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libero. una superpotenza incartata di una paralisi politica ed economica a cui il mondo
assiste, e non visivamente capace di realizzare una strategia adatta per uscirne.
Quindi, prendereste a modello qualcuno di cui si parlato qui sopra? In un mondo dove i
disordini aumentano ogni giorno di pi, dove sarebbe possibile trovare qualcosa da
imitare?
Una delle ragioni fondamentali che hanno causato la Primavera Araba data dai prezzi
dei generi alimentari fuori controllo, pilotati in modo significativo dalla speculazione. Le
proteste e le rivolte in Grecia, Italia, Spagna, Francia, Germania, Austria e Turchia erano
conseguenze dirette della recessione globale. In Spagna, quasi met dei ragazzi tra i 16 e i
29 anni una iper-istruita generazione perduta non ha lavoro, un record europeo.
Si tratta del peggio in Europa, ma in Gran Bretagna, il 20% dei giovani tra i 16 e i 24 anni
disoccupato, e si tratta della media del resto dellUnione Europea. A Londra quasi il 25
per cento della popolazione in et lavorativa disoccupata. In Francia il 13,5% della
popolazione ora ufficialmente povera, ossia vive con meno di 1.300 dollari al mese.
Come si pu vedere in tutta lEuropa occidentale, lo stato ha rotto il contratto sociale. Gli
indignados di Madrid hanno perfettamente colto lo spirito del momento: Non siamo
contro il sistema, il sistema che contro di noi.
Ci descrive lessenza del fallimento abbietto del neoliberismo capitalista, come David
Harvey ha ben spiegato nel suo ultimo libro, Lenigma del Capitale. Chiarisce come la
politica economica di spoliazione di massa, di pratiche predatorie che giungono al furto
giornaliero - soprattutto dei poveri, dei pi deboli, dei semplici e dei non protetti
legalmente diventata lordine del giorno.
LAsia salver il capitalismo globale?
Nel frattempo Pechino troppo indaffarata a ricreare un proprio destino come Regno di
Mezzo globale, schierando ingegneri, architetti e operai del tipo non bombardante dal
Canada al Brasile, da Cuba allAngola per essere distratta dai travagli atlantisti nel
MENA, la regione che include il Medio Oriente e il Nord Africa.
Se lOccidente nei guai, al capitalismo globale stata offerta una proroga per quanto
tempo non sappiamo dalla comparsa di una classe media asiatica, non solo in Cina e in
India, ma anche in Indonesia (240 milioni di persone in modalit boom) e in Vietnam (85
milioni). Non finisco mai di meravigliarmi quando paragono le speranze attuali e la bolla
immobiliare del momento presente in Asia alle mie prime esperienze di vite nel 1994,
quando questi paesi erano ancora le tigri asiatiche, negli anni prima della crisi
finanziaria del 1997.
Solamente in Cina 300 milioni di persone solo il 23% del totale della popolazione
vive in aree urbane da medie a grandi e gode di quelli che vengono sempre definiti
introiti a disposizione. Costituiscono infatti una nazione a parte, uneconomia che gi
due terzi di quella tedesca.
Il McKinsey Global Institute indica che la classe media cinese ora comprende il 29% dei
190 milioni di famiglie del Regno di Mezzo e che raggiunger uno sbalorditivo 75% delle
372 milioni di famiglie nel 2025 (sempre che, naturalmente, lesperimento capitalista
della Cina non sia venuto meno in qualche modo e se la sua bolla immobiliare/finanziaria
non sar scoppiata facendo affondare la societ.)
In India, con una popolazione di 1,2 miliardi di persone, ci sono gi, secondo McKinsey,
15 milioni di famiglie con un introito annuale superiore a 10.000 dollari; in cinque anni
c una proiezione per 40 milioni di famiglie, o circa 200 milioni di persone, che saranno
in quella fascia di reddito. E in India nel 2011, come in Cina nel 2001, la direzione
unicamente quella che punta in alto (ancora fino a quando durer questa proroga).
Gli americani potrebbero ritenere surreale (o iniziare a fare i bagagli per lestero) un
introito annuale di meno di 10.000 dollari in Cina o in Indonesia, quando negli Stati Uniti
- dove la famiglia media dispone di circa 50.000 dollari con la stessa somma si
praticamente poveri.
Nomura Securities prevede che in soli tre anni le vendite al dettaglio in Cina supereranno
quelle degli USA e cos la classe media asiatica potr davvero salvare il capitalismo
globale per un lasso di tempo, ma un ritmo tanto sostenuto che Madre Natura star
seriamente tramando una qualche vendetta catastrofica sotto forma di quello che viene di
solito definito come cambiamento climatico, ma che conosciuto pi di frequente
come tempo strano.
Back in the USA
Nel frattempo, negli Stati Uniti il premio Nobel per la pace, il presidente Barack Obama,
continua a insistere che stiamo vivendo tutti nel pianeta americano, per fortuna. Se questa
filastrocca ancora frequente in casa, pi difficile convincere il resto del mondo,
proprio mentre il primo jet stealth cinese fa un giro di prova quando il Segretario della
Difesa statunitense in visita in Cina. O quando lagenzia di stampa Xinhua, reiterando il
verso dei padroni a Pechino, si inalberata contro i politici irresponsabili di
Washington che hanno recitato di recente nel circo del tetto del debito e ha indicato la
fragilit di un sistema salvato dal crollo grazie alle promesse della Fed di inondare le
banche con soldi freschi di stampa per almeno due anni.
E neppure Washington si dimostrata davvero gentile nel criticare la dirigenza del suo
pi grande creditore, che detiene 3,2 trilioni di dollari in riserve di moneta, il 40% per del
totale globale, e che sempre pi sconcertata dalla letale esportazione della democrazia
per negati dalle spiagge americane alle zone di guerra dellAf-Pak , allIraq, Libia e
verso altri punti caldi del Grande Medio Oriente. Pechino sa bene che una qualsiasi
turbolenza provocata dagli Stati Uniti potrebbe ridurre le proprie esportazioni, far
collassare la bolla immobiliare e gettare la classe lavorativa cinese in modalit
rivoluzionaria radicale.
Ci significa malgrado le voci che si alzano dal variet di Rick Perrye e Michele
Bachmann che non c alcuna malvagia cospirazione cinese contro Washington o
lOccidente. Infatti, dietro il sorpasso della Cina sulla Germania come primo esportatore
mondiale e la sua designazione come fabbrica del pianeta, presente un gran parte della
produzione che in effetti controllata da aziende americane, europee e giapponesi.
Quindi, il declino dellOccidente esiste, ma lOccidente talmente presente in Cina che
non se ne potr andare molto presto. Indipendentemente dagli sbalzi di questo periodo,
siamo comunque, per il momento, allinterno di un unico e obbligato sistema mondiale di
sviluppo, logoro nellAtlantico e fiorente sul Pacifico.
Anche se le speranze di Washington per poter cambiare la Cina sono un miraggio,
quando si parla di monopolio globale del capitalismo chiss cosa ci riserver il futuro?
La terra desolata redux
Si pensa sempre che gli spauracchi tradizionali del nostro mondo - Osama, Saddam,
Gheddafi, Ahmadinejad (che strano, tutti musulmani!) debbano svolgere la funzione di
piccoli buchi neri che assorbono tutte le nostre paure. Ma non salveranno lOccidente dal
suo declino, e lex unica superpotenza dallavere ci che si merita.
Paul Kennedy, lo storico del declino di Yale, ci ricorderebbe sicuramente che la storia
spazzer via legemonia statunitense come lautunno rimpiazza lestate (cos come fu
spazzato via il colonialismo europeo, nonostante le guerre umanitarie della NATO). Gi
nel 2002, durante la preparazione per linvasione dellIraq, lesperto del sistema-mondo
Immanuel Wallerstein stava elaborando questo dibattito nel suo libro Il declino
dellAmerica : non c da chiedersi se gli Stati Uniti siano in declino, ma se sia possibile
trovare un modo per cadere lentamente, senza troppo danno per s o per il mondo intero.
La risposta data nel corso di questi anni abbastanza chiara: no.
Chi pu dubitare che, dieci anni dopo gli attacchi dell11 settembre, la grande storia
globale del 2011 stata la Primavera Araba, essa stessa una sottotraccia del declino
dellOccidente? Mentre lOccidente sguazza in un pantano di paure, di islamofobia, di
crisi economiche e finanziarie e persino di rivolte e di saccheggi in Gran Bretagna, dal
Nord Africa al Medio Oriente la gente mette a rischio la propria vita per tentare di imitare
la democrazia occidentale.
Naturalmente, questo sogno stato parzialmente deragliato grazie alla medievale Casa di
Saud e ai leccapiedi del Golfo Persico, che hanno fatto irruzione con una spietata
strategia di contro-rivoluzione, mentre la NATO cercava di dare una mano parlando di
una campagna di bombardamenti umanitari il cui scopo era quello di poter riasserire la
grandezza dellOccidente. Tutto questo mentre il Segretario Generale della NATO,
Anders Fogh Rasmussen, andava gi duro: Se non si possono schierare le truppe fuori
dai propri confini, si pu comunque esercitare uninfluenza a livello internazionale e poi
quella carenza verr riempita dalle potenze emergenti che non necessariamente
condividono i tuoi valori e il suo sistema di pensiero.
E allora riportiamo la situazione mentre il 2011 si incammina verso linverno. Per quanto
riguarda il MENA, la NATO si muove per tenere Stati Uniti ed Europa in partita, i paesi
BRICS al di fuori dei giochi e i nativi al loro posto. Nel frattempo, nel mondo atlantico,
gli appartenenti alla classe media riescono a malapena ad essere moderatamente disperati,
anche se la Cina in fase di boom e il mondo intero aspetta tenendo il fiato in attesa delle
prossime banalit.
Peccato che non c un nuovo T. S. Eliot per descrivere questa logora e medievale terra
desolata che subentra allasse atlantista. Quando il capitalismo viene ricoverato per le
cure intensive, quelli che pagano il conto dellospedale sono sempre i pi vulnerabili, e il
conto viene pagato per forza col sangue.
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Fonte: The Decline and Fall of Just About Everyone
26.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
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Carnefici e spettatori
Pubblicato il 2 novembre 2012 in alfapi, libri, rivista 2 Commenti
Dal-Lago
Dal numero 24 di alfabeta2, dal 7 novembre nelle edicole, in libreria e in versione
digitale
Alberto Burgio
La questione che sin dal titolo questo agile saggio critico pone una delle pi complesse
fra quelle lasciate in eredit dal Novecento, secolo armato che, come Dal Lago annota,
ha prodotto con le sue guerre pi vittime di quelle causate da tutti conflitti precedenti.
Carnefici e spettatori, quasi una citazione di un celebre studio di Raul Hilberg: e il
problema riguarda soprattutto il ruolo dei secondi, posto che la funzione dei primi pare di
per s inequivocabile. Il libro snocciola unenorme massa di interrogativi. Questo un
merito, bench non a tutte le domande sia data una compiuta risposta.
Limpressione che lautore abbia avvertito il bisogno di chiarire, intanto a se stesso, la
nuova forma che i temi della sua ricerca, da anni incentrata sulla guerra, sono venuti
assumendo nel corso dellultimo decennio (a partire dalle guerre democratiche contro
lAfghanistan e lIraq di Saddam Hussein), man mano che limpiego delle armi da parte
dei paesi occidentali veniva definendosi in base a un nuovo paradigma ideologico,
politico e giuridico. Come se si trattasse ora di prendere congedo da un insieme di ipotesi
per avviare il disegno di un nuovo quadro di riferimento.
Qui possibile appena nominare alcuni di questi interrogativi, giusto per farsi unidea
della loro portata. Si tratta del rapporto tra guerra e cultura occidentale (del fondamento
bellico di questultima); del rapporto tra principi morali e concrete pratiche sociali (in
relazione alla cui contraddittoriet Dal Lago parla di dissonanza cognitiva); degli
effetti della secolarizzazione (del ritirarsi della presa del sacro sulle istituzioni umane
che determina la sacralizzazione delle istituzioni laiche e la denegazione della loro
crudelt); delle conseguenze della metamorfosi novecentesca della guerra, a seguito della
sua mondializzazione. E, soprattutto, della ricostruzione del processo di neutralizzazione
e occultamento della guerra, connesso alla sua esternalizzazione (la guerra si combatte
ormai in luoghi remoti, lontani dalla nostra quotidianit) e al suo divenire una normale
caratteristica delle societ occidentali.
Il paradosso di questa progressiva rimozione (lemma ricorrente nel testo) che essa
culmina proprio quando la guerra diviene totale, pervasiva, illimitata. Dal Lago spiega,
nelle sue pagine pi riuscite, come invisibilit, afasia e indifferenza trionfino al cospetto
di un fenomeno non circoscritto e quindi indefinibile e inesprimibile: unintuizione
che circola gi nelle ultime riflessioni di Foucault, autore a lui caro, e che qui egli
approfondisce. Che cosa ne emerge? Un fermo atto di accusa intellettuale e morale
verso la complice indifferenza degli spettatori, cio dellopinione pubblica, cio di noi
tutti, a cominciare dagli intellettuali democratici fautori delle guerre umanitarie. Cos
torniamo al tema di apertura. Centrale resta la complicata questione di che cosa significhi
essere spettatori nella societ dello spettacolo, e di quali responsabilit morali e
politiche a questo ruolo si leghino.
LIBRO
Alessandro Dal Lago
Carnefici e spettatori. La nostra indifferenza verso la crudelt
Raffaello Cortina (2012), pp. 220
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Reality
Pubblicato il 5 novembre 2012 in alfapi, cinema, rivista, societ 7 Commenti
reality-garrone
pianeti, Luna e Sole. E accanto a lui anche altri: il panorama della scienza ellenistica non
manc di tentativi di uscire dallortodossia aristotelica, persino Seneca e Plinio il
Vecchio, di area latina, sembra ambissero a respirare unaria nuova.
E tuttavia una vera restaurazione arriv chiara e distinta tre secoli dopo Ipparco, quando
Claudio Tolomeo, pur servendosi degli stessi dati osservativi di Ipparco, impiant lintero
Almagesto su una solida base geocentrica, ostinatamente ripristinando le tesi
aristoteliche, e chiudendo dunque la strada, per un altro millennio abbondante, a qualsiasi
diverso ordine, o comunque a qualsiasi deviazione dallordine cos ri-costituito.
Per quanto mi riguarda, le suggestioni foucaultiane mi spingono alla fantastica utopia di
una scienza diffusa nel corpo vivo dellumanit che riesca a far convivere idee diverse,
modi diversi di avvicinarsi alla realt, ordini di discorso diversi, che perdano la loro
stessa connotazione di ordine, una scienza non globalizzata, ma rispettosa della diversit
dei vari miliardi di esseri umani che percorrono il pianeta, una scienza che costituisca un
tessuto variopinto e molteplice, ascoltare la quale assomigli allascoltare quello che
Roland Barthes chiamava Il brusio della lingua, in quel miracoloso frammento di scrittura
che appunto cos si concludeva:
Ed io interrogo il fremito del senso ascoltando il brusio del linguaggio di quel
1inguaggio che la mia Natura peculiare di uomo moderno.
+
Letteratura per la vita
Pubblicato il 28 ottobre 2012 in alfapi, etc. 2 Commenti
pantagruel
Paolo Fabbri
La letteratura, dicono in tanti, abita solo mondi possibili; il mondo reale pu solo
rifletterlo, rispecchiarlo, oppure rifrangerlo, travisarlo. Strana idea! Eppure le lettere e i
letterati fanno parte integrante del mondo reale di cui traducono a modo loro le
esperienze. Basta guardare ai premi letterari ai criteri di scelta dei Nobel e alle
statistiche di vendita che circolano in rete e nei supplementi di stampa. Anche la critica
letteraria, in tempi di crisi, dovrebbe rivendicare senza vergogna la condivisa etimologia,
che valutare e giudicare. Se la crisi ci fa metter giudizio, quello critico potrebbe
servire. Dipende dalla critica naturalmente. Non quella che Barthes chiamava epitetica,
specializzata nella selezione di aggettivi, per decorare rapide interviste dautore: neppure
quella parametrica sempre Barthes alla ricerca di metodi scelti in funzione dei
prodotti dallindustria editoriale. N quella tautologica cio socio-storica: per cui tutto
quel che letterale tale perch tali sono le condizioni o i contesti finch non
cambiano, naturalmente.
Pensiamo piuttosto alla critica tipologica, che sceglie con cura i bei tipi o i tipacci con cui
classificare e interdefinire i personaggi della realt/finzione politica. Individui tuttaltro
che immaginari; soggetti cos iperreali da risultare poco credibili. Un progetto
tassonomico ci vuole per fare chiarezza nella congerie di pubblici e privati malandrini
che i media offrono oggi, alla rinfusa, alla nostra sorpresa: Non credevo, corrotti fino a
questo punto, ecc!. Ebbene, gli studi tipologici del romanzo non sono avari di modelli.
il caso della cricca metalinguistica formata dal Furfante, dallo Sciocco, dal Buffone e
infine dal Furbo. Dramatis personae maschili e/o femminili, o ruoli attanziali
semioticus dixit che abitano mondi reali dove convivono con noi, cio coi loro Babbei
(dalla base onom. babb- col suff. spreg. bo) .
Il Furfante lo conosciamo desperienza e non ha bisogno di ulteriori esplicitazioni:
dallantico francese fors-faire uno che la fa sempre fuori: dalle norme e dalle regole.
Se fate la legge, lui gabba lo santo. Una norma per lui solo lo spostamento
dellillegalismo. Invito i lettori a non perdere tempo a riempire con nomi proprii questa
casella: si finisce per perdere il conto o per smettere di leggere. Passiamo allo Sciocco
quello che non ricorda, non cera, non sa chi paga laffitto di casa o la escort, non
controlla, non trova le ricevute, ecc.; spesso il figlio o parente di veri Furfanti, ed
quello che si fa sorprendere e prendere. Ben gli sta! Poi viene il temibile Buffone, che il
Furfante con la maschera dello Sciocco: maschera pi o meno aggiustata, dietro alla
quale fa capolino a piede libero, ma persino dalle laiche galere, dai clericali conventi, dai
benestanti residenze coatte, domiciliari. Lui ruba a man salva e con un certo qual
rispetto: comincia spesso da pensionati, e bambini. Sta bene persino in cella, dove altri
spifferano oppure si sopprimono. Piace anche ai media, ma mi raccomando: con questo
tipo di Buffone c poco da ridere! lui che sogghigna di noi.
Ultimo viene il Furbo. Non il Furbetto, che uno Sciocco travestito da Furfante. Proprio
il Furbo, quello che non ha mai pagato il dazio e prende tutti per Babbei; tutti noi
sintende, ma persino i Furfanti, mascherati e smascherati. Lo conosciamo bene, ma non
c progetto politico che lo possa rottamare, inchiesta giudiziaria n legge anticorruzione
che riuscir ad incastrarlo; lui morir nel suo letto senza insudiciare le nostre celle, gi
affollatissime di Furfanti, Sciocchi, Buffoni e Babbei. Tutti in attesa del prossimo,
inevitabile indulto.
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Una risata non li seppellir
Pubblicato il 8 ottobre 2012 in alfapi, rivista, societ 7 Commenti
Fabro
Dal numero 23 di alfabeta2 che esce in questi giorni nelle edicole, in libreria e in versione
digitale
Daniele Giglioli
La cosa pi sbagliata da fare prenderli sottogamba, metterla in burletta, lasciarsi sedurre
dallincredibile mole di pasticci, retromarce, figuracce, ragionamenti sghembi e trattative
levantine che hanno accompagnato in questi anni, in Italia, lintroduzione tardiva della
cosiddetta cultura della valutazione: nelluniversit, nella scuola, nella pubblica
amministrazione. Un paranoico potrebbe perfino pensare a una geniale strategia di
comunicazione suggerita da qualche costosissimo spin doctor: non abbiate paura, siamo
buffi. Sono buffi, ma di paura ne fanno e come. Certo la tentazione forte: basterebbe
raccogliere un dossier di neologismi tautologici, anglismi maccheronici, cifre sbagliate,
test farlocchi, passarlo a un bravo comico (un Guzzanti, un Albanese), e leffetto sarebbe
assicurato, specie in un paese dove lunica opposizione culturale visibile dellultimo
ventennio stata svolta, purtroppo, dalla satira.
Chi non ricorda il rettore della Sapienza mentre difende con vibrante accento sabino un
test di ingresso basato sulla grattachecca della sora Maria? Chi non sorriderebbe (amaro)
a rileggere i report delle agenzie di rating che ancora nel 2007 spergiuravano
comunicazione da Gatto con gli Stivali: di chi sono queste terre? Ma del Marchese di
Carabas!).
Diffidenza da trasmettere ai soggetti con ogni mezzo necessario. Loperazione gi a
buon punto. Stupisce quanto debole a parte lopera meritoria di chi capace di
smontare pazientemente il meccanismo; e a parte qualche resistenza corporativa sia
stata la reazione di chi rischia di vedere stravolto il senso del lavoro che fa da uno
scombiccherato armamentario di sofismi. Presupponendo cittadini inermi, la cultura della
valutazione contribuisce a crearli: chi ha tempo e voglia di addentrarsi in quella boscaglia
di pseudo numeri e pseudoconcetti? E ne vale la pena, intenti satirici a parte, nel
momento in cui acclarato che non la razionalit ma un principio di autoelezione
inverificabile presiede a quelle pratiche? Tentare di prendere in castagna la cultura della
valutazione sulla base dei suoi sfondoni divertente e utile, ma non decisivo. Urge invece
contrapporle unaltra cultura. Ci vorr tempo, pazienza, idee e soprattutto fiducia nelle
idee.
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Pubblicato da Le parole e le cose
3 commenti
Ipermoderno. Come raccontare la realt senza farsi divorare dai reality
di Raffaele Donnarumma
[Questo articolo uscito su Alfabeta2. Una versione pi lunga apparsa su
Allegoria].
Goodbye, Postmodernism
Sembra che ormai se ne siano convinti tutti: la cultura e la letteratura postmoderniste si
sono esaurite. Le parole dordine di un trentennio iniziato con la met degli anni Sessanta
e spento alla met degli anni Novanta sono scadute, e le ha sostituite il loro contrario: non
pi morte del soggetto e dellautore, ironia coatta, manierismo, autoreferenzialit,
antistoricismo, scetticismo sulla politica, vanificazione della verit, ma riabilitazione
dellio, nuove forme di realismo, volont di raccontare il presente, partecipazione civile,
denuncia, fiducia in una qualche possibile verit della letteratura. Anche se limpegno
impraticabile per la scomparsa delle strutture che lo sostenevano e per la corrosione cui
proprio il postmoderno lha sottoposto, il presente diventato oggetto di investimenti e
giudizi. La scrittura rivendica oggi effettualit morale, efficacia pratica: ci che, al
contrario, il postmodernismo metteva in mora o irrideva.
Eppure, il cambiamento di clima non coincide affatto con uneclissi del mondo della vita
postmoderna. I miti della fine della storia e dello sciopero degli eventi sono stati
sbugiardati anche prima dell11 settembre; ma non assistiamo certo n alla fine del
tardocapitalismo e del neoliberismo (le loro crisi sono le febbri di crescenza del
Leviatano), n allarchiviazione dei cambiamenti con cui linformatica ha riplasmato il
nostro immaginario. Il processo iniziato alla met degli anni Sessanta si accelerato ed
esteso: il suo secondo nome, infatti, globalizzazione. Ma non pi il tempo
dellanything goes e del laissez faire postmoderni spade di plastica, o maschere troppo
fragili per potersi difendere dalla furia del Nuovo Ordine Mondiale.
approssimazione e moralismo. Ma prima di tutto, bene che il prefisso iper non crei
equivoci: esso non ha alcuna sfumatura celebrativa, e si rivela anzi ansiogeno e
intimidatorio. Liper il dover essere della contemporaneit, la sua ossessione
prestazionale, la febbre che la fiacca. Labbozzo che si compone, allora, non tanto o
solo una rottura con il postmoderno (la cui egemonia, pure, stata contrastata), ma uno
scivolamento e, dunque, la rivelazione che quel post non si era mai compiuto davvero.
In Italia, di ipermoderno si inizia appena a parlare. Il solo, recentissimo tentativo
sistematico appunto di un sociologo: in Ipermondo (Laterza 2012), Vanni Codeluppi
propone Dieci chiavi per capire il presente. Ma gi prima, Massimo Recalcati ricorso a
questa categoria. Luomo senza inconscio (Cortina 2010), con la giunta di Cosa resta del
padre? (Cortina 2011), un trattato di antropologia contemporanea. Nelle patologie
emergenti e simboliche del presente (anoressia, bulimia, crisi di panico, tossicomanie,
disturbi psicosomatici) non emerge alcun rimosso e linconscio fuori gioco. Sembra il
ritratto di molti personaggi contemporanei e di quei narratori che descrivono il disagio
senza credere al profondo e alla psicoanalisi: sono strumenti fatti apposta per leggere
Easton Ellis o Coetzee, Houellebecq o Littell, Nove o Siti.
Realismi ipermoderni
Ma allora, parlare di ipermoderno pu servire a farci capire la cultura, le arti, e in
particolare la letteratura che si sono imposte da met anni Novanta? Se scrittori come
Bolao o Foster Wallace o lultimo DeLillo segnano una transizione dal postmoderno a
qualcosa che non lo pi, ne sono gi fuori, per limitarsi ai nomi pi in vista, Saramago,
Munro, Richler, Roth, Yehoshua, Coetzee, White, Cunningham, Franzen, Schulze,
Houellebecq, Littell. In loro, non si sfugge al confronto con la tradizione modernista; e
come il modernismo si opponeva alla modernit sino al rifiuto e alla reazione, cos questi
scrittori praticano una storiografia critica del presente che ha poco a che fare con
lhistoriographic metafiction di Pynchon o Doctorow. Tuttavia, quello che identifica la
loro scrittura la conciliazione delleredit modernista con le forme storiche del realismo
ottocentesco: conciliazione straordinariamente produttiva e paradossale, se si considera
che, in tutti i modernisti storici, la polemica contro le fotografie naturalistiche e le
marchese che uscivano alle cinque aveva s la coscienza sporca, ma era frontale e
spazientita.
Il nodo della letteratura ipermoderna proprio il realismo; tanto pi, perch con poche
cose come con quello il postmoderno ha avuto il dente avvelenato. Oggi, il realismo
risponde per statuto a unangoscia di derealizzazione e si misura con lirrealt o la realt
depotenziata prodotta dai media. Come ha detto meglio di tutti Siti, il realismo
diventato un souffl pronto ad afflosciarsi in una poltiglia di finzione, cio vive
costantemente nel dubbio di riuscire a fare presa sulle cose e di essere credibile. La
riduzione del mondo a favola, che il postmoderno dava per avvenuta, fomentava o con
cui flirtava, ci che lipermoderno teme e contro cui resiste. Ipermoderno dunque quel
realismo che sa che la realt mediata dalle immagini e dalle costruzioni culturali (cio,
ci si presenta gi sempre riprodotta); ma che cerca comunque di opporsi alla
falsificazione integrale. La questione (ci ha riflettuto Didi-Huberman) non la realt
fuori o prima delle immagini: ma la verit delle e nelle immagini. Le forme del realismo
ipermoderno che spesso assume o costeggia i modi del reportage sono perci mediate
da due istanze complementari: quella documentaria, e quella testimoniale.
Documento, testimonianza
sono fenomeni di tutti i tempi, troppo perch si possa ragionevolmente sperare di porre
loro fine. Da Balzac a Hemingway e oltre, gli scrittori hanno sempre sbuffato sui critici;
alla met del Novecento un autore di destra attaccato da Temps modernes si chiedeva
perch lo odiassero tanto visto che non lo conoscevano; lo stesso Cassola che Policastro,
ricordando la sua cortesia verso Sanguineti, cita come esempio di correttezza, non
dimostrava sempre uguale buon gusto (come prova un suo scambio al vetriolo con
Bocca); in epoche disparate le contrapposizioni di scuola o di poetica finivano a pugni e
schiaffi (magari, ecco, non sollecitati espressamente da un rinomato scrittore su un
autorevole quotidiano: larticolo uscito su Repubblica, con cui Pennacchi si inserisce
nella querelle Carofiglio-Ostuni, riservando un vaffallippa ai sostenitori del secondo, e
incitando contro di lui il primo con un vagli a men, un caso di cui non facile
rintracciare precedenti).
Ma si tratta di eccessi che val comunque la pena di rischiare. Perch le polemiche
incoraggiano a oltrepassare gli steccati, mettono in rapporto, seppur tra diffidenze e
insofferenze, mondi altrimenti inclini a ignorarsi, suscitano una curiosit forse gratuita
come quella per le zuffe dei reality, ma che pu portare a scoperte pi interessanti;
soprattutto, scongiurano il pericolo peggiore, lindifferenza, lautismo intellettuale. A
volte possono, oltre che rinfrescare il sangue come avveniva a Croce, riscaldarlo troppo,
mandarlo in ebollizione, inacidirlo, avvelenarlo, persino farlo scorrere; ma di certo lo
rimettono in circolazione e, quel che pi conta, rimettono in circolazione anche le idee.
+
Pier Paolo Pasolini, Versi del testamento
28 agosto 2012 Pubblicato da Le parole e le cose | 4 commenti
La solitudine: bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori del comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza o mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c;
specie dinverno; col vento che tira sullerba bagnata,
e coi pietroni tra limmondizia umidi e fangosi;
non c proprio nessun conforto, su ci non c dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso un pretesto. Per quanti siano gli incontri
e anche dinverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese dimmondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti non sono che momenti della solitudine;
pi caldo e vivo il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
pi freddo e mortale intorno il diletto deserto;
esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente o la torbida prepotenza