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Quadrante

Sul terrorismo: considerazioni preliminari


di Luigi Bonanate

/I terrorismo non una causa, ma una conseguenza; sono i problemi


a far sorgere il terrorismo, e non viceversa. E contro il terrorismo non
si combatte con gli eserciti, nia con la politica

(Red.) Luigi Bonanate uno dei maggiori studiosi del terrorismo politico e delle sue
varie manifestazioni, fin dalla met degli anni Settanta. n suo primo lavoro fu Di
mensioni del terrorismo politico, Milano, Angeli, 1977; l'ultimo, Terrorismo inter
nazionale, Firenze, Giunti, 2002. Ma lo scritto pi recente Terrorismo, politica e
virt, Passato e presente, XXI, n. 60. direttore di Teoria politica e membro del
Comitato scientifico di "Giano". Gli abbiamo posto alcune domande preliminari a
proposito del cosiddetto terrorismo "di matrice islamica".

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U

1. Tutto, dunque, cominciato 1'11 settembre?


Certamente no. In via di fatto, ormai le prove documentali (di quelle che pia
cerebbero sia agli storici seri sia a investigatori ben addestrati) che il dopo
'89 non fosse finito (e dunque fossimo in un dopo-guerra, durante il quale
tutt'altro che sicuro che tutto funzioni bene, che tutti siano soddisfatti e tutti
i danni e rancori siano stati riparati) si sono accumulate sui nostri tavoli. Gli
Stati Uniti, cos come avevano fatto alla fine della seconda guerra mondiale
(non mi stancher mai di ripetere che anche H9 novembre 1989 abbiamo as
sistito alla fine di una guerra mondiale, non combattuta, ma vinta), inco
minciarono a interrogarsi sul futuro del mondo, o meglio sul futuro pi desi
derabile dal loro punto di vista. Come sovente succede, si delinearono due
fondamentali ipotesi, tipiche del costume mentale americano: affidarsi al1a
spontaneit del mercato (inteso nel suo senso pi ampio, che comprende an
che la cultura, le mentalit, ecc.), che avrebbe dovuto benevolmente portare
la ricchezza al mondo: non per tutti e subito, ma progressivamente; la bac
chetta magica non esiste, ma la globalizzazione avrebbe dovuto assomigliar
le non poco: un grande velo di gradualismo avrebbe, seppur lentamente ma
inarrestabilmente, coperto i mondi pi poveri e li avrebbe coinvolti nei van
taggi comparati dei mercati competitivi. Naturalmente la ricchezza non si

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crea in un istante, e verosimilmente si sarebbe dovuto sottrarre un po' di ric


chezza laddove ce n'era fin troppa e ridistribuirla, ma alla fin fine (tra una
generazione o due) il sistema si sarebbe spontaneamente riequilibrato e le
condizioni di vita medie sarebbero migliorate anche nelle parti pi sfortuna
te e povere del mondo.
Questa linea conteneva una (forse) non voluta, ma (oggettiva) contraddi
zione: prendendo la globalizzazione al suo valore facciale ovvero accettan
dola come il frutto di una buona intenzione, si dimenticava che lo sviluppo
economico, se s-regolato, non distribuisce ma sottrae, accumula, ma non
moltiplica. In termini pi generali, soltanto un saldo e condiviso spirito de
mocratico potrebbe consentire che, alla lunga e pazientemente, la globaliz
zazione benevola dia i suoi frutti: senza regole, l'economia selvaggia e
soltanto la democrazia, nella sua versione procedurale, pu irreggimentarla
(magari rallentando i tassi di sviluppo e riducendo i profitti, ma consolidan
do ciascuna delle tappe del progresso comune).
La seconda ipotesi, certo meno universalistica e cosmopolita della prima
(ma non si potrebbe farne una colpa a nessuno), si chiedeva invece, sogget
tivamente (ovvero, dal punto di vista dello Stato che aveva vinto la guerra)
quali potessero essere i dividendi della vittoria. Non c' nulla di male in ci
(se si accetta la guerra): se si lottato, se si speso, se si sofferto per fare
trionfare un ideale (il proprio, legittimamente) e se alla fine si raggiunto il
trionfo, perch non se ne dovrebbero toccare i vantaggi? Si badi: ogni guer
ra comporta questa condizione; la vittoria, di per s, un sottoprodotto: il ve
ro fine di guerra , avendola vinta, di goderne i frutti. Quali quelli degli Sta
ti Uniti, che la guerra l'avevan vinta? La guerra era stata globale, i suoi frut
ti devono esserlo altrettanto. E nessuno deve contestarli. Gli Stati Uniti, tut
tavia (o qualcuno in quel Paese: una futura classe dirigente ... Non c' nulla
di male neppure nel far progetti), si chiesero in primo luogo quanto i frutti
della vittoria fossero al sicuro e, com'era prevedibile (qui si determina un in
crocio con l'ipotesi precedente: meglio, forse uno scontro - uso la parola
proprio nel significato che le diede Huntington), si accorsero che di sicuro,
immodificabile, certo, non esiste nulla e tanto meno poteva esserlo l'idea che
tutto il mondo fosse disposto ad allinearsi al seguito, contribuendo al trionfo
di una globalizzazione che avrebbe lasciato loro, prevedibilmente, esclusiva
mente o inizialmente le briciole. La risposta che venne data a questa sfida era
tutt'altro che stupida o sottovalutabile: necessario costruire un mondo a no
stra immagine e somiglianza - dissero - che sarebbe dunque finalmente
(dopo che Wilson l'aveva sognato quasi un secolo fa safe for democracy.
Qui si chiude il cerchio, o finisce il racconto, la narrativa - come si di
ce oggi - del nostro problema: la democrazia american style la panacea di
tutti i pericoli del mondo, e quando essa fosse estesa a ogni angolo della ter
ra anche i pacifisti potranno essere contenti: non ci spiegano da anni che la
democrazia non fa la guerra?
Il ragionamento tutt'altro che insensato. Discutibile semmai la strate

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gia che si adottata per applicarlo: dobbiamo costringere il mondo a diven


tare democratico anche se non vuole o se dapprima vorrebbe altro: ecco la
versione imbastardita o falsificata della kantiana speranza democratica. La
democrazia non si impone n si vende o svende, ma si apprezza e sceglie in
confronto ad altre soluzioni. Se imposta sulla canna di un fucile non piace a
nessuno. Ovvio ma, pi semplicemente, nulla che sia imposto pu essere de
mocratico, per definizione.
Per concludere: la guerra di civilt non altro che lo strumento dell'e
sportazione della democrazia americana versione neo-neoconservatori (quel
li dei quali abbiamo scoperto negli ultimi mesi tanti e tanti rapporti e docu
menti stesi fin dagli ultimi anni del secolo scorso).
2. Per "terrorismo" si intende un'iniziativa di uccisione o strage che par
te da un soggetto substatale. Come qualificare allora la decimazione che
consegu all'embargo nei confronti dell'Iraq a partire dal 1990-91 o l'e
liminazione "mirata" di nemici politici? Forse le tecnologie raffinate so
no al disopra del terrorismo?
Non ricondurrei alcuna delle forme indicate alla definizione di terrori
smo, che invece qualcosa di specifico, speciale e di precisissima defini
zione - ma soltanto dopo che abbiamo ammesso che politicamente parlando
la definizione di terrorismo non potr mai liberarsi del pregiudizio secondo
cui terroristica sempre e soltanto l'azione dell'altro (la ragione sempli
ce: l'azione terroristica intrinsecamente odiosa, dunque non pu essere sta
ta compiuta che dai cattivi, gli altri, il nemico). Terroristica invece, ogget
tivamente, l'azione che sprigiona terrore, ovvero che, scegliendo un ber
saglio simbolicamente potente e suggestivo, consente di raggiungere un ef
fetto terroristico/terrorizzante realisticamente impossibile da conseguire con
qualsivoglia altro mezzo.
L'azione terroristica garantisce il massimo successo (in termini di comu
nicazione, informazione, circolazione di notizie) con il minimo (comparati
vamente parlando) sforzo. A voler essere precisi, quindi, l'omicidio politico,
l'esecuzione mirata, l'embargo, eccetera rappresentano delle sotto specie o
delle conseguenze della dinamica che il terrorismo instaura, ma non ne sono
l'elemento distintivo oggettivo (tant' vero che di omicidi politici nella sto
ria ne abbiamo avuti senza che si considerasse terroristici: che Lincoln sia
stato assassinato non terrorizz nessuno). Si potrebbero evitare gli scogli ter
minologici introducendo la sottocategoria di contro-terrorismo (per gli omi
cidi mirati, ecc.) ma non si otterrebbe altro risultato che un continuo scambio
di accuse in cui il contro sarebbe sempre ciascuna delle due parti che si
difende dal terrorista.
Conservando al terrorismo la sua natura strategica, diremo che esistono
tante altre forme di lotta violenta non istituzionali, che stanno cio in mezzo
tra il livello minimo della violenza privata e quello massimo della guerra in
terstatale. Non vedo a che cosa serva parlare di Stato terrorista dato che il

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suo scopo non giustamente terrorizzare, ma governare, possedere, elimina


re... E per questo tipo di comportamenti abbiamo le buone, vecchie catego
rie dell'analisi morale che ci sostengono, e che nessuna nuova o raffinata tec
nologia potr mai bypassare.
Ciascuno pu e deve dare il suo giudizio morale: nessuno di noi privo
di questa facolt e non dobbiamo forzare quello di nessun altro. Noi comun
que abbiamo il dovere di presentare i termini dei problemi il pi puri possi
bile, sapendo di non poter offrire che approssimazioni che per sono sempre
preferibili alle scorciatoie.

3. C' il tentativo dei grandi media di ridurre a terrorismo la resistenza


del popolo iracheno all'occupazione straniera; si arrivati anzi a nega
re che una resistenza ci fosse.Tutto viene ridotto al ''fondamentalismo is
lamico" e in particolare ad AI-Qaeda. Che dire di ci?
La bagarre terminologica dei mesi scorsi (quando i meno pronti incomincia
rono a capire che ci che succedeva in Iraq era una sporca guerra, o me
glio una guerra vera e propria, dunque, per natura, sporca) sulla liceit o me
no di ricorrere al termine resistenza per definire ci che una parte della po
polazione irachena faceva stata non soltanto fuorviante dal punto di vista
lessicale e storiografico, ma ambigua e ideologica dal punto di vista
nalisi politica. Giudicando gli iracheni (la loro parte che non accetta l'occu
pazione militare, quali che ne siano le ragioni) e rifiutando loro l'appellativo
di resistenti (men che mai di partigiani!) si crede di de-Iegittimarli e la
sciarli quindi scoperti rispetto a ogni forma di giustificazione, costringendo
cos quindi anche la sinistra a sconfessare la violenza illegale, illegittima (ma
che cosa significano questi termini in una terra di nessuno come l'Iraq anar
chico di oggi?) anti-occidentale (e ancora: viene prima l'uovo o la gallina?).
Troppo facile, o troppo semplicistico. Lasciamo pure stare le identificazioni
storiografiche, i modelli, i buoni come i cattivi maestri e, invece che opera
zioni diversive, compiamone una che mira direttamente sul bersaglio (visto
che guerra parliamo): moralmente accettabile che per scacciare un male se
ne commetta un altro, che forse ancora peggiore?
La mia risposta ovviamente che no, che anche al netto del riconosci
mento di una retta intenzione (che non voglio, in via di principio, esclude
re negli Stati Uniti: liberare l'Iraq da un dittatore), l'azione compiuta con
sistita, fin dall'inizio e nel1e modalit che tutti ricordiamo (e che soltanto
Bush e i suoi amici sembrano aver dimenticato: le armi di distruzione di mas
sa, le prove sulle responsabilit di AI-Qaeda, ecc.) in un vero e proprio at
tacco militare che aveva come fine l'occupazione territoriale in vista di una
instaurazione democratica, che per - come abbiamo detto prima
non pu avvenire per mezzo dei fucili. Non sto neppure (anche se sarebbe un
gioco facile) a ricordare che il petrolio ... che la Francia teme per i suoi con
tratti, che guarda caso proprio a Nassirya rEni svolge le sue attivit ... Non
importa: se tutto ci fosse stato il sottoprodotto della democratizzazione ve

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ra e pacifica dell'Iraq (o il suo costo), l'avrei sttoscritto: i vantaggi avreb


bero superato i danni.
Cos come oggi stanno le cose, invece, anche dopo 1'11 marzo (diffidate
dalle ricorrenze storiche. Nessuno tema per un qualche altro prossimo Il: ri
cordi semplicemente che la data delle elezioni in Spagna non la decise bin
Laden), la mitizzazione di AI-Qaeda, e la criminalizzazione dell'Islam fini
scono per essere ben pi dei messaggi che dei fatti: la rete di bin Laden or
mai come la Spectre dei tempi di James Band; l'Islam come gli indiani dei
film western. Ma purtroppo qui la realt che copia la finzione e non vice
versa. Non intendo suggerire concezioni complottistiche della storia o qual
che sorta di versione liberatona della nostra innocenza; pi semplicemente,
anche in questo caso, richiamare ciascuno di noi al suo dovere minimo: va
lutare, giudicare, non farsi abbindolare.

4. Ci sono comunque legami fra il terrorismo in Israele e quello in Iraq?


E tra questi e la Cecenia?
Ogni movimento ha la sua storia e si sarebbe sviluppato anche senza gli
altri, ma non c' alcun dubbio che determinati movimenti possano propen
dere per la stessa strategia terroristica, quando e se essa convenga. Non ci si
imita, ma si capisce quanto potente sia 1'arma terroristica; non ci si aiuta re
ciprocamente (se non negli aspetti materiali: coperture, informazioni, traffici
di armi, addestramento, ecc.) ma le azioni degli uni rafforzano la spettacola
rit di quelle degli altri e in qualche modo le legittimano, ma certo non le proChe ci siano dei terrorismi non deriva dall'esistenza di altri terrorima da ragioni politiche e storiche locali, telluriche: il terrorismo non
una causa (per usare un linguaggio che non condivido, ma che rimane sug
gestivo), ma una conseguenza; non preoccupiamoci dunque dell'espansione
del terrorismo, del suo dilagare da un Paese all'altro: sono .i problemi a far
sorgere il terrorismo, e non viceversa.

5. Quale peso hanno, in questo quadro, il colonialismo e l'imperialismo


tradizionali dell'Occidente in Medio Oriente?
I problemi che evocavo or ora sono, tra gli altri, proprio quelli che vanno sot
to il nome di colonialismo (l'imperialismo, leninianamente parlando - come
mi par giusto - riguarda altri contesti): fa fin vergogna dirlo, ma la socia
lizzazione primaria dei Paesi che ora chiamiamo Stati-delinquenti o ca
naglia o falliti fu operata dai grandi imperi europei: se questi Stati
sono cresciuti male, ebbene, forse la colpa allora anche dei loro educato
ri. Mi fa male ricordare che - quando ero giovane -la cifra dell'anticolo
nialismo che circolava era quella del cosiddetto socialismo dei colonnelli,
e che l'Occidente, allora, vi intravvedeva il cavallo di Troia del comunismo
mondiale! Ma immaginate se il socialismo dei colonnelli (pi colonnelli che
socialisti) fosse stato aiutato invece che ostacolato: avrebbe svolto quella
funzione di secolarizzazione, laicizzazione, separazione Stato-chiesa, di mo-

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dernizzazione, di civilizzazione della lotta politica che sono le grandi virt


che Troeltsch e M. Weber (e poi tanti altri) individuarono come acceleratori
del trionfo del capitalismo e comunque dello sviluppo dello Stato moderno.
Nella sua ottusit, invece, il mondo libero (cos si autodenominava al
lora) non cap nulla di tutto ci, al punto che ancora oggi addirittura l'unico
terzomondismo virtuoso che ci rimane quello del volontariato cattolico:
ben venga, ma non sarebbe stata pi potente una grande risposta collettiva e
universalistica?
6. Esiste la possibilit che il boomerang terroristico possa dar luogo, ne
gli Usa o in qualche Paese europeo, a stragi chimiche o atomiche?
Ci che d al terrorismo la sua enorme forza l'imprevedibilit: a rag
gio ristretto, nei confronti di chi potr esserne il prossimo bersaglio; a lungo
raggio, fino a quale livello potrebbe salire.
Queste due sono le ragioni necessarie e sufficienti per dimostrare che la lot
ta al terrorismo non si fa con eserciti e forze armate, ma con la politica; non si
fa combattendo terroristicamente un terrorismo che se si sviluppato perch
qualche ragione (come abbiamo visto) l'ha scatenato. Per proteggerci dovremo
blindare il mondo? Se in tal modo evitassimo ogni attentato, ebbene attenzio
ne, in quello stesso istante avremmo firmato la resa totale: avremmo abolito la
nostra libert, il terrorismo ci avrebbe in pugno, sarebbe riuscito a farci fare tut
to quel che volesse. No, non questa la soluzione: troppo difficile impedire
che anche un Presidente degli Stati Uniti venga colpito (del resto, un'impre
sa riuscita pi volte prima che AI-Qaeda comparisse!), vano sforzo proteg
gere tutti i siti sensibili del mondo - ma che vita sarebbe?
D'altra parte, non possiamo neppure abbandonarci al sonno in attesa che
questo incubo finisca: senza mai dimenticare per che le armi (tecnicamente
tali o metaforicamente: gas, veleni, bacilli, ecc.) esistono indipendentemente
dalle nostre intenzioni d'uso. O ci riteniamo cos inetti da non saperci con
trollare, e allora in effetti dobbiamo procedere al pi sistematico programma
di eliminazione di tutto che potrebbe essere pericoloso (ovviamente sto iro
nizzando sulla stupidit umana), o abbiamo la serenit per ricordarci che
le armi non sparano da sole ...
In conclusione: ho scritto mille volte che soltanto la democrazia pu
sconfiggere il terrorismo. Ovviamente ci, se vero, vale per tempi lunghi e
non per l'emergenza. Ma se non si incomincia, non incomincer neppure la
democrazia. Non vorrei apparire ingenuo o mistico: proponendo la democra
zia, propongo un obiettivo di livello veramente minimo; so benissimo che da
sola non basta, ma una condizione se non sufficiente tuttavia necessaria per
intraprendere qualsiasi altro cammino. Ma non penso a una banale democra
zia elettoralistica, che si sveglia ogni cinque anni dal letargo, esprime il suo
voto e poi lascia fare al nocchiero senza disturbarlo fino al successivo appel
lo elettorale. La democrazia ben di pi: un costume, uno stile di vita, una
condizione di pace.

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Ancora sulla resistenza irachena e sul fal


limento dell'occupazione
di Giancarlo Lannutti

SCIITI E SUNNITI UNITI NEILA LOTTA, SI


POTREBBE dire riecheggiando uno
slogan di altri tempi per sottolineare
i drammatici ma anche clamorosi
sviluppi della situazione in Iraq. Uno
slogan, o una constatazione, che pu
sorprendere soltanto chi non conosce
la storia e la realt dell'Iraq o chi ri
pete a pappagallo i luoghi comuni
della propaganda americana e filoa
mericana, farcita di arroganza ma
anche di supponente ignoranza; poi
ch nella storia anche moderna del
l'Iraq le discriminanti non sono mai
passate lungo i confini religiosi ma
hanno sempre avuto un carattere es
senzialmente politico e sociale. Se
non si parte da qui non si pu capire
nulla della resistenza irachena, delle
sue radici, dei suoi possibili (o pre
vedibili) sviluppi.
Sottolineando nel precedente nu
mero di "Giano" il carattere nazio
nale e pan-iracheno (nel senso geo
grafico del termine) della resistenza
scrivevamo che "il movimento di op
posizione all'occupazione anglo-ita
lo-americana articolato e radicato
nel popolo, in nessun modo esso pu
ridursi a singoli episodi di terrori

smo"; dove l'espressione "opposi


zione all'occupazione" alludeva con
evidenza non solo alla resistenza ar
mata ma anche al sentire generale
della popolazione e dunque a tutte le
forme di contestazione della presen
za straniera. Non nostro costume
"scriverci addosso", come si dice in
gergo, ma un fatto che quanto sta
accadendo in Iraq conferma pun
tualmente quella analisi, come di
mostrano il carattere generale della
rivolta (da Mosul, a Falluja, a Kar
baia) che vede fianco a fianco non
solo sciiti e sunniti ma anche islami
ci e laici, nonch il fatto eclatante
che in varie localit del sud i poli
ziotti iracheni addestrati dagli ame
ricani hanno fatto causa comune con
gli insorti e che un battaglione del
"nuovo" esercito, inviato dal co
mando Usa a Falluja, si rifiutato di
combattere "contro altri iracheni".
Il fallimento della stratega (se
cos possiamo chiamarla) dell'am
ministrazione Bush totale e mette
in evidenza in modo incontrovertibi
le alcuni elementi che vale la pena di
sottolineare, e precisamente: la in
consistenza del tanto reclamizzato

QUADRANTE -

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