v.1b che contiene una lista dei deportati di quellanno (29,2; 2 Re 24,1416), perch la sua funzione non di indicare il tempo in cui il profeta ebbe
la visione, ma di offrire un riferimento cronologico, quello appunto della
prima deportazione, a ci che nella visione egli ha visto,4 datando a dopo il
597 la circostanza per la quale i due canestri si trovavano davanti al tempio di Yhwh.
Infine, si pu ritenere che il contenuto del brano pensato dal punto di
vista di coloro che si trovano in Palestina5 e che, nella logica del brano,
sono da identificare con gli stessi esiliati che sono destinatari della promessa del ritorno. Da questa prospettiva si spiega la duplice ricorrenza dellespressione tazh rab, in questo paese, usata per indicare sia la meta
del rimpatrio nel v. 6 sia, nel v. 8, il luogo dove si trovano i rimasti.
In queste pagine mio intento mostrare in che modo Ger 24 presenta
lesilio, la diaspora e il ritorno.6 Si tratter anche di notare come questo
capitolo discorda con il messaggio contenuto in altri testi della tradizione
geremiana e a quale scopo, per il modo di parlare di esilio, diaspora e ritorno, sia finalizzato.
3. Tra coloro che considerano Ger 24 una profezia rivolta agli esiliati del 597, cfr J.
27
28
V. LOPASSO
9. Levin, Die Verheiung des neuen Bundes, 173 nota 79. Sul significato della locuzione
Le livre de Jrmie. Le prophte et son milieu, les oracles et leur transmission (BETL LIV),
Leuven 1981, 122-123.
11. Cfr W. L. Holladay, The Root ubh in the Old Testament with Particular Reference to
its Usages in Covenantal Contexts, Leiden 1958, 88.
12. Al yk si d il valore causale di poich, conformemente a quanto accade nelle versioni
antiche.
29
e al dono di unaltra rd, via, in modo che il popolo non possa pi sviarsi
lontano da lui (32,39; 31,34). In 32,39 questi due doni, assieme ad altre
affermazioni di salvezza, sono finalizzati al bene dei dispersi e dei loro figli, come mostra luso pi volte ripetuto del termine bwf (bene;
32,39.40.41.42), similmente che in 24,6.
Alla luce di questo messaggio, possiamo intendere la frase blAlkb
yla wbvyAyk nel senso che Dio stesso far in modo che la conversione dei
deportati si realizzi in modo pieno e totale.13
Il modo con cui Ger 24 rivela la certezza della salvezza e del ritorno
solo per questo gruppo di deportati che si trovano in esilio, fa supporre una
visione positiva della Golah. Questa visione emerge dal fatto stesso che
Sedecia e gli altri vengono esclusi dallesilio e destinati alla dispersione;
ed confermata dalla sequenza sintattica del v. 5 dove il termine hbwf
(bene), posto in ultima posizione dopo la frase relativa (deportati di
Giuda) che ho fatto andare da questo luogo nel paese dei Caldei, risulta
retto non dal verbo principale ryka (avr riguardo) ma da ytjlv (ho fatto
andare), con il quale si indica la deportazione, ora attribuita, diversamente
che nel v.1b, a Yhwh stesso.14 Ne consegue che hbwf qualifica in senso
positivo latto della deportazione, come evento di salvezza in se stesso; la
Golah perde il suo significato fondamentale, inerente alla relazione dalleanza, di strumento di castigo, per essere vista come parte del progetto di
Yhwh a favore del gruppo che ne ha beneficato, e quale strumento per legittimare qualsiasi privilegio di fronte a coloro che ne sono stati esclusi.
Il messaggio dei vv. 5-7 rivolto a Ieconia e al suo gruppo in contrasto
con altri testi in cui il profeta non mostra nessuna considerazione nei riguardi di Ioiakm, suo padre, e dei suoi discendenti ai quali nega il diritto
di succedere al trono di Giuda (22,30). In 22,24-28 esplicito contro
Ieconia stesso a cui annuncia che non sarebbe mai ritornato dallesilio
(v. 27; bwv).
In questo messaggio di salvezza la stessa visione della Golah e del ritorno risulta in discontinuit sia con altri testi del libro sia con quanto sappiamo da Ezechiele sulla situazione del gruppo di Ieconia in esilio. Nel
libro di Geremia lesilio viene considerato come un tempo necessario di
purificazione e di sofferenza; un tempo che, sebbene non rappresenti la fine
di tutto (5,18; 30,11), da vivere nella sua interezza (28,1-17). La sorte
30
V. LOPASSO
degli esiliati preferibile a quella dei rimasti perch, diversamente da questi ultimi, essi, preparandosi nel crogiuolo dellesilio a un ritorno sincero a
Yhwh, possono sperare di far ritorno nel loro paese. Allinterno di questa
stessa prospettiva si pone la profezia dei settanta anni di esilio di 29,10
indirizzata ai deportati del 597. Sapendo che non ci sarebbe stato nessun
rimpatro nel corso della loro esistenza, essi potevano valorizzare al massimo il tempo loro concesso. Il profeta Ezechiele, che si trova a vivere tra i
deportati del 597, ci offre alcuni ragguagli circa il modo con cui coloro che
erano scampati allesilio si ponevano nei riguardi della Golah. Da lui veniamo a sapere che costoro si vantavano di questa loro posizione, pensavano di avere dei privilegi e di essere migliori di coloro che erano stati
condotti in Babilonia (Ez 11,1-13). Essi, considerandosi privilegiati, ritenevano di avere in possesso la terra con tutti i diritti che ne derivavano (v.
15). A costoro il profeta ribadisce di non avere alcun diritto da avanzare; in
futuro Yhwh avrebbe, al contrario, donato la terra a quanti ora subivano
lesilio (v. 17).
31
diaspora rimandano a due realt differenti.15 Mentre il primo termine indica la presenza di giudei in un solo luogo, con diaspora si intende una dispersione in pi luoghi diversi.16
Per il riferimento alla diaspora viene usato nel v. 9 il verbo jdn, disperdere, allhiphil e il termine twmqm (luoghi) per indicare i luoghi in cui
Sedecia e il resto saranno raggiunti dal giudizio di Yhwh. Nel libro di Geremia jdn ricorre come termine tecnico per indicare la dispersione in annunci di giudizio (27,10; 29,14.18; 49,5). Il termine twmqm indica una
pluralit di luoghi; il suo uso fa supporre che ci sia stato per il popolo dei
dispersi lallontanamento dal luogo da cui stato deportato (8,3; 29,14;
40,12; 45,5; cfr Esd 1,1.4; 2,59).
Per coloro che vi sono destinati, la diaspora comporta lestinzione totale. In diaspora, a Sedecia e al resto viene preclusa ogni possibilit di salvezza. Per essi nei vv. 9-10 si decreta che saranno oggetto di spavento per
tutti i regni della terra, e che nei luoghi in cui saranno scacciati diventeranno lobbrobrio, la favola, lo zimbello e la maledizione (cfr 29,18;
42,18; 44,8; 49,13). Nel v. 10 ricorre la formula spada, fame e peste
(14,12; 27,8; 29,17-18; 31,7.9; 32,36) che usata per decretare la loro
scomparsa definitiva da Giuda, paese che Yhwh diede a loro e ai loro padri, resa mediante il verbo mt (distruggere; 27,8).
Mediante queste espressioni si decreta il loro annullamento totale, la
loro estinzione e la perdita della loro identit.
Questo messaggio sulla diaspora, per la severit con cui formulato,
non concorda con altri testi secondo i quali, invece, c speranza anche per
coloro che vivono in diaspora: Yhwh raduner i dispersi e li far ritornare
nella terra che ha promesso ai padri (bq; bwv; 16,15; 23,3.8; 29,14). Per
essa vale quanto detto per lesilio; dopo aver subto il meritato castigo, il
popolo pu attendere unepoca di felicit nel paese da cui stato scacciato.
Per 12,15 destinatari di questo messaggio sono persino le nazioni straniere
15. Cfr Sh. Talmon, Exil und Rckkehr in der Ideenwelt des Alten Testaments, in R.
32
V. LOPASSO
che, dopo essere state strappate dalla loro terra, ritoneranno al loro possesso ( ytbvh).
Se si considera che questa parola di giudizio, nei termini con cui espressa, rivolta a Sedecia e al gruppo dei rimasti, essa prescinde anche dallatteggiamento assunto da Geremia nei loro riguardi prima della catastrofe.17
Nei riguardi di Sedecia il profeta mostra unattitudine positiva sia in 23,56 dove al nome del re (Yhwh mia giustizia) collega lattesa messianica (il
germoglio di Davide sar chiamato Yhwh nostra giustizia), sia nelloracolo di 34,1-5 dove gli annuncia che avrebbe finito i suoi giorni in pace e che
per lui, come per gli altri re di Giuda, si sarebbe fatto lamento in occasione
della sua morte. Ai rimasti e allo stesso sovrano, il profeta, in un tempo in
cui stanno per decidersi le sorti di Giuda, propone lalternativa per poter
sfuggire il giudizio imminente e continuare a vivere nel paese (21,1-10;
27,11-15; 38,1-6; 38,17-18): sottomettersi al giogo del sovrano babilonese
e obbedire alla parola profetica.18 Se questa possibilit non viene accolta,
a causa dellatteggiamento altalenante di Sedecia che, vittima della politica
di palazzo, non capace di prendere una decisione chiara, in sintonia con
quanto il profeta gli andava suggerendo.
Se, infine, si tiene presente che anche coloro che abitano nel paese
dEgitto (v. 8) sono inclusi tra i destinatari di questa parola di giudizio,
essa non si armonizza con altri testi, dove il profeta non preclude a costoro
la salvezza se solo rimangono in Giuda e non fuggono lontano dal paese
(42,10-12.17). In 44,28 si prospetta che i pochi scampati alla spada e alla
fame sarebbero ritornati in Giuda (bwv). Da Ger 41-44 veniamo a conoscere non pochi particolari sulla vita di questa comunit giudaica in Egitto; ad
esempio, il ritorno alle pratiche idolatriche di un tempo, per contrastare le
quali il profeta si vede costretto, proprio al termine della sua vita, a riprendere i motivi della sua predicazione iniziale e invitare con la vigoria di un
tempo al ritorno a Yhwh (bwv; 44,5).
Concludendo, si pu ritenere che Ger 24, decretandone lo sterminio e
lannientamento, preclude a Sedecia e al resto ogni possibilit di far ritorno in patria. Essi non potranno avanzare nessuna pretesa sul paese che
Yhwh ha dato anche a loro e ai loro padri (v. 10).
17. Per un quadro completo su Sedecia nel libro di Geremia, cfr H.-J. Stipp, Zedekiah in
the Book of Jeremiah: On the Formation of a Biblical Character, CBQ 58 (1996), 627-648.
18. McKane, A Critical and Exegetical Commentary on Jeremiah, I, 610.
33
19. Il concetto di
hlwg vi si trova legato con altri termini che esprimono il fatto di aver
lasciato lesilio e di trovarsi nel paese, tra il quali il verbo bwv. In Esd 6,21 la Golah
definita con il termine ybvh, coloro che sono ritornati, i rimpatriati. Cfr H.C.M. Vogt,
Studie zur nachexilischen Gemeinde in Esra-Nehemia, Werl 1966, 28-29.
20. Lo stesso termine hlwg, usato propriamente per indicare coloro che subirono lesilio,
viene utilizzato per la comunit dei rimpatriati (Esd 1,3.5.11; 2,1.29; 3,8; 6,21; 7,6.7.28;
8,1.35; Ne 7,5.6; 12,1).
34
V. LOPASSO
Diversamente che in Ger 24, in Esdra questa teologia non espressamente collegata al gruppo di Ieconia; non da escludere, per, che, se
essa riusc ad imporsi su quella dei rimasti, fu anche in base alla considerazione di cui aveva goduto Ieconia, assieme ai suoi discendenti. Molto
probabilmente i babilonesi, dopo averlo sostituito con lo zio Sedecia, continuarono a ritenere Ieconia il successore legittimo sul trono di Giuda e
non da escludere che egli durante gli anni dellesilio abbia continuato a
governare il paese, come re vassallo, per conto del gran re babilonese.21
Nel periodo postesilico, i persiani non mutarono politica riguardo a Giuda.
In Esd 1,8 Sesbassar, figlio di Ieconia (1 Cr 3,18), viene menzionato con
il titolo di hdwhyl aycnh, il principe di Giuda, e se ne sottolinea il ruolo
avuto nellepoca di restaurazione; alcuni autori suppongono che anche suo
nipote Zarobabele, accanto a quello di hjp, governatore (Ag 1,1; 2,2.21),
detenesse questo stesso titolo.22 Se questa ipotesi giusta, si capisce perch i conflitti tra rimasti e rimpatriati non potevano che risolversi a vantaggio di questi ultimi. Essi rappresentavano il governo centrale ed erano
da esso protetti.
In Esdra trova espressione concreta anche quella chiusura agli altri
giudei che abbiamo individuato come un tratto caratteristico di Ger 24.23
Scampata dallesilio, la comunit dei rimpatriati si ritiene come il vero resto (Esd 9,8.13.14.15), il seme santo (Esd 9,2), da cui proverr il futuro
Israele; il modello per tutti gli altri giudei esistenti nel paese altrove. Questo particolarismo evidente nei capitoli 9-10, dove si affronta la
problematica relativa ai matrimoni misti. Infatti, non pu sfuggire nel modo
di risolvere questi casi come, pur non essendo straniere,24 ma appartenenti
a Israele, queste donne e i loro figli venissero rifiutati e scacciati dalla comunit della Golah. Essi finivano, per essere considerati rivali, alieni a Israele, e, a guisa dei popoli limitrofi, destinati allannientamento.
privilegio di cui godeva Ieconia prima e durante lesilio. Nelle tavolette egli nominato
espressamente con il titolo di Re del paese di Giuda. Cfr A. Malamat, Jeremiah and the
Last Two Kings of Judah, PEQ 83 (1951), 81-82.
22. Per questa e altre problematiche del periodo del secondo tempio, cfr P. Sacchi, Storia
del Secondo Tempio. Israele tra il VI e il I secolo d. C., Torino 1994, 23-44.
23. H. G. May, Towards an Objective Approach to the Book of Jeremiah: The
Biographer, JBL 61 (1942), 149.
24. In 9,1 il k non specifica lappartenenza etnica di queste donne. Per questa problematica,
cfr T. C. Eskenazi - P. Judd, Marriage to a Stranger in Ezra 9-10, in T. C. Eskenazi and
K. H. Richards, Second Temple Studies. 2. Temple Community in the Persian Period (JSOT
SS 175), Sheffield 1994, 265-276.
35
5. Conclusione
Secondo Ger 24 soltanto il gruppo di Ieconia, in quanto gode del privilegio
di rappresentare la Golah, destinatario della promessa del ritorno. Sedecia
e coloro che sopravvissero alla catastrofe del 587 vengono destinati allestinzione, nella diaspora.
Il capitolo suppone un conflitto tra gruppi di giudei, che rimanda al
modo con cui il Cronista presenta il rapporto tra rimpatriati e rimasti nella
societ del secondo tempio.
Ritornata in patria, la comunit della Golah si pone come modello di
tutti gli altri giudei, presenti nel paese e in diaspora, entra in conflitto con
essi, e li esclude da Israele. Poich ha vissuto lesperienza dellesilio, si
ritiene in continuit con il passato, oggetto della fedelt di Yhwh, e garante
del futuro e vero Israele.
Vincenzo Lopasso
Professore invitato
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
F. Manns
Jewish reading of the Beatitudes started with J. Lighfoot, Horae Hebraicae1, Schttgen, Horae Hebraicae2 and Zipser, The Sermon on the
Mount, 1852. In 1909 C. Montefiore, the founder of liberal Judaism writes
in his commentary on the Synoptic Gospels3:
This verse is probably an interpolation. It virtually repeats verse 3, for
the aniim and the anawim are practically the same people. It is also a mere
quotation from Psalm XXXVII.11, though the land or earth, as here understood, is not Palestine, but the regenerated world of the Messianic Age (die
erneuerte Erde auf die das Himmelreich hinabkommt: Klosterman4).
The Sermon on the Mount contains only ethical teachings, not christological ones, nothing which cannot find parallels in Judaism. The discussions with the Pharisees are not over the nature of God, but the Law and
its significance.
In 1911 G. Friedlander reacted to Montefiores position in his book on
the Jewish sources of the Sermon of the Mount5. The book is a polemical
one. All the positive values of the Sermon on the Mount are known in the
Bible and in Judaism. As for the texts of the Sermon which do not have
1. Broedelet 1699/2.
2. Dresdae-Lipsiae 1733.
3. C.G. Montefiore, The Synoptic Gospels (2 vol.), London 1909 and Rabbinic Literature
and Gospel Teachings, London 1930. The books of Marcel Dumais, Le Sermon sur la
montagne. Etat de la recherche. Interprtation et bibliographie, Paris 1995 and of W.S.
Kissinger, The Sermon on the Mount : A History of lnterpretation and Bibliography, Mettichen, New York 1975 give an excellent status quaestionis of the old and recent studies
made on the Sermon of the Mount. Jewish Theologians are interested in this text since the
publications of Friedlander and C. Montefiore. Christian theologians underlined the Jewish
background of the Gospel of Matthew specially since the commentary of P. Billerbeck,
Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, Mnchen 1926. A few articles are dedicated ex professo to the second beatitude : F. Bhl Die Demut anawa)
(
als
hchste der Tugenden: Bemerkungen zu Mt 5,3.5 , BZ 20 (1976) 217-223. D. Losada,
Bienaventurados los mansos porque ellos heredarn la tierra ,RevBib 41 (1979) 239-243.
Y. de Andia, Linterprtation irnenne de la batitude : Bienheureux les doux, ils
recevront la terre en hritage (Mt 5:5) , Studia Patristica 18 (1989) 85-102.
4. C.G. Montefiore, The Synoptic Gospels, vol. 1, 36.
LA 50 (2000) 37-51
38
F. MANNS
Jewish parallels they are not realistic. They speak about non-violence,
about asceticism and are not bothering about future. No Jew can accept the
pretence of Jesus to abrogate the Law.
About the beatitude of the meek Friedlander writes: It is a quotation
of Psalm XXXVII. 11. See also Psalm XXV. 13. In the Book of Enoch 5:9
we have a parallel : The elect shall possess light, joy and peace and they
shall inherit the earth . The elect are the saints or the meek. Didache 3:7
uses Psalm 37.11 : Be meek, since the meek shall inherit the land . To
inherit the land was understood in the sense of entering the messianic Kingdom (Is 60:21). The opponents of the Kingdom of God are the arrogant
(Zedim). In the Shemone Esre the Zedim are mentioned as destined to be
humbled by God. When this is accomplished the divine Kingdom will be
established6.
P. Lapide, among others, commented also on the Sermon on the
Mount7. D. Flusser8 compared Hillel with Jesus. Hillel was famous for his
meekness. Sab 30b : Man should be meek like Hillel and not stern as
Shammai .
A few words on methodology are not superfluous. We shall start with
the literary problems connected with the Gospel of Matthew. The structure
of the text reveals the intention of the redactor. Then we have to classify
the literary genre of the Beatitude which is known in Wisdom literature,
Qumran literature and apocalyptic milieu. The main expressions of the
Beatitude: the meek and the verb to inherit the land must be studied. Since
the Beatitude is a quotation of Psalm 37 we must consider the different interpretations of this text in the main trends of Judaism and consider which
one is close to the Gospel of Matthew. Then we shall be able to see the
similarities and differences of Matthew and the rabbis. About the critical
methodology to be followed in the study of the rabbinic texts we have written very often and do not repeat what we have said elsewhere9.
5. G. Friedlander, The Jewish Sources of the Sermon of the Mount, London 1911. W.O. E.
Oesterley publia Judaism in the Days of Christ. The parting of the Roads, ed. Foakes Jackson, London 1912.
6. G. Friedlander, The Jewish Sources, 20.
7. P. Lapide, Die Bergpredigt. Utopie oder Programm?, Stuttgart 1982.
8. D. Flusser, A new sensitivity in Judaism and the Christian , HTR 61 (1968) 107-127.
Hillel gave a negative formulation to the golden rule: Do not do to others what you do not
want them to do to you. J.H. Charlesworth and L.L John, Hillel and Jesus, Minneapolis
1997 contains the contributions of D. Flusser, A. Goshen Gottstein, L. Levine, C. Safrai, S.
Safrai, D. Schwartz and M. Weinfeld.
9. F. Manns, Une approche juive du Nouveau Testament, Paris 1998, 11-81.
1.
39
First of all we have to show the place of the Beatitudes in the structure of
the whole Gospel. There is a chiastic structure of chapters 5-7.
Audience (5,1-2)
Declarations (5,3-16)
The Law and the prophets (5,17-19)
Antitheses (5,20-48)
Justice before God (6,1-6)
Our Father 6,7-15
Justice before God (6,16-18)
Judge, petitions (6,19-7,11)
The Law and the prophets (7,12)
Exhortations (7,13-27)
Audience (7,28-29)
The structure of the Beatitudes themselves consists of a parallel construction in the Gospel of Matthew. The eight beatitudes, expressed with
the literary inclusion of the sentence for theirs is the Kingdom of heaven,
are presented by E. Puech10 as follows:
Blessed are the poor in spirit
For theirs is the Kingdom of heaven
Blessed the meek
For they shall inherit the land
Blessed the afflicted
For they shall be comforted
Blessed the hungry and thirsty for righteousness
For they shall be satisfied
Blessed the merciful
For they shall obtain mercy
10. E. Puech, 4Q525 et les pricopes des batitudes, Ben Sira et Matthieu , RB 98 (1991)
80-106. G.J. Brooke, The Wisdom of Matthews Beatitudes (4QBeat and Mt. 5:3-12) ,
ScrB 19 (1988-1989) 35-41.
40
F. MANNS
2.
41
each one being composed of two pairs of two cola, present the message of
wisdom in Sir 14,20-27. Qumran literature knows also the same literary
genre. In the fragment 4Q525 11,1-13, an Assidean composition starting
with ashre, reads as follows :
Blessed is he who speaks truth with a pure heart
and who does not slander with his tongue.
Blessed are those who cling to her statutes
And who do not cling to the ways of perversity.
Blessed are those who rejoice in her
And do not spread themselves in the ways of folly.
Blessed is he who seeks her with pure hands
And who does not go after her with a deceitful heart.
Here again we have a composition of two strophes like in Sir 14,20-27.
Eight curses can be found in 1 Hen 98,9-99,2 and 99,11-16. It means that
Beatitudes are known also in the apocalyptic milieu.
Before speaking of the Jewish background of the second beatitude, we
have to make a rapid literary analysis of the second beatitude itself.
In the LXX makarios translates the Hebrew ashre. We find macarisms
in the Psalms (25 x), in wisdom literature (Pr 5 x ; Ben Sira 11 x; Qoh 1 x;
Sag 1 x) and sometimes in the apocalyptic literature12. In 1 Hen 58,2 the
structure of the Beatitude is very close to that of Matthew since we have
the motivation introduced by hoti. The same structure is repeated in Tob
13,1413. Qumran knows Beatitudes with a wisdom flavor14.
The second Beatitude of Mt 5,4 is a quotation of Psalm 36,11 in the
LXX version. The word praeis translates the Hebrew anawim. In Psalm 37
the anawim, contrary to the wicked, hope in the Lord. They are not jealous
about those who succeed. They remain calm before the Lord and wait for
his intervention with patience. In the Psalms six times praeis translates
anawim (25,9 [variants in A,13, S R] ; 34,3 ; 76, 10 [praeis t kardia in B
S R and praeis ts gs in B2 S2] ; 147,6; 149,4). The concept of anawim
belongs to the biblical terminology15.
12. Dn 12,12; Is 30,18; 31, 9; 32,20 ; 56,2.
13. H. Merklein, La signoria di Dio nellannuncio di Ges, Brescia 1994, 5. The author con-
cludes that the Beatitudes of Matthew belong to the apocalyptic milieu and quotes 1 Hen
81,4 and Dan 12,12. But in those two texts no motivation of the Beatitude is given.
14. 4Q 185, 1,2; 11,8.13 et 4 Q 525, 2. 11, 1-6.
15. A. Gelin, Les pauvres de Yahv, Le Puy 1942.
42
F. MANNS
Is praus a synonym of ptochos? It would mean that the first and second beatitude are a repetition of the same idea in the form of a parallelism.
Before answering this question we have to see some other uses of praus in
the Gospel of Mt.
In Mt 11,29 Jesus invites his disciples : Take upon you my yoke and
be my disciples, for I am meek (praus) and humble of heart .
We find here a wisdom vocabulary. As God is Father, Wisdom is a
mother who calls her sons to a difficult ascension. Ben Sira 4 shows her
guiding his disciple and imposing on him discipline. In chapter 6 the master recommends to his disciple to do whatever he can to find wisdom and
to accept her yoke. On that condition he will find true rest: Search her
out, discover her, do not let her go. Thus you will afterward find rest in
her: she will be transformed into your delight. Her net will become your
throne of majesty; her noose, your apparel of spun gold. Her yoke will be
your old adornment; her bonds, your purple cord. You will wear her as your
glorious apparel, bear her as a splendid crown (Sira 6,27-31). Wisdom is
described as a hunter. Being caught in Wisdoms net involves no loss of
freedom. Rather one becomes like a King. Wisdoms yoke does not hamper the wise but gives him a sure sense of direction in life. The yoke is
compared to a gold adornment and Wisdoms bonds to a purple cord. Purple garments and gold were worn by kings and high priests. The wise, because of their fidelity to the Law will enjoy the splendor of royalty and the
glory of high priesthood. Declaring : Take upon you my yoke and you
shall find rest , Jesus speaks with the authority of Wisdom. The same message is repeated in Ben Sira 51,26-30 : Submit your neck to her yoke,
and let your mind weigh her message. She is close to those who seek her,
and the one who is in earnest finds her .
Wisdom forms her disciples and does not remain far from those who
wish to live with her : to meet her one must take the Book of Law in his
hands (Sir 15,1). Ben Sira 24 develops the identification of Law with Wisdom. The Book of Baruch will do the same.
The word praus, is used in the LXX to designate Moses the humble
man16 (Nb 12,3) and to designate Wisdom in Sir 3,18 (S 2) and 10, 14. The
name prauts (anwah) is used in Sir 1,27; 3,17; 4,8; 10,28; 36,28 (23) and
applied to Moses in Sira 45,4.
16. Rabbinic Literature shows that because Moses was meek, he deserved to get the
Spirit.
43
3.
The second part of the beatitude meditates upon the inheritance of the
land20. The Hebrew text reads yreshou-ares. The Lxx translated
17. Matthew as a contemporary of the Rabbis shows the Kingdom of heaven as the future
presence of God to which every believer has to prepare himself. In the Shema Israel the
acceptance of the Kingdom is followed by the acceptance of the commandments. To recognize the Kingship of God means to see the historical dimension of the redemption from
Egypt, but also the future dimension of the eschatological salvation. Targum Jerushalmi 1,
Ex 15,18 expresses this double dimension clearly. Another dimension of the Kingdom is
constituted by martyrdom. Ber 61b shows R. Aqiba directing his heart towards the Kingdom in his martyrdom. Only the just shall enter the Kingdom. Mt 5,10 insisting upon the
persecuted for justice as inheriting the kingdom, is in the same line as the rabbinic statements about martyrdom.
18. Cf AZ 20b; J.Sab 1,3,3c; J. Sheq 3,3,47c; CtR 1,1,9; Midrash Mishle Pr 15,32.
19. Vorstellungen vom heiligen Geist in der rabbinischen Literatur, Munich 1972, 118.
20. W.D. Davies, The Gospel and the Land, Berkeley - Los Angeles - London 1974.
44
F. MANNS
4.
4.1.
Qumran
21. Dt 3,12; 4,1; 4,22; 4,38; 4,47; 9,4.5.6.23; 10,11; 12,29; 16,20; 20,15; cf. Jos 12,6-7;
13,1.7; Ez 11, 15 ; 45,1; Ps 134,12.
22. Sira 46,8; Tobit 14,4-5; 4 Esd 13,4; Bar 3,4-5; Jub 12,22; 13,3; 22,27; Ps of Salomon 9,
1; 17,23.
23. H. Stegemann, Der Pesher Psalm 37 aus Hhle 4 von Qumran (4QpPs37) , RQ 4
(1963) 235-270. D. Pardee, A Restudy of the Commentary on Psalm 37 from Qumran
Cave 4, RQ 8 (1973) 163-194.
45
cued from all snares of Belial. Afterwards they shall enjoy in all of the
land (haares) . The end of the sentence is not clear. Dupont Sommer24
reads it : Ils se dlecteront de tous les (plaisirs) de la terre et ils
sengraisseront de toutes les dlices de la chair . Ebyonym and anawim
are synonyms in this text.
III, 10-11 (vv.21-22) is a commentary on Ps 37,22 : For those who
are blessed by him shall possess the land but those who are cursed by him
shall be cut off. Its interpretation concerns the congregation of the poor
(ebyonym) to whom is the inheritance of the whole world (tebel)... They
will inherit the high mountain of Israel and delight in his sanctuary
(beqodsho) . Dupont Sommer translates : Lexplication de ceci concerne
la congrgation des pauvres qui (donnent) la proprit de toute la (fortune)
quils possdent, ils possderont la sublime montagne dIsral et dans son
sanctuaire ils se dlecteront).
The congregation of the poor is the Essenes community (1 QS 9,22).
IV, 2 comments Ps 37,29 : The just shall possess the land and live for
ever upon it. (The interpretation concerns his chosen ones who shall live)
for thousand (generations). This is the interpretation of Dupont Sommer.
IV,10-12 comments Ps 37,34 : Trust the Lord and keep his way. He
shall exalt you and you shall inherit the land and see that the wicked are
destroyed. His interpretation concerns the congregation of the poor
(ebyonym) who shall see the judgment of the wickedness and the people of
his chosen ones will rejoice in the inheritance (benahalat) of the land (only
the letter aleph is visible). Dupont Sommer reads : Ses lus se rjouiront
de lhritage de vrit (emet) (jamais) .
Three answers are given in this Pesher : the first one speaks of the land
itself, the second applies the land as a metaphor for the Temple and the last
sense is applied to future life.
In 4 Q 418 81 1,3. 9-14 we have another text describing the remnant
community which shall inherit the land :
For he opened your lips as a fountain to bless the holy ones. And you,
as an overflowing fountain praise his name And for you he opened insight, gave you authority over his storehouse and entrusted you with an
accurate ephah () are with you. It is in your hands to turn aside wrath
from the men of his favour and punish (the men of Belial) Before you
take your portion from his hand, honor his holy ones and before you He
opened a fountain for all his holy ones, all who by his name are called holy
46
F. MANNS
ones they will be for all the eras the splendors of his sprout and eternal
planting () will come for thus will walk all those who inherit the land,
for by his name are they called .
The text, based upon Zech 13, 1 and Is 11,1 and 60,21, has an
eschatological flavor. To inherit the land in this context means to inherit
eternal life.
Nevertheless the land of Israel had its importance for the members of
the sect (1 QS 1,5; 8,4-7; 9,3). CD 1,7 has it : God visited them and out
of Israel and Aaron he made grow a root of plantation to inherit his land
and to get fat with the goods of his soil . It is because of the sins of the
people that God hides his face from the land (CD 2,9.11 ; 4,10).
4.2.
In apocalyptic texts
47
Testament of Job 33. Job asserts in a Psalm his allegiance to the supra
mundane heavenly realm where he has an eternal kingdom : My throne
is in the upper world, and its splendor and majesty come from the right
hand of the Father. The whole world shall pass away and its splendor shall
fade. And those who heed it shall share in its overthrow. But my throne is
in the Holy Land and its splendor is in the world of the changeless one .
The Holy Land as early as Zech 2,16 and Wisd 12,3 refers to the promised
land. But the term is used metaphorically of heaven.
4.3.
In hellenistic Judaism
25. F. Garca Martnez, Qumran Cave 11,II (11Q2-18, 11Q20-31), DJD 23, Oxford 1998,
305-356.
48
4.4.
F. MANNS
In Pharisaism
26. Derek Erets Zuta (Pereq Hashalom 21b) is very close to the Sifre Bamidbar text : He
who loves peace, forsakes it and answers those who greet him God gives him life in this
world and in the other as it is written in Psalm 37,11. The meek will possess the earth, glad
with a great joy . The eschatological meaning of this commentary is clearly indicated.
27. Idem T. Qid 1,13.
28. Taanit 4,6; PRK 16,128a ; Pes 10,6, ARN 35 ; Meg 17b-18a.
29. PR 35,1; ExR 2,5; DtR 7,2, Ber 10a.
49
berabbi Jose.
34. Philo, Spec Leg 2,215-222; Josephus, Ant 4,242; Sifre Dt 297, Bik 1,3.
35. Sab 14b; T. Parah 3,5.
36. AZ 1,8 ; T. AZ 2,8; AZ 20a.
37. S. Safrai, The Land of Israel in Tannatic Halacha, 201-215. M.H. Tannenbaum -
50
5.
F. MANNS
Meaning of Mt 5,4
ScripBull 19 (1989) 35-41. J.P. Meier, Matthew 5:3-12 , Inter 44 (1990) 281-297.
51
Montefiore, The Religious Teaching of the Synoptic Gospels in relation to Judaism, HibJ
20 (1921-22) 437.
44. Lc 21,15 : I shall give you a language and a wisdom in front of which they shall not
be able to resist . The Old Testament already put together Wisdom and Spirit in Wisd 7,7
and 9,17. Like Wisdom the Spirit is source of Life and Holiness (Wisd 1). Like Wisdom
the Spirit is a creating power; both of them have a universalistic comprehension (Ps 33,6 ;
Ps 104,30 and Pr 3,19). Like Wisdom the Spirit brings forth humanity (Wisd 9,3 and Gen
2,7 and 6,3) inspires in Israel men able to guide their brothers (Gen 41,37-39 and Sag
10,13), permits exodus (Is 63 and Wisd 10). Like wisdom the Spirit cannot live with sin
(Wisd 1,4-5). Both of them are educators (Wisd 6,3-11; 8,9-16).
45. K. Stendahl, The School of Matthew and its Use of the Old Testament, Lund 1954.
N. Casalini
La cena del Signore, che Paolo chiama pasto del Signore (kuriako\n
deipnon) (1Cor 11,20b) e considera una partecipazione alla mensa del Signore (trapezh kuriou metecein) (1Cor 10,21b), di nuovo al centro
dellinteresse di teologi ed esegeti per limportanza che ha assunto nel dibattito ecumenico attuale. Le diverse Chiese di antica origine e le varie
Confessioni cristiane da esse derivate hanno compreso che questo atto comunitario di culto a Dio per mezzo di Ges Cristo, chiamato tecnicamente
Eucarestia (eujcaristia), rendimento di grazie, nella Didach (9,1.5)
e nelle Lettere di Ignazio di Antiochia (Ef 13,1; Filad 4; Smir 8,1), segno
fondamentale che attesta visibilmente e in modo sacramentale lunit nella
fede in Cristo Signore, a cui bisogna tendere per adempiere al desiderio
dello stesso Signore (Gv 17,11.21-23). Ma linteresse attuale non altro
che una fase di una lunga storia della ricerca, in cui la discussione dei problemi di questo rito particolare del Cristianesimo stata sempre viva e non
priva di polemica1.
54
N. CASALINI
2. M. Barth, Das Mahl des Herrn. Gemeinschaft mit Israel, mit Christus und unter den
Gsten, Neukirchen-Vluyn 1987; G. Barth, Das Herrenmahl in der frheren Christenheit,
in: Idem, Neutestamentliche Versuche und Besinnungen, 1986, 67-134; B. Chilton, A Feast
of Meaning. Eucharistic Theologies from Jesus trough Johannine Circles (NT.S 72), Leiden
1994; A.J. Chupungo (ed.), Handbook for liturgical Studies. III: The Eucharist, Collegeville
1999; P. Grelot, Corps et sang du Christ en gloire. Enqute dogmatique (LD 182), Paris
1999; F. Hahn, Die alttestamentlichen Motive in der urchristlichen Adendmahlsberlieferung, EvTh 27 (1967) 337-374; A.J. Higgins, The Lords Supper in the New
Testament (SBT 6), London 1952; J. Jeremias, Die Abendmahlsworte Jesu, Gttingen 41967;
W. Marxen, Das Abendmahl als christologisches Problem, Gtersloh 1963; B.F. Meyer,
Recondite Hermeneutics and the Last Supper Rite, in: Evangelium - Schriftauslegung Kirche, Gttingen 1997, 296-309; S.A. Panimolle (ed.), LEucarestia nella Bibbia (Dizionario di Spiritualit Biblica e Patristica 19), Roma 1998; H. Patsch, Abendmahl und
historischer Jesus (CThM.A 1), Stuttgart 1972; J.Chr. Salzmann, Lehren und Ermahnen.
Zur Geschichte des christlichen Wortgottesdienstes in den ersten drei Jahrhundert (WUNT
2.59), Tbingen 1994; H. Schrmann, Das Weiterleben der Sache Jesu im nachsterlischen
Herrenmahl. Die Kontinuitt der Zeichen in der Diskontinuitt der Zeiten, in: Idem, Jesus.
Gestalt und Geheimnis. Gesammelte Beitrge, ed. L. Scholtissek, Paderborn 1994, 241-265.
3. Eine Studie zur Geschichte der Liturgie (AKG 8), Berlin 31955.
4. Messe und Herrenmahl, 253.
55
56
N. CASALINI
vorisce una interpretazione diversa: lordo non riguarda due modi per celebrare la cosiddetta Eucarestia, ma un solo atto di culto, in cui il pasto sacramentale (descritto da Did 10,6 e sg.) seguiva immediatamente e dopo
un pasto comunitario, senza comunione sacramentale (descritto in Did 9,110,5)12. Con ci lipotesi di H. Lietzmann potrebbe ritenersi definitivamente abbandonata. In effetti ricordata da teologi ed esegeti solo per
essere confutata e respinta13. Ma faccio notare che il problema, che tale
ipotesi doveva contribuire a risolvere, resta irrisolto, perch non era inventato e si ripropone di nuovo ad ogni studioso che legge senza pregiudizio i
testi che H. Lietzmann aveva indicato.
Lautore degli Atti usa la formula fractio panis (klasi touv artou) per
indicare non solo il pasto quotidiano in comune (At 2,46), ma anche la celebrazione cultuale comunitaria nel primo giorno della settimana (en de
thv mia twn sabbatwn), che comprendeva listruzione apostolica e il pasto
(At 20,7-11), di cui difficile negare la natura eucaristica, dato il tempo
in cui questa tradizione stata da lui raccolta e fissata (fine del I sec. d.C.)
e data levidente analogia con la tradizione eucaristica pi antica attestata
da Lc 24,3014. Quindi anche questa deve essere presa in considerazione
nellesame delle tradizioni sul pasto o cena del Signore.
Per il resto, la ricerca attuale continua a dibattere gli stessi problemi, anche se in forme diverse, secondo il diverso ambiente culturale a cui appartengono gli esegeti e i loro studi, che sembrano orientati in due direzioni.
Una, di natura storico-letteraria, che cerca di reperire o ricostruire la forma
originaria della istituzione della cena del Signore e, in particolare, delle
parole di Ges15. Una seconda, di natura storico-religiosa, cerca di individua-
12. H. Conzelmann, Grundriss der Theologie des Neuen Testaments, Tbingen 61997, 133134.
13. H. Conzelmann, Grundriss 133-134; J. Roloff, Neues Testament, Neukirchen-Vluyn
7
1999, 274-275; L. Goppelt, Theologie des Neuen Testaments, Gttingen 31991, 261-262.
Anche G. Strecker, Theologie des NT 179-180, la riporta per criticarla. Ma poi il lettore
scopre con sorpresa che questo autore sostiene la stessa cosa trattando di due tipi distinti di
pasto comunitario con valore cultuale: uno per la comunit palestinese, per lo pi come
descritto in At 2,42.46 (pp. 305-306), e uno per la comunit ellenistica, come tramandato
da Mc 14,22-25 (pp. 325-326).
14. Cf. J. Wanke, Beobachtungen zum Eucharistieverstndnis bei Lukas (EThS 8), Leipzig
1973, 19-24; riassunto in J. Wanke, EWNT II, 729-732; e W. Bsen, Jesusmahl Eucharistisches Mahl - Endzeitmahl. Ein Beitrag zur Theologie des Lukas (SBS 97),
Stuttgart 1980, 126-133.
15. Cf. in particolare B. Kollmann, Ursprung und Gestalten der frhchristlichen Mahlfeier
(GTA 43), Gttingen 1991; H. Merklein, Erwgungen zur berlieferungsgeschichte der
neutestamentlichen Abendmahlstradition, in: Idem, Studien zu Jesus und Paulus (WUNT
57
43), Tbingen 1987, 157-180; B.D. Smith, The More Original Form of the Words of
Institution, ZNW 82 (1992) 166-186; Th. Sding, Das Mahl des Herrn: Zur Gestalt und
Theologie der neutestamentlichen Tradition, in: Vorgeschmack. kumenische Bemhungen um die Eucharistie, ed. B.J. Hilberath, Mainz 1995, 134-163.
16. Una sintesi della proposta si pu trovare in J. Roloff, Neues Testament 275-279. Cf.
anche B. Chilton, The Eucharist - Exploring Its Origins, BR 10, 36-43.
17. B. Chilton, A Feast of Meaning 71.
18. B. Chilton, A Feast of Meaning 71-72, che riprende lidea da B. Lang, The Roots of
the Eucharist in Jesus Praxis, SBLSP 31 (1992) 467-472; riproposta esplicitamente in The
Eucharist: A Sacrificial Formula Preserved, BR 10 (1994) 44-49.
19. B. Chilton, A Feast of Meaning 72.
20. Cos J.-M. Van Cangh, Les origines de lEucharistie. Le cas des Actes des Aptres
Apocriphes, in: LEvangile explor, ed. A. Marchadour (LD 166), Paris 1996, 393-414:
404-414; cf. anche Idem, Le droulement primitif de la Cne (Mc 14,18-26 et par.), RB
102 (1995) 193-225; e Peut-on reconstruire le texte primitif de la Cne? (1Cor 11,23-26
par. Mc 14,22-26), in: Corinthian Correspondence, ed. R. Bieringer (BETL 125), Leuven
1996, 623-637.
58
N. CASALINI
14,8 e 15,43 indica senza equivoco solo il corpo delluomo, distinto da tutto
il resto (cf. Mc 15,45 dove chiamato tecnicamente ptwma, cadavere).
La terza considera originario il nucleo tramandato da Mc 14,22.24 costituito dalle parole sul pane Questo il mio corpo (touvto/ estin to\
swma mou) e le parole sul bicchiere che significano espiazione, ma senza
riferimento al patto (thv diaqh/kh): Questo il mio sangue [], versato
per molti (touvto/ estin to\ aima mou [], to\ ekcunno/menon uJper
pollwn)21.
La quarta ritiene costitutiva del nucleo originario le parole sul pane
Questo il mio corpo (touvto/ estin to\ swma mou) e le parole sul bicchiere con riferimento al sangue del patto, ma senza la formula di espiazione (to\ ekcunno/menon uJper pollwn): Questo il mio sangue, del patto
(touvto/ estin to\ aima mou thv diaqh/kh) (Mc 14,24ab)22, o al patto nuovo stretto nel suo sangue: Questo bicchiere il nuovo patto nel mio sangue (touvto to\ poth/rion hJ kainh\ diaqh/kh estin en tw emw aimati)
(1Cor 11,25b)23.
Quanto al modello cultuale che potrebbe avere ispirato la costituzione
della cena o pasto del Signore, si preferiscono analogie con le forme dei
sacrifici dellAntico Testamento: di partecipazione (o di comunione)24, di
ringraziamento25, o quello dellofferta quotidiana del pane26.
Ma non hanno perso valore due ipotesi pi antiche, per la loro evidente
forza probativa. La prima, proposta da K.G. Kuhn, che trovava una indubbia somiglianza con il pasto della setta giudaica di Qumran, a base di pane
e di mosto27, che consideravano laccesso nella comunit come un entrare
21. Cos J. Jeremias, Die Abendmahlsworte Jesu 186-187. Simile lipotesi di J. Roloff,
Neues Testament 287, che preferisce Questo bicchiere il mio sangue per molti unificando linizio preso da 1Cor 11,25 (touvto to\ poth/rion) con Mc 14,24 (to\ aima mou ... uJper
pollwn).
22. Cf. K. Berger, Theologiegeschichte 318.
23. Cos E. Schweizer, Abendmahl, RGG3, 10-21: 14.
24. la proposta di B. Chilton, A Feast of Meaning 73-74, che rimanda a Lev 3 e a Gn
31,51-54 (Giacobbe e Laban), Es 18,9-12 (Ietro con Aronne e gli anziani), Es 24,4-11 (il
sacrificio del patto con Mos, Aronne, Nadab, Abihu e gli anziani, davanti a Dio).
25. la proposta di D.R. Lindsay, Todah und Eucharist: The Celebration of the Lords
Supper as a Thanksoffering in the Early Church, Restoration Quarterly 39 (1997) 83100, che riprende una idea di H. Gese, Psalm 22 und das Neue Testament. Der lteste
Bericht vom Tode Jesu und die Entstehung des Herrenmahles, ZThK 65 (1968) 1-22.
26. M. Douglas, The Eucharist: Its Continuity with the Bread Sacrifice of Leviticus,
Modern Theology 15 (1999) 209-224.
27. ber den ursprnglichen Sinn des Abendmahles, 508-527, che si riferisce a 1QS 6,16 (spec. 6,2-5) e a 1QSa 2,11-22 (spec. 2,7-21).
59
nel patto, che era un patto di eterna comunit, detto anche nuovo patto,
in terra di Damasco28. La seconda trova analogie con il pasto celebrato in
onore di defunti fondatori di scuole filosofiche o di imperatori, a cui sembra rinviare la formula di 1Cor 11,24d: Questo fate in mia memoria
(touvto poieite ei th\n emh\n anamnhsin) (cf. 1Cor 11,25c e Lc 22,19d)29.
La differenza tra le diverse ipotesi indicate attesta che i problemi riguardanti lorigine del pasto del Signore, detto Eucarestia, le parole della
istituzione, il modello cultuale di riferimento della sua costituzione, sono
ancora irrisolti. Ugualmente non risolto il problema del rapporto tra la
tradizione tramandata da Mc 14,22-25 e quella tramandata da Paolo in 1Cor
11,23b-25. evidente infatti che mentre tutte le ipotesi indicate concordano tra loro sulle probabili parole originarie dette da Ges per dare significato sacrale al pane, divergono su quelle per la significazione del bicchiere
(del vino). J.M. van Chang le elimina del tutto dalla tradizione originaria
ritenendole una interpretazione teologica aggiunta. Alcuni invece danno la
precedenza a Mc 14,24 (Questo il mio sangue, del patto o Questo il
mio sangue [], versato per molti). Ma altri lo ritengono posteriore a
Paolo (1Cor 11,24-25), per levidente anomalia nel parallelismo tra swma
e to\ poth/rion, che ritengono pi originario di fronte a quello letterariamente e cultualmente perfetto tra swma e aima che si legge in Mc 14,2224 e che Paolo non avrebbe osato mutare se lo avesse conosciuto30.
Ma anche questa stringente obiezione letteraria appare fragile di fronte
alla osservazione acuta di chi fa notare che la formula di Paolo (Questo
bicchiere il nuovo patto nel mio sangue) appare semplicemente pi lo-
28. Le qualifiche sono citate da K. Berger, Theologiegeschichte 319, per levidente analogia con la teologia simbolica espressa nelle parole della Cena del Signore.
29. Le testimonianze sono raccolte da J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 230-235. In particolare : a) Diogene Laerzio X,18 in cui si legge la notizia che Epicuro stabil per testamento una riunione mensile dei suoi discepoli, probabilmente con pasto, a nostro ricordo
(ei th\n hJmwn ... [mnh/mhn]); b) una iscrizione tombale di Bitinia, Provincia Imperiale, in cui
poiein aujtou\ ana[<m>]nh[s]in mou. Altri testimoni
si legge questa disposizione: <epi tw>
in H.J. Klauck, Herrenmahl und hellenisticher Kult (NTA 15), Mnster 21986, 76-91; e pi
esaustivo B. Laum, Stiftungen der griechischen und rmischen Antike. Ein Beitrag zur
antiken Kulturgeschichte. II. Urkunden, Leipzig-Berlin 1914.
30. Lanomalia del parallelismo swma / to\ poth/rion in 1Cor 11,24-25 era gi stata rilevata
da E. Ksemann, Anliegen und Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre, in: Idem,
Exegetische Versuche und Besinnungen, Gttingen 61970, 11-34; e da G. Bornkamm,
Herrenmahl und Kirche bei Paulus, in: Idem, Studien zu Antike und Urchristentum.
Gesammelte Aufstze II (BEvTh 28), Mnchen 31970, 138-176. Il suo uso come indizio
letterario per stabilire lanteriorit del testo di 1Cor 11,24-25, nei confronti di Mc 14,23-24
si trova in G. Strecker, Theologie des NT 178 e in J. Roloff, Neues Testament 287.
60
N. CASALINI
gica, e quindi potrebbe essere ritenuta secondaria o spiegata come un tentativo di chiarire quella di Marco, logicamente e linguisticamente pi
dura31.
Questo stato di cose attesta che probabilmente non potremo mai ricostruire con precisione le parole autentiche dette da Ges durante la cena,
nella notte in cui fu tradito32. Naturalmente, se si accetta il presupposto,
storicamente non verificabile, che fu lui il vero istitutore del pasto cultuale
in ricordo della sua morte, che poi fu detto pasto del Signore o
Eucarestia33.
Ma per coloro che non ammettono tale presupposto, il problema si pone
in modo diverso. Non si tratta di sapere quale parole disse Ges in quella
notte fatale, ma da dove ha avuto origine una tale istituzione cultuale e
quali erano le formule liturgiche pi antiche che la comunit cristiana delle
origini aveva abitudine di dire quando si riuniva per il pasto in comune,
che certamente era un atto cultuale fondamentale della sua costituzione,
come attesta la tradizione tramandata da At 1,42.46; 20,7-11 e confermata
dalla lettera X,96 di Plinio il Giovane, Governatore della Bitinia, allImperatore Traiano. Da questa testimonianza indipendente si desume che tra la
fine del I sec. d.C. e linizio del II sec. d.C., i cristiani, in un giorno stabilito (stato die, probabilmente il primo della settimana, dopo il sabato: cf.
1Cor 16,2), si riunivano prima dellalba (ante lucem) per cantare a Cristo,
come a un Dio (Christo quasi deo carmen dicere); e poi, alla sera dello
stesso giorno, per mangiare (ad capiendum cibum)34.
Tuttavia in ci che segue non nostra intenzione riesaminare tutti questi problemi, n sottoporre a verifica le ipotesi di soluzione indicate. Ma
61
mi limiter a un compito essenziale: ricordare con cura e precisione le tradizioni fondamentali della Eucarestia, quali sono state tramandate nel
Nuovo Testamento e, in particolare, quella sui gesti simbolici compiuti da
Ges nella ultima cena, da lui fatta con i suoi discepoli nella notte in cui
fu tradito, come dice Paolo in 1Cor 11,23b e che, secondo la tradizione
evangelica, fu una cena pasquale, come si legge in Mc 14,12-13; Mt 26,7 e
Lc 22,7-835.
Questo esame sar da noi effettuato con il preciso intento di chiarire
alcuni problemi, oggi vivacemente dibattuti e che di fatto determinano anche le scelte pratiche che vengono effettuate nelle celebrazioni liturgiche
comunitarie per rendere pi attrativa e attuale la celebrazione di tale mistero cultuale. In particolare: 1) Se il pasto del Signore era ritenuto come un
pasto comune, fatto in comune o se era distinto da esso. 2) Se tale pasto
in comune era effettuato come forma di condivisione dei beni (koinwnia)
con i pi poveri, o se era distinto da pasti comuni a scopo di beneficenza.
3) Se il pasto del Signore era rievocato come cena pasquale, o distinto da
essa. 4) Se nelle parole di significazione (1Cor 11,23b-25) o di distribuzione (Mc 14,22-24) del pane e del vino era implicito il valore sacrificale,
espiatorio o sostitutivo, della morte di Cristo. 5) Se in tali parole di
significazione o distribuzione sia implicito il riferimento diretto o indiretto
a Ger 31,31-34, Es 24,8, Is 53 e se questi testi siano da usare per comprendere il senso teologico dellazione simbolica con essi significata. 6) Se il
pasto del Signore comunica il perdono dei peccati a coloro che vi partecipano, o se presuppone che i partecipanti siano gi stati purificati dai loro
peccati. 7) Se il pasto del Signore fosse considerato un atto cultuale di
iniziazione alla fede, parallelo al battesimo, di cui sarebbe un ricordo e la
effettiva realizzazione. 8) Se sia necessaria la fede per partecipare alla mensa del Signore, al suo corpo e al suo sangue, o se vi pu partecipare chiunque, anche chi non crede. 9) Se tale partecipazione sia un mezzo di salvezza
per effetto della morte di Cristo che vi rievocata, o per il semplice fatto
di essere associati alla comunit, che si riunisce intorno alla mensa.
35. Queste tradizioni sono enumerate da B. Kollmann, Ursprung und Gestalten, come se-
gue: 1Cor 11,17-34 e 1Cor 10,14-22 (pp. 38-68), At 2,42-47 e At 20,7-12 (pp. 71-99), la
testimonianza di Giovanni (pp. 102-131), lultimo pasto del Signore (pp. 153-238). Quindi
avremmo quattro tendenze: quella paolina, quella lucana (At), quella giovannea e quella
sinottica. Ma come noto, J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 183, ne contemplava solo
tre: quella di Marco, quella di Paolo (e Luca) e quella di Giovanni. La classificazione di
B. Kollmann ci pare pi completa e conforme allo stato della documentazione neotestamentaria.
62
N. CASALINI
Come noto, la cena o ultimo pasto del Signore, ricordato anche nel
Vangelo di Giovanni (Gv 13,2a). Ma con sorpresa di ogni lettore, lautore
non riporta la scena della istituzione dellEucarestia e al suo posto narra
un fatto veramente sconvolgente, non riportato dagli altri racconti del vangelo. Ges si alza da tavola, si cinge i fianchi con un panno, prende acqua
in un catino e lava i piedi a tutti i suoi discepoli, invitandoli espressamente
36. Le pi importanti sono gi state citate nellesposizione che precede. Riassumendo, ri-
63
37. Tra i molti saggi dedicati a Gv 13,1-20 e al suo significato rimandiamo ai pi significa-
tivi: J. Beutler, Die Bedeutung des Todes Jesu im Johannesevangelium nach Joh 13,1-20,
in: Der Tod Jesu, ed. K. Kertelge (QD 74), Freiburg i. Br. 1976, 188-204; R.A. Culpepper,
The Johannine Hypodeigma: A Reading of John 13, Semeia 53 (1991) 133-152; J.D.
Dunn, The Washing of the Disciples Feet in Joh 13,1-20, ZNW 61 (1970) 247-252; E.
Malatesta, Le lavement des pieds, Christus 23 (1976) 209-223; K.Th. Kleinknecht,
Johannes 13, die Synoptiker und die Methode der johanneischer Evangelienschreibung,
ZThK 82 (1985) 361-388; F. Genuyt, Les deux bains, Smiotique et Bible 25 (1982) 121; R. Kiffer, Larrire fond juif du lavement des pieds, RB 105 (1988) 546-555; F.
Manns, Le lavement des pieds, RevSR 55 (1981) 149-169; F.J. Moloney, A Sacramental
Reading of John 13,1-38, CBQ 53 (1991) 237-256; Chr. Niemand, Die Fusswaschungserzhlung des Johannesevangeliums (StAns 114), Rom 1993; G. Richter, Die Fusswaschung im Johannesevangelium (BU 1), Regensburg 1967; M. Sabbe, The Footwashing
in Joh 13 and Its Relation to the Synoptic Gospels, in: Idem, Studia Neotestamentica.
Collected Essays (BETL 98), Leuven 1991, 409-441; F.F. Segovia, John 13,1-20. The
Footwashing in the Johannine Tradition, ZNW 73 (1982) 31-51; J.C. Thomas, Footwashing
in John 13 and the Johannine Community (JSNT.S 61), Sheffield 1991; H. Weiss,
Footwashing in the Johannine Community, NT 21 (1979) 298-325.
38. Cos pensa J.C. Thomas, Footwashing 126-185, il quale suppone che il lavaggio dei
piedi took place in the context of a meal (perhaps the Agape?) together with the Eucharist
(p. 184). Ma il suo scopo pare essere sacramentale, perch dice che tale lavaggio di piedi
has to do with the issue of post-conversion sin, con riferimento a 1Gv 1,7-10; 2,1-2; 5,1618 (p. 188). Cf. anche Chr. Niedmand, Die Fusswaschungserzhlung 383, il quale suppone
che fosse un rito di purificazione, con evidente valore sacramentale, con cui venivano ammessi nella comunit giovannea i discepoli che avevano gi ricevuto il battesimo di conversione di Giovanni, il Battezzatore.
39. Che lautore di Gv conoscesse Lc e Mc una ipotesi quasi comune della ricerca pi
recente: cf. U. Schnelle, Einleitung in das Neue Testament, Gttingen 31999, 506-509.
64
N. CASALINI
conto che il verbo lou/ein usato per indicare questo atto rituale in altri
testi del Nuovo Testamento: 1Cor 6,11 (apelou/sasqe); Eb 10,22
(lelousmenoi to\ swma udati kaqarw); At 22,16 (baptisai kai apo/
lousai ta amartia sou); Ef 5,26 (ina aujth\n agiash kaqarisa tw
loutrw touv udato en rh/mati). Ad esso sarebbe da riferire anche il
kaqaro\ olo di Gv 13,10c. Quindi il lavaggio dei piedi potrebbe significare la purificazione (parziale) dei peccati conseguenti al battesimo40. Ci
non da tutti accettato. Alcuni ritengono evidente una allusione al battesimo in Gv 13,10bc. Ma rifiutano ogni valore sacramentale al lavaggio dei
piedi41. Altri rifiutano anche lipotesi di una eventuale allusione al battesimo, e considerano il gesto simbolico come un annuncio nel segno delleffetto salvifico della sua morte, che Ges comunica ad ognuno di coloro che
lo seguono e di cui costoro, in qualche modo, gi godono per la fede con
cui lo hanno seguito ed accolto42.
Quindi il lavare i piedi (niptein tou\ po/da: Gv 13,5b) indica il suo
servire quale atto di abbassamento e abnegazione, che preannuncia la croce, che labbassamento e il servizio reale43. Ma anche questo servizio
solo un gesto simbolico o una metafora, che significa la dedizione totale del
suo amore, che lo ha spinto a morire e a dare la vita per la loro salvezza44.
probabile che sia proprio questo il motivo della audace sostituzione
narrativa operata dallautore di tale Vangelo45. E in realt cos lo ha sempre
compreso la tradizione della religione cristiana presso tutte le Chiese di
fondazione apostolica, che ha preservato solo la Eucarestia come segno
sacramentale della fede, e ha interpretato il lavaggio dei piedi come un
semplice gesto che indicava il suo significato, per spiegare quale fosse il
servizio che il Cristo ha reso e che ognuno dei discepoli deve rendere allaltro: amare come Ges ha amato, fino a dare la vita per la salvezza dellaltro.
Questo infatti si legge nel prologo narrativo dellepisodio. In Gv 13,1:
Sapendo Ges che la sua ora era giunta di passare da questo mondo al
Padre, avendo amato i suoi nel mondo, li am fino alla fine (ei telo
65
46. J. Gnilka, Theologie des NT 315-317. Cf. anche A. Weiser, Theologie des NT II 163.
47. Cos pensa K. Berger, Theologiegeschichte 312-314, che ritiene la tradizione del pasto
finale di Ges in Gv 13,1-20 anteriore alla tradizione sinottica della Cena con listituzione
della Eucarestia, totalmenete ignorata dalla precedente.
48. Cf. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 134-135. Ci negato da K. Berger,
Theologiegeschichte 312. Ma riconosciuto da G. Strecker, Theologie des NT 536-538 e J.
Gnilka, Theologie des NT 320-323.
49. Nella immensa bibliografia su Gv 6, rimandiamo solo ai seguenti autori, per noi pi significativi: E. Schweizer, Das johanneische Zeugnis vom Herrenmahl, in: Idem,
Neotestamentica, Stuttgart 1963, 371-396; P. Borgen, Bread from Heaven (NT.S 10),
Leiden 1965; J. Blank, Die johanneische Brotrede, BiLe7 (1966) 193-207; G. Bornkamm,
Vorjohanneische Tradition oder johanneische Bearbeitung in der eucharistischen Rede
Johannes 6?, in: Idem, Geschichte und Glaube IV (BEvTh 53), Mnchen 1971, 51-64;
J.D.G. Dunn, Joh VI - an Eucharistic Discourse?, NTS17 (1970/71) 328-338; H. Klos, Die
Sakramente im Johannesevangelium (SBS 46), Stuttgart 1970; H. Schlier, Johannes und
das johanneische Verstndnis der Eucharistie, in: Idem, Das Ende der Zeit, Freiburg i. Br.
1971, 102-123; R. Richter, Zur Formgeschichte und literarische Einheit von Joh 6,31-58,
in: Idem, Studien zum Johannesevangelium, ed. J. Hainz (BU 18), Regensburg 1977, 88119; L. Schenke, Die formale und gedankliche Struktur von Joh 6,26-58, BZ 24 (1980)
21-41; Idem, Die literarische Vorgeschichte von Joh 6,26-58, BZ 29 (1985) 68-89; H.
Weder, Die Menschwerdung Gottes. berlegungen zur Auslegungsproblematik des
Johannesevangeliums am Beispiel von Joh 6, in: Idem, Einblicke ins Evangelium,
66
N. CASALINI
chiama anche pane di Dio e dice che d la vita al mondo (Gv 6,33).
Ci non nuovo. Anche la Sapienza di Dio, nellAntico Testamento, presentava se stessa e la propria istruzione nella metafora simbolica del pane
da mangiare e del vino da bere (Prov 9,5; cf. Sir 24,17-22 LXX)50. Ci che
invece assolutamente inaudito il fatto che Ges stesso spiega che il
pane, in cui egli simbolicamente offre se stesso da mangiare, significa la
sua vita offerta in sacrificio per la vita del mondo. Quindi una verit della
fede che bisogna credere. Dice in Gv 6,51: E il pane che io dar la mia
carne per la vita del mondo51.
In ci che segue invita espressamente a mangiare dicendo in Gv 6,53:
In verit, in verit, dico a voi. Se non mangiate la carne del Figlio dellUomo e non bevete il suo sangue non avete in voi la vita. E in Gv 6,54
aggiunge: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna
e io lo risusciter nellultimo giorno. Conclude in Gv 6,57 affermando
linaudito per un uomo e per un Dio: Chi mangia di me, vivr per mezzo
di me.
Che in Gv 6,51.53-54 lautore faccia uso di un linguaggio simbolico
sacramentale, derivato dalla tradizione della Cena del Signore, cosa
comunemente accettata52. In particolare si fa notare che la formula di Gv
6,51c e il pane che io dar la mia carne per (hJ sarx mou/ estin uJper) la
vita del mondo, una variante delle parole di significazione del pane
(uJper uJmwn: 1Cor 11,24) e del vino (uJper pollwn: Mc 14,24c), quali si
67
68
N. CASALINI
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70
N. CASALINI
Il suo misterioso silenzio si potrebbe spiegare dicendo che, secondo la logica narrativa di questo autore, solo il Figlio dellUomo immolato ed esaltato
poteva fare realmente il dono promesso in Gv 6,51c58. Ma di questo dono
eucaristico non tratta espressamente nel racconto che segue alla sua morte.
Lunico pasto del Signore con i discepoli narrato in Gv 21,4-13 (in particolare Gv 21,13), a cui in genere non si attribuiscono caratteristiche sacramentali, bench tutti riconoscano una indubbia connotazione eucaristica: Viene
Ges e prende il pane (lambanei to\n arton) e diede loro (kai didwsin aujtoi),
e il pesce ugualmente (Gv 21,13; cf. Lc 24,30; Mc 14,11)59.
A meno che non si voglia vedere nel sangue (aima) che esce dal costato
di Ges morto e ferito dalla lancia del soldato (Gv 19,34-35), un riferimento simbolico indiretto al sacramento della Eucarestia, secondo una interpretazione mistica, tradizionale nella Chiesa60. Ma ci non si accorda bene
con la logica narrativa, in cui ci che promesso il pane (arton), come
si legge in Gv 6,51c.
Si potrebbe quindi fare unipotesi diversa, ma ugualmente ragionevole.
Lautore del Vangelo di Giovanni conosceva lazione simbolica materiale
compiuta da Ges nellultima cena, indicando il pane e il vino come segni
del suo corpo e del suo sangue, cio della sua morte violenta, presentata
come un atto di immolazione sacrificale. Ma ha tralasciato deliberatamente
il racconto di questo fatto cos sacro e venerato per proteggerlo dalla profanazione di chi lo ritenenva un pasto normale, e per far comprendere che
ci che salva non il simbolo fisico della sua carne e del suo sangue da
mangiare e da bere, ma il senso da credere, che le sue parole hanno dato a
questo gesto sacro, perch solo queste danno lo Spirito, mentre il segno
materiale non di giovamento, come lascia dire a Ges stesso in Gv 6,63.
Rivolgendosi ai discepoli che ritenevano duro il suo invito a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, afferma per dare significato alle due
metafore: lo Spirito che vivifica. La carne non giova a nulla. Le parole
che io ho detto a voi sono Spirito e vita61.
58. Questa lipotesi di J. Gnilka, Theologie des NT 323.
59. U. Schnelle, Das Evangelium nach Johannes 317.
60. Per questa interpretazione cf. W. Thsing, Die Erhhung und Verherrlichung Jesu im
Johannesevangelium (NTA XXI/1.2), Mnster 31979, 171-172; W. Klos, Die Sakramente
74-76; J.P. Heil, Blood and Water. The Death and Resurrection of Jesus in John 18-21
(CBQ.MS 27), Washington 1995, 107-108.
61. Questa la spiegazione proposta da K. Berger, Theologiegeschichte 312. Tuttavia lautore del racconto evangelico non fa polemica contro una interpretazione materiale del cibo
eucaristico; ma corregge una interpretazione fisica delle sue parole, data dai Giudei (cf.
Gv 6,52) e dai discepoli che ascoltano e comprendono allo stesso modo (cf. Gv 6,60-63).
Ma una diversa spiegazione in G. Strecker, Theologie des NT 537.
71
Secondo la datazione attualmente in vigore tra gli studiosi dei testi del Cristianesimo, Paolo sarebbe il testimone pi antico di ci che noi diciamo
istituzione dellEucarestia, quel gesto simbolico che Ges ha compiuto
nellultima cena con i suoi discepoli per significare la morte che doveva
subire e per dare un senso a tale evento mortale62. Dice in 1Cor 11,23-26:
Io infatti ho ricevuto dal Signore ci che ho anche trasmesso a voi. Che il
Signore Ges, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e avendo ringraziato (lo) spezzo e disse: Questo il mio corpo, per voi. Questo fate in
memoria di me Ugualmente, anche il bicchiere, dopo aver mangiato, dicendo: il nuovo patto nel mio sangue. Questo fate in memoria di me, ogni
volta che ne bevete. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e il bicchiere (del vino) bevete, annunciate la morte del Signore, finch venga63.
Il primo problema che si pone leggendo questo testo come bisogna
intendere la frase di introduzione: Io infatti ho ricevuto dal Signore ci
che ho anche trasmesso a voi. Per la maggioranza degli esegeti, per non
dire tutti, le parole Io infatti ho ricevuto dal Signore (egw gar parelabon
62. Sul pasto del Signore o Eucarestia in Paolo rimandiamo ai seguenti classici: G.
Bornkamm, Herrenmahl und Kirche bei Paulus, in: Idem, Studie zu Antike und
Urchristentum, 138-176; O. Hofius, Herrenmahl und Herrenmahlsparadosis. Erwgungen
zu 1Kor 11,23b-25, in: Idem Paulusstudien (WUNT 51), Tbingen 1989, 203-240; Idem,
to\ swma to\ uJper uJmwn 1Kor 11,24, ZNW 80 (1989) 80-88; E. Ksemann, Anliegen und
Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre, in: Idem, Exegetische Versuche und
Besinnungen, 11-34; H.J. Klauck, Herrenmahl und hellenistischer Kult (NTA 15), Mnster
2
1986; P. Neuzeit, Das Herrenmahl. Studien zur paulinischen Eucharistieauffassung (StANT
1), Mnchen 1960; H. Schlier, Das Herrenmahl bei Paulus, in: Idem, Das Ende der Zeit,
Freiburg i. Br. 1971, 201-215. Tra gli studi pi recenti cf. B. Kollmann, Ursprung und
Gestalten 36-68; M. Klinghardt, Gemeinschaftsmahl und Mahlgemeinschaft 269-371; W.
Schrage, Einige Hauptprobleme der Diskussion des Herrenmahls im 1. Korintherbrief, in:
The Corinthian Correspondence, ed. R. Bieringer, Leuven 1996, 191-198.
63. Su 1Cor 11,17-24 cf. A. Lindemann, Der erste Korintherbrief (HNT 9/I), Tbingen
2000, 256-258 (Ex. Das Herrenmahl bei Paulus). Per i saggi: L.D. Chrupcaa, Chi mangia
indegnamente il corpo del Signore (1Cor 11,27), SBFLA 46 (1996) 53-86; F.J. King,
Eating in Corinth. Full Meal or Token?, IBSt 19 (1997) 161-173; H.J. Klauck,
Herrenmahl und hellenistischer Kult 285-332; M. Karrer, Der Kelch des Neuen Bundes.
Erwgungen zum Verstndnis des Herrenmahls nach 1Kor 11,23b-25, BZ 34 (1990) 198221; P. Lampe Das korinthische Herrenmahl und paulinische Theologia Crucis (1Kor
11,17-34), ZNW 82 (1991) 183-213; T. Engberg-Pedersen, Proclaming the Lords Death:
1 Corinthians 11:17-34 and the Form of Pauls Theological Argument, in: Pauline
Theology, Vol. II, ed. D.M. May, Minneapolis 1993, 103-132; G. Theissen, Soziale
Integration und sakramentales Handeln. Eine Analyse von 1Kor 11,17-34, in: Idem,
Studien zur Soziologie des Urchistentums (WUNT 19), Tbingen 21983, 290-317.
72
N. CASALINI
apo\ touv kuriou) (1Cor 11,23a) sono incredibili, perch storicamente improbabili. E il problema non muta se si accetta la variante para kuriou
(tramandata da D, lat; Ambrosiaster); e diventa pi grave se si segue la lettura apo\ qeouv dei Codici F G.
Per questo non vengono intese alla lettera, ma come un modo di dire,
con cui Paolo assicura i Corinzi che ci che lui ha trasmesso a loro una
tradizione comunitaria antica, tramandata sotto lautorit del Signore risorto e pertanto verificabile64. Questa potrebbe essere una ipotesi ragionevole,
se si riflette che Paolo trasmette tale tradizione verso lanno 50 d.C., quando gli antichi testimoni erano ancora vivi. Anzi, molto probabile che egli
labbia conosciuta in Damasco, subito dopo la conversione65. Ma si pu
anche supporre con ragionevolezza che, con molta probabilit, abbia partecipato a una riunione comunitaria di tipo eucaristico durante la sua sosta
di quindici giorni a Gerusalemme per fare visita a Cefa (cf. Gal 1,17-18) e
che quindi da lui e da altri della comunit palestinese e di Gerusalemme
abbia ricevuto ci che ha trasmesso66.
Questa spiegazione storica metodologicamente corretta. Ma ha un
grave difetto. Contraddice apertamente laffermazione del testo, secondo il
suo senso letterale. Paolo rivendica a s una diretta rivelazione di ci che
trasmette dal Signore (apo\ touv kuriou). E la contraddizione non attenuata neppure con lipotesi pi sfumata, che con tale frase egli si voglia
riferire a una raccolta dei logia del Signore, che in una forma o nellaltra
doveva conoscere67; o che si riferisca a Ges come origine della tradizione
che trasmette68.
Pi adeguata, perch in apparenza pi fedele al senso letterale del testo,
lipotesi di Rudolf Bultmann, che considerava la tradizione trasmessa da
Paolo in 1Cor 11,23-25 una eziologia: tale tradizione consisterebbe in una
leggenda sacra, sorta nella comunit cristiana ellenistica per spiegare la
pratica cultuale tipicamente cristiana del mangiare insieme un pasto, probabilmente settimanale o il primo giorno della settimana (cf. At 20,7). Ma
specificando che Paolo lavrebbe ricevuta dalla sua Chiesa madre, in
Antiochia, anche lui contraddice il senso letterale del testo, attribuendo alla
Kmmel da H. Lietzmann, Die Korintherbriefe I/II (HNT 9), Tbingen 51969, i.l.
73
comunit una spiegazione teologica che Paolo afferma di aver ricevuto dal
Signore69.
probabile quindi che questo problema sia destinato a restare ancora senza soluzione, perch il senso letterale del testo inaccettabile per il metodo
storico, che non pu verificare assolutamente il significato. Ma lipotesi di
soluzione che gli studiosi propongono per risolverlo storicamente inaccettabile per il metodo esegetico, perch contraria al senso letterale del testo.
Tuttavia, nella tradizione sacra trasmessa da Paolo in 1Cor 11,23b-25
appare evidente che i gesti simbolici che Ges invita a compiere significano una partecipazione alla sua morte, come indicano chiaramente le parole finali che egli aggiunge di commento: Ogni volta che mangiate questo
pane e questo bicchiere bevete, la morte del Signore annunciate, finch egli
venga70. Quindi luno e laltro segno, il pane e il bicchiere (del vino), significano la sua morte e non separatamente luno dallaltro. Di conseguenza il corpo (swma) significato dal pane e il sangue (aima) significato dal
bicchiere (del vino) indicano insieme lunit fisica di Ges, il Signore, sacrificato nella morte per coloro a cui egli ha dato se stesso.
Per questo motivo non riteniamo ragionevole linterpretazione esegetica
attualmente vigente, che tende a separare il corpo dal sangue, dando a
swma il significato generico di Io o di Persona e ad aima il senso di
vita e nel caso specifico vita data alla morte. Sostituendo questi supposti significati alle parole di significazione, la frase Questo il mio corpo
equivarrebbe alla frase Questo sono Io o Questo la mia persona; e laltra Questo bicchiere il nuovo patto nel mio sangue significherebbe
Questo bicchiere il nuovo patto nella mia morte71. Quindi le parole sul
pane si riferiscono a lui come persona vivente, quelle sul vino alla morte
violenta che ha dovuto subire72.
Ci che non ci permette di assecondare questa ipotesi ermeneutica un
dato di fatto lessicale. Paolo usa senza possibilit di equivoco la parola to\
swma per indicare il corpo con le sue membra e non la persona che rappre69. R. Bultmann, Theologie des NT 153.
70. G. Strecker, Theologie des NT 185; H. Conzelmann, Grundriss 136.
71. Questa linterpretazione che si legge in L. Goppelt, Theologie des NT 265-266; H.
Hbner, Biblische Theologie des NT 2, 186 e 3, 261, anche se nel primo la parola swma
interpretata come corpo dato alla croce, cio Ges cha ha dato se stesso; nel secondo nel
modo pi generico Questo sono io.
72. Questa la formulazione pi rigorosa del significato ora dominante quale si legge in K.
Berger, Theologiegeschichte 317, ma che probabilmente risale a E. Schweizer, swma (Das
NT), ThWNT VII, 1056. Cf. anche dello stesso autore Das Herrenmahl im NT, in: Idem,
Neotestamentica, 344-370.
74
N. CASALINI
75
Questi dati, tratti dagli stessi testi del Nuovo Testamento, sono per noi
sufficienti per trarre una conclusione a proposito di 1Cor 11,23b-25: anche
se le parole di significazione che il Signore Ges dice per luno e per laltro sono diverse, solo insieme formano un unico discorso metaforico di
senso compiuto75.
Per il pane dice: Questo il mio corpo per voi. In questo contesto il
per voi (uJper uJmwn) pu significare semplicemente a vostro vantaggio76. Ma poich si riferisce alla sua morte, evidente che il pane dato a
loro da mangiare in un gesto simbolico significa la sua vita offerta o sacrificata a loro beneficio77.
Quale sia il beneficio che torna a loro vantaggio specificato nelle parole dette per il bicchiere del vino. Dice: Questo bicchiere la nuova alleanza nel mio sangue. Poich tra il bicchiere e il sangue che dovrebbe
significare non possibile stabilire alcun paragone, evidente anche per il
pi ingenuo che la similitudine costituita tra il vino che esso contiene e il
sangue da lui versato, che deve significare. Quindi coloro che bevono quel
vino che significa il suo sangue, diventano partecipi del nuovo patto (con
Dio) che egli ha sancito con la sua morte78.
Poich la formula nuovo patto (o alleanza) (hJ kainh\ diaqh/kh) richiama esplicitamente quella promessa da Dio per mezzo delle parole che si
leggono in Ger 31,31 (corrispondente a Ger 38,31 della traduzione greca
dei Settanta), si deve dire che Paolo ha dato alla morte del Signore il significato di immolazione reale, in analogia al sacrificio di animali con cui
era stata inaugurata lalleanza tra Dio e il popolo di Israele, mediata da
75. Ci negato da H. Conzelmann, Grundriss 136, che afferma il contrario: ogni elemen-
76
N. CASALINI
Mos per volere stesso di Dio, come si legge in Es 24,879. Tuttavia poich
lalleanza che Ges ha inaugurato detta nuova (kainh/), laltra chiamata antica o vecchia (palaia) (2Cor 3,14; cf. Eb 8,13). Di conseguenza, coloro che bevono il suo sangue, indicato dal segno del vino, diventano
partecipi di un nuovo patto con Dio, che Ges ha sancito con la sua morte
e ottengono il perdono dei peccati che Dio stesso aveva promesso di concedere con le parole che si leggono in Ger 31,31-34, a cui lespressione
nuova alleanza allude80.
Ma devo riconoscere che su questa interpretazione, per cos dire classica, non c consenso tra i teologi del Nuovo Testamento. Per esempio,
Joachim Gnilka non cita neppure il riferimento al nuovo patto di Ger
31,31-34 e tralascia di esporre le sue implicanze teologiche adducendo
come pretesto il fatto che lo stesso Paolo non spiega lidea implicita nella
metafora simbolica da lui usata81. Hans Hbner, che per intenzionale scelta
di metodo spiega i testi del Nuovo Testamento con i loro riferimenti allAntico, afferma che un riferimento a Ger 31,31 (38,31 LXX) da prendere in
seria considerazione; ma quello a Es 24,8 in 1Cor 11,25c cosa certa e per
questo ritiene che Paolo ne proponga una interpretazione tipologica. Ma
poi non spiega ci che questa referenza implica per la sua teologia del pasto del Signore e della sua morte, che nei segni simbolici rappresenta82.
Anche Klaus Berger ritiene indubitabile una allusione a Es 24,8 in 1Cor
11,25b: Questo bicchiere il nuovo patto nel mio sangue. Quindi la frase significa che un nuovo patto stato sancito con la morte del Signore,
rappresentata dalla metafora nel mio sangue (en tw emw aimati), che allude al sacrificio con il sangue delle vittime immolate con cui fu asperso il
popolo al Sinai, per linaugurazione del patto con Dio, di cui in Es 24,8
LXX. Di conseguenza lidea teologica espressa simbolicamente nel gesto
significa un rinnovamento messianico del patto di Mos83.
Ci difficile da accettare per la stessa teologia di Paolo, quale si legge
nello sviluppo della idea teologica del rapporto tra la nuova e lantica alle79. Cos anche L. Goppelt, Theologie des NT 266.
80. Cf. E. Kutsch, Neues Testament - Neuer Bund? Eine Fehlbersetzung wird korrigiert,
Neukirchen 1978, 110-112; P.J. Grabe, The New Covenant: Perspectives from the Last
Supper Tradition and from the Pauline Letters, Scriptura 65 (1998) 153-167.
81. J. Gnilka, Theologie des NT 120-121.
82. H. Hbner, Biblische Theologie des NT 2, 179-187. La supposta allusione a Es 24,8
messa in dubbio da A. Lindemann, Der erste Korintherbrief 255, per levidente insufficenza
del riferimento testuale: la parola aima, da sola, non basta a provare una referenza
tipologica allAntica Alleanza.
83. K. Berger, Theologiegeschichte 316-320.
77
anza in 2Cor 3,1-18. In questo testo capitale, il patto o alleanza, di cui egli
si dice servo, non presentata come un rinnovamento dellantico, ma
come nuovo patto o nuova alleanza (kainh\ diaqh/kh) (2Cor 3,6), dello Spirito (pneu/mato), che vivifica (zwopoiei), in sostituzione dellaltro,
qualificato come della lettera (grammato), che uccide (2Cor 3,6).
Ugualmente difficile da accettare linterpretazione che egli d dellallusione a Es 24,8 che ritiene duplice. Una prima allusione fatta dallespressione nel mio sangue, che indica la morte di Ges, come una
uccisione costitutiva del nuovo patto, analoga alluccisione di animali viventi (Lebewesen), che fu essenziale per la costituzione del patto di Mos,
alluso nel supposto riferimento del testo.
Una seconda allusione fatta dallespressione questo bicchiere (touvto
to\ poth/rion) con cui il nuovo patto equiparato, che egli interpreta come
questo giro (di bevuta) (Trinkrunde), a cui partecipano tutti bevendo e
che in questo modo sostituisce il sangue delle vittime che veniva sparso o
asperso su tutti i membri del popolo partecipanti al patto, che in questo
modo era sancito84.
Ci fascinoso e probabilmente ha gi affascinato molti lettori e operatori liturgici, perch pare evocare il patto degli antichi Cavalieri, stretto
bevendo il vino dallo stesso bicchiere, che ricordava il sangue versato dal
Signore nella sua morte.
Ma abbiamo gi fatto rilevare quello che a noi pare il difetto esegetico
pi grave di questa interpretazione. Nella frase che Paolo fa dire al Signore
Questo bicchiere la nuova alleanza nel mio sangue, il paragone metaforico non tra questo bicchiere (di vino) e il nuovo patto, che impossibile da fare perch non hanno nulla in comune; ma tra il vino che nel
bicchiere che rappresenta nel segno la morte del Signore e il nuovo patto
nel suo sangue. Quindi quel vino, in quanto segno del sangue del Signore,
il nuovo patto nel suo sangue e non in quanto bicchiere di vino, da cui
tutti i partecipanti bevono.
evidente infatti che con il primo significato indica un patto di sangue stretto nel sangue del Signore, di cui partecipano per grazia e gratuitamente. Con il secondo significato invece indica un patto stretto dai
partecipanti tra loro con una bevuta di vino e ci totalmente estraneo al
senso teologico espresso nel testo85.
84. K. Berger, Theologiegeschichte 317.
85. Ci compreso anche da K. Berger, Theologiegeschichte 318, che d la prima e la se-
conda interpretazione per il patto nuovo di 1Cor 11,25; ma solo la seconda per il patto di
cui si legge in Mc 14,24. Di questa seconda, e probabilmente falsa, interpretazione, tratteremo nel paragrafo seguente, dedicato a Mc 14,22-25.
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88. Cf. T. Engeberg-Pedersen, Proclaming the Lords Death: 1 Corinthians 11:17-34 and
Religionsgeschichte, in: Idem, Gemeinde - Amt - Sakrament. Neutestamentliche Perspektiven, Wrzburg 1989, 313-330.
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N. CASALINI
Una conferma a questa interpretazione data dallo stesso Paolo e nella stessa lettera, in 1Cor 10,14-2290. Per dissuadere i suoi destinatari dal
partecipare al pasto sacro con carne sacrificata agli di, afferma che ci
incompatibile con la partecipazione (koinwnia) alla tavola del Signore (trapeza kuriou), che il modo in cui egli designa ci che noi diciamo la mensa eucaristica. Ecco le sue parole, quali si leggono in 1Cor
10,14-22 da noi riferite in una traduzione quasi letterale per permettere a
chi legge una pi esatta comprensione dei significati delle parole. Dice:
Perci, miei cari, fuggite lidolatria. Parlo come con gente sensata. Giudicate voi ci che dico. Il bicchiere della benedizione, che benediciamo,
non forse partecipazione al sangue di Cristo? Il pane che spezziamo non
forse partecipazione al corpo di Cristo? Poich uno [] il pane, un solo
corpo i molti siamo. Tutti infatti a un solo pane partecipiamo.
Considerate Israele secondo la carne. Coloro che mangiano i sacrifici
non sono forse partecipi dellaltare? Dunque, che dico? Che le carni sacrificate agli idoli sono qualche cosa? [o] che lidolo qualche cosa? Ma dico
che ci che essi sacrificano, [lo] sacrificano ai dmoni e non a Dio.
Non potete bere il bicchiere del Signore e il bicchiere dei dmoni. Non
potete partecipare alla mensa del Signore e alla tavola dei dmoni. O vogliamo rendere geloso il Signore? Forse che noi siamo pi forti di lui?.
evidente per tutti che con queste parole Paolo lascia capire che coloro
che bevono il sangue del Signore e mangiano il suo corpo per mezzo dei
segni simbolici del pane e del bicchiere del vino, partecipano a un pasto
sacrificale mistico e tuttavia reale, in cui il Signore stesso la vittima del
sacrificio che viene mangiato. Coloro che partecipano alla sua tavola, mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue, diventano partecipi della vita
del loro Signore vivente, che lospite e che offre se stesso in pasto invitando a mangiare per dare la sua vita immortale a coloro che lo assumono
con partecipazione.
Quindi celebrando lEucarestia noi annunciamo la sua morte e partecipando del suo corpo e del suo sangue diventiamo partecipi della vita del
Signore vivente, di cui professiamo la resurrezione. Ma questa verit non
lannunciamo con quel gesto simbolico. La viviamo partecipando con fede
ad esso, perch siamo uniti a lui, che vivo per noi che lo amiamo e che
vive in se stesso in quanto Dio.
90. Oltre alla bibliografia indicata nella nota 64, cf. G.V. Jordan, koinwnia in 1 Corinthians
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N. CASALINI
go, non possibile mangiare il pasto del Signore (oujk estin kuriako\n
deipnon fagein). Ciascuno infatti prende il proprio pasto (to\ idion
deipnon) nel mangiare e uno ha fame, uno invece ubriaco. Non avete forse la casa per mangiare e bere? O forse disprezzate lassemblea di Dio (h
thv ekklhsia touv qeouv katafroneite) e svergognate coloro che non hanno? Che dico? Vi devo lodare? In questo, non vi lodo.
Chi legge con cura questo testo non pu non rilevare la precisione con
cui Paolo fa la sua distinzione. Egli distingue con rigore il pasto del Signore (to\ kuriako\n deipnon) e il pasto privato (to\ idion deipnon) e rimprovera coloro che vengono nelladunanza per mangiare il loro pasto
privato. In questo modo non possibile mangiare insieme il pasto del Signore93. Per questo li biasima e li richiama allordine, ricordando loro che
per mangiare e bere hanno le loro case (1Cor 11,22a.34a). Ma nella adunanza, che egli chiama assemblea di Dio (hj ekklhsia touv qeouv), si viene per mangiare insieme il pasto del Signore, i cui elementi sono pane e
vino. evidente quindi che essi non avevano compreso listruzione che egli
aveva dato a loro e per questo in 1Cor 11,23b-26 ripete immediatamente
ci che aveva loro insegnato e che noi abbiamo gi esaminato.
Non avendo compreso questa intenzione di Paolo, alcune delle interpretazioni proposte dagli esegeti o da teologi non sono compatibili con ci che
si legge nel testo, in particolare linterpretazione sociologica o comunitaria, che alcuni di loro propongono per 1Cor 11,27, dove dice: Cosicch
colui che mangia il pane e beve al bicchiere del Signore indegnamente sar
reo del corpo e del sangue del Signore. Essi riferiscono lavverbio indegnamente (anaxiw) al fatto che coloro che mangiano a saziet il loro
pasto privato offendono il fratello pi povero, che ha fame e fanno
vergognare coloro che non hanno nulla da mangiare (cf. 1Cor 11,21b.22c).
Quindi coloro che si comportano in questo modo peccano contro la comunit (hj ekklhsia) che in 1Cor 10,17 espressamente equiparata al
corpo unico (en swma) formato da coloro che partecipano alla mensa del
Signore, mangiando dallunico pane (ek touv eno\ artou) e partecipando
al corpo del Cristo (swma touv Cristouv) da esso significato (1Cor 10,16d),
93. J. Roloff, Neues Testament 282. Diversamente A. Lindemann, Der erste Korintherbrief
251, che ha interpretato to\ idion deipnon nel senso che nel mangiare (en tw fagein) (1Cor
11,21a), il pasto comune di fatto mangiato solo da alcuni! Dunque non si riferirebbe al
pasto portato da loro, da casa. Sed contra: cf. 1Cor 11,22c in cui li rimprovera perch svergognano quelli che non hanno (kai kataiscu/nete tou\ mh\ econta). Ci attesta che essi
ritenevano il pasto del Signore un pasto normale da mangiare in comune e poich lo ritenevano insufficiente a saziare la loro fame portavano il proprio pasto da mangiare in quella sede (cf. 11,34: ei ti peina) .
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96. Cos, correttamente, A. Lindemann, Der erste Korintherbrief 259. Cf. anche L.D.
Chrupcaa, Chi mangia indegnamente il corpo del Signore (1Cor 11,27), SBFLA 46 (1996)
53-83: 77-81.
97. A dire il vero, anche G. Strecker, Theologie des NT 181-182, ha intuito che il consiglio
di mangiare e bere a casa propria, se uno ha fame, non si lascia spiegare con lipotesi
sociologica. Ma poi lascia prevalere questa interpretazione sulla lettera del testo, che non
solo non la conferma, ma esplicitamente la contraddice con una norma diversa: non mangiare insieme, ma a casa! Comune, solo il pasto del Signore.
98. Sul concetto di koinwnia cf. J. Haiz, Koinonia (BU 16), Regensburg 1982, 17-35; nella
Scrittura: J.M. McDermont, The Biblical Doctrine of koinwnia, BZ 19 (1975) 64-77; come
fenomeno culturale comune nel mondo antico: H.J. Klauck, Gtergemeinschaft in der
klassischen Antike, in Qumran und im Neuen Testament, RdQ 11 (1982) 47-49.
85
di cui si pu leggere in 1Cor 16,1-4 per restare nel contesto di questa lettera. Ma in 2Cor 8-9 tale raccolta non solo caldamente raccomandata, ma
anche teologicamente giustificata come effetto della cari conosciuta nella povert di Cristo, che ha arricchito noi spogliando se stesso della sua ricchezza costituita dai benefici divini (2Cor 8,9).
4
99. Uno schema sintetico, ma preciso e dettagliato della cena pasquale giudaica dato da
J. Roloff,Neues Testament 276-277. Come noto il pi convinto assertore che la cena del
Signore sia presentata in Mc 14,12-25 come cena pasquale, era J. Jeremias, Die
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memoria (touvto poieite ei th\n emh\n anamnhsin), cf. H.J. Klauck, Herrenmahl und
hellenistischer Kult, 83-86; altre testimonianze culturali sulluso di tale formula in J.
Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 230-235. Sul concetto cf. F. Chenderlin, Do This as My
Memorial. The Semantic and Conceptual Background and Value of Anamnesis in 1
Corinthians 11:24-25 (AnBib 99), Rome 1982.
102. Su Mc 14,22-25, oltre alla bibliografia citata nelle note 3 e 16, cf. F. Neirynck, The
Gospel of Mark. A Cumulative Bibliography 1950-1990 (BETL 102), Leuven 1992, 610612. A ci da aggiungere: M. Casey, No Cannibals at Passover!, Theologia 96 (1993)
199-205; B. Lemoine, tude compare des quatre rcits de la Cne, EL 108 (1994) 5272; D.M. Arion, Textes vangeliques sur lEucharistie. I. Marc 14,17-52: LEucharistie au
coeur de la Passion, EspVie 109 (1999) 305-312.
103. Abbiamo gi fatto notare che questo il significato preferito attualmente dai teologi
del NT: cf. per esempio L. Goppelt, Theologie des NT 265; K. Berger, Theologiegeschichte
313.317; H. Hbner, Biblische Theologie des NT 3, 267-268.
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che sostiene che il vino sostituiva il sangue delle vittime sacrificate per il patto (cf. Es 24,8),
che viene stretto bevendo tutti dallo stesso bicchiere. Ma ammesso da L. Goppelt,
Theologie des NT 266 e da G. Strecker, Theologie des NT 182.
108. Cf. L. Goppelt, Theologie des NT 267. Anche H. Hbner, Biblische Theologie des NT
3, 267-268, che interpreta le parole significanti Das bin ich als der fr euch Gekreuzigte(p. 268). Ci teologicamente pertinente, ma esegeticamente eccessivo. Da ci che si
legge in Mc 14,22-24 non possibile desumere una crocifissione sacrificale, ma solo un
sacrificio salvifico.
90
N. CASALINI
Questi riferimenti semantici bastano al lettore intelligente per comprendere che quando Ges dice Questo il mio corpo non si riferisce in modo
generico al dono di se stesso fatto a loro, n al semplice dono della sua
vita in cambio della loro, ma indica in modo specifico il suo corpo, in quanto destinato ad essere ucciso.
Che la morte che deve subire sia da lui equiparata ad una immolazione
sacrificale, lo si comprende dalle parole che dice sul vino, che egli eleva a
segno simbolico del suo sangue, che definisce come del patto (thv diaqh/
kh), con evidente allusione al patto di Dio con il suo popolo, sancito per
mezzo di un sacrificio di animali, il cui sangue Mos asperse sopra il popolo, come si legge in Es 24,8109.
Quindi dicendo che il suo sangue quello del patto o dellalleanza,
Ges paragona la sua morte ad un sacrificio per stringere un patto con Dio,
sancito con il sangue da lui versato morendo. Coloro che ne bevono, diventano partecipi di questo patto con Dio, che egli ha fatto per loro, morendo come un essere immolato in sacrificio.
Di fronte a questo significato implicito, ma chiaro, veramente difficile
che lespressione versato per molti (to\ ekcunno/menon uJper pollwn),
detta del suo sangue, sia da interpretare in modo corrente come versato
per voi (nel bicchiere), perch non si riferisce direttamente al vino da bere,
ma al suo sangue, di cui il vino nel bicchiere un segno simbolico che lo
deve significare110.
Quindi poich la frase versato per molti riferita al suo sangue, significa che la morte, che tale sangue rappresenta, stata subita a vantaggio
dei molti. Di conseguenza il patto, che egli ha inaugurato tra gli uomini e
109. Su questa allusione a Es 24,8 LXX concordano A. Weiser, Theologie des NT II 74; H.
Hbner, Biblische Theologie des NT 3, 71; K. Berger, Theologiegeschichte 317-318. Ma
ignorata da H. Conzelmann, L. Goppelt e G. Strecker, bench la formula touvto/ estin to\ ai
ma mou thv diaqh/kh riprenda quasi alla lettera le parole di Mos che sancisce il patto: idou\
to\ aima thv diaqh/kh. Che la ripresa di queste parole sia intenzionale lo prova il fatto che
linserzione di mou con cui lautore sostituisce il sangue di Cristo a quello delle vittime animali sacrificate, crea una costruzione grammaticale dura per la lingua greca, che da tutti
percepita, ma che egli ha tollerato per esprimere la sua idea teologica: ora il patto stretto
nel sangue di Cristo, di cui quello delle vittime immolate era una prefigurazione o un preannuncio, se si suppone che Marco faccia uso della metodologia tipologica come principio ermeneutico per la lettura cristologica dellAT.
110. Linterpretazione da noi respinta sostenuta da K. Berger, Theologiegeschichte 317.
Ma filologicamente possibile, a causa della indeterminatezza del participio ekcunno/
menon, considerato senza tenere conto del contesto discorsivo in cui inserito.
91
il loro Dio, un patto di sangue, nel suo sangue, e non un patto stretto con
una libazione di vino111.
Poich anche in Mc 10,45 Ges dice che il Figlio dellUomo venuto
per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (douvnai th\n yuch\n
aujtouv lu/tron anti pollwn), chi legge comprende che ci indica in altro
modo lo stesso significato che hanno le parole di Ges sul vino: Questo
il mio sangue, del patto, versato per molti (touvto/ estin to\ aima mou thv
diaqh/kh to\ ekcunno/menon uJper pollwn). Quindi sia in un testo che nellaltro, Ges attribuisce alla sua morte un valore salvifico per molti, che
ne ricevono il beneficio.
Per questo a noi sembra che si possa concludere senza timore di sbagliare, che Ges ha considerato la sua morte un servizio, attuato con il
dono della sua vita per riscattare la vita di molti e come un sacrificio di se
stesso, con cui li ha associati a un patto con Dio, di cui egli stesso stato il
mediatore morendo112. A questo patto con Dio partecipano tutti coloro che
mangiano il suo corpo e bevono il suo sangue, indicati nei segni del pane e
del vino. Partecipando di essi, i membri di questo patto si associano alla
sua morte sacrificale e ottengono il beneficio di accedere a Dio per mezzo
di Ges, che morto per loro.
Una cosa che merita attenzione nel racconto di questo episodio in Mc 14,2224 il fatto che abbiamo gi fatto rilevare e su cui richiamiamo di nuovo lattenzione dei lettori del saggio presente. Il narratore non ha alcun interesse per
la cena pasquale, in cui Ges ha compiuto i gesti simbolici che costituiscono quello che noi diciamo il mistero eucaristico, bench indichi con meticolosa precisione i giorni della settimana pasquale in Mc 14,1a e 14,12a113.
111. Per questo riteniamo fuorviante per la stessa prassi liturgica e rituale lipotesi di K.
Berger, Theologiegeschichte 317 e 318 che considera il patto, di cui si legge in Mc 14,24,
un patto conviviale, tra coloro che vi partecipano e Ges, che funge da capo e maestro del
gruppo, patto stretto bevendo vino dallo stesso bicchiere (!).
112. Su questo e sul senso della morte di Cristo in Marco, quale espressa in Mc 14,22-24
e Mc 10,45 rimandiamo alle riflessioni teologiche di H. Hbner, Biblische Theologie des
NT 3, 263-274, sostanzialmente ispirate al concetto di Pro-Existenz, introdotto da H.
Schrmann, Pro-Existenz als christologischer Grundbegriff, in: Idem, Jesus. Gestalt und
Geheimnis, 286-315. Ma bene tenere presente le riserve critiche di A. Vgtle,
Grundfragen zur Diskussion um das heilsmittlerische Todesverstndnis Jesu, in: Idem,
Offenbarungsgeschehen und Wirkungsgeschichte. Neutestamentliche Beitrge, FreiburgBasel 1985, 141-167: 144-145.
113. f. 14,17: ojyia genomenh; 15,1: prwi; 15,25: hn de wra trith; 15,33: kai genomenh wra
ekth; 15,34: thv enath wra; 15,42: kai hdh ojyia genomenh, epei hn paraskeuh/, o estin
prosabbaton, 16,1: kai diagenomenou touv sabbatou; 16,2a: kai lian prwi thv mia twn
sabbatwn. Per il problema di datazione e le differenze con Gv cf. D. Jenstone-Brenner, Jesus
Last Passover: The Synoptics and John, ExpTim 112 (2001) 122-123.
92
N. CASALINI
114. Questo particolare (uJmnh/sante: Mc 14,26; cf. Mt 26,30) lunico elemento che potrebbe alludere direttamente al cerimoniale della cena pasquale. Ma P. Grelot, Corps et sang
74, nota 1, fa giustamente notare che generico e che lo stesso verbo usato in At 16,25
dove si dice che Paolo e Sila, prigionieri, cantavano (umnoun) durante la notte.
115. Cos giustifica la supposta istituzione della Eucarestia in un pasto normale G.
Strecker, Theologie des NT 182.
116. Cf. K. Berger, Theologiegeschichte 318.
93
se valore espiatorio e che purificasse dal peccato, per la sua evidente analogia con il sacrifico del Giorno dellEspiazione, narrato in Lev 16, come
attestato da Eb 9,15-21117. Di conseguenza anche il sangue di Ges, da lui
versato morendo per sancire un patto con Dio, potrebbe avere lo stesso
valore di quello. Quindi leffetto salvifico di tale patto sarebbe da indicare
come duplice: perdono dei peccati con riscatto dalla morte e accesso diretto a Dio, per mezzo di Ges crocifisso e vivo.
In realt cos ha interpretato la tradizione dello stesso evento trasmessa
da Mt 26,26-28118. Egli ripete quasi alla lettera il racconto della Cena di
Mc 14,22-24. Ma dopo le parole Questo il mio sangue, dellalleanza,
versato per molti, aggiunge come fine per il perdono (o remissione) dei
peccati (ei afesin amartiwn).
Una via pi sicura per stabilire se Marco attribuisca alla morte di Ges,
significata dalle parole della Cena, un valore espiatorio per il perdono dei
peccati, potrebbe essere il confronto intertestuale con Is 53 LXX, in genere
preferito dalla tradizione esegetica. Ma anche il pi problematico per la
non concordanza lessicale tra il testo profetico e Mc 14,22-25 (cf. Mc
10,45). In questo episodio, e in particolare nelle parole dette da Ges sul
bicchiere (del vino), in Mc 14,24c to\ ekcunno/menon uJper pollwn, alcuni
rilevano una innegabile allusione a Is 53,12 LXX: kai aujto\ amartia
pollwn anh/negken kai dia ta amartia aujtwn paredo/qh119.
Lo stesso riferimento supposto in Mc 10,45 dove la frase il Figlio
dellUomo non venuto per essere servito ma per servire (diakonhvsai) e
dare la sua vita in riscatto per molti (kai douvnai th\n yuch\n aujtouv lu/tron
anti pollwn), considerata un riferimento inequivocabile a Is 53,11
LXX, a colui di cui si dice che il giusto che serve bene molti (dikaion
eu douleu/onta polloi); e il cui servizio specificato dicendo che porter i loro peccati (ta amartia aujtwn aujto\ anoisei). Il modo in cui
far questo indicato in Is 53,12 LXX in cui si legge: fu data a morte la
sua vita (paredo/qh ei qanaton hJ yuch\ aujtouv), per la loro espiazione,
94
N. CASALINI
120. Cf. D. Lhrmann, Das Markusevangelium 181; H. Hbner, Biblische Theologie des NT
3, 87; B. Kollmann, Ursprung und Gestalten 176-180.
121. Il rilievo semantico di J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu, 171-174, che non dubita
del riferimento di polloi a Is 53,11 (larabbim), seguito da B. Kollmann, Ursprung und
Gestalten 175, nota 96.
122. Per apante cf. Mc 1,27a; per pante cf. Mc 1,37; 2,12 etc.
123. Ma polloi usato regolarmente da Mc con il significato indefinito di molti e non
tutti; cf. per es. Mc 1,34 e 3,10e.
95
Questa esposizione non sarebbe completa senza un riferimento alle tradizioni eucaristiche attestate nellopera di Luca, nel Vangelo che porta il suo
nome e negli Atti degli Apostoli, a lui attribuiti con ragione124.
Ci che egli scrive in Lc 22,14-20 sulla Cena del Signore o Eucarestia non meriterebbe molta attenzione, perch opinione comune che egli
abbia unificato le tradizioni di 1Cor 23a-25 e di Mc 14,22-25 che certamente doveva conoscere125.
Questa ipotesi stata desunta direttamente da ci che si legge nel testo,
in cui anche le differenze, apparentemente maggiori, si possono spiegare
come amplificazioni retoriche e narrative delle due tradizioni a lui note,
senza bisogno di ricorrere alla ipotesi di una tradizione speciale, secondo
lantica applicazione della metodologia storico-critica tendente a moltiplicare lesistenza di tradizioni diverse, scritte o orali, per spiegare le differenze narrative126.
In pratica, egli ha enfaticamente ampliato lattesa del regno e della sua
venuta, duplicando ci che si legge in Mc 14,25 a proposito del vino. In
questo racconto Ges dice alla fine del pasto: In verit dico a voi che non
berr pi del frutto della vite fino a quel giorno, quando lo bevo nuovo nel
regno di Dio.
Lautore del Vangelo di Luca ha effettuato due operazioni. Primo. Ha
esteso a tutto il pasto pasquale la sua definitivit in Lc 22,15-16 facendolo
diventare realmente lultima Pasqua del Signore. Scrive: E disse: Con
desiderio, desiderai mangiare questa Pasqua con voi prima di partire. Vi
dico infatti che non la manger fino a che non si compia nel regno di Dio.
Secondo. Ha trasformato il logion di Mc 14,25 in una effettiva benedizione eucaristica sul bicchiere, ponendola come inizio della cena in Lc
124. Per la bibliografia cf. le opere citate alle note 3 e 16. Cf. anche F.G. Carpinelli, Do
This as My Memorial (Lk 22:19): Lucan Soteriology of Atonement, CBQ 61 (1999)
74-91.
125. Cf. in particolare W. Schenk, Luke as Reader of Paul: Observations on his Reception, in: Intertestuality in Biblical Writings, FS B. van Iersel, Kampen 1989, 134-135;
W. Bsen, Jesusmahl 11-77; A. Vbus, Kritische Beobachtungen ber die lukanische
Darstellung des Abendmahles, ZNW 61 (1970) 102-110.
126. Ancora seguita da H. Conzelmann, Grundriss 138-139 e da J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 132-195; H. Patsch, Abendmahl und historischer Jesus 95-103; F.
Rehkopf, Die lukanische Sonderquelle. Ihr Umfang und Sprachgebrauch, Tbingen 1959,
7-30.
96
N. CASALINI
22,17-18 in cui si legge: E prendendo il bicchiere (to\ poth/rion), rendendo grazie (eujcaristh/sa) disse: prendetelo e condividete tra voi. Vi dico
infatti, [che] da ora non berr del frutto della vite finch il regno di Dio
venga.
Non pu sfuggire a nessuno la diversa presentazione teologica dellattesa del Regno di Dio. Chi legge Mc 14,25 comprende subito che una
realt trascendente, a cui Ges spera di accedere dopo la sua morte. Quindi
ha ragione chi vede in questo detto un annuncio indiretto e velato della resurrezione, ma reso grave dallannuncio ugualmente implicito della passione imminente127. Chi legge Lc 22,15-16.17-18 comprende che il Regno di
Dio una realt attesa nella condizione terrestre e temporale, perch dice
che deve venire. Ci implica che la sua venuta dipenda dal ritorno di
colui che deve essere insediato re per governarlo, Ges stesso, il Figlio
dellUomo, secondo il mistero espresso dallo stesso autore nella parabola
che narra alla fine del suo viaggio verso Gerusalemme (Lc 19,11-27).
Segue in Lc 22,19-20 il racconto di ci che tradizionalmente indicato
come istituzione dellEucarestia, in cui evidente che egli unifica la tradizione di 1Cor 11,23b-25 e di Mc 14,22-24 con qualche modificazione letteraria, che mostra la sua percezione teologica di tale evento, ma che di
difficile valutazione per la critica.
Per la benedizione del pane preferisce la formula eujcaristh/sa che c
in 1Cor 11,24a al posto di eujlogh/sa di Mc 14,22a. Alle parole sul pane
prese da Marco, ma con lofferta presa da Paolo, touvto/ mou/ estin to\ swma
to\ uJper uJmwn Questo il mio corpo per voi (1Cor 11,24c), aggiunge il
participio dido/menon, creando in questo modo un rigoroso parallelismo letterario con le parole sul bicchiere ugualmente desunte dalla tradizione
paolina (1Cor 11,25b), ma variate con la personalizzazione del sangue propria di Mc 14,24 touvto to\ poth/rion hJ kainh\ diaqh/kh estin en tw aimati
mou to\ uJper uJmwn ekcunno/menon128.
127. Cf. tuttavia K. Berger, Theologiegeschichte 321 che vede nel logion di Mc 14,25 solo
97
In questo modo appare evidente che per colui che scrive i significanti
swma mou e aima mou costituiscono insieme un unico essere vivente, Ges,
il Signore, che si offre per coloro che lo seguono e a cui si d nei segni del
pane e del vino da mangiare e da bere. Sono loro i beneficiari di quella
morte violenta che lui deve subire e che il sangue versato vuole senza equivoco significare129.
Ma con la sua modifica e integrando 1Cor 11,24 con Mc 14,24 diventa
pi chiaro anche il senso del nuovo patto (hJ kainh\ diaqh/kh), che nel
primo testo non era definito. Esso sancito da Ges con il suo sangue a
favore di coloro per cui quel sangue versato. Dice: uJper uJmwn ekcunno/
menon. I suoi sono destinatari di un tale beneficio.
In che cosa consista questo nuovo patto o nuova alleanza non possibile desumerlo dalle scarse parole che lascia dire a Ges. Ma questa una
difficolt che deriva dalle tradizioni da lui usate, che su questa idea teologica non danno specificazione. Ugualmente non definibile il senso della
morte di Ges stesso. Da ci che egli dice in Lc 22,19-20 non possibile
stabilire se sia una morte per la salvezza, se sia una morte in espiazione o
se sia una morte in sostituzione130.
Ci non facile da determinare, perch lautore di questo vangelo non
riporta neppure il logion tragico di Ges, che si legge in Mc 10,45 e il
servire (diakonhvsai), che in questo detto significa il dare la sua vita in
riscatto in cambio di molti (douvnai th\n yuch\n aujtouv lu/tron anti
pollwn), interpretato da Lc 22,24-27 come servizio a tavola, offerto
come esempio ai discepoli affinch comprendano come devono comportarsi tra loro, senza invidia o rivalit per chi il pi grande.
Ugualmente egli ha mutato le parole di Mc 14,24c sul sangue, sostituendo uJper uJmwn a uJper pollwn. In questo modo ha eliminato una duplice
possibilit di interpretazione teologica. Ha tolto il significato universale
implicito in polloi, e ha annullato lallusione a Is 53,11-12 LXX (aujto\
amartia pollwn anh/negken kai dia ta amartia aujtwn paredo/qh),
comunemente ammessa e da cui sarebbe stato possibile stabilire se lautore
conferisca alla morte di Ges il valore di un sacrificio di espiazione, da lui
subita in sostituzione per le colpe di tutti, quale riconosciuto per la morte
del Servo del Signore, di cui parla quel testo profetico.
Questa breve analisi di Lc 22,15-20 attesta che lautore del Vangelo
detto di Luca ha accentuato narrativamente il fatto che la cena ultima di
129. Ci rilevato con giusta insistenza da K. Berger, Theologiegeschichte 318.
130. Ma cf. J.J. du Plessis, The Saving Significance of Jesus and His Death on the Cross
in Lukes Gospel. Focussing on Lk 22:19b-20, Neotest 28 (1994) 523-540.
98
N. CASALINI
Ges con i suoi discepoli era una cena pasquale e non pochi autori sono
convinti che lorganizzazione di tale cena con un bicchiere del vino allinizio, seguito dal rendimento di grazie sul pane e poi sul secondo bicchiere
del vino dopo aver mangiato (meta to\ deipnhvsai) (Lc 22,18-20), corrisponda allordine cultuale seguito realmente nella comunit giudaica a
quellepoca131. Tuttavia veramente degno di nota che nessun elemento
della cosiddetta liturgia pasquale giudaica sia posto in rilievo per dare un
significato teologico alla cena del Signore132. Per questo lenfasi narrativa
posta sulla Pasqua ultima del Signore stata giustamente valutata come
ampliamento di natura scenica, anche se di grande efficacia retorica sul lettore che legge la sua storia133. Ci confermato anche in questo caso dal
fatto che nessuno degli elementi costitutivi della vera cena pasquale descritto e gli unici che ricorda realmente sono solo il pane (arton) e il bicchiere (to\ poth/rion), che sono gli elementi costitutivi del pasto del
Signore, quale ricordato dalle due tradizioni da lui unificate: 1Cor
11,23b-26 e Mc 14,22-25.
Quindi anche questo autore teologo, che descrive con enfasi lultima Pasqua del Signore, non per nulla interessato a presentare lEucarestia come
una cena pasquale, ma solo il pasto del Signore inserito nella cornice narrativa di una cena pasquale. Ma bisogna riconoscere che la sua enfasi narrativa sulla cena di Pasqua con linserzione di un primo bicchiere benedetto
con rendimento di grazie (eujcaristh/sa), corrispondente al cerimoniale
pasquale reale, ha creato grave imbarazzo per la tradizione successiva, che
ritenendo il racconto della istituzione quale si legge in 1Cor 11,23b-25 e in
Mc 14,22-24 come normativo, ha cercato di uniformare il racconto di Lc
22,14-20 a questo, producendo il famoso testo breve della tradizione manoscritta occidentale (cf. il Codice D), che ha eliminato Lc 22,19b-20 preservando solo Lc 22,17-19a: il primo bicchiere benedetto eucaristicamente,
ma senza parole di significazione cristologica e il pane ugualmente benedetto con le stesse parole di significazione che si leggono in Mc 14,22: Questo
il mio corpo, senza alcuna interpretazione134.
131. J. Jeremias, Abendmahlsworte Jesu 9-28.35-56.
132. J. Roloff, Neues Testament 277-278.
133. G. Strecker, Theologie des NT 178-179.
134. Sulla storia testuale di Lc 22,15-20 cf. M. Rese, Zur Problematik von Kurz- und
Langtext in Lk XXII,17ff, NTS 22 (1975/76) 15-31; K.Th. Schter, Zur Textgeschichte
von Lk 22,19b-20, Bib 33 (1952) 237-239; U. Schmidt, Eklektische Textkonstitution als
theologische Rekonstruktion, in: The Unity of Luke-Acts, ed. J. Verheyden (BETL 142),
Leuven 1999, 577-584. Per le implicanze cristologiche della tradizione del testo cf. B.D.
Ehrman, The Cup, the Bread and the Salvific Effect of Jesus Death in Luke-Acts, SBLSP
30 (1991) 576-591.
99
100
N. CASALINI
137. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles (ICC), Edinburgh 1998, 171.
138. Rimandiamo a J. Jervell, Die Apostelgeschichte (KEK III), Gttingen 1998, 155.157 e
gli autori da lui citati. Cf. anche H. Conzelmann, Die Apostelgeschichte (HNT 7), Tbingen
1972, 37, che tuttavia lo ritiene eucaristico.
139. Cf. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 170.
140. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 170, contro lipotesi di J. Jeremias.
141. Cf. per es. H. Conzelmann, Die Apostelgeschichte, 137.
101
Il testo conferma solo lipotesi, piuttosto normale, che ogni giorno prendevano cibo (metelambanon trofhv) e che questo consisteva essenzialmente nel pane che veniva spezzato (klwnte arton), che doveva
servire come mezzo per mangiare il resto. Ci che diverso il modo nuovo o lo spirito con cui mangiavano il pasto quotidiano: con letizia e semplicit di cuore, lodando Dio, che il modo tipico in cui in genere
mangiano coloro che aderiscono con fede e con il cuore al Signore della
loro religione (cf. Paolo in At 27,35).
Pertanto questa notizia, per la sua evidente genericit e indeterminatezza idealizzante, non pu essere usata n per confermare lipotesi audace di
Hans Lietzmann che qui lautore descrive un tipo di Eucarestia, quello
diffuso presso le comunit cristiane primitive di Palestina, consistente essenzialmente nella sola fractio panis142; n pu essere usata per smentirla,
affermando che la klasi artou era un termine generico per indicare tutto il pasto, la pars pro toto, che comprendeva anche altro e il vino143.
Tuttavia evidente che lautore di Atti usa la formula fractio panis anche in senso tecnico144, per designare il raduno della comunit nella celebrazione del giorno del Signore, come risulta da At 20,7 in cui si legge:
Nel primo giorno della settimana (en de thv mia twn sabbatwn), Paolo
parl con loro dovendo partire il giorno seguente e protrasse il discorso fino
a mezzanotte. Segue in At 20,8-10 il racconto dellincidente accaduto al
ragazzo di nome Eutico, che essendosi addormentato sul davanzale della
finestra mentre Paolo parlava, precipit dal terzo piano. Paolo lo rianim
facendo coraggio agli altri che lo credevano morto. Lepisodio termina in
At 20,11 con questa notizia: Poi essendo risalito e avendo spezzato il pane
(klasa to\n arton), e avendo gustato e avendo parlato a sufficienza fino
allalba, cos part.
Questa notizia potrebbe confermare lipotesi che la fractio panis, di cui qui
tratta, indichi un pasto normale e non eucaristico145. Ma il fatto che sia celebrato
nel primo giorno della settimana, altrove chiamato giorno del Signore (Ap
1,10), indica che in realt fosse un pasto speciale, anche se descritto allo stesso modo, come un pasto privato (cf. At 27,35 labwn arton eujcaristhsen tw
qew enwpion pantwn kai klasa hrxato esqiein)146.
142. H. Lietzmann, Messe und Herrenmahl 252-253.
143. H. Conzelmann, Grundriss 133; G. Strecker, Theologie des NT 180.
144. C.K. Barrett, The Acts of the Apostles II (ICC), Edinburgh 1998, 164-165.
145. W. Bsen, Jesusmahl 131.
146. Su At 20,7-11 e linterpretazione proposta cf. J. Jervell, Die Apostelgeschichte 501504, che si attiene alle analisi di J. Wanke, EWNT II, 729-732 e Idem, Beobachtungen zum
Eucharistieverstndnis des Lukas (RThS 8), Leipzig 1973, 19-24. Prudente fino allo scetticismo C.K. Barrett, The Acts of the Apostles II, 950-952.
102
N. CASALINI
103
149. Lipotesi della pratica cultuale di riunione per la fractio panis, nel primo giorno della
settimana, si legge nellarticolo di J. Taylor, La fraction du pain 283, che rimanda al suo
saggio: Les Actes des Aptres 6 (EB.NS 30), Paris 1996, 83-92; e allaltro scritto in comune: E. Nodet - J. Taylor, Essai sur les origines du Christianisme, Paris 1998, 17-28; cf.
anche C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 165.
150. Cf. G. Schille, Die Apostelgeschichte des Lukas (ThHK 5), Berlin 1989, 115.397.
151. Cf. le distinzioni di C.K. Barrett, The Acts of the Apostles I, 165; II, 171.
104
N. CASALINI
preso in comune, perch ci non appare evidente. Ci che lautore descrive in At 20,7 come riunione per spezzare il pane (klan arton) non sembra alludere a un pasto comune, ma al pasto del Signore, preso in comune,
come attesta il fatto che si riunivano nel primo giorno della settimana,
che dallorigine della tradizione della religione cristiana indicava il giorno
della riunione specificamente cultuale e non genericamente comunitaria (cf.
1Cor 16,2).
Ma una cosa fuori dubbio. Secondo questa tradizione cultuale tramandata da Luca, la riunione per la fractio panis eucaristica comportava un
pasto, costituito essenzialmente dal pane condiviso insieme rendendo grazie. Lautore tace del tutto sul vino. Ma dal suo silenzio non si pu trarre
la conclusione o un argomento per sostenere che fosse ignorato. Da ci che
dice si pu solo supporre che la consuetudine ecclesiale da lui documentata poneva unenfasi simbolica maggiore sul pane spezzato, perch questo
significava il Cristo stesso ed era il suo segno di riconoscimento
misterico, come appare evidente dalla cena eucaristica di Emmaus, descritta in Lc 24,31-35152.
105
dizione da lui ricevuta su ci che il Signore fece nella notte in cui fu tradito e ci che egli ha insegnato ai Corinzi per mangiare il pasto del Signore. Dalle sue parole chiaro che secondo ci che lui ha trasmesso,
questo pasto consiste essenzialmente del pane spezzato e del bicchiere distribuito e a cui tutti i presenti partecipano (1Cor 10,16), dopo il rendimento di grazie (eujcaristh/sa: 1 Cor 11,24a) o dopo la benedizione
(o eujlogouvmen: 1Cor 10,16a).
Quindi anche se ricorda che, nella notte in cui fu tradito, il Signore diede il bicchiere dopo il pasto, egli non lo ricorda per insegnare loro a consumare un pasto normale in comune con i gesti eucaristici, allinizio e alla
fine, ma solo per far loro comprendere in che cosa consiste il pasto del
Signore, costituito essenzialmente dalla partecipazione ai due elementi
eucaristici, in successione, come risulta senza equivoco da 1Cor 10,16. Per
questo si stupisce che i Corinzi lo abbiano compreso in altro modo, ritenendo che fosse da rievocare come un vero pasto mangiato insieme. Di
conseguenza ognuno ha portato il proprio pasto (to\ idion deipnon) (1Cor
11,21a) da mangiare durante la riunione in assemblea (en ekklhsia: 1Cor
11,18b). Ma lui non li approva. Anzi li rimprovera apertamente facendo
notare che, a causa di questo equivoco, non pi possibile mangiare il
pasto del Signore (1Cor 11,21b).
Non difficile comprendere che lequivoco in cui sono caduti i Corinzi
sia probabilmente dovuto alla consuetudine con la prassi cultuale greca, che
consisteva nel banchettare insieme realmente, usando le stesse carni immolate agli di (1Cor 8,1; 10,14.21.23-30). Ma Paolo non approva il loro comportamento e ricorda loro ci che ha trasmesso, affinch sappiano che il
pasto del Signore da mangiare insieme nella assemblea consiste essenzialmente nel partecipare al suo corpo e al suo sangue, condivisi nei segni
del pane spezzato e distribuito e nel bicchiere (con vino) che tutti condividono. Per non lasciare dubbi e per inculcare che ci che ha tramandato non
un pasto normale preso in comune, prima li rimprovera del fatto che nella riunione mangiano ciascuno il pasto privato domandando: Non avete
forse le case per mangiare e bere? (1Cor 11,22a) e alla fine del discorso
raccomanda: Se uno ha fame, mangi a casa, affinch non corriate nel giudizio (1Cor 1,34a).
Tutti questi dati, considerati insieme, ci hanno convinto che lopinione
prevalente che la Eucarestia fosse allorigine un reale pasto normale preso in comune, non ha fondamento nel testo di 1Cor 11,17-34 e non si pu
giustificare con ci che Paolo afferma, ma sorta da una interpretazione
scorretta delle sue parole. I sostenitori di questa ipotesi infatti hanno confuso le condizioni in cui stato istituito il pasto del Signore con questo
106
N. CASALINI
stesso pasto e poich dalle sue parole appare evidente che listituzione
avvenuta durante un pasto reale, e pi precisamente in una cena in comune, essi ne hanno dedotto erroneamente che il pasto del Signore fosse
allorigine una cena normale o un pasto comune, non distinguendo tra il
pasto o cena in cui esso fu istituito e il pasto che il Signore in quella cena
ha indicato come il proprio, e che costituito essenzialmente da due soli
elementi: il pane, che significa il suo corpo e il bicchiere del vino, quale
segno del suo sangue.
Di conseguenza, ci parsa anche senza fondamento lipotesi che Paolo
sia stato il primo a distinguere tra pasto reale preso in comune e pasto del
Signore, dando origine a quella disciplina liturgica che poi si imposta a tutta la Chiesa153. In realt una tale opinione insostenibile, perch dal testo
appare evidente che anche nella tradizione da lui trasmessa il pasto del Signore non costituito da un pasto normale, ma solo dal pane e dal vino
significanti il suo corpo e il suo sangue per le sue stesse parole di
significazione. In effetti, lui solo il cibo del pasto da lui offerto (1Cor
10,16).
Di questa conclusione abbiamo trovato conferma nella tradizione
eucaristica tramandata da Mc 14,22-25. In questa appare evidente che il
narratore ha interesse a far notare che il pasto ultimo di Ges fu una cena
pasquale (Mc 14,12). Ma poi, quando narra lepisodio, non presta alcuna
attenzione agli elementi essenziali della cena pasquale. Ricorda solo levento della istituzione, costituita dal suo corpo e dal suo sangue, dati ai presenti nella forma materiale del pane e del vino, in semplice successione,
come se volesse operare una sostituzione, per far comprendere che questi
costituivano il vero cibo della Pasqua mangiata insieme.
Tuttavia noi non abbiamo tratto questa conclusione esegetica, certamente possibile, e ci siamo limitati a rilevare un dato di fatto: Mc 14,22-25 non
giustifica n lipotesi che la Eucarestia fosse un pasto reale, n laltra pi
fantastica che fosse una cena pasquale, perch evidente che, anche in questo caso, i loro sostenitori non hanno saputo distinguere tra la situazione in
cui avvenuta listituzione dellEucarestia, che era una cena pasquale (Mc
14,12), e ci che durante quella cena stato istituito, e che costituito dal
corpo e dal sangue del Signore, dato come nutrimento nel segno del pane da
mangiare e del bicchiere del vino da bere (Mc 14,22-24).
Lesame di Lc 22,15-20 ci ha confermato nella nostra conclusione, perch anche questo autore, che pure amplifica narrativamente il fatto che la
107
cena ultima del Signore fosse una Pasqua (Lc 22,15-16), non pone attenzione ad alcuno degli elementi essenziali della cena pasquale per dare significato alla cena del Signore, eccetto il bicchiere del vino e il pane, che
la costituiscono essenzialmente con le parole di significazione dette su di
loro dallo stesso Signore.
Poich dando il bicchiere il narratore fa dire a Ges che quello il
suo sangue, specificando che quello dellalleanza (to\ aima mou thv
diaqh/kh: Mc 14,24b), con unallusione evidente e quasi letterale al sangue
delle vittime immolate per la stipulazione del patto tra Dio e il popolo sancito da Mos e di cui si legge in Es 24,8 LXX, noi abbiamo dovuto concludere
che, paragonando il vino al sangue volesse significare la sua morte violenta
presentata come sacrificio di immolazione per il patto da lui sancito a favore degli uomini, come indicato dalla specificazione che il sangue quello
versato per molti (to\ ekcunno/menon uJper pollwn) (Mc 14,24c).
Levidente parallelismo narrativo e teologico stabilito nel racconto tra il
patto sancito da Mos con il sangue delle bestie immolate come vittime e
quello stretto dal Cristo con il suo sangue, non ci ha permesso di accettare
lipotesi per noi aberrante di Klaus Berger, il quale sostiene che nelle parole di Ges sul sangue non c nessuna traccia della sua morte e che il patto
da lui sancito non lo fu nel suo sangue, ma solo bevendo il vino dello stesso bicchiere154. Ma abbiamo dovuto convenire con lui nel fatto che la natura di tale patto (diaqh/kh) non chiaramente specificata nel testo e non
pu essere spiegato con il riferimento a Ger 31,31-34 perch in Mc 14,24b
manca laggettivo nuovo (kainh/) che giustificherebbe un tale senso teologico, che invece esplicito nel testo di Paolo (1Cor 11,25; cf. Lc 22,20b).
Ugualmente, il fatto stesso che in questo testo paolino il bicchiere
eucaristico presentato come il nuovo patto nel mio sangue (hJ kainh\
diaqh/kh estin en tw emw aimati) ci ha costretto ad avvallare lipotesi teologica che nella Cena del Signore o Eucarestia sia implicito il perdono
dei peccati per coloro che vi partecipano155, perch Paolo afferma espressamente che memoria della morte del Signore (1Cor 11,26), di cui in
1Cor 15,3 dice che morto per i nostri peccati, secondo le Scritture.
Quindi se quella morte per il perdono dei peccati (ei afesin
amartiwn), come si legge in Mt 26,28, si deve supporre che esso sia comunicato a coloro che credendo partecipano al pasto del Signore, che ne il
ricordo attualizzante (anamnhsi: 1Cor 11,24c.25.). Ma su questa conclusio-
108
N. CASALINI
ne teologica non abbiamo insistito, sapendo che richiede ulteriore riflessione, che nella Chiesa Cattolica deve essere ancora fatta, mentre pare che sia
cosa gi acquisita e teologicamente fondata per le Chiese della Riforma.
109
che vede in questi pasti con i pubblicani un possibile antecedente di quelli eucaristici. Cf.
R.L. Brawley, Table Fellowship: Bare and Blessing for the Historical Jesus, PRS 22
(1995) 13-31.
160. H. Conzelmann, Grundriss 134.
110
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111
112
N. CASALINI
che viene (Mc 1,14-15). Poich dallesame che abbiamo effettuato parso
chiaro che la partecipazione al pasto del Signore un gesto simbolico che
manifesta in modo misterico, che noi diciamo sacramentale, la fede che uno
gi possiede, non ci pare assolutamente possibile considerare tale azione
cultuale, detta Eucarestia, un mezzo di iniziazione alla fede parallelo o in
concorrenza con il battesimo, da cui non sembra distinto162. Questa ipotesi
non solo in se stessa inconsistente per ci che abbiamo detto, ma non trova conferma nei testi del Cristianesimo primitivo, raccolti nel Nuovo Testamento. Da questi risulta che solo il battesimo ha la funzione di dare
accesso alla salvezza per la fede, per mezzo del perdono dei peccati, che il
gesto cultuale vuole significare (cf. Mc 16,16; Mt 28,19; At 2,38).
Non nostro compito esaminare ora tutti i testi in cui il battesimo presentato come lunico atto simbolico che indica ammissione alla grazia della salvezza163. Chi lo desidera non ha difficolt a trovare materiale adeguato
per la sua informazione164. A noi basta far notare che in nessuno dei testi
attestato che il pasto del Signore assolvesse una funzione iniziatica in modo
parallelo o in sostituzione dellatto battesimale. In realt non potrebbe neppure, perch per il loro significato hanno diversa funzione. Il battesimo indica la purificazione delle colpe per mezzo dello Spirito, significato
dallacqua o dallunzione, secondo la tradizione sacrale che si segue. Il
pasto del Signore invece indica la partecipazione alla salvezza ottenuta per
mezzo dellassociazione alla vita immortale del Signore vivente, partecipando del suo corpo e del suo sangue, che significano la sua morte per
immolazione (cf. Gv 6,51b-58). Per questo, anche se ci sembra possibile
che alla mensa del Signore possa accedere chiunque, per varie ragioni e
anche senza fede, non possiamo non rilevare che il beneficio salvifico che
il pasto del Signore vuole significare dato solo a chi crede, perch solo
per fede si partecipa alla salvezza che il corpo e il sangue del Signore vogliono indicare.
113
165. Cos pare proporre K. Berger, Theologiegeschichte 322 (cf. anche 323.325), non facendo pi distinzione tra battesimo e cena del Signore, e considerando questa un rinnovamento o attuazione di quello.
G. Segalla
1. Rimando a due articoli recenti di carattere sintetico, ove si possono trovare ulteriori
116
G. SEGALLA
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118
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119
razione stata compiuta gi, anche se da pochi. La tradizione di Ges, intrecciata nel testo dellApocalisse, presuppone inoltre una tradizione pi
ampia, che i lettori sono invitati a custodire (threin)13 e a mantenere
(kratein): la testimonianza di Ges. La tradizione di Ges nellApocalisse viene a confermare quella evangelica e a dimostrare come essa possa configurarsi in veste nuova in contesti nuovi e con nuove finalit rispetto
al contesto e alle finalit delle narrazioni evangeliche, luogo privilegiato
della memoria di Ges.
Nella nostra inchiesta procediamo per tre passi successivi:
1/ anzitutto stabiliamo la base oggettiva della memoria del Ges terreno nellApocalisse, registrando le risonanze della tradizione sinottica e di
quella giovannea;
2/ passiamo quindi a dimostrare che la testimonianza di Ges, di cui
per cinque volte si parla, va identificata con la tradizione gesuana, custodita dai cristiani della comunit e confessata a costo della vita;
3/ infine si constater che la verit della rivelazione presente in ordine
al futuro fondata nella testimonianza di Ges, del Ges terreno.
nellApocalisse alla luce della tradizione giovannea), difesa alla PUG nel 1999 e che
verr pubblicata in Supplementi a Rivista Biblica, dimostra che custodire la traduzione
pi appropriata di questo verbo.
14. R. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition, V&R, Gttingen 19646, 134.
15. Cf. sopra la n. 10.
120
G. SEGALLA
Contro una tale ipotesi e in favore di una fedelt sostanziale nella trasmissione dei detti del Ges storico scrisse la sua tesi L. A. Vos nel 1964,
fondandosi sulle ricerche della scuola scandinava (H. Riesenfeld e B.
Gerhardsson); egli vi sosteneva la sostanziale fedelt storica della tradizione evangelica di Ges, appellandosi al modo di trasmettere la tradizione in
ambiente giudaico16.
Ma gi i primi grandi commentari dellApocalisse, agli inizi del secolo scorso, prendevano in considerazione il rapporto dellApocalisse con i vangeli.
H. B. Swete nel suo grande commento del 1908 sosteneva: ..it may be
assumed thatif not one or more of our present Gospels, some collection
or collections of our present Gospels of our Lord Jesus were probably in
their (churches) hands and familiar to our author17.
R. H. Charles nel suo commento del 1920 dopo aver confrontato in tre
fitte pagine i contatti con i vangeli sinottici concludeva: ..it follows quite
decidely that our author (John) had the Gospels of Matthew and Luke
before him18; perci secondo lui dipendeva da questi due vangeli.
E. F. Scott nel 1939 a sua volta si esprimeva pi semplicemente in questo modo: (John) appears to know the Synoptic Gospels, the language of
which he frequently echoes19.
Secondo E. Lohmeyer invece lautore dellApocalisse non avrebbe posseduto fonti scritte, ma namenlose Traditionen20.
I grandi commenti pi recenti, se si eccettua E. Corsini, non trattano
pi il problema nelle loro introduzioni, ma ne accennano in modo sporadico, quando nel testo dellApocalisse ravvisano qualche influsso della tradizione evangelica. Tipico il recentissimo grande commento di G. K. Beale,
di tendenza conservatrice. Commentando lespressione o emartu/rhsen
to\n lo/gon touv qeouv kai th\n marturian Ihsouv Cristouv osa eiden di Ap
1,2 in riferimento ad 1,9, scrive: There is undoubtely a link between the
occurrence of the expression here (Rev 1:1; 6:9; 20:4) and its occurrence
in 1:9b, which focuses most of Johns own witness to the authority of the
16. B. Gerhardsson, Memory & Manuscript. Oral Tradition and Written Transmission in
Rabbinic Judaism and Early Christianity with Tradition & Transmission in Early Christianity, Foreword by Jacob Neusner (The Biblical Resource Series), Eerdmans, Gran Rapids, Michigan/Dove Booksellers, Livonia, Michigan 1998 (1961, 19642).
17. H. B. Swete, The Apokalypse of St John, Eerdmans, Gran Rapids 19083 (London 1906;
19072), XCVI.
18. R. H. Charles, A Critical and Exegetical Commentary on the Revelation of St. John, I,
(ICC), T&T Clark, Edinburgh 1920, LXV; cf. anche XCIV.
19. E. F. Scott, The Book of Revelation, SCM, London 1939, 30.
20. E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes (HNT, 16), Mohr, Tbingen 19532, 196.
121
earthly Christ, with whom he was familiar from the Jesus tradition of the
Gospels (corsivo mio) e in nota cita Vos: unasserzione generica che per
viene tenuta presente in molti dei testi commentati21.
Sulla scia di L. A. Vos, di R. Bauckham e di Beale, lipotesi da cui
muovo non si rif al loro modello di una tradizione orale o scritta, ma piuttosto a quello di una tradizione cristiana, che conservava la memoria di
Ges e del suo insegnamento. Tale tradizione si rivela nel vocabolario religioso, in espressioni tradizionali fisse, in risonanze lontane di tradizioni pi
ampie (parabole, detti escatologici, viva memoria della morte di Ges). E
si intrecciava pure talora con la tradizione veterotestamentaria in un sistema narrativo nuovo quale quello dellApocalisse.
Va tenuto presente che lApocalisse tardiva (94-95 d.C.) rispetto alla
tradizione originaria di Ges ed anche alla sua fissazione scritta nei nostri
vangeli (a parte il quarto); va pure ricordato che non intende narrare la storia di Ges, ma uno scritto indirizzato alle chiese per confortarle in un
momento difficile, presentando Ges Agnello sgozzato come vincitore sulla triade demoniaca del Drago e delle due fiere. Tenendo conto della data
di composizione e della natura dello scritto, non dobbiamo aspettarci se non
delle risonanze della memoria di Ges in un contesto diverso e con funzioni diverse rispetto ai vangeli.
Registriamo perci i dati cio le risonanze, utilizzando gli elenchi di
Charles22 e di Vos23, aggiungendovi il risultato di un mio seminario di ricerca e distinguendo i Sinottici dal quarto vangelo.
quarto vangelo.
23. L. A. Vos, The Synoptc Traditions in the Apocalypse, Kok, Kampen 1965, 218-219.
122
G. SEGALLA
24. Si veda linteressante articolo di Anne-Marit Enroth, The Hearing Formula in the Book
of Revelation, NTS 36 (1990) 598-608: The Origin of Hearing Formula is the Parable tradition (p. 601). La sua funzione non n noetica (comprendere una verit o un
insegnamento difficile) n tanto meno esoterica, ma sempre parenetica (p. 607).
123
37-38:
en imatioi leukoi kai ouj mh\ exaleiyw to\ onoma aujtouv ek thv biblou
thv zwhv kai oJmologh/sw to\ onoma
aujtouv enwpion touv patro/ mou kai
enwpion twn aggelwn aujtouv.
Lc 12,8b:
kai oJ uio\ touv anqrwpou oJmologh/sei
en aujtw emprosqen twn aggelwn touv
qeouv:
25. Diverse sono le risonanze di questo testo; oltre a quella pi immediata e letterale di
Lc 12,36, vi si pu sentire quella sponsale (Ct 5,2; cf. Gv 3,29: il motivo della voce); pi
lontana la risonanza della voce del pastore in Gv 10,3.4.5.16.27; infine, ancor pi
remote, le risonanze del motivo del banchetto e di Gv 14,23-24.
124
G. SEGALLA
Il secondo sigillo
16/ Ap 6,10:
Il quinto sigillo.
17/ Il racconto del sesto sigillo (Ap
6,12-17) contiene diverse risonanze del
discorso escatologico di Ges:
6,12-13a: Kai eidon ote hnoixen th\n
sfragida th\n ekthn, kai seismo\
mega egeneto kai oJ hlio egeneto
mela w sakko tricino kai hJ selh/
nh olh egeneto w aima kai oi astere
touv oujranouv epesan ei th\n ghvn, (cf.
Gl 3,4).
125
Probabile allusione
nascita del messia26.
simbolica
alla
26. La maggioranza dei commenti, seguendo la tesi di A. Feuillet (Le Messie et sa Mre
daprs le chapitre XII de lApocalypse, Etudes Johanniques, Paris 1962, 272-310), leggono
in questo testo un riferimento diretto alla nascita messianica del mattino di Pasqua,
attraverso i dolori del parto che corrispondono al Calvario (p. 279). Ma si ammette che
126
G. SEGALLA
ei aicmalwsian uJpagei: ei ti en
macairh apoktanqhvnai aujto\n en
macairh apoktanqhvnai. Wde estin hJ
uJpomonh\ kai hJ pisti twn agiwn.
127
128
G. SEGALLA
Gv 18,36-37: Ges re
129
Gv 1,1.2.14; 19,34
Giovanni
1/ poiein shmeion
2/ threin ta entola
4 (1Gv 5x)
3/ deiknumi (=rivelare)
4/ ebraisti
5/ marturia
6/ nikan
17
7/ piazein
8/ shmainein
9/ sfazein
0 (1Gv 2x)
10/ filein
13
130
G. SEGALLA
131
nuova Gerusalemme, che discende dal cielo. Tale vittoria fondata su quella gi conseguita da Ges con la sua morte, il suo sangue e la sua risurrezione, ed radicata nelle parole profetiche del Ges terreno. Luso della
tradizione sinottica e di quella giovannea coerente con la narrazione
apocalittica della lotta e della vittoria sulle forze del male, che si scatenano
contro le comunit cristiane.
Il particolare ricorso alla tradizione di Ges dunque corrispondente al
genere letterario e alla finalit dellApocalisse.
Ma, oltre a queste ampie risonanze sparse nellApocalisse, si trovano
in essa dei cenni ad una tradizione di Ges pi ampia, che i cristiani sono
invitati a custodire e a confessare in una situazione difficile.
132
G. SEGALLA
prescritto (Ap 1,5a), egli viene presentato con tre qualifiche, che caratterizzano tre momenti della sua esistenza e missione universale, terrena
e celeste:
Ges Cristo
il testimone fedele (durante la sua missione terrena fino alla morte):
il primogenito dei morti (con la sua risurrezione)
e il principe dei re della terra (per la signoria universale a lui data
dal Padre e la vittoria sulla bestia e i re della terra: Ap 19,16 nel quadro
di 19,11-21).
La dossologia che sale dallassemblea liturgica fa ancora memoria di
colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati mediante il suo sangue
(Ap 1,5b).
Dopo questo prologo con forti riferimenti a Ges, alla sua morte-risurrezione, al suo amore sempre attuale, quando inizia la narrazione vera e propria, si legge per la prima volta lespressione fissa la testimonianza di
Ges. Tenuto conto della precedente qualifica testimone fedele, deve riferirsi al contenuto della testimonianza, che ha origine da lui: il genitivo di
Ges infatti, come il genitivo dellincipit Rivelazione di Ges Cristo un
genitivo soggettivo e di autore. La testimonianza di Ges la tradizione
viva di lui, della sua persona e del suo insegnamento. Tale tradizione viene
chiamata testimonianza sia perch nella sua missione terrena egli testimoni il Padre sia perch tale tradizione di Ges devessere testimoniata dai
cristiani, in situazione di persecuzione, fino a rimetterci la vita (Ap 12,11).
Per dimostrare questa tesi, analizziamo i cinque testi in cui compare.
Il primo lo si trova nella breve narrazione autobiografica, che offre
lambientazione spazio-temporale delle visioni:
Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione e regno e
perseveranza in Ges, fui nellisola di Patmo, a causa della parola di Dio
e della testimonianza di Ges (Ap 1,9).
Giovanni, mediatore privilegiato della rivelazione di Ges Cristo fu
dunque relegato nellisola di Patmo a causa della parola di Dio e della testimonianza di Ges, una testimonianza, certo, antecedente la rivelazione
di cui sar privilegiato e che ha testimoniato (Ap 1,2). Le due espressioni,
parallele, si riferiscono ambedue alla tradizione viva di Ges; parola di
Dio infatti nel NT sinonimo della tradizione evangelica originaria29,
133
30. A. Heinze, Johannes-apokalypse, 301: o logo tou qeou kai h marturia Ihsou
umschreibt unter diesen Voraussetzungen eine ihm vorgegebene, ihn zu einer Handlung
antreibende Grsse; der Genitiv Ihsou wre in diesem Fall Gen. Sub., so dass es sich um
durch Jesus gegebene Zeugnis handeln wrde.
31. Per motivi di ritmo Lohmeyer sostituisce che avevano con Ges (Die Offenbarung,
63). Mentre N. Brox sostiene che anche se non si specifica di Ges , jedoch ist klar dass
es um das Zeugnis Jesu geht (Zeuge und Mrtyrer [SANT, 5], Ksel, Mnchen 1961, 94).
Cos anche Charles, A Critical, 174.
134
G. SEGALLA
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136
G. SEGALLA
Nella lettera alla chiesa di Sardi si usa il verbo threin (custodire) nellorizzonte semantico di ricevere ed ascoltare:
Tieni a mente dunque come hai ricevuto e hai ascoltato, e custodisci/
threi e pentiti (ap 3,3a). Nel NT il verbo paralambanein/ricevere usato per ricevere ed accogliere insegnamenti e tradizioni trasmesse (1Cor
15,1; Fil 4,9). Ora la chiesa di Sardi invitata a ricordare linsegnamento ricevuto ed ascoltato e a custodirlo affinch produca la metanoia. La
predicazione di Ges, nella tradizione evangelica, inizia proprio con linvito al pentimento e alla fede nel vangelo (Mc 1,14-15). Nel contesto della
chiesa, ove il vangelo era gi stato predicato ed accolto nella fede, il pentimento viene dopo, come conseguenza di un richiamo a ravvivare quanto e
come stato accolto e ascoltato.
Nella lettera alla chiesa di Filadelfia ricorrono ambedue i verbi, threin
e kratein, custodire e mantenersi saldi.
Il Santo e Veritiero la elogia: Conosco bene le tue opere: ecco ho posto di fronte a te una porta aperta che nessuno pu chiuderla (!), poich hai
poca forza, e tuttavia hai custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio
nome (Ap 3,8). La comunit viene dunque elogiata perch ha custodito
lautentica tradizione di Ges, la sua parola e lha custodita anche di fronte
alla prova, non rinnegando il nome di Ges.
Pi avanti la esorta ancora alla perseveranza:
Mantieni saldo quello che hai . Il comando uguale a quello che
abbiamo gi incontrato nella lettera alla chiesa di Tiatira (Ap 2,25); come
abbiamo sopra dimostrato, si tratta della tradizione di Ges, dellinsegnamento ricevuto, cui si deve essere fedeli nella prova.
Le lettere alle chiese di Tiatira, di Sardi e di Filadelfia ci offrono
dunque brevi, ma preziose indicazioni, che invitano a tener salda la tradizione di Ges (il suo nome in Ap 2,13). Si presuppone perci che i
cristiani di queste comunit siano in possesso (ecein) di un insegnamento, che va custodito, mantenuto saldo, vissuto e difeso nella prova,
la testimonianza di Ges. I verbi qui usati sono impiegati nel NT per
indicare un insegnamento tradizionale da custodire nellautentica fede
e da tenere saldo nella prova. Che questo insegnamento sia quello di
Ges ci sembra dimostrato dallespressione fissa la testimonianza di
Ges e dalluso della tradizione evangelica, come sopra stato dimostrato.
La testimonianza di Ges non perci quella offerta nel libro
dellApocalisse (Ap 1,1-2), ma quella ricevuta dalle comunit cristiane al
loro inizio e che devono custodire e mantenere nella prova e far rivivere
per la conversione.
137
3.
La memoria simbolica del Ges terreno fonda la verit del presente
in ordine al futuro ultimo
Non vi dubbio dunque che la memoria di Ges circoli, discretamente,
nelle lettere e nelle visioni dellApocalisse, ancorch ri-figurata allinterno
di una narrazione profetico-apocalittica.
Alla fine di questo nostro itinerario alla scoperta della memoria di
Ges, dobbligo una domanda sintetica: quale figura di Ges trova risonanza nellApocalisse? E quale ri-figurazione ne viene data? La prima domanda corrisponde alla figura che risulta dai testi della tradizione
evangelica intrecciati nella narrazione apocalittica. La seconda risponde
invece al cambiamento da essa subito, per corrispondere alla funzione che
assunse allinterno del nuovo mondo del testo, costituito dal libro profetico.
3.1.
La figura che domina dal proemio (Ap 1,5) alla battaglia decisiva (Ap
19,13) fino alle nozze conclusive (Ap 21,9) e alla sua collocazione nella
citt celeste sul trono di Dio, da cui nasce il fiume di acqua viva (22,1):
quella dellAgnello sgozzato. Anche se questa figura esplicita appare solo
in Ap 5,6.9 e 13,8, in modo indiretto tuttavia presente dovunque. Persino
il cavaliere, fedele e veritiero che siede sul cavallo bianco avvolto con
una veste immersa nel sangue (Ap 19,13), il sangue della croce (Ap 11,
8). Il re dei re, il Vincitore si presenta sempre con la sua carta di identit
storica pi precisa, anche se trasformata in un potente simbolo: la morte
violenta come testimone fedele (Ap 1,5; 11,8). Le 28 volte (7x4) che
Ges compare sulla scena come Agnello (sgozzato) porta sempre la sua
connotazione originaria datagli dalla prima apparizione in Ap 5,6.9. Ora,
la figura che pi gli si avvicina nella tradizione evangelica e di cui potrebbe essere risonanza quella del Ges giovanneo, che dopo la morte ritorna
ai suoi discepoli con i segni del crocifisso: le mani forate dai chiodi e il
petto squarciato (Gv 20,20.25-27); e gi allinizio della narrazione evangelica Giovanni laveva proclamanto lAgnello di Dio che toglie il peccato
del mondo (Gv 1,29; 19,36); ed lui che con la sua morte e risurrezione
ha vinto il mondo (Gv 16,33) ed dunque il Vincitore.
Un secondo tratto del Ges terreno, pur rimanendo sempre implicito e
simbolico, quello del Ges Messia Sposo, che si rivela discretamente nella metafora delle nozze in cui presente lo sposo (Mc 2,18-20 parr), fa
capolino nelle parabole dellattesa e in particolare in quella delle 10 vergi-
138
G. SEGALLA
3.2.
La memoria del Ges terreno, custodita nei Sinottici e in Giovanni e inserita nella trama dellApocalisse (Ges vincitore come crocifisso, profeta
escatologico del futuro regno di Dio, Sposo delle nozze con la comunit
degli eletti) vi risuona trasformata dal nuovo orizzonte letterario e dalla
nuova funzione.
Il Signore risorto con i segni dei chiodi e il petto squarciato si trasfigura simbolicamente nellAgnello sgozzato, che sta in piedi nel mezzo del
139
trono di Dio (Ap 4,2; 5,6). LAgnello sgozzato e vivente, anzi vittorioso
(Ap 5,5; 17,14) fa parte di un nuovo universo simbolico. In cielo, luogo
della trascendenza divina, e allorigine di quanto narrato nel dramma
dellApocalisse, sta fisso e solenne il trono di Dio, sede simbolica del suo
potere sovrano e universale. Dio colui che seduto senza figura, ma
raffigurato solo con dei colori di pietre preziose che colpiscono il
veggente (Ap 4,2b-3). LAgnello sgozzato in piedi, a destra del trono, riceve da Dio sette qualifiche: potenza e ricchezza e sapienza, e forza e
onore e gloria e benedizione (Ap 5,12). Anche se vi possono risuonare i
motivi anticotestamentari dellagnello pasquale e del servo sacrificato (Is
53,7ss) tuttavia un simbolo che ha come referente storico unitario il
Ges giovanneo: agnello che toglie il peccato del mondo (Ap 1,5b; 5,9;
cf. Gv 1,29; 19,36). NellApocalisse per il crocifisso risorto e vincitore, ed per questo che munito di sette corna (la pienezza della potenza) e di sette occhi (la pienezza della rivelazione). E si trasforma pure
in ariete capo-branco che guida i suoi alla lotta e alla vittoria (Ap 17,14;
19,13). Ges il crocifisso risorto, che siede alla destra di Dio e da lui
riceve potere e sovranit sulla storia presente e futura. Per questo pu rivelarne il corso fino alla discesa sulla terra della Sposa, adornata per
lAgnello sposo, la comunit cristiana unita a lui per sempre. Mentre nel
vangelo il movimento dal passato di Ges (la sua missione storica) al
presente: il Signore crocifisso e risorto presente nella sua comunit di discepoli cui dona lo Spirito promesso; lAgnello sgozzato invece simbolo che muove dal presente verso il futuro, rappresentato drammaticamente
dalle sette lettere e dalle visioni, e tuttavia in continuit, a monte nella
memoria simbolica, con la sua missione passata, compiuta ma ancora da
completarsi nella storia futura.
La seconda ri-figurazione quella che compare implicitamente e di
sfuggita nelle lettere (Ap 3,20) e con solenne drammaticit nella visione
finale (Ap 21,1-22,17): Ges Sposo e la Sposa che lo incontra scendendo
dal cielo, la donna dellAgnello (Ap 21,9), la nuova Gerusalemme. La
tradizione evangelica del Ges Sposo-Messia si presenta in due forme diverse: 1/ quella sinottica considera Ges Sposo e la sua missione terrena
come un banchetto di nozze con lui Sposo, ove perci non ha senso il digiuno (Mc 2,19 parr), e rimanda il digiuno al tempo futuro in cui lo Sposo
sar rapito (la sua morte violenta); 2/ quella giovannea, posta sulla bocca
di Giovanni B. assume la figura dellincontro intimo della sposa con lo
sposo (come nellApocalisse), percepito con grande gioia allesterno dallamico dello sposo come voce dello Sposo, che parla e comunica con la
Sposa, la comunit messianica, che lo ascolta. Va ricordato che in Gv la
140
G. SEGALLA
141
definitiva di Satana, responsabile attraverso i suoi rappresentanti di un sistema religioso-politico antidivino e oppressore; e la vittoria definitiva dellAgnello con la sua comunit di eletti.
La memoria di Ges, crocifisso e tornato in vita (Ap 1,5) il fondamento
storico, costituito dalla tradizione, che da lui ha avuto origine, trasmessa dai
dodici apostoli, fondamenti della nuova Gerusalemme, che scende dal cielo (Ap 21,10.14). E riceve il nome nuovo di testimonianza di Ges. Cos la
testimonianza passata di Ges si intreccia con quella nuova, apocalittica dello stesso Ges Cristo per suscitare sempre nuovi testimoni che lo seguono
sulla stessa via della prova di amorefino a donare la vita.
Il mistero del futuro, avvolto nello stupendo manto delle visioni simboliche si fonda nel mistero del passato di Ges testimone fedele e veritiero.
Passato del Ges Profeta escatologico e Messia crocifisso-risorto e futuro dellAgnello sgozzato che vince trionfalmente Satana con i suoi accoliti,
per portare agli uomini la comunione e la pace definitiva con Dio e fra loro:
sono a servizio del presente: una comunit esigua, povera e provata, cui viene data per la certezza di una vittoria, non mediante le proprie forze, bens
mediante la potenza divina di Colui che ha gi vinto con la sua morte e risurrezione ed ora siede alla destra del trono di Dio, sovrano dominatore del dramma che misteriosamente si svolge allinterno della storia.
Giuseppe Segalla
Professore invitato
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
G. Biguzzi
LA 50 (2000) 143-166
144
G. BIGUZZI
1. Il numero 7 in Ap 1-3
Il primo numero che sincontra in Ap il numero 7. Compare due volte
in 1,4 e cio nel primo versetto che viene dopo il lungo titolo (1,1-3).
Tutta la prima parte di Ap (Ap 1-3) sar poi dominata da quel numero,
poich il sette vi ricorre 15 volte e poich vi compare un solo altro
numero, il numero 10, in Ap 2,10. Il 7, che sar poi presente in modo
massiccio anche nella seconda parte (Ap 4-22) con 40 ricorrenze, in tal
modo il numero pi importante dellapocalisse giovannea,5 come daltra
parte hanno rilevato gi i commentatori antichi. Fra i greci basti citare
C. Bruston, in ZNW 5 (1904), 258-261; G.A. van den Bergh van Eysinga, in ZNW 13 (1912),
293-305; A.H. McNeile, in JThSt 14 (1913), 443-444; H.A. Sanders, in JBL 37 (1918), 9599; W. Hadorn, in ZNW 19 (1919-1920), 11-29; W.E. Beet, in Exp 8thS 47, n. 121 (1921),
18-31; F. Dornseiff, in FF 12 (1936), 369; E. Vogt, RevBb 6 (1944), 192-194; P.W. Skean,
in CBQ 10 (1948), 398; P.S. Minear, in JBL 72 (1953), 93-101; F. Cramer, in ThGl 44
(1954), 63; C. Cecchelli, in Studi in onore di G. Funaioli (Roma 1955), 23-31; D.R. Hillers,
in BASOR n. 170 (1963), 65; E.M. Bruins, in NedThT 23 (1968-1969), 401-407; Th.
Hberle, in SchwKZ 137 (1969), 548-550; W.G. Baines, in HeithJ 16 (1975), 195-196; L.
van Hartingsveld, in T. Baarda et al., a cura di, Miscellanea Neotestamentica, II (NTSuppl
48, Leiden 1978), 191-201; M. Oberweis, in ZNW 77 (1986), 226-241; G. Bohak, in
JournStudPseud 7 (1990), 119-121; M.G. Michael, in DeltBibMel 28 (1999), 33-39.
5. Le ricorrenze di epta in Ap sono 60 su di un totale neotestamentario di 88, mentre laggettivo ordinale ebdomo ricorre 5 volte in Ap su un totale neotestamentario di 9 ricorrenze.
145
Andrea di Cesarea (fine sec. VI, inizio sec. VII) che in Ap trova quel numero da ogni parte / pantacouv e, fra i latini, Beda il Venerabile per il
quale il numero 7 usato da Giovanni con mistica solerzia; e poi
Berengaudo e Gioacchino da Fiore per i quali lAp sta interamente sotto il
segno del numero 7.6 Daltra parte, il numero 7 proverbiale in molte
culture, probabilmente a partire dalle 4 fasi del ciclo lunare,7 ed solitamente considerato numero sacro per essere frequentemente in relazione
con divinit, templi e riti religiosi. Giovanni parte dunque da una convenzione consolidata ma, anche qui come sempre, arricchisce creativamente
ci che trova e ripropone.
Nel v. 1,4 il sette figura come numero delle chiese destinatarie del
libro, alle quali in quel versetto Giovanni rivolge il suo augurio iniziale.
Gi da molto tempo i commentatori hanno fatto notare che nella regione
esistevano anche altre chiese: per esempio quella di Troade, 170 km a
nord della Pergamo di cui parla Ap 1,11 e 2,12,8 ma soprattutto, nel giro
di soli 15 km dalla Laodicea conosciuta e menzionata da Giovanni (Ap
1,11 e 3,14), esistevano le chiese di Colosse e Gerapoli fondate da Epafra
(Col 1,7), un discepolo di Paolo. Ebbene, chi era attivo a Laodicea non
poteva non esserlo anche per esempio a Colosse, dal momento che le due
chiese si scambiavano lettere apostoliche (Col 4,16), e daltra parte non
si pu neanche obiettare che Giovanni di Patmos non aveva motivo dinteressarsi alle chiese paoline, dal momento che anche la chiesa di
Laodicea era paolina (cf. Col 2,1; 4,13ss), e di essa Giovani parla appunto in Ap 1,11 e 3,14.
6. Andrea di Cesarea (fine sec. VI), PG 106, 353.B: pantacou to\n ebdomon ariqmo\n
paralambanei; Beda ( 735), PL 93, 131.A: Hunc enim mystica solertia numerum pene
ubique servat; Berengaudo (sec. IX o, meglio, sec. XII), PL 17, 845.D, e 892.B: Totus hic
liber in septenario numero consistit; Gioacchino da Fiore ( 1202), Enchiridion super
Apocalypsim, Burger ed., 101-102: Librum istum septenarius totus [= totum ?] possidet
numerus. Su Berengaudo, sul suo nome, e sulla sua ambientazione cronologica cf. G.
Biguzzi, I settenari nella struttura dellApocalisse (Bologna 1996), 13, nota 4.
7. Cf. K.H. Rengstorf, epta, in GLNT, III (Brescia 1967 [Stuttgart 1933]), 807: la
ragione [della rilevanza del numero 7 presso molti popoli] quasi certamente non va cercata
nellesistenza dei sette pianeti, ma nelle quattro fasi lunari di sette giorni ciascuna. Le
fasi lunari, osservabili a qualsiasi latitudine, da sempre sono servite da base per il computo
e la divisione del tempo, come dicono i molti calendari lunari dellantichit.
8. Troade era circa alla stessa distanza a nord di Pergamo, che Efeso a sud. La celebrazione
notturna di cui parla At 20,7ss (ma cf. anche 2Cor 2,12) dice che gi alla fine degli anni 50
a Troade esisteva una comunit di credenti con assemblee eucaristiche settimanali.
146
G. BIGUZZI
9. Canone Muratoriano (180 d.C. circa), ll. 58-59; Vittorino ( 304), PL Suppl. I, 110.
10. Cf. Primasio di Adrumeto ( 552), Andrea di Cesarea (fine sec. VI), Beda ( 735),
Ambrosio Autperto ( 784), Beato di Libana (scripsit 786 circa), Alcuino ( 804), Aimone
di Halberstadt ( 835), Walafrido Strabone ( 849), Bruno di Segni (scripsit 1079 circa),
Anselmo di Laon ( 1117), Riccardo di San Vittore ( 1173), Berengaudo (sec. IX, o XII),
Martino di Len (sec. XIII), e il commentatore siro Dionisio Bar Salb (sec. XII).
11. R. Bauckham, The Theology of the Book of Revelation (Cambridge 1993), 112-113:
The seven Spirits are sent out into all the earth to make his victory effective throughout
the world. While God himself () dwells in heaven, not yet on earth, and while the Lamb,
victorious through his death on earth, now shares his Fathers throne in heaven, the seven
Spirits are the presence and power of God on earth, bringing about Gods kingdom by
implementing the Lambs victory throughout the world.
147
12. Cf. per esempio A. Schlatter, Die Briefe und die Offenbarung des Johannes (Stuttgart
1921), 235-136, che commenta Ap 1,4 scrivendo: Da in der Provinz Asien sieben
Gemeinden nebeneinandergestellt sind, ist die dortige Kirche als ein Werk der gttlichen
Weisheit und Kraft gekennzeichnet, die nichts unvollkommen tut.
13. F. Hauck, de/ka, in GLNT, II (Brescia 1966 [Stuttgart 1935]), 832: [In Ap 2,10 il
numero dieci] indica una persecuzione di breve durata, cf. Dan 1,12.14.
14. Cf. lo stesso F. Hauck, de/ka, 829: Alla radice dellimportanza attribuita al numero
dieci sia in Israele che in altri popoli sta labitudine originaria di numerare sulle dita di una
o di entrambe le mani, e cf. O. Rhle, ariqme/w, ariqmo/, 1229: In origine il contare
non era un atto intellettuale, ma un atto di estrema concretezza, poich il primitivo pu contare solo aiutandosi con le dita delle mani ecc.. A. Quacquarelli, Numeri (simbolica), in
DPAC (Casale M. 1983), 2446, parla di flexio digitorum, loquela digitorum.
15. I 10 giorni di Ap 2,10 in qualche modo sono lequivalente di quanto dice 1Cor 10,13,
secondo cui Dio non mette alla prova gli uomini oltre le proprie forze, e, insieme con le
prove, d la forza per sopportarle.
16. Di per s o diabolo si potrebbe tradurre anche genericamente con lavversario, chi
ti ostile, ma pi probabilmente va qui tradotto con il diavolo, Satana, soprattutto per
lassenza del genitivo di voi / umwn.
148
G. BIGUZZI
17. Un unico probabile riferimento alle chiese dAsia in Ap 22,16: Io, Ges, ho mandato
il mio angelo per testimoniare a voi circa le chiese (epi\ tai ekklhsi/ai).
18. Cf. G. Biguzzi, I settenari nella struttura dellApocalisse, 288-291.
19. Cf. Ibidem, 11-13.
20. I corni vanno intesi in continuit con il linguaggio del salmista secondo il quale in essi
si concentra la potenza durto e la pericolosit del bufalo: Salvami dalla bocca del leone, e
dai corni dei bufali (Sal 21,22; cf. anche Nm 23,22; Dt 33,17). I corni compaiono in
molta iconografia orientale antica sulle teste delle divinit per dire la loro potenza divina
positiva: cf. J.B. Pritchard, ANEP, nn. 513-515, 524-526, 529, 538 ecc.
21. Per E.-B. Allo, Saint Jean. LApocalypse (Paris 1921), 102, gli angeli delle trombe sarebbero appunto al servizio dellAgnello, e quelli delle coppe sarebbero da identificare con
quelli delle coppe (p. 229).
149
Altre volte invece il 7 parla dellagire di Dio e dellAgnello: contrassegnati dal numero 7 nella loro natura o nella loro immagine, Dio e lAgnello agiscono con unazione settuplice in quattro grandi cicli narrativi. In Ap
2-3 il Cristo pasquale detta a Giovanni 7 messaggi, uno per ognuna delle 7
chiese dAsia come gi annunciavano i vv. 1,11 e 1,19 (prima azione
settuplice dellAgnello), mentre in Ap 6-8 lAgnello apre, uno dopo laltro,
i sigilli che impedivano la lettura del rotolo (seconda azione settuplice dellAgnello). Dio poi, non direttamente, ma mediante i due gruppi di angeli,
agisce prima con i flagelli delle 7 trombe per indurre a conversione gli idolatri che adorano demoni e idoli (Ap 8-11, cf. soprattutto 9,4 e 9,20-21) e,
mediante i 7 angeli delle coppe, riversa flagelli invece sugli idolatri che
adorano la Bestia e la sua statua, anche qui nel tentativo di convertirli (cf.
soprattutto 16,9.11).22
In questi archi narrativi lagire settuplice un agire perfetto, al quale
nulla da togliere e nulla da aggiungere. I messaggi alle 7 chiese infatti
sono non generici, ma basati su di una conoscenza precisa e profonda, e
quanto mai accurati e adeguati nella diagnosi che conducono e nella terapia che prescrivono. I 7 sigilli apposti al rotolo che nella mano di Dio
significano la pi ermetica e la pi impenetrabile delle sigillazioni e quindi
il profondo mistero della volont divina, cos come lapertura dei 7 sigilli
da parte dellAgnello significa apertura totale e rivelazione perfetta.23 La
pressione di Dio nei confronti degli idolatri delle due idolatrie, infine, non
potrebbe essere pi articolata e pi completa perch messa in atto da tutte le direzioni (dal cielo, dalla terra, dallabisso) ed esercitata in tutti gli
ambiti possibili (terra, acque salate, acque dolci, firmamento, aria ecc.).24
150
G. BIGUZZI
degli animali selvatici. Il secondo Vivente ha le fattezze del toro, e il toro il pi forte degli animali domestici. Il terzo Vivente ha volto come di uomo, e luomo lessere pi nobile di tutto il regno animale. Il quarto Vivente, infine, ha le fattezze dellaquila e laquila il
pi forte dei volatili. Che Giovanni voglia sottolineare le caratteristiche tipiche dei quattro
animali, lo si ricava non solo dal fatto (trascurabile ma a suo modo indicativo) che laquila
si libri in volo (omoion aetw petome/nw) quasi a dire che unaquila non tale se non in
volo, ma si ricava poi soprattutto dal fatto che le quattro fattezze caratterizzano lidentit
distinta dei Quattro Esseri, mentre esse sono ibridamente presenti in ognuno dei Viventi in
Ez 1. Quanto allordine di successione, Giovanni parte dalla foresta (leone), continua con
lambiente domestico (bue, uomo) e finisce con il cielo (aquila), coinvolgendo la totalit
dei luoghi dove si manifesta la vita, sia in linea orizzontale, sia in linea verticale: luomo
non al vertice ma al centro, perch al vertice ci sia il cielo, abitazione di Dio.
26. H. Balz, te/ssare, in GLNT, XIII (Brescia 1981 [Stuttgart 1969]), 1160: I quattro
punti cardinali e le quattro regioni del mondo abbracciano lintero orizzonte. quindi breve il passo per giungere al significato traslato della quaternariet come base e fondamento
della globalit, della totalit, della completezza
27. I quattro angoli (gwni/ai) della terra, menzionati anche in 20,8, sono da intendere come
i quattro quadranti della terra, corrispondenti ai quattro punti cardinali (cos H. Balz, te/ssare, 1177, nota 75), pi che come i quattro lati della terra che sarebbe concepita come
un quadrangolo, come vogliono E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes (Tbingen
1926), 65; e J. Jeremias, gwni/a, in GLNT, II (Brescia 1966 [Stuttgart 1933]), 735 (La
terra immaginata rettangolare). Cf. il titolo accadico re dei quattro angoli della terra,
citato in Balz (ibid., 1160, nota 15).
28. Cos per esempio J. Sweet, Revelation (Philadelphia, PA), 233, che scrive: a symbol
of the world (4 x 4 the four corners), ma cf. gi Girolamo nella recensio Victorini:
id est per omnes mundi quattuor partes (PL Suppl. I, 162).
151
152
G. BIGUZZI
sono di 12.000 stadi (21,16) e nel perimetro delle sue mura che di
144.000 cubiti (21,17).
Quanto poi ai tempi, nella Gerusalemme nuova lalbero di vita, irrigato
dal fiume dellacqua di vita, porta 12 frutti, uno per ogni mese (22,2), cos
che nella citt escatologica il 12 misura dei tempi come lo degli spazi.
Il numero 12 dunque il numero del popolo di Dio sia per il passato
(le 12 trib), sia per il presente (i 12 discepoli dellAgnello; - i 144.000
protetti dai flagelli dellira per mezzo del contrassegno del Dio vivente; la Donna perseguitata dal Drago), sia per il futuro, nella sua meta
escatologica (la Gerusalemme discendente dal cielo). Il confronto del 12 di
Ap 4-22 con il 7 di Ap 1-3 rivela poi che Giovanni, per parlare del popolo
di Dio, ricorre al 7 in chiave pneumatica e a livello di chiese locali, mentre
impiega il 12 in chiave storico-salvifica e per luniversale, unico Israele di
Dio dellAT e del NT.
153
32. Cf. per esempio il titolo di P. Barnett, Polemical Parallelism etc., in JSNT n.35 (1989),
111-120.
33. Quanto alle 7 teste, D.H. Lawrence, Apocalisse (Roma 1995 [Firenze 1931]), 77, scrive
lapidariamente: Sette teste, sette vite, mentre Ch. Hauret, Eve transfigure. De la Gense
lApocalypse, in RHPR 59 (1979), 330, definisce i diademi del Drago come emblme
de sa royaut multiforme. Sui diademi cf. poi G. Biguzzi, La Donna, il Drago e il Messia
in Ap 12, 39-41.
34. E.-B. Allo, LApocalypse, lxi (Comment donc faudrait-il rpartir les cornes sur les
ttes?); J. Bonsirven, LApocalypse de Saint Jean (Verbum Salutis, 16; Paris 1951), 216
(Les dix cornes saccordent peu avec les sept ttes), Ch. Brtsch, La clart de
lApocalypse (Genve 11940, 51965), 206 ( tout cet attirail surcharg le rend peu
symtrique et assez cocasse).
35. Cos W. Bousset, Die Offenbarung Johannis (Gttingen 11896, 61906), 337; A. Loisy,
LApocalypse de Jean (Paris 1923), 228; E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes, 97;
A. Gelin, LApocalypse, in L. Pirot, a cura di, La Sainte Bible, XII (Paris 1938), 629; E.
Lohse, LApocalisse di Giovanni (Brescia 1974 [Gttingen 31971]), 125-126 (Questi due
elementi, derivanti da tradizioni diverse, non vengono armonizzati fra di loro). Difficilmente per il soprannumero pu essere spiegato a questo modo, dal momento che lo si ritrova sia per il Drago che per la Bestia.
154
G. BIGUZZI
mento che deve allarmare ed allertare i cristiani delle chiese dAsia, e tutti
i lettori.36
nel libro di Dn it may reasonably be supposed that the plural stands for the dual; similmente A. Kassing, Die Kirche und Maria. Ihr Verhltnis im 12. Kapitel der Apokalypse
(Dsseldorf 1958), 53.
38. Cf. poi i 42 mesi durante i quali la citt santa lasciata in bala delle genti (11,2) e i
1.260 giorni del difficile ministero profetico dei Due Testimoni fra gli abitanti della terra
(11,3).
39. W. Hadorn, Die Offenbarung des Johannes (Leipzig 1928), 8, parla di danielische
Zahl.
40. Cf. E.-B. Allo, LApocalypse, 143, che cita da Holtzmann lespressione die gebrochene
Siebenzahl, e che di suo aggiunge: 31/2 signifie ce qui est arrt au milieu de son
cours.
155
In tal modo, per Giovanni lo scontro tra i due schieramenti che si fronteggiano nella storia esprimibile con i numeri. Mentre larma dei loro avversari il caos e la prevaricazione, larma di Dio e dellAgnello lordine
dei numeri: i numeri dellagire divino e messianico sono come la rete in
cui le forze sataniche sono chiuse da ogni lato, catturate, e vinte.41
156
G. BIGUZZI
1 fino a 12, nellelenco delle pietre preziose dei fondamenti della citt
(vv. 19b-20), e deve distribuire i 12 frutti dellalbero tra i mesi dellanno,
attribuendo una fruttificazione ad ogni mese: lalbero di vita () produce 12 frutti, dando per ogni mese il suo frutto (22,2).
Quando Giovanni chiede al lettore questi calcoli non lo fa senza motivo, ma per impegnarlo in una lettura partecipata e creativa, e per dirgli che
ci di cui si sta parlando importante e lo riguarda, e che lui stesso a
essere in questione. E questo non pu non essere vero anche e soprattutto
per il calcolo esplicitamente richiesto ( yhfisa/tw to\n ariqmo\n tou
qhri/ou)! che il lettore deve saper fare del numero del nome della Bestia.
Lantica mitologia greca metteva sulle labbra della Sfinge di Tebe
lenigma circa lanimale che cammina prima a quattro gambe e poi a due
e poi a tre, ma attraverso Edipo di esso dava la soluzione. Giovanni di
Patmos invece non svela la soluzione del suo 666, limitandosi a invitare il
lettore alla sapienza e alla perspicacia: Qui sta la sapienza (sofi/a). Chi
ha perspicacia (nou) calcoli il numero della Bestia: infatti numero duomo. E il suo numero 666. Il qui / wde con cui si apre linvito al calcolo, per Ruperto di Deutz ( 1130) era come un dito puntato con grande
preoccupazione su qualcosa al cui riguardo necessaria ogni vigilanza:
[Giovanni] vuole che il suo lettore sia vigilante quando, indicando con il
dito il punto preciso, dice: Qui sta la sapienza.44 Giovanni chiede sofi/
a e nou per qualcosa dunque che ben pi che un gioco.45 Tra laltro in
15,2 egli dice per esempio che il numero della Bestia qualcosa che il credente vince, cos come deve vincere la Bestia stessa: dunque questione di
vita o di morte, come nella Tebe della mitologia greca lo era la soluzione
dellenigma della Sfinge.
157
46. Cos F.H. Colson, Euanthas, in JThSt 17 (1916), 100-101: It seems to me incredible
that the suggestion whom first put forward should have been meaningless (). The
governor [= Gessio Floro] whose barbarities are described at length by Josephus, () whose
oppression brought on the fatal war, perhaps according to his deliberate intention, of whom
Tacitus says duravit tamen patientia Iudaeis usque ad Florum procuratorem, must long
have been a name of horror to every Jew (p. 100). Va detto comunque che per designare il
procuratore romano in questione, Giuseppe Flavio adopera la traslitterazione Ge/ssio
Flwro. meno convincente linterpretazione di Euanqa proposta da F. Dornseiff, Die
Rtsel-Zahl 666 in der Offenbarung des Johannes, 369 (Euanqa : ein
Wohlblhender! das ist ein grimmiger, bitterer Witz. Dem rmischen Kaiser und dem
Rmer berhaupt, dem Lateiner, ging es wirklich gut; der konnte sich aus der Habe seiner
Opfer vollfressen). Sulla scia di Colson, cf. J. Bonsirven, LApocalypse de Saint Jean, 235236, nota 1. Per molti autori Euanqa invece un nome senza significato: cf. H.B. Swete,
The Apocalypse of St. John (London 11906, 21907), 175 (the impossible word Euanthas);
W. Barclay, Revelation XIII, in ExpT 70 (1959), 295 (Euanthas is itself meaningless);
Josephine Massyngberde Ford, Revelation (Anchor Bible, 38; Garden City, NY, 11975, 41980),
226 (Euanqa is meaningless).
47. Scrive infatti Ireneo: et divinum putatur apud multos esse hoc nomen, ut etiam sol
Titan vocetur ab his qui nunc tenent. Cf. poi per esempio anche la recensio Victorini che
dice: Teitan, quem gentiles Solem Phoebumque appellant (PL Suppl. I, 157). Per
ulteriore documentazione su Teitan cf. Th. Zahn, Die Offenbarung des Johannes, II (Leipzig
- Erlangen 1926), 467, nota 79.
158
G. BIGUZZI
48. Cos Ruperto di Deutz, per il quale il numero 7 numero di Dio, il quale nel settimo
giorno della creazione si ripos, ed numero dellAgnello che secondo lo stesso libro di
Ap ha 7 corni. Ma lAnticristo si ferma al numero 6 dice Ruperto , perch nusquam ad
septimum pervenit, quia numquam poenitentiam egit, sive acturus est (PL 169, 1088.C).
49. Cos Walafrido Strabone (734.C), Anselmo (PL 162, 1549.C-D), per i quali il 6 indica
la perfezione minima, quella dei coniugati; il 60 la perfezione mediana, quella di coloro che
abbandonano il matrimonio e vivono in castit; il 600 la perfezione massima, quella di chi
vive compiutamente lintegrit del corpo e dello spirito. E cf. poi Aimone (PL 117, 1103.D1104.B), e Riccardo (PL 196, 809.A-B).
159
Molto pi spesso, invece, chi commentava il 666 di Ap 13,18, ha percorso la strada dei precursori di Ireneo cos che, sotto il suo influsso,50 alcuni per esempio hanno riproposto TEITAN51 o LATEINOS,52
prolungando dunque linterpretazione antiromana di Ap. Sulla stessa linea
e in base allo stesso metodo, quello del valore numerico delle lettere o
gematria, sono poi stati proposti ANTEMOS, [honori] contrarius e quindi inetto,53 o contrapposto a Dio e al Cristo; e poi ARNUME,54 nego,
negator, in quanto lAnticristo colui che combatte e nega il Cristo; e poi
DICLUX, nome in lingua latina e vicino al nonsenso;55 e infine
GENSERIKOS, inteso come gentium seductor, nome che fu proposto
evidentemente sotto limpressione suscitata in tutta Europa dalloccupazione di Cartagine (439 d.C.) e dal saccheggio di Roma (455 d.C.) da parte
del re dei Vandali.56 Lunica ulteriore precisazione che dopo Ireneo i commentatori antichi hanno aggiunto che la lingua del nome da proporre devessere il greco, dal momento che lAp scritta in lingua greca. Dice per
esempio Bruno di Asti: Alcuni hanno voluto esprimere questo nome an-
50. Non certo a caso che per esempio Ippolito (prima met sec. III) riproponga gli stessi
160
G. BIGUZZI
Primasio, Aimone, Walafrido, Anselmo, Riccardo, e Martino di Len. Bruno dice chiaramente che va esclusa la lingua latina (di DICLUX). Unica eccezione il pseudo-Isidoro
(PL Suppl. IV, 1860) per il quale la lingua devessere invece quella ebraica.
58. Cf. la rassegna di W. Barclay, Revelation xiii, 295-296.
59. Per queste informazioni su Bossuet, Grotius e Spitta cf. E.-B. Allo, LApocalypse, 212.
60. Per questinterpretazione (e per quella di L. von Hartingsveld, 1978) la somma del valore numerico delle lettere 616, e dunque linterpretazione presuppone la variante dei manoscritti che era conosciuta gi al tempo di Ireneo.
61. Linformazione si trova in W. Bousset, Die Offenbarung Johannis, 105-106, e E.-B.
Allo, LApocalypse, ccxl. La scrittura difettiva di QSR (invece di QYSR) che costituiva
una difficolt per laccettazione dellipotesi, stata poi confermata da uno dei documenti di
Wadi Murabbaat (DJD II, n. 18, tav. XXIX), come documenta D.R. Hillers, Revelation
13,18 and a Scroll from Murabbaat, 65.
62. Cos per esempio W. Bousset, Die Offenbarung Johannis, 106, e 373 (endgltig
sichergestellt; diejenige Lsung, die alle andern aus dem Felde schlgt); R.H. Charles, A
Critical and Exegetical Commentary on the Revelation of St John, I (Edinburgh 1920), 367
(This solution appears to satisfy every requirement); J. Roloff, Die Offenbarung des
Johannes (Zrich 1984), 145 (wird man urteilen mssen da); C.H. Giblin, The Book
of Revelation (Collegeville, MN, 1991) 135 (almost certain).
161
A partire da A.G. van den Bergh van Eysinga (1912), con una certa insistenza viene poi proposta uninterpretazione aritmetica del 666, che un
numero doppiamente triangolare, essendo esso triangolare del numero 36
che, a sua volta, triangolare del numero 8.63 La somma dei numeri da 1 a
8, cio, ammonta a 36, e la somma dei numeri da 8 a 36 ammonta a 666.
Poich secondo gli antichi il numero triangolare (ariqmo\ tri/gwno) ha lo
stesso valore e significato del suo numero di base, il numero 666 di Ap
13,18 da mettere dunque in relazione al numero 8, come in qualche modo
fa il v. 17,11: e la Bestia [il cui numero 666] che era e non , lottavo re / ogdoo, ed uno dei 7. In conclusione, come numero doppiamente triangolare, il 666 sarebbe in stridente contrasto con il numero
quadrato64 del Cristo e con il 144.000 dei suoi discepoli, rappresentando
tutta liniquit dellAnticristo e, insieme,65 la repentinit della sua fine.
3. Bilancio e prospettive
Intorno allirritante mistero66 del numero di Ap 13,18 sono dunque sorti
tre tipi dinterpretazione. Linterpretazione pi antica perch anteriore a
Ireneo e tuttora di gran lunga la pi diffusa quella gematrica, la quale va
in cerca di un nome le cui lettere ebraiche o greche o latine diano la somma di 666 con il loro valore numerico. Ireneo poi ha inaugurato linterpretazione del valore del 666 come numero ricapitolativo e simbolico,
interpretazione che alcuni antichi hanno seguito spesso in linea subordinata alla gematria e che non assente neanche tra gli interpreti moderni. Linterpretazione aritmetica del 666 come numero triangolare, lultima a essere
proposta, la quale si colloca idealmente in continuit con le speculazioni
63. G.A. van den Bergh van Eysinga, Die in der Apokalypse bekmpfte Gnosis, in ZNW
162
G. BIGUZZI
quella giusta.
68. Il verbo yaw significa raschiare, spianare, levigare. Lequivalente latino di yhfo
calculus che a sua volta viene da calx, calce , da cui calcolo, calcolare.
69. Cf. J. Bonsirven, LApocalypse de Saint Jean, 235: comportant un nombre indfini
de solutions; A. Loisy, LApocalypse de Jean, 258-259: Le chiffre peut sadapter bien
des noms La signification du chiffre est introuvable si lon ne consulte que les possibilits
de combinaison arithmtiques; J. Behm, Die Offenbarung des Johannes (Gttingen 71956,
1
1932), 78: Das Ratspiel um die zu whlenden Zahlen und Buchstaben ist endlos; O.
Rhle, ariqmew, ariqmo/, 1237: Di tutti i tentativi di soluzione nessuno pienamente
soddisfacente, cos che viene spontaneo chiedersi se valga la pena di farne degli altri, che
avrebbero sempre soltanto il carattere di puri tentativi. Ma cf. gi Ireneo: multa sunt
quae inveniuntur nomina habentia numerum hunc (Adv. Haer. 5, 30,3).
70. Nellet ellenistica si usarono i 24 segni dellalfabeto attico con laggiunta dello stigma
() per il numero 6, del koppa (corrispondente al latino q) per il numero 90, e del sampi
( , antico segno locale per ss) per il numero 900; cf. D. Pieraccioni, Morfologia storica
della lingua greca (Messina - Firenze 31975, 11954), 171, con la nota n. 2, e 172.
163
sto sotto il 666 fosse di 6 lettere come il TEITAN di Ireneo, avremmo sei
incognite, ognuna delle quali dovrebbe essere elevata alla 27a potenza.
ben vero che poter raggiungere la certezza circa il nome nascosto in 13,18
significherebbe raggiungere la certezza anche sullinterpretazione globale
di Ap, e in particolare circa il bersaglio principale preso di mira dallaggressivo Giovanni di Patmos. Ma quella certezza ci dunque
irrimediabilmente preclusa.
Di conseguenza bisogna rinunciare alla soluzione piena dellenigma e,
senza rimpianti e con un po di opportunismo, accontentarsi di una soluzione parziale. Di fatto il 666 pu cedere un po del suo mistero se viene
collegato e confrontato con gli altri numeri di Ap, perch fortunatamente il
resto del simbolismo numerico giovanneo, come si visto, in buona misura alla nostra portata. Richiamando Ireneo, P. Prigent dice che la sua interpretazione del 6 come numero di ricapitolazione non molto
convincente, ma che il principio interessante. Ed su questa strada che
bisogna mettersi a cercare.71
stessa linea cf. poi per esempio L. Morris, Revelation (Grand Rapids, MI, 1987), 169: We
should understand the expression purely in terms of symbolism of numbers; G.R. BeasleyMurray, The Book of Revelation, 220: It [= 666] was significant in itself; W.J. Harrington,
Revelation (Sacra Pagina, 16; Collegeville, MN, 1993), 144: If seven is the perfect number,
then six is the penultimate, incomplete number.
72. E.-B. Allo, LApocalypse, 194; P. Prigent, LApocalisse di S. Giovanni, 432.
73. Cf. per esempio R. Halver, Der Mythos im letzten Buch der Bibel, 40: ist die Zahl
des Tieres 666 der Versuch, die heilige 7-Zahl zu erreichen, ohne es zu vermgen, e G.R.
Beasley-Murray, The Book of Revelation, 221: If the contrast between 666 and 888 was
present to Johns mind, the use of 666 in 13,18 crowned in a superb way the theme of
satanic imitation that runs throughout chapter 13.
164
G. BIGUZZI
74. Lo fa notare per esempio B.J. Le Frois, The Woman Clothed with the Sun, 124, nota 1:
It is worth noting that whereas the number 7 is employed in the Apocalypse both for the
things of God and for the mimicry of Satan, the number 12 (and its multiples) is used
exclusively in a god sense for those who are on the side of God.
75. H. Kraft, Die Offenbarung des Johannes (Tbingen 1974), 183: Auch die
Unvollkommenheit hat ihren Hhepunkt in der Sieben.
76. Cf. anche Ireneo, Adv. Haer. 1, 15, 2.5.
77. Ch. Brtsch, La clart de lApocalypse, 26, e 232: Alors que 7 et 12, ainsi que les
nombres drivs, caractrisent gnralement la plnitude de loeuvre divine, les chiffres
tronqus (comme 3 12 et 6, la moiti respectivement de 7 et de 12) trahissent
limperfection, linconsistance et mme leffondrement final des entreprises dmoniaques;
on a relev que ce chiffre contient 3 fois celui de 6, qui natteint pas la plnitude de
7 et nest pas que la moiti de 12.
165
quali Brtsch fa leva, quello del 7 come numero della perfezione stato
escluso poco pi sopra, perch il 7, come s visto, numero anche del
Drago e della Bestia. A questo si aggiunge il fatto che in Ap la regola dei
numeri imperfetti in quanto mancanti di una unit, sconosciuta. invece
attestata in 5 testi (11,2.3; 12,6.14; 13,5) la regola del numero imperfetto
perch dimezzato, anche se per il solo numero 3 e 1/2, quale met del 7.78
In tal modo, la via del 6 quale met del 12, intravista da Brtsch, non
solo senza controindicazioni, ma rientra nel modo giovanneo di costruire
simbolismi numerici. ben vero che in greco il 666 non laccostamento
di tre 6 come nei numeri arabi,79 bens di 600 (exako/sioi), di 60 (exe/konta), e di 6 (ex), e tuttavia pur sempre multiplo del 6 e somma di suoi
multipli. C di pi perch, quando il lettore (Ap 1,3) avrebbe letto nelle
assemblee delle chiese di Asia linvito a calcolare il numero della Bestia,
lorecchio degli ascoltatori sarebbe stato colpito tre volte dallo ex- e dalla sibilante con i quali iniziava sia il numero delle centinaia (ex-akosioi),
sia il numero delle decine (ex-ekonta), sia infine il 6 delle unit (ex).80
Il 666 dunque anzitutto una cifra tutta giocata sul numero 6, miserabile met del numero 12, che il numero del popolo di Dio. Di conseguenza, in secondo luogo, esso dice che la Bestia non ha nulla a che fare con il
popolo di Dio, e che, viceversa, le chiese dAsia e tutti i discepoli dellAgnello non hanno nulla a che fare con la Bestia. Senza la minima esitazione, chi legge lApocalisse deve conseguentemente optare per la parte
giusta: deve mettersi dalla parte dei 12 apostoli dellAgnello, e dei 144.000
segnati in fronte col sigillo del Dio vivente, e devessere ben consapevole
che la patria verso cui in cammino la Gerusalemme nuova, con le sue
12 porte, con i suoi 12 fondamenti, e con i 12 frutti dellalbero di vita.
78. Cf. gli autori citati nella nota 40.
79. Cf. invece per esempio W.E. Beet, The Number of the Beast, 25: Let us seek for a
solution by treating the number [666] in pure symbolic wise For us it will no longer be
six hundred and sixty-six, but simply 6, 6, 6, three sixes standing side by side, and by their
juxtaposition emphasising the idea or ideas represented by a single 6; E.-B. Allo,
LApocalypse, 194 (form de trois six); W.J. Harrington, Revelation, 144 (six-six-six
being emphatically negative), e G.K. Beale, The Book of Revelation (Grand Rapids, MI,
1999), 718-728, che a pi riprese parla di triple six, triple sixes, triple repetition of
sixes, six repeated three times.
80. Essendo il 666 lelemento centrale di una delle esortazioni pi enfatiche e pi solenni
di Ap, non fuori luogo segnalarvi la presenza di una figura retorica: il triplice ripetersi di
ex d vita infatti ad una allitterazione (cf. Blass - Debrunner, 489, 7); anzi, ad una
assillabazione, poich nelle tre parole si ripete la stessa sillaba (cf. R. Berardi, Dizionario
dei termini della critica letteraria, Firenze 1969, 15, e 34). Per la sonorit della ripetizione
di ex, cf. R. Bauckham, The Climax of Prophecy, 394.
166
G. BIGUZZI
I numeri di Ap parlano dunque di Dio e del Cristo, del loro essere e del
loro agire. Parlano delle 7 chiese dAsia, dellazione pneumatica che in esse
Dio e lAgnello dispiegano, e del popolo che venendo da lontano, dallIsraele delle 12 trib, va verso la citt delle 12 porte e dellalbero di vita. Non
parlano per solo del passato o del futuro: parlano anche delle insidie che
nel tempo intermedio, breve ma decisivo, vengono dal mondo che cerca di
sostituirsi a Dio, di carpire ai popoli ladorazione che devono a Dio, e cerca dincrinare la fedelt dei discepoli dellAgnello.
I numeri di Ap dicono dunque come credere e quali scelte fare. cos
che il lettore passa da un episodio allaltro del libro, imparando a riconoscere, a scegliere, e a schierarsi, con la certezza interiore che i numeri trasmettono. Il lettore di Ap coinvolto anche emotivamente: lo dicono le
immagini, il vocabolario e la vasta gamma di generi letterari cui Giovanni
ricorre. Ma a lui Giovanni insegna di dominare le emozioni con la lucidit
e razionalit dei numeri, cos che i numeri di Ap chiedono e danno sapienza e perspicacia.
Giancarlo Biguzzi
Pontificia Universit Urbaniana, Roma
LA BIBBIA IN ARAMAICO
Verso una mutua definizione di Giudaismo e Cristianesimo
G. Bissoli
1. R. Le Daut, Jalons pour une histoire dun manuscript du Targum palestinien, Bib 48
168
G. BISSOLI
LA BIBBIA IN ARAMAICO
169
170
G. BISSOLI
7. M. D. Herr, Esau as Rome in the Haggadah, EJ 6, 858. S. Zeitling, The Origin of the
Term Edom for Rome and the Christian Church, JQR 60 (1965) 262-263. D. Cohen
Gerson, Esau as Symbol in Early Medieval Thought, in: A. Altmann, ed., Jewish
Medieval and Renaissance Studies, Cambridge Mass. 1967, 19-48, pp. 26-27.
8. Talmud di Gerusalemme, Taanit 4:8; 68d; Gn R 65,21.
LA BIBBIA IN ARAMAICO
171
172
G. BISSOLI
Lesclusione dei cristiani dalla sinagoga non avvenne immediatamente. Una lettera scoperta nelle grotte del deserto di Giuda riporta
lordine del generale in capo Bar Kokhba di non recare noia a certi
galilei. Per alcuni studiosi (Milik, Vermes) sono cristiani di origine
ebraica11.
Anche se non siamo certi dellidentificazione di questi galilei, abbiamo la testimonianza di Giustino. Egli, nativo di Neapolis in Samaria, scrive di essersi convertito alla fede cristiana per avere visto la costanza dei
martiri, periti durante la seconda rivolta contro Roma (Apol. I,31). Unaltra prova: fino al 134 d. C. a Gerusalemme la sede episcopale era tenuta da
giudeo-cristiani, discendenti della linea familiare di Ges; trasformata la
citt in Aelia Capitolina, subentr come vescovo Marco, col quale inizi la
linea gentilo-cristiana12.
Sebbene fosse avvenuta la distinzione e la separazione fra le due comunit, Giudei e Cristiani vivevano sempre fianco a fianco. Un secolo
dopo, abitando a Cesarea, Origene fu il primo dei Padri a rivolgersi ai
rabbini per aiuto: egli avvert limportanza di consultarli nella questione
della trasmissione della Bibbia e del canone. Tenne anche discussioni
pubbliche con i maestri della sinagoga. Il dialogo religioso era una preoccupazione del tempo. Il contatto con gli ebrei non era difficile. I rabbini erano molto disposti a dibattere la loro causa in pubblico o a discuterne
in privato13 .Ad Antiochia la viva curiosit della famiglia imperiale vi
incoraggi dei dibattiti fra dirigenti giudei e cristiani, includendo Ori-
11. E. Feldman, Bar Kokhba, Encyclopaedia Judaica 4, Jerusalem 1972, 237; P. Benoit,
et al., Discoveries in the Judaean Desert II: Les Grottes de Murabbat, Oxford 1961, 159161.
12. B. Bagatti, Alle origini della chiesa. II: Le comunit gentilo-cristiane (Storia e attualit,
5), Citt del Vaticano 1981, 9.
13. Nicholas R. M. de Lange, Origen and the Jews. Studies in Jewish-Christian
Relations in Third-Century Palestine (University of Cambridge Oriental Publications
Published for the Faculty of Oriental Studies), London New York Melbourne 1978
(rist. ediz. 1976), p. 134. Idem, Jewish Influence on Origene, in: H. Crouzel G.
Lomiento J. Rius-Camps, ed., Origeniana. Premier colloque international des tudes
origniennes (Montserrat, 18-21 septembre 1973 (QVetChr 12), Bari 1975, 225-242. A
Cesarea il luogo dove si tenevano i dibattiti in pubblico probabilmente era lodeon.
Le antiche fonti rabbiniche tuttavia nominano ledificio b bdn (casa di rovina),
cacofemismo per b-wad (accademia). Il termine peggiorativo serviva dapprima
per indicare i luoghi pagani, dove per ordine di Adriano la popolazione giudaica era
costretta ad assistere a spettacoli pagani (M. Jastrow, A Dictionary of the Targumim,
the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature: I, New York 1950
[rist.], voce NdyEba, 5).
LA BIBBIA IN ARAMAICO
173
14. De Lange, Origen, 12. La notizia dedotta da Eusebio di Cesarea (cf. G. Bardy, Eusbe
de Csare. Histoire Ecclsiastique. Livres V-VII [SC 41], Paris 1955, p.120-121 [VI, XXI,
3-4]). Pi preciso Simonetti, che scrive: Origene fu anche convocato ad Antiochia presso
Giulia Mamea, limperatrice madre di Alessandro Severo (forse nel 231): M. Simonetti
E. Prinzivalli, Storia della Letteratura Cristiana Antica, Casale Monferrato (AL) 1999, 125.
15. A. Colonna (a cura), Contro Celso (Classici UTET: la religione cattolica), Torino 1971.
16. Ep. Afr, 9, cf. Nicholas R. M. de Lange, Origne: la lettre Africanus sur lhistoire de
Suzanne. Introduction, texte, traduction et notes (SC 302), Paris 1983. Sul clima di questi
dibattiti vale losservazione generale che Origene lamenta un certo orgoglio e un senso di
superiorit abbinata a disprezzo, quando non vero e proprio odio verso i cristiani [] o
insulti verso Ges e i cristiani: Giuseppe Sgherri, Giudaismo, in: Adele Monaci Castagno
(a c. di), Origene. Dizionario: la cultura, il pensiero, le opere, Roma 2000, 200-206, cit.
p. 201.
17. Talmud di Gerusalemme, Taanit II,1, 65b.
18. S. T. Lachs, R. Abbahu and the Minim, JQR 60 (1970), 199-200; Lee I. Levine,
Caesarea onder Roman Rule (SJLA 7), Leiden 1975, 83.
174
G. BISSOLI
LA BIBBIA IN ARAMAICO
175
Clem., Str., 6,11); TJ1 se ne serve per esaltare Eleazaro, pi forte di 318
armati.
Un ultimo esempio: seguendo la pi antica tradizione rabbinica,
lApocalisse di Giovanni esclude dallelenco delle dodici trib di Israele la
trib di Dan, perch considerata fautrice di idolatria (cf Ap 7,5-8). TJ1 a
Gn 49,16 parafrasa: Fra quelli della casa di Dan deve sorgere un uomo
che giudicher il suo popolo con giusti giudizi; le trib di Israele insieme
gli obbediranno.
Sono alcuni esempi della disputa fra le due comunit riguardo allinterpretazione della S. Scrittura. Tutte le polemiche fra ebrei e cristiani di questo periodo e in seguito non sono prese di posizione gratuite, ma vertono
sul significato del testo biblico.
Il targum e la preghiera
Lasciando da parte la polemica, vediamo un aspetto caratteristico del
targum, la preghiera21. Il targum al Pentateuco si riferisce alla preghiera o
a persone che pregano in circa 220 versetti. Innumerevoli sono i sinonimi
della preghiera come: cercare o chiedere istruzione davanti al Signore, chiedere o cercare misericordia dal Signore, benedire, gridare, pregare davanti
al Signore, supplicare, avvicinarsi, prostrarsi, adorare, servire, stare davanti, intercedere, stendere o alzare le mani, meditare, prostrarsi, chiedere aiuto, ascoltare.
Inoltre grandi figure bibliche mostrano il valore della preghiera. Adamo
si rivolse al Signore allinizio: Te ne prego, per la misericordia [che sta]
davanti a te, Signore, che noi non siamo considerati come le bestie, che mangiano lerba che si trova sulla superficie dei campi! Noi lavoriamo e, grazie
allopera delle mie mani, ci nutriremo dei frutti della terra. In questo modo
[Dio] distinguer i figli degli uomini dalle bestie (TN Gn 3,18, cf TJ1).
La tradizione giudaica d grande importanza al merito dei padri. PsJ
ci presenta Mos che, sceso dal monte e vista la collera di Dio sul punto di
sterminare il popolo, invoc il Nome grande e glorioso e fece tornare dalla tomba Abramo, Isacco e Giacobbe che si misero in preghiera davanti al
Signore: con la preghiera di intercessione dei patriarchi si evit la distru-
21. M. Maher, The Meturgemanim and Prayer, JJS 41 (1990) 226-246; 44 (1993) 220235. L. Smolar M. Aberbach, Studies in Targum Jonathan to the Prophets, New York
1983, 164-169.
176
G. BISSOLI
zione del popolo (Dt 9,19). Abramo fu il primo a intercedere per altre persone (Gn 18,22ss; 20,17). Il targum ricorda pi volte la sua preghiera di
intercessione (Gn 12,8; 13,4; 14,22; 17,3; 17,20; 18,22; 19,27 ecc.). In occasione del sacrificio di Isacco sul monte Moria, Abramo rese culto e preg. Dopo aver ricordato al Signore di non aver avuto nessuna esitazione a
obbedirgli, domanda a favore dei discendenti di Isacco: Quando i suoi figli si troveranno in tempi di calamit, ricordati dellaqeda del loro padre
Isacco e ascolta la voce della loro supplica. Esaudiscili e liberali da ogni
tribolazione (NGn 22,14).
Infine ricordiamo Aronne, che dopo aver offerto vari sacrifici nella tenda dellincontro, alz le sue mani in preghiera verso il popolo. Alzare le
mani una formula usata in riferimento alla benedizione sacerdotale (NLv
9,22). In occasione della mormorazione del popolo contro Mos ed Aronne,
il Signore minacci di distruggere il suo popolo. I due intercedettero. Aronne
fece lespiazione con lincenso e stette in preghiera nel mezzo e con
lincensiere fece una separazione fra i morti e i vivi (TJ1 Nm 17,13). Questa
menzione della preghiera pu riflettere lattitudine di una certa spiritualizzazione del sacrificio. Il targum d grande valore alla preghiera; coglie ogni
occasione per inculcarla al popolo, mostrando come la praticarono i grandi
del passato e come essa bene accetta a Dio. La comunit della sinagoga
una comunit che prega in ogni situazione della vita.
22. G. Dalman, Die Worte Jesu, Leipzig 1930, ed.2. M. McNamara, The New Testament
and the Palestinian Targum to the Pentateuch (AB 27), Rome 1966. R. Le Daut, La
tradition juive ancienne et lexgse chrtienne primitive, RHPhR 51 (1971) 31-50.
LA BIBBIA IN ARAMAICO
177
186, l. 5-6.
178
G. BISSOLI
Conclusione
Allinizio della nostra era e nello spazio di pochi decenni il popolo ebraico
sub grandi prove. Nel 70 fu distrutta Gerusalemme con il tempio. Negli
anni 115-117 la popolazione ebraica si sollev nelle regioni della Cirenaica,
dellEgitto e a Cipro, provocando la repressione di Traiano con decine di
migliaia di vittime26. Nel 133-135 la Giudea insorse contro Roma e limperatore Adriano scacci gli abitanti dalla Giudea, ricostru Gerusalemme
come citt pagana col nome di Aelia Capitolina, proib la circoncisione,
fece bruciare i testi sacri, uccise i maestri pi ragguardevoli.
Il Giudaismo antico nato dalla Scrittura ed portatore della Scrittura.
Dopo queste grandi sventure, fu per merito dei rabbini che la comunit
giudaica continu ad esistere come comunit religiosa e nazione. Nel 200
1957, 86-87.
LA BIBBIA IN ARAMAICO
179
27. V. Martin, A House Divided. The Parting of the Ways Between Synagogue and Church
180
G. BISSOLI
S. Lgasse
Introduction
Le livre des Juges se prsente comme la continuation du livre de Josu et
comme le rcit de la priode qui stend entre linstallation dIsral en Canaan et linauguration de la monarchie. Le dbut (1,12,5) et la fin du livre
(ch. 1721) forment un cadre qui chappe et a t rattach tardivement
lhistoire des juges. Celle-ci, qui va de 2,6 16,31, constitue le corps de
louvrage. Cest une composition ralise partir de donnes diverses, isoles lorigine et dont lactuelle disposition chronologique est artificielle1 .
Au reste, bien des obscurits demeurent ce sujet et la critique littraire est loin doffrir un rsultat unanime. Est sre seulement lattribution
de la refonte finale aux rdacteurs deutronomistes qui utilisent ces rcits
pour illustrer et appuyer leur doctrine de la rtribution telle quelle sexprime en Dt 28,15-68 et se rsume en Josu 23,16 : Si vous transgressez
lalliance que YHWH vous a prescrite vous disparatrez rapidement de
la bonne terre quil vous a donne.
Ainsi se rpte dans lhistoire des juges le schma suivant : 1) Isral
dsobit Dieu sous forme didoltrie ; 2) oppression des ennemis comme
chtiment divin ; 3) appel au secours de Dieu ; 4) apparition dun librateur (histoire du hros) ; 5) retour du pays au calme.
lintrieur de cet ensemble le cycle de Gdon2 nest pas plus dune
seule venue que le reste. Cest une succession dpisodes dorigine et de
cachet diffrents o se mlent des faits dont le hros englobe en ralit
1. Sur la distinction, au demeurant assez artificielle, entre grands et petits juges, voir
(1954) 3-20, 65-76 ; C.F. Whitley, The Sources of the Gideon Stories,VT 7 (1957) 157164 ; W. Beyerlin, Geschichte und heilsgeschichtliche Traditionsbildung im Alten Testament. Ein Beitrag zur Traditionsgeschichte von Richter VI-VIII, VT 13 (1963) 1-25 ; B.
Lindars, Gideon and Kingship, JThS 16 (1965) 315-326 ; H. Haag, Gideon-JerubbaalAbimelek, ZAW 79 (1967) 305-314 ; L. Schmidt,Menschlicher Erfolg und Jahwes Initiative. Studien zu Tradition, Interpretation und Historie in den berlieferungen von Gideon,
Saul und David (WMANT 38), Neukirchen - Vluyn 1970 ; De Vaux,Histoire ancienne dIsral, II, 315-326 ; J.A. Emerton, Gideon and Jerubbaal,JThS 27 (1976) 289-312 ; A.G.
Auld, Gideon : hacking in the heart of the Old Testament, VT 39 (1989) 257-267 ; Gibert,
LA 50 (2000) 181-262
182
S. LGASSE
183
toutefois on constate une varit dont il est utile de prsenter dabord les
principaux tmoins, individuels ou collectifs.
Philon dAlexandrie, que nous rencontrerons loccasion, est avant tout
un commentateur du Pentateuque. Il admet que la Bible possde plusieurs
sens : le sens naturel des mots et des phrases, plus un sens cach quil revient lallgorie de dcouvrir ; il distingue enfin une interprtation suprieure qui provient dune illumination divine (De Abrahamo 119).
Lallgorie4 , quant elle, demande un effort. Mais celui-ci en vaut la peine
dans une opration tellement importante que Philon en vient pratiquement
lidentifier avec lexgse.
En cela il nest que lhritier dune tradition judo-grecque, laquelle
dpend de linterprtation allgorique des mythes dHomre par les stociens. Ces mythes, pris la lettre, sont souvent indignes de la divinit. Il
tait donc ncessaire de leur trouver un sens acceptable. Les stociens distinguaient entre les cas ou le pote parle selon la vrit (kata altheian)
et ceux o il sexprime selon les apparences ou lopinion (kata tn
doxan).
De mme Philon, qui connat les mythes grecs et tient Homre en haute
estime (Quaest. in Gen. IV, 2), sinspire de ses interprtes stociens (les
physikoi) quand il dcouvre dans les textes bibliques un sens cach. Celuici lui permet non seulement dinterprter les anthropomorphismes et autres
dtails incompatibles avec la transcendance divine, mais encore doffrir un
enseignement imprgn de philosophie grecque, encore quirrductible
une seule cole et en fait clectique.
Le but poursuivi par ce philosophe qui croit la Bible est dtablir un
pont entre deux cultures et doffrir aux Grecs une lecture satisfaisante des
critures juives. Linfluence de lallgorie philonienne sur les auteurs chrtiens a t considrable, comme on pourra sen rendre compte dans la second partie de cet article. Par lintermdiaire dOrigne principalement, elle
stend jusquau moyen ge et au-del.
4. Voir J. Ppin, Mythe et allgorie. Les origines chrtiennes et les contestations judo-
184
S. LGASSE
Comme Philon mais dune autre faon, lhistorien Flavius Josphe fait
oeuvre dapologte. Car sil recueille les traditions interprtatives de son
peuple5 , il utilise, jusqu Nhmie (vers 440 av. J.-C.), lensemble des livres canoniques pour raconter lhistoire dIsral. Or, son but nest pas seulement de la faire connatre : lesAntiquits juives sont destines aux Grecs
et aux Romains cultivs, en vue de susciter parmi eux respect et admiration, lencontre des sarcasmes et calomnies que les Juifs enduraient de la
part des paens. Cette vise apologtique, que lauteur nonce parfois explicitement6 , est perue par quiconque a soin de comparer les donnes
scripturaires leurs parallles chez Josphe : les frquentes modifications
quon y constate montrent assez quil veut prsenter lhistoire sous le jour
le plus favorable son peuple. Cela doit sentendre principalement du point
de vue moral, mais sans omettre un souci dadaptation culturelle au milieu
destinataire. Ainsi Josphe vise lintelligibilit, et cest pourquoi il use
dun vocabulaire plus conforme celui de ses lecteurs ou encore met de
lordre dans des pisodes embrouills. Mais Josphe non seulement veut
difier et tre compris, il veut aussi plaire.
Une influence du roman grco-romain est sensible dans sa faon de
raconter. Elle se trahit par deux phnomnes principaux7 : dabord, une
dramatisation qui fait appel limagination et tend provoquer lmotion
du lecteur tout en mettant en relief la puissance divine; secondement, Jos-
ves des rabbins a conduit certains auteurs lui attribuer lemploi dun targum crit : voir S.
Rappaport, Agada und exegese bei Flavius Josephus, Vienne 1930, XX-XXIII ; G. Vermes,
Scripture and Tradition in Judaism. Haggadic Studies (StPB 4), Leiden 1961, 3-4. Voir
aussi les remarques de R. Le Daut, Introduction la littrature targumique, Premire partie, Rome 1966, 56-58. Il sagit l, toutefois, dune simple hypothse. Sur la Bible de Josphe et sa langue (hbreu ou/et grec des Septante) voir E. Nodet, La Bible de Josphe. I : Le
Pentateuque (Josphe et son temps 1), Paris 1996. - Sur Josphe et son utilisation de lhistoire biblique, voir aussi N.G. Cohen, Josephus and Scripture. Is Josephus Treatment of
the Scriptural Narrative Similar Throughout the Antiquities I-XI?, JQR 54 (1963-64) 311332 ; H.W. Attridge,The Interpretation of Biblical History in the Antiquitates Judaicae of
Flavius Josephus (HDR 7), Missoula 1976 ; T.W. Franxman,Genesis and the Jewish
Antiquities of Flavius Josephus (BibOr 35), Rome 1979 ; D.L. Christensen, Josephus and
the Twenty-Two-Books Canon of Sacred Scripture, JRTS 29 (1986) 21-30 ; L.H. Feldman
- G. Hara (d.), Josephus, The Bible and History, Detroit 1989 ; Ch. Gerber, Die Heilige
Schrift des Judentums nach Flavius Josephus, dans : M. Hengel - H. Lhr (ed.),
Schriftauslegung im antiken Judentum und im Urchristentum (WUNT 73), Tbingen 1994,
91-113. - Sur Gdon dans les Antiquits juives de Josphe (V, 210-234), voir L.H.
Feldman, Josephus Portrait of Gideon, REJ 152 (1993) 5-28.
6. AJ XVI, 174-178 ; voir aussi prface, 14-26.
7. Voir Attrige, The Interpretation, 39-40.
185
8. AJ prface, 1-17.
9. Sur cette oeuvre, voir M. Delcor, Philon (Pseudo-), DBS VII, 1354-1375, et lintroduction ldition des Antiquits bibliques, coll. Sources Chrtiennes.
10. Le mot midrash, avant de stendre un genre littraire et un type douvrages dtermin, signifie linterprtation du contenu de lcriture en fonction des lments fournis
par le texte mme (K. Hruby, Lecture juive de la Torah et connaissance de Dieu, LumVie
28 [1979] n 44, 25-38 26). Voir galement R. Bloch, Midrash, DBS V, 1263-1281 ; A.G.
Wright, The Literary Genre Midrash, Staten Island, NY 1967, avec la mise au point de R.
Le Daut, propos dune dfinition de midrash, Bib 50 (1969) 395-413. Sur la diffrence entre le genre littraire du midrash et le commentaire (pesher) de type qumranien,
voir I. Rabbinowitz, <Pesher/Pittaron>. Its Biblical Meaning and its Significance in the
Qumran Literature, RdQ 8 (1973) 219-232 (231).
186
S. LGASSE
rgles visant lapplication de la Loi (halakhah), les dcisions et les discussions acadmiques qui sy rfrent. Elles contiennent cependant certains
lments haggadiques, cest--dire ayant pour but, laide de considrations, dexemples et de dveloppements narratifs, ldification de lusager.
La haggadah11 apparat galement en maint passage des deux Talmuds.
Elle domine dans les midrashim postrieurs, compilations qui commentent
le texte biblique12 en reproduisant les rflexions des sages et des extraits
dhomlies synagogales. Il est quasiment impossible de dcrire avec prcision ce genre littraire, tant sont nombreux et varis les moyens employs
pour extraire du texte le maximum de substance vitale13 .
Il est sr, en tout cas, que, pour reprendre une comparaison des rabbins
(b. Shabbat 88b ; voir Jrmie 23,29), le roc scripturaire, sous le marteau
de lexgte, clate en une infinit de sens. Mais il est encore un aspect,
lequel coordonne cette pluralit : cest que, le point de dpart tant un passage biblique, celui-ci est considr comme appartenant un difice littraire et religieux dont la cohrence ne fait pas lombre dun doute et dont
on ne conoit pas quon puisse le dissocier.
Un convergence circule lintrieur du corpus sacr, de sorte quexplications et complments puisent leur substance dun bout lautre de la
Bible, au gr de linspiration et des ncessits. Ajouter que lexercice est
domin par la certitude que rien nest crit ton intention dans les Prophtes et les crits que Mose ny fasse allusion dans la Tora14 . Celle-ci
constitue elle seule la rvlation complte et lon admet quelle contient
implicitement tout le reste : Prophtes et crits15 .
Do les exemples que lon rencontrera au cours du prsent article, o
lon voit se profiler les dtails du cycle de Gdon dj dans tel passage du
Pentateuque, comme les bndictions de Jacob et la description des tendards des tribus dans le livre des Nombres.
11. Telle est lorthographe normale. Elle saffaiblit en aggadah (avec alef initial au lieu de
187
6,1. Le midrash continue en assimilant ce cas celui de David, lui aussi purifi aprs son
cantique (2 S 22).
17. Voir Sifr Deut. 84 sur Dt 13,3-4 : Finkelstein, 149, o lon envisage que Dieu, en vue
de sonder lamour de son peuple, accorde aux faux prophtes pouvoir mme sur le soleil,
la lune, les toiles et les plantes. Mais voir aussi Apule, Mt. XI, 22, o lauteur dcrit
son exprience initiatique :nocte media vidi solem candido coruscantem lumine ; Snque,
Hercule sur lOeta, 462 :nox media solem vidit. Ce type de prodige doit tre distingu de
son homologue produit par Dieu parmi les signes eschatologiques (Am 8,9 ;4 Esd 5,4 ;Asc.
Is. 4,5). Voir Pseudo-Philon, SC, t. II, 179.
18. 34,1-5 ; trad. SC.
188
S. LGASSE
dans leau19 , curieuse pratique dont les rabbins, jusqu mieux inform,
sont les seuls tmoins20 .
Lapostasie entrane le chtiment divin. Dieu dit :
Je les livrerai aux mains des Madianites, puisque cest par eux quils ont
t gars. - Il les livra entre leurs mains, et les Madianites commencrent rduire Isral en servitude21 .
19. Yelammedenu sur Lv 17,3, daprs lArukh : Kohut, t. II, 6. Le Yalqut donne Tanhuma
189
6,6) : Et Isral fut trs appauvri cause de Madian. Que veut dire : Isral fut appauvri ? R. Isaac et R. Lvi divergent sur ce point. Lun dit :
Cest quils taient pauvres en bonnes oeuvres. Lautre a dit : Cest quil
navaient mme pas de quoi offrir un sacrifice, selon que nous lisons (Lv
14,21) : Et si cest un pauvre et sil na pas de quoi25 .
Par ce chtiment Dieu se montrait logique avec les engagements contracts dans la Tora o la prosprit du peuple dpend de sa rectitude (Dt
11,13-17). Et cest pourquoi le midrash, en insistant sur ton froment, ton
mot, ton huile frache (Dt 11,14), fait ressortir le contraste entre ces paroles et Juges 6,3, o justement les produits du sol sont dits chapper aux
Isralites pour tre la proie de leurs ennemis, alors que ces mmes paroles
saccordent avec Isae 62,8-9 : Je ne donnerai plus ton bl en nourriture
tes ennemis, etc.26 .
Mais on peut remonter plus haut que le temps des juges, jusqu lpoque de linstallation en Canaan, quand Dieu donnait aux Isralites, en prenant aux peuplades du monde tout ce quelles possdaient, argent et or,
champs et vignes et villes, cela, pour quils puissent sadonner ltude
de la Tora. Hlas ! Ces mmes Isralites ont souill le pays par leur mauvaise conduite :
Ils lont souill par lanathme dAkhan (Jos 7), car ainsi est-il crit :
Vous tes entrs et vous avez souill mon pays (Jr 2,7). - Cela veut dire :
par lanathme dAkhan. Et vous avez fait de mon hritage une abomination (Jr, ibid.). - Cela veuit dire : par lidole de Mikha27 (Jg 17). Et que
leur a fait le Saint-bni-soit-il ? Il les a exils de leur pays, car il est dit
(Dt 29,27) : et YHWH les a extirps de leur sol. Que signifie : et il les
a extirps ? Cela veut dire que leur force sest affaiblie28 : ils semaient et
se donnaient de la peine, et les peuplades du monde venaient et emportaient leurs rcoltes, car il est dit (Jg) : Il arrivait que si Isral semait,
Madian montait, avec Amalec et les fils de lOrient, et ils montaient contre lui, et ils campaient auprs deux et ravageaient les produits de la
terre29 .
25. Tanhuma, Behar 3 ;Tanhuma Buber, Behar 53b-54a, 106-107. Voir aussi Yalqut I, 864
(593), et Rachi sur Dt 11,14.
26. Sifr Deut. 42 : Finkelstein, 91 Yalqut
;
I, 864 (593) ; Rachi sur Dt 11,14.
27. Noter le paralllisme homophone entre be-herem Akan et be-selem Mikah (le paralllisme est bris dans ldition de Buber par lintroduction dun shel dans le second membre).
28. Un rappport tymologique artificiel est tabli entre les verbes natash (extirper) et
tash(ash) (tre affaibli).
29. Tanhuma, Qedoshim 11. Texte peu prs identique dans Tanhuma Buber, Qedoshim
39b, 78.
190
S. LGASSE
ner sur Isral mais doppresseurs qui se trouvent dans ou au sein du peuple lui-mme.
33. Yalqut II, 551 (861), sans rfrence. Voir aussi Rachi sur Lv 26,17.
34. Voir J. Preuss, Biblisch-talmudische Medizin, New York 1971 (d. de 1911 complte),
443-445, 470-474.
191
pour piller largent des Isralites, elles ne sen prennent qu ce qui est
visible, comme il est dit (Jg 6,3-4) : il arrivait que si Isral semait,
Madian montait, avec Amalec, etc. Ils campaient prs deux et ravageaient
les produits de la terre, etc. Mais il nen va pas de mme avec les dvoreurs dIsral. Ceux-l dpouilleront les pauvres et les dvoreront. Ils briseront leurs os, les feront bouillir dans une marmite et la graisse viendra
la surface. Ils la mangeront et jetteront les os aux ordures. Car il est dit
(Mi 3,3) : Eux qui auront mang la chair de mon peuple et corch la
peau qui les recouvre, rompu leurs os et bris comme dans un chaudron,
comme de la viande lintrieur dune marmite35 .
192
S. LGASSE
193
Lappartenance de Gdon Manass en fait un descendant du patriarche Joseph et, par lui, de Jacob et de Rachel (Gn 30,22-24). Do, dabord,
la place faite au hros parmi les gloires qui illustrrent la ligne respective
des deux matriarches, La et Rachel :
chacune Dieu a donn deux nuits : la nuit de Pharaon (Ex 12,29) et la
nuit de Sennachrib (2 R 19,35) La, la nuit de Gdon (Jg 7,9) et la
nuit de Mardoche Rachel, comme il est dit (Est 6,1) : en cette nuit-l,
le roi ne put dormir45 .
De Rachel passons Joseph. La Bible rapporte que ses frres, ayant entendu le rcit de ses songes, le souponnrent dambition et lui posrent les
questions suivantes : Rgneras-tu vraiment sur nous ? Ou exerceras-tu vraiment la domination sur nous ? (Gn 37,8). Ce ddoublement, o les modernes ne voient quune simple rptition synonymique, ne passe pas pour
insignifiant aux yeux des glossateurs juifs, attentifs aux moindres dtails du
texte : pour eux, celui-ci laisse entendre que deux rois, Jroboam et Jhu46 ,
et deux juges, Josu et Gdon, figureront dans la postrit de Joseph47 .
Josu tait en effet phramite (Nb 13,8). Cest pourquoi un parallle
est tabli entre lui et Gdon partir de la bndiction de Jacob. Quand
celui-ci dclarait : Que lange qui ma sauv de tout mal bnisse ces jeunes gens ! (Gn 48,16), ces paroles visaient en fait Josu et Gdon : tous
deux descendaient de Joseph, tous deux bnficirent dune apparition
dange (Jos 5,13-14 ; Jg 6,12), enfin le termenaar (enfant, adolescent),
employ dans le verset cit de la Gense, concorde avec lge des deux
futurs hros lors de leurs exploits. De mme, quand le patriarche ajoutait :
Que soit voqu en eux mon nom48 (Gn 48,16), il faisait allusion aux
apparitions danges dont furent gratifis respectivement Josu (Jos 5,13-15)
et Gdon (Jg 6,11-21), cause dExode 23,31, o Dieu dclare au sujet
de lange guide dIsral : puisque son nom est en lui49 .
45. Gen. Rabba 70, 15 sur Gn 29,16 : Theodor-Albeck, t. II, 815 ; voir
Lam. Rabba I, 2
(23) ( propos de Ps 77,7). Mose, vainqueur de Pharaon, et zchias, vainqueur de Sennachrib, descendaient de La, respectivement par Lvi et Juda (Gn 29,34-35 ; Ex 2,1) ; Gdon et Mardoche descendaient de Rachel, respectivement par Joseph et Manass (Gn
30,22-24 ; 48,1 ; Jg 6,15) et par Benjamin (Gn 35,16-18 ; Est 2,5).
46. Jroboam tait phramite daprs 1 R 11,25. Quant Jhu, rien nest dit de sa tribu
dans la Bible mais sa ville tait Ramot de Galaad (2 R 9,1), situe effectivement sur le territoire de Manass.
47. Midr. ha-gadol sur Gn 48,16 : Margulies, 824.
48. Pour Gdon, voir Jg 6,15. Pour Josu, voir Ex 33,11 (Nb 11,27).
49. Midr. ha-gadol sur Gn 48,16 : Margulies, 824.
194
S. LGASSE
50. Selon le procd al tiqri, lequel ne se borne pas toujours changer la vocalisation ou
disjoindre le mot comme ici, mais peut aller jusqu modifier les lettres (consonnes) ellesmmes : voir W. Bacher,Die exegetische Terminologie der jdischen Traditionsliteratur,
Leipzig 1899-1905 (rimpr. Darmstadt 1965), t. I, 175-177 ; J. Bonsirven,Exgse rabbinique et exgse paulinienne, 120-122, 127.
51. Num. Rabba 14,4 sur Nb 7,48 ; voirGen. Rabba (appendice), 97,5 sur Gn 48,20 :
Theodor-Albeck, t. III, 1248.
52. Nb 7,48 : Celui qui apporta son offrande le septime jour fut lishama, fils dAmmihoud, prince des fils dEphram. Nb 7,54 : Celui qui apporta son offrande le huitime
jour fut Gamaliel, fils de Pedaour, prince des fils de Manass.
53. En fait, la Bible (Nb 2,18-20) ne mentionne que ltendard dphram, passant sous silence celui de Manass, tout comme du reste celui de la majorit des tribus dans leur numration.
54. Sur cet animal, son identit dans la Bible ainsi que son volution lgendaire dans la
haggadah, voir A.H. Godberg, The Unicorn in the Old Testament, AJSL 56 (1939) 256296 ; E. Levine, A Study of <Aggadat qarn reemim>,Sef 36 (1976) 251-265. Rachi sur
Dt 33,17, crit : Le taureau a une force redoutable mais ses cornes ne sont pas belles, tandis que le rem a de belles cornes, mais sa force est moindre; cest pourquoi Il a donn
Josu la vigueur du taureau et la beaut des cornes du rem.
55. Num. Rabba 2,7 sur Nb 2,2.
195
196
S. LGASSE
tre que Gdon est amen se cacher sous la menace du pillage madianite.
Donc, o est la faveur divine ?
Le rflexe pusillanime de Gdon (Jg 6,15) est pour le Pseudo-Philon
loccasion de souligner la valeur morale de lappel :
Et Gdon dit : Qui suis-je et quest la maison de mon pre pour que jaille
attaquer les Madianites? - Et lange lui dit : Tu penses peut-tre que la voie
de Dieu est semblable la voie des hommes. Les hommes recherchent la
gloire du monde et les richesses; Dieu recherche le juste bien et la bont.
Maintenant donc, va, ceins tes reins, et le Seigneur sera avec toi. Cest toi
quil a choisi pour tirer vengeance de ses ennemis, comme il vient de ten
donner lordre62 .
197
notant que Gdon, la vue du prodige, sollicita dautres signes, qui lui
furent accords : cela nest-il pas crit dans le livre des Juges 67
?.
Avant lintermde du prophte anonyme le texte porte que les Isralites, rduits la misre par les razzias de Madian, crirent vers YHWH
(Jg 6,6). Le midrash dveloppe ce propos un message desprance en citant lappui plusieurs exemples bibliques pour commenter Exode 23,20 :
Voici que jenvoie mon ange devant toi.
Quand les Isralites crient devant lui (lange), le salut leur arrive. Ainsi au
buisson ardent, car il est dit (Ex 3,9) : Voici que le cri des fils dIsral
est arriv jusqu moi68 . De mme propos de Gdon (Jg 6,11.14) :
Alors vint lange de YHWH et il sassit sous le trbinthe et il dit : Va
avec cette force qui est tienne et tu sauveras Isral. Et ainsi en sera-t-il
dans les temps venir (messianiques), quand lange se manifestera : la
dlivrance surviendra pour Isral, car il est dit (Ml 3,1) : Voici que jenvoie mon ange et il dblayera la route devant toi69 .
Le fait que lange sassoit sous le trbinthe (Jg 6,11) na pas pass
inaperu et contribue rendre compte de lexpression YHWH Sebaot
(Sabaoth). Si Dieu est ainsi dsign dans le texte sacr,
cest quil ralise sa volont (sibyono)70 parmi ses anges, quand il le dsire, et il les fait asseoir, car il est dit (Jg 6,11) : Et lange de YHWH
vint et sassit sous le trbinthe. Parfois aussi il les fait tenir debout, car
il est dit (Is 6,2) : Des sraphins se tenaient debout au-dessus de lui. Et
encore (Za 3,7) : Je te donnerai accs parmi ceux qui se tiennent debout
ici. Parfois il leur donne lapparence des femmes, car il est dit (Za 5,9) :
Et voici quapparurent deux femmes. Il y avait du vent dans leurs
ailes71 .
cause de la parole de lange : YHWH est avec toi, vaillant guerrier ! (Jg 6,12), Gdon est assimil David qui, juste raison, attribuait
toutes ses victoires la puissance de Dieu. Cest parce que Dieu est avec
lui que Gdon, lui aussi, saura lart de la guerre et pourra triompher de
67. Pseudo-Philon 35,6-7. La formule finale, qui sinspire de la Bible (Jos 10,13 ; 1 R
14,19 ; 15,7.23.31 etc.) rapparat en 43,4 ; 56,5. Les autres signes se limitent en fait
lpreuve de la toison.
68. Daprs Ex 3,2, cest lange de YHWH qui apparat Mose dans la flamme du buisson.
69. Ex. Rabba 32,9 sur Ex 23,20.
70. Le mot hbreu (sebaot) est interprt daprs laramen sibyon(a), dsir, volont
(ici avec affixe personnel hbreu).
71. Ex. Rabba 25,2 sur Ex 16,4.
198
S. LGASSE
ses ennemis. Ainsi dans cette glose du Psaume 114 : Bni soitYHWH,
mon rocher, lui qui enseigne mes mains le combat, et mes doigts la
bataille :
Je ne savais pas lart de la guerre, mais le nom du Saint-bni-soit-il quil
soit bni ! ma instruit. Et cest ainsi que Sal dit David (1S 17,37) :
Va, et que YHWH soit avec toi ! Cest ainsi quon lit encore (Jg 6,12) :
YHWH est avec toi, vaillant guerrier !72 .
199
Une variante de cette glose sur le texte sacr est attribue R. Juda,
fils de R. Shallum :
Aux jours de Gdon Isral tait dans la dtresse. Le Saint-bni-soit-il
dsirait trouver quelquun qui plaidt en sa faveur, mais il nen trouvait
pas, car cette gnration tait pauvre dobissance aux commandements
et de bonnes oeuvres. Ds que Dieu eut trouv en Gdon le mrite davoir
plaid la cause dIsral, aussitt lange lui apparut, car il est dit (Jg 6,14) :
Et lange de YHWH vint lui et lui dit : Va avec cette force qui est
tienne, cest--dire par la force du mrite que tu as acquis en plaidant la
cause de mes fils79 .
77. Rachi sur Jg 6,13 : La veille au soir, mon pre ma fait rciter le Hallel et jai entendu
200
S. LGASSE
Mais tout en tant un exemple de pit filiale, Gdon brille par son
humilit82 . Au vrai, il figure parmi les grands humbles de lhistoire dIsral. Le midrash nous lapprend lorsquil commente le Psaume 22,7 : Et
moi, je suis un vermisseau et non un homme :
Cest ainsi que le Saint-bni-soit-il accorde aux justes des grandeurs,
alors quils se considrent eux-mmes comme tant peu de chose. Abraham a dit (Gn 18,27) : Je suis poussire et cendre. Mose et Aaron ont
dit (Ex 16,7) : Que sommes-nous?. David a dit (Ps 22,7) : Je suis un
vermisseau et non un homme. Sal a dit (1 S 9,21) : Ne suis-je pas un
Benjaminite, dune des plus petites tribus dIsral et ma famille nestelle pas la plus infime dentre toutes les familles de la tribu de Benjamin ?83 . Gdon a dit (Jg 6,14) : Voici que mon clan est le plus faible
en Manass et moi, je suis le plus petit dans la maison de mon pre.
Les impies en revanche senorgueillissent quand Dieu leur octroie des
grandeurs, tmoin Pharaon (Ex 5,2), Goliath (1 S 17,10), Sennachrib (2
R 18,35), Nabuchodonosor (Dn 3,15), Balthasar (Dn 5,23), Hiram, roi
de Tyr (z 28,2)84 .
82. Sur cette vertu (anawah) dans la pense rabbinique, voir F. Bohl, Die Demut (nwh)
201
34,2) : et de Manass ; or, ailleurs le texte porte (Jg 6,15) : voici que
mon clan est le plus faible en Manass, etc.85 .
Rabbinic Pattern of Discourse with Special Reference to Mekhilta dR. Ishmael, Leiden 1973.
202
S. LGASSE
geance. la premire catgorie appartiennent 1) la conscration du tabernacle (Lv 9,24), 2) loffrande de Gdon (Jg 6,21), 3) celle de Manoah (Jg
13,20), 4) celle de David (1 Ch 21,26), 5) la ddicace du temple de Salomon (2 Ch 7,1.3), 6) le sacrifice dlie au Carmel (1 R 18,38)90 .
Les paroles : et le feu monta du rocher (Jg 6,21) sont recueillies dans
une argumentation haggadique destine, une fois encore, accrotre le
merveilleux de lExode, ici propos des eaux de Mriba :
R. Simon a dit : et il a donn ses eaux (Nb 20,8). - Le rocher produit du
feu, car il est dit (Jg 6,21) : et le feu monta du rocher. Il produit du miel,
car il est dit (Dt 32,13) : et il donne sucer le miel du rocher. Il produit de
lhuile, car il est dit (Dt, ibid.) : et lhuile du caillou du rocher. Mais il ne
produit pas de leau. prsent remarque bien : Mose a prescrit au rocher :
Tu ne feras jaillir que de leau, comme il est dit (Nb 20,8) : il a donn ses
eaux. Sil tait au pouvoir de lhomme de produire de leau partir du
rocher, il ne pourrait le faire sans mlanger les liquides, ce qui les amnerait
se corrompre. Et supposer quil puisse les mlanger, pourrait-il mlanger leau et le feu dans un mme rservoir ? Est-ce que leau nteindrait
pas le feu ? Vois donc les prodiges qua fait le Saint-bni-soit-il : il a runi
au coeur du rocher de lhuile et du miel et de leau et du feu 91!
Lpisode sachve par ldification dun premier autel ddi YHWHShalom (Jg 6,24). Le Targum glose :
Et Gdon btit l un autel YHWH et il offrit sur lui un culte YHWH
qui lui avait accord la paix jusqu ce jour92 .
Une rfrence ce mme passage apparat dans lhomlie qui commente Lvitique 7,11-12 (sacrifices shelamim) et que seconde le refrain :
Grande est la paix :
R. Yudan fils de R. Yos a dit : Grande est la paix, puisque le Saint-bnisoit-il est appel Paix, comme il est dit : Et il appela YHWH paix93 .
90. Daprs un midrash inconnu cit et glos dans le commentaire de Bahye Ben Asher sur
203
La Gemara, de son ct, sappuie sur ce verset pour fonder linterdiction de saluer quand on se rencontre dans les bains publics, puisque cette
salutation comprend le mot shalom et que Dieu fut ainsi dnomm par
Gdon94 .
Mais quittons les bains publics pour les rgions clestes et les anciennes spculations sotriques :
Les arabot (septime ciel)95 dans lesquelles rsident justice et droit, intgrit, trsors de vie, trsors de paix, trsors de bndiction, les vents et les
brises qui rpandront la fracheur et la rose par laquelle le Saint-bni-soitil fera revivre les morts (voir Is 26,19).
Justice et droit, car il est crit (Ps 89,15) : Justice et droit sont la base de
son trne.
Intgrit, car il est crit (Is 59,17) : il a revtu la justice comme une cuirasse.
Trsor de vie, car il est crit (Ps 36,10) : car cest chez toi quest la source
de vie.
Trsor de paix, car il est crit (Jg 6,24) : et il lappela YHWH-Paix96 .
204
S. LGASSE
a agi sur lordre de Dieu (Jg 6,26)99 . Et puis la Bible offre sur ce point des
exceptions. Il est vrai que lorsque Josu a difi un autel sur lbal (Jos
8,30), le tabernacle tait encore Gilgal et les cultes des hauts-lieux
navaient pas encore t abolis par linstauration du sanctuaire central de
Shiloh. Mais ce nest plus le cas avec lie : cette poque la prohibition
des hauts-lieux (issur bamah) tait dsormais en vigueur. Pourtant lie a
bien sacrifi sur le Carmel et cela, daprs lordre exprs de Dieu. Cette
constatation permet R. Yos ben Hanina de poser en principe quun sacrifice sur les hauts-lieux na jamais t autoris que par un prophte spcialement mandat en vue dune exception100 .
Il reste que ce sacrifice de Gdon a manifestement gn les rabbins,
qui nont pas toujours pris soin de le justifier. Ainsi R. Abba ben Kahana,
matre palestinien du dbut du IVe sicle, a dress la liste des irrgularits
commises en la circonstance :
Sept transgressions ont t commises en rapport avec le taureau de Gdon : il a t offert avec le bois de lashrah ; il a t immol sur des pierres tailles101 ; il avait t rserv en vue dun culte idoltrique102 ; il avait
t lui-mme ador ; il fut sacrifi par un lac103 ; de nuit ; enfin Gdon
tait trop jeune104 .
99. Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,28 ;Tanhuma Naso 28 ;Tanhuma Buber, Naso 21a.
100. Lev. Rabba 22,9 sur Lv 17,3 : Margulies, t. II, 518-519 Yalqut
;
I, 579 (363) ; II, 103
(720) ; 779 (923) ; voir aussi
Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,48.
101. Supposes avoir form lautel de Baal. Leur emploi tait illgitime daprs Ex 20,25 ;
Dt 27,5-8 ; Jos 8,31.
102. Rachi sur Jg 6,25 : il avait t engraiss pendant sept ans en vue du culte des astres.
103. Gdon ntait pas prtre.
104. Lev. Rabba 22,9 sur Lv 17,3 : Margulies, t. II, 519. Mme compte, avec quelques variantes, en j. Megillah I, 14, 72c. Une variante rapporte en Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,48
ajoute la cinquime irrgularit le fait que Gdon tait un descendant de prtres des idoles (ben kemarim). Une autre variante (b. Temurah 23b-29a ;Yalqut II, 62, 709) compte
huit irrgularits, dans lordre suivant : 1) le sacrifice a t offert hors du sanctuaire, 2) de
nuit, 3) par un lac, 4) avec les ustensiles du culte de lAshra, 5) sur les pierres de lautel
de Baal, 6) en utilisant le bois de lAshra, 7) en immolant un animal destin lidoltrie, 8)
et qui avait t lui-mme ador.
205
105. Sifr Deut. 8,3 sur Dt 13,2 : Finkelstein, 149. Voir aussi Rachi sur Dt 13,2 (avec une
variante o la rose figure comme exemple du prodige venant du ciel).
106. Il sagit du premier prodige, quand la toison seule fut baigne de rose alors que le sol
alentour restait sec.
107. Ne se nommant pas explicitement Dieu indique labsence dengagement dans laction
voque.
108. Yelammedenu dans Yalqut II, 62 (709) ; abrg enYalqut II, 553 (861).
206
S. LGASSE
eut dit (Jg 6,39) : Que ce soit sec sur la seule toison, on lit la suite
(6,40) : et YHWH fit ainsi en ce jour-l, etc. Pourquoi ? Parce quil est
crit : Je serai une rose pour Isral109 .
Par ces remarques sur la lettre des textes le midrash aborde le problme
mtaphysique de lorigine du mal et tmoigne de la rpugnance des rabbins mettre Dieu directement en contact avec lui110 . Ainsi encore dans
largumentation suivante :
R. Elizer ben Pedat a dit au nom de R. Yohanan : Le nom du Saint-bnisoit-il nest pas mentionn propos du mal mais seulement propos du
bien. Tu apprends quil en est ainsi du fait quau moment o le Saint-bnisoit-il cra la lumire et les tnbres et leur donna des noms, il mentionna
son nom propos de la lumire mais ne le mentionna pas propos des
tnbres, car il a t dit : etDieu appela la lumire jour et il appela les
tnbres nuit (Gn 1,5). Ainsi il mentionna son nom propos de la lumire, mais quand il arriva aux tnbres, le texte ne dit pas : Dieu appela
les tnbres nuit, mais seulement : il appela111 .
207
toire Dieu, les guerriers la considraient comme tant leur, du fait quils
formaient une arme nombreuse, digne de rivaliser avec lennemi.
Les remarques sur la tendance au mal de la nature humaine se rptent
dans les Antiquits juives auxquelles Josphe confre de la sorte une teinte
philosophique114 . Mais sil moralise loccasion, il noublie pas la vise
thologique. Prsentement, la rduction de larme na dautre but que
dapprendre aux combattants que la victoire est remporte grce au secours
divin (voir Jg 7,2), point de vue en tout traditionnel115 . Lpreuve qui suit
est renforce, ayant lieu vers midi, au moment o la chaleur tait la plus
intense. Et Josphe dexpliciter le passage plutt obscur en Juges 7,5-6116 .
Deux groupes se dessinent : dune part, ceux qui se mettent genoux (ou
stendent :kataklithentas) pour boire, donc prennent leur temps et dominent leur soif, dautre part, ceux qui boivent avec prcipitation. Les premiers, apparemment les plus disposs, sont carts, et les seconds, au
nombre de 300, sont dsigns pour le combat, eux pourtant qui avec
crainte et en dsordre avaient lev leau dans leurs mains vers leurs lvres. Il est ds lors bien vident que cest Dieu qui opra la victoire.
Cest galement la conviction des rabbins. Toutefois leur exgse est diffrente. Si les hommes qui ont pli le genoux pour boire sont exclus de larme, ce nest pas en tant que forts, pour mieux faire ressortir ensuite laction
divine, mais en tant quidoltres. Les hommes de cette gnration, on la vu,
adoraient leur propre reflet dans leau. Au contraire ceux qui laprent leau
avec leur main sont les dignes prdcesseurs des fidles dont il est dit (1 R
19,18) : Je laisserai en Isral 7000 hommes, tous ceux dont les genoux non
pas flchi devant Baal. Cest eux galement quest applique cette parole
de Miche (5,6) : Et le reste de Jacob sera, au sein de peuples nombreux,
comme une rose venant de YHWH, comme des ondes sur le gazon117 .
114. III, 290 (philautos) ; IV 193 ; V, 317 ; VI, 262-263, 341. Comparer Plutarque,
Aratos,
1 :Philautou gar andros, ou philkalou. ce sujet voir Attridge, The Interpretation, 140143 (Nature in the moralizing in the Antiquities).
115. 1 S 14,6 ; 17,47 ; 1 M 3,16-22.
116. Linterprtation de Josphe rejoint le sens biblique, pourvu quon accepte damender
le texte en dplaant les mots : avec leur main leur bouche du verset 6 au verset 5, la
suite de : quiconque se mettra genoux pour boire. On obtient ainsi deux groupes : ceux
qui se couchent pour laper comme les chiens et ceux qui se mettent genoux pour boire en
saidant de leurs mains. Les seconds savrent beaucoup plus aptes une attaque subite,
surtout par derrire. Or, Dieu choisit les premiers ! Voir R.C. Boling,Judges (AB 6A),
Garden City, NY 1975, 145-146.
117. Tanhuma Buber, Toledot 69b ;Yalqut II, 62 (709). Ce passage, qui est la continuation
du commentaire de lpisode de la toison, allgue aussi Is 26,19, en prcisant que la rose
est le symbole de la rsurrection.
208
S. LGASSE
Ainsi ce nest plus un petit nombre dincapables que Dieu choisit pour
sauver Isral mais une minorit de justes, prfigurant le reste saint annonc par les prophtes118 .
209
122. AJ V, 220-221.
123. Voir Sifr Num. 8 sur Nb 5,15 (Horowitz, 14), au sujet de la farine dorge offerte
loccasion de lordalie : de mme que laction de la femme est celle dun animal, de mme
son offrande est une nourriture danimal ;b. Sota 15a-b : Elle a donn manger son
amant les mets les plus coteux du monde, cest pourquoi son offrande est une nourriture
danimal ; mme argumentation dansPesiqta rabbati 18, 4/5 (92b). Daprs Philon (Spec.
leg. III, 57), lorge convient aussi bien aux animaux dpourvus de raison quaux hommes
dshrits ; cest le symbole que la femme en tat dadultre ne se distingue pas des btes
dont les accouplements se font sans distinction ni rgle (trad. A. Moss). Voir aussi II,175
(lorge nourriture de seconde catgorie). Comparer Jrme (In Osee I, 3,2 : CChSL 75, 35)
et sa polmique : Parce quil na pas son poux (divin : voir Os 3,3non
: eris viro), il (Isral) ne se nourrit pas de nourriture dhommes, de bl et de lgumes, mais de lorge des
btes de somme sans raison (Os 3,2), ruminant la lettre vile qui tue et priv de lesprit qui
vivifie (2 Co 3,6). Cest pourquoi dans la Loi galement la femme qui est accuse dadultre par son mari mle de la farine dorge la boisson destine la convaincre de son
crime. tant devenue semblable aux <chevaux et aux mulets qui nont pas dintelligence>
(Ps 31,9), elle se nourrit daliments de chevaux et de mulets. Pour Augustin (Sermo 130,
1 : PL 38, 725 In
; Joh. tract. 24,5 : PL 35, 1594-1595) les pains dorge multiplis par le
Christ sont la figure de lancienne alliance. Les rabbins en revanche considrent le bl
comme le symbole dIsral :Pesiqta rabbati 10,3 (35a) : <Ton ventre est un monceau de
bl> (Ct 7,3). Ce monceau est Isral. Et pourquoi Isral est-il compar du bl ? Parce que
ses grains sont fendus au milieu, ce quon ne trouve pas dans les lentilles ni dans tout le
reste des crales. Et pourquoi les grains de bl sont-il fendus ? Parce que toutes les autres
crales lui sont infrieures. Entendons : la circoncision, dont le grain de bl fendu est
limage, rend Isral suprieur tous les autres peuples. Voir la version plus dveloppe du
mme commentaire dans Midr. Ps. 2,13 (v. 12) : Buber, 30-31.
124. 36,1 ; trad. SC.
210
S. LGASSE
211
R. Josu ben Lvi a dit : Ce fut (cette offrande de lomer) qui se tint
auprs des (Isralites)130 aux jours de Gdon, car il a t dit (Jg 7,13) :
Et Gdon arriva, et voici quun homme racontait un songe, et il disait :
Voici que jai eu un songe, et voici quune miche (selil) de pain tournoyait
dans le camp de Midian ; elle arriva jusqu une tente, elle la heurta et la
mit par terre ; elle la renversa de haut en bas, et la tente seffondra.
Quest-il signifi par un selil de pain dorge ? Nos matres disent : Cela
a trait au fait que cette gnration tait vide (salul)131 de justes. - En vertu
de quel mrite furent-ils donc sauvs (nissolu) ? En vertu du mrite indiqu par la miche (selil) de pain dorge. - Et en quoi consiste-t-il ? accomplir le prcepte de la premire gerbe132 .
Le terme selil ne se lit quune fois dans toute la Bible et son sens nest
pas parfaitement assur. Peu importe : il suffit quil se prte un jeu de
mots. Celui-ci est double : il sopre, dune part, avec le participesalul, littralement, clarifi, de lautre, avec le parfait nifal du verbe nasal, tre
sauv ; Do lallusion successive la dchance morale des Isralites au
temps de Gdon et au salut qui nen est pas moins accompli par ce dernier. Mais ce selil est dorge, et lorge compose la premire gerbe, prmices de toutes les crales. Il nen faut pas davantage pour que le texte
vienne appuyer le rle protecteur, parce que mritoire, de lobissance ce
prcepte. Plus tard on nhsitera pas dater la victoire dIsral de la nuit
mme o avait eu lieu loffrande de la gerbe133 .
sur Jg 7,13.
132. Pesiqta rabbati 18, 5 (92b), cite en Yalqut I, 643 (400) ; II, 62 (709). Voir galement
212
S. LGASSE
26.
136. 129 ; trad. J.G. Kahn.
137. Voir A. Jaubert, Le Thme du <reste sauveur> chez Philon :Philon dAlexandrie,
Lyon 11-15 septembre 1966, Paris 1967, 243-253 (248).
138. 130 ; voir aussi 49, o le sage est prsent, cause de la haine du mal, comme
un homme daversion et de combat, pacifique certes par nature, mais par l-mme hostile
ceux qui souillent la beaut dsirable de la paix (trad. J.G. Kahn).
139. 130-132 ; trad. J.G. Kahn.
140. AJ V, 222-229.
213
141
instantan : cest lexaltation phronmatisthentes)
(
. Le dpart pour le
combat a lieu vers la quatrime veille, selon la division romaine de la
nuit142 , soit vers trois heures du matin. Pourquoi les flambeaux sont-ils dans
les cruches ? Josphe croit utile de lexpliquer : cest afin de dissimuler
lapproche des Isralites aux yeux de lennemi. Les trompettes deviennent
ici des cornes de bliers qui sont utilises en guise de trompettes, un trait
archaque et de couleur locale, inspir sans doute par le rcit de la prise de
Jricho143 . La description du camp ennemi, quoique faisant dfaut dans la
Bible, a cependant d tre suggre Josphe par la notice de Jg 6,33 qui
montre tout Madian, Amalec et les fils de lOrient runis face Isral.
Lhistorien dpeint avec emphase la vaste tendue sur laquelle stationne
une authentique coalition internationale comprenant un imposant corps de
chameaux, lensemble tant rparti suivant les nations (kata ta ethn) et
dispos lintrieur dun unique cercle. La description est impressionnante
mais sans la comparaison avec les sauterelles et le sable quon lit en Jg 5,12
et qui, par leur exagration, naurait pas t du got des lecteurs. La panique sempare de ces troupes alors que les soldats sont encore assoupis, car
ctait la nuit et Dieu lavait voulu ainsi.
Dieu combat avec Isral 144
! La confusion est telle que les allis
sentretuent (voir Jg 7,23) cause de la diversit de leurs langages. Le
bruit de la victoire stant rpandu dans le reste dIsral, une poursuite gnrale sorganise dont Josphe rsume considrablement le rcit (voir Jg
7,238,23). La suite est rordonne. Laffaire de Sukkot (Jg 8,4-7.13-17)
et le conflit avec les phramites (Jg 8,1-3) sont renvoys aprs la guerre
contre Madian. Entre temps Gdon et ses troupes ont ananti une premire
arme, puis une seconde, compose de 18.000 hommes145 , dont notre hros capture les deux chefs qui priront de sa main quand il sera revenu
Ophra, son village natal.
Compar au rcit dramatique de Josphe, la notice du Pseudo-Philon
(36,2) mrite peine dtre mentionne. De lpisode biblique il ne reste
quun ple rsum do peu prs tous les traits originaux ont disparu.
Seules les trompettes sont pargnes. Le souci ddifier saccompagne par-
141. Ces traits psychologiques et motionnels sont une des caractristiques de Josphe : voir
Isral dans les Antiquits juives, voir Attridge, The Interpretation, 78-79.
145. Jg 8,10 : environ quinze mille.
214
S. LGASSE
(Jepht). Sur le rle important de lEsprit divin dans le livre, voir Ch. Perrot, Antiquits
bibliques, II (SC), 63-65 : lauteur voit ici un des traits qui apparentent lesAntiquits bibliques loeuvre de Luc dans le Nouveau Testament.
147. Nom du huitime mois (octobre-novembre) dans lancien calendrier isralite (cananen), correspondant Marheshwan de la dnomination babylonienne.
215
148. III, 7 : Buber, 28-29. Plus haut (28) le mme midrash nous apprend que Haman ntait
quincompltement inform : Quand le sort tomba sur le mois dAdar, il se rjouit dune
grande joie. Il dit : Il mest tomb sur le mois o Mose notre matre est mort. Or, il ne
savait pas que, si Mose tait mort le 7 Adar, ctait aussi le 7 Adar quil tait n. Variantes et complments haggadiques sur les sorts dEsther 3,7 dans Ginzberg, The Legends of
the Jews, IV, 299-402, et les notes : VI, 464-465, n. 106-111.
149. Au sujet du cri de guerre des troupes de Gdon (pe pour YHWH et pour Gdon :
Jg 7,20) ou encore de la phrase en Nb 21,7 (Nous avons parl contre YHWH et contre
toi), les Tosafot (sur b. Sanhedrin 63a) font ressortir que ces paroles ne sopposent pas au
principe pos par Simon ben Yohay selon lequel Quiconque associe le nom du Ciel quelque chose dautre sera arrach du monde : en effet, daprs les Tosafot, ce qui est interdit
ici, cest dassocier au nom divin celui dautres divinits.
150. b. Hullin 5a ;Yalqut II, 209 (757).
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En dfinitive, cest la division en quatre veilles qui lemporte, car Gdon na pas compt la premire veille, du moment quil envisageait une
attaque nocturne, les ennemis tant encore veills lors de la premire
veille. Donc, en parlant de veille du milieu, le texte vise en ralit la troisime veille dune nuit qui en comporte quatre.
151. Lam. Rabba 2,19 (22) ;j. Berakot I, 1, 2d ;b. Berakot 3b ;Tos. Berakot 1,3 : Zuckermandel, 1 ;Yalqut II, 63 (709).
152. Comparer avec le jugement de Ben Sira (46,11) pour qui tous les juges furent fidles
Dieu.
153. 36,3 ; trad. SC.
154. Au sujet des vues de lauteur sur le sort des hommes aprs la mort et dans lattente de
la rsurrection, voir Antiquits bibliques, II (SC), 54-55.
155. En Pesiqta rabbati VI, 7 (25b), David adresse Dieu cette prire : Matre des mondes, je prvois par mon don de prophtie que le Temple la fin sera dtruit. Or, malheureusement tout ce que jai vou sa construction vient des temples des idoltres que jai
dtruits. - David craignait que les nations du monde naillent dire : Est-ce que David simagine, lui qui a dtruit le temple de nos dieux et a fait de ses dpouilles un temple pour son
217
(lon naura rien dire)156 . Mais aprs que Gdon sera mort, je le chtierai une bonne fois pour avoir commis le mal envers moi157 .
Les rabbins ne mnagent pas non plus Gdon au sujet de son idoltrie. Cependant ils soulignent non seulement que lambiance tait favorable cette dernire mais encore, loccasion, que Gdon tait lui-mme
un rejeton de prtres des idoles (ben kemarim)158 . Rien de trs surprenant,
ds lors, quil ait cd la fois lenvironnement et lhrdit favorisant
le culte de ces mmes idoles. Cest quoi servirent bijoux et vtements ts
lennemi et dont Gdon fit un phod159 .
Cet objet a donn bien du mal lancienne exgse, tant juive que chrtienne. Hlas ! On en est presque au mme point de nos jours. Car en fait
le mot phod dsigne trois choses dans la Bible : une sorte de pagne160 , une
bande dtoffe prcieuse formant le vtement le plus extrieur du grand
prtre et auquel tait attach le pectoral portant les sorts sacrs (urim et
tummim)161 , enfin, comme en Juges 8,24-27, un objet cultuel, mais dont le
rle divinatoire est galement attest plusieurs reprises162 . Laissons aux
biblistes et aux archologues le soin de dbrouiller le rapport entre ces diverses acceptions163 . Au sujet de lphod de Gdon, on tiendra prsent
lesprit que, daprs les descriptions de lExode (28,6-14 ; 39,2-29),
lphod du grand prtre ne faisait quun avec le pectoral quil soutenait. Or,
le pectoral tait orn de douze pierres prcieuses, chacune pour une tribu
dIsral (Ex 28,21 ; 39,14). Lahaggadah suppose que, parmi elles, Joseph
nayant quune pierre, celle-ci reprsentait la demi-tribu dEphram.
Manass tait ds lors exclu. Cest pourquoi Gdon, dsireux de laver
cet affront, fabriqua un phod portant le nom de Manass. Bien que lui-
propre Dieu, que sa faute a t efface ? Nos dieux se sont dmens et ils ont pris leur revanche, et ils ont dtruit le temple de son Dieu ! - Cest pourquoi David pria pour que Salomon nai pas besoin de ces dpouilles pour construire le Temple : d. Friedmann complte
daprs le ms. de Parme : voir W.G. Braude,Pesikta rabbati. Discourses for Feasts, Fasts,
and Special Sabbaths, translated from the Hebrew, I, New York 1968, 129.
156. Texte lacuneux.
157. 36,4 ; trad. SC.
158. Num. Rabba 14,1 sur Nb 7,48.
159. Gen. Rabba 44, 20 sur Gn 15,15 : Theodor-Albeck, t. I, 442 Ruth
; Rabba 1,2 sur Rt 1,1.
160. 1 S 2,18 ; 22,18 ; 2 S 6,14.
161. Ex 29,5 ; Lv 8,7 ; plus rcent : Ex 28,6-14 ; 39,2-7.
162. Jg 17,5 ; 18,14.17.20 ; 1 S 2,28 ; 14,3 ; 21,10 ; 23,6.9 ; 30,7 ; Os 3,4.
163. Voir R. De Vaux, Les institutions de lAncien Testament, II, Paris 1960, 200-206; K.
Elliger, Leviticus (HAT 4), Tbingen 1966, 116-117.
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ft-il le plus insignifiant parmi les insignifiants, est lgal des plus minents parmi les plus minents169 .
Lpisode de lphod nempcha pas Gdon dassurer Isral une priode de paix : Madian ne releva plus la tte et le pays fut en repos pendant quarante ans, aussi longtemps que vcut Gdon (Jg 8,28). Il va de
soi mais le Seder Olam172 le prcise que dans ces quarante ans ne sont
pas compris les sept ans de loppression de Madian (Jg 6,1). Cela suppose
galement que lintervention guerrire du hros fut rapide, lui permettant
par la suite de jouir lui-mme longuement de la paix quil avait procure
ses compatriotes173 .
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conflit opposant ce dernier aux Ephramites (Jg 8,1-3) de telle faon quil
tourne lavantage du hros. Alors que les Ephramites, jaloux de son succs, dcident de marcher contre lui174 , sa raction est celle dun homme
de modration (metrios) et un modle de toute vertu. Mais celui qui incarne, sous la plume de lhistorien, le type du sage stocien, est aussi un
homme religieux : il rpond en effet ceux qui lagressent quil a agi sur
lordre de Dieu et non par dcision personnelle. De plus, il fait acte dhumilit en dclarant que la victoire tait redevable ceux qui avaient combattu sous ses ordres tout autant qu lui-mme. Ayant calm la colre des
Ephramites, il prvient le dclenchement dune guerre civile (Josphe se
souvient des luttes fratricides de la guerre juive) et ainsi se montre plus
utile ses compatriotes quil ne lavait t par ses succs militaires175 .
Cette sagesse continue de se manifester au cours des dernires annes
de Gdon. Celui-ci, qui dsirait renoncer sa fonction de juge176 , est contraint par son entourage lexercer pendant quarante ans. Les gens lui soumettent leurs diffrends et ses sentences ont force de loi177 . Pour finir
Josphe rejoint la Bible (Jg 8,22) en crivant que Gdon mourut dans un
ge avanc et fut enseveli Ephra, sa patrie178 .
Bien moins avantageux, le portrait moral que les rabbins font de Gdon ne manque pas cependant de traits difiants. On a dj not la pit
filiale du hros, son dvouement envers ses compatriotes et sa rectitude en
gnral, le tout motivant le choix divin. Relevons aussi sa modestie, que
prouve son refus de la royaut, quand il dclare : Ce nest pas moi qui
dominerai sur vous ni mon fils non plus; cest YHWH qui dominera sur
vous (Jg 8,23). Cette rponse et la demande qui la provoque permettent
dexpliquer pourquoi Abimlek, fils de Gdon, a rgn trois ans sur Isral
(Jg 9,22) : ce fut en rcompense de lhumilit de son pre.Ainsi le midrash,
commentant Proverbes 18,12 :
Avant la ruine le coeur humain senorgueillit : cela sapplique
Abimlek, dont la ruine nest survenue que lorsquil sest enorgueilli et
174. Ce trait va beaucoup plus loin quil nest dit dans la Bible. Cest une dramatisation qui
fera dautant mieux ressortir la sagesse de Gdon. Nanmoins Josphe remarque que les
phramites durent payer plus tard le prix de leur insolence, comme on lapprend par lpisode de la tour de Sichem (Jg 9,46-49 ;AJ V, 160).
175. AJ V, 230. Sur une rminiscence ventuelle de lnide, voir Feldman, Josephus
Portrait of Gideon, 23.
176. Loffre de la royaut (Jg 8,32-33) est ainsi modifie.
177. Comme les rabbins Josphe attribue la fonction de juge un caractre judiciaire.
178. AJ V, 230.
221
quil a tu ses frres. - Avant lhonneur lhumilit (anawah) : cela sapplique Gdon son pre. En effet quand les Isralites lui dirent : Domine sur nous, toi, ton fils et le fils de ton fils, il leur dit : Moi, je ne
dominerai pas sur vous (Jg 8,22-23). Ces gens lui ont dit trois choses et
il leur a dit trois choses179 . Le Saint-bni-soit-il dit : Tu parles ainsi ? Par
ta vie ! Je vais susciter de toi un fils qui rgnera trois ans cause de ces
trois choses que tu as dites, selon cette parole de lcriture : Avant lhonneur lhumilit. Cest pourquoi on lit : et Abimlek exera le pouvoir
en Isral pendant trois ans (Jg 9,22)180 .
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Ce sont les chrtiens qui dtiennent la cl des livres sacrs des Juifs, et si
tous les crivains du IIe sicle ne sont pas aussi arrogants leur gard que le
Pseudo-Barnab, cest bien par une exgse christocentrique de la Bible que
Justin sefforce de convaincre derreur le Juif Tryphon. Un peu plus tard lhermneutique dIrne, contre les Valentiniens et les Marcionites qui rejetaient
lAncien Testament, met au jour les richesses quil contient en figures et paraboles, trsor cach aux Juifs, dsormais accessible aux chrtiens185 . Le critre essentiel dinterprtation est la rgle de foi ecclsiale, lautorit extrieure
qui protge lexgte de larbitraire ou de lhrsie.
184. Trad. Th. Camelot, SC 10, 101, 103.
185. Adv. haer. IV, 26, 1 : Harvey, t. II, 235 ; SC 100/2, 712-715.
223
Lexploitation du champ scripturaire pour y dcouvrir le Christ est grandement facilite quand les chrtiens sapproprient linstrument que leur lgue
le Juif Philon et pratiquent la mthode allgorique. Lcole dAlexandrie, reprsente surtout par Clment et Origne186 , adapte de faon originale cette
mthode lexgse chrtienne des textes bibliques, dans la double certitude
croyante que dans toute la Bible un mystre divin est communiqu et que les
deux Testaments en ralit ne font quun. La prophtie, crit Clment, est
pleine de gnose, parce quelle est don du Seigneur et que, dautre part, le
Seigneur la explique aux aptres187 . Et Origne prcise :
il est bien clair que Mose voyait en lesprit (no) la vrit de la Loi, et les
lvations figures (tas kata anaggn allgorias) des histoires crites par
lui. Josu avait lintelligence du vrai qui a eu lieu aprs la dfaite des vingtneuf rois, pouvant voir mieux que nous de quelles ralits les choses accomplies par lui taient les ombres188 .
chrtienne tait un subterfuge en vue de donner un sens lev des textes mdiocres (C.
Cels. IV, 48.50 : SC 136, 306-309, 312-315).
187. Strom. VI, 8, 68, 3 : PG 9, 289.
188. In Joh. com. VI, 4 (22) : SC 157, 146.
189. Voir J. Ppin, Mythe et allgorie. Les origines grecques et les contestations judo-chrtiennes (PhE), Paris 1958, 443-444.
190. De praescr. 19,3 : CChSL 1, 201.
191. De doctr. christ. III, 2 (2) : BA XI, 340-341.
192. II, 5 : CChSL 64, 149 : Quod ubique, quod semper, quod ab omnibus credendum est.
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225
Sans tre formules de faon aussi prcise ces rgles sont appliques
chez un autre Antiochien, on veut parler de Jean Chrysostome, contemporain de Thodore de Mopsueste et lve comme lui de Diodore de Tarse.
Chrysostome rpugnait lallgorie199 et voyait dans les ralits de lAncien Testament lesquisse de celles du Nouveau :
Cest comme la peinture : un artiste a dessin le portrait dun roi. Tant
quil na pas appliqu les couleurs, on nappelle pas cette esquisse <le
roi>. Mais lorsquil la peinte, le <type> est rejet dans lombre par la
vrit et disparat. Cest alors quon scrie : <Voyez le roi 200
!> .
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zum Liber interpretationis nominum Hebraicorum des hl. Hieronymus (TU 41), 2 vol., Leipzig 1914-1915 (t. I, 1-12).
210. CChSL 72, 100.
211. Onomastica sacra t. I, 270-271 et 637.
212. Ainsi chez Grgoire le Grand.
213. Codex F (Frigisesensis). Le codex H (Bambergensis) porte inutiles.
214. De prfrence la particule ngative ein propose par Wutz, Onomastica sacra, t. I, 637.
215. Conf. ling. 130.
216. Somn. 2, 35.
217. LOnomasticon de Tischendorf a les deux :Gad peiratrion peirasmos : Wutz,
Onomastica sacra, t. I, 270.
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quont fait les Pres, commencer par Jrme propos de Gad218 . Ici de
mme, pour le premier lment du nom de Gdon. Le second, savoir on (wn), aura t compris daprs awon (wn), pch, iniquit, comme
lappuie le Lexicon Origenianum publi par le Mauriste Martianay219 , qui
porte Gedeon220 paradikasmos. On ne saurait dire, faute de parallle, si
le pronom eorum, sans correspondance dans le mot hbreu221 , remonte audel de la rdaction de Jrme lui-mme.
La premire tymologie fournie par ce dernier permet Grgoire le
Grand de rattacher Gdon le mystre de lincarnation du Fils de Dieu
dans le sein de la Vierge :
Quel est donc celui qui tourne dans le sein (circumiens in utero) sinon
Dieu tout-puissant nous rachetant selon son plan, embrassant tout par la
divinit et assumant une humanit dans le sein dune femme ? Cest dans
ce sein quil sest incarn sans y tre enferm, puisquil y a sjourn par
sa nature dhumaine faiblesse, alors quil se trouvait hors du monde222 par
la puissance de sa majest223 .
Origine du hros
Au sujet du clan de Gdon, celui dAbizer, Origne montre quil sait
lhbreu : selon lui,Abizer signifie secours de mon pre224 , une dnomination hautement significative qui permet Origne dinterprter la
218. CChSL 72, 67 : Gad tentatio siue latrunculus uel fortuna ; 75 : Gad tentatio siue
acinctus uel latrunculus ; 160 : Gad tentatio. Ajouter, 75 : Gadi haedus siue tentatio mea ;
100 : Gadam tentatio uel adcinctio populi ; 80 : Dibongad sufficienter intellegens
tentationem ; 116 : Mageddo de tentatione ; 104 : Maggedon tentans. Comparer Procope de
Gaza, Com. in Gen. 49, 19 (PG 87/1, 505-506) : Nomen autem Gad significat tentationem
aut probationem.
219. PL 23, 1217-1218.
220. On suppose ici une lacune, avec omission de peiratrion (ou dj de peirasmos ?).
221. En revanche, quand il rend Gedeoni par tentatio iniquitatis uel tentatio humilitatis
meae (CChSL 72, 82), Jrme tmoigne dune interprtation o lafformante thique -i est
comprise comme un pronom affixe. Ici la variante humilitatis meae relve dune mtathse,
wn devenant nw (anaw), humble, cf. anawah, humilit.
222. Variante : du sein.
223. Mor. in Iob 30, 73 : PL 76, 565. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud. 5 : PL
83, 384.
224. Patris mei auxilium. En ralit ce nom veut dire : Pre est secours (avecyod de
liaison) : voir M. Noth,Die israelitische Personennamen, im Rahmen der gemeinsemitischen Namengebung, Stuttgart 1928, rimr. Hildesheim 1966, 33-38, 68-70.
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cience, tout leffort antrieur sera devenu vain (voir z 3,20). Do la recommandation de veiller sur son coeur (Pr 4,23).
Cette recommandation vaut tout spcialement lorsque aux ennemis spirituels se substituent les perscuteurs. Cest alors le moment de confesser
sa faiblesse et de prier Dieu de ne pas livrer ses fidles aux mains de
Madian, aux btes (Ps 73 hbr. 74,19), ceux qui disent : Quand viendra le temps o pouvoir nous sera donn dagir contre les chrtiens ? Quand
seront-ils livrs entre nos mains ceux qui disent avoir ou connatre Dieu ?.
Occasion pour Origne, lhomme qui comptait toujours avec la possibilit
du martyre230 , dpiloguer sur sa valeur inestimable, sur ce baptme dont
le rle purificateur surpasse celui du baptme deau, puisque celui qui a
reu le premier ne peut plus pcher : aprs un tel baptme, les Madianites
eux-mmes ne sauraient envahir lme pour en dtruire et dvaster les
fruits231 .
230. H.F. Von Campenhausen, Les Pres grecs, Paris 1963, 51. Sur le martyre chez Origne, voir Hartmann, Origne et la thologie du martyre daprs les Protreptikon, ETL 34
(1958) 773-824; H. Crouzel, Mort et immortalit selon Origne, BLE 79 (1978) 19-38,
81-96, 181-196 (33-36).
231. Hom. 8 in Iud. : GCS, Origne, 7, 507.
232. Com. in Iud. : PG 87/1, 1065. Les Septante (A) ont dans les deux cas le motdrys. Lhbreu en revanche porte elon (pluriel construit) en Gn 18,1 et elah en Jg 6, 11.19.
233. De Spir. sancto I, Prol., 1 : CSEL 79, 15.
231
pour recevoir la grce divine, accepter une purification : tel le grain dbarrass de la paille, les fidles, rudoys par le bton de la vrit, ont dposer les vtement superflus du vieil homme avec ses actions (Col
3,9)234 ?
Dans ce rcit le texte sacr laisse subsister une quivoque, parlant tantt de lange du Seigneur (6,11.12.20.21.22) tantt du Seigneur luimme (6,14.16), lequel sexprime en son nom propre en disant : Nest-ce
pas moi qui tenvoie ? (6,14).Augustin offre une solution ce problme :
la diffrence de Dbora sadressant Barac (Jg 4,6), lange est ici revtu
dautorit divine (tamquam ex Domini auctoritate), du fait que le mme
Dieu qui a donn mission Gdon a galement envoy vers lui son
:
tecum potens
ange235 . Autre point : la salutation de lange Dominus
fortitudine (Jg 6,12) est interprte contresens par Augustin, soucieux de
sauvegarder les privilges divins : en voyant dans le motpotens non un
vocatif mais un nominatif, il soustrait Gdon un dnomination juge
excessive pour lattribuer Dieu236 . propos de lexpression In me, Domine (Jg 6,13.15), le mme Augustin glose en traduisant par : Regardemoi237 . Une autre remarque philologique lui permet de prciser la fonction
de lange au cours du rite qui va suivre : puisque Gdon dit seulement :
Joffrirai et non : Je toffrirai mon sacrifice (6,18), il indique quil
nenvisage pas de sacrifier lange. Du reste celui-ci le montre bien puisquil remplit ici loffice de ministre238 . Cest galement ce que pense
Thodoret de Cyr : en mettant le feu loblation (6,21) lange na pas ravi
Dieu lhonneur qui lui est d, mais il a exerc la fonction de prtre, lorsque, frappant la roche de sa canne, il a dvor loffrande tout entire dun
feu prodigieux (paradoxi)239 .
Passons lallgorie qui affecte les dtails du sacrifice. Le bton qui,
pour Procope, voque appui et secours240 est le type de la croix du Christ
234. Ibid. : CSEL 79, 15. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud. 3 : PL 83, 381 ; Ps.
Augustin, Sermo 108 de tem : PL 39, 1816-1818.
235. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 33 : CChSL 33, 348.
236. Ibid. : CChSL,ibid.
237. Ibid., Qu. 34 : CChSL,ibid. Lhbreu b adonay est une simple formule par laquelle
un infrieur introduit une rplique au cours dune conversation avec un suprieur. Pardon
la rend bien en franais. Voir L. Koehler - W. Baumgartner, Hebrisches und aramisches
Lexikon zum Alten Testamnt, I, Leiden 1967 (3e d.), 117.
238. Ibid., Qu. 35 : CChSL 33, 348-349.
239. Qu. 13 in Iud. : PG 80, 501.
240. Com. in Iud. : PG 87/1, 1065.
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paens devaient tre abolis aprs lavnement du Seigneur et quon offrirait Dieu lunique sacrifice de la Passion du Seigneur pour la rdemption du peuple. Ce veau en effet tait le Christ en figure (erat in typo
Christus), dans lequel rsidait la plnitude des sept vertus spirituelles,
comme la dit Isae (11,2). Ce veau, Abraham la galement offert (Gn
18,7) quand il vit le jour du Seigneur et quil sest rjoui (Jn 8,56). Cest
lui, (le Christ), qui tait (alors) offert sous la figure tantt dun chevreau,
tantt dune brebis, tantt dun veau. Dun chevreau, du fait que le sacrifice est offert pour le pch (Lv 16,15-22) ; dune brebis, parce que la victime est volontaire (Jr 11,19 ; Is 53,7) ; dun veau, du fait que la victime
est sans tache (Lv 4,3)250 .
250. De Spir. sancto I, Prol., 4 : CSEL 79, 17. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud.
3 : PL 83, 382; Ps. Augustin,Sermo 108 de tem : PL 39, 1816 et 1818.
251. tymologie fantaisiste qui figure dj chez Philon, Mut. nom. 106. Le mot est dcompos en min - din.
252. Hom. 8 in Iud. 1 : GCS, Origne, 7, 508-509.
253. Voir Origne, Com. in e ad Rom. II, 8-9 sur Rm 2,12-16 : PG 14, 890-893.
254. Mor. in Iob 30, 25 : PL 76, 656.
255. De am, peuple, et laqaq, lcher. Ltymologie est fantaisiste.
256. Hom. 8 in Iud. 1 : GCS, Origne, 7, 509.
235
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pendant certaines variantes. On peut le noter en considrant ses deux reprsentants les plus anciens : Irne et Origne.
Premier tmoin, Irne voit ici la prfiguration du don de lEsprit Saint,
dabord accord Isral, puis au Christ et, par lui, lglise. Cest la raison pour laquelle Gdon, aprs la demande dun premier signe, en sollicite un second :
il prophtisa par l que sur la toison de laine, qui seule avait dabord reu
la rose et qui tait la figure du peuple dIsral, viendrait la scheresse,
cest--dire que le peuple ne recevrait plus de Dieu lEsprit Saint selon
ce que dit Isae : Je commanderai aux nues de ne pas pleuvoir sur elle
(Is 5,6) tandis que sur toute la terre se rpandrait la rose, qui est lEsprit de Dieu. Cest prcisment cet Esprit que le Seigneur son tour a
donn lglise en envoyant des cieux le Paraclet sur toute la terre261 .
Avant de retrouver ce type dinterprtation chez Origne, voyons comment celui-ci sefforce de prvenir un scandale. On stonne en effet que
Gdon, aprs un prodige aussi merveilleux que celui qui vient dtre opr
par lange ait pu requrir un nouveau signe, de plus ddoubl. Nest-il pas
crit : T
u ne tenteras pas le Seigneur ton Dieu (Dt 6,16 ; Mt 4,7 par
.) ?
En ralit, rpond Origne, le succs de la demande montre bien quelle
nallait pas contre ce commandement divin, Dieu ne pouvant accorder ce
qui va contre la loi dont il est lauteur. Mais il y a plus, car, en se comportant de la sorte, Gdon, homme trs croyant, nous donne en fait un
exemple de prudence spirituelle. Sans doute a-t-il vu un ange, mais il savait aussi que les anges de tnbres peuvent se transformer en anges de
lumire (2 Co 11,14). Do cette vrification, parce que le spirituel
prouve tout (1 Co 2,15). Gdon se dit : Je veux... prouver cet esprit
pour voir sil est de Dieu (cf. 1 Jn 4,1). Il tait du reste incit dans ce sens
par son prdcesseur Josu, lequel navait pas craint dinterroger lange
guerrier qui lui apparaissait en lui disant : Es-tu pour nous ou pour nos
adversaires ? (Jos 5,13)262 .
Dailleurs, rtorque Ambroise, comment considrer cette recherche de
preuves comme empreinte de doute et dincertitude, alors que son auteur
nonait des mystres ?. En ralit Gdon, loin dtre dans le doute, prvenait nos propres doutes en sollicitant une manifestation de caractre prophtique263 . Et quannonait-elle ? IciAmbroise, comme de nombreux
261. C. haer. III, 17, 3 ; trad. A. Rousseau - L. Doutreleau, SC 211, 335 et 337.
262. Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne 7, 511 et 513.
263. De Spir. sancto I, Prol., 6 : CSEL 79, 18. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud.
4 : PL 83, 382.
237
autres, dpend de lallgorie typologique dOrigne, lequel se souvient modestement des opuscules (in libelllis suis) dun de ses prdcesseurs264 pour
dvelopper lexgse suivante : la toison reprsente Isral dabord baign de
la rose de la loi mosaque alors que les autres peuples sont dans la scheresse, mais vient le temps o, avec le Christ, ce sont les Gentils qui reoivent
la parole de Dieu et o les Juifs incrdules en sont dsormais privs. Telle est
lhistoire du salut, dont laboutissement suscite llan de lorateur :
Vois tout ce peuple qui, form des Gentils, sest rassembl par toute la
terre, ayant en lui la rose divine. Vois-le baign de la rose de Mose,
inond des crits des prophtes. Vois-le qui verdoie dans lhumidit de
lvangile et des aptres. Vois par contre lautre toison, cest--dire le
peuple juif, subissant la scheresse et laridit en labsence de la Parole,
selon quil est crit : Les fils dIsral seront longtemps sans roi ni prophte ; il ny aura ni autel ni victime ni sacrifice (Os 3,4). Tu constates
combien la scheresse demeure chez eux, quelle immense aridit de parole divine est leur sort.
Et pourtant le Christ nest-il pas venu chez les siens? Cest en effet ce
que constate Origne, quand il ajoute lexgse prcdente cette rflexion
sur le Psaume 71 (hbr. 72),6 : Et il descendra comme la pluie sur la toison et comme des gouttes sur la terre. Oui, le Christ est bien descendu sur
la toison, autrement dit, parmi le peuple de la circoncision. Mais sa grce a
inond de fait le reste de la terre, nous apportant les gouttes de la rose
cleste, pour que nous buvions, nous qui tions, sur la terre entire, desschs dune aridit chronique. Aussi peut-on comprendre que
saint Gdon, considrant dans lesprit de prophtie lordre dans lequel
devait saccomplir le mystre, ne sest pas content de demander un premier signe Dieu, mais en a requis un second, inverse du premier. Il savait
en effet que la rose divine, qui nest autre que la venue du Fils de Dieu,
devait advenir non seulement aux Juifs mais galement et la suite aux
Gentils, parce que le salut des Gentils drive de lincrdulit dIsral265 .
orale dHenri Crouzel), encore que les nuances qui sparent les deux commentaires soient
sensibles : celui dOrigne sarticule en effet sur lide de parole, alors que lvque de
Lyon songe au don de lEsprit.
265. Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne, 7, 513.
266. Qu. 15 in Iud. : PG 80, 501 : les dons chus aux Isralites passent ensuite la nature
humaine tout entire, qui reoit les dons spirituels dont Isral est dsormais priv.
238
S. LGASSE
267. Cette phrase ne se lit ni dans les Psaumes ni dans le reste de la Bible. Elle fait nanmoins songer Is 10,20 (hoi sthentes tou Iakb) ou Is 49, 6.
268. Com. in Iud. : PG 87/1, 1068.
269. Voir Ambroise, propos de Jg 6,11.
239
Lecteur dOrigne, Ambroise lui a emprunt la substance de son propre commentaire272 , non toutefois sans certaines amplifications, telle la
suivante, ce quon comparera au texte dOrigne prcdemment cit. Certains traits, dont lun ajout au rcit biblique, de lapparition de lange
Gdon font ressortir la grandeur du mystre contenu dans le lavement des
pieds des disciples par le Sauveur :
Je veux donc, moi aussi, laver les pieds de mes frres, je veux accomplir
le commandement du Seigneur. Il a voulu que je naie point honte, que je
ne ddaigne pas de faire ce que lui-mme a fait le premier. Il est bon, le
mystre de lhumilit, puisque tout en lavant les souillures dautrui je me
purifie des miennes. Mais tous ne pouvaient pas atteindre ce mystre. Sans
doute Abraham lui aussi voulut laver les pieds (Gn 18,4), mais ce fut par
sentiment dhospitalit. Pareillement Gdon voulait laver les pieds
lange du Seigneur qui lui apparut273 , mais il voulait les laver un seul, il
240
S. LGASSE
le voulait comme un signe dhommage, non comme le don dune communion avec lui (Jn 13,8)274 .
Avec Jrme cest encore la tradition exgtique qui voit dans le rcit
de la toison lannonce de la diffusion universelle de lvangile :
Depuis que, la toison de Jude sche, lunivers entier a t mouill de la
rose cleste, depuis que beaucoup qui venaient de lOrient et de lOccident se sont couchs dans le sein dAbraham (Mt 8,11), Dieu a cess de
ntre connu quen Jude et son nom de ntre glorifi quen Isral (Ps
75,2), mais cest sur la terre entire qua port la voix des aptres et jusquaux extrmits de la terre leurs paroles (Ps 18,5)275 .
241
Prolongeant les considrations prcdentes, un sermon anonyme, probablement du haut moyen ge279 , dveloppe les vertus de la toison, cette
fois sur un registre nettement marial :
Le prophte David en effet avait dj attest que le Sauveur devait descendre dans le sein de la Vierge de faon secrte et mystrieuse (latenter
et secreto) quand il disait : Il descendra comme la pluie sur la toison (Ps
71,6). Quoi daussi silencieux et discret que la pluie se rpandant sur une
277. Enar. in Ps. 71, 9 (v. 6) : CChSL 39, 978.
278. Sermo 143 de Annuntiatione : PL 52, 583. Ce sermon est prsent avec certitude
comme authentique par A. Olivar, Deux sermons restitus saint Pierre Chrysologue,
RBn 59 (1949) 114-136 (130).
279. Ps. Ambroise, Sermo 5, de natali Domini 3 (PL 17, 611-614) = (avec quelques variantes) Ps. Maxime de Turin, Sermo 5, de natali Domini 3 (PL 57, 541-544). Daprs R. Laurentin
(Court trait de thologie mariale, Paris 1953, 134, n 57), sappuyant sur une communication de Mlle Mutzenbecher, ce sermon (incipit :Qua gratia vel quibus laudibus) se trouve
dans le codex Saint-Gall ; il est donc antrieur la seconde moiti du VIIIe sicle.
242
S. LGASSE
280. PL 17, 613-614 ; 57, 542-543. Ce morceau se retrouve dans la compilation du Ps.
Rufin, Com. in LXXV Psalmos, Ps. 71, 6 (PL 21, 938), qui continue en renouant avec lapplication classique lhistoire du salut. Sur lexploitation mariale ultrieure, voir H.
Marracci, Polyanthea mariana, Cologne 1709, s.v. Vellus. Dans un autre secteur, une fusion, opportune croyait-on, fut effectue au bnfice de la maison de Bourgogne, entre la
toison dor de Jason et la toison de Gdon : voir H. Huizinga,LAutomne du moyen ge,
Paris 1975, 104-105.
281. Une rminiscence de Jg 7,3 se lit chez Tertullien (Adv. Marc. IV, 16,1 : CChSL 1,
581), introduisant le commandement de lamour des ennemis par ces mots :loquere in aures
audientium. Voir aussi 4 Esd 15,1 :Ecce loquere in aures plebis meae.
243
don, car aujourdhui encore le prince de notre milice, le Seigneur et Sauveur Jsus Christ, clame ladresse de ses soldats : Si quelquun est timide
et craintif de coeur, quil ne vienne pas mes combats ! quivalemment
retentit ici la parole du Christ : Celui qui ne prend pas sa croix et ne me suit
pas, etc. (Lc 14,26-27.33), par laquelle il carte et loigne de son camp les
timides et les pusillanimes. Et comme son arme combat laide de la seule
foi et non par la force physique, il arrive souvent que les femmes aient la
victoire, telles Dbora ou Judith, et, sans aller chercher dans lAntiquit,
telles ces femmes et ces jeunes vierges qui, aujourdhui encore, endurent le
martyre. Loccasion est de nouveau bonne dentretenir les fidles sur ce
grave sujet en leur donnant cette fois un conseil de prudence : que ceux qui
se sentiraient trop faibles naillent pas sexposer au martyre, de peur dapostasier. En effet, lessentiel est de ne pas renier Jsus, quon a confess une
fois et senfuir pour ne pas renier le Christ, cest encore le confesser. Par
consquent, si quelquun est timide et craintif de coeur, quil quitte le camp,
quil revienne chez lui, de peur de donner aux autres un exemple de crainte
et de terreur et davoir, par la suite, endurer le supplice que lApocalypse
(21,8) promet aux lches.
cette rfrence au martyre Origne ajoute une autre explication, tant
il est vrai que dans presque tous les actes des anciens sont reprsents
dnormes mystres282 . Sur lordre de Dieu Gdon entreprend une seconde puration (Jg 7,4-8). La descente dans leau suggre naturellement
laccs au baptme, et cest pourquoi les vingt-deux mille carts de larme symbolisent les catchumnes qui, effrays par les exigences de la vie
chrtienne, ont refus daller plus avant et ont t rprouvs. Les autres
sont venus vers leau, mais, selon le texte sacr (Jg 7,4), pour y tre mis
lpreuve. Cest que les nophytes doivent tre sur leurs gardes et, la diffrence de ceux qui sagenouillrent pour boire, demeurer debout et fermes
devant les tentations qui les attendent283 , sans se pencher vers les besoins
terrestres et corporels, ni concder aux vices en se prosternant, pousss
par la soif du pch284 .
Ce sont galement les forts (idonei et fortes) que Grgoire dElvire reconnat dans les trois cents qui participeront au combat. Mais pourquoi si
peu ? Cest que beaucoup sont appels mais peu sont lus (Mt 22,14).
282. In omnibus paene veterum gestis mysteria designantur ingentia. Sur ce genre de remarque et la conviction quelle exprime chez les pres et les mdivaux, voir De Lubac,
Exgse mdivale, I/1, 119-128.
283. Origne cite Is 35,3 ; Ga 5,1 ; Ph 4,1 ; 1 Th 3,8.
284. Hom. 9 in Iud. : GCS, Origne, 7, 520.
244
S. LGASSE
Grgoire voit ici lexpression du petit reste fidle, allguant Is 10,22 (cit
en Rm 9,27) : Le nombre des fils dIsral serait-il comme le sable de la
mer, un reste seulement sera sauv285 .
Sur le mme passage Procope nous laisse le choix entre deux interprtations contradictoires. Certains identifient dans ceux qui laprent leau du
torrent sans flchir le genou des indolents et des paresseux (ntheis kai
argous). Ce sont pourtant ces fidles qui, la suite de Gdon, ont remport la victoire. De mme, cest en choisissant les faibles de ce monde,
des pcheurs et un artisan en cuir (Paul), que le Christ a mis fin lattaque
des nations, entendons, des puissances dmoniaques dont Madian est le
symbole. Mais on peut aussi inverser lexgse et considrer que les trois
cents qui ont lap leau sont des forts, ceux qui ne cdent pas la facilit
mais pratiquent lascse et la temprance : Cest une belle vertu que la
temprance (egkrateia), comme en tmoignent les compagnons de Gdon
qui ont triomph de Madian286 .
Doctrine et exemple, telle est la perspective dans laquelle Grgoire le
Grand envisage cette seconde partie de lpisode en lappliquant ceux qui
enseignent dans lglise. Leau, cest la doctrine de sagesse. Ne pas plier
le genou pour boire signifie la rectitude de laction (recta operatio). Le
Christ part au combat contre les ennemis de la foi avec ceux qui, tout en
puisant aux eaux de la doctrine, ninflchissent pas la rectitude des
oeuvres (Rm 2,13 ; He 12,2). De tels hommes manifestent dans leur action ce quils proclament de bouche; ils puisent spirituellement aux flots
de la doctrine, sans se pencher charnellement par de mauvaises actions,
comme il est crit : <Elle nest pas belle la louange dans la bouche des
pcheurs> (Si 15,9)287 .
Cette application est bauche par Origne, que stimule une difficult
du texte. En Juges 7,5 on lit : T
ous ceux qui laperont leau avec la langue
comme lape le chien. Mais au verset suivant les mmes sont dits avoir
lap leau avec leur main leur bouche288 . Lallgorie rsout le dilemme :
285. Tract. Origenis 14,3 : CChSL 69, 107.
286. Com. in Iud. : PG 87/1, 1068.
287. Mor. in Iob 30,74 : PL 76, 566.
288. Ainsi dans lhbreu et LXX B. Loriginal est probablement corrompu. LXX A remplace, au verset 6, main par langue et supprime leur bouche, un arrangement manifeste. Augustin (Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 37 : CChSL 33, 350), qui fait remarquer que la
plupart des codices latins omettent avec leur main au verset 6, sefforce de concilier les
deux gestes : les trois cents prenaient leau dans le creux de la main et la jetaient dans leur
bouche; cest en cela quils imitaient les chiens qui, en buvant naspirent pas leau longs
traits comme les boeufs mais lattirent avec leur langue.
245
246
S. LGASSE
Mais lallusion lorthodoxie trinitaire est encore trop peu pour qui
veut extraire toute la substance dun chiffre aussi prometteur. Pour y russir on avait les encouragements dune tradition dj ancienne, comme en
tmoigne le Pseudo-Barnab (9,8) : dsormais le nombre trois cents vo-
prodiges bibliques qui commence avec lenlvement dHnoch et sachve par les miracles du Christ et des aptres, Grgoire nomme, entre autres, la terre et la toison
demeurant tour tour couvertes de rose et prserves de lhumidit la poigne de
soldats dlite qui laprent dans lesquels fut mise la foi en la victoire et qui vainquirent
de fait, selon lespoir qui reposait en eux, les milliers dhommes bien suprieurs leur
petit nombre.
295. Hom. 9 in Iud. 2 : GCS, Origne, 7, 521.
296. Mor. in Iob 35 : PL 566.
247
297. Sur ce symbole dans lensemble de la littrature patristique, voir H. Rahner, Symbole
der Kirche. Die Ekklesiologie der Vter, Salzbourg 1964, 406-431. Concernant le sort ultrieur de ce signe, voir D. Vorreux, Un symbole franciscain, le tau : histoire, thologie et
iconographie, Paris 1977.
298. Hoc etenim signo praedonum strauit aceruos / Congressus populo Christi sine milite
multo. / Tercento equite (numerus Tau littera Graeca) / Armatis facibusque et cornibus ore
canentum / Tau signum crucis, et cornu praeconia uitae : CChSL 2, 1436.
299. Tract. Origenis 14,14 : CChSL 69, 107.
300. Tract. Origenis 14,17 : CChSL 69, 110.
248
S. LGASSE
249
Terminons ce point avec Grgoire le Grand chez qui apparaissent quelques particularits. Et dabord sa remarque concernant le tau : cette lettre,
nous dit-il, noffre quune similitude avec la croix ; pour obtenir une identit, il faut munir le tau dune branche suprieure309 . Comme le souligne
Hugo Rahner310 , on voit que le sens, quon peut appeler grec, de lallgorie est en train de mourir. Les prdcesseurs de Grgoire ne sembarrassaient pas de tant de scrupules ou bien, comme Jrme311 , rappelaient la
forme de croix du taw dans lancien alphabet hbreu (samaritain), ce dont
Grgoire natteste pas la moindre ide. Peu importe, car son but est avant
tout moral : en suivant Gdon, les trois cents, dont le nombre signifie la
croix, annoncent ceux qui suivent le Christ dans ses souffrances en portant
leur croix (Mt 16,24 par.). Mais au temps de Grgoire le martyre a cd la
place un autre type de combat :
Ceux qui suivent le Seigneur portent dautant plus rellement leur croix
quil se domptent vigoureusement eux-mmes et sont tourments de compassion, fruit de la charit, lgard de leur prochain. Cest pourquoi il
est dit par le prophte zchiel (9,4) : Marque duntau au front les hommes qui gmissent et saffligent312 .
speciem tenet. Cui si super transversam id quod in cruce eminet adderetur, non iam crucis
species, sed ipsa crux esset : Mor. in Iob30,25 : PL 76, 566.
310. Symbole, 423.
311. Com. in Ez. 3,9 : CChSL 75, 106-107. Voir aussi Ps. Jrme (Bde),In Lam. Ier. : PL
25, 792. On devine limportance de cette ancienne configuration du taw hbreu pour lapplication chrtienne dz 9,4 : voir Rahner,Symbole, 410-411.
312. Mor. in Iob 30,35 : PL 76, 566. Isidore de Sville Alleg.
(
76 : PL 83, 111) rsume en
quelques mots lallgorie traditionnelle au sujet du tau : Gdon avec ses trois cents hommes
est le type du Christ qui a remport la victoire sur le monde par le signe de la croix. En effet
le nombre trois cents est contenu dans la lettre tau, laquelle offre laspect dune croix.
250
S. LGASSE
251
Mais un pain dorge est-il apte signifier un tel mystre ? Les interprtations rapportes par Procope tmoignent davis diffrents. Pour les uns,
le pain dorge, aliment fruste, est le signe de la temprance (egkrateia)
grce laquelle la victoire a t remporte sur le camp de Madian. Pour
les autres, limage vise non les soldats de Gdon mais leurs adversaires :
la nature grossire du pain fait penser la dbauche qui caractrisait les
Madianites et par laquelle ils avaient nagure dvoy Isral (Nb 25,118)319 . Augustin retient le mme aspect, mais pour lappliquer la fondation de lglise : cette figure a la mme signification que celle des chiens :
le Sauveur devait confondre les superbes par ce qui est mprisable aux
yeux du monde (1 Co 1,28)320 .
par Grgoire porte :et ecce magida panis hordeaceus volvebatur in castra Madian, o le
mot magis est pris dans son sens de rcipient et o, corollairement figure un in qui ne
correspond ni lhbreu ni aux Septante : dans ceux-ci kai
( idou magis artou krithiniou) le
mot magis signifie miche ou galette. tant donn que Grgoire se singularise sur ce
point (voir T. Ayuso Marazuela, La Vetus Latina Hispana, II, Madrid 1967, 294-295), on le
souponne davoir, ici encore, modifi le texte de sa citation en vue de lexgse qui suit.
318. Tract. Origenis 14,5-16 : CChSL 69, 107-110.
319. Com. in Iud. : PG 97/1, 1068.
320. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 39 : CChSL 33, 351-352.
252
S. LGASSE
Alors que Thodoret considre ici lenvoi des aptres portant les torches des miracles et la trompette de la prdication325 , cest aux cruches
321. Qu. in Iud. 16 : PG 80, 501; idem Procope,Com. in Iud. : PG 87/1, 1068.
322. Mor. in Iob 30,25 : PL 76, 565. Repris par Isidore de Sville,Qu. in lib. Iud. : PL 83,
383-384.
323. Procope (Com. in Iud. : PG 87/1, 1069) renvoie explicitement aux vierges sages de
lvangile.
324. Hom. 9 in Iud. 2 : GCS, Origne, 7, 521-522.
253
254
S. LGASSE
Grgoire le Grand stend lui aussi sur le singulier attirail des soldats
de Gdon dont il donne, demble, la triple signification par une manire
de lexique : les trompettes dsignent la clameur des prdicateurs (de
lvangile) ; les torches, la clart des miracles ; les cruches, la fragilit des
corps. En fait, le dveloppement qui suit est centr avant tout sur le martyre des aptres et la conversion des perscuteurs :
Ceux que notre Chef a mens avec lui au combat de la prdication ont t
tels que, mprisant le salut des corps, ils ont abattu leurs ennemis en mourant eux-mmes et triomph de leurs pes non par des armes, non par des
pes, mais par le support. Car cest bien sans armes que nos martyrs sont
venus au combat sous le commandement de leur Chef, mais avec des
trompettes, mais avec des cruches, mais avec des torches ! Ils ont sonn
de la trompette en prchant ; ils ont bris les cruches en opposant aux glaives ennemis leurs corps pour tre briss par la souffrance ; ils ont brill
par les torches quand, aprs la destruction de leurs corps, ils ont tincel
par les miracles. Et sans attendre, les ennemis en fuite se sont retourns :
voyant tinceler de miracles les corps des martyrs dfunts, briss par la
lumire de la vrit, ils ont cru ce quils avaient combattu.
Tant il est vrai que les prdicateurs de lvangile ont remport plus de
succs une fois morts327 que par laction quils menrent de leur vivant,
autrement dit,
les ennemis ont rsist aux cruches328 , mais ils se sont enfuis devant les
torches. Car les perscuteurs de la sainte glise ont bien rsist aux prdicateurs de la foi tant quils se trouvaient dans leurs corps; mais aprs la
destruction de ceux-ci, ils ont pris la fuite lapparition des miracles, tant
donn que, saisis de frayeur, ils ont cess de perscuter les fidles. En
dautres termes, par la prdication des trompettes, les cruches des corps
tant brises, ils ont t terrifis en voyant les torches des miracles.
Mais il ne faut pas ngliger un dtail : les soldats de Gdon tenaient leur
trompette dans la main droite et leur cruche dans la gauche. Or, daprs lestimation courante, la droite quivaut ce qui est important, la gauche ce qui
est ngligeable. Do lapplication : les martyrs du Christ ont en haute estime la grce de la prdication; ils tiennent en revanche pour peu de chose
lintrt des corps. Mais les torches voquent aussi la lampe que, selon lvangile (Mt 5,15), on ne doit pas mettre sous le boisseau, cest--dire lavantage
temporel, lequel ne doit pas cacher la lumire de la prdication, ce que, en
327. Cest lunion mystique, on la prdication de lvangile que saint Jean de la Croix
applique le mme pisode dans la Monte du Carmel, l. II, ch. 10.
328. entendre symboliquement non daprs la lettre du texte biblique.
255
329. Mor. in Iob 30,25 : PL 76, 566-567. Sur cette institution prmonastique dans les communauts syriaques, objet dun long dbat, voir les remarques de T. Jansma, Aphraates
Demonstration VII 18 and 20. Some Observations on the Discourse on Penance, PdO 5
(1974) 21-48 ; R. Murray,Symbols of Church and Kingdom. A Study in Early Syriac Tradition, Cambridge 1975, 12-17. Il est loin dtre prouv que les connexions asctiques du
baptme, lpoque et dans le milieu dAphraate, aient perdu de leur vigueur et que lexhortation de Dm. VII,18 nait t alors quune simple survivance liturgique, comme le
soutient A. Vbus, Celibacy, a Requirement for Admission to Baptism in the Early Syrian
Church, Stockholm 1951; Idem, A History of Asceticism in the Syrian Orient (CSCO, subs.,
14, t. I), Louvain 1958, 93-95, 175-178.
330. Voir R. Murray, The Exhortation to Candidates for Ascetical Vows at Baptism in the
Ancien Syriac Church, NTS 21 (1974-75) 59-80 (60-61) ; Idem,Symbols, 15.
331. Voir Murray, The Exhortation ; Idem,Symbols, 15.
332. Dm. VII,18 : PS I/1, 341 et 344.
256
S. LGASSE
Telle est la discrimination que prfigure lpisode du torrent en Juges 7,47, type du baptme, symbole du combat (asctique) et image des <solitaires>, peu nombreux comme les trois cents guerriers de Gdon et conformes
la sentence vanglique : Beaucoup sont appels, mais peu sont lus (Mt
22,14)333 . Suit une parnse devant tre adresse aux candidats au baptme
par les joueurs de trompette, les hrauts de lglise et dont le sens est de
mettre ces candidats devant un choix : quils dcident avant le baptme sils
veulent mener la vie asctique ou tre chrtiens maris, grant leur proprit
et les affaires de ce monde334 . Aprs quoi, les ministres conduiront leau
du baptme ceux qui auront t choisis pour le combat et ils les prouveront.
Ici la comparaison avec les guerriers de Gdon devient boiteuse335 : ce nest
pas en effet pendant la crmonie du baptme que les prtres pouvaient observer les critres permettant de slectionner les sujets aptes la vie asctique ! Mais pour qui lenseignement est avant tout une paraphrase scripturaire
ladhsion au texte sacr devient une ncessit. Cest pourquoi Aphraate continue en mettant au jour le grand mystre que recle lordre donn par Dieu
Gdon : Quiconque aura lap leau comme un chien doit aller au combat
(daprs Jg 7,5). Ce mystre, le voici :
De tous les animaux qui ont t crs avec lhomme aucun naime son
matre comme le chien, ni ne veille jour et nuit ses cts. Quoique son
matre le frappe souvent, il ne le quitte pas. Quand il accompagne son
matre la chasse et quun lion vigoureux tombe sur ce dernier, il donne
sa vie sa place. Cest ainsi que se comportent ls vaillants qui se sont mis
part au moyen de leau. Ils suivent leur matre comme des chiens, donnent leur vie pour lui, mnent courageusement son combat et veillent jour
et nuit ses cts. Ils aboient comme des chiens, mditant la loi jour et
nuit (Ps 1,2). Ils aiment notre Seigneur et lchent ses plaies (Lc 16,21)
quand, recevant son corps, ils le placent sous leur regard336 et le lchent
de leurs langues comme le chien lche son matre. Ceux, par contre, qui
ne mditent pas la loi sont appels chiens muets qui ne peuvent aboyer
333. Dm. VII,19 : PS I/1, 244-345.
334. Dm. VII,20 : PS I/1, 345.
335. Voir E.J. Duncan, Baptism in the Demonstrations of Aphraates the Persian Sage,
dont tmoignent Cyrille de Jrusalem Cat. myst. 5,21-22 (PG 32, 1123-1126) et Jean Damascne, De fide orth. 4,13 (PG 94, 1149). Le premier exhorte ainsi le fidle : puisque sur
ta main droite va se poser le Roi, fais-lui un trne de ta gauche ; dans le creux de ta main
reois le corps du Christ, et rponds : Amen. Aprs avoir avec attention sanctifi tes yeux
par le contact du saint corps, prends-le et veille nen rien laisser perdre (trad. J. Bouvet,
Saint Cyrille de Jrusalem Catchses baptismales et mystagogiques, Namuir 1962, 485).
257
et tous ceux qui ne sadonnent pas au jene sont appels chiens avides337
et incapables de se rassasier (Is 56,10-11). Mais ceux qui sappliquent
implorer la misricorde reoivent le pain des enfants et on le leur jette (Mt
15,6)338 .
258
S. LGASSE
voir De Vaux, Les institutions de lAncien Testament, II, 200-206 ; Elliger,Leviticus, 116-117.
346. Logion ou logeion dsigne le pectoral dans les Septante et les autres versions grecques
de la Bible chez Josphe (AJ III,163), Philon (Vita Mos. II,13), et gard la fonction oraculaire de cet ornement. Ltymologie du terme hbreu correspondant (hoshen) est discute.
La Vulgate rend machinalement le grec par rationale.
347. Qu. in Iud. 17 : PG 80, 504.
259
(Jg 8,26) ? Car il sagissait bien dune vtement, comme le confirme lexpression ephud bar (= ephod bad) pour dsigner la tunique de lin que la mre
de Samuel fit pour son fils (1 S 2,18). Augustin offre une premire solution
ce problme : le vtement en question tait tout en or et si raide quil pouvait
tenir debout : il nest pas dit en effet que Gdon le dposa, mais quil le
dressa (statuit). Plus loin cependant Augustin envisage dautres possibilits.
La premire est de comprendre lphod comme pars pro toto : avec lor des
dpouilles Gdon aurait fond un sanctuaire, avec tous ses ornements et
ustensiles sacrs, parmi lesquels figurait lphod pontifical ; celui-ci les rsumait tous, tant le vtement par excellence du sacerdoce. Mais on peut
aussi penser que Gdon, pour confectionner lphod, nutilisa quune partie
des dpouilles, juste ce qui tait ncessaire348 .
Plus dlicat est le problme pos par lidoltrie que Gdon dclencha
par cette opration. Thodoret sefforce dinnocenter notre hros : si, apparemment, celui-ci commit une infraction la Loi, puisque seuls les prtres
pouvaient porter lphod, en fait on ne peut laccuser dimpit (asebeia).
Car, dabord, tant prince et stratge, il avait besoin de cet accessoire pour
sorienter dans ses campagnes, comme ce fut le cas plus tard pour Sal (1 S
14,18-29). Quant au rle idoltrique de cet objet, Gdon nen est pas responsable : cest le peuple qui, loccasion de lphod, a sombr dans liniquit. Mal lui en prit dailleurs, car ce qui arriva par la suite Abimlek et
aux Sichmites (Jg 9,22-49) montre assez que laccord pervers de ceux qui
usrent de (lphod) procura leur massacre gnral du fait de la dissension
laquelle cet accord aboutit. Car ceux qui sentendirent pour massacrer les
fils de Gdon (Jg 9,5) se dtruisirent mutuellement349 .
Pour Augustin en revanche, Gdon fut bel et bien coupable dans cette
affaire. Non quil ait dvoy le peuple en rigeant lui-mme une idole :
lphod nen tait pas une mais un vtement sacerdotal. Pourtant il tait
interdit de faire quoi que ce soit de semblable en dehors du cadre du tabernacle et de son culte. En effet si, consacrs au culte de Dieu dans le tabernacle, de tels objets taient par le fait mme labri dhommages
idoltriques, il nen allait pas de mme quand ils se trouvaient hors du
sanctuaire lgitime. Ce fut donc une faute qui entrana la perte de Gdon
et de sa famille350 . Mais nouvelle question comment se fait-il que, selon la Bible (Jg 8,28), le pays ait t en repos pendant quarante ans, alors
que Gdon venait dentraner Isral dans le pch en rigeant lphod ?
348. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 41 : CChSL 33, 352-354.
349. Qu. in Iud. 17 : PG 80, 504-505.
350. Qu. in Hept. 7 ;Qu. Iud. 41 : CChSL 33, 352-355.
260
S. LGASSE
261
(lptre est attribue Paul) fait mention dans le catalogue des prophtes
(He 11,32), prvoit en effectuant chacune de ses dmarches toute sorte de
mystres354 . Partout il reconnat par la vigueur de son esprit le symbole
dune ralit spirituelle355 et, dou dun sens prmonitoire, il ne cesse de
prter attention aux mystres den haut356 . Jusquau nom mme de Gdon qui, nous lavons vu, annonce lincarnation du Fils de Dieu !
Mais il convenait quune fonction aussi sublime saccompagnt de la
plus haute qualit morale. Alors que tel Pre vante la modestie de Gdon357 , cest la foi qui, au jugement de lensemble, constitue sa vertu principale, comme il dcoule dHbreux 11,32. Homme trs croyant358 , cest
en mettant sa foi en Dieu quil a triomph de tant de milliers dennemis
avec trois cents hommes, ce qui explique que Paul lait compt au nombre des croyants359 . Cest dans cette perspective que, selon Thodoret, il
faut comprendre lordre divin en Juges 6,14 : V
a avec cette force qui est
tienne revient dire : A
vec cette foi dispose tes troupes et tu vaincras.
Gdon en effet, daprs le verset prcdent, se souvenait des merveilles
accomplies par Dieu et il avait sur Dieu une doctrine ferme (bebaian
doxan) qui lamenait penser que Dieu pourrait, sil le voulait, sauver facilement (les Isralites) des calamits qui les opprimaient360 . Aussi ne
faut-il pas stonner que certains Pres361 nhsitent pas gratifier Gdon
du titre de saint.
Simon Lgasse, ofm cap
Institut Catholique, Toulouse
la rpartie en Jg 6,15.
358. Origne, Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne, 7, 513.
359. Procope, Com. in Iud. : PG 87/1, 1065.
360. Qu. in Iud. 13 : PG 80, 501.
361. Origne, Hom. 8 in Iud. 4 : GCS, Origne, 7, 513 sanctus,
(
sanctissimus Gedeon) ;
262
S. LGASSE
M. C. Paczkowski
La tradizione dellesegesi cristiana dei primi secoli ricca di tante esperienze metodologiche e acquisizioni dottrinali. Ne fa parte il prologo del
IV Vangelo che, com largamente dimostrato, incide sulla riflessione della Chiesa antica. Sicuramente conviene seguire la linea interpretativa su un
punto scarsamente conosciuto: le risonanze dellespressione giovannea
seno del Padre (cf. Gv 1,18). Il materiale analizzato permetter di porre
in evidenza alcuni elementi che sono da considerare non solo come prodotti delle controversie, ma anche come acquisizioni dellesegesi cristiana
antica.
1. Il Padre [] scopre il suo seno, il suo seno lo Spirito Santo. Egli manifesta ci che di
lui era nascosto ci che di lui era nascosto suo Figlio , in modo che per le sue
misericordie gli eoni lo conoscano e cessino di soffrire nella ricerca del Padre, riposandosi
in lui, sapendo che questi il riposo. Ev. Veritatis XII; 9-20; cf. J. Mnard (par),
Lvangile de vrit (Nag Hammadi Studies 2), Leiden 1972, 51.
2. Cf. 19,4; 28,2.5: J.H. Charlesworth (ed.), The Odes of Salomon, Missoula 1977, 82; 109.
3. Oracula Sib. 439-440: GCS 8, 170.
LA 50 (2000) 263-314
264
M. C. PACZKOWSKI
Invece nel libro III troviamo la citazione di Gv 1,18 in riferimento allincarnazione che permette agli uomini di comprendere e di vedere il Figlio di Dio7. In realt il Dio invisibile pu essere visto per mezzo del Figlio,
il quale non al di fuori di lui, ma esiste nel seno del Padre8.
Ireneo di Lione propone anche un altro tipo di interpretazione del seno
del Padre, considerandolo come luogo di elezione dei salvati. (Cristo) si
prodigato [] per pura bont al fine di raggrupparci nel seno del Padre
(ut nos colligeret in sinum Patris)9.
Clemente utilizza il vangelo giovanneo per confutare alcuni presupposti estranei alla fede cristiana. Negli Exerpta ex Theodoto questa caratteristica particolarmente evidente. E lui che ha rivelato il seno del Padre,
lui - il Salvatore. Riferendosi alla citazione di Is 65,7 lautore degli
Exerpta spiega il significato del seno come pensiero (ennoia)10 che ri4. Cf. Acta Archelai 47: PL 10, 1508 A-B.
5. Cf. il prospetto delle citazioni elaborato da J. Hoh in Die Lehre des hl. Irenus ber das
265
siede nellanima, da dove questo pensiero trae la sua operazione11. In questa maniera il Nostro applica il concetto scritturistico allanima, linterno
pi intimo delluomo12.
Clemente pone le basi della dottrina del Dio benevolo e condiscendente. In realt luomo oggetto dellamore divino. E come non amato colui per il quale lUnigenito inviato dal seno del Padre, come Logos,
ragione della fede13? - si chiede il nostro autore. Queste constatazioni sono
il cuore della dottrina alessandrina e in questo punto sembrano essere in
immediato rapporto con linterpretazione giudeocristiana. Nella sua elaborazione, come in quella degli autori alessandrini, lespressione il seno del
Padre interpretata come il pensiero intimo di Dio e viene purificata da
ogni sospetto di antropomorfismo sconveniente14.
Contempla i misteri della carit e allora vedrai il seno del Padre che soltanto il Figlio Unigenito rivela. Dio stesso carit e per questa carit si
rese visibile a noi; la parte ineffabile di lui Padre, ma la parte che si
resa visibile alla nostra sofferenza madre. Con un atto di carit il Padre
prese natura femminile e il grande segno di questo atto colui che egli
gener da se stesso15.
questo autore il seno sinonimo dellanima. Cf. In Eccl. 7,9 (Scholion 58): SC 397, 162163; In Prov. 25,26 (Scholion 317): SC 340, 408-409. Nella maniera pi diffusa Evagrio ne
parla a proposito di Pr 16,33: Penso che nella misura uguale il seno indica sia lintelletto
che la scienza. Ma c anche il seno riprovevole, che indica chiaramente ignoranza. In
Prov. 16,33 (Scholion 152): SC 340, 246-247.
13. Paedagogus I,3,8: SC 70, 124-125.
14. Sicuramente Clemente doveva conoscere le correnti cristiane, soprattutto di ascendenza
asiatica, che affermavano una certa corporeit di Dio. I loro rappresentanti spingevano in
tal senso alcuni brani scritturistici.
15. Quis dives salvetur 37, 1-2: GCS 30 (17/2), 183-184.
16. Negli Oracula Chaldaica il seno inesprimibile identificato con Rhea-Hecate; cf.
ibid. 56: E. des Places (texte et tr.), Oracles Chaldaques (Les Belles Lettres), Paris 1971,
81. Hecate si identifica con il terzo principio che svolge un ruolo intermediario tra Dio-Padre e lintelletto-Logos. Hecate anche lanima del mondo; cf. G. Sfameni Gasparro,
Oracoli-II: Oracoli caldaici, DPAC, II, 2491.
266
M. C. PACZKOWSKI
Gv.
18. Cf. A. Orbe, La teologa del Espritu Santo. Estudios Valentinianos IV, Roma 19561966, 82.
19. Cf. G. Gennaro, Il Dio invisibile e il Figlio unigenito (Io. 1,18), RivBibIt 4 (1956) 171.
20. Stromata V, 81,2 - 5: SC 278, 158-159. Sono significative le menzioni del ko/lpo negli
Oracoli caldaici che si possono collegare con il brano riportato. La dottrina espressa in
questa raccolta di oracoli di ispirazione platonica e riguarda loperato di un Dio trascendente. Il testo dichiara: Nel seno della triade tutte le cose sono state sparse; Oracula
Chaldaica 28: de Places, Oracles Chaldaques, 73. Altrove il riferimento alle concezioni
neoplatoniche risulta pi palese: Le idee si dispongono intorno ad un seno terribile, ibid.
37: de Places, Oracles Chaldaques, 75-76. Per le altre menzioni del ko/lpo in Oracula
Chaldaica cf. ibid. 32; 35: de Places, Oracles Chaldaques, 74-75.
21. Clemente insiste sul concetto dellinfinit, per escludere nel Verbo la dimensione di
parzialit. I valentiniani supponevano che lentimema del Padre, manifestando agli uomini
la scienza, si fosse separato dal seno o dalla mente di Dio. Tuttavia, il pleroma sarebbe
rimasto intatto, mentre la sua epifania terrena dovrebbe coincidere con una defezione di
grandezza.
267
Posizione di Origene
Lutilizzo di Gv 1,18 si nota ad Alessandria non solo nel contesto polemico contro la gnosi eterodossa, ma anche nei vari filoni della teologia del
Logos. In realt, dopo le importanti premesse poste da Filone di Alessandria e dal prologo di Gv, la suddetta riflessione si abbozzata nelle opere
degli Apologisti durante il II secolo.
Lanalisi di Gv 1,18 che presenta Origene26 fa parte della sua
cristologia scritturistica, e ci nonostante le inclinazioni speculative e le
formulazioni ontologiche che hanno trovato il loro sbocco in alcuni tratti
del suo Commento a Giovanni. Tuttavia linteressamento dellAlessandrino
verso linizio del IV Vangelo rivela chiaramente che i suoi interessi
cristologici erano stimolati dai problemi suscitati dallo gnosticismo.
Proprio in questo contesto Origene ha dovuto occuparsi dellespressione oJ ko/lpo touv patro/. Lanalisi di questa espressione si inserisce
nellesegesi di tutto il passo di Gv 1,18 e tocca i concetti centrali sui cui
ruotava la disputa tra Origene stesso ed Eracleone. La discussione toccava
22. Stromata I, 26,169: SC 70, 167.
23. Sinesio di Cirene (ca. 370 - ca. 415) ) prega Dio di poter volare dal mondo visibile
verso la tua dimora, verso il tuo seno; cf. Hymnus 1 (3), 37-40: A. Garzya (a cura di),
Opere di Sinesio di Cirene (Classici greci UTET) Torino 1989, 738-739.
24. Quis dives salvetur 42: GCS 30 (17/2), 190.
25. Stromata V, 81,6 - 82,4: SC 278, 160-161.
26. Per il prospetto di citazioni di Gv 1,18 in Origene cf. B.D. Ehrman - G.D. Fee - M.W.
Holmes, The text of the fourth Gospel in the writings of Origen, I, Atlanta1992, 59-60.
268
M. C. PACZKOWSKI
La generazione del Figlio si identifica con la contemplazione ininterrotta della profondit del Padre da parte del Figlio Dio32 o, in altre parole,
il Figlio costantemente nutrito dal Padre33 che gli comunica in ogni
27. Cf. A. Orbe, El primer testimonio del Bautista sobre el Salvador segn Heraclen,
EE 30 (1956) 5-36. Orbe sostiene che Eracleone riscontrava nel Battista la presenza della
doppia dimensione: psichica e pneumatica.
28. Si tratta di un titolo abusato dagli gnostici. Ci spiega lestrema cautela con cui Origene
applica questo appellativo al Logos-Cristo (cf. In Joan. I, 19,110: SC 120, 118-119). Il nome
riservato piuttosto al Padre (cf. In Joan. II, 34, 199: SC 120, 344-345). Nel commento
origeniano al IV Vangelo evidente la preoccupazione di dimostrare che il Padre di Cristo
- Verbo identico al Dio dellAT chiamato proprio demiurgo.
29. Cf. In Joan. VI,111: SC 157, 212-213.
30. Cf. In Joan. VI,13: SC 157, 138-139.
31. In Joan. fr. XIV: BEP 12/4, Atene 1957, 345.
32. Cf. In Joan. II, 2, 18: SC 120, 218-219.
33. Cf. In Joan. XIII, 34, 219: SC 222, 148-149.
269
Origene evoca gli aspetti pi mistici per sottrarre il concetto del seno
divino ad unaccezione letterale e materialista. LApostolo Giovanni riposava sul seno di Ges come questi nel seno del Padre. Il nostro autore ritie34. Cf. In Joan. XX, 18: SC 290, 232-233, cf. H. Crouzel, Origene, Roma 1986, 254.
35. Analoghe interpretazioni ritroviamo in Tertulliano (De praescriptione haereticorum
XXII,4: CCL 1, 203), Ilario (De Trinitate II,21: CCL 62, 57), Ambrogio (De institutione
virginis 46: Opera [= Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera]14/2, 146-147) e
Agostino (De consensu Ev. I,4,7: NBA [= Nuova Biblioteca Agostiniana. Opere di
SantAgostino] 10/1, 8-9).
36. In Joan. XXXII, 23, 274: SC 385, 304-305.
37. In Joan. XXXII, 23, 263-265: SC 385, 298-301.
270
M. C. PACZKOWSKI
ne che la rivelazione pi profonda frutto di intimit. Ci adombra lo stesso evangelista nel v. 18 del prologo38. Si deve costatare per che, in questo
caso, lespressione di Gv 1,18 oltrepassava un determinato quadro della
rassegna dei testi scritturistici analizzati. Perci il nostro versetto citato
senza suscitare una particolare attenzione esegetica dellAlessandrino. Tuttavia interessante notare che Origene conclude lesposizione con lattacco contro una comprensione troppo letterale e carnale dellespressione
scritturistica. Il dottore alessandrino affermer altrove che il Verbo, grazie
alla sua bont, comunica agli uomini quanto attinge presso il Padre39.
Dal commento evangelico passiamo al De principiis dove il passo di
Gv 1,18 occupa un posto rilevante nella trattazione sistematica di alcune
tematiche teologiche. Le problematiche suscitate dalle espressioni giovannee sono connesse con la problematica antignostica. Servendosi di Gv
1,18 lAlessandrino tratta della natura di Dio Padre e del Figlio, il tipo di
rivelazione che il Figlio fa del Padre, lidentit del Dio rivelato nellAT con
il Padre di Ges Cristo40 e la loro sola e identica onnipotenza41. Ci confermato con la pi grande chiarezza dal Ringraziamento di Gregorio
Taumaturgo, che riproduce linsegnamento ricevuto dal suo grande maestro: il Padre ha fatto il Figlio uno con lui e per cos dire si avviluppa di
lui per la forza di suo Figlio del tutto uguale alla sua propria42. Il Verbo
di natura divina perch presso Dio e persevera nella contemplazione delle profondit del Padre.
38. Il discepolo riposava nella facolt principale di Ges e nel significato intimo della sua
271
Gv. Questo silenzio sul Vangelo spirituale testimonia i contrasti sviluppatisi circa gli scritti giovannei. Le cause sono da ricercare nei problemi creati
dagli gnostici e montanisti che, a vario titolo, si richiamavano agli scritti
del Discepolo Amato43.
Si conosce la reazione difensiva degli scritti giovannei da parte di
Ippolito di Roma. Nel Contra Noetum egli combatte una dottrina simile al
sabellianismo che identificava Padre e Figlio in base ad alcuni testi tratti
principalmente dal IV Vangelo44. Uno dei brani di questopera ippolitiana
usa Gv 1,1845 nel contesto dellanalisi delle prerogative del Verbo Incarnato che si manifesta come espressione visibile della volont del Padre. Bar
3,36.38 costituisce la struttura portante; Gv 1,18 e 3,13.32 invece dimostrano che il Padre diede al Figlio ogni conoscenza e solo lui conosce il suo
pensiero. Come Ippolito, molti autori del III secolo mostravano come il IV
Vangelo testimoniasse il fatto che lunit Padre/Figlio tale che implica la
distinzione tra di essi. Su questo punto la riflessione ippolitiana simile a
quella di altri Padri.
Ippolito costituisce per uneccezione perch negli autori fuori dellarea
giudeo - cristiana e alessandrina, per quanto ci giunto, lespressione oJ
ko/lpo touv patro/ non sembra aver rivestito un particolare significato.
Tertulliano invece inserisce il concetto del seno divino nella polemica antimarcionita46 ingaggiata nellAdversus Praxean. Alle prese con
Prassea, lAfricano insiste sullazione rivelatrice di Cristo e sul suo carattere personale. Non c dubbio che solamente il Figlio conosce il Padre e
(il Figlio) ha manifestato il suo seno47 perch non fu il Padre a rivelare il
suo seno48. Grazie al Figlio e alla sua esortazione contenuta nel Vangelo49,
gli uomini possono riconoscere apertamente tanto la signoria divina del
Padre quanto la propria figliolanza.
43. Tra la fine del II secolo e la met del III secolo a Roma un presbitero di nome Gaio si
illudeva di poter sradicare i vari errori respingendo i due scritti giovannei. Cf. E. Prinzivalli,
Gaio (e Alogi), DPAC, II, 1415.
44. Si tratta di Gv 1,1; 10,30; 14,9.
45. Cf. Contra haeresin Noeti 5,5: R. Butterworth (ed. and transl.), Hippolytus of Rome.
Contra Noetum, London 1977, 56-57.
46. Leretico, afferma Tertulliano, indica come ricompensa di Cristo e del suo Dio il seno
e il porto celeste. Adversus Marcionem IV,34: CCL 1, 637-637.
47. Adversus Praxean VIII,3: CCL 1A, 1167.
48. Adversus Praxean XXI,3: CCL 1A, 1187; cf. anche Adversus Praxean XV,6: CCL 1A,
1179.
49. Cf. soprattutto De oratione II,4: CCL 1A, 259.
272
M. C. PACZKOWSKI
273
La posizione di Atanasio
Le riflessioni di Atanasio su Gv 1,18 si inseriscono saldamente nella direttrice cristologica dellesegesi alessandrina. La marginalit dellattivit
esegetica del vescovo di Alessandria non ha influito minimamente su questa linea. Perfino le opere attribuite indebitamente ad Atanasio denotano
chiaramente i tipici elementi di questa riflessione56.
Il contesto della polemica antiariana esigeva la sottolineatura della condizione divina del Figlio, la sua armonia e unit col Padre. Gv 1,18 si trovava tra le espressioni tipicamente antiariane. Cos, gi il predecessore di
274
M. C. PACZKOWSKI
275
niente prima di colui che nel Padre. Il Verbo possiede la propria identit: Senza dubbio
quando il Figlio nel seno del Padre (Egli) fuori del Padre. Non due, Verbo e Figlio,
sono nel seno del Padre ma bisogna che ci sia uno solo, e questi il Figlio Unigenito (ouj
gar amfo/tera, o te lo/go kai oJ uio/, en toi ko/lpoi, all ena einai dei kai touvton to\n
uio/n, o esti monogenh/); Oratio contra Arianos IV, 16: PG 26, 490 B.
69. De incarnatione contra Apollinarium libri II,17: PG 26,1161 B. Si tratta di un principio
abbastanza comune presso i Padri del IV secolo che esclude la possibilit di interpretare
lincarnazione del Verbo di Dio come una mutazione della divinit.
70. Rifacendosi al Sl 73,12 lautore afferma: Se la mano nel seno e anche il Figlio nel
seno, ne consegue che il Figlio la mano ed essa (si pu identificare) con il Figlio per
mezzo del quale il Padre ha fatto ogni cosa (hJ ceir en tw ko/lpw, kai oJ uio\ en tw ko/lpw, oJ
uio\ an eih hJ ceir, kai hJ ceir an eih oJ uio/, di ou epoihse ta panta oJ path/r); Oratio
contra Arianos IV, 26: PG 26, 508 C-509 A.
71. Colui per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, per nove mesi fu portato nel
grembo (della Vergine), ma non lasci il seno del Padre (en gastri egeneto, kai twn
ko/lpwn twn patrikwn oujk aphllotriwqh); Sermo in nativitatem Christi 3: PG 28,
964 C.
276
M. C. PACZKOWSKI
Atanasio nelle riflessioni sulla natura di Cristo inserisce la presentazione dellincarnazione secondo lo schema mercantile presente in numerosi
testi origeniani72. Quale incremento dunque si aggiunse allimmortale che
assunse [la natura] mortale? [] Quale mercede maggiore poteva aversi
da chi eterno Dio e re, e che nel seno del Padre (Qew aiwniw kai
basilei, kai onti en toi ko/lpoi touv Patro/)? [] Questo avvenne ed
stato scritto per causa nostra e per noi73. Dal contesto si comprende bene
che il vescovo di Alessandria vuole evidenziare le caratteristiche fondamentali della divinit del Figlio.
72. Cf. J.A. Alcain, Cautiverio y redencin del hombre en Origenes, Bilbao 1973.
73. Oratio contra Arianos I, 48: PG 26,112 A.
74. In Ps 33,14: PG 39, 1331 C.
75. Didimo assimil in maniera prodigiosa il testo scritturistico. Infatti non potendo
consultare i manoscritti a causa della sua cecit, sempre citava i testi a memoria.
76. In Zachariam IV,234: SC 85, 922-923.
277
tima prole nominiamo il grembo. Infatti, una cosa sono i propri figli, altra
quelli di adozione. Ogni volta che indichiamo i veri figli, non quelli adottivi, chiamiamoli frutto del grembo dei loro genitori. Per questo Dio, indicando il suo proprio Figlio e lUnigenito, ricorda il grembo77.
278
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Padri Cappadoci
Nella polemica antieunomiana dei Padri Cappadoci si nota un crescendo nel
riportare Gv 1,18, come attestano i brani di Gregorio Nisseno. E tuttavia
inutile cercarvi la speculazione sulla dicitura oJ ko/lpo touv patro/ di cui
abbondavano alcuni brani di autori precedenti. Ci conseguenza dello
spostamento dallinteresse esegetico speculativo a quello dommaticoteologico. La confutazione di Eunomio da parte dei Cappadoci durava per
anni, seguendo passo passo le vicende del pensiero cristiano di quellepoca e
perci non deve stupire il fatto che si giunti alle precise puntualizzazioni
dottrinali basate su Gv 1,18. Luso dellespressione oJ ko/lpo touv patro/
limitato spesso ad un semplice richiamo, segno questo che essa assunse un
significato assai forte e normativo dal punto di vista teologico.
86. Hymnus 3 (5), 28-29: Garzya, Opere di Sinesio di Cirene, 770-771.
87. Cf. E. Cavalcanti, Sinesio di Cirene, DPAC, II, 3218-3219.
88. Hymnus 4 (6), 6-8: Garzya, Opere di Sinesio di Cirene, 774-775.
89. Hymnus 2 (4), 191-200: Garzya, Opere di Sinesio di Cirene, 764-765.
279
Basilio Magno
Nel trattato De Spiritu Sancto Basilio di Cesarea afferma che il Signore
stesso a indicare chiaramente la sua identit di onore con il Padre nella
gloria90. A testimonianza di ci egli cita alla lettera vari testi scritturistici:
Gv 14, 9; Mc 8, 38, Gv 5, 23 e due riferimenti tratti dal prologo del IV
Vangelo. Gli eretici invece
non tenendo conto di nessuno di questi testi, impongono al Figlio il posto
destinato ai nemici; il seno del Padre una cattedra degna del Figlio
(ko/lpo [] patriko/, Uiw kaqedra prepousa); per il posto dello
sgabello per i piedi per quelli che devono essere ancora sottomessi (cf.
Sl 110,1)91.
280
M. C. PACZKOWSKI
gnore se non nello Spirito Santo (1 Cor 12,3) e: Dio nessuno lha mai
visto, ma il Figlio Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato
(Gv 1,18). Costui escluso dalla vera adorazione, poich non possibile
adorare il Figlio se non nello Spirito Santo, n possibile invocare il Padre se non nello Spirito Santo94.
riferimenti a Gv 1,18. Il nostro autore in questo caso insiste sul titolo Figlio mostrando
che non esiste una dottrina pi importante nel Vangelo della nostra salvezza che la fede
nel Padre e nel Figlio (Adversus Eunomium II, 22: SC 305, 88-89). Cos insorge contro
quelli che proclamano un Padre che non ha generato ed un Figlio che non stato generato
(Adversus Eunomium II, 22: SC 305, 90-91).
96. Contra Eunomium X: PG 45,841 D.
97. Eunomio, Exp. fidei III, 4-5: R.P. Vaggione, Eunomius. The Extant Works, Oxford 1987,
152.
98. Epistula 234, scritta nel 376; cf. Y. Courtonne, Saint Basile. Lettres. Texte tabli et
traduit, III (Les Belles Lettres), Paris 1966, 41.
281
Gregorio di Nissa
Il Nisseno appare contemporaneamente predicatore del mistero di Cristo e
interprete speculativo delle verit della fede cristologica102. Cos nel De vita
Moysis il mistero della persona del Figlio sottolineato dal susseguirsi dei
99. Basilio afferma: alcuni si interrogano se Dio nessuno lha mai visto; proprio il Figlio
Unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (cf. Gv 1, 18). Che cosa il Figlio fa
conoscere del Padre? La sostanza o la potenza? Se la potenza, ci che stato annunciato lo
conosciamo. Se la sostanza, dove, dico, afferma che la sua sostanza era della
generazione? Epistula 234, 3: Courtonne, Saint Basile. Lettres, III, 43.
100. Citiamo il testo dellAnafora secondo P. Scazzoso, Introduzione alla ecclesiologia di
San Basilio, Milano 1975, 153.
101. Le considerazioni di Basilio non si limitano agli aspetti dommatici. Egli menziona il
dolce seno di Abramo come luogo del futuro riposo. Cf. Enarratio in prophetam Isaiam
VIII, 214: P. Trevisan, San Basilio. Commento al profeta Isaia. Testo, introduzione e note
(Corona Patrum Salesiana. Series graeca), I, Torino 1939, 250-251. Pi avanti, descrivendo
lopera di Emmanuele, il Cappadoce parla della loro dimora nel seno della misericordia.
Cf. Enarratio in prophetam Isaiam VIII, 217: Trevisan, San Basilio. Commento al profeta
Isaia, I, 258-261. La presenza di Gv 1,18 attestata anche nelle opere di dubbia autenticit.
Nellomelia In aquas lespressione oJ wn ei to\n ko/lpon touv patro/ accostata alle altre
espressioni del prologo giovanneo: oJ en archv pro\ qeo/n, qeo/, lo/go kai qeouv uio/ (cf. linea
82). Laltro esempio costituito dallomelia In Psalmum 28. Lautore della omelia inizia
linterpretazione di Sl 28,4. La trattazione si apre con la questione della testimonianza di
Giovanni il Battista (cf. Gv 1,32). Poi segue una piccola raccolta dei testi sul battesimo del
Signore. Lesegeta ritorna sullargomento spiegando: Sono sublimi queste acque e
testimoniano la gloria dellUnigenito, perch il Signore tuon sulle acque. Subito dopo
lautore riporta per esteso Gv 1,18 con la versione en toi ko/lpoi touv Patro; cf. In
Psalmum 28 [hom. 2], 3: PG 30,77 A.
102. Cf. A. Grillmeier, Ges il Cristo nella fede della Chiesa, II, Brescia 1982, 699.
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provare la passione, ma aveva modificato lelemento mutevole e sottoposto alle passioni per condurlo alla impassibilit, facendolo partecipare a
ci che immutabile106.
In Cristo gli uomini sono, quindi, introdotti nel medesimo seno e diventano oggetto della tenerezza paterna. Non mancano per altri richiami
dove la fede cristiana nella divinit del Figlio e la sua consustanzialit col
Padre sono esposte con molta chiarezza. Commentando il Cantico107 il
Nisseno si riferisce allincarnazione e prosegue:
103. Gli eretici si sono separati dal seno del padre della fede (Abramo); Contra Eunomium
II,1,84.
104. De vita Moysis II, 247: SC 1 bis, 111.
105. Il Nisseno riporta sempre lespressione giovannea in plurale en ko/lpoi touv Patro/.
Non si tratta per di un argomento per supporre una tale versione testuale nel testo
neotestamentario usato da Gregorio. Probabilmente egli citava a memoria questa espressione. Cf. J.A. Brooks, The New Testament text of Gregory of Nyssa, Atlanta 1991, 109.
Egemonio, che autore degli Acta Archelai redatti nella met del IV secolo, testimonia
unaltra lezione, al plurale (in sinibus Patris); cf. Acta Archelai 47: PG 10, 1508 A-B; E.
Prinzivalli, Archelao di Carcara, DPAC, I, 317.
106. De vita Moysis II, 29: SC 1 bis, 40.
107. Nelle omelie In Canticum canticorum si trovano quattro riferimenti a Gv 1,18, ma solo
due contengono la menzione del seno del Padre.
283
Per esporre questa dottrina (dellincarnazione) in modo pi preciso serviamoci delle parole stesse della Bibbia [] Mentre esisteva come uomo, a
motivo dello splendore della sua gloria, mostrava che Dio stesso si era
manifestato nella natura umana e che Egli aveva continuato ad essere il
Figlio Unigenito di Dio, vivente nel seno del Padre (Qeo\ efanerwqh en
sarki, qeo\ de pantw oJ monogenh/, oJ en toi ko/lpoi wn touv patro/)108.
108. In Canticum canticorum 13: GNO VI, 381. Nel suddetto brano il Nisseno introduce
due citazioni del prologo giovanneo con la formula outw eipo/nto touv Iwannou.
109. Cf. In Canticum canticorum 13: GNO VI, 380; 381.
110. In Canticum canticorum 15: GNO VI, 443.
111. Cf. M. Van Parys, Exgse et la thologie trinitaire. Prov. 8, 22 chez les Pres
cappadociens, Irnikon 43 (1970) 362-379.
112. Contra Eunomium III: PG 45, 581 C.
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vuoto nel seno del Padre, allora non faranno altro che attribuirgli la perfezione come il risultato di un accrescimento126.
Il Nisseno convinto che il mistero di Dio Padre ha illuminato il mistero del Figlio. Lo stesso avviene per le singole prerogative delle divine
Persone.
Lespressione seno del Padre ha sempre una luce da dare al mistero
cristologico e trinitario nei suoi vari aspetti. Cos avviene quando si analizzano i concetti del generante e generato. Si deve costatare, avvisa Gregorio, che la natura del generante non divisa in parti. Invece, Eunomio
non ammette che provenga veramente dal Padre colui che nel seno del
Padre, perch teme di mutilare la natura immacolata del Padre per mezzo
della sussistenza del Figlio127. Con ricorso alla stessa espressione vengono rigettati i dubbi e le titubanze legati al concetto eunomiano di posterit del Figlio. Non posteriore colui che eterno, sostiene il vescovo di
Nissa, e non estraneo alla vera natura divina colui che procede dal Padre
ed nel seno del Padre e ha in se stesso il Padre128.
Il nostro polemista fa riferimento a Gl 3,1 traendone delle conclusioni
molto significative concernenti la partecipazione del Figlio alla gloria del
Padre. Infatti si pone la questione: Colui che non invidia a nessuna carne
la comunione con il suo spirito, come pu non far parte della propria gloria il Dio Unigenito, che nel seno del Padre e che possiede tutte le cose
che il Padre possiede129? La risposta a questo quesito conduce alla
confutazione delle tesi eunomiane.
Il Nisseno contraddice la concezione eunomiana secondo cui il Figlio
sarebbe il prodotto di una operazione del Padre. (Il Figlio) sigillo delloperazione colui che era nel principio in Dio Verbo ed era osservato esistente nelleternit del principio di tutte le cose, il Dio Unigenito, che nel
seno del Padre130.
Il largo uso di Gv 1,18 da parte di Gregorio rivela la sua linea difensiva di fondo contro Eunomio: garantire unesegesi quanto pi possibile
ortodossa.
287
Gregorio Nazianzeno
Mentre la controversia ariana stava raggiungendo la sua fase finale scoppiata la disputa apollinarista. Gregorio di Nazianzo aveva espresso una
chiara condanna delle tesi di Apollinare di Laodicea, un esegeta attento
della Bibbia e un vigoroso avversario dellarianesimo che negava per la
presenza di unanima razionale in Cristo mentre sottolineava in lui lunit
tra Dio e uomo.
Secondo la convinzione ben radicata che la Scrittura manifesta e insegna la divinit del Figlio, Gregorio Nazianzeno ne riporta le testimonianze. In realt a partire dalle parole grandi e sublimi che noi conosciamo e
che noi proclamiamo la divinit del Figlio [] E il figlio unico che nel
seno del Padre (oJ monogenh\ uio/, oJ wn ei to\n ko/lpon touv patro/)131.
Nel suddetto brano il Nazianzeno raccoglie tutti i termini relativi alla divinit del Figlio e cita per esteso Gv 1,18. Lo fa secondo un criterio meccanico, ma ampiamente diffuso tra i teologi difensori di Nicea.
Le acquisizioni antiariane divenute ormai patrimonio comune dei credenti traspaiono in occasioni inaspettate. E il caso della lettera, attribuita
sia al Nisseno che al Nazianzeno132, che afferma: Il Signore di tutto il creato, il Figlio Unigenito che nel seno del Padre, umili se stesso non solo
stabilendosi nella natura umana con lincarnazione, ma accolse perfino
Giuda, suo traditore133. Nel suddetto brano non solo c riferimento a Gv
1,18, ma anche a altre formule cristologiche neotestamentarie134.
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La verit insegnata dalla Chiesa, sostiene il predicatore, concorda perfettamente con i testi giovannei.
Levangelista ricorre al termine seno, facendoci apparire tutto chiaro
con questa sola parola, se non perch grande laffinit e lunit della
sostanza, in quanto assolutamente identica la conoscenza e pari la potenza. Il Padre, infatti, non terrebbe nel suo seno qualcuno che avesse
unaltra natura; n quello oserebbe vivere nel seno del Padre, se fosse servo e una delle innumerevoli creature - giacch il vivere nel suo seno si
addice soltanto al vero figlio, che pu trattare il genitore con molta confidenza e non ha affatto una posizione dinferiorit rispetto a lui140.
289
Nellespressione giovannea Crisostomo riscontra unintimit di associazione tra il Padre e il Figlio. Lespressione nel seno esprime lunit e la
variet della sostanza divina. Il Padre non poteva avere nel suo seno unaltra sostanza e la ricchezza del suo essere propria anche al Figlio. Cos il
vescovo di Costantinopoli pensa alla pura presenza del Verbo in Dio141.
Giovanni adoper lespressione in principio era per mostrare che il
Figlio nel seno del Padre senza principio e dalleternit142. Questo principio annienta i pericoli di antropomorfizzazione:
Non esiter a pronunziare, nei riguardi di Dio, una parola che si addice
alluomo, cio seno; purch per non pensiate ad una cosa umile. Vedete quanto grande la bont e la Provvidenza del Signore? Dio attribuisce a se medesimo un termine che non gli si addice, affinch, almeno cos,
voi riusciate a vedere e a pensare qualcosa di grande e di sublime []
Perch qui si usa la parola seno, cos terrena e carnale? Forse per farci
nascere il sospetto che Dio sia corporeo? [] Non forse evidente che
essa stata pronunziata affinch da essa comprendiamo che il Signore
veramente lUnigenito e che realmente coeterno al Padre143?
Nelle omelie In Genesim il vescovo di Costantinopoli annoda allespressione giovannea seno del Padre il versetto di Fil 2,7. Colui che
nel seno del Padre ha voluto assumere la forma di servo e sostenere tutto
ci che riguarda lesistenza corporale144.
Lesegesi antiochena ha risentito del cambio nellambito delle discussioni che si erano ristrette agli argomenti tratti dalla controversia ariana
(anomea) e apollinarista145. Giovanni Crisostomo perci si rivela pi attento al senso dellespressione seno del Padre negli scritti polemici. Nellomelia intitolata nella PG De incomprehensibili Dei natura il vescovo
di Costantinopoli attinge dal repertorio classico delle immagini per affermare la concezione della trascendenza di Dio. Accanto agli esempi del
trono e della destra egli analizza lespressione di Gv 1,18. Se senti
seno non puoi intendere n il seno n il posto (mh\ ko/lpon einai
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1,18 anche nel sermone che segue; cf. De incomprehensibili Dei natura V,1: PG 48, 736.
149. Cf. Quasten, Patrologia, II, 440.
150. In Matthaeum hom. XXVII,2: PG 58, 703.
151. Cirillo di Gerusalemme, alludendo a Gv 1,18, parla di Dio che mai nessuno ha potuto
vedere (cf. Catecheses VI,5: W.C. Reischl - J. Rupp, Cyrilli Hierosolymitani archiepiscopi
opera quae supersunt omnia, 1, Mnchen 1860 (ed. anast.), 160-161) ed quindi
ininvestigabile e inenarrabile (cf. Catecheses VII,11: Reischl - Rupp, Cyrilli Hierosolymitani opera, 1, 220-221).
152. Cf. De consubstantiali hom. VII : PG 48, 758. Il Crisostomo unisce nelle espressioni
tratte da Ebr 1,3 lindicazione di Gv 1,18.
291
erronei la Scrittura. Cos con le parole di Gv 1,18 lEvangelista introduce il degno testimone e il maestro della fede153.
Teodoro di Mopsuestia che il rappresentante pi tipico dellesegesi
antiochena154, inizia la riflessione della cristologia antiochena propriamente detta. LAntiocheno tocca le tematiche antiariana e antiapollinarista
nel suo commento a Gv155. La discussione sullinterpretazione della figura
di Cristo fornita dallarianesimo e dallapollinarismo ha trovato in lui un
interlocutore stimolante156. Nonostante la sua esegesi sommaria157 dellespressione giovannea seno del Padre da considerare il suo contributo positivo alla soluzione del problema cristologico. Si pu intuire che
Teodoro ricco di tradizioni ereditate dal suo ambiente ecclesiale158 che si
possono riconoscere in semplici accenni o nelle esposizioni pi nutrite159.
Cos per lAntiocheno lespressione di Gv 1,18 indica che il Figlio
inseparabilmente unito al Padre. Fissato questo principio, il vescovo di
Mopsuestia riporta lanalogia proveniente dalla realt umana: il seno designa una parte inseparabile dalluomo. Ci che teniamo nel nostro seno
a noi unito. Tra gli esempi scritturistici si hanno due Salmi 78,12 (LXX) e
88,51160. Non si pu negare che la preoccupazione maggiore di Teodoro
rappresentata dallapollinarismo e a ci dovuto laccenno allautorit dellinsegnamento di Ges con autorit che chiude questa sua riflessione.
Invece nellinterpretazione di Rm 9,5 Teodoro rileva lunit e la distinzio-
292
M. C. PACZKOWSKI
ne delle nature di Cristo. Per sottolineare la divinit del Verbo questo autore introduce Gv 1,18161, per senza farne unesegesi pi dettagliata.
Sintesi di Cirillo di Alessandria
Lesame del Commento a Giovanni162, uno dei vertici dellesegesi cirilliana,
offre una rapida sintesi delle acquisizioni di esegesi precalcedonese di Gv
1,18. La lettura del IV Vangelo conferma la tendenza dogmatica e polemica nellesegesi del patriarca alessandrino. Si pu affermare che i simboli di
Nicea e di Costantinopoli sono criteri ermeneutici di lettura. Il commento
cirilliano un contenitore di tesi ereticali163 contestate. Il nostro commentatore d delle notizie sugli ambienti marginali dellinizio del V secolo,
spesso sconosciuti. Tuttavia la sua spiegazione essenzialmente destinata
a confutare leresia di Ario e di Eunomio e a fondare la teologia trinitaria.
Linterpretazione di Gv 1,18 costituisce per Cirillo loccasione per introdurre lexcursus cristologico contro gli eterodossi di vario genere. In
queste occasioni Cirillo presenta unesegesi ben centrata e di maggior originalit rispetto ai commenti veterotestamentari, ma scarsamente innovativa. Questo autore afferma ad esempio che bisogna osservare [] che
levangelista [] chiama Dio il Figlio, e afferma che egli nel seno del
Padre, per dimostrare ancora una volta che di gran lunga diverso dalla
creatura, e che ha una sua propria esistenza dal Padre e nel Padre164.
Fin dallinizio della sua interpretazione di Gv 1,18 lesegeta
alessandrino presta una particolare attenzione al senso dogmatico del testo
giovanneo e alla confutazione delle dottrine eretiche, dimostrando in primo luogo che il Figlio della stessa sostanza divina del Padre e ciascuna
delle Persone Divine possiede la propria sostanza personale.
Il Verbo [] Dio per natura. Per questo motivo anche levangelista
dice che il Verbo nel seno del Padre, affinch tu comprenda che in lui
e da lui, secondo quanto ha detto il Salmista: Dal grembo, prima dellau-
161. Cf. Homilia VI, 4: R. Tonneau, Les homlies catchtiques de Thodore de Mopsueste,
293
Il patriarca alessandrino descrive lattivit generativa nel Padre. Il Figlio identico a Lui nella sostanza e nellessere. Con uguale insistenza egli
proclama la coeternit delle Persone divine, senza accennare per allespressione oJ wn e identifica il seno con la sostanza perch il Figlio
della sostanza e nella sostanza del Padre.
Altrove Cirillo afferma a proposito della generazione dal seno del Padre che il Figlio non ha avuto inizio nel tempo166. Il nostro autore introduce un termine specifico della teologia trinitaria e parla di pericoresi
(penetrazione). E uno spunto per abbattere le tesi eretiche. In questo
modo comprenderemo che il Figlio nel seno del Padre non come lo intendono alcuni, soliti a combattere Dio [] Essi pervertono tutto ci che
retto167. Per il nostro autore si tratta soprattutto della negazione della divinit di Cristo che la sua vera natura. La riflessione teologico - esegetica
di Cirillo preannuncia gi lavversario risoluto del dualismo nestoriano168.
Ma per ora le sue preoccupazioni sono altre, anche se non gli sfugge il rischio di una concezione troppo rigida dellunit di Cristo che potrebbe
vanificare la sua umanit. Gli eretici combattuti dal nostro affermano che
per il fatto che si dice che il Figlio nel seno del Padre non si dovrebbe
credere che
Egli frutto della sostanza [del Padre] e della sua natura increata. Ma
non avete sentito, essi dicono, nelle parabole evangeliche (cf. Lc 16,19),
dove Cristo parlava del ricco e di Lazzaro, che Lazzaro, dopo la sua morte, fu portato nel seno di Abramo? Forse che, poich si dice che Lazzaro
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M. C. PACZKOWSKI
era nel seno di Abramo, penserete che egli era da lui e con lui per natura?
O non piuttosto rifiuterete di fare questa affermazione, ragionando rettamente e ammetterete, voi con noi, che seno significa amore? Dunque, noi
diciamo che il Figlio nel seno di Dio Padre, cio nellamore, come, del
resto, anchegli dice in un luogo: il Padre ama il Figlio (Gv 3,25)169.
Cirillo contesta lidentificazione seno - amore. Si tratta di un mutuo e sostanziale amore che intercorre tra il Padre e il Figlio. Altrove egli
insiste sullidentificazione giovannea tra lo Spirito Santo e lAmore divino
(cf. 1Gv 4) che accende il desiderio di Dio173.
Prima di tutto per quando diciamo che il Figlio nel seno del Padre,
non intenderemo altro che egli da lui e in lui. Il patriarca alessandrino
prosegue:
Se noi esaminiamo con acribia la forza di quel pensiero, troveremo che vuol
dire questo e non altro. Levangelista ha detto: lUnigenito Dio che nel
seno del Padre. Prima ha detto Unigenito e Dio, poi ha aggiunto subito che nel seno del Padre perch si capisse che anche il Figlio da lui e
in lui per natura, adoperando la parola seno per sostanza174.
295
Per il vescovo di Alessandria si tratta di una specie di tipologia teologica che prende la similitudine dalle cose corporee. Si deve ammettere che
le cose sensibili sono, in qualche modo, tipi delle cose intelligibili; e ci
che in noi usato per capire le cose che sono al di sopra di noi. E spesso
accade che le cose corporee siano prese in una similitudine, affinch ci
portino alla conoscenza di concetti pi sottili, anche se si comprendono in
relazione al proprio tempo nel modo in cui probabilmente sono state dette. Di tale specie dico che quel detto di Mos: Metti la mano nel tuo
seno (Es 4,6) [...] Quel che si dice, poi, di Lazzaro che fu collocato nel
seno di Abramo, non solo non contrasta, ma addirittura viene incontro al
nostro insegnamento175.
296
M. C. PACZKOWSKI
Per Cirillo lUnigenito il Verbo generato179 che gli Scholia descrivono nella sua incarnazione salvifica e nella glorificazione.
Echi della preoccupazione di accentuare la cristologia tradizionale si
ritrovano nel Dialogi de Trinitate. Il mistagogo Giovanni [] presenta
come un mistero ineffabile la condizione di Figlio Unigenito, il quale nel
seno di Dio e Padre, comprovando cos [] che la sua generazione non
falsa180. Lespressione seno del Padre per Cirillo uno dei tanti dettagli
del testo biblico che costituiscono le armi valide nella controversia antiariana. Le motivazioni di questa discussione ci rimangono sconosciute181,
ma aiutano a vedere lo sfondo delle precisazioni che hanno provocato le
aggressioni del nestorianesimo.
Si constata che per Cirillo il discorso esegetico-teologico su Gv 1,18
toccava inevitabilmente i problemi del momento, ma importanti per i fondamenti stessi delle fede cristologica. Non deve perci stupire il fatto del
suo ritorno agli argomenti noti e dibattuti in precedenza.
297
Non c dubbio che gli autori latini fanno tesoro di molti elementi
esegetici gi sperimentati e traggono un apporto dalla lunga controversia
ariana. Tuttavia per le considerazioni ancorate palesemente nella tradizione bisognava attendere Ilario e Ambrogio.
Primo tra gli scrittori latini che fanno riferimenti non solo occasionali
a Gv 1,18 Mario Vittorino. Il suo obiettivo la confutazione globale delle tesi ariane. Ne risente largomentazione di carattere biblico che sostiene
la dimostrazione di Mario Vittorino. Un unicum nellambiente latino costituisce la sua spiccata predilezione per il IV Vangelo di cui cita ampi brani
dando limpressione di una lettura continua. Nelle pagine dellAdversus
Arium risalta quanto il IV Vangelo sia stato il fondamento della teologia
trinitaria antiariana183.
Con la sensibilit di un buon grammatico Mario Vittorino fa le considerazioni riguardanti la traduzione dellespressione greca ei to\n ko/lpon.
Tradurremo meglio come grembo (melius dicemus gremio) ci che i
Greci esprimono per ei to\n ko/lpon che significa nel grembo. Tuttavia sia questa sia laltra parola significano che il Figlio generato, che
egli generato al di fuori di lui e che sempre con il Padre perch
stato detto: colui che nel seno del Padre. Colui che investigher diligentemente e comprender con fede tutte queste cose, (lo far) alla luce
di tutta la Scrittura184.
182. De Trinitate XVIII,22-23: CCL 4, 47-48.
183. Cos M. Simonetti in A. Di Berardino (a cura di), Patrologia, III, Casale 1983
(ristampa) 74.
184. Adversus Arium IV,33: SC 68, 598-601.
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M. C. PACZKOWSKI
185. Mario Vittorino segue lo stesso ragionamento che nei versetti 205-2-7 di questo inno;
cf. SC 68, 248-249.
186. Hymni de Trinitate III, 232: SC 68, 650-651.
187. Cf. Adversus Arium I,15.16: SC 68, 222-223; Ad Candidum 16: SC 68, 152-155.
188. Adversus Arium I, 2: SC 68, 192-193.
189. Adversus Arium I, 5: SC 68, 198-199.
190. Adversus Arium I, 16: SC 68, 222-223.
191. Cf. Ad Candidum 16. 23: SC 68, 154-155; 160-161.
192. Cf. Ad Candidum 26: SC 68, 162-163; Adversus Arium I, 15: SC 68, 222-223.
299
gremio Filius), cos dal seno del Figlio (proviene) lo Spirito (sic a ventre
Filii Spiritus)193.
Mario Vittorino presenta una nuova e originale esegesi che apre la strada allinterpretazione occidentale. Va notato per che, nonostante i pochi legami con la tradizione anteriore, la sua spiegazione di Gv 1,18 abbastanza
conforme alle elaborazioni pi saldamente tradizionali.
Gli autori minori latini nelluso di Gv 1,18 dimostrano un tecnicismo
sorprendente che rivela una notevole competenza in materia e prova un livello abbastanza elevato della speculazione antiariana. Questo tratto traspare con molta evidenza negli scritti del luciferiano Faustino che espone punti
fondamentali della dottrina antiariana194. Non lo fa con grande originalit, ma
in modo chiaro e incisivo195. Faustino usa lespressione in sinu patris come
conferma della figliolanza divina di Cristo. Il Figlio viene definito come
Unigenitus, solus verus, inseparabilis paternae substantiae perch nel seno
del Padre. E specifica nel De Trinitate: I figli adottivi si trovano nel seno
di Abramo (in sinu Abrahae), ma colui che il vero e lUnigenito Figlio
nel seno del Padre (in sinu Patris)196. Siamo nel capitolo 20 del suo trattato
De Trinitate che costellato di riferimenti allespressione in sinu Patris.
Per Faustino si tratta della dimostrazione che il Figlio dellinseparabile
sostanza del Padre (inseparabilem paternae substantiae). Servendosi dellespressione giovannea, questo autore con competenza solleva la questione
di superiorit del Figlio nei confronti degli angeli. Nessuno di loro pu essere paragonato al Figlio. Tutti gli angeli sono creati (facti sunt), solo il Figlio stato generato (solus Filius natus est), al quale il Padre aveva detto:
Siedi alla mia destra. Cos sta da solo lUnigenito Figlio che nel seno
del Padre197.
Un buon rappresentante della dottrina tradizionale della Chiesa in molti
campi Zenone di Verona. La sua teologia trinitaria, come in altri scrittori
occidentali di stampo notevolmente arcaico. Questo autore sottolinea che
lopera della creazione viene compiuta dal Figlio che conosce perfettamente
la volont del Padre. Infatti colui che, rimanendo nel seno del Padre (qui in
sinu patris commanens) non aveva appreso la perfezione della volont di
Lui, la possedeva in s198.
193. Adversus Arium I, 8: SC 68, 204-205.
194. Anche Lucifero di Cagliari ricorda con tutta la forza la fede della Chiesa definita a
Nicea. Cf. De non conveniendo cum haereticis 9: CSEL 14, 18.
195. Cf. M. Simonetti, Faustino, DPAC, I, 1335.
196. De Trinitate 20: CCL 69, 317.
197. De Trinitate 28: CCL 69, 327.
198. Tractatus I, 56: CCL 22,131.
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tempo. Ilario non fa nientaltro che riassumere il pensiero teologico orientale e occidentale in questa materia.
Ambrogio
Ambrogio di Milano parlando delluterus Patris attinge sicuramente dalla
tradizione anteriore. Sulla scia degli altri autori considera il prologo
giovanneo la sintesi delle cruciali verit teologiche. Gv 1,18, come gli altri
versetti dellinizio del IV Vangelo, appare importante per la discussione
trinitaria e per la polemica antiariana.
Evocando il concetto del grembo (uterus) divino, il vescovo milanese afferma che si tratta di un arcano e interiore segreto della sostanza del
Padre213, che n gli angeli n gli arcangeli n le potest n le dominazioni
n alcun altra creatura pot mai penetrare214. Di fronte a questo mistero,
stiamo attenti a non separare la sostanza del Figlio unigenito dal seno
del Padre e, per cos dire, dallutero e dal mistero della natura del Padre; stiamo attenti a non compromettere la generazione divina a causa delle parole con cui si esprime la reale assunzione della carne215.
Gli stessi concetti si vedono in filigrana nel De virginitate. Il Padre ha
generato il Verbo dallutero, come il Figlio, dal cuore Lo ha emesso come
una parola [] Il Padre Lo ama, tanto da portarLo sul suo seno, da metterlo alla sua destra216. Anche in altre analisi dellespressione in questione
Ambrogio raggiunge indubbiamente un livello elevato di esegesi dove la
teologia domina incontrastata. Cos avviene nel De interpellatione Iob et
David dove, parlando del Giordano raffigurante Cristo che divide la terra, il vescovo di Milano aggiunge che il Figlio nel seno e nellintimo
del Padre (in sinu et secreto Patris)217.
NellExpositio Evangelii secundum Lucam il nostro cita Gv 1,18 nellargomentazione antiariana. Gli eretici, negando leternit del Verbo ne
negavano la divinit. La testimonianza giovannea indica il Figlio che trascende le stesse potenze celesti (ultra caelestis est potestates)218. Poi, per
213. Lespressione nel seno equivale nellintimo della mente e nel segreto dellanimo.
Epistula 77,5: Opera 21, 156-157.
214. De fide IV,8,88: Opera 15, 294-295.
215. De Incarnatione Domini Sacr. 2,13: Opera 16, 380-381.
216. De virginitate III,1,3: Opera 14/1, 210-211.
217. De interpellatione Iob et David IV, 4, 15: Opera 4, 236-237.
218. Expositio Evangelii secundum Lucam I: Opera 11, 122-123.
303
304
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Se si cerca il Figlio di Dio lo si trova nel seno del Padre con laiuto
dello spirito evangelico. Pensate che il seno del Padre sia un luogo (sinum
patris locum putatis) e vi domandate come nata la sapienza, quando il
profeta dice: Luomo non conosce la sua via? Pensate che la sua nascita sia simile a quella degli uomini? Ma Giobbe dice che Non stata trovata tra gli uomini (Gb 28,14)222.
305
Girolamo
Lesegesi geronimiana unifica in una visione sintetica le disparate menzioni del seno nella Scrittura. Girolamo riporta vari significati attribuibili a
questo termine226, dimostrando il valore della ricerca erudita e filologica.
In questa spiegazione del libro di Isaia il grande esegeta latino si preoccupa di delineare un graduale completamento delle immagini e delle idee. In
questo procedimento non va oltre i significati morali e spirituali, senza occuparsi del senso teologico. Nella convinzione che in alcuni casi bisogna
scartare linterpretazione letterale degli antropomorfismi scritturistici,
lesegeta latino accenna che in sinu indica la profondit del cuore (in
cordis arcano) e la coscienza della persona227. Toccando altrove lo stesso
problema, Girolamo afferma che si accetta il paragone antropomorfico del
seno a motivo della diversit delle cause e dei sensi di interpretazione228.
Si sa che il grande Dalmata affront le polemiche teologiche solo saltuariamente e perch costretto dai problemi del momento. Tuttavia la lettura cristologica affiora nel commento In Ps. e l si possono ritrovare le
allusioni pi significative a Gv 1,18.
Esaminando un versetto salmodico (Sl 73,11: Perch trattieni nel seno
la destra?), Girolamo allude enfaticamente alla misteriosa preesistenza del
Figlio. Per la lunga lotta contro larianesimo ha influito sulla sua riflessione ed egli insiste sulla relazione mutua tra il Padre e il Figlio. Perch per
tanto tempo tieni nascosta (la tua destra) nel seno? Il tuo cuore effuse una
buona parola (cf. Sl 44,2). Stendi la tua destra e liberaci. Rivelaci il mistero
nascosto da generazioni. Glorifica la tua destra. Una delle osservazioni che
seguono rivolta espressamente contro i seguaci di Ario: Cosa dice (il
Salmista)? Fa conoscere la tua destra, che da sempre ed () nel tuo
seno229. Girolamo considera il termine destra un titolo cristologico che
appare pi comprensibile e pi completo alla luce delle altre espressioni.
306
M. C. PACZKOWSKI
307
fatti, non ha un seno, una piega [] Poich il nostro seno nascosto, per
questo chiamiamo seno lintimo segreto del Padre. Colui che conosce il
Padre nel suo intimo segreto, venuto a rivelarcelo. Infatti, Dio non lo ha
mai veduto nessuno. Ma venuto lUnigenito stesso del Padre, e ci ha
raccontato tutto ci che ha visto237.
308
M. C. PACZKOWSKI
dice che era nel seno del Padre243, quasi che venendo in terra abbia abbandonato il seno del Padre. Parlava qui in terra, e diceva di essere lass
in cielo; e partendo di qua, che cosa ha detto? Ecco, io sono con voi sino
alla consumazione dei secoli (Mt 28,28)244.
La generazione del Figlio non conciliabile con le implicazioni spazio-temporali e si devono rifiutare i ragionamenti teologici fondati sulle
analogie di questo genere.
Un caso a parte costituisce linterpretazione del seno divino nel Commento ai Salmi in cui Agostino approfondisce in tutti i sensi la parola di
Dio245. Cos nella lettura del Sl 109 inserisce la spiegazione della seconda
parte di Gv 1,18. La sua interpretazione in collegamento con le considerazioni sulla generazione del Figlio. Questo seno (che gener il Verbo)
lo stesso che ventre, ed il seno e il ventre sono qui usati al posto di segreto.
Che cosa significa dal ventre? Significa: nel segreto, di nascosto, cio da
me stesso, dalla mia sostanza246.
LIpponate sviluppa in modo lineare il suo commento al prologo
giovanneo, premettendo anzitutto che la filosofia platonica dice le stesse cose
dellinizio di Gv. Agostino si interess di quegli aspetti che riteneva propri della
verit cristiana personificata in Cristo247. Tuttavia nellesegesi agostiniana di
Gv 1,18 si vedono piuttosto le divergenze che le affinit. Ne causa linterpretazione essenzialmente cristologica. Cos commentando linizio del IV Vangelo
Agostino inserisce linterpretazione della generazione ineffabile del Verbo dal
seno del Padre (ab aeterno). Passa poi allinterpretazione della generazione
del Salvatore dal seno della Vergine (in tempore). Si tratta delle due nascite
mirabili: divina e umana. La prima eterna, fuori del tempo e senza corpo nel seno del Padre248. Tuttavia la Verit che nel seno del Padre sorta
dalla terra perch fosse anche nel seno di una Madre249. Il parallelo seno del
243. Invece per i polemisti antiariani il verbo erat/hn permetteva di cogliere lesistenza di
Cristo ab aeterno e la continuit eterna del Figlio. Cf. Simonetti, La crisi ariana nel IV
secolo, 194.
244. In Iohannis evang. tract. XXXV, 3: NBA 24, 734-735.
245. (Il Salmista) afferma, a modo di paradosso, che Dio non sottrarr la propria misericordia da lui, quasi che noi non conoscessimo lUnigenito Figlio che nel seno del Padre.
In lui infatti luomo non ha una sua personalit, ma in una sola persona Egli Dio e uomo.
In Ps. 88, 2,3: NBA 27, 84-85.
246. In Ps. 109,16: NBA 27, 982-983.
247. Cf. Confessiones VII,9,13: NBA 1, 194-195.
248. Sermo 214,6: NBA 32/1, 226-227.
249. Sermo 185,1: NBA 32/1, 8-9.
309
Padre - seno della Madre costituisce un altro angolo focale della riflessione cristologica di Agostino. (Cristo) bello come uno sposo, forte come un
prode, amabile e terribile, severo e sereno [], rimanendo nel seno del Padre
entr nel grembo della madre (manens in sinu Patris, implevit uterum
matris)250. Il suddetto parallelismo pu presentarsi come una kenosis del
Verbo che parla nel seno del Padre, tace nel grembo della madre251.
Il vescovo di Ippona era particolarmente atto a combattere la dottrina
manichea. In occasione della polemica antimanichea appare lo scritto intitolato Contra Adimantum. La confutazione agostiniana dimostra che i
manichei mettevano in opposizione alcuni brani tratti dallA e dal NT. Cos
i racconti delle rivelazioni divine venivano contrapposti a Gv 1,18252. Cos
i manichei tendono insidie e affermano che tutto il contrario si trova nel
Nuovo Testamento253. Attraverso la sua accurata esegesi il vescovo di
Ippona ritiene che i brani selezionati dagli eretici non contraddicono gli
argomenti dei cattolici.
La vecchia eresia ariana era ormai teologicamente sconfitta, ma i sostenitori di questa dottrina tornavano ogni tanto alla ribalta254. Agostino
dimostra quanto essi fossero poco sensibili allestrema delicatezza della
verit che manipolavano e semplificavano. Polemizzando contro
Massimino255, Agostino evoca lespressione giovannea256, ma alla fine osserva:
Ti immagini il seno come la capacit che il Padre maggiore ha di accogliere e contenere il Figlio minore, come una casa contiene fisicamente
un uomo o come il seno della nutrice accoglie il bambino []. (Cristo)
crebbe in forma di servo e divenne maggiore di quanto non lo era stato
nella forma di Dio, cos che prima era stato portato nel seno del Padre,
mentre ora siede alla destra del Padre []. Accetta il fatto che viene nominato il seno del Padre perch si capisca che luno generato e laltro
colui che genera257.
250. Cf. Sermo 195,3: NBA 32/1, 68-69.
251. Sermo 196,3: NBA 32/1, 74-75.
252. Ignoriamo per lesegesi sviluppata dai manichei.
253. Contra Adimantum 9: PL 42, 139-140.
254. Cf. M.G. Mara, Arriani, Arrius, in Augustinus-Lexikon, I, 450-459.
255. Sulla polemica cf. Mara, Arriani, Arrius, 456-457.
256. Pater [] tenens in sinu suo et habens (Collatio cum Maximino: PL 42, 728); cum
prius portaretur in sinu Patris, nunc sedeat ad dexteram Patris (Contra Maximinum II,9,2:
PL 42, 764).
257. Contra Maximinum II,9,2: NBA 12/2, 230-233.
310
M. C. PACZKOWSKI
Conclusioni
Finiamo la nostra trattazione nel pieno del grande dibattito su Cristo di cui
il prologo del IV Vangelo ha fatto parte, incidendo sulla riflessione della
Chiesa dei primi secoli. Linterpretazione dellespressione seno del Padre
non si trovata soltanto allinterno dei pochi commenti patristici a Gv,
taluni giunti in frammenti, ma in scritti di vario genere. Nel corso della ricerca si dovevano verificare i dati forniti dagli indici globali261 e particolari della ricorrenza di Gv 1,18 nei singoli autori e nelle singole opere. Non
sempre per la citazione, anche letterale e completa, implicava linterpre-
258. Cf. J.F. Moloney, In the Bosom of or Turned towards the Father?, Australian
311
tazione dellespressione seno del Padre. In realt si rivelata pi stimolante una ricerca complessiva e una lettura diretta dei testi per ritrovare non
solo le citazioni esplicite, ma anche i riferimenti indiretti. Questi ultimi si
sono rivelati, alle volte, assai preziosi in quanto segni di familiarit con
lespressione analizzata.
Si potuto vedere che fin dallinizio Gv 1,18 diventa unespressione
impiegata direttamente nellelaborazione dottrinale. E ci nonostante il fatto che inizialmente il filone teologico sia caratterizzato da una certa sobriet, daltronde non priva di fascino e capace di risvegliare vivo interesse.
Nella letteratura apocrifa e gnostica si trova lidentificazione del seno
con lo Spirito Santo oppure con le caratteristiche della maternit divina. Nella polemica antignostica la citazione di Gv 1,18 tra quelle che gli
autori cristiani sono costretti a spiegare con frequenza.
Per gli esponenti della scuola alessandrina lespressione giovannea analizzata indica lazione rivelatrice del Verbo-Redentore che svela il pensiero
misterioso di Dio. Lo attesta la riflessione di Clemente, ma ancora pi chiaramente quella di Origene. Dai dati emersi risulta che gli interessi cristologici di questultimo erano stimolati dai problemi suscitati dallo gnosticismo. Cos lAlessandrino ha dovuto occuparsi dellespressione oJ
ko/lpo touv patro/ toccando i concetti centrali della disputa con Eracleone
(lattribuzione delle parole di Gv 1,18 e la generazione del Figlio).
Oltre agli ambienti alessandrini vano cercare nei secoli II e III una
interpretazione di Gv 1,18 particolareggiata. Non manca, tuttavia, una eccezione costituita dagli scritti attribuiti a Ippolito Romano che richiama il
significato particolare dellespressione in questione. Altro materiale fornito da Tertulliano che inserisce il concetto del seno divino principalmente nella polemica antimarcionita.
Nellesegesi cristiana antica senza dubbio esisteva la lettura amplificata del dato giovanneo che permetteva di concentrarsi sulla cristologia. Fin
dallinizio sono individuabili quegli aspetti giovannei che ancora oggi sono
considerati dagli esegeti tra i pi specifici e qualificanti. Si tratta di quegli
elementi da considerare non solo come prodotti delle controversie, ma anche come acquisizioni dellinterpretazione scritturistica antica. I risultati
raggiunti dallesegesi cristiana dei primi secoli sullespressione seno del
Padre confermano la verit che il centro dellannunzio cristiano di natura teologica, cio teocentrico e non antropocentrico262.
312
M. C. PACZKOWSKI
263. Cf. Moloney, In the Bosom of or Turned towards the Father?, 64.
313
del Padre si presenta come uno degli stimoli per la soluzione della questione cristologica.
Cirillo di Alessandria, commentando il IV Vangelo, presenta una vera
sintesi delle acquisizioni di esegesi precalcedonese di Gv 1,18. La lettura
di Gv conferma la tendenza dogmatica e polemica nellesegesi del patriarca alessandrino. Cirillo presenta uninterpretazione ben centrata, ma scarsamente originale, provocata inevitabilmente dal ritorno agli argomenti noti
e dibattuti.
Linterpretazione di Gv 1,18 da parte degli autori latini si allinea con
lesegesi dei Padri greci e richiama aspetti cristologici. Ci evidente non
solo negli autori di rilievo, ma anche negli scrittori minori, che presentano
talora letture inaspettate e originali. Tra questi interpreti c prima di tutto
Novaziano che segue la via interpretativa tracciata da Tertulliano, ma con
una maggiore sicurezza nelle questioni trinitarie e cristologiche. Primo tra
gli scrittori latini che fanno riferimenti non solo occasionali a Gv 1,18
Mario Vittorino che intende elaborare una teologia trinitaria antiariana. Ne
nasce una nuova e originale esegesi che apre la strada allinterpretazione
occidentale. Altri autori minori latini nelluso di Gv 1,18 dimostrano un
tecnicismo sorprendente che rivela una notevole competenza in materia e
prova un livello abbastanza elevato di speculazione antiariana (Faustino,
Zenone di Verona, Massimo di Torino e Febadio di Agen). Invece in Ilario
di Poitiers si nota lo sfruttamento delle acquisizioni del mondo teologico
greco. E interessante notare che questo autore si rif a Gv 1,18 non tanto
nelle sezioni esegetiche delle sue opere, ma nei contesti pi propriamente
polemici.
Ambrogio di Milano considera il prologo giovanneo la sintesi delle
cruciali verit teologiche e un serbatoio delle risposte adeguate alle necessit dottrinali del suo tempo. Perci la presenza di Gv 1,18 in questi contesti appare molto significativa. Lesegesi proposta da Girolamo unifica in
una visione sintetica le disparate menzioni del seno nella Scrittura, valorizzando la ricerca erudita e filologica. Il dottore latino si discosta in questo modo da una numerosa schiera di autori che interpretavano Gv 1,18
senza mostrare le preoccupazioni specificamente esegetiche.
Riflettendo sullinizio di Gv, Agostino accentua la reciprocit nella relazione Padre-Figlio. Lespressione sinus Patris viene vista da lui come
lindicazione della intimit creata dalla perfetta comunione tra le Persone
Divine. E un elemento determinante nel fissare i tratti della cristologia latina.
Le posizioni degli scrittori greci e latini si completano a vicenda. Tuttavia nella tradizione greca troviamo una maggiore ricchezza di significati
314
M. C. PACZKOWSKI
172.
Y. Hirschfeld
The monastery of Chariton was one of the largest and most important in
the Judean Desert. It was founded as a laura in the mid-fourth century CE.1
It is related that Chariton wandered southwards from the monastery of
Douka (Deir el-Quruntul west of Jericho) to a place located 14 stadia
(some 2.6 km) from the village of Tekoa.2 After a group of monks had gathered around him, Chariton founded the laura, which was known as Souka
after the name of the place in Syriac.3 The monastery was later given the
name of the Old Laura, probably to distinguish it from the Great Laura
of Sabas in Nahal Kidron and the New Laura south of Tekoa. A third name,
the monastery of Chariton, was given to the monastery even later, apparently after the transfer of Charitons remains from the monastery of Pharan
after the Muslim conquest.4
The monastery, known in Arabic as Khirbet Khureitun, is located on
the edge of a sheer cliff on the western side of Nahal Tekoa (Wadi
Khureitun) (Photo 1). Two routes lead to it: the first descends from the
1. Vailh suggested that the monastery was founded in 345 CE; S. Vailh, Rpertoire
alphabtique des monastres de Palestine, ROC 4 (18991900), pp. 524525.
2. Life of Chariton 23, ed. G. Garitte, La vie prmonastique de S. Chariton, Bulletin de
lInstitut Historique Belge de Rome 21 (1941), p. 33. For a translation into English, see L.
Di Segni, The Life of Chariton, in V. L. Wimbush (ed.), Ascetic Behavior in Greco-Roman Antiquity: A Sourcebook, Minneapolis 1990, pp. 396420.
3. In the view of Chitty, the name Souka derives from suq (Arabic: market), which is translated as laura in Greek; D. J. Chitty, The Desert A City, Oxford 1966, p. 15. In the opinion
of Abel, the name derives from tsuq (Hebrew: cliff), because of the steep cliffs of Nahal
Tekoa in which the monastery is situated; F. M. Abel, Gographie de la Palestine, I, Paris
1933, p. 471. For the identification of Souka with the monastery of Chariton, see Y. Tsafrir,
L. Di Segni and J. Green, Tabula Imperii Romani Iudaea Palaestina, Jerusalem 1994, p.
236.
4. The first source that mentions the monastery of Chariton by this name is Epiphanius
Monachus in the early eighth century; Epiphanius Monachus 15, ed. Donner, p. 71; H.
Donner, Die Palstinabeschreibung des Epiphanius Monachus Hagiopolita, ZDPV 87
(1971), pp. 6682. On the claim that the name was given to the monastery after the removal
of the body of Chariton from the monastery of Pharan after the Arab conquest, see S.
Schiwietz, Des morgenlandische Mnchtum, II: Das Mnchtum auf Sinai und in Palstina
im vierten Jahrhunder, Mainz 1913, p. 142.
316
Y. HIRSCHFELD
317
Historical Background
The monastery of Chariton was active for a relatively long period, from its
foundation in the mid-fourth century to at least the end of the twelfth century, some 850 years in all.8
The Life of Chariton, whose anonymous author was apparently a monk
in the monastery that bore his name, gives only a few details of the laura.9
It tells how Chariton settled at the place called Souka and founded the laura
after a number of monks had gathered around him. Some time later
Chariton decided to leave the laura and live in a cave in a cliff, not far from
the monastery. The caves location high in the cliff gave it the name the
Hanging [Cave] of Chariton. In the words of the author of the biography,
the cave was so high that it is impossible to climb up there except with a
ladder. These two details, the caves location near the laura and the need
for a ladder to reach it, helped us to identify it. While he lived in the cave,
Chariton performed a miracle. His advanced age made it difficult to fetch
water. Since he did not want to impose on the members of the community,
he prayed to God and immediately, from a corner of the cave, a limpid,
cool stream was made to flow forth, and it flows to this very day. 10 This
supposed miracle has left tangible traces: on the rock wall of the cave are
remains of travertine, evidence of a constant flow of spring water. The
water was drained by a system of channels into a series of cisterns, which
were discovered during the excavation (see below). Recent studies have
shown that the fourth century marked the beginning of a more humid period, characterized by a significant increase in rainfall.11 Thus the miracle
of Herodium (above, n. 6), pp. 3648 (site No. 17), 5658 (site No. 27). For an additional
publication, see Y. Hirschfeld, Chariton, in: E. Stern (ed.), New Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, Jerusalem 1993, pp. 297298. The excavation of the
Hanging Cave was conducted with the assistance of Rivka Calderon. Students of the
University of St. John in Minnesota took part in the excavation. The excavation team included Erez Cohen (surveyor) and Zev Radovan (photographer).
8. For a comprehensive historical survey of the monastery of Chariton, from its foundation
in the fourth century to its abandonment in the Crusader period, see S. Vailh and S.
Ptrids, Saint Jean le Palolaurite prcd dune notice sur la vieille laure, ROC 9 (1904),
pp. 333356.
9. On the author of the Life of Chariton, see Di Segni, Life of Chariton (above, n. 2), p.
393.
10. Life of Chariton 24, ed. Garitte, pp. 3334.
11. A. S. Issar and D. Yakir, The Roman Periods Colder Climate, BA 60 (1997), pp. 101
106. See also the general book, A. S. Issar, Water Shall Flow from the Rock: Hydrology
and Climate in the Lands of the Bible, Heidelberg 1990, p. 179. There are additional sites
318
Y. HIRSCHFELD
of the flowing of the spring from the cave wall may be explained by the
climatic conditions of the period.
After the death of Chariton, the Hanging Cave remained a sacred
site and continued to attract pilgrims. This is evident from the biography
of another monk, Cyriac, who lived for many years at the monastery of
Chariton. According to its author, Cyril of Scythopolis, Cyriac arrived at
the monastery in 485.12 From the list of Cyriacs assignments, we learn of
a number of the Old Lauras elements. His first tasks were domestic: baking bread, nursing the sick, hosting guests and acting as steward. He held
each of these posts for one year. He was subsequently made treasurer of
the church and prayer leader, and eventually ordained as a priest.13 From
this list we learn that the Old Laura contained, in addition to the church,
a bakery, an infirmary, a guesthouse and a service complex that would
have included storerooms for equipment and supplies. The biography of
Cyriac is rich in stories illustrating life in the Old Laura. Thus, for example, while Cyriac was a prayer leader, one of his duties was to beat on
the wooden board whose sound announced that the monks of the laura
should wake and pray in their cells.14 One can easily imagine how the
sound would have reverberated between the cliffs of the ravine in the
silence of the desert night.
After 31 years in the monastery of Chariton, i.e. in 516, Cyriac decided to live as a solitary hermit in the nearby deserts of Natoupha and
Rouba. While he was in the desert, he gained a reputation as a healer and
a holy man, and many sought his company.15 Despite his life of solitude,
in the Judean Desert in which signs of the flowing of water are evident, for instance Bir elQatar (the dripping cistern), where a monastery was founded in the sixth century; Y.
Patrich, Sabas, Leader of Palestinian Monasticism, Washington 1995, p. 149. On signs of
travertine at Bir el-Qatar, see M. Marcus, The Northern Judean Desert, Jerusalem 1986, p.
130 (Hebrew).
12. Life of Cyriac 7, ed. E. Schwartz, Leipzig 1939, p. 226. According to Cyril, Cyriac
moved to the monastery of Chariton immediately after the split between the monasteries of
Euthymius and Theoctistus, which began in 485. On the chronology of the life of Cyriac,
see A. J. Festugire, Les moines dOrient, III/1: Les moines de Palestine, Cyrille de
Scythopolis, vie de saint Euthyme, Paris 1962, pp. 6869, n. 29. On the career of Cyriac as
a monk and hermit, see Chitty, The Desert (above, n. 3), pp. 126127.
13. Life of Cyriac 7, ed. Schwartz, pp. 226227. On the various posts held by monks in a
Judean Desert laura, see Y. Hirschfeld, The Judean Desert Monasteries in the Byzantine
Period, New Haven and London 1992, pp. 7279.
14. Life of Cyriac 8, ed. Schwartz, p. 227.
15. Cyriac Ibid. 10, ed. Schwartz, p. 228. On the deserts of Natoupha and Rouba, see
Tsafrir, Di Segni and Green, Tabula (above, n. 3), pp. 193 and 216 respectively.
319
Cyriac maintained his connection with the monastery of Chariton.16 During the great outbreak of plague in 542, the elders of the monastery
begged Cyriac to return to the monastery to protect its inmates from the
plague. As a revered holy man, Cyriac was accommodated in the cave
of Chariton ( h/ i/), where he lived for five
years.17 We learn from this that the cave continued to be considered a holy
place and pilgrimage site. Cyril of Scythopolis himself often visited the
holy cave of Chariton to receive encouragement from his spiritual mentor Cyriac.18
A few further details on events in the Old Laura are provided by another source, the Life of Xenophon of the sixth century. According to this
source, one of the monks, known as the Elder, lived in his cell for fifty
consecutive years.19 One of the sons of Xenophon, Arcadius, met the Elder
and learned from him of the way of life in the monastery.20
Another source, the Life of Maximus, which is preserved in the Syriac
version, tells of the dangers faced by the monks.21 According to the author,
the brother of the lauras abbot died from the bite of a camel which belonged to a man of eastern origin who happened to be at the monastery.22
The camels owner was probably a Saracen who was visiting the Old Laura,
perhaps staying at the guesthouse (as noted above, the guesthouse was one
of Cyriacs responsibilities).
The Old Laura was among the important monasteries that continued to
function after the Muslim conquest.23 It is mentioned under the name Mar
Chariton in the work of Epiphanius Monachus of the early eighth century
16. According to Cyril (Life of Cyriac 15, ed. Schwartz, p. 232), while Cyriac was in the
desert a monk of the monastery of Chariton named John served as his disciple. This monk
acted as a guide for Cyril when he wished to visit Cyriac in the desert.
17. Life of Cyriac 10, ed. Schwartz, p. 229.
18. Ibid. Cyril explicitly states that many people visited the saint while he was in the sacred
cave of Chariton (ibid. 15, ed. Schwartz, p. 231).
19. Life of Xenophon, ed. A. Galante, De vita SS. Xenophontis et sociorum, AB 12 (1903),
pp. 388389.
20. On Xenophon and his two sons, see Chitty, The Desert (above, n. 3), p. 143. A late
tradition mistakenly connects Xenophon and his sons with the Great Laura of Sabas (Mar
Saba); see Patrich, Sabas (above, n. 11), pp. 106107, n. 18.
21. The Syriac version of the Life of Maximus was translated into English by S. Brock, An
Early Syriac Life of Maximus the Confessor, AB 91 (1973), pp. 229346.
22. Life of Maximus 4, ed. Brock, p. 315.
23. On the continued existence of the monastery after the conquest, see R. Schick, The
Christian Communities of Palestine from Byzantine to Islamic Rule, Princeton 1995, p. 373.
320
Y. HIRSCHFELD
and in the Life of Stephen Sabaites of the end of that century.24 In the eighth
century scholarly monks of the monastery, such as Stephen of Ramla, translated Greek literary works into Arabic.25 One of the patriarchs of Jerusalem, the monk and physician Thomas (807821), was abbot of the
monastery of Chariton before his appointment.26 In the list of churches and
monasteries in the Holy Land known as the Commemoratorium of 808 CE,
the tomb of St. Chariton is mentioned, as well as a small monastery which,
according to the author of this source, was built by Chariton a mile away
from the tomb.27 During this period the monks suffered greatly from robbery and massacres; thus, for instance, in the story of the Twenty Martyrs
of the Great laura (Mar Saba) we also learn of hermits in the Old Laura
who were captured and tortured by Saracens.28 From this we may conclude
that the core of the laura was still unwalled at that time.
It was probably because of these massacres in the Judean Desert and the
Jerusalem region that the monks of the Old Laura abandoned their cells,
built walls around the structures of the core and took refuge within them.
Despite the lack of security, monks continued to live at the Old Laura until
the Crusader period. Important evidence on the tomb of Chariton is provided by a letter of Theodore of Stoudios, abbot of the monastery of
Stoudion in Constantinople, to the monks of the monastery of Chariton.
The letter, sent in about 810, mentions the tomb of the saint in the courtyard of the monastery.29 In sources of the Crusader period the monastery is
24. On Epiphanius Monachus, who visited the Holy Land in about 715, see above, n. 4. For
a translation of the text into English see J. Wilkinson, Jerusalem Pilgrims before the Crusades, Jerusalem 1977, pp. 118119. The Life of Stephen Sabaites mentions the monks of
the Old Laura (Souka); see Vita Stephani Sabaites, AASS Julii III, p. 589. On this vita see
G. Garitte, Le dbut de la Vie de S. tienne le Sabaite retrouv en arabe au Sinai, AB 77
(1959), pp. 332369.
25. On the intense literary activity in Mar Saba and Mar Chariton in the eighthninth centuries, see S. H. Griffith, Greek into Arabic: Life and Letters in the Monasteries of Palestine in the Ninth Century, Byzantion 56 (1986), pp. 117138.
26. A. Linder, The Christian Communities in Jerusalem, in: J. Prawer (ed.), The History
of Jerusalem in the Early Islamic Period (6381099), Jerusalem 1987, p. 103 (Hebrew).
27. Commemoratorium de casis dei 34, eds. T. Tobler and A. Molinier, St. Galen and Paris
1879, p. 303; English translation Wilkinson, Jerusalem Pilgrims (above, n. 24), p. 303. The
existence and location of the small monastery are uncertain.
28. Passio XX martyrum Sabaitarum, AASS Mart. III, p. 170. The massacre of twenty
monks of the Great Laura (Mar Saba) took place in 797; see Patrich, Sabas (above, n. 11),
p. 330; Linder, Christian Communities (above, n. 26), p. 113. A few years later, in about
809, the monastery was attacked again, as attested by Theophanis, Chronographia (ed. C.
de Boor, Leipzig 1883), p. 499.
29. Theodorus Studite, ed. J. P. Migne, PG 99, cols. 11681169.
321
described as walled. The Russian pilgrim Abbot Daniel, who visited the
Holy Land in 1106, describes the walls of the monastery and mentions the
tomb of Chariton, located in the larger of the two churches.30 In addition,
Daniel notes the graves of Cyriac, Xenophon and his two sons, Arcadius
and Joannes, located outside the walls of the monastery. The composition
of Joanes Phocas of 1185 is one of the latest sources that describe the monastery of Chariton as being active.31 The monastery was apparently abandoned after this period and was used for shelter by the inhabitants of the
region. The monks cells were destroyed and the cisterns under them were
breached and used as dwellings. Walls were built across the mouths of the
caves that surround the monastery, and they too became dwellings. This occupation was dated by the finds of the excavation to the Mamluk period
(thirteenth to fourteenth centuries),32 indicating that by then the monastery
had ceased its activity.
History of Research
The first scholar to describe the monastery of Chariton was the Swiss T.
Tobler, who visited the site in the mid-nineteenth century. He described a
tower-like structure in the monastery and described a fragment of a marble
column that he found there.33 The second visitor to the site was the French
scholar V. Gurin. He noted the tower, which the inhabitants of the region
called Bab el-Wad Khureitun (the Gate of the Ravine of Chariton).34
According to Gurin, near the tower was a large reservoir, known in Arabic as Bir el-Uneiziya, from which the local shepherds watered their
flocks.
The researchers of the Palestine Exploration Fund, C. R. Conder and H.
H. Kitchener, dated most of the remains of the monastery, including the
30. For Abbot Daniels description of the monastery, see B. de Khitrowo, Itinraires russes
en Orient, vie et plerinage de Daniel, Genve 1889, p. 48. For a translation into English,
see C. W. Wilson, The Pilgrimage of the Russian Abbot Daniel (PPTS 4), London 1895,
pp. 4849.
31. PG 133, ed. J. P. Migne, col. 960. For an English translation of the Greek text, see A.
Stewart, Pilgrimage of Joanes Phocas (PPTS 5), London 1896, pp. 3334.
32. Hirschfeld, Map of Herodium (above, n. 6), p. 38.
33. T. Tobler, Topographie von Jerusalem und seinen Umgebungen, II, Berlin 1854, pp.
509510, 528.
34. V. Gurin, Description gographique, historique et archologique de la Palestine, III,
Jude, Paris 1869, pp. 133139.
322
Y. HIRSCHFELD
tower, vaults and cisterns, to the Crusader period, i.e. the twelfth century.35
However, they believed that the reservoir of Bir el-Uneiziya was earlier,
dating from the Byzantine period.
A comprehensive summary of the history of the monastery was published in 1904 by S. Vailh and S. Ptrids. They note the existence of the
Hanging Cave and even describe some of the details that we discovered
in our excavation.36 A. Strobel published a history, description and field
study of the traditional site of the Cave of Chariton (el-Maaza).37 An article by B. Bagatti provides a further survey of the history of the monastery and a general description of its remains.38 During the 1970s a detailed
survey of the Cave of Chariton (el-Maaza) was carried out by G. Man.39
This survey conclusively showed that this is merely a karstic cave and that
its identification with Chariton is mistaken.
During our survey of the monastery of Chariton and its surrounding,
carried out in the 1980s, three main building periods were discerned: 1) the
original construction of the Byzantine period, 2) later constructional additions and 3) additions and alterations carried out after the monastery had
ceased to function. 40
The construction of the original phase is characterized by its high quality: the walls are straight, the building stones are large and the cisterns are
plastered with the reddish hydraulic plaster typical of the Byzantine period.41 To this period we may attribute the large reservoir (Bir el-Uneiziya),
most of the cells and some of the structures of the core. The complex of
the Hanging Cave was also attributed to the Byzantine period on the basis of the finds of the excavation (see below).
Building additions of the second phase were discerned mainly in the
core of the laura. The construction of the Early Arab period is similar to
that of the Byzantine period, though a decline in quality is evident. This
phase is characterized by secondary use of earlier building stones.
35. C. R. Conder and H. H. Kitchener, The Survey of Western Palestine, II, Judaea, Lon-
Y. Hirschfeld and Y. Patrich (eds.), The Aqueducts of Ancient Palestine, Jerusalem 1989, p.
75 (Hebrew).
323
The changes that took place at the site after the abandonment of the
monastery at some time after the Crusader period are easily recognized.
This latest phase has the character of a squatters occupation and consists
mainly of the conversion of caves and rock shelters into dwellings by
blocking their mouths with walls built of building stones in secondary use.
Most of the cisterns under the cells of the Byzantine period were broken
into and converted into dwellings.
The distinction between the different building phases at the site was
supported by the ceramic finds. Potsherds collected from the surface
within the monastery belong to all three periods.42 Most of them dated
from the Byzantine period (fifth to seventh centuries), including redslipped ware and fragments of the decorated lamps that were typical of
the area in this period (Fig. 2). The pottery of the Early Arab period is
characterized by colored glazes and by geometric patterns on lamps
(Fig. 3).The Medieval sherds are characterized by geometric patterns in
red and brown on a white background. Vessels of this kind were common from the Mamluk period (thirteenth to fourteenth centuries) and into
modern times.
The ceramic finds and the survey of the architectural remains indicate
that the main building stage was in the Byzantine period.43 The activity of
the Early Arab and Crusader periods appears to have been limited in extent, though future excavations at the site may show that this activity was
more extensive than appears at present. After the Crusader period all activity ceased at the monastery, and the site was used as dwellings by local
shepherds and Bedouin.
42. I was assisted in the identification of the ceramic finds of the monastery of Chariton by
most of the monasterys remains should be dated to the Crusader period. A comprehensive
and systematic excavation is needed to establish the date of the later remains at the site.
44. On the characteristics of the lauras of the Judean Desert, see Hirschfeld, Judean Desert
Monasteries (above, n. 13), pp. 1833.
324
Y. HIRSCHFELD
extensive network of paths connects the various elements: some utilize the
natural rock terraces and others, where access is difficult, are supported by
retaining walls. The network of paths transformed the laura into a coherent
monastery.
Fig. 2
Fig. 3
325
Pottery from the monastery of Chariton, Early Arab and Medieval periods.
326
Y. HIRSCHFELD
Fig. 4 The monastery of Chariton: the core of the laura, the cells and the Hanging Cave.
Fig. 5
327
runs between the northern and the eastern towers. The entrance is not preserved, but its location can be surmised by the two towers protruding 2 m
from the line of the wall. The towers are both 4 m long and are 2.8 m apart.
The path leading to the monastery terminates in the space between the towers, where we postulate the existence of a gate. The western wall, which
runs between the northern and the southern towers, is preserved to a height
of 1.5 m (Photo 4). The wall, 1.1 m thick, is built of relatively large stones
(up to 0.8 m long) on the outside, and of smaller stones laid in cement on
the inside. There are seams between the wall and the towers, indicating that
the wall was built at a later stage (apparently during the ninth century).
The core of the laura contained at least one church (Abbot Daniel mentions two in the Crusader period).45 The existence of a church is indicated
by two architectural elements found at the site: a fragment of a chancel
screen post and a grooved stone base for the insertion of a chancel screen
panel (Fig. 6). The post is made of smoothed local limestone; it measures
20 20 cm in section and is 45 cm high (Photo 5). The base, also made of
local limestone, measures 45 20 cm and is 28 cm high (Photo 6).
45. Above, n. 30.
328
Y. HIRSCHFELD
Fig. 6 A fragment of a chancel screen post (A) and a grooved stone base (B) found
in the lauras core.
The northern tower stands in a strategic location at the top of the slope,
at an elevation of 590 m above sea level, enabling control of the approaches
to the monastery. This is a rectangular structure measuring 11.4 15.4 m;
its walls are preserved to a height of 4 m (Photo 7). The walls are built of
large stones on the outside and small stones on the inside. The core of the
wall contains large quantities of cement, a technique that is also typical of
the other parts of the monastery. Both the ground and the second floors
were roofed with barrel vaults (Fig. 7). Within the foundations of the north
wall is a rock-hewn cistern, measuring 2.6 4.0 m and 3 m deep. The cistern is fed by rainwater that was drained from the roof of the tower by an
internal drainpipe. The outer wall of the tower was better built in the upper
story than in the ground floor. In the north wall one can discern the jamb
of a door that led to the rooms on this side of the tower. According to the
suggested reconstruction in Fig. 8, the tower had two stories on the southwestern side and at least three on the northeast.
The southern tower is preserved to its full original height of some 6 m
(Photo 8). It measures 6.4 9.5 m. It comprises two wings: a northern
wing, which probably had only one story, and a southern wing with two
stories (Fig. 9, Photo 9). Two windows, one in each story, are preserved in
the southern wall. The original ceiling was made of a mixture of small
329
Fig. 7
Fig. 8
330
Fig. 9
Y. HIRSCHFELD
stones and white plaster. Around the roof of the tower is a parapet 0.25 m
high consisting of two courses of stones.
In the northeastern corner of the core complex, the defensive wall is
preserved to a height of more than 4 m. Adjacent to the wall are the foundations of the eastern tower (Photo 10). Within its foundations is an oval
cistern, measuring 2.5 2.8 m and roofed with a stone vault. Beyond the
cistern is a large cave (5.5 8.0 m), extended by hewing in the rock. In the
floor of the cave is preserved a small well-plastered pool (approx. 2 2
m); next to this pool was found the chancel screen post mentioned above.
The remains inside the monastery were built on two levels: an upper
level around elevation 580 m, and a lower level around elevation 570 m
which contained most of the structures. On the upper level only a few walls
have survived, though a fragment of white mosaic was found in situ. In the
cliff that separates the two levels there are a number of caves and rock shel-
331
article: Y. Hirschfeld, The Water Supply System of the Monastery of Chariton, in Amit,
Hirschfeld and Patrich, Aqueducts (above, n. 41), pp. 205312 (Hebrew).
332
Y. HIRSCHFELD
tery. The reservoir was filled by winter flash floods that were diverted into
it by channels 150 m long. The walls of the reservoir are built of hard limestone. Its southern end, facing the ravine, is preserved to a height of 3.8 m.
The walls were stepped to increase their strength, with each course being
recessed by 12 cm from the one below it (Photo 14). The reservoir is rectangular, measuring 14.0 19.4 m. Its interior consists of one main hall and
two adjacent subsidiary rooms on the west.
The top of the ceiling of the main hall is 5 m above the current floor level.
It consists of two adjacent barrel vaults, supported by two massive pilasters
(1.5 2.6 m in section) and three arches in the center of the hall and by the
reservoirs outer walls (Photo 15). The hall is fully plastered, including the
ceiling, with thick layers of reddish hydraulic plaster. It could store at least
600 cu. m of water. At the top of the vaults were four openings for drawing
water. In recent times three of the openings have been blocked with concrete
by the local Bedouin, leaving open only the southeastern opening.
Fig. 11 Plan of the remains of the core of the laura, the water supply system, the
gardens and the nearby cells.
Fig. 12
333
Lateral section of the reservoir, showing the crosses in the eastern wall.
The function of the two subsidiary rooms on the west is unclear. One of
them, in the northwestern corner, perhaps served as a settling pool. This is
a small room (interior dimensions 2.5 3.1 m). The second room, measuring 2.5 6 m, apparently served as an inspection room. It has an opening
to the exterior facing south. Its ceiling, made of ashlars, is completely preserved (Photo 16).
On the inside of the eastern wall of the reservoir, 1.6 m from the top of
the vault, two large crosses in medallions are molded in the plaster (Figs.
12, 13a-b; Photo 17). The external diameter of the medallions is 1.3 m and
the internal diameter 0.9 m. The motifs used for the borders of the medallions (basket, leaf and fleur-de-lys) are well known in Byzantine art. The
outlines are painted in red. The crosses, which decorated the closed and
dark interior of the reservoir, were not visible from the outside and had a
purely symbolic value. They should be regarded as equivalent to foundation inscriptions, like the cross and the inscription found in the reservoirs
of the Nea Church in Jerusalem.47 The Nea inscription mentions the Emperor Justinian, who provided financial support for the project, and Abbot
Constantine, who supervised the construction of the reservoir. On the basis
of this parallel and the quality of the construction, we may surmise that the
reservoir of the monastery of Chariton was also constructed with the support of one of the Byzantine emperors.
47. N. Avigad, A Building Inscription of the Emperor Justinian and the Nea in Jerusalem,
IEJ 27 (1977), pp. 145151.
334
Figs. 13a-b
Cohen).
Y. HIRSCHFELD
The two crosses that decorate the wall of the reservoir (drawing: Erez
Two large agricultural terraces were identified in the area of the monastery. The larger one is located to the north of the ravine that crosses the
area of the monastery. The terrace, about 180 m long and 525 m wide, is
supported by massive retaining walls along its entire length (Photo 18).
These retaining walls protected the terrace from the erosive force of the
winter floods. The smaller terrace is on the southern bank of the ravine; it
is about 35 m long and 515 m wide.
In these gardens, with a total area of about 3000 sq. m, the fruits and
vegetables that supplemented the diet of the monks were grown.48 Though
individual plots were found next to most of the cells, the large plots were
probably worked communally. The common gardens, together with the
monks private gardens, made the monastery into a man-made oasis in the
desert (Fig. 14).
The cells
In the survey of the Old Laura remains of 39 cells were identified. They
are scattered over a large area, measuring 700 m north-south and some 150
48. On the diet of the monks of the Judean desert, see Hirschfeld, Judean Desert Monasteries (above, n. 13), pp. 8291.
335
m east-west, a total of 10.5 hectares. For the most part the cells are simple
one-room structures. Cisterns were installed in the foundations of many of
them; their function was not only to store water but also to level the surface for the construction of the cell.49 The agricultural terraces found near
most of the cells sometimes contained additional cisterns. The cells are
connected by a network of paths.
The distribution pattern of the cells is characterized by an increase in
the distance between cells as one proceeds from the core of the laura. Most
of the cells are concentrated on the slope to the southwest of the lauras
core, where the average distance between them is 20 m. On the other hand,
further to the south the distance between the cells increases and reaches 60
m and more.
The preservation of the cells is fairly good, many of them standing to a
height of 12 m or more. This is because of the cisterns below them, which
continued to be used after the abandonment of the monastery; many of
49. In previous publications I treated the cells with cisterns integrated in their foundations
as cisterns alone. This error stemmed from the fact that in most cases the walls of the cells
above the cisterns are not preserved.
336
Y. HIRSCHFELD
them became improvised dwellings. In the following the cells are described
from north to south.
Cell 1 is built against the southern tower of the core of the laura. It is
square, measuring 5.5 5.5 m (external dimensions). Below it is a cistern
whose vaulted roof is completely preserved. The cistern is oval, with a diameter of 2.5 m and a depth of 2.3 m, and its capacity is estimated at about
14.3 cu. m. At the base of the vaulted roof of the cistern the opening of a
ceramic pipe, 12 cm in diameter, is preserved (Photo 19). It was probably
part of a drainpipe installed within the wall that drained rainwater from the
roof of the cell into the cistern. In the center of the vaulted roof of the cistern is a square opening (0.5 0.5 m) for drawing water. This is a standard
size of opening that appears in most of the cisterns, and presumably
matched the size of the vessels that the monks used for drawing water. In
the medieval period, after the monastery had ceased to function, the southern wall of the cistern was breached and it became a dwelling.
Cell 2 is 45 m west of No. 1. It measures 4.2 m square and has relatively thick walls (0.8 m). Beside the cell is a rounded cistern (diameter
1.5 m), and adjacent to it is a terrace 14 m long.
Cell 3 is located some 40 m to the northwest. It is oval in shape, with
external dimensions of 4 5.5 m, and has a cistern below it. Some 10 m
south of the cell, a terrace wall 28 m long is preserved. At the western
end of the terrace a flight of 12 rock-hewn steps was discerned. The steps
ascend in a straight line perpendicular to the nearby ravine; their function
is not clear.
Cells 4 and 5 are adjacent to one another. They are particularly large
and are preserved to a height of 34 m above surface level (Photo 20).
Cell 4 is rectangular, measuring 3.2 10 m. Its walls, about one meter
thick, are perpendicular to the face of the natural rock terrace behind it.
Under the cell is a cistern roofed by a barrel vault, part of which is preserved (Photo 21). A breach in the southern wall of the cistern points to
its use as a dwelling after the abandonment of the monastery. Cell 5 is
round, with an external diameter of 7.5 m. Its walls are stepped; the
thickness of 1.9 m at the base decreases to 1.4 m at the top (Fig. 15).
Below the cell was a large cistern whose roof is completely preserved
(Photo 22). The roof consists of two large arches, each 1.1 m wide, supporting four massive stone beams. Near the roof are the round openings
of two ceramic pipes 12 cm in diameter. The pipe on the western side
brought water into the cistern, while the opposite pipe drained excess
water. Above the roof a section of the white mosaic floor of the cell is
preserved.
337
Fig. 15 Lateral section of the cistern in the foundations of Cell 5, looking west.
Note the openings for the entry and exit of water.
Cell 6 is close to Cell 5. This is a relatively small cell (2.5 3.5 m),
with a small cistern below it.
Cell 7 is larger, with external dimensions of 4.5 5 m, and its walls are
preserved to a height of 2.4 m. The base of the cistern below it was cleared
by excavation (Photo 23). The cistern is sealed by the reddish hydraulic
plaster typical of the Byzantine period.
Cell 8 is round, with an external diameter of 3.5 m and has a cistern
beneath it. Six meters to its south is Cell 9, whose walls are preserved to a
height of 2.8 m. This cell is rectangular (4.2 6 m) and has a vaulted cistern below it.
Cell 10 is 25 m to the west. It is rectangular (2.5 4 m) and preserved
to a height of 1.2 m. Beside it is a large terrace which was shared by Cell
14 (below). Ten meters to the west is Cell 11, one of the best-preserved
cells in the monastery. Below it is a cistern roofed by a dome built of fieldstones. From the cell a terrace wall extends for some 25 m to the west. On
this terrace are the relatively small Cells 12 and 13.
338
Fig. 16
Y. HIRSCHFELD
Figs. 17a-b
339
340
Y. HIRSCHFELD
341
the above cells have cisterns below them. Cell 27 is round and measures
only 1.5 m in diameter. In view of its small size, it was possibly not a cell
but a cistern. Near it was found another square cistern (1.1 1.1 m) with
remains of a quarry beside it (Photo 27). At the base of the quarry lies a
large building stone that for some reason was not removed. This fact indicates that the building stones of the monastery were quarried from the rock
that underlies it.
Remains of twelve additional cells were surveyed along the slope between the monastery and the Hanging Cave (above, Fig. 4). The cells are
scattered over the slope at random, utilizing the natural rock terraces. Two
springs issue from the slope. One of them, Ein en-Natuf, will be described
below. The second, which is near Cell 35 and lacks a name, springs from a
vault built in a natural crack (Photo 28). The remains of the vault attest to
the exploitation of this spring by the monks, though its date is uncertain.
Cell 28 is located some 200 m to the southwest of the large reservoir,
Bir el-Uneiziya. It is rectangular (external dimensions 4.9 5.9 m) and its
walls are preserved to a height of 1.4 m. Between the foundations of the
walls, 1.2 m wide, is a cistern. To the south of the cell is an agricultural
plot some 25 m long.
Cell 29 is 80 m from Cell
28. It is rectangular, measuring 4.5 6.5 m in external
dimensions. Below it is a
cistern whose vaulted roof
is completely preserved.
Cell 30 is poorly preserved; near it the remains
of a round cistern were discerned.
Cell 31 is well preserved
(Photo 29). Its external walls
contain stones that reach a
length of one meter or more.
On its eastern side is a later
opening that enabled use of
the cistern as a dwelling. The
cell is rectangular, measuring 5.5 6.7 m (Fig. 19). In
its foundations, which are
Fig. 19 Plan of Cells 3132.
about one meter thick, a
342
Y. HIRSCHFELD
343
344
Y. HIRSCHFELD
agricultural terraces were found beside 27 (69%) of the cells. On them the
fresh fruit and vegetables that enriched the diet of the monks were grown.
An interesting feature is the distance between the cells. Although the
distance ranges from zero (the two adjacent cells 4 and 5) to 160 m (the
distance between cells 37 and 38), these are exceptional cases. The average distance between the cells is 35 m. This distance is characteristic of
the lauras of the Judean Desert, and seems to have been an accepted norm.50
Ein en-Natuf
Ein en-Natuf flows from a cleft in a rock cliff 20 m high (Photo 33). On a
natural rock terrace below the spring were found two small pools and the
remains of agricultural terraces (Fig. 22). The pools are hewn from the rock
and connected by channels (Photo 34). One pool is square (0.6 0.65 m)
and the second is rectangular (0.6 0.9 m). They are 0.40.5 m deep.
Fig. 22
345
External
Area
Cistern Cistern Agricul- Distance
measure- incl. walls below beside tural
from
ments (m.) (sq. m)
cell
cell
plot
nearest
cell (m)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
5.5 5.5
4.2 4.2
4 5.5
3.2 10
7.5 (diam)
2.5 3.2
4.5 5
3.5 (diam)
4.2 6
2.5 4
4.5 6
2.2 2.5
2 2.2
3.2 4.5
3.3 4
2.1 1.8
5.2 6.5
4.1 8.5
4 (diam)
4 4.3
3 4.5
4 4.5
3.3 3.5
3 3.2
3 3.5
3.2 3.5
1.5 (diam)
4.9 5.9
4.5 6.5
?
5.5 6.7
4.5 5
5 5.5
3.7 6.2
3.6 3.2
4.1 5
3.3 7.8
?
6.1 10.2
Square
Square
Oval
Rect.
Round
Rect.
Rect.
Round
Rect.
Rect.
Oval
Square
Square
Rect.
Rect.
Oval
Rect.
Oval
Round
Square
Rect.
Square
Oval
Square
Square
Square
Round
Rect.
Rect.
?
Rect.
Oval
Trapezoid
Rect.
Rect.
Oval
Rect.
?
Rect.
30.2
17.6
22
32
40.6
8
22.5
9
25.2
10
27
5.5
4.4
14.4
13.2
3.8
33.8
34.8
12.5
17.5
13.5
18
11.5
9.6
10.5
11.2
1.7
28.9
29.2
?
36.8
22.5
27.5
22.9
22.3
20.5
25.7
?
62.2
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
-
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
45
45
20
0
0
8
4
5
6
25
12
8
18
15
15
30
15
70
5
20
40
25
20
25
20
15
10
170
80
30
40
4
40
60
80
100
40
60
160
Notes
Near spring
Poorly preserved
Southernmost cell
346
Y. HIRSCHFELD
Vessel
Fabric
Period
Storage jar
Iron Age II
Storage jar
Iron Age II
Small bowl
Byzantine
Holemouth jar
Coarse
Iron Age II
Bowl
Mamluk
Jug
Delicate, Fine
Byzantine Ware
Byzantine
Gaza jar
Coarse
Byzantine
Jug
Delicate, Fine
Byzantine Ware
Byzantine
Jug
Byzantine
Bowl
Green glaze
Abbasid
Bowl
Wavy decoration
Byzantine
Krater
Coarse, yellowish
Early Arab
Bowl
Combed decoration
Early Arab
Bowl
Delicate, Fine
Byzantine Ware
Byzantine
Cooking pot
Reddish
Byzantine
14 Upper level
15 Upper level
Fig. 23
347
348
Y. HIRSCHFELD
349
Fig. 24 Iron plasterers trowel (left) and bronze hanger (right), found in the lower
level of the cave.
Byzantine period.52 In contrast, the pottery found above the floor consisted
of mixed sherds from the Byzantine and Early Arab periods.
Three fragments of marble panels were found in the excavation. Two of
them were found above the floor of the lower level. The first is 14 mm
thick and the second 26 mm thick. The fragments, which are well smoothed
on both sides, were apparently used for facing. The third fragment, found
in the upper level, was 11 mm thick and smoothed on only one side. The
upper level also yielded fragments of roof tiles, which perhaps came from
a roof erected over an opening.
In the lower level, in addition to the pottery and the marble fragments,
two metal vessels were found. One is an iron plasterers trowel and the
other a small bronze hanger (Fig. 24). The plasterers trowel, 20 cm long
including the handle (Photo 36), was found in the bedding of the plaster
floor of the cave and was apparently used by the workmen who laid the
floor and left there for some reason. The hanger, 4 cm high, was probably
used to suspend an object. To its upturned lower end was fixed a kind of
wrapped pipe, 3 mm in diameter, into which the object to be suspended
could be inserted.
Remains outside the cave. On the natural rock platform below the
cave, the remains of an agricultural terrace and pools were found (Photo
37). The rock platform is relatively large, measuring 35 m long, 7.6 m wide
and about 2 m. high (Fig. 25). At its western end four fairly narrow steps
(0.6 m wide) were hewn in the rock, enabling ascent to the terrace. From
the steps a fairly wide passage (1.6 m wide) runs along the terrace wall to
the mouth of the cave. At a point where the passage narrows, an external
52. Rivka Birger and Anna de Vincenz assisted in the identification of the potsherds.
350
Y. HIRSCHFELD
retaining wall, 2.6 m long and 1.4 m high, was built (Photo 38). The wall
enabled the laying of a paving, whose preserved remains consist of large
stone slabs up to 0.7 m long.
The agricultural terrace on the rock platform is well preserved (Photo
39). It is 11 m long and 12.8 m wide. Its retaining wall is preserved to a
height of two courses (0.4 m high). Excavation of the terrace revealed
brown fertile earth, sterile of finds. The monks probably cultivated a small
orchard here.
Between the terrace and the massive wall behind it was a rock surface
18 m long and 2.56 m wide, an area of some 70 sq. m. In its floor were
hewn 56 small round cavities, whose function and date are unclear. Above
the surface is the roof of a rock shelter that supplies shade for most of the
day. The cool and shady surface is a pleasant spot to this day, and in the
Byzantine period it probably served as a waiting and resting area for visitors to the cave.
At the end of the terrace, below the mouth of the cave, two well-preserved pools were discovered (Photo 40). The larger of the two is in the
Fig. 25 Plan of the remains on the lower level of the Hanging Cave and the
rock platform in front of it.
Fig. 26
351
form of a sitting bath. Its walls, preserved to a height of 0.5 m, were built
against the rock. The external measurements of the pool are 1.2 2.2 m
(Fig. 26). The walls, 0.4 m thick, are well built and sealed on the inside by
the characteristic reddish hydraulic plaster of the Byzantine period. In the
base of the pool is a step 10 cm high, dividing it into two levels. In the
southeastern corner of the pool, at the point where water enters it from the
nearby cistern (below), is a small step (15 25 cm), whose function was
probably to protect the floor of the pool from the flow of water.
From the bath-like form of the pool and its location at the mouth of the
cave, it seems likely that it served as a baptismal pool. The existence of
baptismal pools in monasteries and holy places is attested by both literary
sources and archaeological finds.53
Excess water from the bath-like pool was apparently drained into a
small rectangular pool beside it, with external measurements of 0.7 1 m
53. On baptismal pools in the monasteries of the Judean Desert, see M. Ben-Pechat, Bap-
tism and Monasticism in the Holy Land: Archaeological and Literary Evidence, in: G. C.
Bottini, L. Di Segni and E. Alliata (eds.), Christian Archaeology in the Holy Land: New
Discoveries, Jerusalem 1990, pp. 501522.
352
Y. HIRSCHFELD
and walls 0.25 m thick. Attached to it on the west are walls that enclose a
trough-like structure, 1.3 2.3 m, whose function is unclear.
The caves lower level. The cave consists of three levels: the lower
entrance level, the upper level and the alcove above it. The lower level
comprises a large space, 16 m long, 27 m wide and an average of about 4
m high (Fig. 27). The cave has two entrances facing northeast: the larger
western entrance, 3.1 m wide and 2.9 m high, served as the main entrance,
while the eastern entrance is only 1.5 m wide and difficult of access (Photo
41). Between the two entrances is a natural rock pillar, measuring 2.5 2.8
m in section, which is part of the outer wall of the cave.
Fig. 27
Fig. 28
353
354
Y. HIRSCHFELD
Attached to the southern wall of the cave are two cisterns with a basin
between them. Deposits of travertine on the rock above the cisterns are
evidence of a spring that fed the cisterns in the past. Signs of running water were also discerned on the rock walls of the upper level. The two cisterns with the basin between them were built as a single unit. The larger
cistern is oval, measuring 2.1 1.4 m. The cistern wall against the rock
wall of the cave is preserved to a height of 1.8 m. The second cistern is
also oval and measures 0.9 1.4 m. Between the two cisterns is a round
basin, 0.6 m in interior diameter, which apparently received overflow water from the cisterns. The open basin was probably used for drinking or for
washing.
From the basin a rock-hewn channel leads into the cistern below the
center of the cave. The cistern is kidney-shaped, measuring 2 5 m (internal measurements). Its lower part is hewn in the rock and its roof was
vaulted. The walls are preserved up to the springers of the vault, 2.2 m
above the cistern floor. The capacity of the cistern may be estimated as at
least 15 cu. m.
The total water storage capacity of the cisterns greatly exceeds the requirements of a single hermit, a fact that supports the assumption that the
Hanging Cave was a focus of pilgrimage in the Byzantine period.
The caves upper level. Ascent from the lower to the upper level of the
cave is possible only by using a ladder. The opening between the two levels is located in the center of the ceiling, 4.5 m above the floor (Photo 43).
The opening is rather small (0.5 1 m). Around the opening were laid several stone beams, apparently to stabilize a wooden ladder or staircase.
The interior of the upper level of the cave is irregular in shape and quite
large, measuring 4 8 m (Photo 44). The ceiling height is 45.5 m (Fig.
28). The cave mouth is 4.5 m wide and 1.8 m. high, and supplies abundant
light to the interior. The mouth is divided into two by a natural rock pillar
(0.6 0.8 m in section).
The walls of the cave bear signs of hewing and remains of sooty plaster. In the northwestern wall of the cave is a semicircular apse-like niche.
The niche, 1.4 m in diameter, faces northeast and thus was probably the
apse of a chapel. On each side of the niche are 23 rock-hewn steps, 1.52
m long, forming a passage 2.53 m wide.
In the northwestern wall of the cave is a large rock-hewn niche, about 0.6
m above the floor (Photo 45). The niche, which has a flat base and a halfdomed roof, is shallow (only 0.25 m deep), 0.95 m high and 0.5 m wide.
Around its opening is a carved recess 4 cm wide, perhaps intended to hold a
wooden door. Inside the niche are two horizontal grooves, 0.25 m apart, into
355
which wooden shelves were probably inserted. From its location it seems
likely that sacred items connected with the services conducted in the cave
were stored in this niche.
A larger niche, whose base is flush with the floor, is located some 2 m to
the east (Photo 46). The niche is 0.25 m deep, 0.7 m wide and 1.7 m high. In
the base are carved two round hollows, each 13 cm in diameter, symmetrically spaced. The niche is positioned under the opening in the cave wall that
leads to the upper alcove. This location may not be coincidental: the niche
may be a memorial niche connected with the biography of Chariton.
In the floor beside the niche a long trough-shaped cavity was hollowed
out of the rock (Photo 47). It is 1.8 m long, 0.6 m wide and 0.3 m deep. At
the western end of the cavity the hewers left a small ledge, a kind of pillow, 0.2 m high. From the size and shape of the cavity one may speculate
that this was a tomb. If this is the case, a person of significance in the history of the site was interred here.
Close to the southern wall of the cave a cistern, channels and several
niches were found (Photo 48). The cistern is oval, measuring 0.5 1.3
and some 2 m deep. Above the cistern the hewers left a kind of rock
bridge, 0.25 m wide, to which the rope of a bucket was perhaps tied. In
the rock above the cistern traces of travertine can be discerned, evidence
of running water in the past. From the cistern a rock-hewn channel runs
along a rock shelf that borders the chapel on the south. The channel, 4.5
m long, drained overflow water from the cistern through the opening in
the floor of the cave into the cisterns of the lower level. Beside the channel is a round niche, 0.35 m in diameter, in which a jar of drinking water
perhaps stood. In the wall of the cave are additional niches and small
shelves, presumably for lighting devices (oil
lamps). Many patches of plaster are preserved
on the rock, heavily blackened with soot. Examination of the plaster showed that it is of
good quality, painted white and applied in
two layers each 12 cm thick. On the plaster
one may discern very faint traces of painted
geometric designs.
The opening to the upper alcove is located
in the northern corner of the cave, some 3 m
above the floor. Here too a ladder is necessary to reach the opening. The opening is
Fig. 29 Elevation of the
opening leading to the al- rather small (0.4 0.5 m), making passage
through it difficult (Fig. 29). The inner side
cove.
356
Y. HIRSCHFELD
Fig. 31a
Plan of the
alcove, looking east.
357
shown that the main activity of the site took place here. Visitors probably
ascended to this level to take part in religious rites that were almost certainly connected with the figure and memory of St. Chariton.
The alcove. Some 5 m from the opening of the upper level and 3 m
above it is the alcove in which Chariton presumably secluded himself
(Photo 49). The alcove is hewn from the rock at a terrifying height of
about 15 m above the ground. To reach it from the outside one must hug
the face of the vertical cliff. Access to the alcove is possible only because
of the natural rock ledge, some 0.7 m wide, along which runs a channel
that drained runoff water from the cliff into the water system of the cave
(Fig. 31a-b). The channel, 3.5 m long, provides footholds that enable one
to climb relatively safely into the alcove above it. Beside the ledge, be-
358
Y. HIRSCHFELD
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360
Y. HIRSCHFELD
Near the wall, a round hollow 0.4 m in diameter is hewn in the floor;
its function was probably to drain water that penetrated, perhaps during
rain, into the alcove. A small bench, 0.4 m deep and 18 cm high, runs
across the full width of the eastern end (1.2 m). It was probably used
by the alcoves occupant for seating or perhaps even sleeping. It is related that Euthymius used to sleep sitting up, holding with both hands
a rope that was suspended in a corner of his cell.55 Above the bench, at
a height of 1.06 m, is a small niche (8 12 cm) which presumably
held a lamp. This is attested by the signs of soot that remain on the
plaster above the niche. Above this niche is another, larger one, measuring 15 16 cm and 11 cm deep. This perhaps held a wooden beam,
since in the opposite western wall is a niche at the same height and of
identical dimensions. A beam of this kind could have served as a shelf
on which various items could be placed, or from which they could be
suspended.
On the eastern wall of the alcove, 1.5 m above the floor, three painted
crosses with Greek monograms were found (Photo 54). They are painted
in black, red and yellow. The eastern cross is the largest of the three
(Fig. 34). It is painted in bright red; its vertical arm measures 18.5 cm
and its horizontal arm 16 cm. At the ends of the arms are Greek letters
representing the well-known formula () () ()
() (Jesus Christ Son of God). The second cross is painted in
black and yellowish-ochre; its vertical arm is 20 cm long and its horizontal arm 17 cm. The third cross, in the southern part of the alcove, is
blurred. Under the crosses a second monogram painted in bright red is
preserved (Photo 55). The monogram consists of two letters: the upper
one seems to be an omega, and the lower one may be a stylized alpha.
In this case, we have an example of the Christian formula based on
Revelation 22:13: I am the Alpha and the Omega, the first and the last,
the beginning and the end. This monogram in association with a cross
is extremely common in Christian inscriptions, for example in the monastery of Theoctistus.56
361
Summary
The presence of the crosses and monograms confirms the identification
of the alcove as the place where Chariton spent his last years. The choice
of the alcove high in the cliff is suggestive of the extremely ascetic tradition of Syrian monasticism. Charitons residence in the alcove, suspended between heaven and earth, is reminiscent of famous Syrian
monks, such as Simon Stylites, who lived on top of columns in the fifth
century. The Life of Cyriac records that the monks of the Old Laura
preserved the cave and the alcove above it and turned it into a holy
place. The alcove in which Chariton secluded himself was entrusted to
Cyriac when he too was recognized as a holy man. Cyril of Scythopolis
himself was among the many visitors who reached the place during the
Byzantine period and were able to pray in the rock-hewn chapel, immerse themselves in the pool at the entrance and rest on the shady rock
surface beside it. The immersion pool was perhaps also used for the
baptism of infants from the vicinity.
The Hanging Cave was an integral part of the monastery of
Chariton, which was one of the largest and most important lauras of the
Judean Desert. The remains of the monastery are characteristic of a laura.
They consist of two elements: the core, including a church and various
communal buildings, and cells scattered over a wide area. An extensive
system of paths connecting the different elements creates a coherent
monastic complex.
The building of the monastery on a steep slope is typical of the lauras
of the Judean Desert. The choice of a wild and inaccessible location in
the desert provided the tranquillity and solitude that the monks sought.
The cisterns and other water storage installations ensured an ample supply of water. The terrace and agricultural plots turned the monastery into
a man-made oasis. Terraces were found beside most of the cells, at Ein
en-Natuf and at the entrance of the Hanging Cave. Like hard-working
peasants, the monks tilled the soil and tended orchards, despite the harsh
conditions in the desert. The structures of the core and the cells, surrounded by greenery, probably looked like a typical Mediterranean village in the wilderness.
This picture of the monastery in the Byzantine period changed during the Early Arab period. In the later phases of the existence of the
monastery, apparently from the eighth century and onwards, the monks
abandoned the cells and moved into the structures of the core. Because
of the deterioration in security, the core was surrounded by a defensive
362
Y. HIRSCHFELD
wall and towers. During this period and up to the end of the twelfth
century, the monastery of Chariton probably looked like the monastery
of Mar Saba today, a fortified complex clinging to the steep cliff of the
ravine.
Yizhar Hirschfeld
The Hebrew University of Jerusalem
J. Patrich
364
J. PATRICH
he declared that he was a Roman citizen. The tribune first suspected that
he was the Egyptian who a few days earlier had led out into the wilderness
4000 men of the Assassins (Sicarii),3 thus breaking the civil order, but
when it was realized that he was accused by the Jews for breaking their
Law, Paul was given to the sentence of the Jewish council (Sanhedrin /
sune/drion). Paul brought discord among the Pharisees and Sadducees of
the council, by presenting his stance (pertaining to the resurrection of
Christ, and the Holy Spirit), as beliefs in personal resurrection, in the angels and in the spirits - disputed issues between the two Jewish sects. The
dissension aroused in the council was so violent that the tribune had to take
Paul out from there by force, for fear that he would be torn to pieces by the
two parties. Back in custody in the barracks, a plot of the high priests, the
elders and more than forty people to murder Paul next time he came to their
court was brought to the attention of the tribune by Pauls nephew - the
son of his sister, residing in Jerusalem. In order to prevent it the tribune
decided to dispatch him, under military escort, with a letter, to be sentenced
in front of the procurator Felix at Caesarea.
Felix (procurator ca. 52-60? CE) put Paul in custody in the praetorium
of Herod - the palace and officium of the Roman procurator - until his accusers would come from Jerusalem. Ananias the high priest and the elders
arrived after five days, and the prosecutor was a certain rhetor, named
Tertullus.4 After hearing both sides, the verdict was postponed until the arrival of the tribune Claudius Lysias. Paul was given to a lenient custody
(custodia libera), under the surveillance of a centurion, being permitted to
be visited and served by his acquaintances. Paul was known to the local
community. Some of its members had journeyed with him to Jerusalem for
Pentecost. Among the brethren in Caesarea were the evangelist Philip and
his four virgin daughters who prophesied, at whose house Paul and his
company spent several days before going up to Jerusalem.5 Imprisoned
with Paul was Aristarchus, and he was served by Luke, a gentile, author of
Acts, his companion for many years in the voyages to the gentiles, and eyewitness to his adventures in Jerusalem and Caesarea. It seems that Luke
3. The event of the Egyptian ringleader of a rebellious group is also narrated by Josephus
War 2.13.5 (261-3); Ant. 20.8.6 (169-72). According to War they were 30.000 in number,
and they gathered on Mount of Olives. The governor Felix attacked them with his troops,
killed and scattered the followers of the Egyptian, or took them prisoners, but the Egyptian
himself escaped the massacre and disappeared. The event took place shortly before Pauls
arrest. See Schrer, (supra n. 2) 464.
4. Acts 24. The trial took place 12 days after Paul first arrived to Jerusalem.
5. Acts 21:8-16.
365
completed his Gospel during this sojourn of two years in the province, having easy access to the Palestinian apostolic tradition. Some of Pauls Epistles (to the Ephesians, Colossians and Philemon) might have been written
in this period, and sent from Caesarea. His messenger to the churches in
Asia was Tychicus.6
Actually the trial was not resumed for two years, until the end of Felixs
governorship,7 although Felix summoned Paul many times, hoping to extort from him a bribe for his release. One of these encounters was together
with his consort Drusilla - a beautiful Jewish princess, daughter of Agrippa
I and sister of Agrippa II, whom Felix had married through the intervention of a magician from Cyprus called Simon, in defiance of the law which
strictly forbade the marriage of a Jewess with a pagan.8 Paul was asked to
present the essentials of his creed in front of them.
Under Porcius Festus (procurator ca. 60-62? CE) the conclusion of the
trial was not delayed any longer.9 About two weeks after assuming procuratorship he ordered Paul to be brought in front of him, while he sat on
the judgement platform (epi touv bh/mato).10 A Jewish delegation that arrived from Jerusalem presented the accusations, and Paul defended himself.
But he rejected the suggestion of the judge to transfer the issue to the decision of the Sanhedrin in Jerusalem, and be judged there at his presence.
Being a Roman citizen he appealed unto Caesar, to be sentenced in Rome.11
6. For St. Pauls and St. Lukes work at Caesarea, see Rackham, (supra n.1) 449-51. See
also G. Downey, Caesarea and the Christian Church, in: Ch. Fritsch (ed.), The Joint Expedition to Caesarea Maritima, Vol. I: Studies in the History of Caesarea Maritima,
[BASOR Suppl. Studies 19] (Missoula, Montana 1975) 23-42. E. Krentz, Caesarea and
early Christianity, in: R. L. Vann (ed.), Caesarea Papers 1 [JRA Suppl. Ser. 5] (Ann Arbor, MI 1992) 261-67, mentions the Epistle to the Philippians as the best exemple of Prison
epistles to be written in Caesarea, though the Christian tradition suggests Rome. W. G.
Kmmel, Introduction to the New Testament (Eng. tr. H. C. Kee, London 1975) 328-29
brings the pros and cons of each place, and favors (ibid. 346-47) Caesarea as the writing
place of the Epistle to the Colossians. According to Kmmel (ibid. 347) Mark also was with
Paul in Caesarea, and the runaway slave Onesimus met Paul there (ibid. 348-49). Pauls
biography and chronology is given by Kmmel in pp. 252-55. He places Pauls arrival in
Jerusalem in 55/56 CE.
7. The prolonged delay might have been the result of the dispute aroused at that time in the
city between the Jews and the Syrian inhabitants, over the equality of citizenship
(ijsopoliteia). See Schrer, (supra n.2) 465.
8. Ant. 20.7.2 (141-3).
9. Acts 25.
10. Ibid. 25:6.
11. Ibid. 25:11.
366
J. PATRICH
The appeal was approved by the judge. But before being dispatched from
the harbor of Caesarea in a boat to Rome, together with other prisoners,
under guard of a centurion named Julius, Paul encountered two other members of the Jewish royal family - Agrippa II and his other sister - Berenice,12
who came to Caesarea to greet Festus on his appointment. Paul was summoned into the audience hall (to\ ajkroath/rion),13 in the presence of Festus,
Agrippa and Berenice, the military tribunes, and the prominent men of the
city, to present his case. Festus asked Agrippas advice in formulating the
letter to the emperor concerning Pauls affair. After the hearing the king,
Festus, Berenice and the others, withdrew (presumably to a side chamber,
or to an adjacent suite), saying to one another that the man had done nothing worthy of death or imprisonment.14 But since he had appealed to Caesar, he could not be set free. A few days later Paul with other prisoners
sailed to Italy.
became the mistress of Titus, his son, until she had to leave Rome after he was proclaimed
emperor.
13. Ibid. 25:23. According to Rackham (supra, n.1) 461, this auditorium was a different hall
than the regular governors hall of justice.
14. Ibid. 26:31.
15. On this complex, excavated by several expeditions (Hebrew University of Jerusalem,
University of Pennsylvania, and the Israel Antiquities Authority) see: L. Levine and E.
Netzer, Excavations at Caesarea Maritima 1975, 1976, 1979 Final Report [Qedem 21],
Jerusalem 1986; E. Netzer, The Palaces of the Hasmonean and Herod the Great, (Jerusalem 1999) 109-114 (Hebrew); E. Netzer, The Promontory Palace, in: A. Raban and K. G.
Holum, Caesarea Maritima: A Retrospective after Two Millennia, (Leiden 1996) 193-207;
Kathryn L. Gleason, Ruler and Spectacle: The Promontory Palace, ibid. 208-228; Barbara
Burrell, Palace to Praetorium: The Romanization of Caesarea, ibid. 228-47. See also: B.
Burrell, K. L. Gleason, and E. Netzer, Uncovering Herods Seaside Palace, Biblical Archaeology Review 19 (1993) 50-57, 76; K. L. Gleason et al., The Promontory Palace at
Caesarea Maritima: Preliminary Evidence for Herods Praetorium, JRA 11 (1998) 23-52.
Fig. 1
367
368
J. PATRICH
Herods palace extended over two terraces with a difference of elevation of ca. 3.6 m.The two-storied, lower-terrace palace (110 55 m in dimensions),16 built in the first phase of the building operations at Caesarea,
(dated 22-15 B.C.E.), served as the private wing. It occupied a natural
promontory, extending 100 m into the Mediterranean.The E side and the
SE corner were cut out of the rock. The various wings, founded almost at
sea level, surrounded a large, rectangular rock-cut pool (35 18 m), 2 m
deep, lined with hydraulic plaster, with a rectangular base, presumably for
a statue, at its center. It was a swimming pool, filled with sweet water, typical of Herodian palaces.17 The E wing, the best preserved, constituted a
dining suite looking west, comprising a central hall flanked on either side
by two small rooms. The thick lateral walls of the Herodian triclinium suggest a vaulted ceiling; there was no second story above this hall. The western side, that might have served as the living quarters, is poorly preserved.
Access to the second story and to the upper terrace was through a staircase
located in the NE corner.
The upper terrace, on the higher part of the promontory and of a
slightly different orientation, served as the public wing. It was built around
a vast courtyard (42 65 m) surrounded by porticoes.18 A raised square platform, for some monument, or for the emplacement of a bema, stood in its
During the years 1995-97, in the framework of the Israel Antiquities Authority excavations
directed by Y. Porath, additional parts of the N, S, and E wings of the praetorium were
exposed. For a short preliminary note see: B. Rochman, Imperial Slammer Identified, Biblical Archaeology Review 24.1 (1998) 18; Y. Porath, Hadashot Arkheologiyot: Excavations
and Surveys in Israel 112 (2001) 40-41. See also: H. M. Cotton and W. Eck, Governors
and their Personnel on Latin Inscriptions from Caesarea Maritima, Proceedings of the Israel Academy of Sciences and Humanities VII.7, Jerusalem 2001, 215-240.
16. Thus Gleason et al., JRA 11 (1998) 29, but according to Burrell, Caesarea Retrospective
240, the dimensions of the rectangular structure (without the semicircular W projection) was
40 80, while according to Netzer, ibid. 198, 200, 201, it was 83 51, giving a total area of
ca. 4400 sqm for the lower story, including the projections, and 8000 in two stories.
17. Swimming pools were also found in Herods palaces at Jericho, Masada, Herodium and
Hyrcania. See: E. Netzer, The Swimming Pools of the Hasmonean Period at Jericho,
Eretz-Israel 18 (1985) 344352 [Hebrew]. For a shorter version , see E. Netzer, The Swimming Pools of the Hasmonean Period at Jericho, Leichtweiss Institut fr Wasserbau der
Technischen Universitt Brownschweig, Mitteilungen 89 (1988), 1-12. For Hyrcania see: J.
Patrich, Hyrcania, in: E. Stern (ed.), The New Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, Israel Exploration Society, Jerusalem 1993, II, 639-641.
18. The W half of the upper terrace was excavated by the University of Pennsylvania expedition, directed by Gleason and Burrell, while the E half, and farther areas to its E, belonging to the Roman praetorium, and the entire S wing, were excavated by the Israel
Antiquities Authority expedition headed by Y. Porath, (supra, n. 15). The most detailed
plans published so far are to be found in Cotton and Eck, supra, n. 15. A basilica of a
369
center, and to its east there was constructed a vast underground water cistern with two compartments, T-shaped in its ground plan.
The N wing of the upper terrace held two suites separated from each
other by a service corridor. The W suite (on the Penn excavation area) was
facing S, while the E one (on the IAA excavation area) was facing N. The
W suite, of symmetrical layout, held in its center a basilical audience hall
(192 sqm), flanked by smaller rooms and service corridors. The N part of
the hall, that seemingly accommodated a dais, or a bema,19 had a heated
floor set on stone suspensurae / hypocaust. It seems that over this bema
the Roman governor and his council (concillium / sumbou/lion) held their
assizes, including those pertaining to St. Paul, mentioned above.20
A small bath unit, including a Jewish miqveh, was located to the west
of this suite. The E suite had on its S four rooms facing N, towards a stone
paved courtyard with a circular fountain at its center. It is likely that to this
suite, overlooking the sea and the city, Festus, Agrippa and the other magnates present in St. Pauls hearing withdrew.
The S wing of the upper palace was occupied by a large Roman bathhouse.
The entrance to the palace was from the E, via a square propylon
with four turrets set at its corners. Another, higher tower, rose above this
propylon, overlooking the hippodrome/stadium. Only the foundations of
the propylon and of adjacent tower have been preserved. Under Roman
rule Herods palace was extended farther to the east, adding ca. 50 m
along the S curved end of the hippodrome/stadium.21 Latin inscriptions
mentioning various functionaries and rooms of the officium were found
in this extension.22
single nave, yet unpublished, with apses and its E and W ands, was built at a later date in
the NE part of the courtyard.
19. See plan and reconstruction in Gleason et al. JRA 11 (1998) (supra, n. 15) Figs. 4c, 7,
13, and discussion in Burrell, Caesarea Retrospective (supra, n. 15) 229.
20. For the audience hall see Gleason et al., ibid. pp. 33, 45-48, Figs. 4c, 7, 13. The side
chamber where Agrippa and Berenice withdrew, together with Festus and the other magnates, can be identified as R. 6 in Fig. 7 there, unless it was to the E suite, depicted in
Fig. 4c.
21. According to Porath (oral information) the entire complex of the two-terrace palace
postdates Herods reign. However, this interpretation disregards the fact (pointed out by
Netzer, in Gleason et al. [supra n. 15] p. 38, n. 29), that the N wall of the palaces upper
terrace is bonded into the W cavea wall of the hippodrome/stadium, and ignores the fact
that the praetorium where St. Paul was put in custody was known as the Praetorium of
Herod (Acts 23:35).
22. See Cotton and Eck, supra, n. 15.
370
J. PATRICH
Although still standing in the Byzantine period, according to the excavators,23 the audience hall of the W suite was never converted into a chapel.
A Byzantine apsidal structure located farther to the east, within the bounds
of the former Roman praetorium, had a Greek inscription calling for the
salvation of Silvanus and Nonna. No cross accompanies the inscription - a
common feature in Christian Greek epigraphy to be expected here as well,
if the structure was used by Christians. The apse, oriented to the east, is
very shallow, leaving no room for a synthronon, and there was neither a
bema nor an altar. Thus it should not be excluded that this structure was
actually a Samaritan synagogue, oriented eastward to Mt. Garizim, located
to the east of Caesarea.
23. Gleason et al., JRA 11 (1998); Burrell, Caesarea Retrospective (supra, n. 15) 240-47.
24. For a brief survey, with references, on the churches and chapels of Caesarea see: J. Patrich,
Urban Space in Caesarea Maritima, Israel, in: J. W. Eadie and T. Burns (eds.), Urban
Centers and Rural Contexts, Michigan State University Press 2001, 77-110.
25. For a preliminary report on the excavation in area KK see: J. Patrich et al., The Warehouse Complex and Governors Palace (Areas KK, CC, and NN, May 1993-December
1995), in: Caesarea Papers 2 [The Journal of Roman Archaeology, Supplement Series,
Number 35], edited by Kenneth G. Holum, A. Raban and J. Patrich, Portsmouth, Rhode Island 1999, 70-108.
26. Object no. 10/94 KK17 L.012 B.0086 001. For a detailed description, including artistic
and liturgical significance, see: J. Patrich, Four Christian Objects from Caesarea Maritima,
Israel Museum News (forthcoming).
371
The decorations were incised in the clay before firing. The circumference
is decorated by two concentric bands, the outer one bearing a wavy, zigzag
line, and the inner - a Greek inscription, more than half of which is preserved.
The suggested reading of the complete inscription is: Blessing of the Lord
upon us, and of Saint Paul.27 According to Leah Di Segni, there is no place
for another name besides that of St. Paul. The inner area of the medallion depicts an arched ciborium over a cross. The arch is supported by two columns,
decorated by a similar zigzag line. A surrounding circle of dots is disturbed
in its lower part by a smaller cross in a circle - seemingly one of a pair. Similar dots are depicted between the arms of the larger cross. The arms of the
crosses have flaring. Another cross with flaring arms is depicted on the rear
side. The other marks on this side are not clear.
The inscription, as deciphered by Di Segni, associates the stamp with a
shrine dedicated to Saint Paul, presumably the apostle. The name Paul is
also incised on the rear side of a pottery plate found on the same spot. The
shape of the stamp and the inscription on it indicate that it was a eulogia
bread stamp, which differed from eucharistic bread stamps in the following aspects.28 While the eucharistic bread was given to the faithful during
the rite, after being consecrated on the altar, the eulogia bread was distributed as a eulogia (literally - blessing) to the faithful after the conclusion of
the rite and their dismissal; it was also acquired by pilgrims visiting a
church, a monastery or a martyrs shrine, or distributed to the poor as alms
on particular feasts. Also, it could be distributed to the faithful in connection to a certain feast - either a great festival, or a Saints day - rather than
being strictly associated with a certain site.29
Yet other finds from this area, presented below, bring further evidence
for the possible existence of a Christian chapel somewhere in area KK.
27. See the following contribution by Leah Di Segni, and eadem. Inscription on a Eulogia
372
J. PATRICH
30. For a detailed description of the KK complex of warehouses see: J. Patrich, Warehouses and Granaries in Caesarea Maritima, in: A. Raban & K. G. Holum (eds.), Caesarea
Maritima - Retrospective After Two Millennia, Louvain-New York-Kln, 1996, pp. 146-76.
Figs. 23-24 on pp. 170-71 depict one of the painted crosses reproduced here. For the Greek
inscriptions see the following article by Leah Di Segni.
31. One cross with an inscription underneath, presented by Di Segni, below, as inscription
1, and already reconstructed graphically in Patrich, supra, was restored by the conservation
team of the Israel Antiquities Authority. See: Y. Israeli and D. Mevorah, Cradle of Christianity, The Israel Museum, Jerusalem, 2000, 34.
32. Aspects of engineering and architectural stability of the possible upper story chapel in
this place were discussed with conservation architect at Caesarea excavations, D. Abu
Hazeira, who expressed his absolute confidence that an upper story did exist over the central section of the dolium hall. I am indebted to him for his opinion. But the hypothesis
Fig. 2
Fig. 3
373
374
Fig. 4
J. PATRICH
Fig. 5
St. Paul chapel. Suggested reconstruction, from SW, including the staircase room and the burial chamber.
Fig. 6
375
presented below is based more on the interpretation of the archaeological data suggesting
an upper story chapel, than on the possible existence of an upper story on purely architectural grounds.
376
J. PATRICH
Fig. 7
Fig. 8
Table legs.
377
33. For a catalogue of these table plates see: Jutta Dresken-Weiland, Relieferte Tischplatten
aus Theodosianischer Zeit (Roma, Citta del Vaticano 1991). I am indebted to D. Amit for
bringing this publication to my attention. A larger fragment of an altar of this type depicting on the rim a hunting scene was found recently in a monastery in Jerusalem. See: D.
Amit, J. Seligman and I. Zilberbod, The Monastery of Theodoros and Kyriakos on the
eastern Slope of Mount Scopus, in: A. Faust and E. Baruch, eds., New Studies on Jerusalem [Proceedings of the Sixth Conference, Ingeborg Rennert Center for Jerusalem Studies,
Bar Ilan University, December 7th 2000], Ramat Gan 2000, 166-74 (Hebrew, with an English summary at pp. 11*-12*).
378
Fig. 9
J. PATRICH
Table plates.
Fig. 10
379
380
J. PATRICH
34. This plate was already presented in Patrich (supra, n. 30) 175, Fig. 29.
35. For a survey on burial practice in the churches and chapels in Palestine see H. Goldfus,
Tombs and Burials in Churches and Monasteries of Byzantine Palestine (324-628 A.D.),
Ph.D. Dissertation, (Princeton University 1997, UMI Dissertation Services). Christian burials (unlike veneration of martyrs relics), was quite rare within urban confines, and when
occurring within the wall, it was near the outskirts of the city, as in the case of the Mortuary
Chapel at Jerash, or Kyria Maria Monastery and the Martyrs Church in Scythopolis both within an intramural cemetery. Although imperial legislations and ecclesiastical stance
forbade intramural burial (see Di Segnis reservations below), these finds indicate that such a
practice did occur. Although one cannot exclude the possibility that both sarcophagi and
burial inscriptions mentioned below came from the extramural cemeteries of Caesarea, in my
opinion an origin adjacent to the finding spot should be preferred.
Fig. 11
Burial inscriptions.
Fig. 12
381
382
J. PATRICH
Eulogia flasks
Four St. Menas flasks (Fig. 14), one eulogia flask of St. Simeon the Elder
(Fig. 15), and a silver (eucharistic?) spoon (Fig. 16) were also retrieved in
the post-occupational dirt and garden soil that covered area KK,40 but
again one cannot positively affirm that they came from the presumed
chapel.
Joseph Patrich
University of Haifa
See also: idem, Excavations and Surveys in Israel 17 (1998) 56, Fig. 26.
38. Object no. 10/94 KK16 L.171 B0001.
39. Object no. 10/94 CC07 L.002; Photo no. C94-29-13.
40. For a detailed description of these objects see Patrich, supra n. 26.
L. Di Segni
liable to go to pieces if disturbed. Some of the fragments were large, which seems to show
that they had not been submitted to much displacement. It must be stressed that the religious character of the painted images and inscriptions would not provide sufficient grounds
for the existence of a chapel: figures of saints were painted on the wall of a vaulted passage, north of Area KK, which probably had no sacred function at all. However, the association of all the finds architectural elements, pieces of ecclesiastical furniture, religious
paintings and the eulogia stamp can hardly be ascribed to mere chance.
LA 50 (2000) 383-400
384
L. DI SEGNI
access from the street, makes it reasonable that it was privately owned and
used. This does not exclude, however, that it may have been opened to the
public in special occasions for instance, for the festival of the patron saint
or that it could be used for sacred ceremonies not only by the owner and
his household, but also by employees and clients (both in the Roman and in
the modern sense) who frequented the house for social and economical reasons. To all these people would the bread stamped with St. Pauls blessing be
distributed, after they had taken part in the holy rites in the place.
In the debris in Area KK two sarcophags were discovered, and three
epitaphs can be identified among the many fragmentary inscriptions on
stone scattered in the area. Can this be taken as evidence that the chapel
had a funerary function? It seems unlikely. The location of the chapel on
an upper storey rendered it unfit for this use,2 and its situation in the very
heart of the city made burial in it unlawful. The Roman law which forbade
burial within the cities was re-enacted in the 6th century (CJ III, 43, 12)
and it is hard to believe that it would be violated in the capital of Palaestina
Prima, under the very nose of the governor whose palace was nearby. John
Chrysostom opens a homely on the dedication of a cemeterial chapel with
the rhetorical question, why is the community meeting outside the city?
The answer is a reminder to his listeners that the sacred building they have
come to consecrate is intended for burial, and therefore could not be erected
within the walls.3 In his study on burial in churches in Byzantine Palestine,
Goldfus comes to the conclusion that churches used for burial in cities and
villages were located outside or at most on the fringe of the inhabited area.4
His survey refers only to Western Palestine, but the situation appears to
have been similar also beyond the Jordan. The so-called Mortuary Church
in Gerasa rather a mortuary chapel attached to the Church of SS Peter
and Paul was indeed destined for burial, but though it was technically
located within the city wall, it is tucked into the rocky hillside on which
2. This location naturally prevented deposition of the dead in graves under the floor, as well
as the disposition of sarcophagi anywhere but in the small side room to the south of the
suggested area of the chapel, which lay on a fill of earth. But this would have required carrying the cumbersome and heavy sarcophagi up a narrow wooden staircase (there is no place
for any other means of ascending to the second floor), and arranging them in a space hardly
large enough to hold them, and certainly unsuited for the activity required in order to lay
bodies in them (e.g., removing and replacing the stone lids). Even the carrying of the corpse
upstairs would have been a painfully undignified business.
3. De coemeterio et cruce, PG 49, col. 393.
4. H. Goldfus, Tombs and Burials in Churches and Monasteries in Byzantine Palestine,
UMI Dissertation Services, Ann Arbor, Mich., 1997, pp. 238-239, cf. p. 97.
385
the wall itself stands, at the fringe of the city and in the midst of an uninhabited area.5 In Madaba, the Church of the Holy Apostles could well have
been a funerary church too: at least, it is located in a cemeterial area and
had a memorial chapel attached to its northern side (the chapel of Priest
John, built as an addition to the main building). But the area is at the southeastern edge of the town, and it is by no means certain that there was a city
wall marking the limits of the urban area.6
Three epitaphs were admittedly discovered in this area. However, they
are only three out of 32 inscriptions on stone found in Area KK.7 Though
they catch the eye, for two of them are almost whole while all the others
inscriptions are fragments,8 the epitaphs form only 9% of the entire group.
The remaining inscriptions are difficult to locate because of their sorry
state: nevertheless, at least seven can be recognised as fragments of public
dedications, of which four at least belonged to civil buildings,9 and two
5. C.B. Welles, The Inscriptions, in C.H. Kraeling, Gerasa, City of the Decapolis, New
Haven 1938, p. 486, nos. 333-334 (the dedicatory inscription is open to more than one interpretation, and does not prove that the parents of the dedicator were buried in the vault
attached to the chapel, or indeed that they were dead when the chapel was dedicated); R.
Khouri, Jerash, A Frontier City of the Roman East, London and New York, 1986, pp. 130132. The case of the so-called Mortuary Church is similar to that of the Kyria Maria monastery in Beth Shean (G.M. Fitzgerald, A Sixth Century Monastery at Beth Shan
(Scythopolis), Beth-shan Excavations IV, Philadelphia 1939). The church of this monastery,
though not properly a funerary church, had burial places reserved for the use of the donor's
family and of other privileged persons. The monastery itself was attached to the city wall,
at some distance from the residential quarters of Byzantine Scythopolis.
6. M. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, Jerusalem, 1989 (SBF Collectio Maior 34);
id., Iscrizione imperiale e alcune stele funerarie di Madaba e di Kerak, Liber Annuus 39
(1989), pp. 105-117. The imperial inscription is evidence of the existence of gates at
Madaba under Elagabalus, but gates and towers do not necessarily imply the existence of a
wall, as the examples of Gerasa and Scythopolis clearly show. I wish to thank Fr M.
Piccirillo for discussing the issue of funerary churches with me.
7. I do not count several fragments of a large inscription on marble, giving a list of tariffs
for clerical services in the court of justice, which were found in Area KK. More fragments
of the same inscription were found in Area CC, where the palace of the governor was located, and those discovered here evidently came from there.
8. There is nothing remarkable in the fact that two of the three epitaphs were comparatively
whole: tombstones in Caesarea are usually small, 20 cm across or less, and 3-5 cm thick,
and thus rather sturdy. Dedications, on the other hand, were usually inscribed on large slabs,
which were more liable of being broken, either by accident or intentionally, in order to be
reused. The third tombstone was cut and reused as a stopper, perhaps in the very storerooms
where it was found.
9. One of the fragments perhaps refers to a basilikhv (civil basilica), another may contain
the word ajkrovpoli": if these readings are true, the stones must have reached this spot from
a place some distance from Area KK. The term acropolis can only refer to the platform on
which the Temple of Augustus had once stood, and the octagonal church was later built.
386
L. DI SEGNI
seemingly to sacred ones. Three other fragments can be recognised as private dedications. It would be wrong, therefore, to single out the epitaphs
and to ascribe a special significance to their presence here. Though the
possibility that they belonged to the chapel cannot be completely ruled out,
it is more likely, in my opinion, that the slabs were brought from a
cemeterial area out of town, to be reused as building material; or perhaps
to be burnt for lime, since all are made of marble. Several lime kilns were
found in the near vicinity.10
Thus, the inscriptions presented here are only those which most likely
did belong to this spot. Several of the inscriptions painted on plaster were
still attached to building stones which apparently had fallen from the upper
floor of the building. Some fragments of plaster may come from the walls
of the ground floor, on which traces of plaster and paint were observed by
the excavators. The bread stamp and the inscribed platter are also presented
here, though we cannot be absolutely sure that they belonged to the chapel
whose existence we postulate.
Fig. 1
Inscriptions 1 a-e.
387
388
L. DI SEGNI
to be the desinence of a noun ending in -lo", in the genitive plural; the rest
belong to the word kauvchma, meaning pride, or boast. The use of such
a word seems to indicate that the fragment does not belong to a dedicatory
inscription, but to some less prosaic text, a quotation of some kind. The
term occurs both in the Old and in the New Testament, but the surviving
letters do not match any quotation from either. In the Gospel we find also
the verb kauca'sqai, to boast, to exult, both in a negative and in a positive sense (e.g., in phrases like to exult in the Lord). Some forms of this
verb could match the last six letters of the fragment, but no quotation
matches the whole fragment.
Even if the fragment belongs to a quotation from a literary text which
has come down to us, its identification is close to impossible, given the
scanty remains of the inscription. The term kauvchma is used hundreds of
times by the Church Fathers, whose writings are the most likely source of
this text. However, some tentative suggestion might be supplied by the accompanying word and by the representation of the crosses. Though the
ending in -lo" is very common, the context favours a term connected with
holiness, like a[ggelo" or ajpovstolo".11 Kauvchma can be found coupled
with one or the other of these words in several homelies of John
Chrysostom on the cross. For instance, in Sermo in venerabilem crucem the
cross is exhalted through a long series of epithets, among which stauro;"
ajpostovlwn katavggelma, stauro;" martuvrwn kauvchma (cross, the proclamation of the apostles; cross, the pride of the martyrs: PG 50, col. 819).12
In another homely ascribed to the same Church Father, In adorationem
verae crucis, again the cross is praised with a series of appellations, among
which problhvtwr ajpostovlwn, khvrugma profhtw'n, kauvchma martuvrwn
monazovntwn kauvchma (promoter of the apostles, message of the prophets, pride of the martyrs... pride of the monks: PG 62, col. 748). In a third
homely ascribed to Chrysostom, In venerandam crucem, the litany of
praises of the cross includes the expressions to; tw'n ajggevlwn a[rrhton
qevama, to; tw'n brotw'n kauvchma (the ineffable vision of the angels, the
11. Tamar Avner suggested xuvlwn, but the restoration xuvlwn kauvchma seems unlikely.
Xuvlon, wood or tree is sometimes used as a synonym of the life-giving cross, but the use
of the plural in this sense is infrequent, albeit not unknown (e.g. Theophanes, Chron., ed. de
Boor, pp. 272, 273). A connection between xuvla as synonym of staurov" and kauvchma might
be plausible, but not in the grammatical relationship that appears in the fragment.
12. This homely, though ascribed to John Crysostom as early as the 7th century, may in
fact be spurious. Some ascribe it to John of Jerusalem: see CPG 4525. If this is indeed the
text that was quoted in our inscription, its authorship is of no importance, so far as it was a
well-known text ascribed to some orthodox Church Father.
389
390
Fig. 2
L. DI SEGNI
Inscriptions 2-4.
391
ters, ca. 13 cm high, are painted in red and have decorative curls and serifs. Clearly they belonged to the same formula as no. 1 and were attached
to a second cross.
3. 12/25 KK 22 L. 625 B. 0170 (Fig. 2). A fragment with a small cross and
the beginning of an inscription, that may have run under the foot of a large
cross like in no. 1. Possibly the inscription was associated to the same cross
to which no. 2 was attached, since the fragments were found in the same
spot The letters, ca. 8 cm high, are elegantly shaped in red paint. Only the
letters ANQRP can be read. They must belong to the word a[nqrwpo",
case and number unknown, standing at the beginning of a sentence.
As in no. 1, clearly we have no prosaic dedication here, but a quotation
of some kind. Anqrwpo" without article and at the beginning of a sentence
is not very common, and one is forcefully reminded of Luke 10:30, the
beginning of the parable of the Good Samaritan (Anqrwpov" ti" katevbaine
ajpo; Ierusalh;m eij" Iericwv, A man was coming down from Jerusalem to
Jericho...). Some commentaries to this passage by John Chrysostom and
Basilius of Caesarea begin with the same phrase (CPG 3073, 4855). However, if this quotation was inscribed at the foot of a cross, the parable of
the Good Samaritan does not seem especially relevant. Other patristic
works beginning with the word a[nqrwopo" are either later than the probable date of this chapel and its inscriptions (e.g., two works by John of
Damascus and Andreas of Crete: CPG 8087, 8187) or unlikely to be used
in such a context (a polemic work against heretics by Athanasius, CPG
2242).
There is however no reason to take for granted that the quotation
was the opening sentence of a patristic work: it is much more likely to
be the beginning of a sentence within such a work. If so, the chances of
identification are practically nil. All the same, it is worth noting that in
one of Chrysostoms homelies mentioned above as possible source of the
quotation in no. 1, immediately before the series of laudatory appellations of the cross, we find the following sentence: Eklhvqh a[nqrwpo",
i{na se qeo;n kalevsh/: ejklhvqh uiJo;" ajnqrwvpou, i{na se uiJo;n qeou' kalevsh/
(He [Jesus] was called a man, so that you could be called a god; he
was called son of man, so that you could be called son of God: Sermo
in venerabilem crucem, PG 50, cols. 818-819). With only a slight change
in the order of the first two words, this sentence might match the quotation: it certainly fits the circumstances, for the cross was the instrument of mans redemption and of the opening of the reign of heaven to
human kind.
392
L. DI SEGNI
Fig. 3
Inscriptions 5-7.
Fig. 4
393
Inscription 8.
394
Fig. 5
L. DI SEGNI
Inscriptions 9 a-c
395
- - - - KOUNONIA oJ fevrwn
- - A . AFY - - Could the first legible word in l. 1 be koinwniva? However, it makes
no special sense in conjunction with the following word, which is clear
enough: He who brings.. or bears. In l. 2, the sequence FY is impossible in Greek: perhaps the letter after phi is not psi but hypsilon: in this
case, the line may contain a word like katafuvgion, refuge, or
ajnafughv, retreat, or ajnafuvhsi", growth. The inscription cannot be
deciphered, but it clearly is not a dedication. It may well be a quotation,
certainly not from the Septuagint or the New Testament, but perhaps from
some ecclesiastical writer.
9. 7/95 KK9 L. 039 B. 0058 (Fig. 5). Fragment of plaster, bearing two letters, DH, and part of a cross, painted in red. The letters are 10 cm high.
Other fragments of plaster with undecipherable marks in red paint were
discovered nearby (7/95 KK 9 L. 045 B. 0074).
10. 7/95 KK 25 L. 086 B. 0001 (Fig. 6). Fragment of red-coloured plaster,
ca. 4x4.6 cm, bearing a horned cross and remains of writing. An alpha can
be faintly made out above the right arm of the cross. Perhaps part of the
formula N(ivk)a or N(ik)a'/ written across the stem of a cross, meaning Win
(o cross)!, or (the cross) wins.15
11 a-e. 7/95 KK 29 L. 046 B. 0138 (Fig. 7). Five fragments of plaster with
remains of decoration and writing in red paint.
396
L. DI SEGNI
Fig. 5
Inscription 9.
Fig. 7
Inscriptions 11 a-e.
Fig. 6
Inscription 10.
397
Bread stamp
12. 10/94 KK 17 L. 012 B. 0086 (Fig. 8). Circular stamp, 10.4 cm in diameter, 1 cm thick, with knob handle on the back. Part of the stamp is missing. The flat surface is decorated with an arch surmounting a cross, with
two smaller crosses at the sides. See description by Patrich, above.16 A
Greek inscription apparently went all around the disk, since the first word
is almost exactly centred above the arch and on top of the cross within. The
extant part of the script is 19 cm long, and about 13.5 cm of inscribed text
are missing. The letters are 0.5-0.7 cm high. The text reads:
Fig. 8
Inscription 12.
16. This stamp and its inscription have also been discussed at length by J. Patrich and by
398
L. DI SEGNI
1949, p. 232 (Texte und Untersuchungen 49 ii); John Moschus, Leimonarion, ch. 42, PG 92,
col. 2896. In this story Moschus uses both terms, prosforav for the eucharistic bread, and
eujlogiva for the bread given in charity. According to G. Galavaris, Bread and the Liturgy. The
Symbolism of Early Christian Bread Stamps, Madison, Milwaukee-London, 1970, p. 141, the
phrase Eujlogiva Kurivou ejf hJma'", which echoes the dismissal of the Liturgy of St. John
Chrysostom, means that the bread with this stamp was distributed at the end of the liturgy.
18. See for instance Itinerarium Egeriae, chs. III, 6, XI, 1, XV, 6, XXI, 3, ed. E. Franceschini
and R. Weber, in Itineraria et alia geographica, Turnhout, 1965 pp. 40, 51, 56, 65 (CCSL
175); Antonini Placentini Itinerarium, chs. 27, 46, ed. P. Geyer, ibidem, pp. 143, 152; Cyril of
Scythopolis, Life of Sabas, ch. 39, ed. E. Schwartz, p. 130. On blessings of water and oil in
ampules, see Antonini Placentini Itinerarium, chs. 11, 20, 39, 42, CCSL 175, pp. 135, 139,
149, 151. On all kinds of eulogiae eatables and objects - obtained in holy places of Palestine, see B. Bagatti, Eulogie palestinesi, Orientalia Christiana Periodica 15 (1949), pp.
126-166; P. Maraval, Lieux saints et plerinages dOrient, Paris, 1985, pp. 237-241.
19. Galavaris, Bread and the Liturgy, pp. 141-153.
20. Eusebius, De martyribus Palaestinae XI, 1-28, ed. E. Schwartz, Leipzig, 1908, pp.
931-945 (GCS 9 ii); G. Garitte, Le Calendrier Palestino-Gorgien du Sinaiticus 34 (Xe
sicle), Bruxelles, 1958, p. 152. On February 6 Paul is mentioned by name, and he is
commemo-rated again, though not by name, among Pamphylus' companions on February
Fig. 9
399
Inscriptions 13.
martyred with two virgins, one called Valentina, the other Ennatha or Manatha,
on July 16, 308.21 It is possible that one or the other is meant in an invocation
to Paul and Germanus (Agie Pau'le kai; Germanev) on a roof tile in a 6thcentury church in Umm er-Rasas, which may have been dedicated to the Caesarean martyrs, possibly having some relics of them under its altar.22 However,
the hint to Paul the apostle implicit in the description of the cross as kauvchma,
and the greater importance of the apostle in the calendar of the saints, all
point to him as the patron of the chapel, or at least the subject of the festival in
which cakes stamped with his name were given out to the faithful.
16 and on November 28: Garitte, ibidem, pp. 157, 397 (Subsidia hagiographica 30). The
Georgian Calendar of Jerusalem was compiled in the 10th century, but reflects the liturgical use in the Holy City also in earlier centuries. For the year of Pamphilus and Paul's
martyrdom 310 rather than the traditional 309 see Bibliotheca Sanctorum X, Rome,
1968, col. 98.
21. Eusebius, De martyribus Palaestinae VIII, 5-12, pp. 926-927; Martyrologium Hieronymianum, July 16, PL 30, cols. 466-467; on the same date in the Greek synaxaries.
22. M. Piccirillo, La chiesa di San Paolo a Umm al-Rasas', Liber Annuus 47 (1997), pp.
389-390: here Paul is taken for the apostle, but it is much more likely that he was a Caesarean martyr, for Germanus was another martyr of Caesarea. He was killed on November 13,
308, together with other three or four martyrs, among which is again mentioned Ennatha or
Manatha (Eusebius, De martyribus Palaestinae IX, 4-8, p. 929; Garitte, Calendrier
Palestino-Gorgien, p. 382): possibly the two groups, martyred in the same year, were
mixed together in the cult.
400
L. DI SEGNI
Inscribed platter
13. 10/94 KK 17 L. 000 B. 0096 (Fig. 9). Fragment of a shallow bowl or
platter. Remains of inscription incised around the outer base, in letters 1 cm
high.
- PAULO - Pauvlou - Perhaps part of a longer inscription mentioning Saint Paul and possibly
attesting that the platter belonged to a church named after the saint.23
Conclusions
Considering the epigraphical finds in Area KK, the most striking feature is
the large number of inscriptions on fresco, all of which or at least those
that can be identified have a religious character. This, together with the
discovery of many pieces of ecclesiastical furniture, points to the existence
of a sacred space in this area. The location of some of the fragments, atop
the debris of the ground floor, indicates that such space was located on an
upper storey. The finding of the eulogia stamp and the platter, both bearing
the name of St. Paul, confirms the impression that a chapel dedicated to
this saint may have stood here. The presence of some epitaphs among the
many fragments of inscriptions on stone from this area cannot be taken as
evidence that the chapel was used also for burial.
Leah Di Segni
The Hebrew University of Jerusalem
23. A similar case perhaps in the santuary of Moses on Mount Nebo: L. Di Segni, The
Greek Inscriptions, in M. Piccirillo and E. Alliata (eds.), The Memorial of Moses. The
Results of the Excavations (1949-1995), Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Maior
27, Jerusalem, 1998, p. 437, no. 28.
L. Bonato M. Emery
1. Ref. 567AP197.
2. Sur Melchior de Vog, voir entre autres : Jean Charay, Le marquis de Vog,
archologue et historien, Aubenas, 1968 ; J-B. Chabot, Le marquis de Vog, notice sur
ses travaux dpigraphie et darchologie orientale , JA, 1916, XIe srie, tome IX, p. 313345 ; S. Reinach, Melchior de Vog , RA, 1916, III, p. 429-447 ; D. Sidersky, Le
centenaire dun grand franais : de Vog , Feuilleton du journal des dbats du 19 octobre,
JA, 1929 ; L. Jalabert, Le marquis de Vog, lorientaliste et larchologue, Etudes, tome
149, 20 dcembre 1916, p. 709-740 ; R. Cagnat, Notice sur la vie et les travaux de M. le
Marquis de Vogu , CR IBL, 1918, 10, p. 77-113 ; E. Trogan, Le Correspondant, 25
novembre 1916 ; Ncrologie, Le Figaro, 12 novembre 1916, Le Temps, 11 novembre 1916.
3. Christophe Edouard Mauss est n Rouen en 1829. Architecte, lve de Constant
Dufeux, il fut charg de plusieurs missions en Orient. En 1862, le gouvernement franais
l'envoya Jrusalem pour restaurer l'glise Sainte-Anne. En 1864, il fit partie de la mission
de Flicien de Saulcy pour l'exploration de la Mer Morte et des contres de l'Ammonitide
au del du Jourdain. En 1866, il dirigea la reconstruction de la grande coupole de l'glise
du Saint-Spulcre en collaboration avec M. Eppinger, architecte du gouvernement russe.
4. F. de Saulcy, Archologie : le clotre de Beit-lehem, Le Moniteur des Architectes, VIII,
22 avril 1874, col. 73f., pl. 23-24.
LA 50 (2000) 401-410; Pls. 31-38
402
L. BONATO M. EMERY
Lune des plus intressantes dcouvertes faites par Mauss, architecte du domaine de la France Jrusalem est le clotre quil a
retrouv au milieu des constructions relativement modernes du couvent latin de Beit-lehem, au milieu desquelles il avait t, pour ainsi
dire, empt, touff.
Nous navons pu trouver que des informations lacunaires concernant la
biographie de Jean-Baptiste Guillemot. N en 1856 Laval, il a suivi les
cours darchitecture de lEcole des Beaux-Arts o il fut llve de Constant Moyaux5 (promotion de 1875). Charg des fouilles dEmmaus
(Koubeibeh), il est lauteur dun rapport de 30 pages intitul : EmmasNicopolis, publi Paris (impr. de la Socit de typographie) en 1887. Nous
savons quil entreprit par la suite des fouilles Amwas.
Lhistoire du clotre est relativement complexe6. Un simple prieur
Augustinien, jouxtant le ct nord de la basilique de la Nativit, fut construit entre 1101 et 1110. Les nombreuses constructions et travaux dembellissement de la basilique partir de 1187, naffectrent pas le btiment qui
fut transform en clotre en 1347 avec larrive des Franciscains et servit
ensuite datrium lancienne glise Sainte-Catherine restaure en 16727.
Plus tard, la galerie ouest a t transforme en cole.
Le clotre fut menac de disparition, comme en tmoigne Flicien de
Saulcy en 18748 :
Les R.P. Franciscains qui occupent aujourdhui le couvent de
Beit-lehem avaient form le projet de faire disparatre le clotre si
heureusement retrouv et dtablir sur son emplacement je ne sais
quelle construction qui ntait nullement indispensable, mais jai
tout lieu desprer que ce projet dsastreux ne sera pas mis excution et que lun des dbris les plus curieux des constructions religieuses leves en Terre Sainte pendant la courte dure du Royaume
latin de Jrusalem, sera conserv et mis labri de tout danger futur.
Finalement, ce nest que trs tardivement, en 1947, que la Custodie de
Terre Sainte dcida de le restaurer.
403
* * *
Le manuscrit de Guillemot, malgr un texte parfois abscons et un vocabulaire architectural encore peu formalis, prsente un intrt certain ne serait-ce que par la qualit de ses dessins. Bien quil ne soit pas dat, on peut
affirmer que ce document a t crit alors que Vog tait ambassadeur
Constantinople, entre 1870 et 1875. Il donne un tat fiable du clotre au
cours de cette priode : ainsi, confirme-t-il la prsence de la claire-voie
dans les grands arcs en tiers-point, comme lavait dj constat Mauss. En
revanche, Enlart ne mentionnant pas cet lment structurel, il y a tout lieu
de supposer que des travaux, visant probablement consolider le btiment,
ont t effectus avant 1925.
Comme il le laisse supposer au dbut de sa lettre, Guillemot a ralis
cette tude sur le clotre des Franciscains de Bethlem de sa propre initiative. Melchior de Vog, par sa position dambassadeur auprs de la Porte
9. Un autre btiment plus modeste est celui de Sainte-Maria Antiqua (prs du SaintSpulcre) datant du XIe sicle.
10. C. Enlart, Les btiments des croiss dans le Royaume de Jrusalem, Paris, 1925-1928,
p. 65.
11. Enlart, ibid., p. 68.
404
L. BONATO M. EMERY
405
Par le terme dgags , lauteur laisserait peut-tre supposer quil ne sagit non pas dun
effondrement accidentel mais dun dgagement en vue dun examen structurel. Enlart, au
dbut des annes 1920, ne parle aucunement de cette claire-voie, il est alors probable que
l'arc dgag a t rebouch.
15. Tailloirs des chapiteaux des colonnettes de la claire-voie.
16. Le terme dogive est improprement utilis dans le sens darc bris, comme au XIXe
sicle (E Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonn de larchitecture franaise du XIe au XVIe
sicle, Paris, 1858-1868, p. 446) alors que dans linterprtation actuelle, ce terme (du latin
augmenter, renforcer) ne signifie ni arc bris, ni arc en tiers-point. Logive est un arc tendu
diagonalement pour renforcer ou souligner les arrtes de vote dune trave carre,
barlongue, ou plus rarement polygonale (M. de Vog et J. Neufville (3e d. revue et
corrige par R. Oursel), Glossaire de termes techniques (Zodiaque), La Pierre-qui-Vire,
1983).
406
L. BONATO M. EMERY
aprs coup.
19. Voir le sens dogive, cf. supra, note 15.
20. Il sagit de deux lments disparates qui nont pas t construits en mme temps et ne
407
manuscrit.
23. Intervalle entre deux bossages.
24. Colonnes supportant la retombe des votes et des arcs doubleaux.
408
L. BONATO M. EMERY
Cependant la disposition prsente M est loin de rpondre cet arrangement : Ce contrefort de 1m08 de large derrire lequel les pieds-droits
des trilobes ont une lgre pntration W, laisserait, aprs sa disparition,
un espace galant le double du tailloir de la colonne intrieure G. Cette
colonne se trouve mme plus souvent droite ou gauche que dans laxe
du contrefort.
En prsence de ces difficults, il faut, ou nier la concordance visible des plus importants dtails ou admettre quune reconstruction complte a employ ces dtails, plus anciens, sur de nouvelles mesures.
(10) Voici la trave la plus intressante du clotre, puisque cest la seule
o lon voit les tailloirs des trilobes, ressortant en saillie sur le mur X .
Ce dtail permet dapprcier la diffrence de leur niveau avec les grands
chapiteaux A et celle, plus grande encore, des encorbellements fixs au mur
de la basilique B.
Ces changements dlvation ne seraient-ils pas simplement le produit
de lexhaussement du sol par le temps qui, chaque restauration, aurait
exig la surlvation des supports ?
Celui du mur de la basilique B, le plus bas de tous, aurait t laiss
sa place comme un titre prcieux de proprit.
Pourtant son profil disgracieux et la lourdeur de son ensemble sont loin
daider toute supposition dhomognit des trilobes et des grands chapiteaux, la construction primitive.
(11) Limpossibilit darranger llgance des profils des chapiteaux
avec la lourde simplicit des supports attenants la Basilique, ma suggr la pense de les placer en regard et sur une mme chelle.
Il se pourrait en effet que ces encorbellements ne soient que de simples
pannelages, attendant encore le ciseau du sculpteur.
Dans cette mme trave, prcdemment dcrite, existe une colonne dont
le carr de la base porte retour sur lun des cts A. Ce dtail peut dabord
paratre sans importance ; mais laffinit de ses cts avec le tailloir isol
de la cour et la largeur des matres piliers rclame un nouvel examen de
larrangement primitif :
N est la largeur25 actuelle des matres piliers sparant chaque trilobe ;
les colonnettes gmines V sont exactement leur place. La colonne intrieure G se rpte lextrieur la place des contreforts E et la moulure
des tailloirs, faisant cordon, relie tout lensemble.
Cette dernire supposition me parat plus certaine que les prcdentes
parce que les dimensions dpaisseur et de largeur sont identiques avec
25. Largeur est pris ici dans le sens de dimension .
409
ltablissement actuel. Mais avant de my arrter, jai voulu analyser toutes les autres probabilits.
(12) Pour cette coupe perspective, jai essay la rsurrection dune trave parmi les principales parties de lancienne construction.
1. Les grands arcs de dcharge devaient tre saillants ; tmoin le tailloir
de la cour dont la saillie est de 30 centimtres.
2. Tous les chapiteaux devaient tre arrangs par groupes sur le mme
niveau. Sans cela, le matre de luvre neut pas fait les grands trop
courts pour la grosseur des colonnes et les petits trop allongs pour
les fts des trilobes.
Il neut pas fait non plus des tailloirs de mme profil et mme paisseur pour des corbeilles de dimensions diffrentes. Cette identicit (sic) de
profil et de hauteur, pour sacrifier le dtail lensemble ne peut avoir eu
dautre but que le maintien de tous les supports au mme niveau. Il reste
maintenant savoir si les arcs taient plein cintre ou en tiers-point.
(13) Il est impossible de nier lemploi de logive, en Orient, une poque trs recule, comme simple dtail architectonique26. Mais on peut affirmer quantrieurement au XIIe sicle, elle ne la jamais t dune faon
absolue, cest--dire, de sorte que cette forme domine toutes les lignes de
luvre et en devienne la logique.
Larceau tant la dominante du monument qui nous occupe, il est fort
probable que la premire disposition tait en plein cintre27.
A mon avis, le clotre de Bethlehem a t construit vers le VIIme si28
cle . Ainsi que presque toutes les constructions de cette poque29. Les votes trop charges par les remplissages en maonnerie poussaient en dehors
des appuis que rien ne contrebutait. Les meurtrissures des dtails attestent
aussi que des chocs violents sont venus aider cette prdisposition de ldifice et en compromettre la solidit.
Une reconstruction des votes et du sommet de luvre, a t opre
vers le XIIIIe sicle qui me parat tre lpoque des contreforts et de la
moulure suprieure.
410
L. BONATO M. EMERY
30. Eglise Sainte-Catherine construite dans les annes 1880. Le clotre ne fut restaur qu
partir de 1948.
C. Sanmor - C. Pappalardo
Nel sito di Ayn al-Kanisah, collocato a sud del Monte Nebo, sulle pendici
dellaltopiano transgiordanico che rapidamente scendono verso il Mar Morto (Katf al-Ghawr in arabo), sono stati scavati i resti di un complesso monastico bizantino intitolato alla Theotokos.
La missione archeologica dello Studium Biblicum Franciscanum ha riportato in luce nel corso della campagna di scavo del 1994 la chiesa, lipogeo
sottostante e gli ambienti settentrionali del monastero; nellanno successivo
lo scavo ha interessato invece gli ambienti disposti attorno al grande cortile
centrale E ed il settore a sud della chiesa, al fine di completare il quadro
topografico del complesso e di individuarne le diverse fasi di sviluppo.
Due saggi sono stati poi effettuati al di sotto del mosaico del cortile E
nei pressi della porta settentrionale di accesso al monastero (saggio 1) e
allesterno della porta stessa (saggio 2), al fine di recuperare materiali provenienti da un contesto stratigrafico unitario e sigillato, utili alla datazione
del cortile e quindi degli ambienti ad esso connessi.
Il monastero
Non si vuole in questa sede riproporre dati gi ampiamente riportati altrove (Piccirillo 1998; Gitler 1998), ma ci sembra comunque necessario ricordare brevemente la disposizione dei vani del monastero da cui proviene la
ceramica qui di seguito presentata.
Strutturalmente il monastero si presentava, al momento dello scavo,
organizzato secondo tre aree funzionali, distinte ma armonicamente e
programmaticamente disposte attorno al cortile centrale E:
1. La cappella con il diakonikon annesso (B3)
2. I vani di abitazione probabilmente del recluso nominato nelliscrizione (B1, B2 e C)
3. I vani di servizio ad ovest del cortile E (E1, forse la toilette, E2,
ambiente mosaicato con cisterna, E4 la cucina, E5, vano con un armadio e
con sedili contro le pareti, di cui stata ritrovata anche la serratura in ferro
di chiusura).
LA 50 (2000) 411-430; tavv. 39-42
412
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
413
Gli ingressi erano originariamente a nord e ad est attraverso porte aperte lungo il muro di cinta di tutto il complesso, secondariamente ad ovest
attraverso una scalinata costruita sopra i livelli di abitazione della cucina.
Un altro gruppo di ambienti si collocava a sud della chiesa, dotato di
ingresso autonomo da est; ad un certo momento, molto probabilmente in
relazione con la ricostruzione del monastero ricordata dalliscrizione posta
allingresso della chiesa, datata al 762, al tempo del vescovo Giobbe di
Madaba (Piccirillo 1994), essi vennero riempiti delle loro stesse macerie e
lingresso dal cortile a questala chiuso.
Al momento dellabbandono, come testimoniato dalla ceramica rinvenuta, erano certamente in uso la prima e la seconda area funzionale (Alliata
1994), mentre nella terza notevoli cambiamenti dovevano essere intervenuti, soprattutto per quanto riguarda il nuovo accesso da ovest al monastero (cfr. sopra).
I contesti stratigrafici
La ceramica presentata in questo studio,1 scelta fra le forme e le tipologie
pi significative, proviene da diversi contesti stratigrafici, identificabili
come:
livelli precedenti alla costruzione del cortile (saggio 1 e saggio 2).
livelli di vita di VI secolo
ultima occupazione e fase di abbandono
Alcune sezioni illustrano con maggiore chiarezza la situazione
stratigrafica rinvenuta nel corso dello scavo, da cui proviene la ceramica
qui presa in analisi.
dallo scavo gi in parte fatta da Eugenio Alliata nel suo articolo del 1994.
414
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
415
stratigrafia risultava sigillata dalle tessere bianche del mosaico del cortile
E o tuttal pi dal suo letto di preparazione.
Questultimo (US 8), costituito da ciottoli di superficie e forma irregolari disposti orizzontalmente, copriva il primo ricorso del muro di cinta
settentrionale del monastero (USM 1).
Uno strato di circa 24 cm. (US 9), costituito da terra gialla e numerosi
frammenti ceramici, pertinenti a forme per lo pi intere o quasi, era stato
steso sullargilla sterile della montagna (US 10) evidentemente per realizzare la piattaforma su cui edificare il complesso. Il taglio per la messa in
opera della fondazione USM 2 di USM 1, intercetta questo strato di
livellamento.
I frammenti presentati sono 11, di cui molti appartenenti a forme quasi
complete.
416
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
417
fino al livello della soglia USM 11. In questo modo stato colmato anche il forte dislivello che intercorre fra il cortile e lesterno del muro di
cinta.
418
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
419
1 Kn 584. Anforetta. Diam cm 7. Imp. fine (rari granellini di carbonato di calcio); col. rosso; decorazione a fasce di tre linee parallelle incise; cott. media.
Le superfici esterna e interna dellanfora presentano una diffusa incrostazione
di carboncini e cenere.
2 Kn 547-48-90. Anforetta. Diam. cm 10. Imp. fine (rari granellini di carbonato
di calcio); col. rosa, esterno bianco; decorazione a linee incise; cott. media.
(Smith 1989, pl. 48.10). VI-inizi VII sec.
3 Kn 550-809. Brocca. Diam. cm 6. Imp. granuloso (granelli di carbonato di calcio di varia grandezza); col. rosso in sezione, bianco allesterno; cott. media.
4 Kn 593. Catino. Diam. cm 26-30. Imp. fine; col. rosso; decorazione a linee
parallele incise; cott. medio-forte.
5 Kn 545. Catino. Diam. cm 14. Imp. granuloso (rari carbonati. rare impurit);
col. rosso; cott. forte.
6 Kn 554-587-631. Catino. Diam. cm 30. Imp. granuloso (carbonati di piccole e
grandi dimensioni, porosit); col. rosso; decorazione a linee parallele incise;
cott. media. (Alliata 1988, fig. 5.1).
7 Kn 806.Tazza. Diam. cm 11. Imp. fine; col. rosso; decorazione a linea ondulata incisa; cott. forte.
8 Kn 679. Tazza. Diam. cm 12. Imp. fine; col. rosso; cott. forte.
9 Kn 549. Piatto. Diam. cm 26. Imp. granuloso (granellini bianchi di media grandezza); col. rosso; cott. media.
10 Kn 553. Piatto. Diam. cm 32. Imp. granuloso; col. rosso chiaro allesterno,
rosa allinterno; cott. debole. Pseudo-sigillata.
11 Kn 546. ?. Imp. finemente granuloso; col. rosso; decorazione incisa; cott.
media.
420
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
1
2
7
6
11
10
12
13
Fig. 8. Ceramica dai saggi 1 e 2.
cm
10
421
a. riempimento US 15
12 Kn 556. Brocca. Imp. granuloso (granellini di calcare) col. grigio in sezione,
bianco allesterno; cott. media.
13 Kn 594. Piatto. Diam. cm 28. Imp. fine; col. rosso; cott. forte. Transjordanian
red-slip ware A, VI-inizi VII sec. (Smith 1989, pl. 46.9-15).
2
1
7
cm
10
422
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
Ambiente E4 (Fig. 9)
a. dalla cenere del forno US 30
1 Kn 705-706-657-728. Brocca. Diam. cm 6. Imp. fine; col. rosso in sezione,
superficie esterna bianca; decorazione incisa a pettine; cott. media.
2 Kn 694-695. Pentola. Diam cm 13. Imp. granuloso, piccoli granelli calcarei e
qualche porosit; col. marrone- nero allesterno; cott. media.
3 Kn 697-698-730. Tegame. Diam. cm 7. Imp. granuloso (carbonati di calcio);
col. rosso, superficie esterna nera; cott. media. (Sodini-Villenuve 1992,
fig.8.11 da Cesarea Marittima; Magness 1993, p. 213). Tegame con due impugnature diverse di cui una dalla caratteristica forma con alloggiamento per un
manico di legno. Ritrovato quasi intero. VI-VII secolo.
4 Kn 701. Coperchio. Diam. cm 2 sulla presa. Imp. granuloso; col. rosso,
ingobbio esterno. grigio scuro; cott. media.
5 Kn 707. Coperchio. Diam. cm 5. Imp. granuloso; col. rosa in sezione, ingobbio
esterno rosa con decorazione dipinta rossa. Lingobbio assente nella parte
inferiore del manico; cott. media.
6 Kn 692. Catino. Imp. granuloso; col. rosso, ingobbio esterno grigio; cott. forte.
7 Kn 699. Tazza. Diam. cm 11. Imp. fine, rare impurit calcaree; col. rosa in
sezione, ingobbio grigio allinterno e sullorlo; cott. forte (Smith 1989, tav.
51.24). Imitazione ceramica di forme vitree.
423
2
1
6
7
10
cm
10
424
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
3 Kn 658. Anforetta. Diam. cm 8. Imp. fine; col. beige, grigio allesterno; decorazione a pittura rosso-bruna allesterno; cott. metallica. Osservazioni: da notare linsolita ondulazione del collo che generalmente molto pi liscio.
4 Kn 659-757. Anforetta. Diam. cm 10. Imp. granuloso (pochi granellini calcarei
di varia grandezza, qualche rara porosit); col. rosso, ingobbio bianco con pittura rossa a onde allesterno; cott. media.
5 Kn 654-738-713. Brocca. Diam. cm 4. Imp. fine (rari granellini calcarei); col.
rosso in sezione, bianco allesterno; decorazione ad onde marroni dipinte su
tutto il corpo, il collo, e la parte superiore dellorlo; cott. media.
6 Kn 655. Brocca. Diam. cm 6,6. Imp. granuloso (granelli minuti di carbonato
di calcio e granelli di basalto); col. marrone in superficie, rosso in sezione;
cott. forte. (Smith 1981, pl. 61.1). Secondo quarto VIII sec.
7 Kn 649. Pentola. Diam. cm 11. Imp. granuloso (carbonati di calcio di piccola
e media grandezza, qualche impurit); col. in superficie est. nero, in sezione
grigio, in superficie int. rosso; decorazione a linee parallele incise al tornio;
cott. media. (Alliata 1991, fig. 15.4. Dove per ci sono tracce di pittura).
8 Kn 646. Tegame. Diam. cm 22. Imp. granuloso; col. marrone; cott. media.
(Alliata 1994, fig. 4.10).
9 Kn 708-709. Tazza. Diam. del fondo cm 4,2. Imp. fine; col. grigio; cott. forte.
(Smith 1989, pl. 54.7 / 61.6). Primo-secondo quarto dellVIII sec.
10 Kn 662. Piatto. Diam. cm 30. Imp. granuloso (granelli calcarei di varie dimensioni); col. rosso, grigio sulla sup. esterna, ingobbio bianco e decorazione ad
onde rosse sulla superficie interna; cott. forte.
a. dal focolare US 40
13 Kn 574. Anfora. Diam. cm 8. Imp. fine; col. rosso; cott. forte.
425
11
12
13
14
15
16
cm
10
426
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
14 Kn 571. Catino. Diam. cm 34. Imp. granuloso (carbonati anche di grandi dimensioni); col. rosso, ingobbio bianco allesterno; decorazione a linee ondulate incise; cott. media.
a. sui gradini
1 Kn 510. Catino. Diam. cm 53. Imp. granuloso; col. rosa, ingobbio beige allesterno; decorazione ad onda incisa a stecca; cott. media. (Alliata 1994, fig.
3.8). Stesso impasto (solo un po pi granuloso) della ceramica ommayade.
Anche lingobbio uguale. Stesso catino, ma con decorazione pi complessa
trovato nella stanza C, dellultima occupazione.
2 Kn 489-494. Tegame. Diam. cm 18. Imp. granuloso (granellini di varia grandezza di carbonato di calcio); col. grigio, nero allesterno; cott. media. (Alliata
1994, fig. 4.11).
3 Kn 267-272-495. Tegame. Diam. cm 24. Imp. granuloso; col. nero esternamente, rosso-nero in sezione e allinterno; cott. media. (Alliata 1994, fig.
4.10).
4 Kn 498-492-494. Tegame. Diam. 18-20. Imp. granuloso (carbonati di varie
dimensioni e impurit); col. nero; cott. media. (Alliata 1994, fig. 4.11). Presenta un diametro irregolare.
427
CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS
3
Fig. 12. Ceramica rinvenuta sui gradini di accesso allipogeo.
cm
10
428
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
Conclusioni
La ceramica proveniente dai saggi 1 e 2 si caratterizza per il colore rosso
degli impasti e per le forme tipiche dei contesti di VI-VII secolo sia al
Mukhayyat che a Pella, e per le decorazioni incise a linee orizzontali sia
sui catini che sulle anforette.
Tale cronologia si accorda pienamente con quella, proposta su basi
stilistiche, del primo mosaico della cappella. In tal modo il cortile mosaicato ed il muro perimetrale sono da ritenere in fase con la cappella
stessa.
I livelli di vita inerenti a questo momento, identificati nellambiente E4,
hanno restituito un pezzo di particolare interesse (fig. 9, n 3) che per la
sua completezza permette di definire con precisione una tipologia finora
conosciuta solo frammentariamente. Il confronto proveniente da Cesarea
Marittima attesta lampiezza della sua diffusione.
cm
10
429
I frammenti appartenenti allultima occupazione presentano decorazione dipinta, forma ed impasto tipici della ceramica appartenente alle
fasi pi recenti dei monumenti della regione. Il contesto di seconda met
dellVIII secolo, datato anche dalle monete rinvenute in US 32 (Gitler
1998), trova peraltro un preciso termine post quem nella data del
rifacimento del mosaico della chiesa (762 d.C.).
Ad una frequentazione nel periodo abbaside rimanda un unico frammento (tav.6 n1), rinvenuto sulle pendici della collina, con la caratteristica decorazione dipinta rossa, applicata dopo la cottura su un ingobbio
bianco.
Chiara Sanmor - Carmelo Pappalardo, ofm
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430
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
Gh. Bisheh
The Excavations
The structure was excavated through a grid of seven squares measuring 4 4 m
and 5 5 m. The mixed debris in the excavated squares, especially in squares
6 and 7, were surprisingly productive in providing ceramic material, fragments of carved stucco and fresco paintings as well as large amounts of variously shaped marble fragments, plain buff and coloured tesserae including
glass. Also the existence of wall mosaics was made certain not only from the
recovery of large amounts of tiny tesserae but also from the retrieval of plaster window frames with tiny cubes still adhering to them. Considering the
state of preservation of the building whose walls had been robbed out to foundation level-with the exception of short lengths of walls delimiting the southern room and which are preserved to a height of one to two courses - and the
mixed nature of the finds, it is only natural that we know neither the full
1. This article is a short version of a detailed report written in Arabic and submitted to the
432
GH. BISHEH
extent nor the exact manner in which the walls were covered. It is likely,
however, that the carved stucco and the glass mosaic were used sparingly to
emphasize specific areas, e.g. window frames and niches.
The core unit of the partially exposed building (Fig 1; Photos 1-2) is a
large room (A) 8.80 m long from north to south but whose east-west length
remains unknown because its eastern extension lies underneath the paved
street. The northwestern corner is occupied by a circle 1.55 m in diameter
outlined by a shallow channel 0.36 m wide and enclosed within a square
3.00 m to the side (Photos 3, 5). In the southeastern corner of the square
stands a marble pedestal (0.39 0.37 0.26 m) topped by a base 0.35 m in
diameter. A similar pedestal must have stood at the southwestern corner as
indicated by the impressions left on the mortar bedding; a narrow groove
cut into the floor and extending between the corner pedestals suggest that
the square area was marked off by some kind of balustrade. The impressions left on the mortar bedding indicate that the circle was paved with
square marble ties whereas long rectangular slabs were used to pave the
bands defining the square. The area immediately to the east of the enclosed
circle was paved with hexagonal and small indented square slabs. The rest
of the floor of the large room was paved with tilted elongated hexagons
and small squares laid in such a way as to form quatrifoils. The function of
the marked off square remains uncertain and definitely has nothing to do
with water or a fountain pool. If the large room was an audience-hall, used
among other functions for entertainment, it may be assumed that this restricted corner was the place where the singer, dancer or musician stood
when performing his/her act.
Entrance to the large room was through a door opened on the northern
side. Only the western door-jamb (a monolithe 1.20 m high) and a doorsill 1.35 m wide were exposed. The door-sill which has three sockets and a
curving groove for a sliding door might extend another 0.85 m to the east
if the door was centrally placed in the northern wall. Preceding the large
room (A) is an ante-chamber or a vestibule (3) whose walls have been completely robbed out. The exposed surface which was paved with mosaics
measures 4.60 m from north to south and 3.82 m from east to west, but if
we add the width of the surround of the tessellated floor (0.28 m) we arrive at the figure 4.10 as the width of the vestibule. The mosaic floor is
largely destroyed but the preserved portions show a border of stepped
crenellation enclosing a field decorated with intersecting double diagonal
rows which form indented squares filled with lozenges (Photo 4).
Opening in the middle of the western side of the large room (A) is an
apsed alcove (B), a step higher, measuring 6.10 by 2.30 m Two small doors,
Fig. 1
433
to right and left, each 0.85 m wide, open into the flanking rooms (1 and 2).
A little further to the west of each door is a semi-circular niche 0.83 m deep
and 0.65 m wide, perhaps intended to receive statues. From the opus-sectile
remaining in situ and the mortar impressions (Photo 1), the pavement of
the apsed alcove can be divided into three sections: a band extending across
the two niches paved with a single long rectangular slab of marble; the
apsed section to the west paved with elongated hexagons, and the rectangular part to the east paved with dark brown or black and white marble tiles
forming six-pointed stars. These central pavements were bounded on the
north and south sides by a border 0.50 and 0.30 m wide respectively. The
niches show a pavement of square tiles. Along the edges of the robbed out
side walls there still remain short lengths of thick plaster layer faced with
marble veneer. The thresholds opening onto the southern and northern
rooms (1 and 2) were paved with mosaics similar to that in the vestibule,
434
GH. BISHEH
435
(Photo 1 and Color Plates V, VII). The scene rendered so realistically reveals a taste for the extremes of ferocity and pathos. The accented eye, the
bare fangs and the spiked teeth which pierce the twisted neck of the gazelle and makes it bleed profusely all combine to emphasize the ferocity
of the leopard and the agony of the suffering gazelle (Photo 1 and Color
Plates VII). Images like these (a lion attacking a bull and a leopard tearing
a gazelle) were bound to conjure up certain associations of power and
defeat of adversaries. Although the overall design of these two mosaic
floors is simple and finds parallels in several mosaic floors from the region of Madaba (Piccirillo, 1996; Nos. 109; 124), their execution is far
more superior to comparable floors and show considerable technical skill.
The vitality of the animal scenes and the subtle gradation of colour tones
were mainly due to the large palette and the tiny size of the tesserae which
included numerous glass cubes. These tesserae were graded in size and
diminished at the heads and necks; their average density ranged between
145-90-48 tesserae per 10 cm2.
To the east of the vestibule (3) are two rooms (4, 5) divided by a crude
wall built of irregularly shaped stone with chinks set in mortar. Only a
single row of this wall remains; the other walls delimiting these two rooms
have disappeared without a trace and the main evidence for their existence
is a thick floor (0.20 m thick) of pure lime. The exposed surface of room 4
measures 3.90 m by 3.00 m. Two depressions with plastered interior,
Fig. 2
436
GH. BISHEH
ca. 0.80 m across and 0.45 m deep, were sunk into the floor surface; the
upper part (rim) of one of these depressions was built with dried mud
coated with white wash, and three brick tiles incised with double curving
lines were placed around the rim (Photo 6). Set into these depressions were
creamy buff, thick walled basing with combed surface decoration; thick
lime encrustation covered the interior surfaces. These basins, dated to the
second half of the eight-century, were apparently used for the preparation
of lime mortar, as indicated by the presence of lumps of pure lime plaster
in the vicinity. This means not only that rooms 4 and 5 were later additions, but also that the original function of the building had changed. It is
even likely that those engaged in the preparation of lime mortar were responsible for robbing out the building stones and marble pavements of the
original structure. Although the pottery does not derive from stratified contexts, with the exception of the thick-walled, comb decorated basins, they
constitute a relatively homogeneous assemblage which can be dated to ca.
720-800 A.D. These pottery assemblages (Fig. 2; Photo 9) include the ubiquitous red-painted ware, the thick walled basins with bands of comb decoration, the fine buff (Mafjar) ware and a channel-nozzle lamp with scroll
and floral motifs. The carved stucco fragments (Photos 10-11) also support
a date not before 720 A.D. for the original construction of the building.
437
indicate that both belonged to the same patron: May God bless the quarter (family) whose abode is in Muwaqqar (and extends) to Qastal al-Balqa
of the elevated chambers (Mahrib)3.
In another poem composed by the same poet in praise of Yazid, mention is made of the two Qastals (bi-1 Qastalayn): May God reward a quarter in Muwqqar with pleasant life, / and May the thunder clouds let fall
copious rains / With the abounding clouds and pouring showers / He was
bestowed in the two Qastals with abundant boon. (Kuthayyir Azza,
1971:340-41;349). The two Qastals here clearly refer to Qastal and
Muwaqqar just as al-Irqayn is used to refer to Kufa and Basrah or alQaryatayn for Mecca and Medina. Among other poets who paid a visit to
the court of al-Walid b. Yazid at Qastal was Said b.Murra al-Kindi: They
deliberately move to a spot where his dwellings, are / not surpassed in
generousity nor even come close to his / when the fires of the two quarters
in Qastal appeared to them, / They chose among all the dwellings your fire
to halt (Atwan; 1981; 387; note 3). Al-Azdi reports that upon the death of
Hisham and the succession of al-Walid to the caliphate in 743, Khalid bin
Abd-Allah al-Qasri travelled from Damascus to the residence of al-Walid
at Qastal (al-Azdi, 1967:52). All these quoted verses and references support the identification of the two Umayyad palatial buildings at Muwaqqar
and Qastal as the residences of Yazid bin Abd al-Malik and his son alWalid. Additional references in the Vita di Santo Stefano Sabaita indicate that in the eighth-century a monastery and caves inhabited by monks
existed at Qastal (Pirone, 1991: 53; 97; 229;303;347)4.
Ghazi Bisheh
Department of Antiquities of Jordan, Amman
438
GH. BISHEH
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Monograph 4), Cairo 1991.
Sono ben noti gli scavi del grande complesso ecclesiastico di Santo Stefano
tra le rovine della citt di Umm al-Rasas, citt della diocesi di Madaba1.
Le impressionanti strutture di questi edifici, dei mosaici e degli oggetti
ritrovati, come ben pubblicate dallo scopritore Padre Michele Piccirillo
aprono un qualche raggio di luce sulla vita di una provincia cristiana di
confine, isolata nel VII secolo dal resto della cristianit per lavvento del
ciclone islamico. Lalto linguaggio architettonico ed iconografico qui rappresentato lascia intravedere la presenza di una comunit dotata di s grande fervore e spessore culturale da trasmettere una continuit di fede fino ai
giorni nostri.
In particolare lo straordinario tappeto musivo della chiesa del Vescovo
Sergio portato alla luce nel 1986 colpisce per la bellezza e variet dei motivi figurati. Alla loro vista viene spontanea la domanda: quale il senso
del programma iconografico che lo ha ispirato? Oggi purtroppo si vede il
tappeto sconciato dallintervento iconoclasta della fine del VIII secolo2 e
dalle ingiurie del tempo, ma, non ostante ci, possibile leggerne ancora il
senso generale ed investigare a riguardo dello spirito che ha animato i committenti.
Si tratta di mosaici di alta qualit, coevi alla chiesa e quindi della fine
del VI secolo, bellesempio di opera della scuola di Madaba: per descriverne le immagini, si segue la traccia elaborata dallo scopritore.
Entrando nella chiesa dallingresso centrale della navata (fig. 1), sulla
soglia si trova subito il medaglione con il nome di alcuni offerenti che invocano la salvezza (), la soglia completata da una decorazione
di motivi geometrici che formano sei ottagoni per parte con al centro immagini di animali e frutti.
1. M. Piccirillo - E. Alliata (a cura di), Umm al-Rasas - Kastron Mayfaah I. Gli scavi del
complesso di Santo Stefano, Gerusalemme 1994 (= Piccirillo-Alliata 1994); B. Hamarneh,
Giordania bizantina ed ommayade nel V-VIII secolo. Testimonianze epigrafiche, VC 33
(1996) 57, 75.
2. M. Piccirillo, Iconofobia o iconoclastia nelle chiese di Giordania?, in Bisanzio e lOccidente. Studi in onore di F. de Maffei, Roma 1996, 173-191.
440
E. GAUTIER DI CONFIENGO
cinque chiese di Kastron Mefaa recentemente messe alla luce: P. Baumann, Sptantike
Stifter im Heiligen Land, Wiesbaden 1999 (= Baumann 1999).
441
Il programma iconografico
Il tappeto stato ben descritto dallo scopritore e nello stesso volume
Basema Hamarneh individua il valore simbolico del programma iconografico dellintero tappeto, allinterno di una rappresentazione cosmica di
animali e personaggi posti tra i due poli della Terra e del Mare4 (fig. 2,
a, b). Si vuole procedere in questo senso cercando, con laiuto dei possibili Maestri ecclesiastici della comunit il senso profondo delle immagini
rimaste.
Secondo quanto contenuto nel medaglione dedicatorio del presbiterio,
si pu ritenere che il programma della chiesa sia stato indicato dal
presbitero Procopio che si dato premura e cura ( ) di
mosaicare tutta lopera della santissima chiesa, ai tempi del santissimo e
beatissimo vescovo Sergio5. anche il clima spirituale dellepigrafe che
dei pavimenti musivi delle chiese della diocesi di Madaba, come vediamo ripetuto nei pavimenti di dieci diverse chiese riportati da M. Piccirillo in Madaba. Chiese e Mosaici,
442
E. GAUTIER DI CONFIENGO
si legge nella cattedrale di Apamea sullOronte, capitale della Siria II, che
loda il vescovo Paolo che presenta il mosaico dai vari colori, lui che ha lo
spirito ornato dai dogmi dellalto. La scritta nel centro di un mosaico
quadrato, con animali la cui presenza assume anche qui evidente valore
simbolico6.
Labside della chiesa del vescovo Sergio conteneva solo poche tracce
di intonaco, esso era dipinto con semplici motivi geometrici7. Il messaggio catechetico delle immagini figurative che a Roma o a Ravenna lasciato sulle pareti qui inserito sul pavimento. In questa posizione per
non potevano essere inserite immagini sacre, esse sarebbero state calpestate dai fedeli durante le celebrazioni, invece, logicamente, si trovano
solo immagini con allusioni, con ambientazione del mondo spirituale di
cui era permeata la Comunit8. Immagini del cosmo rappresentato qui
con le personificazioni di terra e mare, scene di vita quotidiana, inquadrate nello spirito della scritta: O Signore Dio che hai fatto il cielo e la
terra, d vita ad Anastasio, a Tommaso a Teodora e Salamonios il
mosaicista come si legge nel medaglione centrale del pavimento della
cattedrale di Madaba9.
Per la lettura del nostro mosaico si utilizzi allora la guida di due Maestri di allora, S. Cirillo e S. Giovanni di Gerusalemme, vescovi della Citt
santa nella seconda met del IV secolo, essi hanno lasciato nelle catechesi
Jerusalem 1989 (= Piccirillo 1989). Lespressione compare anche in quattro chiese di Siria
tra quelle studiate da P. Donceel-Vote, Les Pavements des glises de Syrie et du Liban,
Louvain la Neuve 1988 (= Donceel-Vote 1998). Il termine non sembra usuale
nelle epigrafi e non lo si trova in altre chiese della diocesi di Madaba, n nei mosaici studiati da Donceel-Vote. Le due parole sono utilizzate assieme solo nellepigrafe della chiesa di Quwaysmah: Piccirillo-Alliata 1994, 259, anche Baumann 1999, 366.
6. Siamo nel primo terzo del VI secolo, vedi J. Ch. Balty, Lvque Paul et le programme
de la cathedrale dApame, in Mlanges Collart, Lausanne 1951.
7. Tracce di mosaici parietali nella cattedrale di Madaba ed in altre chiese della diocesi sono
ricordate da Piccirillo 1989, 337.
8. Sulluso delle immagini nelle chiese vedi il contributo di V. Fazzo, I Padri e la difesa
delle immagini, in A. Quacquarelli (ed.), Complementi interdisciplinari di Patrologia,
Roma 1989. In modo esplicito il tema stato trattato da S. Nilo di Ancira, discepolo di S.
Giovanni Crisostomo, nella Lettera alleparco Olimpiodoro, PG 79, 577. Vedere anche H.
Brandenburg, Christussymbole im frhchristislichen Bodenmosaiken, RQ 64 (1969) 89s
(= Brandenburg 1969).
9. Piccirillo 1989, 105. Anche la raffigurazione della sola croce, non presente nei pavimenti delle chiese della diocesi di Madaba, rara nei pavimenti coevi del modo cristiano, e ove
inserita, posizionata perlopi ove non calpestabile, Brandenburg 1964, 123.
443
una appassionata testimonianza di vita cristiana con vive immagini che richiamano troppo alcune di quelle che troviamo rappresentate nel nostro
tappeto musivo per pensare ad una casualit; seguiamo allora questo testo
come una guida per una loro rilettura.
La IX catechesi battesimale espone le meraviglie della creazione: nessuno sopporti coloro che dicono che uno lautore della luce e un altro
quello della tenebra era necessario che essi non solo si stupissero e ammirassero la struttura del sole e della luna, ma come alcuni sono indizi
dellestate e altri dellinverno e come alcuni mostrano il momento della
semina, mentre altri indicano linizio della navigazione lacqua nelle viti
vino che rallegra il cuore delluomo mentre negli olivi olio che fa risplendere il volto delluomo, inoltre si trasforma in pane che rinvigorisce
il cuore delluomo e produce differenti qualit di frutti10.
Si vedono quindi i dieci registri inquadrati tra la Terra con i suoi frutti ed il Mare ricco di pesci, rappresentato dallAbisso, e grappoli ovunque
nonch la raccolta delle olive che riporta a questo clima. Nella parte mediana sono inserite scene della vita della comunit di Giovanni, Robab,
Ovadia ed i loro figli magari col fiore in mano o in atteggiamento familiare a cavalluccio sulle spalle, Giovanni e Zangon, macellai, che stanno
legando un bovino. Il lavoro delluomo parte attiva della creazione (Catechesi IX, 13).
La cornice che come abbiamo visto racchiude tutto linsieme degli undici registri percorsa da tralci di vite con grappoli e foglie, essa forma
girali che racchiudono scene di vendemmia ed animali, la valenza simbolica ovunque. Richiamandosi a Giovanni 15, 1-5, Cirillo aggiunge: se rimarrai nella vite crescerai come tralcio fruttifero; se non vi rimarrai sarai
distrutto dal fuoco. Produciamo dunque degnamente frutti (Catechesi I, 4).
Per i Padri la vigna rappresenta la casa della Sapienza, Cristo la vera vigna11. Attendere alla vigna equivale a custodire la santa dottrina. La volpe
che mangia luva il simbolo dellastuzia degli uomini12, immagine ambivalente, ma per Origene le volpi sono le eresie: catturate per noi tutte le
piccole volpi che saccheggiano le viti spiega in Cant. Om. IV, 1,2.
444
E. GAUTIER DI CONFIENGO
13. A. Grabar, Loiseau dans la cage, CA 16 (1966) 9s. La gabbia vuota rappresentata
anche in altri esempi: M. Piccirillo, La chiesa dei Sunna a Madaba, LA 43 (1993) fig.
11. Limmagine della gabbia con luccello entro, fuori o anche sulla porta aperta, assai
comune nelle chiese del Levante (Donceel-Vote 1988), ed anche presente in alcuni mosaici pavimentali di sinagoghe: R. Ovadiah, A. Ovadiah, Mosaic Pavements in Israel,
Roma 1987. Per la tematica del significato catechetico delle immagini nelle chiese vide:
M. Guarducci, La pi antica catechesi figurata: Il grande musaico della basilica di Gasr
Elbia in Cirenaica, in Atti Acc. Naz. Lincei, Mem., VIII, vol. XVIII (1975) 659-686.
Anche: H. Maguire, Earth and Ocean, the Terrestrial World in Early Byzantine Art,
Pennsilvania 1987.
14. J. Sauvaget, La Mosque Ommeyade de Medine, Paris 1947, 1
15. Piccirillo-Alliata 1994, 72. Anche nella basilica a tre navate recentemente scavata a
Petra sono stati identificati dei sedili, questa volta in legno trovato carbonizzato, lungo le
mura laterali: R. Schick - Z.T. Fiema - K. Amr, The Petra Church Project 1992-93. A
Preliminary Report, ADAJ 37 (1993) 55-66.
445
16. Il primo riportato dai Sinottici: Mt 9,1-8; Mc 2,3-12; Lc 5,18-26, il secondo da Gio-
vanni (5,1-9).
17. DACL XIII, voce Paralytique.
18. The Excavation at Doura Europos, Final Report VIII, 2, New York 1967, tav. XXXIV.
19. G. Bovini, I mosaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, Firenze 1958, tav. XIII, la sce-
na compositiva simile, la forma ed il materiale del letto, che qui di legno, sono diversi.
446
E. GAUTIER DI CONFIENGO
menti a Marco 2, 3-12, poi S. Giovanni Crisostomo, In Matth. hom., 30, PG 57, Teodoreto
di Ciro, In Ps CII, PG 80 1686C, ed anche in Ps CVI, PG 80, 1742D.
21. In Paralyticum iuxta piscinam jacentem, PG 33, 1131ss; traduzione italiana di G. Bissoli
in LA 31 (1981) 177-190. Largomento era caro a Cirillo che lo riprende nella X Catechesi,
paragrafo 13, (traduzione 1994, 322). In questa sede chiama esplicitamente Ges medico
con il collegamento Jesus - , limmagine qui un ex voto?
22. Giovanni di Gerusalemme, PG 33 (traduzione Saxer, Milano 1994, 614).
23. Scolia in Dionysius Aeropagita, PG 4 (traduzione Scazzoso, Milano 1981, 185).
24. Piccirillo-Alliata 1994, 107. Baumann 1999, 77 lega le due scene di Johannes con il
dittico e luomo con il lettuccio e le interpreta come padrone (ha la tunica) e servo, ci anche in riferimento al mosaico della Megalopsichia di Yakto, ivi, tav. 9.
25. Piccirillo-Alliata 1994, tav. XV. Carta di Madaba (n. 84), e nella chiesa dellacropoli di
447
La fenice
Lultimo girale a destra del IX registro contiene una bella immagine di fenice
radiata, purtroppo sfigurata dallintervento degli iconoclasti (fig. 4a).
Essa chiaramente caratterizzata dal nimbo da cui si dipartono numerosi
raggi, come negli esempi integri della zona, a Wadi Ayn o in Siria26, vista di
profilo ed leggibile dai contorni, mentre la volumetria del corpo stata
cancellata cos da non permettere di identificare i colori del piumaggio, se
non su di un brano del ventre che appare grigio e parte delle zampe che hanno
tessere alternativamente gialle e rosse; di fronte ad essa vi una lacuna che
termina con limmagine di una piccola figura tonda, formata con una circonferenza pi scura, un corpo roseo, ed al centro un punto bianco, a destra verso
la fenice, si vede una protuberanza realizzata con ununica tessera scura.
Gli otto raggi irradianti dal nimbo sono un riferimento allogdoade,
simbolo dellottavo giorno, quello della Resurrezione. Anche in ci il nostro mosaico particolare, nella Regione si vedono rappresentate altre
fenici, ma il nimbo attorno al capo ha sette o dieci raggi27.
Limmagine della fenice, usata per legare la Resurrezione alla resurrezione di ogni uomo, stata citata dai Padri da Clemente Romano in poi28.
Cirillo di Gerusalemme, nostra guida, lo richiama direttamente nella XVIII
Main: Amos Kloner, The City of Eleuteropolis in M. Piccirillo - E. Alliata (ed.), The
Madaba Map Centenary, Jerusalem 1999, 244s (= Piccirillo-Alliata 1999). Quanto allimmagine dei macellai siamo daccordo con Baumann 1999, 79 che difficile sostenere che
ricordi il sacrificio di Ges, sia perch non usuale nella tradizione, sia perch non si mai
visto un riferimento di questo ordine inserito nella navata per essere calpestato dai fedeli.
26. Nella stessa diocesi di Madaba nel pavimento della cappella della Theotocos di Wadi
Ayn vi una fenice radiata, della met del VI secolo. M. Piccirillo, Le due iscrizioni della
cappella dellaTheotokos nel Wadi Ayn al-Kanisah sul Monte Nebo, LA 42 (1992) tav. 24.
Altra rappresentazione stata recentemente trovata a Petra, nella basilica citata in nota 15.
Sono note le altre fenici di Siria, a Houad e Houarte riportate da Donceel-Vote 1988, e
quella di Dafne: D. Levi, Antioch Mosaics Pavements, Princeton 1947, 35s. Sul mito della
fenice vedere: R. Van den Broeck, The Myth of the Phoenix According to Classical and
Early Christian Tradition, Leiden 1972 (= Van den Broeck 1972), F. Bisconti, Aspetti e
significati della fenice nella letteratura e nellarte del Cristianesimo primitivo, VC 16
(1979) 21-40.
27. A. Quacquarelli, Logdoade patristica e suoi riflessi nella liturgia e nei monumenti
(Quaderni di Vetera Christianorum 7), Bari 1973. Quanto al numero dei raggi nel nimbo
delle fenici, in Palestina ne contiamo otto solo nella chiesa di Umm Gerar presso Gaza (Van
den Broek 1972, nota 27), in Siria sono indifferentemente cinque, sei e sette nei mosaici di
Hama citati in nota 31, cinque a Dafni. Anche in Occidente il numero dei raggi spazia da
cinque a dieci senza apparenti attenzioni allogdoade. Nel mondo pagano i raggi sono quasi
costantemente sette.
28. Clemente, Epistola ai Corinti XXV, SC 167.
448
E. GAUTIER DI CONFIENGO
catechesi, con una affermazione che pi forte di quelle degli altri autori
cristiani: Dio, cui era nota lincredulit degli uomini, cre luccello che si
chiama fenice29.
La presenza di numerose immagini di fenice in mosaici di chiese di
Palestina e Siria non deve pertanto stupire, inoltre da questa regione che
parte il mitico uccello nel suo volo verso il luogo della rigenerazione; rappresentata in positure diverse, la fenice posta sul nido entro un calice
come nel mosaico di Umm Gerar per rafforzarne il valore cristologico.
Recenti scavi a Hama, sullOronte (lantica Epiphania) hanno portato alla
luce i pavimenti di due basiliche con rappresentazioni di fenici30: nella cattedrale della citt, la fenice rappresentata come cicogna nimbata e raggiata
affacciata ad altro uccello, nel mosaico della basilica del vicino villaggio
di Tayybat al-Imam vi sono due raffigurazioni con fenici. Nella zona
absidale sono rappresentate Betlemme e Gerusalemme con architetture simboliche, a fianco di ciascuna vi una fenice raggiata, esse sono identiche,
simmetriche ed affrontate in posizione araldica, cosa curiosa perch sempre citato come unicus avis. Nella stessa chiesa, nella navata Sud, altra
fenice raggiata al di sopra di un cantaro a fianco del quale sono due agnelli. Siamo nellanno 442, come appare in una scritta in mosaico31.
Al di sotto dellimmagine della fenice vi poi una lacuna nella figura.
Cosa rappresentava limmagine scomparsa? Essa alta circa 1/4 dellaltezza della fenice, la mancanza delle tessere nel pavimento non evidenzia un
intervento iconoclasta sullimmagine, anche se nemmeno indica il contrario in quanto un eventuale rifacimento iconoclasta avrebbe potuto saltare.
Per lo scopritore limmagine quella di un frutto che esce dalla decorazione di acanto analogamente a quelli che si vedono nel II registro accanto alla terra, ma si vuole qui proporre unaltra ipotesi.
Lanalogia della nostra figura alla testa del gabbiano che sorvola le acque nel mosaico della Sala di Ippolito della vicina Madaba32, o locchio del
(1953) 207-214.
31. Abdurrazzaq Zaqzuq, Nuovi mosaici pavimentali nella regione di Hama, in Milion 3,
Arte profana e arte sacra a Bisanzio, Roma 1995 (Atti del convegno, Roma 1990). Alla luce
di questi recenti ritrovamenti opportuno un approfondimento della presenza in Siria Palestina del tema, anche con riferimento ai Padri orientali, aprendo un nuovo capitolo
allesaustiva ricerca di Bisconti 1979.
32. M. Piccirillo, I Mosaici di Giordania, Roma 1986, 200. Il mosaico datato met del VI
secolo, circa trenta anni prima del nostro.
449
286).
450
E. GAUTIER DI CONFIENGO
viene alle cose divine, il vescovo che procede con il profumo dellincenso
dal divino altare fino alle parti estreme del tempio nella stessa maniera,
conforme a Dio il divino vescovo se rivolge con bont la scienza unitiva
della sua gerarchia verso i suoi sudditi usando le moltitudini dei sacri simboli occulti36. Ovadia il turiferario che ha regalato un turibolo bronzeo
alla chiesa? Anche a questa domanda non potremo rispondere.
Abyssus
La scena del X registro gi stata descritta: un mostro marino di cui rimangono solo alcuni tratti del corpo, occupa le 4 posizioni, un remo issato
a m di stendardo sporge, si indovinano dei pesci.
Nella diocesi di Madaba chiese con immagini del mare non mancano,
oltre alla chiesa degli Apostoli in Madaba stessa, che ha al centro del tappeto un grande medaglione con personificazione del mare su cui campeggia la scritta , nella chiesa di S. Sergio nel castrum della nostra
citt vi poi unaltra raffigurazione dello stesso mostro, ma senza scritta37.
Curiosa questa ripetuta presenza di pesci e di personificazioni marine in
localit distanti non pochi giorni di cammino dal mare! Ci che per un
unicum tra tutte le personificazioni note del mare la parola Abyssus.
Il termine usato nellAntico e Nuovo Testamento per lo pi con riferimento al mondo informe prima della creazione, il caos primordiale:
= senza fondo38, e di conseguenza il luogo abitato dai demoni,
come nei Salmi, o nellepisodio dellindemoniato; nellApocalisse il termine usato sei volte, sempre nellaccezione di luogo per il demonio, per i
perduti39. Solo raramente il termine ha nella Bibbia il valore positivo di
Oceano. Il termine Abisso nuovo in epigrafi ecclesiastiche o no, Giovanni di Gaza, nel VI secolo descrive la grande rappresentazione allegorica del
cosmo nelle terme della sua citt: la scena quadripartita, a levante il Sole
tra gli altri, le ore, la fenice, a mezzogiorno lOceano con Eos, a
ponente con la Terra, tra angeli ed i Karpoi, a Nord, tra altri an-
451
geli40. Ma la grande immagine di Gaza rientra in una descrizione del cosmo posta in luogo pubblico, non vuole avere alcun valore catechetico41.
Nella nostra chiesa il senso dellimmagine e della parola Abisso deve
probabilmente essere letto come suggerisce un passo di Agostino ,
che vuol dire pesce, un nome che esprime in senso spirituale Cristo in
quanto soltanto lui pu mantenersi vivo, cio senza peccato al fondo di
questa condizione mortale, come nella profondit delle acque (in huius
mortalitatis abysso velut in aquarum profunditate)42.
La nostra guida intitola il capitolo 11 della IX Catechesi, Sapienza di
Dio nel mare, e dice: chi pu descrivere la bellezza dei pesci, chi la
grandezza dei cetacei e la natura degli anfibi? chi la profondit e vastit
del mare? Il presbitero Procopio chiude cos il programma della navata
centrale che era iniziato con la Terra ed i suoi frutti.
La raffigurazione dellAbisso posta centralmente, in prossimit del
presbiterio, questo suggerisce alcuni non casuali nessi su altri piani di significato. S. Efrem descrive come il cercatore di perle deve tuffarsi nudo
nellOceano ed aprirsi un cammino tra i mostri marini cos gli asceti penetrano nudi tra gli uomini di questo mondo. Anche Cirillo di Gerusalemme
usa questa espressione di discesa nellacqua come seconda nascita cristiana quando scrive: ad imitazione del Cristo che in occasione del suo battesimo scende nel Giordano a spezzare il potere del drago ( il drago
Behemot di Giobbe) affinch acquisissimo il potere di camminare sugli
scorpioni e sui serpenti. Tu che ti rechi dal Padre degli spiriti devi passare
per questo drago43.
In tal modo si spiega meglio la collocazione di questa immagine presso
il presbiterio, come soglia verso il luogo pi santo della chiesa, la purificazione che debbono affrontare gli asceti per accedere.
Conclusioni
Nonostante lintervento iconoclasta degli uomini e del tempo, si riesce a
cogliere come i mosaici della chiesa del vescovo Sergio rappresentano un
punto assai alto della scuola dei mosaicisti di Madaba. Il loro programma
452
E. GAUTIER DI CONFIENGO
44. I. Shahid, The Madaba Mosaic Map Revisited, in Piccirillo-Alliata 1999, 147s. Sem-
brano invece riduttive le conclusioni di Baumann quando, a proposito del complesso delle
cinque chiese di Kastron Mefaa, sostiene che non vi chiara prova che le immagini dei
mosaici possano essere interpretate in modo simbolico allegorico, e limita la lettura al senso culturale storico: Baumann 1999, 333s.
I. Pea
1. Pea I., Lieux de plerinage en Syrie (SBF Collectio Minor 38), Jerusalem 2000.
2. Teodoreto de Ciro, Historia Religiosa, en PG 82,1322.
3. HR, 1491.
4. Graecarum affectionum curatio, en PG 83,1024.
454
I. PEA
455
se producan en los albergues civiles, en donde la promiscuidad entre hombres y mujeres era norma general. De hecho, textos administrativos y jurdicos romanos ponen de manifiesto la poca consideracin que se tena de
la profesin hotelera7. Por los escritos de san Gregorio de Nisa conocemos
los peligros a los que se exponan los peregrinos que visitaban los santos
lugares de Jerusaln: Las hospederas, los caravasares y las posadas que
se encuentran en los lugares de Oriente, muestran una abusiva libertad e
indiferencia por el mal. Cmo ser posible a quien atraviesa su humo no
tener los ojos irritados? All donde el odo se mancha, el ojo se mancha y
se mancha el corazn, que advierta los inconvenientes para los ojos y los
odos?8 De aqu el recelo de las autoridades eclesisticas por estos lugares
de encuentro, y el inters por crear su propia red hotelera.
El concilio de Nicea, ao 325, recomienda en su canon 75, a los obispos la ereccin en sus dicesis de hospederas, con responsable eclesistico al frente, de tal manera que cada ciudad tuviera la suya9. Por su parte la
Didascalia Apostolorum Arabica (XXXV,18) prescribe: Junto a la iglesia
haya un lugar donde alojar a los peregrinos y el cuidado de ellos incumbe
al presidente de la iglesia. Las Constitutiones Apostolorum (111,19,1) sealan, entre los oficios del dicono, el ocuparse de los viajeros e indigentes.
En honor de la Iglesia siria hay que resaltar la solicitud por la acogida a los
huspedes, y con ellos a los pobres y a los enfermos. Juliano el Apstata
pone de manifiesto la admiracin que suscitaban, entre los ciudadanos de
Antioqua, las variadas obras de beneficencia llevadas a cabo por la Iglesia
local. En su Epistola 89 el emperador escribe al pontfice pagano Teodoro:
Es vergonzoso saber que nuestros pobres estn desprovistos de nuestra
ayuda mientras que los impos galileos (lase, cristianos) mantienen a sus
propios fieles y a los nuestros.
De hecho, a la sombra de un gran nmero de iglesias rurales sirias encontramos un slido edificio rectangular, amplio y bien iluminado, precedido generalmente de un patio. Es el xenodokon o pandokon eclesistico,
destinado a acoger huspedes. Se distingue de las casas privadas por tener
grabados grafitos en sus muros. A veces las inscripciones vienen en nuestra ayuda para determinar an ms la finalidad del edificio.
Entre las ruinas de las Ciudades Muertas hemos hallado hospederas monumentales: el edificio situado al S-E de la catedral de Brad; la
7. Chevallier R., Voyages et dplacements dans lempire romain, Paris 1988, 31.
8. Epistolae, en PG 46,2,7.
9. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Florentiae 1759, 1006.
456
I. PEA
457
tros de larga por 15 de ancha, tiene una particularidad. Una pared divide al
edificio de N-S en dos partes desiguales y sin comunicacin entre s. Cada
parte tiene entrada propia. Creemos que el ambiente ms espacioso estaba
reservado a alojamiento de hombres y el otro a las mujeres. Idntico muro
divisorio lo encontramos en la pequea hospedera de Surqania, arriba
mencionada. A tener en cuenta que la separacin entre hombres y mujeres
era norma general en las hospederas eclesisticas. El peregrino annimo
de Piacenza, que visit Jerusaln hacia el ao 570, nos dice, hablando del
conjunto hotelero construido por Justiniano junto a la baslica de Santa
Mara la Nueva, que tena dos hospederas, una para los hombres, la otra
para las mujeres11.
No slo las iglesias tenan establecimientos hoteleros, tambin los tena la mayora de los monasterios. La arqueologa as como las fuentes literarias prueban el espritu acogedor de los monjes sirios. Eran los
monasterios situados a lo largo de las vas de comunicacin y aquellos ubicados en los centros de peregrinacin los que se consagraban a esta actividad social: monasterios de Brad, de Qalaat et-Tuffah, Bachmichli, Bafettin,
Breij, Deir Tormanin, Deir Teleda, etc.
Las reglas monsticas de Maruta y de Rabbula recomiendan a los superiores la prctica de la hospitalidad12. Por el escritor Teodoreto de Ciro
sabemos que Teodosio se preocupaba sobremanera de los huspedes y
para acogerlos haba designado monjes de carcter amable13.
Lo ms sorprendente es, sin embargo, saber que hasta los mismos eremitas, reclusos y anacoretas, engolfados en la oracin, tenan tiempo para
practicar la virtud de la hospitalidad14. El anacoreta Basilio, nos dice
Teodoreto, sobresala en la obra divina de la hospitalidad y los reclusos
Maysimas, Zebinas y Asclepio abran la puerta de su celda a los viajeros15. Haba eremitas que se excedan en atenciones. Uno de ellos era
Abrahn de Carres, quien tena mesa abierta y serva a sus huspedes y
peregrinos pan blanco, vino perfumado, pescado y legumbres, sin partici-
LA 50 (2000) 459-468
ABSTRACTS
Spirit-ra is the force of life coming from God. It plays different functions: in
the cosmos, in animals, in humanity and in God himself. As such, it generates
a certain con-naturalness, or congruousness, among the different worlds
divine, animal, human, and the cosmos as a whole. There results a vision of
reality that is biblical but reflects in a special way the wisdom movement. With
the help of relevant biblical texts, the paper traces a quick overview of the different functions of the term ra in the Old Testament while leaving aside the
functions of the Spirit of God in the prophets, the judges and the heroes of Israel, the king, and the Messiah, which are most frequently dealt with by scholars. It illustrates the Spirit in the cosmos, in the living creatures, in the human
being; Gods Spirit in humanity, spirit of humanity; Spirit and flesh, Adam and
Christ; Spirit and new creation; Spirit as hypostasis?; Spirit-ra for a theology of the feminine; Spirit and ecumenism. More and more, Ra is a term impossible to define exactly and at the same time able to take on ever new and
superior connotations.
Pgs. 9-23
Jer 24 announces the return of king Jeconiah and of those who were exiled
in Babylonia in 597 B.C. By contrast, Zedekiah and the other survivors of the
catastrophe in 587 B.C. are destined to extinction and perpetual loss of identity in the dispersion. The text reveals a conflict between these two groups of
Jews. The conflict is resolved in favour of Jeconiahs group, because this group
has had the privilege of experiencing the exile. To explain this result, the text
omits any reference to the exile of Zedekiahs group in 587, and considers it
together with those who remained in the Land or went to Egypt. This point of
view recalls the way in which the Chronicher presents the relationship between the returnees and those who remained in Judah during the exile. Only
the community of those who returned from Golah can be identified as the true
Israel, the object of Yhwhs faithfulness. All the rest are to be excluded from
this community.
Pgs. 25-35
462
ABSTRACTS
BLESSED ARE THE MEEK, FOR THEY SHALL INHERIT THE EARTH
F. Manns
Blessed are the meek, for they shall inherit the land. The second beatitude is a
quotation of Ps 37. To understand the meaning of the beatitude it is necessary to
verify how the pluralistic Judaism of the first century read Ps 37. In the Apocalyptic milieu, in Qumran Pesher, in hellenistic Judaism and even in Pharisaic texts
Psalm 37 had a symbolic meaning. The Land was symbol of wisdom, eternal life
and heaven. Matthew's Gospel is closer to rabbinic Judaism than to the other
trends of Judaism. Insisting on the future: They shall inherit the land, Jesus gives
to the land an eschatological meaning which is close to the Kingdom.
Pgs. 37-51
In this essay I have investigate again the most important traditions on the Last
Supper (or the Eucharist) in the New Testament (Jn 6,51c-58; 1Cor 11,17-34;
Mk 14,22-25; Lk 22,14-20; Acts 2,42-47 and 20,7-11). The purpose is to answer
some open questions, especially (a) the relationship between the Eucharist and
communal meal, and (b) between the Eucharist and Passover meal; further, (c)
the Eucharist and pardon of sins, (d) conditions of participation. Concerning the
first two questions, I show that there is a clear distinction between what we call
the Eucharist and the conditions of its institution, i.e., the Last Supper, which
was a real meal (1Cor 11,25) or a Passover meal (Mk 14,12 and Lk 22,15). Concerning the third question, I suggest that pardon of sins is implied in the celebration of the Eucharist that is the memorial of the death of Christ, the Lord (1Cor
11,26), who died for our sins (1Cor 15,3c). Concerning the fourth question, the
most sensitive one, I try to show that, even if the Eucharist is for the forgiveness
of sins, public sinners are excluded by implication (cf. 1Cor 5,9-13).
Pgs. 53-113
After an introduction outlining the status quaestionis and proposing intertextuality (inter-dependence of texts) as a method of research the author divides
the article in three parts. First, The Gospel tradition and the book of Revelation in which inter-textual relations of the book of Revelation with Synoptic and
Johannine traditions are analysed. Then the author passes on to examine the single
syntagma, the testimony of Jesus as an expression of tradition of the historical
Jesus. He arrives at the symbolic apocalyptic representations of Jesus, viz., lamb,
ABSTRACTS
463
bridegroom and eshatological prophet and concludes that the truth of the revelation, a present reality with a view to fulfilment in future, is indeed based on the
tradition of the historical Jesus.
Pgs. 115-141
G. Biguzzi
The basic symbolic numbers in the book of Revelation are number 7 and 12, but
number 3, 4 and 10 also have some relevance in it. All these numbers are here
reviewed first in relationship to God and the Christ, and then the Triad, i.e., the
Dragon, the Beast coming from the sea and the Beast coming from the land. This
survey shows how numbers describe sometimes the identity of the main characters in Revelation and other times their way of behaving and acting. Besides, the
numbers in Revelation can be harmonised into a unitary and coherent system,
which helps us not to decipher, as many have attempted to do, but in some measure to understand the number 666 of 13,18, the most mysterious and famous
number not only of Revelation but also of universal literature.
Pgs. 143-166
Apart from the fact that the Palestinian Targum presents the Scripture as actually read in the Synagogue, can we find in them traces of the early Christian
community! Since they took written form in the second century AD onwards, especially addressing problems of the Synagogue, one may not expect much to respond to this curiosity. There are polemic aspects, directed rather against
particular points in the Scripture from which the nosrim - and above all the
gnostics - draw hints for their own doctrine than against the Christian community in itself. The polemic is so hidden that only by knowing heterodoxical interpretations of a text is it possible to understand how the Targum means to defend
its community.
Nevertheless it is during the time of Origens residence at Caesarea that we have
the greatest number of witnesses for a raport between Christianity and sages of
the Synagogue. This Christian master has had enormous gains by contacts with
the Rabbis. The whole church benefitted from it in interpreting the Scripture.
Importance of Targum for interpretation of the NT is being accepted today. Experience, past and present, invites us to interfaith-dialogue with Judaism for a
scriptural exegesis rooted in its native Sitz im Leben.
Pgs. 167-180
464
ABSTRACTS
The dialectic method, which consists in a parallel reading of the Rabbinic texts
and the commentaries of the Church Fathers, have yielded abundant fruit in
exegesis. The author of this paper applies this method to the cycle of Gideon, a
character already mentioned in the Letter to the Hebrews 11:32-34. Strangely
enough, the Church Fathers, more than the Rabbis, assign a great importance
to the figure of Gideon. Because of his anti-idolatrous activity, Gideon is presented as a didaskalos, an instructor for his contemporaries. For Origen he
shows traits of a prophet who announces every kind of mysteries. In this respect, typology guides the reading and allows to perceive in Gideons deeds and
words a prefiguration of Christian realities. For Ambrose, Gideon pays attention to the mysteries coming from on high; faith is his main virtue, and therefore he merits to be called a saint. Similarly, the Rabbis outline a moral portrait
that includes edifying traits. The divine choice was motivated by his filial piety
and his dedication to his compatriots. His modesty manifests itself in the fact
that he refuses regality, because Yahweh alone should reign over his people.
Rabbinic paraenesis underlines Gideons humility, which evokes that of Moses,
consisting in an absence of any resentment and in a mildness that is fruit of a
conciliatory attitude.
Pgs. 181-262
M.C. Paczkowski
The article examines the patristic interpretation of the Johannine expression
bosom of the Father. Most rich and interesting in the examination are the viewpoints of the pre-Nicaean authors. Taken into consideration are the thoughts of
the Judeo-Christians in arriving at a Gnostic point of view. These considerations
move onward to the position of Origen and the polemics of the Third Century
forum. After the fourth Century, it is most generally recognized as being a theological finality in the exegesis of John 1:18. There are subsequently no new models of interpretation. The positions of the various Greek and Latin Church writers
come together completely on this point. John 1:18 constitutes the clear and definitive reference to a consubstantiality of the Father and of the Son. At every
point of the discussion in the Greek tradition is found a greater richness and significance of the term bosom of the Father, which insists on the coeternal and
consubstantial Word inhabiting in God. In contrast, the Latins restrain this significantly more to the underlying identity of the Son with the Father according to
substance. This is explained by use of the concept of immanence.
Pgs. 263-311
ABSTRACTS
465
Hirschfeld
The monastery of Chariton (the Old Laura) was one of the most important in
the Judean Desert. The site, known in Arabic as Khirbet Khureitun, is located
on the cliff of Nahal Tekoa (Wadi Khureitun), south-southeast of Bethlehem. In
1981-82 the remains of the monastery were surveyed and partly excavated.
During the survey the remains of the Hanging Cave, mentioned in the Life of
Chariton, were found. The first part of the article describes the remains of the
entire monastery: the core with its wall and three towers, the 39 cells scattered
over the slopes of Nahal Tekoa, the water supply system and the gardens. The
second part is devoted to the description of the Hanging Cave, which became a
holy place and a destination for pilgrims in the Byzantine, Early Arab and
Crusader periods. The cave comprises a water system on the lower level, a
chapel on the intermediate level and the alcove of St. Chariton on the upper
level, about 15 m above ground.
Pgs. 315-362
L. Di Segni
Several Greek inscriptions, accompanying large crosses of the crux gemmata type,
were painted on fragments of plaster found among the debris of the second storey
of Building I, one of several warehouses in Area KK. The texts included sacred
formulas and quotations from the Church Fathers. An eulogia of St. Paul was
also found here, as well as many marble fragments of church furnishing. It is
466
ABSTRACTS
suggested that the inscriptions and crosses decorated the walls of a private chapel,
possibly dedicated to St. Paul. Though fragments of four epitaphs were also found
in Area KK, the writer believes that their presence here was not connected to the
chapel, and the latter was not used for burial.
Pgs. 383-400
LE CLOTRE DES FRANCISCAINS BETHLEM. LETTRE DE LARCHITECTE JEAN-BAPTISTE GUILLEMOT MELCHIOR DE VOG L. Bonato
- M. Emery
In a letter to Melchior de Voge, French Ambassador in Constantinople, JeanBaptiste Guillemot, an architect, tried to draw the attention of France, which
has always claimed to be the patron of the Holy Places, on the poor condition
of the Franciscan cloister in Bethlehem. In his letter, now held at the Centre
Historique des Archives Nationales (Paris), Guillemot gives an accurate description of the cloister in the years 1870-1875. He also submitted a project for the
cloisters restoration, or rather reconstruction, founded on a complete study of
the building and guesses as to its original state. Guillemots project did not start
before 1948.
Pgs. 401-410
CERAMICA DAL MONASTERO DELLA THEOTOKOS NEL WADI AYN ALKANISAH MONTE NEBO C. Sanmor - C. Pappalardo
This study presents the pottery recovered during excavations conducted in 1995
in and around the large central courtyard E and the sector towards the south of
the church, with the aim of completing the topographical picture of the complex
and identifying its various stages of development. Special attention is paid to the
collection of pottery unearthed by two specimen soundings effected below the
mosaic of courtyard E near the northern entrance gate of the monastery (specimen I) and just outside the gate (specimen II), originating from a lone closed
stratigraphic context, useful in the dating of the courtyard and, as a result, also
of its surroundings. The thick red colour of the mixture and the shape and decorations of the pottery point to VI-VII century, fully agreeing with the period suggested on stylistic basis of the first mosaic of the chapel. Thus the mosaic courtyard
and the surrounding wall belong to the same period of the chapel itself. Levels of
habitation inherent to this period are identified in section E4. The fragment belonging to the last occupation point to the second half of the VIIIth century. Furthermore, this dating coincides with some coins recovered in a fireplace in E4. It
confirms a precise end post quem to the date of restoration of the mosaic in the
church (762 AD).
Pgs. 411-430
ABSTRACTS
467
468
ABSTRACTS
found along the principal roads, but especially in centers of pilgrimage. We find
monumental inns which had a certain hotel and sanitary organization. Most of
all, we find more modest inns composed of a single, one storey building. At times,
the inn is reduced to a single room adjoining the church. The Syrian Church is to
be admired for the creation of its own network of inns. Thus, the pilgrim Egeria
had reason to be satisfied at her welcome by Syrian monks, saints and true men
of God.
Pgs. 453-458
RICERCA STORICO-ARCHEOLOGICA
IN GIORDANIA XX - 2000
470
RICERCA IN GIORDANIA
AMMAN
Tell al-Mashhad
Massuh
Kh. al-Mukayyat Madaba Qastal
Umm al-Rasas
Tuleilat Qasr
Mousa Hamid
Tafila
Busayra
km
50
471
RICERCA STORICO-ARCHEOLOGICA
IN GIORDANIA XX - 2000
a cura di M. Piccirillo
472
RICERCA IN GIORDANIA
Of the 19 potential sites on three aerial photos ground-proofed this season, 44% are, in the judgment of TBAS team members, sites. This finding is
in keeping with that of the past seasons work.
TBAS team members were successful in connecting with the territory of
the Wadi al-Hasa Archaeological Survey by means of the Kings Highway
(Num 20.17; 21.22) in the west, the Roman Road (Via Nova Traiana) in the
center, and the Hajj Route in the eastern segment of the survey territory.
The most common site-types of the 139 (26 of which TBAS team members judge to be major architectural ones) surveyed this season include: enclosure/seasonal camps with architecture; seasonal camps/lithic production or
processing centers without architecture (generally along the shores of the Pleistocene lake); watchtowers; milestones or milestone fragments; agricultural
complexes; forts; and water-catchment facilities.
The lithic periods mentioned above relative to the Pleistocene lake are
also present in other areas of the survey territory. There is very little evidence of Early Bronze and no evidence of either Middle or Late Bronze
settlement, or even sherds, in the area surveyed. There is some Iron I remains but they probably date to the end of the period. The best represented
ceramic materials come from the Iron II, Early Roman (Nabataean), and
Byzantine. In addition, although there is little in the way of Early Islamic
materials, the Middle/Late Islamic period is well represented, especially at
major agricultural sites.
Further information on the work of the TBAS is available at: http://
www.stfx.ca/people/bmacdona/tbasweb/welcome.htm.
B. Macdonald
St. Francis Xavier University - Antigonish, Nova Scotia
473
474
RICERCA IN GIORDANIA
horrified when the landowner, Mr. Abdu Awad Turman from Madaba turned
up at the site and told us that he intended in the near future to level the monument to the ground by the help of a bulldozer (2 days work, he said ) in order to build a house on the plateau.
I hope that the Department of Antiquities will be able to preserve the site
or at least to delay its destruction, so that this extremely important and unique
prehistoric monument can be documented as part of Jordans national heritage.
Mt. Nebo, April 17th 2000.
P. Mortensen - I. Thuesen
Danish Institute in Damascus
Carsten Niebuhr Institute in Copenhagen
Previous Exploration
Sandwiched between the Wadi Afrit and Wadi Mukhayyat, the impressive
mound of Khirbet al-Mukhayyat stands as an opposing edifice overlooking the
Dead Sea and the Jordan Valley visible to the southwest through the Wadi
Jadidah. Located only 9 km northwest of Madaba, modern exploration of
Khirbet al-Mukhayyat began in 1863 with a brief visit by F. De Saulcy, who is
generally credited with being the first to record its name (F. De Saulcy, Voyage en Terre Sainte, Paris 1865, 289-96). In the summer of 1901, A. Musil
explored the site more systematically, identifying the Churches of SS. Lot and
Procopius, and of Amos and Kasiseus, and creating the first detailed topographic plan of the site (A. Musil, Arabia Petraea, Wien, 1907, 334-48, fig. 1).
N. Glueck visited Mukhayyat in 1932, comparing the well-preserved fortifications with those of the fortress at al-Mashhad near Ayoun Musa and al-
475
Medeiyineh to the south. He is also credited with identification of the rock cut
along the southern end of the site as a moat (N. Glueck, Explorations in Eastern Palestine, Vol. 2, New Haven 1935, 110-11).
Much of our current knowledge of Khirbet al-Mukhayyat comes from the
efforts of the Studium Biblicum Franciscanum, which began in 1933 with Fr. J.
Mihaichs excavation of the mosaics in the Chapel of the Priest John, on the eastern slope of the tell, and in the Church of Saint George on the acropolis. In the
1960s, an expedition led by J. Ripamonti conducted excavations at Rujm alMukhayyat, as well as a survey of the area that produced two Iron Age tombs,
both of which were subsequently published by S. Saller in 1965 (S. Saller, Iron
Age Tombs at Nebo, Jordan, LA, 16, 1966, 165-298; see also S. Saller - B. Bagatti,
The Town of Nebo (Khirbet el-Mekhayyat), Jerusalem 1949). Work continued in
the early 1970s at Khirbet al-Mukhayyat under the direction of Fr. M. Piccirillo.
It was during this time that a comprehensive preservation and conservation program was initiated involving all of the excavated mosaics and related architecture at the site. In the late 1980s and early 1990s this work continued with detailed
excavations on the acropolis and surrounding area, resulting in the primary data
that has afforded our current understanding of the occupational sequence at
Mukhayyat (for further description, see Piccirillo The Churches on Mount Nebo
- New Discoveries, in Mount Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997.
Edited by M. Piccirillo and E. Alliata, Jerusalem 1998, 221-44). In addition to the
preservation and conservation efforts at Mukhayyat, work was undertaken to
collate and document the extant architecture and topographical elements observed
over sixty years of archaeological investigation by the Franciscans, the results of
which are presented in figures 2 and 3.
The final investigation, which began in 1992 and lasted until 1996, was a
systematic survey of the region in and around the Mount Nebo ridge. A Danish team led by P. Mortensen and I. Thuesen conducted this more recent effort
under the auspices of the Franciscan Archaeological Institute at Mount Nebo
and the Danish Institute in Damascus. During this survey, no less than 747 sites
were documented, with the objective of identifying archaeological sites in order that they might be protected from destruction by modern development or
road construction (Mortensen, P., and Thuesen, I., The Prehistoric Periods,
in Mount Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997. Edited by M.
Piccirillo and E. Alliata, Jerusalem 1998, 85-99).
Consistently, all recorded descriptions of Khirbet al-Mukhayyat by previous explorers have made reference to its imposing physical appearance and its
strategic position guarding one of the primary access routes leading from the
Jordan Valley up to the Madaba Plain. These observations are reinforced by
the well-preserved fortification system that encircles the primary occupation
zone at the top of the ridge, as well as the presence of Rujm al-Mukhayyat, a
fortress-like construction due east from Mukhayyat overlooking the Wadi Afrit
(Benedettucci, F. and Sabelli, R., The Edifice at Rujm al-Mukhayyat, in
476
RICERCA IN GIORDANIA
477
the Dead Sea. A portable GPS unit was used to provide accurate (<3m) elevation
and coordinate data for the new site benchmark. In addition to this datum, several subsidiary reference points were established in order to be able to obtain readings from sections of the ridge not within the line of sight of the primary datum.
So as to maintain accuracy, all subsidiary reference points (4 in total) were
backshot using the primary site datum at the top of the acropolis. This ensured
that all topographic information was tied into the same coordinate orientation. All
coordinate and elevation data were recorded in UTM format for compatibility with
earlier survey work as well as existing databases such as JADIS (Jordan Antiquities Database and Information System).
At the end of the four-day survey period, all topographic information was
collated into a single dataset. Although the DEM efforts are still in progress, some
preliminary results can be demonstrated. To date, two maps have been produced.
The first image, produced using Surfer*, a topographic mapping software program,
is a grey-shaded relief map that emphasizes the more obvious topographical features of the site, in particular, the rock-cut moat towards the southern end of the
site and the acropolis. The second image (fig. 4), created using ArcViews 3D
Analyst* extension, is a contour line and color-shaded map that presents the major
topographical features of Mukhayyat: the acropolis, the northern slope, and the
3-tiered southern ledge, all of which are clearly illustrated.
Observations
It is evident, when one compares these two maps to the earlier topographic images generated for Mukhayyat (figs. 1 and 3), that there are some discrepancies
in the overall shape of the site, particularly on the eastern and southern slopes. In
all cases, the three-tiered profile of the upper mound is clearly documented. However, the discrepancies are more evident in the area outside of what generally is
understood to be the main occupational zone of the site. Musils plan clearly details a more rounded topography that in turn works towards de-emphasizing the
southeastern ledge. It is not clear whether this was intended, or was a result of
inaccurate mapping methodology. The more recent topographical efforts (fig. 3),
while providing an accurate representation of the northern slope and its Ottoman
and Byzantine structures, completely excludes the southeastern ledge. The reason for such exclusion is most likely related to the purpose of this map, which
was to highlight the Byzantine settlement and its structures at the site.
The present initiative attempts to minimize such selective emphasis by
including all encompassing landscape features into the base map. The present
reality is that Mukhayyat demonstrates a slightly inverted S shape, incorporating a gentle slope towards the south and a more sharply everted slope along
its eastern side. This reinterpretation of the topography may have wider implications for Mukhayyat when combined with analysis of the fortifications and
478
RICERCA IN GIORDANIA
settlement history of this and other hilltop fortresses in the region. It is anticipated that as work progresses, efforts to expand the topographic information
database will include the wadi bottoms and opposing slopes surrounding the
site. This will assist in greater magnification of the micro-topography of
Mukhayyat and its relationship to its built environment.
During the initial pedestrian review of the site it became clear that not all
the visible architectural features had been recorded on the most recent plan.
Based on this observation, a secondary objective was incorporated into the
MTS. This further objective was to capture and document the spatial data related to those structures not incorporated into the overall site plan. Given the
time restriction of the 2000 survey, only a few of these elements could be investigated and recorded. If a comprehensive DEM of Mukhayyat is to be created, it is important that this effort continue. Consequently, it is anticipated that
this objective will be a top priority in a forthcoming field season.
A. J. Graham - T. Harrison
Department of Near & Middle Eastern Civilizations
University of Toronto
479
of large saddle quern stones and Iron Age pottery strewn on the surface.
Two small test trenches where made on the south-west to distinguish the
outer limits of the site, and one 5m x 4m trench near the centre in order to
determine the depth of stratigraphy. There were two phases of Iron Age II
(ca. 900 B.C.) occupation on orange clay virgin soil. The earliest phase
revealed a wall made of adobe bricks with associated pottery, animal bones,
metalwork and quern stones. The later phase was a ca. 2 meter diameter pit
cutting into the earlier level. The finds from these excavations confirmed
that the pottery and quern stones found on the surface came from stratified
contexts, and that they belonged to a substantial agricultural settlement in
the later Iron Age period.
During a survey at the north-west end of Tuleilat Qasr Mousa Hamid, two
recently dug irrigation pits revealed Nabataean/Roman pottery sherds which
may have derived from a farmstead of the period.
K. D. Politis
University of Ioannina, Greece
480
RICERCA IN GIORDANIA
Topography
The realization of a topographical map (scale 1:1000) of the site of Tell alMashhad and its immediate surroundings (fig. 1) was one of the main objectives of the campaign. It was particularly urgent, because the only map of the
site is the schematic plan sketched by N. Glueck in the 30s. This sketchplan
did not include the area south of the modern road.
The surveyed area focused on Tell al-Mashhad, but also included the Ayun
Musa springs and the cultivated fields, just at the west side of the site.
During this season it was possible to establish the network of fixed points,
using a tacheometer, and to realize the first preliminary map, to be completed
in the next campaign.
During site reconnaissance it was observed that on the South side of the
modern road, the urban area extended for a further stretch towards the West,
as is shown by the remains of architectonic structures in the direction of the
Byzantine churches of Kayanos and of the Deacon Thomas. In this area there
was a high concentration of masonry structures and surface potsherds, particularly of fragments dating from the Iron II and Byzantine periods. It was also
possible to collect two hand-axes, dated to the Lower Paleolithic period, just
at the entrance of the cave under the springs.
Geophysical investigations
A geophysical prospecting campaign has been carried out on the Iron Age site
of Tell al-Mashhad-Ayun Musa, with the aim of both giving further information about the site (like detecting buried stone structures similar to those excavated in the previous campaign), and possibly giving some indications for the
purpose of planning next excavations.
Three areas were chosen for prospecting; the location is represented in the
topographic map enclosed (fig. 1: A, B, C).
Areas A and C were chosen for the existence of stone structure traces in
the surface, possibly related to archaeological remains. Both of them are inside the site defined by field survey.
Area B was chosen because, even though there wasnt any trace of possible buried structure, it seemed reasonable to hypothesise a settlement, as it
consists in a large, flat area in a predominant position immediately behind the
squared structure on the top of the hill.
Considering the knowledge about archaeological structures and the
stratigraphycal characteristics of the first ground layers, it was decided to use
geoelectric and georadar methods.
The soil is in fact characterized by sand and limes with frequent limestone
stones. In this context electric method, based on the measurements of resistiv-
481
482
RICERCA IN GIORDANIA
Excavation
The excavation activities were concentrated on a series of rooms identified in
the southern area of the site, on a cliff about 20 metres above the wadi bed, on
which heaps of stones and detritus probably resulting from the collapse of the
overlying structures lay.
The most significant structure in the area is a massive wall preserved for a
length of about 20 metres, erected directly on the bedrock and emerging from
the ground to a height of at least 1.8 m. It runs in an E-W direction and is built
of large, roughly-dressed dry-laid stones. On the South side it supports the
walls of at least three rooms, two of which excavated during the 1999 campaign (cf. LA 49, 1999, 497-500).
During the season 2000 the excavation tests were concentrated on the
room 3 (figg. 4 and 5); like rooms 1 and 2, this room did not show the presence of a wall in the southern side (just on the edge of the cliff); doors and
windows were also absent.
If rooms 1 and 2 revealed the presence of a very important occupation,
dated to the Iron Age II, with the remains of a very well-made pavement and
many structures (silos and fire-places), the room 3 had not great traces of a
human occupation. Pavements and fixed structures, like fire-places, were completely absent; a possible fire-place was probably in the North-Eastern corner,
but it should have been used very occasionally.
The very scarce pottery collected is datable to the latest phase of Iron Age
II. The most interesting object was a small carinated bowl, found in fragments
at the bottom of the Northern wall. This typology is very well represented also
in the pottery from the rooms 1 and 2.
483
484
RICERCA IN GIORDANIA
important species were Pisum (peas), Vicia Ervilia (chick-pea) and Vitis
(grape-stone).
As for pottery, the objects from rooms 1 and 2 seem datable to the latest
phase of Iron Age II (VIII-VI century B.C.). The best represented types are
the carinated bowls, whose diameter does not exceed 10-12 cm., the Ridged
Neck Jars and kraters with a large mouth and a great number of handles (2 up
to 8). Bowls and kraters are very well represented also in the production
emerged by the Khirbet el-Mukhayyat tombs.
Conclusions
1) The nature of the site. Tell al-Mashhad appears to have been a mainly agricultural settlement, as demonstrated by the great number of grinding stones,
mortars and pestels scattered on all the site surface. This hypothesis can also
be confirmed by the presence of the spring and by the richness and fertility of
soils in the vicinity of the site.
The settlement was probably structured in terraces, realized to create a
solution in the natural slope of the hill. This situation is confirmed by the presence of a number of lines of stones, running usually in the East-West direction. It is probably the case of the Northern wall of rooms 1, 2 and 3.
2) The nature of the excavated structures. The area of the excavations carried out during the seasons 1999 and 2000 revealed the presence of a number
of rooms, whose use was mainly domestic/communitarian. In fact, the room 1
seems to have been a store-room, as demonstrated by the presence of a great
number of jar potsherds, with an occasional use as kitchen, for the presence of
a fire-place in the North-Western corner. The room 2 showed the presence of
at least three fire-places with a high number of potsherds from jar, kraters and
cooking-pots. The room 3 was very different from 1 and 2 for the absence of a
pavement. Probably it was used only occasionally, as demonstrated by the possible presence of a very small fire-place in the North-Eastern corner.
3) Chronology. Until now, it seems still very difficult to establish a complete occupational sequence of the site.
The main occupational phase seems to have been the Iron Age IIc (about
720-550 B.C.), corresponding to the period of Assyrian and Babylonian domination of Transjordan. The two inscriptions found during the campaign 1999,
and the most of the pottery typologies are datable to this period.
The last phase of occupation was the byzantine period, particularly in the
western sector of the site, where a small necropolis, probably linked to the
presence of the churches of Kayanos and Deacon Thomas, is still visible.
F. M. Benedettucci
Fondazione Ing. C. M. Lerici - Studium Biblicum Franciscanum
485
486
RICERCA IN GIORDANIA
One of the more striking features of the Field C building is the elaborate
water system that serviced it. Fragmentary pieces of large ceramic drainpipes
were recovered from the excavated debris, and several meters of intact clay
piping were found embedded behind plaster in one of the buildings walls. In
another room, the excavations revealed a network of water channels and trapdams concealed beneath a heavy flagstone pavement. In addition, many of the
buildings rooms were equipped with rectangular stone drainage basins. The
building also produced a wealth of small finds, including a ceramic assemblage
representative of the 6th and 7/8th centuries, a bronze jug and other metal
implements, several coins and a ceramic stamp seal. While the primary function of the complex remains unclear, its layout and associated finds suggest a
wealthy private residence.
Timothy P. Harrison
Department of Near and Middle Eastern Civilizations
University of Toronto
Cartographic Activities
The main objective of the cartographic work was the continuation of the 1999
activities in way to produce a 3D computerized model of the entire Jabal
Haroun mountain and its environs. For this purpose a variety of activities were
conducted including the gathering of topographical and locational information,
tachymetry, digital photography, and photogrammetry. Simultaneously, the
487
members of the cartographic team were daily involved in assisting the excavation and survey teams in recording all structures, strata, features, and main artifacts which emerged or were noted during the excavation and survey. The
cartographers have also recorded significant topographical features of the surveyed area, which helped to create a detailed map and a computerized 3D
model of the area, and which will be instrumental in understanding of the relationship between the environment and the human-made agricultural multipurpose installations which are located there.
The Excavations
The purpose of the third season of excavations at the site of the Byzantine
monastic/pilgrimage complex of St. Aaron was to expose the selected but representative yet non-ecclesiastical parts of the complex, in addition to the continuation of excavations of the church and the chapel. The excavation work
was conducted in five trenches designated Trench I, J, K, L and M (see Fig. 1)
The excavations in Trench I covered the western part of the chapel, where there
is a door connecting the north aisle of the church with the chapel. Well preserved northern wall of the chapel was exposed as well as the remains of the
western wall. The extant flagstone pavement appears to have been a stone
buildup for a secondary (latest) floor in the chapel. Two pilasters supported a
N-S arch which spanned the space of the chapel in this area. Four stone
benches were built against the walls. The removal of the series of substantial
stone tumbles inside the chapel yielded numerous fragments of painted plaster, some still attached to the stones. In addition to possible floral designs, several fragments featured painted Greek letters. The sounding against the western
bench exposed well preserved remains of a baptismal font of a cruciform type,
all plastered over (Fig. 2). The font was skillfully integrated with the bedrock
in this area. The baptismal installation should belong to the earliest phase of
occupation in the chapel. However, the font was apparently abandoned and
backfilled, probably after the first destruction of the church and the chapel (end
of Phase I). It is reasonable to assume that the painted plaster fragments found
in Trench I belonged to the original (earliest) decoration of this room, probably on the western wall, when it functioned as a baptistery. Probably, the extant remains of the western wall represent its rebuilt form from Phase II, with
discarded plaster fragments thrown in as the walls fill.
Ca 11 m west from the chapel is Trench J. The selection of this area for
excavation was dictated by a need to ascertain the nature of occupation in the
area northwest of the church, i.e., between the cistern and the North Court. The
excavations revealed a structure which consisted of three rooms - South, North
and Northeast rooms (Fig. 3). The occupation of this structure was long-lasting, including modifications and attachments of walls, buttresses and installa-
488
RICERCA IN GIORDANIA
489
ding for the earlier, marble pavement. The wall which partitioned the church
in Phase II was exposed too, and its interior featured many reused broken fragments of marble furnishing of the Phase I church. Surprising was the lack of a
massive buttress built against this wall on its western side; such buttress was
found in the adjacent square (B). Remains of the late occupation of the court
(campfires, bones) were also found on the top of the extant pavement.
Finally, the excavation activities included the area of the southern half of
the central apse of the basilican church and its south pastophorion (Trench M).
The excavated part of the apse revealed well-preserved two rows of the
synthronon installation but the marble pavement of the apses interior was very
fragmentary. Inside the pastophorion, an enigmatic installation was found built
against its northern wall. The installation resembles a small tomb or large, deep
storage bin constructed of stone blocks and having a roof made of slabs. The
interior was relatively deprived of finds, excluding some fish bones. Adjacent
( in the NE corner) was a circular pithos-like stone installation with a small
opening at the top, which also did not yield any finds. The larger installation
may have served as a tomb or ossuarium, but most probably this function
changed into some sort of storage at the later time. Although both installations
appear secondary, i.e., should not be associated with the earliest phase of the
churchs existence, they were most probably built in Phase II when the entire
structure had still retained its ecclesiastical function.
The Survey
An archaeological survey was continued in two separate areas. The most extensive work was conducted in the area southwest of the mountain, between
Wadi es-Saddath, Wadi al-Mahatta, Wadi Theran at-Tulua and Jabal al-Farasa.
The purpose was to cover the runoff area of these wadis. A small-scale fieldwork was conducted on the slopes of Tafet Jabal Haroun, on the northern and
northeastern side of the mountain. In total, the survey areas covered approximately 1,053,000 square meters.
The surveyed areas (denoted by H, I, J, and W) were systematically walked by
the survey members in order to collect surface material (lithics and pottery)
and to locate and record archaeological sites. In these areas, 30 major sites
were recorded, including numerous barrages and terrace walls (in clusters of
several such structures per site). The largest barrages (over 40 m long and 4.5
m high) are on an alluvial plain in Area I. Different types of barrages were
discerned on the basis of their location in wadis and their function which included slowing down runoff water or keeping fertile surface soil in small terrace fields. Six Middle and Late Paleolithic sites recorded in 2000, can be
preliminarily divided into quarry sites, ridge sites and microlithic sites. Particular attention was paid to the nature of the bedrock and the origin of flint
490
RICERCA IN GIORDANIA
and chert used on sites. The geomorphology of the area and flow mechanisms
of surface material were also investigated. Remains of an ancient road from
Wadi Araba (through Abu Khusheiba) to Petra were documented, including
the ruins of several small buildings alongside. These road remains are most
probably related to the road already recorded in Area T, during the 1999 survey. The road probably dates to the Nabataean/Roman period, although the
extant remains (including the rudimentary pavement) may be of a later date.
The survey of the northern and northeastern side of Jabal Haroun has yielded
six new sites, the small number of which being probably related to the steep
topography of the area. A dwelling site with at least three house remains
was recorded. The site is on a steep slope; the difference in altitude between
the lowest and the highest structure is over 40 m. A preliminary estimate for
the occupation span of the site ranges from the Nabataean period to the
Middle Ages.
491
iconoclastic activities. The iconoclasts had removed not only almost all faces
but also main parts of human and animal bodies, and replaced them with plain
large-size tesserae. However while the replacement was generally well-done,
the removal was often careless, thus the preserved details allow for an overall
reconstruction. This kind of deliberate damage which, however preserves the
mosaic in its entirety, is generally dated to the 8th century (late Umayyad-early
Abbasid period), and is known from other churches in Jordan and Palestine.
Preliminary Observations
The FJHP 2000 fieldwork season has provided substantial amount of information concerning the site and its environs, which will be properly studied and
assessed in the nearest future. However, there is no doubt that the general phasing scheme (= three major phases) of the churchs history, as developed after
the 1999 campaign and presented in ADAJ 1999, will remain unchanged.
The most important new element in the assessment of the architectural chronology at the site is the appearance of a large, apparently non-Byzantine monumental building at the site, which seems to date to the Nabataean/Roman
period. The location of Jabal Haroun in relation to Petra and to some main
communication routes would make it natural to expect Nabataean occupation
remains situated on the plateau below the mountains summit. The platform
might have served as a base for a large watchtower. However, considering the
quality and monumentalism of the design, and the presence of architectural
elements (cornices) which could have belonged to such, and which were found
reused in the church construction, a sacral structure (temple? shrine?) seems a
more plausible suggestion.
Significant is also the discovery of the baptistery in the space of the
chapel. The cruciform baptismal font is the second installation of this kind
known from southern Jordan, closely parallelled by the canopied font from the
Petra church, uncovered in 1996. The Jabal Haroun font should date to the
earliest phase of Byzantine occupation (Phase I), most probably dated to the
later 5th century A.D., which is also the date of the Petra church baptistery. It
is notable that apparently after the first destruction, not only the font but also
the baptismal function of the room appear to have been abandoned. Instead, in
Phase II, the chapel received a large masonry pedestal in the apse, which could
have served as a depository of relics. One may wonder whether the relics were
translated from the summit top shrine (under the current Islamic weli) down to
the plateau and into the newly refurbished chapel during Phase II.
Of interest is also the evidence for activities which were discerned in the
western part of the monastic complex. It is highly probable that some of the
fillowing were conducted in the latest phases of the churchs use and probably
afterwards too. In addition to remodelling, reconstructing and rebuilding of
492
RICERCA IN GIORDANIA
structures (thus probably also changing their initial function), extensive cooking is well evidenced. It is also probable that lime burning and slaking took
place somewhere within the area of monastic complex. So far, the firmly dated
and well-parallelled ceramic material from the FJHP site includes types not
later than the end of the 7th century/early 8th century, but it is reasonable to
assume that further studies may push this date forward.
Jaakko Frsn and Z. T. Fiema
University of Helsinki
493
investigations that were possible to carry out in the area, this underlying area
must have been very similar, structurally, to the upper level. The floor / ceiling
slabs were discovered broken up and caved in, as a result of the fall, up to the
floor level of the lower storey. We found only two slabs that even though broken were still in situ. It was only possible to partially bring to light two arches
of the lower level. The space between the arches was completely jammed by the
stones from the collapse and ash and earth from the abandonment. The floor of
the lower level turned out to be the natural bedrock that had been flattened. This
floor turned out to be at a level of 7.466 meters to the Umm al-Rasas GPS point.
It was not possible to establish the access point to this lower level due to the
grave problems relating to the stability of the structures.
An aperture, set between the spans of the last two arches to the west, led
from the south to the north room. The sectors in this area turn out to be very
much different from the ones in the south room, both in structure and stratigraphy. The room turns out to be made up of a single level covered with stone slabs
held upon three arches having an approximate span of 5m and having a beaten
earth floor. All the three arches are fallen. Four slit windows opened on the west
wall that also had a square niche. Below the windows there ran a raised wall
filled with stones and yellow earth. Two further slit windows were set in the east
wall overlooking the stair landing. Beneath the windows there was a recess in
the wall delimited by a low wall. The two central sectors, partially excavated up
to the beaten earth floor level are characterized by the presence of a segment of
a pilaster and a north south wall which crest is at the same level as the floor. The
portion of pilaster rests against the south wall of the area and is what remains of
a pilaster that probably rose upon the resulting base set between two arches to
support an upper structure of which no traces remain.
The two areas are very different in their stratigraphy. The larger south area
made up of two superimposed levels, was completely full of the collapse of the
stone structures, particularly the arches and the stone slabs that covered both
levels. Slabs and arch ashlars were discovered up to the level of the rock flooring of the lower level. A hearth was identified, where the ceiling was still in situ,
where the stairs meet the first arch to the east. This is the only witness to a late
re-use of this sector of the area. The ash of the hearth abundantly filled the strata
beneath the arch. Burnt mud bricks, one of which still intact, were discovered in
the ash. Descending below the lower floor ceiling, we discovered a stratum of
soft yellow earth, mixed with patches of ashes that contained fragments of burnt
earthenware and wall plaster. Of the arches, which delimited the only space in
which it was considered possible of extending the excavations in depth, the top
ones had collapsed one on top of the other in an eastern direction. Having documented the collapsed arch, it was removed to uncover what was left of the lower
rooms ceiling, and to allow us to proceed with the in-depth excavation. The
lower arches were structurally intact. The top ashlars of the arches show a hewn
lodgement to take the ceiling slabs.
494
RICERCA IN GIORDANIA
The stratigraphy of the North room was different; all of the area turned
out to be filled up by a large stratum of compact yellow earth, mixed with elements from the collapse. Large fragments of white plaster and mortar were
found as well as abundant patches of ashes. The stratum of yellow earth and
elements from the fall extended to the beaten earth floor, brought to light only
at the south corners of the room. The beaten earth floor in the two corners
shows diverse characteristics; darker and less compact to the west, lighter in
colour and much more compact and carefully prepared and laid in the east. The
collapse of the closing east wall on top of that of the arch was found still in its
original fall position in the vicinity of the northeastern corner.
The excavation of this vast deep edifice, totally unexpected in this zone of
the Saint Paul and Peacocks complex, sheds new light on the life in the city of
Umm al-Rasas, thanks to the fact that, for the first time, we have had the opportunity to excavate a multi-storied edifice. The building is practically deprived of any indications that could help us understand its function.
Notwithstanding this, its structure as well as the explicit relationship it finds
itself in with the wine presser in the vicinity, one can deduce that the building
was used as a warehouse and not as a dwelling place. Thus the complex acquires a different configuration; in the area between the two churches there had
been built a large and well-organized industrial complex for the production of
wine, complete with presser and warehouse.
J. Abela - C. Pappalardo
Studium Biblicum Franciscanum
Le rovine di Massuh
Le rovine furono visitate dagli esploratori del Survey of Eastern Palestine nel
1881 che notarono un esteso edificio a sud est del khirbat. Nel 1970 il Dipartimento delle Antichit inizi lo scavo di una chiesa sul pendio orientale del
khirbat con un doppio pavimento mosaicato, che fu in parte pubblicato da Van
495
Elderen. Lo scavo fu ripreso e esteso a tutta la chiesa nel 1983 dagli archeologi del Monte Nebo. Per studiare il mosaico inferiore fu deciso di rimuovere il
mosaico superiore della navata centrale, in seguito esposto nellambito del
Parco Archeologico di Madaba (LA, 1983, 335-346).
Le rovine del khirbat si sviluppano da sud a nord su un poggio della campagna a nord di Madaba e a est di Hesban, che supera gli 800 metri di altezza.
Un nuovo elemento alla topografia del villaggio lhanno aggiunto recentemente i tombaroli sempre pi attivi e determinati alla ricerca di un oro impossibile. Tra i campi, a sud ovest delle rovine del villaggio e a nord est, hanno
setacciato palmo a palmo un esteso cimitero con tombe ad arcosolio scavate
nella roccia del sottosuolo che sono state meticolosamente depredate. Tra le
tombe del cimitero di sud ovest abbiamo notato alcune cisterne scavate sempre nella roccia del sottosuolo, un pressoio, e una possibile casa colonica quadrangolare con al centro una cisterna.
La nuova chiesa
La nuova chiesa di forma basilicale monoabsidata (25 m x 15 m). Delle
murature resta solo la traccia del perimetro e il primo ricorso del muro
orientale costituito da grossi blocchi squadrati con bozza bassa (fig. 1).
Nel mosaico restano le linee di tessere di contorno della porta centrale in
facciata. Il tetto era sorretto da colonne di cui restano in situ alcune basi
modanate in pietra. La luce tra le colonne di soli 1.30 m. La ricostruzione
ipotetica della struttura muraria possibile seguendo il limite del mosaico del
pavimento del corpo della chiesa e di quello del presbiterio.
Il presbiterio sopraelevato di almeno due gradini si sviluppa fino alla terza
fila di colonne. I gradini con gli incavi per la balaustra furono rimossi. Lincasso sul fianco della base dellallineamento sud permette di tracciare la linea
dei pilastrini e dei plutei della balaustra. In relazione con la corda absidale si
sono conservate, ad appena 15 cm di profondit sotto il livello di superficie, le
basi delle colonne del ciborio e gli incassi delle colonnine dellaltare nella calce del letto di preparazione del mosaico. Al centro tra le colonnine era conservata in gran parte la custodia in pietra a forma di croce del reliquiario (fig. 2).
Un frammento di colonnina quadrangolare era ancora inserito nel suo
alloggiamento di calce allinterno dellallineamento della balaustra a sud dellingresso del presbiterio, che abbiamo identificato con il sostegno di una mensa per le offerte.
Nella navata nord della chiesa, allaltezza dellinizio del presbiterio, un gradino interrompeva il programma musivo introducendo in un ambiente che serviva da anticamera al vano di servizio orientale a nord dellabside. Una installazione
simile era stata ottenuta in un secondo tempo nella navata meridionale di fronte
allambiente di servizio corrispondente, con linstallazione di un chiusura pog-
496
RICERCA IN GIORDANIA
giata sul mosaico, a giudicare dallincasso sul lato sud della base della colonna, e
dalla presenza di una struttura quadrangolare in malta di calce poggiata sul mosaico al centro della navata (fig. 6). Anche qui questa area protetta serviva da
anticamera allambiente di servizio meridionale a fianco dellabside.
La chiesa sub una ristrutturazione che interess la navata centrale. Alcuni
blocchi quadrangolari in pietra addossati alla parete interna delle basi
modanate, intonacati e inseriti nel mosaico con laggiunta di una linea di contorno, rimandano ad un ridimensionamento della larghezza della navata o ad
un rafforzamento della struttura preesistente.
Nel mosaico della navata sud, nei pressi della parete, si nota la traccia di un
doppio pilastrino quadrangolare aggettante nella navata, anomalia sottolineata
dal programma musivo. Abbiamo pensato allesistenza di una porta. In continuazione, sempre nellangolo di sud ovest della navata sud, fu ottenuta scavando in profondit una vasca impermealizzata allinterno con calce idraulica.
Il mosaico
Il pavimento della chiesa fu mosaicato con un programma vario e tecnicamente
curato anche nel taglio e nella messa in opera delle tessere, oltre che nella scelta
delle composizioni geometriche di base. Sul piano tecnico, i mosaicisti fecero
uso di diversi tipi di tessere differenziate nelle misure: piccole nel presbiterio,
medie nella navata centrale, pi grandi nelle navate laterali, di modulo maggiorato nellintervento di restauro. In una iscrizione della navata nord nei pressi del
gradino in pietra dellambiente di servizio si conservato il nome di un benefattore: +Signore Ges Cristo accetta lofferta del tuo servo Epifanio, di sua moglie e dei suoi figli, il quale per voto abbell (la chiesa) (fig. 3).
Nel presbiterio una fascia di acanti con frutti chiudeva allesterno sui lati
e sul lato occidentale larea rettangolare centrale absidata circondata da una
treccia a doppio capo. In un secondo tempo sul mosaico furono inseriti laltare
con il reliquiario e le basi del ciborio.
Nellarea a ovest dellaltare si riconosce il motivo di una coppia di pavoni
affrontati, di cui resta la coda con gli occhi, con sui lati un motivo vegetale
con boccioli di fiori rossi a cuore intercalati da volatili. A est dellaltare si sviluppa fino al semicerchio absidale un albero di pero. Tra le fronde di colore
grigio dellaberello, risaltano le pere rese con tessere gialle. Tecnicamente il
mosaico si fa notare per la misura quasi miniaturizzata delle tessere policrome.
Nella navata centrale, che risulta il settore pi danneggiato, aiutandosi con
i pochi stralci di modeste dimensioni rimasti, possibile immaginare la composizione generale. Il tappeto, circondato da una fascia di girali di acanto animati con scene di vita e da una fascia continua di cancorrenti, era suddiviso in
due pannelli. La decorazione del pannello orientale era impostato su una composizione di croci di scuta.
497
Nel pannello occidentale era stata eseguita una grande e elaborata composizione di cerchi intrecciati di diverse dimensioni degradanti verso linterno
circondata da una treccia a due capi allinterno di un quadrato. Negli angoli
tra la treccia e il quadrato erano state inseriti due volatili affrontati ad unanfora biansata da cui fuoriuscivano viticci con grappoli duva. I girali dangolo
della fascia perimetrale erano decorati con maschere fogliate (fig. 4).
Nei girali superstiti della fascia perimetrale si riconoscono scene di caccia, volatili e animali. Sul lato sud, con una gazzella che si gratta il muso con
il piede, resta un giovane vestito di una corta tunica bianca legata alla vita che
tiene un cervo per le corna ramificate (fig. 5). E lunica figura umana del
mosaico giunta quasi intatta.
Gli intercolunni come le due navate laterali erano in gran parte decorati
con composizioni geometriche.
Arredo liturgico
Con le basi del ciborio, lalloggiamento dellaltare, una colonnina della tavola
per le offerte e la custodia in pietra del reliquiario sotto laltare, nello scavo
sono stati recuperati alcuni frammenti di plutei in scisto bituminoso, uno dei
quali con resti di una doppia linea di iscrizione in greco, una colonna in scisto
bituminoso del ciborio con intagliata una croce sul fusto e alcuni frammenti di
marmo.
Conclusione
Nella chiesa gi nota di Massuh, ubicata al centro delle rovine, ci eravamo
soffermati sul presbiterio sopraelevato e prolungato nella navata. Lesame archeologico in questa chiesa aveva chiarito una evoluzione del presbiterio e
498
RICERCA IN GIORDANIA
della balaustra di chiusura veramente singolare che si poteva seguire cronologicamente dal quinto alla seconda met del settimo secolo.
Nella chiesa nord che presentiamo, un elemento singolare, da approfondire sotto laspetto liturgico, costituito dallarea protetta da una chiusura aggiunta nelle due navate laterali di fronte allambiente di servizio. Lelemento
quadrangolare costruito in malta di calce aggiunto sul mosaico della navata sud
nellarea allinterno della balaustra, pu spiegarne la funzionalit con la possibile presenza di un reliquiario. Parallelamente, anche la divisione originaria
nella navata nord, potrebbe avere la stessa funzionalit.
Da un saggio in profondit al centro della chiesa fino a raggiungere il terreno vergine, si potuto chiarire la contemporaneit tra la costruzione della
chiesa e il programma del mosaico pavimentale. Dallesame delle tipologie
ceramiche raccolte nello scavo in un contesto archeologico molto disturbato,
perci da mettere in relazione con le rovine del villaggio pi che con la storia
abitativa della chiesa, si pu solo dedurre una occupazione del sito dallepoca
romana allepoca omayyade-abbaside, con una rioccupazione in periodo
mamelucco.
Il mosaico della chiesa non mostra traccia evidenti di iconofobia nel mosaico. Dopo labbandono, da datare alla fine del settimo secolo-prima met
dellottavo, risultano rioccupati lambiente di servizio di nord est e larea sulla
facciata, dove stata riportata alla luce una abitazione del tardo periodo
omayyade-abbaside. Il guasto al mosaico della navata centrale va perci attribuito alla rioccupazione dopo labbandono, alla spoliazione delledificio per
materiali da costruzione, e in parte allattivit agricola moderna.
Lesame del mosaico con tracce vistose di restauro con tessere bianche di
modulo maggiorato e la presenza di nuove basi di pilastri inserite allinterno
delle basi delle colonne originarie, rimandano al rifacimento delledificio con
un ridimensionamento della larghezza della navata centrale, e un cambiamento statico. Dagli archi longitudinali poggiati sulle colonne, si era passati agli
archi trasversali in direzione nord-sud. Non chiaro se lintervento era stato
occasionato da una distruzione violenta, o da un indebolimento della struttura,
entrambi i fenomeni forse provocati da un terremoto.
Lestesa zona cimiteriale intorno allabitato e le due chiese finora esplorate, come pure le numerose case ben costruite in conci squadrati presenti sul
khirbat, testimoniano a favore della prosperit economica degli abitanti di questo insediamento agricolo sviluppatosi in epoca romano-bizantina-omayyade
nella fertile campagna dellaltopiano tra Madaba e Esbous.
Il nome del villaggio, che al tempo del califfo al-Mamoun (IX sec.) era
conosciuto con lo stesso nome di Massuh, stato conservato dai beduini della
Balqa.
M. Piccirillo
Studium Biblicum Franciscanum
499
500
RICERCA IN GIORDANIA
minarets of the mosques (Bloom, 1989: 38). This satiric poem is probably an
allusion to the report which states that Khalid al-Qasri ordered the demolition of the minarets when he heard a poet recite:
I wish I were among those who give the call to prayer during the day
for they can see those who are on the roofs.
They give signals or they receive them,
how lovely are those beautiful tall necks.
(Al-Isfahani [Abu al-Farag], Kitab al-Aghani, Beirut 1957, XXX: 164;
Ibn al-Athir, Al-Kamil fi al-Tarikh, Beirut 1965, V: 279; G. Bisheh, The
Mosque of the Prophet at Madinat throughout the First Century A.H. With
Special Emphasis on the Umayyad Mosque, Ph. D. Dissertation, Univ. of
Michigan, 1979, 287-88; Bloom, 1989: 28.The author of al-Aghani attributes
these verses to the Medinan poet al-Sari bin Abd al-Rahman (cf. also Bloom,
1989: 28 and note 39).
The poet Jarir, on the other hand, praises Khalid al-Qasri for having
built a minaret so tall that it almost reached the stars, the like of which had
never seen before (Bloom, 1989: 36-37). Bloom, however, points out that
the word Manar in these verses refers to a lighthouse rather than a
mosques minaret. Though this interpretation cannot be ruled out, it should
be noted that the specific words Manar al-Masajid (minarets of the
mosques) are used by al-Farazdaq, Jarirs contemporary (Bloom, 1989: 38).
Furthermore, the first hemistich in Jarirs verses may be translated as, You,
i.e., Khalid al-Qasri, built the illuminated minaret (manar) to guide to the
path of righteousness (ala al-Huda). The verse seems to have religious
connotations possibly associated with the minaret of a mosque. About a
century and a half later, al-Jahiz (d. 225 A.H. / 869 A.D.) speaks of the
minarets of Kufa as different from those of Basra. The former, he says, were
modelled after the bell-towers of the Melkites and Jacobites, by which he
probably meant that they were square in plan, in contrast to the cylindrical
towers of Basra (C. Pellat, The Life and Works of al-Jahiz, trans. by D.M.
Hawke, London, 1969, 193).
Two conclusions may be drawn from the foregoing: First, we learn that
there were a number of minarets in Iraq from as early as the first decades
of the second Islamic century and perhaps earlier. However, an often
quoted verse by al-Farazdaq in which he says that the Adhan (call to
prayer) was recited from the wall of every city (al-Tabary, Tarikh, Cairo
1961, VI: 520; Creswell, 1969, I, 1:59), may indicate that the minaret as a
distinctive feature of mosque buildings remained relatively rare throughout
the first century of Islam. Second, it seems that the minaret never rigidly
conformed to one particular type; they could be square, cylindrical or even
polygonal.
501
L.E. Stager - J.A. Green - M.D. Coogan (eds.), The Archaeology of Jordan and
Beyond. Essays in Honor of James A. Sauer, (Harvard Semitic Museum
Publications. Studies in the Archaeology and History of the Levant 1), Winona
Lake 2000, XVI-529 pp., foto, piante, tavole e figure nel testo.
Il volume qui preso in visione divenuto un tributo post-mortem allo studioso
americano James A. Sauer, morto prematuramente a causa di una grave malattia
(1945-1999). In origine era stato progettato per celebrare la sua carriera di
archeologo e studioso, ma la sorte ha fatto s che diventasse il suo memorial volume. James A. Sauer, uomo di vasti interessi scientifici e di valide visioni,
pragmatico e capace di progettare il futuro, ha diretto il centro di studi americano
in Amman (ACOR) dal 1974 al 1981. Sotto il suo impulso e la sua vasta
competenza, il centro di ricerche archeologiche e storiche della Giordania ha
raggiunto alti livelli di professionalit e di efficienza. Fu professore allUniversit
di Harvard (Pennsylvania) e curatore dello University Museum. Per due termini
consecutivi fu eletto Presidente di ASOR durante gli anni 80.
J.A. Sauer era uno dei migliori specialisti di ceramica dellarea siropalestinese, avendo imparato larte negli scavi di Taanach e Deir Allah. Ha operato
con scavi, surveys e ricerche in Siria (nella valle dellOronte), in Giordania (cf.
Tell Siran, Tell Hebn) e nello Yemen (cf. J.A. Sauer - A. Blackely - R.M. Toplyn,
Site Reconnaisance in North Yemen, vol. 2, Washington 1983). In Cipro ha
promosso la fondazione del locale CAARI (Cyprus American Archaeological
Research Institute). Fu uno dei principali promotori delle conferenze sulla storia
e larcheologia di Giordania, iniziate nel 1980 a Oxford e proseguite con regolarit
secondo una scadenza quadriennale. In Giordania sono meritevoli i suoi studi sulla
ceramica di Tell Hebn, Tell Siran, e altri progetti di ricerca.
Molti colleghi ed estimatori hanno offerto pi di 50 contributi per la sua
memoria. Il volume inizia con la presentazione della carriera accademica di J.A.
502
RICERCA IN GIORDANIA
Sauer: W.E. Rast ne ricorda i frutti principali come Direttore di ACOR (pp. 3-6);
R.S. Abujaber mette in luce il contributo dato dallo scomparso allo sviluppo
dellarcheologia di Giordania (pp. 7-15). Seguono le note biografiche e le lettere
commemorative, pp. 16-25. Alle pp. 26-28 troviamo la lista delle pubblicazioni
di J.A. Sauer. Dato il numero considerevole degli interventi, si impone una scelta
dei contributi che ritengo pi significativi. P. Bienkowski offre un saggio sui
rapporti tra Assiria e Transgiordania nel periodo del Ferro II (pp. 44-58). R.M.
Brown presenta uno studio sulla ceramica invetriata dei secoli 13-15 (pp. 8499). F.M. Cross, che fu collega di J.A. Sauer negli scavi di Tell Hesban, legge un
ostracon in ebraico letterario proveniente da Horvat Uza, il sito edomita nel
Neghev. Il contenuto delle 13 linee una riflessione filosofica sulla vita e sulla
morte; la datazione proposta la fine del 7 secolo a.C. (pp. 111-113). L.G. Herr
presenta uno studio sulle fortificazioni LB-F I di Tell el-Umeiri (pp. 167-179.
D.Homs-Fredericq segnala le case colonnate di Leun (pp. 180-195). M.S.
Joukowsky offre un contributo sugli scavi (1993-1996) del Grande Tempio di Petra
(pp. 221-234). N.I. Khairy legge alcune iscrizioni nabatee di Umm el-Jimal (pp.
255-265). N.L. Lapp offre uno studio delle fiaschette da pellegrino di epoca
bizantina, conservate nel Bible Lands Museum di Pittsburgh (pp. 277-289). B.
MacDonald segnala una nuova interpretazione del sito di Khirbet el-Medeineh
nel wadi al-Hasa: il sito fortificato non risale allepoca moabita come aveva
proposto N. Glueck (cf. EEP 2, New Haven 1935: 104-105) ma al periodo tardoromano. Di conseguenza non si pu identificare Khirbet el-Medeineh con IieAbarim di Num 21,11; 33,44 (pp. 317-327). J.M. Miller rilegge le mappe
dellaltopiano di al-Kerak preparate nel 19 secolo da J. Burckhardt (1812.1822)
e da E. Robinson (1838.1841) che sono state la base di tutte le pubblicazioni successive. S.T. Parker presenta uno studio notevole sul Limes di Palestina e
Transgiordania da Diocleziano fino a Eraclio (367-388). Da notare infine lo studio di R.T. Schaub sulla terminologia e la tipologia dei vasi carenati del periodo
BA I-II (pp. 444-464). Un Indice dei siti chiude il volume (pp. 525-529).
La memoria di J.A. Sauer rimane viva nei progetti e nelle iniziative culturali,
sociali ed economiche da lui promosse per lo sviluppo della ricerca storicoarcheologica nel Medio Oriente. Il volume commemorativo soltanto un tributo
preparato dai colleghi e segnalato allattenzione degli estimatori.
P. Kaswalder
503
sentiva la necessit di preparare una sintesi dei risultati relativi alle singole
epoche eseguita dagli specialisti di ciascun periodo e di presentarla in modo
sistematico e facilmente accessibile al grande pubblico.
Un capitolo introduttivo a cura di P.G. Macumber (pp. 1-30) segnala le
caratteristiche fisiografiche della Giordania, cio lambiente naturale sul quale
si svolta la storia delluomo che ha occupato e sfruttato il suolo giordano. La
ricchezza e variabilit dellambiente comprende la fossa giordanica e il Mar
Morto; laltopiano fertile di al-Qura; le montagne dellAjlun; il bacino di alAzraq; laltopiano di basalto nero a nord-est; la montagna centrale (al-Jibal);
la montagna meridionale (al-Hisma). Ciascuna di queste aree geologiche soffre
un clima particolare e presenta differenti condizioni ambientali per la vita
umana.
Il volume offre di seguito una serie di 15 capitoli dedicati a ciascun
periodo archeologico, dal Paleolitico fino al periodo ottomano. I capitoli sono
abbastanza ampi e coprono vari aspetti dei singoli periodi storico-archeologici.
Non sono tutti della stessa lunghezza e dello stesso spessore scientifico. Ci
dipende non tanto dalla capacit dei singoli studiosi ma dal fatto che alcuni
periodi archeologici in Giordania sono poco rappresentati. Vedi ad esempio il
Medio Bronzo o il periodo Persiano che sono deboli, a fronte della forte
presenza dei Nabatei. Dallo stato attuale della ricerca si possono fare previsioni
sullo sviluppo futuro dellarcheologia transgiordanica e un bilancio positivo dei
risultati gi ottenuti finora.
La serie degli interventi vede impegnati i principali specialisti dei singoli
periodi archeologici. Inizia D.I. Olszewski con una panoramica sui periodi del
Paleolitico ed Epipaleolitico (pp. 31-65). G.O. Rollefson presenta le grandi
potenzialit del periodo Neolitico (pp. 67-105). Il periodo Calcolitico affidato
a S.J. Bourke (pp. 107-158). Il periodo del Bronzo Antico I-III a cura di G.
Philip occupa le pp. 163-232. A G. Palumbo (pp. 233-269) affidata la
presentazione del singolo periodo Bronzo Antico IV. S. Falconer offre il suo
contributo sul Medio Bronzo (pp. 271-289). J. Strange alle pp. 291-321
presenta il Tardo Bronzo. L.G. Herr - M. Najjar studiano il periodo del Ferro
(pp. 323-345). P. Bienkowski illustra il periodo persiano pp. 347-365. S.G.
Schmid si occupa dei Nabatei (pp. 367-426) e P. Freeman del periodo romano
(pp. 427-459). Il periodo bizantino a cura di P. Watson (pp. 461-502). Il
periodo omayyade e quello abbaside a cura di Q. Whitcomb (pp. 503-513). I
periodi fatimida, ayyubide e mamelucco sono stati curati da A. Walmsley (pp.
515-559). A. McQuitty presenta il periodo ottomano (pp. 561-601).
La seconda parte del volume caratterizzata da interventi pi brevi,
centrati su alcuni temi specifici dellarcheologia giordana. Tra questi i sistemi
di approvigionamento idrico (J.P. Oelsen, pp. 603-614); il fenomeno del
pastoralismo (A. Betts, pp. 615-619); la tradizione agricola giordana (C.
Palmer, pp. 621-629); la tecnica di creazione della ceramica (H. Franken, 653657); gli scritti transgiordanici (A. Millard, pp. 659-662); i mosaici di
504
RICERCA IN GIORDANIA
Giordania (M. Piccirillo, pp. 671-676); i castelli crociati (D. Pringle, pp. 677684); i fortini ottomani (A. Petersen, pp. 685-691). Un indice dei nomi
geografici chiude il volume (pp. 693-704).
Lo scopo dichiarato dai promotori delliniziativa editoriale quello di
offrire agli studenti e ai cultori dellarcheologia giordana un testo generale e
aggiornato. Lo scopo degli editori riuscito quasi alla perfezione e ora
possibile consultare un manuale completo dalla preistoria ai tempi moderni. Va
segnalato anche qualche errore in fase di stampa perch disturba la
pubblicazione. Ad esempio, il capitolo 4 (sul Calcolitico) termina a p. 158, e
subito a fianco inizia il capitolo 5 (sul Bronzo Antico) con la p. 163. Tra i pregi
del volume invece sono da menzionare la bibliografia aggiornata di ogni
singolo intervento; la buona documentazione fotografica e di piante; interessante pure la presenza di una medesima mappa geografica che accompagna i
singoli periodi archeologici.
P. Kaswalder
LA 50 (2000) 505-608
RECENSIONI
Verhoeven U.
Rler-Khler U.
Bader G.
Fox M.V.
Nay R.
Mandirola R.
Pennacchini B.
Lamarche P.
Sacchi A.
Naluparayil
Chaco J.
510
510
511
512
541
542
543
545
548
550
551
508
RECENSIONI
Thiselton A.C.
Barbaglio G.
Hengel M.
Schwemer A.M.
Manzi F.
Beale G.K.
556
The First Epistle to the Corinthians. A Commentary on the Greek Text (L.D. Chrupcaa)
560
563
572
575
Adinolfi M.
Clarke A.D.
Harrington D.J.
580
Misiarczyk L.
581
583
583
584
586
Ferrer J.
Nogueras M.A.
Ferrer J.
Nogueras M.A.
Rothenberg B. (ed.)
RECENSIONI
Donald T.A.
et alii
Donald T.A.
et alii
Pea I.
Schmidt-Colinet A.
Stauffer A.
al-AsAd Kh.
509
587
590
591
594
von Breydenbach B. Peregrinationes. Un viaggiatore del Quattrocento a Gerusalemme e in Egitto (M. Piccirillo) 597
Adinolfi M.
Bruzzone G.B.
602
Adinolfi M.
Bruzzone G.B.
602
Libri ricevuti
604
510
RECENSIONI
Verhoeven Ursula, Das Totenbuch des Monthpriesters Nespasefy aus der Zeit
Psammetichs I. pKairo JE 95714 + pAlbany 1900.3.1, pKairo JE 95649,
pMarseille 91/2/1 (ehem. Slg. Brunner) + pMarseille 291 (Handschriften des
Altgyptischen Totenbuches, Band 5), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 1999,
XII-53 pp., 56 Photo-Tafeln, 72 Umschrift-Tafeln Autographiert von Barbara
Lscher, DM 124.
Il progetto delle universit di Bonn e di Kln, finanziato dalla Deutsche
Forschungsgemeinschaft, di curare una nuova pubblicazione del Libro dei Morti
(LdM) dal Nuovo Impero al Periodo Romano continua con il presente volume
che, come i precedenti, comprende tre parti: introduzione della curatrice, riproduzione fotografica e poi trascrizione geroglifica dei manoscritti.
Nellintroduzione la curatrice spiega che il LdM di Nespasefy, di epoca
saitica, stato scelto per il fatto che, in base alla genealogia del proprietario,
si pu risalire alla famiglia Besenmut, sacerdoti di Tebe al tempo della XXV/
XXVI dinastia. Per questo motivo esso costituisce una base affidabile di confronto con altri esemplari altrimenti non databili. Daltra parte la grafia tardoieratica di questi manoscritti stata oggetto di studio da parte della medesima
Verhoeven. Inoltre della recensione saitica del LdM era finora pubblicato poco
materiale.
Il papiro di Nespasefy, che viene qui pubblicato per la prima volta in forma completa, si compone di cinque parti, distribuite in diversi musei, che insieme raggiungono la lunghezza di 15 metri. Le cinque parti, di cui finora era
pubblicata solo quella che in origine era conservata a Tbingen, provengono
dalla zona di Tebe e probabilmente fecero parte, insieme a numerosi sarcofagi,
di un ritrovamento avvenuto nel 1858 sotto la direzione di Auguste Mariette.
Sono datate nella XXVI dinastia al tempo di Psammetico, intorno al 650 a.C.
Secondo la curatrice le cinque parti costituivano in origine tre o quattro
rotoli separati. Questo LdM fu preparato appositamente per il proprietario dato
che il suo nome e i titoli sono inseriti nel testo, non aggiunti posteriormente.
Dal momento che una copia quasi completa del LdM, il papiro di Nespasefy
molto probabilmente la fonte pi antica del cosiddetto ordine saitico dei detti funerari, riprodotto nelle copie posteriori, mentre la numerazione corrente si
basa sullordine del papiro di Torino 1791 edito da Lepsius.
Non posso non dire, anzi ripetere, che i promotori del progetto, come anche la curatrice e la casa editrice, meritano riconoscenza e plauso da parte degli egittologi per questo splendido lavoro.
Alviero Niccacci, ofm
G. BADER
511
Il volume esamina la storia della trasmissione del cap. 17 del Libro dei Morti
(LdM), che uno dei passi pi importanti e maggiormente riprodotti dellintera
raccolta funeraria. Dopo un periodo di studi di circa 20 anni, lautrice in grado
di delineare lintera storia della trasmissione esaminando tutte le attestazioni conosciute del cap. 17 del LdM e del suo antecedente, il detto 335 dei Testi dei
sarcofagi (CT = Coffin Texts), il che costituisce unimpresa di avanguardia
mai realizzata prima in egittologia. Questo tentativo omnicomprensivo, dice la
prefazione, pu servire da modello per conoscere meglio le tecniche di trasmissione dei testi egiziani, comprese le contaminazioni e le trasformazioni, per ricostruire il processo relativo sulla base di tutte le forme attestate e per sperimentare
il funzionamento del metodo di critica testuale stabilito da Maas.
La ricerca si inserisce nel progetto di edizione del LdM dal Nuovo Impero
al Periodo Romano finanziato dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft. Lautrice parte dallo stemma elaborato in un suo studio del 1979 sul cap. 17 del
LdM (GOF IV, 10) nel quale aveva tenuto conto degli esemplari della XVII e
soprattutto della XVIII dinastia. Con alcune modificazioni lo stemma viene
riprodotto a p. 6 (Abb. 1). Nel presente studio esamina 38 nuovi esemplari del
Nuovo Impero e 31 del Terzo Periodo Intermedio. Nel primo capitolo lautrice
stabilisce uno stemma degli esemplari del Nuovo Impero (p. 76, Abb. 25) e
uno di quelli del Terzo Periodo Intermedio (p. 174, Abb. 58). Nel secondo capitolo esamina poi le contaminazioni del LdM 17 sino alla XXII dinastia.
Nella conclusione viene riassunta la trasmissione del LdM 17 in grafia
geroglifica (ramesside), che scompare a Tebe verso la fine della XXI dinastia,
e in grafia ieratica, che invece continua. Si offre anche uno sguardo sulla storia della tradizione posteriore.
Il volume, molto tecnico e pieno di sigle, corredato da una serie di indici e
di concordanze delle sigle, dei nomi dei proprietari, degli esemplari e dei testi.
Alviero Niccacci, ofm
Il libro consta di una introduzione (cos la teologia del salterio) e di tre parti
e dieci paragrafi: uno nellintroduzione e tre in ogni parte. La prima parte (pp.
50-110) tratta i concetti preliminari (Palestra, Exercitium, Lectio), la seconda
(pp. 111-186) le presentazioni del salterio nei Padri (specialmente Atanasio e
Agostino) e in Lutero, la terza (pp. 187-253) il ritmo, la musica, la salmodia e
la teologia (sonora) del Nome. Chiudono il libro due elenchi, degli autori citati e dei temi e termini greci, latini e tedeschi.
512
RECENSIONI
Chi si aspetta una teologia dei salmi resta deluso. Fin dallinizio lA., distinguendo tra salmi e salterio, fa capire che si occupa del salterio, secondo il gusto
luterano, pi che dei salmi, secondo il gusto calvinista. Egli per attirato soprattutto dalluso liturgico dei salmi nella chiesa primitiva, greca e latina e, pi precisamente, della sua maniera di cantare i salmi, soprattutto nei monasteri.
Lo stesso proemio ai salmi di Lutero, come pure la precedente trattazione
sui Padri, non vuol essere una presentazione esauriente del loro pensiero; si
tratta solo di qualche frase (p. 181). Sembra piuttosto il pretesto per dare una
descrizione di tutto il lavorio dei monaci e della Chiesa attorno alla recitazione e al canto dei salmi. In effetti, tutto sembra culminare nel 9 (Psalmodie),
la trattazione della salmodia e della musica liturgica gregoriana.
Dopo la prima delusione, per, il biblista rimane piacevolmente sorpreso di
fronte allammirazione di un protestante per il canto liturgico dei salmi nella
Chiesa. Ed unammirazione che fa riflettere non solo i liturgisti sullimpiego
dei salmi nella liturgia di oggi, confrontata su questo punto con quella antica.
Infatti, nonostante ci che dicono le vigenti istruzioni circa luso dei salmi nella
liturgia postconciliare e al contrario di quella antica, i canti abituali nel culto di
oggi raramente sono presi dal salterio, fosse anche come parafrasi.
Un altro motivo di riflessione lammirazione per quello che abbiamo
chiamato lavorio attorno al salterio. Neanche i vangeli sono trattati con altrettanto affetto nella liturgia monastica. evidente che la Chiesa si sforza cos di
esprimere al meglio la sua preghiera, cio principalmente nei salmi, cercando
di imprimervi i moti (quelli disciplinati ed ascetici) e la melodia dellanima.
Ci rivela anche la coscienza di quella musicalit e di quel ritmo poetico speciale di cui i salmi sono particolarmente ricchi, pi ricchi di ogni altra parte
della Bibbia, anche nel testo originale, di cui, peraltro, lA. non si occupa. Tutte
cose belle, daccordo. Per questa non una teologia dei salmi o del salterio.
Tuttal pi una teologia della liturgia cristiana dei salmi.
Manca nel libro una lista delle abbreviazioni e sigle e, nonostante laccuratezza caratteristica delleditrice, si nota qualche errore. Cos sembra a p. 72
(l.5: Grece glorie), 108 (nota 285, l.11 dal fondo: pronunciatone), 212
(nota 529, l.5: geichartigen), 253 (l.15 dal fondo: Palmmelodie).
Enzo Cortese
Fox Michael V., A Time to Tear down and a Time to Build up. A Reading of
Ecclesiastes, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids,
Michigan - Cambridge, U.K. 1999, XVIII-422 pp., $ 30.00, 18.99.
Iniziato come revisione di uno studio precedente, Qohelet and His Contradictions (1987), il presente volume diventato pian piano, a detta dellautore,
un libro in molti aspetti diverso, per quanto le tesi di fondo siano rimaste
FOX M. V.
513
immutate (p. ix). Rispetto allo studio precedente Fox d maggior rilievo alla
fase positiva del pensiero di Qohelet: il costruire accanto al distruggere.
La prefazione elenca e discute brevemente sette commentari recenti (dal 1980
al 1998) con cui Fox si confronta nel corso della ricerca.
1. Presentazione e sintesi. Il problema del libro di Qohelet consiste notoriamente nelle contraddizioni che presenta: come se riportasse diverse voci
in contrasto tra loro. Fox chiarisce subito la sua posizione: le contraddizioni
non vanno eliminate ma spiegate. My primary thesis scrive is a simple
one: The contradictions in the book of Qohelet are real and intended. We must
interpret them, not eliminate them (p. 3). E delinea la sua soluzione con un
linguaggio chiaro e suggestivo che caratterizza sua esposizione: Qohelets
contradictions are the starting point but not the message of the book. He
marshals them to tear down meaning, but it does not stop there. He is not a
nihilist. He also builds up meaning, discovering ways of creating clarity and
gratification in a confusing and indifferent world (ibid.).
Per interpretare le contraddizioni Fox procede nel modo classico: studio
del lessico e del contesto. Mette in guardia per subito dal pericolo di
sistematizzare troppo, con il rischio di tradire lautore sacro il cui pensiero ha
un episodic, discontinuous, staccato character (p. 3). Nonostante tutto, annota, il libro di Qohelet non misterioso n esoterico ma, al contrario, intende
insegnare la sapienza al popolo.
In linea generale Fox condivide limpressione che riceve qualsiasi lettore
di Qohelet, che egli riassume in tre punti:
(1) Everything in this life is, in some way, inadequate worthless, vain, futile,
transient, or senseless, and injustices abound. (2) There is no point in striving too
hard for anything, whether wealth or wisdom. (3) It is best simply to enjoy what
you have when you have it and fear God. To this the traditional interpreters add:
and study the Torah (p. 4).
Per realizzare il suo progetto Fox presenta una serie di saggi riguardanti
quattro temi: (1) The absurd (chapter 2); (2) justice and its violation (chapter
3); (3) Knowledge and ignorance (chapters 4-5); (4) efforts and results
(chapters 6-8), and (5) the premises of Qohelets thought (chapter 9) (pp. 45). Lo svolgimento di questi temi occupa una grande parte del volume (pp. 27145). Segue poi il commentario con traduzione, note di critica testuale (con le
514
RECENSIONI
correzioni proposte dallautore) e annotazioni esegetiche. Il commentario comprende anche tre excursus: sul tempo nel catalogo dei tempi in 3,1-8, sul
poema dellinvecchiamento e della morte nel c. 12 e alla fine un excursus generale sulle diverse voci che si fanno sentire nel libro.
Come premessa, Fox discute il contesto di Qohelet, che evidentemente
quello della sapienza, ma non solo quello, e sottolinea il fatto che non si pu
parlare di scuola di sapienza in senso stretto, n si possono far risalire i diversi generi letterari della Bibbia a diverse scuole, magari in conflitto tra di
loro, secondo una moda frequente tra gli studiosi. Tratta poi dei paralleli, in
particolare con la filosofia ellenistica e con lidea dellassurdo di Albert
Camus e nelle letterature del Vicino Oriente Antico, soprattutto quella egiziana; delle contraddizioni e dei vari modi di superarle o spiegarle, a partire dalle
tendenze armonizzatrici della tradizione giudaica fino alle varie proposte moderne: aggiunte posteriori, citazioni di diversi parlanti, dialogo tra persone diverse, dialettica di opinioni differenti, o anche disturbi psichici dellautore.
Secondo Fox, hebel significa absurd nel senso di Camus: the absurd is
irrational, an affront to reason the human faculty that seeks and discovers
order in the world about us (p. 31); indica che qualcosa is contrary to reason
perhaps only to human reason, but that is the only reason we have access to,
unless one appeals to revelation (p. 34). Lidea di assurdo, continua lautore, molto antica, essendo attestata gi in Egitto (nel senso di rovesciamento
dellordine stabilito), e perci non un concetto impossibile in uno scritto antico, per quanto non si conosca altro termine ebraico, egiziano o accadico che
esprima lo stesso concetto di hebel. Daltra parte, lespressione che accompagna hebel, cio ret ra, oppure rayn ra, viene intesa da Fox come
senseless thoughts. Both forms of the phrase egli spiega refer to a
jumble of thoughts, imaginations, and desires that fill the mind (p. 45). In
pratica, per Fox, hebel e ret/rayn ra sono equivalenti e il senso del loro
uso il seguente: All is absurd is ultimately a protest against God (p. 49).
Un secondo tema complesso riguarda la giustizia, specificamente la tensione tra la giustizia di Dio e le ingiustizie di cui il mondo pieno. Se comprendo bene la sua posizione che , diciamo cos, variegata, Fox afferma che,
da una parte, le ingiustizie del mondo non annullano la giustizia di Dio ma,
dallaltra, la giustizia di Dio non risolve il problema delle ingiustizie del mondo: Theodicy does not work for Qohelet (p. 66); He is not polemical
He is not even skeptical Nor is he disputing theodicy He accepts one
principle of theodicy, future judgment, but this does not solve the problem or
ease his malaise Qohelet is complaining not only about injustices but also,
more fundamentally, about the irrationality of the world which holds such
contradictions. It is absurd (pp. 68-69).
Terzo tema complicato quello della sapienza secondo Qohelet. Per Fox,
nuova senza precedenti la metodologia di questo saggio, il quale sperimenta
i piaceri della vita non per goderli ma per acquisire conoscenza, per risponde-
FOX M. V.
515
re alla domanda filosofica cosa buono per luomo?. Come i filosofi greci,
Qohelet segue il principio dellautonomia della ragione, per cui cerca di andare oltre i confini della conoscenza degli antichi saggi israeliti. Lassurdo una
delle conoscenze nuove che egli apporta, mentre per gli antichi saggi la sapienza indipendente dalla mente umana. Per Qohelet la sapienza benefica ma
mancante: non porta a capire la razionalit degli eventi; vulnerabile eppure
apporta un certo vantaggio a chi la segue. Con tutto ci Qohelet non si mette
in polemica con i saggi tradizionali; intende solo mettere in guardia da attese
eccessive.
Illustrando il quarto tema riguardante gli sforzi e i risultati, Fox esamina
la terminologia caratteristica di Qohelet: fatto e evento (indicati con i verbi
e hy), fatica (ml), occupazione (n, inyn), le cose positive della
vita (leq parte, yitrn vantaggio, im gioia ecc.). Conclude che
Qohelet non solo negativo. Se il vantaggio che luomo ricava dalla sua attivit non sufficiente, non significa che non ci sia affatto; occorre lavorare con
moderazione; in fondo vengono date indicazioni per cavarsela nel proprio lavoro. Per Fox Qohelet non un predicatore di gioia, come proposto da qualcuno; nel suo linguaggio im significa piacere, non gioia. Le ragioni per
godere della vita sono: i premi vengono dati in modo disuguale; luomo non
comprende lagire di Dio; la morte elimina ogni differenza tra luomo e lanimale.
Nel capitolo complessivo prima del commentario, intitolato The End of
the Matter, Fox qualifica Qohelet nel modo seguente: Qohelet is a man of
faith, who trusts in God and his justice. He is also a man of doubt, who knows
the realities that violate his belief. Yet he insists on taking hold of the one
while not letting go the other (p. 134). Due realt contrapposte che i commentatori sia antichi che moderni hanno cercato in vario modo di tenere insieme. Per Fox il Dio di Qohelet un padrone duro: governa da lontano,
imprevedibile nellamministrare la giustizia, assegna compiti ma non fornisce
i mezzi per assolverli, non conforta gli oppressi. A detta di Fox stesso, This is
an uncomfortable theology, and one need not accept it as valid and other
Biblical authors wouldnt have but this is Qohelets teaching, and it should
not be muted (p. 138).
Fox esamina poi le due fasi delloperazione intellettuale di Qohelet: il distruggere (The Subversion of Meaning) e il costruire (The Reconstruction
of Meaning). Egli ritiene che, secondo il saggio, la conseguenza di un atto,
perch sia giusta, deve possedere cinque qualit: essere immediata, individuale, riconoscibile, costante e definitiva. E commenta: If a consequence violates
these stipulations, it is absurd and senseless Qohelet seems determined to
see absurdity everywhere. He posits criteria for meaningfulness so rigorous
that almost nothing can meet them. Even if something is good, it can still be
absurd (p. 139). Nonostante questa conclusione cos drastica, Fox ritiene che
Qohelet riesca anche nella fase positiva del costruire; identifica infatti le cose
516
RECENSIONI
buone della vita e offre consigli, suggesting how we can make the best of the
bad deal that is life (p. 140). Non offre soluzioni vere e proprie ma piuttosto
ripieghi, dato che la realt insanabile.
Per quanto verso la fine Qohelet ripeta linizio affermando che tutto
assurdo (12,8; cf. 1,2), il libro non finisce l. Segue un postscript (12,1314) che in genere i commentatori ignorano perch ritengono che sia aggiunta
posteriore. Fox condivide solo in parte questa opinione:
This addition is not an irrelevant appendage. The author of the postscript,
probably a later scribe who was perhaps the books copyist, did not delete or refuse
to copy hakkol hebel By leaving that statement and the like intact, he is
conceding its validity, to a degree. The book now says: Even if everything is
absurd, nevertheless we must fear God and keep his commandments (p. 144).
FOX M. V.
517
518
RECENSIONI
che il dolore vengono da Dio e bisogna accoglierli dalla sua mano convinti che
sia luno che laltro sono buoni a loro tempo: hanno cio uno scopo preciso
nel piano divino. Linvito che ne deriva godere della gioia quando Dio la
concede, riflettere quando egli manda il dolore, allo scopo di comprendere
quale sia il suo messaggio attraverso le alterne vicende della vita.
Questo invito a godere della gioia e a riflettere nel dolore il succo della
faticosa ricerca del saggio Qohelet e il nocciolo del suo insegnamento. Non a
caso quellinvito formulato in due parti che corrispondono alla duplice realt
delineata dallautore lungo tutta lopera: da un lato la convinzione di fede,
positiva, comune alla tradizione di Israele, dallaltro il dato dellesperienza
personale del saggio, negativo, che contraddice le attese delluomo sulla base
della fede. Il primo esempio di questa contrapposizione si trova in 3,16-22: di
fronte alla vista che lingiustizia domina nel luogo stesso in cui essa dovrebbe
abitare, il tribunale (v. 16), Qohelet enuncia due riflessioni parallele introdotte
dalla medesima formula, Dissi io nel mio cuore: prima che Dio giudicher il
giusto e il malvagio a suo tempo, convinzione di fede (v. 17); poi che Dio lascia prevalere lingiustizia per mostrare agli uomini che sono mortali come le
bestie, conclusione del saggio (vv. 18-21).
Ma questa riflessione terribile non lultima parola. Luomo non ha una
risposta alla domanda del perch la vita sia cos contraddittoria; come si legge
in Qo 3,11, luomo non potr mai comprendere lopera che Dio ha fatto e,
possiamo aggiungere, che fa lungo la storia dallinizio alla fine; in altre
parole, il piano della creazione, o sapienza di Dio, pu s essere conosciuto attraverso lesperienza delle creature ma mai in modo completo. Personalmente
sono convinto che su questo punto il libro di Qohelet non si discosti fondamentalmente dalla posizione di Proverbi e di Giobbe, nonostante lopinione
contraria degli interpreti. Qohelet problematico come Giobbe, molto pi di
Proverbi, nel senso che mette in luce le contraddizioni inerenti allattivit delluomo sulla terra, come Giobbe mette in luce le contraddizioni legate alla sofferenza del giusto. Ma ambedue, Qohelet e Giobbe, non si discostano dalla
posizione, talvolta detta ortodossa, di Proverbi. In realt tutti i saggi hanno
una posizione ortodossa, nel senso che condividono tutti la fede in Dio creatore e provvidente; la differenza che Qohelet e Giobbe rivolgono la loro riflessione a due aspetti problematici dellesistenza, diversi tra loro (rispettivamente lattivit umana e la sofferenza del giusto) ma convergenti in quanto
il problema essenziale che essi pongono uno: Dio. Dio il problema delluomo, il rapporto con lui, sia nellattivit che luomo svolge nel mondo come
anche nel problema del perch della sofferenza del giusto. Sono, questi, problemi non trattati, o trattati solo marginalmente, in Proverbi e negli altri libri
sapienziali; tuttavia sia per Qohelet che per Giobbe il punto di riferimento ultimo, al di l dellesperienza angosciosa, resta quello che principio fondamentale della sapienza: temere Dio e osservare i suoi comandi (Qo 12,13),
oppure temere Dio e stare lontano dal male (Gb 28,28).
FOX M. V.
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Dicevo che la riflessione negativa non lultima parola di Qohelet. In effetti alla fine di Qo 3 che stiamo esaminando si trova la seguente affermazione: Perci vedevo che non c niente di buono / pi che luomo possa rallegrarsi delle sue opere (yima hdm bemayw), / perch questa la sua
parte (elq); / perch chi lo porter a vedere / quello che sar dopo di lui
(lirt bemeh eyyihyeh aryw, forse meglio: a godere di quello che sar
dopo di lui) ? (3,22).
A questo punto notiamo la sequenza: convinzione di fede, positiva (3,17);
riflessione del saggio, negativa (3,18-21); conclusione: godere della propria
attivit perch questo dono di Dio (3,22). importante notare che questa
sequenza lato positivo, lato negativo, conclusione con invito a godere si
ritrova, con variazioni, in altri tre passi: 5,7-19, 8,16-9,10 e 11,7-12,7 (su questultimo passo vedi pi avanti, 3). Secondo Qohelet linvito a godere le gioie che Dio nella sua bont concede lunica conseguenza valida da trarre di
fronte alle contraddizioni dellesistenza. Questo pensiero attraversa praticamente tutto il libro e ne determina la struttura letteraria e il senso, come ho
cercato di mostrare nel capitolo gi citato di La casa della Sapienza; si veda
anche la mia recensione a V. DAlario, Il libro di Qohelet nella presente rivista
43 (1993) 551-558.
3. Su alcuni dettagli. Dopo ci che ho detto nel paragrafo precedente, si
comprender che sono piuttosto scettico, per non dire totalmente negativo, circa la legittimit di rendere il termine caratteristico hebel con absurd e di accostare Qohelet a Camus. Pi semplicemente, la realt vana perch, alla
fine, non corrisponde alle attese delluomo; essenzialmente perch nulla, neppure la sapienza, serve ad evitare la morte. Il giudizio di vanit non
ontologico, non cio un giudizio sulla realt in s, che per Qohelet solo Dio
conosce fino in fondo, ma funzionale alle attese e ai valori delluomo. Credo
che Qohelet non si sarebbe mai sognato di affermare che la realt assurda,
per il semplice motivo che essa opera di Dio e perci il suo senso si misura su Dio, sulla sua sapienza, cio sul piano divino della creazione, non sulla
comprensione che luomo riesce ad acquisire tramite lesperienza. Come non
credo proprio che Qohelet avrebbe sottoscritto laffermazione di Fox il quale,
trattando del rapporto atto-conseguenza (il cosiddetto Tat-Ergehen-Zusammenhang) afferma: Natural retribution is a matter of probabilities, not an
invariant process (p. 55). Semplicemente perch un saggio ebraico non parlerebbe mai di una retribuzione naturale. Ci che guida gli eventi non il gioco delle probabilit ma lordine stabilito dal Creatore; un ordine che per non
fisso, automatico, ma viene costantemente controllato da Dio. Ed per questo che il problema delluomo Dio.
Ci significa che le cinque condizioni perch la realt abbia senso che Fox
desume da una serie di passi di Qohelet (p. 139) sono almeno insufficienti, in
quanto tengono conto soltanto del lato negativo dellesperienza, trascurando il
lato positivo della fede e la soluzione proposta dal saggio con linvito a gode-
520
RECENSIONI
re di ci che Dio concede. In fondo quelle cinque condizioni non tengono conto della convinzione fondamentale di Qohelet che misura del mondo non
luomo ma Dio creatore e alla fine rischiano di essere fuorvianti. Devo confessare che mi sono trovato innumerevoli volte di fronte ad affermazioni di questo tipo. Ad esempio, dire che Qohelet condivide con la filosofia greca the
autonomy of the individual reason (p. 81) significa non prendere sul serio le
affermazioni di fede, nonostante la dichiarata intenzione di tener conto di entrambi i poli delle contraddizioni delineate nel libro biblico. Dire che lidea
che la sapienza tradizionale sia a static entity, independent of the human
mind (p. 84) mi pare uninterpretazione caricaturale della personificazione
della Sapienza in Proverbi. Affermare che lo scetticismo di Qohelet is of a
deeper sort, non direct at other peoples knowledge, but at knowledge itself
(p. 85), da un lato contraddice la fede del saggio, dallaltro vanifica il suo sforzo sovrumano di ricercare la sapienza, la quale se rimane lontana (7,23-24),
non perch sia irraggiungibile in s ma perch luomo non potr mai comprendere tutta lopera di Dio. Sembra in effetti che la contrapposizione che Fox
stabilisce tra Qohelet e i saggi tradizionali sia da ripensare radicalmente.
Cos pure saranno da rivedere le differenze che egli rileva tra lautore
Qohelet e gli autori dellepilogue (12,9-12) e del postscript (12,13-14), di
cui parla nellexcursus III, dato che sono argomenti collegati a ci che abbiamo appena detto.
Nellintroduzione al commentario Fox giudica negativamente le varie proposte di struttura di Qohelet, presentate soprattutto a partire dagli anni 60, e
afferma che neppure la pi seguita, quella di A. Wright, basata su criteri
affidabili e alla fine non significativa per linterpretazione. Scrive infatti:
The plan does not match the thought; daltra parte: A text can be coherent
even without a neat design (p. 149). Fox ritiene che la mancanza di un ordine
preciso nello svolgimento sia un fenomeno attestato in vari scritti vicino-orientali antichi; nel caso di Qohelet egli pensa che questa mancanza venga compensata da una forte coerenza interna:
If, however, we look beneath the jagged literary surface we find a strong
conceptual organization. The body of the book, 1:3 to 12:7, argues for a single
proposition: all is absurd. The book opens with this central thesis and proceeds
to establish it by reporting on Qohelets quest for knowledge, which led to and
validated this thesis (p. 150).
Osserverei, da un lato, che se davvero la tesi centrale del libro che tutto
assurdo, non si vede come sia possibile estrarre da esso un qualche valore
positivo in un modo razionale e coerente. In effetti ho gi segnalato che Fox
passa in modo brusco da affermazioni di assurdit ad affermazioni di significato di cui non sono riuscito a vedere la coerenza. Daltro lato, le contraddizioni che leggiamo in Qohelet, positiva e negativa, non sono semplicemente
giustapposte; il saggio insegna infatti che, per quanto rimanga la limitatezza
FOX M. V.
521
della comprensione umana (e non potrebbe essere diversamente), si pu convivere con esse se si accetta il principio di godere del proprio lavoro quando
Dio lo concede e di riflettere quando Dio manda linsuccesso e la prova. Questo significa, in ultima analisi, il principio che per ogni cosa c un tempo
(3,1).
Il principio del tempo giusto attraversa lintero libro di Qohelet e ne illumina la struttura letteraria. Detto in breve, il libro comprende due parti parallele: 1,12-7,24 e 7,25-12,7, precedute dal titolo (1,1) e da una cornice: 1,2-11 /
/ 12,8-14. Le due parti comprendono ciascuna sette suddivisioni: la prima,
1,12-2,26; 3,1-22; 4,1-16; 4,17-5,11; 5,12-19; 6,1-9; 6,10-7,24; la seconda,
7,25-8,1; 8,2-8; 8,9-15; 8,16-10,7; 10,8-19; 10,20-11,6; 11,7-12,7. Si pu, cio,
determinare una struttura o composizione letteraria abbastanza precisa sulla
base del principio del tempo giusto e con laiuto di mezzi stilistici, formule
introduttive, parallelismi, ecc. Fox invece afferma:
But expectations of a structured discourse are mostly frustrated by the rather haphazard arrangement in other parts of the book. This lack of sequential organization is not a riddle but a characteristic of style, and it need not be repaired by
scholarly ingenuity (p. 152).
522
RECENSIONI
FOX M. V.
523
Direi piuttosto che lanalisi di Fox goes off track dato che 6,6 pu essere tradotto senza problema: And if he has lived twice a thousand years long,
and not seen goodDo not all go hence to one place? (Delitzsch). Quanto al
senso, 6,6 fa parte di un brano che presenta tre casi analoghi, ognuno con un
elemento positivo e uno negativo, mentre la conclusione sempre negativa: se
uno ha molti beni ma Dio non gli concede di goderne, questo vanit (6,2); se
uno ha cento figli e vive molto a lungo ma non si sazia di gioia, meglio di lui
un aborto (6,3-5); se uno vive duemila anni ma non vede la gioia, andr allo
stesso luogo come tutti (6,6).
Dopo aver rinunciato per quasi tutto il libro a cercare unorganizzazione
letteraria nel testo, Fox si concede uneccezione verso la fine. Scrive infatti:
11:7-12:8 is a single unit, organized as a series of imperatives advising
enjoyment of life when one is young (p. 316). Riguardo al v. 8 scrive, prima in
forma possibilista: Qoh 12:8 is a linchpin between the body of the work and the
epilogue and could be attached to either unit (ibid.); ma poi in modo deciso:
In the most memorable inclusio in the Bible, the book of Qohelet returns to its
opening declaration. This verse and 1:2 bracket the book, and the external
(authorial) perspective reappears. But the reader does not stop suddenly at 12:7.
Qoh 12:8 is both the climax of this poem [i.e. 12,1-7] and an encapsulation of
the book (p. 332). Per Fox dunque 12,8 include lintero libro ripetendo 1,2.
Ora questo dovrebbe comportare il fatto che il corpo del libro compreso tra 1,2
e 12,7 sia ununit letteraria che qui si conclude, cosa che per non appare dal
commentario di Fox. Diversamente, 12,8 sarebbe non uninclusione ma una ripresa letteraria di 1,2; cos infatti nella struttura che ho proposto sopra, in cui
il corpo del libro si compone di due parti parallele comprese entro una cornice
con due suddivisioni a loro volta parallele tra loro: 1,2-11 e 12,8-14.
Per Fox 11,7-12,8 comprende tre unit cos caratterizzate: A. 11:7-10. The
light: carpe diem B. 12,1-7. The darkness: memento mori C. 12:8. All is
absurd (pp. 315-316). Ora per 11,9-10 difficilmente pu essere separato da
12,1. Si notano infatti varie somiglianze:
- la serie di imperativi rivolti albr giovane in 11,9-10 ema
e
w hallk wed wehsr wehabr sii allegro e cammina ma
sappi e togli e allontana continua in 12,1: zekr ma ricorda;
- lespressionebm bertek nei giorni della tua giovinezza di 11,9 si
ripete, con semplici varianti grafiche, in 12, 1: bm berteyk;
- lespressionek hayyaldt wehaart hbel perch ladolescenza e i
capelli neri sono vanit di 11,10 viene in qualche modo specificata dal cosiddetto poema (12,1-7).
In effetti 12,1-7 presenta la medesima dinamica di 11,9-10. La medesima
dinamica compare anche in 11,7-8, con la differenza che questultimo passo
in terza persona, rivolto alluomo in generale, mentre 11,9-10 indirizzato
al giovane in forma diretta. Ecco come possiamo indicare le somiglianze allinterno del brano:
524
RECENSIONI
12,1
FOX M. V.
525
526
RECENSIONI
But in the Bible, God is called shepherd in his capacity as keeper and protector,
which is not relevant here, and the epithet shepherd is never used by itself to
refer to God Nor are the words of the wise ever said to be given by God.
Wisdom as a personified entity and as a personal intellectual and moral power is
given by God, and perhaps the essential, abstract message of Wisdom is also a
divine gift. But the specific teachings of the sages do not come from him directly
(p. 355).
NAY R.
JAHWE IM DIALOG
527
Frutto di una tesi dottorale difesa presso il PIB di Roma nel 1997 sotto la direzione di H. Simian-Yofre, il volume presenta una ricerca estremamente dettagliata su una pericope del libro di Ezechiele, 14,1-11, in modo particolare dal
punto di vista del processo di comunicazione o dialogo. Lo scopo della ricerca
sia teorico che pratico, ma lesposizione soprattutto pratica, preferendo
mostrare la teoria applicata concretamente al testo.
Il cap. I presenta in breve i fondamenti teorici dellanalisi dialogica e, pi
ampiamente, lo stato della ricerca su Ez 14,1-11; il cap. II dedicato ai problemi riguardanti lunit della pericope, la critica textus, la grammatica e la
sintassi; il cap. III si propone di determinare la situazione del discorso di 14,111 in rapporto a due pericopi particolarmente simili, i cc. 811 e 20; infine il
cap. IV, il pi lungo (oltre 150 pp.), espone lanalisi dialogica vera e propria. I
passi principali dellesposizione, molto articolata nelle sue varie suddivisioni,
sono accompagnati da una serie di sintesi parziali (Zwischenergebnis e
Ergebnis; il cap. III ha anche un Ergebnis finale, detto Ergebnisse nel
testo, p. 180) che aiutano a seguire liter lungo e impegnativo. La sintesi finale, anchessa abbastanza ampia, riprende, talvolta alla lettera, le sintesi parziali e si conclude con una prospettiva (Ausblick) che enumera tre problemi che
richiedono un ulteriore approfondimento: la localizzazione del profeta durante
loracolo 14,1-11 (lautore sembra non essere del tutto sicuro della posizione
adottata nel corso della ricerca); il rapporto di questa pericope con il resto del
capitolo, 14,12-23; i criteri di composizione del libro di Ezechiele al di l delle tre unit dialogiche esaminate (14,1-11 e i cc. 811 e 20).
In sintesi Nay ritiene che 14,1-11 sia il resoconto in prima persona di una
parola di Dio che incarica il profeta di comunicare un messaggio a un gruppo
di Anziani di Israele. Bench tutto loracolo sia rivolto al profeta, si distinguono tre parti oltre lintroduzione narrativa (vv. 1-2): un discorso agli Anziani (vv. 6b-8) collocato tra due istruzioni al veggente che non devono essere
comunicate agli Anziani (vv. 3-6a e 9-11). Largomento chiaramente il culto
degli idoli, ma si discute se gli Anziani siano rappresentanti degli esuli a Babilonia o degli abitanti rimasti in Giuda dopo la deportazione del 597. Il contesto dei cc. 811 e 20 dimostra per Nay la seconda ipotesi: gli Anziani sono
rappresentanti di Giuda venuti temporaneamente a Babilonia dove risiedeva il
profeta. I cc. 811 descrivono le pratiche idolatriche in Gerusalemme e annunciano la totale distruzione; 14,1-11 conferma questo annuncio ma lo mitiga con un invito alla conversione (v. 6); infine il c. 20, constatata la
persistenza del culto idolatrico, annuncia la punizione di Dio che consister
nel far uscire gli esuli dallidolatria verso un luogo di purificazione, dopo di
che avverr il raduno dei dispersi e il ristabilimento del culto del Signore sul
santo Monte.
1) Pragmalinguistica. La ricerca di Nay si basa su alcuni risultati della
pragmalinguistica (vengono citati in particolare U. Eco e J.-M. Adam) e della
teoria del testo (introdotta nellesegesi tedesca da H. Schweizer, afferma la nota
528
RECENSIONI
10, p. 7). Concetti base della pragmalinguistica sono lingua, testo e dialogo, questultimo comprendente i primi due:
Pragmalinguistisch wird Sprache als besondere Form des sozialen Handels und
als Interaktion zwischen Dialogpartnern in konkreten Gesprchssituationen verstanden. Diesem Sprachbegriff (Sprache als Handlung) steht die systemorientierte
Sprachauffassung gegenber, welche die Sprache als semiotisches System kommunikativer Zeichen begreift. () Mit P. Schmidt verstehen wir Text pragmalinguistisch als Realisat eines kommunikativen Prozesses zwischen dem Texthersteller und dem Textrezipient. Der Text ist das Produkt und Zeugnis eines Dialoges
zwischen Gesprchspartnern. Um einen Text zu begreifen, ist das Gesagte in der
Gesprchskonstellation zu erfassen. Diese bildet den Kontext der Auslegung. Das
Gesprch ist dann begriffen, wenn man die mitgeteilte Kommunikation qua Kommunikation versteht, also den Text unter Bercksichtigung von Funktion, Status
und Wirkabsicht der Gesprchspartner interpretiert. Der Textsinn ist folglich das
Resultat des Zusammenspiels vieler kommunikativer Faktoren (pp. 8-9).
La sintesi finale ha un paragrafo sulle conseguenze della ricerca in rapporto alla critica letteraria, per si limita a notare, in termini generali, che
Viele literarkritische Anstze leiden an einem textlinguistischen Manko. ()
Die Dialoganalyse leistet einen Beitrag zur Kriterienbildung und dient dazu,
den literarkritischen Wildwuchs einzudmmen, indem sie ein Kontrollinstrument bereitstellt, um literarkritische Rekonstruktionen an Hand textlinguistischer Kriterien auf dem Textebene zu verifizieren (pp. 341-342). Non ho
trovato invece una risposta diretta al problema se in Ez 14,1-11 siano riscontrabili glosse, ma dallinsieme suppongo che la risposta dellautore sarebbe
negativa.
Un altro principio di analisi che ritengo positivo considerare il testo come
ununit, contro il frazionamento nei singoli elementi: Erst das Ganze macht
Sinn, und die Einzelteile sind nur im seinem Licht verstehbar (p. 13). Cos
pure positivo affermare la priorit della realt nel testo (Wirklichkeit im
Text) sulla realt in s (Wirklichkeit in sich), o verit storica, che interessa per lo pi gli interpreti:
NAY R.
JAHWE IM DIALOG
529
Die Wirklichkeit in sich kann also nicht an der Wirklichkeit im Text vorbei
erforscht werden. Die Textfiktion ist die sprachliche Nachahmung der Wirklichkeit
und oft deren einziger Zeuge. De (sic) Nachahmung ist dem Original zwar
unterlegen, sie stellt aber zugleich eine Neuschpfung dar. Will man zu einem
historischen Urteil ber die dem Abbild zugrundeliegende reale Wirklichkeit
gelangen, kommt man an der Beobachtung der Textfiktion nicht vorbei (pp.
14-15).
Se comprendo bene, lautore non intende negare lindagine storica dei fatti in s, dato che egli stesso in qualche modo la pratica; intende piuttosto affermare la priorit della verit del testo sulla verit storica. questo un punto
importante per una corretta valutazione dei testi. Infatti, come ho cercato di
mostrare varie volte, attraverso mezzi linguistici appropriati lautore fornisce
la sua personale presentazione della realt, che pu coincidere con lordine dei
fatti accaduti ma pu anche divergere. In altre parole lautore pu decidere di
modificare la realt in vario modo (nellordine dello svolgimento, mediante
sottolineature proprie, dettagli detti o taciuti, ecc.) per un suo scopo. Se le informazioni del testo sono controllabili sulla base di fonti esterne, si potr apprezzare al meglio luso che lautore fa della realt (senza comunque dimenticare che anche le fonti esterne sono, o almeno possono essere, ideologiche
come spesso si afferma di quelle bibliche!) e si potr quindi delineare la sua
strategia di comunicazione e il suo scopo. Un errore purtroppo frequente
valutare il testo sulla base della vera o presunta realt dei fatti senza tener conto della sua propria verit.
Pi avanti Nay ritorna sul problema del rapporto tra realt del testo
(Skriptum) e realt storica (Faktum) affermando che, soprattutto quando il
testo lunico testimone di un fatto, tanto pi si comprender il primo, quanto
pi si comprender il secondo. In questo contesto afferma anche che lapproccio
pragmalinguistico da lui adottato intende preparare la via alla ricerca storica:
Der pragmalinguistische Ansatz zielt darum auf die direkt zugngliche, textlichfiktive Wirklichkeitsebene. Von ihr ausgehend sucht historisches Arbeiten zur hinter dem Text stehenden geschichtlichen Wirklichkeit vorzudringen. Die pragmatische Methode legt also die im Text enthaltene fiktive Wirklichkeit zutage und ist
dem Text und seiner Geschichte verpflichtet (p. 22).
530
RECENSIONI
certi aspetti, egli lo accusa di considerare il testo wie ein geordnetes und
statisches Kunstwerk (p. 26), perch si disinteressa della dimensione temporale e dialogica del testo stesso. Mentre questi rilievi mi sembrano pertinenti,
non comprendo invece il senso della seguente affermazione:
Der Text wird als Zeugnis einer Handlung, genauer, der Sprachhandlung, verstanden. () Es wird also nicht der abendlndische Kunstgeschmack, sondern die zeitgenssische Kommunikationserfahrung auf Dialoge vergangener Tage bertragen.
Diese Transposition ist gerechtfertigt, weil die meisten biblischen Texten dem heutigen Leser nicht wie Funksprche aus dem All vorkommen, sondern im groen
und ganzen verstndlich sind. Daraus folgt, da die Bibeltexte eine Kommunikation voraussetzen, die sich nach Regeln vollzieht, die auch die Kommunikation in
unserem Alltag lenken (p. 27).
Da un lato non capisco bene perch non si debba tener conto del gusto artistico orientale; dallaltro non sono sicuro che sia davvero giustificato applicare lattuale esperienza del dialogo a dei testi antichi per il semplice motivo
che essi sono nel complesso comprensibili al lettore moderno. Non trovando
risposta a questi dubbi (la nota 80 a p. 27 non mi aiuta), mi resta limpressione
che sia presente, qui e forse altrove, una diffidenza un po esagerata verso le
conoscenze extra bibliche, che sono al contrario molto utili per linterpretazione della Bibbia purch siano utilizzate in modo appropriato.
Nella parte dedicata alla storia della ricerca su Ez 14,1-11 vengono passati
in rassegna ben 27 commentatori, da Origene a L.C. Allen (1994), allo scopo
di controllare se siano sensibili verso lanalisi dialogica e se offrano degli spunti validi per la ricerca successiva dellautore. Da questo excursus storico prende lavvio il cap. II, ma non capisco bene in che modo lexcursus stesso si
colleghi al prosieguo della ricerca, anche perch manca una sua valutazione
alla fine del lavoro.
2) Sintassi. Studiando i limiti della pericope, Nay decide di separare i vv.
1-11 dal resto del capitolo 14 a motivo della presenza nel v. 12 di unintroduzione, frequente in Ezechiele, detta Wortereignisformel: Poi venne a me la
parola del Signore dicendo. Lascia per aperto il problema del rapporto tra le
due pericopi a motivo di alcuni punti oscuri che restano. Presenta poi il testo
ebraico di 14,1-11, con traduzione a fronte (pp. 105-106), suddiviso in unit
enunciative (uerungseinheiten) numerate con lettere minuscole progressive (a, b, c, ecc.) seguendo la Biblia Hebraica transcripta (BHt) edita da W.
Richter (1993), vol. 9.
Anche se non lo dice, nei confronti della BHt Nay si concede per qualche
libert su cui vale la pena fermarsi in quanto chiamata in causa lanalisi
sintattica. La divisione della BHt intende indicare i limiti delle proposizioni che
compongono il testo. Nay la segue anche nellanalisi di rOmaEl dicendo, il
sintagma che introduce il discorso diretto (v. 2b), che viene messo in una riga
a s per quanto non costituisca una proposizione da solo, essendo nientaltro
che un complemento composto della preposizione lamed e di un infinito con
NAY R.
531
JAHWE IM DIALOG
funzione di nome (vedi nota 7, p. 105, a proposito del v. 2b); e lo stesso fa nel
v. 7g con yIb wl_vrdIl. Non segue invece la BHt nel modo di numerare le varie
unit enunciative, ad esempio nel v. 3, in cui la BHt separa il vocativo MdDa_NR;b
dal resto della frase, ma numera lespressione seguente ancora con la lettera a,
mostrando di non considerare il vocativo come una proposizione a s; Nay invece usa una lettera differente per il resto della frase, il che giusto poich il
vocativo analizzabile come una proposizione ellittica.
Altre differenze si notano nel trattamento del casus pendens nei vv. 4, 7 e
9. Riporto qui sotto la divisione del v. 4, con la numerazione della BHt paragonata con quella di Nay:
BHt:
BHt:
BHt:
BHt:
BHt:
dP
dPR1
dPR2
dPR3
d
Nay:
Nay:
Nay:
Nay:
Nay:
d
e
f
g
h
Le sigle della BHt indicano che la frase d casus pendens (P) e che le seguenti sono tre proposizioni relative (R1-3) collegate al casus pendens d, detto
Matrixsatz. Ora, da un lato non si capisce come la proposizione dPR3 possa dirsi relativa; infatti mentre rRvSa pu essere ellittico in dPR2, non lo pu
certo essere in dPR3 che inizia con weqatal; di questultima proposizione si
potr dire che continua una relativa, o che si traduce con una relativa, non certo che sia relativa dal punto di vista grammaticale. Nay, da parte sua, non rispetta la divisione gerarchica della BHt e adotta una numerazione progressiva.
Devo dire che questo riflette lanalisi corretta, dato che il casus pendens forma
una proposizione a s stante che equivale a una proposizione circostanziale, o
protasi, posta prima della proposizione principale, o apodosi. Nella divisione
della BHt, invece, anche lultima proposizione riportata sopra, che appunto
lapodosi, riceve la sigla d, il che significa che forma una sola proposizione
con il casus pendens. Il motivo che gli editori hanno adottato la posizione di
W. Gro circa lanalisi della cosiddetta Pendenskonstruktion (si veda la mia
discussione in The Syntax of the Verb in Classical Hebrew Prose, 204-205,
nota 81). Secondo Gro, la proposizione che ho chiamato apodosi collegata
al casus pendens, viene detta perci zugehriger Satz e forma con esso
ununica matrice (Matrixsatz).
Il caso del v. 7 analogo. Per la BHt tutto il versetto costituisce ununica
proposizione matrice, con un casus pendens (lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa) seguito
da ben cinque proposizioni relative, mentre quella che in realt lapodosi viene scomposta in un secondo pendens (aP2, hwhy ynSa) e in un altro elemento
con participio (a, yI;b w;l_hnSon). Ora, da un lato, delle proposizioni relative
solo la prima autentica, essendo introdotta da rRvSa (aPR1), mentre le altre
comprendono due weyiqtol (aPR2-3) e un weqatal (aPR5), che certo non
532
RECENSIONI
v. 9
ayIbnAhw
hR;tUpy_yIk
rDb;d rR;bdw
awhAh ayIbnAh tEa yItyE;tIp hwhy ynSa
v. 7
NAY R.
JAHWE IM DIALOG
533
534
RECENSIONI
scopo Nay ricorre al confronto con la LXX e con la Vulgata sulla scia di B.
Zuber e di W. Gro. Si osserva per che per quanto la LXX e la Vulgata traducano yItynSon con il futuro (rispettivamente apokriqh/somai e respondebo), Nay
ritiene che vada tradotto con il passato come il parallelo yItyE;tIp, anchesso un
qatal inatteso nellapodosi (v. 9d), mentre entrambe le versioni antiche traducono yItyE;tIp con il passato (peplanhka e decepi). Nay ne trae una conclusione
che risulta importante per la sua ricerca: dunque Dio ha gi dato una risposta
nel quadro di un atto linguistico (Sprachhandlung) del contesto passato. E
anticipando il risultato della sua analisi ulteriore, afferma che Dio ha gi risposto a quegli Anziani idolatri durante la visione nel Tempio (Ez 811), cio
nel corso di unaltra pericope in cui il culto idolatrico svolge un ruolo importante cos come in una terza pericope riguardante anchessa gli Anziani e il profeta (Ez 20). Pi avanti precisa che la risposta consiste nella morte di uno degli
Anziani idolatri di Giuda venuti presso il profeta, di nome Pelatia (11,13), una
morte che unammonizione per quelli che si comportano allo stesso modo
(pp. 216-217).
Un altro problema sintattico trattato con attenzione il valore dei tempi
dei vv. 4 e 7, che per Nay appartengono al genere del detto giuridico
(Rechtswort). Egli afferma che le forme yiqtol e weqatal del v. 4, in conformit allo stile legale casuistico, indicano una situazione generale non legata a
un tempo preciso e perci, sullautorit di W. Gro (p. 118, nota 76), le traduce con il presente. Nota poi che si produce un passaggio brusco dalla situazione generale (protasi, v. 4d-g) a un caso particolare collocato nel passato
(apodosi con x-qatal, v. 4h). In linea generale direi che emerge, qui come altrove, una certa tensione tra il valore usuale delle forme verbali, che Nay valuta seguendo fondamentalmente la mia Sintassi del verbo, e le difficolt
concrete dei passi in esame, per risolvere le quali egli adotta di volta in volta
approcci sintattici diversi e non sempre conciliabili tra loro.
Come nel v. 4, Nay afferma il valore atemporale dello yiqtol del v. 7b e
anche dei due weyiqtol di 7c-d, i quali sarebbero degli yiqtol con waw congiuntivo, non consecutivo, e avrebbero la funzione di protasi. Ora per, da un
lato, non capisco come sia possibile che siano iussivi i due weyiqtol di 7c-d
ma non lo yiqtol di 7b, se vero che i primi sono collegati al secondo con un
waw congiuntivo e sono quindi coordinati; daltro lato, la costruzione del v. 7
analoga a quella del v. 4: sostantivo (7a), seguito da una frase con rRvSa +
yiqtol che lo qualifica (7b) e da altre frasi collegate con weyiqtol (7c-d) e xyiqtol (7e). Ne segue che la protasi costituita dal sostantivo iniziale insieme
alle qualificazioni che laccompagnano, cio da 7a-e, non da 7c-e soltanto. Alla
protasi 7a-e segue in 7f una seconda protasi con weqatal come in 4g. Ecco in
concreto lanalisi che propongo per il v. 7:
(1a protasi)
NAY R.
(2a protasi)
(apodosi)
JAHWE IM DIALOG
535
Riguardo al participio hnSon nellapodosi (7h), Nay afferma che esprime anchesso una situazione generale nel presente, il che giusto. Tuttavia non vedo
perch le forme verbali x-yiqtol e weqatal usate nella protasi del v. 7 (e anche
9) non possano avere il valore usuale di futuro pur delineando evidentemente
delle situazioni generali; in questo caso il participio hnSon indicherebbe contemporaneit nel contesto futuro. In effetti secondo luso normale il participio
esprime contemporaneit alla forma verbale dominante, se non esso stesso la
forma dominante, nel qual caso esprime il tempo presente.
3) Analisi dialogica. Nel cap. III, dedicato alla situazione del discorso
(Redesituation), lautore cerca di chiarire i presupposti necessari per interpretare lenunciato di Ez 14,1-11 alla luce delle altre due pericopi che appartengono alla medesima costellazione discorsiva (Gesprchskonstellation),
cio Ez 811 e 20. Egli interessato a controllare in particolare se gli Anziani
di cui si parla siano davvero rappresentanti degli esuli in Babilonia, come si
pensa generalmente, o non siano invece rappresentanti degli abitanti di Giuda
rimasti nel paese (detti Restjuda). Accanto a 14,1-11, Ez 811 e 20 sono i
passi in cui il profeta riceve da Dio un messaggio per gli Anziani, e per questo
Nay li chiama pericopi degli Anziani (ltestenperikopen).
Applicando il metodo dialogico a queste pericopi, Nay distingue tre livelli
di comunicazione: verso lesterno, tra narratore e ascoltatore/lettore, aspetto
che per egli non tratta; tra Dio e il profeta, per la parte del messaggio riservato al secondo; tra il profeta e gli Anziani, per la parte del messaggio destinato
a questi ultimi. Latto linguistico mostra per Nay un carattere progressivo:
prima lindirizzato il profeta, detto figlio delluomo, poi gli Anziani e infine il circolo generale dei lettori, attraverso una riscrittura progressiva del
testo, detta Fortschreibung da W. Zimmerli: eine Fortschreibung osserva
Nay kommunikativer Natur (), durch die der ursprngliche Dialog auf
neue Adressaten ausgeweitet wird (p. 129). Il che per, non avendo seguito
nel resto della ricerca, pu apparire come unapertura piuttosto estemporanea
verso lanalisi diacronica del libro di Ezechiele.
Nel riassunto finale Nay accenna alle conseguenze dellanalisi dialogica
per la critica della forma e anche per lintenzione del testo/dellautore. Riguardo a questultimo punto egli afferma che nei testi dialogici inesatto parlare
di intenzione del testo o dellautore; bisogna parlare piuttosto di intenzione di
chi guida il dialogo, cio di Dio stesso in Ez 14,1-11; meglio ancora, di intenzioni al plurale, di Dio e dei suoi partner il profeta e gli Anziani, che
interagiscono tra loro. Lautore conclude:
536
RECENSIONI
NAY R.
JAHWE IM DIALOG
537
Riguardo poi alla posizione religiosa degli Anziani, Nay ritiene che essi
oscillino tra Dio e gli idoli, come si vede sia in 8,12 che in 14,1. Secondo la
sua ricostruzione i nuovi capi di Giuda temevano, da un lato un attacco dei
babilonesi, dallaltro il ritorno degli esuli e speravano nel mantenimento dello
status quo. Ma se questo vero, viene da domandarsi come mai gli Anziani di
Giuda si rechino dal profeta a Babilonia, con il rischio di essere accusati di
tramare contro il potere, e come si pu sottoscrivere linterpretazione di Nay
che lappello di Dio alla conversione in 14,6 sia rivolto agli Anziani mentre
secondo il dettato del testo esso rivolto alla Casa di Israele. Appare problematico anche il modo di intendere il peccato del profeta, a cui secondo
14,10 viene rivolta la stessa minaccia dellinterrogante idolatra. Per Nay il peccato consiste nel comunicare agli Anziani il messaggio di salvezza di 14,11,
che doveva rimanere riservato agli esuli. Ora, che ci siano delle tensioni in
questa soluzione mi sembra piuttosto chiaro, anche perch non vedo come possano essere separati invito alla conversione e promessa di salvezza, che di solito vanno insieme. Se gli Anziani sono i destinatari del primo (v. 6), non vedo
come non lo siano anche della seconda (v. 11).
La divisione di Ez 14,1-11 in quattro unit: introduzione narrativa (vv. 1a2b), prima istruzione al profeta (vv. 3a-6a), discorso agli Anziani (vv. 6b-8e) e
seconda istruzione al profeta (vv. 9a-11e), appare problematica per almeno due
motivi. Da un lato, non corrisponde bene alla lettera del testo; infatti quella
che viene indicata come prima istruzione al profeta contiene lordine di parlare agli Anziani (v. 4a), mentre quello che viene detto discorso agli Anziani in
realt rivolto alla Casa di Israele (v. 6a); inoltre la cosiddetta seconda istruzione al profeta letterariamente continuazione dellunit precedente rivolta alla
Casa di Israele e tratta di un profeta che non di per s Ezechiele ma uno qualsiasi a cui si rivolga lisraelita o limmigrato secondo il caso delineato nei vv.
7-8. Daltro lato, la divisione proposta spezza la sequenza di due frasi, perci
di alla Casa di Israele (v. 6a) e cos ha parlato il Signore Dio (v. 6b), che
di solito si trovano insieme nella medesima unit testuale, come ad esempio
nel v. 4.
Nay considera giustificata la sua divisione di 14,1-11 e lidentificazione del
pubblico degli indirizzati (das Zielpublikum) in base alla sua analisi
dialogica, secondo la quale gli Anziani sono inviati dei residenti di Giuda e
anche rappresentanti della Casa di Israele (v. 6a), per cui ci che viene detto
a questa detto a loro. Afferma inoltre che i vv. 4c-8e non formano una unit
dal punto di vista dialogico, ma francamente la forza del suo argomento mi
sfugge (p. 132).
Seguendo invece il dettato del testo si pu fare di 14,1-11 una lettura abbastanza differente, che mi convince di pi. Il profeta riceve lordine di parlare prima agli Anziani, ai quali deve comunicare un messaggio che riguarda
la Casa di Israele (vv. 4-5), evidentemente a significare che ci che viene
detto per tutti gli israeliti vale anche per loro. Poi riceve lordine di rivolgere
538
RECENSIONI
alla Casa di Israele linvito alla conversione (v. 6), motivato dalla minaccia
che chiunque, israelita o immigrato, non intenda convertirsi e ugualmente
vada dal profeta per conoscere la parola del Signore, il Signore stesso lo
annienter, e cos conclude loracolo conoscerete che io sono il Signore (vv. 7-8). Si nota in questultima frase lappello diretto, in seconda persona plurale, riferito con tutta probabilit alla Casa di Israele a cui il messaggio
destinato. Linvito alla conversione del v. 6 riceve poi una seconda motivazione, coordinata e parallela a quella dei vv. 7-8, che riguarda il profeta a cui
eventualmente si rechino lisraelita o limmigrato di cui sopra. Il profeta che
pretenda dir loro una parola da parte di Dio, mentre questi vuole negarla e
vuole invece rispondere a suo modo (v. 7h), quel profeta avr la medesima
sorte dellinterrogante idolatra, affinch conclude loracolo la Casa di
Israele non devii pi da dietro a me, e cos non saranno pi contaminati a
causa dei loro delitti, ma saranno per me un popolo e io sar per loro Dio
(v. 11), il che una conclusione parallela a e cos conoscerete che io sono
il Signore (v. 8d-e).
Direi perci che la parola che il Signore indirizza al profeta riguarda anzitutto gli Anziani che sono venuti a consultare loracolo, ma ha come scopo
ultimo la Casa di Israele, a cui destinato linvito alla conversione e la promessa della nuova alleanza.
4) Interpretazione. Devo confessare che la lettura del lunghissimo cap. IV
dedicato allanalisi dialogica stata particolarmente dura e impegnativa, anche perch, da un lato lanalisi estremamente dettagliata, dallaltro il percorso di ricerca adottato rende inevitabili ripetizioni e ritorni allindietro, con
buona pace dellautore il quale afferma che mentre il cap. III ha studiato le
premesse del discorso, il cap. IV dedicato allo sviluppo del discorso stesso.
A questo proposito egli parla di aspetto diacronico del dialogo, cosa che per
resta allinterno del testo e non da confondere con la ricostruzione della situazione storica, come precisa la nota 1 (p. 185):
Synchronie und Diachronie sind eng verbunden. Die hier vorgenommene Unterscheidung rechtfertigt sich nur aus praktischen Grnden. Man beachte, da Diachronie den Ablauf der Sprachhandlung bezeichnet, der vom historischen
Sachverhalt oder von der Textentstehung zu unterscheiden ist.
NAY R.
JAHWE IM DIALOG
539
gione di affermare: Wie dem auch sei, Ez 14,1-11 ist ein besprechender Text,
der nach den von Niccacci fr solche Texte angegebenen Kriterien beurteilt
werden kann (p. 187). In effetti negli ultimi anni ho cambiato idea: fondamentalmente la poesia analizzabile secondo i criteri del discorso diretto.
Lanalisi dialogica riesamina le suddivisioni di Ez 14,1-11 stabilite nel cap.
III. Come novit segnalo una lunga ricerca sul v. 9d (ayIbnAh tEa yItyE;tIp hwhy ynSa
awhAh). Nay insiste che non sia lapodosi ma la continuazione del casus
pendens, e questo per due motivi: primo perch non presenta una copia
pronominale del casus pendens ma la ripetizione di esso (awhAh ayIbnAh tEa); secondo perch il costrutto x-qatal fuori luogo nellapodosi (pp. 192-193). Ora
per, primo non capisco perch la copia pronominale sia segnale di casus
pendens mentre non lo sia la ripetizione del nome stesso, che di per s un
segnale ancora pi esplicito di ripresa; secondo, gi a proposito di yItynSon (v.
4h) lautore ha espresso riserve circa la legittimit di un qatal nellapodosi di
un detto giuridico (pp. 115-120), ma in quel caso lha accettato perch secondo lui il verbo richiama una risposta/punizione di Dio avvenuta nel passato. Qui invece ritiene che il qatal sia fuori luogo e intende la proposizione 9d
come specificazione del casus pendens 9a parallela allaltra specificazione 9b:
(9a) Und der Prophet, (9b) wenn er in Ekstase versetzt wird (9c) und ein
Gotteswort spricht, (9d) wobei ich, Jahwe, diesen Propheten in Ekstase versetzt
habe, (9e) dann strecke ich meine Hand ber ihn aus (p. 106; traduzione
un po diversa a p. 312).
Ora per non pu non colpire la somiglianza delle sequenze nei vv. 4, 7
e 9:
- v. 4
(d) () lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa
(g) ayIbnAh_lRa aDbw
(h) wyDlw;lg bOrV;b ;hDb wl yItynSon hwhy ynSa
- v. 7
(a) () rgAhEmw lEarVcy tyE;bIm vyIa vyIa yI;k
(f-g) yIb wl_vrdIl ayIbnAh_lRa aDbw
(h) yI;b w;l_hnSon hwhy ynSa
- v. 9
(a) () ayIbnAhw
(c) rDb;d rR;bdw
(d) awhAh ayIbnAh tEa yItyE;tIp hwhy ynSa
I tre versetti sono costruiti secondo uno schema sintattico comune che
comprende tre elementi: casus pendens, specificato in vario modo (4d, 7a e
9a), weqatal di protasi (4g, 7f-g e 9c), hwhy ynSa seguito da una forma verbale
(qatal in 4h e 9d, participio in 7h) nellapodosi. Sarebbe strano, e quindi da
dimostrare, che 9d richiedesse unanalisi diversa. Per me lanalisi inequivocabile: E il profeta, quando si lascer ingannare, se dir una parola, io stesso,
il Signore, ho ingannato quel profeta. Perci stender la mia mano su di lui.
Il qatal ha motivo di essere in quanto linganno da parte di Dio precede la risposta del profeta e perci si traduce con il passato o, se si preferisce, con il
540
RECENSIONI
MANDIROLA R.
541
Ezechiele continui la linea dei profeti pi antichi, secondo i quali i responsabili della distruzione sono le guide della nazione (capi politici, sacerdoti, profeti e giudici, cf. Mic 3), mentre il popolo oppresso, chiamato il mio
popolo, merita comprensione; esso anzi, una volta purificato dalla prova,
sar il resto da cui si former il nuovo popolo di Dio (cf. il mio saggio sul
cap. 2 di Michea: Un profeta tra oppressori e oppressi, 130-132).
Ho cercato di dare un resoconto per quanto possibile corretto di questa ricerca seria e dettagliata come poche ma, per quanto vi abbia dedicato molto
tempo, possibile che mi siano sfuggiti alcuni argomenti e che quindi talvolta
il mio resoconto sia inadeguato. In vari punti ho offerto anche delle idee personali per proporre soluzioni che ritengo pi soddisfacenti. Ma chiunque si
metta a studiare Ezechiele si accorger quanto sia un profeta sottile e sfuggente, forse per questo anche cos affascinante. Molte cose restano oscure, o almeno aperte a soluzioni diverse. Mi auguro comunque che la prospettiva
dialogica illustrata da Nay possa costituire un punto di riferimento per gli
esegeti moderni in cerca di strade percorribili che permettano di uscire dalla
confusione e da un certo impasse.
Alviero Niccacci, ofm
Mandirola Renzo, Giona. Un Dio senza confini (Lettura pastorale della Bibbia 6), Edizioni Dehoniane, Bologna 1999, 205 pp., L. 24.000.
Il libro si presenta come una lettura spirituale del libro di Giona. Dopo un
capitolo introduttivo in cui vengono presentati vari argomenti utili per comprenderlo nel suo aspetto letterario e teologico, spiegato il testo biblico, suddiviso per brani, ma seguendo una lettura continua di tutto il libro (1,1-2; 1,3;
1,4-7; 1,8-16; 2,1-11; 3,1-3a; 3,3b-4; 3,5-10; 4,1-3; 4,4-11).
LA., per vari anni missionario in Africa, si pone da un punto di vista particolare, la missione, alla luce della quale cerca di interpretare tutta la vicenda
del profeta, nel suo rapporto con Dio e con i destinatari dellannuncio. Ciascun capitolo presentato ricorrendo al metodo della lectio divina: preghiera
iniziale, testo biblico, lectio, meditatio, oratio, preghiera finale e riflessioni. In
tal modo viene facilitata lassimilazione dei contenuti e, come mostrano le riflessioni al termine di ogni capitolo, il dovuto aggancio con la vita; passaggio,
questultimo, che caratterizza il metodo proposto.
Nella parte dedicata alla lectio si nota lo sforzo di recuperare quanto utile per la comprensione del testo anche nel suo aspetto letterario. Qualche volta
sono sollevate perfino domande di interpretazione e vengono richiamate nozioni di natura lessicale, in modo comprensivo e semplice, e allinterno della
finalit che il libro si prefigge, quella di essere uno strumento facile di riflessione e di preghiera per coloro che si avvicinano per la prima volta a Giona.
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RECENSIONI
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utile per un confronto con il testo biblico. Ci forse si spiega alla luce del carattere didattico dellopera con la quale sintende soltanto narrare i fatti in
modo da comprenderli meglio alla luce dellambiente medio-orientale.
Questo scopo si sarebbe raggiunto meglio se il testo fosse stato arricchito
di altri excursus, oltre a quello sui Sumeri, dettato forse dallesigenza di far
conoscere limportanza di questo popolo per il terzo millennio a.C.; inoltre
linserimento di cartine geografiche avrebbe reso pi confortevole il lavoro
dello studente.
Concludendo, ci sembra che lo studente pu trovare in questo manuale un
utile strumento per conoscere meglio i fatti dellAntico Testamento. Egli per
dovr tenere presente che si tratta solo di uno strumento utile per fare i primi
passi nello studio della storia e che ben presto dovr ricorrere a sussidi di natura differente.
Vincenzo Lopasso
Tuckett C.M. (ed.), The Scriptures in the Gospels (BETL CXXXI), Leuven
University Press, Leuven 1997, pp. 721.
Il libro raccoglie relazioni e contributi presentati al 45 Colloquium Biblicum
Lovaniense (31 luglio 2 agosto 1996), dedicato al tema The Scriptures in the
Gospels, con il sottotitolo metodologico Intertextuality. The Use of the Old
Testament in the Four Gospels. Questo scomparso nelledizione degli atti che
io recensisco. Probabilmente gli Editori hanno compreso che il progetto con
ci indicato non era stato realizzato. In effetti manca una relazione che discuta
a fondo il problema del rapporto intertestuale tra NT e AT e le sue implicanze
teologico-esegetiche. Il poco che su questo detto lo si pu leggere nel punto
I della relazione di C.M. Tuckett (pp. 3-6). Ma largomento solo genericamente indicato e risolto in funzione dello scopo specifico del suo saggio: egli
la intende nel senso corrente, di riferimento esplicito dellautore del testo del
NT ad altri testi dellAT (p. 6). Ci gi qualche cosa. Ma non era forse opportuno cogliere una tale occasione internazionale per dibattere a fondo e in
modo generale il problema, tenendo conto delle nuove metodologie letterarie
(inter-testualit, narratologia, rilettura)? E come spiegare lassenza di Hans
Hbner che a quella data aveva gi pubblicato i tre volumi della sua Biblische
Theologie des Neuen Testaments (Bd. 1-3, 1991-1995), redatta proprio con il
metodo della intertestualit (i.e. VT in Novo)?
Dei quindici Main Papers del volume due sono dedicati a Q: C.M.
Tuckett, Scripture and Q (pp. 3-26); F. Neyrinck, Q 6,20b-21; 7,22 and
Isaiah 61 (pp. 27-64); tre a Matteo: J. Lust, Mic 5,1-3 in Qumran and the
New Testament, and Messianism in the Septuagint (pp. 65-88); D. Senior,
The Lure of the Formula Quotations: Re-assessing Matthews Use of the Old
Testament with the Passion Narrative as Test Case (pp. 89-115); W. Weren,
544
RECENSIONI
Jesus Entry into Jerusalem: Matthew 21,1-17 in the Light of the Hebrew
Bible and the Septuagint (pp. 117-141); quattro a Marco: C. Focant, La
recontextualisation dIs 6,9-10 en Mc 4,10-12, ou un exemple de non citation
(pp. 143-175); J. Marcus, Scripture and Tradition in Mark 7 (pp. 177-195);
C. Breytenbach, Das Markusevangelium, Psalm 110,1 und 118,22 f. Folgetext
und Prtext (pp. 197-222); A.Y. Collins, The Appropriation of the Psalms of
Individual Lament by Mark (pp. 223-241); tre a Luca: P.-M- Bogaert, Luc et
les Ecritures dans lEvangile de lEnfance la lumire des Antiquits
Bibliques: Histoire sainte et livres saints (pp. 243-270); A. Denaux, Old
Testament Models for the Lukan Travel Narrative. A Critical Survey (pp. 271305); M. Morgen, Lc 17,20-37 et Lc 21,8-11.20-24. Arrire-fond scripturaire
(pp. 307-326); tre a Giovanni: M. Theobald, Schriftzitate im LebensbrotDialog Jesu (Joh 6). Ein Paradigma fr Schriftgebrauch des vierten
Evangelisten (pp. 326-366); M.J.J. Menken, The Use of the Septuagint in
Three Quotations in John: Jn 10,34; 12,38; 19,24 (pp. 367-393); U. Busse,
Die Tempel-metaphorik als ein Beispiel von impliziten Rekurs auf die
biblische Tradition im Johannesevangelium (pp. 395-428).
La novit pi evidente che la trattazione inizi con Q, la supposta fonte
dei logia di Ges, usata in modi diversi dagli autori dei Vangeli sinottici. F.
Neirynck, con la solita acribia, si limita allo studio di Is 61; ma C.M. Tuckett
a tutto il libro di Isaia. Tuttavia lo studio effettivo limitato a Is 53 (e testi
collaterali, quali Dan 7,13 e Sap 2-5) (pp. 15-20) e Is 61 (pp. 20-26). Forse
altri testi dello stesso profeta meritavano di essere presi in considerazione, apparendo in comune: per es. Is 2,14 (LXX) in Mt 1,23/Lc 1,27; Is 40,3 in Mt
3,3/Mc 1,3/Lc 3,4-6; Is 9,1 in Mt 4,16-17/Lc 1,78-79; Is 42,1 in Mt 4,17 e Mt
12,18/Mc 1,11/Lc 3,22; Is 6,9-10 in Mt 13,14-15/Mc 4,11-12.
Nel saggio di D. Senior il lettore trova un accurato status quaestionis molto utile sulle Formula Quotations o Erfllungszitate (pp. 90-103), naturalmente precedente alla nuova sintesi di J. Miler, Les citations daccomplissement
dans lEvangile di Matthieu, Roma 1999, che lA. del saggio non poteva conoscere, ma che tuttavia non sostituisce la sua presentazione delle opinioni di
G. Stanton (A Gospel for a New People, Edinburgh 1992, 346-363) e di W.D.
Davies - D. Allison (The Gospel according to St. Matthew, Edinburgh 1988,
29-58).
Degno di interesse il saggio di A. Denaux sui possibili modelli narrativi
per la sezione centrale del Vangelo di Luca: il viaggio di Ges verso
Gerusalemme (Lc 9,51-18,14 o 19,27/28 o 19,44/46/48), in particolare quello
deuteronomistico (cf. C.F. Evans 1955, D.P. Moessner 1989, W.M. Swartley
1994), quello del nuovo esodo (M.L. Strauss 1995), o il motivo tipologico
della peregrinazione nel deserto (E. Mayer 1996). Il risultato negativo
dellesame (p. 296) attesta che una tale ricerca un vicolo cieco e che il
problema pi vasto, perch riguarda il modo in cui Luca usa in genere lAT,
che probabilmente non lo stesso nelle diverse sezioni del racconto.
BERDER M.
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546
RECENSIONI
fixer les dates des traditions, il suit une prsentation thmatique et non pas chronologique. La dmarche comporte trois tapes. Cest ltude du Psaume
118,22-23 quest consacre la premire partie. Aprs la prsentation gnrale du
psaume dans lexgse moderne lauteur passe lexgse des versets 22-23.
Quelle est la pierre rejete par les btisseurs et quel est son rapport avec dautres
pierres mentionnes dans la Bible? Puisque certains critiques font appel Is
28,16 et Za 4,7 pour expliquer le verset 22, lauteur analyse ces textes.
La deuxime partie traite de linterprtation et de lutilisation du Ps 118,2223 dans les traditions juives : les versions grecques, leTestament de Salomon,
les textes de Qumran et la littrature rabbinique.
Lauteur passe dans la troisime partie linterprtation du Ps 118,22-23
dans le Nouveau Testament : la citation qui conclut la parabole des vignerons
homicides, Ac 4,11 et 1 P 2,4-10. Dautres passages notestamentaires qui peuvent faire allusion aux versets en question sont mentionns. En conclusion
lauteur revient sur les aspects littraires, hermneutiques et thologiques.
Soixante pages de bibliographie sont apposes en finale de louvrage, puisquil
sagit dune thse de doctorat en thologie catholique.
Lauteur propose un vaste panorama des hypothses envisages par les
commentateurs sans toujours prendre position. La diversit des thses en prsence est le reflet de louverture que manifeste lcriture du texte. A la fin du
premier chapitre lauteur crit : La varit des dates et des identifications
proposes par les commentateurs est un signe de cette ouverture (p. 105).A
la fin du second chapitre il insiste : Mais propos de ces deux versets, nous
pouvons faire la mme remarque qu lissue de la prsentation densemble du
psaume : ils sont caractriss par une grande ouverture, que nous devons respecter. La mtaphore des v. 22-23 garde de multiples possibilits dvocation (p.159). Le bilan de lenqute mene dans les traditions juives est
assez maigre. Parmi les interprtations de type individuel, lapplication
davidique parat nettement la plus reprsente. Elle est reprise dans des genres
littraires varis et des moments diffrents de lhistoire du judasme (p.
242). Lexamen des diffrentes positions concernant lorigine de la citation
biblique en Mc 12,10-11 et // montre qu un consensus est loin dtre acquis
sur ce point (p. 289). L
hypothse dune parole de Jsus prononce dans un
autre cadre que celui de la parabole est prfre par lauteur. Pour la citation
du Ps 118,22-23 en Ac 4,1-22 sa formulation originale au sein des crits
lucaniens nous parat renvoyer une source que Luc aurait utilise. Il nest pas
impossible quelle fasse cho une prise de parole effective de Pierre, mais ce
point nest gure vrifiable (p. 315). Quant ltude de 1 P 2,4-10 compar
Rom 9,30-33 elle permet lauteur de conclure lexistence probable
dune tradition commune sur laquelle les auteurs des deux ptres ont pu sappuyer (p. 358).
Devant la rptition de formulations prudentes on a limpression que lexgse est la science du probable. Cela dautant plus que si on se contente comme
BERDER M.
547
le fait souvent lauteur daligner les opinions des auteurs au lieu danalyser le
texte lui-mme.
Quelques observations de dtail. Il est clair que le Nouveau Testament a
hrit une Bible interprte dont nous avons les traces dans le Targum, Qumran, dans la littrature apocalyptique et la littrature rabbinique. Sil en est
ainsi, pourquoi sattarder ltude du sens historique du texte tel que tentent
de le reconstituer les exgtes modernes? Ce status quaestionis napporte pas
beaucoup la comprhension du texte au premier sicle. Pourquoi exclure de
ce status quaestionis les Pres de lEglise qui peuvent apporter parfois plus que
les exgtes modernes?
On a limpression que lauteur est dchir entre deux mthodes : dune part
il emploie la mthode historico-critique et dautre part il voudrait souvrir aux
richesses de la mthode rabbinique. Mais narrivant pas rconcilier les deux
mthodes, il sme encore plus de doutes dans la mentalit du lecteur.
En ce qui concerne linterprtation du Ps 118,22-24 dans les traditions rabbiniques un certain nombre de remarques simpose. Le choix de lexposition
thmatique reste fort contestable : la classification du matriel en sources de la
priode des tannaim et des amoraim aurait t plus avantageuse. Le Midrash
Tannaim na pas sa place entre un texte de Yalqut Shimoni et Exode Rabba (p.
217). Aprs avoir cit des sources tardives du Moyen-Age et des cabbalistes,
lauteur affirme que les sources juives dont lantriorit par rapport aux
Evangiles est incontestable (p. 266). Il y a l de quoi surprendre le lecteur
qui sait que la polmique anti-chrtienne a influenc trs souvent les sources
juives tardives. La datation du Targum du Ps 119,22-23 reste indcise : Le
Targum peut contenir des traditions plus anciennes (p. 212). Pour le dater on
pourrait reprendre le critre de A. Dez Macho : ce qui est anti-mishnique est
pr-mishnique. Il est difficile de concevoir que lauteur du Targum, sil avait
crit aprs le dbut de lre chrtienne, maintienne une tradition qui donnait
raison aux chrtiens. Le fait quil lait maintenue signifie quelle est antrieure
lre chrtienne. Pour la tradition du Messie, fils de Joseph, lauteur hsite
entre son antiquit et sa datation plus rcente. En fait de nombreuses tudes,
que lauteur ignore, ont montr quil sagit dune tradition du second sicle qui
entend expliquer la dconfiture de Bar Kokba dclar par R. Aqiba Messie
dIsral. Enfin, on aurait aim voir soulign lemploi des middot dans les textes de la littrature rabbinique que lauteur cite avec abondance. Bref une mthodologie pour tudier les textes rabbiniques manque dans cette thse.
Pourtant ce ne sont pas les essais proposs rcemment qui font dfaut.
De mme la page 213, lorsque lauteur interprte le texte de Pesahim
119a, il oublie de mentionner la rforme liturgique faite par R. Gamaliel aprs
la destruction du Temple.
Lorsquil tudie la tradition psolet la page 224, qui lui permet dinterprter les versets 22-23 en rfrence Jacob, il oublie dtudier lvolution
de cette tradition dans le Targum Nofiti de Gen 49,1 et Dt 6,1, ce qui lui aurait
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RECENSIONI
LAMARCHE P.
EVANGILE DI MARC
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rituale. Ci non deve trarre in inganno nessuno. Il testo esaminato con il rigore proprio al metodo filologico e storico, a cui lA. fa esplicito riferimento
con asciuttezza essenziale (pp. 27-28), la stessa che egli adopera per ogni questione, e che forse la sua pi pregiata attitudine intellettuale.
Dopo una contratta orientazione bibliografica (pp. 7-11) sui repertori gi
elaborati (il punto di riferimeto costante The Gospel of Mark. A Cumulative
Bibliography 1950-1990, BETL 102, ed. F. Neirynck et al., Leuven, 2a ed.
1992), sui commentari pi utili (per es. M.D. Hooker, R.H. Gundry, J. Mateos
- F. Camacho, R. Pesch, J. Gnilka; ignora D. Lhrmann, HNT 3, 1987) e sui
saggi pi noti e pi recenti, in ordine cronologico dal 1990, data in cui cessa
la Bibl. di F. Neyrinck, segue una brevissima introduzione (pp. 13-25), veramente inconsueta per questo genere. Egli non d notizie storiche e letterarie,
ma solo coordinate per una lettura teologica essenziale, divise in tre categorie:
1) false idee da scartare, 2) tre griglie teologiche da usare per la comprensione, 3) le caratteristiche teologiche e narrative del testo in esame.
Lidea predominante di queste direttive una sola e fondamentale: il Vangelo di Marco lesposizione narrativa di una rivelazione di Dio, nella croce,
nella debolezza e nellimpotenza di Ges, il Cristo, Figlio di Dio (p. 14). Quindi secondo il principio ermeneutico enunciato, egli mostra che tutto il racconto sorretto da una teologia della croce, che pone tale vangelo accanto a Paolo,
a cui rimanda spesso come necessario complemento teologico e interpretativo
(pp. 14-15.18.28).
Da questa visione teologica fa anche dipendere con coerenza la tecnica
narrativa: lincomprensione (dei discepoli e degli avversari) (pp. 19-21), il segreto messianico che nasconde tale mistero, i.e. lidentit di un Figlio di Dio,
che si rivela nellabbassamento o, come dice lA., nellamore kenotico (pp. 2122), il segreto ironicamente contraddetto per manifestare il senso di un tale
mistero (pp. 22-23) e infine il titolo stesso di Figlio di Dio, il cui significato
dato proprio nel momento della passione e dellabbandono sulla croce (Mc
14,62 e 15,39) (pp. 24-25).
Su questa impostazione ermeneutica non si pu non consentire. LA. ha
veramente colto lessenziale. Pi problematiche sono le sue preferenze letterarie. Per esempio, egli sembra favorire lidea di un Proto-Marco per giustificare
quegli aspetti del racconto in cui il Vangelo di Marco pare pi primitivo di Mt
e di Lc; e lidea di un Deutero-Marco per spiegare la sua teologia pi evoluta
e sviluppata degli altri due Vangeli che costituiscono la tradizione sinottica (pp.
17-18).
Ci non mi sembra necessario. Se egli concede che la sua teologia genuinamente paolina che, come noto, anteriore di una generazione (a. 50-58 d.C.)
alla fissazione scritta della tradizione sinottica (a. 70/85 d.C.), allora non c
nessuna difficolt ad ammettere una sintesi tra primitivit narrativa e profondit
teologica. Ma io mi domando se si possa ritenere pi primitivo un narratore
che stato capace di svelare il mistero di Dio nella croce del Cristo con tale
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RECENSIONI
maestria narrativa. Il Vangelo di Marco un capolavoro teologico perch anche un capolavoro narrativo: un vero racconto breve, a scopo iniziatico!
Questo ha compreso anche Paul Lamarche e per questo il suo commento
raccomandabile a tutti coloro che vogliono essere introdotti al mistero di Dio,
quale si rivela in Ges, il Figlio di Dio crocifisso, il cui segreto svelato nel
racconto del vangelo.
Laccesso a tale mistero rivelato nel testo facilitato da un metodo
espositivo adeguato allo scopo. Alla traduzione di ogni pericope segue un commento esegetico immediato, a cui aggiunto in testo un complemento di Note
critiche e bibliografiche, che informano sullo stato delle discussioni esegetiche
in corso. Ci molto utile per quel lettore che, oltre alla comprensione teologica e spirituale, desidera avere anche una conoscenza reale della problematica
filologica del testo in esame. Ci deve mettere in guardia e dissuadere da ogni
lettura superficiale. Limmediatezza della percezione teologica sempre fondata su una sicura valutazione critica, anche l dove lA. sembra eccedere e
strabordare per effusione dellanima.
Nello Casalini, ofm
NALUPARAYIL C. J.
551
Il commento del testo risulta sempre attento a cogliere i collegamenti espliciti e impliciti allinterno di tutto il racconto evangelico. Uguale cura si riscontra nei costanti e opportuni riferimenti ai Vangeli Sinottici e a Giovanni, ad altri
scritti del Nuovo Testamento e alla letteratura giudaica antica (Giuseppe
Flavio, Qumran, targum, apocrifi). La comprensione di questi ultimi rinvii
facilitata dal dizionarietto ricco di cinquantasei voci sul mondo giudaico al
tempo di Ges posto alla fine del volume.
Sacchi articola il commento seguendo le dieci sezioni che egli individua
in Marco: I: 1,1-13 La prima comparsa di Ges; II: 1,14-3,35 Il regno di Dio
in azione; III: 4,1-34 La crescita del regno di Dio; IV: 4,35-5,43 La prima missione ai gentili; V: 6,1-8,26 Un pane per la salvezza di giudei e gentili; VI:
8,27-10,52 Il cammino verso la croce; VII: 11-12 Lultima grande sfida; VIII:
13 Gli ultimi tempi; IX: 14-15 La fine del giusto; X: 16 Risorto per una vita
nuova.
Ciascun capitolo inizia con la giustificazione della divisione adottata e la
descrizione della suddivisione in pericopi o brani e si conclude con le
puntualizzazioni sulla funzione e il significato della rispettiva sezione.
Il commento si muove con grande equilibrio sul binario Ges e il suo
Vangelo sono per Israele e per le nazioni, anche se lintento dichiarato di Sacchi quello di far risaltare costantemente che i destinatari sono i lontani:
quelli del tempo di Ges e della comunit cristiana delle origini, e quelli di
oggi, indicati con sobri e efficaci spunti di attualizzazione. Lattenzione ai due
aspetti storicamente oggettivi non mai attenuata dalla straordinaria sensibilit di Sacchi per la dimensione universale del secondo Vangelo. Per essere pi
espliciti, penso si debba dire che Sacchi commenta felicemente Marco con la
competenza dellesegeta e la sensibilit del missionario. Ci si vede chiaramente e con coerenza nel capitolo introduttivo significativamente intitolato
Israele e le nazioni, nel commento ai singoli brani, nelle conclusioni alle
dieci sezioni e nel capitolo conclusivo Il Vangelo dei gentili.
A proposito di lontani, su cui giustamente insiste questo commento, torna alla mente un aneddoto di Paolo VI il quale incontrando un fine letterato e
maestro dei nostri tempi, David Maria Turoldo noto per la sua attenzione ai
lontani, ebbe a dire: Padre Turoldo, siamo tutti lontani!.
G. Claudio Bottini, ofm
Naluparayil Chaco Jacob, The Identity of Jesus in Mark. An Essay in Narrative Christology (SBF Analecta 49), Franciscan Printing Press, Jerusalem 2000,
XVIII-636 pp., $ 50.00.
Con ammirazione presento il saggio di Jacob Naluparayil, The Identity of Jesus
in Mark, perch la sintesi che ha compiuto veramente degna di rispetto per il
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NALUPARAYIL C. J.
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NALUPARAYIL C. J.
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redazione e del senso di un testo biblico. In seguito occorre spiegare come mai
ha potuto nascere quello strano testo greco che si ha di fronte. La risposta
dei due studiosi frutto di lunghi anni di investigazione linguistica dedicati ai
vangeli e alle lettere di Paolo. La loro conclusione viene data nel Prologo del
libro in questi termini: nuestra intencin directa e inmediata nunca ha sido
buscar argumentos para demostrar que los evangelios fueron escritos en arameo
y, por lo que se refiere a los dos primeros captulos de Lucas, en ebreo. Esto,
el hecho de los originales semticos de estos escritos, ha aparecido ante nosotros
con claridad mientras buscbamos luz para los pasajes oscuros mediante un
trabajo filolgico del que formaba parte importante la hiptesis o posibilidad
de que en esos casos el texto griego representaba una traduccin defectuosa de
un original hebreo o arameo (p. 8). In altre parole le anomalie e le
incongruenze intravviste nei testi greci del NT sarebbero dovute ad una traduzione imperfetta di un originale semitico. Questo poi potrebbe avvalorare lipotesi secondo cui gli scritti evangelici sono stati scritti prima in ebraico o
aramaico e in un secondo tempo tradotti in greco. Lo stesso vale per le lettere
di Paolo (pp. 19-20).
Sempre nel Prologo gli AA. precisano inoltre che il loro saggio, bilingue
per giunta, indirizzato ad un largo pubblico di lettori dotati di una preparazione media. Per questo motivo parso loro opportuno di ridurre allessenziale lapparato bibliografico (poco pi di tre pagine di bibliografia generale, oltre
alle note di rimando nel testo) e la documentazione linguistica. Forse anche
per questa ragione, di indole per cos dire commerciale, il titolo del libro annuncia ben pi di quanto realmente contenga. Laggiunta di un sottotitolo
avrebbe potuto evitare tale malinteso.
Il corpo della monografia formato da una introduzione e sette capitoli.
Nellintroduzione vengono presentati due criteri per garantire la storicit dei
vangeli; il primo la testimonianza di Paolo che parla degli scritti evangelici
diffusi nelle comunit cristiane (2Cor 1,13); il secondo sono i racconti evangelici stessi, il cui originario tenore aramaico indice di una storia viva.
I capitoli che seguono prendono di mira alcuni passi del vangelo dellinfanzia di Luca e tentano di spiegare le anomalie del testo biblico: Lc 1,31-35
lannuncio a Maria (cap. I), Lc 1,39-40.41-56 la visita di Maria nella casa di
Elisabetta (cap. II), Lc 2,1-3.7 la nascita di Ges a Betlemme (cap. III), Lc
2,8.10-14 lannuncio angelico ai pastori (cap. IV), Lc 2,22-24.34-35 Simeone
e la spada di Maria (cap. V), Lc 2,43-46.49 Ges dodicenne nel tempio (cap.
VI). Il capitolo conclusivo (VII), riallacciandosi a quanto gi delineato nellintroduzione (pp. 21-24), intende rispondere alla domanda circa il tempo in cui
stato scritto il vangelo di Luca offrendo a tal fine unanalisi pi dettagliata di
2Cor 8,18-19. Levangelista menzionato da Paolo non sarebbe altro che
Luca, per cui la stesura del III vangelo andrebbe collocata intorno allanno 50.
Non possibile e neppure facile sintetizzare in poche righe il contenuto dei
singoli capitoli. Ritengo comunque utile dare uno sguardo su uno dei testi ana-
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esiste (o, se vogliamo essere pi ottimisti, non stato finora trovato) nessun
testo del NT scritto in una lingua semitica. Lo stesso discorso vale e in maniera
ancor pi decisa per le fonti degli scritti neostestamentari. Fiumi dinchiostro
sono stati versati per dimostrare lesistenza di vari proto-qualcuno, ma il dibattito risulta puramente accademico e il giudizio fatto a tavolino (e talvolta
nellimmaginario degli studiosi) per forza ipotetico. Intendiamoci: qui non
viene messa in discussione lutilit di una ricerca del genere; la critica riguarda
esclusivamente il modo di trarre le conclusioni che trascendono i dati a nostra
disposizione. Lassenza di un invitato alla festa pu far pensare anche ad una
disgrazia; questa ipotesi, fra le tante pi o meno verosimili, non potr tuttavia
tramutarsi in certezza, finch la verit non venga alla luce; e allora potrebbe
anche risultare che il motivo era meno tragico e assai banale: una semplice dimenticanza. Fuori metafora: perch fra le varie ipotesi sulla formazione ad es.
dei vangeli canonici non si potrebbe accogliere anche quella sempre come
ipotesi, comunque che li considera scritti direttamente in greco?
Gli AA. del saggio escludono questa ipotesi, perch sarebbe inconcepibile
che un autore del testo greco potesse scrivere in un greco tanto oscuro. Resta
da vedere tuttavia se quello che appare oscuro lo sia davvero. Non riesco a
capire ad es., perch nel contesto di Lc 1,39 si ritiene stridente la locuzione eij
polin Iouda, intesa come provincia di Giudea, scorgendovi una traduzione
difettosa dellebraico hnydm, se il significato principale di poli appunto citt (pp. 45.48). Insieme a quello delloscurit del greco biblico si affaccia
un altro problema. Se ammettiamo che gli originali semitici sono stati
succesivamente tradotti in greco (unipotesi poco probabile per Luca-Atti),
come spiegare allora il fatto che lautore di quella versione (in tal caso lo si
dovrebbe chiamare piuttosto traduttore) non si sia reso conto delloscurit e
non abbia cercato di chiarirla? Perch non ne era capace o perch nutriva grande rispetto per il testo sacro?
Unaltra domanda riguarda la questione di fondo, ossia la presunta oscurit di certi testi biblici. Prima di ritradurre il testo in un (inesistente!) originale,
non si dovrebbero forse cercare le risposte alle incongruenze e anomalie anzitutto allinterno del libro biblico stesso, scrutando lintenzione teologica dellautore e lo sfondo della filologia della lingua greca? Non detto infatti che
loscurit risentita oggi costituiva un problema ieri. Quanto poi alla ricostruzione delloriginale testo semitico con le armi della filologia, doveroso
quantomeno rimanere nel campo dellopinabile, data la variet grammaticale e
sintattica delle lingue. vero che per motivare le loro scelte gli AA. del saggio offrono sempre degli esempi di costruzioni semitiche presenti nella Bibbia. Ma questo non potrebbe aprire la strada a ricercare eventualmente nel
campo filologico altri appoggi, ugualmente solidi, per dare forza ad altre proposte di ritraduzione parallele o addirittura diverse?
Di fronte a questa serie di interrogativi sorprende la sicurezza con cui gli
AA. del saggio qualificano lesito delle loro ricerche. Si veda ad es. p. 40 dove
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RECENSIONI
la proposta ritraduzione delloriginale ebraico di Lc 1,34 viene valutata in questi termini: En esta redaccin es claro que Mara alude a un voto de
virginidad, previo incluso a su desponsorio con Jos. Il lettore intelligente
in grado di trarre da solo le conclusioni se queste davvero scaturiscono dallanalisi (e questo non mi sembra il caso del passo menzionato prima) senza
dovergli continuamente suggerire il giudizio.
Concludendo devo confessare che la lettura del saggio stata molto gradevole. Si potr dissentire su qualche punto dellindagine o sul procedimento
addottato, ma il valore stimolante della ricerca difficilmente contestabile.
Bisogna essere grati ai due AA. che hanno presentato in una forma semplice e
lineare il risultato dei loro studi specialistici in un campo praticamente inaccessibile alla maggioranza dei lettori. Alla lode unito laugurio di proseguire
e di rendere ancora pi fruttuosa linvestigazione da cui si spera di poter ottenere valide risposte anche alle domande sollevate da questo metodo complesso e avvincente.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm
THISELTON A.
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RECENSIONI
BARBAGLIO G.
LA TEOLOGIA DI PAOLO
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cio la fede dei partecipanti alla cena del Signore trova una corrispondenza o
un riflesso nella vita. Solo allora quellannuncio rituale in piena sintonia con
la realt racchiusa nei segni del pane e del vino. Ho espresso qui il mio modo
di capire il senso di 1Cor 11,27, il quale non sembra per diverso dal sentire
teologico di Thiselton. Ecco le sue parole: Exegesis suggests neither, on one
side, the notion of sacrilege against the elements themselves, nor, on the other
side, mere answerability for social disruption. The focus remains on Christ,
and Christ crucified, as proclaimed through a self-involving sharing in the
bread and wine. If stance and lifestyle make this empty of content and
seriousness, participants will be held accountable for so treating the body and
blood of the Lord (p. 890). Coloro che preferiscono una maggiore fedelt al
testo non saranno probabilmente soddisfatti della traduzione di Thiselton che
ha bisogno, come in questo caso, di ampliare il testo di glosse. Altri invece, a
cui interessa di pi la portata teologica gli saranno certamente grati.
A quanto pare, quello di Thiselton il primo commento sul testo greco
della 1Cor in versione inglese dai tempi del rinomato commentario di
Robertson - Plummer, la cui edizione rivista risale al 1914. C da sperare che
il nuovo commentario riscuota fra i lettori un successo simile, anche perch ha
tutte le carte in regole per centrare questo obiettivo.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm
564
RECENSIONI
olo non ha scritto trattati teologici, n epistole che mal nascondono la propria
realt di esposizioni dottrinali, ma vere e proprie lettere di circostanza, legate
alle situazioni contingenti dei destinatari e del mittente. La conseguenza
chiara: Limmagine di lui teologo (Paolo), come emerge da una lettura attenta delle sue lettere, non quella di un pensatore gi in possesso di una teologia
sufficientemente completa ed elaborata, per cui, sollecitato dai suoi
interlocutori, pu comunicare soluzioni preconfezionate. Appare invece un teologo in faciendo; la sua teologia nasce negli sforzi di rispondere ai vari problemi affrontati e come elaborati di riflessione parziale e provvisoria Appare
anche un teologo in progress che avanza da stadi pi elementari (p. 7). La
stessa idea espressa con molta forza a p. 726: Da parte mia, sono persuaso
che troppo spesso si sia passati sopra alle esposizioni del suo pensiero, ritenute troppo analitiche, protesi a cercare una sua teologia, data come sottesa alle
lettere e presente gi nella sua mente. importante denunciare il presupposto
non criticamente vagliato che lapostolo sia stato un teologo per se stesso, al
di fuori delle sue lettere, che ne sarebbero solo una traduzione parziale e applicata alle situazioni dei destinatari, e che sia possibile ricostruire le line portanti, o lispirazione di fondo, o il centro, come si dice, della sua teologia.
Invece la lettura attenta dei suoi scritti mostra che egli appare piuttosto un teologo in actu exercito, provocato da domande e sollecitazioni che gli giungevano dalle sue comunit e da avversari e critici, ma anche dalla sua mente non
soddisfatta da elaborazioni precedenti avvertite come parziali e, a volte, incongrue, dunque bisognose di essere riprese e precisate, ma anche corrette. Questultimo brano molto significativo sotto diversi punti di vista: 1) La
teologia di Paolo che ci viene proposta non bada a un sistema unitario, ma
presentazione di una serie di abbozzi in forma epistolare o le teologie delle
singole lettere (p. 8); 2) tali abbozzi sono ricostruiti attraverso unattenta e
analitica presentazione delle sette lettere autentiche, seguendo lordine cronologico che lA. ritiene probabile; 3) Paolo, tenuto conto di ci, non un teologo di professione, ma un missionario, un attivista che ha elaborato nel tempo
una profonda interpretazione basata sulla christologia crucis et simul gloriae
(p. 738).
Un giudizio sullopera di Barbaglio necessariamente complesso e anche
difficile ad esprimersi in poche pagine. Non intendo entrare nei dettagli, dato
che lopera stessa mostra come molti problemi possono ricevere varie e contrastanti interpretazioni. Mi limito solo a rilevare la grande competenza e autorevolezza dellA. nel trattare le varie lettere e i loro infiniti problemi.
Lopera, da questo punto di vista, ricchissima di contenuto e di suggestioni
che nascono da unassidua comunione dellA. con le lettere paoline. La chiarezza e padronanza con cui tratta i problemi sono frutto di tale amore per gli
scritti di Paolo e per la sua forte personalit di autentico evangelista che incarna limmagine del crocifisso e insieme del Signore della gloria (p. 738). Detto
questo, mi sembra giusto esprimere anche delle critiche, che in nessun modo
BARBAGLIO G.
LA TEOLOGIA DI PAOLO
565
vogliono mettere in discussione il valore dellopera e dellA. che lha composta. Si vuole solo presentare delle piste di riflessione critica sullopera e sul
suo svolgimento.
Mi sembra che lopera pi che una teologia sia unIntroduzione speciale
alle lettere di Paolo e le sue comunicazioni teologiche risultino delle parafrasi, a volte generali, a volte esegetiche e a volte anche teologiche, del contenuto delle lettere paoline, in ogni caso, delle parafrasi un po pi approfondite
di quelle che si trovano normalmente nelle Introduzioni particolari o generali
del NT. In verit lesposizione complessiva dellopera (breve presentazione dei
problemi introduttori di datazione, localizzazione, autenticit, destinatari e
strutturazioni del testo, a cui segue unestesa comunicazione teologica) la fa
somigliare pi ad una introduzione che a una teologia. vero che lA. con
tale procedimento vuole situare concretamente il pensiero di Paolo e pi che
una teologia vuole offrire degli abbozzi di teologia. Anzi, egli maneggia i
contenuti delle idee come una materia informe, tanto da far venire il dubbio se
realmente si tratti di teologia o di una serie di problemi affrontati da Paolo
quasi per caso. In tal senso, si pu vedere lesposizione della comunicazione teologica delle singole lettere. Tale procedimento legittimo, ma non so
se sia il pi adatto a mostrare una teologia, che di per s qualcosa di sistematico, non per Paolo, ma per gli studiosi che ne vogliono mostrare lorigine e
lo sviluppo. Inoltre, tale metodo parafrastico ha costretto lA. a ripetersi continuamente, appesantendo la lettura e a volte facendo perdere il filo dello sviluppo teologico del pensiero di Paolo.
Lobbiettivo chiaro: far vedere al lettore che Paolo non aveva una teologia, ma che la sua era una teologia in faciendo. Ora, tutto ci mi sembra
strano e in qualche modo tradisce la personalit dellapostolo. Paolo un exrabbino fariseo. So che il Barbaglio sobbalzer e penser subito al ritratto
lucano di Paolo; ma non c proprio bisogno di pensare a tale ritratto, meglio richiamare alla mente Gal 1,13-14; Fil 3,5; 2Cor 11,22, in cui Paolo riferisce del suo passato di Ebreo, di Israelita, di Fariseo, di persona zelante della
legge e delle tradizioni dei suoi padri. In base a ci, mi sembra difficile pensare che Paolo non avesse una teologia. Egli aveva una teologia che scaturiva
dalla parola ispirata dellAT. Ad essa egli rimasto sempre fedele, sia che ad
essa faccia riferimento diretto (nella maggioranza delle lettere) o indiretto (1Ts;
Fm). Ci lo ammette lo stesso autore, quando parla di interpretazione delle
Scritture (pp. 744-754), anche se mi sembra che non abbia compreso del tutto
il modo come Paolo utilizza la Scrittura, che a mio parere non solo un metodo di fare teologia (pp. 744-754), ma anche la fonte della teologia paolina. Per
questo, decisivo appare il riferimento alla Scrittura... (perch) le Scritture
sono attestazione divina e contengono la rivelazione di Dio incarnata nella storia israelitica (p. 552). Paolo non propone una nuova religione n una nuova
teologia, ma lo stesso Dio rivelatosi in quella storia e nella parola della Scrittura (p. 552). Di tale teologia, poi, Paolo fa, insieme a tutta la Chiesa primiti-
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RECENSIONI
PAULUS
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RECENSIONI
Delle pagine indicate, settanta sono dedicate a tre tavole e dodici indici per
facilitare la consultazione (pp. 473-543). Tolte queste, restano 471 pagine di
testo che uno potrebbe ritenere ancora eccessive, data la scarsit delle fonti,
ma che si potrebbero giustificare tenendo conto che il poco che si potrebbe
estrarre dalle lettere di Paolo e dagli Atti degli Apostoli ambientato nel molto che possiamo sapere dalle fonti storiche profane e archeologiche sullo stato geografico, economico, sociale e politico, culturale e religioso delle regioni
in cui ha svolto il suo apostolato.
Quindi la trattazione divisa in otto capitoli secondo un supposto ordine
cronologico dei fatti che su di lui sappiamo. Il cap. 1 dedicato a considerazioni preliminari. Le pi importanti sono quelle che riguardano levoluzione
teologica e umana di Paolo, che il vero problema dibattuto, ma che brevemente indicato (pp. 27-30) e quelle delle fonti riguardanti questo periodo, a
cui ho gi accennato (dal 33 al 49 d.C.), in cui tale evoluzione sarebbe avvenuta, secondo lopinione dominante: i.e. dalla conversione presso Damasco
(o in Damasco?) al raduno apostolico di Gerusalemme, dopo il primo viaggio
missionario con Barnaba nei territori della Cilicia, della Pisidia e della
Licaonia (pp. 31-44).
Faccio notare che gli AA. (M. Hengel, in questo caso!) sono decisamente
contrari allipotesi di una maturazione o mutazione evolutiva nel pensiero teologico di Paolo (supposta da G. Strecker, U. Schnelle, F.H. Horn, J. Becker,
Th. Sding e altri) (pp. 28-29) e soprattutto non favoriscono quella pi complessa e audace di possibili aporie irrisolte nel pensiero paolino, che oggi
alcuni (pi di uno), sarebbero disposti ad ammettere per la evidente testimonianza dei testi (cf. H. Risnen) (pp. 8-9).
Gli altri capitoli (da 2 a 8) seguono il supposto ordine degli eventi del periodo da loro ricostruito. Il cap. 2 dedicato a Damasco e alla conversione di
Paolo. Ma le parti specificamente paoline sono il n. 1 sulla cronologia del periodo prepaolino (pp. 43-60) e il n. 2, che si occupa della conversione, del
battesimo e del mandato apostolico avuto in quella citt (pp. 60-80). Il resto
del capitolo dedicato alla comunit giudaica di Damasco (pp. 81-132), alla
forza di attrazione del Monoteismo giudaico (pp. 132-139), allorigine della
comunit cristiana di Damasco (pp. 139-146) e alla prima missione degli
Ellenisti fuori della Palestina (pp. 157-162).
Il cap. 3 si occupa della nuova autocoscienza apostolica di Paolo e del fondamento della sua teologia. In questo, lA. (ancora M. Hengel!) propone la tesi
a lui cara, che gi dallinizio erano presenti in Paolo la sua coscienza apostolica e la dottrina teologica della giustificazione, proprie della et pi matura. Ma
per dimostrare questo deve anticipare a quel periodo affermazioni delle lettere
del tempo posteriore (per es. 1 e 2 Cor, Rom, Gal). E ci a qualche esegeta pi
sensibile al metodo storico potrebbe non piacere e quindi non convincere.
Il cap. 4 dedicato allArabia, dove Paolo si reca subito dopo la conversione (Gal 1,17) e al re dei Nabatei Areta IV che l regnava (9 a.C. 40 d.C.).
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RECENSIONI
dine delle attivit fu inverso, i.e. Cilicia e Siria, evidentemente per armonizzare con la notizia di At 9,30 secondo cui, da Gerusalemme, Paolo fu fatto scendere a Cesarea e mandato a Tarso, che era il capoluogo della Cilicia e sua
patria, secondo il narratore di questa storia (cf. At 9,11; 21,39; 22,3; 23,34) (pp.
232-246). Quindi egli sarebbe il fondatore della comunit cristiana di quella
citt (pp. 246-250).
Ci non storicamente corretto, perch la prima ipotesi contraria allaffermazione esplicita di Paolo, la seconda totalmente ignorata da lui stesso,
bench limportanza della citt a quel tempo era tale che la supposta fondazione, se fosse stata reale, non poteva restare senza traccia nella sua biografia
personale, di cui spesso fa menzione nelle sue lettere.
Il cap. 8 dedicato esclusivamente ad Antiochia e allattivit missionaria
di Paolo (e Barnaba) connessa con questo primo centro cristiano. Da solo, occupa poco meno della met di tutta la trattazione (pp. 274-471). Tuttavia le
pagine effettive dedicate a Paolo riguardano il suo supposto trasferimento da
Tarso ad Antiochia (At 11,25-26) (pp. 274-275); il rapporto di Antiochia e
Gerusalemme rievocato in At 11,1915,35, di cui gli AA. seguono il ductus
narrativo, facendone un commento, in particolare sul rapporto tra Barnaba e
Paolo, sullanno trascorso insieme in quella citt (At 11,25-26) (pp. 314-340);
e gli effetti della vicenda antiochena sulla formazione della sua teologia (pp.
404-464).
Gli AA. fanno giustamente rilevare che le formule tradizionali, quali si leggono in 1Cor 11,23-25 (listituzione dellEucarestia), in 1Cor 15,1-11 (in part.
vv. 3-8) (il vangelo che Cristo morto per i nostri peccati ed risorto kata tas
graphas, seguito dalla lista delle apparizioni) rivelano una indubbia matrice
gerosolomitana e non antiochena (pp. 423-433.434.438). Anche la professione
di fede, che si legge in 1Cor 8,6 di una pi grande antichit, per la sua evidente parentela con lo shema in lingua greca: kyrios ho theos hmn, kyrios
heis estin (pp. 417-418). La stessa considerazione vale per la formula (o acclamazione) battesimale, quale si legge in Gal 2,26-29, la cui impostazione universale esclude per se stessa ogni referenza locale (pp. 438-443).
La conclusione brevissima (pp. 462-464) riguarda un confronto cronologico tra Paolo e Lutero. Ci al lettore indipendente e intelligente potrebbe
apparire fuori luogo e rivelare la natura apologetica del libro, nonostante limponente inquadramento storico.
Lo stile dellesposizione ha preservato la forma parlata originaria di lezioni accademiche, tenute da M. Hengel nel febbraio-marzo 1996 presso il PIB di
Roma (Joseph Gregory McCarthy Lectures). Ci rende scorrevole il testo e
facilita lassimilazione dellargomento. Ma ha un evidente svantaggio: manca
la concisione e soprattutto una pi rigorosa definizione della problematica
scientifica (storica, esegetica, teologica), spesso oscurata da un tono di appassionata polemica, pi adatto per lapologia e il dibattimento pubblico, che non
per un saggio che si vuole storico. LA. (bisogna ricordarlo: Martin Hengel!)
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non perde mai loccasione per rettificare molte opinioni correnti, divergenti
dalle sue, usando parole franche e qualche volta anche mordaci.
Quindi non sarei in errore se dicessi che il libro un regolamento di conti (in tedesco potrei dire Abrechnung), in particolare con la Religionsgechichtliche Schule e i suoi rappresentanti pi qualificati, che hanno di fatto dominato
le opinioni sulla storia del cristianesimo primitivo e della sua teologia: W.
Bousset, R. Bultmann e seguaci.
In poche pagine (pp. 423-433), il lettore vede dissolte nel nulla categorie
sacrosante per la periodizzazione e la classificazione delle tendenze religiose
di quel tempo: Heidenchristentum, heidenchristliche Urgemeinde, hellenistische Gemeinden, la distinzione tra palestinensische Urgemeinde e hellenistisches Christentum e soprattutto la categoria fondamentale di vorpaulinisches Christentum, vengono spazzate via con un colpo di spugna a vantaggio di una sola categoria: il giudeo-cristianesimo multiforme di Gerusalemme, quindi palestinese ed ellenistico nello stesso tempo, perch i cosiddetti
Ellenisti (cf. At 6,1; [6,9?]; 9,29) non erano altro che Giudei parlanti greco,
nati probabilmente nella diaspora (p. 56) e stabiliti in quella citt provenendo
dai diversi centri giudaici dellImpero Romano.
Se ci sia un vantaggio per il lavoro esegetico, lascio il giudizio ad uno
storico. Ma lesistenza di un cristianesimo ellenistico (i.e. di lingua greca) prepaolino fuori dubbio. La LXX era in circolazione dal III sec. a.C. e la sua
tendenza cristologica a tutti nota, perch la vera matrice della fede e della teologia cristiana primitiva. Anche se i portatori di questa corrente religiosa erano Giudei greci o simpatizzanti greci dei Giudei, le sue idee teologiche
erano gi state sistematizzate prima di Paolo e senza lapporto di Paolo (cf. il
caso emblematico di Apollo, Alessandrino: At 18,24-25 e 1Cor 1,12; 3,4-6.22;
4,6; 16,12).
Ma lo stesso Paolo in Rom 15,26-27 (un testo capitale per la tesi di M.
Hengel!) non attribuisce a se stesso i beni spirituali (ta pneumatica) che ha
dato ai popoli, ma li ritiene beni dei Giudei. Dunque, gi prima di lui, cera
una sintesi teologica (cristologica e soteriologica) ellenistica pre-paolina, perch elaborata in lingua greca sulla base della LXX (kata tas graphas!), a cui
anche Paolo si ispira nella sua predicazione, fatta sulla scrittura greca (!) (cf.
At 17,1.11).
Per questo mi sembra che, se anche Martin Hengel riconosce esplicitamente il debito del pensiero di Paolo verso quella che egli chiama vorpaulinische
christologische Grundlage (p. 163), forse la categoria di cristianesimo
ellenistico (i.e. di lingua greca) pre-paolino da mantenere, perch realmente utile per comprendere la sua dipendenza verso la tradizione della fede comune, che era allorigine.
Riabilitata Gerusalemme come centro di formazione e irradiazione del cristianesimo primitivo, era naturale che Antiochia di Siria diventasse solo una
periferia culturale, senza reale importanza per la formazione della teologia
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RECENSIONI
MANZI F.
MELCHISEDEK E LANGELOLOGIA
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dal racconto genesiaco per coniare una propria concezione della figura di questo personaggio.
Il cap. II analizza questi scritti qumranici: 4QAmranb 2 1-6; 3 1-2
(4Q544), chiamato Visioni di Amran; 4Q401 11 1-3 o Cantici dellOlocausto del Sabato; 11QMelch (11Q13), detto Documento di Malch edek;
1QapGen XII 13-17, chiamato Apocrifo della Genesi. LA. avverte di non
uniformare la figura melchisedekiana che si pu ricavare da questi scritti. Tra
laltro essi sono di genere letterario differente: lApocrifo della Genesi a met
fra il midrash e il targum e non fa che ripetere i dati della Scrittura circa un
personaggio umano; i Cantici sono di carattere innico liturgico e raffigurano il
nostro personaggio come sacerdote; le Visioni di Amran sono un testamento e lo presentano come essere celeste in contrasto con Melch rea, spirito
del male; infine il Documento di Malch edek un pesher tematico escatologico. Da questultimo Manzi ricava che il nome teoforico di Melchisedek
vien preso come titolo. Quindi lo traduce con Re di Giustizia, che corrisponderebbe al tetragramma sacro.
Il cap. III studia il ritratto sacerdotale del Melchisedek nella lettera agli
Ebrei. Nel IV confronta i metodi interpretativi in Ebrei e a Qumran. Nel V
confronta i vari ritratti di Melchisedek. Conclusione: anche se c un contatto
indiretto a livello ideologico e terminologico legato soprattutto allapocalittica,
la lettera agli Ebrei non dipende affatto da Qumran. Di questa posizione chiara
e provata non possiamo che essere grati al lavoro di Manzi.
LA. dedica una lunga trattazione al processo che avviene nel giudaismo
postesilico per salvare il concetto della trascendenza di Dio. Per esprimere la
mediazione salvifica si ricorse a figure trascendenti costituite da personaggi
biblici, da ipostasi divine o dalla tradizionale figura di un angelo di Dio. Siccome la prospettiva del nostro documento escatologica, non sembra pi necessario salvaguardare la trascendenza divina, ricorrendo allespediente
teologico di un mediatore salvifico di natura angelica. Attribuendo a JHWH il
titolo di Re di Giustizia, lo si descrive come colui che porta la salvezza agli
uomini. A questo scopo, il suo intervento giudiziario si specifica in termini di
perdono per coloro che sono schierati dalla sua parte e di vendetta per coloro
che si sono ribellati contro il suo patto e contro i comandamenti divini
(p. 236).
Lapocalittica giudaica non trova difficolt ad attribuire il giudizio finale a
Dio stesso: come nella protologia creatore, cos nellescatologia giudice.
Cos lo presentano lApocalisse delle Dieci Settimane e lAssunzione di
Mos. Seguendo la tesi di Manzi, dovremmo pensare che lautore di
11QMelch ricorra ad un nome teoforico per indicare Dio, dando adito al fraintendimento di scambiare Dio con Melchisedek, personaggio della Genesi.
Verso la fine il testo, purtroppo lacunoso su questo punto (linee 24-25),
reso con il tuo Dio [Melchisedek (?)]. Non mi sembra che lespressione ci permetta di prendere questa figura genesiaca come lo stesso JHWH. Un
574
RECENSIONI
BEALE G.K.
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Beale Gregory K., The Book of Revelation. A Commentary on the Greek Text
(The New International Greek Text Commentary), William B. Eerdmans
Publishing Company, Grand Rapids, MI - Cambridge, U.K. 1999, pp. LXIV1245, $ 75.00.
Limponente commento di G.K. Beale allApocalisse di Giovanni si compone
di 1245 pagine, di cui 1157 di testo effettivo e le rimanenti divise tra un indice di Autori moderni e un indice esaustivo biblico e di altri scritti antichi. A
ci si devono aggiungere quattro pagine di Preface, in cui il Commentatore
(= C) spiega lorigine e la durata del tempo impiegato per comporlo (dal 1987
al 1995: sette anni per la prima stesura e un ottavo anno per laggiornamento
bibliografico delle pubblicazioni uscite nel periodo della stesura). Ci significa che il confronto scientifico effettivo e serrato riguarda soprattutto le opere
uscite prima del 1987, inizio della stesura. Seguono le pagine dedicate alle
abbreviazioni e quelle pi cospicue per la bibliografia (36 pagine di AA. effettivamente adoperati nella discussione critica). La mole dellopera sarebbe
stata quasi doppia se leditore non avesse adoperato un duplice livello di stampa, usando un carattere minore per gli ulteriori sviluppi esegetici e per i molteplici saggi di chiarificazione, su concetti e problemi, che completano
lesposizione.
Delle pagine effettive del testo, quelle numerate da 1 a 176 sono dedicate
a una Introduction: una vera monografia sui problemi introduttivi riguardanti il libro esaminato. Sulla data il C. si attiene a quella tarda, intorno al 95 d.C.,
sotto limperatore Domiziano, secondo la tradizione tramandata da Ireneo. La
situazione delle Chiese a cui il libro inviato, giustamente caratterizzata in
due modi: a) pericolo di compromesso con il culto idolatrico per ragioni sociali ed economiche (Ap 2,14-15.20), b) da ostilit dei Giudei (Ap 2,9). Di
conseguenza lo scopo del libro di incoraggiare i credenti a non compromettersi, e di dissuadere con severe ammonizioni coloro che propendono per la
compromissione (p. 33). Lopera quindi non rivolta principalmente a pagani,
ma alle Chiese, affinch rettifichino il loro modo di agire e di vivere.
Sul problema dellautore, il C. si attiene allipotesi pi ragionevole: chi
scrive si chiama Giovanni e altro di lui non dato sapere se non ci che lui
stesso dice di s e della sua condizione nella presentazione. Si ritiene un profeta (Ap 22,9) e si trova sullisola di Patmos, forse relegato, per la testimonianza resa a Ges (Ap 1,9).
Per il genere non chiaro. Ritiene lopera una combinazione del genere
epistolare (Ap 1,4 e 22,21) con il genere apocalittico-profetico (Ap 1,1; Ap 1,3
e Ap 22,6-7.10) (p. 38). Ci non corretto. LA. del testo presenta la sua opera come rivelazione (apokalypsis: Ap 1,1) e dice espressamente che le sue
parole sono di profezia (logous ts prophteias: Ap 1,3; 22,7.10). Quindi tutta
la visione avuta nella rivelazione una profezia scritta e inviata per lettera (Ap
1,11). I generi infatti non sono mescolati e le sette Chiese, a cui i discorsi
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RECENSIONI
profetici sono inviati, non sono pi interpellate direttamente nelle visioni seguenti, anche se non mancano inviti diretti al lettore, affinch comprenda il
mistero delle parole (cf. Ap 13,9.18 e 17,9).
Il punto di vista interpretativo (Major Interpretative Approaches), il C.
lo definisce eclettico (pp. 48-49), perch unifica il principio ermeneutico idealista, che vede nella visione una descrizione della lotta eterna tra bene e male
senza riferimento storico, e il principio ermeneutico storicista, che vede in
essa precisi riferimenti a fatti e personaggi storici. Il C. concede che alcuni di
questi potrebbero essere reali, ma convinto che le visioni si possano riferire
a diversi eventi storici che accadono nel tempo intermedio, tra i due avventi di
Cristo (p. 65).
Ma questa intenzione anche dellA. del testo? O solo una scelta
ermeneutica del suo interprete? In realt, costui considera come storici anche
gli eventi finali del ritorno di Cristo, del giudizio e della instaurazione del
Regno di Dio nella nuova creazione (p. 48), ci che nessuno sarebbe disposto
a concedere, perch questi sono solo simboli di realt della fede. Ma il C. non
sembra fare questa distinzione, bench riconosca la natura simbolica dellApocalisse (pp. 50-69) e accetti come corretta la metodologia che rifiuta per
principio ogni interpretazione storicizzante (pp. 65-69). Per questo non esita a
datare il millennio, di cui in Ap 20,1-6 durante il tempo intermedio, quello
della Chiesa (pp. 972-974.984-1007), bench lA. del testo dica che tale evento coincide con la prima resurrezione (haut h anastasis h prt: Ap
20,5b). Dunque oltre la storia e non pi nel tempo della Chiesa!
Tuttavia egli ha ragione quando afferma che i simboli della rivelazione
indicano una realt che gi stata inaugurata con la morte di Cristo e la sua
resurrezione. Quindi la rendono realmente presente per esortare, correggere e
invitare a perseverare (p. 69).
Alluso dellAT in Apocalisse il C. dedica molta cura. Anzi, questo riferimento da lui ritenuto una chiave interpretativa fondamentale del libro (XIX).
Bench non ci siano citazioni esplicite, egli convinto che Giovanni tragga il
suo materiale da fonti semitiche e da fonti greche modificando spesso le une e
le altre (p. 78) e facendo di esse un uso molteplice (narrativo, tematico, analogico, universalistico, o inverso), senza escludere quello pi comune del compimento, che per il C. solo possibile (p. 93), ma che per lA. del testo
lunico reale: Nei giorni del suono del settimo angelo, quando suoner, si
compir anche il mistero di Dio (kai etelesth to mystrion tou Theou), come
aveva annunciato ai suoi servi, i profeti (Ap 10,7).
Ma il C. ha una tesi speciale al riguardo. LA. del testo tende ad imitare
deliberatamente lo stile dellAT, producendo senza dubbio molti solecismi, o
irregolarit grammaticali, ma creando nel lettore della sua visione quel sentimento di rispetto e venerabilit dovuta ai testi sacri imitati, come se anche la
sua opera fosse arcana e da venerare come quelli (p. 96). Ci non si pu dimostrare. Ma leffetto spirituale rilevato dal C. indubitabile!
ADINOLFI M.
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Alla struttura dedicata una parte preponderante, che comprende non solo
la trattazione esplicita, ma anche il commento ad Ap 1,19 che, come tutti sanno, il verso fondamentale a cui si richiamano coloro che dividono il testo in
due parti maggiori: I. Ap 1,19-3,22, le cose che sono (ha eisin); II. Ap 4,122,6, le cose che accadranno dopo queste (ha mellei genesthai meta tauta)
(cf. U. Vanni, F. Hahn, J. Lambrecht). Il C. invece propone una divisione in
sette parti, che potrebbero diventare otto tenendo conto di quelle che lui chiama interlocking sections (Ap 8,2-4; 11,9; 15,2-4; 17,1-3; 19,9-10; 21,9-10;
22,6). Il fatto stesso che siano possibili due diverse ipotesi di composizione,
dimostra la fragilit del criterio letterario di divisione indicato. In realt le
sezioni di congiungimento non lo sono, perch sono tutte subordinate a un
diverso inizio narrativo (Ap 8,1-6; 11,15-19; 16,17-21; 19,1-8; 21,1-8).
La teologia, in questa abbondanza letteraria, appare come la povera vedova (pp. 171-176). Ma tale mancanza supplita dal commento effettivo, in
cui evidente che il C. stato mosso dal desiderio genuino di chiarire tutto,
anche se molto resta di fatto oscuro. LApocalisse ancora un libro sigillato e
misterioso, anche dopo il suo notevole e pregevole sforzo scientifico.
Nello Casalini, ofm
Adinolfi Marco, Alle limpide correnti della Bibbia (Odorifera verba Domini
1), Centro Propaganda e Stampa di Terra Santa Dragonetti Edizioni, Milano
- Montella 2000, 320 pp., L. 35.000.
La parola ispirata di Dio, si sa, chiara e trasparente, trasmette senza inquinamenti la volont paterna di Dio. Ispirandosi a una frase di SantAmbrogio,
lAutore si propone di offrire al lettore qualche sorso delle limpide correnti
della Bibbia. Fa piacere constatare che il bicchiere che egli porge riflette la
limpidezza delle acque bibliche. Fuori metafora, con il presente volume padre
Adinolfi si sforza di presentare con lucidit e perspicacia i trenta temi che
tratta.
Fanno da introduzione due saggi. Il primo su Dio che si autorivela e ispira
la Bibbia e sugli autori letterari dei libri sacri. Il secondo sulla parola di Dio in
Ebrei 4,12-13.
Seguono tre capitoli sulle origini delluniverso in Genesi 1,1-2,4, su Sara
e Agar e sul simbolismo sponsale nei profeti Osea e Geremia.
Le centottanta pagine che seguono puntano lobiettivo sul Nuovo Testamento. Dopo uno sguardo sulla storia della salvezza nei vangeli dellinfanzia
di Ges e sul tema lucano dellamore, si esaminano le parabole e i miracoli
nei quattro vangeli, la comunit primitiva e le apparizioni di Ges risorto.
Sette capitoli son poi dedicati a Paolo e alle sue lettere, due capitoli alla 1
Pietro e tre alla lettera agli Ebrei. Gli ultimi tre studi hanno per oggetto la
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RECENSIONI
Clarke Andrew D., Serve the Community of the Church. Christians as Leaders
and Ministers (First-Century Christians in the Graeco-Roman World), William
B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan - Cambridge, U.K.
2000, IX-305 pp., $ 25.00, 15.99.
Lopera di Clarke costituisce il secondo volume della serie First-Century
Christians in the Graeco-Roman World, consacrata alla cristianit del I secolo nel contesto del mondo greco-romano. Si tratta di un periodo estremamente
importante nella formazione della cristianit, periodo in cui essa prese contatto con il mondo greco-romano, perdendo i tratti di una setta giudaica.
LA. investiga sulla natura dellorganizzazione e sui modelli dellautorit
in seno alle prime comunit cristiane. La trattazione si divide in due parti:
Leadership in the Graeco-Roman Society e Leadership in the Christian
Community. Nella prima parte lA. si rif ai modelli profani della leadership,
CLARKE A.D.
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RECENSIONI
MISIARCZYK L.
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RECENSIONI
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RECENSIONI
Talbert Richard J.A. (ed.), Barrington Atlas of the Greek and Roman World,
Princeton University Press, Princeton - Oxford 2000, XXVIII-204 pp., 102
maps + CD-ROM of the Map-by-Map Directory, $ 325.00.
Lopera monumentale, non solo per il formato dellatlante (102 mappe di
33.7x46.4 cm), ma per limpiego di tempo (1988-2000), ricerche e denaro ($
4.5 million) che ha richiesto a Talbert e ai suoi 10 vicars, 73 compilers e 95
reviewers. Il risultato magnifico e latlante si presenta chiaro, di ottimo livello cartografico, ricco e preciso nei suoi contenuti.
Nel suo insieme lopera contiene una Prefazione che riassume liter del
progetto, le difficolt che si sono presentate lungo il processo di realizzazione
e i dovuti ringraziamenti a tutti coloro che hanno contribuito a donarci un cos
meraviglioso strumento di lavoro; lIntroduzione, in cui si pone in risalto
lorigine dellopera (la raccomandazione dellAmerican Philological Association del 1980), gli obbiettivi per portare avanti la ricerca: avere un publisher
(Princeton University Press) e una buona ditta cartografica (Donneley
Cartographic Services); realizzare il progetto in un tempo ragionevole e con
un prezzo ragionevole; stabilire il formato: ampio e con un numero ridotto di
scale da utilizzare (1:1.000.000 per le regioni fuori del mondo classico;
1:500.000 per la parte centrale del mondo classico; 1:250.000 per Atene, Roma
e Bisanzio/Costantinopoli; 1:5.000.000 per delle vedute di insieme del Baltico,
dellArabia, dellEst-Africa, dellIndia e Sri Lanka; trattare la materia in
maniera comprensiva e comprensibile.
BARRINGTON ATLAS
585
586
RECENSIONI
587
tano argomenti per specialisti della metallurgia, altri suscitano interesse per la
storia culturale di Timna e dellArabah.
Cap. 1, a cura di B. Rothenberg, Copper smelting furnaces, tuyeres, slags,
ingot-moulds and ingots in the Arabah: the archaeological data, pp. 1-77. Le
conclusioni dello studio rivelano che lestrazione e la prima semplice lavorazione del rame nellArabah sono iniziate nel quinto millennio a.C. e sono continuate fino al Bronzo Antico I, 4500-2995 a.C. (terminologia usata dagli
autori: Sinai-Arabah-Copper Age-Early Phase). Seguono lintroduzione di materiali refrattari e il continuo sviluppo delle tecnologie per la fusione del metallo nel periodo del Tardo Bronzo e nel periodo romano. Cap. 2, a cura di J.F.
Merkel, Experimental reconstruction of bronze age copper smelting based on
archaeological evidence from Timna, pp. 78-122. Cap. 3, a cura di M.
Bamberger - P. Wincierz, Ancient smelting of oxide copper ore, pp. 123-157.
Cap. 4, a cura di M.S. Tite et alii, Technological characterisation of refractary
ceramics from Timna, pp. 158-175. Cap. 5, a cura di I. Roman, The copper
ingots, pp. 176-181.
Il Cap. 6, a cura di N.H. Gale et alii, The adventitious production of
iron in the smelting of copper, pp. 182-191, tratta una questione dibattuta e
molto interessante per larcheologia biblica. Il problema conoscere quando
e come luomo riuscito a produrre il ferro, cio il metallo duro e resistente
che ha sostituito il rame e il bronzo nella produzione di armi, di utensili e di
oggetti artistici. In archeologia biblica si usa far iniziare il XII secolo a.C.
con lintroduzione del ferro, chiamato appunto periodo del Ferro I per distinguerlo dallultima fase del Tardo Bronzo. Nello scavo del Site 2, Area F (nel
1964) e del tempio di Hator (nel 1969) erano stati trovati alcuni oggetti di
ferro, tra cui molti anelli, che si pensava fossero stati importati dallEgitto.
Ulteriori analisi hanno rivelato che gli oggetti di ferro trovati a Timna sono
stati ottenuti durante la lavorazione locale del rame e risalgono al Tardo Bronzo, cio al XIV e XIII secolo a.C. Per caso, quindi, lavorando il rame, i
metallurgisti dellArabah sono riusciti a produrre il ferro in un periodo anteriore a quello supposto normalmente.
Pietro Kaswalder, ofm
Donald T. Ariel (et alii), Excavations at the City of David 1978-1985 Directed
by Yigal Shiloh. Vol. V: Extramural Areas (Qedem 40), The Institute of
Archaeology, The Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem 2000, XII-169
pp., ills.
Il volume presenta il rapporto finale dello scavo di un breve tratto di Ophel,
situato verso la parte meridionale della collina. Interessa da vicino gli studiosi
della topografia di Gerusalemme, perch riguarda i canali di Siloam e la zona
della torre di Siloam. Il cap. 1 (D.T. Ariel - Y. Lender) descrive lArea B a
588
RECENSIONI
est delle tombe reali. Larea era stata scavata da R. Weill (cf. R. Weill, La cit
de David. Compte rendu des fouilles excutes, Jrusalem, sur le site de la
ville primitive. Campagne de 1913-1914, Paris 1920; Idem, La cit de David.
Compte rendu des fouilles excutes, Jrusalem, sur le site de la ville primitive. Campagne de 1923-1924, Paris 1947) e studiata da L.-H. Vincent (L.-H.
Vincent, Jrusalem sous terre, London 1911; Idem, La cit de David dapres
les fouilles de 1913-1914, RB 30 [1921] 410-433; 541-569; L.-H. Vincent A.M. Stve, Jrusalem de lAncient Testament. Recherches darchologie et
histoire, Paris 1954).
Il primo elemento emblematico di questa zona della citt antica la struttura circolare definita impropriamente la torre di Siloe (pp. 18-21). R. Weill
usava mettere in relazione questa torre con quella di Siloam menzionata in
Lc 13,4. Ma studi successivi e le nuove ricerche archeologiche portano a conclusioni differenti. La struttura circolare, rimasta per una altezza di 1.20 metri,
costituisce la base di un colombario posto fori della cinta muraria della citt
ellenistico-romana. Questa si trova molto pi in alto rispetto al fondovalle dove
situata la torre. Le colombe e le tortore erano allevate per fornire offerte al
tempio o per la produzione di concime per gli orti. Nel circondario di
Gerusalemme sono stati individuati 40 siti per lallevamento di colombe. Pure
allinterno della citt di Davide stato trovato un colombario di pianta rettangolare. Il colombario fu distrutto nella guerra del 70 d.C.
Il secondo elemento studiato negli scavi attuali (pp. 13-18) la rete di tunnel che porta lacqua dalla sorgente di Ghion alla Piscina di Siloam. Il canale
di Ezechia che a tuttoggi porta lacqua dal Ghion a Siloam e ai giardini reali, viene definito tunnel n.2; mentre il tunnel di Siloam diventa il tunnel n.1.
Questo tunnel esterno, scavato lungo la parete a livello della strada, era stato
visto nel 1881 e ripulito per un tratto di 74 metri da C. Schick (cf. C. Schick,
The Aqueducts at Siloam, PEFQS 19 [1886] 88-91; Idem, Second Aqueduct
to the Pool of Siloam, PEFQS 19 [1886] 197-200). Poi era stato riscavato da
R. Weill per circa 60 metri (cf. R. Weill 1920). Lesame archeologico di Y.
Shiloh ha interessato nuovamente il tunnel per trovare una risposta ad alcuni
interrogativi rimasti in sospeso. Lopera idraulica n.1 risulta essere stata fatta
prima dello scavo del tunnel di Ezechia, che risale allVIII secolo a.C. Ma non
sembra possibile attribuirla al periodo di Salomone, cio al X secolo a.C. Il
tunnel n.1 and in disuso dopo la creazione del tunnel n.2. Un argomento di
carattere archeologico che aiuta a consolidare lipotesi secondo la quale il tunnel di Siloam non fu pi usato dopo il 701 a.C. la presenza di un edificio
costruito proprio sopra la parte finale dello stesso (cf. il Building 130 della
pubblicazione).
Il cap. 2 (D.T. Ariel, Y. Hirschfeld e N. Savir) offre un saggio della
stratigrafia dellArea D1, che si trova immediatamente a ovest e in alto rispetto allArea B. Anche questa zona era stata scavata, almeno in parte, da R. Weill
(cf. le pubblicazioni del 1920 e 1947). La stratigrafia riguarda le fasi del Ferro
589
I (strati 15 e 14); del Ferro II (strati 12, 9); del periodo ellenistico (strato 7);
del periodo erodiano (strato 6), e del periodo romano successivo alla distruzione del 70 d.C. (strato 5). Le aree presentano muri di contenimento, edifici
domestici e terrazzamenti extra-murali, che si trovano fuori della cinta muraria
posta in alto sulla cresta della collina. Unappendice al cap. 2 (pp. 73-74) presenta lo studio di una figurina marmorea molto mal conservata. Per di pi,
loggetto dopo essere stato fotografato e studiato sparito. La figurina presenta due leoni sdraiati.
Nel cap. 3 (A. de Groot e D.T. Ariel) viene studiata la ceramica delle Aree
B e D. presentata la ceramica a partire dallo strato 21 (Calcolitico) fino allo
strato 9 (Periodo persiano). Il Medio e il Tardo Bronzo sono assenti, mentre
interessante la presenza di ceramica del Ferro I anteriore al X secolo a.C. (strati
15 e 14). Lo strato 12, con la ceramica dellVIII secolo a.C., risulta essere il
pi ricco di materiale. Si trova diffuso in tutta larea, e in abbondanza. Nello
strato 9 stata trovata poca ceramica del VI secolo a.C. Nello strato 9 comparsa ceramica di epoca persiana, a indicare che la rioccupazione della citt di
Gerusalemme dopo lesilio in Babilonia raggiungeva le Aree B e D. La ceramica degli strati 8 e 7 (ellenistica) non studiata in dettaglio, ma viene solo
presentata nelle Figure 28 e 29.
Il cap. 4 (D.T. Ariel e A. de Groot) contiene una discussione impegnativa dei
resti trovati nelle due Aree di scavo B e D1. Alle conclusioni raggiunte dai primi
scavi diretti da Y. Shiloh nel 1982 gli autori possono aggiungere i risultati delle
nuove campagne di scavi intraprese a partire dal 1995. In particolare, le due aree
studiate nel rapporto configurano un quartiere domestico cresciuto fuori delle
mura cittadine a partire dal X secolo a.C. per raggiungere il massimo di espansione durante la fase finale del Ferro II (VIII secolo a.C., strato 12).
Nel capitolo finale troviamo una nuova e interessante discussione su origine e funzione del tunnel n.1 (tunnel di Siloam) dovuta alle scoperte sensazionali fatte nei pressi della sorgente del Ghion. Lo scopo del primo canale era
chiaramente di portare lacqua vicino alla vasca chiamata oggi Birket alHamrah, ma i dettagli a questo punto si perdono. Non sono chiare ad esempio
le funzioni delle numerose finestre aperte lungo il corso del tunnel, e non
sempre sicura la sua datazione. In base ai risultati del recente scavo di R.
Reich e E. Shukron nei pressi della Fontana della Vergine (Ghion) risulta che
la prima parte del tunnel n.1 fu scavata gi nel periodo del Medio Bronzo e
che quindi il secondo settore del tunnel fu aggiunto molto tempo dopo per sopperire alle necessit della Gerusalemme israelitica (cf. S. Rosenberg, The
Siloam Tunnel Revisited, Tel Aviv 25 [1998] 116-130; R. Reich - E. Shukron,
Light at the End of the Tunnel, BA 25 [1999] 22-72). Le conclusioni delle
ricerche di D.T. Ariel e A. de Groot devono essere confrontate con i risultati
ottenuti nello scavo dellaltra area, posta pi a nord, e non sempre le spiegazioni degli archeologi concordano.
Pietro Kaswalder, ofm
590
RECENSIONI
Donald T. Ariel (et alii), Excavations at the City of David 1978-1985 Directed
by Yigal Shiloh. Vol. VI: Inscriptions (Qedem 40), The Institute of
Archaeology, The Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem 2000, X-194
pp., ills.
In questo volume dedicato alla memoria di Yair Shoham, epigrafista autorevole della spedizione diretta a suo tempo da Y. Shiloh, sono presentate le iscrizioni rinvenute su ostraca, sigilli, bullae, stampi di giare. il sesto volume della
serie che pubblica i rapporti di scavo effettuati nella Citt di Davide (Ophel) e
diretti da Y. Shiloh ed rivolto anzitutto agli specialisti di epigrafia.
Nel cap. 1, J. Naveh legge le 31 iscrizioni ebraiche e aramaiche purtroppo in
cattivo stato di conservazione. Praticamente sono spezzoni di iscrizioni quasi
incomprensibili e soggetti a varie ricostruzioni testuali e ipotesi di lettura. I testi
sono gi stati presentati in varie pubblicazioni; qui ricevono il loro contesto
archeologico ed epigrafico. Il primo testo (IN 1.) uniscrizione monumentale
incisa su una lastra di pietra rosa. La datazione proposta il VII secolo a.C.
Delle 4 linee originali sono parzialmente leggibili solo sette parole e il testo
finale alquanto controverso. La seconda iscrizione (IN 2.) fatta con inchiostro su una giara e si compone di 3 linee: il testo presenta tre nomi di persona
accompagnati dalla descrizione di una attivit: 1) s ben Ahiel, il laceratore?
di stracci; 2) yahu, ben isdiahu, il raccoglitore di argento; 3) yahu, ben
Yedayahu, il raccoglitore [di oro?] La terza e la quarta iscrizione (IN 3. e IN
4.) riportano due liste di cinque nomi scritti con inchiostro. Le altre iscrizioni
sono frammenti incompleti oppure con appena un nome o una parola. Unappendice di M. Sharon presenta un ostracon in lingua araba: scritto nellanno
102. Lanno 102 dellEgira il 720 d.C. in piena epoca omayyade; a questa data
risale la morte di Omar II a cui successe il califfo Yazid II.
Il cap. 2 a cura di Y. Shoham, deceduto prematuramente nel 1997, offre
tutti i frammenti di iscrizioni trovati su cocci di ceramica. Si tratta di incisioni
fatte prima o dopo la cottura del vaso. Si leggono alcune lettere dellalfabeto
ebraico. In una breve appendice M. Hfner presenta quattro ostraca in cui si
leggono lettere della lingua Sud Arabica, databili al periodo del Ferro II.
Il cap. 3, dedicato alla lettura delle bullae in ebraico, senza dubbio il pi
importante. Y. Shoham, sotto la direzione e la consulenza di J. Naveh,
ripropone la lettura delle 45 bullae, quasi tutte gi pubblicate da Y. Shiloh e
altri esperti. Erano state trovate nellArea G durante la campagna di scavo del
1982. Y. Shoham ripropone la lettura di tutte le bullae e una discussione dei
nomi, della scrittura e dellortografia impiegata. La maggior parte dei nomi (26
su 54 in totale) termina in -yahu, un elemento teoforico molto usato nel periodo del Ferro II (cf. Aiyahu, Azaryahu, Shemayahu, ecc.). Uno solo termina in -yah (cf. ananyah), ma su questo resta il dubbio a causa di una frattura
della bulla. Il risultato attuale conferma lipotesi che il teoforico -yah era poco
usato prima dellesilio di Babilonia. I nomi con lelemento teoforico -el sono
PEA I.
591
quattro: Elishama, Elnatan, Eliyaqim e Yishmael. Alcuni nomi non compaiono nellebraico dellAntico Testamento, ma sono letti su sigilli o altre iscrizioni (cf. Magen, Ahiab, bnzkr, y, rm, pn, tblm, zkr, Silla, Gaddiel,
Immadiyahu, Refayahu, ecc.).
Il cap. 4 a cura di B. Brandl ripropone la discussione di alcune bullae
anepigrafiche con decorazioni. Tra i motivi decorativi figurano un volatile (B
46), la sfinge (B 47), la divinit Sin (B 48), la colomba (B 49).
Nel cap. 5 Y. Shoham segnala 46 giare del tipo lmlk. Sette esemplari presentano lo scarabeo a quattro ali e 39 quello a due ali. I nomi pi usati sono
brn (Hebron, 13 volte), zf (Zif, 9 volte), mmt (Mamshit?, 4 volte) e wkh
(Soco, 1 volta). Su 31 manici compare il segno di circoli concentrici, quasi
sempre a fianco dello scarabeo a due ali.
Nel cap. 6 Y. Shoham presenta il sigillo di Elyaqim (ben) Mikha e poi
alcune impressioni di sigilli nei quali compaiono altri nomi di persona (ushai
(di) Elishama; Shallum (di) Aa (di) efanyahu).
Nel cap. 7 sono presentati 37 stampi con rosetta a cura di J.M. Cahil.
Nel cap. 8 Y. Shoham segnala i numerosi manici di pentole e altri vasi di
ceramica con incisioni. Si trova in prevalenza la lettera X, incisa con dimensioni e orientazione variabili.
Nel cap. 9 D.T. Ariel e Y. Shoham studiano alcuni manici con stampo di
epoca persiana e ellenistica. Tra i segni si notano il leone, la croce, la ruota, la
lettera et e la gemma. Tra le parole prevalgono i nomi di yhwd, yhd e yh. In
22 stampi, composti da una stella a cinque punte, compare il nome yrlm.
Nel cap. 10 D.T. Ariel offre la concordanza del luogo di provenienza di
tutti gli oggetti pubblicati nei volumi V e VI della serie.
Pietro Kaswalder, ofm
592
RECENSIONI
mo essere grati a padre Ignacio Pea, da decenni impegnato nello studio delle
antichit cristiane di Siria, per aver dedicato una monografia ai ricordi della
devozione del pellegrinaggio tra le comunit cristiane di Siria. La recente visita di Papa Giovanni Paolo II a Damasco in occasione del Grande Giubileo cristiano (5-7 Maggio, 2001) ha ridato nuovo slancio ad una pratica che ha
sempre fatto parte della vita di queste comunit di origine apostolica.
Le orazioni di San Giovanni Crisostomo nativo di Antiochia capitale della
provincia romana di Siria in onore dei Santi Martiri Babila, Barlaam, Ignazio,
Giuliano, Foca, Iuventino, Luciano, Roano, Massimino, Eustatio, Melezio
un muro invincibile a protezione della citt diventata Theopolis la citt di Dio
, e le vite degli asceti siriani raccontate da Teodoreto vescovo di Cirro
attestano non solo la venerazione che le popolazioni cristiane nutrivano per i
loro santi, ma leccezionalit coraggiosa e lordinariet di una vita cristiana
diventata normativa anche per altre comunit dellimpero.
Lo storico Sozomeno racconta la prova di coraggio corale dimostrata dalla
popolazione cristiana di Antiochia al tempo di Giuliano lApostata che aveva
ordinato lo sfratto del corpo di san Babila dal quartiere di Dafne che limperatore voleva riaprire al culto di Apollo. Tutta la popolazione cristiana di
Antiochia accompagn in processione il corpo del martire posto su un carro
cantando salmi e cantici fino al luogo primitivo della sepoltura: Uomini e
donne, giovani e vergini, vecchi e bambini (laccompagnarono) facendosi coraggio a vicenda con il canto dei salmi durante il tragitto I salmi erano intonati da chi aveva ben imparato a cantarli, mentre la folla rispondeva alternando
in coro armonico lantifona seguente: Onta ai servi degli idoli, essi che si vantano della vanit. In onore del martire il vescovo Melezio tra il 378-380 fece
costruire una grande basilica a croce greca nel quartiere Qaussia sulla sponda
del fiume Oronte e il martire riprese la via del ritorno.
Teodoreto introduce la sua Storia Religiosa dedicata a 72 atleti della virt,
con ricordi personali sulla quotidianit devota della vita di ogni giorno: Ero
allora un ragazzo e accompagnavo mia madre nella visita che ella rendeva di
tanto in tanto allasceta Afraate il Persiano. Una volta egli non fece che socchiudere la porta, come era sua abitudine e intrattenerla un po prima di benedirla, ma a me mi fece entrare e mi don una parte delle sue eulogie. Di un
altro recluso Pietro il Galata ricorda: Spesso mi metteva sulle sue ginocchia e
mi offriva uva passa e pane.
San Giovanni Crisostomo nellomelia in onore del martire san Giuliano ad
un certo punto aggiunge: Quando lassemblea si sar dispersa, potete sedervi
nei pressi delloratorio del martire, sotto un fico o sotto una vigna, e procurare
al vostro corpo qualche soddisfazione.
lo stesso vescovo a incoraggiare con fine sensibilit pastorale il culto dei
martiri per stornarli dalle feste in onore degli idoli che si svolgevano nei templi
pagani e che ancora attiravano gli abitanti della citt: Si cantano gli inni, i
salmi, e le lodi a colui che vede ogni cosa, e si celebra in memoria di questi
PEA I.
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RECENSIONI
cata in onore della gloriosa Vergine in cui dodici monache e otto monaci servono assiduamente Dio e la Beata Vergine.
In quella chiesa vidi un quadro di legno della misura di un braccio in
lunghezza e di mezzo braccio di larghezza, posta sul muro, dietro laltare
del santuario, dentro una nicchia protetta da una grata di ferro a forma di
cancello. Anticamente fu dipinta su quel quadro limmagine della beata
Maria ma adesso ci che mirabile a dirsi, la pittura penetrata nel legno
ed emana incessantemente un olio odorifero superiore allodore del balsamo. Molti cristiani, saraceni e giudei, spesso vengono guariti con quellolio
da varie infermit.
Sta attento che quellolio mai viene a mancare per quanto se ne prenda.
Mai nessuno osa toccare il suddetto quadro, ma si concede che venga visto.
Lolio conservato religiosamente da un cristiano e se viene preso per qualsiasi infermit con devozione e fede sincera assistendo alle messe solenni celebrate in onore della Santa Vergine, senza dubbio otterr la grazia. Tutti i
Saraceni di quel territorio si radunano in quel luogo insieme ai cristiani nella
festa dellAssunzione e della Nativit della gloriosa Vergine per pregare; i
Saraceni offrono con la pi grande devozione le loro preghiere rituali.
Nota che questo quadro fu fatto in Constantinopoli e dipinto in onore della
beata Vergine. E da l fu portato a Gerusalemme da un patriarca. A quellepoca
una badessa del sopradetto luogo di Sidnaia ando a Gerusalemme per pregare,
e ottenuto quel quadro dal patriarca lo port alla chiesa a lei affidata. Ci accadde nellanno dellIncarnazione 870. Ma in seguito il sacro olio cominci a
uscire per molto tempo da quellimmagine.
I cronisti cristiani e musulmani ricordano la grande devozione che i
Templari ebbero per il santuario di Sardanale, che visitavano, con il permesso del Sultano, durante i periodi di tregua. Fu visitato anche dal fratello di
Saladino Malek al-Adil. Gli stessi cronisti arabi narrano che fino al tempo di
Nur ed-Din, i sultani di Damasco inviavano 50 misure di olio annue per le lampade che ardevano davanti alla sacra immagine.
Michele Piccirillo, ofm
595
Das vorliegende Werk hat es sich zur Aufgabe gemacht, alle bisher in
Palmyra gefundenen Textilien zusammenfassend zu dokumentieren, als Abschlu eines Projektes, das Dokumentation und Restauration der Funde umfate. Obwohl das Thema klar eingegrenzt ist Dokumentation nur der
Textilien aus einem geschlossenen Komplex handelt es sich dabei um ein
komplexes Unternehmen. Themenbereiche, die dem auf den Nahen Osten spezialisierten Archologen ferner liegen, wurden deshalb anderen Autoren anvertraut (die Seiden mit chinesischen Inschriften: Lothar von Falkenhausen, die
farbanalytischen Untersuchungen: Harald Bhmer und Recep Karadag, die
Analyse der Goldfden: Anna Rinuy).
Die Einleitung beschreibt Forschungsgeschichte und Arbeitsziel. Die Textilien stammen aus sieben Grbern, die ins 1. und 2. Jahrhundert n. Chr. datiert
werden knnen. Eine genauere Datierung dagegen ist kaum mglich, es finden
sich allenfalls Hinweise auf eine relative Chronologie. Da die Grber von alters her zugnglich waren, befanden sich die Textilien in der Regel nicht mehr
im originalen Kontext, und es ist auch mit der Mglichkeit zu rechnen, da in
spteren Zeiten Textilien hinzugekommen sind. Einerseits sind die Textilien
und vor allem ihre Farben durch Lichtabgeschiedenheit und Trockenheit hervorragend erhalten, andererseits wurden fast alle Stoffe schon in der Antike
zerteilt, um sie ihrem neuen Verwendungszweck anzupassen. Die Toten wurden nmlich nicht in ihren Kleidern bestattet, sondern die Stoffe wurden zum
Bandagieren zerschnitten und zum Teil neu vernht. Bei den Textilienfunden
ist zu unterscheiden zwischen denen, die in den 30er Jahren geborgen und
grtenteils von Rudolph Pfister untersucht und beschrieben wurden und den
Neufunden aus den 80er und 90er Jahren. Vorliegendes Buch greift Pfisters
Werk auf, aktualisiert es und bringt die Neufunde dazu in Beziehung. Abschlieend geht die Einleitung noch auf Konservierung und Prsentation der
Textilien ein. Sie benennt die Probleme bei den Altfunden mit den damaligen
Konservierungs- und Lagerungsmethoden und beschreibt detailliert die modernen Konservierungsmanahmen. Eine zustzliche Schwierigkeit solch eines
Projektes im Nahen Osten kann man zwischen den Zeilen erkennen, wenn es
heit: Die an dem Projekt beteiligten Institutionen und Personen standen in
keinem Kontakt mit dem Kunst- und Antikenhandel. (S. 6)
Das Kapitel Material und Technik beschreibt die verschiedenen Fasern
Leinen, Schafwolle, mglicherweise Wolle von Kaschmirziegen, Ziegenhaar,
Baumwolle, Seide (echte und sogenannte Wildseide), und hochqualitative
Mischgewebe - und die Arten, aus den Fasern Fden zu spinnen (mit Rckschlssen auf die Herkunft); es beschreibt separat die verwendeten Goldfden
und deren Analyse; es liefert Informationen ber Frbe- und Webtechniken,
Walken, Dekorationen (vor allem der Seidenstickereien) und Nhte; es versucht die Rekonstruktion von Kleidern und Dekorationen (wobei sowohl rmischer als auch parthischer Einflu zu erkennen ist). Es ist auffallend, wie
aufwendig die Techniken, wie wertvoll die Stoffe und wie hoch ihre Qualitt
596
RECENSIONI
PEREGRINATIONES
597
von Breydenbach Bernhard, Peregrinationes. Un viaggiatore del Quattrocento a Gerusalemme e in Egitto. Ristampa anastatica dellincunabulo. Traduzione italiana e note di G. Bartolini e G. Caporali. Prefazione di M. Miglio.
Saggio introduttivo di G. Bartolini, Vecchiarelli Editore Roma nel Rinascimento, Roma 1999, XXIII-316 pp. + 186 (ripr. inc.), ills., L. 80.000.
Nellattivit editoriale e di studio riguardante il complesso fenomeno del pellegrinaggio, opera pia ma nello stesso tempo anticipazione dellesplorazione
598
RECENSIONI
PEREGRINATIONES
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ti che arrivano l dalle terre cristiane e di alcuni altri principi fedeli che, mossi
dalla devozione per i luoghi sacri e dalla piet cristiana, non trascurano di far
avere loro ogni anno delle elemosine.
Questi stessi francescani accolgono con benevolenza i pellegrini che via
via arrivano, li trattano caritatevolmente, mostrano loro i luoghi santi, curano
gli infermi e li aiutano per quanto possono nella varie incombenze. Gli stessi
frati hanno col un monastero sul monte Sion, dove stanno tutti insieme 24
frati, al servizio del Santissimo Signore. Non lontano di l hanno da curare e
provvedere a un convento femminile di S. Chiara, e l ci sono almeno sei suore. Ma hanno anche in affidamento il tempio della gloriosa Vergine Maria a
Betlemme e nello stesso posto un convento con 6 frati dellOrdine, che custodiscono e mantengono devotamente il Santissimo Presepe del Signore. Anche
allinterno del tempio del glorioso Sepolcro del Signore, tengono sempre due
frati che cambiano spesso e ne mandano con continuit sempre degli altri.
Gli stessi frati devono provvedere alle necessit di tutti questi luoghi e
persone. E nondimeno subiscono grandissime e continue vessazioni e molestie, come facile immaginare, tanto dagli infedeli quanto dagli eretici di cui
si parlato, che li insultano e li dileggiano, affliggendoli grandemente e
amareggiando loro la vita. Tuttavia sono certo che se essi non fossero presenti
sul posto, noi Latini avremmo difficolt ad accedere in sicurezza ai luoghi santi, tanto lodio e labominazione che portano nei nostri confronti quei perfidi
e grandissimi apostati del cristianesimo.
A questa testimonianza generale segue nel racconto del pellegrinaggio
lesemplificazione pratica giorno dopo giorno di quanto i frati facevano per i
pellegrini fin dal loro arrivo nel porto di Giaffa (p. 35). Arrivammo a Giaffa,
cio Joppen e fermammo la nostra galea gettando le ancore a poca distanza.
Il patron, secondo la consuetudine, mand subito alcuni dei suoi a Rama,
e a Gerusalemme per il salvacondotto, presso il padre Guardiano dei
francescani del monte Sion e per la guida dei pellegrini che comunemente si
chiama turcimanno Il 5 di luglio, infine, giunsero a Giaffa i cavalieri del
soldano che presso di loro si chiamano mamelucchi, e insieme con loro il
padre guardiano nominato sopra, con due suoi confratelli che ci portarono da
Rama e da Gerusalemme il salvacondotto scritto... L8 luglio furono portati
gli asini a tutti noi pellegrini, con i quali in tre ore giungemmo a Rama
Arrivati a uno jugero da Rama fummo costretti a scendere dagli asini, a camminare a piedi, e a portare ciascuno le sue cose sulle spalle Quindi fummo
di nuovo contati e rinchiusi in una vecchia costruzione. Ci sono molti edifici
a volta e una fonte con acqua abbastanza buona. Questa casa stata attrezzata come ospizio per i pellegrini da Filippo duca di Borgogna, di buona memoria, e assegnata ai frati del monte Sion, e quindi si chiama anche ospedale
dei pellegrini. Il giorno 9 luglio, per ordine e disposizione del padre guardiano, uno dei suoi frati celebr la messa davanti a noi a Rama e, giunto
alloffertorio, rivolgendosi a noi ci diede istruzioni sul modo di comportarci
600
RECENSIONI
in Terra Santa, esponendoci le regole in latino, in italiano e in tedesco cinque regole da tenere ben presenti per non rendere vane le fatiche e spese del
vostro pellegrinaggio sino a qui. Istruzioni in lingua tedesca che quasi sicuramente furono spiegate da padre Paul Walther da Guglingen che divenne uno
dei collaboratori del Breidenbach.
Una volta espletate le pratiche burocratiche, guidati dai frati, i pellegrini
iniziano il loro pellegrinaggio dirigendosi verso Gerusalemme dove vennero
alloggiati nellospedale davanti al Santo Sepolcro. Nel loro giro della citt
giungono anche al convento del Monte Sion dove vengono invitati a mangiare
con i frati, dopo la processione seguita dalla Santa Messa (p. 40). Dopo aver
girato per tutti questi luoghi entrammo nel convento del monte Sion dove c
una bella chiesa a volte che, come credo, era stata addobbata e preparata pi
accuratamente del solito per il nostro arrivo con preziosi tappeti e ornamenti
appesi alle pareti: queste cose furono donate alla chiesa da Filippo duca di
Borgogna, per sua devozione, insieme con un sussidio annuo, finch visse, di
1000 ducati, per il mantenimento dei frati che servono Dio. E il suo successore, lattuale vittorioso e illustrissimo duca di Borgogna Massimiliano (Primo
dAsburgo), ha seguito lesempio dei suoi predecessori. Appena noi pellegrini
fummo entrati, i frati celebrarono solennemente lufficio della messa, completato il quale, vestiti dei loro sacri paramenti, fecero una processione che noi
seguimmo, come di costume Finita la processione, fummo invitati dal
guardiano e dai suoi frati, com dabitudine, a mangiare con loro.
Unaltra bella pagina il racconto della doppia visita alla basilica del Santo Sepolcro (p. 43) e alla basilica della Nativit a Betlemme (p. 51). Il 12 luglio ad ora di vespro, i pagani, cio i rettori della citt santa di Gerusalemme
ci fecero entrare nel venerando tempio del Sepolcro del Signore: dopo aver
aperto le porte ci contarono e ognuno di noi pag 5 ducati; e in nessun altro
caso questo tempio viene da loro aperto se non quando arrivano i pellegrini o
per dare il cambio ai frati che sono l come custodi. Appena fummo entrati,
richiusero il tempio. Con noi entrarono anche il guardiano e molti suoi
confratelli Visitammo devotamente gli altri luoghi di questo tempio con devozione per tutta la notte andando in giro in modo di processione, mentre i frati
minori ci precedevano e spiegavano. I luoghi sono questi, per elencarli in dettaglio: prima la cappella del Sepolcro del Signore... poi una cappella dedicata
in onore della gloriosa Vergine Maria, nella quale il padre guardiano e i suoi
confratelli entrarono e indossarono i sacri paramenti e cominciarono una solenne processione con canti, che noi seguivamo passo a passo, sino ad arrivare
allaltare maggiore della chiesa Alla fine, in processione, entrammo nella
sopra ricordata venerabile cappella, ampia e rotonda, nel cui centro si trova il
glorioso Sepolcro del Signore Usciti di qua tornammo nella prima cappella
dedicata alla Vergine Maria, da cui era partita la processione, che l si concluse. Finita la processione, ciascuno si rifocill con cibo e bevande e per il resto
della notte ognuno and qua e l visitando nel tempio i luoghi sacri secondo i
PEREGRINATIONES
601
propri voti e desideri. Quelli che allalba si sarebbero comunicati confessavano, ciascuno per conto suo, i propri peccati ai confessori che erano l per questo. Nel giorno successivo, cio il 14 luglio, dopo aver ascoltato la messa
nellospedale di San Giovanni, visitammo i luoghi santi al seguito del guardiano e di alcuni suoi confratelli che ci precedevano e ci illustravano. Venuta la
sera del 14 luglio, festa della dispersione degli apostoli, ci recammo al monte
Sion dai frati, dove trovammo gli asini gi preparati e, saliti su di essi, arrivammo a Betlemme ad una bellissima chiesa consacrata in onore della Vergine Appena giunti l i francescani composero una processione e noi li
seguimmo subito tenendo in mano le candele accese Nello stesso giorno,
cio il 15 luglio, tornammo a Gerusalemme circa allora di pranzo.
Il Breidembach con il padre domenicano Felix Fabri che faceva parte del
gruppo, uno dei primi testimoni della pratica di investitura dei Cavalieri del
Santo Sepolcro, nata proprio in questi anni per la presenza a Gerusalemme nel
convento del Monte Sion di un terziario francescano tedesco, che se ne fece
propagatore (I. Mancini, La Custodia di Terra Santa e linvestitura dei Cavalieri del Santo Sepolcro, in: Militia Sancti Sepulchri. Idea e Istituzioni, Atti
del Colloquio Internazionale a cura di K. Elm e C.D. Fonseca, Citt del Vaticano 1998, 289-309). Dopo aver mangiato ci riposammo un poco perch la
notte successiva ci avrebbero fatto entrare per la seconda volta nel tempio del
Sepolcro del Signore. Secondo una vecchia consuetudine, infatti, i pellegrini
vengono fatti entrare tre volte Allalba del giorno dopo, cio il 16 luglio,
molti dei nostri compagni di pellegrinaggio nobili di nascosto dai pagani che
non tollerano questo fatto presero il cingolo militare (furono investiti cavalieri del S. Sepolcro) e compirono i riti tradizionali conseguendo cos il titolo
militare.
Alcuni frati si unirono al gruppo dei pellegrini che raggiunse il fiume
Giordano (p. 54): Il giorno dopo, cio il 18 luglio, prendemmo la direzione
del Giordano Vennero con noi alcuni frati del monte Sion e ci accompagnarono alcuni pagani per non cadere di nuovo nelle mani degli Arabi.
Il canonico inoltre si assunse le spese di due frati che fecero parte del
gruppetto di 18 pellegrini che proseguirono il viaggio fino a Santa Caterina al
Sinai: cerano anche due francescani, Paul e Thomas (da Cracovia), esperti in
molte lingue. Quel Paul padre Paul Walther da Guglingen incontrato in Terra Santa che collabor direttamente alla realizzazione dellopera.
Dando il giusto merito e ringraziamento ai curatori, in particolare a Gabriella Bartolini alla quale si deve la nutrita e solida introduzione storica, personalmente ai fini del lavoro, pi che la riproduzione anastatica del volume
originale (sarebbe bastata qualche pagina a esemplificazione), avrei preferito
la trascrizione del testo latino per rendere pi maneggevole il lavoro di consultazione dellopera.
Michele Piccirillo, ofm
602
RECENSIONI
Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, Viaggio del cuore in Terra Santa,
Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2000, 399 pp., L. 35.000, E. 18,08.
Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, In Terra santa con i Papi, Edizioni
Piemme, Casale Monferrato 2000, 96 pp., L. 12.000, E. 6,20.
1. Una parola sul titolo di questa pubblicazione dalla grafica molto curata sui
santuari di Terra Santa, preparata da padre Marco Adinolfi in collaborazione
con padre Gian Battista Bruzzone che operano nel Centro Propaganda e Stampa di Terra Santa in Milano. Il termine cuore purtroppo svilito nel linguaggio corrente, ma esso usato qui nel senso pi genuino della Bibbia a indicare
le profondit dellessere dellindividuo nelle quali avviene il contatto con Dio.
Non si tratta dunque di unaffannosa scorribanda tra una localit e laltra della
Terra Santa che lascia in superficie le impressioni dei vari santuari. Come si
dice nella presentazione, il libro intende far percepire e assaporare il messaggio biblico appena si indugi su questa o su quella pagina.
Lineare la struttura del volume che pur raggiungendo le 400 pagine, si legge con agilit e interesse. I santuari di Terra Santa sono visti nelle tre zone di
cui si compone il paese: la Galilea, la Samaria e la Giudea, termini ormai familiari a ogni cristiano dalla lettura e dallascolto dei Vangeli. La presentazione di ogni santuario inizia con una delle pi antiche testimonianze di autori
vissuti o venuti in pellegrinaggio nella terra di Ges, da Eusebio di Cesarea a
Egeria, dallAnonimo di Piacenza a S. Giustino, Origene e S. Girolamo. Segue un brano di un Padre della Chiesa che trasmette il messaggio spirituale del
luogo. Si passa poi ai brani evangelici ampiamente citati e diligentemente commentati, relativi agli eventi della storia della salvezza ivi accaduti o commemorati. Ogni paragrafo termina con una preghiera liturgica preceduta da un
breve testo di un pellegrino moderno, da Joergensen a Frossard, da Barzini a
Piovene, che ricorda lesperienza del suo incontro con i Luoghi Santi e i
francescani.
Sono molte le finestre che si aprono sulla storia passata o sulla vita di
oggi in campo pastorale, liturgico, sociale e culturale dei Francescani che da
circa otto secoli custodiscono i Luoghi Santi per incarico dei Romani Pontefici. Non poteva mancare a questo riguardo laccenno ai risultati degli scavi degli archeologi francescani in questultimo secolo.
Arricchiscono il volume oltre trenta medaglioni di personaggi nati o vissuti in Palestina, da Abramo a Isaia, da S. Pietro a Maria di Magdala, oppure
di celebri visitatori antichi o recenti, come S. Francesco dAssisi e S. Ignazio
di Loyola, Geremia Bonomelli e Angelo Roncalli, Matilde Serao e Cesare
Angelini.
Il viaggio del cuore in Terra Santa non dunque una delle numerose
guide che indicano puntigliosamente al pellegrino tutte e singole le localit da
visitare. E neppure un prontuario per la celebrazione del Grande Giubileo del
Duemila. un libro che sul filo del discorso biblico invita a prepararsi ade-
603
LIBRI RICEVUTI
Adinolfi Marco, Alle limpide correnti della Bibbia (Odorifera verba Domini
1), Centro Propaganda e Stampa di Terra Santa Dragonetti Edizioni, Milano
- Montella 2000, 320 pp., L. 35.000.
Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, Viaggio del cuore in Terra Santa,
Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2000, 399 pp., L. 35.000, E. 18,08.
Adinolfi Marco - Bruzzone Gian Battista, In Terra santa con i Papi, Edizioni
Piemme, Casale Monferrato 2000, 96 pp., L. 12.000, E. 6,20.
lvarez Barredo Miguel, La iniciativa de Dios. Estudio literario y teolgico
de Jueces 1-8 (Publicaciones Instituto Teolgico Franciscano. Serie Mayor 31),
Editorial Espigas, Murcia 2000, 327 pp.
Ariel Donald T., Excavations at the City of David 1978-1985 Directed by Yigal
Shiloh. Vol. V: Extramural Areas (Qedem 40), The Institute of Archaeology,
The Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem 2000, 169 pp., ills.
Schmidt-Colinet Andreas - Stauffer Annemarie - al-Asad Khaled et alii, Die
Textilien aus Palmyra. Neue und alte Funde (Damaszener Forschungen 8),
Verlag Philip von Zabern, Mainz am Rhein 2000, XII-201 pp., ills.
Attridge Harold W., La lettera agli Ebrei. Commento storico esegetico (Letture bibliche 12), Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 1999, 724 pp.,
L. 88.000.
Barth Marcus - Blanke Helmut, The Letter to Philemon. A New Translation
with Notes and Commentary (The Eerdmans Critical Commentary), William
B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, 2000, XVIII-561 pp.,
$ 40.00, 25.00.
Bosetti Elena, Marco. Il rischio di credere (Bibbia e catechesi), Edizioni
Dehoniane, Bologna 2000, 153 pp., L. 22.000
Cervera i Valls Jordi, Esa, el rebutjat de la comunitat. Tradicions jeuves en
He 12,16-17 (Collectania Sant Paci 67), Edicions Facultat de Teologia de
Catalunya, Barcelona 1999, 229 pp.
LIBRI RICEVUTI
605
Clarke Andrew D., Serve the Community in the Church. Christians as Leaders
and Ministers (First-Century Christians in the Graeco-Roman World), William
B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan - Cambridge, U.K.
2000, IX-305 pp., $ 30.00, 15.99.
Donfried Karl P. - Beutler Johannes (eds.), The Thessalonians Debate.
Methodological Discord or Methodological Synthesis?, William B. Eerdmans
Publishing Company, Grand Rapids, Michigan - Cambridge, U.K. 2000, XVI384 pp., $ 25.00, 15.99.
Ferrer Joan - Nogueras Maria Antnia, Manual de Gramtica Siraca
(Estudios de Filologa Semitica 2), Universitat de Barcelona, rea dEstudis
Hebreus i Arameus, Barcelona 1999, 151 pp.
Ferrer Joan - Nogueras Maria Antnia, Breve Diccionario Siraco, SiracoCastellano-Cataln (Estudios de Filologa Semitica 1), Universitat de
Barcelona, rea dEstudis Hebreus i Arameus, Barcelona 1999, V-324 pp.
Figueras Pau, From Gaza to Pelusium. Materials for the Historical Geography
of North Sinai and Southwestern Palestine (332 BCE 640 CE) (Beer-sheva.
Studies by the Department of Bible and Ancient Near East, XIV), Ben-Gurion
University of the Negev Press, Beer-sheva 2000, XIII-384 pp., ills.
Forte Bruno, Apocalisse. Introduzione e traduzione, Edizioni San Paolo, Milano 2000, 130 pp., L. 18.000.
Forte Bruno, Dove va il Cristianesimo? (Giornale di Teologia 271), Edizioni
Queriniana, Brescia 2000, 164 pp., L. 20.000.
Forte Bruno, Piccola Mistagogia. Introduzione spirituale alla fede
(Spaziopreghiera), Edizioni Paoline, Milano 2000, 99 pp., L. 6000.
Freedman David Noel - Myers Allen C. - Beck Astrid B., Eerdmans
Dictionary of the Bible, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand
Rapids, Michigan - Cambridge, U.K. 2000, XXXIII-1425 pp., ills., $ 45.00,
30.00.
Gignoux Philippe, Rassembler au monde. Nouveax documents sur la thorie
du macro-microcosme dans lantiquit orientale (Bibliothque de lEcole des
Hautes tudes 106), Brepols, Turnhout 1999, 194 pp., BEF 1457,29.
Goh Lionel - Chee Kong Lee (eds.), Bible 2000 Exibition, Studium Biblicum
Hong Kong Hong Kong Bible Society, Hong Kong 2000, 93 pp., ills.
606
LIBRI RICEVUTI
LIBRI RICEVUTI
607
608
LIBRI RICEVUTI
LA 50 (2000) 609-621
I. STUDENTI
Nellanno accademico 1999 2000 hanno frequentato lo Studium Biblicum
Franciscanum 64 studenti, di cui 44 ordinari, 12 straordinari, 8 uditori. Due
studenti hanno difeso la tesi di laurea e dieci hanno conseguito la licenza.
Tesi di Licenza
ABI-AAD R., Le Liban dans lAncien Testament Histoire et images, 103 pp.
(moderatore: A. Niccacci).
ARIAS M., Las ltimas dos copas del Apocalipsis. Un estudio exegticoteolgico de Ap 16,12-21, 138 pp. (moderatore: F. Manns).
CASTILLO S., Yo soy la vid, vosotros los sarmientos (Jn 15,1-17), 105 pp.
(moderatore: F. Manns).
CHIOVARO V., La Sapienza ordine di relazioni. Lettura esegetica di Sap 8,221 e Sir 51,13-30 nel contesto sapienziale, 94 pp. (moderatore: A. Niccacci).
DE LUCA S., La predicazione agli spiriti in prigione in 1Pt 3,18-20a e i suoi
influssi sulla concezione del descensus ad inferos nei primi secoli, 123 pp.
(moderatore: F. Manns).
GARAU A., Deuteronomio 4,1-40. Una delle formulazioni definitive del monoteismo mosaico, 88 pp. (moderatore: E. Cortese).
RENDN G., La enseanza de Jess sana y libera. Estudio exegtico de Lc
13,10-17, 149 pp. (moderatore: G.C. Bottini).
SZYMANSKI P., Nagroda dla zwyciezcy w listach do ksciow (Ap 2-3), 106
pp. (moderatore: L.D. Chrupcaa).
VELASCO A., Autoridad y servicio. Ensayo exegtico-teolgico de Lc 22,2430, 98 pp. (moderatore: G.C. Bottini).
WJTOWICZ R., Studio esegetico di Ap 21,1-5b. Ecco la tenda di Dio con
gli uomini, 122 pp. (moderatore: F. Manns).
612
Tesi di Laurea
NALUPARAYIL Jacob Chacko, The Identity of Jesus in Mark, Jerusalem, 1999,
xviii 746 pp. (patrono: N. Casalini; correlatore: G.C. Bottini; censore: G.
Bissoli).
Who is Jesus according to the gospel of Mark? A variety of answers have been
given to this question in the course of Markan research, each one emphasizing
a particular aspect of Marks presentation of Jesus. As a consequence, there
appears to be no consensus on the Markan Christology. It is against this background that the present dissertation, under the title The Identity of Jesus in
Mark, attempts to answer the question of Jesus identity.
This dissertation progresses in three stages, each stage forming a part of
the thesis, viz., part I, preliminary investigations, part II, Jesus of the Markan
narrative, and part III, Jesus-Son of Man is Christ the Son of God.
Part one: Preliminary Investigations. This part of the thesis is intended to
prepare the necessary background for the research as such. It comprises of
three chapters. Chapter one undertakes mainly a survey of scholarly research
on the question of Jesus identity in Mark and evaluation of the current methodologies. It produces two prominent results.
One, among the different Christological theories, the Son of God
Christologies which emphasize the title Son of God, and the Son of Man
Christologies which acknowledge the predominance of the Son of Man,
dominate the present Christological discussion. In addition, the attempt to negotiate a balance between these two poles is found in the polar Christology
and the integrative Christology.
Two, an evaluation of the prevalent methodologies leads us to the decision
to apply in this research a combined methodology of narrative criticism and
synoptic comparison.
Q and pre-Markan collections constitute two streams of pre-Markan tradition. In chapters two and three I attempt to compare the Christology of these
two streams of pre-Markan tradition with that of Mk. These comparisons
should enable us to arrive at some preliminary indications on the prominent
Christological trends of Mark. The outstanding results of these two comparisons are the following.
One, Mk shares in the pre-Markan traditions common heritage of employing the designation the Son of Man as the name of the divine person
present in Jesus of Nazareth, by sustaining its distinctive feature as the unique
and exclusive self-designation of Jesus. Two, all other Christological titles in
the pre-Markan tradition play a qualifying role to the divine name the Son of
Man. Mk appears to elaborate this pre-Markan Christological speciality by
developing the two titles the Christ and the Son of God as confessional
Christological titles. Three, Mk uses one sphere of the Son of Mans life-his-
613
tory, viz., his destiny of death-resurrection which is his earthly mission, in order to elucidate the confessional Christological titles of the Christ and the Son
of God.
In part two of the dissertation, I try to answer the question of Jesus identity by making use of narrative criticism. I concentrate here on three narrative
elements of Mark. Each of these narrative elements constitutes a subsequent
chapter of the thesis: chapter 4, the plot of Mark and Jesus; chapter 5, points
of view and Jesus; and chapter 6, Jesus the protagonist of Mark.
The important results of narrative analysis can be thus summarized. The
development of the plot with its corresponding affective response in the reader
displays that Jesus is the divine Son of Man, whose way is entrusted with
the reader in order to be followed. Points of view of God, Jesus, and the narrator converge, providing us with a reliable answer that Jesus is the divine Son
of Man on earth. The reconstruction of the character Jesus through analysis of
his character traits testifies that the Son of Man operates as the name of the
divine person present in Jesus of Nazareth. Thus the narrative analysis has
shown that the Son of Man functions as the name of the divine person
present in Jesus and consequently the identity question stands definitely answered that Jesus is the divine Son of Man on earth.
Part three is designed to investigate closely into the two principal designations of Jesus, viz., the Son of Man and Christ the Son of God.
In chapter 7, i.e., Jesus-the Son of Man, I take a closer look at the exclusive features of the Son of Man by analyzing all instances of the Son of Man
designation in Mk. This enables us to expose all what Mk wants to communicate to the reader about his protagonist, Jesus-Son of Man, i.e., features of his
personality, his earthly mission, his divine power, his destiny, his pre-existence,
his future office etc. The most important result is the following. The protagonist of Mk, Jesus of Nazareth, has the self-consciousness that he is the heavenly Son of Man on earth, whose life span comprises of three phases, i.e., his
earthly life, his existence prior to his coming on earth, and his future coming
at eschaton.
Now, the remaining question is about the relation between the designations
the Son of Man and the Son of God. What is the meaning and function of
the Christ, the Son of God in its association with the name the Son of
Man? To find an answer to this question, chapter 8, i.e., Jesus, the Christ the
Son of God, takes up all instances of the title the Son of God and its equivalents. As a result, we discover that the Son of Man is Gods Son or the Father
of the Son of Man is God. While the Son of Man stands for the identity of
the divine person, the titles the Christ and the Son of God play qualifying
roles to the person, expressing one or other aspect of the Son of Man. These
two titles are used in Mk as confessional titles to the person, Jesus-Son of Man.
In addition, one finds in the narrative a systematic reinterpretation of the
Christ, the Son of God with the earthly phase of the Son of Mans life, i.e.,
614
his destiny of suffering, death, and resurrection. In other words, the earthly
phase of the Son of Mans life is used to expose the significance of these two
confessional titles.
The following thesis is formulated as the final conclusion: according to
Mk, Jesus is the Son of Man on earth (2:10). The designation the Son of Man
stands for the identity of the divine person present in Jesus of Nazareth. It functions as the name of the divine person whose earthly name is Jesus. This thesis
is anchored on the textual evidence of a unique feature of the designation the
Son of Man. That is, it is consistently used in Mk as the unique and exclusive
self-designation of Jesus. It is used only for Jesus and only by Jesus. By means
of the narrative analysis we discovered that the narrator guides the reader towards the perception that the divine person present in Jesus of Nazareth as the
Lord (1:2-3) and the beloved Son of God (1:11) is the Son of Man on earth
(2:10, 28). Moreover, in the world of story Jesus considers himself to be the
heavenly Son of Man on earth. That means, the protagonist of the story of
Mark has the self-perception that he is the Son of Man. That the narrative noun
the Son of Man operates as the locus of all supernatural traits of the protagonist confirms it as his divine name. In short, what the narrator recounts is
the story of the Son of Man, whose life span comprises of three phases: his
earthly life, his future coming at eschaton, and his existence prior to his coming on earth (J.C. N.)
DOUGHERTY Damien R., Isaian Servant, Lucan Savior. The Use of Isaiah
52,13-53,12 (LXX) in Luke-Acts and the Meaning of the Death of Jesus, Jerusalem 1999, XVIII-321 pp. (patrono: G.C. Bottini; correlatore: A.M. Buscemi;
censore: F. Manns).
Table of Contents
Chapter One: Theologia crucis, Theologia gloriae: State of the Vexata Quaestio.
Chapter Two: The servant of Yahweh in Deutero-Isaiah.
Chapter Three: Jesus reckoned with the wicked. Isaiah 53,12d in Luke 22,37
and 23,33-34.
Chapter Four: Jesus humiliated and exalted. Isaiah 53,7-8 in Acts 8,32-33.
Chapter Five: Jesus Servant and Righteous. Isaiah 52,13 and 53,11-12 in
Acts 3,12-26 and 4,27.30.
Conclusions
This dissertation was undertaken in an attempt to respond to a genuine
need which came to the surface as a result of our rather extensive survey to
examine the history of the Theologia crucis/Theologia gloriae issue as well as
the entire spectrum of theories concerning the nature of the soteriology that
emerges from Luke-Acts and the many and varied explanation for presumed
615
omissions. As the debate over whether or not Luke-Acts attributes an expiatory value to the death of Jesus has endured for well over a century and a half
and appeared deadlocked, it was decided to approach the solution of the problem from a rather novel route, taking the lead from a preliminary article of
G.C. Bottini who contended that the manner in which Luke utilized allusions
and citations to the Deutero-Isaian Suffering Servant Songs in the course of
his narrative could serve as a key to a deeper comprehension of Lucan
soteriology.
To the degree that exegetes apprehend and utilize the paradigm of the Suffering Servant in their comprehension of the Lucan passion narrative, they will
subscribe to an interpretation of Luke that will enable them to perceive and to
appreciate his soteriology of the salvific value of the death of Jesus as a vicarious expiation for sin. The evidence for the Lucan utilization of the Suffering Servant title-theme which permeates the Gospel and the Acts of the
Apostles is far too strong to be ignored and, once it is studied comprehensively, it must be appreciated as the interpretative key to an understanding of
the expiation for sin accomplished through the crucifixion and death of Jesus.
616
617
Operazioni di restauro
Restauro del soffitto della Grotta del Getsemani. Gli affreschi di epoca medievale che decorano la volta della Grotta del Getsemani sono stati ripuliti e restaurati da una quipe di restauratori italiani durante i mesi di febbraio e marzo.
Pulitura dei mosaici del Calvario. Gli studenti del Jericho Workshop, sotto la direzione dellesperto Franco Sciorilli, hanno portato a termine la pulitura dei mosaici della volta e delle pareti della Cappela del Calvario.
Restauro dei cervi della Basilica dellAgonia. Il Grande Giubileo del 2000
iniziato con una amara sorpresa per i frati della comunit al servizio del santuario del Getsemani. La mattina dell11 febbraio, scoprirono che durante la
notte ladri audaci avevano divelto i due cervi dal frontone della basilica, mutilandoli barbaramente, perch gli zoccoli dei due animali erano restati inchiodati al loro posto. Un pronto intervento della polizia palestinese condusse,
qualche giorno dopo, al ritrovamento delle due sculture, opera pregevole di
Duilio Cambellotti. I due cervi erano privi delle corna, e con le zampe spezzate. Domenica 17 settembre, festa delle Stimmate di San Francesco, giunto a
Gerusalemme, via Monte Nebo, lo scultore Vincenzo Bianchi accompagnato
dai suoi aiutanti i signori Giovanni Venditti e Annino Cucciniello di Isola Liri.
I due cervi sono stati restaurati e rimessi al loro posto.
Spada di Goffredo di Buglione. E stato eseguito il calco della spada di
Goffredo di Buglione chiesto al padre Custode di Terra Santa dai Cavalieri del
Santo Sepolcro. Dopo aver chiarito le modalit economiche e tecniche, il calco stato eseguito dai tecnici dellIsrael Museum. La spada gi tornata nella
sacrestia del S. Sepolcro.
Restauro di libri. In occasione della mostra In Terra Santa. Dalla Crociata alla Custodia dei Luoghi Santi, su richiesta del Direttore del Museo, il Centro di Fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di Stato di Roma ha
618
V. BIBLIOTECA
Linformatizzazione continua a pieno ritmo e di pari passo procede il controllo
e la revisione di tutti i dati immessi nel computer. Gli utenti possono usufruire
di un tempo prolungato di accesso alla Biblioteca e di strumenti di ricerca aggiornati. Si dotata la prima sala di Consultazione, accanto allingresso, di un
computer in grado di leggere anche i CD-Rom che vengono a far parte del
patrimonio librario della Biblioteca.
Nel periodo settembre 1999 giugno 2000 sono entrati 1264 volumi: 519
allinterno delle collane, 511 volumi monografici, 234 in dono. Un notevole
lavoro durante lanno stato quello di recuperare titoli ordinati negli ultimi
anni ma mai arrivati.
VI. MUSEO
Nuove acquisizioni: peso di epoca bizantina con facciata di chiesa; peso di
epoca bizantina II+B; quattro scrapers da Tuleilat al-Ghassul.
Mostre. Gran parte degli oggetti esposti nella mostra: In Terra Santa. Dalla
Crociata alla Custodia dei Luoghi Santi, Palazzo Reale, Milano 17 febbraio 24 giugno 2000, provengono dalle collezioni del Museo dello SBF. Oggetti
dello stesso Museo sono stati esposti nelle seguenti mostre: Romei e Giubilei, Roma, Palazzo Venezia 1999; The Cradle of Christianity, The Israel
Museum, Jerusalem 2000; Truly Fake. Moses Wilhem Shapira, Master
Forger, The Israel Museum, Jerusalem, 2000.
619
TAVOLE
Y. Hirschfeld
J. Patrich
L. Bonato
M. Emery
C. Sanmor
C. Pappalardo
G. Bisheh
E. Gautier di Confiengo
I. Pea
M. Piccirillo
31 - 38
39 - 42
43 - 46
47 - 50
51 - 52
53 - 68
Y. HIRSCHFELD
Photo 5 (left)
The chancel
screen post
found in the
core of the
laura.
Photo 6 (right)
The stone base.
Photo 7
Remains of
vaults in the
northern tower,
looking
northwest.
10
11
12
13
14
Photo 28 A vault above a small spring near Cell 35, looking west.
Photo 30 The
cistern below Cell
31, looking
northwest.
15
16
17
18
Photo 36
The trowel.
Photo 37
The rock platform in front Photo 38
The retaining wall along
of the Hanging Cave, looking east. the path, looking southwest.
19
Photo 41
The openings of the Hanging Cave, looking northeast. Note the
central cistern being uncovered under the floor.
20
Photo 42
The interior of
the lower level of the
Hanging Cave, looking
east.
Photo 43
The opening
leading to the upper level,
looking southeast.
Photo 44
The interior of the
upper level, looking
northwest.
Photo 45
The niche in the
northwestern wall of the
cave, looking southwest.
21
22
Photo 46
The niche under the
opening to the alcove, looking
northwest.
Photo 47
The cavity in the floor
beside the niche, looking
northwest.
Photo 48
Hewings in the
rock in the southern wall of
the cave, looking southeast.
Photo 49
The alcove and the
mouth of the upper level of
the cave, looking east.
23
24
Photo 50
A rock-hewn niche
below the alcove, with a
cross above it.
Photo 51
The tethering hole
in the rock below the alcove,
looking down.
Photo 52
The alcove, looking east.
Note the crosses and monograms
painted in the eastern wall.
Photo 53
The opening of the
alcove, looking west.
25
26
Photo 54
Crosses and monograms painted on the plaster of the eastern side
of the alcove.
Photo 55
J. PATRICH
27
28
J. PATRICH
Photo 3
Upper story
debris in the E part of
the dolia hall.
Photo 4
Fallen sarcophagus at the entrance of
Vault 7.
J. PATRICH
Photo 5
St. Menas
flask from Caesarea.
Photo 6
St. Symeon the Elder flask
from Caesarea.
29
30
Fig. 14-15
in Caesarea.
J. PATRICH
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 1
31
32
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 2
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 3
33
34
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 4
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 5
35
36
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 6
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 7
37
38
L. BONATO - M. EMERY
Fig. 8
Le clotre de
Bethlem pendant les
travaux de restauration
excuts par larch. A.
Barluzzi (1948-1951).
Bagatti, Gli Antichi
edifici, Fot. 74.
Fig. 9
Le clotre de
Bethlem aprs sa
restauration. Bagatti, Gli
Antichi edifici, Fot. 77.
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
Foto 1
Ambiente E4.
Foto 2
Il forno.
Ambiente E4.
AYN AL-KANISAH
39
40
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
AYN AL-KANISAH
Foto 3
E2.
ambiente
Foto 4
ambiente
E5 con armadio e
sedile.
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
AYN AL-KANISAH
Foto 5
Foto 6
Kn 554-587-631.
41
42
C. SANMOR - C. PAPPALARDO
AYN AL-KANISAH
Foto 7 e 8
698-730.
Kn 697-
GH. BISHEH
Photo 1
Photo 2
43
44
GH. BISHEH
Photo 3
Photo 4
GH. BISHEH
Photo 5
Photo 6
Photo 7
Detail of room 2.
Photo 8
Detail of room 2.
45
46
GH. BISHEH
Photo 9
pottery.
Photo 10-11
fragments.
Umayyad
Stucco
E. GAUTIER
Foto 1
47
48
E. GAUTIER
Foto 2a
Foto 2b
E. GAUTIER
49
Foto 3a
Umm al-Rasas. Chiesa del Vescovo Sergio, luomo con il lettuccio
sulle spalle (VII registro).
Foto 3b
Umm al-Rasas. Chiesa del Vescovo Sergio, chiesa con porte
gemmate (IX registro).
50
E. GAUTIER
Foto 3c
Umm al-Rasas. Chiesa del
Vescovo Sergio, chiesa doppia (V
registro).
Foto 4a
Umm al-Rasas. Chiesa del
Vescovo Sergio, fenice (IX registro).
Foto 4b
Gabbiano da Madaba, la
Sala dellIppolito (VII registro).
I. PEA
HOSPEDERIAS RURALES
Fig. 1
Fig. 2
51
52
I. PEA
HOSPEDERIAS RURALES
Fig. 3
Fig. 4
AYN JADIDAH
Fig. 1
53
54
RICERCA IN GIORDANIA
Fig. 1
Topographic plan of Khirbet
al-Mukhayyat created by A. Musil
(1907).
Fig. 2
Site plan detailing visible
architectural features as documented
by the Franciscan excavations.
KHIRBET AL-MUKHAYYAT
55
Fig. 3
Topographic plan of Khirbet alMukhayyat, excluding architectural
features.
Fig. 4
ArcView* Digital Elevation
Model of Khirbet al-Mukhayyat, with
colored contour intervals and relief
shading.
56
RICERCA IN GIORDANIA
Fig. 1. The new Topographical Map of Tell al-Mashhad in the Ayun Musa
Valley (by L. Aprile and F. Parenti).
AL-MASHHAD
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58
RICERCA IN GIORDANIA
JABAL HAROUN
Fig. 1. Jabal Haroun. The updated plan of the Monastic Complex of St.
Aaron.
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60
RICERCA IN GIORDANIA
JABAL HAROUN
Fig. 4. Jabal Haroun. The northern part of the mosaic floor in the narthex.
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RICERCA IN GIORDANIA
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UMM AL-RASAS
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RICERCA IN GIORDANIA
MASSUH
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RICERCA IN GIORDANIA
Fig. 5. Massuh. Giovane cacciatore. Dettaglio del lato sud della fascia.
MASSUH
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RICERCA IN GIORDANIA
Fig. 1. Qastal. The base of the minaret attached to the northwestern corner of
the Umayyad mosque.
V. Qastal - Jordan.
Mosaic Floor in
Room 1. General View.
VI. Qastal - Jordan.
Partridge Depicted in
One of the Corner
Quarter-circles of
Room 1. Detail.