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DIALOGHI ITALIANI
I
Dialoghi metafisici
(Sansoni, Firenze, 1985)
LA CENA DE LE CENERI
DIALOGO SECONDO
Teofilo. - Non , non impossibile, bench sii difficile, questa impresa. La difficolt
quella, ch' ordinata a far star a dietro gli poltroni. Le cose ordinarie e facili son per
il volgo ed ordinaria gente; gli uomini rari, eroichi e divini passano per questo camino
de la difficolt, a fine che sii costretta la necessit a concedergli la palma de la
immortalit. Giungesi a questo che, quantunque non sia possibile arrivar al termine di
guadagnar il palio, correte pure e fate il vostro sforzo in una cosa de si fatta
importanza, e resistete sin a lultimo spirto. Non sol chi vince vien lodato, ma anco
chi non muore da codardo e poltrone: questo rigetta la colpa de la sua perdita e morte
in dosso de la sorte, e mostra al mondo che non per suo difetto, ma per torto di
fortuna gionto a termine tale. Non solo
degno di onore quell'uno ch'ha meritato il palio, ma ancor quello e quell'altro c'ha si
ben corso, ch' giudicato anco deogno e sufficiente de l'aver meritato, bench non
l'abbia vinto. E son vituperosi quelli, ch'al mezzo de la carriera, desperati, si fermano,
e non vanno, ancor che ultimi, a toccar il termine con quella lena e vigor che gli
possibile.Venca dunque la perseveranza, perch, se la fatica tanta, il premio non
sar mediocre. Tutte cose preziose son poste nel difficile. Stretta e spinosa la via de
la beatitudine; gran cosa forse ne promette il cielo[]
DIALOGO PRIMO
Teofilo. - [] Il Nolano, per caggionar effetti al tutto contrarii, ha disciolto l'animo
umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l'artissimo carcere de l'aria turbulento;
onde a pena, come per certi, buchi, avea facult de remirar le lontanissime stelle, e gli
erano mazze l'ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nuvole e veder
quello che veramente l su si ritrovasse, e liberarse da le chimere di quei, che,
essendo usciti dal fango e caverne de la terra, quasi Mercuri ed Apollini discesi dal
cielo, 'con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d' infinite pazzie,
bestialit e vizii, come di tante verbi, divinit e discipline, smorzando quel lume, che
rendea divini ed eroici gli animi di nostri antichi padri, approvando e confirmando le
tenebre caliginose de' sofisti ed asini. Per il che gi tanto tempo l'umana raggione
oppressa, tal volta nel suo lucido intervallo piangendo la sua si bassa condizione, alla
divinae provida mente, che sempre ne l' interno orecchio li susurra, si rivolge con
simili accenti:
Chi salir per me, madonna, in ciclo,
A riportarne il mio perduto ingegno ?
(Ariosto, Orlando Furioso)
Or ecco quello, ch' ha varcato l'aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli
margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none,
decime ed altre, che vi s'avesser potuto aggiongere, sfere, per relazione de vani
matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossi al cospetto d'ogni senso e raggione,
co' la chiave di solertissima inquisizione aperti que' chiostri de la verit, che da noi
aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe,
illuminati i ciechi che non possean fissar gli occhi e mirar l' imagin sua in tanti
specchi che da ogni lato gli s' opponeno, sciolta la lingua a' muti che non sapeano e
non ardivano esplicar gl' intricati sentimenti, risaldati i zoppi che non valean far quel
progresso col spirto che non pu far l' ignobile e dissolubile composto, le rende non
men presenti che si fussero proprii abitatori del sole, de la luna ed altri nornati astri,
dimostra quanto si in o simili o dissimili, maggiori o peggiori quei corpi che
veggiamo lontano a quello che n' appresso ed a cui siamo uniti, e n' apre gli occhi a
veder questo nume, questa nostra madre, che nel suo dorso ne alimenta e ne nutrisce,
dopo averne produtti dal suo grembo, al qual di nuovo sempre ne riaccoglie, e non
pensar oltre lei essere un corpo senza alma e vita, ad anche feccia tra le sustanze
corporali. A questo modo sappiamo che si noi fussimo ne la luna o in altre stelle, non
sarreimo in loco molto dissimile a questo, e forse in peggiore; come possono esser
altri corpi cossi buoni, ed anca megliori per se stessi, e per la maggior felicit de'
propri animali. Cossi conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti numi, che son quelle
tante centenaia de migliaia, ch'assistono al ministerio e contemplazione del primo,
universale, infinito ed eterno efficiente. Non pi impriggionata la nostra raggio ne
coi ceppi de' fantastici mobili e motori otto, nove e diece. Conoscemo, che non
ch'un cielo, un'eterea reggione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le
proprie distanze, per comodit de la participazione de la perpetua vita. Questi
fiammeggianti corpi son que' ambasciatori, che annunziano l'eccellenza de la gloria e
maest de Dio. Cossi siamo promossi a scuoprire l'infinito effetto dell'infinita causa, il
vero e vivo vestigio de l' infinito vigore; ed abbiamo dottrina di non cercar la divinit
rimossa da noi, se l'abbiamo appresso, anzi di dentro, pi che noi medesmi siamo
dentro a noi; non meno che gli co !tori degli altri mondi non la denno cercare
appresso di noi, l'avendo appresso e dentro di s, atteso che non pi la luna cielo a
noi, che noi alla luna.
(pp.32-34)
DIALOGO TERZO
Teofilo. []se ben consideriamo, trovarremo la terra e tanti altri corpi, che son
chiamati astri, membri principali de l'universo, come danno la vita e nutrimento alle
cose che da quelli toglieno la materia, ed a' medesmi la restituiscano, coss e molto
maggiormente, hanno la vita in s; []
Teofilo. [] Muovensi dunque la terra e gli altri astri secondo le proprie differenze
locali dal principio intrinseco, che l'anima propria. []
DIALOGO QUARTO
Teofilo. [] Ma, come chiarissimamente ognuno pu vedere, nelli divini libri in
servizio del nostro intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni circa le
cose naturali, come se fusse filosofia; ma, in grazia de la nostra mente ed affetto, per
le leggi si ordina la prattica circa le azione morali.
anima che non anima: perch il tutto indifferentemente, e per uno, l'universo
uno.
[]
Perch, se vuoi dir parte de l'infinito, bisogna dirla infinito; se infinito, concorre in
uno essere con il tutto: dunque l'universo uno, infinito, impartibile. E se ne l'infinito
non si trova differenza, come di tutto e parte, e come di altro e altro, certo l'infinito
uno. Sotto la comprensione de l'infinito non parte maggiore e parte minore, perch
alla proporzione de l'infinito non si accosta pi una parte quantosivogliamaggiore che
un'altra quantosivoglia minore; e per ne l'infinita durazione non differisce la ora dal
giorno, il giorno da l'anno, l'anno dal secolo, il secolo dal momento; perch non son
pi gli momenti e le ore che gli secoli, e non hanno minor proporzione quelli che
questi a la eternit. Similmente ne l'immenso non differente il palmo dal stadio, il
stadio da la parasanga; perch alla proporzione de la inmensitudine non pi si accosta
per le parasanghe che per i palmi. Dunque infinite ore non son pi che infiniti secoli,
e infiniti palmi non son di maggior numero che infinite parasanghe. Alla proporzione,
similitudine, unione e identit de l'infinito non pi ti accosti con essere uomo che
formica, una stella che un uomo; perch a quello essere non pi ti avicini con esser
sole, luna, che un uomo o una formica; e per nell' infinito queste cose sono
indifferenti. E quello che dico di queste, intendo di tutte l'altre cose di sussistenza
particulare.
[]
Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l'infinito,
il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l'universo tutto centro,
o che il centro de l'universo per tutto, e che la circonferenza non in parte alcuna
per quanto differente dal centro, o pur che la Circonferenza per tutto, ma il centro
non si trova in quanto che differente da quella. Ecco come non impossibile, ma
necessario che l'ottimo, massimo, incompreensibile tutto, per tutto, in tutto,
perch, come semplice e indivisibile, pu esser tutto, esser per tutto, essere in tutto. E
cossi non stato vanamente detto che Giove empie tutte le cose, inabita tutte le parti
de l'universo, centro de ci che ha l'essere, uno in tutto e per cui uno tutto. Il
quale, essendo tutte le cose e comprendendo tutto l'essere in s, viene a far che ogni
cosa sia in ogni cosa.
Ma mi direste: perch dunque le cose si cangiano, la materia particulare si forza
ad altre forme? Vi rispondo, che non mutazione che cerca altro essere, ma altro
modo di essere. E questa la differenza tra l'universo e le cose de l'universo; perch
quello comprende tutto lo essere e tutti i modi di essere: di queste ciascuna ha tutto
l'essere, ma non tutti i modi di essere; e non pu attualmente aver tutte le circostanze
e accidenti, perch molte forme sono incompossibili in medesimo soggetto, o per
esserno contrarie o per appartener a specie diverse; come non pu essere medesimo
supposito individuale sotto accidenti di cavallo e uomo, sotto dimensioni di una
pianta e uno animale. Oltre, quello comprende tutto lo essere totalmente, perch estra
e oltre lo infinito essere non cosa che sia, non avendo estra n oltra; di queste poi
ciascuna comprende tutto lo essere, ma non totalmente, perch oltre ciascuna sono
infinite altre. Per intendete tutto essere in tutto, ma non totalmente e
E soggionse che gli dei aveano donato a l'uomo l'intelletto e le mani, e l'aveano fatto
simile a loro,. donandogli facult sopra gli altri animali; la qual consiste non solo in
poter operar secondo la natura ed ordinario, ma, ed oltre, fu or le leggi di quella;
acci, formando o possendo formar altre nature, altri corsi altri ordini con l'ingegno,
con quella libertade, senza la quale non arrebe detta similitudine, venesse ad serbarsi
dio de la terra. Quella certo, quando verr ad essere ociosa sar frustratoria e vana,
come indarno l'occhio che non vede, e mano che non apprende. E per questo ha
determinato la providenza, che vegna occupato ne l'azione per le mani, e
contemplazione per l'intelletto; de maniera che non contemple senza azione, e non
opre senza contemplazione.
(pp. 727-733)
CABALA DEL CAVALLO PEGASEO
DIALOGO SECONDO
Onorio. Quella de l'uomo medesima in essenza specifica e generica con quella de le
mosche, ostreche marine e piante, e di qualsivoglia cosa che si trove animata o abbia
anima: come non corpo che non abbia o pi o meno vivace e perfettamente
communicazion di spirito in se stesso. Or cotal spirito, secondo il fato o providenza,
ordine o fortuna, viene a giongersi or ad una specie di corpo, or ad un'altra; e secondo
la raggione della diversit di complessioni e membri, viene ad avere diversi gradi e
perfezioni d'ingegno ed operazioni. L onde quel spirito o anima che era nell'aragna,
e vi avea quell'industria e quelli artigli e membra in tal numero, quantit e forma;
medesimo, gionto alla prolificazione umana, acquista altra intelligenza, altri
instrumenti, attitudini ed atti. Giongo a questo che, se fusse possibile, o in fatto si
trovasse che d'un serpente il capo si formasse e stornasse in figura d'una testa umana,
ed il busto crescesse in tanta quantit quanta pu contenersi nel periodo di cotal
specie, se gli allargasse la lingua, amprassero le spalli, se gli ramificassero le braccia
e mani, ed al luogo dove terminata coda andassero ad ingeminarsi le gambe;
intenderebbe, apparirebbe, spirarebbe, parlarebbe, oprarebbe e caminarebbe non
altrimente che l'uomo; perch non sarebbe altro che uomo. Come, per il contrario,
l'uomo non sarebbe altro che serpente, se venisse a contraere, come dentro un ceppo,
le braccia e gambe, e l'ossa tutte concorressero alla formazion d'una spina,
s'incolubrasse e prendesse tutte quelle figure de mmbri ed abiti de complessioni.
Allora arrebe pi o men vrvace ingegno; in luogo di parlar, sibilarebbe; in luogo di
caminare, serperebbe; in luogo d'edificarsi palaggio, si cavarebbe un pertuggio; e non
gli converrebe la stanza, ma la buca; e come gi era sotto quelle, ora sotto queste
membra, instrumenti, potenze ed atti: come dal medesimo artefice diversamente
inebriato dalla contrazion di materia e da diversi organi armato, appaiono exercizii de
diverso ingegno e pendeno execuzioni diverse.
[]
E che ci sia la verit, considera un poco al sottile, ed essamina entro a te stesso quel
che sarrebe, se, posto che l'uomo avesse al doppio d'ingegno che non ave, e l'
intelletto agente gli splendesse tanto piu chiaro che non gli splende, e con tutto ci le
mani gli venesser transformate in forma de doi piedi, rimanendogli tutto l'altro nel
suo ordinario intiero; dimmi dove potrebbe impune esser la conversazion de gli
uomini? Come potrebero instituirsi e durar le fameglie ed unioni di costoro
parimente, o pi, che de cavalli, cervii, porci, senza esserno devorati da innumerabili
specie de bestie, per essere in tal maniera suggetti a maggiore e pi certa ruina? E per
conseguenza dove sarrebono le istituzioni de dottrine, le invenzioni de discipline, le
congregazioni de cittadini, le strutture de gli edificii ed altre cose assai che
significano la grandezza ed eccellenza umana, e fanno
l'uomo trionfator veramente invitto sopra l'altre specie? Tutto questo, se oculatamente
guardi, si referisce non tanto principalmente al dettato de l' ingegno, quanto a quello
della mano, organo de gli organi.
(pp. 885-887)
DE GLI EROICI FURORI
D'un s bel fuoco e d'un s nobil laccio
Belt m'accende, ed onest m'annoda,
Ch'in fiamm'e servit convien ch'io goda.
Fugga la libertade e tema il ghiaccio.
L'incendio tal ch'io m'ardo e non mi sfaccio,
E 'l nodo tal ch'il mondo meco il loda,
N mi gela timor, n duol mi snoda;
Ma tranquillo l'ardor, dolce l'impaccio.
Scorgo tant'alto il lume che m'infiamma,
E 'l laccio ordito di s ricco stame,
Che nascendo il pensier, more il desio.
Poich mi splend'al cor s bella fiamma,
E mi stringe il voler s bel legame,
Sia serva l'ombra, ed arda il cener mio
(La bellezza di ci che amo mi infiamma e il suo valore mi sogggioga al punto che
nel fuoco e nella prigionia trovo il massimo piacere. Quel fuoco, infatti, non
distrugge, ma vivifica e tutto il mondo celebra il legame damore. Nessun timore gela
quel fuoco, nessun dolore scioglie quel legame: lardore sereno, la servit dolce.
Lardore per ci che amo cos intenso ed il legame cos fecondo, che basta
concepirlo per appagare ogni desiderio. Si adegui dunque lombra del corpo alla
volont di fondersi con ci che si ama e possa sciogliersi internamente alla fiamma di
questo fuoco)