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A cura di
Annalisa Castiglioni
Daniele Mantegazza
PREFAZIONE
PRESENTAZIONE
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Mario Colombo
Da partigiano a raccoglitore delle memorie resistenziali
Intervista a cura di
Annalisa Catiglioni
Daniele Mantegazza
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Mario Colombo
La giovinezza e la mia resistenza
Sono nato ad Olgiate Olona il 9 luglio 1930, terzo di cinque fratelli, da Alfredo e da Maddalena Celora. Mio
padre era capo dei giardinieri di Villa Restelli, una casa di campagna di una famiglia della ricca borghesia
milanese lallora proprietario, Piero Restelli, era il presidente della Cantoni, una grande industria tessile di
Legnano - con un ampio parco che degradava ed ancora degrada sullOlona, che stata non solo il luogo
della mia infanzia, ma anche loccasione che mi ha spinto, molto giovane, ad essere coinvolto e a partecipare
alla Resistenza e, in et matura, ad occuparmi delle memorie della lotta di Liberazione nei luoghi in cui sono
nato e ho vissuto.
La mia infanzia trascorsa sotto il segno della normalit: famiglia, scuola elementare, nel pieno dellera
fascista, quando il Duce era ancora percepito dalla maggioranza degli Italiani come il salvatore della patria e
come colui che aveva dato un impero allItalia, celebrando nel presente i fasti dellantica Roma, e poco
oratorio perch il campo privilegiato dei miei giochi era il parco della Villa, nel quale invitavo i miei
compagni ed amici a trascorrere le ore di svago.
La
Villa Restelli a Olgiate Olona
Il regime militaresco del fascismo, con le sue articolazioni giovanili dei figli della lupa fin dai sei anni e poi
dei balilla a nove e dieci anni e con le riunioni del sabato, fatte di esercizi ginnici e di esercitazioni con il
famoso moschetto di legno, lasciava un segno indelebile sullanimo di noi ragazzi. Ho ancora vive nella
memoria le epiche battaglie che combattevo coi miei amici contro ragazzi di pari et di Marnate, il paese
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prospiciente Olgiate, sulla riva sinistra dellOlona ed il campo di scontro erano esattamente le balze e i prati
che attorniavano il fiume e lampia valle nei pressi dei due paesi.
Erano sassaiole con i tirasas, fabbricati con opportuni rami di albero a V e con brandelli di camera daria
delle ruote di biciclette, ed erano frecce che andavano dalluna allaltra parte del fiume, con dei pericoli che
oggi farebbero rabbrividire anche il genitore meno sensibile. La sorte o la provvidenza faceva s che
tra Prospiano ed Olgiate Olona, nei capannoni del Cotonificio Bustese, detto popolarmente Tognella dal
cognome del proprietario. Il magazzeno dellaeronautica era stato trasferito in quel luogo, pi periferico
rispetto allaeroporto di Taliedo, allora un sobborgo di Milano, nel 1941, per sottrarlo il pi possibile al
bombardamento dagli aerei nemici.
Questo gruppo di circa una novantina di militari era comandato dal Maggiore Pirrone, persona assai stimata
da tutti per la sua assoluta moralit e per il suo attaccamento alla divisa, ed era anche colui che conosceva
tutti i segreti dellorganizzazione, della recezione, della sistemazione e della distribuzione del materiale.
Veniamo all8 settembre 1943, data in cui reso pubblico dal Maresciallo Badoglio larmistizio con gli
Alleati, firmato a Cassibile, localit nei pressi di Siracusa, cinque giorni prima tra il Gen. Castellano ed il
Gen. Eisenhover, che sanciva la resa incondizionata del Regno dItalia agli avversari di guerra.
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Alcune briciole di quelle vivande erano cadute letteralmente anche sulla tavola della nostra famiglia, quando
qualche militare passava di nascosto a mio padre alimenti che non rientravano nel pacchetto dei razionamenti
di guerra.
Ma lillusione della gente che la guerra fosse finita svan ben presto perch i locali del magazzeno del
Tognella vennero occupati immediatamente dopo l8 settembre da un Comando tedesco, il segno inequivoco
nella nostra zona che coloro che detenevano il potere effettivo erano le truppe di Hitler e che la Repubblica
Sociale Italiana, che, per ordine del Fuhrer, Mussolini costitu formalmente il 23 settembre sulle parti
dellItalia non ancora liberate dagli Alleati, non era che uno stato fantoccio agli ordini dei Tedeschi.
Ma il Comando tedesco di Olgiate aveva bisogno di uomini di esperienza che sapessero far funzionare il
magazzeno e, sebbene non si fidasse pi di tanto dei militari italiani, anche di quelli della RSI, venne subito a
cercare il Pirrone, che viveva a casa nostra, come un familiare, e gli diede lincarico di gestire il luogo di
stoccaggio. Era tanto stimato questo ex maggiore dellaeronautica che alcuni ufficiali tedeschi venivano in
casa nostra, nella Villa, e conversavano con lui amichevolmente
Nel frattempo, dopo che si era formata la RSI, tornarono gli avieri della 1 a Z.A.T. nella Villa Restelli ed
offrirono di nuovo al Pirrone il suo grado di maggiore, ma egli rifiut di indossare una divisa che non aveva
le stellette dellesercito, ma il gladio, il corto pugnale dei Romani, simbolo del nuovo esercito repubblichino.
Intanto questo uomo tutto dun pezzo, monarchico fedele, da borghese continuava il suo lavoro presso il
magazzeno sotto la direzione del Comando tedesco e non faceva meraviglia che egli non fosse punito dalla
milizia della Repubblica sociale, comandata dal Cap. Pupillo, perch ci era un altro segno delleffettivo
governo tedesco del territorio.
Un altro avvenimento che immise me e la mia famiglia nel flusso pi generale della storia dItalia in quei
tristi momenti stato il ritorno di mio fratello Giancarlo a casa, uno dei tanti militari che si sbandarono dopo
l8 settembre, giorno nel quale lesercito italiano, lasciato colpevolmente senza ordini, si sfasci: alcuni
reparti vennero catturati dai Tedeschi, altri si schierarono contro la Germania nazista, come i soldati di stanza
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nellisola di Cefalonia, altri ancora ruppero le righe e tra questi ogni singolo soldato, con mezzi di fortuna,
tent di rientrare in famiglia, rischiando molto perch la neonata RSI li avrebbe di l a poco considerati
disertori se non si fossero di nuovo arruolati nel suo esercito. Giancarlo che faceva parte del terzo Artiglieria
Celere di Milano, impiegato nella minima ed inconsistente resistenza allo sbarco degli Alleati sulle coste
sudorientali della Sicilia, avvenuto tra il 9 ed il 10 luglio 1943, una volta ritornato a casa, ebbe la fortuna di
avere, da parte di un nostro cugino, che era direttore di una filiale della Banca Popolare di Novara, un
documento come lavoratore socialmente utile e cos pot rimanere nella nostra famiglia in modo
relativamente tranquillo, esonerato dal servizio militare.
La permanenza a casa di mio fratello fu per me molto importante perch egli, di idee antifasciste, si mise a
collaborare con tutta quella parte della popolazione che, in modo coperto ma costante, iniziava a contrastare i
Tedeschi che dominavano sul suolo italiano. Infatti, approfittando della frequenza in Villa Restelli e nella
nostra casa, di ufficiali sia tedeschi che repubblichini, egli si mise a falsificare i documenti con i timbri e le
firme del Comando tedesco, indispensabili per muoversi, soprattutto di notte, per organizzare strategie di
sabotaggio e di guerriglia da parte dei partigiani che, allora, dopo l8 settembre, iniziavano ad operare.
Infatti la carta filigranata indispensabile per i falsi era custodita nel Comando tedesco situato in valle ed una
volta rubata da unoperazione dellAlfredo di Dio di Busto Arsizio, guidata da Luciano Vignati, e a cui ha
partecipato anche il gorlese Mari Mario, Giancarlo poteva fabbricare i vari permessi, lasciapassare, ecc. che
risultavano indistinguibili dagli originali perch venivano battuti con la stessa macchina da scrivere del
Comando egli nel frattempo era stato assunto come impiegato presso il Comando della 1 a Z.A.T. ed
avevano gli stessi timbri e la firma del Comandante che egli era riuscito ad imitare perfettamente.
Un altro episodio dellattivit partigiana di Giancarlo, di cui ho viva la memoria, riguarda il salvataggio di un
giovane olgiatese, di cognome Casanova, che doveva essere arrestato dalla Decima Mas.
fu sul retro della casa, avvis lamico del pericolo, allertandolo con dei sassi lanciati sulle persiane delle
finestre, e lo fece scappare.
Ricordo ancora che il padre del ricercato venne il giorno dopo da mio padre e gli port un gallo come
ringraziamento per il gesto di Giancarlo.
Ma anchio in quegli anni ho contribuito, in qualche modo, ad alimentare gli sforzi dei partigiani contro gli
occupanti tedeschi e i loro alleati repubblichini. Si era saputo in paese non so in quale modo - che nella
Villa Restelli erano nascoste le armi lasciate dagli avieri l8 settembre. Io andavo ogni tanto nellosteria di
Domenico Colombo situata nel Piazzaletto Patrioti e loste mi chiese se potessi portargli qualche arma. Io,
col consenso di mio padre e di mio fratello, lo feci, tanto che gli diedi quasi tutte le pistole mi ricordo
ancora il numero: 54 -, che erano state seppellite sotto la panchina dei giardino della Villa Restelli e che
servivano ai partigiani che combattevano sulle montagne dellOssola i nazifascisti.
Non solo, ma mio fratello e lo stesso Domenico Colombo mi davano il compito, non di frequente per, di
consegnare armi a dei partigiani sparsi un po dovunque nei paesi della Valle Olona: rammento una volta in
cui Giancarlo mi mand a Prospiano a consegnare addirittura dei mitra. Mi diedero un furgoncino a pedali,
con la scritta Vini Colombo Domenico, mi caricarono il cassone di damigiane, le coprirono in modo tale che
uscissero solo i colli, ma sotto cerano le armi, io pedalavo su quella specie di triciclo ed un mio compagno
mi aiutava spingendolo a sua volta con la sua bicicletta. Ho dovuto anche superare uno sbarramento tedesco,
composto da cavalli di Frisia e mi ricordo ancora il militare che, visti i colli di damigiana, si mise a ridere
pronunciando il verbo drinken, lasciandomi passare.
Il furgoncino a pedali
Inoltre alcune volte ho trasportato anche quelli che si chiamavano gli squarciagomma, degli aggeggi
appuntiti in ferro che venivano fabbricati nella ditta di Olgiate di Carlo Ferrari o dagli operai, naturalmente
di nascosto, della Franco Tosi di Legnano e che, buttati sullautostrada che da Milano andava a Varese,
avevano lo scopo di intralciare e possibilmente di fermare i convogli militari che vi transitavano. Ricordo
ancora il racconto di mio fratello secondo cui i Tedeschi attaccati una volta ad Olgiate con gli
squarciagomme ed addirittura con lanci di bombe a mano, sono entrati nel Circolo Verdi, minacciando i
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presenti di rappresaglia, in quanto il Circolo era vicino al luogo dellattacco ed era conosciuto come un
ambiente frequentato da antifascisti.
Lincoscienza dellet ci faceva fare azioni pericolosissime con quella leggerezza che solo il senno pi
maturo ha giudicato come avventatezza.
E veniamo al 25 aprile 1945, data dellinsurrezione del Nord dItalia che causer la liberazione di tutto il
territorio nazionale dagli occupanti tedeschi. Non avevo compiuto ancora quindici anni e mi accingevo a
vivere ancora una volta momenti cruciali di una mia vicenda personale che si inquadrava, per, nella storia
nazionale, come una tessera che compone un gigantesco mosaico.
Ma questo avvenimento familiare si congiunge nella mia memoria di quel 25 aprile 1945 con un altro fatto,
teatro sempre la Villa Restelli: era met mattina quando venuto un gruppo di partigiani che hanno piazzato
quella mitragliatrice Breda che mio padre aveva nascosto dopo la fuga precipitosa degli avieri all8
settembre. Si temeva che i soldati tedeschi del Comando in valle potessero salire per la strada che passava
dal Mulino dei Bianchi e potessero entrare in Olgiate per mettere fine allinsurrezione che era iniziata la
mattina quando la radio aveva comunicato che gli Alleati avevano passato il Po e dilagavano nella Pianura
Padana. Seppi dopo che poco prima alcuni rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale di Olgiate
(Macchi, Ferrari, Merelli, Borsetta) erano entrati in Municipio, ne avevano preso possesso, allontanando il
Commissario prefettizio, ed immediatamente avevano telefonato al Comando tedesco, intimandogli la resa
con la consegna delle armi. La qual cosa non avvenne perch questo Comando non aveva ordini dai superiori
di Legnano coi quali non riusciva a mettersi in contatto. Quella mitragliatrice sarebbe servita a sbarrare la
strada ai soldati tedeschi, ma, per fortuna, non ce ne fu bisogno, almeno per quel giorno.
Io, intanto, gironzolavo per la Villa e salii anche sulla terrazza che sovrastava ledificio, quando, verso
mezzogiorno, sentii il rumore ormai familiare di due aerei dellaviazione alleata che popolarmente venivano
chiamati Pippo e che avevano il compito di scovare ed eventualmente mitragliare i convogli tedeschi che si
dirigevano in fuga verso il confine svizzero. Quel giorno sulla strada che da Gorla Maggiore portava a Gorla
Minore transitava un camion che trasportava un gruppo di partigiani della Valle Olona: andavano ad aiutare
gli insorti di Legnano a liberare del tutto la citt, minacciata almeno cos si diceva da una colonna tedesca
partita da Milano che intendeva riconquistare limportante centro industriale. Uno dei due aerei, scambiando
quei partigiani per un convoglio di fuggitivi, si abbass e mitragli il mezzo di trasporto, facendo una
carneficina di quei giovani: quattordici morirono e molti furono i feriti gravi, solo qualcuno, tra cui Luigi
Carnelli che diventer sindaco di Gorla Maggiore per tanti anni, miracolosamente usc illeso.
Un cippo, piuttosto misero ed indecoroso, ricorda ancora il sacrificio di questi partigiani - il pi giovane
aveva diciassette anni, il pi anziano trentasei che morirono, anche se per un tragico errore, per la nostra
libert.
sviluppare e che presentava un cielo con un puntino. La tecnologia, dal tempo della guerra, aveva fatto passi
da gigante, cos feci ingrandire millecinquecento volte quel puntino ed apparve, come in silhouette, laereo
che aveva provocato la strage pi sanguinosa che era accaduta in Valle Olona nel periodo della resistenza.
Cos posso considerare quella foto come una cerniera tra il mio essere partigiano ancora inconsapevole per la
mia et (anche se la drammaticit degli avvenimenti favoriva una maturazione pi precoce) e lessere
ricercatore di testimonianze resistenziali di cui mi sono occupato in et matura e di cui mi occupo ancora.
Ma la mia resistenza non termin il 25 aprile e nei giorni immediatamente seguenti, perch ancora una volta
gli avvenimenti familiari si intrecciavano con quelli pi generali. Non ho un ricordo personale preciso di
quanto avvenne il 26 aprile per la conquista del Comando tedesco, che in seguito ho ricostruito con una
ricerca storica, ma la mia memoria ha viva limmagine di mio fratello Giancarlo che batteva con la sua
macchina da scrivere i buoni di prelevamento della merce che si trovava ancora nei capannoni del Tognella
e che veniva distribuita alla popolazione. Le operazioni erano capeggiate dal Comandante partigiano Lago,
nella cui fonderia di Fagnano Olona venne trasferito questo ufficio annonario della liberazione quando i
dirigenti dello stabilimento di Olgiate chiesero di lasciar liberi i capannoni per poter riprendere il lavoro.
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Villa Restelli, ancora una volta, divenne un luogo privilegiato degli avvenimenti accaduti nella nostra zona
subito dopo la Liberazione perch venne scelta, nel maggio 1945, come luogo in cui consegnare le armi di
cui molte persone erano venute in possesso durante la guerra. Venivano accatastate in cucina della Villa e i
Carabinieri ogni giorno venivano a fare un sopralluogo, controllavano ed apponevano i sigilli alla porta cos
che nessuno potesse prelevare qualcosa. Ma di armi si aveva bisogno, soprattutto occorrevano ai partiti
politici che, dopo la Liberazione, si andavano organizzando e temevano che il periodo postresistenziale non
sarebbe stato pacifico. I carabinieri vigilavano ma non sapevano che, oltre alla porta, debitamente sigillata da
loro, esisteva un passavivande che era contenuto in un armadio, attraverso il quale si poteva accedere nel
locale e prelevare i fucili e le pistole che poi venivano distribuite ai partiti antifascisti che ce li chiedevano.
Ed io, ancora quattordicenne, quante volte sono passato da quel bugigattolo nascosto!
Inoltre, sempre a Villa Restelli era stato costituito anche il Gruppo di Polizia Partigiana da parte del CLN
locale, in quanto l venivano portati e processati tutti i maggiorenti fascisti della zona ed io, che abitavo nelle
stanze della dpendance, mi fregiavo sul braccio della fascia tricolore con la scritta Polizia partigiana, perch
ero stato arruolato come appartenente alla Brigata partigiana Alfredo di Dio. Ed in qualit di poliziotto
partigiano mi ricordo che venni impiegato, nei mesi dopo la liberazione, come componente della scorta
dellonorevole Francesco Buffoni, un parlamentare socialista, costretto dal fascismo ad espatriare in Francia
e poi rientrato e diventato in seguito, oltre che sindaco di Gallarate, anche deputato della Costituente.
Ricordo che gli facevamo la guardia durante i primi comizi dopo il 25 aprile e lo seguivamo in tutti i suoi
spostamenti, in quanto si temevano disordini ed attentati in quel clima di raggiunta libert ma ancora
socialmente e politicamente turbolento.
Questo mio servizio dur per qualche mese, poi deposi le armi ed inizi per me lepoca del lavoro.
Avevo quindici anni e la storia italiana, nella sua dimensione locale, mi era passata sotto gli occhi con il suo
bagaglio di avvenimenti, di paure, di gioie, di relazioni che non solo mi avevano fatto maturare in fretta,
come del resto i compagni della mia et, ma che resteranno come un bagaglio che la maturit mi far rivivere
e riscoprire con quella consapevolezza che non potevo certo possedere in quegli anni di unindimenticabile
adolescenza.
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Il lavoro
Terminata la guerra, si doveva ricostruire lItalia oltre che sul piano della democrazia, anche su quello
delleconomia, dopo i disastri materiali del conflitto, ed anchio mi accingevo a fare la mia parte come
giovane lavoratore. Mi impiegai nel 1946 in una ditta tessile di Legnano, il famoso Cotonificio DellAcqua,
nel cui laboratorio chimico ho trascorso ben dieci anni, mentre nel frattempo, per diventare sempre pi
esperto della mansione a cui ero stato assegnato, mi sono iscritto ai corsi serali per analista chimico
dellIstituto Ponti di Gallarate. Sono stati tre anni duri, divisi tra lavoro e scuola, con i viaggi serali a
Gallarate sul mio motorino ed ero gi fortunato a possederlo ma alla fine ottenni il mio diploma che mi
permise di addentrarmi nelle ricette chimiche indispensabili per il finissaggio dei prodotti tessili che la
fabbrica in cui lavoravo produceva. Era il tempo delle fibre sintetiche e noi lavoravamo il rayon, una fibra
che si otteneva dalla cellulosa e che, con un processo chimico determinato, si trasformava in tessuto che il
Cotonificio DellAcqua esportava in tutto il mondo.
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Ed stata questa dimensione internazionale della Ditta che ha segnato il mio destino professionale.
Nel 1956 avevo ventisei anni e mi ero sposato da tre mesi con Regina Frontini, una ragazza di Prospiano
i dirigenti del Cotonificio mi offrono la possibilit di andare in Irlanda del Sud ad impiantare ex novo,
assieme ad un mio collega, una tessitura con reparto di finissaggio, di cui dovevo diventare il capo. Questa
decisione del Cotonificio fu dettata dal fatto che molti dei suoi clienti si trovavano nelle nazioni che
aderivano al Commonwealth britannico, quellorganizzazione soprattutto economica che aveva sostituito,
dopo la seconda guerra mondiale, limperialismo del Regno Unito, e che aveva clausole protettive per cui gli
organismi economici dei paesi che non ne facevano parte non potevano esportare ed importare liberamente in
esso: il comune benessere questo il significato della parola inglese era circoscritto allInghilterra che
per lunghi anni ha tratto parecchi benefici da questa struttura economica.
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La Ditta in cui lavoravo, per aggirare questi ostacoli, decise di costruire uno stabilimento a Naas, una
cittadina a sudovest della capitale Dublino, che oggi conta circa ventimila abitanti ed considerata una delle
cittadine dormitorio per i tanti pendolari che lavorano nella capitale ma che allora era un piccolo borgo di
1.500 abitanti. Io mi trasferisco con mia moglie in quel luogo, naturalmente poco industrializzato ed ancora
dalla vita e dallatmosfera campagnola, contribuisco a costruire e ad avviare la tessitura, a cui viene dato il
nome inglese di Naas Cotton Mils, e trascorro ben cinque anni con tutti i vantaggi e gli svantaggi del
lavoratore allestero: i primi di ordine professionale ed economico perch avevo migliorato di molto la mia
qualifica e la mia retribuzione, i secondi perch si rischiava di perdere i legami con la propria terra e la
propria storia, a cui io ero molto legato per le vicende che da adolescente avevo vissuto. Intanto mi godevo
gli agi del benessere con mia moglie e con la mia prima figlia Annalena che era nata a Dublino nel 1958.
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Ricordo con piacere quel periodo, pieno di soddisfazioni sul versante professionale, ma ci di cui vado pi
orgoglioso, anche per aver concretizzato le mie idee socialiste, di aver iniziato in quella cittadina a
celebrare il 1 maggio come festa dei lavoratori, una tradizione che non esisteva e che io, innestandomi sul
sentimento religioso del popolo irlandese, ho reso festivo nella mia fabbrica, organizzando una processione,
di cui ancora si conserva il ricordo anche per una statua della Vergine Maria che campeggia ancora sul muro
delledificio, adesso adibito a sede di pi ditte..Non tanti anni fa una ricostruzione giornalistica di un
quotidiano di Dublino ha rievocato ancora quellavvenimento.
Il
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La cittadina di Naas
La produzione di tessuti sintetici, intanto, si rinnovava ed il rayon venne sostituito dal poliestere. La mia
fabbrica non era attrezzata per questo cambiamento, per il quale occorreva investire in nuovi macchinari, ed
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io, richiamato in patria dai dirigenti del DellAcqua, sentii da loro una proposta che ripugnava al mio senso
morale: avrei dovuto dar fuoco allo stabilimento irlandese per incassare i soldi dellassicurazione.
Al mio deciso rifiuto, mi ordinarono di ritornare in Irlanda, ma qualche tempo dopo mi concedettero una
licenza premio. Mentre ero di nuovo in Italia, mi avvisarono che la fabbrica era andata a fuoco. Non seppi
mai come ci avvenne, ma fui avvisato dalle mie maestranze che, prima dellincendio, qualcuno aveva
salvato parecchi attrezzi, per i quali io, che ero il responsabile, firmavo dichiarazioni della loro scomparsa
nel rogo, con il rischio concreto di essere accusato per truffa davanti alle autorit giudiziarie irlandesi.
La situazione diventava sempre pi difficile, tanto che mi decisi a telefonare ad un mio carissimo amico, che
era il figlio del direttore generale della Bayer, la grande azienda chimica tedesca, il quale subito mi procur
un altro posto di grande responsabilit in unaltra fabbrica irlandese lEnnis Carpet Factory, il cui
proprietario era, per, un noto imprenditore cotoniero tedesco, Adam Koch. Questo nuovo posto di lavoro si
trovava ad Ennis, una cittadina sul fiume Fergus, situata nella parte centro- occidentale dellIrlanda, oggi con
circa 25.000 abitanti, ma allora di sole 2.000 anime, circondata da boschi in cui si poteva cacciare e anche un
luogo di pesca formidabile. Era il 1961 quando con la mia famiglia mi trasferii l a continuare nella nuova
ditta tessile il mio ruolo di capo del reparto finissaggio e del laboratorio chimico.
Nei primi tempi in cui avevo assunto il nuovo posto di responsabilit, la Ditta non mi aveva ancora procurato
labitazione e, per circa sei mesi, ho vissuto in un hotel di lusso della cittadina. In quel periodo, durante molti
fine settimana, incontravo nella sala da pranzo dellalbergo un misterioso personaggio almeno allora per
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me che mangiava da solo, su di un tavolo, mentre vicino a lui, su un altro tavolo, sedevano il pilota
dellaereo personale con cui viaggiava e la sua guardia del corpo, coi quali ultimi ebbi modo di scambiare
qualche parola, essendo loro italiani.
La guardia del corpo si chiamava Rino Pachetti, un ferroviere livornese antifascista che seppi dopo
durante la resistenza comand partigiani del raggruppamento Alfredo di Dio, prima nel Lecchese e nel
Comasco e poi nel Varesotto e nel Novarese, insignito della medaglia doro al valor militare. Costui nel
dopoguerra, dopo aver prestato servizio nella questura di Milano, era diventato uno stretto collaboratore di
quellaltro uomo taciturno e riservato che durante i fine settimana veniva col suo jet a Ennis e si rilassava con
battute di caccia e con lunghe ore di pesca e che rispondeva al nome di Enrico Mattei, il capo partigiano
cattolico, che, nel dopoguerra, messo a capo della liquidazione dellAGIP, lAzienda Generale Italiana
Petroli, voluta dal fascismo, non solo non la sciolse ma nel 1953 fond lENI, lEnte Nazionale Idrocarburi
che divenne uno degli strumenti della ricostruzione economica italiana e che lo fece diventare uno degli
uomini pi potenti dellItalia repubblicana. Mattei, la cui vicenda personale ed il cui talento imprenditoriale
vennero poi ricostruiti nel 1972 dal regista Francesco Rosi nel film Il caso Mattei con linterpretazione
indimenticabile di Gian Maria Volont, era allora allapice del successo tanto che la sua creatura industriale
competeva a livello internazionale con le famose sette sorelle, le aziende mondiali della raffinazione e
della commercializzazione del petrolio, ma io devo confessare che tra il 1961 e gli inizi del 1962 quel nome
per me non significava nulla ed ero propenso a credere, con la diceria popolare, che era un ricco figlio di
pap altrettanto ricco che si poteva permettere un aereo personale a reazione, quando tutti gli altri privati
erano ancora ad elica. La sua morte, avvenuta molto probabilmente per un attentato nellottobre del 1962,
quando il suo aereo precipit in fase di atterraggio nelle campagne del Pavese, lo fece conoscere a tutti e tutti
si resero conto del suo enorme potere.
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Il destino mi riannodava ancora, in un certo senso, alla resistenza e, dopo essere ritornato a lavorare in Italia,
quando incominciai a frequentare gli ambienti dellAlfredo di Dio di Busto, fu una gradita sorpresa ritrovare
in qualche occasione Rino Pachetti e conoscere la sua storia partigiana.
Il lavoro ad Ennis dur fino al 1963, allorch, per voglia di cambiare e su sollecitazione del mio importante
amico tedesco, feci domanda per essere assunto dal Ministero dellIndustria egiziano, che aveva bisogno di
un tecnico per impiantare lindustria cotoniera dopo che Nasser nel 1952 aveva guidato la rivoluzione,
spodestando la monarchia del re Faruq ed era diventato il secondo Presidente dellEgitto nel 1954. Fra 1500
domande da tutto il mondo, venne scelto il mio curriculum, ma poich mia moglie era stanca di girare il
mondo al mio seguito e si rifiutava di venire in Egitto, per non dire sfacciatamente di no, risposi che ero
disposto ad accettare lincarico soltanto se si fosse raddoppiato lo stipendio, nellassoluta convinzione che i
funzionari del Ministero egiziano avrebbero risposto picche. Invece accettarono in toto quella proposta ed io
con la mia famiglia trascorsi tre anni, dal 1963 al 1967, a Damanhur, una localit nel nord dellEgitto, tra Il
Cairo ed Alessandria, dove, anche l, contribuii ad impiantare una fabbrica, la pi grossa produttrice di
tappeti non solo egiziana ma anche del nord Africa.
La fabbrica di Damanhour
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Ma quelli non erano tempi pacifici per il Medio Oriente, con le ostilit tra il neonato Israele e i Paesi arabi
che avevano sposato la causa dei Palestinesi e quando nel 1967 si addensavano i venti di guerra che
avrebbero provocato la famosa guerra dei sei giorni del giugno 1967 in cui gli arabi venero schiacciati dalle
truppe israeliane di Moshe Dayan, abbandonai lEgitto e feci ritorno in patria, da dove non mi allontanai pi
per il lavoro. Costruii la casa a Prospiano della mia famiglia , alla quale si era aggiunta unaltra figlia, Enrica
nata nel 1968 a Gorla Minore, e dopo aver lavorato, sempre come capo reparto chimico alla Cantoni di
Legnano e alle Stamperie di Brebbia, sono andato in pensione nel 1990, a sessantanni, continuando per
lattivit lavorativa come consulente per un altro decennio.
Ma il radicamento nel mio paese e nella mia zona di nascita, mi ha permesso di coltivare quella passione per
la ricerca delle memorie resistenziali che per me ha sempre significato riandare a quegli anni di vita
adolescenziali che mi hanno profondamente segnato sia come visione del mondo sia come orientamento
politico.
Dopo il mio lungo peregrinare per lavoro allestero, nel 1967 ritorno, come ho detto, in Italia e mi iscrivo
subito allANPI di Castellanza, entrando anche nel direttivo. Nel frattempo frequento pure lambiente degli
ex partigiani di Busto Arsizio che ruotavano intorno allAlfredo di Dio di Luciano Vignati e divento amico di
Ugo Chierichetti, suo braccio destro per le vicende resistenziali, che era stato anchegli un uomo della
resistenza e che aveva collaborato con la missione Crysler (di cui tra poco parler) ed in alcune riunioni,
incontro, come ho gi detto, anche Rino Pachetti il quale mi sar prezioso per contattare una persona che
sentivo sempre nominare tra i protagonisti della storia resistenziale bustocca e che poi diventer non solo il
centro focale e pi importante delle mie ricerche sulla resistenza, ma anche mio amico.
Per la verit, le prime volte che veniva citato questo personaggio era per informarmi che i pezzi da novanta
della vicenda resistenziale di Busto Arsizio, legata ai partigiani azzurri della Democrazia Cristiana, quali
Giovanni Marcora, Luciano Vignati, Eugenio Cefis e lo stesso Ugo Chierichetti erano andati ad incontrarlo o
a Nizza o a Lugano, in luoghi fuori dai confini italiani, ma l per l non feci caso a questo particolare, che mi
divenne chiaro quando mi misi direttamente in contatto con lui.
Questo uomo della resistenza si chiamava Aldo Icardi ed era
un italoamericano che durante la guerra era stato arruolato
nella Office Strategic Service (O.S.S.) e, dopo un severo
addestramento, era stato paracadutato sul Mottarone nel 1944
nellambito della missione Crysler, la quale aveva lo scopo di
collegare le formazioni partigiane della Val dOssola con gli
Alleati, e tra le formazioni resistenziali, soprattutto quelle di
ispirazione cristiana o comunque anticomuniste. Il tenente
Icardi si distinse per le sue capacit operative e, come agente
segreto, venne in contatto con numerosi esponenti della
resistenza bustocca e questo avvenne ancora maggiormente
quando il comandante della missione segreta, il Maggiore
William Holohan, mor assassinato e Icardi ne assunse il
comando. Al momento della liberazione, quando la citt di
Busto era minacciata dalla cosiddetta colonna tedesca Stamm,
in realt formata da avieri della Lutwffe, che alla fine si arrese
ai partigiani azzurri di Luciano Vignati e a quelli rossi di Cino
Moscatelli, il mediatore
di tale operazione fu
Icardi verso il quale i
Bustocchi liberi furono
talmente riconoscenti che
gli
attribuirono
la
cittadinanza
onoraria.
Anche gli Americani riconobbero il valore ed il coraggio di questo
uomo che, tornato negli USA, fu insignito della Legion of merit, una
decorazione militare istituita da Franklin Delano Roosevelt, mentre in
Italia il Governo del tempo gli confer la medaglia dargento al valor
militare.
Ma dopo laltare degli onori, venne la polvere delle accuse perch nel
1953 un tribunale italiano, a Novara, lo condann in contumacia
allergastolo. La sentenza fu emessa perch ritenuto responsabile di un
delitto infamante nella sostanza e nella forma: luccisione del suo
superiore, il Magg. Holohan, dapprima avvelenato con un grammo di cianuro, poi finito con due colpi di
pistola, infine messo in un sacco a pelo e gettato sul fondo del Lago dOrta.
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Aldo Icardi che, nel frattempo, ritornato in patria, si era laureato in giurisprudenza ed esercitava la
professione di avvocato, scrisse nel 1954 un libro intitolato American Master Spy. A true story by Aldo
intervista, stata pubblicata dal Comune di Gorla Maggiore nel 2000.
Io ho conosciuto personalmente lex tenente
italoamericano, dapprima attraverso una fitta
corrispondenza via e-mail e poi anche di
persona quando ebbe la compiacenza dagli
USA di venirmi a trovare in Italia, a suo
rischio e pericolo perch formalmente
condannato e quindi ricercato. Conoscendolo
e leggendo le sue ragioni, io mi sono convinto
della sua innocenza e questa mia convinzione
stata supportata anche da testimonianze
autorevoli come quella di Mario Borghi,
intimo di Ferruccio Parri, il presidente del
Consiglio dal giugno al dicembre del 1945,
che ha dichiarato, prima di morire, di aver
discusso con lui del caso Icardi riportandone la convinzione che lillustre uomo politico e statista italiano lo
ritenesse innocente.
Tra il 2000 ed il 2001, mi adoperai anche presso i nostri governanti perch si rivedesse lingiusta sentenza
nei confronti di Icardi e segnatamente trattenni un corrispondenza con la segreteria dellallora Ministro della
Giustizia Piero Fassino, interessato alla vicenda, ma la caduta del secondo Governo Amato nel maggio del
2001 interruppe ogni contatto e Aldo Icardi morto nel novembre 2011 senza aver avuto la soddisfazione di
vedersi riconosciuta la sua innocenza, pervicacemente sostenuta per tutta la vita e riconosciuta negli USA.
Ma linteressamento alla storia della missione Crysler ha avuto
unimportanza decisiva anche per le ulteriori ricerche resistenziali,
infatti lanno dopo, con un team di persone, Annalisa Castiglioni,
Rosella Formenti e Daniele Mantegazza ci siamo messi alla ricerca
del ruolo avuto dalle donne nella resistenza della Valle Olona e di
Busto Arsizio e ne scaturito un libretto, Donne per la libert, edito
dal Comune di Gorla Maggiore ed ormai introvabile, che ha
lumeggiato non solo il contributo femminile alla lotta partigiana
nella nostra zona, ma anche una tappa fondamentale per la storia
dellemancipazione delle donne nella societ italiana perch da l
nato il loro impegno nella societ e nella politica, senza eroismi
particolari ma con un coraggio ad affrontare i pericoli e con uno
sguardo pi pacificato sulla realt anche avversa, essenziali per
sconfiggere, prima culturalmente e giuridicamente poi, il
maschilismo imperante anche nellItalia repubblicana.
Da cosa nasce cosa, da ricerca nasce ricerca e nel 2002, scopriamo,
sempre con Annalisa Castiglioni e Daniele Mantegazza, la storia di
Lorenzo Banfi, uno dei pochi superstiti delleccidio di Cefalonia di militari italiani da parte di truppe
tedesche, subito dopo la proclamazione della resa incondizionata dell8 settembre, quel fatto che lallora
Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, aveva autorevolmente definito il primo atto della
Resistenza, di unItalia libera dal fascismo. La storia particolare di un uomo semplice, raccolta nel libretto
Cefalonia. Una storia particolare nella tragedia, edito dal Comune di Gorla Maggiore, che nel rievocare la
sua avventura-disavventura ricorreva alle parole fondamentali della vita, quali paura, amicizia, timore, fatica,
spavento, amore, si coniugava e veniva inquadrata nella storia con la S maiuscola in quel desiderio di far
comprendere, soprattutto alle giovani generazioni, come la vicenda quotidiana di ciascuno di noi non sia
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avulsa dal fiume generale della storia e come noi siamo una tessera del mosaico complessivo, una tessera
anche la pi piccola, ma indispensabile per i colori ed il disegno del quadro
La mia passione per la storia locale nel momento cos fondante della
vicenda nazionale, quale il periodo della Resistenza, nasce da questa
visione del mondo ed anche i miei interventi nelle scuole, come Presidente
dellANPI di Gorla Minore e poi anche di Gorla Maggiore, per far
conoscere la storia resistenziale partono dalla consapevolezza che gi ai
giovani occorre offrire i semi di un concepirsi allinterno di una societ pi
grande, come cittadini che godono diritti ma a cui sono richiesti dei doveri
per una vita in comune.
Con la ricerca sulle staffette della Valle Olona, si venne a conoscere,
soprattutto per la testimonianza di Irene Dormelletti, limportanza che
rivest nelle vicende resistenziali della Valle Olona Samuele Turconi, un
allora giovane militare sbandato di Legnano che divenne il capo di un GAP
(Gruppi di Azione Patriottica) con sede a Gorla Maggiore e che guid molti
giovani gorlesi in azioni di sabotaggio, soprattutto contro i treni che nel
1944 trasportavano armi e viveri per i soldati nazifascisti impiegati nella
repressione della Repubblica dellOssola. Attraverso la sua testimonianza, si riusc a dare i contorni agli
avvenimenti resistenziali della Valle Olona e allimpegno dei giovani partigiani, almeno di quelli inquadrati
nelle Brigate Garibaldi, a supportare le azioni che gravitavano attorno alla citt di Legnano e che erano
culminate nellattentato allAlbergo Mantegazza, effettuato dal Turconi con un suo compagno nel novembre
1944 e che provoc la morte di quattro persone tra i nazisti e i repubblichini che frequentavano quel posto tra
lauti banchetti, quando il resto della popolazione non riusciva a sfamarsi per le restrizioni di guerra.
La vicenda di Samuele Turconi, arrestato nelle carceri di Varese, torturato e poi trasferito a San Vittore a
Milano, condannato a morte, fortunosamente salvatosi e liberato
il 24 aprile 1945 da un guardia carceraria partigiana, ha
contribuito a delineare il contesto nel quale maturata la strage
di partigiani avvenuta a Gorla Minore che ho pi sopra
ricordato.
Allinizio del mio interessamento storiografico, negli anni 80
dello scorso secolo, questa tragedia era ancora ricordata come
avvenuta per un gruppo di persone che su di un camion
festeggiava il giorno della liberazione e che per sbaglio venne
mitragliato da quellaereo che io, giovane adolescente, avevo
fotografato dal terrazzo della Villa Restelli. Invece le ricerche e
le testimonianze hanno appurato inequivocabilmente che quel
camion trasportava giovani partigiani che, allertati da una
staffetta partita al mattino da Legnano, andavano a dar man forte
ai resistenti della citt. Quindi quel tragico avvenimento si
inquadra nella lotta resistenziale della Valle Olona e se anche
accaduto per un errore di valutazione di un pilota alleato,
tuttavia su quella strada corso sangue partigiano, di cui fatta
la libert e la democrazia italiana.
Queste ricerche, che hanno messo in luce anche il contributo di un altro importante partigiano, Mario Cozzi,
che guid i giovani gorlesi dopo lallontanamento di Samuerle Turconi da Gorla Maggiore, sono state
pubblicate nel 2003 da Annalisa Castiglioni e da Daniele Mantegazza, con il titolo di Appunti per una storia
della resistenza gorlese e costituiscono un contributo fondamentale per la memoria di Gorla Maggiore e di
tutta la Valle Olona.
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