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SAGGIO
STORIA DELLA LINGUA
DEI DIALETTI D'ITALIA
CON UN' INTRODUZIONE
SOPRA

L'ORIGINE DELLE LINGUE NEOLATINE


DEL

ID,r NAPOLEONE CAIX

PARMA, 1872
Dll PREMIATO STABIL TIPOGRAFICO DI PIETRO CRMIOil.

a spese dell'Autore.

- a

.
-

a .

a - a

e
-

Propriet Letteraria

l l

AL COMMENDATORE

PASQUALE

VILLA ERI

IN SEGNO

DI RIVERENZA E D'AFFETTO
-

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----

API EA7AZIO VE'

Questo libro che a qualche inesperto potr parere


gi troppo minuzioso, non che un magro saggio del
molto che sopra le origini e la storia della lingua ci rima
ne a fare. Tuttavia le principali questioni vi sono trat
tate e, come per me potevasi nello stato presente della
scienza, risolute. Ad una maggior copia, determina
tezza e rigore di prove potr solo condurci il lavo
ro

assiduo di

molti anni.

Non

tacere ancora

che per dare unit ad una cos svariata materia, ho do


vuto raccogliere principalmente intorno ad un punto
le mie indagini. Il gruppo dei dialetti toscani, il pi
noto a tutti e il pi importante pei letterati, fu il punto

di partenza dal quale mi sono di mano in mano allar

gato agli altri dialetti italiani ed alle altre favelle del


l'Europa latina, sempre colla mira di illustrare le voci
toscane e di chiarire le relazioni tra i principali dia
letti e la lingua letteraria. E tuttavia anche in questi
limiti, quante difficolt, quante incertezze, quante cause
d'errore ! Mi auguro che ci valga a rendere il giudizio
dei dotti meno severo di quello che i molti difetti e le
grandi lacune di questo primo tentativo potrebbero meri
tare. A niuno infatti pu sfuggire il pericolo e la dife
ficolt che vi ad esplorare un terreno in gran parte
ignoto quale la materia dei nostri dialetti, ed a tentare
l'etimologia di tante voci strane e molto spesso oscure
anche ai meglio esperti in questa materia.
Quanto alle norme con cui fu condotto il libro,

rimando il lettore a quello che ne ho scritto nel fine


dell' Introduzione. Basti il dire qui che mi sono stu

diato di dare alla materia un ordine ed una forma


chiara anche ai molti, che in Italia, senza essere fi
lologi, prendono grande interesse alle questioni di lin
gua. Ho semplificato quanto potevo l'esposizione, evitando

VI

i termini scientifici, quando non erano richiesti, e la


sciando da parte, nel dare le etimologie, le consuete
spiegazioni fonetiche e morfologiche, inutili allo scienzia
to, al quale bastano pochi cenni nei casi dubbi, e sempre
insufficienti agli altri. Sebbene poi io abbia cercato di
vedere tutti i lavori pi importanti sopra i nostri
dialetti, poche volte ho fatto cenno delle etimologie
e delle opinioni diverse che si trovano in questo od in
quell' autore, per non accrescere e complicare inutil
mente la mole del libro. Del resto mi convien pur dire

che pochissime fra le tante vecchie congetture sparse


nei vocabolari e nei mille opuscoli ed articoli di gior
nali che trattano dei dialetti, mi parvero, non che ac
cettabili, meritevoli di discussione.

Tutte le voci citate in questo libro furono da


me riscontrate nei migliori vocabolari dei dialetti,
quali il Vocabolario sardo dello Spano, il napole
tano del Puoti, il toscano del Fanfani, il siciliano
del Mortillaro, il veneziano del Boerio e il saggio
del Biondelli sui dialetti gallo-italici. Ho poi tenuto
conto delle preziose raccolte di voci di questo o di quel

dialetto sparse nei periodici di filologia, dei canti po


polari (sopra tutto degli umbri e dei napoletani); dei saggi
nei diversi dialetti, come sarebbero quelli del Belli in
dialetto romanesco, del Billi in dialetto chiamaiolo, del

Gamba in genovese; e, per i dialetti toscani, di tutte


le aggiunte fatte al Dizionario dell'uso toscano dal padre
Giuliani, dal Rigutini, dal Donati, e dal Fanfani stesso
nel periodico l'Unit della Lingua ed in varie pubbli
cazioni posteriori.

Inutile aggiungere in fine che, oltre al cercare alle


fonti, mi sono giovato dei lavori del Diez, del Corssen,
dello Schuchardt, del Dott del Rnsch, del Littre , del

Brachet, del Paris, del Meyer, dello Scheler, dell' A


scoli, del Fabretti, del Flecchia, del Musaffia, del
Cihac e di altri non pochi tra i migliori che in Italia,
in Germania ed in Francia illustrarono le antiche e le

moderne favelle dell' Europa latina.


Parma, Agosto 1872.

SOMMARIO DELL'INTRODUZlONE
- - -

- -- -

-- -

- -

- - - - -- -

Le tre opinioni della vecchia scuola intorno alle origini delle lin
gue romane Bembo, Varchi, Giambullari, Perion, Guichard ecc.
False idee intorno alla natura del linguaggio; errori e vizii di me
todo che ne conseguirono Differenze del metodo

dei moderni

Lingue ariane e lingue romane; limiti posti ai raffronti Necessit


di scendere a pi minuti raffronti tra i dialetti ; di alcune etimolo
gie del Biondelli, del Galvani e dello Spano La comparazione
necessaria a completare le ricerche storiche L'evoluzione e l' e
lezione naturale nel linguaggio - Lingue antiche e moderne secondo
Augusto Fuchs Teorie per determinare le leggi di evoluzione
delle lingue; nuova corrispondenza tra i progressi della filologia a
riana e quelli della romana Teoria morfologica del Fauriel; esa
me e critica della medesima Teoria fonologica Stretto legame
fra le alterazioni dei suoni e le trasformazioni della grammatica
Nuovi fondamenti della scienza etimologica Opere del Diez;
risultati L' influenza germanica limitata al lessico Obbiezione
di M. Mller; nuances germaniques secondo M. Mller e Littr
Osservazioni a questa teoria Come si spieghi il grande numero
di voci germaniche passate nelle lingue romane Ravvicinamento
ed influenza reciproca fra gli idiomi dei Germani e dei Latini

VIII

Spiegazione della forma oscura od irregolare di alcune voci in


fluenza straniera limitata al lessico anche nella Spagna, arabo e spa
gnuolo Condizioni particolari del valacco.
Stato della questione Quali ricerche siano ancor necessarie
per farla avanzare Insufficienza della comparazione delle forme

letterarie, ed errori a cui pu condurre Lo studio dei dialetti


necessario a meglio conoscere la favella letteraria e pi ancora per

condurci al latino volgare Obbiezioni ad alcune etimologie del Diez.


Scopo di questo libro; norme con cui fu condotto ed ordinato,

INTRODUZIONE

Prima del mille in Francia ed in Provenza e pi tardi in

ftalia, in Ispagna ed in Portogallo vediamo, in luogo del lati


mo di cui tutto il mondo civile servivasi, sostituirsi a poco a
poco nelle scritture cinque nuove favelle le quali, pur manife
standosi, insieme col remoto valacco, strettamente affini al la

tino, se ne distinguono tuttavia tanto nel lessico che nel loro


sistema fonetico e grammaticale. E siffatto trapasso dal latino
alle nuove lingue, chiamate neo-latine, romane o romanze,
ha ci di oscuro e di singolare che sembra compiersi improv
visamente, senza gradi n preparazione. Le latin, ( dice il
Littr), s'altre, sans doute, la fin de l' empire et a
prs l' arrive des barbares, et le style de Gregoire de
Tours est bien loin de la puret de Tite-Live: mais en

fin c' est du latin et nullement une des langues novo-latines.


Puis tout a coup il disparait, et l' on voit sortir, comme de
dessous terre, chacun des idiomes auxquels il a donn naissan

ce. Il meurt brusquement et sans se transformer, de sorte que


ces langues secondaires ne peuvent en tre considres comme

la transformation ou l'expansion. Il V a extinction de quelque


chose d'ancien et naissance de quelque chose de nouveau , (1).
(1) LITTR, Histoire de la langue franaise, Paris, 1863, p. l 10
--

Donde ebbero origine queste nuove lingue? Come si andaro


no elaborando nel seno delle popolazioni latine ? Furono i Bar

bari che insieme coll'impero, sconvolsero e trasformarono l'or


ganismo degli idiomi ? Fu il latino plebeo o rustico, spesso ri
cordato dagli scrittori romani, che, sparso dalle colonie nelle
diverse regioni dell' Impero e mantenutosi obliato e spregiato
durante il predominio di Roma, venne alla luce e si sostitu
alla lingua dell'aristocrazia, quando, sotto il giogo barbarico,
caddero le antiche divisioni e

l'aristocrazia si trov

confusa

colla plebe ? O infine dovremo ravvisare, nel dispiegarsi delle


nuove favelle, un risorgimento degli antichi idiomi celtici, ibe
rici, italici, ristretti bens nell'infima plebe e nelle campagne,
ma non mai totalmente spenti dal predominio della lingua la
tina? Tutte tre queste opinioni ebbero numerosi sostenitori e
furono pi o meno felicemente difese, secondo la condizione de

gli studii linguistici nei varii tempi.

La pi diffusa l'opinione secondo la quale i Barbari a

vrebbero, cogli strani suoni e vocaboli delle loro favelle, corrot


to e imbastardito il latino. Cos il Bembo pens che essen

do (come egli scrive) la romana lingua e quella dei barbari


tra s lontanissime, essi a poco a poco della nostra ora una
ora altre voci, e queste troncamente e imperfettamente pi
gliando, e noi apprendendo delle loro, se ne formasse in pro

cesso di tempo e nascessene una nuova, la quale alcun odore e


dell'una e dell' altra ritenesse. . E il Varchi ripeteva nell'Er
colano le parole stesse del Bembo, rispondendo, a chi lo rim
proverava di fare del volgare un prodotto della corruzione del

latino, colle parole stesse di Aristotele, il quale vuole che nella


corruzione di una cosa si nasconda sempre il germe d'un'altra.
N molto diversamente spiegarono l'origine del volgare il Ca
stelvetro, il Muratori, il Tiraboschi, il Perticari e molti altri
tanto italiani che stranieri.

XI

Non meno antichi sono i tentativi per derivare le lingue


romane dai primitivi idiomi parlati nei paesi latini avanti la
conquista di Roma. Ed essendo tuttora lo studio della natura di

quegli idiomi e delle loro relazioni colle lingue romane la par


te del problema pi spinosa e pi oscura anche ai dotti del
nostro tempo, dopo tutti i progressi della linguistica, non

a meravigliare se ci imbattiamo, riandando quei primi saggi,


nelle pi strane aberrazioni.

In Francia Perion, fondandosi sull'origine greca di Marsi


glia, si sforz di far derivare dal greco le voci del francese;
brbis da tgparov, moi toi da uom, Goi, feni da n i g ecc. Poco
dopo ripeteva gli stessi tentativi il dottissimo Enrico Stefano,
per procedendo con maggiore parsimonia e dando prova di
acume e di giudizio temperato per quei tempi. Invece Guichard
e Thomassin cercavano le origini del francese nell' ebraico, e il
medesimo tentava il Giambullari per l'italiano. A quei tempi
infatti l' ebraico, considerato come la lingua pi antica di tut
te, anzi la lingua stessa di Adamo, era il campo di tutte le

pi singolari congetture e combinazioni etimologiche. Qual


meraviglia che anche il toscano divenisse tutt'uno colla lin
gua di Abramo e di Giacobbe ? Tutto vi veniva per il
giambullari nel modo pi piano. Quel misterioso Ianus dei
Romani altro non era che No, il piantatore della vite (Ianus
dall' ebraico iain vino), venuto nell' Enotria (la terra del vi

no) a propagarvi l'ebraico. Colla qual lingua tutto si spiega


bene; l' origine dei numeri, dei casi, dei comparativi, dei super
lativi e fino di molte di quella voci che gli ingegni grossi ten
gono per latine. Mezzo da mezah, fallito da phalit, avello da
aval e va discorrendo.

Venne poi la volta dei Celtisti. Gli idiomi celtici, supposti


essere gli avanzi delle favelle anticamente parlate nella Francia
e nell'Italia superiore, furono le novelle fonti di etimologie e

XII

di congetture pi strane e pi incredibili l'una dell'altra. Du


clos, la Ravallire, Cour de Gibelin pretesero di scoprirvi i se

mi del francese; Bruce-Whyte quelli di tutte le lingue romane


mettendo il basco e gli idiomi celtici in un fascio; Mazzoni-To

selli volle trovarvi fino l'etimologia delle parole latine, facen


do del celtico una lingua poco meno che universale. Secondo
quest'ultimo la lingua di Roma era un miscuglio delle favelle
dei Sanniti, degli Osci, degli Etruschi, dei Bruzi, degli Umbri,
degli Ispani, ma pi che altro dei Galli. I vocaboli dei nostri
dialetti nordici ( gallo-italici ) sono pi presso alla forma primi
tiva che non gli stessi vocaboli latini. Nel bolognese papastral

per pipistrello, ad esempio, la forma nata quasi intatta, de


ducendosi quelle voce dal celtico pab uccello e stral stella
(uccello notturno), mentre nel latino
molto alterata (1).

vespertilio la voce gi

La terza opinione che fa del volgare il successore dell' an


tico parlare plebeo fu primieramente sostenuta da Leonardo
Bruni. Il latino volgare, fin dal tempo della repubblica, sareb

pe stato pi vicino all'italiano che non alla lingua del patri


ziato, tantoch la plebe avrebbe inteso gli oratori non pi di

quello che i nostri popolani intendano ora la messa in latino.


Questa teoria del Bruni contro alla quale si levarono Fran
cesco Barbaro, il Bembo, il Filelfo, e che il Muratori quali

fic un sogno che non meritava confutazione (somnium nulla


confutatione dignum ), fu poi difesa da Celso Cittadini, dal
Maffei, e dal Ciampi, i quali cercarono e colle testimonianze de
gli scrittori e colle forme delle iscrizioni di togliere ogni dub

bio intorno all'esistenza del latino volgare. Pi arditamente


poi il Quadrio scriveva che siccome le cose imperfette esisto
no prima che le perfette, cos non andrebbe lungi dal vero chi

opinasse che l'odierna lingua non fosse prima che la colta la


tina a
-

(l)MazzoNI- TosELLI, Origine della lingua italiana. Bologna, 1831.

XIII

Tali erano, per restringerci ad un cenno sommario, i tre


sistemi oggi (in quella forma almeno) totalmente abbando

nati per non dire derisi, che furono lungo tempo argomento
delle dispute dei dotti, fino al risorgimento degli studii lingui
stici nel nostro secolo. L' uniformit dei metodi e dei procedi
menti, pure in tanta disparit di opinioni, mi dispensa da ogni
confutazione parziale. Bench in ciascuno di quei sistemi sia
una parte di vero (anche il Giambullari, il Perion ed i Celti

sti, con tutti i loro delirii, erano nel vero almeno in questo, che
gli antichi idiomi ebbero realmente influenza sulla formazione

delle nuove lingue), la rigidezza sistematica con cui davano ad


un solo elemento l'esclusiva prevalenza nelle origini di un fat
to cos complesso, la maniera tutta arbitraria di procedere, e

pi di tutto l'enormit di certe loro affermazioni spiega come,


con tanto spreco d' erudizione e tanto sforzo d'ingegni, non si
ottenesse altro frutto che di togliere il credito agli studi del

l'etimologia. N col solo ingegno, n colla sola erudizione senza


il buon metodo si giunge molto innanzi nella scoperta della

verit. In tutte le scritture di quegli eruditi cercheremmo inva

no un po' di ordine o di scelta nell'uso dei materiali laborio


samente accumulati, o almeno una qualche considerazione ai

tempi ed ai luoghi. Vi troviamo raffronti tra lingue di natura


e di provenienza diversissima, un guazzabuglio di vecchio e di
nuovo, un andare a tentoni senza un barlume di critica.
Quelli che potrebbero chiamarsi i primi quesiti del catechi

smo dell'etimologo non erano da loro, non che studiati e risolu


ti, neppure intraveduti. Con quali avvertenze convien procedere
a volere che un'etimologia possa dirsi scientificamente accerta
ta? A quali caratteri volgeremo principalmente l'attenzione ?

V hanno leggi costanti nel trasformarsi degli idiomi, nel cor


rompersi dei suoni, nel rinnovarsi delle forme ? E quali sono
codeste leggi? Il porre siffatti quesiti e il risolverli implica un

XIV

concetto tutto nuovo della natura del linguaggio, e quindi an

che un rinnovamento nel metodo, il quale piglia norma dai


principii e si conforma all'indole dell'oggetto delle nostre ri
cerche. Se i principii sono falsi, il difetto si scopre nelle con
seguenze. Quegli eruditi, se pure accadeva che si domandassero

che cosa fosse il linguaggio, quale la sua origine, quale la na


tura del suoi mutamenti, o rispondevano, come il Bembo e il
Castelvetro, colle parole stesse usate da Dante nel Volgare Elo
quio, o mostravano attenersi alle teorie dei Sensisti, i quali,

non meno della scuola teologica, riuscivano a disconoscere la


spontanea energia creatrice dello spirito. Le conseguenze e
rano le stesse. Il linguaggio, sia che si reputi una crea
zione divina o il risultato di una convenzione tra i pri
mi uomini, rimane un prodotto a s, indipendente dal pen
siero e dalla vita, e non prorompendo dalle intime potenze
dello spirito, diviene un segno esteriore, uno strumento che
l' individuo pu a suo talento rimutare, atteggiare, modificare.
Dante che sosteneva l' origine divina del linguaggio, scrisse poi
nel Convito che il volgare a piacimento artificiato si tra
smuta, , e ripete nel Volgare Eloquio che la nostra loque
la a nostro beneplacito racconcia, e che la grammatica
fu trovata acciocch per la variazione del parlare, il quale
per singolare arbitrio si muta, non ci fossero o tutto in tol
te o imperfettamente date le autorit degli antichi, come poi

disse nella Divina Commedia che l'uomo pone in opera la fa


colt a lui connaturale della parola cos o cos secondo che
gli abbella. , Anche la teoria della lingua illustre in Dante che,
pur racchiudendo un'alta verit, eccede nel fare troppo larga
parte all'efficacia dell'individuo sul linguaggio, consegue natu
ralmente dagli stessi principii, e questi si legano al complesso
delle sue dottrine filosofiche e teologiche.

Similmente il Bembo e la sua scuola, che riputavano le

XV

trasformazioni del linguaggio procedere dagli accidenti esterio


ri e non ne scorgevano l'unit organica, considerarono le nuo
ve lingue come un informe miscuglio dei due elementi germa
nico e latino arbitrariamente accozzati, senza il potere di una
forza assimilatrice che ne costituisse l'unit organica. Ammes
so poi che ogni alterazione delle parole proceda dagli abusi e
dai capricci del volgo, non poteva darsi veruna regola o legge
dei loro permutamenti, n quindi alcuna storia o successione
graduata di fenomeni che si svolgano secondo leggi determina

te. In tal caso come raccogliere i fatti sotto certi principii ge


nerali, come indurre dal presente il passato, come dare alcuna
norma o metodo all'investigazione ? Senza norme poi e senza
metodo come poteva esservi scienza ? Vi fu un ricercare
sconnesso, arbitrario, una certa qual divinazione, ma non vi
fu scienza. Qual meraviglia che, non avendo alcun concetto

della storia dei linguaggi, il Quadrio non vedesse un pri


ma e un poi nelle parole e nei suoni, n sapesse distinguere

le forme primitive dalle derivate, facendo il volgare pi antico


del latino ? Che il Giambullari, il Toselli e tanti altri, ritenendo
non esser mai possibile procedere, in fatto d' etimologie, con
norme fisse, n giungere a risultati sicuri, che tutto si riduces
se ad un maggiore o minor grado di probabilit, ricorressero
colla stessa indifferenza al greco, al celtico, all'ebraico ? Non

v'erano limiti di spazio n di tempo, perch non si erano clas


sificati gli idiomi n se ne conosceva la storia; non v'era dun

que maggior ragione di preferire quest'etimologia o quell'al


tra; era questione di probabilit e bene spesso ancora di gusto
e di fantasia. Di qui quell'arrabattarsi

compassionevole

dei po

veri etimologi e quella serie di delirii che ha dato ragione agli

ingegni positivi di pigliarsi giuoco delle etimologie, e che li


tiene tuttavia in sospetto. Etimologia non signific altro, per
secoli, se non spasso o trastullo di eruditi, che non serviva che

XVI

a far pompa di bello spirito e di dottrina. E per verit anche

il modo di esporre le derivazioni, oltre al difetto gi notato


del vagare sconfinato pei campi pi lontani, era tale da giusti
ficare quel giudizio.

Non c' era limite alla licenza ed all'immaginazione dell'e


timologo. Una somiglianza lontanissima di suono bastava. To
gliendo poi una vocale o modificando una consonante, dividendo
o contraendo le parole, ricostruendo una serie fantastica di for
me intermedie che finivano col dare al vocabolo il desiderato

suono perch l'etimologia stesse in piedi, cavillando anche sui


significati, qual voce d' umana lingua poteva rimanere oscura
all' etimologo ? Il Menagio cos derivava rat da mus: on a
vait di dire d' abord mus, puis muratus, puis ratus, emfin
rat,. E cos haricot da faba: on a di dire faba puis faba
ricus, puis fabaricotus, aricotus, et enfin haricot. , Lesina

derivava da aculeus divenuto aculesus poi aculesina, alesina,


lesina; e colla stessa facilit cahier derivavasi da scapus, che
da apud '

Non per questo che tutti giungessero a quegli estremi,


e che, fra tanti delirii, non dessero qualche volta nel segno. Ba
sterebbe ricordare fra i nostri il Muratori, il quale esercitato
alla paziente indagine storica, e aiutato da una erudizione e da
uno studio immenso delle cose medievali, propose non di rado
etimologie che la scienza ha poi riconfermato o non del tutto

rigettato. Ma in generale anche nei migliori e nei pi giudizio

si, come il Salvini, non si trovano che poche congetture felici,


perdute in molte o storpie o sforzate, le quali mostrano bene

l'acutezza e l'erudizione dell'autore, ma niuna luce apportano


alla storia della nostra lingua. Il peggio si che un tal me
todo quello che ha durato fino ai nostri tempi in Italia. Non

solo i vocabolaristi della prima met del secolo, ma alcuni an


cora dei viventi e, per molti rispetti, benemeriti cultori di que

XVII

sti studii, poco si scostano nei loro metodi da quei primi. Quel
l'errare a caso in cerca di voci affini, quel lasciarsi illudere da
un'apparente consonanza, e quel ricostruire arbitrariamente for
me intermedie non appoggiate ad alcuna conoscenza delle leggi
che governano le trasformazioni degli idiomi, tuttavia il
debole dei loro metodi. E se ora si mostra maggior rispetto
alle esigenze storiche, le quali non consentono raffronti tra lin

gue affatto disparate, quando non siano accaduti fatti da far


credere ad uno scambio di voci tra due popoli, non mancano
per anche oggi di quelli che avventurano, specialmente per le
voci oscure dei dialetti, congetture ed ipotesi da ricordare quel
le del Giambullari e del Perion (1).
Il metodo di questi etimologi pu paragonarsi a quello de
gli antichi naturalisti che classificavano gli esseri secondo certi
caratteri esteriori, senza curarsi di osservare pi oltre, ponen

do il delfino e la balena tra i pesci perch vivono nell'acqua.


Ma come i naturalisti vollero pi tardi penetrare nell'intima
struttura degli esseri e classificarli secondo certi fondamentali
caratteri, cos ora il linguista non si appaga di apparenti con

sonanze, ma studia le parole e le raffronta nelle loro propriet


intime e fondamentali. Anche qui come nelle scienze naturali si
procedette per gradi; si raffrontarono prima alcune categorie di
voci, poi le forme, poi i suoni nelle loro pi minute trasforma
zioni. In tal guisa le favelle poterono dividersi, secondo i di
versi gradi di parentela, in gruppi ed in famiglie, che costitu
iscono anche i limiti nei quali devono restringersi i raffronti.
Al di l si ricade nelle congetture della vecchia scuola. N ci
(l) Per citare un esempio tra mille, nel Dizionario dei dialetti
bergamaschi antichi e moderni, compilato del resto con lodevole cu

ra dal Sig. Tiraboschi, si trova in principio aral (piazza ) raccosta


to a voci del celtico, del caldaico e del sanscrito. Il lat. area non
bastava ?

XVIII

basta, ch devesi anche tener conto delle divisioni e suddivisio


ni secondarie stabilite dalla scienza. Anco

limitandoci al

solo

gruppo ariano, le somiglianze casuali e quindi gli abbagli eti


mologici non sarebbero evitati, se non tenessimo conto delle
minori divisioni di quel gruppo. Voci, forme e propriet del
latino, che si credeva poter illustrare col sanscrito, ricevono
invece spiegazione nel seno stesso del gruppo italico. Il mede
simo si dica di molte propriet della lingua tedesca, di cui solo

il raffronto delle variet del gruppo germanico pu dare la ra


gione. I raffronti generali devono precedere, ma come scala ai
parziali. Da ci che la lingua italiana co' suoi dialetti forma

parte della famiglia ariana, non viene che io possa, per ogni
etimologia che si cerca, percorrere l'immenso dominio abbrac
ciato dagli Ariani. Una voce ariana prima di divenire italiana
fu latina o celtica, o germanica, o greca; ed in ciascuna di que
ste stazioni si modificata in una data guisa, secondo l'analo
gia di altre voci e forme; e senza porre mente a codeste modi

ficazioni locali si torna, per altra via, agli inganni delle conso
nanze e quindi ai vecchi errori. Cos, per esempio, acqua ap

in sanserito, ed ab in persiano, e similmente ape in rumeno,


ed abba in sardo. Le voci del rumeno e del sardo sono

certo

pi vicine a quelle del sanscrito e del persiano che non al lat.


aqua; pure ogni etimologo di senno non star un istante sospe
so a considerare la voce latina e non la sanscrita come quella
da cui originarono s ape che abba, perocch queste voci si
modificarono in forza di una legge fonetica comune al sardo ed
al valacco, secondo la quale i suoni gutturali latini (special

mente i gruppi que gu) mutano in labbiali (1).


La somiglianza del suono molto spesso accidentale, men
(l) Vedi sopra questa legge le finissime osservazioni del prof. Ascoli
nei Corsi di Glottologia, p. 132 e seg.

XIX

tre poi pu accadere che una notevole differenza apparente ri


copra l'identit d'origine. Si vede da ci perch la scienza del
linguaggio che cominci coi confronti pi estesi, abbia ne' suoi
progressi ristretto e diviso in centri minori il campo delle in
vestigazioni. Dopo la grammatica comparata di Bopp che ab

braccia tutte le lingue ariane, vennero i lavori di Grimm per


illustrare gli idiomi tentonici, quelli di Meyer e di Curtius sui
dialetti greci, quelli di Corsen sul gruppo italico, quelli di Ze
uss sul celtico, di Miklosich sullo slavo ecc. Anche le lingue
romane furono studiate a parte nella grammatica comparata del
Diez, ed ora l' uscire dai limiti tracciati in quella grammatica

per raffrontare direttamente col sanscrito l'italiano od il fran


cese, come ha fatto il Deltre, non pu condurre che a l una

deplorevole confusione, e spesso ancora a degli aberramenti.


Cos non ha molto che un dotto sanscritista italiano ravvi

cinava la voce uccello al sanscrito ucc'ara (che va in alto) si

gnificante il medesimo, non avvertendo che la forma poetica


augello, come lo spg. aveci la pongono fuori di dubbio la de
rivazione dal latino avicella. N il campo romano parr troppo
angusto a chi ama approfondire le questioni, ch lo vediamo a

nostri giorni scompartito in pi centri minori, ciascuno dei qua


li offre per se larga messe ad una nobile schiera di studiosi.

Dopo la grammatica generale del Diez si cominciano a scrivere


le grammatiche speciali, in cui ciascuna delle lingue romane
viene studiata ed illustrata a parte nelle sue variet dialettali.
Vedremo al suo luogo quanto lo studio ed il raffronto delle va

riet dialettali sia indispensabile a ben intendere molti fenome


ni di cui la grammatica comparata generale non pu dare la
spiegazione. I Francesi hanno prima di noi compresa questa verit,
ed i loro dotti fanno larga parte allo studio dei dialetti. Il Grand
gagnage spiega collo studio del vallone varie voci oscure del

Xo,

francese letterario, e non di rado il Littr si giova degli studii


dialettali nei suoi dotti lavori sulla lingua francese (1).
lnfine anche i gruppi dialettali dovranno essere esaminati e

studiati parte a parte in tutte le loro variet; senza di che


vano sperare di avere un'idea precisa del materiale che i no
stri dialetti comprendono e di poterne chiaramente determinare
le origini. Conviene infine scendere dai pi estesi raffronti a
restringere il campo delle nostre osservazioni e via via sminuz
zare la materia e raffigurare i minimi aspetti di ci che si pren
de a considerare. Pochi, son certo, avranno la perseveranza di
andare tant oltre; ma il non aver compreso abbastanza quella

verit fu il principale motivo che uomini dottissimi e reputatis


simi, volendo spiegare le voci dei dialetti, siano caduti in erro
ri che ai nostri giorni non dovrebbero ripetersi. Citer solo i

tre principali, il Biondelli, lo Spano e il Galvani, i quali nelle


loro preziose raccolte di voci dell'alta Italia e della Sardegna
non usano assai largamente dei raffronti presi sul luogo mede
simo della voce di cui si vuoi dare l'etimologia, e per piccola
oscurit che essa contenga ricorrono al celtico, al greco, all'a
rabo od alle lingue teutoniche. Certo le loro congetture non

sono prive di base storica; il celtico fu parlato nel Nord dell'I


talia, il greco e l'arabo nella Sardegna, e molte voci germani
che entrarono nei nostri dialetti colle invasioni dei Barbari. Ma

non si dovrebbe ricorrere a quegli idiomi se non dopo avere ben

cercato nei dialetti medesimi e nelle lingue affini, senza di che


l'etimologia cade al minimo esame.
Dar qui alcuni esempi. ll Biondelli ravvicina il lmb. ga

litt solletico al greco vsko, e raffronta a vocaboli celtici negot


ta nulla, marml dito mignolo, goi pungolo, vag ombreggiato
(l) LITTR, Dictionnaire de la langue francaise, p. XXVl, e Hi
stoire ecc. all' articolo Les patois.

XXI

soi bigoncia, arsela nicchia ecc. Lo Spano confronta col greco ba


rigare passare, barriare caricare, dicia fortuna, oru orlo, biju
vitello, ed altre; e il Galvani cerca ora nel celtico, ora nel greco, o
ra nel tedesco l'etimologia delle voci modenesi pi oscure, co
me impier o impiaer accendere il fuoco, a l'albasin a bacio,

begh baco, scavetta matassa e pi altre.


Ora tutte queste voci trovano riscontri nelle altre lingue
romane o nei dialetti affini, e si deducono senza difficolt dal

latino. Negotta ha il suo correlativo nel lomb. vergotta qual


che cosa, che manifestamente si compone di vel e gutta (pur
una goccia) come il primo di me e gutta (neppur una goccia,
nulla). Marmel da raffrontare coll'antico fr. merme e
mermer ( minimo e menomare) derivati da minimus come ar
me da anima. ll pmb. marml viene da una forma minimellus

diventato in lmb. anche nimel, come arma e armla (noc

ciolo delle frutta) vengono da anima ed animella. Anche mar


maglia che il Galvani deriva dal celtico viene da minimaglia,
come gi ha provato il Diez. Vag ombreggiato, come pure
ovac e tosc. mbaco od a bacio vengono da opacus. - Galitt

paragonato colle forme affini gatui, ghettel e col fr. chatouiller

si scorge non essere altro che il lat. catullire Sd. bariga


re la stessa voce che l'it. varcare o valicare, da varicare.

Dicia fortuna come lo spg. dicha il lat. dictum (cfr. fatum da fari) e si contrappone al nostro disdetta che significa
il contrario. Badalocare confrontato col tosc.

badaluccare

baderlare, abbadalillare, col piem. badol ecc. si trova non


essere che uno dei molti derivati di badare (donde bad-ulare

e bad-ul-icare). Biju suona pure nel sardo vigliu, e sup

pone una forma viclus (per vitulus) che in fatti ci vien ricor
data dai grammatici. Mod. a l'albasin in fondo lo stesso
avverbio che il tosc. a bacio ( opacivus) che si disse anche a

bacigno (opacinus). Begh come il tosc. beco per baco, so

XXII

no formati per apocope da bombya cis ( bom-beco poi beco ).

Scavetta matassa come l'it. gavetta, raffrontato col lmb. gav


fune (spg. cabo, fr. cable) si vede derivare da capulum laccio,
fune. Lo stesso avremo occasione di dimostrare per le altre (1).

Cos la nuova scuola segue un'indirizzo opposto a quello


dell'antica; questa non conosceva limiti ne' suoi raffronti, quel
la va di mano in mano restringendo in pi angusti confini il
campo delle sue investigazioni, divenute perci minutissime, e
satte, profonde. Donde tanta minuzia nei confronti? Da ci, che
la comparazione aiutandoci a studiare un fenomeno sotto pi
forme che tra loro si illustrano e si completano, ora l'ani
ma delle scienze naturali. Si veduto come

le manifestazioni

dello spazio corrispondano alle forme che si succedono nel tem

po, talch nelle variet viventi si coglie, a cos dire, il proces


so tenuto dalla natura nelle sue secolari evoluzioni. La compa
razione pertanto ci di guida nell'ardua impresa di salire via
via pi innanzi verso le forme primordiali, che coi diversi ele
menti dati dalle viventi variet ci pi facile ricostruire o
ravvisare negli avanzi che ne abbiamo. Come il naturalista, clas

sificati e coordinati i regni organici, si studia colle reliquie fos


sili e coi resti qu e l disseminati delle specie estinte, di ri
percorrere il cammino compiuto dalla natura nel giro della vi
ta, cos il linguista, coordinate e raffrontate le variet dialetta
li, risale alle forme primitive coll'aiuto dei monumenti nei

quali si conservano le native sembianze della lingua.


Donde si vede come allo studio comparativo debba andar con
giunto quello dello svolgimento storico. Questo anzi l'obbietto

proprio ed essenziale della scienza del linguaggio, per la quale


(l) BioNDELLI, Dialetti Gallo-italici Milano 1753; SPANc, Voca

bolario sardo-ital. e it-sd. Cagliari 1853; GALVANI, Saggio di un


Glossario modenese, Modena 1868.

XXIII

la comparazione non ha valore che come sussidiaria. Perocch il

linguaggio non pi per la scienza una quantit fissa e costante,


ma qualche cosa che di continuo si genera e trapassa, una con
tinuata produzione piuttostoch un morto prodotto (1). Per
tanto la sua essenza nella sua storia. Esso infatti non che

l'espressione naturale del pensiero, e come a questo con


naturale il moto ed il progresso, cos, per la stretta con
giunzione che ha con esso, il linguaggio muta forma di mano
in mano esprimendo al vivo le condizioni dello spirito nei di

versi tempi. Anzi essendo a un tempo segno sensibile ed espres


sione del pensiero soggetto ad una doppia trasformazione. ll

suono e l'armonia si altera e si corrompe come ogni organismo


materiale, nello stesso tempo che le voci, le forme, il carattere
dell'idioma e tutto ci che la radice nelle profondit dello
spirito secondano il mutare, delle idee, dell'arte, del diritto,
della religione. Mutamenti non generati a caso, n regolati dal
l'arbitrio individuale, ma da quella legge stessa che spiega l'e
stinzione dei regimi fossili e il crescere di nuove specie, come

spiega le vicende della storia, e i progressi dell'arte e del di


ritto. Talune nozioni mancavano, dice M. Miller, ne fu sen
tito il bisogno e ricevettero un nome: altri concetti nacquero,

durarono qualche tempo, e caddero nell' obblio quando pi non


servivano; altri sorgeranno finch non verr meno la nostra vita
intellettuale, e riceveranno il battesimo del linguaggio. . E pi

sotto: Come diviene popolare un poeta ? Come viene in voga


un nuovo stile d'arte o d'architettura? Come cangia la moda?

Come accade che oggi si accolga con favore ci che innanzi si

rifiutava, o che si derida ci che prima si ammirava ? Ovvero,


prendendo il linguaggio stesso, come avviene che una voce, to

shunt, od una differente maniera di pronunciare, p. e gold per


(1) HUMBoLDT, Einleitung zur Kawi-Sprache, LV.

XXIV

goold, talvolta ammessa dall' uso, e che altre volte i migliori


vocaboli, foggiati o restituiti all'uso dai migliori scrittori, restino

ignorati e cadano?, (1) Ci che produce questi fatti non l'arbitrio,


n il caso, n la mecessit, ma quella medesima legge che spiega
l'estinzione delle antiche specie e l'origine delle nuove, la legge del
l'elezione naturale. Da una parte dunque il moto connaturale

a tutti gli esseri alterando le forme, dall'altra l'elezione natu


rale eliminando le minori variet e mantenendo le meglio di
sposte alla vita, diedero origine alle trasformazioni cos delle

specie come degli idiomi. Quelle che ora paiono specie distinte
non sono che variet riguardate nei due punti estremi del loro

sviluppo, dopo che si spensero le forme intermedie che le col


legavano e le ravvicinavano; e cos quelle che si credettero lin
gue diverse non sono che i diversi momenti di svolgimento di

una stessa lingua considerata a lunghi intervalli. Non vi sono


in natura creazioni nuove ed improvvise; tutto si forma, si col
lega e s'intreccia. I nuovi fenomeni si coordinano e si spiega
no cogli antichi, e la scienza, per cogliere la viva realt di cui
legge suprema il moto, dovr assumere forma e metodo sto

rico. Fin dal principio del secolo Grimm, ordinati cronologica


mente e studiati i monumenti degli antichi idiomi teutonici,
mostrava la lenta e graduale trasformazione dei suoni e delle

forme della lingua tedesca, preparandosi a scriverne pi tardi


la storia. Nell'accurata lettura di antichi monumenti tedeschi

(egli scriveva allora ) io scoprivo ogni giorno forme e pregi

che noi siamo soliti invidiare ai Greci, quando ci poniamo a


considerare la struttura presente della nostra lingua; e quelle
traccie di forme vetuste che nel parlare moderno parevano fram
mentarie e come pietrificate, mi diventavano poco a poco chia
re, e mi si spiegavano i trapassi onde il nuovo tedesco congiun
(1) MAx MiiLLER, Lectures on the science of language, second
series, p. 309.

XXV

gevasi al medio, e questo all'antico , (1). Similmente le forme


impoverite del neogreco sono una naturale trasformazione di
quel ricco e potente idioma che cresceva splendore alle creazio
mi omeriche, e che piegavasi, veste ricca e leggiadrissima, alle
astrazioni del filosofo come alle fantasie del poeta. E in ge

nerale le lingue viventi non sono che l'ultimo risultato di


un'evoluzione naturale delle antiche, determinata dall' effica

cia di certe leggi la cui azione si manifesta al loro pri


mo apparire nella storia. Gi le lingue romane che non conta
no pi di dieci secoli di vita (considerate dai primi monu
menti in cui furono adoperate), presentano notevoli differenze
secondoch si studiano nelle scritture antiche o in quelle del

nostro tempo. La lingua di Victor Hugo non pi quella di


Voltaire, la quale si scosta ancor pi da quella di Rabelais e
di Montaigne, che appena pare la stessa lingua con quella de
gli antichi troveri. Potremmo dire, se corruzione ed evoluzione
non fossero per lo scienziato una cosa medesima, che le lingue
moderne sono le pi corrotte e che le forme arcaiche sono le

pi pure perch pi vicine al tipo originario. Da questo, l'indirizzo


tutto storico dato allo studio dell'etimologia, il quale consiste nel
cercare, prima di tutto, la forma antica di ciascuna voce, bastando
il pi delle volte l'osservazione della forma arcaica a scoprirce
ae l' origine. Basti, per convincersene, esaminare la forma ar
caica di alcune voci italiane. Lontano in qualche scrittore an
tico lungitano; raccapricciare caporicciare (il rizzarsi del

le chiome ); neghittoso neghiettoso (da neglectus); ritroso


retrorso; gozzoviglia godoviglia (gaudibilia ), burbanza

bombanza, e cos via. Il medesimo dicasi delle forme. Veritate,


virtude, bontade e simili forme, usate continuamente dai tre

centisti son ben pi vicine alla forma latina che le moderne,


(l)

GRIMM, Grammatik der deutschen Sprache, Einleitung.


preve

XXVI

Nei Bandi Lucchesi troviamo ancor distinte la composizioni del


futuro italiano; aranno tornare per torneranno, ar godere

per godr, ar pagare per pagher ecc. (1).


Nei pi antichi monumenti francesi si ravvisa la lenta ela
borazione delle forme volgari che si vanno svolgendo, mentre
cadono una ad una le complesse forme latine. Nel cantico di
Sant'Eulalia ricorre pi d'una volta il piutcheperfetto; n man
cano esempi del genitivo latino in or (orum ) (2). Una distin
zione generalissima, che si mantenne a lungo tanto nel proven
zale che nel francese, quella dei due casi principali, colla quale
soltanto si possono spiegare alcuni fenomeni del moderno
francese, come le doppie forme di alcune voci maire e major
moindre e mineur pitre e pasteur le quali nell'an

tico francese rappresentarono due casi distinti, ed avevano suono


diverso per la posizione diversa dell'accento. Quante voci poi
oscurissime del moderno francese, mostrano nella forma antica
chiarissimamente la loro origine ! Ain anticamente ainsneit
(antenatus), car quar (quare), casser quasser (quassare),
dige eage o edage (aetaticum), pais espes (spissus), hors
fors (foras), frre e frdre (fratre) ecc. (3).
Pertanto la nuova scienza etimologica essenzialmente sto
rica, e la stessa comparazione non devesi considerare che come
un aiuto a risalire alle forme antiche. A questa riforma nel

metodo si congiunse una teoria tutta nuova sulle origini dei


dialetti volgari.

Le lingue romane portano maggiormente impressa l'effigie


latina, quanto pi ci dato studiarle nella loro forma primitiva, e
(1) BANDI Lucchesi ecc. per cura di Salvatore Bongi, Bologna
1863, p. 2, 3, 2l. Qui non ho citato che esempi toscani, ma le for
me analitiche sono comunissime in Bescap, in Bonvesin e nelle
scritture venete del secolo XlV.

(2) LITTR; His. de la langHe fr. II. Le Chant de Sainte Eu


lalie.

(3) BURGUr, Grammaire de la langue d' oil, Vol. IlI. Glossaire.

XXVII

sebbene le scritture in volgare non comincino veramente prima


del IX secolo, permesso argomentare che se esistessero mo
numenti pi antichi, vi troveremmo il suono latino ancor me

glio conservato; e cos risalendo di secolo in secolo, dove i mo


numenti non ci facessero difetto, si arriverebbe a un punto che
volgare e latino si confonderebbero insieme. Le lingue romane
ci apparirebbero allora formate poco a poco per una lenta evo
luzione del latino, compiutasi naturalmente, non per influen
za di violente rivoluzioni politiche. Se non che per latino

devesi qui intendere non la lingua degli scrittori, ma quel


la usata dal popolo, che gli antichi spesso ricordano col no
me di domestica, di plebea o di rustica, ed alla quale sola pu
attribuirsi uno svolgimento spontaneo e naturale. Da questo la
tino parlato adunque, che secondo alcuni era ben distinto dal
latino scritto e quasi una lingua a parte, e secondo altri una

cosa sola con quello, ma che dovranno ammettere tutti coloro che
non vorranno negare la storia e l'esperienza quotidiana, de
rivarono naturalmente, secondo Augusto Fuchs, tutti gli idiomi

neolatini. La lingua, egli dice, come immediata espressione del


pensiero, soggetta a sempre nuovi mutamenti finch lo spirito
a cui obbedisce vive e si muove. Queste naturali alterazioni

bastano per il Fuchs a spiegare le grandi differenze nelle lingue


considerate ad epoche diverse. Perocch, egli continua, in pro
cesso di tempo notansi cos varie e notevoli mutazioni che le

lingue sembrano aver cambiato natura, e allora si suol dire che


dalle antiche lingue se ne formarono delle nuove, e che queste
sono figlie di quelle. Ma, presa a rigore, tale denominazione
inesatta, giacch il divario riguarda solo le diverse et in cui

si considera la lingua, la quale rimane nel fondo sempre la me


desima. Dall'antico alto tedesco nacque il medio, e da questo il
nuovo; ma la seconda non figlia, n la terza pu chiamarsi
nipote della prima; l'antico, il medio ed il moderno tedesco sono
una stessa lingua considerata prima nella giovinezza, indi in et

XXVIII

pi tarda e infine nella sua piena maturit .... Cos le lingue


romane non sono veramente figlie della latina, ma la sua naturale

continuazione, la lingua stessa nel suo maggiore incremento (1)...


Le differenze tra l'italiano ed il latino non riguardano dun
que la sostanza, ma la forma esteriore, e il grado di sviluppo; anzi
il Fuchs afferma che anche quelle parti in cui le lingue ro
mane sembrano essenzialmente diversificarsi dal latino, in que

sto gi si contenevano, ma solamente in germe (p. 53 ) . Per


esempio l'aggettivo numerale latino unus in tutte le lingue
romane fa ufficio di articolo indeterminato;

ma di siffatto

uso

vi hanno esempi anche in latino, come: unus serviis vio


lentissimus unius ancillam hospitis Alexander unum
animal est ecc. Gli avverbi multum e bene trovansi gi in la

tino usati davanti ad aggettivi per formare il grado superlativo:


literae bene longae, multum loquaces, uso corrispondente a
quello delle nuove lingue. Eguali corrispondenze mostra il Fuchs
con un ordine ed una chiarezza mirabile nel lessico, nella fono
logia, nella sintassi, nelle regole di metrica e di accentuazione,
sforzandosi mostrare come fossero gi nel latino quei germi che,
dopo una lenta elaborazione di secoli, dovevano mutare total
mente l'aspetto della lingua. Il Fuchs tenta anche darci una
storia del latino popolare, ma nello stato della scienza di quel
tempo non pot che limitarsi ad alcune linee generali. Fare la
storia d' una lingua, nel concetto moderno, equivale a mostrare
le leggi di trasformazione che ne alterarono le varie parti, cio

i suoni, la grammatica, l'accento, per poi determinare l'influ


enza che le modificazioni di ciascuna ebbero sul carattere e sulla

forma dell'idioma, lo svolgimento del quale ci apparir per tal


guisa regolato da un'armonia di leggi costanti come lo svilup
po di un organismo vivente. Non bastava accennare qualche indi
(1) A. Fuchs, Die romanischen Sprachen in ihrem Verhltnisse
zum lateinischen. Halle. 1849, p. 2.

XXIX

zio di corruzione del latino, perocch non vedendone io la con


tinuata trasformazione, e rimanendomi oscura la sua condizione

nelle et successive, non escluso il dubbio di qualche stra


niera influenza che abbia potuto rendere comune e generale quello
che nel principio vediamo essere rarissimo e quasi eccezionale.
Egli nella natura del nuovo indirizzo della scienza il de

terminare in ogni ordine di fatti le leggi del moto. Ammessa


pertanto la lenta e incessante trasformazione del latino, si do
mand per quali leggi l'armonia e le forme di quella lingua

fecero capo ai suoni ed alla grammatica degli idiomi neolatini.


E le risposte dei filologi furono prima indeterminate e incompiu
te, indi pi rigorose e precise di mano in mano che la scienza
progrediva.

Anche lo studio delle lingue romane ebbe le vicende di


quello delle lingue ariane. I primi lavori di comparazione delle
lingue europee col sanscrito limitavansi, come quello di Bopp
sulla coniugazione, alle forme; e il primo saggio importante ed

esteso sopra le lingue romane, la Gram mai a comparata di Riy


nouard, restringevasi alla morfologia. La filologia ariana ebbe
principio con raffronti troppo estesi e generali, in cui perdevansi

d'occhio gli elementi speciali di ciascuno dei gruppi della fami

glia; e similmente i primi saggi sopra le lingue romane non


furono che tentativi di applicare ad esse, senza curare le spe
ciali condizioni storiche, di tempo e di luogo, i principii e le

leggi generali della famiglia ariana. Lo studio storico e compa

rativo fu sul principio naturalmente rivolto a ci che pi ovvio


e pi facile offrivasi all'osservatore, com'erano le mutazioni

grammaticali e le pi generali analogie nella storia dei linguag


gi. Il Fauriel non vede nell'origine delle nuove lingue che un'e
voluzione grammaticale, una decomposizione delle forme; e que-

sta non particolare all'italiano o agli idiomi neolatini, ma ge

nerale a tutte le lingue ariane, anzi universale e necessaria co

XXX

me quella che ha le sue leggi e la sua ragione dans la na


ture mme de l'esprit humain,(1). Egli quindi non cerca le o

rigini dell'italiano nelle condizioni locali o storiche, per lui


secondarie, che poterono produrre il gran fatto, n nella
comparazione colle lingue sorelle, ma in una legge pi va
sta che spiega la storia di tutte le favelle ariane. La
naissance et la formation de la langue italienne, ( egli di

ce), ne sont point, selon moi, un fait isol, purement ac


cidentel, unique en son genre, et ne pouvant ds lors tre re
presnt mi clairci par aucun autre. Dans ce fait, je ne puis
voir qu'un cas particulier d'un fait gnral dont presque tou

tes les langues connues offrent t'quivalent (p. 6) , E pi


sotto: Au lieu donc de

me restreindre a traiter

isolment

des origines de la langue italienne, j'essayerai de les claircir


et de les expliquer par des considrations tires de l'histoire
gnrale des langues. le ne chercherai point les principes de
l'italien dans l' un ou l'autre des sicles obscurs du moyen
age; je les chercherai beaucoup plus haut, aussi haut que pos
sibile, dans l'antiquit (p. 7.). , Il Fauriel pertanto non vede
nelle origini delle nuove lingue un fatto nuovo, inaspettato, ge
nerato da profonde perturbazioni politiche, ma, come il Fuchs,
un fait lent, graduel, presque toujours inapergu dans son
principe, et qui ne se produit clairement qu'au bout, je ne dis
pas de bien des annes, mais de bien des sicles ,. E questo
fatto non speciale dell'Italia ma comune a molti paesi, es
sendo l'effetto di una tendenza generale alla successiva decom

posizione delle forme. L'italien, comme le gaelique et l'al


lemand, ne sont tous galement que la transition plus on moins
complete de langues primitivement synthtiques une forme
secondaire dja plus ou moins analytique, tendant a le devenir
de plus en plus , ( p. 450).
(l) FAURIEL, Dante et les origines de la langue italienne, Vol.
II. p. 448.

XXXI

Gi Schlegel aveva distinto gli idiomi in sintetici ed ana


litici, cio in idiomi forniti di forme complesse che colla sola
desinenza esprimevano le diverse relazioni ideali, ed in idiomi
forniti di forme decomposte, esprimenti le relazioni gram
maticali per mezzo di circonlocuzioni. Le lingue antiche sono in
gran parte sintetiche; donde quella complicazione grammaticale,

quella sovrabbondanza di forme che ci colpiscono nel greco, nel


sanscrito, nel latino, nel gotico. E in generale pu dirsi che il
carattere sintetico di una lingua tanto pi spiccato quanto essa
pi antica. Nel latino e nel greco arcaico si rinvengono trac

cie di forme posteriormente scomparse; il sanscrito, oltre i ca


si che presenta la declinazione nelle lingue classiche, possiede
un locativo ed uno strumentale; e del locativo abbiamo qualche
avanzo in latino (Romae, ruri). In seguito cessa la distinzione
dei casi, ed in luogo delle desinenze vengono in uso le prepo
sizioni cogli articoli; molti tempi del verbo cadono e vi si so
stituiscono gli ausiliari coi participii o coll'infinito; infine mu
ta anche la forma sintetica dei comparativi e dei superlativi,
alle desinenze dei quali sottentrano avverbii di accrescimento e di
diminuzione. Questo trapasso dalle forme composte alle de
composte il Fauriel lo riscontra in tutti gli idiomi ariani
moderni paragonati a quelli da cui derivarono. ll greco mo

derno una decomposizione del greco classico; i viventi


dialetti teutonici sono l'analisi del gotico e dell' antico alto
tedesco, il pali ed il bengali, paragonati col sanscrito, pre
sentano la stessa tendenza; donde conclude il Fauriel che

il passaggio dalla forma sintetica alla forma analitica era leg


ge inerente a tutti gli idiomi ariani. ln questo modo si porge
va una risposta facile e naturale al problema che presentemen
te ci occupa, perocch le lingue neo-latine apparivano, se
condo la legge posta dal Fauriel, una trasformazione naturale

del latino operata per l'efficacia di quella legge che mutava le

XXXII

forme sintetiche degli idiomi ariani in altrettante forme anali


tiche. E la ragione di codesta legge il Fauriel ricercava inge
gnosamente nei progressi dell' umana intelligenza. La lingua,
secondo la moderna filosofia del linguaggio, lo specchio fede

le del pensiero e ne segue tutti i progressi e le trasfomazio


ni. L'uomo non distingue a principio ci che negli esseri
stabile ed essenziale da ci che vi ha di passeggiero e di rela-

tivo, non distingue la forma dalla sostanza, la relazione dal seg


getto. Questa prima intuizione confusa si riflette nelle forme
arcaiche della lingua in cui la parte formale e la sostanziale ,
(pronome e nome) sono fuse insieme e si presentano alla men
te come un tuto connesso e indivisibile. Ma col procedere del
la riflessione la mente decompone gli elementi della intuizione

primitiva; scopre ci che nei concetti havvi di sostanziale e di


immutabile, e ci che vi ha di mutabile. e di relativo. Entrata
nella mente, questa distinzione penetra poco a poco nella lingua;

la parte pronominale, ossia la desinenza, che indica la relazio


ne accidentale, si stacca dalla parte nominale che esprime l'es
senza astratta; ad un vocabolo composto sottentrano due o pi
vocaboli semplici. Per tal modo le lingue procedono natural
mente dalla sintesi all'analisi per una legge connaturale all'es

senza stessa dello spirito, e gli idiomi neo - latini sono bens,
come aveva affermato il Fuchs, una trasformazione regolare della
lingua del Lazio, ma determinati nelle loro mutazioni da quella

legge che si trova essere comune a tutte le lingue ariane. (1)


(l) En cela la marche des langues suit exactement celle de
l'esprit dans l'aquisition de ses connaissances et de ses ides. Du
premier regard qu' il jette sur l' inconnu l'esprit embrasse toujours
des masses, des ensembles ...... mais en revenant sur ce premier re
gard, en le dirigeant, en le prolongeant avec mthode et rflxion
l'sprit spare, il distingue des choses qu' il avait d'abord confon
dues, il dcompose pour recomposer, il analyse Or les langues in

IXXXIII

Questa teoria del Fauriel venne accolta con gran favore


in Francia ed in Italia, dove ancora considerata da molti co
me l'ultima parola della scienza intorno alle origini delle lingue

neo-latine. E forse ad accrescerle riputazione ha contribuito lo splen


dore del dettato, la chiarezza e la lucidit delle idee, l' ordine
e la copia dei materiali che con arte finissima il Fauriel seppe

raccogliere nel suo libro. Tuttavia non pu dirsi che il Fauriel


abbia chiarito il difficile problema. Perocch ponendo co
me legge principale di trasformazione degli idiomi la decom
posizione delle forme, egli considerava la forma analitica delle
lingue moderne come il carattere precipuo ed essenziale che le
distingue dalle antiche: ed questo un errore che i suc
cessivi progressi del metodo storico applicato ai linguaggi han
no dissipato interamente. Composizione e decomposizione delle
forme sono due operazioni o funzioni, che nelle lingue a flessione

si avvicendano di continuo; ma niuna pu dirsi stabile o propria di


un' epoca determinata. Alcune forme che oggid appaiono sinteti
che furono un tempo analitiche: altre che ora sono analitiche
danno indizio di volersi ricomporre. Ma grave illusione, in cui
caddero anche distinti cultori della filologia, quello di credere

che le lingue si mostrino pi complesse quanto pi risaliamo


alle loro origini, e vengano vieppi decomponendosi col proce
dere del tempo. In effetto, ogni composto presuppone la preesistenza dei due elementi semplici dei quali consta, e questi ele

menti dovettero prima esistere a s, poi, venuti a contatto, fon


dersi insieme.

Prima dell'acqua dovettero esistere l'ossigeno e l'idrogeno i


che la compongono; e cos alle forme grammaticali dovettero
strument et cration de l'esprit ne peuveut pas me point participer,
dans leur marche gnrale, a ceti e tendence naturelle de l'sprit a
dcomposer de plus en plus ses motions sur la nature et sur lui
mme. Fauriel, Dante ecc. p. 13.

XXXIV

precedere le radici nominali e le pronominali, le quali poco a


poco raccostandosi e confondendosi diedero origine alle forme ed
alle categorie della grammatica. Prima di dire hodie i Latini
dissero hoc die, prima di nolo dissero non volo, prima di malo,
magis volo, prima di fortassis dissero forte an si vis. E pari
menti possum venne dopo potis sum, poteram dopo potis e
ram, amabo dopo ama fuo, amabam dopo ama fuam ecc.
Ma quelle forme hoc die, potis sum, ama fuo che erano
prima analitiche, rappresentando un' unit ideale, sebbene com
plessa, acquistarono poco a poco anche unit materiale; ossia gli
organi della pronunzia unificarono materialmente quelle forme
che l'intelligenza aveva gi idealmente unificate. Ma con ci
non si arresta la mutabilit delle forme, perocch quelle forme
stesse che, analitiche da principio erano poi divenute sintetiche,

si decompongono nuovamente. I tardi Latini non compresero che


hodie era composto di hoc die, ma vi aggiunsero di nuovo il
pronome dimostrativo, e nelle scritture del basso latino trovia

mo hanc hodie, cos amabo si credette pi tardi una forma


semplice la quale, essendosi corrotta, fu espressa con altra for
ma composta; e nel basso latino troviamo amare habeo anzich

amabo. Ma neppure queste nuove forme analitiche rimangono;


perche pi tardi troviamo che hanc hodie si fuso in anci

(provenzale e vivente ancora nei nostri dialetti), ed amare


habeo ha dato origine ad una nuova composizione cio amarab

bo o amaraggio o amer. Pi tardi avvenne che in hodie i Latini,


per la conseguente corruzione dei suoni, non solo non ravvisarono
pi il pronome dimostrativo ma neppure vi ravvisarono il tema
dies; ond' che si ricorse ad una nuova ripetizione tanto del prono
me come del tema, e si disse: ad illum diurnum de hodie, che noi

Italiani traduciamo: al giorno d'oggi, ma che i Francesi con

fusero in un solo vocabolo che aujourd'hui. Perci non si


pu dire che le lingue neo-latine siano essenzialmente analitiche,

XXXV

poich vediamo che talune forme che nel basso latino si presen
tano decomposte, in quelle si ricompongono. Ed in alcuni dia
letti la tendenza alla sintesi ha raggiunto proporzioni conside
revoli. ll valacco unisge l'articolo al nome. Romanul il Ro

mano; e nel valdarsese, che dialetto rumeno, si forma per


composizione anche il perfetto: scrisam per am scris, ho scrit
to; venitau, venuto (1). In parecchi dialetti italiani il prono
me personale si unisce al verbo: fustivu (nap.) voi foste, an

du (venez. ) andate, vet (lomb.) vai tu ecc. Nel portoghe


se si modificano gli infiniti secondo le persone: antes de
comprar, prima che io comperi; antes de comprares, prima

che tu comperi, antes de comprarmos, prima che noi compe


riamo ecc.

Il che prova che l'analisi non il carattere essenziale del


le nuove lingue, e ancora pi che il pensiero moderno non e
sige in alcun modo forme analitiche in quel modo che il Fau
riel le intende. Devesi ammettere che il numero

delle forme

analitiehe negli idiomi moderni maggiore che negli antichi,


peroech i moderni sono edificii ricostruiti sulla dissoluzione
degli antichi e si vanno ricomponendo e completando a poco a
poco, senza che abbiano raggiunto la loro pienezza di for
me. Ma la storia delle lingue ci vieta di credere che la com
posizione sia propria soltanto delle lingue antiche e la decom
posizione essenziale alle lingue moderne. E la stessa ragione
addotta dal Fauriel, ehe la mente separa in seguito ci che a

principio confonde, conduce a conseguenze contrarie a quelle


che Fauriel voleva trarne. Infatti le perfette composizioni dei

vocaboli, ossia le compiute categorie grammaticali, nascono dal


bisogno di esprimere con apposite forme esteriori certe relazio
ni ideali che la mente va scoprendo di mano in mano. Cosicch
(l) V. Ascoli Studii Critici, Sul dialetto valdarsese.

XXXVI

un maggior numero di forme grammaticali attesta una copia


maggiore di relazioni ideali, ossia una riflessione pi avanzata;

com' vero che ad ogni atto estrinseco corrisponde un'intimo


impulso. Ora in ogni oggetto naturale noi distinguiamo l'essen
za immutabile ed astratta, e l'essere reale co' suoi moti, colle
sue qualit e relazioni accidentali. Ma nella sensazione primiti
va l'una cosa si confonde coll' altra e il moto pare una stessa

cosa coll'essere che si muove; e solo pi tardi per un lento


lavoro di riflessione noi distinguiamo il sostanziale e l'acciden
tale, l'immutabile e il mutabile. Il medesimo accadde nella

lingua. Nella radice primitiva si esprimeva ci che l' uomo sen


tiva e provava innanzi ch'egli potesse riflettere, e non essendo
ancora distinte le categorie del pensiero non potevano essere
distinte neppure le categorie grammaticali. La radice non era
n nome n verbo, ma germe fecondo da cui pi tardi nacque
ro entrambi. E come nell' uomo primitivo tutta l'energia delle
potenze vitali concentravasi nel sentimento, cos nella radice
primitiva era compresa tutta l'indefinita virtualit del linguag
gio. Perci estremamente poetici sono gli idiomi che pi s'ac
costano a quel tempo in cui il verbo e il nome, ossia la sen
sazione e l'idea, ancora si confondevano nell'unit del senti

mento primordiale. Perocch tanto pi poetico un'idioma


quanto pi in esso i pensieri rivestono forme vive e parlanti,
e sa ridestare in pochi tratti il maggior numero d'immagini,
e sotto forme sensibili presentare all' intelligenza i pi elevati

concetti. Oltremodo poetica la lingua ebraica in cui il nome


e il verbo si distinguono appena come due germogli di recente
spuntati sul medesimo tronco; perocch quivi l'idea astratta non
affatto scevra dalle reminisenze sensibili da cui ebbe vita; ed i

concetti pi sublimi ondeggiano perplessi fra l'idealit a cui a


nela lo spirito e la sorgente fantastica da cui scaturirono (1).

(1) HERDER, der Geist der hebralschen Poesie, I Gesprch, e RE


NAN, Histoire des langues smitiques, p. 21 e seg.

XXXVII

Ma la lingua, ordinata a ritrarre fedelmente il pensiero, deve,


per secondare i progressi dello spirito, abbandonare mano a
mano ci che ne ricorda la sensibile provenienza e divenire pu
ro simbolo dell'idea. E questo effetto si ottiene colle categorie
grammaticali, pi complesse di mano in mano che si procede
colla riflessione. Quanto pi una lingua avanzata nel lavoro

grammaticale, distruggendo l'indipendenza della radice, tanto


maggiore sar la sua potenza nell'esprimere ogni minuta gra
dazione dell'idea, e tanto pi essa diverr simbolo astratto e

perfetto. Ognuno qui ricordi la fortuna toccata ai nostri giorni


alla lingua francese, la pi corrotta forse, fra le romane, ne'

suoi elementi costitutivi e nella quale la radice, gi nel latino

intimamente connessa all'elemento grammaticale, ha

perduto

nella coscienza dei parlanti qualunque individualit. E questo


che par difetto e che le nuoce grandemente nell'effetto poetico,
ha recato a quella lingua l'immenso beneficio di divenire la
lingua della scienza, l'organo delle grandi idee che agitano i
popoli, l'eco della coscienza universale. In effetto niuna lingua
pi determinata e precisa ne' suoi vocaboli, e meglio favori
sce l'intenzione dello scrittore e la chiara intelligenza del letto
re. Pertanto la sintesi e l'analisi delle forme, come la intende il

Fauriel, cosa accessoria che si alterna nelle diverse et del

linguaggio, senza differenze sostanziali. La vera sintesi e la ve


ra analisi nello spirito della lingua, e rivelasi nell'individua

lit pi o meno spiccata della radice. Lo stesso errore del Fau


riel, che le lingue siano tanto pi sintentiche quanto pi anti
che, indusse il Renan a credere que le langage primitif, si

nous pouvions le connaitre, serait l'ecubrance mme , (1).


Al contrario Grimm ed i linguisti alemanni in generale sono

d'avviso che anche la primitiva lingua ariana sia passata per


lo stadio monosillabico. Ed al Renan fa giustamente osservare
(1) RENAN L'origine du langage. p 12. Lo stsso Renan espri
mevasi molto pi temperamente nell'Histoire des langues semit. p.90.

XXXVIII

lo Steinthal che la monosillabia soltanto pu dirsi veramente

uberrima, fecundissima, plenissima. Non si pu parlare, dice e


gli, pi sinteticamente, n con minore formalismo logico che gli e
roi ed i saggi del Schu King. E d'altra parte, falso affermare
che le lingue siano tanto pi sintetiche, quanto pi sono antiche. Il
Sanscrito certamente meno sintetico delle lingue classiche,
poich in esso gli elementi della composizione sono meno inti
mamente connessi , (1).

Oltre di che contro la teoria del Fauriel sta un'altra gra


ve obbiezione. L'analisi delle forme secondo il Fauriel, la causa
comune che nei varii idiomi ariani ha prodotto le differenze che
si osservano tra le forme antiche e le moderne. Ci che si os

serva per l'italiano rispetto al latino, si osserva ancora nel


romaico raffrontato al greco classico, per il bengali rispetto al sa
scrito, per il tedesco moderno comparato all'antico. Un'identica

cagione dovrebbe produrre effetti pressoch eguali; e quindi il


rapporto dei moderni linguaggi cogli antichi dovrebbe essere
quasi eguale dappertutto. Eppure questo non ; e si ammette

generalmente che le lingue romane differiscono dal latino mol


to pi di quello che le altre lingue moderne differiscano da
quelle da cui derivarono. Tantoch mentre tutti vanno d'accor
do nel riconoscere negli altri moderni idiomi una derivazione

naturale degli antichi, pochi sono quelli che applichino il me


desimo ragionamento alle lingue neo-latine. Niuno ha mai du
bitato della naturale derivazione del tedesco moderno dall' anti

co, sebbene Grimm fosse il primo a darne la dimostrazione


scientifica; e qnanto al greco moderno la somiglianza ch' esso
tiene coll' antico tale, che a chi famigliare con Sofocle e
con Pindaro riesce oltremodo facile, tranne poche avvertenze,

spiegare Salomos od altro moderno scrittore ellenico.


Invece le lingue romane, paragonate col latino, presentano
tale disformit, che la pi completa scienza di quello non ba
(1) H. STEINTHAL Der Ursprung der Sprache, p. 138.

XXXIX

sterebbe ad intendere una sola terzina di Dante, non che un

brano d' un autore francese o spagnuolo. Egli impossi

bile, dice M. Mller, disconoscere nell'italiano, come nel fran


cese, una interruzione, un deviamento dalla continuata tradizio
ne dell'organismo romano. Le nuove forme tedesche si sono

lentamente ed insensibilmente logorate, semplificate e comple


tate in bocca a Tedeschi. E qui la lingua invecchiata, ma
non corrotta da influenza straniera. Cos anche il greco moder

no. L'italiano al contrario, ben pi lontano dal latino che il


moderno tedesco dall' antico, che il romaico dal greco classico,
che il bengali dal sanscrito , (1). Cosicch la legge accolta dal

Fauriel per spiegare l'origine delle lingne neo-latine, cio la


legge dell'analisi delle forme, si trova insufficiente a spiegare
il problema, poich quella legge medesima obbed ad altre cau
se e fu determinata diversamente nei varii luoghi. Onde rinasce
il sospetto di influenze locali che ad ogni lingua abbiano par
tecipato un carattere speciale, uno sviluppo proprio e indipen

dente. Il ravvisarsi nelle lingue romane una profonda altera


zione dello stampo latino, un deviamento sensibile dalla con
tinuata tradizione romana, il quale non si pu spiegare colla
legge di alterazione naturale posta da Fauriel, fa sorgere il dub
bio che una grande efficacia abbiano esercitato sulla costituzio

ne delle lingue romane le invasioni barbariche. Infatti lo Schle


gel, che al pari del Fauriel, considerava l'analisi delle forme
come carattere essenziale delle nuove lingue si vide costretto a

far ritorno all'ipotesi del Bembo, del Castelvetro e del Tira


boschi. Se non che lo Schlegel, secondo le nuove esigenze del

metodo sperimentale applicato alle lingue, cerc di determinare


storicamente quale potesse essere la natura e la portata di co
desta influenza, che il Bembo ed i suoi seguaci avevano affer
(1) M. MLLER Uber deutsche Schattirung romanischer Wor
te, V. Zeitschrift fr vergleichende Sprachforschung, Vol.. V

XL

mato senza dimostrarla. Secondo lo Schlegel i barbari, costretti

ad imparare il latino per farsi intendere, lo parlavano in gene

rale scorrettamente. Sopratutto trovavano difficolt nell'usare


quelle inflessioni sulle quali poggia tutta la costruzione latina.

I Romani, sentendo continuamente mal parlata la loro lingua,


ne dimenticarono le regole ed imitarono il gergo dei conquista

tori. Le desinenze variabili, adoperate male a proposito ed ar


bitrariamente, non servivano pi che a confondere il discorso:

perci vennero soppresse, ed i vocaboli rimasero troncati. Ma


queste desinenze soppresse servivano a determinare la costru
zione della frase ed il collegamento delle idee: bisognava sosti

tuirvi un altro mezzo, e questo consist nel porre le preposi


zioni a designazione dei casi e gli ausiliari a designazione dei
tempi. In una parola per lo Schlegel ci che distingue partico
larmente le lingue romane dal latino la decomposizione delle

forme, e questa decomposizione dovuta al bisogno di sostituire


qualche nuovo elemento che reggesse l'unit del discorso dopoch
per influenza straniera le desinenze erano state soppresse (1).

L'opinione di Schlegel fu seguita da molti altri. Rapp,


Wackernagel, Humboldt, Blanc, Ampre ed altri sono concordi
nel ravvisare nella formazione degli idiomi neo latini un'influ

enza germanica pi o meno temperata. E pi apertamente di


tutti sostenne la sentenza medesima Sir George Lewis, il quale
in un suo saggio, del resto mediocre, intorno all' origine delle

lingue romane, ripubblicato di recente, ripete quasi le parole


stesse dello Schlegel, e giunge fino ad affermare che se non

fossero state le invasioni germaniche, il latino non avrebbe de


composto le sue forme, ma sarebbe rimasto, com'era, lingua
interamente sintetica (2).
(1) A. W. ScHLEGEL Observations sur la langue e la litera
ture provengales, Paris, 1818.

(2) Sir GeoRGE LEwis An essay on the origin and forma


tion of the romances languages, London 1862.

XLI

La decomposizione delle forme non basta dunque a spie


gare il fatto, poich la vediamo determinata diversamente nei
vari luoghi e dipendente, come del resto anche lo Schlegel a
veva riconosciuto, dalla corruzione dei suoni. Le forme cadono
o mutano pi o meno rapidamente, secondoch caddero pi
o meno presto le antiche desinenze e, in forza dell' ac
cento, si logorarono sempre pi gli elementi del vocabolo.
Il Fauriel accenna bens alla perdita di certe terminazioni
quando nota che les dsinences carateristiques du nomina

tif et de l'accusatif, dsinences tres-importantes dans les lan


ues synthetiques, furent habituellement negliges, pour ne
pas dire supprimes , (p. 444), ma, come delle altre cause
che egli considera come secondarie, non me tocca che di pas
saggio. Schlegel poi che non aveva disconosciuto la relazione tra il
cadere delle terminazioni e il mutare delle forme, essendo par
tito dallo studio della grammatica, non penetr l'intimo processo

storico del linguaggio, e quando venne a spiegare il fatto, si vide


costretto a ricorrere alle invasioni barbariche. Noi lo ripe
tiamo, dice Schuchardt, le relazioni fonetiche devono essere

poste a fondamento della comparazione delle lingue affini. Chi

non considera l'uso degli ausiliari come una conseguenza del


l'indebolimento delle forme e, per conseguenza, della mutazione
dei suoni, e non vuole o non pu seguirne le traccie fino ai
pi antichi monumenti scritti, ma lo considera come una pro

priet primitiva ed essenziale delle lingue romane, sar senza


dubbio costretto, per ispiegarne l'origine, a chiedere il soccorso
dei Barbari ed a riguardare la lingua romana del sesto secolo
come totalmente diversa, ne' suoi caratteri, dal parlare plebeo
dei primi tempi (1) ,.

Queste parole dello Scuchardt spiegano la grande impor


l) ScHUcHARDT, Der Vocalismus des Vulgrlateins, I, p. 47.
2kxxx

XLII

tanza data ai nostri giorni alla fonologia da chi vuol penetrare


le vere cagioni delle trasformazioni del linguaggio.
Infatti come nei corpi viventi le vere cause delle altera

zioni organiche vanno cercate nelle combinazioni diverse degli


atomi che circolano nel sangue, cos nel linguaggio il mutare
d' alcune parti e l'alterazione di certe funzioni hanno radice
nelle mutazioni dei suoni. La scienza del linguaggio ha anche
in questo seguito le vicende delle scienze naturali. Alla morfo

logia che analizza e scompone le varie parti del discorso (a


natomia del linguaggio), ed alla sintassi che ne studia le funzio

ni (fisiologia del linguaggio) si fa ora precedere la fonologia che


analizza le diverse combinazioni o composizioni degli elementi
primi, ossia dei suoni primi semplici (chimica del linguaggio).
Comparazione e storia delle parole attentamente considerate in
ogni singolo suono; ecco il nuovo metodo onde s'informa la
nuova scienza del linguaggio. Anche l'etimologia ebbe cos le

sue norme sicure. Ricercare l'origine delle parole non significa


pi, ai nostri giorni, vagare a caso per campi senza confine,
ma seguire, col sussidio delle leggi fonetiche, il vocabolo nelle
varie sue trasformazioni e ricondurlo per una non interrotta ca
tena di forme intermedie al tipo primitivo. Di qui le norme per
conoscere l'etimologia vera dalla falsa, che il Brachet cos rias
sume: 1 Une tymologie n'est admissible qu'autant qu'elle

rend compte de toutes les lettres du mot qu'elle prtend ex


pliquer, sans en omettre un seule. 2 Toute tymologie qui sup
pose un changement de lettres doit avoir pour soi au moins un
exemple d'un changement bien identique celui qu' elle sup
pose; si non, tant que l'on n' en peut citer ancun, le rapproche
met fait est sans valeur. , (1) E come pi sopra abbiamo
veduto quanto giovi, a scoprire l'origine d'una voce, l' esame
(l) A. BRACHET, Dictionnaire tymologique de la langue fran
saise, Paris 1868. Introduction, p. XV.

XLIII

delle forme arcaiche e la comparazione colle forme parallele, co

s, nel fissare le leggi fonetiche, l'etimologo dovr fare attenzione


a tutti i dati che la comparazione ed i monumenti scritti dei
diversi tempi gli offrono per la storia della parola.

Ad ogni ipotesi etimologica dovr precedere una storia mi


nuta ed una minuta comparazione tanto dei significati che delle
forme che ricevette di mano in mano ciascuna parola. Il volere,
dalla forma attuale, risalire d'un passo alla forma latina senz
esaminare la storia del vocabolo, conduce non di rado a gravi

errori. Gli antichi etimologi non potendo spiegare come da ani


ma venisse dime preferivano derivare questa voce dal gotico ahma
(soffio); ma lo studio degli antichi testi francesi ha messo in

chiaro che ime scrivevasi amme nel tredicesimo secolo, aneme


nell' undicesimo, ed anime nel decimo Le seul moyen (aggiunge

il Brachet) de ne point perdre pied est d'observer pas pas


les intermediaires, pour tudier la deformation graduelle du
latin..... (la science) constatant la naissance des mots et la date

premire de leur apparition, elle observe les changements qu'ils


ont prouvs de sicle en sicle; cette observation rigoureuse qui
ne laisse rien a la conjecture, ni a l'invention, est une partie

prliminaire mais indispensable de toute recherche tymologi


que , (1). Questo il metodo ora seguito da tutti gli etimolo
gi, e che applicato dal Diez alle lingue romane nel suo Dizio

maoio Etimologico (2), valse a chiarire l'origine oscura di molte


voci delle quali prima, per ignoranza delle leggi fonetiche, si

andava cercando l'etimologia in lingue remote. Egli mostr quindi


come la somiglianza del suono sia il pi delle volte ingannevole,

mentre molto spesso una notevole differenza apparente ricopre


(1) BRACHET, Op. cit. p. XVII, XVIII,
(2) DIEz, Etymologisches Wrterbuch der romanischen Spra
chem. Bonn, 186 l.

XLIV

l'identit di molte voci. Mostr che paresse non viene da noi


geotg ma da pigritia, e moelle da medulla non da uvskg, moi

e toi non da uo e o oi ma da me e te ecc. e come, malgrado la


differenza del suono, uscio derivava da ostium, sembrare da si
milare, gi da deorsum, incombrare da incumulare, dsormais

da de ipsa hora magis, coudre da consuere, craindre da tre


mere, soucier da Sollicitare, coiicher da collocare e cos via.
N solamente io studio delle leggi fonetiche lo condusse a

chiarire l'origine di molte voci ed a conoscer meglio i varii e


lementi che compongono il lessico delle lingue romane, ma lo

aiut a penetrare ben pi addentro nelle ragioni della gramma


tica (1). Perocch le flessioni del verbo e del nome non vanno

pi considerate a parte, ma, secondo i principii della scienza


progredita, esse sono soggette alle stesse leggi di alterazione fo

netica che gli elementi radicali, la morfologia determinata dalla


fonologia. Ogni flessione verbale o nominale segue, nelle sue
trasformazioni, l'analogia delle voci composte degli stessi suoni.

Amabam divenne amava per la stessa legge per cui corbus e


laborare divennero corvo e lavorare; amavit divenne am come

avica divenne oca; da habeo e da habeam Venne aggio ed ag gia come da rubeus venne roggio.

Quindi le stesse leggi che determinarono la storia del les


sico delle lingue romane, ne determinarono anche la gramma
tica:

1. Da una stassa voce, per diverse modificazioni fonetiche, nac


quero due o pi voci distinte: raggio e razzo da radius; vi
zio e vezzo da vitium; lampo, lampada e lampana da lampada:
savio e saggio da sapius, sciame ed esame da ecamen ecc.
e da una stessa forma grammaticale nacquero due o pi: siedo
(1) Diez, Vergleichende Grammatik der romanischen
Bonn, 1870.

Sprachen,

XLV

e seggio da sedeo; abbo, ajo, aggio, do, da habeo; furono,


furo, foro, furno da fuerunt, muojo e moro da morior ecc.
2. Due voci diverse si confusero talora in un solo suono, onde
accadde che l'una dovette cadere: Vir e verus si confusero

in vero e la prima cadde; bellum si confuse con bellus; liberi

(figli) con libri, fidis con fides; habena con avena ecc; -- e
cos due forme grammaticali, preso egual suono, si fusero
in una: Il fut. amabo, amabis era divenuto amavo, a
mavi confondendosi coll'imperfetto anabam, amabas, e dovet

te cadere; fut. credam e nutriam si confondevano col presente


congiuntivo; amarem, es, et ed amarim, is, it confondevansi

per le alterazioni fonetiche coll'infinito amare, e cos quei due


tempi furono abbandonati.
3. Indebolendosi i suoni, alcuni vocaboli monosillabi o caddero

o si allungarono con nuovi suffissi per mantenersi: os, mus,


jus, rus, fas, vis, res ecc. cedettero nell'uso a bucca, sorea o
talpa (topo), directum, fortia, causa ( cosa ), campania, men

tre si disse aeramen per aes, sperantia per spes, avicella (uc
cello) per avis ecc. Similmente durarono le desinenze ed i
suffissi di maggior suono, e si perdettero uno ad uno gli altri.

Bench un po' modificate rimasero: atis ( amate da amatis),

abam ( amava), issem ( amassi, credessi ), orum (loro, co


storo) ecc. ma scomparvero le terminazioni composte di una o
due consonanti: amem, es, et si confusero in ami; patrem,
patre, patri e patris diedero patre poi padre. (1) Il pronome is
ea id cadde d'uso; hic non rimase se non composto con altri

(egli da ille-hic, questi da eccu iste-hic), e l'avv. hac si dovette


allungare in eccu hac.
La decomposizione grammaticale dunque legata col de
cadimento fonetico, e dove lo Schlgel vedeva un effetto delle
(1) CoRssEN, Ausspr. Voc. ecc: 2.te Anfl. I, 293, II, 210 e seg.

XLVI

invasioni barbariche, noi riconosciamo una legge costante nella

storia delle lingue che possiamo, per il latino stesso, seguire


dai pi antichi monumenti fino al sorgere delle nuove lingue:
Prendendo, ad esempio, la declinazione, troviamo che fin dai tempi
pi antichi uno dei casi, il locativo, erasi perduto perch fone

ticamente confuso col dativo, tantoch vi si era gi sostituito


l'ablativo colla preposizione in, cio una vera e propria forma
analitica. Gli altri casi, nella loro forma pi antica, terminavano:

Nom. in s. Genit. in is, Dat. in i, Acc. in m, Abl in di p.


es. N. populo-s, Gen. populo-is, Dat. populo-i, Acc. populo-m,

Ab. populo-d. Ma gi fin dai primordii della lingua l's del no


minativo perduta nei nomi della prima; e comune pure la

perdita di s nel nominativo di molti nomi della seconda ( Fu


rio, Lucio ecc. ) Il genitivo terminava in is, quindi anima-is

populo-is, duc-is, senatu-is, specie-is ecc. (1). Ma ben presto da ani


mais si fece animai poi animae ed in ultimo anime; populois
divenne populi, specieis divent speciei. Cos si confusero ben

presto in un solo suono il genitivo e il dativo che terminavano


in i, (viai e speciei tanto al gen. che al dat.) ed il nominativo

plurale terminante in origine in is od es (animais, viais) e che


aveva similmente perduto l's. Quindi viae, animae, servirono

per due casi del singolare e per uno del plurale. L' accusa

tivo terminava in m, ma questa terminazione era appena sensi


bile nei buoni tempi della lingua. L'ablativo prendeva un
d che per non trovasi che nei pi antichi monumenti. Caduti
l' m e il d si confondevano in tutte le declinazioni l' ablativo e
l'accusativo, e nella prima, seconda, quarta e quinta anche il

nominativo prendeva la stessa forma. Infine anche la termina


zione is del genitivo della terza, caduto l's e mutato i in e, si

era identificata coll'accusativo e coll' ablativo; talch leggiamo


(l) CoRssEN, Aussprache, Vocalismus, ecc. 2.te Aufi. I. 285,

629.

XLVII

in iscrizioni mare per maris, pietatem per pietatis (1). E poich


il genitivo e il dativo singolare non differivano dal Nominativo
plurale ( animae valeva all'anima, dell'anima, le anime) ac
cadde che la relazione del genitivo fu presto espressa coll'abla
tivo preceduto dalla preposizione de e quella del dativo coll'ac
cusativo preceduto dalla preposizione ad. Infine identificati il
Nom. l'Acc. e l'Abl., essendo gi prima passate all'Acc. ed
all'Abl. le relazioni del Dat e del Genit., si fin coll'avere per
tutto il singolare una sola forma, a cui si premettevano diverse
preposizioni secondo le relazioni che volevansi esprimere. Gi
negli scrittori latini, come nota anche il Fuchs, trovansi di sif
fatti costrutti analitici: hunc ad carnificem dabo ad pa
rentes restituit conscientia de culpa ecc.
E di siffatte forme analitiche sono piene le leggi longobarde:
faciant notitiam ad duas vel tres parentes una ad altera
succedat in praesentia de domino ecc. (2).
Cessata la distinzione dei casi nel singolare, doveva avve
nire il medesimo del plurale, quantunque alcune desinenze (orum,

bus) dovessero pi a lungo conservarsi; ed anche qu un tema


unico (che fu in alcuni luoghi il nominativo, in altri l'accusativo)
si sostitu, per l'analogia del singolare, a tutti i casi. Caduti i
quali neppure la distinzione delle declinazioni pot mantenersi:

e mentre in latino dicevasi promiscuamente materia e materies


segnitia e segnities, e declinavasi domus ora secondo la prima,
ora secondo la quarta decl., nelle lingue moderne la fusione delle
cinque declinazioni , fin dai primi monumenti, completa.
(l) V. ORELL. Inscr. 4583: Qui in sinu mare per ierunt; e In
serip. Neap. 5607: Memores este pietatem patris. Vedi l'intero pro

cesso di questa assimilazione in CoRsEN 0. c. II. p. 240 e seg. I. 196,


267, 286 ecc.

(2) Pott, Plattlateiniseh und romanisch; Zeitschrift fr vgl


Sprachf. I, 309 e seg.

XLVIII

Il medesimo ragionamento applicato a tutto il sistema fles


sivo dimostrerebbe come la trasformazione della grammatica, co

minciata non colle invasioni barbariche ma nei primordi della


lingua, si sia resa di mano in mano necessaria per l'incessante
corrompimento dei suoni, e come le forme crearonsi via via

per un cotale processso logico e per forza di analogia, non ap


pena che, obliteratesi le antiche, se ne manifestava il bisogno.
Cos l' uso del verbo habere unito con un participio, di cui si

ha qualche esempio nei buoni tempi della lingua, fu in seguito


allargato per distinguere il futuro, il condizionale, il perfetto ed
il piucheperfetto, dopoch amaram, amarim ed amarem si erano
confusi coll' infinito amare, ed amabo con amabam. E come pri
ma si disse: hanc rem perspectam habeo, si disse poi ha
beo dictum, habeo factum, e quindi habebam dictum ed habuis

sem dictum, e pi tardi amare habeo ( pi popolare che aman


dum habeo come, per analogia ad amatum habeo, si sarebbe
dovuto dire ) per amabo, ed amare habui per amarem. Nelle
leggi longobarde troviamo infatti facero habeo per faciam, fe

rire habeo perferiam, committere habuit per committeret ecc. (1).


Di qui poi l'ant. tosc. ar fare, avranno godere, l'antico

veneto dire, di fare, avr trovar, il sardo hap' a essere; e


posteriormente far, sar, troverei ecc.

Infine come gli organismi viventi, mutando le condizioni di


vita, manifestano potenze o facolt prima latenti, cos nel lin
guaggio dispiegansi, a seconda del bisogno, propriet ed ener
gie per l' innanzi non avvertite. Ogni organismo, per legge uni
versale, sviluppa e pone una dopo l'altra in atto tutte le sue
(1) PoTT, Plattlat. und Rom. ecc.: Feri dominum tuum, nam
si non eun, ego te ferire habeo ; e pi sotto: quod si invenissit
eam pater aut frater scand alum cum eum committere habuit (com
metterebbe).

XLIX

forze o facolt, e cresce e progredisce finch non siansi in lui


completamente maturati i germi di vita che ricevette al suo na

scere. Le lingue romane non sono dunque che l'ultima espres


sione del latino giunto alla sua piena maturit. N vi fu influ
enza straniera che ne alterasse lo sviluppo, poich, poste certe
leggi fonetiche, tutto si genera naturalmente; e le nuove forme
che sorgono di mano in mano, modificano il carattere e le pro
priet dell'idioma mutandone la sintassi.
E che nulla abbiano influito sullo svolgimento naturale del

latino le lingue barbariche, basterebbe un confronto anche su


perficiale tra le leggi fonetiche del gruppo latino e quelle delle
lingue teutoniche a chiarircene. Tutti i dialetti teutonici abbon

dano di aspirazioni, accentano la sillaba della radice, dnno la


preferenza alle consonanti forti e possiedono suoni che mancano
alle lingue romane. Alcune voci latine che i Germani ricevettero
nei tempi antichi, come keller e kerker, si sono fino ad oggi
preservate dallo schiacciamento palatale e dall'assibilazione che su
birono in tutte le favelle romane (meno il sardo). Bench la lingua
dei Longobardi fosse affine all'antico alto tedesco (1), nulla trovia
mo in italiano che ricordi lo spostamento dei suoni (LautVer

schiebung ) proprio di quella lingua; nulla che presenti altera


zioni simili a quelle subite dalle voci latine presso un popolo
che pronunciava ropustus, fafilla, perpices, fidelli, ferrat per
robustus, favilla, berbices, verrat ecc. come gli antichi glossari
dimostrano (2).

Segue da questo che niun vestigio abbiano assolutamente


lasciato nella lingua latina le grandi rivoluzioni politiche e re
ligiose compiutesi nel Medio Evo? Sarebbe disconoscere lo stret
(1) GRIMM, Geschichte der deutschen Sprache, Leipzig 1852, II,
p. 180. DIEz, Vergl. Gr. I p. 62.

(2) DIEz, Altromanische Glossare. Bonn, 1866.

to vincolo che tra parola e pensiero, tra lingua e civilt. Ma

le modificazioni che per tal via penetrarono stabilmente nella


lingua appartengono, oso dire, tutte al lessico n toccano in mi
nima parte all'intimo svolgimento dell'idioma. Centinaia di vo

ci nuove, espressione di nuove idee e di insolite relazioni socia


li, s'introdussero e rimasero nelle lingue romane, ma invano
vi cercheremmo quel miscuglio di suoni disformi che, ad esem
pio, nell'inglese accusa la duplice origine normanna ed anglo
sassone (1), o quella promiscuit di forme che palesa nel per

siano la prolungata influenza dell'arabo. Il latino segue il suo

corso naturale, e possiamo tener dietro passo passo al lento ma de


terminato e non mai interrotto svolgersi delle sue leggi fonetiche
e grammaticali. Soltanto le voci che di mano in mano accoglie
ci ricordano le mutazioni che operavansi nella vita, nella reli
gione e nei rapporti sociali. Alcune voci, come domus, verbum,
e vesper, scompaiono dall'uso comune perch consacrate dalla

religione (2). Pi altre, gi adoperate in tutte le scritture dei

migliori tempi, cadono al prevalere di voci plebee, dopoch il


Cristianesimo ebbe rialzato le infime classi dalla loro abiezione,
se le invasioni barbariche abolito ogni vestigio delle antiche di
visioni. Testa prese il luogo di caput, spatula di humerus, pulpa

di sura, botellus di intestinum, ficatum di jecur ecc. Infine


sia per i commerci che per le invasioni dei Germani, degli Arabi

dei Greci, le lingue romane si arricchirono di un gran nume


ro di voci tratte specialmente dalle lingue di quelle tre nazio

ni. Di voci greche abbondano massimamente il valacco ed alcu


ni dialetti italiani; di voci arabe lo spagnuolo che ne conta ol
tre a 600, molte delle quali divennero comuni alle altre lingue

(l) MAX MuLLER, Lectures ecc. sec. ser. p. 160 e seg.

(2) DIEz, Vgl. Grmm. l. p. 55.

LI

romane (1); di voci germaniche prima il francese che ne pos


siede in proprio 450, quindi l'italiano che ne conta circa
140, poi lo spagnuolo col portoghese che non ne hanno

pi di 50, ed ultimo il valacco che ne presenta un mi


nor numero delle altre. Oltre a questi elementi speciali poi
annovera il Diez circa 300 voci germaniche comuni alle
favelle romane, talch nel complesso sommano a 930 le vo
ci che nel Dizionario Etimologico egli d come germaniche

(2); colle quali voci divennero d'uso comune i suffissi aldo,


(l) DIEz, Vgl. Grmm. I p. 90.
(2) DIEz, Vergl. Gramm. 3te Aufl. p. 66.
Germaniche sono le seguenti voci italiane: aggueffare, aghirone,
alabarda, albergo, mappo, araldo, archibugio, aringa, aspo, balcone e
palco, banco, bando e bandire, bara, bargello, battifredo, bazza, bec
cabungia, benda, bianco, biavo, bordo, bottino, bracco, brando, brano,
brodo, bruno, buco, camarlingo, chioccare, crosciare, cuffia, dardo,
drudo, elmo, elsa, falda, fodero, forbire, fresco, gabella, gaio, galop
pare, garbo, gargo, ghindare, giallo, giardino, giga, gonfalone, gra
mo, grappa, grimo, gualcire, gualdana, guancia, guardare, guarire,
guarnire, guercio, guerra, gufo, guisa, issare, issa, laido, lansiche
necco, latta, leccare, lista, loggia, lotto, magone, manigoldo, marca,
maniscalco, melma, onta, orgoglio, razza, recare, ricco, riddare, riga,
roba e rubare, rocca, rostire, rosta, arruffare, saccomanno, sala, sca
fale, scaramuccia, schermo, scherno, scherzare, schiacciare, schiatta,

schiera, schifo, schivare, scorbuto, senno, siniscalco, slitta, smacco,


snello, spanna, sparviere, sperone, spiare, spola, spranga, stufa, stallo,
stambecco, stampare, stanga, stecco, stia, stinco, stocco, storione, stor
mo, strade, strozza, stucco, tanfo, toccare, torba, tovaglia, tregua, tre
scare, trincare, truogo, tuffare, usbergo, vogare, zaino, zana, zolla,
zuffa, ed altre.
Greche sono: abisso, agognare, accidia, amido, asma, attimo, o
stico, boccale, biasimare, bestemmiare, botro o borro, botte, bron

tolare, borsa, genia, dieta, ndica, discolo, inchiostro, eremo, mi

LII

ardo, lingo che si applicarono poi anche a voci latine (testardo,


codardo, solingo ecc.) come del resto accadde anche dei suffissi
greci uooa, tou6g, torng (contessa, badessa, fiorentinismo, arti
sta ecc.) (1). Il Diez conchiude la rassegna degli elemeati stra
nieri delle lingue neolatine affermando che, malgrado qualche
traccia d'influenza germanica visibile specialmente in certe com
posizioni o derivazioni di parole ed in alcune propriet di sin
tassi le lingue romane appropriandosi degli elementi teutoni
ci mon patirono alcuna essenziale alterazione nel loro organi
Sm0 , (2).

Questa conclusione non tuttavia ammessa da tutti senza


restrizioni. Credono alcuni tuttora che l'ammettere una

certa

influenza germanica sia necessario per spiegare la differenza che


passa tra le lingue romane ed il latino, pi considerevole senza
alcun dubbio di quella che tra l'antico tedesco ed il moderno,
o tra il romaico ed il greco classico. La ragione (dice Max

Mller) che le lingue romane non ci presentano il latino quale


crania, zio, coro, calma, cambellotto, garofano, chitarra, cimitero, col
la, golfo, grotta, cotogna, canap, liscio, masticare, mostaccio, negro
mante, nolo, estro, organo, orma, paggio, parrocchia, piatto, brocca ,
pitocco, borgo, salma, se da no, scarabone, spasimo, stuolo, scheggia,
schizzo, tapino, trapano, tufo, fal, calare ecc.
Portate dagli Arabi sono: albicocco, alcali, alchimia, alcool, alco

va, algebra, ammiraglio, ambra, arancio, arsenale, articiocco, assassi


no, ataballo, auge, barracane, borrace, caff, calafatare, calibro, can fora, carato, cremisino, carruba, catrame, cotone, dragomanno, feluca,
fondaco, gazzella, gelsomino, giarra, giraffa, giulebbe, lambicco, li
mone, liuto, magazzino, meschino, mummia, ricamare, scarlatto, sci rocco, siroppo, sof, sorbetto, talco, talismano, tamarindo, tamburo,
tara, tariffa, tazza, turcasso, zafferano, zero, cifra ecc.
(1) DIEz, Op. cit. II. Ableitung.

(2) DIEz, O. c I. p. 72.

LIII

esso sarebbesi naturalmente trasformato presso i Romani del


l'Italia o delle provincie, ma quale i popoli germanici potero
no apprenderlo ed appropriarselo ,. Max Mller d' avviso che,
oltre alle leggi di evoluzione constatate dalla scienza, nella sto

ria del latino non sia da trascurare una certa influenza avven
tizia che ne turb lo sviluppo (additional disturbing agency),
influenza visibile in alcuni fatti, che non si spiegano se non am
mettendo che alla formazione delle nuove lingne abbiano avuto

parte delle popolazioni che pensavano in tedesco ma si sforza


vano di esprimersi in latino (1). Quei fatti egli additava in un
breve articolo Sopra la tinta germanica di alcune parole ro
mane (2) che poi rifondeva in parte, temperandone alcune e

spressioni, nelle Letture sulla scienza del linguaggio (Lettura


VI, 2 serie ). Anche il Littr, pure concedendo che l'elemento
germanico nelle lingue romane de iuxtaposition, non d'in

tussuscption , e che esso n'apporte pas des actions orga


niques qui drangent la majestueuse rgularit de la formation
romane , (3) cos si esprime intorno all'opinione di M. Ml
ler: A mon tour, venant, par la srie de ces etudes, m'oc

cuper du dbat ouvert, j y prends une position intermdiaire,


pensant que, essentiellement, c'est la tradition latine qui do
mine dans les langues romanes, mais que l'invasion germanique
leur a port un rude coup, et que de ce conflit o elles ont
failli soccomber, et avec elles la civilisation, il leur est rest

des cicatrices encore apparentes et qui sont un certain point


de vue, ces nuances germaniques signales par M. Miller . E

quali sono i fatti citati dal dotto alemanno?


(1) Max MLLER, Lectures ecc. sec. ser. p. 275.
(2) MAx. MLLER, Uber deutsche Schattirung romanischer Worte,
nella Zeitschrift ecc. di Kuhn, V. 5.

(3) LITTR, Hist. de la lg. fr. p. XXVI.

LIV

Secondo M. Mller I Germani, nell'appropriarsi la lingua


dei vinti, si studiavano di ravvicinarla alla propria in tre maniere:
colla scelta delle voci, coll'alterazione fonetica, e colla forma
zione di nuove parole.

Di due o pi voci latine esprimenti la stessa idea, i Ger


mani eleggevano quella che nel suono ricordava meglio la voce
tedesca corrispondente: Focus fu preferito ad ignis perch
pi vicino al ted. fcuer e funkeln; cohors ad aula perch
pi vicino a gart: grandis a magnus perch pi affine a
gross; lavare a sinere perch pi vicino a lazam.
Le voci latine furono accostate nel suono alle germaniche;

p. es. haut ed heurler derivate da altus ed ululare presero l'h


per imitazione delle corrispondenti voci teutoniche hoch ed heulen.
Le nuove parole sono foggiate secondo il modello germani

co, di cui non sono spesso che la traduzione servile. P. es.


avvenire nel senso di futuro formato da ad-venire co

me il ted. Zukunft da zukommen: malato da male - a


ptus (prov. m lapte) la traduzione del ted. unpass;

contrada da contra imitazione del ted. gegend formato da


gegen; pensare si sostitu nel significato a cogitare per ana

logia di eroigen derivato da paga bilancia: viso si form


da videre come ansicht da sehen ecc.

Di questi tre ordini di fatti l'ultimo quello in cui l'in


v

fluenza germanica meno dimostrata e certamente poco neces


saria. Conviene guardarsi dal pericolo di vedere imitazione do
ve non che analogia di formazione, fondata sull'analogia del
processo logico corrispondente. I Latini, ad esempio, usavano lo
stesso vocabolo per dire soffio ed anima; ma niuno ardir

dire che in ci abbiano imitato alcuno di quegli altri popoli


che, come l'ebraico, si servivano della stessa metafora. Pari

menti il traslato che assomiglia il giusto e l' ingiusto alla


linea retta ed alla linea tortuosa (il diritto e il torto)

LV

comune alle lingue romane, all'ebraico ed al tedesco; ma chi


dir che un popolo abbia copiato dall' altro ? Lo stesso M.
Mller confessa essere difficile distinguere se un vocabolo for
mato per analogia d' un altro, o se una stessa metafora si sia
presentata naturalmente a pi popoli insieme. L'ital. circostan
za parrebbe una traduzione del ted. Umstand, se gi Quintilia
no (10, 104) non ci avvertisse che circumstantia nel senso di

qualit o di accidente fu formato per tradurre il greco regionaoug


(1). Del resto le metafore citate da M. Mller si spiegano na
turalmente senza bisogno di ammettere influenza germanica.

Visus da videre formato come species da aspicere. L'avve


nire e ci che si contrappone al passato. Il tempo si presenta
alla fantasia popolare come qualche cosa che trascorre; il tem
po anteriore il passato, e quello che non ancor presente
a venire, e nel modo stesso dicesi tempo trascorso, remoto,
lontano. Valga il medesimo per le altre metafore.
Ci sembra invece evidente l' influenza germanica nell' ag
giunta dell'aspirazione di alcune parole francesi. Cos infatti

pensano anche il Diez, Paul Meyer, Brachet (2). Ma gli altri fatti
che l'egregio filologo adduce per provare come la scelta d'alcune vo

ci latine venisse determinata dalla loro consonanza colle voci


germaniche corrispondenti, non sono tali da togliere ogni dub
bio. Abbiamo veduto come condizioni storiche e sopratutto fo

netiche abbiano nella pi parte dei casi, dato la prevalenza a


certi vocaboli. Infatti, date quelle condizioni, si vede cader d'u

so il vocabolo malgrado l'affinit della voce germanica. Ager,


alere, edere non poterono mantenersi bench le voci corrispon
denti del gotico suonassero altra, alan, itan.
-

(1) M. MLLER, Lectures ecc. p. 274.


(1) DIEz, Vergl. Grmm. I. 465 BRACHET, Dictionnaire etymo
logique, p. 560, e Bibliotque de l' cole des chartes, 3. ser. IV.

LVI

Ma, senza negare ogni possibilit di un'influenza germa


nica sulle modificazioni del lessico latino, io trovo ben pi e

vidente e naturale il fatto contrario, cio l'influenza latina sulla


fortuna di molte voci germaniche. In questo fatto non avvertito
per me la spiegazione del numero stragrande di voci germa
niche che poterono conservarsi nelle lingue romane, bench non
si riferissero n alla guerra, n allo stato, n ai commerci, ma
alle ordinarie ralazioni della vita (come schermire, toccare, lec
care) o ad oggetti comuni (briglia, nastro, schiena, crusca),

per le quali parrebbe avesse dovuto prevalere l'appellativo romano.


E in questo fatto sono da ricercare le prove di quel raccosta
mento che, pur limitato al lessico, dov compiersi poco a poco
tra la lingua dei vincitori e quella dei vinti e che, alterando la
forma di molte voci, spiega la difficolt di ricondurle, colle or

dinarie leggi fonetiche, alla loro forma originaria. Siffatto rav


vicinamento del resto nell' ordine naturale degli avvenimenti.
Il tedesco era la lingua del vincitore e rappresentava il nuovo stato
di cose che si andava raffermando e sostituendo nei paesi latini al ve:

chio impero. I Barbari, stretti del vincolo della milizia e dal senti
mento di razza, mantennero lungo tempo ancora le loro favelle,
le quali non dovettero spegnersi, secondo forti indizii, prima
dell'800 in Italia e durarono maggior tempo ancora nel Nord
della Francia. Non pertanto strano che abbiano influito sopra

il suono di qualche voce del latino, ed piuttosto meraviglioso


che non vi abbiano recato maggiori alterazioni. La prevalenza
numerica dei vinti valse, pi di tutto, ad assicurare al latino

il suo naturale sviluppo senza quelle repentine e profonde per


turbazioni che, ad esempio, nell' inglese cagion la poco rile
vante disproporzione numerica tra Anglosassoni e Normanni. Ma
la vittoria del latino si compi lentamente e non senza conces

sioni e temperamenti, che mentre decidevano della fortuna di


molte voci germaniche dovevano poi lsciare non poca oscurit

LVII

in molti vocaboli latini. Siffatto ravvicinamento era anche

age

volato e occasionato dalle molte voci afini che nel periodo ar

caico delle lingue teutoniche, era spesso tale che anche agli i
dioti non poteva passare inavvertito. Come non vedere la paren
tela tra itan e edere, tra altra ed ager, tra arjan e arare,
tra avi ed ovis, tra midia e medius, tra mins e minus, tra mi
tan e metiri, tra siujan e suere tra valjan e volvere ? (1). No
tata una volta questa somiglianza tra le voci gotiche e le latine,
poteva non nascere e farsi col tempo irresistibile la tendenza

a toglier via le piccole differenze che erano tra le due lingue ed


a ravvicinarle, promovendo cos lo scambio delle idee ed il com
mercio tra le due nazioni? Certo l'affinit, bench dimostrata ora

dalla scienza per una gran parte degli elementi radicali, non
era sempre al volgo tanto palese come negli esempi addotti,
n in tutti i dialetti teutonici cos notevole come nel gotico; ma

era pur sempre tale da agevolare i commerci tra i due popoli


accelerando cos la completa estinzione degli idiomi teutonici.

Nei ravvicinamenti pertanto che per tal via si andavano


facendo, ora ebbe la prevalenza la forma latina, ora la tedesca

secondo le circostanze e secondo i tempi, essendo pi probabile


che l'influenza teutonica si manifestasse maggiormente nel prin

cipio. Accadde per, bench pi raramente, che dalla forma la


tina e dalla germanica contemperate nascesse una terza che ri
teneva di ambedue. Quindi tre casi sono da considerare:
I. La forma latina assorb interamente la teutonica.

II. La teutonica prevalse alla latina.

III. Le due forme si confusero in una terza che le rias


sume entrambe.

Il primo caso di gran lunga il pi frequente. Le voci che


come sada, haban, raihta, arjan avevano una ben discernibile
affinit colle corrispondenti voci latine, si confusero totalmente
(1) MEIER, Die Gothische Sprache, Berlin 1869. GLossARIo.
skxkkskrit

i LVIII

con queste, e cos i Goti dissero sazio o satollo, avere, retto,


arare ecc. Il numero di siffatti casi fu certo molto grande, ma
poich qu la forma latina non ebbe alterazione, altro documen
to non abbiamo del fatto se non la somiglianza che i lessici de
gli antich idiomi teutonici mostrano aver avuto molte parole
tedesche colle corrispondenti latine, senza che nelle lingue ro
mane sia rimasta traccia della forma germanica.
Il secondo caso, molto meno frequente ma non raro, quan
do la voce latina si modific secondo il suono della voce germa
nica. Qui si suol dire che le lingue romane hanno preso la tale

o tal voce dalla favella dei Longobardi, dei Franchi o dei Goti;
mentre sarebbe pi esatto il dire che la voce latina si piega
ta a prendere una forma pi prossima ad altra voce germanica.
Io affermo anzi che molte parole tedesche devono alla loro af-

finit colle latine l'aver potuto penetrare e sopravvivere nelle

lingue romane. N qui intendo parlare d'affinit etimologica,


ma di quella somiglianza che, pur limitandosi alla superficie e
all'apparenza, doveva divenire come il punto di ravvicinamento
tra i parlanti delle due schiatte.
E qui bisogna pure distinguere quando la voce latina si

pieg, per influenza germanica, a modificazioni rare bens ma

pure non al tutto nuove n inesplicabili anche nel dominio la


tino, e quando prese forme non regolari e non spiegabili colle
leggi di fonologia romana, talch pot sembrare che la voce

germanica le si sostituisse interamente,


Alla prima categoria appartengono:
Guadare e guastare derivate da vadare e vastare, come
guaina da vagina, ma non senza influsso dell'ant. ted. uatan
e uvastjan (got. quistjan).

Shiena, sp. Schina, fr. chine, e schiuma, sp. escuma, fr.


cume derivano da spina e spuma coll'alterazione di sp in sc
che, almeno in italiano, non nuova (cfr. schidioni per spidio
ni, schiantare da spiantare, scola da spola, scoglio da spoglia)

LIX

ma che nelle altre lingue neolatine non pot aver luogo se non
per influenza delle voci ted. skin e sciim.
-

Buttare, fr. buter e bouter da pultare, come in tosc. uti

mo per ultimo, butolare per voltolare, per influenza del m. ted.


bzen.

Conto da cognitus per assonanza al got. kunta (ted. kund).


Scranna pi che dall'ant. ted. scranna deriva da scam
num con rrinforzativo, (come in sprimacciare da spiumacciare)

aggiunto per imitazione della voce germanica. Nelle antiche


scritture trovasi infatti anche scranno per scranna.

Chiappare da capulum fiume, laccio, mutato in clapum per


influenza del teut klappa.
Invece una vera prevalenza della forma germanica nei
casi seguenti:
LATINo

GERMANIco

RoMANO

trahere

got tairan
got. straujan

sdraiarsi

Sternere

tirare

rasicare (da radere) aat. raspn

raspare

speculare

angere

got agjan

spiare
sparagnare, rispar
miare, lmb. spar.
aggaiare

lingere e ligurire

aat. lecchn

leccare

stringo

ted. stricken

striccare

frange e (frag)

got. brikan

tosc. sbreccare lnb.

parcere

aat. sphn
aat. sparn

ol. happen

sbreg
fr. happer

aat. skernn

schernire

beffare fr. bafouer


spg. fisgar

odisse

ol. beffen
got. fiskn
aat tharrjan
ang. S. hatian

fr. hair (ant. hadir)

sudare

nord. sueitan

fr. suinter

capere
carinare
baubari

piscare
torrere

fr. tarir

LX.

perustare
arripere

aat. rostjan
nord. gripa

arrostire
aggrappare, fr. grip

per. *
rapere

m. t. reffen (nord. arraffare


hrafla)
aat. roulon

rubare

calcare

aat. valchan

gualcare
schiacciare

(l)i Ser

aat. klakjan
aat. gana: o m. t.

turna

val. gunsce sp. ga

ganze

l (l 0

aat. sturm

Stormo

stabulum

aat. stal

stallo

planca -

aat. banch

panca e banco
palco e balcone

quotus, a, un

a. fris. Shot

aat. balco

scotto

(quota pars )
v.

mors tis

got. maurhtr

li'. meurtre

sensits

aat. sin

Seil pl 0

tipupa

aat. httro

pl 0.1'0 S

aat. nesti la

harpaga

aat. krapfo

gufo
nastro, limb.
mistola (l)
grappa, fr. agrafe,

repages e repagula aat. Spanga

Spranga

Altre volte non la voce che corrisponde al significato della


voce germanica quella che influ a farla accettare, ma altra vo
ce connessa alla straniera sia per associazione di idee, sia per
falsa etimologia. Spiedo dall'aat. spiz rimase perch ravvicina
ta a spatha; elsa da helaa perche ricordava il lat. ensis;
fr. blier formato da bell squilla (come l'ingl. belluether e
(l) ll sig CIHAc crede il val, nastur derivato da nastulus che

sarebbe un diminutivo di massa, ma il significato non si presta. V.

Dict. d'et dac-rom. p. 73.

LXI

l'ol. belhamel) per una falsa etimologia da belare; slavo


fr. sale sudicio, da salo, perch confuso col lat. salebrae (loca
lutosa); grinta da grimmida perch ricordava il lat. grun
dire, donde far la gronda far il broncio; bragia dal nord.
brasa perch ricordava il lat. perustjare da cui bruciare, prov.
bruear; vacarme dall'oland. wacharner per falsa etimolo
gia da baccare, e cosi molte altre voci.

Ma il prevalere della voce germanica non porta sempre


per conseguenza la caduta della latina, la quale rimane talora con

qualche differenza di significato. Abbiamo torma e stormo; quo


ta e scotto; senso e senno; abbrustare e arrostire: rapire, ruba

re e arraffare; calcare, gualcare, e schiacciare: bubbola e gu


fo; trarre e tirare; raschiare e raspare; suer e sminter ecc.

anzi molto probabile che nella pi parte dei casi le due


voci affini si usassero promiscuamente, finch, quando una certa
differenza di significato non sopravvenne ad impedirlo, una del
le due voci non fu abbandonata. E, come abbiamo notato, nella

molto maggior parte dei casi prevalse la voce latina, ma non


di rado anche la germanica.

Viene ora il terzo caso che quando n la voce latina n


la germanica prevalse totalmente, ma di due voci si fece una
sola che le riassumeva e le rappreseftava, per cosi dire, ambedue.
Eccone alcuni esempi.

Guiderdone certo derivato dall'aat. widarln ricompensa,


ma la seconda parte ln (ted. Lohn fu scambiata col lat.
donum.

Malvagio, fr. mauvais nato da una fusione del got. bal


vaveisa (cui dovette corrispondere un aat balvisi) col lat.
malus.

Schiaffo contiene l' f che in colaphus, essendo nel resto

pi vicino al ted. schlappe. Anche il lat. aveva alapa, e i dial.


settentr. hanno slepa e slavacion.

LXII

Zolla dal ted. skolla, ma l'alterazione di sk in 2 non

si spiega se non supponendo uno scambio col lat. solum (cfr


zolfo da sulfur ).

Guancia non si spiega se non supponendo che l'ant. t.


uganka sia stato mutato in uankja, per influenza del suffis
so di ganacia (formato da gena come minacia da minae).
Cos uanka e ganacia confuse insieme diedero guancia.
Fr. huppe, il lat. upupa troncato in uppa, aggiuntovi
l'h che era nell'aat. huvo.

Brttine briglie, ricorda insieme l'aat. brittil e il lat. retinae

Cracher, sic scraccari, donde scaracchio, scarcaglioso ecc.


ricordano insieme il nord. hraki e il lat. ea creare. Il nap. ra
scare, port. escarrar sono pi vicini alla forma latina.

Vappo o guappo spaccone, non che il lat. vappa; ma il


significato e la forma ricordano il got. ho 6pan vanagloriarsi.
Ganascia da gena ha mantenuto il suono gutturale per in
fluenza del teut. geinon aprir la bocca, da cui gana, lmb. sga
gn mordere ecc.

Tantoch non sempre facile chiarire se una voce derivi da


un'alterazione della latina, o direttamente dalla tedesca.

Mencio e ammencire, fr. mince e mincer si potrebbero


credere derivati da minutius (cfr. sminuzzare) se ragioni fo
netiche non ci facessero preferire la voce tedesca. Il gotico ha
minnizan pi piccolo e minzian minuere.
Lutta scintilla, sd. alluttare accendere, da lucere (donde

luc tare per lucitare) o dal got. liuhta splendente, liuhtjan


splendere ?
Amojare cedere, infiacchirsi, deriver da molliare (formato
da
mollis,
come fr. mouiller) o dal got. mojan o afmojan stan
care
?
l

Strappare, fr. estraper, lomb strip, dal lat. ertirpare o


dal teut., strapfen

LX III

Egli che in tutti questi casi ed in altri che qui omettiamo,


avvenuta una fusione tra la voce latina e la germanica, gi molto af
fini tra loro. L'influenza germanica dunque necessaria per spiega

re la forma oscura e l'alterazione di non poche parole che non


si saprebbero colle ordinarie leggi fonetiche ricondurre alla loro
origine. E questa influenza non fu eguale dappertutto. Considerevo
le nei paesi pi esposti alle invasioni, essa appena sensibile nelle
parti pi meridionali del dominio latino. I dialetti del Nord della
Francia, il romancio, e i dialetti settentrionali d' Italia presen
tano il maggior numero di elementi germanici; i dialetti meri

dionali dell' Italia e della Spagna il minore. Ma tutto si limita


a un numero pi o meno grande di voci straniere, ed grave

errore quello di voler spiegare col differente grado dell'influ


enza straniera le differenze tra le lingue romane. Essendo lo
svolgimento del latino, per quanto riguarda la grammatica, ri

masto inalterato, le differenze esenziali spettanti alla pronuncia


e alla forma che distinguono le lingue romane, sono affatto indi
pendenti da influenza germanica, N fa gran differenza che l'Ita
lia sia stata invasa dagli Eruli, dai Goti, dai Longobardi, la

Francia dai Borgognoni e dei Franchi, e la Spagna dagli Svevi,


dagli Alani, dai Vandali e dai Visigoti; perocch, le differenze
tra le favelle di quei popoli consistendo piuttosto nella pronun

cia che nel lessico, non sono nelle lingue romane visibili se non
nel suono un po' diverso che la stessa parola tedesca prende
talora nei vari paesi. Ma le intime e fondamentali differenze
che corrono tra le diverse favelle romane, anzi spesso tra i dia

letti di una stessa favella, non sono affatto spiegabili coll'in


fluenza germanica.

N varrebbero a darne ragione gli elementi di altre lingue,


specialmente della greca e dell'araba, che in diverse proporzioni
si mescolarono col latino in varii paesi.

L'influenza greca, viva specialmente nel mezzogiorno del

LXIV

l' Italia e della Spagnn durante la dominazione bizantina, lasci


nei dialetti di quei paesi un certo numero di voci greche,
ignote altrove: ma come la potenza bizantina cedette all'urto

barbarico, cos l'influenza greca nelle lingue romane pu dirsi,


in confronto alla germanica, insignificante.
Ben altre conseguenze ebbe l'invasione degli Arabi, i qua
li, penetrati fin dall' 8." secolo nella Spagna, non prima del 15.
secolo poterono essere debellati. Tuttavia l'odio di razza, la di
-

sparit di costumi, di civilt e sopratutto di religione tolsero


da un lato che seguisse tra vinti e vincitori quella fusione che
fu in ultimo completa tra Germani e Latini; e dall'altro la dif
ferenza enorme tra il sistema fonetico e grammaticale dell'ara
bo e quello del latino fu cagione che, ad onta delle molte voci
arabe penetrate nello spagnuolo, non si trovino nella gram
matica e nella fonologia di questa lingua sensibili vestigia del

l'influenza straniera. Anche la comune opinione che l'aspirazio


ne spagnuola detta jota sia di provenienza araba, contradetta
oltrech dalla circostanza, notata da Delius, che negli altri luo
ghi in cui dominarono gli Arabi (p. e. nel Portogallo), quel suono
non conosciuto (1), anche dal fatto che nelle voci arabe pas
sate nello spagnuolo il ch arabo espresso con f non con j,
come dovrebbe avvenire se la j e il ch arabo fossero stati in

origine uno stesso suono; il che dice il Diez, si spiega col


l' osservazione fatta di recente che l'aspirazione gutturale spa
gnuola aveva in origine forza di palatale (2).
Una sola delle lingue uscite dal latino fu alterata nell' in
timo suo svolgimento dai contatti con altre lingue, la valacca.

Ma questa lingua crebbe e si form in condizioni affatto diverse


dalle altre.

(1) DELIUs, Romanische Sprachfamilie, p. 29. Ad influenza


araba invece dovuta l'aggiunta di un aliniziale ad alcune voci d'o
rigine latina, come alcornoque, alcubilla, almena, alcarta s, ecc.
(2) DIEz, Vergl. Gramm. I, Arabische Buchstaben, p. 329.

LXV

Quel paese fu degli ultimi a ricevere la lingua latina, e i


coloni mandativi da Traiano erano presi non dal solo Lazio e
dall'Italia, ma, secondo l'espressione di Eutropio, da tutte le
parti dell'impero (ex toto orbe romano ) (1). Un secolo dopo

o poco pi, cominciavano quelle continue invasioni e devastazioni


che non ebbero termine che al 15 secolo. Fin dal 270 infatti,
Aureliano era stato costretto a trasferire al di l del Danubio

la sede del governo e le legioni, spaventato dai progressi dei


barbari; e da quel tempo tace la lista dei governatori romani
della Dacia, compilata dal Borghesi colle medaglie e colle iscri

zioni raccolte nella provincia (2). Qu dunque il latino, bench


costituisca sempre il fondo principale della lingua, non pot non
soffrire della prevalenza degli elementi barbarici. Non solo una

met del lessico valacco di parole albanesi, turche, magiare,


tedesche, greche e sopratutto slave; ch, mentre nelle altre lin
gue romane le forme si mantennero inalterate e gli elementi
stranieri si modificarono secondo le leggi e le analogie delle voci
latine; qu le parole slave passarono nell' uso non assimilate n

modificate, e la grammatica di luogo a costrutti e forme straniere


alterando cos profondamente lo svolgimento e il carattere del
l'idioma (3).

Dalle osservazioni fatte pertanto risulta che nelle lingue ro


mane, eccettuato il valacco, le favelle dei popoli invasori non
lasciarono se non poche e sfuggevoli vestigia, che tutt'al pi sono
sufficienti a dar ragione della forma oscura od irregolare di alcuni

vocaboli. Ma come spiegare, se si riduce in cos stretti confini


(1) Secondo alcuni si conserverebbero le traccie di questa me scolanza dei coloni in alcune parole d' origine iberica o gallica che
si trovano nel valacco. V. MIRCEsco, Grammaire de la langue rou
maine, Paris, 1863; Introduction, p. V.
(2) V. Annali dell'Istituto archeolegico di Roma ( 1855 ).
(1) MIKLcsicH, Die slavischen Elemente im Rumunischen, pag.
ll e seg.

LXVI

l'influenza straniera, la grande distanza che tra il latino quale


ci noto anche negli scrittori pi popolari o pi barbari, e le
lingue romane eziandio considerate nelle pi antiche loro mani
festazioni, distanza che, come avvertiva giustamente M. Mller,
non ha esempio nella storia delle altre lingue ariane? E pari
menti, se si esclude la varia efficacia che dovettero esercitare

sul latino in un luogo l'arabo, in altro il greco, in questo l'al


to tedesco, in quello il basso tedesco o il gotico, come render
ragione del suono tanto diverso che codesto fondo comune del

latino ha ricevuto nei vari paesi ? Qu tornano in campo le

altre due opinioni sorte insieme con quella da noi test combat
tuta, di coloro cio che reputano il distacco tra le lingue vol
gari e il latino non essere che l'ultima espressione del grande
divario esistente ab antico tra la lingua plebea e quella dei pa
trizii, e di quelli che considerano le variet di suono delle lin
gue romane come l'effetto della fusione del latino cogli idiomi

primieramente in uso tra i popoli conquistati. Quali, si domanda,


sono le conclusioni a cui, rispetto alle accennate due opinioni,
giunta la scienza colla luce dei nuovi metodi? Fuvvi in Roma
un latino plebeo? Quali erano i suoi caratteri, le sue propriet,
le sue relazioni col latino degli scrittori? Parlavasi dappertutto
nella stessa maniera o diversamente nei varii luoghi? Se diver
samente, in che consistevano e donde avevano origine le diffe
renze ? Dal clima o dall'influenza degli idiomi parlati nelle va
rie provincie prima della conquista romana ?
Ecco le domande a cui ci studieremo di rispondere per la
parte specialmente che riguarda la nostra lingua. Se non che,
per dar ragione dell'ordine tenuto nelle nostre ricerche, sono
qui necessarie alcune osservazioni.
Non v'ha dubbio che la risposta agli annunciati problemi

sar tanto pi completa e determinata, quando pi profonda ed


estesa sar la scienza che noi avremo degli elementi che com

LXVII

pongono le lingue romane. Ora lo studio di queste esso a tal


punto che permetta d'intraprendere con sicurezza le ricerche
delle origini ?
Noi abbiamo pi sopra notato come la filogia ariana, dopo
le comparazioni pi estese e generali, tenda a restringere di
mano in mano il campo delle sue osservazioni considerando cia
scun gruppo della famiglia ariana a parte; e i lavori di Grimm,
di Curtius, di Corssen attestano la necessit di prescrivere alle
indagini certi determinati confini. Tale appunto il lavoro che
resta a fare per le lingue romane, lo studio delle quali venne
fino ad oggi quasi totalmente limitato alle forme letterarie. Poich
o la lingua scritta si considera come una fusione di pi dialetti,

e solo nello studio di questi scopriremo le ragioni delle sue


propriet o delle sue voci; o ella si riguarda come uno dei dia
ietti raffinato e ripulito dagli scrittori, e ricever maggior luce
dal raffronto colle variet ad esso pi affini. Bisogna insomma
studiare ciascuna delle lingue romane in tutte le sue pi minute
relazioni nello spazio nel mentre se ne osserva ogni minima mani
festazione nel tempo. Il che vuol dire che alla storia comparata
delle lingue romane deve far seguito la storia comparata dei dia
letti di ciascuna. E gi il Diez ebbe a notare come distinti cul
tori della scienza del linguaggio siano spesso caduti, investigan
do l'origine di voci romane, in gravi errori, per aver conside

rato quelle voci a se, senza conoscerne le molteplici relazioni


, nello spazio e nel tempo , (1) Pu dirsi infatti che quello
che ne suoi veramente mirabili lavori vi da riprendere provie

ne dal non aver egli sempre potuto, in una cos vasta impresa,
aver l'occhio a tutte le particolarit dialettali di tutti i tempi.
Bastino qu gli esempi seguentitratti dal Vocabolario Etimologico.
Baleno e balenare. Il Diez accetta l'etimologia da ps"Asuvov

- sebbene, com'egli medesimo confessa, le leggi fonetiche vi si op


(4) DIzz, Etym. Wort., VoRREDE.

Lxvini
pongano. Ora i dialetti ci conducono a dedurre balenare da ba

luginare che vale appunto apparire istantaneamente, passar


via come il baleno (Fanfani). Infatti l'aretino dice baleeemare

per balenare, e i dialetti lombardi hanno losn e lesn nello


stesso significato. Quindi baleno formato da balenare (non
all'incontro ), e questo composto di bis e lucinare come si

dimostrera a suo luogo.


Foggia e foggiare; Il Diez vuol derivata foggia da fovea

ma il piemont ha forgia, il siciliano e il sardo furgiari, e il


toscano sforgiare, forme tutte che mostrano come foggia ven

ga, come il franc. forge, dal lat. fabrica.


Vetta La spiegazione di questa voce, che al Diez rima
ne oscura, nel verbo avettare che nei dialetti toscani vale
passare. Come da valicare venne valico, cosi da avettare ven

ne vetta che significa appunto valico poi cima, sommit. Avet


tare poi viene certamente da advecture usato prima per con
durre, far passare, poi per condursi o passare, come tragit
tare da traiectare si adoper pi tardi in senso intransitivo.
Avacciare derivato dal Diez da abactiare; ma nell'anti

ca versione del Rusio detto che il cavallo se abivasa (si af


fretta), il che prova che avacciare non che derivazione di
vaccio (presto) e questo alterazione di vivacius corrispondente
al prov. vivata ed al vivazia delle Glosse di Cassel.

Avannotto che il Diez deduce da ab anno in qualche


scrittore antico aguannotto, e deriva quindi da aguanno (lat.
hoc anno) e significa pesce di quest' anno.
Gozzoviglia che il Diez deriva da gozzo in qualche scrit
tore antico godoviglia, evidentemente da gaudibilia.
Maniato non viene, come crede il Diez coll'Alberti, da

miniato, ma dall'antico mania derivato da immagine come fer


rania da farragine.
Siffatti abbagli rarissimi nel Diez ma troppo frequenti in

LXIX

una gran parte dei nostri etimologi, mostrano quanto sia vero

quello che dice il Littr, non potersi cio cercare l'etimologia


qu'aprs que tous les documents ont pass sons les yeux,
savoir les significations, les emplois, l' historique, les formes
des patois et celles des langues romanes. (1) ,.
t

E ancor pi necessario apparir il tener conto dei dialetti,


quando si voglia con i derare le attinenze delle lingue viventi sia

col latino volgare, sia colle favelle dei Barbari, sia cogli idiomi
antichi dei Galli, degli Iberi e degli Italiani. Mentre la lingua

degli scrittori non ha accolto che una parte (e non sempre e

sente da alterazioni) del latino volgare, ha poi ricevuto, per ef


fetto della coltura classica, voci forme e costrutti proprii sola
mente del latino scritto, che ci darebbero una ben falsa idea del

latino volgare, se non ci curassimo di porre a confronto la lin


gua degli scrittori con quella del popolo. Nume, prece, vate,
angue, anelito, prisco, fulgido, egro, libare, plorare ecc. non

sono parole che i nostri padri abbiano ereditato dai Latini; ma


vocaboli che gli scrittori introdussero poco a poco nella lingua
letteraria, cavandole dalle scritture dell'antichit classica. Im

porta grandemente, prima di esaminare le relazioni della nostra


favella col latino yolgare, sceverare in essa la parte del popolo

e la parte dei dotti, chi non voglia attribuire al latino volgare


voci, forme e propriet di pronunzia che appartenevano solamen
te al latino classico.

"

LITTR, Diction. de la lang. fr. p XXXVI. Anche i con


fronti colle altre lingue romane notranno, se condotti con maggiore
minutezza, spiegare alcune voci ancora oscure. P. es ventavolo che
Diez suppone derivare da ventus aquilus, non che il poi t. e spg.
vendaval, e la voce zotico comparata col port. xote da idiota, si vede

provenire da idioticus, formato da idiota col suff. io comune a molti


aggettivi (Diez, Vgl Gr. 1 p. 284).

LXx

Lo stesso Sig. Corssen, per solito tanto avvisato ed acuto,


credette talvolta di trovare una conferma alle sue induzioni sulla

pronunzia del latino volgare, nel suono di certe voci della lin
gua italiana, non pensando che quelle voci, tratte dal latino
classico e introdotte nelle scritture colla sola mutazione della

desinenza per opera dei dotti, non possono darci alcuno indizio
dell'antica pronunzia popolare. P. es. le voci turpe, assurdo,
turba, di..rno, taciturno, saturno, non furono mai voci dell'u

so popolare italiano e non possono quindi, come crede il Cors


sen, (1) esserci d'aiuto per argomentare la pronunzia delle
corrispondenti voci latine. Per contrario diurno divenne nelle
bocche del popolo giorno o jorno, il che non certo a confer
ma di quanto il Corssen si proponeva di provare. necesserio
pertanto cominciare a sceverare, nella nostra lingua, dalla parte
dovuta agli scrittori, puell'antico fondo popolare che solo pu
darci lume a risalire al latino volgare ed a condurci alle origi
ni. I Francesi hanno gi cominciato questo importante lavoro
di critica intorno alla loro lingua. Il Brachet studi, in una di
ligente memoria, di fissare i criterii onde sceverare nel voca

bolario francese l'elemento popolare dalle posteriori aggiunte


degli scrittori, mostrando come la lingna francese comprenda ,
deux couches da mots superposes et bien distinctes l'une de
l'autre, deux langues en un mot, d' origine tout fait differen
te, toutes deux empruntes au latin, l'une par le peuple l'au
tre par les savants , (2).

. E codesta influenza letteraria , non meno che nel vocabo


lario, notevole nelle forme e nella sintassi, come avremo occa

sione di mostrare per la nostra lingua. Alla quale delicatissima


indagine non abbiamo altra guida sicura se non quello schietto
1) CoRssEN, Ausspr. Voc. ecc. 2 Aufi Il p. 167.
(2) BRACHET, Grammaire historique ecc. p. 70, e Dictionnaire
des doublets ou doubles formes de la langue franaise, Paris 1868

LXXI

uso popolare che, non alterato n sviato nel suo corso da alcu
na influenza, pu dirsi l'ultima ma genuina espressione dell'an
tico parlare plebeo.

D'altra parte poi mentre la lingua letteraria ha ricevuto


parole del latino classico, manca di molte del latino volgare le
quali, sebbene ancor vive nei dialetti, o non furono mai usate
nelle scritture, o usate per breve tempo, caddero come inutili
sinonini. Sarebbe perci ben incompleto lo studio delle relazioni
tra il latino volgare e le lingue romane dove non tenessimo con
to del materiale dei dialetti. Il Littr not come nei dialetti

francesi si incontrino non poche voci del buon latino mancanti


affatto al francese scritto. Tali sarebbero fanle da famulus, vaure
da vellere, pricnre da premere, more da nurus, vime da vimen,
mle da mespilus, come da coma, prasse da passer ed altre, che
sono invece comunissime nelle scritture italiane (1). Noi vedre
mo all'incontro che molte voci dei nostri dialetti sono poi u sate nelle scritture francesi. Non importa allo storico quante voci

latine siano adoperate dagli scrittori italiani o francesi, ma quanti

e quali elementi latini si siano conservati nella tradizione popo


lare. Altri sono i criteri del letterato, altri quelli dello scien
ziato. Un'enumerazione quale quella che tent di fare il Diez
delle voci latine cadute in dimenticanza, essendo fondata sui soli

dati dei dizionarii della lingua scritta, non pu avere per lo


storico molto valore Perocch noi mostreremo che buon nu

mero di quelle voci sono in pieno uso nei dialetti. Cos vivo
no ancora haedus, mannus, cicindela, culea, occiput, uber, puel
lus e puella, pabulum, pastinum, agaso, janua, pessulus, ca
lathus, cantharus, essedum, lugere, sternere, haurire e molte

altre che il Diez annovera tra quelle che andarono perdute (2).
(l) LITTR, Hist de la lang. fr. II, Le patois du Berry.
(2) DIEz, Vergl. Gramm. f. p. 47, e segg.

LXXII

Il medesimo potremmo dire degli elementi barbarici che


vedremo negli stessi dialetti toscani esser pi numerosi di quello
che non appaia dall'elenco datocene dal Diez.
-

Prima pertanto di avventurarci all'indagine scabrosa delle

origini ci converr porre pi nettamente la quistione, distin


guendo l'origine dei dialetti da quella della favella letteraria; e
rispetto ai primi esaminare: Quali sono le relazioni dei dialetti
tra loro e colle altre lingue neolatine; come vanno classi cati;

quali sono gli elementi di cui si compongono, quali le affinit


e le differenze, donde hanno origine, se toccano alla sostanza o
solo alla superficie, se antiche o di data recente; quali elementi
ripetono dal latino volgare e quali dalle lingue dei popoli in
vasori, quali voci infine e quali propriet di pronuncia, essendo
esclusivamente proprie di alcuni dialetti n avendo attinenza o
riscontro alcuno con quelle degli altri, si possano considerare

come avanzi delle favelle che avanti alla conquista romana si

parlavano nelle diverse parti d'Italia? Rispetto poi alla favella


letteraria ricercheremo: Quali, fra le parti che la compongono,
sono di provenienza popolare e quali devonsi alla coltura lettera
ria? Gli elementi popolari sono tutti tratti da un solo dia
letto o da pi? Se da pi, quali vi hanno la parte maggiore, e
quali sono gli elementi di ciascuno ?

Dopo siffatto lavoro di preparazione potremo salire addietro


ed esaminare le relazioni che correvano tra latino classico e la
tino volgare, le differenze che presentava il latino volgare nei
varii luoghi, le cause che lo modificarono, le leggi secondo le
quali si and trasformando fino a dare origine alle lingue viventi,
e finalmente l' influenza che nelle sue trasformazioni ebbero gli
antichi idiomi delle popolazioni italiche.

%. SN, 7 SS,

SS, 37,

7, SN, 7, SN, 7:SS, 7:SN, AS,

CAPITOLO I.

Le lingue neo-latine e i dialetti italiani. Classifi


cazione generale dei dialetti italiani.
--- --- --- --- --- --

Ciascun paese ha i suoi prodotti; ciascuna zona


la sua fauna e la sua flora speciale. Ecco quello che le
scienze naturali hanno per assioma incontrastato.
Tutto quanto ha vita risulta da un intreccio di forze
che, operando e combinandosi in mille guise, ne
determinano la natura. Il clima, il suolo

colle sue

produzioni, il temperamento dell'aere modificano o


gni minima particella del nostro corpo. Noi viviamo
in uno sterminato oceano le cui onde si mescolano

e si confondono; ci abbeveriamo alle sue correnti

perenni, siamo travolti da suoi flutti nel giro im


menso della vita universale. Ond' che come il na

turalista spiega colle variazioni dell'ambiente fisico


le trasformazioni delle specie, il filosofo sa scoprire

nelle condizioni del paese le ragioni recondite del


temperamento e dell'ingegno di un popolo.
N il linguaggio rompe codesta legge eterna di
armonia. Anzi la conferma mirabilmente. Il linguag

gio siede nel confine tra la natura e il pensiero; con


esso ci leviamo dal particolare al generale, dall'im
magine all'idea: esso il ponte tra la materia e lo
spirito e seconda le trasformazioni che di mano in mano
si compiono nell'uno e nell' altra. Il linguaggio,
quale effetto della nostra compage organica sente

anch'esso di quest'aere e di questa luce che ci


circonda, e come suono, dispiegandosi nell'
si adagia via via alla natura del mobile e
mento che il suo regno. Secondo i siti
mo la complessione e la voce, ci facciamo

atmosfera,
fluido ele
noi abbia
pi atti ad

articolare con facilit certi suoni, abbiamo l'orecchio

meglio temperato e pi domestico con certe armonie.


Tutti i progressi della scienza del linguaggio con
corrono a mostrare codesta consonanza mirabile che

, a cos esprimersi, tra le voci della natura e quelle


dell' uomo.

Oltredich, il linguaggio improntato delle imma


gini di tutte le cose che ci colpiscono, si piega a
tutti i movimenti del pensiero e riverbera ogni atto
pi arcano del nostro spirito. A seconda delle con
dizioni del paese si svegliano gli ingegni e si atteg
giano i costumi di un popolo; e questo fa poi della
sua vita, de suoi costumi, dei suoi sentimenti fedele

ritratto nella lingua. Dalla lingua di un popolo di


agricoltori e di pastori a quella di un popolo colto
e civile il divario immenso. La lingua ebraica, po
verissima di parole significanti concetti astratti, ri
bocca di voci esprimenti le native impressioni dei
sensi. La lingua araba, varia e ricchissima, riflette
appieno la moltiplicit d'impressioni a cui soggiace
quel popolo errante per gli sterminati deserti del
l'Asia. Nella lingua latina al contrario, lingua di
un popolo legislatore, predomina il carattere astratto
e innumerevoli sono le voci attinenti al diritto e al
vivere sociale.

Di qui si pu calcolare ci che diverr una


lingua medesima largamente diffusa sotto condizioni
diverse di clima e di prodotti. Essa andr conforman
dosi via via colla natura del suolo su cui si svilup
per, ricevendo le trasformazioni che vi faranno suc
cessivamente il clima e le mutate condizioni di vita.

Altro suoneranno le sue voci nei paesi del Nord,


altro nelle regioni calde; pi saranno distanti i paesi,
e pi si allontaneranno le pronunzie e maggiori varia
zioni si introdurranno in tutto il corpo della lingua.
Col tempo le variet, prendendo maggior rilievo e
disegnandosi pi chiaramente, si manifesteranno di
mano in mano nei centri minori e fino negli ultimi

villaggi. Ne nasceranno tante favelle distinte, che


si divideranno in molti dialetti, suddivisi in altre

parlate ristrette in una citt, in un paesello, in una

trib. Il che ha preciso riscontro con quello che si


opera in natura: Alle specie di un genere, dice
Schleicher, corrispondono le lingue di un ceppo; alle

sottospecie i dialetti di ciascuna lingua, alle variet


le parlate e finalmente ai singoli individui il modo
di parlare di ciascuno (l).

In origine parlavano la stessa lingua quasi tutte


le genti che abitano l'Europa e il mezzogiorno del
l'Asia. Ma in seguito quanta variet! Nel sanscrito
ancora tutta l'esuberanza e la ricchezza nativa. Nulla

di tronco n di logoro. Il suono procede solenne e


maestoso, la tela delle parole si dispiega riccamente,
le forme nascono a gran dovizia, i vocaboli si acco
stano, si mescolano, si confondono come le onde del

mare. Siamo ancora alle prime creazioni in cui, pre


dominando l'elemento fluido, le leggi di affinit e
di coesione hanno meno potenza. Ma quella stessa
lingua ariana, volgendo un poco ad occidente, si
trasforma nell'idioma dello Zend-Avesta, nel quale
siamo gi lontani dalla ridondanza e dalla pienezza
primitiva. Il suono si modera, le forme staccano
maggiormente. Tuttavia bast la comparazione col
sanscrito a svelare il valore di una gran parte
delle forme e delle voci di quella lingua prima i

gnota; tanta ancora l'affinit che le congiunge.


Ben maggiori sono le trasformazioni che quella

lingua riceve trapassando dall'Asia nell'Europa;


(1) A. SCHLEICHER Die Darwinsche Theorie ecc. p. 12,
-

come una pianta svelta dal suo terreno, che sen


te vie pi le diverse influenze dell'aria, del suolo,
del nutrimento. Nel greco la sonorit del sanscrito
si risolve in un bello e variato accordo

di suoni

mirabilmente temperati. Cessa l'esuberante e il trop


po pieno del sanscrito, ma non vi sentiamo nulla
del duro e dello sforzato di altri idiomi. Nel latino

le voci cedono gi pi spesso al troncamento e si


perde l'eleganza e l'armonia greca, ma tuttavia il
suono procede con naturale ampiezza e maest. Ma
che dire del pervertimeuto dei suoni nelle lingue
degli Slavi e dei Germani? Presso questi ultimi ab
biamo, per usare l' espressione di Grimm, un vero
spostamento delle consonanti, e le vocali sono cos
sminuite e alterate dall' accento, che le voci tutte
tronche e quasi senza sostegno di vocali, appena ser
bano vestigio del suono originario. Infine le lingue
celtiche, le pi remote di tutte, non hanno pi
che un ombra delle primitive sembianze, tanto ch
per lungo tempo stette in controversia tra i dotti la
loro parentela colla famiglia ariana.
Cos il suono di quella prisca favella and sem
pre vagando e mutando dalle catene dell' Imalaja
all'Oceano Atlantico.

Per simil via la lingua latina, dilatandosi di


mano in mano coi confini dell'impero ed avanzando
lentamente e per cos dire strato a strato nei paesi
conquistati, and accomodandosi alla varia natura

dei luoghi e ricevendo sempre pi forti alterazioni.


Le stesse leggi di trasformazione, la stessa progres
sione graduata, egual nascere di pi favelle distinte
suddivise in altre variet e parlate. Una stessa lin
gua infatti o poco diversa, parlavasi ai tempi del
l'Impero romano nella Spagna, nella Gallia, nella
Rezia, nella Dacia, nell'Italia. Ma appena di qu dal
Medio Evo, troviamo rotta l'unit linguistica fon
data dall' impero, e dall' unica favella uscite, come
gi dall'unica favella ariana, diverse lingue ben di
stinte le une dalle altre; due al Sud-Ovest, la spa
gnuola e la portoghese, due a Nord-Ovest, la pro
venzale e la francese, due ad Oriente, l'italiano e

la valacca, a non contar come lingua da per s quella


che si parla dai Grigioni.
-

Tutte queste lingue convengono, come le lingue


ariane tra loro, in alcuni punti fondamentali quasi
senza diversit.

In tutte

svanita l' antica distinzione della

quantit delle sillabe, ed ai suoni interi

del latino

sono spesso succeduti suoni schiacciati e infranti


(suoni palatali) In tutte il cadere delle vecchie forme
sintetiche diede agio al nascere di somiglianti forme
analitiche. Cos, tolta la distinzione dei casi, vi si

da tutte supplito con particelle accompagnate dagli


articoli, fuori solamente le poche vestigia di desi
nenze nello spagnuolo e nel francese e quest'ulti
mo nell' uso antico soltanto. Il latino frater dive

nuto in italiano il fratello, in francese le frre, in


valacco frate-le, e il genitivo fratris divenuto in
ital. del fratello, in fr. du frre, in val. a-frale lui
La coniugazione ha dismesso in tutte una delle forme

antiche, la passiva, ed in suo luogo venne in uso il


participio accompagnato coll'ausiliario, (in valacco
la forma riflessiva). Il latino amor divenuto in fr.
je suis aim, in spag. yo soy amado, ect. Varii tempi
del

latino furono

lasciati addietro e usate in

loro

luogo forme perifrastiche, come quelle del futuro,


del condizionale, del passato prossimo e del pi che
perfetto Invece delle note desinenze per i com
parativi e superlativi abbiamo la sostituzione degli av
verbi plus, magis, trans, bene, multum; P. e. sp. mas
grande ( grandior ), val. mai bon ( melior ), fr.
trs-grand, it. stragrande.
In luogo della forma latina degli avverbi colle
desinenze e, iter, da tutte usata la composizione
dell'aggettivo col nome mente all' ablativo (sp.
altamente, fr. hautement).

E non solo tutte convengono in queste modifi


cazioni della grammatica latina, ma ancora in molte
modificazioni del lessico.

Tutte usano comunemente voci che la lingua


degli scrittori romani non conosceva, e lasciano ad
dietro pi altre di quelle del buon uso romano. In
vece di intestinum in uso botellus, (budello, bo

3/au J, casa per aedes ( casa, chez ), pantea per

abdomen (pancia, sp. panza), caballus per equus


(val. cal) e cos bucca per os, fortia per vis e molti
altri.

Spesso ancora si accordano tutte ad usare la


voce derivata anzich la primitiva latina aera
men per aes (rame. fr. airain, val. arame), diur
num per dies (giorno, jour), hibernum per hiems (in
verno ) auricula per auris (oreille, orecchia), avicella
per avis (oiseau, uccello), apicula per apis (abeille,
pecchia) ranuncula per rana (grenouille, ranocchia).

Ma queste somiglianze, di certo importantissime,


non ricoprono le molte disformit delle voci, del suo

no e fino della grammatica. Ciascuna di quelle lingue


spicca con tutti i suoi caratteri pi in certe provincie
che nelle altre; l' italiano nella Toscana, lo spagnuolo
nella Castiglia, il francese nell'ile de France, e cos
via. Non prima ci allontaniamo da quelle provincie
che sentiamo la lingua variare di potenza e di co
lore, come al primo scostarci dalle sedi della favella
ariana, scoprendosi qualche nuova differenza in ogni

citt, in ogni borgata, quasi direi in ogni villaggio.


Quella pronunzia limpida e distinta si fa meno chiara,
quella maniera schietta e gentile si corrompe. Per
un certo tratto restano i primi lineamenti, e tutto
si riduce a leggiere sfumature di suono e d'espres

sione che vogliono finissimo orecchio a discernerle.


Ma procedendo, seguono a queste prime variet al
tre e poi altre di mano in mano, finch la lingua

si sente non pi capace di quegli effetti e di quelle


finezze che nel principio. Certo le differenze non so
no tante ancora che tutto non s'intenda e non paja
chiaro. Siamo ancora

davanti

a un

dialetto

ad

una variet della stessa lingua, non ad una lingua


diversa. Ma venendo pur sempre a luce con mag
giore frequenza suoni strani, costrutti insoliti, voci
nuove, viene un punto che la lingua ci si presenta

come una favella nuova e distinta, cresciuta sotto un


proprio cielo, in un suolo diverso dal primo, con sem
bianze differenti oltremodo. La suppellettile lessicale
e grammaticale rimane in gran parte la stessa, ma

in ciascuna delle due favelle si piega a forme pro


prie, si compone e scompone in diversa guisa. Sen
tiamo quasi un nuovo spirito vivere e penetrare per
entro il mutato organismo. Cos, dove prima poteva
mo appena discernere le leggiere dissomiglianze che
sono da individuo a individuo, abbiamo pi tardi sco

perto le differenze che dividono le variet di una


stessa specie, e infine le note pi spiccate che se
gnano i limiti tra specie e specie.
Credono molti tuttora di poter definire con cer
tezza i termini dove una lingua finisce, e un altra
comincia. Ci viene da non avere se non un imper
fetta notizia dei fatti. Entrando pi addentro nel
l' osservazione, si vede che la natura, cos come in
tutte le cose, anche nella formazione del linguaggio
procede per gradi, di maniera che, dove le cose

10

hanno seguito il loro corso naturale, non ci avve


niamo mai in trapassi improvvisi dal dominio di una
lingua in quello di un'altra. Due lingue affini sono
come i due capi di una stessa catena congiunti da
una lunga fila d'anelli intrecciati l'uno nell'altro.
Dal francese ci conduciamo nel dominio spagnuolo
per molti dialetti ne quali, avendo l'occhio ad ogni
piccola alterazione, si scoprono prima sparsamente
usati, poi ripetuti pi largamente di luogo in luogo i
principali caratteri dello spagnuolo, nel quale nes
suna cosa poi troviamo che non ci paia gi nota e
perfettamente chiara. Il che ha luogo non solo da
lingua a lingua, ma da dialetto a dialetto. Gi il
Biondelli lo aveva notato nei dialetti dell'alta Italia

I pi vicini, dice egli, pi si accostano al dia


letto centrale e i pi lontani, serbando appena le
traccie d'una affinit lontana, segnano quasi il pas
saggio dall'uno all'altro gruppo o dall'una all'al
tra famiglia, colla quale si vanno mano mano assi
milando (1).
La natura aspira a rimettere in tutto l'equili
brio. Due dialetti confinanti e a contatto l'uno con

l'altro, scambiano e mescolano voci e suoni come


due mari, rotte le dighe che li dividevano, me
scolano e confondono le loro acque. Pi ampie ed
aperte sono le vie a comunicare, pi frequente lo
scambio e pi agevole l'assimilazione. La quale
(1) BIoNDELLI Saggio sui dialettti Gallo-italici p. 3.

11

sempre pi rapida e continua nei paesi di confine


dove sono contatti diretti, e scema di mano in mano
che si va pi al centro. Dove al contrario sorgono
barriere che interdicono ogni comunicazione, tolto
affatto lo scambio. Di che abbiamo l'esempio in To
scana. A Lucca suonano voci e profferenze liguri
(cianta, ciatto per pianta e piatto ), a Siena e gi
gi nella maremma, parole e profferenze romane; in
Arezzo e dintorno, voci e cadenze dell' umbro; ma
non troviamo anello

condurci

dai dialetti

della

Toscana a quelli dell'Emilia. La catena degli Apenni


ni era ostacolo invincibile ad ogni commercio. Altro
dunque parlare dei confini della lingua, ed altro
discorrere dei confini che le ragioni politiche e geo
grafiche assegnarono a ciascun popolo. L' una cosa
opera dell'arbitrio umano, l'altra della natura. In
natura non si d regola sicura di tracciare in asso
luta guisa il campo d'una lingua, come non si d
per le variet animali e vegetali. Il naturalista ha
forti difficolt a determinare i caratteri costitutivi del

le specie, e st spesso in dubbio in quali ordini


convenga classificare una sottospecie od una variet.
Chi volesse pertanto rappresentare per via di colori,
sopra una carta, la divisione delle lingue neo-latine,
in cambio di segnare uniformemente il campo di
ciascuna con un solo colore, tanto da far vedere una

precisa separazione dall'una all'altra, converrebbe


che temperasse gradatamente i colori di maniera, che

12

spiccando pi netti in quei luoghi in cui ciascuna


lingua presenta i suoi caratteri con maggior rilievo,
andassero leggermente sfumando coll' allontanarsi
da quei centri, fino a confondersi col colore dello
spazio attiguo.
Cos la lingua latina, a somiglianza della prisca
favella ariana, alterandosi variamente secondo i siti,
ha dato il nascere a dialetti e variet senza nume

ro. L'organismo primitivo non rimasto intero in


nessuna, ma ha, per cos dire, seminato le sue mem
bra nel vasto campo abbracciato dalla conquista ro
mana. A quale degli innumerevoli dialetti ha fatto
maggior copia, a quale minore delle sue voci. In
uno raffiguriamo ascosi arcaismi creduti spenti da
secoli; in un altro scopriamo profferenze e costrutti
del pi antico latino. In alcuni luoghi udiamo l'eco
fedele della voce romana, in altri appena un'ombra.

Lo spagnuolo ha mantenuto del latino lo strascico e


la gravit e sotto questo rispetto pu dirsi il san
scrito del mondo romano; il toscano al contrario vi

aggiunse grazia e soavit prendendo un andare pi


spedito e pi snello, sicch potrebbe assegnarglisi
nel mondo romano quel medesimo posto che il gre
co occupa nel mondo ariano. E non solo tra l' una
e l'altra lingua romana, ma tra i dialetti di ciascu
na corrono siffatte differenze. Nel sardo, per parlare
a preferenza dei dialetti italiani, scopriamo molte
voci del buon latino fuori d'uso in tutti o in pres

13

soch tutti gli altri. Tali sarebbero, per citarne al


cuni: barvattu (vervactum) maggese, bidrigu (vitri

cus) cognato, cariga (carica) fico, certi (certare)


contendere, dolare (dolare) piallare, ebba (equa) ca
valla, edu (haedus) capretto, enna o gianna (ianua)
porta, ladiri (later) mattone, linghere (lingere) lec

care, luiri (luere) sciogliere, matipsi (metipse) io stes


so, molere (molere) macinare, netta (neptis) nipote,
obia (obviam) incontro, osculu (osculum) bacio, prope
(prope) presso, feu (foedus) brutto, fodde (follis) man
tice, basone (agaso) cavallaro, pedire (petere) cer
care, maccu (maccus) sciocco. Nel napoletano:
nzorare prender moglie da uxor, rascare sputare da

excreare, taglia scheggia da talea, caccavella pen


tola da cacabus, trappito, frantoio da trapetus, sge

tare svegliare da excitare. N i dialetti nordici,


creduti al tutto barbari, mancano di voci latine af

fatto proprie. Vi troviamo ml collare dei cani (mil


lus), soi bigoncia (solium), guioeul pungolo dei buoi
(agolum in Festo), cius succo (ius), lura e lurt pe
vera (lura), prestino fabbrica del pane (pistrinum),
dolg strutto (dis-liquare), stropa vimine (strupus),
ofella cialda (offa ed offula), arella graticcio (arula),
nevola cialda (nebula), navaccia tino (navia in Festo),

pivel fanciullo (puellus per puerulus), michta pezzo


di pane (mica) e molti altri.
Moltissimi, come vedremo in altro luogo, se ne
potrebbero citare nei dialetti del centro d'Italia, e
massimamente nei toscani e nei romani.

14

Alcune variet, per altro di poco rilievo, si po


trebbero indicare anche nella grammatica dei varii dia
letti; ma tutte codeste differenze del lessico e della

grammatica sono minime a paragone delle differenze di


suono. Il suono infatti quello che pi si piega al
le influenze dell' aere.

Ora considerando tutti insieme i paesi dell'Eu


ropa latina nelle differenze delle loro pronunzie, si
scopre una doppia legge che regola il suono latino
nel suo passaggio. Nei dialetti del mezzogiorno pre
vale il vocalismo; in quelli del Nord acquista forza
e predomina l'accento. Il contrasto di questi due
elementi contrarii si risolve in opposta guisa nei
dialetti del Nord e in quelli del Sud. Vediamo qui
ripetute le vicende e le leggi che alterarono nella
lunga sua peregrinazione la prisca lingua ariana.
Le stesse condizioni, le stesse vicende, gli stessi ri
sultati. I popoli meridionali di fibra pi molle o pi
sensibile, mandano fuori la voce con molt anima e
con tuono appassionato. La loro voce suona distesa e
vibrata quasi come nel canto. Parlano con grande
lentezza, esprimendo adagio ciascuna vocale come
per accarezzare l'orecchio con quell' onda melodiosa.
Le vocali e i dittonghi, sopratutto nel centro della
parola, suonano ripieni e sostenuti, ed al contrario le
consonanti scompaiono quasi sommerse in quell' on
da sonora. I napoletani dnno il maggior suono e

il pi pieno cho possono alle vocali del mezzo delle

15

parole, sostenendole bench senza gorga. Cos


il Galliani (l).

Il dialetto napoletano, infatti, per venir pi al


particolare, fugge, vago delle ridondanze, le contrazioni
delle vocali, e invece tramette, nei dittonghi, una se

mivocale tra una vocale e l'altra per specificar meglio


il suono d' ambedue. Dice crejato, toje, suje per
creato, tue, sue. Se una voce di picciol suono
cade in tronco, vi soggiunge a lato una vocale per
impinguarla ed ampliarla; cos ee, maje, voje, per
, mai, voi. Premette spessissimo alle parole co
minciate da consonante la pi forte delle vocali, l'a,
per renderne in sul principio pi agevole e pi so
nante la pronunzia; addove per dove, accos per cos,
addotto per dotto. Quando si scontrano assieme
due consonanti che siano muta con liquida, cerca ri
muovere ogni durezza interponendovi una vocale:
polipa per polpa, fielece per felce, ieriva per erba,
rolece per dolce. Dove poi fosse agevole assimi
lare le due consonanti, esso le assimila per togliere
ogni ombra d' asprezza. Il gruppo nd si converte
sempre in nn tonnere, rennere, annare per ton
dere, rendere, andare e talora stin ss come in

nosso, vosso ed altri. Altre volte infine, in cam


bio di inserire vocali o di assimilare le consonanti,

aiuta la pronunzia coll' ampliare e convertire in dit


tongo la vocale che deve suonare colle due conso
(1) GALLIANI Del dialetto napoletano, p. 16.

16

nanti: niervo, pierno, viento, uosso, uoglio per nervo,


perno, vento, osso, olio e mille di tal fatta.
Caratteri a questi accennati molto conformi, ma

pi rilevati, veggonsi nel siciliano e nel sardo. An


che qu la prefissione dell' a, sebbene meno conti
nua che nel napoletano; ogni intoppo di consonante
che potrebbe generare asprezza costantemente schi

vato. Negli antichi testi siciliani leggonsi forme co


me queste: auccidirici per ucciderci, sapir e putir
per sapr e potr (Cronache siciliane) amodera
tamente, majoremente, alicuni per alcuni, fereche
segle per freghisigli (Versione del Rusio). E per
fuggire l'uscita tronca o in consonante: esti per est,
sustenerane per sosterr, insembuli e insemura da
insimul e altre mille.

Ci che nel siciliano pi notabile, il vocali


smo che vi si conservato intero e purissimo. Non
di rado vi si veggono conservati gli antichi ditton
ghi latini (p. e. auriculari, ausari), e nell'uscita del
le voci non si sentono quasi altro che i tre suoni
vocalici primitivi, cio a, , u. I suoni di mezzo e ed
o intervengono in tutto il corpo della favella, rispet
tivamente agli altri, di rado. Partecipano agli
stessi caratteri, ciascuno con propriet speciali, il
sardo e lo spagnuolo.
La regola comune adunque che vale per tutti i
dialetti di mezzogiorno indifferentemente, questa,
che delle due forze contrarie che negli idiomi si
-

17

guerreggiano di continuo, il vocalismo e l'accentua

zione, il primo pu molto pi che la seconda. L'ac


cento acuto non ha mai tanto potere, che faccia di
leguare le vocali sottoposte all'accento grave. Il
vocalismo si mantiene pieno e sostenuto in tutto il
corpo della parola. Il che fa s che anche alle con
sonanti, accompagnate e sorrette dalle numerose vo
cali, lasciato senza fatica il loro proprio suono. Co

s nei dialetti di mezzogiorno durarono pi lungo


tempo i gruppi delle consonanti dissimili, e se ne
trova ancora esempio nel sardo. Il napoletano e il
siciliano danno alle consonanti forti il loro vero suo

no, dove tutti gli altri dialetti usano indebolirle. Nel


napoletano abbiamo poteca per bottega da apotheca,
aco per ago da acus, seca per sega da secare, retene
per redini da retinae, scorriato per scuriada da
eccoriatum, fottara per fodera dal ted. futter, spi
to per spiedo dal teut. spit, capano per gabbano
da capo, sfocare per sfogare da foco, scabbello per
sgabello da scabillum, voca per voga da voce. Si
milmente il siciliano.

In fine, dalla poca efficacia dell'accento anche


derivato, che lasciandosi a tutte le vocali il loro suono,
meno si indebolissero le uscite dei nomi e dei verbi,

e restassero cos in vita nello spagnuolo e nel sardo


alcune delle desinenze latine. Di qui quell' aria di
antico che nello spagnuolo e nel sardo massimamen

te par mirabile. Nello spagnuolo si sente ancora l'u


2

18

scita degli accusativi latini tale quale (rosas libros),


e anche varie delle terminazioni verbali (amas, a

mais, amamos). Nel sardo poi sono ancor tante le


forme latine e cos ben conservate, che vi si sono

scritti interi poemi bilingui.


Ma tenendo a settentrione, il suono latino segue
una legge opposta. Le vocali d' ampie e sonore si fanno
OSCUre

misere, invano vi

cercheremmo la ricca e di

stesa pronunzia meridionale. Delle vocali non rima


ne quasi nessuna intatta e col suono suo proprio. I

suoni di mezzo hanno una decisa prevalenza sopra


i suoni acuti e ed o prevalgono all' i ed all' u;
sopravvengono altri suoni di mezzo, come l'ii (fran
cese) che sta tra l' i e l'u (toscano), e l' oeu od 5
che si sente in coeur, soeur, e che suono di

mezzo di altri suoni di mezzo, poich sta tra e ed o.


Al contrario, l'accento ha un potere senza limi
te, ed cagione di fortissime alterazioni. La vocale

dove siede l'accento, risuonando pi piena e giun


gendo a rilevarsi sopra tutta le altre, le fa via via
scemare, talch nel discorso non si finiscono di prof
ferire e finalmente si trascurano al tutto.
Vediamo nel francese le vocali della sillaba ac
centata allungarsi od ampliarsi in dittongo; e le vo
cali non accentate ridursi ad un leggerissimo e, che
pure col tempo si fa muto. Cos in Romaine, meu
ble, ecc.

In certi dialetti la forza dell'accento tanta,


che non si sente quasi altro che quell'unica vocale

19

su cui esso posa. Tutte le altre vocali dileguano via


via, e l'intera parola si stringe intorno a quella sola
che rimane. Ci accade nei dialetti del Nord del

l' Italia e massime negli emiliani.


Nel Bolognese, dice il Biondelli, le vocali si
succedono con minore frequenza che in qualsiasi al
tro dialetto italiano; e quindi pi fitto vi l'accoz
zamento aspro e difficile di pi consonanti riunite;
del che porge un chiaro esempio il noto detto pia
centino: Gnis ch' s fiss, gn' dirv, che, letteralmente
tradotto, significa: Venisse chi si fosse non aprite:
dal quale si vede come l' emiliano sopprime otto
delle undici vocali italiane componenti questa frase,
esprimendone solo tre (l).

Per tal guisa, vediamo nel bolognese parole di


tre, quattro ed anche cinque sillabe raccolte in una
sillaba sola senza perdere nessuna delle consonanti;
ztdein per cittadino, vsein per vicino, stombl per sti
molo. In cambio per amplia e si fa dittongo la vo.
cale accentata. Se un' e o un' i si

converte in ei

latein, vein, vsein per latino, vino, vicino se

o si fa ou come in louna, sgnoura, ecc.


Se non che, a voler profferire tutte le conso
nanti accozzate in quella maniera, si fa uno strepito
e un muover di lingua e di labbra tanto continuo,
che n i muscoli n l'orecchio possono durare quel
la fatica. Ond' che la pi parte dei dialetti set
(1) BIONDELLI Ibid. p. 197.

20

tentrionali cercarono ovviare a quell' inconveniente


col diradare e alleggerire di consonanti la parola.
Nei dialetti lombardi e piemontesi, il pi delle volte,
le vocali che cadono si tirano dietro nella caduta le

consonanti che le accompagnano. Le restanti si af


fievoliscono anch'esse, per mettersi all'unisono col
l'indebolimento generale delle vocali. Nei dialetti
accennati non vi sono pi quasi altre consonanti for
ti se non le iniziali, ed anche le consonanti de

boli sono generalmente soggette ad estinguersi


coa per coda, miola per midolla, ecc.
Ma ancora la disproporzione dalle vocali alle
consonanti molto forte; talch ne nasce una discor

danza, ed una ruvidezza, che rende quei dialetti scabri


e di mal suono. La lima non

ha roso

via ancora

tanto che basti; sicch le parole, restando sempre


sospese sulle consonanti, escono fuori che paiono non
finite e quasi barbare. Solo nel francese la voce tor
ma a venir fuori tornita e levigata da non offendere
l'orecchio. Nel francese ogni vocale che si faccia
muta, ed ogni sillaba che venga a mancare, trae se
co la perdita di una o pi consonanti. Le voci lati
ne catena, jocare, plicare, amata divengono nei
dialetti settentrionali cadena, zog, pieg, amada,
ma nel francese, cadute le consonanti, chaine, jouer
plier, aime. Per tal modo il francese tolse via le
dissonanze e le scabrosit col moderare o col fug

gire tutti quei gruppi di consonanti che potevano

21

rendere la pronunzia meno agevole. Esso raccoglie


nel tempo di una sillaba o al pi di due, voci di
quattro o cinque sillabe, e cionondimeno tutto corre
liscio, piano e senza scabrosit. Gli perch le vo
cali vi hanno povero suono, ma le consonanti ancor
pi povero. Sollicitare in francese soucier, fabri
care forger, craticula grille, eccistum cel
La corruzione poi del suono si distese per tutte
le membra dell'organismo e pass nella grammatica.
L' estinguersi delle vocali in cui hanno uscita le pa
role, fece svanire le terminazioni dei casi, e quindi
molte distinzioni di tempo, di numero, di persona.
Nel milanese, per esempio, una strana confusione
di generi e di numeri sorta dal tacersi delle desi
nenze (i donn, i tusnn, le donne, le ragazze). I
verbi hanno perduto in guisa le distinzioni personali,
che nella maggior parte dei dialetti, per rilevarle,
si fa uso di doppio pronome personale.
Il francese aveva anch'esso come lo spagnuolo
le terminazioni as e os

nell' accusativo. Ma

caduta

presto la vocale, spar via a poco a poco la sibilante,


la quale, sebbene mantenuta nell'ortografia, non ha
lasciato traccia nella pronunzia. Si scrive ancora
hommes, tables, sebbene l'ultima sillaba non si sen
ta. Il medesimo va detto delle terminazioni verbali;

habemus, perduta l'ultima vocale, divenne avons,


ora pronunziato senza sibilante.
Le quali mutilazioni non restano neppure di l
dal dominio francese. Le parole latine che gli An

22

glo-Sassoni presero dai Normanni, sostennero accor


ciamenti e pervertimenti di suono quasi incredibili.
Scutarius divenne nell'antico francese escuier, ma

nell'inglese squire, presbyter nell'antico francese


prestre ma nell'inglese prist, magistrissa in fran

cese maistresse, in inglese miss ! la legge mede


sima per la quale i Germani fecero da Vindobona
Wien, da Borbetomagus Worms, da Colonia Kln e
cos via.

Fra quei due estremi, sta la pronunzia del cen


tro d'Italia, che pu dirsi un misurato temperamento
delle due opposte tendenze. Le parole avendo, a dif
ferenza dei dialetti settentrionali, l'uscita in vocale,
agevolmente nel discorso continuato si commettono
insieme. Non vi sono bruschi distacchi; tutto deli

cato e gentile. Ma nello stesso tempo non vi si sen


te il fiacco e il sazievole dei dialetti del mezzod, e

le voci vengono fuori spiccate e scolpite perfetta


mente. Il vocalismo non cos pieno n cos ben
conservato come nel siciliano, n ha i molti ditton

ghi del napoletano, ma non vi sono neppure le mez


ze vocali e i suoni incerti e deboli dei

dialetti

del

Nord. Similmente non vi sono n accozzi sforzati n


soverchie assimilazioni di consonanti. Ci che suona

un po' aspro si toglie, ci che pu con facilit pro


nunziarsi, rimane. Si rimuovono gli scontri delle mu

te disuguali come troppo duri, ma rimangano i grup


pi delle mute colle liquide o colla sibilante perch

23

di assai agevole pronunzia. Quindi si continua a dire


rendere, tondere, nostro, vostro non rennere, ton

nere, nosso, vosso. Ma non vi ha esempio di quegli


accozzi che sono tanto continui

nell' Emilia e

nel

Piemonte; ch se qualche voce trapassa dai paesi del


Nord al centro d' Italia vi si appiana e vi s' allarga
in consonanza colle altre. Cos in Toscana da kreu

zer si fatto crazia, da chemine sciaminea, ecc. I


vocaboli latini insomma, si presentano nei dialetti
del mezzogiorno nella loro forma pi ampia e pi
antica, nei settentrionali si riducono agli ultimi ter
mini di povert e quasi al solo scheletro, nei dia
letti del centro ci appariscono appena un po' rimo
dernati e ringiovaniti. Ecco alcuni esempi che spie
gano meglio la cosa:
-

latino quadragesima nap. quatragesima tosc. quaresima fr. carme


sub-titillicare

sottatillico

solletico

emil. bldeg

minus-praetiare sard. minispreziare mispregiare fr. mpriser


presbiter
nap. prevete
prete
piem. priv
veritate

sardo veridade

verit

emil.

vrit.

Notate cos in generale le leggi di trasforma


zione del latino, passiamo a riassumere brevemente,
ed a ridurrre ad ordinata classificazione le princi
pali variet e parlate ancor vive nel mondo romano.
Nella Spagna la lingua piglia carattere ed aspetto
pi determinato nella Castiglia; hablar castellano
suona quanto parlare spagnuolo, e Burgos si addita
come la sede dell'idioma pi puro. Vi succede ad
occidente il dialetto galliziano (gallego), in molte

24

parti somigliante al castigliano, in molte altre al


portoghese, col quale in tempi pi antichi si con
formava quasi interamente. Ora, trasformato nel con
tatto col castigliano, serve per anello tra esso e il
portoghese, il quale si stende per quasi tutta la co
sta occidentale.

I dialetti del mezzogiorno della Spagna (Anda


lusia, Estremadura), pi molli e pi vocalizzati, si
riappiccano coi dialetti meridionali dell' Italia. Il
dialetto sardo quello in cui si compie il passag

gio dalla voce spagnuola all'italica. Non solo occor


rono nel sardo molte voci e uscite latine appena vi
ve nello spagnuolo, ma vi si riscontrano propriet

particolarissime di quella lingua, come h per fin


hacere (sp. hacer) per facere, hogu per fogu (focus),
e in alcune parlate di Sardegna fino la nota aspi
razione spagnuola detta iota (l).
Dietro al sardo viene immediatamente il sici

liano, nel quale incontriamo, come nel sardo, e l'u


so delle vocali i ed u per e ed o e l'alterazione di

ll in dd (picciriddu, iddu), e in generale tendenze


fonetiche conformi. Evidente poi si mostra a tutti la
grande affinit del lessico tanto del siciliano che
del sardo e dello spagnuolo; affinit dovuta in parte
alla comune origine iberica (p. es. il sic. mudurru,
sp. modorra per sonno, voce basca), parte alla
comune influenza araba (p. es. il pronome sardo fu
(1) SPANo Ortografia sarda I. 28. 30.

25

lanu, sp. fulano viene dall'arabo filan, e il sic. ca


ravazza per zucca, sp. calabazo dall'arabo qerbah ),
parte infine ad una scelta conforme degli elementi
latini. Confrontisi il sardo mariposa (farfalla) e
lo sp. maniposa, il sardo casci per rompere (quas
sicare) e lo sp. cascar il sic. appritari (adpe
ctorare) per comprimere e lo sp. prieto fitto, il sar
do mullone per pietra di confine (mola?) e lo sp.
mojon e cos via
-

Col siciliano e col sardo

vanno

uniti

anco il

corso e il ligure. Il dialetto della Liguria il pi


remoto e, per siffatta sua condizione, il pi guasto
dei dialetti di questo gruppo. Nondimeno la grande
affinit che esso tiene collo spagnuolo e pi parti
colarmente col portoghese, non sfuggita a nessuno.
L'alterazione fonetica, per esempio, tanto continua
nel genovese, che converte in palatina la labbiale
innanzi alla spirante j (come in ci per pi, cianto
per pianto), si ripete nel portoghese senza differenza.
Dicasi lo stesso del dileguarsi delle liquide l ed r
s in fine che in corpo alle voci (cor, dor, so per
color, dolor, sol).
Viene da ultimo al Nord e al Nord-Est della

Spagna (Catalogna, Valenza, Aragona) il Catalano


parlato anche nelle isole Baleari. Siamo al limite
provenzale, col quale il catalano tiene cos stretta
affinit che nei primordii delle nuove letterature,
sotto l' appellativo di llemosi (limosino), era quasi
considerato come identico con quello.

26

Entrati nel dominio francese, appena sulla so


glia, ci troviamo dinanzi il guascone che ricorda
quasi in tutto il catalano; dal lato opposto il valdese
prelude ai dialetti pedemontani. Tenendo a setten
trione attraverso ai dialetti di Linguadoca, d'Alver
nia, del Delfinato, ci conduciamo a poco a poco nei
confini della lingua gallica o franca propriamente
detta, sparsa per tutta la parte superiore della Fran
cia. Il francese poi si divide, per tacere delle mi
nori variet, in tre principali dialetti, il piccardo,
il normanno e il borgognone, in mezzo ai quali ha
sede l'idioma dell' Ile de France, fonte e fonda
mento dell'odierno idioma letterario

francese. Nel

l' ultimo lembo, segregato dagli altri, giace il vallo


ne, ultimo eco e il meno fedele della lingua di Ro
ma. La voce latina, rovinata in estrema barbarie,

segna quivi il colmo di corruzione a cui soggiacque

nel lungo cammino dal centro d'Italia ai confini


della Gallia.

Dai dialetti francesi si viene gradatamente per


due vie agli italiani. La prima tracciata dai dia
letti piemontesi parlati sulle Alpi, detti perci alpi

giani. Sono questi i veri gradini pei quali si discen


de dall' occitanico al pedemontano. Vi si riscontrano
alcune delle caratteristiche del francese, come l'u

scita in s del plurale muns amis, les femmes,


les cusciuns (cochons) e varie propriet fone
tiche paire, fraire, ciaussar (chausser), ciantar

27

(chanter) In alcuni di essi, per esempio a Fe


nestrelle, Giaglione ed Oulx, un miscuglio di fran
cese e di pedemontano siffatto, ch' impossibile de
terminare se pi pendano al primo od al secondo (l).
L' altra via corre per i dialetti del Cantone dei
Grigioni, che si riappiccano al lombardo da una par
te, e dall'altra al francese. Delle due variet prin
cipali in cui si parte la lingua dei Grigioni, la pri
ma, il romancio, declina pi al francese, a somi
glianza del quale mantiene l'uscita dell' s al plu
rale, l'altra, il ladino, pi ai dialetti lombardi. Il
dialetto di Bormio che il pi prossimo di Lombar
dia, ha diverse cose comuni col ladino; tra l' altre la

propriet di mantenere intatta l' l proceduta da con


sonante clamar, plan, plu Nel resto per altro
conviene generalmente coi dialetti occidentali di
Lombardia. Per tal modo, ai dialetti francesi si at
taccano i dialetti lombardi da un lato e dall' altro i

pedemontani; e coi lombardi e pedemontani vanno


uniti i dialetti dell' Emilia. Queste tre variet, pede
montana, lombarda, emiliana, formano un gruppo in
disparte ben definito ne' suoi caratteri, che vien no
minato gallo-italico, perocch esso ha comune colla
lingua gallica il pervertimento delle vocali (emil.
andr, fir, stt, piem. and, f, pi), i mezzi suoni
(oeu ed u franc.), l'indebolimento e l'elisione delle
mute (miola fr. moelle da midolla, and, st
(1) BIONDELLI Dial. Gallo it. p. 484.

28

fr. all, et da andato, stato) ed altre propriet, ol


tre a un numero grandissimo di voci.
Seguitando su per le Alpi ad Oriente lungo le
traccie del suono romano, ravvisiamo la lingua dei
Grigioni nel suo trasformarsi nelle parlate del
Trentino. Ab antico, tutto il Tirolo Superiore col
Voralberg era abitato da Reti, e vi si parlava latino.
Oggi non pi che 10,000 abitanti del Tirolo parlano
veramente retico (l). Diversi villaggi, ad esempio
Buchenstein ed Ampezzo, hanno un parlare tra re
tico e trentino. A Fassan, a Badia, a Gardena, man
tiensi ancora l' s del plurale; ma nei dialetti di Val
di Sole e di Val di Non l's comincia a dismettersi,
e la pronunzia suona poco diversa da quella del
trentino.

Dal Tirolo si scende di nuovo per passare gra


datamente ai dialetti della Venezia, che formano col

trentino tutto un gruppo. I dialetti veneti giacciono


a lato ai dialetti gallici, con due variet dei quali
trovansi in immediato contatto. Il bergamasco l'a

nello tra dialetti veneti e lombardi, il mantovano


tra veneti ed emiliani. Il gruppo veneto rompe in
parte quella legge di graduata alterazione, che ab
biamo notato nelle differenti stazioni del suono la

tino. Dico in parte, perocch, se la sua indole lo


(1) V. E. STENGEL. Vocalismus des lateinischen Elementes
in den wichtigsten romanischen Dialekten von Graubnden und
Tyrol. Bonn, 1868 p. 9 e 10

29

portava a mantenere la voce intera e finita come il


toscano, tuttavia ced qu e l alla influenza dei
contatti. Il suono nel veneto non mai tronco

incerto, ma sempre
dialetti del centro.
nere le consonanti
scordato dal suono
l'armonia di cui il

od

pi secco e pi misero che nei


Talch esso non pot pi soste
raddoppiate, che avrebbero di
smilzo delle vocali, e rotto quel
veneto vago non meno del to

scano; e gli convenne bene spesso rammollire od an

che sopprimere le mute semplici, all'esempio dei


dialetti gallici, come in deo per dito, aseo per aceto
adempio per adempito, anci (provenzale e lombardo,)
hanc hodie, oggi
Ripigliando la via delle Alpi, giungiamo al Friu
lano, nel quale alcune somiglianze coi dialetti retici
ci danno indizio che la voce latina si udiva per lun
go tratto ancora, oltre le Alpi Retiche. Comunque, il
dialetto friulano era certamente congiunto nei tempi

antichi col rimoto valacco. dimostrato, come si ve


dr pi sotto, che tutto il tratto che corre tra l'an

tica Dacia e l'Italia, abitato da popolazioni illiriche,

era stato guadagnato anch'esso alla favella di Roma


innanzi che sopravvenissero le invasioni slave, le
quali, postesi framezzo, strinsero in minori confini la

lingua latina e ridussero il valacco a vivere e svi


lupparsi in disparte dal restante mondo romano. La

quale continuit del suono romano per tutti i paesi


frapposti spiega il trovarsi, dopo secoli di assoluta

30

separazione, non poche fondamentali somiglianze tra


il friulano ed il valacco. Tale sarebbe, per fermarci
ad una sola, la tendenza a convertire in sibilante
la dentale nel plurale dei sostantivi Moarte, talent,
leopard, in valacco fanno al plurale, moartzi, talen
tzi, leoparzi e in friulano muarte, talent, leopard
fanno muarzi, talenz, leopars (l).
Anche il valacco ha due distinte variet o dia

letti, il daco-valacco, parlato alla sinistra del Danu


bio, usato nelle scritture e negli atti pubblici, e il
macedo-valacco alla destra del fiume, mischiato mag
giormente di greco e d' albanese.
Nel centro di tutte le accennate variet che,

come vedemmo, con graduata progressione si dira


mano dal cuore del grande impero latino per tutte
le direzioni, stanno i dialetti propriamente italici. Al
Sud il calabrese, molto somigliante al siciliano, pre
para la via ai dialetti della bassa Italia; al Nord,
sul versante occidentale dell'Apennino, i dialetti di
Massa e di Lucca sono sul cammino tra il ligure e
il pi schietto toscano del centro dell'Etruria; e sul
versante orientale, i dialetti della bassa Romagna
(cesenate, forlivese, riminese), pi rinfiancati di vo
cali, vanno a confondersi coi marchigiani. A Pesaro
comincia gi a sentirsi pi spiccato il suono mar
chigiano.
(1) SCHUCHARDT Der Vocalismus des Vulgrlateins III.
p. 44 e seg. ASCOLI Sull'idioma friulano e sulla sua affi
nit colla lingua valacca, Udine 1846.

31

Nei dialetti italici poi va considerata la distin

zione, gi toccata da Dante, tra gli orientali e gli


occidentali. I primi, un po' meno torniti e pi
ruvidi, si riappiccano l'uno coll' altro dalle prime
provincie delle Marche gi gi fino alle Calabrie.
Gli altri, ringentiliti e di pi facile suono, si partono
in tre principali variet, la toscana, la romana, e la
campana, ognuna delle quali raccoglie intorno a s
gran numero di altre variet e parlate minori.
I dialetti italiani sono stati variamente classifi

cati. La classificazione che generalmente ne vien


fatta, tutta geografica, e parte i dialetti italiani in
settentrionali (gallo-italici, ligure, friulano e veneto
col trentino), centrali (toscani, corsi, umbro-marchi
giani e romani) e meridionali (napoletani, siciliani
e sardi). Questa classificazione quella ammessa
dal Biondelli nei suoi Studi linguistici, e dal Diez
nella Grammatica comparata delle lingue romane.
Tuttavia, se pregio di una buona classificazione
mettere come in compendio, sotto gli occhi, il rag
grupparsi delle innumerevoli variet attorno ad al
cuni centri o fuochi minori, da ciascuno dei quali si
spanda una diversa luce sui dialetti circostanti, a
gran fatica potrebbe accordarsi questa lode alla clas
sificazione accennata. La quale, regolata sulla lati
tudine geografica soltanto, non tocca a nessuno dei
caratteri essenziali o delle riposte affinit dei dialet
ti. Il criterio del sito non sufficiente. Si

trovano

spessissimo, posti ad immediato contatto, dialetti

32
che niente hanno di comune nel resto. Altri al con

trario, divisi da grande intervallo, sono intimamen


te congiunti di caratteri e d'origine. Cos, in quella
classificazione si viene ad accozzare insieme il ligu
re col milanese e col friulano, che sono di tutt'al

tro stampo, e si disgiungono il corso e il sardo, il


ligure e il siciliano, che sono di qualit affatto con
formi. Certo anche della latitudine

va

tenuto

con

to. Noi abbiamo pi sopra fatto notare la legge


di compensazione, che mira nella natura a far dile
guare le troppo forti disuguaglianze. Il veneto, aven
do a ridosso parlate ruvide e barbare, mostra qu e
l i segni della loro influenza. Anche il crso dov
sentire in qualche parte l'influenza toscana e spe
cialmente pisana, gi gran tempo potentissima nel
l'isola. Ma con tutto questo, il veneto incompara
bilmente pi discosto dai dialetti gallici che dal
toscano, e il crso palesa alla prima giunta la sua
stretta parentela col siciliano. Basta la prova di
qualche saggio nei due dialetti a persuadercene.
Perocch, per frequenti che siano, i commerci non
potranno mai cancellare le differenze e le affinit
natie, profondamente inviscerate in ciascun dialetto
dalla sua origine. Certe qualit sono talmente con
giunte alle cose, che non si distruggono senza an
nientare l' organismo del quale sono, a cos dire,
forma e legge sostanziale.

E queste sono da porre a base delle nostre


classificazioni, se vogliamo che rispondano alla na

33

tura delle cose, e che compendino la sostanza degli


studii e delle ricerche compiute.
Non diremo che l' ordine geografico debba la
sciarsi totalmente da banda. Anche il luogo, al pari
d' ogni elemento che pu influire sul linguaggio, vuol
esser preso in considerazione. Ma vi sono elementi
e qualit intrinseche, le cui radici si perdono nei
secoli, che danno a ciascun dialetto l'impronta che
gli propria, e che ne segnano le affinit e le at
tinenze. Questi caratteri soltanto ci possono fornire
i criterii di una ben intesa classificazione.

Ci premesso, non mi bisogner spender altre


parole ad elaborare una novella classificazione. Essa
procede naturalmente da quanto siamo venuti fin

qui discorrendo. dimostrato che alcuni dei dialetti


italiani pi s' accostano alle favelle iberiche, altri
pi alle galliche, altri all'idioma dei Valacchi e che
altri mantengono pi schietta l' impronta latina.
Queste affinit e dissomiglianze traggono, come si
dir al suo luogo, da parentele e da divisioni anti

chissime di popoli, e tengono dell'impronta nativa


e indelebile di ciascun idioma. Son esse quindi

la

miglior regola di una rigorosa classificazione, tanto


pi che possono anche ridursi ad una ordinata spar
tizione geografica. Ciascun gruppo ha una propria
regione. Il gruppo iberico si stende per tutto l'oc
cidente, il gallico al Nord a Nord-Ovest, l' illirico
all' estremo oriente, il veneto col trentino al Nord,
3

34
i dialetti italici nel centro d' Italia. Donde nasce la

seguente classificazione:
l Dialetti ITALICI nel centro, divisi in tre rami:
a) il campano che raccoglie intorno a s le nume
rose variet del mezzogiorno d' Italia, come l' ab

bruzzese, il pugliese ecc;


b) il romano a cui si uniscono i dialetti umbro-mar
chigiani;
v

c) il toscano.

A questo primo gruppo va strettamente con


giunto il gruppo
2 dei dialetti veNETI col TRENTINO al Nord e
Nord-Est, diffusi anche in una parte dell'Istria e
della Dalmazia.

3 Dialetti GALLO-ITALICI al Nord e Nord-Ovest,


che si dividono nelle tre variet emiliana, lombarda
e pedemontana.

4 Dialetti IBERO-ITALICI ad Ovest e Sud-Ovest,


che comprendono:
a) il siciliano parlato anche nell'estrema Calabria e
in una parte della Sardegna;
b) il sardo diviso in logodurese e campidanese;
c) il crso,
d) il ligure.
5. Dialetti

ILLIRIo-ITALICI

all' estremo

Nord

Est, parlati nelle ultime regioni alpine e pi parti


colarmente nel Friuli,

35

CAPITOLO II,

I dialetti moderni e il latino volgare.


La lingua latina, diffusa per tutto l'orbe roma
no, si riprodusse in una quantit di dialetti e di
parlate. Diversi sono i modi che tenne nel suo tra
sformarsi secondo i paesi. Alcune delle sue parti si
riprodussero in alcune favelle, altre in altre. L'orga
nismo antico non rivive intero in nessuna, ma se ne

scoprono per tutto importanti avanzi; e solo col rac


coglierne da ogni parte i frammenti e col riunirli in
un corpo, potremo ricomporre lo spento idioma che
si riprodotto e trasformato nei dialetti viventi. Per
tal modo, anche rispetto alla scienza, niuna delle
moderne favelle latine pu bastare a se medesima.
Ciascuna, presa in disparte, contiene forme e voci
cos logore e difformate che, non uscendo dai suoi
confini, rimangono, non che oscure, al tutto inespli
cabili. Perocch quelle forme sono gli ultimi fram
menti d'antiche forme scomparse, e quei vocaboli
sono come rami cresciuti da una radice perduta.
Donde nasce il bisogno dei raffronti tra le varie
lingue. Bene spesso una sola favella, mancante nel
resto, pu servire per integrare voci e forme che
essa sola ci ha serbato intere. Le lingue ariane, an

che pi corrotte, aiutano non di rado a completare il

36

sanscrito, quantunque il sanscrito, perch il pi in


tero, serva nella maggior parte dei casi esso solo
a farci vedere le origini delle voci e delle forme di
tutte le altre. Cos il metodo comparativo diventa
to l'anima della scienza del linguaggio come delle
altre scienze. Tutte le scienze, s naturali che sto
riche, sono ora rivolte a raffigurare le cose non solo
nelle successive loro trasformazioni nel tempo, ma
ancora nelle svariate forme sotto cui si manifestano

nello spazio. Di qui l'etnografia comparata, l'anatomia


comparata, come la diceologia e la mitologia com
parata. Tutti i prodotti dello spirito e della natura
mutano a seconda dell'ambiente, e solo la compa
razione, condotta pi largamente che si pu, vale a
farci salire a quelle comuni forme primordiali, che
nei diversi siti si convertirono

nelle numerose va

riet viventi. Le stesse idee influirono sulla scien

za del linguaggio. Tutte le lingue ariane, celtiche,


slave, teutoniche ecc., minutamente raffrontate, aiu

tarono a ricomporre, ne' suoi lineamenti principali,


la prisca lingua degli Arias. Questo stesso sistema
comparativo ha dato agli studi sopra le lingue ro
mane un impulso da rinnovarli dalla radice.
Da tre secoli si veniva ripetendo che le lingue
romane o neo-latine erano uscite in gran parte dal
latino plebeo. Ma dove ravvisare codesto latino del
la plebe ? Come determinare il divario che tra es
so e il latino degli scrittori ? Come scoprirne le

propriet fonetiche, la grammatica, le voci?

37

Nessuna scrittura, di quelle pervenuteci dagli


antichi, ce ne d esempio. Nei libri e nei monu
menti epigrafici poterono bene introdursi maniere e

voci plebee; convenne pure che gli scrittori, in ispe


cie i comici, dessero luogo di tempo in tempo agli
idiotismi popolari. Ma come distinguere con sicurez
za dal restante ci che nelle scritture filtrato dal

parlare del popolo minuto? Noi sappiamo, sull'au


torit dei grammatici antichi, che Plauto segu nelle
sue commedie, parte l'uso volgare, parte l'uso scel
to, temperando l'uno coll'altro. Qual la regola di
sceverare le due parti cos frammischiate? Come scer
nere quei pochi, talora svaniti indizii di lingua po
polare ? Spesso il suo lepido e fecondissimo ingegno
lo porta a creare nuove frasi, maniere, combinazioni
ie, non di rado, giuochi di parole. Chi potr cono
scere sempre l'opera individuale dalla collettiva co
s intrecciate e confuse l'una nell'altra? E chi sal

vare la parte del popolo, pur facendo il dovere alle


storpiature ed alle mutilazioni dei copisti? Con qual
norma sceverare, similmente, nelle iscrizioni le svi

ste, gli sbagli, le imperizie degli scalpellini, da quel


le parti che essi ripetono dall' uso domestico? Son
dubbi tutti questi che nascono a qualunque si faccia
a meditare sopra le origini delle lingue romane, ed
a ricercare se codesto tanto spesso ricordato latino
volgare abbia vissuto, quale fosse e come si possa,
in s gran fascio di documenti e di scritture di tutti

38

i tempi e di tutti i luoghi, affigurarlo. Il Bembo,


rispondendo di ci a Leonardo Bruni, obbiettava che
se il latino volgare avesse mai esistito, se ne ve
drebbero gli avanzi nei monumenti antichi. Ora pro
prio di siffatti avanzi vi ha, non che vestigio, dovi
zia nei monumenti antichi. Ma il difficile sta nel

saperli riconoscere, nel porli nel loro vero lume e


nel valersene per la storia del volgare. Occorre una
norma sicura per dire: quella forma epigrafica, quel
la voce del tale scrittore, quell' anomalia della me

trica di Plauto una reliquia del parlare plebeo.


Bisogna aver quasi un anticipata notizia di quella
stessa lingua che nei monumenti si vuol ravvisare;
senza di ci si va a ventura ed al buio. E ci ap
punto mancava al Bembo ed agli altri di quel

dotto secolo. Ma ai di nostri cosa ben di


versa. Codesta anticipata notizia del volgare, code
sta guida, codesto lume noi ora lo abbiamo od al
meno sappiamo a che attenerci per rinvenirlo. Bopp
e l' immensa schiera di suoi discepoli ricomposero,
per via della comparazione, la prisca favella ariana.
Noi ora siamo nelle condizioni medesime. Trattasi

nuovamente di una stessa lingua, sparsa in molti


paesi, che si trasformata in molte favelle nelle
quali, ancorach alterato, tutto l'apparecchio della
lingua antica. Havvi solo una differenza, ma a no
stro vantaggio. Bopp aveva a ricomporre una lingua
affatto spenta, di cui non rimane n memoria n a

39

vanzo fuor quello che nelle lingue derivate se n'


conservato. Noi dobbiamo ricostruire un

edificio

di

cui sono scampate molte reliquie che non abbiso


gnano se non d'essere meglio conosciute e riordi
nate. Nel primo caso conveniva alzare l'edificio di
pianta; nel secondo basta raccogliere e riunire in un
solo i materiali sparsi in mille monumenti. Ma il
metodo da seguire nell'un caso e nell'altro il
medesimo, la comparazione. Dovunque m' avvenga,
nelle parlate viventi, in una voce o in una forma

comune a tutte o alla pi parte, la quale abbia ri


scontro con altra simile che in quel marmo o in

quello scrittore occorra per eccezione, fuori dell'uso


generale della favella scritta, dir: Questo fram
mento del latino volgare. L' it. ha cavallo, lo sp.
caballo, il fr. cheval, il val. cal; un uso tanto gene

rale di quella voce indizio sicuro che caballus e


non equus era il vocabolo popolare. Ecco, diremo,
una pietruzza di quel rovinato edificio, che chiamasi
latino volgare, nel caballus che Orazio usa un paio
di volte celiando. I grammatici antichi fanno men
zione di voci sordide che si intromettevano nel dia

logo e nelle scritture; ma raro dicono quali esse


fossero. Un intero libro che trattava de verbis sor

didis, ricordato da Gellio, andato perduto. Ma noi,


senza che i grammatici ce ne diano avviso, possia
mo nella maggior parte dei casi scernere quello che
nei libri di Plauto, di Catone, di Petronio, di Apu

40

leio ecc. passato dall'idioma plebeo. L'it. battere


il fr. battre, lo sp. butir, il val. bate riproducono fedel
mente il batuere di Plauto, che gli scrittori gravi non

ammettevano; ecco una parola plebea. L'ital. ubbriaco,


lo sp. embriago, il prov. ebriac si deducono dall' e
briacus di Plauto, mentre il latino pi scelto usava
ebrius; ecco un'altra parola plebea. L'it. augello o
uccello, il prov. augel, il fr. oiseau, lo sp. avecilla
mi conducono all'avicella di Apuleio; ecco una terza.
Per simil via vengo a scoprire che voci plebee erano
cambiare (in Siculo Flacco), eacagium (saggio), ma
sticare, putus (putto), spatula (spalla), striga (strega),
tina (tino) e botulus (budello), campsare (cansare), fi
catum per ecur (fegato), adiutare (aiutare), badius
(baio), bibo (bevone), cocio (cozzone), coquina (cucina),
gluto (ghiotto), pipio (piccione), nitidare (nettare). (1)
Le medesime osservazioni valgono per le frasi
e per le maniere d' esprimersi usuali. In Plauto in
Petronio, ad ogni periodo, e qui e l nelle satire
d' Orazio e nelle lettere di Cicerone

ci avveniamo

in modi dei pi vivi e calzanti di stampo tutto po


polare. Ma pure per ciascuno pu sempre chiedersi:
questa veramente maniera tutta del popolo, o non
piuttosto una felice creazione della vena dello scrit
tore, che avr trasformato o ringentilito la frase del
(1) Un elenco ricchissimo di siffatte voci, messe a riscontro con
quelle usate nella versione della Bibbia, nell' opera del RNSCH:
Itala und Vulgata ecc., Marburg und Leipzig, 1869.

4l

volgo? Od anche, mettendo che sia proprio modo


volgare, si pu domandare: La maniera nostrale e
moderna, che all' antica pare corrispondere piena
mente, si dovr da questa dedurre, o non piuttosto
avere per una di quelle felici espressioni, che sgor
gano spontanee dall'ingegno del popolo, simile al
l'altra solo per caso o per l'analogia delle circo
stanze che hanno dato occasione al

nascere di am

bedue ? Di questo novero sono probabilmente le se


guenti di Plauto: tondebo usque ad vivam cutem

ea occasio nunc quasi decidit de coelo habe ani


mum bonum, quietum non licet hoc injicere un
gulas abi tuam viam haec dies noctesque tibi
canto foetet tuus mihi hic sermo de istac re
in oculum utrumvis conquiescito, e queste di Petro

nio: post hoc factum nunquam coloris sui fuit a


capillis usque ad ungues hodie possidet sua oc
tingenta fortis tamquam orcus (forte come un dia
volo) ut procellam averteret capite aperto
ambulo risu dissolvebat ilia sua (crepava dalle
risa) de nihilo crevit (venne dal nulla), con mille
altre.

Se non che vi hanno molte altre frasi, in cui l'a

nalogia non se ne resta cos all'espressione generica di


concetti simili, ma tocca anche a quegli effetti par
ticolarissimi che nascono da allusioni, da confronti,
da intuizioni affatto speciali, e nelle quali altro che
coll' identit d'origine non si pu spiegare la cor
rispondenza.

42
Cos l'esatto riscontro dei modi di dire di Plauto
e di Petronio coi modi tuttora

correnti nel nostro

popolo la pi sicura riprova dell' origine antichis


sima e tutta popolare dei medesimi. Ecco alcuni di
tali riscontri:

PETRONIO

DIALETTI MoDERNI

qui asinum non potest,

chi non pu il cavallo,

stratum caedit, C. 45

batte la sella.

ipse mihi asciam in mi son dato da me stesso


crus impegi, C. 74
la zappa sugli stinchi.
lacte gallinaceum, si vi troveresti fin del latte
quaesieris, invenies, C. 38 di gallina, se tu ve lo
cercassi.
se coelum Jovis tenere

credette

arbitratus est, C. 51

cielo col dito.

aver toccato

il

habemus aedilem tri

abbiamo un edile che non

um cauniarum, C. 44

val un fico.

gladiatores...... quos si gladiatori che cadevano


sufflasses cecidissent, C.45 in terra con un soffio.
cuius pluris erat un valeva pi esso in un un
guis quam tu totus es., C.57 ghia che tu intero.
neminem nihil boni fa non bisogna far del bene
cere oportet; aeque est a nessuno; gli come
ac si in puteum conicias, gittarlo nel pozzo.
C. 42

aetatem bene ferebat, portava i suoi anni bene.


C. 43

43

si quid perperam feci, se ho agito male, sputa


in faciem meam inspue,

mi in viso.

C. 75

nondum recepit ulti


mam manum, C. l 18

non ha avuto ancora l'ul

tima mano (parlando di

lavori d'arte o di scritture).


e cos alta voce ad alta voce, in summam insomma,

e moltissimi di simiglianti. In Plauto poi non solo


si riscontrano maniere similissime alle odierne, come:

minae viginti sanae et le tue venti mine sono


salvae sunt tibi (Pseud. II) sane e salve.
te tamquam oculos a t ami come le pupille dei
suoi occhi.
met (Miles, IIII. I. 37).
si sciret, esset alia o se lo sapesse, sarebbe un
altro discorso.
ratio (Merc. II. III. 49)
anno per anno prae anno per dire l'anno pas
terito (Amph. Prol. sato; (comunissimo in To
Men. I. 3, Truc. I. ).

scana).

ma bene spesso vi ravvisiamo le nostre maniere che

si formano e che il poeta, non volendo, ci spiega.


P. es. noi diciamo d' un uomo molto magro e lungo

che allampanato, o che secco come una lanter


ma o che un lanternone. La ragione di questa e
spressione nella trasparenza della pelle di un uo
mo troppo magro, che ricorda la trasparenza delle
membrane di cui erano fatte le lanterne degli anti
chi. Questa spiegazione risulta evidente dai versi di
Plauto nell' Aulularia III. VI. 28.

44

Qui ossa atque pellis totust. . . . .


Quin exta inspicere in sole etiam vivo licet
Ita is pellucet quasi laterna punica.
La frase reggere il lume o il candelliere, genera
lissima nel frasario erotico dei nostri volghi, si de
duce manifestamente dall'uso antico del portare le
faci alle nozze (lucere facem). Ma il valore moder- .
no di quell'espressione traspare gi in quei versi
di Plauto della Casina, I. I,
. . . . huic lucebis novae nuptae facem
Postilla ut semper improbus nihilgue sis.
Noi chiamiamo zampe di gallina una scrittura mal
formata e poco chiara. Gi in Plauto detto di una
lettera scritta male:

. . . . has quidem gallina scripsit (Pseud. I.I).


Cos si dice di due cose molto simili che paiono due
goccie d'acqua, e di questa maniera gi un cen
no nel Miles, II. VI. 70:

Nam ex summo puteo similior nunquam potis


Aqua aqua sumi, quam haec est atque ista hospita.
Il nostro popolo suol dire mi trema l'occhio per
manifestare il presentimento d'alcuna cosa, e nel
Pseud I. I detto:

futurum est, ita supercilium salit.


La frase dar retta per dare ascolto, tanto co
mune in Toscana, si deduce da dare arrectam au

rem che gi si sente nel verso plautino:


suo mihi hic sermone arrea.it aures

(Rudens V. II).

45

Quanto detto delle voci e delle frasi si pu


applicare alla grammatica. L'it. ha quello e questo, lo
sp. aquel, aqueste, il val. acel, acest, il franc. ant.
icel, icest (celui e cet). Questo semplice raffronto
basta per affermare che le forme plautine eccistum,
eccilla ecc. erano della lingua popolare. Continuan
do i raffronti, si troverebbe che molte anomalie, ec
cezioni e forme irregolari avevano radice nell'uso
parlato. Il fodire, il moriri, il progredire, il prae
stavi (per praestiti) usati da autori antichi, e ripetu
ti nella versione itala della Bibbia (l), si trovano
appartenere anch'esse alle forme del latino popolare,
giacch si riscontrano poi nelle lingue romane (mo

rire, progredire, fr. enfouir, it presti). Anche le for


me analitiche, tanto comuni nei volgari, credibile
che fossero d'uso assai frequente nel latino plebeo.
Talch quando ci avveniamo, negli scrittori antichi,
in costruzioni ed in forme che sentono dei nostri tempi

composti e delle odierne forme analitiche, terremo


che in quei luoghi lo scrittore siasi lasciato andare
all'uso parlato. Come nei passi di Plauto che se
guono de mea (vita) ad tuam addam (Asin. III.
3). ad mortem dedit (Amph. II, 2), ad hunc
faciam modum (Bacch. IV. 9) illanc minorem
la minore (Poen. Prol. ) omnia missa habeo
(Pseu. II. 2).
(1) V. RNSCH Itala und Vulgata, al Cap. della con
jugazione,

46

habere repertam (Mil. III, 3), nullos habeo scriptos


(Mil. I, l.), e in mille altri simili.
Fino le specialit della pronunzia del latino
volgare si possono dedurre dalla comparazione; e non
solo quelle propriet che si riconoscono senza fatica
nelle epigrafi, come i troncamenti delle uscite, la
fusione dei dittonghi ed altre, ma spesso anche il
grado e le minute sfumature del suono delle vocali.
Diverse eccezioni della prosodia di Plauto e di Te
renzio non s'intenderebbero bene senza l'aiuto del

le lingue derivate. Quei due poeti infatti, ma spe


cialmente il primo, si tenevano stretti all' uso par
lato quanto potevano per ritrarre con pi verit il
discorso famigliare. Egli vero che, per rispetto al
decoro della scena, studiavano di temperare l'uno
con l' altro, l'uso plebeo e quello delle persone col
te, come Quintiliano ci fa sapere (1): ma, perch non
si perdesse la forza e la vivezza naturale del dia
logo, convenne che lasciassero al suono, contro alle
leggi del metro, l'andante e il rapido del discor
so ordinario. Di qui venne il disordine dei metri
delle commedie. Comici (osserva Mario Vit
torino,

dum cotidianum sermonem imitari nitun

(1) Quod faciunt actores comici, qui, nec ita prorsus ut nos

vulgo loquimur pronunciant, quod esset sine arte, nec procul ta


men a natura recedunt, quo vitio periret imitatio, sed morem
communis huius sermonis decore quodam scenico e cornant.
Quint. Inst. Or. II. 10, 13.

47

tur, metra vitiant studio, non imperitia. Dun


que, dove vedremo ricorrere frequentemente la stes
sa irregolarit di prosodia negli stessi casi, l'avre
mo per un segno di qualche propriet della pro
nunzia volgare che vi si celi. E un modo sicuro di
chiarircene sar sempre il raffronto delle lingue di
scese dal latino. Quale riprova pi convincente, che
il riscontrare in tutte o pressoch in tutte, gli effetti
appunto di quegli stessi ondeggiamenti di suono che
generarono le incertezze della prosodia dei poeti
comici? In Plauto e in Terenzio, ad esempio, spes
sissimo la vocale, anche che vada innanzi a due
consonanti, fuor d'ogni regola di prosodia fa figura
di una breve. Ci si verifica pi costantemente nelle
prime sillabe di iste, ipse, intra, ille, inde, ecce. I suo
ni del principio di queste parole, da quanto si pu
argomentare, erano, nella pronunzia ordinaria, non
legittime vocali, perocch restavano un grado sotto
alla breve. Nel linguaggio della scienza quelle vo
cali si dicono infatti irrazionali. Eccone qualche e
sempio (1):
Tibi ille unicus mihi etiam unico, (Plauto, Capt.).
Quid istis nunc memoratis opust. (Id. Mil.).
Inde me continuo recipiam. (Id. Cap.).
Sed eccum fratrem . . . . . . . . (Id. Stich.).
Questi suoni, appena calcolabili gi nei buoni
(1) CoRssEN Aussprache, Vocalismus
lateinischen Sprache II. p. 76 e seg.

und Betonung der

48

tempi della lingua, per poco che si logorassero nella


pronunzia del popolo dovevano finire per dileguarsi
totalmente. E cosi accadde presto, giacch riscontria
mo in scritture latine la, lo, per illa illo, sta, sto,
sti, stinc per ista, isto, isti, istinc, (1).
Nelle lingue moderne troviamo, in conformit
colle eccezioni plautine, le forme enclitiche e procli
tiche di quelle voci avere prevalso quasi da pertutto.
Lat. ille, illa, illi, illae, illos, illas, it. lo, la,

li e gli, le, sp. los e las, fr. les.


Similmente nelle enclitiche: ma-lo ama illum,
scuti-la ea cute illam

Lat. iste, ista, isti, istae ha dato sto, sta, ste


per questi, queste ecc. comunissimi in molti dialetti
italiani.

Lat. ipse, ipsa, ipsos, ipsas ha dato su, sa, sos,


sas, forme che nel sardo tengono luogo d' articoli.
Lat. ecce pure proclitico in molte voci com
poste: ci ecce-hoc, qu eccu hac qu eccu'hic
lomb. z per qu da ecce-hac.
Non di rado in italiano tanto ecce che la voce

con cui s'accompagna perdono la sillaba del prin


cipio: costoro eccu istorum, coloro eccu' illorum, co
st eccu istic, lomb. cost. (questo) eccu ist(um), col
(quello) eccu illum), sardo kusta (questa) eccu'ista.

(3) SchuchARDT Der Voc. des Vulg-lat. II, p. 368,382,

49

Lat. in e intra sono proclitiche nell' ital. nello=


in illo, tra-intra, e comunemente nei dialetti me

ridionali, come nel nap. 'mmocca=in bocca, 'nzora


re, 'ntendere ecc.

Lat. inde diede anticamente 'nde; nonde campo


per non ne campo, nonde temo per non ne temo;

posteriormente per assimilazione 'nne e ne. Vedremo


poi come la forma nde e de resti ancora in molti
dialetti.

Cos si pu mostrare, coi raffronti delle lingue


romane, la ragione di molte incertezze della metrica
dei comici, e scoprire quelle parti in cui, sulla testi
monianza del grammatico Vittorino, essi si propone
vano di appressarsi maggiormente alla pronunzia
volgare. Da questi rapidi cenni ognuno misura l' im

menso campo che si apre, per lo studio del latino


volgare, nei raffronti colle lingue derivate. Se non
che, anche dal poco che ne abbiamo detto, si intende
come il metodo comparativo vada applicato nella mag
giore estensione che per noi si possa. Il latino vol
gare, sebbene sia il fondo comune di tutte le lingue
romane, non ha lasciato eguali vestigia in tutte. Nel
l'una vivono voci, suoni, forme che nelle altre si
perdettero, e gi ne abbiano veduto precedentemente
alcuni esempi. Sar dunque necessario cercare mi
nutamente in tutte gli elementi di quella lingua che
di mano in mano ravviseremo e riconosceremo negli
antichi scrittori, nelle epigrafi, nei glossari e nei
4

50

grammatici. E anche la comparazione delle lingue


romane prese nel loro insieme, sar monca e insuf
ficiente se non comprender che il materiale rispet
tivamente povero che le scritture possono fornirci.
Sarebbe errore il credere che negli scrittori si com

pendii la sostanza delle migliori ricchezze dei dia


letti, mentre essi non ne usano, per ragioni che le
successive indagini porranno in chiaro, che una parte,
e questa mescolata ed alterata con elementi estranei

a quel primitivo fondo che il linguista ricerca. Delle


tante voci e delle varie forme

di una

stessa

voce

che vivono nell'inesauribile corrente dell'uso popo


lare, il letterato non sceglie che poche e non sempre
le p antiche n le meglio conservate; tutte le altre
giacciono disseminate nei vernacoli. E vi ha di pi.
Ogni lingua letteraria tende a restringersi sempre
pi all'uso di uno dei dialetti, per evitare una con
fusa sovrabbondanza di voci e di forme; e cos re
stano dalle scritture esclusi molti

elementi che al

l'indagine storica non sono di poca importanza. Altri


sono i criterii della scienza, altri quelli dell'arte; ogni
distinzione tra le voci della lingua scritta e quelle

della parlata per la scienza non che accidentale.


Del resto quante voci dei nostri vernacoli che ognuno
tiene per bassissime e per barbare occorrono nelle

scritture francesi e spagnuole ad ogni periodo! Mencio,


reddo, piurare, gubbio, bucchio sono parole vive in
Toscana, ma niuno le scriverebbe; mentre mince,

5I

roide, pleurer, gave, boucle sono del buon francese.


Anzi non poche parole che si crederebbero non usate
mai da alcuno scrittore, si trova in qualche scrittura

nuovamente pubblicata, che un tempo si scrissero. I


limiti dell'uso scritto e del parlato non furono mai
fermi, ma mutarono sempre. Il che non certo in
differente al linguista, il quale deve anzi studiare le
leggi che regolano l'elezione del letterato che non

pu essere fatta a capriccio, e sar questo argomento


di un capitolo a parte. Ora per, volendo procedere
con ordine, ci conviene restringerci a considerare
le relazioni tra l'uso scritto e il parlato quali sono
presentemente, e vedere quali elementi del latino
volgare che mancano al primo sono nel secondo.
E per voci del latino volgare non intendo solo
le prettamente latine, ma anche quelle che, sebbene
di provenienza greca o celtica o germanica, furono
ben presto usate nelle scritture latine e trovansi
registrate nei migliori vocabolari. Il trovare tali voci,
dopo tanti secoli, ancor vive in questo o in quel
vernacolo, sar per noi un indizio che furono antica
mente dell' uso popolare, tanto pi se tali voci hanno
riscontri in alcuna delle altre lingue romane. Intendo
poi per voci dialettali non quelle che non furono mai
scritte in nessun tempo, ma quelle che non formano

parte del patrimonio comune, e non sono comune


mente adoperate, n sarebbero comunemente intese.
Ch del resto non poche di esse furono usate feli

52

cemente da qualche scrittore popolare, ed altre sono


necessarie nelle scritture speciali e diverranno quindi
comuni quando sar meglio unificata la lingua.
Gi di vocaboli speciali ai dialetti abbiano accen
nato altrove alcuni propri particolarmente del sardo.
Clu considerando i dialetti complessivamente e pren
dendo il toscano come termine di paragone, note
remo: l. Le voci che il toscano ha comuni con altri

dialetti; 2." Le voci comuni alla maggior parte dei


dialetti, ma che non mi consta siano usate nella To

scana; 3. Le voci pi specialmente proprie di que


sto o di quel gruppo di dialetti.
Comuni con molti

dialetti ha il toscano le se

guenti:
albuolo vasetto; vnz. albio; lomb. albi, em. aibe ecc; lat. alveus

(fr. auge).

accerito fuor di s; lomb. cer; lat. cerritus furioso, n ha

che fare coi ceri o colla cera, come pretendono al


cuni.

abbacchio agnello; rom. id; dal lat. ovacula per ovicula, come
il fr. ouaille. Quanto al mutamento della desinenza
icchio in acchio non raro nei diminutivi di nomi

d'animali (cfr. cornacchia da cornic-ula, orsacchio,


volpacchio ecc.) (1). Abellus gi nel b. lat.
battolare cianciare, e batani cicaleccio; vnz. batolar, em ba
(1) Riflettendo pero che abbacchio significa pi propriamente
agnello macellato o da macellare sarei tentato a ravvicinare questa
voce ad arcia ( ariete pel sacrificio , donde senza difficolt pot de
rivare arb-acchio poi abbacchio.

53

tlr, sd. badulare e badanai, lomb. badani; lat. bla

terare (qui anche lo spg. baladrar gridare ?).


brucolo bollicina; em. brugla, sd. berruga, lat. verruca.

brnice brace spenta; venz. bronza, lomb. burnis, ecc. da pru


nicius formato da prunae carboni.
biciancola, pisalanca e anciscolo altalena: vnz. biscolo (cfr. fr.
bascule), nap. Sancoliprevoli, da anclia e ancalare

per antlia e antlare, ( cfr. sicla per situla secchia,


veclus da vetulus ecc.). Antlia era lo strumento da
attinger acqua, formato ad altalena, come il tolleno

da cui venne appunto altalena. Anciscolo venne dal


semplice antlia per mutazione di suffisso; biciancola
da bis-antlia, pisalanca da bisancula per metatesi,

il venz. biscolo da bisancolo per troncamento; e il


nap. sancoliprevoli probabilmente

composto di

bisancolo e prevola (pergola) per indicare quella


specie di altalena che si fa con una fune legata a
due rami d' albero che vengono cos a curvarsi a
modo di pergolato. (1).
botechere (Chian. per betticare) altercare; ven. lomb. betegar
sd. bettiare. Voci affini a bisbetico e pettegolo e de
rivate senza dubbio dal lat. pop. vitilitigare che

in Catone. Da vitilitigare venne vittigare donde betti


care. In alcuni casi il primo fa contatto dell' i si
assibil, quindi il lomb. bestic e il ven. sbuzzega
contesa.

bsia, bsita, basina, bazzoffia vaso, scodella e poi minestra; lomb.


basia, em. venz, basola, dal lat. batiola che in

Plauto. Il passaggio di significato in bazzoffia e ba


sina il medesimo che in schifarda che vale egual
(1) Lo stesso passaggio di significato avvenuto in tolleno ed in
antlia nel port aluir che significa fare all' altalena e attinger acqua.

mente vaso e minestra. Il suffisso di bazzoffia non


probabilmente che effetto di assimilazione delle
labbiali; bazzoffia da bazzocchia, come l'antico parof
fia da parrocchia.
bastaccone uomo tarchiato, forzuto; nap. bastagio facchino; sic.
sd. vastasu; vnz. bastaso; berg. bassek. Nel lat. se
riore bastagia trasporti, e bastagarius facchino.
basacchi carattieri, bastrighe funi da legare la soma. Voci e
gualmente derivate da bastagt (pa ora; ). Basacchi

per bastacchi come nosso da nosto (nostro), esimo


da estimo ecc. Cfr. spg. basterna carretta.
bobba o bobbia beverone; lomb. boba, sd. ambua, e qui anche

berg. imbombt inzuppato; lat. bua.


burare bruciacchiare, nap. abborrare: lat. com-buro. Spg.

aburar.

berciare piangere dei ragazzi; lomb. berci, berg. bregi; lat.


frigere e frigulare piagnucolare. Spg. fresar.
cerafana, sgrinfia o scranna donna deforme o spregievole; ven.

carampia; lomb. carampana, tutte forme che si ri


conducono facilmente al lat. scrapta o serattia

( Plauto in Gellio).
cicindello luminello; ven. cesendelo lampada e lucciola; lat. ci
cindela lucciola.

calocchia palo della vite; lomb. piem. scars o cars: fr. cha
las. In Plinio abbiamo characias ( Xaga; ) da cui
il b. lat. carratium. Val. haracu.
chioccolo (Chiane) sassolino; sic. cuculuni, ven. cogoli; lat. oo
chlacae in Festo vale sasso del torrente, da cochlea

eincischiare tagliuzzare; sd. isasciari. Forse da acisclus (parva


ascia ) da cui evacisclare (V. Fabretti, Glossario Ital.)
se non da incisiculare (incidere),

ciruglio capelli arruffati: nap. cerro riccio; sic. cerru, Sd. chir
rioni;

lat.

cirrus. Val. cer.

55

eigliere (Chian. ) cantina; nap. cellaro, spg. cillero; lat. cella


rium. Val. chelariu.

ciccia, cicciolo pezzo di carne; lomb. ven. id: lat. insicium ed

insiciolum (da secare ).


cica minuzia, in quasi tutti i dialetti; lat. cicus.
cuccamo Vaso; rom. cuccomo, lomb. ven. cogoma, fr. coquemar;
lat. cucuma.

calendi primo del mese; sic. calenni e cos altri dialetti; lat.
calendae.

daddoli moine; ven. tattezzo; voci affini al lat. tata (pater, che
nei varii dialetti venne a significare ora padre, ora
fratello, ora altra persona diletta.
follare gualcare; sic. fuddari, lomb. ven. fular pigiare; fr. fou
ler; da fullo.

frignare piagnucolare; berg. spregnac. Da frendicare per fren


dere (digrignare i denti, far boccaccie ) di cui pi sotto
gotto bicchiere; sd. gottulu, ven. goto; lat. guttus.
gubbio gozzo degli uccelli; ingoffo boccone; piem. lomb. gavs

gozzo, dal lat. ingluvies, da cui derivarono pure il fr.


gavion e s'engouer, il pic. gare, il camp. gueffe, che
il Diez unirebbe con cavus o cacea (Diez. Et. W
II. c. a gave ).
galazza tinozza: lomb. galeda vaso da latte: lat. calathus sco
della, vaso da latte. Qui anche val. galet.

lavina valanga; ven. slavina, lomb. ghiavina e lain scoscende


re, nap. allavaniare; lat. labina.

lucciolare piangere e luccioloni lagrime; lomb. lasagn, em.


lusi lagrime; lat. lugere. La voce lombarda presup
pone una forma luginare, e la toscana fu un po' al

terata dall'etimologia popolare che ravvicin lugere


a lucere per esprimere il luccicare delle lacrime che
il popolo chiama anche lucciconi.

56

mezzo maturo; ven. mizzo; da mitius per mitis (V. Diez. E. W. )


miccia asina; lomb. miissa; friul. muss; lat. musimo.
mezzina vaso, brocca; lomb. mosina, venz. musina salvadenaio,
sd. mesina. Gi nel lat. pop. mozicia cassetta (mo
dicia). Cos modina poi mozina da modium. Anche
qui ad alterare il suono delle voci concorse l'etimo
logia popolare da medius.
orzajolo brucolo all'occhio; ven. ruziol, lomb. orzl, Sd. arzolu,

lat. pop. hordeolus (Isidoro). Sp. orzuelo, val. orzisor,


pippolo granello d'uva, nocciolo; sd. pibioni e pupujone acino;
fr. pepin, sp. pepino; lat. pappus ?
pitta gallina; lomb. ven, pita, pitn ecc; dal lat. psittacus?
incignare usare la prima volta; nap. sic. incignare, sd. incingiai,
ven. lomb. rancignar sgualcire (in questo senso i
Toscani dicono incincignare), dal b. lat. encaeniare,
di cui pi sotto.

apensiero cappietto da fermare la conocchia; em. lomb. pensr,


formato da pensum.
pappare e pacchiare; lomb. pip e paci, e cos in molti dia

letti; lat. pappare. Intorno alla forma pacchiare pi


sotto.

pistrino maneggio, opera secreta; vz. pestrin macina; lomb. pre

stin fabbrica di pane; lat, pistrinum mulino, ed an


che opera difficile, laboriosa. Franc. ptrin.

quarra la quarta parte d'una cosa; sd. carra; lat. quadrans.


ruschia ramo, frusta; nap. rostima rovo; lomb. riisca corteccia,
lat. rustum e ruscum ramo, cespuglio. Di qui anche
dibruscare mondar le piante; sd. dirrascare. Lat. rustare.
stralinco bistorto; em. stralanc; dal lat. liquis torto, col pre

fipo trans. I Latini avevano dalla stessa radice forma


to ob-liquus, donde il nostro bilenco, che non diffe

risce da stralinco se non nel prefisso. Trans qui ha

57

lo stesso valore che in trasversale, stralunam e (tra


lucinare) torcer gli occhi, e simili (1) .

scatore prurito; em. scador; ven. catorigole; da scalpturio (don


de scalpturies e scalpturigo), da cui anche calterire.

salavo sudicio; ven. salampa; sic, salibba significa solco acquaio,


ed pi vicino al lat. salebrae (loca lutosa. ) Cfr. fr.
sale. Il Diez la ritiene voce germanica.
strambello cosa lacera; ven. slambricchio; fr. lambeau; lat. lam
berare lacerare. Strambello da slambello coll'inser

zione di una muta fra s ed l iniziali, come in schia


vo da slavo, strisciare da slisciare di cui pi sotto.
spincione e pincianella uccelletto cantore; berg. spionea; da

pipizo nis (o da spinturnicium, in Plauto, da cui forse


anche lo spg. pintacilgo). Cfr. sp. pinzon, fr. pingon.
tega involucro delle spiche, lomb, vn. sd. id: fr. taie, da theca.

tetta poppa, voce comune a quasi tutti i dialetti neolatini, non


ch alle lingue celtiche, teutoniche e al greco (V.
Diez. Et. W. a tetta).

vappo sciocco, spaccone; sic. vappu; sd. nap. guappo; lat. vappa
ziro orcio; sd. ziru, sic. 'nsiruni; lat. seria.
coppa e cacioppa collottola; ven. lomb. copa, da occiput (occu
put), da cui anche

cifotte e ceppicone testa; berg. ciampic testone. Ceppicone


certo alterazione di ceppitone. Val cefa occipite.

sciagattare malmenare, sconquassare; sic. zacatiari, Sd. assac


chitti, lmb. em. sagatr, dal lat. succutere (pi

propriamente da una forma succutare), da cui anche


spg. sacudir, prov. socodre, fr. secouer.

spraccare allargare le gambe; a spracchicchio a gambe larghe:


(1) Il parmigiano ha scarlinga formato da straling come scar
volt da stravoltare, e come il toscano ha fatto scaraventare da stra
ventare come si dir altrove.

sd. Sparranchiai; spag. esparrancarse. Da perna co


scia si fece ea pernicare allargar le coscie; lo spa
gnuolo dice infatti anche espernacado per esparran
cado e permear muover le gambe.
pcciola specie di fungo; lmb. sponsila o sponsgnla, dal lat.
spongiolus.
rliasuperstizione; lomb. arlia, em. rila; da ariolia formato

regolarmente da hariolus.
biecio torto; sd. biasciu, lomb. sbis da bifac. Cfr. fr. biais
port. viez (obliquit ), cat. biaa, val. piez.

spagliare spargere; sd. ispagl; lat. dispalo o dispalor. Port. espa


lhar.

fiocina arnese formato a panierino e legato sopra una canna per


coglier le frutta; nap, fescena e fuscella paniere, sic.
friscina; lat. fiscina.

Le voci seguenti, comuni a pi dialetti d'Italia,


non trovo che siano usate nella Toscana:

Lomb. ciiis o giiis succo, brodo; em. sciss; sic. ciuceddu; lat.
ius brodo. Fr. jus.

Sd. dolare piallare; vnz. berg. dolar; lat. dolare. Sp. dolar.
Sd. edu capretto; berg. il (da idl)lat. haedus. Val. edu.
Rom. fedelini vermicelli di pasta; vnz. lomb. id: sd. findei, da
fidulae ( cordae citharae. ) Cos chiamati per la loro
forma come spaghetti, vermicelli, capellini, can
nelloni ecc. Spg. fideos.
Vnz. folo soffietto; sd. fodde mantice; lat follis, Val. foale.
Rom. luscia pioggia dirotta; Vnz. lenza, lomb. liscia, da cui
sloss bagnato; da elutio o da altra voce affine.
Sic. nevula pasta sottile; em. lomb. nevla, niula; sd. neula; da

nephela. Nelle antiche glosse leggiamo: , Colliridas,

59

cibus quem nos nebulam dicens ( dicimus). V. Hol


tzman, Die alt. Gloss, nella Germania, 1863, p. 397
e seg. Nei dial. franc. detta nieule.

Vnz. orire attingere acqua; sd. orire; friul. uri; lat. haurire.
Nap. petaccio cencio; lomb. pets; lat. pittacium pezzo di tela
o di pelle. Sp. pedazo, val. petec.
Sd. berbeghe o brebei pecore; piem; becia, berg. bis, best mon
-

tone, ber agnello; lat. berbev. Fr. brebis, val ber


beace.

Sd. carcida secchia: em. calzidrela, lat. calces bottiglie di


piombo. Cfr. Val. carcegu orcio, sp. caceta vaso di rame.
Sic. prediu podere; lomb. breda, Vnz. braida; lat. praedium.

Sic. gattigghiari solleticare; lomb. ghettel, galit; em. gatuzzol,


piem. gati, lat. catullire. Fr. chatouiller.
Sic. incincinnarisi azzimarsi, Vnz. lomb. cincio, cincin; dal lat.
cincinnus.

Rom. pivetto fanciulletto; vnz. piavolo, lomb. pivl; lat. puer e


puellus (1).
Vnz. ronchizar, sd. arrunci russare; sp. pg. roncar; lat. rhon
-

chare e rhonchissare.

Nap. rascare, vnz. lomb. rascar sputare, da eccreare. Port.


0SCCl0')'01).

Umb. stella scheggia; Vnz. lomb. em. stela; sd. astula, sic. aschi;
lat pop. astula per assula Cat. prov. ascla; sp. a
stilla, fr. attelle.

Sardo assenegare esser vecchio; vnz, insenetir, da senea (2).


(l). Il toscano ha burchio forse da puerculus.

(2) da distinguere da queste voci il lomb. senica cho vale


persona vecchia e secca che, a mio credere, viene da Seneca, della
cui tragica morte si conservata la memoria nella lingua. Nella

Toscana si dice di persona estenuata e sparuta che pare un Seneca.


svenato, ed modo comunissimo anche nell'alta Italia (V. Fanfani

Diz. dell' us. tosc. alla voce Seneca).

60

Sic. jinizza giovenca; lomb. gioniscia; lat. junia (fr. gnisse).


Berg. gabinl falco; tirol. tschaffit; sp. gvilan, lat. capus o
capys: voce etrusca secondo Servio. Anche val. cae ?
Lomb. luv polmone; sd. leu; prov. leu; port. leve. Da leve?

Pi particolarmente proprie dell'uso toscano


sono le voci seguenti:
pestio catenaccio; sp. pestillo. Il lat. pop. aveva pestulum per
pessulum, come astula per assula. Un' altra forma
era pesclum da cui

bischero piuolo, che tale la significazione di pessulus nei glos


sari. In quello pubblicato da Hillebrand troviamo:

, pessuli , pieri (piuoli), clavi lignei. Ant. fr. pesle.


brascha e braschetta cavolo; lat. brassica. Val. brosba ?
bocco scioccone; lat. bucco (Plauto).

arcideclino chi sopraintende alle spese della tavola: lat. bibl.


architriclinus.

catro cancello; lat. clathrus

cottimo prezzo pattuito; lat. quotumus (Plauto) il quanto.


fiocine buccia dell'acino; lat. floces feccia del vino.

aluma ripostiglio delle biade; lat. glumae involucro delle biade


(Festo) Spg. quilma sacco ?
gottolagnola giogaia dei bovi; da gutturanea (guttur) (1).
ganza druda; da ganea, b. lat. ganzia meretrice. (2).
(l) Cfr. calcagno da calcaneus (calo ), scilinguagnolo da sublin
guaneus, cuticagna da cutica (cutis), boccagnola ecc.
(2) Nel Glossario di Papia si legge: ganea taberna, popina
meretriac; e poi: gameae meretrices. In altri glossarii troviamo
a ganeum - prostibulum; a ganeo leno; e in quello di Vulcazio ac
canto a ganea anche ganzia. Quest' ultima forma che corrisponde alla

voce moderna si pu considerare o come un derivato aggettivale

61

mezzedima mercoled: da media hebdomas (cfr. eng. mazeamda).


piurare piangere; lat. plorare. (fr. pleurer, sp. llorar ecc.).
pusigno pasto dopo cena; da post-caenium. Rcio puschein.
paraguai sorta di veste; lat. paragauda.
patita fidanzata; lat. pacta, ae. Patita da pattuita.
posolino sottocoda; lat. postilena (Plauto). Val. pohila ?
recacchio uccellino; lat, regaliolus; fr. roitlet.
redola via nei campi; dal b. lat. vereda=via per quam veredi
vadunt (Ducange); donde pure sp. vereda, fr. vr
der (V. Diaz, Et. W. a vereda ).
ruciare pascere del maiale; lo sp. ha ruzar da una forma deri
vata rosare per rodere. Cos ruciare corrisponde a
rosare, come truciare e trucio logoro al lat. tru
-

sare per trudere.

stermacchiarsi o cadere starnacchio cader disteso; dal lat. ster

naa cis (Plauto). Friul. sterni sdraiare, val. astern.


salapita rimprovero, busse; lat. volg. salapitta schiaffo.
nimo nessuno, lat. nemo. Val. nime.
infrunire agognare, aver gola; da frumen gola; fr. ant. enfrum,
prov. enrun bramoso.
Iucia Vaso di terra; sp. loza, da luteits.

incrinarsi screpolarsi; lat. crena fenditura, intaglio. Fr. cran.


caluvia favilla: nel b. lat. troviamo calius per cenere (Ducange),
da calere ?

lucertolo parte della coscia del bove: lat. lacertus.


scianto riposo, respiro. Lat. eahalitus, da cui scialto poi scian
to come antro da altro, manto da molto ecc. Il sic.
esalu o riscialu, che ha egual significato, deriva in
vece dal verbo eahalare.

crcine (Versiglia) nome d' un vento; spg. ciereo, dal lat. circius.
( ganicia o ganicea), o come un'alterazione di ganja in ganzja e
ganza. Cfr. lenza da linea (linja), il sardo binza da vinea, il fr.

vendange, linge, songe ecc. (Diez. Vergl. Gramm 3. Aufi p. 181 e segg.),

62

Usati pi specialmente nell'alta Italia sono:


Venz. fopa fossa; lomb: id., da fovea.
blitri sciocco; lat. bliteus: val. brodiu ?
, calegher calzolaio; lat. caligarius.
, cotorno starna; lat. coturnir. Sp. codorniz.
, burlina vacca rossiccia; lomb. bur; lat. burra.
cusita cos; lomb. csita; da aeque-sic-ita.

, degladiar contendere; lomb. ghi pungolo: da gladius e di


gladiari. Fr. glaive.

lora imbuto; lomb. lura, lurt, lat. lura (os cullei). Val.
liuriu.

, amia zia; lomb ameda, medina, meda; lat, amita (fr.


t-ante, ricio onda, ecc.)

luganega salsiccia; lomb. id; lat. longano (sp. longaniza).

ancoi oggi; lomb. em. piem. id; lat. hanc hodie (prov.
ancui ).
, piadena vaso; lat. patina.
Lomb. taia, tia involucro delle cipolle; lat. talla.

bgola zacchera: lat. pop. blatea (bulla luti, in Festo).

,
,
,
,
,

nma soltanto: lat. non-magis; Val. numai.


tut ciuffo; lat. tutulus.
si soi la bigoncia; lat. solium vaschetta per il bagno.
ml collare dei cani; lat. millus o mellum (Varrone e Festo),
stropa vinine; lat. struppus. Fr. strope, sp. estrovo.

gi, guidil pungolo; lat. agolum (Festo). Fr. houlette da


agolette.
arzolin viottolo angusto; da artus, artiolus?

puligana meretrice; lat. pellea ? Sp. pelleia.

Berg. combl battello; lat. cymba.

embisi ingrassare gli animali; lat. obesare (Columella).

folceta trave; da fulcio.

63

merdis manipolo; lat. merges.


sgarle trampoli; lat. grallae.
scfon scarpa: lat. sculponeae (Plauto).
dsintgii estirpare, sbarbare; da sentes bronchi, spine, donde
de-sent-icare, come sbarbicare da barbc.

sirzi cucire; lat. sarcio:sp. zurcir, pg. serzir.

tegia capanna: lomb. te:a: lat. attegia.


boric somiero; fr. bourrique; sp. borrico; lat. buricus.
lva spica: lat. loba (culmus milii indici, in Plinio ).
brombol tralcio; lat. rumpus ? Il ticinese ha romp.
libia o libia frana; lat. eluvies valanga.

uvar, uver mammella; friul. lurri, spg. ubre, val. uger;


lat. uber.

Friul. sossed sbadigliare; lat. oscitare.

ante stipiti; limb. Vnz. (tnte, antine, lat. antae (latera o


stiorum ), ecc.

Come pi in uso nei dialetti meridionali cito:


Nap, trasire passare; sic. id.; lat. transire.
scarfare scaldare; sic. id; lat. calefacere. Sp. escalfar.
n

langella anfora; lat. lagoenula.


pusu fanciulletto; lat. pusus.
'inzorarsi ammogliarsi; da atacor. Val. insora.

caccavella pentola, lat. cacabus.


raffio fuscello per leggere; lat. graphium fuscello da scrivere
cidituri macello; dal lat. caedere.

natichiedda fanciulletta, lat. nata, naticula.


sarcina soma, lat. sarcina.
scaccaniari ridere forte; lat. cachinnari.
abijari cacciare; lat. abigere.

timpa poggetto, altura; lat. pop. teba, che Varrone dice


voce sabina. Sp. timpe.

64

Sd.

simingioni capezzolo; lat. sumen mammella, da cui proba


bilmente anche il nap. minne (su-minea ?)
ennia porta, nap. votaianna grimaldello, da voltare e ianua.

arvattu e arvattare, spg. barbecho, prov. garag, fr. gueret


lat. vervactum.

ebba cavalla; sp. yegua, port. prov. egua, ant. fr. ieqnte;
ive, val. iapa; lat. equa.
vidrigu; val. vitrig, lat. vitricus ecc.
-

Molte voci poi riscontransi, vero, anche nella


lingua letteraria, ma in questa furono trasportate
dal latino per opera degli scrittori col suono e col
valore che avevano nel latino letterario, mentre le
troviamo nei dialetti con forma pi popolare e pi
schietta, e con valore diverso riproducente bene
spesso il valore primitivo della voce, o alcuno dei

particolari significati in cui era usata nel latino


volgare.
buccolo, sbrucchio e bucchiare; venz. sd. bucolo dal lat. bucula
preso nel significato di cerchio, riccio. (Cfr. fr. boit
cle, sp. bucle ricciolo. V. Diez. a boucle.)

aliso; Vnz. liso e lindo, lomb. lis; derivano da elisus preso nel
suo significato proprio e popolare di rotto, logoro,
-

consunto.

eavina o gavina; vnz. gavin, gtolo e ghebo; significano fogna,


canale e vengono da cava che nel lat. volg. valeva
fossa. Spg. cavallillo canale.
meta, lomb. em. meda adoperato nel significato di mucchio, ca
tasta; lomb. md accatastare; di qui

metule stile del pagliaio; unb. metullo. Cfr. sp. meta mucchio di
covoni; fr. meule da mctula.

65

lopporo, Vnz. lovo, lomb. em. lov. vengono da lupus preso nel
significato di uncino e pi particolarmente di quello
strumento con cui si pescano oggetti caduti nel poz
zo. (1)

merie, sd. meraiu, lomb. maric vengono da meridies adoperato


per ombra, significato che dov prendere nel linguag
gio delle campagne.

penzolo d'uva, sd. appesile de ua, valgono quanto l'uva pen


silis dei Latini.

redo; umb. arredo, lomb. res o redes, vnz. raisin, derivano da

heres usato semplicemente per figlio. Cos in sardo


erenzia e in sic. reda si usano per stirpe, discendenza

cantero vaso da notte; lomb. Venz. cantar; da cantharus coppa


fiara e floraglia, rom. fiara derivati da flagrare valgono sem
plicemente vampa, fiamma. Val. flacara.

sciugnolo, sic. senguli da singulus voglion dire scempio o sottile.


stritoloni, sd. istriori, vengono da stridor nel senso di brivido.
Stritoloni alterazione popolare di stridoroni.

papeio, vnz. p vero, lomb. pavie, sd. pavilu, vengono da pa


pyrus usato per lucignolo (2).
tonto rom. id. spg. tonto, val, tunt, da attonitus passarono a si
gnificare stupido, ebete, quindi:
intontire, sd. stontomi istupidire.
crocchia treccie avvolte dietro al capo: lmb. coci o cocogn, Vnz.
-

cocognlo, da cuculla che venne a significare ogni


cosa che copre la parte posteriore del capo. Val. cu
(l) Isidoro ricorda fra gli instrumenta hortorum anche il lupus,
il quale si quid in puteum decidit, rapit et extrahit.
(2) Cos lo sp. pabilo, e il port. pavio hanno lo stesso significato
perch col papiro formavansi i lucignoli. Il Diez fa derivare quelle
voci da pabulum, per analogia ad esca, ma le ragioni storiche stan
mo per l' altra etimologia.
5,

cuiu, vale anche cresta, cimiero, pennacchio ecc.

Crocchia presuppone una forma culeula o clucula


nata per assimilazione.
cipiglio, piglio da supercilium, come il sid. cilla da cilium pas
sarono a significare sguardo fiero, minaccioso, che
-

gi avevano nel latino popolare. P. es: Quo me super


cilio spectas? ( Plauto).

sito significa in Toscana cattivo odore, come gi in latino. In


Papia leggiamo: situs , olor malus.
sovescio in origine affine a sovversione e sovverso, ma pas
sato nella parlata contadinesca a significare la super

ficie rivoltata del campo, che in origine fu chiamata


ager Smtb versus, poi semplicemente sul versus, divenu
to poi nome, come amante, credente, credito, debi

to ecc. Da subversus si fece regolarmente sovescio


come da reversus venne rovescio.

citrullo, sic, citrolo nap. cetrulo, derivanti da citriolun (citri


um) passarono a significare uomo sciocco.
delirare in Toscana vale ancora tscir dal solco che, secondo
l' etimologia della voce, era il primo significato del
lat. delirare. Sp. leira aiuola.
ruga via; Sd. ruga nap. ruva e rata (sp. rua, fr. rue) da ruga
adoperato non nel significato di rugosit, ma in quel
lo di riga, strada che gi troviamo nelle glosse an
tiche (V. Diez, E. W. a Ruga ).
caltratrepola, sic. catatripula, sd. cadrapula sono per me al
terazionl di catapulta, di cui accennano talvolta il

significato, bench nell'uso pi moderno equivalgano


puramente a casa o mobile che cade o che mal si
regge. Gi nel lat. med. abbiamo chadabula che il
Diez riconosce nell'ant. fr. caable, pr. calabre, e che

egli ricondurrebbe al gr. zara 3o) m eversio. Ma se

67

pensiamo che catapulta era strumento di guerra co


munissimo, e che tal vocabolo serv a designare ogni
macchina diretta contro le mura nemiche per abbat
terle, intenderemo facilmente come per un passaggio
naturale, il nome della macchina venisse ad esprimer
ne gli effetti, e cos il fr. ant. caables significasse
l' atto dell' abbattere, poi alberi o cose abbattute,

donde il mod. accabler. Quanto al suono, da catapul


ta si form facilmente catatapula donde il nostro
catatrepola; quindi per la caduta di una sillaba cata

pula da cui le voci francesi e provenzali. anche


da riflettere che questo vocabolo dovette passare dal
l' Italia agli altri paesi, i quali lo ricevettero gi
alterato nella forma che ha ancora nei nostri dialetti.

cacchioni spuntoni delle penne; dal lat. cactus che una pianta
spinosa. Il suono dovuto all'assimilazione, come
in scachicchio da cachecta infermiccio.

coltro; lomb. contra o coltra, fr. conttre dinotano una parte


del vomere, ed era uno dei significati di cultor.
ciotta escremento; berg. ciotta. E la stessa voce che uscito che
negli antichi preso nel significato speciale di sterco.
Ciotta per deriva da una forma isciuta participio
di iscire (come cinteco da sciocco). Nell'antico ber
gamasco dicevasi infatti insuda, come appare dalla
glossa , stercus , insuda, di un glossarietto pubbli

cato dal Sig. Grion. ( V. Propugnatore, Maggio


1870),

buccia probabilmente da praepitcia, ma con significato molto


pi esteso. Questa congettura appoggiata da una
glossa antica in cui si legge: . Prepucia , pomorum

immundiciae quia idolis immolabantur. (V. Holtz

Die al. Gl. nella Germania, 1863, p. 397).

68

imbrecciare coprir di ghiaia; rom. brecciola, nap. vreccia ciotto

lo, non sono che forme modificate di embrice (agg.


imbriceus) con pi estesa significazione.
uggia ombra, noia, aduggiare adombrare e noiare. Per me non
che una forma poplare di ovvia e ovviare (da
obviam) farsi incontro, frapporsi, quindi dare ombra,
essere molesto. L'alterazione fonetica la medesima

che in pioggia da pluvia e in alleggiare da allevia


re. Il Diez sembra dare la preferenza alla derivazio

ne da odium, col che per non si spiega la prima


significazione di uggia che quello di ombra. (V.
Diez. E. W. a uggia ).
carapina

e scarafelo; sd. iscarpinzu; dalla stessa voce da cui il


verbo scalfire, cio da scalpere usato nel suo signi

ficato pi popolare che era quello di grattare, ec


citare il prurito. Searafelo e carapina sono forma
te per epentesi come birindello, birignoccolo, sca
racchio per brindello, ecc. Val. scarpina grattare.
manfanile, lomb. manil, da manuile (per manuale) ad espri
mere particolarmente il manico del coreggiato. Man
fanile da manuile poi manavile mavanile e pi tar

di manfanile. Lo spag. ha mangual, il port. man


goal da manualis con egual significato.
sgualembare, lomb. em. and d' sgalembar; sono le stesse voci

che squilibrio e squilibrare nel senso di andare


tortuosamente, barcollare.

bua male, pus; ven. boba, sd. nap. bua. La stessa voce che bu
bone da povgo v Anche lo sp. ha buba e bua, il
val. buba, il fr. bube.

crocciola (Chiane) vaso incrinato, coccio frammento e guscio,


umb. cocce buccie, lomb. scoss, nap. coccola guscio,

berg. cocl, non sono che derivati di cochlea e di

69

concha che anche nel latino si usavano per guscio,


tegumento. Val. ghioaca guscio. Di qui anche
scocciare rompere i gusci, scoccetto (Rigutini) giuoco dello
scocciare le ova, lomb. scus e scust, e accozzolare
sbattere i vasi, sic. accuzzari; e di qui ancora

coccia testa, rom. id., sic. cozeu, lomb. cucucia, sd. conca. spg.
coca, e cicottela collottola (da coccettola) nap. co2
zetto, Sp. cogote.
sfiaccurare rompere, abbiaccare e aggiaccare pestare; vnz. fra
cr, sic. ciaccari, nap. sciaccare, da flaccus. Anche
il val. ha flecerescu per comprimere.
Similmente anche nei dialetti non toscani troviamo:

Sic, cavagnu; lomb. cavagna, vnz. caeto (caveto); piem. caps


(fr. cabas), valgono cesta, cerba, e tale significato

ebbe nel lat. volg. cava, che nelle Glosse di Cassel


definito , putin , cio largo vaso.
Venz. nap. asola, lomb. asetta valgono occhiello, e tale signifi

cato ha il port. azelha, e aveva nel lat. volg. ansa (1).


Iomb. cadrega, vnz. carega, sic. sd. cadira ecc. da cathedra

(nel b. lat. categra ) usato volgarmente per seggiola


(fr. chaire).
Sic, miciu, nap. smiccio valgono lucignolo come il lat. myca
(fr. mche).
Vnz. susto, sd. assustu da suscitare, significano battito del cuore,

quindi spavento improvviso ecc. (2). Cfr. port. susto.


(l) Amsa o ansula era veramente pei Latini l'occhiello delle cor
reggie dei calzari. La mancanza di un' ansula fu il difetto notato
dal celebre calzolaio nel quadro di Apelle. Vedi Dizionario delle an
tichit ecc. del Rich, alla voce Ansa.

(2) Egualmente in molti dialetti chiamansi suste le molle perch


rimbalzano. Lat. suscitabula

70

Lomb. vnz. ladin significa facile, agevole, da latino.


Nap. stutare, sic. astutari, sd. istudare, vnz. destuar, che, come
attutare, derivano da tutare, passarono al significato di
spegnere il lume, e il berg. tui a quello di uccidere
(fr. tuer).

Talvolta il significato proprio conservato solo


da qualcuno dei dialetti.
sbruffo si dice ora in Toscana per sacchetto di monete, ma il
primo significato s' mantenuto nel lomb. sbrof
port. borrifar spruzzare colla bocca, da ea proflare.
stronfiare o trenfiare significano ancora respirare forte, sbuffa
re, da reflare. Invee il nap. runfare, vnz. ronfr,

sic. runfuliari, come il romancio gruflar valgono


piu propriamente russare.

cinturino venuto in toscano a significare pezzuola; in venez.


cendalina vale nastro, fettuccia, come il lat. cinctus
che per dinotava anche una specie di tunica o drap
po che copriva la persona.
pisolo sonnerello, appisolarsi dormicchiare; em. apislrs. Il
primo significato nel sic. pisuliari che significa
sospendere e nella forma avverbiale pisuli pisuli
che vale penzoloni. Anche nell'antico toscano abbia
mo pesolo e pesolone. La forma latina pensilis,
da cui un verbo pensulare. Il napol. psole soffitta

un'altra derivazione della stessa voce. da nota

re che il sic ha anche pinnicuni

da pendicare)

nel significato appunto di sonnerello.


pupa, limb. piia ,significano fantoccio, bambola; rom. pupo, gen.
papalin bambino; il mil. popla ragazza; da pupus.
scafarda o schifarda vale in Toscana piatto, vaso, dal lat. sca

7l

phium; in ven. e lmb. scafa sono venuti a signifi


care mento lungo. (1), Cfr. Val. scafa vaso.

cordesco bucello, pecora; lo spg. ha cordero agnello che il


Diez deriva dall' agnus chordus di Varrone. In que
sto caso il significato primitivo di chordus che va
leva nato tardi poi giovane, recente si sarebbe man

tenuto nel piem. cors che si applica alle biade cre


sciute tardi. (V. Fabretti, Gloss. It. a chordus).

frizzo in Toscana preso pi comunemente in significato di


-

arguzia, satira, e significato morale ha anche l' i

taliano sfregio, che pure deriva da frictio. Ma il


primo significato che quello di sfregamento, taglio
nel lmb. sfris, da cui par derivato il tosc. friso

che esprime lo sfregamento di due palle nel bigliar


do. Di qui anche il gen. fret fregare, nap. sfrittola
cicatrice e forse il tose. frinzello che per, a mio
credere, meglio si deduce da frignare, come si ve

dr pi sotto. Il senso morale che in frizzo gi


accennato nel perefricuit urbem di Orazio (Sat. I.
10. ). Cfr. fr. frotter, prov. fretar (frictare).
Talora la voce

dialettale non

trova

riscontro

che nelle altre lingue neolatine.


brucare sfogliare le piante. Il val. ha preluca luogo aperto in
mezzo alle selve. Il lat. sublucare valeva appunto
schiarire la selva, formare il lucus.
(l) Lo stesso passaggio di significato avvenuto nel lomb basia
vnz. bsola venuti a significare mento lungo, come il tosc. bassa,

che in origine probabilmente la stessa voce che bdsia vaso largo

72

grullo stolido. Lo spag. grulla ha i antenuto il primo senso di


oca, gru, da gruilla (1).

rapare tagliare i capelli; nello sp. rapar radere, e rapador

barbiere, da rapa.
vaccio (Chiane) presto... Anticamente dicevasi avacciare solle
citare. L'ant. fr. aveva vias, il prov. vivata che e
videntemente derivarono da vivacius, che trovasi

pure nelle Glosse di Cassel (V. Diez. E. W. a via


tz). Anche nell'antica versione del Rusio detto
che il cavallo se abivaza a lu cursu (si affretta al
corso ).
Ibarelle e barcelle occhiali. Il fr. ha besicles pi anticamente
bericle con eg. signif. Il lat. beryllus trovasi usato
-

nel medio evo nel senso tanto di cristallo che di

occhiali. Da beryllus il ted. brille e l'ital. barelle;


da un diminutivo bericculus il fr. bericle, e da una
forma derivata bericellus il tosc. barcelle.

Lmb. massa casa di campagna, trova il suo corrispondente nel


lo sp. masa, prov. mas, dal b. lat. mansum, che
come mansio ( magione) e mansura ( piem. masi
ra) significava dimora.

Lmb. tos, tusn ragazzo, corrisponde allo sp. tusona (sgualdri


na), prov. tos, ant. fr. tosel, da tonsus sbarbato

(secondo altri invece da intonsus coi capelli non ta


gliati; Diez, E. W. toso .

Lmb. dasmisi svegliare, da de-ex-miscere, e corrisponde allo


sp. mecer cullare nel letto, da miscere.
(1) Lo stesso passaggio di significato nell' italiano gonzo che
la perduto affatto il primo senso di oca, che nel val. gunsce, nel
prov. ganto, dall'ant. ted. ganazo. Lo spag. ganso unisce i due si
gnificati di oca e di sciocco.

73

Gen. tesuje, piem. t.Soira cisoia, corrispondono al prov. tosoi


ra, sp. tiaera, da tomsoria.

Nap. asciare trovare, sic. asciari corrispondono al val. aflu, sp


hallar port achar, da afflare (V. Cihac. Etym.
dac-rom., p. 3).
Lmb. biada, ubiadn ostie per le lettere, corrisponde al fr. on
blie, sp. ableas, port. obreas, dal lat. oblata.
Lmb. sguri pulire corrisp. al prov. sp. escurar, fr. curer, val.
curat, dal lat. ea curare.

Ma non basta raccogliere dai dialetti gli ele


menti del latino volgare; bisogna ancora raffrontare
le forme sotto cui si presentano in ciascun dialetto.
La dialettologia comparata ancora un desiderio della
scienza del linguaggio; ma quanto importi risulter
chiaro dal vedere come essa ci conduca: l. A scor

ger meglio l'intima relazione tra i nostri verna


coli e il latino volgare; 2. A meglio intendere le
ragioni della favella letteraria.

CAPITOLO III.

La dialettologia comparata
i3 Q 3se

Primo frutto di un raffronto minuto dei dialet

ti si il vedere riprodotte spesso quelle variet di


forma che sappiamo, sia dagli scrittori, sia dai
grammatici, sia dalle iscrizioni, avere avuto questo

o quel vocabolo latino. noto infatti che le voci


latine avevano spesso pi forme, bench dagli scrit
tori una venisse usata di preferenza. Dicevasi col
umba e palumba (sp. paloma), belare e balare (sp.
balar), odor e olor, labra e labia ecc. Ora non sar

qui inutile mostrare come le pi notevoli diversit


di forma di una voce trovino spesso riscontro nei
nostri dialetti o negli altri idiomi neolatini.
Siffatte variet di forma riguardano ora il suf
fisso o la composizione del vocabolo, ora il suono.
Fra le voci con differente suffisso notiamo:

Palpebra e palpetra

palpebra corrisponde all'it. palpebra, fr. paupier ecc.


palpetra al nap. parpetola, lomb. palpecia (palpetia), sp.
parpados.
Tonus e tonitru

tonus a tuono o trono, sp. tono o trueno, prov. tron, port. trom.

76

tonitru a nap. trnato, sp. tronido, fr. tonnerre. val. tunet.


calvarium e calva ( cranio )
calvarium al sd. calavera, sp. id. Port. caveira.
calva al vnz. lmb. crapa, friul. crepe. Da calva per metatesi
clava e crava, poi crapa, come fopa da fovea.
Ebrius, ebriacus, ebriolus.
ebrius all' it. ebbro, fr. ivre.
ebriacus all'it. ubbriaco, nei dial. imbriac, imbriago, sp. em
briago ecc.

ebriolus al tosc. brillo e bugliolo. Quest'ultima forma nasce


per trasposizione d'accento (come in figliuolo, fa
giolo ecc.) da una forma biriolus, donde biliolo
poi bugliolo,
Sicula, sicilis, sicilicula.
sicula all'it segolo.
sicilis al vinz. ssola, tirol. sesla, val. sce e, port sizel, sp.
cinzel, fr. ciseau (per cisel). A questa forma si

devono riconnettere pure lmb. sigs berg. sinza.


Nel gloss. berg. abbiamo:
biava.

messorium , sigez da

sicilicula corrisponde meglio al nap. serrecchia. Da sicilicula


venne sifilicula quindi silicula da cui serrecchia.
Situla e sitella

situla divenne sicla (Schuch. Voc. ecc. I. 161 ) quindi secchia,


lmb. scia, fr. seille, piem. sia (siglia).

sitella corrisponde al lmb. sedla, fr. seau (ant. seel). Sedella


gi nel basso latino (Scuch. Voc. II. 36).
Eaculus e bacillus

baculus all'it. bacchio, sd. baculu, vnz. bagolina, spg. baculo


Il berg. ha badol colla mutazione rara di g in d.
bacillus al sd. bacchiddu e bacceddu (gruccia).

77

Cincticulus e cingillum

cincticulus all'it. cinciglio (pendaglio ), portogh. cintilho.


ciugillum al sd. cingeddu. Di qui qui anche tosc. ginillo ( pen
daglio, quindi vano ornamento ) ? (1)
pipire, pipiare e pipilare
pipire o pipiare al tosc. piare, Vnz. fifar (piangere), ed a
pipa, piva, pevera (2) piffero ecc.
pipilare al tosc. pigolare, limb. piol, port. pipilar. Il sardo ha
pipiriolu per piffero.
-

Qu ricorder ancora come variet di forma ri


maste nei dialetti:

per bene (benissimo, in Plauto), tosc. per bene.


exsomniare (dissonnare in Filosseno), tosc. Sciommarsi.
supare (dissipare, in Festo), tosc. sciupare.

Altre forme dialettali, se non trovano il per


fetto corrispondente nelle forme latine conservateci,
si deducono tuttavia facilmente da forme popolari
che ci sono rimaste.

friscello (crusca volante) presuppone una forma furfuricellus

che si deduce facilmente dal plautino furfitriculae


che aveva egual significato.
(1) Devesi per notare che si dice anche gingiolo per gingillo,
talch io prenderei piuttosto quella voce come un'alterazione di cion
dolo da ecundulare come si vedr pi sotto.
(2) Pevera diminutivo di piva o pipa e significa cannello, tu
bo ecc. che manda un suono. Fu infatti anche chiamata cantimplora,
fr. chantepleure.

78

scombiccherare (scribacchiare) ci conduce ad una forma con


scribiculare che non troviamo in latino, il quale ha
per conscribillare e scribiculare collo stesso senso.
Come variet di suono rimaste nei nostri

dia

letti, noteremo:
Pediculus e petiolus
pediculus corrisp. al vitz. pecolo, limb. pici, picl, sic. pidi
cuddu, nap. pedicino.
petiolus al tosc. picciuolo, val. picioru, sp. pezon.
-

Grundire e grunnire
grumnire a grugnire, grugno, ingrognato.

grundire a gronda (nella frase far la gronda), fr. gronder.


Dulcis, dulcedo, dulcare, dulcor
dulcis a dolce, addolcire, fr. douac ecc.

dulcare, dulcor al tosc. addolcare, dolcore, prov, dolcor.


Mulcare (in mulcator) e mulcere.
mulcare (accarezzare) al tosc. lmb. Vnz. mocche ( carezze, smor

fie), sic. micheli ( cu le micheli colle buone ), sp.


remilgo e remilgarse. port. meiguices carezze.
mulcere e permulsio al tosc. smieci o smiaci, sic. mincioi. Di
qui anche smancerie (per smolcerie)

Litcare (nei composti) e lucere


lucare a tosc. licchia, luiola (scintilla da lucula), fr. berlue

prov. belluga (bis-luca ); piem. sbaluch (accieca


re), genov. abbarlug, prov. abellucar. Di qui an
che tosc. barlocchio, port. embelecar allucinare
lucere a tosc. alluciare, sd. alluzzare; berlucciare o sbilurciare

(bis-lucere); luca (sonnolenza), emil apalugs


(sonnecchiare), tosc. balogio ( assonnato ); mil. bar

79

liis (scintilla), piem. berliis, nap. lucescere e stral


lucire, lomb. straliis (lampo), val. stralucire; tosc.
a bar-luzzo (cfr. lat. ante-lucio) ecc.

E non poche variet fonetiche, che del resto


potrebbero spiegarsi colle comuni leggi della fono
logia senza che fosse bisogno di supporle gi nel
latino, trovansi ricordate come antiche

da scrit

tori e grammatici latini. Eccone alcune:


Alipes per adipes (nell'App. ad Prob. Schuch. Voc. I. 142)

e cos il sardo ha alipe ed abile, e il bergam. lef gras


so della gallina. Nell' ant. gloss. berg. leggiamo:
, adeps, alef.

sifilus e sifilare per sibilus ecc; tosc. suffilare (poi eufolare);


in alcuni dial. siflar, fr. sifler, accanto a sibilare,
Vnz. subiol (zufolo), prov. sublar, sublet ecc.

asa per ansa (App. ad Prob.) trovasi nel sd. asa, da cui i
diminutivi sola asetta, di cui pi sopra. Port. aza.
viclus per vitulus (App. ad Pr.) spiega il sd. viju e vighiu
per vitello (da viclus venne vigliu poi viu) che lo
Spano poco felicemente deduce da 3ou'duo'.

capiclum per capitulum (Schuch. I. 160) ritrovasi nel tosc.


capocchia, nel sic. capicchiu ( capezzolo ), e nel sa.
cabiju (da capigliu).
-

coliculus per caulis, rende ragione del tosc. colecchio per ca


volo; val curechint.

simus per sumus, (ricordato da Svetonio ) spiega il semo dei


Veneti, Umbri, Romani, di una parte dei Toscani,
il simo dei dial. meridionali, accanto al som dei
Lombardi, al suma dei Piemontesi, al fr. sommes. ecc.

80

mencla per mentula di un antico Glossario (Schuch. III. p. 82)


risponde al sic. minchia, sd. mincia, tosc. minchio
ne, all'antico minciabbo ecc.
Similmente trovansi ricordate come antiche va

riet belare, crepae per caprae (crape, crave ecc ,


fragellum (fragellare), nuculeus per nucleus ( nap.
gnoccolo), albeus (albuolo, albi, friul. laip ), gala
tus (galeda, galazza) per calathus, anculare per
antlare (ant. tosc. anculare far all'altalena, bician

cola ecc. ), racemari (razzumare, sp. racimar)


gracimolare ecc.
Di altre variet infine troviamo riscontro in

scrizioni o in manoscritti antichissimi, sebbene po


steriori alle testimonianze accennate. Fra le molte

ricorder come pi notevoli le seguenti:


abellus per ovillus gi nel 9. secolo (Schuch. l. 179) che ab
biamo gi riconosciuto nel tosc. abbacchio.

cloca per cloaca ( Sch. II. 516 ) che io spiegherei come con
trazione di clauca (da clavica per clavaca che
pure forma antica ) e che riscontrasi nel senese
chioca.

anolam per moram (Sch. I. 137) che si riproduce nel tosc.


remolare o rembolare (tardare).

befania per epiphania (Sch. III. 95) corr. al tosc. befana.


sungulus per singulus (Sch. II. 234) corr. al tosc. sciugnolo
(scempio, sottile).

antera per altera che si trova in manoscritti (Sch. I. 143 )


corrisp. al tosc. rom. antro per altro.

8I

occurrire per occurrere (S. I. 408) corr. al tosc. corrire, Sd.


accurrire, fr. courir.

padulis per paludis (S. I. 29) corr. al tosc. padule, sd. pau
li, Val. pedure, sp. paul.
aucio ed avicus per avica (Sch. II. 105) al tosc. ocio e lu
cio (tacchino), lmb. ooch (masch.) prov. auc.

Per contrario poi, dove anche manca ogni trac


cia dell'antica forma popolare, l'accordo di molti
dialetti in una data forma ci conduce ad argomen

tare con certezza l'antica voce popolare corrispon


dente.

Lucertola, lomb. liserta, fr. lzard corrispondono a lacerta; ma


il ven. ligoro, tirol. lugoro, ver. ligaor, accanto allo
sp. e port. lagarto mostrano l'esistenza di un anti
co lacarta.

Pulce, fr. puce, cat. pussa rispondono a pul ea cis; ma il parmig.


pluga, lomb. piilac, insieme collo sp. e port. pulga
non si possono derivare che da un antico pulica.

Plusieurs, prov. plusor, lomb. piise, ant. it. plusori ci mostra


no l'esistenza di un antico plusiores correlativo al
popolare plusimus ricordato da Varrone.
Sboriria, ven. sborgna, parmig. brugna ( ubbriachezza ) ci con

ducono ad ammettere l'esistenza di un astratto bibero


mia, (formato, come gli altri consimili, da un agget

ivo biberonius), che ritroviamo infatti nel port. beberro


nia. Di qui anche il fior. bern-ecche?

Sd. budda ventre, buddudu panciuto, ven. bodi trippone, bn


dolo grasso, emil. budriga pancia, piem. bedra id., ci
conducono ad argomentare un antico botum che nel
latino non troviamo che nelle forme diminutive bo

82

tulus e botellus budello. Da questo stesso tema de


rivano:

buzzo e imbusecchiare, bonzola (vescica del ventre), sbonzo


larsi (allentarsi), e il lomb. biiseca, ed i composti
butiione o bud-enfione (ventre gonfio ) panciuto, lomb. budenfi,

piem. burenfi, prov. boudenfl, venez. bisinfio, lmb.


businfi (buz-enfio), val. bosinflu, fr. boursouffler (1).

Ma il raffronto dei dialetti, cos largamente e


sercitato non solo necessario per raccogliere i
frammenti sparsi del latino volgare, ma ancora per
integrare e raffigurare meglio gli stessi frammenti.
Anche i modi tenuti nel corrompere le singole voci
e le singole forme diversificano secondo i luoghi,
come le alterazioni dell'insieme. Tal voce

italiana

ha soppresso una lettera od una sillaba che si


mantenuta nello spagnuolo, il quale dal suo canto
vi avr introdotto qualche altro mutamento. Convie

ne saper cercare e connettere bene insieme tutto il


materiale che in ciascuna parte ci si offre. Ora co

me lo studio dei dialetti necessario per scoprire


quegli elementi del latino volgare che non passaro
no nella lingua letteraria, cos anche necessario
per intender meglio quelle parti che l' idioma let
terario accolse. Dopo i raffronti generali delle varie
favelle neolatine fa d'uopo scendere a quelli par
(1) Il Brachet con altri etimologi francesi derivano infelicemen
te boursouffler da bourse e souffler. Per la voce valacca v. Cihac,
I)ict. d'etym. daco-rom. a bot.
)

83

ziali delle variet dialettali di ciascuna favella. Pe

rocch l'idioma letterario non abbracciando che una

parte della lingua parlata, non si potr intendere e


spiegare se non si considera nelle sue relazioni col
complesso delle voci da cui fu tratto. Troveremo
infatti, procedendo nei nostri raffronti, che i dialet
ti ci daranno spesso la conferma di ci che gi era
stato trovato, e pi spesso ancora ci guideranno a
nuovi trovati. Un' etimologia molte volte non si rin
viene che raccogliendone a parte a parte gli indizii
da pi dialetti in un tempo. Molti anni di studio
intorno a questo subbietto, dice il Diez, mi hanno
insegnato una verit che, per quanto evidente per
se stessa, non tutti acconsentono a riconoscere. Che

a giudicare con sicurezza scientifica si apre la via


soltanto colui che infaticabilmente si sforza di posse
dere appieno tutta la suppellettile lessicale della
lingua fino ne' suoi dialetti. Chi non vuol giungere
tanto innanzi non si dovr dolere che gli manchi

ad ogni passo il terreno sotto ai piedi. Non fa spe


cie quindi che linguisti, segnalati per le loro inda
gini in altri gruppi di lingue, nell' argomento delle
lingue romane diano cos spesso in abbagli. Essi
considerano questo o quel fatto in disparte, in una
determinata forma, senza averne cercato la storia

e le molteplici relazioni nello spazio.


E infatti noi abbiamo avuto occasione di nota

re altrove come le manifestazioni dello spazio siano


in ogni ordine di fatti correlative alle manifestazio

84

ni del tempo. E questo apparir in tutta evidenza


nel soggetto che ci occupa. Nei dialetti troveremo
le diverse forme per cui dov passare una voce
prima di prendere il suono che ora ha nell'idioma
letterario; cos la scala delle modificazioni dialetta
li corrisponde alla scala delle alterazioni della pa
rola nei diversi tempi. Dal volgo si odono ancora
arcaismi che non si trovano se non nei pi antichi
e pi rozzi nostri scrittori. E poich negli scrittori
noi non abbiamo che la forma antiquata di alcune
voci, i dialetti suppliscono in ci al difetto di do
cumenti antichi, presentandoci il suono primitivo di
tante parole, delle quali non potremmo altrimenti
che con induzioni poco sicure ricostruire la storia.
Daremo qui sotto alcuni esempi per mostrare
l. Come nei dialetti si trovino spesso arcaismi di
suono o di forma. 2. Come siavi corrispondenza tra
le forme dialettali e quelle dei nostri primitivi scrit
tori. 3. Come il raffronto dei dialetti agevoli e com
pia lo studio della storia della lingua, e cos la
comparazione e la storia ci servano insieme ad il
lustrare e spiegare molte voci o forme oscure della
favella letteraria.

Arcaismi di forma chiamo quelli in cui si rav


visa il tema latino non modificato n allungato da
prefissi o da suffissi. Tali sarebbero i seguenti:
Italiano

Dialetti

Pialla e piallare, dal diminutivo Sd. plana, vnz. piana e pianar,


planula.
nap. chiana, sp. plana; lat.
plana.
-

85
Spillo e spillare, dal dim. spinula. Vnz. lmb spina e spinar. Lat.
spina.
ll sicil. ha spinociu (zipolo ).
Scoiattolo (formato col suffisso Sd. schirru, sp. esquilo, lat. sciou
7'MS.
atto che serve per i dimin. d'
animali, come lepratto, orsatto
ecc. Cfr. vmz. sghirato. )
Crivello e crivellare, da un dim. Sic. crivu. sp cribo, val. ciur;
cribellum.

lat. cribrum.

Piselli.

Dial tosc. pesi, vnz bisi, fr. pois;


lat. pisum.

Scriminatura

Sic. scrima; lat. discrimen (di


visione ) I dial. tosc. hanno an
che scrimolo.

Poppattola, da una forma pupata Senese pupa, lmb. pia; lat. pupa.
(fr. poupe; aret. poppada ).
Pozzanghera da un dim. putea - Dial. tosc pozza, lmb. pocia,
vnz pocio, sp poza; lat. puteus
cula ( emil. pociacra)
usato come femminile.

Bozzolo.

Dial. tosc. boccio, da bombycius


divenuto poi sostantivo (Cfr.
baco e beco per bom-baco ecc.)

Covone.

Lmb. coeuv; lat. covus

(Schuch.

Voc. ecc. I. 178).


Crollare (lmb. crod), da corru Sd. arruiri; lat. ruere e corruere.
tulare, formato da corrutus,
come crodi da corrutare. ( Cfr.

spalla da spatula, rullo da ro


tolo ).

Destare, dal composto de-eccitare. Sd. sciddi od ischidi, nap. sce


tare, da earcitare.

Bruciare, da perustiare, come ab


brustolare da perustulare.

Sd. usciare
da ustum.

da

ustiare formato

86
Solleticare da sub-titillicare

Dial. tosc. delico dal semplice


titillicare.

Arcaismi di suono sono quelli in cui la forma


latina (che qui principalmente consideriamo ) me
glio conservata. Si distingueranno, per maggiore chia
rezza, in alcune categorie, senza tuttavia cercare
una rigorosa classificazione fonetica.
Molte volte i dialetti ci danno la voce con un

vocalismo pi intero e pi puro. Ci si verifica spe


cialmente nei dialetti meridionali, come apparir da
gli esempi che seguono.
Italiano

Dialetti

Staccio

Nap. setaccio; sd. sedazzu, lmb.


seds, spg. cedazo, da setaceus.

Prete

Nap prevete, preote; sd. preide,


piem. preive; val. preotu; lat.
presbiter e piu tardi previter.
(V. Fabretti, Gloss Ital. )

Scure

Sd. seguri val. secure; lat. securis.


In qualche dial. tosc. seguretto
per scuretto.

Orlo

Sd orulu; lat. orula

Burla

Sd. burrula. lat. burrula (burra).

Voltare

Sd avolotai; lat. volutare.

Nolo

Sd. naulu; lat. naulum

Piato

Lmb. plaita, sd. piaitu, nap. chia


jeto; fr. plaid; lat. placitum.

87
Parola

Sd. nap. paraula; lat. parabola


(donde paravla e paraula )

Masnada

Sd. masonada; sic. masunata (fa

miglia, compagnia ) da mansio


casa, famiglia,

Qui voglionsi pure ricordare quelle voci italia


ne in cui l'alterazione, bench estesa anche alle
consonanti, provenne principalmente dalla soppres
sione di qualche vocale che port poi la caduta di
un'intera sillaba e quindi l'elisione o l'indeboli
mento d' alcune consonanti. Il che si verific prin
cipalmente nelle sillabe finali.
Prezzemolo da pret semolo per Sd. pedrusimula, sic. pitrusinu.
petro-selino.
I dial. tosc. anche pitursello.
Lat. petroselinum.
Solletico

Nap. sottatillico ( ascella ) da sub


titillicare.

Cugino

Nap. cussuprino; lat. consobrinus.


( Cfr. rcio cosrin ).

Intralciare

Sic. intirlazzari, da un composto


inter-laqueare.

Cesso

Sic. secessu; lat. secessus.


-

Maciulla da macilla ( come fan Nap. macenola; da machinula.


ciullo da fancillo) e questo da
macnola.
Culla
Cece

Nap. connola; lat. cumula.


Nap. cecere, vnz. cesere, sic. ci
ciru, sd. ciociri; lat. cicer ( nei
casi obliqui cicere ).

88
Pepe (1)

Vnz. pevere, sd. pibere, fr. poivre,


lat. piper (nei casi obliqui pi
pere).

Anche le consonanti trovansi nei dialetti

me

ridionali meno indebolite, amando tanto il napole


tano che il siciliano di preferenza le consonanti forti.
Per la natura poi del loro vocalismo essendo meno
comuni gli accozzi delle consonanti, sono anche pi
rare quelle forti alterazioni dei vocaboli, che ne
rendono totalmente oscura l'origine. Diamo qui al
cuni esempi di voci in cui meglio conservato il
suono primitivo delle consonanti.
Nap celso, sic. ceusa. Lat. cel

Gelso
-

sa (2).

Redina

Nap retena; lat. retinae.

Fegato

Sic. ficatu, nap. fecato, val ficat;


lat. ficatum ( jecur ).

Spada

Nap. spata; lat. spatha.

Bottega

Nap poteca; lat. apotheca.

Cavezza

Nap capezza; lat. capitium.

Dito, ditaIe

Nap. discitu; sd. dighidale; val,

deget e degetar; lat. digitus e


digitarium.
(l) Spiego cece e pepe come nati da cecere e pepere per inde
bolimento della vocale finale a cui succedette la caduta di rche ri

maneva in fine di parola.


(2) Chiamavano i latini celsa per celsa morus il sycomorus. In
Isidoro leggiamo: Sycomorus... hanc Latini celsam appellant.

89
Che

Rom. ched, nap. ced; dial. tosc.


ched; lat quod.

Come

Vnz. comodo; lmb. comod, cmita:


friul. cemud; lat. quomodo.

Piviale
Ghiro

Sd. pluviale; nap. chiuviale; lat


pluvialis.
Nap. galiero; berg. gler; lat glis.

Aja e ajuola

Nap. aria da area (b. lat. aria .

Gomitolo

Nap. gliuom mero; lat. glomus ris.

Ne

Sd. nde, ma p. ndi; lat. inde.

Intero

Vnz. intrego; val. intreg; lat in


teger.

Quaresima

Nap. quatragesima; lat. quadra


gesima.

Nelle voci seguenti i dialetti evitano lo scam


bio della consonante che nella voce letteraria.
Sedano

Vnz. seleno, Imb.elar, sd. sella


ru; lat. selinum.

Nibbio

Sic. miula; lat. milvius.

Paffuto per papputo)

Vnz. papoto, da pappa.

Argine

Vnz. arzere, lat. agger.

Chiedere

Friul ciri, val cere; sp. port.


querer, fr qurir; lat. quaerere.

Perucca

Sd. pilucca; sp. peluca; da pilus.

Guaina

Nap vaina; lat. vagina.

Ghiera

Lmb. vnz. vera, nap. veroletta


lat. viria.

Pantano

Vnz. paltan da palta; lat puls, tis

90

Similmente le due voci greche:


Orma

Vnz. lmb. usma, nap. uosima


e osemare, sp. husma. Gr.
doun

Fal

Vnz. sic. fan. Gr. pavg


-,

In alcuni dialetti poi minore l'alterazione pa


latale. Vedremo a suo luogo come la i palatale ten
da ad assibilare od a schiacciare il suono che pre
cede, massime se gutturale o dentale. Alcuni dia
letti procedono pi avanti nell' alterazione palatale,
altri meno. Il sardo quello che per questa parte
ha meno corrotti i suoni latini e che riproduce l' an
tica pronunzia romana anche dove tutte le altre
parlate neolatine se ne sono grandemente discosta
te. Cos il sardo ha mantenuto la gutturale davanti
ad e ed i dove gli altri dialetti fanno sentire una
sibilante od una palatale. Cos in sardo abbiamo
kelu, kesva, cariasa, lughe, hera per cielo, cespite,
ciriegia, luce, cera, ed ora fuori di dubbio che
la pronunzia sarda corrisponde all' antica pronunzia
romana. (1) Anche rispetto alla dentale a contatto
coll'i il sardo, dopo avere ondeggiato con un suono
che partecipava del palatale, (2) fin per dare la pre
valenza all' elemento dentale. Altri dialetti poi re
(l) Corssen. Aussprache, voc. ecc. Vedi alla pronunzia del C.
(2) Delius Der sardinische Dialekt im dreizehnten Iarhrhun
derte, Bonn, 1868.

9l

sistono meglio all'intacco della palatale sugli altri

suoni, come sulle liquide o sulle sibilanti. Quindi


per questa parte gli esempi di arcaismi dialettali
sono innumerevoli. Ci restringeremo ad alcuni sol
tanto.

Sd. quirca e quiricare cerca e cercare ( quiricare da quaerere);


putu pozzo (puteus); piatta piazza (platea); ammortiare ammorza

re (da morto); pittinnu piccino ( b. l pitinnus); mandiare e man

digare mangiare (manducare); approbiare approcciare (da propiare,


val. apropiu. lmb. a prv ); pappardedda pizzardella (da pipio; dial.
tosc. pappardella;) aviu, avia aio, aia ( avius, avia). Nap. pesone

pigione (pensio); nap. vmz. presone prigione (prensio); nap. vnz.


fasolo fagiolo (phaseolus; cfr. val. fasola, cat. fasol ecc. ); sd. cosire,
nap. cosere; sic. cusiri e cusutu (lat. consuere e consutus; b. l. co
sire; val. coasere e cusut, sp port. coser) ecc.

E parimenti per l'accennata corrispondenza tra


e manifestazioni del tempo e quelle dello spazio
troviamo nelle scritture dei secoli XIlI e XlII

se

taccio e setacciare, fasoli, segure, presone, masi


nata, paraula, ched, pesi (piselli ) ecc.
Da ci risulta

evidente come

la

storia della

lingua letteraria tragga sussidio dal confronto delle


forme dialettali, e come, nella ricerca dell'etimolo
gia di una parola debbansi prendere in considera
zione le varie forme che ha preso s nel tempo che

nello spazio. Con siffatto metodo soltanto potremo


scoprire l'origine di molte voci oscure della favella
letteraria. Daremo qu alcuni esempi.

92

cozzare, dar di cozzo Il Diez deriva cozzare da coictiare,


ma le forme coccia, sic. cozzu capo, accozzolare
sbattere i vasi ecc. mostrano che cozzare altro non

significa se non batter la coccia, e cos dar di coz


zo equivalere a dar di capo.

catapecchia Questa voce non pu separarsi dalla voce


catatrepola che ha egual significato. Gi abbiamo
veduto come da catapulta si formasse catapula che
trovasi nel b. lat. cadabulum e nel fr. caable.

Da

catapula per cambiamento di suffisso deriv cata

picula (cfr. bericulus da beryllus) donde catapec


chia. ll passaggio dei significati il medesimo che
in catatrepola e nello spg. cadabulo taverna.

a bizzeffe La forma di questo avverbio parmi riceva la sua


spiegazione dal confronto colle voci butifione, bisen

fio, val. bosinflu ecc. che vedemmo derivare da bud


o buz e da inflare. In toscano e in sardo infatti ab

biamo buzzeffe per bizzeffe. Questo avverbio signi


ficherebbe dunque in origine a ventre pieno, o a
saziet. Il lombardo dice infatti semplicemente a

boss cio a panciate, e il sardo a buddusciu da


budda ventre, e negli scrittori troviamo a bottino
che vale a saziet.

basto e bastardo Queste due voci non si possono scompa


gnare da basacchi, bastaccone, bastrighe, bastagio
ecc. che abbiamo visto derivare da bastagia, basta

garnus ecc. (gr. paordi o portare). Basto era dun


que il peso o la soma, e bastardo il somiero o il
mulo. Lo scambio dei significati il medesimo che
in mulo e mulatto. Nella Tavola Rotonda trovia
mo appunto bastagio nel significato di mulattiere.

Cfr. anche l'antico perugino bastrice parte del ba


sto (Archivio stor. XVI. 2. 597), spg. bastage, cat.
bastaa ecc.

93

sollucchero Il nap. 'nzuocolo ci conduce ad una forma

diminutiva in ulus, e il modenese safugla, infelice


mente derivato da saginicula dal Galvani, ci condu
ce ad un diminutivo salivicula da cui saliucula (v

in u davanti a consonante come nello spg. ciudad


da civitate), quindi da una parte saiugla (per sa
ljugla) e dall'altra sollucchero mutato a in o da
vanti ad l come nell'antico solasciare per salassa
re, e il suffisso ulus in ero, secondo le leggi della
fonologia toscana, come si vedr pi sotto.
ghiribizzo Il nap. verrizzo ci conduce a beridio, che
metatesi di rebidio per arbitrio. Nelle antiche scrit

ture senesi troviamo infatti rebidio per arbitrio. Da


rebidio pi tardi ghiribizzo per trasformazioni rego
lari che avremo occasione di dimostrare pi sotto.
strisciare e sdrucciolare Il

toscano

ha strusciare da cui

strusciolare poi sdrucciolare come si mostrer al

trove. Strisciare poi trova spiegazione nel sd. liscighi


nare, venz. sliceg, evidentemente formato da lisciare
con una sintensiva. Da liscio si fece slisciare, da cui

per evitare l'incontro di s ed l, strisciare, come


sclavo (poi schiavo) da slavo, e come vedemmo
formarsi strambello da slambello. Ci confermato

dall'antico aggettivo striscio per liscio che trovasi

nelle cronache perugine (Archivio storico, XVl. I.


314). Il lomb. inserisce un b e fa sbrisi.

gavetta funicella. Il limb. ha gav fune, il vnz. cavo o cao, iden


tici collo spag. cabo, e col fr. cable, dal lat. capu
lum laccio, fune. Il diminutivo in venz. schiavete

(capulete poi clabete), in modenese scavetta, che

ci danno ragione dell'italiano gavetta. Dalla stessa


origine it. scapolare liberare, sd. iscabulliri, sp. e
scabullirse ecc.
v

94

ronzare Il sardo ha rodiare e arrodare, ed anche la frase


andare arrodia arrodia, il vinz. ha rondar, e cos
il fr. roder e lo sp. rodear, tutte voci che mostra
no come l'italiano ronzare derivi da rotare (ron
djare poi ronzare).

pottiniccio e impotinicciare rattoppatura e rattoppare. Il nap.


dice puntiare, il vnz. ponciar e pontignar che ci
conducono alle forme punticare e puntinare dar dei

punti, cucire. Pottiniccio dunque alterazione di


puntiniccio.

piuolo; il nap. dice pirolo, il lmb. bir, il parmig. pingol, e il


portogh. prego chiodo. Tutte queste forme si spie

gano col lat. epigrus piuolo (1).


a randa all'orlo; sd. arrasu, lmb. a ras corrispondono al b.
lat. ad radium che volle dire fino all' orlo ( ad ra

dium tinae ad plenam tinam; Ducange) da ra


dius che valeva anche virga mensorum. Ma il piem.

rand scolmare, il sd. raidu scolmato, mostrano che


vi fu confusione col verbo radere, intendendosi col
la frase a randa il punto in cui i misuratori di

grano radono via dalla giusta misura il soperchio.


badare e sbadigliare; il sardo pandicin ci conduce al lat.

pandiculari riferito da Festo per oscitare, e ci fa


credere pure che il semplice badare aprir la bocca,
altro non sia che alterazione di pandere, mutata la
conjugazione, e confusa la radice con altra affine

(l) Epigrus voce greca usata dai latini per pacillus, sudes, cla
vus ligneus. Altra forma era epiurus. Nel gloss. pubb. da Hille brand
leggiamo: - Pessuli pieri, clavi lignei. L'Hillebrand non intende la

voce pieri e vorrebbe sostituirvi ferrei, ma parmi chiaro non essere


quella voce che un'alterazione di epiuri cio piuoli.

95

cio con patere. Intatti sbad, sband, sbandana


sono tutte voci usate nell'alta Italia per aprire (1).
drappello ll Sardo dropeddu corrispondente al port. e spag.
tropel ci conduce ad unire drappello con truppa
non con drappo. Infatti troviamo anche nelle scrit

ture antiche troppello o treppello per drappello.


Quanto all' etimologia di truppa V. Diez. E. W. a
tropa.
stoviglia Il sardo ha tistivillu che ricorda il lat. testum o

testa vaso di terra. Stoviglia starebbe per testuilia


formato da testum come vettovaglia da victualia

formato da victus. Nei Bandi Lucchesi leggesi infat


ti stivillio.

tranello Nei dialetti chianaioli e nel napoletano si pronun


cia trainello e cos scrissero nel trecento. Ci con

duce a derivare tranello dal lat. transenna fune,

laccio, rete, inganno. Da transenna venne il dimi


nutivo transinellus che mut regolarmente in trasi
nello poi traginello e irainello. Nella versione del
Rusio chiamata ancora traginello la fune con cui

legavasi una gamba ai puledri. Il testo latino ha


transmellus, ma dev'essere corruzione dei copisti
(l) Il Diez che propone varie congetture intorno ai verbi badare e sbadigliare comuni a tutte le lingue neolatine, sembra inclinato
a credere badare un onomatopea ( quasi baare) e sbadigliare il suo
derivato. Ma egli non cita il lat. pandiculari, da cui non si pu
scompagnare sbadigliare, e che ci mostra l'affinit originaria di
badare e di pandere. Probabilmente accanto a pandere esisteva pan
dare, da cui badare, che certo appartenne al latino popolare, giac
h ha gran numero di derivati in tutte le lingue neolatine e tro
vasi nelle pi antiche glosse per oscitare.

96

per transinellus (1).

Ma i raffronti complessivi dei dialetti non ba


stano. Nel seno stesso di ciascun gruppo di dialetti
sorgono tante variet di una stessa voce quanti so
no i sottodialetti e le parlate del gruppo medesimo
e bene spesso la voce pi comune o che ha pene
trato nelle scritture quella pi remota dal suo
suono primitivo mentre per contrario la forma pi
antica giace confinata in qualche oscuro dialetto. Di
qui il bisogno dei raffronti delle stesse variet di
ciascun gruppo. Conviene seguire il linguaggio nel
vivo del suo trasmutarsi ed avere dinnanzi agli oc
chi tutte le forme intermedie e gli anelli per cui
pass ciascuna voce prima di riuscire alla forma che
ha prevalso nell'uso generale. Di ci ci fornir am
pio prova il raffronto tra la nostra favella lettera
ria, e il gruppo dialettale che ne il fondamento,
vale a dire il gruppo toscano.
(l) L' una pede de retu cun fune de lana, che vulganamente
se ne dice tragimelu, se leghe. Ruscio, Trattato di Mascalcia ecc
Bologna 1867 C. XXIII.

97
CAPITOLO IV.

I dialetti toscani e la lingua letteraria

La lingua dei nostri scrittori tratta senza dubbio


in gran parte dall' uso toscano. Perci il raffrontare
e l'illustrare le sue voci con quelle dei dialetti di
Toscana servir a far vedere come i dialetti di uno

stesso gruppo si diano lume a vicenda, e come sia


impossibile intendere e spiegare le parti oscure
della lingua letteraria, senza tener conto delle sue
relazioni coll'uso parlato.
Qualunque sia la norma che lo scrittore segue
nella scelta del ricchissimo materiale offerto dai dia

letti, evidente che i criteri dell'arte differiscono


da quelli della scienza. Una voce pu parere eletta
e suonar bene allo scrittore e non essere

di alcun

aiuto all'etimologo, agli occhi del quale avr invece


maggiore importanza un rozzo vocabolo dell'uso po
polare che il letterato rifiuta. Egli bens vero che
tra l'uso parlato e la lingua scritta il vincolo
molto stretto, e che lo scrittore studia di confor
marsi coll' uso che corre di mano in mano; ma do

vendo egli ancora attendere a fermare ed a fissare

la lingua, non pu secondare tutti i capricci della


moltitudine. Lascia indietro anch'egli ci che vieto,
scambiandolo con ci che pi dell'uso e del gusto
7

98

universale; ma non accoglie e non consacra che un


certo numero

di

voci e

di

maniere

nuove.

L'uso

letterario esclude ad un tempo il rancido arcaismo


e lo scapigliato neologismo. Il suo carattere consiste
appunto in un certo temperamento tra l'antico e il
moderno, tra l'uso e la tradizione. E naturalmente
in siffatta scelta, condotta secondo la sola norma del

gusto e dell' opportunit, fa difetto molto spesso il


vincolo ed il criterio scientifico. Manca l'arcaismo

che solo pu dar ragione della voce nuova; mancano


le forme secondarie e intermedie che congiungono

un vocabolo coll'altro. La catena delle parole spesso


interrotta, perch molti degli anelli andarono per
duti nella elezione. Abbiamo verbi con

uno

due

tempi; voci derivate nelle quali impossibile scer


nere il legame colle loro radici. I fenomeni infine

sono disgregati e non si riducono che molto imper


fettamente ad un ordine scientifico.

Affatto opposti sono i caratteri dell' uso parlato.


Il popolo obbedisce parlando al solo impulso del
sentimento; e per ogni impressione e per ogni nuova
disposizione del suo spirito, crea nuove parole o mo
difica le antiche, perch meglio consuonino colle nuove
condizioni psicologiche. Cos i neologismi si molti
plicano; ogni giorno nascono voci, forme, maniere
nuove. Dai vecchi semi si sviluppano con crescente
fecondit sempre nuovi germogli. E tuttavia fra tan
te innovazioni l' arbitrio non ha alcuna parte. Di o

99

gni mutamento si pu dare la regola; tutto mira


bilmente legto e coordinato. Noi possiamo, per cia
scuna alterazione, seguitare nei dialetti la catena
delle forme intermedie dalla primitiva alla pi re
cente. Perocch non da credere che i nuovi elementi

nella favella del popolo escludano totalmente gli


antichi. Mentre la lingua delle persone colte, che
pi non sentono certe sottili differenze, si allegge
risce di mano in mano di molte

voci

antiche come

di inutile fardello, il popolo vuol far distinzione colle


parole di ogni sfumatura dei concetti e dei senti
menti, e in cambio di sentirsi impacciato, si giova
abilmente delle ricchezze del suo vernacolo.

Ed

tanto pi fedele alla tradizione del linguaggio, come

a quella dei costumi e delle credenze, quanto pi


lontano dal movimento della civilt. Talch que

gli arcaismi che in presenza delle nuove parole cad


dero eziandio dall'uso dei volghi delle citt, si veg

gono durare ancora tra le genti del contado come


piante tenacemente radicate nel suolo. Cos l'uso
popolare presenta ambedue gli estremi. Spessissimo
udiamo insieme nello stesso vernacolo le voci pi
viete e i pi arditi neologismi.
Ci forma il vero contrasto tra l'uso parlato e

l'uso letterario. Il primo come il suolo vergine


che liberamente si espande nella svariata ricchezza

de' suoi prodotti; la quercia secolare si eleva ac


canto agli arbusti ed agli sterpi. L'altro come il

100

campo lavorato e coltivato; tolta via l' esuberante


vegetazione, e la produzione vien regolata e misura
ta dai bisogni dell' uomo.
Ora come studiare, se ci limitiamo ai campi
addomesticati dalla coltura, le variet delle piante;

come mostrarne le somiglianze, l' ordine naturale,


le propriet, le influenze ? E il medesimo si dica
del linguaggio. L' idioma letterario una scelta,
cio una parte dell'uso parlato, e la parte non si
pu intendere se non se ne veggono le relazioni col
tutto. Lo scrittore prende spesso il vocabolo nello
stato ultimo a cui l'ha ridotto la

naturale

trasfor

mazione, segregandolo dal moto e dalla vita; e ce


lo rende inesplicabile abbandonando gli arcaismi che
ce ne mostrano la storia, e trascurando le voci af

fini che ci mettono sotto gli occhi i gradi d' alte


razione pei quali dovette passare. Lo studio dei
vernacoli invece ci riconduce nel giro della vita e
ci presenta il vocabolo accompagnato da tutte le sue
forme secondarie e correlative.

Scendendo adunque a considerare i dialetti toscani


cercheremo di mostrare come molte voci della lin

gua scritta si spieghino con arcaismi popolari; come

lo studio dei mutamenti che avvengono di giorno in


giorno nella lingua parlata diano ragione di molti
fenomeni della lingua scritta; e quanto giovi a ben
intendere la formazione di molte parole, il raffron
tarle colle voci correlative dell'uso popolare,

10]

Ecco alcuni esempi di voci della lingua scritta


che hanno spiegazione in arcaismi popolari.
g r u cc i a I Sanesi dicono croccia ed chia
ra l'origine da cruce a.
c o m ign o lo I Lucchesi hanno colmigno,
gli Aretini colmegna, evidentemente da culmineus.
c i l i e gi a A Siena saragia, a Lucca cera
gio da ceraseus, (sic. cirsa).
foggia e sfoggi a re A Siena forgia e
sforgio dal fr. forge e forger (fabrica e fabricare).
g o z z o A Lucca gargozzo da gurges, donde
poi gorgozzule.
spi e ci a re (zampillare) In Arezzo spiscio
lare e spiscioro (zampillo),donde si vede che il voca
bolo viene da pisciare che probabilmente di ori
gine onomatopeica. Dalla stessa radice venne anche
pispino che vale zampillo, e pisciarotta per fontana (1).
r a b b e rc i a re Si dice

ancora in

alcuni

luoghi ravversato nel senso di ravviato, raccomoda


to, ridotto a verso ecc. donde venne rabberciare,

come rivercio (a Siena) da reversus (rovescio), scar


ciume da scarsume ecc.

s d r u sc i re Il popolo dice ancora sdricire

evidentemente da tritire (render trito, logoro) come


strusciare da tritiare. (2)
(1) Spicciare da spisciare come accetta da ascietta, come
in toscano biacciucone da biasciucone. Anche in occitanico lou

San pisso significa il sangue spiccia.

(2) Quanto all'alterazione della dentale davanti all'i si con

I02

b r u l i c a r e Si usa ancora

bulicare

cio

bullicare da bullio. L' r inserita come in brumasto,

(bumastus), sprimacciare (spiumacciare)ecc.


s c a r a v e n t a r e Si dice ancora nello stes

so senso attraventare e nell' umbro strarentare. Il

sardo similmente ha trabentare, e nei dialetti set

tentrionali si ha stravnt e scarvnt (vento impe


tuoso). Donde evidente che da traventare o stra
ventare venne scraventare poi scaraventare. Avven
tare vale scagliare al vento, scaraventare o stra
ventare lanciare oltre il vento (trans-ventum).

tra m b u st o, tra sm e ti o I dialetti to


scani hanno trapesto, tre besto, trepesto, trebisso
collo stesso significato, da tra-pestare (far rumore
coi piedi).
g us ci o Questo oscurissimo vocabolo spiega
to dai dialetti che hanno ancora gallessa nel senso di
baccello. In molti dialetti infatti si usa guscia per
baccello ed anche per buccia. Il primo significato
per era quello di guscio di noce. Galliciola (pro
babilmente detto cos dalla nua gallica) definito
da Placido: corteo nucis juglandis.
b a g n o Viene da balneum n ha bisogno di
commento. Ma il latino aveva un'altra forma pi antica
che era balineum (da Bahareio), e questa forma ri
masta nell'aretino baregno (luogo del bucato).
frontino attorcigliare da attortigliare, spiaccicare da piatticare,
abbazia da abbatia, ecc.

103

b a l e n o, b u l e n a re L' aretino ha ancora

balecenare che un'alterazione di baluginare, e va u


nito coi tanti verbi derivati da lucere col prefisso bis (1).
Di qu barlucciare, poi sberluciare o sbiluciare, a
barluzzo (ai primi albori), poi a bruzzico, balusante,
e il milanese barliis (scintilla), il piem. berlus, e
posteriormente baluginare, o sbaluginare, appalig
ginare (2), abbaluccicare, ecc. Baluginare significa
passar via come il baleno; veder sbaluginare un
oggetto vale vederlo appena, di fuga, in distanza.
Da baluginare venne poi baleginare e balenare come
in Sardo da allucinare e allucere si fece alluinare

e alliri, per la stessa legge per la quale da regi


na, logica, vagina si fatto reina, loica, guaina. I
dialetti settentrionali si sono serviti del verbo sem

(1) La particella bis accompagnata con altra voce prende le


forme bar berba ecc. Cos da bisdosso bardosso, da bis-lumen
(sp. vislumbre) barlume, da bis-lua fr. berlue, da bis-lungo fr.
barlong. Unito a voci che significano visione, il bis venne ad
esprimere un vedere doppio, come di persona losca, poi un vedere
torto, imperfetto. Quindi di bis e lua o luca l'ant. fr. bellugue,
prov. beluga (scintilla), prov. abellucar, piem. sbaluch (accecare),
tosc. barlocchio (mezzo cieco), e cos sberlucciare, barluzzo ecc.
Parimenti da bis e vue fr. bvue (svista, sbaglio), da bis e luren
(guatare) lomb. bar-lirn da (losco), bis e luscus lomb. balosc; ecc.
(2) Appaligginare per abbaluginare, dal significato di veder

confusamente ha preso quello di pisolare (v. p. 93). Similmente


da abbalucciare (em. apalugs) venne balogio che vale sonno
lento.

104

plice senza il prefisso bis; ed hanno lesn e losn


da lucinare per lampeggiare. Il milanese con altro
prefisso ha stra-liis per lampo (l).
Talvolta l'arcaismo non di suono ma di forma,

vale a dire la lingua parlata offre la voce semplice,


mentre nell'uso scritto si d preferenza alla derivata.
g o m i t o lo Il lucchese ha ghiomo, molto
pi accosto al lat. glomus.
p i u o l o L'aretino ha pio da piro (lat. epiu
rus o epigrus).

le z z o A Lucca si dice leto (sudicio di sterco)


lomb. leda, da oletum (stercus humanum) che trovasi
in Festo. Lezzo viene da una forma derivata oleticum.
s ci o r i n a r e In alcuni dialetti sciorare che

corrisponde pi davvicino ad eac-aurare (stendere


all'aura). Parimenti il lomb. ha sor, l'em. arsurdr,
il sardo sciori (ostentare) il fr. essorer.

Altre volte le forme dei dialetti, quantunque


non pi antiche, ma semplicemente correlative, spie
gano la voce della lingua scritta.
sci a tto L'aretino ha sciadatto evidentemente

da ea -adaptus; il che ci avverte che sciatto viene


da eacaptus.
s c i l i n g u a g n o lo I dialetti hanno sollin
goro da sublingulus, e questo fa vedere come scilin
guagnolo venga da sublinguaneus.
(1) L'etimologia di baleno da 6s Asuvov, oltrech il significato
non corrisponde bene, devesi porre da banda perch trova ostacolo
nelle leggi fonetiche.

105

s c a p o lo La lingua parlata ha incabolare

che vale ingannare, tirar nel laccio da capulum


(laccio); il suo contrario era scapolare che antica
mente significava trarre dal laccio, quindi liberare,
donde scapolo che volle dire libero, e pi moderna
mente sciolto dal laccio matrimoniale.

Ma il maggior utile che offre lo studio dei ver

nacoli, quello che si trae dal vedere la lingua


modificarsi e trasformarsi ogni giorno in forza di
quelle stesse leggi che in et anteriori produssero
nelle voci e nelle forme, che furono poi ammesse
nella favella letteraria, tutti i mutamenti che ora ne

rendono oscura l'origine. Cos il presente misura


del passato; e l'osservazione di ci che accade ogni
d sotto ai nostri occhi, ci scorta a meglio inten
dere e spiegare quei fenomeni la cui origine da
rintracciare in et talvolta molto remote. Ci risul

ter manifesto dagli esempi che facciamo seguire.


I. ETIMoLoGIA PoPoLARE.

Il popolo ama rendersi ragione del vocaboli di


cui si serve nel discorso. Quando una voce gli suo
na oscura egli pare ingegnarsi di trovarne l' orgine, e
spesso, senza avvedersene, altera il suono della pa
rola per accostarlo a quello dell' etimologia suppo
sta. Non intendendo il vocabolo greco anatomia, lo
converte in motomia, come se fosse derivato da noto,

106

dice gangola per glandola deducendo la voce da go


la; da mozzina (lomb. mozina, lat. modium) fa mez

zina quasi una mezza misura; paragauda (specie di


veste, lat. paragauda) diventa paraguai, quasi veste
da parare o coprire i guai; epiphania diventa be
fana, aggiungendovisi l' idea del disprezzo e della
beffa.
Questa stessa inclinazione che si scorge nel po
polo pu spiegare la formazione di varie voci della
lingua scritta, che piegarono sensibilmente dal suono
originario:

s m a n i g li a fu creduto derivare da mano an


zich da monile;
l a tt o v a r o

da latte anzich da electarium o

electuarium;

gr a gnu o l a da grano anzich da grandula;


p u g n a l e da pugno o impugnare anzich da
pugionalis;
fi a ta da fiato anzich da vicata (come via
da vices, fr. fois), associandosi quella voce colla frase
d'un fiato, tutto d'un fiato (in una volta);
-

tre m u o t o

da tremare

anzich

da

terrae

motus,
i n t r a l c i a r e da tralcio anzich da intral
lacciare,

v e d e tta da vedere anzich da veletta ( sp .


vela da vigilia);
in c a n t a re o m e tt e r all i n c a n t o da

107

canto e cantare anzich da in quanto; (prov. en


quant ed enquantar);
a lt a l e n a da alto anzich dal semplice tol
leno;

p a l a fren o o p a r a fr e n o da parare e

da freno anzich dal basso lat. paraveredus poi pa


rafredus;
tu sc i re per escire da uscio anzich da earire;

c o n g e gn a r e da ingegno anzich da concin


mare;

n e g rom a n t e da negro anzich

dal gr.

vexgoudva ug (l).

n o v a n t a da nove anzich da nonaginta;


F o ss o m b r o n e

da Fossa e Ombrone

anzi

ch da Forum Sempronii.
A questi vocaboli vanno uniti quelli in cui il
popolo soppresse l' l iniziale credendo che fosse l'ar
ticolo. Anche questa una specie di etimologia po
polare. Il popolo lascia quell'elemento della parola
che reputa non formar parte della radice, dicendo
astraco per lastrico, aberinto per labirinto, ombrico
per lombrico, orbaco per lorbaco (lauri bacca),
orolegio per lororegio (lauro regio) (2). Per contra
(1) Gi nel latino volgare i vocaboli greci si acconciarono al
suono delle voci latine da cui il popolo li credeva derivati: dgsiyahxog

in aurichalcum, y) vxvogusa in liqueritia (da liquere), ododr


dgov in lorandrum (quasi da laurus) ecc. V. Schuchardt,
Op. cit. I, p. 37.

(2) Non manca esempio di un n iniziale soppresso perch

108

rio poi avviene anche che il popolo, vedendo la let


tera l dell' articolo costantemente unita con alcune

voci, finisce per crederla parte indissolubile del vo


cabolo, e si avvezza a dire lamo per amo, lellera per
ellera (fr. lierre egualmente da illa-hedera), lacca
per areca

Con ci abbiamo sicuro argomento per affer


mare che a v e l l o deriva da labellum (diminutivo di

labrum), u si g n u o l o da lusiniola, a z zu r r o
dal pers. lazvard (lapis lazuli), a m b rost o l o o
a b rost i n e ( specie d' uva) da labrusca, o tt o n e
da lotone (latta) (1).
II. AssIMILAZIONE.

A queste cause d' alterazione, si aggiungono le


tendenze, che pi propriamente si possono chiamare
fonetiche. Fra queste noteremo anzitutto la tendenza

all' assimilazione. Il popolo ama spesso ravvicinare

nel suono le varie parti di un vocabolo, sia repli


cando una consonante od anche un' intera sillaba,
come pi frequentemente ha luogo nel principio delle

parole; sia assimilando le vocali, come pi spesso si


verifica per le ultime sillabe. Cos egli dice cinci
scambiato dal popolo coll'articolo indeterminato un. P. es. occone
in Arezzo significa colpo, percossa, e viene da noccone cio colpo
dato colla nocca.

(1) Lo spagnuolo ha laton, il fr. laiton, e parecchi dialetti


italiani loton.

109

gnare o incincignare per incignare da encaeniare (l),

cincischiare per accischiare o incischiare (tagliuz


zare da acisculus = parva ascia), cicciolo per sicciolo
(pezzetto di carne, da insicium), salciccia per sal
siccia (salinsicium), ciucciare per succiare (suctiare),
e cos: appipito per appetito, gnegnero per ingegno,
gnene per gliene, gonga per glande, gingioli per
ciondoli, e nei nomi proprii: Cencio per Vincenzo,
Cice per Felice, Ghigo per Federigo, Gigi per Lui

gi, Nanni per Giovanni, Nena per Maddalena, Me


mo per Guglielmo, Bobi per Zanobi, Pippo per Fi
lippo, Peppe o Beppe per Giuseppe ecc.
Nello stesso modo si formarono:

t a rt a ru g a per raddoppiamento da tartuga


(prov. tartuga fr. tortue da tortuca o tartuca);
t a rt u fo per raddopiamento da tuber (sardo
t varo);

p i p is tr e ll o per asssimilazione da vipistrello


(vespertilio);
z e n d a d o per assimilazione da sendale.

Molto pi frequente l'assimilazione delle vocali:


c a n a p a per canape da cannabis,
(1) Encaeniare dall'uso ecclesiastico pass nell'uso comune
e significa adoperare per la prima volta, rinnovare, e si usa
pi specialmente parlando di abiti. Anche questo significato per
abbastanza antico giacch troviamo in glossari medievali: Si quis
nova tunica induatur, encaeniare dicitur V. Hildebrand, Gloss.

p. 169. N. 92.

I 10

p o p on e per pepone da pepo;


r og n on i per regnoni (ant. fr. regnon) da ren.
E in simil modo esente per esento da escemptus;
d op o da depo (de-post); s o rc i o da sorice (sorea);
s c o rn o da scherno (teut. shrn); a n g io l o per
angelo; c o n solo per console; foro s et t a perfo
resetta (forensis).
Alla tendenza ad assimilare si deve

eziandio

lo scambio delle desinenze ero ed ere (lat. arius),


come in cavaliere da cavaliero (caballarius), corriere
da corriero, foriere da foriero; e quello delle de
sinenze ero, oro, ono (dal lat. erunt) dei perfetti
dei verbi: diedero, diedoro poi diedono, fecero fe
ceno feciono, misero misoro misono ecc. non che
l'aggiunta della desinenza no ai pronomi elli ed elle
(eglino, elleno) per assonanza colle terminazioni del

le terze persone del plurale dei verbi con cui s'ac


compagnano costantemente: eglino dicono per elli di
cono, elleno amano anzich elle amano e cos via.

III. ALTERAZIONI FoNETICHE.

Altre mutazioni provengono dal pervertimento na


turale dei suoni, che la vera sorgente delle tra
sformazioni del linguaggio.
Il cambiamento ha luogo nelle vocali o nelle con
sonanti.

ll l

Le vocali vanno principalmente soggette a in

debolirsi ed a scomparire quando non portano l'ac


cento acuto. Quindi udiamo nelle bocche del popolo
toscano: pricolo invece di pericolo; crecchi per ca
recchi ( carezze ); trappiare (troplare) per trape
lare; crettare per crepitare; catombolare per capi
tombolare; cazzotto per capezzotto (anche scapez
zotto); scamossare per capomozzare; scamoccolare

per capomoccolare, scatizzare per capotizzare; ca


tella (estremit, bandolo) per capitella; bruzzico per
barluzzico; Giapo per Giacopo, Betto per Benedetto,ecc.
E con la perdita delle vocali cadono spesso per in
tero le prime sillabe: strinare per ustrinare (ustri
num); veggio per laveggio (lebeticum ); giglia per
argilla; gubbio per ingubbio ( ingluvies ); limo per
bulimo; pannare (bucare) per trapanare (da tra
pano); chiella da loquella; tellina (nicchio) per mi
tellina (mitulus); trasto per contrasto; tarsa perma
tassa; tavia per tuttavia ecc.

Ma di uso antico e generale sono le voci che


seguono, nate da troncamenti simili a quelli che il
popolo va facendo ogni giorno:
d o z z i n a da dodicina; n e tt o da nitido; s a l d o

da solido; c o n t o da cognito e da computo; s cr e zi o


da secretio; sp a r a r e da separare; o sta gg i o da
obsidaticum; c at a st o da capitastrum; c a m uf
fa , e da capo-muffare; c al p e stare da calce
pistare; s a la ss a r e da sangue-lassare (laacare). E

Il 12

in principio di parola: pe c c h i a da apecchia ( a


picula ); b a d i a e b a d i a l e da abbatia e abba
tiale; resta, res c a o l is c a da arista; sc 6 l t a

da ascolta; st at i c o da obsidaticum (come ostaggio);


m a sc o n d e r e da

inabscondere;

b a c o da bom

bco (bombya ); t e n z o n e da contentio; mentre


da domentre (duminterim); re z z o da orezzo (au
reticum; nel ticinese aurizi ); M a s a c ci o per Tom

masaccio; G i otto per Ambrogiotto ecc.


Le consonanti vanno parimenti soggette a sva
riate alterazioni. Molto comune nel toscano la me

tatesi; ossia la trasposizione delle consonanti, e in


ispecie delle liquide, come in cioltellora per lucer
tola, strubbiare e strumare per sturbare, lucciola
per ulcera, marachella per macherella, glieciro per
gracile, squarquoio per squaqueroio, lappore per
palpore (palpebre ), cidlo per dlico, scilivato per
civilato ( civile, delicato ), braido per rapido, cen
dralina per cilandrina (slandrina), gaveggiare per
vagheggiare, cofaccia per focaccia, straccurato e
stragura (donde dragura) da trascurare ecc.
E similmente nella lingua letteraria scop
p i a r e viene da scloppus; fi a b a da fabula; fi a
s c o da vasculum; c h io ma da comula; frug a r e
da furca; for b i c i da forceps; c r o c c hi o da

cerchio; m a dor n a l e da matronale; le n a da an


helare; p io pp o da populus; sol le t i c a r e da
subtitillicare; s i n g h i o z z o da singultus ecc.

l 13

Altri mutamenti fonetici di ancor pi incerta


natura sono quelli che il popolo introduce nelle voci

per renderle pi unisone al sentimento ad all'immia-.


gine che esso ha della cosa che vuol significare. Vo
lendo esprimere un rumore, procura che la parola
faccia una medesima consonanza colla cosa, obbedendo

allo stesso impulso del poeta quando cerca l'armonia


imitativa. Cos nacquero le voci ci gol a re ( sibila
re), b o rb o tt a re (balbitare), fru l la r e (ted.
wirbeln, ing. chirl), b e la r e da balare. Similmente il

popolo per significare il fiotto del fumo, pone in vampa e


in vapore l'aspirazione che quasi tutte le lingue hanno
nelle parole che esprimono la stessa idea, e dice
banfa e bafore; e cos ha fatto dindonare da tin

tinnare, burburo da mormorio, ciciorare da susur


rare, squaquera da caccola (lucch. cccaro), stroscia
e strosciare da troscia (detto dell'acqua), chiocchio
lio per chiocciolo, pispino da spisciare, piaccichiccio
(poltricchio ) da paltichiccio; e talora aggiungendo
qualche suono, p. e. r (per esprimere rumore conti
nuato) o s(rinforzativo o spregiativo), fa trono e
tronare da tono e tonare, pispola per pippola o pep
pola (da pipilare), sninfia (donna deforme) da ninfa,
sbraitare da braitare, come in italiano tr o mb a da

tuba, fr o mb a da funda, b ru l i c a r e da bulli


care, str a gran d e da tragrande, sbuffa r e
da buffare, sm a n i a da mana, ecc. E non conten
to di questi mutamenti, crea non di rado seguen
8

l 14

do la stessa tendenza voci nuove, come aonco ( sforzo

del vomito), grillettare ( sobbollire dei liquidi), fru


sciare (rumore delle foglie), impappinarsi (intaccare
nel discorrere ), come in italiano b is b i g li a r e,
c h i a c c hi e r a r e, z i t to, e tanti altri.
Pi notevole troviamo nei vernacoli la tendenza

al neologismo, se esaminiamo i mutamenti nati da or


ganica trasformazione dei suoni. Le leggi sono sem
pre le stesse nella lingua letteria e nei dialetti, ma

il popolo le applica inesorabilmente via via anche


alle voci che la scrittura ha fermato. Lungo sarebbe
dimostrare questa verit per tutte le minute leggi
della fonologia italiana; baster per il nostro assunto

che ci fermiamo sopra alcuni punti principali.


I mutamenti organici si possono distinguere in
semplici scambi, o in veri pervertimenti e indeboli
menti dei suoni.

Gli scambi hanno luogo, nelle voci italiane, quasi


esclusivameute tra suoni della stessa natura; liquide

con liquide, labbiali con labbiali ecc. Solo l'influenza


della s pu produrre lo scambio delle labbiali e delle
dentali colle gutturali, come in s c o g li o per spoglio,
l is c a da arista, b is c h e r o da pestulum; (1) ed
(1). Pessulum non pestulum avverte Caper nel trattato
De verbis dubiis (p. 2249, 25 del Putschius). Il glossario pubblicato
da Hildebrand spiega pessuli per clavi lignei, cio piuoli di legno

che appunto il vero significato della voce italiana.

l 15

inversamente a m b r o s to l o da labrusca.
I dialetti invece ammettono siffatto scambio ol

trech per influenza di s, come in scola da spola, ab


bruscare da abbrustare, scaraventare da straventare,
busca e buschetta (fuscello) da fustis; anche per
effetto di assimilazione: gangola per glandola, sghen
go per sghembo, agghingare (donde la frase esser
in ghingheri) da agghindare, ghinghellare (donde
ghinghollozzo altalena) da dindellare (l).
Frequentissimo in italiano e continuo nei dia
letti lo scambio delle labbiali (p, b, f, m, v, ) senza
che, come nelle gutturali e nelle dentali, si possa
ravvisarvi una

costante

tendenza

all'indebolimen

to (fuorch tra p e b).


F si scambia con p in banfa, bafore, cifotte (oc
ciput), farabolano, stefito (stipato); con b in bici
ne (rete, da fuscina) e buschette (fustis); come in
italiano: s c al fi re (scalpere ), p a ffa e p a f

fu t o (per pappa e papputo), b u fa l o da bubalus,


b i o c c o l o da floccus.

M. con b in borborare per mormorare, con p in

inzipillare (da in-stimulare), come in g o m it o (cubi


tus), v e rm e n a (verbena), se r m o l l i n o (ser
pillo ) ecc.

(1). In ghinghellare il primo d fu alterato per influenza del


l'i, ed il secondo per assimilazione. In menehero, bachera, micca
da meta (lat. meta ) e in altre voci simili ci fu influenza palatale.

l 16

V con p in rave e diravare da rupe e dirupare,


e con b continuamente: busica e vessica, billera e

villera, boce e voce, capegli e cavegli, cova e cu


parella (cupa), come in italiano: -c o o a re (cubare ),
g a b b i a (cavea), r i b al t a re (rivoltare ), b a r
c o ll a re (variculare), b a r e ll a re (varulare),
n e rb o e nervo ecc.

Non meno continui sono gli scambi delle liquide


le quali si alternano anche con d che serve d'anello
tra esse e le mute.

D ed n In ital. l a m p a n a e la m p a d a,

p e r'n i c e da perdia; e nei dialetti sceda per scena,


dimicare per nimicare, (lat. mercenarius da merce
darius).

D ed r In it. c hi e d e r e (quaerere), fi e
d e r e (ferire) e a rm a d i o (armario); e in toscano:
coresto per codesto, disipola per risipola, guastada e
anguistara (lat. meridies da mediaies).
D ed l In ital: e l l e ra ed ed era, b u ss o
l o da p/ais, idis; e in tosc: pidicello per pilicello, tre
spolo e trespide, ciaie (Cortona) per ciglia, (Tat. olor
-

e odor).

N ed l In it. a l m a da a n i m a, G i r o l a m o
da G e r o n i m o, p a n t a n o da paltano; e in tosc:
calocchia e canocchio, caneggiola e calleggiolo, manin
conia e melanconia, pampalona (foglia larga) da panpi
no, antro per altro, gensumino e gelsomino, bolginello e
boncinello ecc.

I 17

R ed l Questo scambio il pi frequente e il


pi facile. Gi il latino alternava, nella terminazione,
alis con aris, secondo che nella sillaba precedente si
udiva un ro un l (cruralis da crus e naturalis da na
tura, ma militaris da miles), e diceva caeruleus per

caeluleus. L'italiano egualmente per dissimilazione


ha fatto p e ll e g r i n o da peregrino, al b e r o da ar
bore; e il toscano fece lezzora e rezzola da retiola. E

lo scambio pu aver luogo anche tra r e ll, come in


c o r i c a r si da collocarsi, e nel tosc. camarone (bue

o cavallo alto) da camellone, e sparacciato (scollato )


da spallacciato. Il suffisso del diminutivo (ulus)
muta in alcuni dialetti toscani comunemente in uro,

oro od ero: bamboro e bambolo, pillura, pillora


pillola, sguattolo e sguattero, donnaccola e donnac
chera ecc. L'italiano similmente ha d a tt e r o da dat

tilo, n a s tr o dal teut. nestilo, pozzanghera per pozza


cola ( puteacula). E questo spiega l' r che precede il
suffisso

ello in

alcuni

diminutivi

italiani. L'antico

olo trasformato in ero perdette il suo valore diminu


tivo, sicch fu allungato con un secondo suffisso ello.
Da foculus venne fochero poi focherello, da macula,
machera poi macherella , da mateola matterello
ecc. (l).
(1). L'affinit dei suoni red l tale che l'un suono chiama
dopo di se l'altro. Si dice snerlina per snellina, ingazzurlire e
ingazzullire, e in italiano si fatto mandorla da mandola, urlare
da ululare, durlindana da durindana.

118

Tutte le accennate alterazioni, sebbene non sfug


gano ad una cotale incertezza e difficilmente si
adattino ad un severo ordinamento scientifico, non

accadono tuttavia senza alcune norme generali. Il


pi delle volte vi predomina la tendenza ora ad as
similare, come gi fu notato, ed ora a dissimilare,
come quando si fuggono le ripetizioni poco gradevoli

di qualche suono, per esempio di rin rado da raro,


pellegrino da peregrino, contradio da contario ecc. (l).
Talora vi si scorge la cura di fare il suono pi spe
dito, come quando nelle sillabe finali viene sostituito
il suono scorrevole di r a quello pi pigro di l, o
quando si accorciano le parole sopprimendo le vocali
indebolite dall' acuto. Ma codesta cura di allegge
rire e di semplificare il suono pi che altrove ri
gorosamente regolata nella graduali trasformazioni
organiche delle mute, e nelle norme che governano
gli incontri e le combinazioni dei varii suoni, nel
che consistono pi propriamente le leggi fonetiche.
Qui abbiamo una scala determinata che i suoni re

golarmente percorrono, affievolendosi a poco a poco


e poi dileguandosi. Le consonanti forti (p, c, t,) di
ventano deboli (b, g, d), e delle deboli l'una cade
direttamente (d), le altre due si trasformano nelle
semivocali (v, j) che comunemente si perdono, fuor solo
pochi casi in cui per un processo inverso esse tor
(1) Cos forse in casipola per casicola.

119

nano in mute (d e g). Ed anche queste, permutazio


ni, bench cos bene determinate, sono nei vernacoli
plebei pi sensibilmente e pi estesamente svolte che
nella lingua degli scrittori. Del qual fatto daremo
qui sotto alcuni esempi.
L'indebalimento delle consonanti forti ci d:

t = d, c = g, p = b Come gi in ital: - g ra
c i d a r e da crocitare, b o tt e g a da apotheca ,
sg o r b i o da scorpio, a n n e g a r e da necare,
m a lg r a d o da malgrato, ga b in etto e sg a
b u zz i n o dalla stessa radice da cui cap-anna ecc.,

e cosi nei dialetti - quiderno (quinterno), bergamina


(pergamena ), bibbio (uccello di palude da pipio), ar
rughire ( da roco), fadiga, dragura (stracura da tra
scurare), inzebbare ( inzeppare), mbaco (opaco),
ingabolare (da capulum), e cos sbraidare, agumin
ciare, guasi, guatto ecc.
Delle consonanti deboli il d cade direttamente.

Quindi la m p a da lampada, m o n n a da madonna,

ran ci o da rancido, torb o da torbido, Trento da


Tridentum ecc., e nei dialetti: aescare ( adescare),
frazio (fracido), merie (meridies ), paraguai (para
gauda ), ecc. Le altre due si trasformano nelle semivo
cali che poi scompaiono: habeban poi aveva avea ed
in qualche dialetto aea; habetis avete, aete, ate (fio
rentino). Di qui tutte le forme irregolari dei tre verbi
avere, savere (sapere ) e dovere. In alcuni dialetti,
come nel fiorentino, la caduta del v spcialmente tra

120

due vocali, generale. La debole g si muta nella


spirante j che quasi mai non rimane. Da lucula fu

fatto lugola poi luiola (anche licchia scintilla). Cos


lienda da legenda, fiura da figura, aliusta da locusta,
sanali da sagginali, come sa e tt a da sagitta, re
in a da regina, di t o da digito, v e n ti da vi
ginti ecc.
Le semivocali possono alla lor volta tornare in
mute; j in g come in tragh e tt a r e da traectare,
e come nel fior: egghi da ei, cogghi da coii ( di cui

pi sotto), e vin b, come gi si veduto, ed in g. Onde


abbiamo p e b in v poi in g. pipilare, pipolare e pigolare
(colla caduta di v, piolare); sebum, sevo e sego; si
bilare, si volare poi cigolare; cos il toscano ha lagoro,
nugolo, sciogro (per sciovro da sciopro), golare
(volare), stegola (stiva ), vigogna (da vivogna, modo
di vivere), e molti altri.
Anche r pu cadere tra due vocali:- tosc. pio da
piro (pirolo), gumea e gumiera da (vomere), chiaveo
(Cortona) per cavaliero, papo da papiro; e in ital.:-de
so e desiro, trinciera e trincea, prua e prora ecc.

L'alleggerimento dei suoni determina pure in


gran parte le leggi degli incontri delle consonanti.
Generalmente quando due suoni s' incontrano, l'un
d' essi o si affievolisce e cade o si assimila all'altro.

Ci limiteremo, per esser brevi, al solo esempio della let


teral. Questo suono o precede o seguita ad altri suoni.
Quando l la seconda lettera del gruppo come in

121

cla pla ecc., l' alleggerimento pu aver luogo s nel


primo che nel secondo dei due suoni. Pu indebolire

il primo se gutturale, trasformandosi in palatale,

poi fondendosi con l (cla e gla in jla poi la cio


glia), come in v e g li o veclus), sp e g li o (spe
clum ) ecc.

Negli altri incontri, e spesso anche in contatto


colla stessa gutturale, si alleggerisce la liquida sia

mutando in r (ubbrigato per obbligato), sia divenen


do semivocale o vocale (j od i ), come in pianta
chiave, vecchio, specchio (cla poi clia e chja), quan
do non scompare del tutto (cavicchio da clavicula).
Le differenze tra la lingua letteraria e i dialetti
provengono spesso dalla diversa via tenuta nell'alleg
gerimento dei suoni. Da glarea si fatto ghiaja, ma

in qualche dialetto anche agliaja; da glomus venne


gomitolo e ghiomo, da glandola si fece ghiandola e

gangola. Nella pronunzia volgare per la soppressione


intera della liquida pi frequente: catro da cla
thrus, gubbio da ingluvies, battolare da blaterare,
bachera da blattea (piattola).
Se la liquida precede, pu similmente o affievo
lirsi trasformandosi in vocale (aittro per altro, saig
go per salgo), od assimilarsi e confondersi col suono
che segue. In ital, abbiamo: b u tt a r e da pultare,
b u ss a r e da pulsare, so d o da soldo per solido, mota

per molta, comignolo da culmineus, e nei dialetti:


utimo per ultimo, butolare per voltolare, puce e

122

pucino per pulce e pulcino, abbergare per albergare,


scappucciare da scalpicciare (scalpitiare), accoppare
per accolpare ( da colpo ), pota (polenta) e pattona
de puls, tis, mattello (argilla) per maltello, mammoc
chiaja (coriza) da malmuculario, soggo per solco,
voggolo per volgolo.
In quei casi in cui la prima delle consonanti non
assimilabile alla seconda, si fa uso talvolta dell'as
similazione inversa accostando il secondo suono al

primo. Da st nasce alcuna volta so ss o zz. Gi

nell'antico italiano abbiamo: z a n c o per stanco, p u


zul e (nel Rusio) per pustule, e si m o per estimo, e
in seguito a z z i m a r e da aestimare (lomb. stimse)
grezzo da agreste, e in toscano: rubizzo da rubesto
(non da rubeus), trebisso e tre besto, strambusso
(cortonese) per trambusto, fuzzico da fustis (sardo
fustigu ), puzzura (fuscello) da fustula, inzigolare
da instigolare, inzipillare ( stimolare) da instimulare,
stazzonare (palpeggiare) da tastonare.
Un' altra forma tutta speciale di assimilazione

quella in cui la vocale tende ad accostarsi al suono


della consonante colla quale in contatto. Ciascuna
consonante, secondo l'organo con cui vien pronunziata,
ha maggiore affinit con una delle vocali principali.
Le consonanti labbiali sono pi accosto al suono u

(ed al suo affine o ), perch questo pure determi


to dalla posizione delle labbra; ond' che le vo
cali precedute o seguite da suono labbiale si con

123

vertono spesso in u ( o pi specialmente davanti a

m). In ital: fu c in a da officina, fu ci l e per focile,


p u lire da polire, m u l i n o da molino (mola),
rub e ll o da ribelle, uffici o da officium, u b
bri a c o da ebriacus, sc i u p a r e da scipare (dis
sipare ), l um a c a da limaac; e nel toscano: bus
sica da vessica, buzzeffe per bizzeffe, butolare da
voltolare, funire per finire, ombuto per imbuto, ro
masuglio per rimasuglio, romajolo da ramajolo, e
nel cortonese: puchino, furestiero, buglico (bellico)
supillito, puisie, scuprire, lumico (nemico), ecc.
Vi sono per altro alcuni fatti che sembrerebbero
contrariare codesta generale tendenza ad alleggerire
il suono, e sono le non rare aggiunte di nuove let
tere sia nel principio che nel corpo delle voci. Ma
anche in questa, considerando bene, non si pu ve
dere che una conferma della stessa legge. In fatti i
suoni aggiunti sono o la liquida r, o le due nasali n
ed m, o la silibante s, cio i suoni pi dolci ai quali
il toscano d manifestamente la preferenza, e che colla
loro naturale scorrevolezza aiutano la pronunzia delle
mute e ne temperrano la durezza. Cos vediamo che
per non cominciare la parola con una muta, le vien
prefissa la sibilante: - s m a n i g li a (monile), sgu a r
d o, sp o rt e l l o da portello, stornello da ri-tor
nello, ecc. E per evitare nel mezzo delle voci
l'immediato trapasso dalla muta alla vocale, vi si in

terpone una liquida (n, m, o r) che, nella scala dei

124

suoni, stando tra le mute e le vocali, serve a to

gliere alla pronunzia ogni durezza. Le nasali con

giungono la muta colla vocale che precede, la liquida


r con quella che vien dopo.
Quindi come in ital. si fatto C a m p i d o g li o da
Capitolium, la n t e rn a da laterna, re n d e r e da
reddere, cos in tosc: angonia da agonia, ambacare da
abbacare, bnzola (vessica del ventre) da buzzo, ln
tora (pillacchera) da lutum ecc.

E par contrario parendo nel mezzo delle voci


troppo ottuso il suono delle nasali, si accompagnano

colle mute rispettive. In tosc.: - sembola per semola,


cambera per camera, cimbice per cimice, cambellotto
per camellotto, tendero e cendere per tenero e ce
nere, e nel cortonese: insambela (insieme) da insi

mul, fiambe per fiamme; come in ital: gr e m b o


(gremium ), g a m b e r o ( cammarus ), a r r e m
b a g gi o da remo, r i m b u rc h io e b u rc h i o
da remulcum, e pi anticamente a c c o m b i a ta

r e, in s e m b u l i (insimul), in g o m b o rare (in


cumulare ), ecc.

La liquida r al contrario si pospone alle mute


di qualunque ordine, principalmente nelle sillabe i
niziali e finali ehe sono le pi debolmente pronunciate;
il che prova che l'effetto di siffatta aggiunta di
alleggerire ed agevolare il suono, non di rinforzarlo.
Dopo labbiale: fuzzico e fruzzico, fisci e fru

sci, infuscato e infruscato, pispola e prispola, spac

125

care e spraccare (stare a gambe aperte) donde a

spracchicchio ( a gambe larghe), bugliolo e bruglio


lo (bulla), combuglio e scombreglio (Cortona), spon
da e spronda (id.). Dopo gutturale: ghignare e sgri
gnare, allegare ed allegrire (detto dei denti). Dopo
dentale: mantice e mantrice, gesti e gestri, tocco e
troccolo, codione e codrione (degli uccelli), bastaco
ne e bastracone, reticina e ritrcine, tonaca e tron

neca (Cortona), stuzzicadenti e struzzicadenchie (id.).


Similmente in italiano: b r u m a s t o da buma

stus, sp r i m a cc i a r e da piuma, frust a da


fustis, i m brogli a r e da im-bogliare ( da in-volve
re, come scombreglio, confusione, da combuglio, e
questo da convolvere), p o lt r i c c h i o da puls tis,
reg i s tr o da regestum, a n i t ra da anas tis,
b a l es t ra da balista, sch e le t r o da ozekeros,
s cr a n n a da scamnum, e pi anticamente cilestria
le, valentre, scientre ecc.

E tanto ci conforme al genio della pronunzia


toscana che quando un vocabolo comincia colla sem

plice liquida, vi si prefigge non di raro una muta.


Da ranocchio si fa granocchio, brezza da rezza (o

rezzo), da rullo (rotolo) crullo, da ricciolo gricciolo,


da racimolare gracimolare, da ragnolo gragnolo,
trenfiare (respirar forte) da reflare (l). Cosi si for
(1) Il lombardo ha ronf (russare), similmente da re-flare.
In Virgilio, En. IX: toto proflabat pectore somnum.

126

marono le voci italiane a gg r i cc i a re (per gric


ciare ) da ricciare (rizzarsi delle chiome, poi abbri

vidire) (l), donde g r i cc io l o (brivido, e a g gro


v i gl i a r e da ravvogliare ( nap. aggravogliare).
E ci che prova che la muta in questi casi non
sta che per agevolare la pronunzia, servendo al suono
della liquida, si il fatto che la muta prefissa tolta
indifferentemente dalle labbiali, dalle dentali o dalle

gutturali. Da rotolare e ruzzolare si fatto attrot

tolare e druszolare, e dai derivati rociolo e ruzzolo


si fatto truciolo o bruciolo (rotolo di legno pial
lato) e gruzzolo ( rotolo di monete ), e da rullo (ro
tolo o cilindro ) crullo. Similmente si alternano le

forme criocca e triocca, aggrancolito e abbrancolito,


ecc. (2).

E quindi eccezionale e ristretta a qualche dia


letto l'interposizione di una vocale tra muta e liquida,
come in maghero, pighero, furicare (frugare); e
solo divenuta di uso generale in principio di alcuni
vocaboli per tendenza all'assimilazione, replicandosi
tra la muta e la liquida la vocale della prima sillaba.
Si dice birignoccolo e brignoccolo, birindello e brin
dello, ingarabullare (ingarabugliare da gra-vollare)
(1) Confronta l'arrectae comae di Virgilio, e il raccap
pricciare

similmente da caporicciare,

(2) Cos da Oericulum venuto Otricoli, e nel basso latino


da cathedra deriv categra da cui cadrega. V. Schuch. Op. cit.
I. p. 159.

127

carabattole da grabatulum, palancola da planca,


como le voci italiane: sc a r a v e n t a r e da straven

tare, sc a r a c c hi o da eccreaculum, g h i r i b i z z o
per gribizzo da rebidio (arbitrio) (1), c a l a b rom e
da crabro, c a l a p p i o per clappio da capulum.
Per ultimo da considerare una forma tutta
speciale di alleggerimento che fu per sua natura fe
condo di maggiori conseguenze perch riusc ad un
vero pervertimento dei suoni, voglio dire l'interpo
sizione della semivocale j tra le consonanti e le vo
cali. Questa semivocale interposta non per sempre
un suono nuovamente aggiunto. Pi comunemente

non che la trasformazione di i aggiunto al tema


come vocale formativa con altra vocale a lato (aglio
cio alio da allium). Come semplice addolcimento
interviene spesso dopo le liquide l ed n massima
mente quando sono raddoppiate o accompagnate con
una muta (clamare poi cliamare o chiamare); meno
frequentemente dopo le altre eonsonanti.
La semivocale cos nata o aggiunta non lascia
quasi mai il suono che precede inalterato (come in
fiaccola e fionda da facula e funda), ma d occa
(1) Rebidio per arbitrio si legge negli Statuti Senesi. Da
rebidio venne gribizzo (dj = 22 come in mezzo, da medius), poi

ghiribizzo. Parimenti da arbitrario deriv rebidiario da cui biz


zarro. V. la voce rebidio nello Spoglio delle voci e maniere
che seguita alla pubblicazione degli Statuti Senesi dei secoli XIII e
XIV, fatta da F. L. Polidori, Bologna 1863.

I28

sione ad una serie di mutamenti

che

nei dialetti

possiamo osservare quasi grado per grado nel loro


formarsi.

Quando la semivocale j si sviluppa dopo le mute


ne nasce un suono palatale (ci o gi) che non n
ti n chi, ma pu convertirsi nell' uno o nell' altro
e dare anche origine ad un suono o dentale o gut

turale. In questo primo grado di alterazione palatale


udiamo nei dialetti il suono ondeggiare fra chj (o
ghj) e g (o dj): chiave e tiave (da cljave), chie
sa e tiesa (da ecclesia), tiepido e chiepido, diaccio e
ghiaccio, stioppo e schioppo, fistiare e fischiare,
scheggia e stiezza, stiantare e sch i a n t a re (da
spiantare) sch i u m a e stiuma (da spiuma per
spuma), schiasimarsi (da spiasimarsi per spasimarsi),
chiatto per piatto, chioppo per pioppo, sberchiare
(da sbertiare per sbertare), pacchiare (da pappiare
mutato anche in sbaffiare) per pappare ecc. Anche
l'i semplice pu produrre le stesse alterazioni, sia

direttamente, come in picchino da pittino (pitinnus),


s c h i d i o n i da spidioni (teut. spit spiedo), sia al
lungandosi in ie o je, come in cortonese:-tucchie per
tutti, sanchie per santi, ricchie per ritti, e proba
bilmente nell'it. s c hi e n a da spina (cfr. bieco da
oblico).
In seguito determinandosi pi chiaramente il
suono e dileguandosi la semivocale, ne nasce o una
gutturale o una dentale Da scarabocchio si fece sca

129

rabotto (per scarabottio), da lucula (scintilla) lic


chia e lutta (per luttia), e cos butterato da buche
rato, e probabilmente buttero da buculus, ribotta da re
potia (l). Per contrario si svilupp la gutturale in chioc
cola (chiocciola, da cochlea ), in s c o c c a r e da
schioccare (cfr. ted. gloche e fr. cloche campana), e nelle
voci seguenti, in cui l'influenza della vocale e provo
cando l'alterazione palatale, pot mutare la dentale in
gutturale: bachera da blattula (piattola, per batiera
o bachjera); (2) menchero da mentula (minchione);
nachero da anatula ( anatrotto) e pacchera e impac
cararsi, da pappja, micca da mitja (lat. meta) (3).
(1). Pi che in ogni altro dialetto comune questo fatto nel
sardo in cui da platja si fatto piatta, da setacjus sedattu. Nel
sardo antico udivasi un suono di mezzo espresso con th, da cui

nacque ora la dentale ed ora la palatale schiacciata o la sibilante.


Platha, fatat per platja, facjat ecc. Nicolaus Delius, Der
Sardinische Dialect des dreizehnnten Iahrhunderts, Bonn 1868.

(2). Similmente il lombardo bagola (pillacchera) viene da


blattula, giacch blattea, oltre al significar piattola, era voce

popolare che, a dire di Festo, valeva appunto pillacchera (-bulla


luti ea itinere contracta - Forcell. ). Bgola viene da blattula

come bagol ( cianciare) da blaterare (emil. batol, tosc. bat


tolare). Il Ducange trova in un antico glossario italico la stessa
voce blatea spiegata lo strazo de calze. Da blatea probabilmente
braita e imbrattare.

(3). Anche nei dialetti francesi davanti ad e ed i la dentale


si trasforma in gutturale: pouquer per porter, rque per arte

ecc. (Schuch. Op. cit. I. 159). Nel Macedo-valacco il plurale di


9

130

Ma il pi delle volte l'intacco palatale porta


ai suoni schiacciati (c, g') od all'assibilazione. Dal
tema pit (fr. pet-it ) venne spitto, spittare, p i c co
l o (pitiolo) e picchino, ma poi anche p i cc i o l o,
sp i c ci o la re e p i cc i no (sardo piticu e piz
zinnu ); da cochlea venne cocchia, coccola (testa) e
chioccola, ma poi c o c ci a, c o z zo e chi o cc i o
la; da caritiae prima crecchi (carecchi) poi c a re z
ze; e cos da piatto chiatto e ciatto; da pianta
s c h i a n t a re e cianta (pianella); da pipio bibbio
(uccello di palude), pappardella e pizza r d el la;
da sapiens s a p i e n t e e s a c ce n t e, da stlata

(genus navigii) sciatta, ciatta e z at t e ra, da metia


micca e meggia, da sementia sementa e semenza ecc.
Quando la semiv. j provenga da un i formativo
e quando abbia solo valore di addolcimento non
sempre facile a distinguere. Formativa p. e. nei
verbi frequentativi come c a c c i a re (captiare),
st r i z z a re (ea trictjare, lomb. straci ), stolzare
(balzare, da tollutjare), e in molti sostantivi ed ag
gettivi come bugio o buso (vuoto, da vudjo, lat.
vuidus, per viduus, sardo sbuidu, ant. fr. vuid ),
vulpe, lupu, orbu, corbu vulki, luki, orgji, corgji (Ascoli,
Studii Critici, II, p. 74). Il Schuchardt spiega in tal modo lo scam
bio frequente di ci e ti nel latino seriore ammettendo tra c (k) e
a e ts i gradi intermedii cj e ti (Op. c. I. 164). V. anche Corss
en, Auspr. Voc. ecc. 2.t Aufl. I. p. 49 e seg., e Diez, Grammatik
der rom. Spr. Bonn, 1870 p. 249.

I31

rozzo (da rudjo per rude), cencio (da centius per


cento) ecc.

In alcune voci contribu al pervertimento pala


tale la tendenza all'assimilazione, come in agiagino
per adagino, gingioli per ciondoli, ciaccia, per stiac
cia ecc.

In altre infine si scorge la sola tendenza a


raddolcire il suono. Quindi pricciaqua e prett' acqua,
rotolare, rociolare e ruzzolare, brontolare e broncio

lare, tritolo e triciolo, attrottolare e druzzolare,


pattume e pacciume, pantano e panzana, ballotte e
balloccie, scavitolo (cavillo ) e scavizzolare, coiattolo
e cojazzolo, brendoli e brencioli, babbeo e baggeo,
babbano e baggiano, e in ital.: p e n z o la r e, r az
z o la r e (radulare), razz e n t e (radiente), a r -

z e n t e ( ardente), c a p e z z o l o ( da capitolo,
cfr. capitignoro, e ant. lomb. cafdel ), fr o n z ut o
v e r zu ra, b a ch e roz z o l o (da bacherottolo, cfr.
tosc. becarotto) ecc.
Similmente sviluppasi il suono palatale dopo la
sibilante, specialmente se doppia: petrosciolo per
pettirosso, cascione per cassone, smusciare per smus
sare, a sfracascione (senza garbo, da fracassare ),
ecc. Quindi dalla sibilante palatale si passa alla pa
latale schiacciata: ciarpa e sciarpa, fuciacca e fu
sciacca, strucio (lacero ) da strusciare, biacciucone
da biascicare (blaesus), a cc e tt a da a s ci a, c e r

n e c c hi o da discerniculum, accerpellato (stracciato)

132

da discerpere, b i cc i a c ut o (per bisciacuto) da

bis-acutus, ciucco o giucco e sciocco da esucus,


ci o n d o la r e (per sciondolare ) da ecundulare,

sdruc ci o la r e probabilmente da strusciolare, ge


micare da sciumicare (ea -humicare stillare ), bician
cole (bisancole altalena), ecc.
Dopo n la semivocale j gener il suono gn (cio
nj sp. n', ). Quindi gneve, gnucca (nuca), gnacchera

(nacchera ), gnebita (nepitella), e a Cortona gnido,


pegna, gnutile, ecc. come g n 0 cc o da nucleus, g n u
d o, m u gn a j o (mulinaio), p a g n ott a ecc. E sif
fatto schiacciamento ha luogo anche dopo nd: gnamo
per andiamo, come v e rg o gn a da verecundia,
B o rg o gn a da Burgundia, frignare da frendiare
(frendicare), g rag n u o la da grandjula (grandula,
fr. grle) (l).
Parimenti da l e massime da ll abbiamo il suono

palatale gli (cio li ), da cui per crescente schiac


ciamento ji ed i (2). Quindi: ll =gli in argiglia, coro
glio ( corolla), svegliere, bugliolo (bulla ), fagliare
(fallare), spagliare (spallare traboccare ), t o gli e
(1) Della trasposizione della palatale, tanto frequente in altre
lingue, non trovo che un esempio in painella da pania.
Quanto alla mutazione di ndj in nnj ne abbiamo in latino un
esempio in grunnio che nell'uso comune si era sostituito a grum

dio. V. Brambach Die Neugestaltung der lateinischen Ortogra


phie, Leipzig, 1868, p. 271.

(2). Diez. - Op. cit. I. p. 208.

133

re (tollere), p i gl i a re (pilare), q ue g li (quelli),


g a r b u gl i a re ( cfr. tosc. ingarabullare), sc a
gli o n i (scaloni) ecc. Ma poi anche l o ll = j ( da
li): ingollare, sgogliare e in g o j a re; dimollare
e dimoare, aio ed agli o, m a j u o l o e m a gli u o
l o, s c om b u j a re e combuglio (confusione), p o ja
n a da pulla. E in seguito li o gli e i (da ji): vuoli,
vuogli, vuoi (da vuoji), egli ed ei (eji), gli (illi) ed i
(ji). In qualche dialetto la j nata da li torna in ghi.
In fiorentino si dice quegghi per quegli, egghi per
egli, scegghi per scegli, cogghi per cogli ecc. Pi
raramente da j nasce la palatale schiacciata: da
loglio gioglio e aggiogliarsi (cio loglio poi joglio,
come giglio da lilium ) e da papilio si fatto papecia
(cio papeja farfalla).
IIII. FoRMAZIONE DELLE PAROLE.

Le medesime osservazioni valgono per la for


mazione e derivazione delle parole. Le leggi morfo
logiche della favella letteraria sono quelle stesse
secondo le quali si formano tutte le voci nuove che
nascono in gran numero nei vernacoli.
Molti sostantivi formansi dall' infinito dei verbi;

come folla da follare, sc a p o l o da scapolare,


c i o n d o l o da ciondolare; cos pisolo dedotto da
pisolare (pensulare), prillo (trottola) da prillare,
paliggeno da appaligginare, fregna (boccaccia) da
-

134

frignare, cio ( alito ) da aciare, piccia (coppia di


pani) da appicciare, grovigliola da aggrovigliolare
ecc. (l)
Nomi, aggettivi e verbi in buon numero sono
formati con un i interposto fra il tema e la termi
nazione: - Pi a gg i a da plagia per plaga, si n
g h i o z z o da singultius per singultus (2), c i r i e gi a
da cerasius (ceraseus), sc u d i s ci o da scuticius,
r o z zo (rudius), v i z zo (vietius) per rude, vieto
ecc. e nei dialetti: nidio e nido, bobbia e bobba,

broda e sbroscia (brodja), meta e meggia ( metja ),


prudore e pruzza (prudja J, sido e sizza ( sidja ),
poppa e poccia (poppja ), lonza da lombja (regione
lombare), fenia da fieno, lugio (ghiotto) da lurcio
per lurco, lonzo da lentio per lento, sbaffiare da
pappiare per pappare, abbrustiare da abbrustare ecc.
Col suffisso ic si formano i frequentativi. Co
me in latino abbiamo albicare, verdicare, amaricare

e in italiano g e mic a re da gemere, bes sic a r e


(beccicare) da beccare, p i 2 z i c a re (piccicare J da
piccare; cos nei dialetti: spiaccicare, (piattica
re), sfriccicare (da fricare ), abbraccicare, appolli
carsi, spilluzzicare (pilluccicare da piluccare ), ab
brusticare, appiastriccicare ecc.
(1). Cos nel lat. volg. proba da probare, lucta da luctare
ecc. V. Rnsch Itala und Vulgata ecc.

(2). Singultius, plagia ecc. si trovano nel basso latino. V.


Schuch. Op, cit. II, 234 Diez. Gr. d. r. S. Il. 280.

135

Similmente le voci di nuova composizione che


nei vernacoli tengono luogo delle comuni parole sem
plici sono formate secondo l'esempio di altre voci
composte: Paracqua (ombrello) e sparagrembo

( grembiale) come p a r as o le; grattacacio (grat


tugia) e imbottavina come c a v a d e n t i, rom p i
c a p o, a cc a tt a b r i g h e ecc.
Cos il prefisso ea serve in parecchie voci a
dare valore contrario a quello del tema semplice,
come in scientare ( distruggere da ea ed ente ), scion
narsi (svegliarsi da ea e somnum ) per analogia di
s ci a p i d o, sc i o c c o, a sc i u g a re ( ea -suca
re J ecc.

Ed anche nelle nuove voci semplici si scopre


l'analogia di altre voci corrispondenti o affini di si
gnificato. Sparacciato ( spallacciato ) da spalla
come scollacciato da collo; diata (spazio di un
d ) da d come giornata da giorno; manignoni (ge

loni alle mani) da mano come pedignoni da pie


de ecc.

Da quanto siamo venuti sin qui esponendo risulta


chiaramente come le differenze esteriori tra la lingua
parlata e la scritta provengano principalmente da
due cagioni. La prima che nei vernacoli le altera
zioni fonetiche e le derivazioni di nuove voci conti

nuano ogni giorno, mentre la favella letteraria mira


a fermare il suono e la forma dalle voci. La seconda

136

che una stessa voce pu modificare il suono in


pi maniere senza relazione tra loro, pur cedendo
sempre alla medesima tendenza che quella di al
leggire la pronunzia, come uno stesso tema pu ricevere
diversi suffissi per esprimere la stessa idea. Cosicch
di una stessa voce si riscontrano nei

dialetti molte

varianti, le une pi lontane dal tema primitivo, le al


tre meno, e talvolta lo stesso tema primitivo; delle
quali forme tutte la lingua letteraria accetta alcune
poche lasciando le altre.
Cos abbiamo, riassumendo in un quadro le dif
ferenze accennate: l. Forme dialettali maggiormente
alterate che non le letterarie. 2 Forme sempli
-

cemente correlative. 3. Forme dialettali pi anti


che. E queste tre differenze si scoprono tanto
nelle relazioni fonetiche quanto nelle relazioni gram
maticali.

Quindi nelle relazioni fonetiche abbiamo:

a) Ulteriori alterazioni che la lingua letteraria


non conosce, e che sono regolari indebolimenti o
pervertimenti, come: - pollero (puledro), rodere (pru
dere), vescia ( vessica ), poro (povero), chioca (chia
vica, come oca da avica), stollo (stelo), crgnolo

( corniolo), sbiagito ( sbiadito ), baglia (balia ) e


in Cort.: progegne, magnere, buraccino, ecc. e spesso
anche una strana complicazione delle comuni leggi
fonetiche colle popolari tendenze ad assimilare, a

137

trasporre, o a rivelare l'etimologia, come: pampi


no ( bandile o bandolo ), rinconchina ( inchino ),
sguerguenza (scongruenza), soppontoro (sapientolo),
stiviglio (da schiviglio per cavillo), cantalesare (per
cantalerare da canterellare), lappore (da palpore
per palpebre), baturlare ( brontolare ), ballacocora
(albicocca), filosomia (fisonomia, quasi da profilo),

mbaco (opaco, quasi da ombra) ecc.


b) Modificazioni diverse della stessa voce, co
me: ghiaja e agliaja da glarea, agosto e ogosto
da augustus, prezzemolo e pitursello da petroselinum,
merie e meriggio da meridies, aria ed eria da de
rius, origliare e sorrecchiare da auriculare, vizzo e
biegio da vietius, crocchiare e chioccare dal teut.
klochn, bieco e bilenco da obliquo, scribacchiare e
scombiccherare da scribiculare, guindolo e bindolo
dal ted, windel, gozzo e gogio da gurgutius, caglio
e gagghio da coagulo ecc.
c) Forme arcaiche: trespide (trespolo), velet
ta (vedetta ), soverscio (sciovescio da subversus),
Cort, ciaravello (cervello da cerebellum), fregione
(frosone, lat. fring-illa), mucido (moscio), anatra,
suffilo, bussilo, scina (susina) (1) ecc.

Per le ragioni esposte si comprende facilmente


come una stessa voce si presenti sotto parecchie
forme, nelle quali ci dato spesso ravvisare tutti i
(1). La forma sicina prova che susina viene da sucinus che
significa formato di resina (sucinum) e quindi resinoso.

138

gradi di alterazione: solco, soloo e soggo; bove,

boe (Cort.) e bue; stilo, stelo stollo; locusta, aligusta


aliusta; ceragio, saragia siriegia (Cort.), ciriegia,
ciliegia; viegio, biegio, vizzo, guinzo; soppoggiolo (da
soppoggiare ), sobbaggiolo, sovvaggiolo, baggiolo; pe
stio, peschio, perchio, bischero (pestulum); lujola,
luoja, licchia, lutta, (lucula) ecc.

Ma pot anche accadere l'opposto, che cio due


o pi vocaboli venissero a formare un solo suono.
Non di rado pi voci latine per affinit di suono e
di significazione vennero a confondersi in una sola
parola italiana. Cos pandere e patere si confusero
nell'ital. badare e ne suoi derivati baderlare, sba
turlire, baderlo, piturlo ecc., (V. p. 78). Nei verbi
allucciare, barlucciare, sbaluginare, abballuccicare
ecc. si sono confuse le voci latine lucere, allucinare,
lusciosus e luscinus (losco) (V. p. 103). Nella
frase a randa (all' orlo) il verbo radere (V. p. 91 ),
si fuso col lat. radius (virga mensorum, donde
venne randa regolo dei muratori), come lo prova
il b. lat. ad radium tinae che, come spiega il Du
cange, vale quanto ad plenam timam.
E spesso la confusione dei suoni pot aver luogo
senza che vi concorresse la vicinanza dei significati.
Talch si trovano voci con significazioni tanto dispa
rate, che impossibile sarebbe rendersene ragione se
non supponendo che lo stesso vocabolo derivi da pi
radici a un tempo. Bruscolo vale pulviscolo e

139

pioggerella, ma nel primo caso viene appunto da


pulviscolo, nel secondo da pluviscolo (donde piovisco
lare). Torchio vale strettoio e vimine; nel primo
significato da torculum, nel secondo da ri-tortola
(come rocchio da rotolo). Parimenti brillare vale

splendere (da beryllus) e muover le ali (da prillare


che vien da wirbeln come frullare; cfr. frullino che
nome d'uccello, frullo movimento delle ali ecc.);
pappardella un uccello di palude (anche bibbio, da
pipio) ed una specie di minestra (da pappa ); ge
micare oltre ad esser frequentativo di gemere, vale
trasudare, nel qual caso viene da sciumicare (ea u
micare); rodere oltre al comune significato vale
prudere (caduto il p come in ressa da pressa; cos rodo
re per prudore); lucciola vale insetto, luminello e
lacrima; nei primi due casi da lucere, nel terzo da
ligere; pensiero oltre al comune significato, ha quel
lo di cappiettino da fermare la rocca, e in ambedue i
casi deriva dalla stessa radice, ma per diversa via;
nel primo caso dedotto dal verbo pensare, nel se
condo direttamente da pensum (l).

(1). Max Mller mostra in altro campo la duplice legge da noi


esposta in due capitoli, intitolati l'uno: The same word takes diffe

rent forms in the same language, e l'altro: Different words


may take the same form in one and the same lauguage.
Lectures on the Science of

p. 262, 287.

language,

second series, London, 1864


-

140

Parimenti nelle relazioni grammaticali abbiamo:


a) Aggiunte di nuovi suffissi: foia e foiore;

pioggia, pioggegora e piovicengola; meriggio e miriz


zana ( ombra); gorgia, gargana, gargozzo e gorgoz
zuolo; ciuffo e tufazzolo (ted. zopf); cicciolo e cic
ciottoro; pacchera e paccaruglio; acqua e acquerugiola;

forbici, forbecchia, forbicicchia e forbicistia; accordo,


accordellato e accordellinata; carino e carosino, ti
mido e temitoso; matto e matterugiolo; invecchiato
e rinvegghignito; tremolare e tremoleggiare, stentare
e stintignare; girellare, girellonare e girottolare;
pieghettare, piegheggiare e piegolinare, abbracciare
e abbracciucchiare, versare e svercignare; dolere,
dolicchiare e doliccicare; piovere, piovincolare pio
vigginare e pioviscolare ecc.
b) Lo stesso tema modificato con differente suf
fisso per esprimere la stessa idea: maceria e
macia; godimento e godio; valentia e valezzo; orec
chino e orecchiolo; paletta e palina; capezzolo, capi
tignoro e caperello, agoraio e agaiolo; pannuccia e
pancella (grembiale); serratura e sierla; orlo, orice
oricello ed orcello; scriminatura e scrimolo; frugone
e fruciandolo; scilinguagnolo e sollingoro (b. lat. sub
linguium); lucignolo e lucciola; cantera, canterale,
canterano e scancia (cant-a da canto ); tritolo e tri
tello; minuzia e migngnora; sobbaggiolo e sobbog
giaja; tessitora, tessitrice, tessiera, tesserandola e

tessndora; calderino (cardellino) e calderugio; mez

l4l

zaiuolo e mezzadro; rantolo e rntaco; pigionante,


pigionale, pigionavolo e pigionacolo; pinoli, pinelli,
pinocchi, pinoccoli e pinottoli; scapezzotto e scapac
cione; conversazione e conversuggine; velleit e vi
lcura; infreddatura e freddicaja; finitura e fintica;
golo e goloso; bugio e bugiardo; malato e malescio;
altero e altezzoso; rovente e rovito; cedrone e citrul

lo (cetriolo nel senso di sciocco ), farabolano e fa


rabullone ecc.

Ed anche nello scambio dei suffissi le mutazio

ni giungono spesso a un punto da parere arbitrarie:


zalloppola da zolla, levaldino da levis, spanfiero
na da paffa, abadilillare da badare, chicchirill da
chicca ecc. Talora si scambiano gli stessi suffissi la
tini: scavitolare da cavillare, pergolo da perga
mo, bagioggolare da vagellare (vacillare ); o si
tratta come suffisso ci che parte del tema o ele
mento del vocabolo: melletta da malta, risipela
o rispola da rosipella, pettiere da pettirosso, anciscolo

ed ancola da antlia (l), ceppicone da occiput (cifot


te) ecc.
(1) I nomi dei due strumenti da attinger acqua, tolleno e
antlia (da antlare o anclare), vennero ad esprimere quell'appa
recchio che serve di trastullo ai ragazzi (simile nella forma e nel
movimento agli antichi), che comunemente vien detto altalena, ma
in alcuni luoghi anciscolo o, col prefisso bis, bisciancola, biciancola

e pisalanca. Gli Aretini dicevano anculare o anclare per fare


all'altalena. (V. Magalotti, Lettere famigliari, Venezia, 1762, p.
403).

142

c ) Forme arcaiche che spiegano le forme deri


vate della lingua letteraria: peso e pisello; popa,
poppada e poppattola; pozze e pozzanghere; pio e
piuolo; boccio e bozzolo; ripiano, pianetto e piane
rottolo; baro, baroccio, e sbarazzino; sciorare e scio
rinare; bechero, becarotto e bacherozzolo; randa

( radius=virga, lomb. ra bastone ), randolo, randel


lo e ranzgnolo ecc.
Due sono dunque le cause principali che dnno
origine a nuove voci e che contribuiscono ad arricchire
e trasformare di mano in mano il patrimonio della
lingua; le alterazioni fonetiche e le nuove derivazioni
grammaticali, le quali si combinano in guisa che per
intenderne pienamente l' importanza conviene, dopo
averle studiate separatamente, considerarle insieme.
Da una voce nascono due o pi altre; e da ciascuna
di queste derivano nuove forme, le quali alla lor
volta danno origine ad altre voci e cos di seguito
per una serie di combinazioni senza numero. Da lam

pas abbiamo le tre forme lampada, lampana e lam


pa, e ciascuna di esse ha i suoi derivati. Da undu
lare coi due prefissi ea e de nascono le forme
ciondolare e dondolare le quali alterandosi nel suono

dnno origine a pi altre voci e forme. Eccone al


cuni esempi.
BLamnapas

lampada- lampadario
lampana (p. 116) lampanino, allampana

to, (p. 43) lampaneggio, lampaneggiare.


lampa (p. 119) lampo, lampeggiare, lam
pezzare, lampeggio.

143

ex-undulare- (p. 132) ciondolare, ciondolo,


gingiolo, gingillo.
de-undulare- dondolare, dindellare, ghin

UEnduriare

ghellare, chinchilloso (altalena, p. 115).

Prurio

prud (p. 116) prudere, prudore, pruzza


rod- rodere, rodore, rosa (p. 139).
pir- (p. 76) pirolo, birillo (mil. bir) o
blloro (1).

Epigruus

i pi- (p. 120) pio, piolo, pizzolo, picciolo


(lucch.).
vers- inverso, converso, avverso ecc.

Versare

\ verc (p. 101) rivercio, svercignare, rab


berciare.

vesc rovescio, sciovescio (p. 137).


-

capul- (p. 105) ingabolare (lomb. gabola


trappola), scapolare (liberare), scapolo (li

Capulum

bero).
capl- cappio, gavetta ? (fr. cable, sp. cabo
lomb. gav fune).
calap- (p. 127) calappio, ac
calappiare.
clap
chiap- chiappo, chiappare (sar
do chiobba o giobbu, lomb. cip
nodo ).

l-um (p. 108) lumacaglia e limmecaola


(umicaglia pioggerella), limicare (piovi
scolare).
-

Il lunnnnere

scium-

( sardo smere e sumire trasu


dare).gemire egemicare
gem139).

sciumicare

e sumicare

eX-llm-

(1) Birillo da pirolo come brillo da ebriolus.

(p.

144
l rot

rotolo, rotolare,

rociolo, rociolare, ruciolo.

trottola, attrottolare (p. 126).


roc

truciolo, bruciolo (p. 126).


ruzzola, ruzzolare.

Rotulare i ruzz . druzzola,


(p. 126).druzzolare, gruzzolo
V

rocchio.
rotl
-

I Bot-ulus

rull

(fr. rouler
l rullo,
prov.rullare
rotlar).

crullo, crullare (1).

(p. 74) budello (sardo budda), bu


) buddenfione, butifione, spatanfione, abbottito
(piem. bedra, em. budriga l
-

buz- buzzo, abbuzzito, bnzola (vescica del


ventre), imbusecchiare (mil. biiseca) (2).
-

rrendere

frign' fregna (boccaccia), frignare (far


boccacce), infrigno (rugoso), raffrignare
!
(rimarginare), incinfrignare
i frinz frinzello (taglio) rinfrinzellare.
brine brincio (boccaccia), rimbrenciare
(rimarginare) (3).

(l). Non credo che anche crollare venga da rotolare sebbene siavi la
frase andare a rotoli che vale appunto rovinare. Il Diez suppone, per spie
gare il franc. crouler, una forma corrotulare. Ma il tosc. crullo da rullo

prova che la consonante iniziale pu essere rinforzativa come in truciolo,


gruzzolo, e come nel fr. grenouille, it. granocchio da ranuncula. In
fatti anche in francese crouler un batiment non significn se non far
scorrere un bastimento. Io credo dunque si debba distinguere il crouler
nel senso di far girare (cfr. ant. fr. crouller les ierc=rouler les yeux )

dal crouler che corrisponde al nostro crollare che meglio si deduce


da corrutulare (non corrotulare), come il lomb. crod da corrutare,
frequentativo di corruere, che molto meglio si adatta pel significato.
(2). In un antico glossarietto bergamasco pubblicato dal Signor
Giusto Grion nel Propugnatore (Maggio 1870, p. 80) troviamo omasus
spiegato ol botaz de la bua echa. L'odierno bergamasco ha pure bogia

(ventre), bdero (panciuto), ed embsa (satollare).


(3) Brincio e frinzello corrispondono a fregna come il sardo binza

o bingia a vigna, come l'ital. lenza al fr. ligne. (V. p. 55. N. 2.) o

145
brand--

lI

brano,
sbranare.
irandello,

brendolo, sbrendolo, sbrendolare


brenciolo, brenciolare, brencioloso
brenciolone, rimbrenciolo,
brindello, brindolo, sbrindellare,

brend-

All. ted. iBI' teo

brindellone, brindacola (lom.


brind--

sbrindac).

brincello brincelluccio, (bergam.

sbrinz cencio).
l

l
polta-

pota, (p. 126) pottacchio, pottag


gio (minestra, fr. potage).
palta (lomb.).
l pantano, pantenna,

PigEs

polta, poltiglia (bol. spultar) pol


tra (v. p. 126) poltricchio, pol
trigno.

(
l

balta
l

pant.
patt(p.121)
v

panzana, impanzanarsi

l pattona, pattume, int

pataccarsi.
pacciame, pacciume.

f pappa- pappare, pappardella, pappo,


pappatoria, pappone, pappino, impippiare

Eappa

paffa- paffuta, sbaffiare, spanfierona, pif


ferona (grassa), bffice.
I pacchia pacchiare, pacchierotto, pacchie
ra, pacchiarina, paccaruglio, pacchiuco,
impacchiuccarsi ecc.

meglio come il tosc. mangiare corrisponde al magnare di molti dia


letti. Come da manducare poi mandicare (sardo mandigare) venne
ma jare da cui magnare e mangiare, cosi da frend-icare si fece fre
n are da cui frignare, frinzello ecc. Come poi dal significato di digri
gnare i denti si passasse a quello di far boccaccie o piagnucolare, e
come dal significato di boccaccia si arrivasse a qnello di taglio, di
rattoppo e perfino di signum feminae niuno che non vegga.
10

146

/ vogliere o volgere
|
ed aggrovigliolare
l aggrovigliare
(nap, arravogliare),
invoglia
(involucro, lomb. invoja).
-

- -

l combuglio (mescuglio),
scombujare, guazza

buglio, arbugliare,
garbugliare o inga

vogliare

Wolvere

(mescolare,confondere).

bogliare

rabullare (sardo tro


bojare, e bugliarecon
/
fondere, mescolare).
scombreglio (p. 125) e
scombrugliume (con
fusione; sardo buli
men ), imbrogliare
(sardo imbojare), im
i
broglio (sard. imboju;
nap. cumbugghiare
ravvolgere).

badare badaluccare balloccare sba

digliare (p. 94).


o

EBadare

bader-

baderlare,
lo, piturlo.

(da pandere e
patere).

sbaturlire
sbaciurlire

sciaburdire (da slabur

dire) e sciabordo (1).

i appiccare, spiccare, impiccare, appiccare,


-ma -

E Piqea
ge (2)
icare
(2)

da applicare e

picare)

spiccicare, piccicone, piccicoso.

appittare ( lomb. petr appli


-

("
ctare).

sa

care).
appicciare, appizzare, spicciare,
impicciare, compicciare.

(l). Probabilmente anche sbalordire o balordo non so io che me


tatesi da sbaturlire e piturlo (per baturlo); e in questo caso anche
il fr. balourd e lo sp. palurdo verrebbero dalla voce italiana. An
che badaud si riconduce a badare.

(2) La diversa origine dei dirivati di lucere e di picare si sco

147

col prefisso bis: (p. 103) barlucciare,


sbirlucciare, balusante (lomb. balsc), a
barluzzo, abbaluccicare (abbagliare), bar

locchio (gen, abbarlug, piem. sbaluch


acciecare), sbaluginare (vedere a stento),
baluginare, balecenare e balenare "

ELEE Cere

rire istantaneamente, lomb. lusn), abba


(da lucre, hal
lucinare, lusci

l
\

nus e lusciosus)

lugginare (veder confusamente), appalig


ginare
in sogno, sonnecchiare,
em. apalugs), balogio (sonnolento).

"

col prefisso trans.: stralunare

("

da traluginare), trabalugginare travedere,


lomb. straliis lampo).

allucciare (sardo alluzzare) luca (alluci


\

nazione, sonnolenza).

L' esame che sopra abbiamo fatto


dialetti ha provato che quanto pi si
campo dei raffronti, e pi ci si fanno
voci e forme a primo aspetto oscure,

dei diversi
restringe il
note molte
le quali si

trovano non essere altro in sostanza se non modi

ficazioni locali di elementi comuni. Ora si presenta


la domanda: Di tutte queste forme quali accoglie la
lingua letteraria e quali rifiuta ? Perocch se dagli
pre evidente nei significati. Le forme derivate da lucin (balugginare
appaligginare), tengono pi del significato di hallucinare, altre pi
di quello di lucere o di lusciosus. Se non che col mescolarsi delle
forme si mescolarono i significati e cos luca vale quasi quanto pa
liggeno. Similmente appiccare si usa ancora per applicare ( p. e.
appiccare, e applicare il fuoco e impiccare non significa altro se
non implicare laqueo. Cos il valacco ha le forme despic e respic da

deeplicare e reecplicare (V Cihac. Dict. ecc. a plec ) Invece


forme appiccicare piccicoso ecc. vengono direttamente da picare.

le

148

studi precedenti risulta che la lingua letteraria


tratta nella massima parte dall' uso toscano, an
che chiaro che non tutto ci che toscano pu en
trare nelle scritture. Una parola si ripete con di
verso suono o con diverso suffisso nei varii luoghi,
e il volere dar luogo a tante variet genererebbe
non ricchezza, ma confusione. Si dice vizzo e viegio,
rovescio e rivercio, lampezzare e lampeggiare, pa
letta e palina, scilinguagnolo e sollingoro ecc. N
trattasi soltanto di variet fonetiche o morfologiche
ma bene spesso ancora di elementi radicali affatto
diversi. La stessa cosa viene espressa in Toscana

con due, tre, o pi voci nate da diverse radici, tra


le quali una sola entrata nelle scritture, mentre le
altre rimasero confinate nell'uso volgare. Faremo se
guire alcuni esempi ponendo prima la voce comune
e accanto ad essa le variet dialettali.

Lucignol papeio, legolo, cicindello, taciolo.


Prurito; scatore, scarafelo, cidelo, scarino.
Maiale; ciro, cioncarino.

Altalena; biciancole, chinchilloso, gioveglieca.


Sonnecchiare; pisolare, appalparsi, appaligginarsi, allap
picarsi, aggiogliarsi.
Grembiale; -- zinale, sparagrembo, pancella.

Bulimo; sghescia, lonza, lupa.


Foruncolo; brucolo, brugliolo, nisciuolo.

Arcolaio; guaffile, guindolo, tarsatoio.


Scempio; sciugnolo, ugnolo.
Sterco; ciotta, meggia, leto.

149

Spazzola; brusca, setolino.


Testa; coccia, ceppicone ecc.

Come proceder il letterato nella scelta di e


lementi casi svariati? Seguir l'uso di un solo luo

go o di pi luoghi ? Se di un solo luogo, quale sar?


Queste domande non sono d'oggi, ma sono nate
colla lingua stessa. Si pu dire che la storia della
lingua letteraria non che la risposta data di ma
no in mano a questi problemi. Se non che in altri
tempi il problema era ben pi complesso, trattan
dosi non solo di scegliere tra le variet di un grup
po di dialetti, ma fra tutti i dialetti della penisola
per riuscire ad una lingua comune. Ora la stessa
legge che ha fatto prevalere il toscano fra gli altri
dialetti, ha fatto di mano in mano prevalere quella
voce o quella forma sopra le altre. L'arbitrio in
dividuale non ha qui parte alcuna. Si domanda dun

que: Come ha potuto il toscano avere la prevalenza?


Fino a qual punto le sue forme sono entrate nella
lingua letteraria ? Qual parte vi hanno gli altri dia
letti ?

150

CAPITOLO V.

Il Toscano e gli altri dialetti d' ltalia


I. Relazioni lessicali e morfologiche.
-, -

-.-.-.-.-.-.-.-a-, av

Quando si parla del toscano se ne discorre co


me di un dialetto a parte, ben distinto dagli altri,
con elementi radicali e con propriet fonetiche spe
ciali, e quasi come di una stessa cosa colla lingua
letteraria. Se ci fosse, il toscano non avrebbe mai

potuto divenire il fondamento della lingua naziona

le, che vuol dire sostituirsi in gran parte agli altri


dialetti. Quelli che hanno siffatta opinione prendono
per Toscano la lingua parlata dalle persone colte,
che certo molto s'accosta alla favella scritta non

solo in Toscana ma in qualunque parte d'Italia. Se


invece prenderemo lo schietto vernacolo quale
parlato dai volghi delle citt e nelle campagne, sa
remo costretti a modificare non poco le nostre idee,

ed a ravvisare nel toscano molte di quelle proprie


t e di quelle differenze che credevamo affatto pro
prie di questa o di quella parte d' ltalia. Talch
esso ci si mostrer non esser altro che uno degli
anelli della lunga catena della variet idiomatiche
della penisola, che regolarmente si unisce e si in
treccia cogli altri senza alcun distacco n anomalia

15I

di sorta, bench le condizioni geografiche tendesse

ro a segregare la Toscana dal resto d'Italia. Infat


ti nel lucchese si cominciano a sentire alcuni suoni

dei dialetti del Nord. La z pronunciata come s(o


sio, visio), i vocaboli staccati ( a posta, se bene ) e
non poche voci che troviamo di uso generale nei
dialetti gallo italici e nel veneto (macone, cotano,
certiduni, nizzo, farfocchiare ecc. ). E invece nel
l'aretino e nel cortonese notiamo suoni e profferen

z dei dialetti romani e napoletani, come sarebbero


l'allungamento delle voci con aggiunta di vocali
(ogliemo sd. ulumu olmo, ciaravello cervello, ree,
seje, eje, pie/o per re, se, , pi ecc.) e i suoni
gh e j preservati dallo schiacciamento palatale

(Ghies, ghiomella, agghiustare). N sfuggirebbe al


la difficolt chi volesse identificare l'italiano

col

fiorentino. Anche qui bisogna distinguere il fioren


tino delle persone colte modificato dall'influenza
letteraria, da quello del volgo e del contado che
mantiene ancora schiette ed inalterate le sue nati

ve sembianze. Il non aver fatto con rigore pel to

scano la stessa distinzione che pure si fa per gli


altri dialetti, la causa principale della confusione
e degli errori in cui caddero quelli che si occupa
rono di questa materia. Tutti convengono che il mi
lanese parlato nelle societ pi colte non il mi
lanese schietto, ma quale fu alterato o modificato
dalla coltura letteraria, mentre parlando del tosca

I52

no si fa dai pi il ragionamento opposto, e si d a


credere che il vero e schietto toscano sia quello
delle persone istruite e bennate, mentre il toscano
dei popolani e dei contadini non sarebbe che una
storpiatura. Di qui il pregiudizio che identifica to
talmente il toscano coll' italiano ossia colla

favella

letteraria.

Dopo avere nel capitolo antecedente veduto in


quali parti la favella letteraria si distingue dal to

scano volgare mostreremo nelle successive nostre


indagini:
Che il toscano volgare non che un anello

della lunga catena dei dialetti della penisola di cui


completa il sistema, e come quindi molte differenze
lessicali, morfologiche e fonetiche che distinguono i
dialetti dalla lingua letteraria si trovino gi o svi
luppate o in germe nel toscano volgare, bench poi
tali differenze crescano e si moltiplichino mano ma
no che ci allontaniamo dal centro della penisola.
C)uindi molte voci, forme, suoni che nelle scritture

non si accolgono troveremo essere comuni agli altri


dialetti ed al toscano, il quale non che formare un
gruppo distinto con propriet affatto speciali, come
molti credono, ci presenter ben pochi elementi che
gi non si riscontrino sia negli altri dialetti, sia
nelle lingue affini dell' Europa latina.
Cominciando dai vocaboli usati in Toscana e non

ammessi nelle scritture, essi si possono distinguere

153

in tre classi: l. Voci latine o usate gi dagli scrit


tori latini bench straniere; 2.

Voci

straniere,

cio tedesche, greche, arabe, celtiche ecc. 3 Voci


di dubbia o di oscura origine.
Quanto alla prima classe non avremo qui ad

occuparcene avendo gi mostrato nel cap. 2. come


molte voci del latino popolare siano ancora in uso
maggior parte dei dialetti. Alla seconda clas
se appartengono le seguenti:
nella

allippare (Versiglia) fuggire; nap. allippare o allicciare; lmb.


slip. L'inglese ha slip dall'anglosass. slipan; ted
schlipfen.

brusta o brusca spazzola; sic. brusca; Vnz. bruschin setolino;


lmb. briiscia; dall'ant. ted. brusta setola, pettine.
Sp. broza, fr. brosse. V. Diez, E. W. a broga.
ballotte, ballociore castagne; lmb. vnz. id; dall'arabo ballit
(balanus). Spg. bellota, port. bolota.

basana delle concie donna sudicia, ma in berg. significa pelle


di pecora conciata, che era il suo primo significato;
dall'arabo bi-tanah, spg. badana, fr. basane.
chioccare, schioccare e scoccare; battere, far risuonare; lmb.
em. vnz. cioc; a cui probabilmente affine il piem.
cioca campana, fr. cloche; dall'ant. ted. clochn bat
tere. Il fior. crocchiare ha mantenuto meglio il si
gnificato della voce tedesca.

macone ventriglio dei polli; lmb. vnz. magon, rcio magn; ted
magen, (ant. magon ) stomaco.

grinta visaccio, muso; lmb. vnz. id. Dall'ant. ted. grimmida tiran
nide, secondo il Diez.
gueffa, matassa, guafflle arcolaio; sic. jiffula matassa; dall'ant

ted. wifan ( weben ) tessere.

154

guindolo arcolaio; bindolo ruota idraulica, e quindi anche ag


giratore, imbroglione; lmb. guindol; dal ted. win
del.

mucca vacca; lmb. mugra, ticin. molgia bestiame, dal ted. milch
kuh vacca da latte.

grabiccio terreno sterile (Rigutini); Vnz. grebani, lmb. gre


begn; voci affini al fr. greve, rcio greva pianura

sabbiosa, al cat. grava sassolino, di origine celtica.


Corn. grou arena, cimbr. gro, pl. gravel. (V. Diez.

E. W. a greve. ) Schuchardt riconnetterebbe queste


voci a glarea (Voc. I. I89).
grappare afferrare, donde la frase fare a grappariglia; lmb.

grip; sd. aggrippiai, fr. gripper: dall'ant. ted. gri


fan (greifen ), gotico greipan, da cui anche

griffie mani; Vnz. lmb. sgrinfe; sic. granfe, fr. griffe, rcio
grifla.
prillare girare, prillo trottola; lmb. pirl e birlo; voci affini
all'inglese whirl, ted. wirbeln girare. Nel lomb.
abbiamo anche ghirlo vortice dalla stessa radice.
sbreccare rompere (Montalese ); lmb. Vnz. sbreg; dal ted.
brechen.

mutria broncio; em. muteria; spg. morro, ant. fr. mourre, dal
basco muturra ? (V. Diez a morro).
seneppina beccaccia; lmb. sgnepa: dal ted. schnepfe.

scaccie trampoli; lmb. scanscie, vnz. scase; fr. chasse. Voci


affini all'oland. schaats, ingl. skate.

segoletta funicella: sd. soga, vnz. sagola, lmb. suga fune. Nel
lingue celtiche abbiamo sig, sugan, syg collo stesso

signicato. (V. Diez. Et. W. a soga). Il prof. Ascoli


(Studii critici, II.) riconnette queste voci al sanscrito sang' adhaerere.
sciagagnare spalancar la bocca: lmb. sgagn abboccare, mor
-

155

dere; dall'ant. ted. geinon aprir la bocca, a cui


fors'anche affine il sic. ganguniari rodere.
roffia forfora; lmb. rifa; cfr. fr. roife, oland. rof crosta.
michelaccio ozioso, vagabondo; in quasi tutti i dialetti del Nord;

lo spagn. miquelito significa chi va in pellegrinag


gio a S. Michel, donde, per alterazione, micalete va
gabondo, bandito dei Pirenei, e il fr. miquelot.
ugnolare piagnucolare; limb. Sguagni; spg guaiiir; dall'ant. ted.
veinn ( weinen ) piangere.
zerigare molestare; sd. atturigare; fr. tarier; dall'ant. ted. ze
rjan (med. ted. zergen).

Di origine incerta sono le seguenti:


bugnola cesta, lmb. benola e benasa; em. banastra; spg. cat.
banasta larga cesta, fr. banne e banneau. Forse

dal lat. pop. benna (vehiculi genus). Bugnola sa


rebbe alterazione di benneola che trovasi infatti nel

lmb. benola (1).

bllora donnola; lmb. benula, sd. beddula, genov. bllua, friul.


bilitte, spg. beleta, ant. fr. bele. Secondo alcuni da
bella animaletto grazioso, come il bavarese schn
thierlein e l'inglese fairy; secondo altri dal cimbri
co bele martora.

sghescia gran fame; em. sghessa; lmb. sgsa, sgaiosa; sd. sghin
zu. Nelle antiche glosse germaniche trovasi geicz

come corrispondente a bulimus, ma anche nello spa


gnuolo abbiamo gazuza fame canina, che ha etimo
logia nel basco.
buriana accolta di nubi, nebbia; sd. borea o abbuera nebbia;
-

(l) Benna signific anche larga cesta che riempievasi di derrate


diverse. Un bassorilievo galloromano di Digione rappresenta una di
siffatte corbe tirate, col mezzo di ruote, da cavalli. V. Belloguet,

Ethnognie gauloise ecc. Paris 1872, p. l 12.

156

berg. boa id; nap. boria vapore e sburiare alitare,


friul. buere, vnz. borina; probabilmente da vaporea,
da cui paiono derivare anche il cat. boira, val. abur
o boara vapore.

busche, buschette fuscelli; lmb. bische, nap. broschi, sic vusca


sono probabilmente derivate da fustis come abbia
mo veduto. Tuttavia l'ant. fr. busche, cat. busca o

brusca possono far nascere il dubbio che trattisi qui


della stessa radice da cui nacquero bosco, fr. bois
ecc. come suppone il Diez. (V. Et. W. a busca).

rabacchio ragazzo; nap. rabacchio, rabacchiuolo; e similmente


nell spg. abbiamo rapaz e rapagon, nel port. ra

pariga ecc. Il Diez cogli etimologi spagnuoli dedu


cono rapaz da rapaa, ma non veggo per qual nesso
di idee. A mio credere quelle voci derivano da ra

pare che, come abbiamo mostrato, s nello spagnuo


lo che nel toscano valgono tosare, radere; cos ra
bacchio varrebbe lo stesso che toso cio imberbe.

(V. pi sopra le voci toso e rapare).


sbraitare, raitire gridare; piem. braj vnz. sbrajar, lmb. sbra
j, bragi, fr. braire, brailler, port: bradar, prov.
braidar ecc. Voci tutte che si riconducono al b. lat.

bragire, forse forma rinforzata di ragire (conf. fr.


bruire da rugire ) come pensa il Diez, e come par
mi riconfermato dal toscano raito, raitire ecc.
tuttavia da prendere in considerazione anche il cimb.
bragal strepitare, ingl. brag. (V. Diez. E. W. a
braire).

farfocchiare parlare indistinto; nap. farfogliare, lmb. farfoj


spg. farfullar. Trovasi anche nell'arabo farfara
con egual significato, ma qui non trattasi verosimil
mente che di un' onomatopea.

157

pizzo punta; Sd. nap. pizzo becco, nap. pizzuliare beccare;


lmb. Spins, Vnz. pizza
pinzette, tutte voci che
tema pit che forse il
punta. (Diez. E. W. a

punta; fr. pince, sp. pinzas


presuppongono un comune
medesimo che il cimb. pid
pito).

stiattone fanciullo; lmb. sc'iat o sc'et figlio; queste voci ricor


dano l'it. schiatta, ant. fr. esclate, dall'ant. ted.
slahta.

pirchio avaro; nap. id; sic. pillicu; paiono forme diverse di


spilorcio, spg. pelon; da pilus ?
sciambrottare diguazzare, travasare, lmb. slambrut; quest'ul
tima forma accenna al lat. labrum Vasca, vaso.

lugio ghiotto, lonza gran fame; lmb. sliisa; lugio si spiega con
una forma lurceus per lurco, di cui lonza sarebbe
il sostantivo derivato.

- bachillone sciocco; sd. bichilloi, berg. bacalo. L'essersi mante

nuta la gutturale in queste voci vieta il derivarle da


baceolus, da cui vengono tosc. baccello ed em. ba
cerla. Si possono invece considerare come derivati
di bucco.

sparmicciare sparpagliare, limb. sparnas. Il sardo sparzini ci


condurrebbe al tema sparginare formato da sparge
re (come sciorinare da sciorare) donde per meta

tesi poterono derivare le forme toscana e lombarda.


chiurlo, ciollo uomo goffo e dappoco; nap. ciarluotto, lmb. cio
ta; nel b. lat. troviamo ceorlus che il ted. kerl
( keorl ) villano.
allembare (Versiglia) torcersi, donde la frase dar le lembe, da
confrontarsi col sq. rembino tortuoso.

Il lat.

limus

torto, pot mutare in lembo, come gremium in grem


bo, semola in sembola, cimice in cimbice.
traccagnotto tarchiato; lmb. tracagnt, sic. tirrinchianculu. Sem
bra una modificazione di tarchianotto da un aggetti

158

vo tarchiano, il quale forse un derivato di tracchia


dal lat. pop. irachala che era l'epiteto dato ad
uomo che avesse il collo grosso, e doveva essere

voce popolare giacch tale appellativo fu dato ad un


imperatore romano (Ducange).

Di origine ancor pi oscura sono le seguenti


comuni per a pi dialetti:
sberleffe ferita, taglio; lmb. sbarlefi; fr. balafre.

bagiana baccello, fava; lomb. bagiana, basant, sic. guajana.


manfano cocchiume; nap. mfaro.
usolare spiare, origliare; nap. ausoliare. Got. hausjan (ted. hren)?
sgrollone aquazzone; rom. id; Vnz. grongolon.
tarpano goffo; nap. id; sic. tabaranu; piem. lmb. tabalri.

cigrigna pelle livida per battitura; romgn. sagrin pelle crespa;


-

fr. chagrin.

lillare balloccarsi; lmb. lil, e liln sciocco; sp. lelo.


iscaro, scareggio avversione; sic. ascu, sd. ascamu, spag. asco.
nizzo livido, ammaccato; lmb. nis. La forma pi antica berga
masca miz che nel glossarietto gi citato spie
gato contundere.
bresca favo; lmb. Vnz. sd. id; anche l'ant, fr. aveva bresche, b.
lat. brisca.

ripicchiarsi azzimarsi; sd. arrepicare, mod. arpiclers, nap. ri


picchio rimendatura.

snice fessura; nap. senga, e sengarsi fendersi.


aggaiare stuzzicare; sd. agghejare. Got. agjan turbare?

baraonda confusione, sic. baragunna, spg. baraunda, port. ba


rafunda.

gallone fianco; lmb. galn.


laggare lasciare; lmb. lag. Ant. fr. laier.

159

carapignare congelare il sorbetto; sic. carapegna, sd. carapigna


bevanda gelata. Sp. garapinar congelare.

calaverno (Rigutini) gelo delle piante; lmb. em. galavrina,


ven. galabrosa. La doppia forma del vocabolo pro
va che qui trattasi di un composto. La prima parte
gala potrebbe venire dal lat. quilum gelo, la seconda
brina e brosa da pruina e da ros, talch la voce
significherebbe brina o rugiada gelata.
lembrugio ghiotto, da ravvicinare al sd. limbridu o lambridu

di eguale significato, e che deriva dal sd. lambrire


(lambere) che significa mangiare avidamente. Cfr.
anche port. lambugem ghiottornie.
lntora pillacchera. Il sardo dice lddara e laddaione, voci

probabilmente affini a ladrau e ludrau fango, vnz.


slondro; da lutum. Port. lidroso fangoso.
chiella boria, da raffrontarsi col vnz. ochla, lmb. liichla chiac

chiera, arroganza. Chiella da ochiella per lochiella


perduta la l perch scambiata coll'articolo; lat. lo
quela?

marmocchiaja coriza, da raffrontare col lmb. margi (mucora


glio ?). Anche lo spg. muermo, pg. mormo, fr. mor

ve che comunemente si deducono da morbus (b.


lat. mormus, in Sch. I. 182) meritano qu di venir
ricordati.

bisticciare contendere. Cir. lmb. bestic garrire. L'ant. fr. ha


bestencer (prov. bistensar) garrire, e bestenc con
testazione, bisticcio, accanto a tencer e a tence, la

quale ultima voce una variante di tengon tenzone.


Da tencer col prefisso bis venne bes-tencer contendere
in due, bis- ticciare. Tencer ci conduce ad una forma

tentiare derivata forse da tendere per contendere


Tuttavia il lmb. bestic, avendo la gutturale, si ri
connette meglio a betticare (V. al cap. 2).

160

straccali cigne, tirelle; cfr. lmb. tiracche. Straccali potrebbe

venire da tiraccali. Si presenta per l'etimologia


dal ted. Strick cordone, erstrecken stirare ecc.
ciana donnaccia del volgo: cfr. lmb. em. sana scrofa, ted. schuein,
Il passaggio dei significati sarebbe il medesimo che

in scrofia, lmb. scrua che valgono appunto il me


desimo che ciana.

bacco salto, abbaccare tragittare d'un salto (Versiglia), avec


care passare. Cfr. fr. bac barca, b. lat. baccus, ed
oland. bak. Tuttavia le leggi fonetiche consentireb

bero di far derivare bacco da valico ( balco poi


bacco) (1). Il sd. ha barigare passare.

anticchia nottolino per usci e finestre; cfr. lmb. Vnz. ante, an


tine imposte, dal lat. antae.
pizzuga testuggine; cfr. sic. pisciacozza id.

Hanno corrispondenti nelle altre lingue romane le


voci:

linchetto foletto. Cfr. ant. fr. hellequin, con egual signif Oland.
helleken, da helle (ted. hlle) inferno. Alichino
il nome di un diavolo in Dante.

mencio minuto, sottile. Cfr. fr. mince, che il Diez ritiene voce

germanica (ant. ted. minnisto) rifiutando con forti


ragioni la derivazione da minutius.
sbercia chi non coglie nel segno al giuoco del bigliardo, bircio

miope; cfr. ant. fr. bercer saettare, dal b. lat. ber

cellus per berbicellus ariete), val, imberbeca colpi


re ecc. Sbirciare forse da disberciare signific pri
ma non cogliere nel segno, poi veder poco, donde
bircio e sbercia.

(1) Nella stessa maniera io spiego tacca scheggia e tacco tallo


ne, da talica e talicus formati col suffisso ic da talea e talus.

161

Sbirciare sarebbe cos l'opposto di imberciare


coglier nel segno o nel bersaglio. Tuttavia si po
trebbe anche considerare sbirciare come forma rin

forzata di berciare, e significherebbe guardare at


tentamente socchiudendo gli occhi come chi prende

la mira, quindi bircio chi guarda fissamente, poi


miope.

regghia fossa grande piena d'acqua; fr. rigole canale, spg. re


guera e regona, id. prov. rega solco. Cfr. cimb. rhigol
solco, e il lat. ragare.
gongolare e ringongheggiarsela (Nerucci) (1) godersela. Cfr. ant.

fr. gogue spasso, se goguer sollazzarsi, e le moderne


voci goguettes, gogaille, goguenard, intorno alle

quali vedi Diez. EW. a gogue. Cfr. pure lmb. gogheta


allegria (Biondelli. 68)

ciocco ceppo; fr. sottehe, prov. soc, cat. soca, da cui socar ta

gliare un tronco. Cfr. ted. stock (stipes) che, a mio


credere, meglio del lat. soccus, rende ragione della

forma e del significato delle voci assegnate. (St in


e poi c'. Cfr. eambecco per stambeceo da stainboe).
puleggia girella; cfr. fr. poulie rotella e poulier girare; spg.
polea, pg. pole; dall'angs. pullian tirare.

pantellare ansare (Billi) (2) fr. panteler, affine a pantois, al


-

cat. pantea, prov. pantais mancanza di respiro,


ed all'ant. ital. pantasare, corrispondente al ve
ron. pantesar, al cremon. pansela, all'em. pan

(1) NERucci Saggio di un studio sopra i parlari ver


nacoli della Toscana Vernacolo montalese, Milano 1865
Parte delle voci registrate dal Nerucci furono accolte dal
Fanfani nelle Voci e Maniere del parlar fiorentino, Firenze 1870.

(2) BILLI. Poesie giocose in dialetto chiamaiolo, Arezzo


1870.

r.

ll

162

tin (Bd. 272) all' ant. fr. panteiser ecc. L'ingl.


ha pant che ci conduce al cimb. pantu oppri
mere. (V. Diez, EW a pantois).

grimo vecchio, cagionoso; prov. grim turbato, dall'ant. ted.grim


collerico.

appillistrarsi accapigliarsi; cfr. spg. pelear, lottare, pelea lotta,


pelaza alterco, empelotarse altercare ecc. Se le voci

spagnuole ricordano il gr. Trakai suv, come nota il


Diez, la voce toscana ci conduce al derivato palae
stra, da cui appalestrarsi poi appilistrarsi.
trepilare, treppicare scalpitare, pestare; corrispondenti al prov.
trepeiar, all'ant. fr. trepeiller, al mod. trpigner,
dal semplice treper, o triper, prov. trepar, e affi
ne al got. trimpan, ted, trippeln, ingl. trip,
bret. tripa (Diez, EW. a treper). Affine a queste
voci

strimpiggire o trespiggire camminare pian piano.


trimpellino ciampichino; cfr. spg. tropellar e tropezar inciam
pare, pg. tropicar.

bezzera capra; cfr. spg. bicerra capra selvatica; port. sp. be


cerro giovenco. Secondo Larramendi dal basco bei
ceCOr'd.

usta orma, passata; cfr. spg. ostugo traccia, che Larramendi de

riva dal basco o stuguio. Qui anche piem. nast o anast


fiuto?

broccia (Nerucci) pioggia rada e minuta; bruscello pioggerella;


da raffrontare col piccardo brouache pioggia minuta,

e col verbo brouasser piovigginare del dialetto del


Berry, che il Diez connette al fr. broue nebbia,
bertavello o bertuello specie di rete; fr. verveu (per vertveu)
limos. vertuel; lat vertebra da cui il vertebolum

delle leggi saliche (Diez). Trovasi anche in altri


dialetti.

163

a vnvera leggermente, in modo frivolo. Avverbio probabil


mente affine all'ant. fr. vanvole inezia, che ricorda
le voci veulz et vains corrispondenti al lat. inanes.
Da vanavola il fr. ventvole e l'it. vnvera cosa

vana, frivola, che per non rimasto che nell'avv.

a vnvera leggiermente, vanamente. Intorno alla


probabile etimologia della seconda parte della voce
francese (vole) v. Diez, EW a veule. (1)
ajattire (Versiglia) arrabattarsi. Cfr. ant. fr. aatir aizzare, aa
te, aatin collera, che il Diez ravvicina al nd, etja.
zagliona ( Billi ) donna sudicia; cfr. fr. souiller, souille,

souillon; spag. sollastre sudicio ecc. lat. suillus


porcino, suculus porco ecc. Qui anche em. sajn sucido
(Bd. 278)
reggetta striscia di ferro; come lo spg. riel sbarra metallica

da regella, diminutivo di regula verga, mutato poi


il suffisso. In lomb. si dice regia (regghia) diretta
mente da regula.
tarchiano uomo rozzo, selvatico; la forma pi antica terchio,
corrispondente allo spag. terco da tetricus (Diez)
Bench meno chiare sono anche da notarsi le se

guenti corrispondenze:
boto sciocco; sp. boto, fr. bot, che lo Scheler ravvicina al ted. bott
stupido.
cria ultimo nato degli uccelli; sp. cria covata; pg. cria de e
-

goa puledro. Da creare?

murielle lastre che servono ad un gioco fanciullesco; fr. marel


les id. (2)

(l) A questa voce veule da vola (cosa vana) pare congiungersi


il tosc, avolicare vaneggiare.

(2), Propriamente le marelles o merelles erano dischi che servi


vano per giocare sopra una tavola quadrata. Pi anticamente erano
monete o medaglie di convenzione. V. LEon LABorD, Glossaire fran
cais du moyen Age, Paris 1872.

164

raffica forte soffio di vento; spg. raffaga, port. refega.


taccolo difetto, teccola macchia, neo; ant, fr teche, teke o teque.

sciare remare a ritroso, spg. port. ciar id.


bigio biancastro; ant. fr. bis grigio, cenericcio.

cischero losco; Cfr. fr. chassieux (ant. chaceuol) da chassie.


Nell'ant. gloss. berg. abbiamo: sceza , lippa, e
scezada , lipposa.

beco semplicione, contadino, beca minchiona (Fanf.; Voci e ma


niere ecc.); cf. ant. fr. pec, f. peque, prov. pec, pega
i
con eg. sig. dal lat. pecus.

loffa e vescia fungo e ventosit, cfr. fr. vesseloup (e in qualche


dial. pet de lau), e portog. beaciga de lobo. Rispetto
al signif. di vescia da vessica abbiamo nelle glosse
antiche vesse spiegato strula, e altrove leggiamo:

vissium , 80eoua, flatus ventis, e 80eo , vi


so, basso, pedo. (V. Diefenbach, Nov. Glos. lat. germ.
a fasula).

giannetta mazza; cfr. spag. pg. gineta che significa una specie
di lancia della cavalleria, ed anche il bastone dei
capitani di cavalleria, e si riconnette con ginete ca
valiero. (1)
-

grancia fattoria; cfr. spg. granja id., fr. grange granaio ecc. da
granea. Anche in sicil. grancia.
-

sbertucciare sgualcire il cappello. Probabilmente la stessa voce


che illmb.spatiisaarruffare i capelli,(Biond.83) perci
affine al fr. bertouser che ha conservato il significato
primitivo che era quello di tosar male, inegualmente,
da bis e tonsare. Anche in Lombardia la frase taia
(l) La vera etimologia di ginete fu data dal Dozy che mostr
quella voce non essere che alterazione di Zenete, nome di una trib
berbera che forniva i cavalieri ai sultani di Granata (Dozy, Gloss. des

mots esp. ecc. p. 276 )


--

165

a la britiis significa tosare rozzamente; l' em. (Bd.


279) ha sbertoner scapitozzare.
ratta rete del maiale; fr. rate.

spapacciare spiaccicare. voce nata per assimilazione da spa


tacciare, ed affine quindi al fr. epater, wal. spater;
il milan. ha similmente spetascia e il nap. spetac

ciare. Da patta zampa vivente nell'umbro ed in altri


dialetti, e corrispondente al fr. patte, ed allo spg. cat

pata, intorno alle quali voci v. Diez, EW. a pata'


prescia fretta; fr. presse da pressa come premura da premere.
(Cfr. cascia da cassa, smusciare da smussare ecc.).

afrore odore forte, acuto; negli scrittori si trova afro aspro, a.


v,

cerbo, che ancor vive in qualche dialetto, ed affine

al fr. affreua (horridus) dall'ant. fr. afre horror.


Probabilmente dall'ant. ted. eivar, eipar (Diez).
crecchi smorfie, carezze; sp. caroca id. Crecchi quindi tron
camento di carecchi.

impagliata donna di parto; cfr. pg. parida. La forma toscana


viene da impajata (come noglia da noia, acciaglio
da acciaio nella montagna pistoiese) e questa da una
forma paria, che riscontrasi anche nel berg. paila
Parimenti comuni ad altri dialetti neolatini

sono per lo pi le voci di origine straniera:


sornacare e sornacchiare russare; ant. ted. snarken (schnar
chen). Emil. surnic Val. sfornaescu, id.
buristo salsicciotto di sangue di maiale; ted. Wurst. salsiccia
-

scilacca colpo, percossa; ant. ted. slac (schlag) percossa. (1)


robeca (Chiane) violino dei villici; fr. rebec, pg. rabeca. Se
condo il Diez dalla stessa radice da cui ribeba, cioe
dall'ar. rabeb.

(1) Non inutile avvertire come frequentemente venga allegge


rito l'incontro della sibilante colla liquida iniziale coll'interposi
zione di una vocale come in cilandra per slandra, seneppina da
schnepfe, sornacare (per sonarcare) da schnarchen ecc.

166

tareria larga scodella o piatto di legno. L'arabo taifuriya vale


appunto piatto, scodella od anche bacino, bench
poi lo spg. tafurea che ne deriva non serva che a de
signare una specie di navc (Dozy, Gloss, ecc. p.345).
Altra forma toscana tofania corrispondente al lmb.
buttero

stefania Biond, p. 83)


pustola nel viso; ant. ted. biatera = bulla (Diefenbach).
Altra forma teutonica era bodele da cui l'emil. bo
tla bollicina. (1)
-

- -

bordoni spuntoni delle penne. Nord. broddr, angs: brord punta,


pungolo. Cfr. val. boldu stimolo.
-

bagattello specie di vettura (Fanfani, Voci e maniere del par

lar fiorent., Firenze, 1870); dal ted. wagen. In qual


che dialetto di Lombardia detto bagar.

atolare affannarsi, affaticarsi; got af-dojan martoriare, stancare.


togo buono, acconcio; got. daug = estaugt ( buono, utile)
da un tema diugan (2). Qu anche lnb. ciogo ot

timo, (Bd. p. 63) ed em. tiogo (B.289)


gisso squisito, eccellente; got. iusa, di cui non rimane che il
comparativo iusizan (3).

orca specie di nave; ant. ted. holchun, holechen (navis actuaria)

La stessa origine ha probabilmente lo

Spg. urca

che il Diez ravvicina al gr. okxdg ed al lat. orca (4).


(l) Buttero nel senso di mandriano viene invece da bucolo

(povxoog) e in senso di fanciullo da pttolo (putto).


(2) Meyer, Die gotische Sprache, p. 702.
(3) Meyer, O. c. p. 166.
(4) GIi stessi ravvicinamenti, per una singolare coincidenza, fa
il Nerucci (Saggio ecc. p. 247) e dopo di lui il Fanfani (Voci e ma
niere ecc. p. 126). Il Diez nota che urca anche il nome d'un pe
sce; ma non raro che voci di diversissima provenienza si confon
dano nel suono Urca pesce pu ben venire dal lat. orca, senza che
ci vieti di derivare urca nave da holchun.

167

ciuino porcellino; ant. ted. swin ? Cfr. anche lmb. cion, si, sina
(Bd.63, 82) sun (Id.84).

lochio soffio; ted. hauch, da cui ochio e coll'articolo aggiunto


(cfr. lamo, lellera, landrone ecc.) lochio.
eaide (Billi)gheroni, quindi anche le cigne fermate ai gheroni

per insegnare ai bambini a camminare. Anche in


modenese caida vale gherone (Galvani). La stessa

voce che il mil. gheda, sd. gaja che il Diez rico


nobbe essere il longob. gaida.

smacio macchia che i verniciatori dnno al legno, ted. schminke.


L'emil. ha smeco belletto, dalla stessa origine (Bd.224)

I fatti accennati provano, ci pare, abbastanza


chiaramente, contro le apparenze ed anche contro
le prevalenti opinioni, come il lessico dei dialetti
toscani, eziandio considerato nella parte pi veramen
te popolare, e perci pi antica e meno soggetta alle
influenze della civilt ed agli scambi provenienti dai
commerci e dalle moltiplicate relazioni sociali, sia in
gran parte il medesimo che negli altri parlari del
l'Italia e dell' Europa latina. Rimangono, vero,
oltre alle ricordate, molte altre voci che paiono, a
primo aspetto, proprie solamente della Toscana ed
accennare quindi ad un particolare fondo di voci di
questo paese. Ma queste parole pure, a chi ben guar
di, non sono altro che modificazioni popolari di voci
della lingua comune, o varianti fonetiche e morfolo
giche di elementi che gi abbiamo riscontrato in
questa o in quella parte del dominio latino. Abbia
mo avuto pi sopra occasione di provare come la
stessa voce latina abbia talora assunto nelle lingue
moderne due o pi forme, che presero poi spesso
significazione alquanto diversa, come:

168
DIALETTI TOSCANI

ITALIANO
vescica

loquela
squilibrare
singolo

vescia ventosit (p. 136)


patita fidanzata (quasi dal pa
tire amoroso) (p. 61)
chiella arroganza (p. 159)
sgualembare barcollare (p. 68)
sciugi:olo sottile (p. 65)

attonito

tonto stupido (p. 65)

sopraciglio
papiro

cipiglio (p. 66) sguardo. papio lucignolo (p. 65)


barelle occhiali (p. 72)
ghiribizzo (p. 172)
gnocco (p. 132)

pattuita

berillo
arbitrio
nucleo

GCC.

GCC.

Abbiamo pure mostrato molte voci oscure non


essere che derivazioni o combinazioni nuove di ele

menti comuni, e cosi per esempio:


Scientare distruggere, da ex ed ente (p. 135)
stazzonare palpeggiare, da tastonare per tastare (p. 122)

sbarazzino biricchino, da baroccino diminutivo di baro (p. 142)


ciondolo e chinchilloso da undulare (p. 143)

limicare, gemicare, gemire da humere (p. 143)


truciolo, trottola, crullo, gruzzolo ecc. da rotulare (p. 144)
palta, pattona, pacciume, impataccarsi da puls (p. 145)
pacchiare, pacchiuco, bffice, pifferona da pappare (p. 145)
e00.

000.

Venendo ora a considerare molte delle pi oscure


voci toscane non esaminate fin qu, troveremo che

169

esse si riducono in gran parte ad una delle accen


nate categorie, e sono cio varianti popolari di altre
voci comuni, nate ora da ulteriori alterazioni foneti
che, ora da novelle combinazioni morfologiche e
spesso ancora da modificazioni fonetiche e morfolo
giche ad un tempo.
Varianti fonetiche sono :
TOSCANO VOLGARE

ITALIANO

buccine specie di rete (sic. fi- fiocina da fuscina strumento


scina id.)
uncinato da pescare.
bruscello canto di maggio, far- arboscello. (1)

sa popolare (Nerucci. p. 97)


cioce specie di scarpe (socie zoccoli, dal l. socci.
femm. del lat. socci per
assim. divenne cioce)

ndice ovo nidiace (lmb. ndas) indice, l. index.


gmbina cuoio che congiunge la copula congiunzione (da
vetta del coreggiato col macui gbina indi gmbina;
nico, laccio, vincolo.

conf. modine da modulus)

(1) Bruscello che senza fallo alterazione di arbuscello ebbe in Val


d'Arno la stessa sorte che altrove il nome del Majo, il quale indi
cando prima l'alberello adorno di fiori che si porta il primo di
Maggio attorno dai Cantamaggi, pass poi a designare certi canti
contadineschi e false popolari con cui si festeggiava quel giorno.
Cantare il bruscello vale quanto cantar Maggio (Nerucci p. 97) Il
prof. d'Ancona ricorda, parlando dei Maggi, l'uso degli innamorati
i quali a solevano piantare o appiccare il majo alla porta o alla
finestra della loro bella, e in suo onore cantare le maggiolate

(A. D'Ancona, Le rappres. dramm. del contado tosc.; nella Nuova


Antologia, Sett. 1869, p. 10)

l70

frazo avanzo (dal nom. fractio) frazione.


grispignolo specie di insalata crespo, increspare ecc.

(cosi detta dalla sua super


ficie crespa)

lienda discorso lungo, noioso. leggenda.


metodo.
mitidio senno, ingegno.
pittima avaro, persona stucche epitima, dal gr. entinua em
Vole.
piastro.
rigno cattivo odore (da uligine uligine da uligo.
fatto maschile ligno poi
rigno. Cfr. rogna da rubi
gine.)
surchio (nella frase magro co sorchio da surculus romoscel
lo.
me un surchio. )
strombola arnese da scagliar trbina; lat. turbo vento vorti
-

sassi.

coso. Cfr. tromba da turbo.


aversieri (Mont. pist.) dia avversario nemico.
volo (1).

befana vecchiaccia deforme.

epifania,

scompuzzare o scompuzzolare compulsare.

rovistare, frugare (Fanf,


Nerucci).
aciare, ansciare, asciare respi ansare, ansia ecc. del lat. an
acius.
rare, donde cio alito.
altercare.
attricarsi contendere (Rigutini)
adesare disporre, accomodare, adagiare
(Mont. pist.)
arraffare
arpare rubare
acciottarsi (Versiglia) sedersi. assettarsi.
erpicarsi.
abbricearsi arrampicarsi.
(1) Cosi versiera strega, em. arvsaria da adversaria. Anche l'ant.
fr. ha aversier diavolo

17 l

appioppare apporre ad alcuno. appropriare.


azzorare (cfr. val. giur giro) girare.
girare.

attragellire meravigliar forte,

trasalire, fr. trsaillir


bigoncia
bttero fanciullo,
e
pttolo.
battigie (da una forma vertigi vertigini.

bigone specie di misura,

per vertigini) mal caduco.


bolfido bolso (per etim. pop.
da buffare).
bastardella vaso (da guastar

bolso.

quastada e anguistara.

della; cfr. bindolo e guin


. .

dolo. )
.
.
.
ciondolina, cilandrina donna

slandrina.

sudicia.
scachicchio infermiccio.

cachettico.

fogno vento. -

favonio.

frincare (Nerucci) piagnucolare frignare, da frendicare.


coppia.
gubbia muta di giunenti.

rinfrancescare ripetere, rivo rinfrescare.


Care

razza (chian.) e raca sterpo.

radica.

taccio cottimo.
tasso da tassa quota.
zabruglio (chian.) confusione, subbuglio o guazzabuglio ?
-

- -

miscuglio.
tombolino ferruccio rotondo (U
nit della lingua- Anno
3. N. 2)
ordio spiacevole,

tubolino

orrido

acciacinarsi affanarsi

aginarsi (agere se)

baragozzo baraonda (cfr. sic.

baraonda

baragunna)

172

nmbolo o ninfolo palato (U- uvola (da cui nubola numbola


nit della lingua.
poi nombolo. V. pi sotto)
ccera zanzara
zanzara; da zinzilulare.

barullare (Billi) rotolare

rullare (da cui brullare poi


burullare e barullare)

zozza bevanda spiritosa (1)

sidro? (cfr. ant. sp. sizra, lat.


sicera)

Nuove combinazioni o derivazioni di elementi


comuni sono:

aruginare (Billi) arrotare, da arrotinare, formato da arrotino.


arrampignare e ranfignare da arraffare.
-

brusta brace spenta, formato da abbrustare (perustare).


buffardello soffietto del fuoco, formato da un tema buffare che
in sbuffare, bufera ecc.
ctano e cotrzzolo sasso, ciottolo, da cotulus, diminut. di

costis (cfr. mdano da modulus).


catagliolo trogolo; da catillus vaso.

disquidio alterco; da un verbo disquidere disputare (disquirere)


dilcine delicato; formato da delicus.

dicolo giaciglio; da diacere (jacere).


farfanicchio uomo dappoco; da fnfano.

incatricchiare e scatricchiare arruffare e sbrogliare, donde


scatricchio pettine rado; da craticula cosa intrecciata
intruschiare intrudersi; da una forma intrusiculare derivata da
intrusus.

capitoni alari; da caput.

capitagna estremit del campo; da caput (capitanea).


pesarolo (Fanfani, Voci e man. ecc.) girellina in cui si infila
(1) Potrebbe per zozza venire da zythum bevanda d'orzo, da
cui zytia o zutia divenuto poi zozza.

173
il fuso; da

pensario (pensiero) capietto da fermare

la rocca, e questo da pensum

schiucquelotto (Chiane) scapellotto, da coccola o chioccola testa

Nate invece dalla fusione di due vocaboli sono:


guluppone ghiottone, da gola e lupo

valampa vampa, da vampa e lampo

pulimante leccato, elegante, da pulire e limare


avvitortolato attorcigliato, da vite e torto (Fanfani, Unit della
Lingua, Anno II Vol. 1. 363)

abbolessare bollire; da bollire e lessare (Mea di Polito)


stracanare stancare, da stracco e cane.
.

Da modificazioni morfologiche e fonetiche insieme


nascono:

it,

arfasatto
uomo
derivato
certamente da una
s
formainetto,
arfesemal
perdestro,
artefice
Nell' antico umbro si di

ceva artete per artefice e arfetuseo in senso peg


giorativo. (Arch. storico it. XVI. I, 321.)

gattabuia prigione, composto di cata che trovasi anche in ca


tacomba, catafalco, e dell'agg. buio ad esprimere
un luogo oscuro e sotterraneo. Dicesi infatti anche

catorbia e buiose nello stesso senso. Il sic ha catoia

stanza sotteranea, e il port. cadea per prigione.


scalabria mobile vecchio che mal si regge (V. Billi - Dial.
chiam.), lom scalambert specie di mobile malfermo

s 3

per sostenere i cannicci dei bachi, em. scalampia


i

assito (Bd. 280) Probabilmente la stessa voce


che il prov. calabre catapulta, dal b. l chadabula

che pi sopra abbiamo veduto essere la forma po


polare di catapulta. Il passaggio dei significati sa
rebbe il medesimo che in caltatrepola. Influ poi sul

l'alterazione fonetica l'etimologia popolare da scala.

174

sgargiante bellimbusto, spaccone. alterazione di squarciante


che pure si usa con eg. sign. Il venz. dice in tal

senso squareoso, il nap. squarcione e il sic: scarciuni;


(cfr. spaccone da spaccare).

baggiola (Nerucci, p. 232) altalena, da baggiolare dondolare


e questo variante di vagellare (vacillare) a cui
pure affine

- -

bagioggolare dondolare e gioveglieca altalena. Da vagellare


venne una forma vagellicare divenuta poi bagioggo
lare, ed un sostantivo vagellica mutato poi in gio

vellica o gioveglieca.

sobbggiolo, soppoggiaja, bggiolo sostegno, appoggio; Voci for


mate da soppoggiare da cui anche

svici travi che sostengono le botti; da sobbaggiolo mutato in


sobboggio venne svicio o svice essendosi conside

rata la sillaba finale come un suffisso (1).

catellabandolo, che sia alterazione di capitella (piccola estremit)


lo prova il sd. cabidu bandolo.
gutturia caponeria, stizza dei bambini. la stessa voce che i
lmb. cattiveria usato nello stesso senso. Per l'alte
razione del suono ive in u (cfr. sollcchero da
salivicula) venne catturia mutato poi in gatturia
(cfr. gattabuia da catabuia) da cui, assimilata la
prima vocale alla seconda, gutturia.

sciambrinato cogli abiti larghi e aperti; voce affine al nap.


sciambrare ampliare, da examplare, da cui pure

sciabbiata colle vesti sciolte e cascanti, (2) e la forma avverbiale


(1)

per anche da refrontare

il lmb basol sostegno (Bd. 59)

che par derivato da basula (basis).

,, ,

(2) Nella Crezia Rincivilita del Zannoni (Atto I. S. I )la Cre

zia dice: - l'andao tanto sciabbiacha, che

mi cascaa ogni cosa d'ad

dosso; vestichacoste alla milordina


e mi par d'esser ritornacha n
fasee i
-

. . .

r .

l75

a giambro largamente, senza economia (Billi) e probabilmente


anche

a giaba in quantit, che maniera anche lombarda. Quanto al


l'alterazione fonetica, efr. gemicare da sciumica e
(eaumicare)
bruzzolo punte della paglia o del legno, donde dibruzzolare to
gliere i bruzzoli (Nerucci). Sono voci derivate da

brusta spazzola, dall'ant. ted. brusta setola, pettine.


(St=zz come in grezzo da agresto).
arrembato tardo, pigro; da rembolare per remolare (morari)
tardare, si fatto arrembare (considerandosi come
suffisso la rimanente parte del vocabolo) che ci
rimasto in arrembato (1)
lamicare lamentarsi sommesso; lammia e lammione querulo. Da
lamento e lamentare richiamato alla radice. Anche
il ven. lemo vale lamento e il sic. lamiari vale la
mentare
-

ramaccio strepito; voce affine a rumicciare far rumore coi piedi.


Anche qui rumore richiamato alla radice con nuovo
suffisso ha dato rumicciare e rumiccio, il quale di

venne rumaccio poi ramaccio con suffisso accrescitivo.


nafantare e anfanare vaneggiare, almaccare. Da vano mutato
come nello spagnuolo in ufano si fatto ufanitare

e coll'aggiunta di un n (cfr. nescire, ninferno ecc.)


(l) Non voglio tacere il dubbio che ho avuto per qualche tempo
che arrembato potesse derivare dal lat. stlembus che nel significato
corrisponde perfettamente ad arrembato. Infatti stlembus si dov
pronunciare pi tardi lembus come stlocus e stlis si pronunciarono poi
locus e lis. Da lembus facilmente mutato in rembo (cfr. rosignuolo

da luscinola) pot formarsi arrembare da cui il part. arrembato.


Tuttavia l'esempio di altre voci in cui una parte del tema fu ab
bandonata e la radice modifieata con nuovi suffissi, come ramaccio,

lammiare ecc. mi fanno preferire l'etimologia da rembolare. Cfr.


anche spg. remolon pigro, lento.

176

nufantare poi nafantare. Anche lo spag ha ufano


per vano e il Vnz, ha sfantar per svanire.
aggiogliarsi addormentarsi; da gioglio per loglio.
appalpallerarsi addormentarsi, da papavero si fece appapave

rellarsi poi appalparellarsi caduto il v ed inserito


un l forse per ravvicinamento a palpebra. Anche il

nap. da papagno papavero ha fatto appapagnarsi


addormentarsi.

allappicarsi egual signif.; da oppio coll'articolo aggiunto (cfr.


lamo, lellera) si fatto loppio da cui alloppicarsi
poi allappicarsi dormire.
appiopparsi eg. sig.; ancora da loppio scambiato colla pianta
loppio da opulus (lmb. opi) e quindi confusa col
pioppo. Di qui appiopparsi per alloppiarsi e la frase
dormire come un pioppo. (Fanf voc. e man. ecc.)
spillnzora donna attempata e nubile; alterazione di pulzellona.
spiffero soffio; dalla stessa radice da cui sbuffare, bufera ecc.

Da spiffero poi il verbo spifferare soffiar fuori quindi


svelare, che, con egual metafora, dicesi anche rifistiare.

pispino zampillo, formato dalla stessa radice da cui spicciare


per armonia imitativa (v. p. 101 ).
rascioleto e razzinaglia terreno sterile. Ambedue voci derivate
da razza (per radica) sterpo.

eionearino maiale; lat. suculus, donde cinchero poi cioncarino

con regolare alterazione

- -

lubgine umor tetro, probabilmente da lugubre come tetraggine

da tetro. Il processo di formazione non mi per


ben chiaro. Cfr. anche sp. lobrego per lugubre, e
port. rabugem melanconia.

bonciarelle fritelline, bozzolara (bucellaria) quella che fabbrica


dolci e chicche; da bucella. Lmb. ven. bozoln spe
cie di dolce.

177

a biscocca a sghembo; alterazione di bischenco formato da sghen


go (nato per assimilazione da sghembo, v. p. 115) e dal

prefisso bis (cfr. bistorto, sbilurciare ecc.)


interpico impaccio, inciampo; voce affine a treppicare, trimpel
lino, al port tropicar, spg. tropellar inciampare.
cioccie poppe, da una forma ciociare poppare per ciucciare
(suctjare).

ciolla donna sudicia, affine a zagliona, al fr. souille ecc. da


suillus.

becero uomo zotico, rozzo; da beco (lat. pecus) contadino, zo


ticone?

sciantello guidalesco;forma popolare di esantema (eranthema)? (1)


catana borsa dei cacciatori; da captanea formato da captare, e

affine quindi a cacciare da captiare?


miracoli carezze (Nerucci). Certo dal lat. pop. melliculum (ter
mine di carezza), scambiato coi derivati di mirare (mira

colo, ammirazione ecc. )

Noteremo qui ancora i seguenti presi diretta


mente dal francese:

- -

ingiarmare ingannare; lmb. ingerm, piem. anciarm (Bd. 65,


559) fr. charmer.

bisboccia (Fanf. Voci e man.) crapula, per assimilazione da


disboccia, affine al piem, desbaucia, em. sbocia (Bd. 279,
566); fr. dbauche.

gridelline color lilla; fr. gris-de-lis.

N si creda che siffatte composizioni o deri


vazioni o alterazioni di voci siano sempre da attri

buire ad una particolare elaborazione del comune


materiale

do Non

linguistico, dovuta interamente alle popo


veggo

me credono alcuni.

come queste derivare da sciatica, co


-

;
s -

I2
s

178
lazioni della Toscana. Non poche anzi di siffatte voci

dei dialetti toscani derivate o formate diversamente

che nella lingua scritta, riscontransi in pi altri dia


letti neolatini, e sono quindi da ricondurre a modi
ficazioni gi pienamente in uso nel latino volgare,
che ritroviamo ancora in parte o ricordate o usate
nei grammatici e nelle scritture del basso latino.

Comuni sono le seguenti voci

composte:

ceroferario, lat. ceroferarius

Berg ciforal candelabro.

grattacacio grattugia

Nap grattacasa; sd. rattacasa


Vnz. palagreno para-gremio).

sparagrembo grembiale

uguanno o aguanno quest'an- Nap. aguanno, sd. oceannu,

ant sp hogano, an. port.

no (hoc anno)

ogano, pr. ogan, ant. fr.

ouan, rcio un (V. Diez.


a uguanno)
igoggi, o goggi oggi; da hac ho- Ven. ancoi, lmb. anc; prov.
-

die o hano hodie (agoggi

ancui, ant. fr. encui (hanc

igoggi, poi goggi; V. Ne-

hodie)

rucci, Saggio ecc. p. 84)


paracqua ombrello.

Sp. paraguas -

si

toccapoma giuoco di fanciulli Lomb. puma evidentem. tron


che si inseguono fino a ragcato da tucapuma.
giungere la meta che per

lo pi un albero (in origi-

ne forse le poma)

butifione e spantanfione uomo Lmb. butafion e batafin (V.

grasso, da bud e inflare

p. 14 ) ecc.

trespolo o trespide treppiede

Sd. istripides da tres pedes

scartafaccio da carta-fascio

Spg. cartapacio
it

179

marrancio coltellaccio de' ma- Lmb. marasa (berg. marus).


cellai, per mannarancio,

sd. marrazzu. (1)

da manuaria ascia (ascia


mannaia).

covelle alcuna cosa, poi nulla; da Em. cvl qualche cosa. Sannit.
quod velis

cubiello niente (V. nel gior.

la Giovent, Aprile 1866),

reat. covelle (ib.)


chiuvegli alcuno, nessuno (Fan- Reat. chiegli (Id. ib.) (2)

fani, e Billi; da quem velis)


duvelle (Billi) in nessun luo- Em. invel in niun luogo (Bd.
-

go (ovelle nel Vulg. Eloq.)

267)

da ubi velis o de ubi velis.

guluppone ghiotto, da gola e Piem. galiip (Bd. 569)


lupo (p. 173)
va

Comuni con altri dialetti ha il toscano i seguenti


arcaismi morfologici:

ghiomo gomitolo, donde ag- Nap gliuomero, si lomburu


ghiomare, dal lat. glomus.
vv

(1) In Lomb. anche

. ,

scaras

ven. gemo, sic, agghiuma


riari aggomitolare. Val.
ghem

accetta, da scure-ascia (Bd. 79)

(2) Le parole che hanno un significato indeterminato passano

anche ad esprimere la negativa. Cosi in fr. personne, rien (rem) ecc.


Come correlativo a covelle e chiuvegli abbiamo nel chianaiolo anche
duvelle in nessun luogo, che la voce corrispondente all'ovelle at
tribuito da Dante agli Aretini. Vo' tu venire ovelle significa dun
que: Vuoi tu venire in qualche parte (fr quelque part) ? Nelle an
tiche scritture romane ed aquilane troviamo pi volte adoperate tali

voci. Cosi nell'Historia romana, pubb. dal Muratori (Antiqu III.)


troviamo cobelle (p. 269) e chivelli (p. 299), e nell'Historia Aqui

lana di Boerio Rain (Ant. v. l.) chivelle (p. 538)

180

poeza pozzanghera, da puteus Lmb. pucia; (ven. pocio ancora


fatto femm.
maschile)
sciorare stender all'aria
Vnz. sorar, lmb. sur raffred
dare col soffio e coll'espor
re all'aria aperta; sd. scio
-

rai ostentare

Sic. pupa, sd. puppa, lmb. pia:

pupa poppattola, lat. pupa

gemire gemicare; da ex-humere Sd. sumire


Sd. replanu
ripiano pianerottolo.
scrimolo scriminatura (od anche Dial. nap. scrima (Terra d'O
tranto; V. Canti delle Prov.
pericolo, rischio), l. discri
00360?

merid. I. 147)
Dial. nap. zita (Lecce
ecc. I 75)
limb. leda, vnz. lea.

cutta e citto, donde zitella


leto lezzo, lat. oletum

Cant.

Similmente le seguenti derivazioni:


gomicello gomitolo (anche go
micciolo o gomizzuro)

Lml gamisti

mezzadro mezzaiuolo; b. lat. Ven. mezadro, lmb. mesadar,


medietarius

fr. mtayer, prov. meytadier.

agaiolo agoraio; da acuariolus Nap. acarulo


(acuarius)

Lmb. ramna utensili di rame

ramina scheggie di rame

orice orlo, da oricius (ora)

Sd. orizu.
Nap. puppata, fr. poupe.
-

poppada poppattola

subbiello perno dei cignoni del Lmb. sive, siiel o sil; sp su


le carrozze (Rigutini); da

billa, port sovella lesina

(Berg sibol da insubulum)'


pigozzo specie di picchio da Ven pigso, Imb, pigss.
insubellus per insubulum

picucius per picus


rantaco rantolo

Ven, rntego

ei

18I

ramengolo bastone, da ramo

Romgn. rameng (Bd. 275)

furcina (chian.) forchetta


Lmb. fursina. spg. forcina
ghicolo giaciglio, da jaceo
Sd. ghioculu culla
caperello (o capitignoro) ca Nap.caporello (anche capetiello)
pezzolo, da caput

schiriolo scoiattolo (Billi), da Spg. esquirol; fr. cureuil


sciuriolus
Lmb. biastt

biasciotto cosa biasciata

Ven. barbisi, lmb. barbis


barbigi baffi, da barba
capitoni alari del focolare; da Lmb. cavdn, Vnz. cavioni, em.
caput.
cavdana (Bd. 257. 62)
capitagna estremit del campo; Lmb. cavdagna, vnz. caveagna
da caput (capitanea)
(Bd. 63, 257)
capoccia capo dei lavoratori; da Mod. capodegh (Galvani)
caput (capoticus)
ctano sasso; da cotulus dimin. Nap. citula (Can. pop. I. 243)
di cos-tis
lmb.codul, e cden (Bd. 63)
Sd. codulu, Prov. Cat. codol
cantonale armadio; da cantone Lmb. cantunal; (sd. cantonera
(canto)
da cantonaria)
filello scilinguagnolo; da filo Ven. filelo, lmb. filt.
verzella verga di ferro
Lmb. versella verga da battere
il grano. Ant. fr. vergelle.
mndole castagne mondate e Lmb. mndui
seccate (Rigutini) dette an
che mondine, da mundus.
-

lonza parte lombare, da lumbea Vnz. lonza, fr. longe e logne


cariola carretta a mano.

Lmb. carila.

pacchera, pacchiarina, pac Lmb. paciara, paciarina, ven.


chiuco poltiglia, da pacchia
paciugo.

(pappia)
ciotta escrementi, da isciuta

(iscire =

erire, v. p. 67)

Lmb. sota (Bd. 83)

182
arcile cassa, formato da ar Em. arzil (Bd. 249)
C0.

vigogna da vivonia modo di

Em.

vivono (Bd. 292)

vivere
pelletica da pellis

Mod. spladga (Galvani), lmb.

spalgta, vnz. pelegata.


intragni, intragnuri interiora Sd. intragnas (sp. entranas),
(Fanfani, Mea di Polito);
sic. entragni
lat. interaneum, pl. inte
0"01100.

pigna pannocchia del pino, quin- Nap. pigna d' uva grappolo,
di grappolo; da pinea
Port. pinha
schiantolo e schiantolino grap Em. sciunclen
polino, da schiantare.
scapaccione colpo sul capo, da Lmb. scupasn

caput

tritello segatura di legno; da

Lmb. tridl

tritare

terrina vaso di terra da tavola; Umb. rom. terrina; em. tri


da terra
gna; (Bd. 290 ) vnz, ta
rina, lmb. ven. tragna
(terranea).
sinale grembiale, da sinus
Ven. sinal, nap. sinali (bruz.;
V. Cant. pop. merid. l. 169)
tacca pezzetto di legno; talica In quasi tutti i dial.
da talea

agina fretta; dal b. lat. agina Rom, agina o aina; ant. spg.
derivato da agere
agina o thina, ant. port.
aginla agile (Diez) ,
folata soffio di vento; da follis Sic. ruultata (Cfr. vnz. refolo
soffietto, mantice.
vento).
brindcola donna sudicia e con Vnz. sbrindacolo lacero; limb.
vesti lacere; voce affine a
sbindac (per sbrindac)
-

183

brindello, brindolo ecc.

santocchio bigotto

Ven. santocio, sic. santocchiu

lmb. em. santoc'Spg. san


tucho (Cfr. anche sd. san

ticu, Spg. santico)


abbottito ripieno di cibo; da Sd. abbuddatu

bot (botulus). V. p. 81.


sdrenito fiacco, debole; da reni Venz. desren, sic. sdirrinatu,
port. derreato
ugnolo semplice, sottile, da u Vnz. ugnolo.
nulus

sperleccato azzimato.
Lmb. ven. sperlec
battuto
sgrendinato arruffato,
Vnz. desgrenden
dalla grandine
Comuni anche le forme avverbiali:

avale ora; da aguale per egua- Sd. abali id.


le usato avverbialmente.

a cretta, a crecchia, a crai o


a crilie(Nerucci) a credito
dacca tacca vicino vicino

sinenta (chian.) insino, aggiun


to il suffisso comune degli

Lmb. a creta

Lmb. atac atac (da attaccare)


Rom. march. inzinenta

avverbi.

E cos i verbi:

appettare (Fanf.; Mea di Pol.) Lmb. Vnz. petar


applicare; da applic' tare
formato da applicitum
appicciare o appizzare accen
dere il fuoco

Lmb. impisa, em. impizer (Gal


vani); nap. impicciare (C.
mer. I. 328)

accercinare girare in tondo

Sd. chirzinare

184

(Versiglia), da crcine
addoparsi porsi dopo

Em. aduprs (Bd. 247)


singabolare tirar nel laccio, da Lmb. ingabul irretire, e sd.
capulum, e scapolare li

iscabullire liberare

berarsi

incatricchiare o incatriare (Ne Lmb. ingati o ingatina, mod,


rucci) arruffare, imbroglia
ingattier (Galvani), ven.
ingatigiar
re; da craticula
Em. sgattier, sd. sgatilai
scatricchiare sbrogliare.
impacchiucare infangare (usato Lmb. Ven. impaciugar piem.
pacioch diguazzare (Bd,572)
anche dal Berni); da pac
a

chiuco

- -

ramfignare, sgranfignare ruba Lmb. sgranfign, Vnz. id. sic.


re; voci affini a griffie,
sgranfugnari; Spg. garra
finar.
granfie, ranfie (Fanf. - Vo
ci e man. ecc.)
strizzare spremere; da extri Lmb. straci spruzzare; ant. fr.
ctiare

estrecier

untare ungere; dal part unto. Ven. ontar, lmb. unt, sd. un

tare, Spg. untar


stratelarsi sdraiarsi (chian.) da

Umb. stratarsi.

strato.

sagrare bestemmiare, da sacro Lmb. ven. saracar


strinare bruciacchiare; dal lat. Lmb. ven. strinar, em. striner

ustrinum luogo dove si


ardevano i cadaveri

diluviare mangiare avidamente; Sd. alluffii divorare, (ed al


da lupo (Cfr. lupa fame
lurpiu avido, berg. libiae
canina) Di qui diluvione
id. nap. lopa fame.)
divoratore

pulizzire pulire
Nap. pulizzare
Fr. nager
navicare nuotare (Nerucci)
pienare riempire (Nerucci) da Lmb. impieni

185

pieno
cancellare barcollare (Nerucci) Nap. cagnel (Canti merid. I.
218) fr. chanceler

chiappare pigliare; da chiappo Sd. acciappare, lmb. ciap,


(capulum)
arrughire diventar roco, darau

piem. ciap ecc.

Sd arrughi

C0.

alloscire (Nerucci) divenirlo Sd. afflusciai, Sp. aflojar


scio (floscio)
ruciare pascere, da rosare for Sp. rozar
-

mato da rosum

Lmb. spiuvain, spg. llovianar.


Rom. vorticare volgerc.

piovigginare
verticare vuotare

limicare piovigginare per u Em.limgher trapelare (Bd. 268)


micare da humere (p.
143)
stolzare strabalzare da tollu Em. statossir (Bd. 286)
tjare (p. 130)
bulicare o brulicare da bullio Em. baligar (Bd. 250), fr. bou
ger muoversi, agitarsi.
-

E cos le locuzioni:
dar la disturna dar la berta

Lmb. d la disturna

(Fanfani, Voci e man. ecc)

m' diviso m' sembrato (Fan

Lmb. m' indivis.

fani, Mea di Polito); visum


eSt.

tra il lusco e il brusco tra

Cfr. port entre lusco e fusco

giorno e notte

stiavo addio ( Mea di Po Lmb. scia o ciao. (schiavo)


lito)
nato sputato tale e quale, dal In molti dialetti.

186
lat. purus putus (1)
i primi tempi la primavera

Fr. printemps

(Giuliani)
star covoloni (Giuliani) stare Sic. stari a cufuluni
accosciato (2) ,

Dove la corrispondenza non perfetta si


scorge una cotale analogia, e non di rado la frase o
la maniera di un dialetto serve a completare ed a
spiegare un'altra frase o maniera che sembrava sco
starsene. Ecco alcuni esempi:
aver di catto o di catti (Nerucci) aver bisogno, aver di grazia,
come di cosa che s'accatta (cio aver d'accatto). Il lmb.
dice tgn da catt tener di conto, e lo spg. acatar per a
vere in rispetto. Il lat. adcaptare valeva raccogliere, cer
care, quindi aver bisogno, serbare, tener di conto ecc.
riveder le buccie scoprire i difetti, non sarebbe spiegabile senza
il raffronto del lmb. fa i piilac (berg. f i ples) che ha

lo stesso valore, e che mostra come il tosc. riveder le buc


cie sia derivato dal rivedere le pulci modificato poi nel suo
no per eufema.
alla poventa da post ventum dicesi di luogo difeso dal vento,

e trova il suo corrispondente nel lmb. pisora (Bd. 75) da


post auram.

(1) Avviene per le frasi quel medesimo che per le voci; il po


polo le altera per una falsa etimologia. Nel putus si vide una voce
affine a sputare nella stessa maniera che nel disputare del motto
Degustibus non est disputandum che il popolo traduce. Nei gusti non ci si
sputa. Ho sentito in pi luoghi la sentenza latina: tot capita, tot sen
tentiae tradotta: tanti ne capita tante se ne sente.

(2) GIULIANI Moralit e Poesia del vivente linguaggio toscano, p.


95. Altri dialetti hanno il verbo; il venez. dice cufolarse, l'emil .

aguftars o guvires (Bd. 248, 265) il sd. acuilare ecc.

187
dar retta che abbiamo derivato da dare arrectam aurem

non

usata in altri dialetti, ma trova riscontro nel ticin.


dura (da aurem) che vale ascolta (Bd. 64) (1)

Eguali analogie e relazioni si possono del resto


notare in parecchi derivati i quali, sebbene proprii
del toscano, furono nella loro forma determinati da

altre voci di uso generale con cui avevano qual


che affinit di significazione. La stretta relazione dei
significati porta seco l'identit del suffisso; e per
se tali voci sono per il loro uso speciali a questa
od a quella parte di Toscana, ben possono dirsi imi
tazioni o copie di voci comuni. Nella stessa guisa che
spazzndolo corrisponde nel valore e nelle forma a
frucindolo ( arnese da pulire il forno), e lenbrugio
(piem. labr, sd. limbridu) da lambere, fu ravvicinato
all' equivalente leccugio (ghiotto) da leccare ed a
lugio da lurceus, e come spettoracciato (Nerucci) e
sparacciato si formarono da petto e da spalla per
analogia all' equivalente scollacciato, cos:
Spiccgine (detto delle pesche spicche) formato come dur
cine (lat. duracinus) esprimente il contrario.

Frignisteo (Ner.) da frignare formato come piagnisteo


Lattimelle da lactes (intestini) come l'equivalente animelle.
Caldura (Giuliani, Mor. ecc. 126) come frescura

Pezzalagna (Mea di Polito) come pannolano

(I) Cos il chian andar carendoquaerendo) accattare, corrisponde


al nap andar pezzendo da petere).

188
Cos fino dal trecento:

millanta da mille come quaranta, cinquanta ecc. da quattro


cinque ecc.
pizzuga (pisciuca tartaruga) da piscea, come tartaruga (tor
tuca) (3)
-

Molti altri derivati il popolo va formando coi


suffissi pi comunemente in uso per le idee affini
o d'una stessa categoria di quella ch'esso vuole e
sprimere. Cos forma riguardanza dottoranza, sup

ponimento, disperamento, confortazione, spirazione,


furbizia (Giuliani), ghiuttunizia (Billi) ecc. come

speranza, amicizia ecc.


Questo spiega poi molte variet o vogliam dire
irregolarit morfologiche, le quali pure, poich sono
fondate sull'analogia, riscontransi per lo pi anche
in altri dialetti. Si dice dota, canzona, mana (Ner.
17) anzich dote ecc. per analogia alla maggior parte
dei femminili che finiscono in a, e cos regio per
(3) Il Sic. pisciacozza (v. p. 160, ci conduce ad una forma pi
sciuca donde picciuca poi pizzuca (cfr. azza da ascia) In alcuni di a
letti lombardi la tartaruga chiamata bissa scudlera cio biscia

scutellaria (piscea scutaria) dalla forma di scudo che presenta il dor


so. Anche nelle carte medievali troviamo biaia scutellaria per testudo.
Siamo quindi condotti a far derivare anche la voce biseia, oscura
al Diez, da piscea. Per biscie infatti s'intende pi propriamente le

acquatiche, e come alcuni pesci, p e le anguille, molto rassomigliano


alle biscie, non parr strano che queste pigliassero nome dai pesci
Cos in latino abbiamo anguilla da anguis, e in greco egehelys ed echis.
Similmente la tartaruga perch vive nell' acqua fu detta piscea, e per
distinzione piscea scutaria, od anche pisciuca per analogia a tortuca.

189

rege, cecio per cece e pescio (sic. pisciu) per pesce in

conformit cogli altri maschili. Per la stessa ragione


fattora, stiratora, rimendatora, ecc. sono in Toscana

e fuori pi usati dal popolo che non fattoressa, sti


ratrice ecc.

Parimenti nei verbi abbiano

ebbi

ebb esti

eb

bemmo per ebbi avesti avemmo (Ner. 29) in confor

mit cogli altri perfetti; andiedi e andiede per andai


e and per analogia colle forme del verbo dare; nno
(mil. in) per sono formato da , come vanno da va

danno da d;-viensi per renni, corsi per rolli (dial.


mer. vosi, ozi ecc) come spensi, dolsi, scelsi; - strinto
(sd.
erro
ieto
altri

restrintu) per stretto come cinto, spinto;


per errore (sd erru, spg yerro, port. erro) e
per fetore nap. fieto, sic fetu) per analogia ad
nomi formati da verbi come ciondolo da cion

dolare, baleno da balenare, pisolo da pisolare ecc.

CAPITOLO VI.

re

Il Toscano e gli altri dialetti d'Italia

Il. Relazioni fonetiche.


-

-- -

- --

Dove per si

manifesta principalmente la diffe

renza tra toscano volgare e letterario nelle relazioni


fonetiche. Pu dirsi che due lingue stiano l'una accanto
all'altra, la prima rozza, l'altra culta ed elaborata.
L'espressione e con essa il suono alterano non

solo

secondo i luoghi, ma ancora secondo gli ordini delle


persone, e corrispondono, oltrech al clima ed alla
natura del paese, alle differenti condizioni morali

degli abitanti. Discendendo nelle classi inferiori, pi


frequenti divengono gli abusi del parlare, e la lingua
viene a farsi di mano in mano pi incerta e pi
lontana dal tipo letterario. Talch troviamo in una
sola provincia come compendiate le variet che poi
hanno il loro pieno sviluppo in pi largo spazio. Sicco
me poi le leggi di trasformazione dei suoni obbediscono
alle stesse influenze fisiche e morali, cos troviamo
avere tra loro nei caratteri fonetici, mirabile corri

spondenza il volgare dei contadini e delle pi incolte


classi della Toscana e i dialetti delle altre parti
d'Italia. Quelle propriet di pronunzia che nel to

191

scano
diche,

ci appariscono ristrette e, a cosi dire, spora


facendosi vieppi continue di mano in mano

che ci allontaniamo, vengono a costituire il carattere


e il tipo di altre parlate neolatine. Il che ap
parir, crediamo, evidente dall' esame delle al
terazioni che in forza delle cause di corruzione, fo

netica gi da noi studiate, ebbero a sostenere le voci


presso i volghi delle varie parti di Toscana, e dal

raffronto che istituiremo colle forme corrispondenti

delle altre parlate prima dell'Italia, poi anche degli


altri paesi dell'Europa latina.
Comuni troviamo i seguenti arcaismi fonetici (p. 101):
ceragio ciliegio; da ceraseus
1

e ,

Umb.pop.
cerasa
ecc. (Marcoaldi,
p. 161) (1) Cant.
sic.
cirasa, nap. cerasa (Basi
licata, Cant. merid. I. p. 35)

colmigno o colmegna, da cul- Vnz. lmb. culmegna; (Bd. 64)


mineus
cfr. anche sic culmareddu
fancillo fanciullo, da fanticellus Sic. fanciddu, sd. fancellu
-

beco baco; da bombya (per Lmb. e n. begi vnz. lmb. bigoli


bom-beco)
specie di pasta, cosi detti

dalla forma (vermicelli)

bulicare brulicare, da bullicare Vnz.250)prov.


bulegar, em
baligr
bolegar,
fr. (Bd.
bou
,

ger

- -

guaitare (2illi) guatare; dal Umb, march, guaitare, piem.


- -

-.

(1) Canti popolari inediti umbri, liguri, pieni, piomontesi, latini


raccolti a illustrati da Oreste Marcoaldi, Genova, 1855.

192

ted. ant, wahtn (1)

avait (Bd. 561) lmb. fai


la guaita; prov. guaitar

ant. fr. guaite o weite


guardia

dismenticare (Ner. 70)

Vnz. lmb. desmenteg

allaccare (Nerucci) straccare, Nap. allancare ansare.


da lacca. (2)

forgia e sforgiare foggia e fog- Rom. forgia, sic. furgiari, sd.


giare; lat. fabrica.
forgii, fr. forger
pappardella pizzardella; da pipio Sd. papardedda.
ravversare rabberciare; da re-

Sic. abbirsari ordinare

ad-versare. (Il suo contrario sversato senza gar

bo).

croccie gruccie; da crucea

Sic. crozza, lmb. scrozzol (B.


81 ) Vnz. crozzole, em.
scrossol, spg. croza, fr.
C9OSSe

pavura (cort) paura, da pavor Rom. pavura, nap. id.


(1) La prima alterazione della voce tedesca fu l'indebolimento
dell'aspirata gutturale in i, quindi guaitare forma pi antica che
guatare in cui l'a ha oscurata il suono dell'i come in sanali da

sainali (sagginali)
(2) Il verbo straccare che non parmi punto

spiegato

dell'ant.

strecchan ( distendere) a cui lo ravvicina il Diez, potrebbe, parmi,


dedursi da slaccare ( romper le lacche o le gambe) da cui, coll' in

terposizione di un ttra s ed l iniziali (come in strambello da slan

da slisciare), straccare, nel qual caso il montalese


allaceare rappresenterebbe la forma arcaica. Il nap. allancare pass
bello, e strisciare

a significare l'ansare di chi stracco o trafelato; quando non fosse


derivato da lanca per anca, ch allora corrisponderebbe all'ilia pul
sare dei Latini.
-

193

155);

ched che, da quid (1

nap. ced (Otranto, Can. mer.

adesare (Mea) adagiare

I. 309).
Lmb. des, inasi (Bd. 64 e
69); fr. aise, ecc.

de per me (Nella Mea: mi de Sd. nde, nap. ndi.


fo nulla me ne fo nul

la); da inde
biastimare bestemmiare, (Mea) Vnz. biastimar, rom. biasim,
pi vicino a blasphemare

lmb. biastm, sd. frasti


9000 re.

Anche l'etimologia popolare trovasi talvolta avere

trasformato colle stesse norme i medesimi vocaboli,


gandola per glandola (p. 106) imb. giangola, sd. gangulas
filosomia per fisonomia (p. 137)

Romagn. filusumeia, spg. flo


somia.

caligine per fuligine (per influ- Lmb. calie, calieen, em. ca


enza di calere e per conlenza fuligine (Bd. 62,256)
fusione dei due significati

di nero e di caliginoso)

E per confusione dell'articolo cogli elementi


del vocabolo (v. p. 107):
uttumia da notomia (Billi)

Vnz. otomia

orbaco, orolegio per lorbaco, Lmb. ori lauro (Bd. 74)


lauro regio
astraco lastrico

Sic. astracu, dial. mer. astrecu


(Cant. mer. I. 79), mil.
aStreC.

(1) Ched per che scrive non di raro Vittorio Imbriani nella No
vellaia fiorentina (Napoli 1871) volendo riprodurre la pronunzia vol
gare.

13

194

lape ape
lellera edera (1)

Sic. lapa

Fr. lierre (ant. hierre)

Talvolta per la stessa tendenza ha dato origine

a voci diverse avendo il popolo attribuito ad una


medesima voce ora l'una ora l'altra etimologia.
meliaca da armeniaca per rav- Lmb. brugnaga egualmente da
vicinamento a mela
armeniaca (amreniaca poi
berg. ambrognaga, mant.
brignaga) ravvicinato a
prugna.

trasemarino (chian.) per ro- Nap. rosa marina quasi da


smarino, quasi da trans e
7'0S01.
mare (2)

E vieppi frequenti sono le alterazioni popolari


nate dalla tendenza ad assimilare o a dissimilare, a

trasporre, a troncare od a modificare i suoni secondo


le impressioni dell'istante, che trovano corrispondenza
in altri dialetti.

banfa e bafore da vampa e Sd. baffidu respiro, nap. sba


vapore (p. 113)

fare svaporare, piem. banf


respirare (Bd. 661), lmb.

em. ampia smania (Bd.


58, 148) (3) Spg. vaf
(1) Cosi landrone per androne, lochio da ochio soffio, ted. hatch),
londa (cort) per onda, anchina per manchina (tela di Nankin)
(2) Sono da ricordare ancora: ansima per asma ravvicinato ad

ansare, e giogaia per gioghjaia da jugularia ravvicinato a giogo


(3) Senza aspirata ma con assimilazione: vnz. sbambolo e
sbampir, nap: sbambugli (Cant. mer. I. 213), sd. appampai svapo
l'al'e ecc.

195

poi vaho vapore, port. ba


fo, cat. vaf.

tiritera per raddoppiamento di In molti dial. (1)


tera fila, l'avvicinato a ti
rare

scachicchio per assimilaz. da Vnz. scachio


cachettico infermiccio

salciccia per salsiccia

Romagn. zuzzezza, Spg. salchio


cha. (2)

(1) I dialetti del Nord hanno il semplice tera (fila) corrispon


dente all'ant. fr tiere, prov. tieira fila, serie, dall'ant. ted. a iari
angs. tier; di qui anche piem. taragna filare di viti.
(2) Come esempi di assimilazione comuni presso il volgo di To
scana si possouo ancora ricordare i seguenti tolti particolarmente
dalla Mea di Polito, dal Saggio del Nerucci, e dalle poesie in dia
letto chiamajolo del Billi: bambarella barella, pricissione proces
sione, propotenzia prepotenza, zonzello donzello (Nerucci), ririvoe
rivoglio, in uzzurri in azzurro) in cielo (Mea), chitichetta etichetta
checaletto cataletto, chiticherio criterio, diminio dominio ( Billi).
Cos scilinguagnolo per sollinguagnolo (sublinguaneus) e
sparpaglian e che io riterrei essere formato da spagliare (lat.
dispalor) e non da papilio come ritiene il DIEz.
Della tendenza a dissimilare citer: leppicare replicare (Mea)
pacenzia pazienza, arato o aratolo aratro (Nerucci), e le vci seguen

ti in cui si dissimilata la consonante doppia: auturno autunno, gat


tomarmione gattomammone (Mea) gerso gesso, (Nerucci) arsciutto
asciutto (cort.) smerlina snellina (fior.) ecc. Ed anche qui la stessa
tendenza ha dato talvolta diversi risultati. Il lat. prurio divenuto
per dissimilazione prudere in Toscana e spiur in lombardo.
A dissimilazione devesi lo scambio

o la caduta di consonanti

avvenuta nelle seguenti voci italiane: argine da argere (adger), ar


smadio da armario, calabrone da crabro, renno Mare da re

morari, iedere da ferire, con quidere da conquirere, veleno


da veneno, Bologna da Bononia, mortaletto da mortaretto
(mortario) albero da arbore, urlare da ululare, dreto o dietro
da drietro (de retro) valicare da varicare, Mercoledi da Mercurii

dies, ramolaccio da armaroracius, alberge dall'a.t. heriberga.

196

cofaccia per metatesi da fo

Sd. covazza.

caccia.

crape da capre

Sic. nap. crape.

palore per parole (1)

Leccese palore (Cant. mer. I.


31).

Esempi di scambi tra le consonanti (p. l 14 seg.):


rigombit vomitare, e rigom- Lmb. gomit e gmit, spg. go
bito vomito (Nerucci)
guma (Rigutini) vomere.

mito e gomitar

Vnz. gomier, emil. gumier e

golare volare

Picenogolo (Marcoaldi, Cant. ecc.

guinzo Vizzo
golpe Volpe

Sd. ghizzu
Ant. fr. goupil o gourpil da

gmira.
110).

mirolla midolla, e merollo


(chian.) (2)

vulpecula
Em. marola, donde moden.
smruller smidollare (Galva
ni).
-

(1) Si possono ricordare ancora le metatesi: Dolovico Lodovic o


drottina, e dottrina, treciolo cetriolo (Nerucci) invidia invidia, entroni
intorno (Mea), scalamparsi spalancarsi, miluosena elemosina sieda
sedia, rimiedo rimedio (Billi) ecc.

(2) Scuriscio per scudiscio (scuticius) pot anche esser determi


mato da confusione etimologica con scuriada.
Cfr. it amelica (erba medica), porfido da porfiro, manodanno
(modulus), manuggiane (mugil), a smido (amglun) e qui pure bus

sola o bussolo (vasetto) e nei dial. bussile da buoida (pyacida)


che il DIEz falsamente deduce da bucus. Dalla voce italiana poi lo
sp. brucula, il fr. boussole. Cfr. trespolo da trespide (v. p. 116)
Vedi per questi scambi anche ForNACIARI, Grammatica storica
della lingua italiana ecc. p. 17 segg.

197

bussica vessica (aret.) (1).

Sd. buscica port. beaciga val


besice.

baccina vitella per vaccina.

Dial. mer. bacca.

bociare e bociarare (cort.). Sd bozi o boghe voce Nap.


da boce per voce

aguluppare avviluppare (2).

sbocietiare

Romg. aglup o agulp (Musf.


Romg. Mund. 47) prov. a
goulup

abbruscare abbrustare, da pe

Sic. abbruscari

ruStare

resca per resta (arista)

Vnz. sic. resca, e cosi in molt

antro altro

Rom. antro (Belli, Son. p. 75).

dial.

scara- da stra- in scaraventa- Em. scara- in parm. scaravul


re da straventare (3)

tr (stravoltare), e scar.

in mod. scarvulter (id.) e


in scarvent da stravento

(1) Cfr. Gurlsbio da Iguvium, erebbi da crevi, enunohbi da


cognovi, trebbio da trivio, carrobbio da quadruvium cerbiat
to da cervo ecc.

(2) Cfr. pargolo da parvolo, sughero da suvero, pagome da


pavone ecc.

(3) Altri esempi nei volgari toscani citati dal Nerucci: invecille;

calonico (ant. calonaco) canonico, scasimo spasimo, disciarca resiarca


nella Mea: di - li (cio gli, di si vede = gli si vede), intandi in
tal di, sderto svelto, ampro ampio; nel Billi: rogo rovo, inturbeliare
intorbidale. (nap ' ntruvalare)
Nella Montagna pistoiese il suffisso ulus costantemente reso
per uro: rzzura, gomizzuro, tetturi, entrugnuri ecc.
Nel pisano si dice giolno, celvello, elba per giorno, ecc. ed al con
trario ir per il, der per del, artro per altro ecc. V. Cento Sonetti di
NERI TANFUcio, Firenze 1872.

198

(Galvani), come in parm.


scarling corrisp. al tosc.
stralinco.

albuolo vasetto (Novell. fior.


78)

Lmb. em albi, albil, lat. pop.


albeus per alveus.

Ancor pi evidente, perch pi regolare e co


stante, riesce la corrispondenza tra i mutamenti che
le stesse voci subiscono nelle bocche della plebe
toscana e nelle altre parti d'Italia in forza della
continua tendenza ad alleggerire e ad indebolire i
suoni, e delle leggi che governano le graduali alte
razioni delle mute come gli incontri e le combina
zioni dei suoni, (v. p. l 18 seg). Qui veramente si
scopre come la differenza tra i diversi volgari non
consista il pi delle volte se non nella pi larga o
pi generale applicazione che una stessa legge fo
netica ebbe nei varii luoghi. Il che risulter chiaro
dai pochi esempi seguenti, scelti tra i moltissimi che
potremmo qui citare, di variet fonetiche dei volga
ri toscani non ammesse nelle scritture che si ripe
tono con poca o niuna differenza in altri volgari neo
latini.

Cos le leggi per le quali gradatamente s'inde


boliscono e dileguano le consonanti ci danno:
fadiga
pogo poco (Mea)

Lmb. Vnz, Sd. e port. fadiga


Vnz. pogo

aligusta locusta e bergamina Sd. ligusta e bargamina


pergamena

seguretto scure

Sd. seguri, spg. segur.

199

miga e minga (Mea) per mica Vnz. miga, lmb. minga.


fiura e fiurare (fior.) figura e Dial. merid. fiura, affiurare ecc.
figurare
raca (Cort.) radica.

(Cant. mer. I. 130)

Sd. raica ed arraiga, lmb. raiz


radice, ant. fr. raiz e mod. ra
cine (radicina) ed arracher

(eradicare) spg. raiz, raigon,


arraigar.

meria ombra, meridies (1)

Sic. meriu mezzod, sd. meria


e meraiu.

attuire attutire (Fanf. Voci e Berg. tui ammazzare, fr. tuer.


man. ecc)

Sd. auza spillo.


vescia ed escia (fior.) vescica Sd. isciotta (vescicotta), fr. ves

auzzare aguzzare

Sle.

Generale poi in alcuni vernacoli, p. e. nel fio


rentino, il dileguo della v, che del resto era gi
comune in latino (2) e che si riscontra in molte voci
e forme della lingua letteraria. Si scrive natio e na
tivo, aveva ed avea; e cos de' e deve, sape e sa
(save sae poi sa), bovi e buoi (boves) e cos leggo
da legivum, resto, solato, bacio. Cos in fioren
(l) Nella stessa maniera da medietate, l'antico meit poi met
Esempi italiani di dileguo delle mute sono rionne, dito, venti
niello (nigellus) veglia, piato neggiaienza negligenza eo
ed io ego, Brianza Brigantia ecc (DIEz. Vgl. Gr 265 seg. e FoR
NACIARI Gr. st. p. 24)
(2) Gi in latino ditior da divitior, aetas da aevitas, iunior da

iuvenior (poi iuenior) petii da petii, ecc. Nel latino volgare poi:
citates, rius (it rio e rivo) probai (provai), Faonius (it. Favonio e
Fogno) paor (paura,) boe (bue) aunculus (fr. oncle) ecc ScHUCH
Voc. II, 441, 479

200

tino noo, gioane, troo, pioea, aea ed aa per novo


giovane, trovo, pioveva aveva ecc. Ma in ci la mag
gior parte dei dialetti s' accordano col fiorentino, e
cosi i dialetti orientali di Lombardia dicono costan

temente cal, i (vino, puari (poverino) lea (levare)


ecc. e il sardo faa per fava, ua per uva, laorare e

laurare per lavorare, noa per nova ecc. quindi per


questa parte generale la corrispondenza del fioren
tino cogli altri vernacoli. Cos:
laorare lavorare

Sd. laurare vnz. laor, lmb.

laur ecc.
ite vite, ia via, caallo cavallo

Sd. ide, ia Berg. cal, sd. caddu.


val. cal ecc.

gioane

Lmb. zegn (Bd. p. 6) o zan fr.

leare

Berg. le

jeune, val. 2une.


0CC.

0CC.

Comune pure nei dialetti toscani il dileguo


dell' r finale degli infiniti dei verbi i quali cos cadono
in tronco; port, f, st, pot, and per portare, fare
stare, potere ecc. ed in ci pure concordano colla
maggior parte degli altri dialetti, e collo stesso va
lacco.

Quindi:

port, misur, fum, av, dor- Nap. lmb. id piem. port


m per portare, misurare

msiir fiim

eCe.

p. XLIX), val. a purt, a

ecc. (Bd.

misur, a fum, a av, a


dorm ecc.

201

Anche le seguenti rare assimilazioni trovano


riscontro fuori di Toscana.

inzigolare da instigolare

Em. zig istigare, lmb. insig


sinsig (Bd. 292)

fuzzico per fustico (sd. fustigu) Cfr. ant. fr. fuz per fust ba
fuscello

stOne.

bruzzoli punte della paglia per

Cfr.

brustoli (v. p. 175)

spg. bruza, fr. brosse,

Setola, spazzola, cosa ispida,


donde broussaille; ant. ted.
brusta.

nosso e vosso (Mea) nostro e Nap. nosso, vosso; port. id


vostro. (1)
crettare (creptare) crepitare. Port. gretar

rullo e rullare (da rotlare)

Piem. rul, fr. rouler, rle, spg.


rollo.

cammio cambio (2)

Spg. camio, nap. cagnare da cam


mjare

Fra le voci le cui alterazioni sono dovute alla


(1) Di qui pure le forme mandassi per mandasti, portassi per
portasti, facessi per facesti in uso nella Montagna pistoiese (Nerucci)
corrispondenti al nap. amassevo per amaste, rom. sapressivo per sa
preste ecc.

Qui ancora rezza per resta (Ner. p. 14) e zeccoli punte, stec
chi (Ner. 158) probabilmeate da steccoli.

(2) Nella Mont. pist Ferraio (nap. Ferraro) per Febbraio, arrieto
per addrieto Nerucci)
Nel Montamiata si sente anche l'assimilazione nd = nn propria

dei dialetti meridionali (V Corazzini nella Rivista filologico-lett. di


Verona, V. 2. p. 113)
Il fiorentino assimila comunemente le liquide delle proclitiche
(per, il, nel) e delle forme verbali a cui segue un'enclitica, p. e ir
-

rossore, ipprimo. iffoco, niccore, nippetto, trovassi, affacciassi.

202

tendenza ad alleggerire o semplificare i gruppi con


sonantici, notiamo:
battolare blaterare

Em. ba , batol (Bd. 282(


lmb. bagul?

catro per clatro, lat. clathrus

Em. carda siepe, chiusa (Bd.


257

infizziare infilzare (Nerucci) Cfr. fr. ficelle da filicella


puce e pucino pulce e pulcino. Fr. puce (cat. pussa) e pous.
sin.
atro altro

Sic sd. ateru; dial. mer. atro


addho, ato, (Cat. mer. I 19, 2

butolare voltolare

Sic. sbutari

II 10 ecc.) ant. fr. atre.


e vutari

voltare

donde rivutusa rivoltoso; nap.

votare voltare. (1)


polero da puledro
Piero Pietro

poro (per povro) povero (2)

Vnz. puliero
Lmb. Vnz. Piero, fr Pierre

Umb. e nap. poro (Marc. 52


e Cant. mer I 218)

Per l'aggiunta di consonanti citiamo:


Dial mer. jestru (C. m. I 98)
Nap. granonchia, fr. grenouille
e nei dial. grenacelle
(Romania, I. 85)
(1) Gi nel basso lat. ducissimo, cutellus, fumine, puchro (Sch.

gestri gesti
granocchio ranocchio

I. 497). Cos pare a noi di poter derivare tacca scheggia di legno


da talica (talca), e tacco tallone da talicus (poi talcus) e Ibussare

come il fr. pousser da pulsare, per le quali voci il DIEz. non d, a mio
credere, etimologia che soddisfaccia. V. E VV a tacco e bussare.

(2) Cos sor da sovra (p. e in sorvegliare), lira dall'antico livra


libra, Cfr. compare e comare da compatre e comatre, diero da die
dro (diedero) ecc.

203

eertiduni certuni (per certiuni) Lmb. sertediin (1)


gombito (Nerucci) gomito
Lmb. gumbt
rigombitare (Mea) rivomitare. Sd. bombitare
fiamba fiambella (chian.) fiam- Fr. flambe, flambeau.
mella.

ansambela (chian. insieme.)

Fr. ensemble, lat. insimul

strmbla (Fanf. Voci e man.) Nap. strummolo trottola (2)


strumento rotante ed anche

turbine; lat. turbo.

limicare per umicare piovi- Em. limgher (Bd. 268) trapelare


scolare

net et (Cortona)

Sic, met

niscire o nuscire (Nerucci) u- Dial mer. nescire (Cant. mer. I


scire

123)

(l) Certiduni da certi-uni per evitare l'iato, e cos spiegansi


qualcheduno da qualche-uno (qualcuno,) eiascia cdua uno da cia

sche-uno che il Diez, a torto secondo noi, vuol derivare da quisque et


o da quisque ad unum Nei Bandi lucchesi leggesi ancora la primti
va forma cescheuno. (V. DIEz, EW. a ciascuno e For.NACIARI, Gramm.

storica della lingua italiana ecc. p. 49)


(2) Il nap. strunnnnnolo nato per assimilazione da strumbolo e
questo da turbine divenuto trubino poi, per regolari alterazioni, trum
bilo trumbolo e strumbolo. La stessa voce turbo abbiamo infatti an

che in tromba (marina). Quanto ai significati il latino turbo valeva


non solo turbine, ma in generale un oggetto rotante e di forma ci

lindrica, quindi anche trottola, come lo provano quei versi di Vir


gilio, En. VII:

Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo


Quem pueri magno in gyro vacua atria circum
Intenti ludo exercent; ille actus habena

Curvatis fertur spatiis, stupet inscia supra

Impubesque manus mirata volubile buxum ecc.


Dalla stessa origine forse anche strombolo pannello da ardere, per
la sua forma.

l
204

nombolo (Unit della lingua) Romagn. nuvla, prov. mod.


palato, e ninfolo tenerume

del palato degli animali,

nivouleto (ant. prov.leula


fr. luette) (1)

da uvola

vecco, veccolo per ecco, eccolo

Prov. vec

(per etimolog. popolare da


ve vedi) (2)

Secondo le stesse leggi sono formate:


Montal. stombaco stomaco, chian. unsomba insomma, mont

prigionacolo pigionale, prugnere pugnere, strazione stazione,


sprillo (Mea) spillo, chian. truzzechere stuzzicare, sviltro svelto,

gnerba (nerba) erba. (3)

Cos rispetto alla modificazioni del vocalismo:


(1) Da uvola venne nunvola da cui ninfolo e nombolo, fatto
maschile per analogia con palato. Quanto alla voce romagnola v.
MUsAFFIA (Darst. der romg. Mund. p. 46.) il quale trova pure un
verbo lans per ansare formato eoll'aggiunta di un l come il tosc.
limicare o lamicare, e l'em. limgher.
(2) Altra forma decco, deccolo formato coll'aggiunta d'un d
(Nerucci, 10), come distanza per istanza (Ner.), il che pare a noi
render ragione dell' ital. desso per esso che non quindi un com
posto di id ipsum come viene supposto dal Diez. Il Billi cita anche
una forma damedoa per ambedue formato per la stessa legge.
Del resto l'aggiunta del v che abbiamo in vecco trovasi in vire
per ire andare, ed frequente in altri dialetti: cfr. mil. vess essere,
vott otto, sd. bessire da vessire (eacire) ecc.

(3 Oltre alle voci citate dal Dizz (FoRNACIARI Gr. stor p. 33)
come cilestro (celeste), ginestra (genista), empiastro (sp
emplasto), inchiostro (encausto), incastrare (incassettare),
minferno (inferno), ecc., a mio credere con questa legge si spiegano:
Froge narici per foci da fauces (Cfr. sic. forgia foce del fiume)

Nabisso fanciullo vispo, da avvisto (vegetus) corrispondente


al berg. avist vispo, fr vite da viste; il lmb. dice infatti vissinl
(vistinel) per nabisso.

205

cherubina (Nerucci e Billi) Nap. carrobina, rom. cherub


carabina.
bigneri carabinieri (Belli,
Son. 165)

romasuglio rimasuglio, da un Nap. rommasuglio (cfr. vnz.


verbo romanere per rima-

romagnir rimanere).

72ere.

fiubbe o fubbie fibbie (Mea di Vnz. fiuba, lmb. fiibia, ant.


Polito)
fr. afubler o afumbler.
Rom. oprire, uprire (Belli, 91,
operire aprire (Nerucci) (1)
108), prov. obrir e ubrir,
fr. ouvrir.

Similmente concordano:
comido, accomidare comodo,

Rom. accomidare

accomodare (Nerucci, Billi)


micciola nocciola

Sd. niezola, lmb. nisla.

sanza senza (Billi, 96) nieve Cf. fr. sans, nige, livre (2)
e liepre (Ner.)
(l, Chian. rubiglione ribellione, stroppare strappare, buttiglione
battaglione, annomo animo, bellissomo, carissomo, ultomo (cfr. lat. o
ptumus, macumus, minumus = menomo; ecc.
(2) Minore l'accordo nella modificazione della vocale breve
davanti a gutturale od a nasale nelle sillabe finali sdrucciole ll vol.
gare chiamaiolo muta qui comunemente la vocale in a: quindi dimen
naca, bisbietaca, preddaca, poi annama, massama, nomana, mecana,
per domenica, bisbetica ecc. (Billi, 86, 76, 70, 90, 34 ecc.), il che

corrisponde a quello che veggiano nelle voci della lingua scritta, cio
sindaco (sindico, tonaca (tunica), ero inaca, folaca, calo
maco (canonico), inadaco (indico), astraco (lastrico), coa ano

(cophinus), passapanno, se da uno (selino), giovane, Cristofanno,


garofano da garofolo), annodanno (da modulus), IBergamo,
Girolamnae (Geronimo), e nelle forme verbali bbano, fossano, dis
sano, avessano ecc.

206

Convengono poi quasi tutti i dialetti nella sop-,


pressione del suono vocalico u agglutinato alla gut
turale nel gruppo qu. Quindi:
Fiorent. chello, chesto, casi, Nap. chello, chesto o chillo e
donche, cale, calche, cattordici, cando, chie (qu) ecc.

chisto, sd. casi, addunca,


lmb. donca, sd. cali, cal
chi, cattordici, candu, vnz.
ch, lomb. ch (lui) ecc. (1)

Nella tendenza poi ad ampliare il vocalismo, che


qu e l si fa manifesta, i vernacoli toscani concor
dano coi dialetti del mezzogiorno. Gi abbiamo in
questi notato la tendenza ad impinguare il suono,
allungando i monosillabi, ed aggiungendo vocali si
in principio che nel corpo delle parole. Non rari
sono gli esempi della stessa tendenza in Toscana.
Quindi:

meje, teie, eje (Mea) doje, peje Dial


o pieio, rejo (chian.) per
me, te, , due, pi, re ecc.
mene, tene, sene (fior.)
aringraziare, aprincipiare, a-

palpare (chian.) per rin-

mer. meja, tee, doje,


deje (d), tuje (tuoi) buje
(voi), seie (Cant. mer. I.
4, 51, 79, 174, 212 ecc.)

Rom. id

Cfr. rom. arispondere, aricor


re, aridoppiare ecc.

graziare ecc.
(l) Cosi in ital, elaeto e guneto, elais des e da ciares e
(quaerere) (FoRNACIARI Gramm. stor. ecc p 23) e cosi il val. care
prov. cal - qualis, val cund, prov. can = quando ecc. (DIEz Vgl. Grmm.
I, 264)

Anche il raro affievolimento di qu in v che trovasi in avale ora

(ant. aguale = aequali hora) ha il suo corrispondente nell'ant fr. etoal.

207

Cfr. nap. avotro da autro al

Lavara Laura (Billi, 104)

tro, sceveta da sceuta scelta


ecc. (1)

Nelle alterazioni palatali troviamo nei dialetti


chianaioli e qu e l negli altri j = ghj, come nel
mezzogiorno d'Italia. Quindi:

giudice e giudizio (chian) Nap id (Cant. mer. I 128)


ghiusto e ghiustizia (ch.)
ghiecolo da ghiacere (2)

Dial. mer. id (C. m. l. 55)


Sd. ghioculu

Per il pervertimento di pi o ti in chi e ci:


chioppo pioppo (Ner.)
-

chienere e manchienere (Mea)


da tienere (tenere)

Dial. mer. chiuppu (Cant. mer.


I. 100.)
Dial. mer. chien, chieine=tieni
(Dial. mer. I. 83) Cfr. friul.

chiessi, chierra per tessere,


tCrra.

chiatto (Ner.) piatto (3)

Dial. mer. chiattu

ciatto piatto

Sic. Sd. ciattu

rociolo e rociolare da rotiolo

Cfr. nap. ruciello cerchio e ru


cioliare rotolare

Pi che altrove sono estese queste alterazioni


nel cortonese, il quale ha crischiegne per cristiani,
misericorghia per misericordia, mitighio per mitidio,
(l) Nella stessa maniera gavazzare da gauzare (gaudiare
= sp. gosar.

(2) Cosi ghissimino (gelsomino), Ghis (Ges) in ghiri in giro ecc.

(3) Cosi da spasimo divenuto spiasimo si fece schiansimo (Mea)


e scasimo; da schiuma venne stiuma e in fior. stummia; da spi
dioni (spit spiedo) si fece schidioni e stidioni (Unit della lingua)
I. 370).

208

ed altera continuamente la muta in palatale da


vanti all'i del plurale divenuto je; quindi pecchechie
peccati, denchie denti, granghie grandi, ricchie ritti,
forme rorrispondenti ai plurali lombardi denc denti,
gacc gatti, stac stati, ed ai friulani ding denti,
muartz morti, ed ai plurali valacchi port2i, certzi, jezi
ecc, (l).

L'intacco palatale dopo la nasale, cio di n in nj


poi gnj ci d:
gnacchera nacchera

Vnz. gnacara, sd. gnacchera

gmucca nuca

Rom. gnuca, lmb. gniica


Rom.ggnente, Vnz. gnente, lmb.
gnint
Rom. magnera.
Nap. agnamo; cfr. rom. aggne
deno per andiedeno (Belli,
Son. 84)

gnente niente

magnera (chian.) maniera.


gnamo andiamo (3)

La liquida l affetta dall'intacco palatale d luo


go ai suoni li poi j da cui ora ghj ora gj. Gi nel
basso latino Aureia, Corneius, Oreius, fius (Sch. I.
491 ) e in ital. anguinaglia poi anguinaja da ingui
malia, ingoiare per ingogliare da ingollare ecc. (v.
(l) BIoNDELLI, Dial. gall. it. ecc p. 16. Vedi poi l'impor
tante studio del prof. Musaffia sul dialetto friulano nel giornale il
Borghini, Anno I
(2) Nel chianaiolo anche pegna pena, gnoquela nocca, cuogno
eonio, gnutele inutile e pi altri. Notevole poi la forma del plurale
dei nomi il cui tema termina con una nasale, la quale al contatto
dell'i ampliato in je diviene gn, come in guadrigne quattrini, megne
mani, crischiegne cristiani ecc

209

p. 133). Fra i dialetti toscani il chianaiolo presenta


pi numerosi esempi di siffatte alterazioni e si av
vicina meglio in questo ad altri dialetti non toscani,
dicendo foglietto per foletto, nuvveglio per nuvolo,
moglioco (mollicus) per molle ecc. Sopratutto fre

quente l'intacco palatale come per i temi in n cos


per i temi in l. innanzi alla desinenza dei plurali.

Quindi ucegli, cavagli, begli, pogli, figliogli; le


quali forme non del tutto estranee all'italiano (cfr.
capegli per capelli) segnano il primo grado di al
terazione dal quale si giunge all' acieji, beji ecc. di
parecchi dialetti del mezzogiorno (Cant. mer. I.242)
quindi all'it. augei, bei, capei, ed alle forme usi,
bi, cavi comuni nei dialetti settentrionali.
Cos abbiamo:

coroglio cercine, da corolla


fagliare per fallare

Nap. coruoglio, em. croi


Nap. fagliarc

dimojare per dimollare metter Dial. mer. rimojare (Cant. mer I,


245), lmb. em. smoj lavare

in molle.

eC0.

ejo per aglio


-

Rom. aijo ( Belli, 144), vnz. ajo


em. lmb. aj,

gioglio e aggiogliarsi da loglio Piceno gioglio (Marcoaldi p. 100)


(p. 133)

piem. gii (Bd. 569), port.


joio prov. fuelh (1)

(1) Nel montalese alia per ala (Ner. 32) l'intacco palatale an
cora nel primo stadio. Per contrario nel chian. papecia = papilio (da
eui pi regolarmente avrebbe dovuto venire papeggia) corrispondente
al ven pavegia abbiamo un raro esempio dell'ultimo grado dell'in

tacco palatale di l.
l4

210

L'altro grado di pervertimento palatale tanto co


mune nelle campagne fiorentine e pistoiesi, pel qua
le da li poi j si torna a ghj (v. p. 133) ha riscontro
in molti dialetti meridionali, ed generale in sic
liano. (1) Quindi:
vogghio voglio (Ner. 162) Dial. mer. vogghiu, ogghiu (Cant.
mer. I 5, 39, II, 20 ecc.) sic.
vogghiu.

megghio meglio (Ner. 162)

Dial mer. megghiu (C. m. I. 5)

gagghio quaglio

Sic. quagghiu, Sd. caghi ca

gliare, spg. cuajar (2)


sbaigghiare (Ner. 131) sbadi- Sic. badagghiari.
gliare.
cogghiere, sciogghiere
Dial mer. cogghiri, sciogghiri

fogghia, cigghia, figghio ecc.

(C. m. 1. 84, 85, 206)


Dial mar. fogghia, cigghie,
figghiu (C. m. I. 46, 175,
91, Il, 13 ecc)

Le stesse corrispondenze potremmo mostrare ri


spetto all'intacco palatale della sibilante. Cascia e
cascione per cassa e cassone sono comuni tanto ai
-

(1) Altri esempi di rammollimento di l semplice in italiano (DIEz.


Gr. I. 205, FoRNACIARI Gramm. stor. della ling. ital. p 17) sono
sonnigliare da similare, ed accanto a pigliare (pilare) il com
posto scompigliare (ea compilare disordinare) e capigliatura
da capillatura.

(2) Da questo suono si passa all'aspirata spagnuola, quindi fig


ghio, paggia, mogghie divennero in spg. hijo (fijo), paja, muger.
Notevole poi che nella montagna pistoiese il suono j non nato
da li diviene lj; eje per e divien eglie, e cosi acciaglio da acciajo,
noglia da noia, aglia da aia, paglie, maglie da paje e maje (cio pae
e mae) da padre e madre ecc.

21 l

dialetti toscani che al sardo al romano ed ai dialetti

meridionali. (1)
Havvi dunque un toscano letterario ed uno vol
gare. Quanto pi discendiamo nella scala sociale o
ci scostiamo dal centro, tanto pi gli elementi les
sicali e i caratteri morfologici e fonetici della lin
gua si disformano dal tipo letterario, per accostarsi
a quello di altri gruppi dialettali o d'altre favelle
romane. Il toscano, collocato nel centro, racchiude
e in se compendia quei caratteri e quei germi di
alterazione che poi diversamente si svilupparono
nelle altre regioni di favella latina. Il toscano
perci anche il dialetto pi inteso perch il pi vi
cino a tutti gli altri della penisola, come il punto
comune da cui sembrano dipartirsi, per poi divergere
sempre pi, le altre variet dialettali.

Ci, vedremo, spiega la prevalenza ch'ebbe la


Toscana nella formazione della lingua nazionale.
(1) Il pist. cassiare per cassare (Ner. 58) presenta il primo grado
di alterazione, invece straginare, e stracecchere (chian.) per strascinar
e strascicare l' ultimo.

CAPITOLO VII.

I dialetti non toscani e la favella letteraria

Qui sorge spontanea un'altra domanda: Quali


sono le relazioni che corrono tra l'uso scritto e gli
altri dialetti della penisola? Le medesime, pu ben
rispondersi, che tra il toscano e l'italiano, ma in
pi largo spazio e per in proporzioni vieppi vaste
sviluppate. L' uso parlato (abbiamo detto) come
il suolo vergine che liberamente si espande nella
svariata ricchezza dei suoi prodotti . In queste
stesse parole contenuta la formola delle divergenze
di tutte le numerose variet dialettali dalla lingua
scritta. Quelle mutazioni di suono che sono in To
scana ancor rare e ristrette nella parlata dei ceti
pi bassi, hanno pieno sviluppo e si fanno generali
in altre regioni italiane. Dalla gi mutabile ed in
certa favella toscana si discende ad una confusa ed

inesauribile variet di suono e molteplicit di forme.


I germi di novelle alterazioni e formazioni appena
visibili nei vernacoli della plebe fiorentina o del
contado pistoiese, pervenendo altrove a maturit, co
stituiscono il carattere di altro lontano dialetto. Sono

le medesime leggi, n v'ha altra differenza che di


grado. Nella stessa guisa poi che il toscano concorda
spesso cogli altri dialetti dove questi non passino

A sr

213

oltre un dato limite di degenerazione, cos, operando


in ogni parte le stesse leggi, vediamo non di raro
la medesima voce conformemente divergere dal tipo
originario in due dialetti pur divisi da grande in
tervallo. Come poi abbiamo veduto la voce toscana
suddividersi in mille variet e sfumatare, nelle quali

ci dato talora scorgere tutti i gradi di alterazione


di una stessa voce, cos ognuno degli altri gruppi
dialettali partesi in centri minori con forme via via

differenziate. Infine come le ultime variet del grup


po toscano s'intrecciano coi dialetti pi vicini, cos
per il tramite dei pi lontani dialetti ci conduciamo
passo passo alle altre favelle neolatine.
Abbiamo insomma, paragonando tutti i dialetti
della penisola colla favella scritta, come gi nei dia
letti toscani, ma in ben pi larga misura: I." Confusa
sovrabbondanza di voci per lo pi oscure o straniere
in uso in altre favelle neolatine. II. Moltiplicit
e variet di formazione e di modificazioni del comune

elemento latino III. Una sempre crescente dege


nerazione e barbarie nel suono che tende ad acco

starsi allo stampo fonetico di altra favella.


I. LEssico
Come per l'elemento latino, si pu per l'ele
mento straniero distinguere una parte a pi gruppi
dialettali
od a quel comuni,
gruppo. ed una parte speciale a questo
-

214

Voci comuni a pi gruppi dialettali ed estranee

in pari tempo all'uso toscano che alla lingua scritta


sono:

Vnz. lmb. sessola cucchiaia per gettar l'acqua dalle navi; sd.
sassula ed assula. Nelle antiche glosse germaniche leggia
mo: , Vatilla , id est serscufla, similis Vasis quibus aqua

de
navibus proicitur. (Gloss. Pb. pubbl. da Holtzmann nella
Germania, 1863, p. 386.)
r

Vnz. bioto nudo; lmb. bit, ant. fr. blos; dall'a. t. blz.
Nap. erocco uncino, sic croccu, piem. croc, fr. croc; voce co
mune alle lingue celtiche ed alle germaniche. (Ant. nd.

krhr, cimb. crg. DIEz, E. W. a croc)


Vnz. falda grembiule, sic. faudali o fodali, sd. falda; ant. ted.
falt.

Vnz. slofio fiacco, lmb. slofi, sic. lofiu; nelle antiche glosse ger
maniche abbiamo: slaffe , ignavi (Germania, 1866, p.
30 )
Nap. spruceto ruvido al tatto; lmb. sbriissi. Voci affini al fr.
rebrousser e rebours, ed al lat. mediev. rebursus ruvido,

setoloso, dalla stessa origine da cui brosse, sp. broza, it.

brusta, bruzzoli ecc. (v. p. 153. 175)


Lmb. tomata pomodoro; sd. tamatta e pumatta, spg. tomate

port. tomateci dal messicano tomatl.

Lmb. Vnz. piron forchetta, sic. piruni, val. pironu lungo chiodo
ferreo; gr. regovn

Sd. brinnu crusca, nap. vrenna, genov. brenno, fr. bran. Voce
celtica: bret. brenn, gael. bran (Diez)

E le seguenti voci di pi oscura origine:

Lmb. tavela baccello, gambo, piac, tabia, sd. tiliba. Voci forse

215
affini al fr. tige da tibia.

Nap. padiare digerire; vnz. pair, berg. pagli, em. pad.


Lmb. vnz. camola insetto della farina; sic, camula.

Vnz. taffiar pacchiare; sd. attaffiai, sic. taffiari.


Nap. abbasca ambascia; em. imbast nausea, rcio baschizzi id

lmb. empesc sgradire, spg. basca e bascar; dal got aiuoi


ski ? (Cfr. anche l'equival. aschero, piem. scr, p. 168)

A queste voci straniere comuni a pi dialetti


aggiungonsi quelle che ogni provincia ha in proprio
dovute a commerci, a contatti ed a vicende storiche

particolari. Nel siciliano e nel sardo trovansi voci


arabe dovute all'invasione, come sic. carrabba tazza,

camara asina, caravazza zucca, sd. fulanu alcuno


ecc. e pi spesso greche, come sic. caloma fune, ca
miari scaldare, gangamu zete, cona medaglia, mma

tula indarno, reluiri riscattare, spanu

raro,e nel

sardo: budrone grappolo, cama calore, carism


dono, cascu sbadigliare, acustare udire; e cos nel
napoletano: crisuommolo albicocca, jenimma razza,
zimmaro becco ecc.

Nei dialetti nordici frequenti e facilmente rico


coscibili sono le voci germaniche, come: lmb. brondona l
(em. brindnal) alzare (ted. brand tizzone), brov
scottare, bilo bravaccio, caragn piangere (a. ted.
karn), gavada tenaglia, garb acido, tion palombo
(ted. taube), scheda scriminatura, scoss grembo, si,
cion, suni maiale (ant. ted. savin ecc), snidar sarto,

slizig sdrucciolevole, tresca trebbiatura, stacchetta


chiodo; emil. gorbian rozzo (ted. grobe), nugul chio

216

do, piem. gerba covone, varlopa pialla (fr. varlope)

em. sila aiuola (ant. ted. sila solco), (1) lmb. baita
capanna (ant. ted. baitn, ingl abode) ecc. (2) lmb.
brevia ponticello (ted. bricke), berg. smelec lampo
(sommerlicht), em. marosser cozzone, em. lmb. sa

ras diguazzare (ant. ted. acetten) (3) ecc.


Qualche voce greca (p. es. emil. galana
testuggine) venne ai dialetti nordici da Vene
zia, e qualche voce araba (p. es. piem. camalo fac
chino) da Genova.
Similmente molte voci oscure delle altre lingue
romane riscontransi nei dialetti a quelle pi affini.
Cos in piemontese: g (fr. gueux), fat, rec,
ross, crin, curin, (em grein maiale, fr.gore, sp. guar
ro, gorino), em. gozein (fr. cochon, sp. cochino) ecc.
Le stesse voci di origine latina sono spesso de
rivate e formate piuttosto secondo il tipo di altre
lingue romane, che secondo l'italiano. Cos piem,
amiis, ciisin (culicinus, fr. cousin), acabl; sardo

abbistruzzu (sp. avestruz) veranu (spg. verano) sic.


racina uva, accattari comperare (fr. acheter), posen
ta albergo (spg. posada) ecc.
(l) Di qui anche mil. sciloira, piem. sloira aratro, e il tosc. inn
eiglare (fr siller) solcare per la seconda volta il campo.
(2) Di qui probabilmente bettola (baitola) taverna, di cui non
fu ancor tentata l'etimologia.
(3) Di qui anche tosc. sciaguattare? Il DIEFENEAon (Nov.
Gloss.) ha: e adaquare wetten, e poi vette Viehschwemme
(sciaguattare degli animali.)
Altre vedine nel DIEz, Grmm, Ital. Geb.

217

Quali sono le leggi che governano questa vario


atteggiarsi della voce latina nei singoli dialetti?
Quali le relazioni di tutte queste svariate forme con

quelle della favella letteraria?

MoRFOLOGIA

Talvolta la

lingua letteraria , usa il composto,

dove i dialetti hanno la voce semplice.


salassare da sanguelassare

Nap. sagniare, sic. : agniari


fr. saigner, spg. sangrar,

da sanguinare
pettirosso da petto e rosso
Dial. tosc. pettiere, emil. pitarn,
piedestallo da piede e stallo Nap. pedagna da pedaneus.
(a. t. stal )
In altri casi avviene il contrario:

struzzo da struthio

Sd. abbistruzzu, sp. avestruz,


fr. autruche, da avis stru
thio

scaldare derivato da caldo

Nap. scarfare, sp. escalfar da

grattugia da grattare

cale-facere.
Dial. tosc. grattacacio, nap.
grattacasa, da grattare
e cacio,

losco da luscus

Dial. tosc. berlusco (1), lmb


balsc da bis e luscus

(l) Da berlusco venne il modo tra il lusco e il brusco (v. p..


l86) per la stessa alterazione per la quale venne bruzzolo e bruazico

da barluzzo (a bruazolo od a bruzzico vale quando a barluzzo da


bis e lucio, v. p. 103 e 147). Di qui ancora la frase dar di bruscolo

218

Ovvero abbiamo s nei dialetti che in italiano

voci composte ma con elementi in parte diversi:


barbabietola da barba e beta

Lmb. biderava, sd. biarava fr.


betterave da beta-rapa
monocolo da monoculus
Berg. lenc da unoculus
malato da male-aptus (prov. Dial. tosc. malescio, fr. mal
malapte)
aise (mal-aise), e lomb.
malingher, fr. malingre
(mal-egro) (1)

La lingua letteraria usa il tema latino, e i dia


letti un derivato: (2)
almO

Lmb. anissla (Bd. 73), em.


aniss (B. 248) spg. an
zuelo, fr. hamecon.

rullmOre

Sic. rimurata

Dial tosc. sale (per assale) (3)


lmb. assil (aacilis)
sucido o sozzo (da sucio per Vnz. sozzoloso
sucido)
nodoso
Nap. nudecoso

3SS e

far l' occhietto, come nel ZANNONI (Crezia Rincivilita, Atto II. Sc.
V.): I' scoai che daa di bruscolo a una certa, che si chiama Car
melitana.

(l) Aeger rimasto, oltrech nell'ant. fr. heingre, nel piem.


angherni, em. inguanghel
(2) In alcuni casi tanto il tema latino che i numerosi suoi

derivati appartengono ai soli dialetti.


Lmb licia piangere da lugere
(Bd. 71)

Tosc. lucciolare, lmb. lasagn da


luginare (per analogia a ca
ragn sd. alluttare)
Lmb pivl fanciullo da puellus
Vnz. pivolo, rom. pivetto, tosc.
burchio (puerculus)
(3) Ascialis per acis gi nei Glossarii medievali. (V. DIEz, Alt
tromanische Glossare) Di qui lucch. ascialone o scialone legno che
-

si conficca negli stili delle fabbriche.

219

Vnz. lmb. spantegar, fr. pan


cher da expandicare
Sic. cuvirtari, (copertare) vnz.
querzer, lmb. quarci (co
pertiare)

spandere
coprire,

sorbire

Nap. sorchiare (sorbiculare)

fregare

Piem fert, genov. fret come


fr. frotter, prov. fretar da
frictare, e sic. sfriciari,
lmb. sfris da frictiare

dipingere

Nap. pittare spg. pintar (pi

impiegare

ctare da pictum; invece


lmb. pitiir da pictura)
Sd. impittare (da implic'tum)

svanire (evanescere ricondotto Vnz. sfantar (svanitare dal


al tema)

part, svanito) (1)

Il tema latino altre volte conservasi in qualche


dialetto, e il vocabolo letterario preso fra i deri
vati. In questo caso il raffrontare le differenti forme
dialettali giova non di rado a mostrare i diversi
gradi pei quali si pass alla voce italiana.
v

Vnz. albio, lmb. em. albi, fr.


auge (lat. albeus)

Dial. tosc. albuolo, lmb. albl, nap


alvariello it. alberello vasetto.

Lmb. spina zipolo (lat. spina) Sd. spindulu, it. spillo (spin'lo
-

da spinulus), vnz. spinelo,


sic, spinociu.

Nap. lucigno, vnz lesegno (lat. It. lucignolo


ellychnium)
Dial. mer. scrima (Cant. m. I. D.tosc. scrimoto, vnz. scriminal
(1) Cfr. nap. ofano, spg. ufano per vano. Di qui pure umbro
sfantaazarsi sollazzarsi? (V. Unit della lingua, l. Febbraio 1872 )

220

174) divisione dei capelli

(lat. discriminale) it. seri

minatura
(lat. discrimen.)
Sd. schirru, lmb.cs, (lat sciu Chian. schiriolo (Billi), prov.
escurol, fr. cureuil (sciu
rus)
riolus poi squiriolus), lmb.
ciiretta (Bd. 66), venz.
schirato, ital. scojattolo

Rmg. scari-atul (Msff p.22)


Sem. pupa, lmb. piia ecc. bam Nap. pupata, aret. poppada,
bola (lat. pupa)
fr. poupe (pupata), it.
poppattola.

Lmb. pol, pola giovane, ant. fr. Piem. poglin figlio, it. pulcella
fr. pucelle (pulicella).
polle (lat. pullus e pulla).
Sic. cardiddu (cio cardello, lat. Sic. cardidduzzo, it cardellino,
carduelis)
dial. tosc. calderugio.
Lmb. vag, lucch. Ombaco luogo It. bacio (opacivus), em. ba
gur (Bb. 250) ed albasin,
ombreggiato (opacus)
it. bacigno (opacinus)
It. bubbola, sic. pipituni.
Lmb. biba (upupa)
Vnz. sgnare (nares)
It. narici (nariciae)
Sic. racina, uva, fr. raisin
It. racimolo, em. rasanl (1)
(racemus)
Montal. benda paniera di vimini Lmb. benola, it. bugnola, em
da porsi sopra la biga (Ne
banastra, spg. banasta,
dial.
tosc. bignetto vasetto?
rucci, 48) fr. banne (ben
na)
Sic. incispari, umb. increspare It. incespicare.

inciampare (da caespes)

Pi spesso la favella letteraria usa, insieme col


semplice tema, alcuno dei derivati:
(1) Inutile avvertire che racemo, nari, upupa, alveo e opaco sono

puri latinismi e per non possono venir qui considerati.

221

ape

Sic. apuzza, it. pecchia (api

colmo e culmine (culmen)

Dial. tosc. e lmb. colmegna,

cula), fr. abeillc, sp. abeja.

it. comignolo, sic culma


reddu.

lieve (levis)

Dial. mer. leggio, sic. leggiu,


sd. lebiu (levius), it. leg

pungere

Rom. puncicare, it. punzecchia

pendere

Lmb. pindula, Vnz. bindolar


it. penzolare (pendulare),
sic. pinnicari, fr. pencher
(pendicare , it. pencolare
(pendiculare)
It. moccio (muceus), lmb. m

giero

(leviarius)

re (pungiculare)

mlICO

cul, margi, em. murgi,


lucch. marmocchiaia (1)
mirto (myrtus)

It. mortella, lmb. martel, sd.


murtetta.

raderc

It. rasare, limb. ras, fr. raser


(rasare), spg. rascar (ra
sicare), it. raschiare, fr.

rcler (rasiculare). map.


rascagnare

baco (bom-baco)

Vnz. bigoli (vermicelli di pasta),


dial.tosc. bechero e becarot

to, it bacherozzolo; lmb. be

gt (crisalide), it bigatto (2)


(l) In mar-mocchiata la seconda parte certo moccolaia (mucu
laria), e la prima, se non male (mal muculario per coriza), re
duplicazione della prima sillaba. Imb margi da mugrdi = mucolaglio?

(2) ll lat. blatta non rimasto che nei derivati, quindi: it. piat
tola, tosc. piattone, nap. chiattillo

222

Siffatte differenze hanno, il pi delle volte, ra


dice nelle variet morfologiche che erano gi in vi

gore nel latino. Gi nell'italiano abbiamo savio e


sapiente da sapius e sapiens, affogare e soffocare

da offoco e suffoco e in simil guisa:


nutrire, fr. nourrir da nutrire Tosc. nutricare (GIULIANI, Mo
ral. ecc. p. 95), lmb. ven.
nodrig da nutricare
mordere, fr. mordre ecc. da Lmb. Ven. mosg, Sd. mossiga
mordeo

lucere, lmb. lisar.


rivivere da revivo

re da morsicare

Nap. lucescere (Cant. mer. I.


329), da luciscere
Tosc. riviviscere (GIULIANI,293)

lmb. rebesisse? (Bd. 77),


da reviviscere

tremare da tremere (mutata la Sd. stremessirisi, Vnz. stremir


coniugazione)
se, da con-tremiscere
albeggiare e tosc. albicare (Ver- Sd. albeschere, da albescere
siglia) da albicare (1)

giomella da gemellae(sott. manus) Lm. zemna da geminae


vaglio da vallus (vannulus)
farina da farina

Lmb. van, fr. van, da vannus.

Sd.farra da farrea (sott.pulvis)


cottimo da quotumus, a, um Lmb. cota quantit, da quota
(sott. praetium, stipendium) (2)

(na buna cota una buona


dose)

(1) Cosi conservansi ancora in toscano le forme spessicare e an


nericare per spesseggiare e nereggiare (GIULIANI, Moralit ecc. p.
186, 293)

(2) Fra le voci straniere appartenenti a questa categoria citeremo


timone che nei dialetti merid. dicesi lumia, corrispondendo la prima
voce all'ar. leimn (pers. limoun) e la seconda all'ar. lima. Cosi in
fr. lime e limon e in spg. lima e limon. (Dozy, Gloss, ecc. p. 297)

223
delicato da delicatus.

Sd. diligu, dial. mer. indilecu


(Cant. mer. I. 149) da de

strada (strata) e strato dal Su


pino stratum, da cui umb.

Tosc. starnacchio da sternac

licus.

chiarsi da sternaa cis (Plau

stratarsi e chian. strate

to) e friul. sterni da ster

lersi (Billi)

7000 e.

manipolo da manipulus

Tosc. manna e manello da ma


10000 CaVOI10.

polenta da polenta (Columella)


agire da agere

Tosc. pota, tosc. lmb. pattona


ecc. da puls tis.
Rom. tosc. aginarsi affrettarsi,
donde tosc. acciannarsi e

acciacinarsi adoperarsi af

fannosamente, da aginare
adoperarsi, procacciare (Pe
tronio V. RNsch, It. und
Vulg. p. 160)

Pi spesso per una parte soltanto dei derivati


riscontrasi nelle scritture latine.

lavatoio, lmb. lavadur, corri Ven. lavandelo, lmb. lavandin


ecc. da una forma lavanda
sponde a lavatorium.
(lavandria in Laberio)
coprire a cooperire, sic. cuvir Vnz. quereer, lmb. quarci
tari em. quertar da coo
(coopertjare)
pertare (opertare in Ennio)
nipote a nepos, sd. netta a ne. Vnz. nezza, fr. nice (neptia)
ptis
suora, sic. nap. soru, fr. soeur It, sorella (per analogia a
a S0r0r, sirocchia a Soror
fratello)

cula (Plauto)
pollo a pullus, pulcino fr. po Lmb. pojana, vnz. pogiana, it.

224
ussin a pulicenus (Lampri
dio), tosc. pollastra nap.
pollasta ecc. a pullastra
(Varrone)
mdine, lmb. mder (Bd. 72),

poana (pullana), tosc. pol


lanca (pullanica). In fr.
poulet, poularde ecc.
It. modello

sic. mdaru fr. moule a


modulus

moggio a modius, ant. tosc. mi Tosc. mezzina, Vnz. lmb. mu


sina Salvadenaio, em. meen
uolo, lmb. em. mil, ant.
staio, sd. mesina barile, (da
berg. moyol vasetto, a mo
una forma modina; cfr.
diolus (1)
mozicia per modicia in I
sidoro)
magione, lmb. mason 0 mas, Lmb. tassa, sp. masa (man
fr. maison a mansio,

sum), piem. masira (man

sura).
razzumare a racemari (Varrone) Tose. gracimolare
verrina a veruina (Plauto) vnz. Sic. vurruggiu spillo, nap. ver
gala e vriala.
verigola succhiello it. ver
rocchio, fr. verr ou a ve
ruculum.
Campagina a campaneus

Sic. campa

chiarore a claror (Plauto)

Sic. chiara

dolore a dolor

Sd. dolima

visione a visio

Sd. visuma

sordit a surditas

Sic. surda

Sd. peuncu
It. saliera, chian. salutino
pennecchio a peniculus, berg. Tosc. pinco o pincio membro
virile (penicus e penicius)
penezela pennecchio, e sd.

pedule a pedule (Ennio )

salino lmb. salin, a salinum

(1) Cfr. baio da badius, Savoia da Sabaudia. Cosi all'it. Innozzo


(delle ruote) corrisp il sic. miolu, nap. miullo, fr. moyeu da modiolus.

225
pinzellu pennello, fr. pin
ceau, sp. pincel a penicil
lus (da penis)
Talora i dialetti soli hanno il derivato antico:
Tosc. mannecchia manico del- It. manico (manicus) e mano
l'aratro da manicula
vella (manibella formato
da manibula)

It. dormicchiare (dormiculare)

Sd. dormitare da dormitare

Dove per notasi la maggiore variet si in


quei casi in cui tanto la lingua letteraria come i
dialetti formano da un comune tema, verbale o no

minale, un nuovo derivato, sia per ampliare o meglio


specificare il suono della voce primitiva, sia per e
sprimere concetti e idee affini o collegate con quelle
espresse dal tema da cui traggonsi le nuove voci.
Per ampliare il tema:
Sd. rosu, venz. b-rosa, da ro
sius o da roscidus? (cfr. spg.
rocio)
Ros

" Nap. rosata, it. rugiada, lmb.


rusada, fr. rose, da un verbo
arrosiare (sic arruciari, fr.
arroser).
Sd. orulu it. orlo da crula

Sd. orizu, tosc. rice, orcello


ORA

od orscello da oricius

Lmb. urdl, em. rudl da on


ett-ello.

Per esprimere idee speciali:


15

226

ltal. reattino, em. arietein, fr.

roitlet, da reetto (regetto) poi


Da REX per indicare uccellino

reettino (reattino) e reettello


(ant. fr. roietel) da cui reet

delle siepi (lat. pop.regulus


e regaliolus) (1)

telletto (roitlet)
Tosc. reccacchio

lt. mignolo da minulus.


Lmb. marml o nimel da mi

, MiN- (tema di minus, mi


numus ecc) per indicare
dito mignolo

nimellus (ant. fr. merme mi


nimo) port, meminho
Em. manvin (Bd. 269) da mi
nuino, spg. menique
lt. canna

Tosc.
Lmb.
sd.
Nap.

CANNA per indicare canna


della gola

canneggiola da cannicius
canare, sic. gannarozzu,
sgannadroacht
cannarone

Vnz. canale

, PILUS per dire cignone

l Sd. pilucca, it perucca.


l Em. piluta (Bd. 273

, PECTEN per indicare il pube l It. pettigaone da pectin-io


l Venz. petenecio da pectinicius
(spg. empeine)
Umb. pagliaccio da paleacius
Nap. pajjarell (C. m. I. 10)
PALEA per indicare saccone
da paleariello, it. pagliariccio
del letto
da palearicius

Lmb. pajn da paleone.


, TERRA per indicare vasi di
creta

Tosc umb. it. terrina, sp. tarina


Lmb. em. tragna da terraneus.

l Dial. mer.tragnucce (C. m.I.156)

(1) Cosi in greco lo stesso uccelletto chiamato aoui l'oros e


intedesco Zaunhnig (re delle siepi).

227

Sic. cutina, it. cotenna

\" Vnz. codega, lmb. codga, da

, cUTis per dire cotenna

cutica (donde cuticagna)


Vnz. becamela

, BEcco per ind. un uccello


) Lmb. becant

dal becco lungo

l
BARBA per ind.ilbarbiglio

It. beccaccia
Vnz. barbole

dei polli

l 1t. bargia da barbea


l

, SOLE per ind. luoguo espo

Vnz. solivo
Sd. solianu

l Sic. sulicchialora

sto al sole

It. solato

, BovE per ind. sterco di

It. bovina

bove

Lmb. Vnz. boaza da boviacea

del campo

Tosc. capitagna, lmb. em ca


vdagna it. capezzaggine
di una pezza It. scampolo (capolo,
lmb.
di tela o di
panno

, cAPo per

capitium.
It. capo, sd. cabidu, tosc. ca
tella da capitella

del filo

ind. estre
mit, o par-

delle

ven. em. cavez o scave da

mam

Nap. capetiello o caporello, tosc.


te superiore

melle

caperello e capitignoro, venz.


cavielo (ant. berg. cafdel da
capitello), sd. cabiju (capi

gliu) sic. capicchiu da capi

\
NEVE per ind, neve minuta

clum per capitulum (v. p.


79), it. capezzolo da capitiolo.
it. nevischio tosc. nevistro (per
neviscro) da nevisculus
Vnz. nevarin.

FATTo per. ind. la manie


ra del fare

it. fattura

Lmb.fasseradafactiaria (Bd66)

228
It. carruccio

, CAltRo per. ind. l'arnese ,


con cui i bambini impara

Rom. crino da carrino, lmb.

no a camminare.

carin (1)

Da verbi per indicare strumento:


It. grattugia

, GRATTARE per designare


lo strumento da grattare il
cacio

, PIPIRE per ind. strumento


che manda un suono.

Tosc. grattura (Mea)


Venz. gratariola, sic. grattaro
la, lmb. gratarla.
It. piva, piffero (pipula) e con
diverso significato pevera
Em. fabibl pevera e piva
Sd. pipiriolu fischietto.
It. tirelle

, TIRARE (got. tairan) per

Nap. sic. vnz. tosc. tiranti, sd.


ind. cuoio o cordella da titirantes
Tal'e.

)
Lmb. tiracche

, b. l. MUCCARE (nel fr. moucher, lmb. muc ecc) per

Sic. mecu (cfr. smiccari smoc


colare)

Lmb. muchta
ind. arnese da smoccolare

Vnz. mocarola (mucariola)


la candela.

It. smoccolatoio (da smoccolare)


,
per designare fazzo l
letto da naso (lat. mucinium) |

It. moccichino
Sd. muccadori

It. filatoio, filanda e cos nella


pi parte dei dial.
|
Nap, felariello.

FILARE

, RAPPARE e RAFFARE (nd.


rapen, ted. raffen)

1t. raffio.

D. tosc. rampino, lmb. Vnz.


l

rampin, rampn ecc.


(l) Di qui crinolino cio crino-lino per la somiglianza della
forma. In lmb. crag (curricus) vale parimenti carruccio e crinolino.

Altri derivati

verbali:
It. lucciola

, LUCERE per ind. insetto


luminoso (lat. lucinium)

Vnz. lusariola, lmb. lisarla


e liisarina, spg. luciernaga
It. manicaretto, vinz. magna

MANICARE (Vnz. mugnegar


e magnar) per ind. cibo

reto.

delicato.

Sd. magnottu.

It. rigattiere ( recaptarius)


Em. recaton (Bd. 77) spg.

, RECAPTARE per ind. colui


che raccatta o incetta cose
diverse

regaton

It. taglierini (da tagliolini)


TAGLIARE (da talea) per
i fili di pasta tagliati

Nap. tagliarelli
Lmb. tjadi

Vnz. imbogio viluppo, sd. im


boju confusione, tosc. com

buglio e scombreglio (cort.),


, VOLVERR (poi vogliare )

sic, imbrogghiu pacco, invol

per ind. involto, pacco, poi

to, it. imbroglio

Sd. buliumen, tosc. scombru


liume luce incerta, confusa (1)
Sd. imboligu pacco ed anche

avviluppamento, confusione.

confusione

Em. sgugiol (Bd. 283 )

, GAUDERE per ind. allegria, \


gioia

Piem.rigosio e rigusiglio B.574)


It. gozzoviglia (gaudibilia)

(l) Anche nei verbi le forme che hanno la liquida si alternano

colle altre pi pure. Cos abbiamo sd. imbojare, merid cummugghiai


e cummogliare ravvolgere, lmb. invoj, accanto al vinz. imbrular in
viluppare ed all'it. imbrogliare Si confrontino pure nap arravoglia
re e scravogliare, it. garbugliare accanto al tosc. ingarabullare
ecc.

Da volvere venne vollere che pure trovasi nelle scritture antiche


poi v ogliere e, mutata la coniugazione, vogliare, fors'anche pe: in
fluenza del got. valvjan.

230

lt. menzogna
, MENTIRE per ind. bugia.

l Dial. mer. mence (C. m. I. 94)


| It fallo
, FALLERE per ind. errore
Sic. nap. falta, fr. faute
N solo i dialetti, raffrontati nel loro sviluppo

morfologico colla lingua letteraria, offrono siffatta


sconfinata variet di suffissi nel dedurre da un tema

comune voci di significato affini; ch spesso ci pre


sentano intere serie di nuovi derivati per idee gi
in pi maniere espresse, che perci la lingua lette
raria rifiuta quali inutili neologismi, bench rego
larmente formati da temi comuni o rispondenti ad

alcune antiche forme latine.


Tosc. nap. rabacchio,

, RAPA per ind. sbarbatello,


Em. rabac, l'abot

giovinetto.
Sp. rapaz, rapagon.
, ROTA per ind. il segno
delle ruote, quindi l'avval

| Sic. rutata
Tosc. 1 utima

lamento delle vie


-

PACCHIA per uomo grasso


t
f
luto da
plen
D ( cfr. paffuto
-

Nap. pacchi ne sic.


\ Tosc.
pacchierone

pacchiun

l Vnz.pacioto, Sd. pacciottu, lmb.


paciutn

pappa)

Sd. codulu, lmb. cdul o cden,


, cos, Tis per ind. ciottolo,
tosc. ctano
sassolino.

...

l Sic. cuticchia
e

, RAM0 per bastone

Romg. rameng, tosc. ramengolo


g
0,
g/
Sic. ramazzu

Sd. panneddu
,

NN
grembiale
PANNO
per gre

Tosc. pancella

23I

Lmb. fiimana
Em. fumera
Sd. fumacina

, FUMo per nebbia

Tosc.luoja (luca),fr.bellugue ecc

, LUCARE per scintilla

Tosc. lecchino

LECCARE per giovane azzimato

Tosc. lujola e licchia (lucula).


Lmb. lighera (lucaria)

l Vnz. lecardin

SQARCIARE per millanta


Tosc. squarciante o sgargiante
tore (cfr. spaccone da spac l Vnz. squarzoso
l
Sic. scarciuni
care)
Tosc. scarafelo
SCALPERE (it. scalfire) per
l
prurito.
Tosc. carapina, sd. iscarpinzu
Tosc. scatore, em. scador (scal
pturies)
, scALPTURIRE (it. calterire)
per prurito
Vnz. catorigole (cfr. lat. scal
pturigo) (1)
Sic. esalu o riseialu, piem. ar
si anelito (Bd. 565)
EXHALARE per respiro,
Tosc. scianto (lat. echalitus) e
-

t
(

fiato, poi anche riposo.


sollacche respirazioni affan

nose (2)

E cos i seguenti derivati verbali:


(l) Da scalpturies venne scalturie (come scolto da sculptus) quin
di scaturie (come atro da altro, utino da ultimo) da cui scatore (cfr.
martiro da martirio).

Carapina per scarpina viene da una forma scalpinare che ci


rimasta nel val. scalpin grattare, per epentesi come scarafelo per
scarfelo da scalfire.

(2) Sollacche per asolacchie viene dal tosc. asolare respi


rare, pure da echalare (Cfr pretocco per pretocchio da pretucolo).

232
, OPP10 per

dormire

Tosc. allappicarsi e appiopparsi

(v. p. 176); nap, addobecchiarsi


, oBEso per ingrassare

Berg. embs ( RosA, Dial. di


Berg. e Brescia) ingrassa

re (lat. obesare)
, ALBUs per sbiancare

Tosc. scialbare (tat evalbare)

La stessa variet e le stesse leggi notiamo anche


nelle modificazioni delle voci straniere o d' incerta

origine:
tarchiato (dal lat. trachala ?) Nap. introcchiato, sic. tirrin
(1)
chianculu, tosc. lmb. ven.
traccagnotto.

Nap. argatella.
pizzicagnolo
Sd. pizzigajolu (2)
berretto (secondo il DIEz. da Sic. birriuolo, lmb. baril
birrus rosso)
pettegola
Vnz. petazza.
arcolaio

(1) Il nap. tracchia vale appunto ingrossamento del collo, scro


fola. (V. p. 158)
(2) La forma sarda che concorda coll'antico pizzicheruolo, par
rebbe appoggiare l' etimologia gi messa avanti da piscigarius
(venditore del garum , alla quale le leggi fonetiche non contrastano
(cfr. pissutca, sic. pisciacozza da pisciuca). La moderna forma to
scana sarebbe nata dall'avere confusa la seconda parte della voce
col suffisso arius che si riferisce appunto a mestiere od industria
cfr. carbonarius, argentarius ecc.) ci che avrebbe dato origine allo
scambio col suffisso aneus (cfr. capitaneus, coaetaneus ecc.)
Non voglio tuttavia tacere che a me par possibile derivare
pizzicagnolo da species usato per droghe (donde anche speziale), da
cui le forme speciarius e specicarius. L'affinit del suono e del signi
ficato con speziale mi parrebbe dare appoggio a questa etimologia,

tanto pi che non trovasi traccia del composto piscigarius in alcuna

scrittura o glossario antico.

233

cocchiume (1)

Lm, cocn coci.

scorucciarsi (corruccio da col- Tose scorrubbiarsi, (nap. cor


leruccio secondo il DIEz.)

rivo corrucciato) sic, cur

ririsi (collerirsi?)
grimaldello (vnz, rimandelo) (2) Em. garibold, lmb. gariboldn
baldracca donnaccia.
Chian. buldrigona, lomb.pelan
druna, pelandra, val. bu

lendra sp. penlandusca (3)

Proprie dei soli dialetti sono:


Tosc. birracchio agnello

Berg. br, em. bcr, montone,


che corrispondono al boe

mo beran, nd. faer pecora


Tosc. aschero, scareggio avversione

(4)
Piem. scr, lmb. ascar, em.
scar: ecc. dal got. aiuiski?

(l) L'etimologia pi verosimile pare a me quella da corteo,


usato per suvero, da cui cortico divenuto corcho nello spagnuolo, e
Rork in tedesco. Da cortico alterato in corco venne il lmb, coci che

ancora significa tappo di sughero, e cocn tappo pi grosso, corris


pondente all'ital cocchiume (cio corclume da corcula per corticula
cfr. sirocchia per sororcla da sororcula ).
(2) Che la forma toscana stia per gribaldello provato dalle
forme prevalenti in quasi tutti i dialetti nordici. ll veneziano riman
dlo ci avverte ancora che il ge prostetico come in granocchio, nel
-

vnz granaio per rancido ecc. Siamo quindi condotti ad una forma
ribaldello, la quale raffrontata con ribaltare da rivoltare, col lmb.
strabalda metter sossopra da stravoltare, ci conduce a rivoltello; e
questa etimologia appoggiata dal nap. votaianna (da voltare e
ianua) che vale appunto grimaldello.
(3) ll lomb. pelandruna il femminile di pelandrn, voce affine
all'emil. balandran mascalzone (fr. balandran) dall'equival latino,
balatro. La stessa origine ha il val, bulendra. Si presenta quindi
come verosimile l'etimologia di baldracca da balatracchia (baladracula)
(4 ) GRIMM, Gesch. der deut. Sp. I, 23,

234

Le medesime variet e differenze si trovano,

quantunque in molto minor misura, nel sistema gram


maticale e nella formazione delle parti del discorso.
E qu pure la diversit nasce da elementi o for
me del latino volgare rimaste in vigore mell' uno
o nell'altro dialetto, o da differente processo di
formazione. Daremo qualche esempio per ciascuna
delle parti del discorso.
ARTICOLO Generalmente venne adoperato per
articolo il pronome ille, ma nel sardo si mantenne
ipse, divenuto su, sa ecc.
NOME Nei nomi pi frequentemente le dif
ferenze provengono dall'avere la lingua letteraria
preso la forma del nominativo latino, e i dialetti
quella dei casi obliqui, o al contrario. Moglie da
mulier, ma nap. mogliera, sd. muglieri, venz. muger
ecc. da muliere (l) Sarto da sarcitor, ma venz.
sartor, lmb. sartur ecc. da sarcitore Pipistrello
da vespertilio, ma nap. spurliglione da vespertilione (2)
Societ da societate, ma lmb. scita da societas

(poi sgjetas) Nipote da nepote, ma vnz. nievo


(l) Per tipo dei casi obliqui intendiamo quella forma che dov
risultare per l'obliterarsi delle desinenze del singolare Muliere rap
presenta per noi tanto mulieris che muliere e mulierem.

(2) D' Ovidio, Sull'origine dell'unica forma flessionale del no


me italiano, Pisa 1872, p. 53. Del resto sono col prof. Flechia
nel riconoscere in pipistrello un riflesso di vespertilio e non di un

supposto vespertillus come, col Diez, crede il mio amico prof. d'Ovidio.
Quanto alla difficolt fonetica si confronti mila da millia, e il tosc.
titllore castagne accanto a tiglie. .
-

235

da nepos (ant. fr. nies). Cos abbiamo veduto erro,


fieto usate in pi dialetti per errore e fetore (v. p.
189 ).

Moltissimi poi sono i casi in cui uno stesso no


me usato in diverso genere nella lingua scritta
e nei dialetti, e tali differenze pure risalgono tal
volta al latino. It. crine maschile, ma lmb. crema
femminile, e cos il lat. crinis d' ordinario maschile

fu usato come femminile da Atta (ap. Nonnio).


AGGETTIVI Troviamo nei dialetti usati

so

stantivamente certi aggettivi che la lingua scritta


non usa come tali. Cos em. pontga corrisponde a
mus pontica, e imb. cane capelli grigi a cani ca
pilli (spg. cana) (l).
VERBI Nei verbi sono principalmente da no
-

tare:

a) cambiamenti di coniugazione, come nel sar


do: bnnere venire, plghere piacere, abrrere aprire,
nel nap. bedire vedere (C. m. I, 33) nel tosc. corrire (2)
e CC,

(l) Questa voce rimasta in Toscana solo nelle frasi essere


ai casai, andare ai cani, che il Fanfani spiega a perdere il
fiore e la freschezza della persona ma che propriamente significa
essere all'et nella quale imbiancano i capelli. Gi nel latino seriore
si usava cani come equivalente a senectus, e cos usque ad canos va
leva quanto usque ad senectute on. V. Rssch, ltala und Vulg p. 306.
(2) Qui per pu dubitarsi se non si tratti di un e mutato in i.
Cfr. sp. decir e it. dire, port. dizer, sp. heroir e it. fervere, port. fer
ver, corrire (fr. courir) e ant. fr. corre, sp. pg. correr, it. correre;
ADoLF ToBI.ER Darstellung der lateinischen Conjugation und ihrer
romanischen Gestaltung ecc. Zrich, 1857, p. 22.

236

b) forme latine, che rimasero solo in alcuni dia

letti. Cos il piuccheperfetto che non rappresentato

in italiano che da un verbo (fora = fuerat), in al


cuni dialetti meridionali rimasto col valore di con

dizionale,

come nello spagnuolo e portoghese (can

tara = canterei), e leggiamo quindi nei canti me


ridionali sapra, servra, rumperra per saprei ecc. (1)
c) Diverso processo nella formazione di nuovi
tempi.

In qualche dialetto gli elementi dei tempi compo.


sti rimasero distinti, o non si fusero perfettamente

come in italiano. Cos nel sardo hapu cantai log. hapo


a cantare) per canter. Nel dialetto di Lecce a
ggiu fare per faraggiu, ha benire per benir ecc. (2)
- Ovvero abbiamo il tempo formato con elementi
diversi. ll condizionale che in italiano composto
(l) Canti delle Prov. Mer. I, 84, l 23. Queste forme, che sarebbe
grave errore confondere coi condizionali composti (sapria, serviria
ecc), riscontransi non solo nello spagnuolo e nel provenzale (DIEz
Grmm. II. l 17) ma nelle antiche scritture in romanesco e in aqui
lano nelle quali leggonsi le forme habera, giocara, vuolsera ecc. che
vedremo usate anche dai poeti (MURAToRI, Antiq. III. 297,373, 409.

VI. 581 ecc.)


(2) Nei Canti merid. leggiamo:

Ieu mercante de panni mm aggiu fare ( II 248)


T" aggiu benire nsonnu lacremandu (II, 204 )
Ma quand passi tie, aggiu ritare (II l 2)
Qualche mancanza ha benire de voi (lI. 173)
Talvolta trovansi distinti anche gli elementi del condizionale:
Lu cuscinu de lagrene bagnai
Credendu ca nu t'ia ridere (vedria ) poi (II. 309

237

del perfetto e dell'infinito (dormirebbe da ebbe


dormire) formasi invece coll'imperfetto (dormira
da avia dormire ) (1) in molti dialetti e col piuc
cheperfetto nel milanese, il quale dice: farss,
savrss, cantarss ecc. da fare avessi, savere aves
si ecc.

d). Forme, sopratutto nei verbi forti, foggiate


secondo diversi criterii di analogia, ora pi ora me
no rispondenti al tipo latino. Per es. il lat. potuit
rimasto non nell'it. pot, ma nel potte dei dialetti
meridionali (C. m. I. 58), i quali poi seguono diverse

analogie in vosi, diesi, facette, mediebb' (C. m. 179,


316, 325 ) che in italiano suonano volli, diedi, fece,
vidi in corrispondenza colle forme latine (2) Tale
divergenza sopratutto frequente nella formazione
dei participii dei verbi in ire che nei dialetti meri
dionali seguono in gran parte l'analogia dei verbi
in ere, e che la lingua letteraria, anche in ci pi
fedele al latino, forma regolarmente in ito, dicendo
ferito, gito, fornito, partito, vestito, dormito dove i
dialetti del mezzogiorno hanno feruto, giuto, fornu
to, partuto, vestuto, dormuto, come avuto, possedu

to, saputo ecc. (Cant. mer. I. 32, 77, 46, 53, ecc.)
Anche le singole persone dei tempi sono spesso
(1) Avia (habeban) anche fuor di composizione si per altera
zione fonetica assottigliato in ia in vari dialetti. Cos a Iecce cantano:
Ca ieu nu core c'ia lu diesi a lei (Cant. mer. I. 325) Quindi domir
i, cantar ia ecc.

(2) V. anche a p. 189.

238

nei varii dialetti formate secondo differenti analogie.


P. es. la prima persona plurale del presente indicativo
che segue, in italiano, quella del congiuntivo pre
sente della 2." e della 4 coniug. latina (amiamo,
crediamo secondo abbiamo, nutriamo da habeamus,

nutriamus), riproduce, in varii dialetti, la schietta


forma latina. Cos in romano: stamo, amamo ecc. e

nei dialatti meridionali: purtamu, amamu, imu (i


mus), avimu ( habemus ) ecc.
NUMERALI. Molto notevoli sono le differenze di

due numeri diciotto e novanta, pei quali molti dia


letti presentano forme pi delle italiane corrispon
denti ai numeri latini. Cos il rom. discidotto, il lmb.

disdt ecc. vengono da decem-et-octo, come venz.


nonanta, mil. noranta, ant. piccardo nonante da no
maginta, mentre it. diciotto segue diciassette, e no
vanta segue l'analogia di settanta, ottanta ecc. (l)
PRONOMI, AvverBi ecc. Non minori differenze

potremmo notare nella formazione dei pronomi, come


degli avverbi, delle congiunzioni, e delle preposi
zioni, che in tutti i dialetti derivati dal latino si

dovettero in gran parte o ampliare o nuovamente


formare per composizione, dopoch le voci latine
(1) Non voglio tacere per il dubbio che anche diciotto non possa
essere venuto da decem-et-octo, per dileguo della muta dentale (cio
dicidotto quindi dici-otto ed ora diciotto). Anche la doppia sibilante
che si sente in diciassette che pu venire da assimilazione della den
tale (deci-et-sette poi deci-es-sette indi diciassette) indurrebbe a far
credere a un anteriore decidotto.

239

corrispondenti (per lo pi monosillabi) s'erano troppo


assottigliate o indebolite di suono. Distingueremo
qu tre punti principali in cui i dialetti si scostano
non di rado dalla lingua scritta;
a) Il dialetto ha mantenuto la forma latina,

che l'italiano ha allungato con qualche composizione;


p. es. sto da iste in molti dialetti del Nord e del

centro usata di continuo in luogo del composto questo


(eccu-iste ; cada in sardo per cadauno o ca
tuno; e qu pure potremmo citare sic. nap.craie
da cras, lmb. sat da satis, sd. prope ed obia da prope
ed obviam, sd. emmo da immo a cui l'italiano ha
sostituito altre voci.

b) Tanto i dialetti che la lingua letteraria


sostituiscono alla voce latina dei nuovi composti,
ma diversamente formati It. cadauno

da

cada

uno, ma em. scadagnum da cada-ognuno, e sd. ca


dascunu Italiano niente da me ente, ma lmb.

negota da ne-gutta. Italiano cos da aeque sic,


lmb. csita (p. 62) sd. as (ant. fr. ensi) It.
qu da eccu'hac, lmb. z da ecce'hac it. domattina
o domani (de mane), nap. cramattina da cras e
ma tutina it. soltanto da solo e tanto, lmb. noma o

doma da non magis (val. numai), piem. mac, cio ma


(magis) che; it. ancora da anche ora, lmb. ancam
da anche e modo; it. adesso da ad ipsum (sott.
tempo), lmb. issa da ipsa (sott. ora ); it. nel da in
il, lmb. in tal, rom. indel e cos in molti dialetti da

into (intus) e il.

240

c) O agli avverbi antichi vengono sostituite


nuove parole, ma diverse nella lingua scritta e nei
dialetti Per minime l'it. ha punto, il lmb. miga (1)
l'emil. brisa (briciola), il piem. pas (passo); per
nimis l'it. ha troppo (cio truppa quantit), il vnz.
come il prov. massa; per prope l'it. presso, il lmb.
darent (port. rente) da aderente, ovvero atc, atc (2).
FoNOLOGIA.

Nella fonologia, come gi fu notato nel raffronto


tra i dialetti toscani e la favella letteraria, vedremo

come le medesime tendenze e le medesime leggi di


permutazione e di alterazioni dei suoni spieghino in
generale le forme diverse che le parole latine ven
nero ad assumere nelle numerose variet dialettali.

Se non che le grandi differenze che spesse nascon


dono la comune origine delle voci di due lontani
dialetti, nascono da due cause: I. Dall'avere certe

leggi di permutazione e di alleggerimento avuto or


nell'uno or nell'altro dialetto uno sviluppo ed un'
efficacia incomparabilmente maggiore, come, a cagion
d' esempio, l' indebolimento delle consonanti nel
(l) Cos nell'ant. fr. mies, e nel mod. pas e point.
(2) Anche il toscano ha tacca tacca appresso, che viene da attac
care, come presso da pressus (part. di premere). Il Fanfani per cita
per spiegare quella chiarissima forma avverbiale non so quante ipo
tesi delle quali una tirata fino dallo svedese ! (V. Dizion. dell'us. tosc .
a tacca )

241

veneziano, o lo scambio di d in r nei dialetti di


Basilicata. II. Dalla diversa via

che

non

di

rado

tennero due dialetti per giungere ad un fine mede


simo, ed obbedendo alla stessa tendenza, di alleg
gerire cio l'incontro di certi suoni. Come nei dia
letti toscani il nesso cl pot alleggerirsi in li ed in
chj (speglio e specchio da speclum), cos il nesso
latino ct di factum, nocte riusc all' assimilazione
nell'ital. fatto, notte, mentre si allegger in jt nel
piemontese fait, noeit. Abbiamo insomma, come gi
si dimostrato pei dialetti toscani (p. 136), da una
parte ulteriori alterazioni che sempre pi difformano
la voce dialettale dal tipo letterario, e dall'altra
alterazioni e forme parallele nate in forza della
stessa tendenza ma con diverso processo dalla forma
letteraria, oltre alle numerose forme arcaiche gi al
trove notate.

Come poi lo stesso processo fu spesso indipen


dentemente seguito da due dialetti lontani, troveremo
una voce medesima aver preso in quelli suono o si
mile o in tutto eguale, ad un tempo disforme dal
tipo latino come dall'italiano, e cos il lat. stimulus
esser divenuto strumbulu in sardo, stom.bl e stombel
nei dialetti emiliani.

Negli esempi che facciamo seguire coll' ordine


e nei limiti osservati per i dialetti toscani noteremo:
I Nuove e pi estese applicazioni delle comuni leggi
fonetiche nei varii dialetti. II Forme parallele nate
16

242

da una diversa maniera di alleggerimento o di in


debolimento in diversi dialetti. III Uniformi

modi

ficazioni di una stessa voce in dialetti divisi geo


graficamente e disformi nel resto. IV. Forme arcai
che, nelle quali l'alterazione fonetica minore che
nelle voci italiane

corrispondenti.

ASSIMILAZIONE (p. 108) Con reduplicazione: Lmb. sin


sig per insig (instigare), sd. coca per oca, nap. vavo per

avo. Assim. di consonanti: sd. pampa per vampa, azeize i


per attizzare, nap. sescare e sischetto (C. m. I. 275) per fi
schiare e fischietto, em. babarr cianciarc da fabulare. ecc. Di
vocali: sic. calaciu da calice, ficili per fucile ecc.
ETIMOLOGIA PoPoLARE (p. 105): Lmb. bisulan ciambella
(per busulan dal lat. buccellatum, Vnz. buzzol) per etimol. da
biscia; e coll'aggiunta o colla perdita di l per confusione col
l'articolo: Vnz. lancuzene da incudine, lesca da esca, ludro
da otre, lmb. lasa spago dal lat, acia, romagn. lardr, linzen
(uncino), ldar da otre (1), e inversamente: friul. argel da
lardello (2),
METATESI (p. 112) Vnz. lmb. faliva da favilla, vuz.
fravo da fabbro, lmb. galitt da catullire; nap. fraveca da
fabbrica, cravone da carbone; Sd. Solinga da lusinga, pruere
-

da pulvere (cfr. tosc. bruscolo da pruiscolo cio pulviscolo; p.


139); em. scotmi sopranome da costumaglio (nome di costume)
em. stiflr fischiare da fistulare
Convengono nella stessa metatesi: Sd. cadriga, lmb. vnz
cadrega dal b. l. categra per cathedra; nap. preta, lmb.
preda, Vnz. pria da petra; rom. cromp (Belli, 159) lmb.
(l) MUsAFFIA, Darst. der Rom Mund. p. 46.
(2) Cos nei dialetti ladini liver da uber, lindes guardanidio da
rindeoc.

V. Ascoli, Saggi ladini, 52, 325.

243

Vnz. crompar; rom. fedico, sd. fidigu, lmb. fidac per fegato; sd.
clobare (copulare) e lmb. ciopa (clopa cio copia); rom.
battecca, lmb.bateca bacchetta ecc.

SCAMBIO DI CONSONANTI (p. 114) L ed n Vnz. nom

bolo da lombo, lumero da numero, niziol per lenzuolo, storlo


da storno; nap. pantofano da pantofola (cfr. garofano da ga
rofolo), sic. perna da perla, sd. linzola per nocciuola.
Uniformi alterazioni sono: Sd. lui menare, lmb. lumin da

nominare; sic. pinnula, lmb. pinula da pillola; peligno alema


anima e romag. limella animella ecc. (1)
L e d Nap. lattero dattero, denzola lenzuola, sd. das

sare lasciare, lmb. ludul ululare. Da notare qu ll = dd del


sardo e del siciliano, come in sd. caddu cavallo, dropeddu
drappello (truppello), fodde mantice da follis, muddari allen
tare da mollare, e in sic. cirividdu cervello (cerebellum),
fuddari (fr. fouler), nuddu nullo ecc..
R e d Nap. maronna madonna, decria ricreamento, sd.
digidiri digerire ecc. Nel napoletano, ma pi ancora in altri

dialetti meridionali (p. es. in Basilicata) generalissimo questo


scambio, e cos abbiamo: pere piede, rue due, vero vedo, riero
diero (diedero), risirira desidera, rura dura ecc. (2).
R ed n Sic. carap canap, vnz. feral fanale, lmb.
marml mignolo (minimello).
M ed n Lmb. naula mucchio di fieno, da metula (fr.
meule), nis contuso da mitius (3)
Eguale alterazione in sd. sellaru, lmb. selar, da selino, sic.
(l) MUsAFF. R. Mund. 56. Qui pure da ricondurre il grig.
limari col lomb. limal animale, come il lombr numerare, torlar

tornitore ecc. ricordati dall'Ascoli Saggi lad. 65, 263, 327.


(2) Canti delle Prov. merid. ecc. I. p. 6, 43, 191, 26 l ecc. Vedi
principalmente i canti di Spinoso.
(3) Cos il tosc. nnizzo (p. 158) equivale a mezzo maturo, indi
fracido, poi ammaccato, e si disse prima delle frutta, poi anche dei
corpi viventi.

244

arma anima, lmb. armela nocciolo (animella) (1)

R e d Lmb. stormir stordire e doma per noma sol


tanto (non magis)

Labbiali. Cos frequenti e comuni sono gli


scambi delle labbiali che appena occorrer qu dare
qualche esempio.
Vnz. dessavio sciapito, supiar soffiare (2), em. endevenar di

panare, nap. valanza bilancia, erva erba, ofano vano, stanfella


stampella, viato beato, cumbeniri convenire ( C. mer. I. 56),
lmb. barzev presepe, sd. perunu veruno, alluffii diluviare

(mangiar da lupo), basolu fagiolo, lmb. fopa da fovea, berg.


nipa per neve, crapa da calva (cranio) eee. (3)

Qui pure va considerato lo scambio di g con v


e di v con gche non propriamente che sviluppo
di v dopo g o di g avanti a v. Quindi:
Lmb. legur lepre, rigul scorrere (rivolare), sigla cipol
(l) Cos grig. orma anima, AscoLI Sg. lad. 14 l.
(2) Romgn. supi. MUSF. R. M. 55.
(3) Non posso consentire col prof. Flecchia, il grande dialetto
logo italiano, quando egli cerca spiegare crapa col ravvicinarla ad
altre voci derivate da una radice clap che varrebbe sasso, rupe ecc.

non dovendosi cercare nuove etimologie malsicure quando nei latino


troviamo la voce che per suono e per significato meglio corrisponde.
V. FLECHIA, Di alcune forme dei nomi locali dell' Italia Superiore,
Torino 187l p 81.
Esempi di siffatti scambi in altre lingue romane, che non di
rado concordano con quelli dei nostri dialetti come fr. nomble lum
bulus, prov. udolar ululare, ant. port. lomear e ant. fr lommer mo
minare, spg. calonge canonico, mielga erba medica ecc. sono da
vedere nel DIEz, Grmm. I. 204, 217, 235.

245
la, nap. goglia voglia, sic gastimari (vastimari) bestemmiare
ecc. e per contrario: rom. tevola tegola, nap. spavetti spaghetti,
lmb. pagiira, sic. pagura da pavor, nap. pav pagare, Sd. vog
eu gozzo ecc. Notevole la comune alterazione di iugum: sic.
iuvu, lmb. zuf, gnv. zuvu, rmg. 2v (1) ecc.

AGGIUNTE DI CONSONANTI L'aggiunta di conso


nanti accade in tutti i dialetti colle stesse norme

che nel toscano. In mezzo alle parole le consonanti


aggiunte sono o la liquida r o le nasali (p. 124)
R aggiunta in vnz. brespa vespa, nap. capolitrombola ca
pitombolo, sprecchio specchio (C. m. 1. 91) trisoro tesoro (C.
m. I. 56), sic. friscina cesta (fiscina), gistra cista, frama fa
ma, romagn. vespra e vrespa vespa (2), Sd. frunda fionda,
allestrire allestire, drinniri tinnire ecc.

N o m aggiunto in sd. angula ugola, lomburu gomitolo


(glomero), celembru cerebro, sic. menzu mezzo ecc.

In principio di parola le mute b o g avanti a


r (p. 125) ovvero n o v avanti a vocale (p. 204).
Quindi:

Vnz. brosa rugiada (rosia), lmb. brigul scorrere (rivo


lare), brangugn e rangugn querelarsi da rangugna per ran

core (cfr. fr. rancune), emil. brombol ramo da rumpus (ticin.


romp); nap. gruttare ruttare, grancito come vnz. granzio da
rancidus ecc.

N prefisso in nap. nascienzo assenzio, romagn. nenca anca


(1) Per l'illustrazione di questo fenomeno v AscoLi, S.
91, 212 ecc.

I,. 61,
-

(2) MUsAFFIA, Rom. Mund. 48.


i

246

(1) e forse piem. nast fiuto da usta (2).


V pref in lmb. vess, vott, vin per essere otto uno, sd.
bocchire (vocchire) uccidere, bessire escire, piem. avisch ac
cendere da vesca per esca (3).
INDEBOLIMENTO e DILEGUO DELLE CoNsoNANTI. Le

forme arcaiche sono principalmente proprie dei dia


letti meridionali come ripetutamente fu notato (v. p.
17, 88). Esempi di ulteriori alterazioni sono:
Vnz. barbastelo pipistrello, binaolar pendolare, nodar nuotare,
codega cotica; limb. barbel da papilio, ladin facile da latino,
fradl fratello ec. e cos sardo log. fadadu fatato, veridadi veritate,
gobbula copula ecc.
A

Uniformi alterazioni: Sd. tuniga, Vnz. lmb. tonega da tunica,


Vnz. fugazza, lmb. figassa, sd. fogazza per focaccia ecc. (4)

Dall'indebolimento si passa al dileguo.


I. Dileguo delle dentali
Vnz. mio nido, deo dito, aseo aceto, caena catena, raise
radice, tivio tiepido, meola midolla; lmb. meula falce da mie
(l) MUSFF R. M: 5

(2) Qui anche grigione nuvil ovile. Ascoli Sagg lad. l 10.
(3) Lad. vola da olla. Ascoli S. L. 381. Dal v iniziale poi lo
sviluppo del g cfr. golpe da volpe). Quindi lad. gof da vof per uof
uovo (AscoLI S. L. 417) e cosi spiegasi, a mio credere, il gar (cio
guar da var) per arare dei dialetti di Basilicata (C. m. l. 127)

Il fenomeno contrario il merid. addhina per gallina, da cui guad


dhina poi guadalhina, vaddhina e addhina.
(4) Cos da una parte i dialetti settentrionali si accostano alle
forme provenzali mudar, padela, amada, cadena ecc. e dall'altra il
sardo alle spagnuole separado, amado, dignidad, sobriedad, saludar
DIEz, Grm. I 226

247

iere (metula), piem. biola betulla, pevia pipita; map. ancunia


( ancuina ) da incudine, paraviso (paraiso) da paradiso; sd.
costoire custodire, tostoine da testudine, seere sedere, aili o edili
mandra di capretti, laba lebete, seimana settimana ecc. e cos
genovese crio grido, crua cruda, grao grado, suoi sudori.

In un fenomeno cos generale sono molto comuni


le alterazioni uniformi in dialetti anche lontani.

Cfr. Sd. vnz. peligno coa, lmb. cua, grig. cua, sd. creiri
credere, sannit. creo, merid. criju; genov. vei vedere, san. veo
ecc. Cos nei participii passati in to: Vnz. figao, sd figau; genov.
perduo, uscio, vnz. abatuo, ticin. butto, baso ecc. (1)

II. Dileguo delle gutturali


Nell'indebolimento delle gutturali abbiamo di

versi gradi, ma per tutto la stessa tendenza


e lo stesso processo che ha dato in Toscana fiura,
fatia, auzzare ecc. per figura, fatiga, aguzzare
ecc. In alcuni dialetti si sente ancora la palatina
nata dall'indebolimento della gutturale, e questo
specialamente nei dialetti meridionali in cui il j
suono comune.
Quindi nap. chiea piega, projere porgere, castijare casti
gare (C. m. I 313) sic. jiditu per diitu dito ecc.
(I) Cosi grig. cer vedere, crer credere, ser sedere ecc. Ascoli
Saggi lad. 97, 98, 257. Vedi pure gli stessi saggi per il veneziano
p. 429 ecc.
Qui pure abbiamo da una parte spg. raiz, caer, creer e dall'al
tra prov. caer, meola, airar, framc. chaine, crier, queue, croire, cho
ire ecc.. Il francese riproduce pi compiutamente il fenomeno soppri
Imemdo interamente anche la forte dopo averla indebolita, il che
raro nel provenzale DIEz, Grmm. l 227

248

Il suono palatino risolvesi in qualche dialetto


meridionale in una leggera aspirata:
Quindi preho prehare, fatihano Marharita a Spinoso e

Moliterno (Cant. mer. I. 166 188, 211 ) accanto a fatare, pria


re, maniare, anniare (annegare), al sic. astiari istigare, putia

bottega, al sq. impleare (implicare), ambisua sanguisuga, per

tia pertica, tianu tegame, nadia natica, al lmb. stria strega,


mia mica, besidi pizzicare, pi (piccare ) mordere, lem legume
piem. cali (caligarius) ecc. (1)

III. Dileguo delle labbiali


Gi abbiamo veduto come il v dileguasse inte
ramente anche in qualche dialetto toscano (p. 200)
Qui non ci accadr che di dare qualche esempio de
gli innumerevoli che potrebbero recarsi, del dileguo
delle altre labbiali prima mutate in v.
Vnz. biolco, lmb bulc bifolco, vnz. cao lmb. c da capo

(cavo), vnz, ceola, sd. ziodda cipolla, vnz. niola, nap. mila
(C. m. I. 185) nuvola, sd. annuare annuvolare, lmb. laim sco
scendere da labina ecc.

IV. Dileguo delle liquide.


Sopratutto frequente il dileguo di n finale nel

lombardo orientale:
(l) Cfr le forme ladine sajetta, snejer (negare) castier, fadier,
spias (spiche) veschia (tosc. vescia), virija (verruca) ecc. nei Saggi
ladini del prof. AscoLI p 74, 121; 146, 205 ecc. Ivi ancora sono
stupendamente analizzate le ragioni fisiologiche e tutte le minute
gradazioni di siffatte mutazioni che l'indole di questo lavoro non ci
consente che di toccare di volo.

249
buci, rasi ci m per cane, mano, boccone, ragione.

Il genovese sopprime l ed r non solo in fine,


ma anche in mezzo alle voci:

Gen. sign, rig, s (solo), toa tavola, coeu core, puia paura, caa
cara, o lo, a la ecc. (1)

V. Gruppi consonantici
La medesima tendenza, cio la semplificazio
ne e l'alleggerimento delle combinazioni e degli
incontri delle consonanti, prevale nella lingua scritta
e nei numerosi dialetti. Se non che, come gi notam
mo per i dialetti toscani, vedesi come per ciascun
gruppo di consonanti la tendenza all'alleggerimento
riesca ora ad una diversa modificazione

ed ora ad

ulteriori e pi profondi mutamenti dei suoni. Ab


biamo quindi secondo la distinzione gi fatta nelle
relazioni fonetiche tra i dialetti toscani e la lingua
letteraria (v. p. 136); l." Ulteriori alterazioni a cui
la favella letteraria non giunge. 2. Modificazioni
correlative della stessa voce o meglio di uno stesso
nesso consonantico. 3. Forme arcaiche, ossia

con

servazione dei gruppi latini. Diamo qui sotto alcuni


(l) ln italiano no da non, e cosi nome, seme, stame da momen,

semen ecc. Per la caduta di l finale, oltre insieme da insemel, par


mi potersi citare baccano da bacchanal Del resto la caduta della li
quida l pi che mai comune nel portoghese e cosi dor (dolor) pe

go (pelago) cor (color) voar (volare) e il dileguo di n finale pi


frequente nel provenzale: chanso, ma, te da chanson, man, ten ecc

Diez Gram. I 205, 219.

250

esempii della legge esposta per alcuni dei principali


nessi consonantici.

ct risolvesi per assimilazione in tt in italiano; invece il


piemontese procedendo per altra via, indebolisce ct in jt, e cos
da factum, noctem l'ital. fatto e notte, e il piem. fait, noeit.
ll lombardo procede oltre e da faito noite giunge a facc nocc'
per fatio, notie (1)
l +- cons. comunemente rimane, ma pur talvolta risolvesi
colla caduta di l (sodo, mota ecc. p. 121), mentre gi in to

scano abbiamo l'alleggerimento di l in i od anche la caduta di


l dove l'italiano serba il nesso intatto (tosc. aittro, ed atro per
altro), e la pi parte dei dialetti ammettono per regola o l'al

leggerimento per mutazione di l in u o la caduta di l. Quindi:


sic. fauci, caudu, ceusu, nap. caucio, autro ed aizare ed aoz
(C. mer. I. I17) per alzare; e per altra via: sic. pusu polso,

vutture avoltoio, nap. cotriello coltre, doce dolce, puzino pol


sino, sic, cuteddu coltello, cota raccolta ecc. (2)

Abbiamo in fine assimilazioni di gruppi costan


temente intatti in italiano e quasi sempre anche in
toscano cio di nd, mb, rl, rn, la.
nd = nn Nap. aonnare abbondare, pennoliare pendolare,
annivinare indovinare, sic. cannila candela, pennula pendolo d'u
Va eGC,

(l) Pi propriamente da fajtjo, nojtje per propagginazione pala


tale, come spieg l'Ascoli, Saggi lad 82. La forma piemontese
risponde alla provenzale, alla francese ed alla portoghese (prov. fait
noit, fr. fait n ant) e la lombarda alla spagnuola (hecho, noche). DIEz
Grmm. I. 258.

(2) Per le analoghe forme ladine, vedi Ascoli, S. l. 12, 123,


l40, 197 ecc. Cosi in prov. autre caussar, dous, in fr. autre, chaus
ser, douce. Nello spagnuolo gi o da au, otro, hoz falce (grig. fosch)

ecc. Cosi falda corrisponde al grig. foda Ascoli S. L. 123.

25l

mb = mm Sic. Chiummu piombo, cummattiri combattere,


rom. tammuro tamburo; (1) e qui anche mv (poi mb) = mm,

in sic. cummentu convento, nap. mmersare invertire (inversare)


mmertecare da inverticare (rom. vortic) ecc.
rl = rr Sic. merru merlo, parrari parlare, sfirriari
(furlari) frullare, sd. orru orlo ecc.

rn= rr Sardo carre carne, corru corno, cerriri cernire,


e CC.

ld = ll Sannit. callo caldo scallarsi scaldarsi ecc. (2)


tr che rimane o si risolve in dr in italiano, procede oltre
sopprimendo o assimilando il t in molti dialetti. Padre e
madre da patre e matre in vnz. pare e mare; anatra in
vnz. anara, pietra piera ecc.

gr ridotto in rsoio in mezzo di parola (nero da negro)


perde nei dialetti meridionali il ganche in principio, e cos nap.
rattare, rotta, razia ecc. per grattare, grotta, grazia ecc.
str che intatto in italiano si risolve in st ed anche in ss

o s' in molti dialetti, specialmente meridionali. Cos nap. ca


nisto, orchesta, pollasto, finesta ecc. ed anche mossare per mo
strare, vossa da vostra, e fenescia da finestra (3)
ALTERAZIONE PALATALE Anche nelle

altera

zioni palatali troveremo che la comune tendenza a


ravvicinare ed a fondere colla palatina le consonanti
che precedono ha dato luogo ora a pi profondi
(1) Esempi di nd = nn e di mb = mm anche nei parlari ladini
come plumn piombo monar mondare ecc in Ascoli S. L. 69, 70,
346, ecc.

(2, Cos grig. calira da caldura Ascoli S. l. 57.


(3) Notevole come i riflessi di nostro, vostro, mostrare non solo

in toscano (p. 20 l) ma ancora in molti dialetti ladini presentino


la stessa assimilazione, e cosi abbiamo niess e viess, mussar o mos

sar ecc. Ascoli, S. l 64, 258, 323.

252

mutamenti

ed ora a diverso processo di alterazione.


Ecco alcuni esempi.

Pj, bj, fj convertonsi in molti dialetti del mezzogiorno


e pi specialmente nei dialetti ibero-italici in chi, ghj e quin
di anche in ci, gj, scj, alterazioni piuttosto rare in toscano e
rarissime nell' italiano Quindi: Nap. chiano sic. chianu da

piano, nap. cocchia (coppia di pani), sic, cucchia; sic. picchiari


pigolare, nap. picciare da pipiare, nap. scioccare fioccare, sic.
ciaccola fiaccola, nap, chiagnere piangere, genov. cianze; nap.
chiu pi, genov. ci: sic. chinu pieno, sd. cenu; sic. gaggia gab

bia, nap. sciore, calab. ghiuri, sic. ciuri fiore; nap. seccia sep
pi, accio apio, saccio da sapio (1) ecc.
Altro processo quando la palatina espelle la labbiale de
bole come in nap. gajola (caviola) gabbia, jastemma per bia

stemma, jeta (bjeta) bietola, jato beato, janco o iianco bianco


(C. m. L. 176) ecc.

Tj, dj si assibilano comunemente, nei dialetti del cen


tro e del sud in 2 e 2 (0 ccj e ggj), come in italiano, e nei
dialetti nordici semplicemente in se s'. Cos da una parte pozzo
piazza, mezzo dall'altra poso, piasa, meso, ecc. (2)

Processo correlativo quando la palatina espelle la debole


dentale, come nel nap. muojo (modium), puojo (podium), sic.

jornu (diurnum), sd raiu (radius), oi sannit. uojji (hodie),


(l) Cosi fr. ache, sache, seche ecc. DIEz, Grmm I, 186; e nei
dialetti di Valtellina: ciazza piazza cii pi, ciangg piangere. Ascoli
S. L. 271.
Gi abbiamo notato altrove come le voci portoghesi chao piano,
chato piatto, chover piovere ecc. abbiamo singolare consonanza colle
equivalenti genovesi

(2) Ti in spg. reso con a, in portogh. ora con 2 cra con c,


ma nel provenzale e nel francese prevale, come nei dialetti nordici,

c ed s. Cosi prov. plassa, obediensa, fr. chanson, facon ecc. DIEz,


Grmm. I. 184.

253

sd. oriu (hordeus) ecc. mentre l'italiano ha moggio poggio,


giorno, raggio, oggi, oreo ecc. (1)
Rj con processo correlativo si risolto in italiano col dile

gno di ri mentre nei dialetti specialmente nei meridionali, si


dileguata la palatina.
Quindi all'ital. gennaio, marinaio, calzolaio, cucchiaio,
stuoia, colatoio, lavatoio ecc. corrispondono map. gennaro, ma
renaro, rom. calzolaro, cucchiaro, stora, lmb. culadiir, lava
diir ecc. (2).
Sj pi comunemente semplificata in snei dialetti, dove
in italiano abbiamo il passaggio in sci indi in ci e gj. Nap.
presone, pesone accanto all'It. prigione, pigione da prensio e
pensio; Vnz. camisa, baso, saresa corrispondono a camicia, ba

cio, ciriegia in italiano, da camisia, basium, cerasia; map. caso,


lmb. casr corrisp. a cacio (cio cascio da cui cascina) e caciaio
da caseus ecc. (3).

nj Si alternano in Italiano e nei dialetti le risoluzioni


in n' (cio gn) ng', n2, ngh e l'elisione della palatina. Cos
da manjare (cio manijare da manicare) l'it. mangiare, e il
rom. nap. lmb. magn; e al contrario da ranjo ( aranea) l'it.
ragno e il nap. rangio (Cant. m. I, 105) da venio it. vengo, e
comunemente nei dialetti vegno; ma da spona (spongia), it.
spugna, nap. Sponza, lmb. Spunga.
l) Cfr. spg. pgyro yo, fr. appuyer ecc. DIEz, Gr. l. 185.
(2) Del resto erio anche in italiano ero non eo, come in mi
mistero, impero ecc. e cos fiera da feria.
Altra forma correlativa quando nei riflessi del suffisso arius
i dialetti procedono per metatesi della palatina ad airo poi ero in
voci per le quali l'italiano si attenuto alla risoluzione in ago Co
s lmb. furnr, sulr, carbumr sono forme parallele di fornaio, solaio'
carbonaio.

Diverso processo quello di j in ra nel sardo, come in ben


marzu, hintorzu (cinctorium) ecc. Cfr. fr. cierge da cereus.
(3) Per anche in italiano chiesa, trsone da ecclesia, tonsio ecc.

254

Ma i dialetti procedono all'intacco palatale dove l'italiano


vi si sottrae, come rom. calugna, comugnone per calunnia, co

munione; o dove l'italiano elimina la palatina come sardo gua


ungiu o deunzu da jejunium, che in ital. digiuno.
Qui da ricordare il gruppo nghj da ngl che i dialetti

alterano in ng', come lomb. cingia, vnz. cengial (cing'la e sin


g'laris) che in ital. suonano cigna e cignale ovvero cinghia e
cinghiale (1).
lj Dileguo della palatina tanto in italiano (vangelo da
evangelium) che in Sardo (fillu, cilla per filius, cilia).
Ma la risoluzione regolare dell'italiano in li (cio gli ),
come in aglio, paglia, oglio ecc. e i dialetti passano ad ulteriori
alterazioni, cio di li in jj, come rom. pij, mejjo, fojo, vo
ijo, e dial. mer. pijjar, fijjuol, coijer (C. m. I. 3, 2. 71), donde
poi da un lato le forme pigghiare, megghio, fogghio, vogghi o
che gi abbiamo veduto essere comuni al fiorentino come a pi
dialetti meridionali; e dall'altra per assibilazione o schiacciamento
-

palatale il Vnz. agio aglio, bogier bollire, ogio oglio, pagia


paglia, il genov. megio meglio, il sol. fizu figlio, consizu con

siglio: ovvero per dileguo della palatina: vnz. fio figlio, piem.
pi pigliare ecc. (2)

Risoluzioni correlative di li sono vnz. lg (acolger da aco


ljer) e it. spg. lg davanti ad a ed o (valga, salga da valia,
salja).
(l) Notevole l'ulteriore intacco di mj nel napoletano, il quale

fa vennegna per vendemmia, scigna per scimmia ecc.


(2) Cos nei nomi locali dell' Italia Superiore Aj da Alliatum,
Pojac da Poliacum; quindi anche Aviano da Avillianum, Camiano da
Camillianum, Pediano da Petilliamun ecc. per le fasi illia ilia -ija
-ia. - FLECHIA Di alcune forme dei nomi locali dell'Italia Superiore

ecc. Torino, 187 l, p. g. 10.


Alle forme italiane corrispondono le provenzali, le francesi e le
portoghesi, alle romane le valacche (aju, mujere, tea tagliare) ed alle
sicule e fiorentine sotto un certo rispetto le spagnuole con j aspirato
(ceja, consejo, paja, tajar ecc.) DIEz, Gr. I. 18 l.

255

Qui sono poi da considerare i riflessi del gruppo cl ram


mollito in cli, da cui in italiano abbiamo forme in chi, ma nei
dialetti, con successivo schiacciamento palatale, in cj o gj od
anche forme colla sibilante. Cos da veclus (vet'lus) l'ital. vecchio,
accanto al lmb. Vnz. vecio, al gen. vegio, al sd. bezzu. Numero
sissime sono qui le corrispondenze tra i lontani dialetti.
Cos all'it. cucchiaio (b. l. cocliarium) corrisp. lmb. ciciar e
sd. cocciari; all'ital. cannocchiale (occhio da oc'lus) lmb. ca
nucil e sd. cannocciale; al tosc. chiappare il lmb. ciap e
cip nodo, e il sd. acciappare e giubu laccio; e similmente

lmb. ciopa e sd. gioba coppia (cio chjopa da clopa per copula);
lmb. ciuc, piem. cioch ecc. e sd. acciocci per chioccare da
klochn ecc.

Le forme arcaiche trovansi pi che in altri dialetti


nel sardo, che mantiene i nessi ct pt pl ecc. come
factu, iscriptu, planu (borm. plan) ecc.
VoCALISMO
Per

il

vocalismo

similmente

riscontransi:

l.

forme arcaiche 2. forme parallele 3. forme


di mano in mano pi alterate che le letterarie.

Le vocali sono o accentate o atone. Per le vo


cali accentate valgono in italiano queste leggi:
I." A invariata.

II. Le vocali lunghe per natura rimangono i


nalterate.

III." Le vocali brevi ampliano di regola nella


penultima sillaba, e cos i ed u in e ed o (fede, neve,
pece, croce, gola ecc.) e ed o in ie e uo (fiero, lie

re, duomo, fuoco), ma pi raramente nella terz'ultima

256

IV. Fra le vocali in posizione ampliano di re


gola le primitive (i ed u), ma sono costantemente
invariate le secondarie (e ed o) e cos cresta, cre
spo, dolce, rosso, ma vento, dente, morto, osso ecc.
Nei dialetti abbiamo: I. forme arcaiche, qnali sarebbero
quelle del siciliano e del sardo che evitano il dittongamento
(focu, tene, cori, cumbeni ecc.)

II Forme parallele nelle quali la stessa legge, ossia la


tendenza all'ampliamento della vocale breve accentata si ma
nifestata in diversa maniera. Cos p. e. o breve divenuto ue
nel leccese (mueru, fuecu, C. mer. I. 93, 165 ecc.), ma eu nel
peligno (beuno, feuco, leuco, per buono, fuoco, luogo) (1), e
in lombardo (figh, logh, cr ecc.)

III. Pi estese applicazioni della stessa legge; cio:


a) ampliata la vocale in posizione dove l'italiano l'ha mante
nuta intatta (lengua, giogne per lingua, giugne).
b) ampliate le vocali lunghe; p. es. nel Barese veise, veive,
feine per viso, vive, fine, nel peligno veine, tavoleine per vino, ta
volino, e a Castellana leusce, leune, chieu per luce, luna, pi, e
cos in varii dialetti meridionali saule per sole, passiaune per
passione, rascia una per ragione ecc. (2)
c) Ampliate anche le vocali secondarie in posizione come
-

nel napoletano: niervo, pierno, uorto, uosso, nel peligno puorco,


tuorco, tuocco, nel leccese muerto, uecchi per morto, occhi ecc. (3)
(1) V. sul dialetto dei Peligni la Giovent, Anno 3.

Alle forme leccesi corrispondono le spagnuole fuego, bueno ecc


ed alle lombarde le francesi feu, lieu, coeur ecc. DIEz. Gr. 1. l 60.

(2 Vedi la Giovent a Anno 3.) e nei Canti delle prov. merid.


principalmente i canti di Castellana (I. 174, seg.)
(3) Questa alterazione trova riscontro nelle forme spagnuole e

valacche. Spg. tiempo, tierra, muerte, huerto, hueso e val. fier ferro,
pierd perdo, doarne dorme, foarte forte ecc.

Cos nei Grigioni: fier, vierm, aviert ecc. poi miert morto, iess
osso ecc, Ascoli S. L. 16, 28 ecc.

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