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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi

06/01/2011
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Spirito e acqua per la vita che sorge


Battesimo del Signore Anno A In quel tempo, Ges dalla Galilea venne al
Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni per voleva
impedirglielo, dicendo: Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e
tu vieni da me?. Ma Ges gli rispose: Lascia fare per ora, perch conviene
che adempiamo ogni giustizia. Allora egli lo lasci fare. Appena battezzato,
Ges usc dall'acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di
Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal
cielo che diceva: Questi il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio
compiacimento. Ges usc dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli, e vide lo
Spirito di Dio discendere come una colomba sopra di lui. Lo Spirito e l'acqua
sono le pi antiche presenze della Bibbia, entrano in scena gi dal secondo
versetto della Genesi: la terra era informe e deserta, ma lo Spirito di Dio
aleggiava sulle acque. Il primo movimento della vita nella Bibbia una danza
dello Spirito sulle acque. Come una colomba che cerca il suo nido, che cova la
vita che sta per nascere. Da allora sempre lo Spirito e l'acqua sono legati al
sorgere della vita. Per questo sono presenti nel Battesimo di Ges e nel nostro
Battesimo: come vita sorgente. Di quale vita si tratta? Lo spiega la Voce dal
cielo: Questi il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento.
Figlio la prima parola. Ogni figlio vive della vita del padre, non ha in s
stesso la propria sorgente, viene da un altro. Quella stessa voce scesa sul
nostro Battesimo e ci ha dichiarati figli, i quali non da carne n da volere
d'uomo ma da Dio sono stati generati (Gv 1,13). Battesimo significa
immersione: siamo stati immersi dentro la Sorgente, ma non come due cose
separate ed in fondo estranee, come il vestito e il corpo, ma per diventare
un'unica cosa, come l'acqua e la Sorgente, come il tralcio e la Vite: la nostra
carne in Dio in risposta a Dio nella nostra carne, il farsi uomo di Dio che genera
"l'indiarsi" (Dante) dell'uomo. Il nostro abitare in Dio dopo che Dio venuto ad
abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), il mio Natale dopo il suo Natale. Amato la
seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o
no, ogni giorno appena ti svegli, il tuo nome per Dio amato. Immeritato
amore, che precede ogni risposta, lucente pregiudizio di Dio su ogni creatura.
Mio compiacimento la terza parola. Termine raro e prezioso che significa: tu "
figlio " mi piaci. C' dentro una gioia, un'esultanza, una soddisfazione, c' un
Dio che trova piacere a stare con me e mi dice: tu, gioia mia! E mi domando
quale gioia posso regalare al Padre, io che l'ho ascoltato e non mi sono mosso,
che non l'ho mai raggiunto e gi perduto, e qualche volta l'ho perfino tradito.
Solo un amore immotivato spiega queste parole. Amore puro: avere un motivo
per amare non amore vero. E un giorno quando arriver davanti a Dio ed Egli
mi guarder, so che vedr un pover'uomo, nient'altro che una canna incrinata,
il fumo di uno stoppino smorto. Eppure so che ripeter proprio a me quelle tre
parole: Figlio mio, amore mio, gioia mia. Entra nell'abbraccio di tuo padre!
(Letture: Isaia 42, 1-4. 6-7; Atti 10, 34-38; Matteo 3, 13-17)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


13/01/2011
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Dio sacrifica se stesso per l'uomo


II Domenica Tempo ordinario Anno A In quel tempo, Giovanni, vedendo Ges
venire verso di lui, disse: Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del
mondo! Egli colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che
avanti a me, perch era prima di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a
battezzare nell'acqua, perch egli fosse manifestato a Israele. Giovanni
testimoni dicendo: Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba
dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha
inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e
rimanere lo Spirito, lui che battezza nello Spirito Santo". E io ho visto e ho
testimoniato che questi il Figlio di Dio. Ecco l'agnello di Dio che toglie il
peccato del mondo. Ecco l'agnello, ecco il piccolo animale sacrificato, il sangue
sparso, la vittima innocente. Ma di che cosa vittima Ges? Forse dell'ira di
Dio per i nostri peccati, che si placa solo con il sangue dei sacrifici? Della
giustizia di Dio che come risarcimento esige la morte dell'unico innocente? No,
Dio aveva gi detto per bocca di Isaia: sono stanco dei tuoi sacrifici senza
numero. Io non bevo il sangue dei tuoi agnelli, io non mangio la loro carne (cf.
Isaia 1, 11). Appare invece il capovolgimento totale portato da Ges: in tutte le
religioni l'uomo sacrifica qualcosa per Dio, ora Dio che sacrifica se stesso per
l'uomo. Dio non esige la vita del peccatore, d la sua vita anche a coloro che
gliela tolgono. E dal suo costato aperto sulla croce non esce vendetta o rabbia,
ma sangue e acqua, sangue d'amore, acqua di vita, la capacit di amare
sempre e comunque. Di che cosa vittima allora l'Agnello di Dio? Ges
vittima d'amore. Scrive Origene: Dio prima ha sofferto, poi si incarnato. Ha
sofferto perch caritas est passio, la sofferenza di Dio figlia della sua
passione d'amore; ha sofferto vedendo il male che l'uomo ha e fa, sentendolo
far piaga nel suo cuore; ha sofferto per amore. Ges vittima della violenza.
Ha sfidato e smascherato la violenza, padrona e signora della terra, con
l'amore. E la violenza non ha potuto sopportare l'unico uomo che ne era
totalmente libero. E ha convocato i suoi adepti e ha ucciso l'agnello, il mite,
l'uomo della tenerezza. Ges l'ultima vittima della violenza, perch non ci
siano pi vittime. Doveva essere l'ultimo ucciso, perch nessuno fosse pi
ucciso. Giovanni diceva parole folgoranti: Ecco la morte di Dio perch non ci
sia pi morte, e la nostra mente pu solo affacciarsi ai bordi di questo abisso.
Ecco colui che toglie il peccato; non un verbo al futuro, nell'attesa; non al
passato, come un fatto concluso, ma al presente: ecco colui che
instancabilmente continua a togliere, a raschiare via il mio peccato di adesso.
E come? Con il castigo? No, con il bene. Per vincere la notte incomincia a
soffiare la luce del giorno, per vincere la steppa sterile semina milioni di semi,

per disarmare la vendetta porge l'altra guancia, per vincere la zizzania del
campo si prende cura del buon grano. Noi siamo inviati per essere breccia di
questo amore, braccia aperte donate da Dio al mondo, piccolo segno che ogni
creatura sotto il sole amata teneramente dal nostro Dio, agnello mite e forte
che dona se stesso. (Letture: Isaia 49, 3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1, 1-3;
Giovanni 1, 29-34)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


20/01/2011
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Si converte l'uomo che scopre di essere amato da Dio


III domenica Tempo ordinario Anno A Quando Ges seppe che Giovanni era
stato arrestato, si ritir nella Galilea, (...) Da allora Ges cominci a predicare e
a dire: Convertitevi, perch il regno dei cieli vicino. Mentre camminava
lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea
suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro:
Venite dietro a me, vi far pescatori di uomini. Ed essi subito lasciarono le
reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di
Zebedo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro
padre, riparavano le loro reti, e li chiam. Ed essi subito lasciarono la barca e il
loro padre e lo seguirono. Ges percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle
loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di
malattie e di infermit nel popolo. La parola inaugurale di Ges, premessa a
tutto il Vangelo : convertitevi. E subito il perch della conversione: perch il
regno si fatto vicino. Ovvero: Dio si fatto vicino, vicinissimo a te, ti avvolge,
dentro di te. Allora convrtiti significa: grati verso la luce, perch la luce
gi qui. La conversione non la causa ma l'effetto della tua notte toccata
dall'allegria della luce (Maria Zambrano). Immaginavo la conversione come
un fare penitenza del passato, come una condizione imposta da Dio per il
perdono, pensavo di trovare Dio come risultato e ricompensa all'impegno. Ma
che buona notizia sarebbe un Dio che d secondo le prestazioni? Ges viene a
rivelarci che il movimento esattamente l'inverso: Lui che mi incontra, che
mi raggiunge, mi abita. Gratuitamente. Prima che io faccia qualcosa, prima che
io sia buono, Lui mi venuto vicino. Allora io cambio vita, cambio luce, cambio
il modo di intendere le cose. Scrive padre Vannucci: la verit che noi siamo
immersi in un mare d'amore e non ce ne rendiamo conto. Quando finalmente
me ne rendo conto, comincia la conversione. Cade il velo dagli occhi, come a
Paolo a Damasco. Abbandono le barche come i quattro pescatori, lascio le
piccole reti per qualcosa di ben pi grande. Ges passando vide... Due coppie
di fratelli, due barche, un lavoro? No, vede molto di pi: in Simone bar Jona
vede Kefa, Pietro, la roccia su cui fondare la sua chiesa; in Giovanni intuisce il
discepolo dalla pi folgorante definizione di Dio: Dio amore; Giacomo sar

figlio del tuono, uno che ha dentro la vibrazione e la potenza del tuono. Lo
sguardo di Ges uno sguardo creatore, una profezia. Mi guarda, e vede in me
un tesoro sepolto, nel mio inverno vede grano che matura, una generosit che
non sapevo di avere, strade nel sole. Nel suo sguardo vedo per me la luce di
orizzonti pi grandi. Venite dietro a me: vi far pescatori di uomini.
Raccoglieremo uomini per la vita. Li porteremo dalla vita sepolta alla vita nel
sole. Risponderemo alla loro fame di libert, amore, felicit. I quattro pescatori
lo seguono subito, senza sapere dove li condurr, senza neppure
domandarselo: hanno dentro ormai le strade del mondo e il cuore di Dio. Ges
camminava per la Galilea e annunciava la buona novella, camminava e
guariva la vita. La bella notizia che Dio cammina con te, senza condizioni,
per guarire ogni male, per curare le ferite che la vita ti ha inferto, e i tuoi sbagli
d'amore. Dio con te e guarisce. Dio con te, con amore: la sola cosa che
guarisce la vita. Questo il Vangelo di Ges: Dio con voi, con amore. (Letture:
Isaia 8, 23b-9, 3; Salmo 26; 1 Corinzi 1, 10-13.17; Matteo 4, 12-33)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
27/01/2011
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Felicit, parola chiave delle Beatitudini


IV domenica Tempo ordinario Anno A In quel tempo, vedendo le folle, Ges sal
sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a
parlare e insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito, perch di essi il
regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perch saranno consolati. Beati
i miti, perch avranno in eredit la terra. Beati quelli che hanno fame e sete
della giustizia, perch saranno saziati. Beati i misericordiosi, perch troveranno
misericordia. Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio. Beati gli operatori di
pace, perch saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia,
perch di essi il regno dei cieli. (...) Le nove Beatitudini sono il cuore del
Vangelo; al cuore del Vangelo c' per nove volte la parola felicit, c' un Dio
che si prende cura della gioia dell'uomo, tracciandogli i sentieri. Come al solito,
inattesi, controcorrente, e restiamo senza fiato, di fronte alla tenerezza e allo
splendore di queste parole. Sono la nostalgia prepotente di un tutt'altro modo
di essere uomini, il sogno di un mondo fatto di pace, di sincerit, di giustizia, di
cuori puri. Queste nove parole sono la bella notizia, l'annuncio gioioso che Dio
regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicit di
qualcuno il Padre si fa carico della sua felicit. Le beatitudini sono il pi grande
atto di speranza del cristiano. Quando vengono proclamate sanno ancora
affascinarci, poi usciamo di chiesa e ci accorgiamo che per abitare la terra,
questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il manifesto pi difficile,
incredibile, stravolgente e contromano che l'uomo possa pensare. La prima
dice: beati voi poveri. E ci saremmo aspettati: perch ci sar un
capovolgimento, perch diventerete ricchi. No. Il progetto di Dio pi profondo
e vasto. Beati voi poveri, perch vostro il Regno, gi adesso, non nell'altra

vita! Beati, perch c' pi Dio in voi, c' pi libert, meno attaccamento all'io e
alle cose. Beati perch custodite la speranza di tutti. In questo mondo dove si
fronteggiano nazioni ricche fino allo spreco e popoli poverissimi, un esercito
silenzioso di uomini e donne preparano un futuro buono: costruiscono pace, nel
lavoro, in famiglia, nelle istituzioni; sono ostinati nel proporsi la giustizia, onesti
anche nelle piccole cose. Gli uomini delle beatitudini, ignoti al mondo, che non
andranno sui giornali, sono loro i segreti legislatori della storia. La seconda la
beatitudine pi paradossale: Beati quelli che sono nel pianto. Felicit e lacrime
mescolate insieme, forse indissolubili. Dio dalla parte di chi piange ma non
dalla parte del dolore! Un angelo misterioso annuncia a chiunque piange: il
Signore con te. Dio non ama il dolore, con te nel riflesso pi profondo delle
tue lacrime per moltiplicare il coraggio, per fasciare il cuore ferito, nella
tempesta al tuo fianco, forza della tua forza. La parola chiave delle
beatitudini felicit. Sant'Agostino, che scrive un opera intera sulla vita beata,
scrive: abbiamo disputato sulla felicit e non conosco valore che
maggiormente si possa ritenere dono di Dio. Dio non solo amore, non solo
misericordia, Dio anche felicit. Felicit uno dei nomi di Dio. (Letture:
Sofonia 2, 3; 3, 12-13; Salmo 145; 1 Corinzi 1, 26-31; Matteo 5, 1-12a)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


03/02/2011
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Il sale e la luce: radici di vero futuro


V Domenica del Tempo Ordinario Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi
discepoli: Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che
cosa lo si render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e
calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non pu restare nascosta
una citt che sta sopra un monte, n si accende una lampada per metterla
sotto il moggio, ma sul candelabro, e cos fa luce a tutti quelli che sono nella
casa. Cos risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perch vedano le vostre
opere buone e rendano gloria al Padre vostro che nei cieli. Dio luce: una
delle pi belle definizioni di Dio (1 Giovanni 1,5). Ma il Vangelo oggi rilancia:
anche voi siete luce. Una delle pi belle definizioni dell'uomo. E non dice: voi
dovete essere, sforzatevi di diventare, ma voi siete gi luce. La luce non un
dovere ma il frutto naturale in chi ha respirato Dio. La Parola mi assicura che in
qualche modo misterioso e grande, grande ed emozionante, noi tutti, con Dio
in cuore, siamo luce da luce, proprio come proclamiamo di Ges nella
professione di fede: Dio da Dio, luce da luce. Io non sono n luce n sale, lo so
bene, per lunga esperienza. Eppure il Vangelo parla di me a me, e dice: Non
fermarti alla superficie, al ruvido dell'argilla, cerca in profondit, verso la cella
segreta del cuore; l, al centro di te, troverai una lucerna accesa, una
manciata di sale. Per pura grazia. Non un vanto, ma una responsabilit. Voi

siete la luce, non io o tu, ma voi. Quando un io e un tu s'incontrano generando


un noi, quando due sulla terra si amano, nel noi della famiglia dove ci si vuol
bene, nella comunit accogliente, nel gruppo solidale conservato senso e
sale del vivere. Come mettere la lampada sul candelabro? Isaia suggerisce:
Spezza il tuo pane, introduci in casa lo straniero, vesti chi nudo, non
distogliere gli occhi dalla tua gente... Allora la tua luce sorger come l'aurora
(Isaia 58,10). Tutto un incalzare di azioni: non restare curvo sulle tue storie e
sulle tue sconfitte, ma occupati della citt e della tua gente, illumina altri e ti
illuminerai, guarisci altri e guarir la tua vita. Voi siete il sale, che ascende
dalla massa del mare rispondendo al luminoso appello del sole. Allo stesso
modo il discepolo ascende, rispondendo all'attrazione dell'infinita luce divina
(Vannucci). Ma poi discende sulla mensa, perch se resta chiuso in s non
serve a niente: deve sciogliersi nel cibo, deve donarsi. Il sale d sapore: Io non
ho voluto sapere nient'altro che Cristo crocifisso (1 Corinzi 2,1-5). Sapere
molto pi che conoscere: avere il sapore di Cristo. E accade quando Cristo,
come sale, disciolto dentro di me; quando, come pane, penetra in tutte le
fibre della vita e diventa mia parola, mio gesto, mio cuore. Il sale conserva.
Ges non dice voi siete il miele del mondo, un generico buonismo che rende
tutto accettabile, ma il sale, qualcosa che una forza, un istinto di vita che
penetra le scelte, si oppone al degrado delle cose, e rilancia ci che merita
futuro. (Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


10/02/2011
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Da Ges la radice della vita buona


VI Domenica Tempo Ordinario- Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi
discepoli: (...) Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non superer quella degli
scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto
agli antichi: Non ucciderai; chi avr ucciso dovr essere sottoposto al giudizio".
Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovr essere sottoposto al
giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovr essere sottoposto al sinedrio;
e chi gli dice: "Pazzo", sar destinato al fuoco della Genna. Se dunque tu
presenti la tua offerta all'altare e l ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa
contro di te, lascia l il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il
tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. (...) Avete inteso che fu detto, ma io
vi dico... Ges non annuncia una nuova morale pi esigente e impegnativa.
Queste, che sono tra le pagine pi radicali del Vangelo, sono anche le pi
umane, perch qui ritroviamo la radice della vita buona. Il discorso della
montagna vuole condurci alla radice, lungo una doppia direttrice: la linea del
cuore e la linea della persona. Il grande principio di Ges il ritorno al cuore,
che il laboratorio dove si forma ci che poi uscir fuori e prender figura di

parola, gesto, atto. necessario guarire il cuore per guarire la vita. Fu detto:
non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira, chiunque alimenta dentro di s
rabbie e rancori, gi omicida. Ges risale alla radice prima, a ci che genera
la morte o la vita. E che san Giovanni esprimer in un'affermazione colossale:
Chi non ama suo fratello omicida (1 Gv 3, 15). Cio: chi non ama uccide.
Non amare qualcuno togliergli vita; non amare un lento morire. Ma io vi
dico: non giurate affatto; il vostro dire sia s, s; no, no. Dal divieto del
giuramento, Ges arriva al divieto della menzogna. Di' la verit sempre, e non
servir pi giurare. Cos porta a compimento, sulla linea del cuore, le
conseguenze gi implicite nella legge antica. E poi la linea della persona: Se tu
guardi una donna per desiderarla sei gi adultero... Non dice: se tu, uomo,
desideri una donna; se tu, donna, desideri un uomo. Il desiderio un servitore
indocile, ma importante. Dice: Chi guarda per desiderare, e vuol dire: se tu
guardi solo per il tuo desiderio, se guardi il suo corpo per il tuo piacere, allora
tu pecchi contro la sua persona. Tu allora sei un adultero, nel senso originario
di adulterare: tu falsifichi, tu inquini, tu impoverisci la persona. Perch riduci a
oggetto per te, a corpo usa e getta la persona, che invece abisso, oceano,
cielo, angelo, profondit, vertigine. Pecchi non tanto contro la legge, ma contro
la profondit e la dignit della persona, che icona di Dio. Perch la legge
sempre rivelazione dei comportamenti che fanno crescere l'uomo in umanit, o
che ne diminuiscono l'umanit e la grandezza, che come dire rivelazione di
ci che rende felice l'uomo. un unico salto di qualit quello che Ges
propone, la svolta fondamentale: passare dalla legge alla persona, dall'esterno
all'interno, dalla religione del fare a quella dell'essere. Il ritorno al cuore, l
dove nascono i grandi perch delle azioni. Allora il vangelo facile,
umanissimo, anche quando dice parole come queste, che danno le vertigini.
(Letture: Siracide 15,16-21; Salmo 118; 1 Corinzi; Matteo 5,17-37)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
17/02/2011
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Un cuore che sa amare i nemici


VII Domenica Tempo Ordinario-Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi
discepoli: Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente".
Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti d uno schiaffo sulla
guancia destra, tu prgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e
toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. (...) Avete inteso che fu detto:
"Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri
nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinch siate figli del Padre
vostro che nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti. (...) Avete inteso che fu detto: occhio per
occhio... Ma io vi dico se uno ti d uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli
anche l'altra: sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da
difendere, e l'altro capir l'assurdo di esserti nemico. Tu porgi l'altra guancia;

non la passivit morbosa di chi ha paura, ma una iniziativa decisa: riallaccia tu


la relazione, fa' tu il primo passo, perdonando, ricominciando, rattoppando
coraggiosamente il tessuto della vita, continuamente lacerato. Il cristianesimo
non una religione di servi, che si mortificano e si umiliano e non reagiscono;
non la morale dei deboli che nega la gioia di vivere (Nietzsche). Ma la
religione dei re, degli uomini totalmente liberi, padroni delle proprie scelte
anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di
inventare reazioni nuove, attraverso la creativit dell'amore, che fa saltare i
piani, non ripaga con la stessa moneta, scombina le regole ma poi rende felici.
Amerai il prossimo e odierai il tuo nemico, Ma io vi dico: amate i vostri nemici.
Ges intende eliminare il concetto stesso di nemico. Violenza produce violenza
come un catena infinita. Lui sceglie di spezzarla. Mi chiede di non replicare su
altri ci che ho subito. Ed cos che mi libero. Tutto il Vangelo qui: amatevi
altrimenti vi distruggerete. Cosa possono significare allora gli imperativi di
Ges: amate, pregate, porgete, prestate? Non sono ordini, non si ama infatti
per decreto, ma porte spalancate verso delle possibilit, offerta di un potere,
trasmissione da Dio all'uomo di una forza divina. E tutto questo perch siate
figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Da
Padre a figli: c' come una trasmissione di eredit, un'eredit di
comportamenti, di affetti, di valori, di forza. Voi potete amare anche i nemici,
potete fare l'impossibile, io ve ne dar la capacit se lo desiderate, se me lo
chiedete, e proseguite sulla strada del cambiamento interiore, della
conformazione al Padre. Allora capisco: io posso (potr) amare come Dio! Ci
sar dato un giorno il cuore stesso di Dio. Ogni volta che noi chiediamo al
Signore: Donaci un cuore nuovo , noi stiamo invocando di poter avere un
giorno il cuore di Dio, di conformarci agli stessi sentimenti del cuore di Dio.
straordinario, verr il giorno in cui il nostro cuore che ha fatto tanta fatica a
imparare l'amore, sar il cuore di Dio e allora saremo capaci di un amore che
rimane in eterno, che sar la nostra anima, per sempre, e l'anima del mondo.
(Letture: Levitico 19,1-2.17-18; Salmo 102: 1 Corinzi 3,16-23; Matteo 5,38-48)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


24/02/2011
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Cercate il Regno, trovate la libert


VIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A In quel tempo Ges disse ai suoi
discepoli: [...] Non potete servire Dio e la ricchezza. Perci io vi dico: non
preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, n per il
vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse pi del cibo e il
corpo pi del vestito? [...] Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa
mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". [...]. Il Padre vostro
celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di

Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. [...].
Ges rilancia la sua sfida per un altro modo di essere uomini: non
preoccupatevi delle cose, c' dell'altro che vale di pi. la sfida contenuta
nella preghiera nel Padre Nostro: dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ti
chiediamo solo il pane sufficiente per oggi, il pane che basta giorno per giorno,
come la manna nel deserto, non l'affanno del di pi. la sfida del monaco:
conosco monasteri che vivono cos, come uccelli e come gigli,
quotidianamente dipendenti dal cielo. Ma questa sfida anche per tutti noi,
pieni di cose e spaventati dal futuro. La vita non vale forse pi del cibo e il
corpo pi del vestito? Occuparsi meno delle cose e di pi della vita vera, che
fatta di relazioni, consapevolezza, libert, amore. Vuoi volare alto, come un
uccello, vuoi fiorire nella vita come un giglio? Allora devi deporre dei pesi.
Madre Teresa di Calcutta soleva dire: tutto ci che non serve pesa! Meno cose
e pi cuore! Non una rinuncia, ma una liberazione. Dalle cose, dalla 'roba'
diventata padrona dei pensieri. Guardate gli uccelli del cielo... Osservate i gigli
del campo... se l'uccello avesse paura perch domani pu arrivare il falco o il
cacciatore, non canterebbe pi, non sarebbe pi una nota di libert
nell'azzurro. Se il giglio temesse la tempesta che domani pu arrivare, o
ricordasse il temporale di ieri, non fiorirebbe pi. Ges osserva la vita, e la vita
gli parla di fiducia e di Dio. E a noi dice: beati i puri di cuore perch vedranno
Dio, vedranno in tutto ci che esiste un punto verginale e fiducioso che la
presenza di Dio, vi scopriranno un altare dove si celebra la comunione tra
visibile e invisibile. Allora: non affannatevi, quell'affanno che toglie il respiro,
per cui non esistono feste o domeniche, non c' tempo per chi si ama, per
contemplare un fiore, una musica, la primavera. Cercate prima di tutto il Regno
di Dio e queste cose vi saranno date in pi. Non moralista il Vangelo, non si
oppone al desiderio di cibo e vestito, dicendo: sbagliato, peccato, non
serve. Anzi, tutto questo lo avrete, ma in tutt'altra luce. Il cristianesimo non
una morale ma una sconvolgente liberazione (Vannucci). Libera dai piccoli
desideri, per desiderare di pi e meglio, per cercare ci che fa volare, ci che
fa fiorire e ti mette in armonia con tutto ci che vive. Insegna un rapporto
fiducioso e libero con se stessi, con il corpo, con il denaro, con gli altri, con le
pi piccole creature e con Dio. Cercate il regno, occupatevi della vita interiore,
delle relazioni, del cuore; cercate pace per voi e per gli altri, giustizia per voi e
per gli altri, amore per voi e per gli altri. Meno cose e pi cuore! E troverete
libert e volo. (Letture: Isaia 49,14-15; Salmo 61; 1 Corinzi 4,1-5; Matteo 6,2434)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


03/03/2011
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Assomigliare a Ges nel quotidiano


IX Domenica del Tempo Ordinario " Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi
discepoli: Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrer nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volont del Padre mio che nei cieli. In quel giorno
molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome?
E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demni? E nel tuo nome non
abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarer loro: "Non vi ho
mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquit!". Perci
chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sar simile a un
uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia [...]. La gente ascoltava
Ges e capiva. Capiva che per entrare nel suo sogno (il regno dei cieli il
mondo come lui lo sogna) non servivano lunghe preghiere, n le formule
esatte dei dottori in teologia: non chi dice Signore, Signore. Che bastava
percorrere una strada pi libera e viva: fare la volont del Padre. Volont di Dio
la mia impotenza avvolta dalla sua onnipotenza, che nessun uomo sia solo,
che ognuno fiorisca a immagine di Dio, che abbia compagni d'amicizia e di
festa, che sia creativo, libero e ostinato nell'amore. Signore, abbiamo profetato
nel tuo nome, scacciato demni, compiuto prodigi. Ma io dir loro: Non vi ho
mai conosciuti. Voi non potete entrare. Non entrano quelli che si vantano dei
loro meriti, che si giustificano da s, cos indaffarati nel fare, da aver
dimenticato l'essenziale. L'essenziale dentro queste parole: non vi conosco.
Dio cerca in me ci che ben conosce: un riflesso almeno del suo amore.
Conoscere nella Bibbia un verbo carico di potenza e di intimit, vuol dire
incontrare, toccare, stringere, evoca l'incontro dell'uomo e della donna quando
si amano e generano vita. Non vi conosco: avete proclamato Cristo, avete
venerato Dio, ma rimasto esterno a voi, non c' stato quel combaciare
profondo, quello stringiti in me, stringimi in te (Testori), l'osmosi, lo scambio
di vita. Quanta gente straordinaria lasciata fuori: profeti, esorcisti,
taumaturghi! Ma il Vangelo non chiede cose eccezionali. Noi diciamo: beati i
profeti. Lui ha detto: beati i poveri. Noi: beati quelli che fanno miracoli; Lui:
beati quelli che fanno misericordia. Non nello straordinario, ma nel quotidiano
noi assomigliamo a Cristo, in un bicchiere d'acqua fresca offerto, in un pezzo di
strada fatto con chi ha paura, in una lacrima asciugata. In gesti come quelli di
Ges: quante volte si ferma, solo perch qualcuno lo chiama. Si ferma e si gira,
non lo vediamo mai progettare grandi opere, ma ascoltare, imporre le mani,
toccare occhi, orecchi, labbra, spezzare il pane, entrare nelle case, sedere a
mensa. Vale per noi tutti: meno opere e pi gesti. E poi c' il terzo momento
del Vangelo: la parabola delle due case. Una fondata sulla roccia, l'altra sulla
sabbia. Chi non costruisce le sue relazioni sull'amore, costruisce sul nulla. Chi
edifica sull'amore non avr una vita pi facile, una famiglia senza problemi:
strariperanno fiumi, soffieranno venti per gli uni e per gli altri. Non una vita
semplificata, ma una esistenza nella consistenza, con pi gioia, con radici
salde, che combaciano con la roccia, una debolezza ma avvolta d'onnipotenza.
(Letture: Deuteronomio 11,18.26-28.32; Salmo 30; Romani 3,21-25a.28;
Matteo 7,21-27)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi

10/03/2011
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Le tentazioni di Cristo sono anche le nostre


I Domenica di Quaresima Anno A In quel tempo, Ges fu condotto dallo Spirito
nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta
giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicin e gli
disse: Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane. Ma egli
rispose: Sta scritto: "Non di solo pane vivr l'uomo, ma di ogni parola che
esce dalla bocca di Dio". Allora il diavolo lo port nella citt santa, lo pose sul
punto pi alto del tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, gttati gi; sta
scritto infatti: "Ai suoi angeli dar ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno
sulle loro mani perch il tuo piede non inciampi in una pietra". Ges gli
rispose: Sta scritto anche: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo".Di
nuovo il diavolo lo port sopra un monte altissimo e gli mostr tutti i regni del
mondo e la loro gloria e gli disse: Tutte queste cose io ti dar se, gettandoti ai
miei piedi, mi adorerai. Allora Ges gli rispose: Vttene, satana! Sta scritto
infatti: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto". Allora il diavolo
lo lasci, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Il racconto
delle tentazioni ci chiama al lavoro mai finito di mettere ordine nelle nostre
scelte, a scegliere come vivere Le tentazioni di Ges sono anche le nostre:
investono l'intero mondo delle relazioni quotidiane. La prima tentazione
concerne il rapporto con noi stessi e con le cose (l'illusione che i beni
riempiano la vita). La seconda una sfida aperta alla nostra relazione con Dio
(un Dio magico a nostro servizio). La terza infine riguarda la relazione con gli
altri (la fame di potere, l'amore per la forza). D che queste pietre diventino
pane! Il pane un bene, un valore indubitabile, ma Ges risponde giocando al
rialzo, offrendo pi vita: Non di solo pane vivr l'uomo. Il pane buono ma
pi buona la parola di Dio, il pane d vita ma pi vita viene dalla bocca di
Dio. Accende in noi una fame di cielo: L'uomo vive di ogni parola che esce dalla
bocca di Dio. Parola di Dio il Vangelo, ma anche l'intero creato. Se l'uomo
vive di ci che viene da Dio, io vivo della luce, del cosmo, ma anche di te:
fratello, amico, amore, che sei parola pronunciata dalla bocca di Dio per me. La
seconda tentazione una sfida aperta a Dio. Buttati e credi in un miracolo.
Quello che sembrerebbe il pi alto atto di fede " gettati con fiducia! " ne ,
invece, la caricatura, pura ricerca del proprio vantaggio. Ges ci mette in
guardia dal volere un Dio magico a nostra disposizione, dal cercare non Dio ma
i suoi benefici, non il Donatore ma i suoi doni. Non tentare il Signore: io so
che sar con me, ma come lui vorr, non come io vorrei. Forse non mi dar
tutto ci che chiedo, eppure avr tutto ci che mi serve, tutto ci di cui ho
bisogno. Nella terza tentazione il diavolo alza ancora la posta: adorami e ti
dar tutto il potere del mondo. Il diavolo fa un mercato, esattamente il
contrario di Dio, che non fa mai mercato dei suoi doni. come se dicesse:
Ges, vuoi cambiare il corso della storia con la croce? non funzioner. Il mondo
gi tutto una selva di croci. Cosa se ne fa di un crocifisso in pi? Il mondo ha
dei problemi, tu devi risolverli. Prendi il potere, occupa i posti chiave, cambia le
leggi. Cos risolverai i problemi: con rapporti di forza e d'inganno, non con
l'amore. Ed ecco angeli si avvicinarono e lo servivano. Avvicinarsi e servire,

verbi da angeli. Se in questa Quaresima ognuno di noi volesse avvicinarsi e


prendersi cura di una persona che ha bisogno, perch malata o sola o povera,
regalando un po' di tempo e un po' di cuore, allora per lei sarebbe come se si
avvicinasse un angelo, come se fiorissero angeli nel nostro deserto. (Letture:
Genesi 2,7-9;3,1-7; Salmo 50; Romani 5,12-19; Matteo 4, 1-11).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


17/03/2011
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Un Dio che fa risplendere la vita


II Domenica di Quaresima Anno A In quel tempo, Ges prese con s Pietro,
Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E
fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brill come il sole e le sue vesti
divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mos ed Elia, che
conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Ges: Signore,
bello per noi essere qui! Se vuoi, far qui tre capanne, una per te, una per
Mos e una per Elia. (....) Mentre scendevano dal monte, Ges ordin loro:
Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia
risorto dai morti. Dal deserto di pietre al monte di luce. Dalle tentazioni alla
trasfigurazione. Il cammino di Cristo quello di ogni discepolo, cammino
ascendente e liberante: dal buio delle tentazioni attraversato fino alla luce di
Dio. Cos' la luce di Dio? energia e bellezza. Per il corpo: sostiene la nostra
vita biologica. Per la mente: sapienza che fa vedere e capire. Per il cuore, che
rende capaci di amare bene. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brill
come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Come il sole, come
la luce. Quante volte nella Bibbia, nei salmi, Dio sorge glorioso come un sole: il
sole chiama alla vita, a fiorire a maturare a dare frutto. Accende la bellezza dei
colori e degli occhi. Come la pianta che cattura la luce del sole e la trasforma
in vita, cos noi, fili d'erba davanti a Dio, possiamo imbeverci, intriderci della
sua luce e tradurla in calore umano, in gioia, in sapienza. Ges ha un volto di
sole, perch ha un sole interiore, per dirci che Dio ha un cuore di luce. Ma quel
volto di sole anche il volto dell'uomo: ognuno ha dentro di s un tesoro di
luce, un sole interiore, che la nostra immagine e somiglianza con Dio. La vita
spirituale altro non che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce sepolta in
noi. Signore, Pietro prende la parola, che bello essere qui! Restiamo quass
insieme. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita: che bello! Ci
fanno capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno
stupore, da un innamoramento, da un che bello! gridato a pieno cuore.
Come Pietro sul monte: bello con te, Signore! Questo Vangelo per dirci che
la Quaresima pi che un tempo di lutto e penitenza, un girarsi verso la
bellezza e la luce. Acquisire fede significa acquisire bellezza del vivere,
acquisire che bello amare, abbracciare, dare alla luce, esplorare, lavorare,

seminare, ripartire perch la vita ha senso, va verso un esito buono, qui e


nell'eternit. San Paolo scrive a Timoteo una frase bellissima: Cristo venuto
ed ha fatto risplendere la vita. Non solo il suo volto, non solo le sue vesti sul
Tabor, non solo i nostri sogni. Ma la vita, qui, adesso, di tutti. Ha riacceso la
fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato
splendore e bellezza all'esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissime al nostro
andare di uomini e donne. Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto
risplendere la vita, per ritrovare la verit e la gioia di credere in questo Dio.
Allora tutto il creato si fa trasparente e il divino traspare nel fondo di ogni
essere (Teilhard de Chardin) e gronda di luce ogni volto di uomo (Turoldo).
(Letture: Genesi 12,1-4; Salmo 32; 2 Timoteo 1,8b-10; Matteo 17,1-9).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


24/03/2011
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Impariamo a donare come Ges


III Domenica di Quaresima Anno A In quel tempo, Ges giunse a una citt della
Samara chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe
suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe (...). Giunge una donna samaritana
ad attingere acqua. Le dice Ges: Dammi da bere. I suoi discepoli erano
andati in citt a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice:
Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna
samaritana? (...). Ges attraversa il paese dei samaritani, forestiero in mezzo
a gente d'altra tradizione e religione, e il suo agire gi messaggio: incontra,
parla e ascolta, chiede e offre, instaura un dialogo vero, quello che
reciproca fecondazione (R. Panikkar). In questo suo andare libero e fecondo
fra gli stranieri, Ges maestro di umanit. Lo con il suo abbattere barriere:
la barriera tra uomo e donna, tra la gente del luogo e i forestieri, tra religione e
religione. maestro perch fonte di nascite: " fa nascere un incontro e un
dialogo l dove sembrava impossibile, e questo a partire dalla sua povert:
Ho sete!. Ha sete della nostra sete, desiderio del nostro desiderio. Dobbiamo
imparare a dare come d Ges: non con la superiorit di chi ha tutto, ma con
l'umilt di chi sa che pu molto ricevere da ogni persona; " fa nascere una
donna nuova. Quando parla con le donne Ges va diritto al cuore, conosce il
loro linguaggio, quello del sentimento, del desiderio, della ricerca di ragioni
forti per vivere: Vai a chiamare colui che ami. Perch l'amore la porta di
Dio, ed Dio in ciascuno. Hai avuto cinque mariti. E quello di ora... Ges non
giudica la samaritana, non la umilia, anzi: hai detto bene! Non esige che si
metta in regola prima di affidarle l'acqua viva, non pretende di decidere il suo
futuro. il Messia di suprema delicatezza, di suprema umanit, che incarna il
volto bellissimo di Dio. Ges raggiunge la sete profonda di quella donna
offrendo un di pi di bellezza, di bont, di vita, di primavera: Ti dar

un'acqua che diventa sorgente che zampilla. L'acqua vita, energia di vita,
grazia che io ricevo quando mi metto in connessione con la Fonte inesauribile
della vita. Ges dona alla samaritana di ricongiungersi alla sua sorgente e di
diventare lei stessa sorgente. Un'immagine bellissima: un'acqua che tracima,
dilaga, che va, un torrente che ben pi di ci che serve alla sete. La sorgente
non possesso, fecondit. A partire da me ma non per me (M. Buber). La
samaritana abbandona la brocca, corre in citt, ferma tutti per strada,
testimonia, profetizza, contagia d'azzurro e intorno a lei nasce la prima
comunit di discepoli stranieri. La donna di Samaria capisce che non placher
la sua sete bevendo a saziet, ma placando la sete d'altri; che si illuminer
illuminando altri, che ricever gioia donando gioia. Diventare sorgente,
bellissimo progetto di vita per ciascuno: far sgorgare e diffondere speranza,
accoglienza, amore. A partire da me, ma non per me. (Letture: sodo 17, 3-7;
Salmo 94; Romani 5,1-2, 5-8; Giovanni 4, 5-42)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


31/03/2011
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Chiamati alla luce della gioia di Dio


IV Domenica di Quaresima Anno A In quel tempo, Ges passando vide un uomo
cieco dalla nascita, sput per terra, fece del fango con la saliva, spalm il
fango sugli occhi del cieco e gli disse: Va' a lavarti nella piscina di Sloe, che
significa "Inviato". Quegli and, si lav e torn che ci vedeva. Allora i vicini e
quelli che lo avevano visto prima, perch era un mendicante, dicevano: Non
lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?. Alcuni dicevano: lui;
altri dicevano: No, ma uno che gli assomiglia. Ed egli diceva: Sono io!.
Una carezza di luce sul cieco. Ges tocca e illumina gli occhi di un mendicante
che ci rappresenta tutti. Una carezza di luce che diventa carezza di libert. Chi
non vede deve appoggiarsi ad altri, a muri, a un bastone, ai genitori, a farisei.
Chi vede cammina sicuro, senza dipendere da altri, libero. Come il cieco del
Vangelo che guarito diventa forte, non ha pi paura, tiene testa ai sapienti,
bada ai fatti concreti e non alle parole. Si nutre di luce e osa. Libero. Una
carezza di libert che diventa carezza di gioia. Perch vedere godere i volti,
la bellezza, i colori. La luce un tocco di allegria che si posa sulle cose. Cos la
fede, che visione nuova delle cose, crea uno sguardo lucente che porta luce
l dove si posa: Voi siete luce nel Signore (Efesini 5,8). I farisei, quelli che
sanno tutte le regole, non provano gioia per gli occhi nuovi del cieco perch a
loro interessa la Legge e non la felicit dell' uomo: mai miracoli di sabato! Non
capiscono che Dio preferisce la felicit dei suoi figli alla fedelt alla legge, che
parla il linguaggio della gioia e per questo seduce ancora. Funzionari delle
regole e analfabeti del cuore. Mettono Dio contro l'uomo ed il peggio che
possa capitare alla nostra fede. Dicono: I poveri restino pure poveri, i

mendicanti continuino a mendicare, i ciechi si accontentino, purch si osservi il


sabato! Gloria di Dio il precetto osservato!. E invece no, gloria di Dio un
uomo che torna a vedere. E il suo lucente sguardo d lode a Dio pi di tutti i
sabati! Ed una dura lezione: i farisei mostrano che si pu essere credenti
senza essere buoni; che si pu essere uomini di Chiesa e non avere piet;
possibile "operare" in nome di Dio e andare contro Dio. Amministratori del
sacro e analfabeti del cuore. Nelle parole dei farisei il termine che ricorre pi
spesso peccato: Sappiamo che sei peccatore; sei nato tutto nei peccati;
se uno peccatore non pu fare queste cose; anche i discepoli avevano
chiesto: Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori?. Il peccato innalzato a teoria
che spiega il mondo, che interpreta l'uomo e Dio. Ges non ci sta: N lui ha
peccato, n i suoi genitori. Si allontana subito, immediatamente, con la prima
parola, da questa visione per dichiarare come essa renda ciechi su Dio e sugli
uomini. Parler del peccato solo per dire che perdonato, cancellato. Il
peccato non spiega Dio. Dio compassione, futuro, approccio ardente, mano
viva che tocca il cuore e lo apre, amore che fa nascere e ripartire la vita, che
porta luce. E il tuo cuore ti dir che tu sei fatto per la luce. (Letture: 1 Samuele
16,1b.4a.6-7.10-13a; Salmo 22; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,1-41)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


07/04/2011
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Le lacrime di Dio, fonte d'amore


V Domenica di Quaresima Anno A In quel tempo, un certo Lazzaro di Betnia, il
villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato [...]. Quando Ges arriv,
trov Lazzaro che gi da quattro giorni era nel sepolcro [...]. Marta disse a
Ges: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche
ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la conceder. Ges le
disse: Tuo fratello risorger. Nella vita degli amici di Ges irrompono la
morte e il miracolo. Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto.
Dolcemente, come si fa con chi amiamo, Marta rimprovera l'amico: va diritta al
cuore di Ges, e Ges va diritto al cuore delle cose: Tuo fratello risorger. E
Marta: so che risorger nell'ultimo giorno. Ma quel giorno cos lontano dal
mio desiderio e dal mio dolore. Marta parla al futuro: So che risorger, Ges
parla al presente: Io sono, e incide due parole tra le pi importanti del Vangelo:
Io sono la risurrezione e la vita. Come alla samaritana ancora a una donna
che Ges regala parole che sono al centro di tutta la fede: Io ci sono e sono la
vita! Sono colui che adesso, qui, fa rinascere e ripartire da tutte le cadute, gli
inverni, gli abbandoni. Notiamo la successione delle due parole Io sono la
Risurrezione e la vita. Prima viene la Risurrezione, poi la vita, e non viceversa.
Risurrezione un'esperienza che interessa prima di tutto il nostro presente e
non solo il nostro futuro. A risorgere sono chiamati i vivi, noi, prima che i morti:

a svegliarci e rialzarci da tutte le vite spente e immobili, addormentate e


inutili; a fare cose che rimangano per sempre: Da morti che eravamo ci ha fatti
rivivere con Cristo, con lui risuscitati (Efesini 2,5-6). La vita avanza di
risurrezione in risurrezione, verso l'uomo nuovo, verso la statura di Cristo,
verso la sua misura. O uomo prendi coscienza della tua dignit regale, Dio in
te... (Gregorio di Nissa), che ti trasforma, e fa la vita pi salda, amorevole,
generosa, sorridente, creativa, libera. Eterna. Che rotola armoniosa nelle mani
di Dio. Ges si commosse profondamente e scoppi in pianto. Dissero allora:
guarda come lo amava! Piange e le sue lacrime sono la sua dichiarazione
d'amore a Lazzaro e alle sorelle. Dio piange e piange per me: sono io Lazzaro,
io sono l'amico, malato e amato, che Ges non accetta gli sia strappato via.
Dalle lacrime di Dio impariamo il cuore di Dio. Il perch della nostra
risurrezione sta in questo amore fino al pianto. Risorgiamo adesso, risorgeremo
dopo la morte, perch amati. Il vero nemico della morte non la vita ma
l'amore. Forte come la morte l'amore, dice il Cantico. Ma l'amore di Dio pi
forte della morte. Se il nome di Dio amore, allora il suo nome anche
Risurrezione. Lazzaro, vieni fuori! Liberatelo e lasciatelo andare. Tre parole per
risorgere, tre ordini che risuonano per me: esci, liberati e vai. Con passo libero
e glorioso, per sentieri nel sole, in un mondo abitato ormai dalla pi alta
speranza: qualcuno pi forte della morte. (Letture: Ezechiele 37,12-14;
Salmo 129; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


14/04/2011
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Cristo muore per amore dell'uomo


Domenica delle Palme Anno A - Quanto volete darmi perch io ve lo consegni?
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, and dai capi dei
sacerdoti e disse: Quanto volete darmi perch io ve lo consegni?. E quelli gli
fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione
propizia per consegnare Ges. - Dove vuoi che prepariamo per te, perch tu
possa mangiare la Pasqua? Il primo giorno degli zzimi, i discepoli si
avvicinarono a Ges e gli dissero: Dove vuoi che prepariamo per te, perch tu
possa mangiare la Pasqua?. Ed egli rispose: Andate in citt da un tale e
ditegli: "Il Maestro dice: Il mio tempo vicino; far la Pasqua da te con i miei
discepoli" (...) In questa settimana per due volte la Chiesa si raccoglie nella
lettura della Passione di Cristo, del patire di un Dio appassionato. La lettura pi
bella e regale che si possa fare, dove tutto ruota attorno alle due cose che
toccano il nervo di ogni vita: l'amore e il dolore, la lingua universale dell'uomo.
Lo ha capito per primo, sul Calvario, non un discepolo, ma un estraneo. Alla
morte di Ges, infatti il primo atto di fede quello di un lontano, un centurione
pagano: davvero costui era figlio di Dio. Non da un sepolcro che si apre, non

dallo sfolgorio di luce, di giorni nuovi, di un sole mai visto, no, ma davanti e
dentro la tenebra del venerd, vedendolo sulla croce, sul patibolo, sul trono
dell'infamia, un verme nel vento, questo soldato esperto di morte dice: era
figlio di Dio. Morire cos rivelazione. Morire d'amore cosa da Dio. Il nostro
Dio differente. Perch salito sulla croce? Per essere con me e come me.
Perch io possa essere con lui e come lui. Essere in croce ci che Dio, nel suo
amore, deve all'uomo che in croce. L'amore conosce molti doveri, ma il primo
di questi doveri di essere insieme con l'amato, come una mamma quando il
figlio sta male... e vorrebbe prendere su di s il male del suo bambino,
ammalarsi lei per guarire suo figlio. Dio entra nella morte perch l va ogni suo
figlio. Per trascinarlo fuori, in alto, con s. La croce l'abisso dove Dio diviene
l'amante. qualcosa che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli
bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli bastato. Lo vedo
pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la
testa e riguardo la croce e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo.
Proprio me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti
amo. C'erano l molte donne che stavano ad osservare da lontano. Piccolo
gregge sgomento e coraggioso: la chiesa nasce dalla contemplazione del volto
del Dio crocifisso (C.M.Martini), la chiesa nasce in quelle donne, che hanno
verso Ges lo stesso sguardo di amore e di dolore che Dio ha sul mondo. Le
prime pietre viventi sono donne. Per diventare chiesa, dobbiamo anche noi
sostare con queste donne accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo
ancora oggi crocifisso nei suoi fratelli, disprezzato, umiliato, ricacciato indietro,
naufragato. Con santa Maria e le donne sentiamo nostra la passione di ogni
figlio dell'uomo: il mondo tutto una collina di croci. Restiamo accanto, a
portare conforto, speranza, pane, umanit, vita. Solo cos sentiremo a Pasqua
che rotola armoniosamente la nostra vita nella mano di Dio (H. Illesum).
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Matteo 26, 14-27,66).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


21/04/2011
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Pasqua il parto di un orizzonte nuovo


Pasqua del Signore Il primo giorno della settimana, Maria di Mgdala si rec al
sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta
dal sepolcro. Corse allora e and da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello
che Ges amava, e disse loro: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non
sappiamo dove l'hanno posto!. Pietro allora usc insieme all'altro discepolo e
si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo
corse pi veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chin, vide i teli
posati l, ma non entr. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed
entr nel sepolcro e osserv i teli posati l, e il sudario " che era stato sul suo

capo " non posato l con i teli, ma avvolto in un luogo a parte (...). Ci che ci fa
credere la croce. Ma ci in cui crediamo la vittoria della croce (Pascal): la
vittoria sulla morte e sulla violenza. Cristo risorto, eternamente risorgente in
me e in ogni cosa, apre l'immensa migrazione degli uomini verso la vita.
L'esistenza non scivola ineluttabilmente come su di un piano inclinato verso la
morte, ma all'incontrario si dirige instancabilmente da morte a vita. Maria di
Magdala esce di casa quando ancora notte, buio in cielo, buio nel cuore.
Notte dell'Incarnazione, in cui il Verbo si fa carne. Notte della Risurrezione in
cui la carne indossa l'eternit. Cos respira la fede, da una notte all'altra.
Pasqua ci invita a mettere il nostro respiro in sintonia con quell'immenso soffio
che unisce incessantemente l'istante e l'eterno, il visibile e l'invisibile, la nostra
povert e la ricchezza di Dio. Non ha niente tra le mani, ha soltanto la sua vita
risorta: da lei Ges aveva cacciato sette demoni, cio la totalit del male. E
una attesa ardente, come la sposa del Cantico: lungo la notte cerco l'amato del
mio cuore. Maria si ribella all'assenza di Ges: amare dire: tu non morirai!
(Gabriel Marcel). Non a caso chi si reca alla tomba in quell'alba chi ha avuto
pi forte esperienza dell'amore di Ges: le donne, Maddalena, il discepolo
amato. E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Il sepolcro
spalancato, vuoto e risplendente nel fresco dell'alba, aperto come il guscio di
un seme. E fuori primavera. Qualcosa si muove in Maria: un'ansia, un
fremito, un'urgenza che cambiano di colpo il ritmo del racconto. Corse allora"
Pu correre ora perch sta nascendo il giorno, deve correre perch il parto di
un universo nuovo, le doglie della vita. Il mondo un immenso pianto (Dio
naviga in un fiume di lacrime, scrive Turoldo) ma a Pasqua diventa un immenso
parto. Di vita, di futuro, di speranza, di nuovi orizzonti, di lacrime asciugate.
Corre da Pietro e dal discepolo amato:correvano insieme tutti e due....
Perch tutti corrono nel mattino di Pasqua? Corrono, sospinti da un cuore in
tumulto, perch l'amore ha sempre fretta, non sopporta indugi, la vita ha fretta
di rotolare via i macigni che la bloccano. Chi ama sempre in ritardo sulla
fame di abbracci. L'altro discepolo, quello che Ges amava, corse pi veloce.
Giovanni arriva per primo al sepolcro, arriva per primo a capire il significato
della risurrezione, e a credere in essa. Chi ama o amato capisce di pi,
capisce prima, capisce pi a fondo. Il discepolo amato ha intelletto d'amore
(Dante), ha l'intelligenza del cuore. Intuisce che un amore come quello di Ges
non pu essere annullato dalla morte, che tutto ci che anche noi vivremo e
faremo nell'amore non andr perduto, non sar vinto da nulla. (Atti 10, 34a.
37-43; Salmo 117; Colosssi 3, 1-4; Giovanni 20, 1-9).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


28/04/2011
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Dalle piaghe aperte, luce e misericordia

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II Domenica di Pasqua Anno A La sera di quel giorno, il primo della settimana,


mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore
dei Giudei, venne Ges, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi!. Detto
questo, mostr loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore. (...) Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Ddimo, non era con loro
quando venne Ges. Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il
Signore!. Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e
non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo
fianco, io non credo. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e
c'era con loro anche Tommaso. Venne Ges, a porte chiuse, stette in mezzo e
disse: Pace a voi!. Poi disse a Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie
mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma
credente!. Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio!. Ges gli disse:
Perch mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno
creduto! (...) Se non vedo, se non tocco, se non metto la mano non credo!
Tommaso vuole delle garanzie, ed ha ragione, perch se Ges vivo, cambia
tutto. Tommaso sperimenta la fatica di credere, come noi. Eppure in nessuna
parte del Vangelo detto che la fede senza dubbi, granitica, sia pi sicura e
affidabile della fede intrecciata alle domande (anzi la prima parola di Maria non
un s, invece una domanda... come possibile che io diventi madre? Non
esiste fede esente da domande e da dubbi. Tommaso per, pur dissentendo
dagli altri apostoli, non abbandona il gruppo, rimane e il gruppo, a sua volta,
non lo esclude. Modello per le nostre assemblee: quando i dubbi sorgono,
quando situazioni difficili o errori della comunit ti scoraggiano, non andartene,
non isolarti, non sentirti escluso, resta all'interno della comunit. Non stancarti
di porre le tue domande: qualcuno, custode della luce, ti porter la risposta.
Otto giorni dopo venne Ges... Mi conforta pensare che se trova chiuso, Ges
non se ne va; se tardo ad aprire, otto giorni dopo ancora l. Venne Ges... e
disse a Tommaso. Ges viene, non per essere acclamato dai dieci che credono,
ma per andare in cerca proprio dell'agnello smarrito, lascia i dieci al sicuro e si
dirige verso colui che dubita: Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca! A
Tommaso basta quel gesto. Colui che tende le mani verso di te, voce che non ti
giudica ma ti incoraggia e ti chiama, corpo offerto ai dubbi dei suoi amici,
Ges. Non ti puoi sbagliare! C' un foro nelle sue mani, c' un colpo di lancia
nel suo fianco, sono i segni dell'amore, che Ges non nasconde, anzi, quasi
esibisce: il foro dei chiodi, toccalo; lo squarcio nel costato, puoi entrarci con
una mano; piaghe che non ci saremmo aspettati, pensavamo che la
Risurrezione avrebbe rimarginato per sempre le ferite del venerd santo. E
invece no. L'amore ha scritto il suo racconto sul corpo di Ges con l'alfabeto
delle ferite. Indelebili ormai, proprio come l'amore. Ma dalle piaghe aperte non
sgorga pi sangue, bens luce e misericordia. E nella mano di Tommaso, che
trema, ci sono tutte le nostre mani. Tommaso passa dall'incredulit all'estasi:
Mio Signore, mio Dio. Mio come lo il respiro e, senza, non vivrei. Mio come lo
il cuore e, senza, non sarei. La vitalit di Dio mi compagna, l'avverto,
energia che sale, si dilata dentro, d appuntamenti, mette gemme di luce, mi
offre due mani piagate perch ci riposi e riprenda fiato e coraggio. E dico a me
stesso: Io appartengo a un Dio vivo, non a un Dio compianto. E questa parola
mi di dolce, fortissima compagnia. Io appartengo a un Dio vivo! (Letture: Atti
2, 42-47; Salmo 117; 1 Pietro 1, 3-9; Giovanni 20, 19-31)

riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


05/05/2011
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Emmaus, la Parola e il Pane si fanno strada


III domenica di Pasqua Anno A (...) Quando furono vicini al villaggio dove erano
diretti, egli fece come se dovesse andare pi lontano. Ma essi insistettero:
Resta con noi, perch si fa sera e il giorno ormai al tramonto. Egli entr per
rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recit la
benedizione, lo spezz e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo
riconobbero. Ma egli spar dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: Non
ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via,
quando ci spiegava le Scritture?. Partirono senza indugio e fecero ritorno a
Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i
quali dicevano: Davvero il Signore risorto ed apparso a Simone!. Ed essi
narravano ci che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto
nello spezzare il pane. Il Vangelo di Emmaus si snoda, come una grande
liturgia, in tre momenti: la liturgia della strada , della parola e del pane. La
liturgia della strada. Emmaus dista da Gerusalemme due ore di cammino, due
ore trascorse a parlare di quel sogno in cui avevano tanto sperato, un sogno
naufragato nel sangue. Camminano, benedetti dal salmo 84 dice: beato l'uomo
che ha sentieri nel cuore. Che ha il coraggio di mettersi in cammino. Anche la
fede un perpetuo camminare, perch Dio stesso una vetta mai conquistata,
e l'infinito ci attende all'angolo di ogni strada. Pasqua voce del verbo psach,
passare. Fa pasqua chi fabbrica passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, chi
apre brecce, chi inventa strade che ci portino gli uni verso gli altri e insieme
verso Dio. Ed ecco Ges si avvicin e camminava con loro. Un Dio sparpagliato
per tutte le strade, un Dio vestito di umanit (Turoldo), un Dio delle strade,
continuamente in cerca di noi. La liturgia della parola. Spiegava loro le
scritture, mostrando che il Cristo doveva patire: la sublime follia della Croce
la parola definitiva che ogni cristiano deve custodire, trasmettere, scrutare,
capire, pregare. Ges fa comprendere che la Croce non un incidente ma la
pienezza dell'amore, che cambia la comprensione di Dio e della vita. I due
camminatori scoprono una verit immensa. C' la mano di Dio posata l dove
sembra impossibile, proprio l dove sembrava assurdo: sulla croce. Cos
nascosta da sembrare assente, mentre invece sta tessendo il filo d'oro della
tela del mondo. Non dimentichiamolo: pi la mano di Dio nascosta pi
potente. La liturgia del pane. Resta con noi, perch si fa sera. Ed egli rimase
con loro. Da allora Cristo entra sempre, se soltanto lo desidero. Rimane con me
e mi trasforma, cambiandomi tre cose, il cuore, gli occhi, il cammino. La Parola
ha acceso il cuore, il pane apre gli occhi dei discepoli: Lo riconobbero allo
spezzare del pane. Il segno di riconoscimento di Ges il suo Corpo spezzato,
vita consegnata per nutrire la vita. La vita di Ges stata un continuo
appassionato consegnarsi. Fino alla croce. Infine la parola e il pane cambiano il

cammino, la direzione, il senso: Partirono senza indugio e fecero ritorno a


Gerusalemme. Ma il primo miracolo stato un altro: non ci bruciava forse il
cuore mentre per via ci spiegava il senso delle Scritture e della vita? Efrem Siro
presta a Ges queste parole: chi mangia me, mangia il fuoco! Ricevere Cristo
essere abitati da un calore, da una fiamma, dal dono intermittente, forse, ma
favoloso, del cuore acceso. (Letture: Atti 2, 14.22-33; Salmo 15; 1 Pietro 1, 1721; Luca 24, 13-35)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


12/05/2011
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Il buon pastore ci chiama per nome


IV domenica di Pasqua Anno A (...) Allora Ges disse loro di nuovo: In verit,
in verit io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti
prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono
la porta: se uno entra attraverso di me, sar salvato; entrer e uscir e trover
pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono
venuto perch abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Il buon pastore
chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Non l'anonimato del gregge, ma
nella sua bocca il mio nome proprio, il nome dell'affetto, dell'unicit,
dell'intimit, pronunciato come nessun altro sa fare. Sa che il mio nome
creatura che ha bisogno. Ad esso lui sa e vuole rispondere. E le conduce
fuori. Il nostro non un Dio dei recinti chiusi ma degli spazi aperti, pastore di
libert e di fiducia. E cammina davanti ad esse. Non un pastore di retroguardie,
ma una guida che apre cammini e inventa strade, davanti e non alle spalle.
Non un pastore che pungola, incalza, rimprovera per farsi seguire ma uno che
precede, e seduce con il suo andare, affascina con il suo esempio: pastore di
futuro. Io sono la porta, Cristo passaggio, apertura, porta spalancata che si
apre sulla terra dell'amore leale, pi forte della morte (chi entra attraverso di
me si trover in salvo); pi forte di tutte le prigioni (potr entrare e uscire),
dove si placa tutta la fame e la sete della storia (trover pascolo). E poi la
conclusione: Sono venuto perch abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Non solo la vita necessaria, non solo la vita indispensabile, non solo quel
respiro, quel minimo senza il quale la vita non vita, ma la vita esuberante,
magnifica, eccessiva, vita che dirompe gli argini e sconfina, uno scialo di vita.
Cos nella Bibbia: manna non per un giorno ma per quarant'anni nel deserto,
pane per cinquemila persone, carezza per i bambini, pelle di primavera per
dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato
la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari sui
piedi di Ges In una piccola parola sintetizzato ci che oppone Ges, il
pastore vero, a tutti gli altri, ci che rende incompatibili il pastore e il ladro. La
parola immensa e breve vita. Cuore del Vangelo. Parola indimenticabile.

Vocazione di Dio e vocazione dell'uomo. Non ci interessa un divino che non


faccia anche fiorire l'umano. Un Dio cui non corrisponda il rigoglio dell'umano
non merita che ad esso ci dedichiamo (Bonhoeffer). Pienezza dell'umano il
divino in noi, diventare figli di Dio: i quali non da sangue, non da carne, ma da
Dio sono nati (cfr. Gv 1, 13). Diventare consapevoli di ci che gi siamo, figli, e
non c' parola che abbia pi vita dentro; realizzarlo in pienezza. E questo
significa diventare anch'io pastore di vita per il piccolo, per il pur minimo
gregge (la mia famiglia, la mia comunit, gli amici, cento persone con nome e
volto) che Lui ha affidato alle mie cure. Vocazione di Cristo e dell'uomo di
essere nella vita datori di vita. (Letture: Atti 2,14.36-41; Salmo 22; 1 Pietro
2,20b-25; Giovanni 10,1-10)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


19/05/2011
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Da Ges la strada che arriva a Dio


V Domenica di Pasqua Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli:
Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in
me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto:
"Vado a prepararvi un posto"? Quando sar andato e vi avr preparato un
posto, verr di nuovo e vi prender con me, perch dove sono io siate anche
voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via. Gli disse Tommaso: Signore,
non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?. Gli disse Ges: Io
sono la via, la verit e la vita (...). Non sia turbato il vostro cuore, abbiate
fiducia. Sono le parole primarie del nostro rapporto con Dio e con la vita, quelle
che devono venirci incontro appena aperti gli occhi, ogni mattina: scacciare la
paura, avere fiducia. Avere fiducia (negli altri, nel mondo, nel futuro) atto
umano, umanissimo, vitale, che tende alla vita. Senza la fiducia non si pu
essere umani. Senza la fede in qualcuno non possibile vivere. Io vivo perch
mi fido. In questo atto umano la fede in Dio respira. Abbiate fede in me, io
sono la via la verit e la vita. Tre parole immense. Che nessuna spiegazione
pu esaurire. Io sono la via: la strada per arrivare a casa, a Dio, al cuore, agli
altri. Sono la strada: davanti non si erge un muro o uno sbarramento, ma
orizzonti aperti e una meta. Sono la strada che non si smarrisce. Shakespeare
scrive la vita una favola sciocca recitata da un idiota sulla scena, piena di
rumore e di furore, ma che non significa nulla. Con Ges la favola senza
senso diventa la storia pi ambiziosa del mondo, il sogno pi grandioso mai
sognato, la conquista di amore e libert, di bellezza e di comunione: con Dio,
con il cosmo con l'uomo. Io sono la verit: non in una dottrina, in un libro, in
una legge migliori delle altre, ma in un io sta la verit, in una vita, nella vita
di Ges, venuto a mostrarci il vero volto dell'uomo e di Dio. Il cristianesimo non
un sistema di pensiero o di riti, ma una storia e una vita (F. Mauriac). Io sono:

verit disarmata il suo muoversi libero, regale e amorevole tra le creature.


Mai arrogante. La tenerezza invece, questa sorella della verit. La verit sono
occhi e mani che ardono! (Ch. Bobin). Cos Ges: accende occhi e mani. Io
sono la vita. Che hai a che fare con me, Ges di Nazareth? La risposta una
pretesa perfino eccessiva, perfino sconcertante: io faccio vivere. Parole enormi,
davanti alle quali provo una vertigine. La mia vita si spiega con la vita di Dio.
Nella mia esistenza pi Dio equivale a pi io. Pi Vangelo entra nella mia vita
pi io sono vivo. Nel cuore, nella mente, nel corpo. E si oppone alla pulsione di
morte, alla distruttivit che nutriamo dentro di noi con le nostre paure, alla
sterilit di una vita inutile. Infine interviene Filippo: Mostraci il Padre, e ci
basta. bello che gli apostoli chiedano, che vogliano capire, come noi.
Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre. Guardi Ges, guardi come vive, come
ama, come accoglie, come muore, e capisci Dio e la vita. (Letture: Atti degli
Apostoli 6,1-7; Salmo 32; 1 Pietro 2,4-9; Giovanni 14,1-12)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


26/05/2011
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Il sogno di Ges abitare nell'uomo


VI Domenica di Pasqua Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Se
mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregher il Padre ed egli vi
dar un altro Parclito perch rimanga con voi per sempre, lo Spirito della
verit, che il mondo non pu ricevere perch non lo vede e non lo conosce. Voi
lo conoscete perch egli rimane presso di voi e sar in voi. Non vi lascer
orfani: verr da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedr pi; voi invece mi
vedrete, perch io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel
Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li
osserva, questi colui che mi ama. Chi ama me sar amato dal Padre mio e
anch'io lo amer e mi manifester a lui. Se mi amate osserverete i miei
comandamenti. Nessuna minaccia, nessuna costrizione, puoi aderire e puoi
rifiutarti in totale libert: Ges, uomo libero, parola liberante. Se mi amate
osserverete... Ges non impone: Dovete osservare. Non si tratta di una
ingiunzione, ma di una constatazione: quando ami accadono cose, lo sappiamo
per esperienza: tutte le azioni si caricano di gioiosa forza, di calore nuovo, di
intensit inattesa. Lavori con slancio, con pienezza, con facilit, come il fiorire
di un fiore spontaneo. Osserverete i comandamenti miei. La costruzione della
frase pone l'accento su miei. E miei non tanto perch dettati da me, ma perch
da me vissuti, perch mia vita. Non si tratta di osservare i 10 comandamenti,
ma la sua vita! Se mi ami, osservi la mia vita. Se mi ami, diventi come me!
Amare trasforma, uno diventa ci che ama, le passioni modificano la vita. Se
ami Cristo, lo prendi come misura alta del vivere, per acquisire quel suo sapore

di libert, di mitezza, di pace, di nemici perdonati, di tavole imbandite, di


piccoli abbracciati, di relazioni buone che sono la bellezza del vivere. Per sette
volte nei sette versetti di cui composto il brano, Ges ribadisce un concetto,
anzi un sogno: unirsi a me, abitare in me. Lo fa adoperando parole che dicono
unione, compagnia, incontro, in una specie di suadente monotonia: sar con
voi, verr presso di voi, in voi, a voi, voi in me io in voi. Uno diventa ci che lo
abita! Ges cerca spazi, spazi nel cuore, spazi di relazione. Cerca amore. E il
Vangelo racconta la passione di unirsi di Ges a me usando una parola di due
sole lettere in: io nel Padre, voi in me, io in voi. Dentro, immersi, uniti, intimi.
Tralcio unito alla madre vite, goccia nella sorgente, raggio nel sole, scintilla nel
grande braciere della vita, respiro nel suo vento. Ges ribadisce che l'amore
suo passione di unirsi a me. E questo mi conforta: che io sia amato dipende
da Lui, non da me; l'uomo pu anche dire di no a Dio, ma Dio non pu dire di
no all'uomo. Tu puoi negarlo, lui non potr mai rinnegarti. Infatti: non vi lascer
orfani. Non lo siete ora e non lo sarete mai, mai orfani, mai separati. La
presenza di Cristo in me non da conquistare, non da raggiungere, non
lontana. gi data, dentro, indissolubile, fontana che non verr mai meno.
E infine l'obiettivo di Ges: Io vivo e voi vivrete: far vivere la vocazione di
Dio, Ges venuto come intenzione di bene, come donatore di vita in
abbondanza (Gv 10,10). La sua anche la nostra missione: essere tutti nella
vita datori di vita. (Letture: Atti 8,5-8.14-17; Salmo 65; 1 Pietro 3,15-18;
Giovanni 14, 15-21).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


02/06/2011
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Ascensione, festa della fiducia


Ascensione del Signore Anno A In quel tempo, gli undici discepoli andarono in
Galilea, sul monte che Ges aveva loro indicato. Quando lo videro, si
prostrarono. Essi per dubitarono. Ges si avvicin e disse loro: A me stato
dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i
popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro a osservare tutto ci che vi ho comandato. Ed ecco, io sono
con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Il termine forza lega insieme,
come un filo rosso, le tre letture: Avrete forza dallo Spirito Santo (prima
lettura); Possiate cogliere l'efficacia della sua forza (seconda lettura); Mi
stato dato ogni potere in cielo e in terra (Vangelo). Forza per vivere, energia
per andare e ancora andare, potenza per nuove nascite: la mia vita dipende da
una fonte che non viene mai meno; la mia esistenza attraversata da una
forza pi grande di me, che non si esaurir mai e che fa la vita pi forte delle
sue ferite. il flusso di vita di Cristo, che viene come forza ascensionale verso
pi luminosa vita, che mi fa crescere a pi libert, a pi consapevolezza, a pi

amore, fonte di nuove nascite per altri. L'Ascensione una festa difficile: come
si pu far festa per uno che se ne va? Il Signore non andato in una zona
lontana del cosmo, ma nel profondo, non oltre le nubi ma oltre le forme: se
prima era insieme con i discepoli, ora sar dentro di loro. Sar con voi tutti i
giorni, fino alla fine del tempo. Il mio cristianesimo la certezza forte e
inebriante che in tutti i giorni, in tutte le cose Cristo presente, forza di
ascensione del cosmo. Ascensione non un percorso cosmico geografico ma
la navigazione spaziale del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all'amore
che abbraccia l'universo (Benedetto XVI). Ges lascia sulla terra il quasi niente:
un gruppetto di uomini impauriti e confusi, che dubitano ancora, sottolinea
Matteo; un piccolo nucleo di donne coraggiose e fedeli. E a loro che dubitano
ancora, a noi, alle nostre paure e infedelt, affida il mondo. Li spinge a pensare
in grande, a guardare lontano: il mondo vostro. Ges se ne va con un atto di
enorme fiducia nell'uomo. Ha fiducia in me, pi di quanta ne abbia io stesso.
Sa che riuscir a essere lievito e forse perfino fuoco; a contagiare di Spirito e di
nascite chi mi affidato. Ascensione la festa del nostro destino " solo il
Cristianesimo ha osato collocare un corpo d'uomo nella profondit di Dio
(Romano Guardini) " che si intreccia con la nostra missione: Battezzate e
insegnate a vivere ci che ho comandato. Battezzare non significa versare
un po' d'acqua sul capo delle persone, ma immergere! Immergete ogni uomo
in Dio, fatelo entrare, che si lasci sommergere dentro la vita di Dio, in quella
linfa vitale. Insegnate a osservare. Che cosa ha comandato Cristo, se non
l'amore? Il suo comando : immergete l'uomo in Dio e insegnategli ad amare.
A lasciarsi amare, prima, e poi a donare amore. Qui tutto il Vangelo, tutto
l'uomo. Fate questo, donando speranza e amorevolezza a tutte le creature,
tutti i giorni, in tutti gli incontri. (Letture: Atti degli Apostoli 1,1-11; Salmo 46;
Efesini 1,17-23; Matteo 28,16-20)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


09/06/2011
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Il soffio dello Spirito rende unici


Pentecoste " Anno A La sera di quel giorno, il primo della settimana, [...] venne
Ges, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi!. Detto questo, mostr loro le
mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Ges disse loro di
nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Detto
questo, soffi e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui
perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non
saranno perdonati. La casa fu piena di vento, e apparvero loro come lingue di
fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno. E ognuna accende un cuore,
sposa una libert, consacra una diversit. Lo Spirito d a ogni creatura una
genialit propria, una santit che unica. Tu non devi diventare l'opposto di te

stesso per incontrare il Signore, per essere santo. In Ges, Dio ha riunificato
l'umanit in un popolo di fratelli. Nello Spirito fa della mia unicit e diversit
una ricchezza. La Chiesa come Corpo di Cristo comunione; la Chiesa come
Pentecoste continua invenzione, poesia creatrice, ricerca. Come due tempi di
un solo movimento. Nel Cristo siamo uno, nel soffio dello Spirito siamo unici. Il
libro degli Atti narra che gli apostoli quella mattina parevano come ubriachi:
ebbri, eccessivi, fuori misura. Bisogna essere cos per parlare di Cristo, un po'
fuori misura, un po' incoscienti, un po' presi, altrimenti non riscaldi il cuore
di nessuno. Ubriachi, ma di speranza, di fiducia, di generosit, di gioia. Mentre
erano chiuse le porte del luogo venne Ges, alit su di loro e disse: Ricevete lo
Spirito Santo. Negli Apostoli respira ora il respiro di Cristo, quel principio vitale
e luminoso che lo faceva diverso, quella intensit che faceva unico il suo modo
di amare, che spingeva Ges a fare dei poveri i principi del suo Regno, che ha
reso forte il suo volto, scrive Luca, come quello di un eroe, e tenero come
quello di un innamorato. Ci che accaduto a Gerusalemme, 50 giorni dopo la
Risurrezione, avviene sempre, avviene per ciascuno: siamo perennemente
immersi in Dio come nell'aria che respiriamo. A noi che cosa compete?
Accogliere questo straordinario respiro di Dio che riporta al cuore Cristo e le
sue parole e ci trasforma; accoglierlo, perch il mio piccolo io deve dilatarsi
nell'infinito io divino. E poi la missione: a coloro cui perdonerete i peccati
saranno perdonati, a coloro cui non perdonerete non saranno perdonati. Il
perdono dei peccati l'impegno di tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito,
donne e uomini, grandi e bambini. Perdonate, che vuol dire: piantate attorno a
voi oasi di riconciliazione, piccole oasi di pace in tutti i deserti della violenza;
tutto intorno a voi create strade di avvicinamenti, aprite porte, riaccendete il
calore, riannodate fiducia. Moltiplichiamo piccole oasi e queste conquisteranno
il deserto. Perdonare significa de-creare il male (Panikkar). Allora venga lo
Spirito, riporti l'innocenza e la fiducia nella vita, soffi via le ceneri delle paure,
consolidi in ciascuno di noi la certezza pi umana che abbiamo e che tutti ci
compone in unit: l'aspirazione alla pace, alla gioia, alla vita, all'amore (G.
Vannucci). (Letture: Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo 103; 1 Corinzi 12,3b-7.1213; Giovanni 20,19-23)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


16/06/2011
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Crediamo all'amore di Dio per noi


Santissima Trinit - Anno A In quel tempo, disse Ges a Nicodmo: Dio ha
tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perch chiunque crede in lui
non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio
nel mondo per condannare il mondo, ma perch il mondo sia salvato per
mezzo di lui (...). La Trinit: un dogma che pu sembrare lontano e non
toccare la vita. Invece rivelazione del segreto del vivere, della sapienza sulla
vita, sulla morte, sull'amore, e mi dice: in principio a tutto il legame. Un solo
Dio in tre persone: Dio non in se stesso solitudine ma comunione, l'oceano
della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore, reciprocit, scambio,
incontro, famiglia, festa. Quando nell'in principio Dio dice: Facciamo l'uomo
a nostra immagine e somiglianza, l'immagine di cui parla non quella del
Creatore, non quella dello Spirito, n quella del Verbo eterno di Dio, ma tutte
queste cose insieme. L'uomo creato a immagine della Trinit. E la relazione
il cuore dell'essenza di Dio e dell'uomo. Ecco perch la solitudine mi pesa e mi
fa paura, perch contro la mia natura. Ecco perch quando amo o trovo
amicizia sto cos bene, perch secondo la mia vocazione. In principio a tutto
sta un legame d'amore, che il Vangelo annuncia: Dio ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio. Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un
altro verbo concreto, pratico, forte: il verbo dare. Amare equivale a dare, il
verbo delle mani che offrono. Dio ha tanto amato, centro del Vangelo di
Giovanni, che ha la definizione pi folgorante di Dio: Dio amore; che vuole
portarci a confessare: noi abbiamo creduto all'amore che Dio ha per noi! Se mi
domandano: tu cristiano a che cosa credi? La risposta spontanea : credo in
Dio Padre, in Ges crocifisso e risorto, la Chiesa... Giovanni indica una risposta
diversa: il cristiano crede all'amore. Noi abbiamo creduto all'amore: ogni uomo,
ogni donna, anche il non credente pu credere all'amore. Pu fidarsi e affidarsi
all'amore come sapienza del vivere. Se non c' amore, nessuna cattedra pu
dire Dio, nessun pulpito. lo stesso amore interno alla Trinit che da l si
espande, ci raggiunge, ci abbraccia e poi dilaga. Come legame delle vite. Dio
ha tanto amato il mondo. Non solo l'uomo, il mondo che amato, la terra e
gli animali e le piante e la creazione intera. E se Lui ha amato, anch'io devo
amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua
bellezza. Terra amata. La festa della Trinit specchio del mio cuore profondo
e del senso ultimo dell'universo. Incamminato verso un Padre che la fonte
della vita, verso un Figlio che mi innamora, verso uno Spirito che accende di
comunione le mie solitudini, io mi sento piccolo e tuttavia abbracciato dal
mistero. Piccolo ma abbracciato, come un bambino. Abbracciato dentro un
vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome comunione. (Letture: Esodo
34,4-6.8-9; Daniele 3,52-56; 2 Corinzi 13, 11-13; Giovanni 3,16-18)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


23/06/2011
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Dio si dona come cibo per vivere


Santissimo Corpo e Sangue di Cristo - Anno A In quel tempo, Ges disse alla
folla: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane
vivr in eterno e il pane che io dar la mia carne per la vita del mondo.
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: Come pu costui
darci la sua carne da mangiare?. Ges disse loro: In verit, in verit io vi
dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue,
non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la
vita eterna e io lo risusciter nell'ultimo giorno. Perch la mia carne vero cibo
e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui. (...) Il senso della festa del Corpo e Sangue del
Signore riassunto nel brano del Vangelo da un termine continuamente
ribadito: vivere, ogni volta intrecciato ad un secondo termine: mangiare. Per
ben sette volte Ges ripete che mangiare la sua carne fa vivere. l'incalzante
convinzione, da parte sua, di offrire qualcosa che non avevamo e di cui non
possiamo fare a meno, che inverte il senso della vita orientandola non pi alla
morte ma all'eternit. La grande sorpresa che Ges non dice: Prendete e
mangiate la mia sapienza, la mia santit, la mia divinit, bens: Mangiate la
mia carne, bevete il mio sangue!. Carne e sangue indicano non la fisiologia
del suo corpo, ma la totalit della sua umanit: Prendete come alimento,
energia e luce, l'amore, il coraggio, la bellezza e la libert che ho mostrato con
la mia vita!. Ricchi siamo della sua umanit. Per essa il mio Dio, il Dio-perl'uomo, che incanta e solleva la nostra umanit. Se la accolgo, tutta la mia vita
diventa sacra. Mangio e sento che compio un atto sacro, di comunione con Dio
e con gli uomini e con il creato; sacro il lavoro, sacri i gesti della cura e
dell'amore. Se faccio mio il segreto della vita di Cristo, trovo il segreto della
mia vita, una cosa enorme: Dio in me. Il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio
cuore, e diventiamo una cosa sola. Dio va fino all'estremo della sua
incarnazione, fino alla materia, diventando nell'Eucaristia pane, pezzo di terra
germinata. Quando mi avvio alla Comunione, non io mi incammino verso il
Pane, il Pane del cielo incamminato verso di me, il Sangue del cielo che
cerca nuove vene. Prima che io dica: ho fame, Dio ha detto: Prendete e
mangiate, mi ha cercato, desiderato e si dona. Un Dio che si fa cellula del mio
corpo, respiro, gesto, pensiero, si trasforma in me e mi trasforma in s.
Sull'altare c' solo un piccolo pane bianco lieve come un'ala, che non ha
sapore, che silenzio, profondissimo silenzio. Cosa mi pu dare questo po' di
pane povero come un boccone cos piccolo da non saziare neppure il pi
piccolo bambino? Ad ogni Comunione andiamo distratti verso l'altare; ad ogni
Comunione, per, almeno per un istante, mi affaccio sull'enormit di ci che mi
sta accadendo: Dio che mi cerca, Dio in cammino verso di me, Dio che

arrivato, che entra in questa mia casa di carne. Entrato in chiesa come
mendicante ne uscir come donatore. Dopo avere sperimentato un Dio che fa
vivere e nutre, un Dio materno, che d se stesso come cibo per vivere, possa
anch'io, lungo i miei giorni, essere annoverato fra i giusti, fra coloro che fanno
vivere, che nutrono. Con piccoli gesti ma con grandi orizzonti. (Letture:
Deuteronmio 8, 2-3.14b-16a; Salmo 147, 1Corinzi 10, 16-17; Giovanni 6, 5158)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


30/06/2011
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Dio il cuore dolce e forte della vita


XIV Domenica Tempo Ordinario - Anno A In quel tempo Ges disse: Ti rendo
lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perch hai nascosto queste cose ai
sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. S, o Padre, perch cos hai deciso
nella tua benevolenza. Tutto stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce
il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio vorr rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi,
e io vi dar ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che
sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo
infatti dolce e il mio peso leggero. Un momento di incanto di Ges davanti
ai piccoli, ai suoi: Ti rendo lode, Padre, perch queste cose le hai rivelate ai
piccoli. I piccoli di cui pieno il vangelo, gli ultimi della fila che sono i preferiti
di Dio. Ges il primo dei piccoli: viene come figlio di povera gente, nasce in
una stalla, non ha in mano nessun potere e la sua rivoluzione si compie su di
una croce. Ma un uomo vale non sulla misura della sua intelligenza, ma
quanto vale il suo cuore (Gandhi). Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e
oppressi, e io vi dar ristoro. Ges non viene, con obblighi e divieti; viene
recando una coppa colma di pace. Ges non porta precetti nuovi, ma una
promessa: il regno di Dio iniziato, ed pace e gioia nello Spirito (Rm 14, 17).
E se ti lasci riempire dalla pace del signore, attraverso il riposo e la pace del
vostro cuore, poi a decine, a migliaia attorno a voi saranno confortati,
troveranno ristoro (A. Louf). Imparate da me, che sono mite e umile di
cuore. Imparate dal mio cuore. Cristo si impara imparandone il cuore, cio il
modo di amare. Il maestro il cuore. La pace si impara. La pienezza della vita
si impara. A vivere si impara, imparando il cuore di Dio. E la scuola la vita di
Ges, quest'uomo senza poteri, libero come il vento, leggero come la luce,
dignitoso e alto, che nulla e nessuno ha mai potuto piegare. Imparate dal mio
modo di amare: umile, senza arroganza, e mite, senza violenza. Ristoro
dell'esistenza di ciascuno un cos, amore umile e mite, una creatura in pace,
che diffonde un senso di serenit nell'arsura del vivere. E la nostra vita si
rinfranca accanto alla sua. Inizia, allora, il discepolato del cuore, per tutti,

bambini e anziani, donne e uomini, preti e religiosi, per noi che ci sentiamo
intelligenti, ma che corriamo il rischio di restare degli analfabeti del cuore.
Funzionari delle regole e analfabeti del cuore. Perch Dio non un concetto,
non una regola, non si riduce ad un sapere: Dio il cuore dolce e forte della
vita. Dice Ges: Prendete su di voi il mio giogo. Il mio giogo dolce e il mio
carico leggero. Nel linguaggio della Bibbia giogo indica la legge: Prendete
su di voi la mia legge. Prendete su di voi l'amore, un re leggero, un
tiranno amabile, che neanche per un istante ferisce il cuore, non colpisce ci
che al cuore dell'uomo, ma instancabile nel generare, partorire, curare,
confortare, dare ristoro. Non uno fra i tanti maestri, il maestro di una vita
piena, con dentro il gusto e il calore di Dio. (Letture: Zaccaria 9, 9-10; Salmo
114; Romani 8, 9.11-13; Matteo 11, 25-30).)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


14/07/2011
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Dio fissa il suo sguardo sul bene


XVI Domenica Tempo Ordinario-Anno A In quel tempo, Ges espose alla folla
un'altra parabola, dicendo: Il regno dei cieli simile a un uomo che ha
seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il
suo nemico, semin della zizzania in mezzo al grano e se ne and. Quando poi
lo stelo crebbe e fece frutto, spunt anche la zizzania. Allora i servi andarono
dal padrone di casa e gli dissero: Signore, non hai seminato del buon seme
nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?. Ed egli rispose loro: Un nemico
ha fatto questo!. E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla?. No,
rispose, perch non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate
anche il grano (...). Il nostro cuore un pugno di terra, seminato di buon
seme e assediato da erbacce. Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?
domandano i servi. La risposta perentoria: No, perch rischiate di strappare
il buon grano!. L'uomo violento che in me dice: strappa subito tutto ci che
immaturo, sbagliato, puerile, cattivo. Il Signore dice: abbi pazienza, non agire
con violenza, perch il tuo spirito capace di grandi cose solo se ha grandi
motivazioni positive, non se ha grandi reazioni immediate. Mettiamoci sulla
strada su cui Dio agisce, adottiamo il suo stile: per vincere la notte accende il
mattino, per far fiorire la steppa getta infiniti semi di vita, per far lievitare la
massa immobile immette un pizzico di lievito. Questa la attivit solare,
positiva, vitale che dobbiamo avere verso noi stessi. Dobbiamo liberarci dai
falsi esami di coscienza negativi, centrati sul male. La nostra coscienza chiara,
illuminata e sincera deve scoprire prima di tutto ci che di vitale, bello, buono,
promettente, Dio ha seminato in noi. E far s che porti frutto. La parabola
racconta due modi di guardare: i servi vedono soprattutto le erbacce, il
negativo, il pericolo; Il Padrone, invece, fissa il suo sguardo sul buon grano, la

zizzania secondaria. Dobbiamo conquistare lo sguardo positivo di Dio


innanzitutto verso noi stessi: io non sono le mie debolezze, ma le mie
maturazioni; io non sono creato a immagine del Nemico e della sua notte, ma
a immagine del Creatore e del suo giorno. Nessun uomo coincide con il suo
peccato o con le sue ombre. Ma se non vedo la luce in me, non la vedr in
nessuno. Davanti a Dio una spiga di buon grano conta pi di tutta la zizzania
del campo, il bene pi importante del male, il peso specifico del bene
superiore, il bene vale di pi. E la spiga di domani, il bene possibile pi
importante del male presente, del peccato di ieri. Il male non revoca il bene
della tua vita, anzi, il bene che revoca il male. Non preoccupiamoci prima di
tutto della zizzania, dei difetti, delle debolezze, ma di coltivare una
venerazione profonda per le forze di bont, di generosit, di attenzione, di
accoglienza, di libert che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in
tutta la loro forza, in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza e vedremo le
tenebre scomparire. Questo il messaggio della parabola: venera la vita che
Dio ha posto in te, proteggila, porta avanti ci che hai di positivo e la zizzania
avr sempre meno terreno. Tu pensa al buon grano, ama i tuoi germi di vita,
custodisci ogni germoglio buono, sii indulgente con tutte le creature. E anche
con te stesso. E tutto il tuo essere fiorir nella luce. (Letture: Sapienza
12,13.16-19; Salmo 85; Romani 8,26-27; Matteo 13,24-43).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


21/07/2011
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Il Regno tesoro per ogni uomo


XVII Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo Ges disse ai suoi
discepoli: Il regno dei cieli simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo
lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra
quel campo. Il regno dei cieli simile anche a un mercante che va in cerca di
perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e
la compra. Ancora, il regno dei cieli simile a una rete gettata nel mare, che
raccoglie ogni genere di pesci. Quando piena, i pescatori la tirano a riva, si
mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.
(...) Tesoro: parola rara, parola da innamorati, da avventure grandi, da favole.
Oggi, parola di Vangelo e nome di Dio. Un contadino e un mercante trovano
tesori. Lo trova uno che, per caso, tra rovi e sassi, su un campo non suo,
folgorato dalla sorpresa; lo trova uno che intenditore appassionato e sa bene
quello che cerca: Dio non sopporta statistiche, possibile a tutti incontrare o
essere incontrati. Trovato il tesoro, l'uomo pieno di gioia va, vende tutti i suoi
averi e compra quel campo. La gioia il primo tesoro che il tesoro regala. Dio
ci seduce ancora perch parla il linguaggio della gioia, che muove, mette

fretta, fa decidere: ogni uomo segue quella strada dove il suo cuore gli dice
che trover la felicit (sant'Agostino). La gioia un sintomo, il segno che
stai camminando bene, sulla strada giusta. Noi avanziamo nella vita non a
colpi di volont, ma per una passione, per scoperta di tesori (dov' il tuo
tesoro, l corre felice il tuo cuore); avanziamo per innamoramenti e per la gioia
che accendono. Vive chi avanza verso ci che ama. La vita non etica ma
estetica (H.U. Von Balthasar) nel senso che avanza non per ordini, ma per
seduzione di tesori e di perle, si muove per una passione, e la passione sgorga
da una bellezza, dall'aver intravisto la bellezza di Cristo, la vita bella, buona e
beata del Vangelo. Ma il dono deve essere accolto, alla scoperta deve
rispondere l'impegno: il contadino e il mercante vendono tutto, ma per
guadagnare tutto. Lasciano molto, ma per avere tutto. Non perdono niente, lo
investono. Cos sono i cristiani, non pi buoni degli altri, ma pi ricchi: hanno
un tesoro di speranza, di luce, di cielo, di cuore, di Dio. Tesoro e perla Cristo
per me, averlo seguito stato l'affare migliore della mia vita. Mi sento
contadino fortunato, mercante ricco. Non un vanto, ma una responsabilit! E
dico grazie a Colui che mi ha fatto inciampare in un tesoro, anzi in molti tesori,
lungo molte strade, in molti giorni della mia vita, facendola diventare come
una finestra di cielo (Antonia Pozzi), una vita intensa, vibrante,
appassionata, gioiosa, pacificata, e spero anche, almeno un po', buona e non
inutile. Tesoro e perla sono nomi di Dio. Con la loro carica di affetto e di gioia,
con la travolgente energia, con il futuro che aprono, si rivolgono a me, un po'
contadino e un po' mercante, e mi domandano: ma Dio per te un tesoro o
soltanto un dovere? una perla o un obbligo? tesoro, perch il Vangelo non
mortificazione, ma dilatazione di vita; il cristianesimo non sacrificio e
rinuncia, ma offerta di solarit che fa rifiorire instancabilmente la rosa del
mondo, la rosa del vivere. (Letture: 1 Re 3, 5.7-12; Salmo 118; Romani 8, 2830; Matteo 13, 44-52)

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03/03/2016 Dio perdona con una carezza, un abbraccio, una festa


25/02/2016 Dio ama pe

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


28/07/2011
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Dio nutre e alimenta ogni vita


XVIII Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo (...) Ges part di l su
una barca e si ritir in un luogo deserto, in disparte (...) Sceso dalla barca, egli
vide una grande folla, sent compassione per loro e guar i loro malati. Sul far

della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: Il luogo deserto ed


ormai tardi; congeda la folla perch vada nei villaggi a comprarsi da
mangiare. Ma Ges disse loro: Non occorre che vadano; voi stessi date loro
da mangiare. Gli risposero: Qui non abbiamo altro che cinque pani e due
pesci!. Ed egli disse: Portatemeli qui(...) I discepoli, uomini pratici,
suggeriscono: Congeda la folla perch vadano a comprarsi da mangiare. Se
non li congeda Lui, loro non se ne andranno. Ma Ges non li manda via, non ha
mai mandato via nessuno. Anzi dice ai discepoli: Voi stessi date loro da
mangiare. Mi intenerisce questo Ges che non vuole allontanare da s
nessuno, che li vuole tutti intorno anche a mangiare. una immagine
femminile di Dio, un Dio che nutre e alimenta ogni vita. Quante volte nel
Vangelo lo si vede intento a condividere il pasto con altri, e contento di questo,
da Cana all'ultima cena fino a Emmaus. Cos tanto amava mangiare con gli
altri, tenerli vicini a s, che ha fatto di questo mangiare insieme il simbolo di
tutta la sua vita: quando me ne andr e non potr pi riunirvi e darvi il pane,
spezzarlo e condividerlo insieme, voi potrete unirvi e mangiare me. Ci sono
molti miracoli in questo racconto. Il primo quello della folla che, scesa ormai
la notte in quel luogo deserto, non se ne va e resta l con Ges, presa da
qualcosa che lui solo ha e nessun altro sa dare. Il secondo sono i cinque pani e
i due pesci che qualcuno mette nelle mani di Cristo, fidandosi, senza calcolare,
senza trattenere qualcosa per s. poco ma tutto, poco ma tutta la sua
cena, solo una goccia nel mare ma quella goccia che pu dare senso a
tutta la sua vita (Madre Teresa). Il terzo miracolo: quel poco pane, quei pochi
pesci bastano per tutti, bastano perch condivisi. Secondo una misteriosa
regola divina, quello che spartisci con gli altri si accresce: quando il pane da
mio diventa nostro, anzich diminuire si moltiplica. Il miracolo che Dio ferma
la fame del mondo attraverso le nostre mani quando imparano a donare.
L'aveva detto: Voi farete cose pi grandi di me. Noi abbiamo la terra, tutta la
terra da sfamare, ed possibile, a patto che diventi possibile la condivisione. E
infine: Raccolsero gli avanzi in dodici ceste, una per ogni trib di Israele, una
per ogni mese dell'anno. Tutti mangiano e ne rimane per tutti e per sempre. E
hanno valore anche le briciole, il poco che sei e che hai. Niente troppo
piccolo per non servire alla comunione. Niente troppo piccolo di ci che fai
con tutto il cuore, perch ogni gesto "totale", senza mezze misure, per quanto
minimo, ci avvicina all'assoluto di Dio. Che diritto hanno i cinquemila di avere
pane e pesce? L'unico loro diritto la fame, l'unico titolo per ricevere la
povert. Davanti a Dio io non ho nessun merito da vantare se non la mia
povert e la mia fame: la mia debolezza, diceva Paolo. E lui, il Dio che ama
nutrire, verr a dare pane a chi ha fame e ad accendere fame di cose grandi in
chi sazio di solo pane. (Letture: Isaia 55,1-3; Salmo 144; Romani 8,35.37-39,
Matteo 14,13-21).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


04/08/2011
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La mano di Dio tra le tempeste


XIX Domenica Tempo ordinario - Anno A Pietro rispose a Ges: Signore, se sei
tu, comandami di venire verso di te sulle acque. Ed egli disse: Vieni!. Pietro
scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e and verso Ges. Ma,
vedendo che il vento era forte, s'impaur e, cominciando ad affondare, grid:
Signore, salvami!. E subito Ges tese la mano, lo afferr e gli disse: Uomo
di poca fede, perch hai dubitato?. Appena saliti sulla barca, il vento cess.
Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: Davvero tu
sei Figlio di Dio!. I discepoli si sentono abbandonati nel momento del pericolo,
lasciati soli a lottare contro le onde per una lunga notte. Come loro anche noi
ci siamo sentiti alle volte abbandonati, e Dio era lontano, assente, era muto.
Eppure un credente non pu mai dire: Io da solo, io con le mie sole forze,
perch non siamo mai soli, perch intrecciato al nostro respiro c' sempre il
respiro di Dio, annodata alla nostra forza la forza di Dio. Infatti Dio sul lago:
nelle braccia di chi rema, negli occhi che cercano l'approdo. E la barca,
simbolo della nostra vita fragile, intanto avanza nella notte e nel vento non
perch cessa la tempesta, ma per il miracolo umile dei rematori che non si
arrendono, e ciascuno sostiene il coraggio dell'altro. Dio non agisce al posto
nostro, non devia le tempeste, ma ci sostiene dentro le burrasche della vita.
Non ci evita i problemi, ci d forza dentro i problemi. Poi Pietro vede Ges
camminare sul mare: Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle
acque. Pietro domanda due cose: una giusta e una sbagliata. Chiede di
andare verso il Signore. Domanda bellissima, perfetta: che io venga da te. Ma
chiede di andarci camminando sulle acque, e questo non serve. Non sul mare
dei miracoli che incontrerai il Signore, ma nei gesti quotidiani; nella polvere
delle strade come il buon samaritano e non nel luccichio di acque miracolose.
Come Pietro, fissare lo sguardo su Ges che ti viene incontro quando intorno
buio, quando tempesta, e sentire cosa ha da dire a te, solo a te: vieni! Con
me tutto possibile. E venne da Ges dice il Vangelo. Pietro guarda a lui,
non ha occhi che per quel volto, ha fede in lui, e la sua fede lo rende capace di
ci che sembrava impossibile. Poi la svolta: ma vedendo che il vento era forte,
si impaur e cominci ad affondare. In pochi passi, dalla fede che saldezza,
alla paura che palude dove sprofondi. Cosa accaduto? Pietro ha cambiato
la direzione del suo sguardo, la sua attenzione non va pi a Ges ma al vento,
non fissa pi il Volto ma la notte e le onde. Quante volte anch'io, come Pietro,
se guardo al Signore e alla sua forza posso affrontare qualsiasi tempesta; se
guardo invece alle difficolt, o ai miei limiti, mi paralizzo. Tuttavia dalla paura
nasce un grido: Signore salvami! Un grido nel buio, nel vento, nel gorgo che
risucchia. E dentro il grido c' gi un abbraccio: ho poca fede, credo e dubito,
ma tu aiutami! Ed proprio l che il Signore Ges ci raggiunge, al centro della
nostra debole fede. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci, ma tende la
mano per afferrare la nostra, e tramutare la paura in abbraccio. (Letture: 1 Re
19,9a.11-13a; Sal 84; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


11/08/2011
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La grande fede della donna delle briciole


XX domenica Tempo ordinario - Anno A (...) Ed ecco una donna Cananea (...) si
mise a gridare: Piet di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia molto
tormentata da un demonio. (..) Egli rispose: Non sono stato mandato se non
alle pecore perdute della casa d'Israele. Ma quella si avvicin e si prostr
dinanzi a lui, dicendo: Signore, aiutami!. Ed egli rispose: Non bene
prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. vero, Signore disse la
donna , eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei
loro padroni. Allora Ges le replic: Donna, grande la tua fede! Avvenga
per te come desideri. E da quell'istante sua figlia fu guarita. Ges, uomo di
incontri. Incontri che trasformano. E la svolta avviene attorno all'immagine dei
cagnolini e delle briciole. Ges dapprima si sottrae: Non bene prendere il
pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Nella mentalit comune dei giudei i pagani
erano considerati cani. E poi la risposta geniale della madre Cananea: vero,
Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei
loro padroni. La donna sembra dire fai delle briciole di miracolo, briciole di
guarigione anche per noi, gli ultimi. Qualcosa commuove Ges e ne cambia
l'atteggiamento: la convinzione assoluta di quella donna che tutti, anche i
pagani sono amati, che per Dio non esistono figli e no; l'umilt di chi va in
cerca solo di briciole, di pane perduto. Donna, grande la tua fede! Non
frequenta la sinagoga, invoca altri di, Baal e Astarte, ma per Ges donna di
grande fede. Non tanto o non solo per il suo indomito amore di madre, che non
si arrende ai silenzi di Ges, al suo atteggiamento prima gelido (non le rivolse
nemmeno una parola) e poi ruvido. Lo farebbe qualsiasi madre! La grande
fede della donna non sta in formule o dichiarazioni, ma in una convinzione
profonda, che la incalza: Dio pi attento alla vita e al dolore dei suoi figli che
non alla fede che professano. Non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri
che soffrono per la carne della loro carne: esse conoscono Dio dal di dentro, lo
sentono pulsare nel profondo delle loro piaghe, all'unisono con il loro cuore di
madre. Credono che il diritto supremo davanti a Dio dato dalla sofferenza e
dal bisogno, non dalla razza o dalla religione. E che questo diritto appartiene a
tutti i figli di Dio, che sono tutti uguali, giudei e fenici, credenti e pagani, sotto
il cielo di Tiro o sotto quello di Nazaret. E Ges cambia, si modificano
l'ampiezza della sua missione e il volto del Padre. Una donna pagana
converte Ges; lo porta ad accogliere come figli i cagnolini di Tiro e di
Sidone, lo apre ad una dimensione universale: No, tu non sei venuto solo per
quelli di Israele, tu sei pastore del dolore del mondo. Ges cammina e cresce
nella fede, imparando qualcosa su Dio e sull'uomo dall'amore e
dall'intelligenza di una madre straniera. Da questo incontro di frontiera, da un
dialogo fra stranieri prima brusco e poi rasserenante, emerge un sogno: la
terra vista come un'unica grande casa, una tavola ricca di pane, una corona di
figli. Una casa dove nessuno, neppure i cuccioli, ha pi fame. Dove non ci sono
noi e gli altri, uomini e no, ma solo figli e fame da saziare. Dove ognuno, come

Ges, impara da ognuno. Sogno che abita Dio e ogni cuore buono. (Letture:
Isaia 56, 1.6-7; Salmo 66; Romani 11, 13-15.29-32; Matteo 15, 21-28).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


18/08/2011
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Cristo mi chiede: chi sono io per te?


XXI DOMENICA Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, Ges, giunto nella
regione di Cesara di Filippo, domand ai suoi discepoli: La gente, chi dice
che sia il Figlio dell'uomo?. Risposero: Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri
Ela, altri Gerema o qualcuno dei profeti. Disse loro: Ma voi, chi dite che io
sia?. Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Ges
gli disse: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perch n carne n sangue te
lo hanno rivelato, ma il Padre mio che nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e
su questa pietra edificher la mia Chiesa e le potenze degli inferi non
prevarranno su di essa. A te dar le chiavi del regno dei cieli: tutto ci che
legherai sulla terra sar legato nei cieli, e tutto ci che scioglierai sulla terra
sar sciolto nei cieli (...) Voi chi dite che io sia? Anzi, la domanda preceduta
da un ma: Ma voi... come se i Dodici, e con loro i cristiani tutti, fossero
diversi, non appiattiti sul pensiero dominante, gente che non parla mai per
sentito dire. Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Figlio: nella Bibbia figlio
un termine tecnico che indica uno che compie le opere del padre, uno che fa
ci che Dio fa, che prolunga nella sua vita un'altra vita. Figlio del Vivente: tu
porti Dio qui, fra noi; fai vedere e toccare il Dio sorgente della vita, tutt'uno con
la vita, intrecciato ad essa. Pietro lo ha visto, ha visto Ges passare nella vita
come donatore di pi vita: da chi mai andremo? Tu solo hai parole che fanno
viva finalmente la vita. La domanda di Ges arriva oggi fino a me: Ma tu, chi
dici che io sia? Non chiede: cosa hai imparato da me? Qual il riassunto del
mio insegnamento? Ma: Io chi sono per te? Cosa porto io a te, cosa immetto
nella tua vita? E non c' risposta nelle parole d'altri. Non servono libri o
catechismi, studi o letture. Chi sei per me Ges? Per me tu sei vita. E il nome
della vita gioia libert e pienezza. Tu sei vita, che forza, coraggio e capacit
di risorgere dalle cadute. Vita che non finisce mai, eternit. Prima di
conoscere te io non esistevo (Ilario di Poitiers). Pi Dio in me equivale a pi io.
E mi accorgo che Cristo non ci che dico di lui, ma ci che di Lui brucia in
me. La verit non una formula, ci che arde dentro, scalda il cuore e muove
la vita. Tu sei roccia e su questa roccia fonder la mia chiesa; a te dar le
chiavi del regno. Pietro e, secondo la tradizione, i suoi successori, sono roccia
nella misura in cui continuano ad annunciare quell'unica parola: Cristo il
Figlio del Dio vivente. Pietro roccia per la Chiesa e per l'umanit nella
misura in cui trasmette che Dio amore, che la sua casa ogni uomo; che
Cristo, crocifisso, ora vivo, possibilit di una vita buona, bella e beata per

l'intera umanit. Pietro chiave nella misura in cui apre porte e strade che ci
portino gli uni verso gli altri e insieme verso Dio. La benedizione di Ges a
Pietro (beato te, Simone!) raggiunge ogni discepolo: Felice sei tu, se la tua vita
ha trovato Cristo, la roccia. Anche tu sei pietra viva, con te edifico la mia casa;
anche tu sei chiave. Sacerdozio comune dei credenti: essere roccia che d
sicurezza, stabilit e senso anche ad altri; essere chiave che spalanca le porte
belle di Dio e la vita in pienezza. Tutti possiamo passare nel mondo come
strumenti di solidit e di apertura, garantendo: Tu crederai o non crederai,
come vuoi. Ma io terr Dio accanto a te (M. Delbrel). (Letture: Isaia 22,19-23;
Salmo 137; Romani 11,33-36; Matteo 16,13-20)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
25/08/2011
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Lo scandalo dell'amore disarmato


XXII Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, Ges cominci a
spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto
da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e
risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo
dicendo: Dio non voglia, Signore; questo non ti accadr mai. Ma egli,
voltandosi, disse a Pietro: Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo,
perch non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!. Allora Ges disse ai
suoi discepoli: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua. Perch chi vuole salvare la propria vita, la
perder; ma chi perder la propria vita per causa mia, la trover. (...) Ges
incominci a dire che doveva molto soffrire e venire ucciso! Questo lo
scandalo del cristianesimo, un Dio che entra nel dolore e nella morte perch
nel dolore e nella morte entra ogni suo figlio. la sorpresa di Pietro: Dio non
voglia, questo mai! Tu vuoi salvare questo mondo che ha problemi immensi,
lasciandoti uccidere? Sei un illuso, il mondo non sar salvo per un crocifisso in
pi. Usa altri mezzi: il potere, il miracolo, l'autorit. Ed proprio questo che
Ges rifiuta. Sceglie invece i mezzi pi poveri: l'amore disarmato, il cuore
limpido, il non fare violenza mai, il perdono fino alla fine, l'abbraccio al
lebbroso. Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua. Se uno vuol venire... Ma perch dovrei voler questo? Qual
la molla? Lo rivela Ges stesso poco oltre: se uno vuol salvare la propria vita...
L'energia della sequela un istinto di vita, bello e originario. Rinneghi se
stesso. Parole pericolose se capite male. Rinnegarsi non significa annullarsi,
diventare sbiadito e incolore. Ges non vuole dei frustrati al suo seguito, ma
gente che ha fruttificato appieno i suoi talenti. Vuol dire: non sei tu il centro
dell'universo, non sei tu la misura del tutto. Sei dentro una forza pi grande. Il
tuo segreto oltre te. Prenda la sua croce. E l'abbiamo interpretato come:
soffri con pazienza, accetta, sopporta. Una esortazione alla rassegnazione. Ma
non occorreva certo Ges per dire questo. La croce nel Vangelo l'impensabile

di Dio, la prova che Dio ama me pi della propria vita. Per capire basta
sostituire la parola Croce con la parola amore: Se qualcuno vuole venire con
me, prenda su di s tutto l'amore di cui capace. Prendi la tua porzione di
amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di croce che ogni amore
comporta, altrimenti non ami. Tutti, io per primo, abbiamo paura del dolore. Ci
sia concessa, per, la grazia di non aver paura di amare: sarebbe paura di
vivere. E poi seguimi. Seguire Cristo non macerarsi in sacrifici ma
conquistare un'infinita passione per l'esistenza, in tutte le sue forme, in tutte le
sue creature. Fai come me, prendi su di te una vita che sia il riassunto della
mia vita dice Ges, il coraggioso che tocca i lebbrosi e sfida chi vuole
uccidere l'adultera, il tenero che si commuove per le folle senza pastore e per
due passeri, il povero che mai entrato nei palazzi dei potenti se non da
prigioniero, libero come nessuno, amore come nessuno, uomo dalla vita
buona, bella, felice. Vivi le mie stesse passioni. E troverai la vita. Dimentica
che esisti quando dici che ami (J. Twarkowski) e troverai la vita. (Letture:
Geremia 20, 7-9; Salmo 62; Romani 12, 1-2; Matteo 16, 21-27)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


01/09/2011
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Il noi, principio di vita


XXIII Domenica - Tempo Ordinario Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi
discepoli: Se il tuo fratello commetter una colpa contro di te, va' e
ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolter, avrai guadagnato il tuo fratello; se
non ascolter, prendi ancora con te una o due persone, perch ogni cosa sia
risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolter costoro, dillo
alla comunit; e se non ascolter neanche la comunit, sia per te come il
pagano e il pubblicano. In verit io vi dico: tutto quello che legherete sulla
terra sar legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sar sciolto
in cielo. In verit io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno
d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che nei cieli gliela
conceder. Perch dove sono due o tre riuniti nel mio nome, l sono io in mezzo
a loro. Se tuo fratello commetter una colpa contro di te, tu va'... Queste
parole tracciano le regole di base per la convivenza fraterna. La prima: se
qualcuno ti ferisce, tu non chiudere la comunicazione, non lasciare che l'offesa
occupi tutta la scena, non metterti in atteggiamento di vittima o di sudditanza
di fronte al male questo lo renderebbe pi forte , ma fa tu il primo passo,
riapri tu il dialogo. il primo modo per de-creare il male, per esserne liberati.
Se ti ascolter, avrai guadagnato tuo fratello. Una espressione inusuale e
commovente: guadagnare un uomo, acquistare un fratello, arricchirsi di
persone. Il vero guadagno della mia vita corrisponde alle relazioni buone che
ho costruito. Ogni persona vale quanto valgono i suoi amori e le sue amicizie.

Una comunit si misura dalla qualit dei rapporti umani che si sono instaurati.
Dio un vento di comunione che ci sospinge gli uni verso gli altri. Senza l'altro
l'uomo non uomo. Il Vangelo ci chiama a pensare sempre in termini di noi.
Tutto quello che legherete sulla terra... Il potere di sciogliere e legare non ha
nulla di giuridico, consiste nel mandato fondamentale di tessere nel mondo
strutture di riconciliazione: ci che avrete riunito attorno a voi, le persone, gli
affetti, le speranze, lo ritroverete unito nel cielo; e ci che avrete liberato
attorno a voi, di energie, di vita, di audacia e sorrisi, non sar pi dimenticato,
storia santa. Ci che scioglierete avr libert per sempre, ci che legherete
avr comunione per sempre. Nel Vangelo di oggi un crescendo di comunit.
Fino alla affermazione ultima: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono
in mezzo a loro. Non semplicemente nell'io, non semplicemente nel tu, il
Signore sta tra l'io e il tu, nel legame. In principio ad ogni vita, il legame, come
nella stessa Trinit. La costruzione del mondo nuovo inizia dai mattoni
elementari io-tu, dalle relazioni quotidiane. Ma c' un terzo tra i due, un terzo
tra me e te, il cui nome Amore: collante delle vite, forza di coesione degli
atomi (Turoldo), unit dei mondi. tra noi, ad una condizione: che siamo riuniti
nel suo nome. Non per interesse, non per superficialit, non per caso, ma nel
suo nome: amando ci che lui amava, preferendo coloro che lui preferiva,
sognando il suo sogno di un mondo fatto di fratelli, dove il giusto e il
peccatore, il violento e l'inerme si tengono per mano; dove Abele diventa
capace della pi grande follia, la divina follia di prendersi cura di Caino (se tuo
fratello ti ha fatto del male, tu v...), per essere liberi dal male come l'unico
libero. Come potremmo non essere liberi se fra noi la Libert stessa?
(Letture: Ezechiele 33,7-9; Salmo 94; Romani 13,8-10; Matteo 18,15-20)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


15/09/2011
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Dio non si merita, si accoglie

XXV Domenica Tempo ordinario Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi
discepoli questa parabola: Il regno dei cieli simile a un padrone di casa che
usc all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accord con
loro per un denaro al giorno e li mand nella sua vigna. (...) Quando fu sera, il
padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e dai loro la paga,
incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del
pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi,
pensarono che avrebbero ricevuto di pi. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un
denaro (...). Il Vangelo pieno di vigne, forse perch fra tutti i campi, la vigna
il preferito di ogni contadino, quello che coltiva con pi cura e intelligenza, in
cui si reca pi volentieri. Questa parabola ci assicura che il mondo, il mondo

nuovo che deve nascere, vigna e passione di Dio; che io sono vigna e
passione di Dio, il suo campo preferito, di cui ha cura uscendo per ben cinque
volte, da un buio all'altro, a cercare operai. Il punto di svolta del racconto
risiede nel momento della paga: comincia dagli ultimi della fila e d a chi ha
lavorato un'ora sola lo stesso salario concordato con quelli dell'alba.
Finalmente un Dio che non un padrone, nemmeno il migliore dei padroni.
Non un contabile. Un Dio ragioniere non converte nessuno. un Dio buono (ti
dispiace che io sia buono?). il Dio della bont senza perch, che crea una
vertigine nei normali pensieri, che trasgredisce le regole del mercato. Un Dio
che sa ancora saziarci di sorprese. E mentre l'uomo pensa secondo misura,
Dio agisce secondo eccedenza (cardinale Carlo Maria Martini). Non segue la
logica della giustizia, ma lo fa per eccesso, per dare di pi. Vuole garantire
vite, salvare dalla fame, aggiungere futuro. Mi commuove questo Dio che
accresce vita, con quel denaro immeritato, che giunge benedetto e benefico, a
quattro quinti dei lavoratori. Gli operai che hanno lavorato fin dal mattino
protestano, sono tristi, dicono non giusto. Non riescono a capire e si
trovano lanciati in un'avventura sconosciuta: la bont: ti dispiace che io sia
buono?. vero: non giusto. Ma la bont va oltre la giustizia. La giustizia non
basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l'amore
giusto, altra cosa, di pi. Perch non si accende la festa davanti a questa
bont, perch non sono contenti tutti, i primi e gli ultimi? Perch la felicit
viene da uno sguardo buono e amabile sulla vita e sulle persone. Se l'operaio
dell'ultima ora lo sento come mio fratello o mio amico, allora sono felice con
lui, con i suoi bambini, per la paga eccedente. Se invece mi ritengo operaio
della prima ora e misuro le fatiche, se mi ritengo un cristiano esemplare, che
ha dato a Dio tanti sacrifici e tutta la fedelt, che ora attende ricompensa
adeguata, allora posso essere urtato dalla retribuzione uguale data a chi ha
fatto molto meno di me. Drammatico: si pu essere credenti e non essere
buoni! Nel cuore di Dio cerco un perch al suo agire. E capisco che le sue
bilance non sono quantitative, davanti a Lui non il mio diritto o la mia
giustizia che pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcolo pi i miei meriti, ma
conto sulla sua bont. Dio non si merita, si accoglie! (Letture: Isaia 55, 6-9;
Salmo 144; Filippesi 1, 20-24.27; Matteo 20, 1-16)

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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi


22/09/2011
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Ges ha sempre fiducia in ogni uomo

XXVI Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, disse Ges ai principi
dei sacerdoti e agli anziani del popolo: Che ve ne pare? Un uomo aveva due
figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. Ed egli

rispose: S, signore; ma non and. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed


egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci and. Chi dei due ha
compiuto la volont del padre?. Dicono: L'ultimo. E Ges disse loro: In
verit vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i
pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur
avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli. Un
uomo aveva due figli... In quei due figli rappresentato ognuno di noi, con in
s un cuore diviso, un cuore che dice s e uno che dice no, che dice e poi
si contraddice: infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio
(Rm7, 15.19). Il primo figlio che dice no, un ribelle; il secondo che dice s
e non fa, un servile. Non si illude Ges. Conosce bene come siamo fatti: non
esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare. I
due fratelli, pur cos diversi, hanno qualcosa in comune: la stessa idea del
padre come di un estraneo che impartisce ordini; la stessa idea della vigna
come di una cosa che non li riguarda. Qualcosa per viene a disarmare il rifiuto
del figlio che ha detto no: si pent. Pentirsi significa cambiare mentalit,
cambiare il modo di vedere, di vedere il padre e la vigna. Il padre non pi un
padrone da obbedire o da ingannare, ma il capo famiglia che mi chiama in una
vigna che anche mia, per una vendemmia abbondante, per un vino di festa
per tutta la casa. E la fatica diventa piena di speranza. Chi dei due ha fatto la
volont del padre? Questa volont del padre, da capire bene, forse di essere
obbedito? No, ben di pi: avere figli che collaborino, come parte viva, alla
gioia della casa, alla fecondit della terra. La morale evangelica non prima di
tutto la morale dell'obbedienza, ma dei frutti buoni: dai loro frutti li
riconoscerete (Mt 7, 16). Frutti di bont, libert, gioia, amicizia, limpido cuore,
perdono. L'alternativa di fondo tra un'esistenza sterile e una che invece
trasforma una porzione di deserto in vigna, e la propria famiglia in un
frammento del sogno di Dio. Anche se nessuno se ne accorge, anche lavando
in silenzio i piedi di coloro che ci sono affidati, nel segreto della propria casa.
Se agisci cos fai vivere te stesso, dice il profeta Ezechiele nella prima lettura,
sei tu il primo che ne riceve vantaggio. Ges prosegue con una delle sue
parole pi dure e consolanti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel
regno di Dio. Dura la frase, perch si rivolge a noi che a parole diciamo s, ci
diciamo credenti, ma siamo sterili di opere buone. Cristiani di facciata o di
sostanza? Ma consolante, perch in Dio non c' ombra di condanna, solo la
promessa di una vita rinnovata per tutti. Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo;
ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia in noi, nonostante i nostri errori e i nostri
ritardi. Crede in noi, sempre! Allora posso cominciare la mia conversione. Dio
non un dovere: amore e libert. E un sogno di grappoli saporosi per il
futuro del mondo. (Letture: Ezechiele 18, 25-28; Salmo 23; Filippesi 2, 1-11;
Matteo 21, 20-32)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


29/09/2011

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Il regno di Dio sar dato a un popolo che produca frutti

XXVII domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, Ges disse ai capi dei
sacerdoti e agli anziani del popolo: Ascoltate un'altra parabola: c'era un
uomo, che possedeva un terreno e vi piant una vigna. La circond con una
siepe, vi scav una buca per il torchio e costru una torre. La diede in affitto a
dei contadini e se ne and lontano. Quando arriv il tempo di raccogliere i
frutti, mand i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini
presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono.
Mand di nuovo altri servi, pi numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso
modo. Da ultimo mand loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio
figlio!. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui l'erede. Su,
uccidiamolo e avremo noi la sua eredit!. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla
vigna e lo uccisero. Quando verr dunque il padrone della vigna, che cosa far
a quei contadini?. Gli risposero: Quei malvagi, li far morire miseramente e
dar in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo
tempo. E Ges disse loro: Non avete mai letto nelle Scritture: "La pietra che i
costruttori hanno scartata diventata la pietra d'angolo; questo stato fatto
dal Signore ed una meraviglia ai nostri occhi"? Perci io vi dico: a voi sar
tolto il regno di Dio e sar dato a un popolo che ne produca i frutti. Che cosa
dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto? bella questa
immagine di Isaia di un Dio appassionato, che fa per me ci che nessuno far
mai; un Dio contadino che, come fa ogni contadino, dedica alla vigna pi cuore
e pi cure che ad ogni altro campo. Dio ha per me una passione che nessuna
delusione spegne, che non mai a corto di meraviglie, che ricomincia dopo
ogni mio rifiuto ad assediare il cuore. Per prima cosa, prima di qualsiasi azione,
io voglio sostare dentro questa esperienza: sentire di essere vigna amata,
lasciarmi amare da Dio. Non sono altro che una vite piccolina, ma a me,
proprio a me Dio non vuole rinunciare. Il frutto che Dio attende come quello
della vite: se ogni albero si preoccupasse solo di se stesso, solo di riprodursi,
basterebbero pochi semi ogni molti anni, un frutto solo. E invece, ad ogni
autunno, un'abbondanza di frutti, una generosit magnifica offerta a tutti,
all'uomo, al piccolo insetto, alla terra nutrice: la generosit della natura un
modello per il cuore dell'uomo. La parabola per avanza in un clima di
amarezza e di violenza. Mi pare di intuirne l'origine nelle parole dei vignaioli,
insensate e brutali: Costui l'erede, venite, uccidiamolo e avremo noi
l'eredit! Ascoltano quella voce primordiale e brutale che dice: prendi il posto
dell'altro, eliminalo e avrai tu il suo campo, la sua casa, la sua donna, i suoi
soldi. Sii il pi forte, il pi crudele, il pi furbo e sarai tu il capo. Questa
l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra. Che cosa far il padrone
della vigna dopo l'uccisione del figlio? La soluzione proposta dai giudei
logica: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di
giustizia riportare le cose un passo indietro, a prima del delitto, mantenendo
intatto il ciclo immutabile del dare e dell'avere. Ges non d'accordo: il regno
di Dio sar dato a un popolo che ne produca i frutti. Il sogno di Dio non il
tributo finalmente pagato, non la pena scontata, i conti in pareggio, ma una

vigna che non maturi pi grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, bens
grappoli caldi di sole e gonfi di luce. Al di fuori della metafora, Dio sogna una
storia che non sia guerra di possessi, battaglia di potere, ma sia vendemmia di
generosit e di pace, grappoli di giustizia e di onest. E forse perfino acini di
Dio fra noi. La visione di Ges positiva: la storia perenne dell'amore di Dio e
del mio tradimento non si risolve in una sconfitta, il mio peccato non blocca il
piano di Dio. L'esito della storia sar buono, la vigna generosa di frutti, il
Padrone non sprecher i giorni dell'eternit in vendette. (Letture: Isaia 5, 1-7;
Salmo 79; Filippesi 4, 6-9: Matteo 21, 33-43)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


06/10/2011
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Al Signore sta a cuore la nostra gioia

XXVIII Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, Ges, riprese a


parlare con parabole [...] e disse: Il regno dei cieli simile a un re, che fece
una festa di nozze per suo figlio. Egli mand i suoi servi a chiamare gli invitati
alle nozze, ma questi non volevano venire. Mand di nuovo altri servi con
quest'ordine: dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e
gli animali ingrassati sono gi uccisi e tutto pronto; venite alle nozze!. Ma
quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari;
altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indign:
mand le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro
citt. Poi disse ai suoi servi: La festa di nozze pronta, ma gli invitati non
erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete,
chiamateli alle nozze. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli
che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riemp di commensali. Il
re entr per vedere i commensali e l scorse un uomo che non indossava l'abito
nuziale. Gli disse: Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?.
Quello ammutol. Allora il re ordin ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo
fuori nelle tenebre; l sar pianto e stridore di denti. Perch molti sono
chiamati, ma pochi eletti. Tre immagini riassumono la parabola: la sala della
festa, le strade, l'abito nuziale. 1. La sala della festa rimane vuota e triste,
fotografia impietosa del fallimento del re: nessuno vuole il suo regalo, nessuno
partecipa alla sua gioia. Perch gli invitati non rispondono al suo invito?
Abbiamo tutti sperimentato che per far festa davvero con gli altri necessario
un anticipo di felicit dentro, necessario essere contenti. Ecco perch i primi
invitati non rispondono, perch non sono felici: hanno perso la gioia del cuore
dietro alle cose e agli affari. 2. Le strade. Allora il Dio che vive per creare gioia
condivisa, dice ai servi: Andate per le strade, agli incroci, ai semafori, lungo le
siepi.... E l'invito sembra casuale, invece vuole esprimere la precisa volont

che nessuno sia escluso. bello questo nostro Dio che quando rifiutato,
anzich abbassare le attese le alza: chiamate tutti! Che apre, allarga, gioca al
rilancio, va pi lontano; e dai molti invitati passa a tutti invitati: tutti quelli che
troverete, cattivi o buoni, fateli entrare. Notate: prima i cattivi e poi i buoni...
Noi non siamo chiamati perch siamo buoni e ce lo meritiamo, ma perch
diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e incantare da una proposta di vita
bella, buona e felice da parte di Dio. 3. L'abito nuziale che un commensale non
indossa ed gettato fuori. A capire che cosa rappresenti quell'abito ci aiuta
una parola sussurrataci il giorno del Battesimo quando, ponendo sopra di noi
una piccola veste bianca, il sacerdote ha detto: Bambino mio adesso rivestiti
di Cristo!. Il nostro abito Cristo! Passare la vita a rivestirci di Cristo, a fare
nostri i suoi gesti, le sue parole, il suo sguardo, le sue mani, i suoi sentimenti; a
preferire coloro che egli preferiva. L'abito nuziale quello della Donna
dell'Apocalisse: vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una
corona di stelle, che indossa il guardaroba di Dio, l'abito da festa del creato,
che la luce, il primo di tutti i simboli di Dio. In quella Donna ciascuno di noi,
cercatore di luce che venga a vincere le paure e le ombre che invecchiano il
cuore. La parabola ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Noi lo pensiamo come un Re
che ci chiama a servirlo e invece Lui che ci serve. Lo temiamo come il Dio dei
sacrifici ed il Dio cui sta a cuore la gioia; uno che ci impone di fare delle cose
per lui e invece ci chiede di lasciargli fare cose grandi per noi. Lo pensiamo
lontano, separato, e invece dentro la sala della vita, la sala del mondo, come
una promessa di felicit, una scala di luce posata sul cuore e che sale verso
Dio. (Letture: Isaia 25, 6-10a; Salmo 22; Filippesi 4, 12-14. 19-20; Matteo 22, 114)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


13/10/2011
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Da Dio hai ricevuto, a Dio restituisci

XXIX Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, i farisei se ne


andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Ges nei suoi
discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli:
Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verit.(...).
Dunque, di' a noi il tuo parere: lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?. Ma
Ges, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perch volete mettermi
alla prova? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un
denaro. Egli domand loro: Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?. Gli
risposero: Di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare quello che
di Cesare e a Dio quello che di Dio. Alla domanda cattiva e astuta di chi
vuole metterlo o contro Roma o contro la sua gente, Ges risponde giocando al

rialzo, come al suo solito, e con due cambi di prospettiva che allargano gli
orizzonti della domanda. Con il primo cambio di prospettiva muta il verbo
pagare ( lecito pagare le tasse?) in restituire: quello che di Cesare rendetelo
a Cesare. Con il secondo cambio introduce l'orizzonte di Dio. Innanzitutto parla
di un dare e avere: voi usate questa moneta, usate cio dello stato romano che
vi garantisce strade, giustizia, sicurezza, mercati. Avete ricevuto e ora
restituite. Pagate tutti le tasse per un servizio che tocca tutti. Come non
applicare questa chiarezza semplice di Ges ai nostri giorni, in cui la crisi
economica porta con s un dibattito su manovre, tasse, evasione fiscale;
applicarla ai farisei di oggi che giustificano in mille modi, quando addirittura
non se ne vantino, l'evasione delle imposte. Restituisci, perch sei in debito.
Io sono in debito verso genitori, amici, insegnanti, medici, verso la storia di
questo paese, verso chi mi ha insegnato ad amare e a credere, mi ha
trasmesso affetto e valori, verso i poeti e gli scienziati, i cercatori di Dio, verso
milioni di lavoratori sconosciuti, verso l'intera mia societ. Un tessuto di debiti
la mia vita, io ho avuto infinitamente di pi di ci che ho dato. Restituire a
Cesare di cui mi fido poco? A Cesare che ruba? S, ma al modo di Ges, lui che
non guardava in faccia a nessuno, come riconoscono i farisei: allora, se Cesare
sbaglia, il mio tributo sar quello di correggerlo; e se ruba gli ricorder la voce
della coscienza e il dovere della giustizia. Il secondo cambio di prospettiva
inserisce la dimensione spirituale. Da Dio hai ricevuto, a Dio restituisci. Da Lui
viene il respiro, il volere e l'operare, il gioire e l'amare, i talenti, il seme di
eternit deposto in te, suo il giardino del mondo. Davanti a Lui, come davanti
all'uomo, non siamo dei pretendenti, ma dei debitori grati. Se avessimo tra le
mani quella moneta romana capiremmo qualcosa d'altro. L'iscrizione recitava:
divo Caesari, al divino Cesare appartiene. Ges scinde di netto l'unit di queste
due parole: Cesare non Dio. Altro Cesare, altro Dio. Di Dio l'uomo,
quell'uomo che Lui ha fatto di poco inferiore a un dio. A Cesare le cose, a Dio la
persona. A me dice: tu non inscrivere nel cuore altre appartenenze che non
siano a Dio. Resta libero e ribelle ad ogni tentazione di venderti o di lasciarti
possedere. Ripeti al potere: io non ti appartengo. Ad ogni potere umano Ges
dice: non appropriarti dell'uomo, non ti appartiene. L'uomo cosa di Dio.
creatura che ha Dio nel sangue. (Letture: Isaa 45, 1.4-6; Salmo 95; 1
Tessalonicesi 1, 1-5b; Matteo 22, 15-21)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


20/10/2011
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Amare, l'unico comandamento

XXX Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, i farisei, avendo udito
che Ges aveva chiuso la bocca ai sadduci, si riunirono insieme e uno di loro,

un dottore della Legge, lo interrog per metterlo alla prova: Maestro, nella
Legge, qual il grande comandamento?. Gli rispose: Amerai il Signore tuo
Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Questo il grande e primo comandamento. Il secondo poi simile a quello:
Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti
dipendono tutta la Legge e i Profeti. Qual il grande comandamento? Ges
risponde indicando qualcosa che sta al centro dell'uomo: tu amerai. Lui sa che
la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo
come via per la pienezza e la felicit di questa vita. Amerai Dio con tutto, con
tutto, con tutto. Per tre volte Ges ripete che l'unica misura dell'amore
amare senza misura. Ama Dio con tutto il cuore: totalit non significa
esclusivit. Ama Dio senza mezze misure, e vedrai che resta del cuore, anzi
cresce, per amare i tuoi familiari, gli amici, te stesso. Dio non geloso, non
ruba il cuore: lo moltiplica. Ama con tutta la mente. L'amore rende intelligenti,
fa capire prima, andare pi a fondo e pi lontano. Ama con tutte le forze.
L'amore rende forti, capaci di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica. Da dove
cominciare? Dal lasciarsi amare da Lui, che entra, dilata, allarga le pareti di
questo piccolo vaso che sono io. Noi siamo degli amati che diventano amanti.
Domandano a Ges qual il comandamento grande e Lui invece di un
comandamento ne elenca due: amerai Dio, amerai il prossimo. Ges non
aggiunge nulla di nuovo: il primo e il secondo comandamento sono gi scritti
nella Bibbia. Eppure dir che il suo un comando nuovo. Dove sta la novit?
Sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l'unico
comandamento. E dice: il secondo simile al primo. Amerai l'uomo simile ad
amerai Dio. Il prossimo simile a Dio. Questa la rivoluzione di Ges: il
prossimo ha volto e voce e cuore simili a Dio. Il volto dell'altro da leggere
come un libro sacro, la sua parola da ascoltare come parola santa, il suo grido
da fare tuo come fosse parola di Dio. Sul tuo corpo volteggiano angeli / come
intorno a una chiesa /... e di Lui sono i tuoi occhi (Turoldo). Amerai il tuo
prossimo come ami te stesso. quasi un terzo comandamento sempre
dimenticato: ama te stesso, perch sei come un prodigio, porti l'impronta
della mano di Dio. Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno,
saprai solo prendere e possedere, fuggire o violare, senza gioia n gratitudine.
Se per te desideri pace e perdono, questo tu offrirai all'altro. Se per te desideri
giustizia e rispetto, tu per primo li darai. Ma perch amare, amare con tutto me
stesso? Perch portare il cuore a queste vertigini? Perch dare e ricevere
amore ci su cui posa la beatitudine della vita. Perch Dio-amore l'energia
fondamentale del cosmo, e amando partecipi di questa energia: quando ami,
il Totalmente Altro che viene perch la storia sia totalmente altra da quello che
. (Letture: Esodo 22, 20-26; Salmo 17; 1 Tessalonicesi 1, 5c-10; Matteo 22, 3440)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


27/10/2011
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Il pi grande chi ama di pi

XXXII domenica tempo ordinario - Anno A In quel tempo, Ges si rivolse alla
folla e ai suoi discepoli dicendo: Sulla cattedra di Mos si sono seduti gli scribi
e i farisei. Praticate e osservate tutto ci che vi dicono, ma non agite secondo
le loro opere, perch essi dicono e non fanno (...) Tutte le loro opere le fanno
per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattri e allungano le frange;
si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle
sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabb dalla
gente. Ma voi non fatevi chiamare rabb, perch uno solo il vostro Maestro
e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra,
perch uno solo il Padre vostro, quello celeste (...) Chi tra voi pi grande,
sar vostro servo; chi invece si esalter, sar umiliato e chi si umilier sar
esaltato. Il Vangelo evidenzia due questioni di fondo, che chiunque desideri
una vita autentica deve affrontare. La prima: essere o apparire. La seconda:
l'amore per il potere. Praticate ci che vi dicono, ma non fate secondo le loro
opere, perch essi dicono e non fanno. La severit di Ges non va contro la
debolezza di chi vorrebbe ma non ce la fa, bens contro l'ipocrisia di chi fa
finta. Verso la nostra debolezza Ges si sempre mostrato premuroso, come il
vasaio che, se il vaso non riuscito bene, non butta via l'argilla, ma la rimette
sul tornio e la plasma di nuovo, fino a che realizza il suo progetto. Ges non
sopporta gli ipocriti. Ipocrita (termine greco che significa "attore di teatro") il
moralista che invoca leggi sempre pi dure, ma per gli altri (legano pesi
enormi sulle spalle delle persone, ma loro non li toccano con un dito); ipocrita
l'uomo di Chiesa che pi si mostra severo e duro con gli altri, pi si sente
giusto, vicino a Dio (mentre vicino solo alla propria aggressivit o invidia
verso i fratelli). Paolo oggi dice: Avrei voluto darvi la mia vita. L'ipocrita dice:
Vi ho dato la legge, sono a posto. L'ipocrita non si accontenta di essere
peccatore, vuole apparire buono. E con la sua falsa virt fa s che gli uomini
non si fidino pi neanche della virt autentica. Ges poi stigmatizza un
secondo errore che rovina la vita: l'amore del potere. Non fatevi chiamare
maestro, dottore, padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli.
E gi questo un primo grande capovolgimento: tutti fratelli, nessuno
superiore agli altri, relazione paritaria e affettuosa. Ma a Ges questo non
basta, e opera un ulteriore capovolgimento: il pi grande tra voi colui che
serve. Il pi grande chi ama di pi. Il mondo ha bisogno d'amore e non di
ricchezza per fiorire. E allora il pi grande del nostro mondo sar forse una
mamma sconosciuta, che lavora e ama nel segreto della sua casa, o nelle
foreste d'Africa, o uno di voi che legge, o colui o colei che vi vicino. Ges
rovescia la nostra idea di grandezza, ne prende la radice e la capovolge al sole
e all'aria e dice: tu sei grande quanto grande il tuo cuore. Siete grandi
quando sapete amare, quando sapete farlo con lo stile di Ges, traducendo
l'amore nella divina follia del servizio: sono venuto per servire non per essere
servito. l'assoluta novit di Ges: Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, Lui ai
piedi di tutti. Dio il grande servitore, non il padrone. Lui io servir, perch Lui
si fatto mio servitore. Servizio: nome nuovo, nome segreto della civilt.
(Letture: Malachia 1, 14-2, 2.8-10; Salmo 130; 1 Tessalonicesi 2, 7-9.13; Matteo
23, 1-12)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


03/11/2011
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Dio una voce che ci risveglia

XXXII domenica Tempo ordinario Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi
discepoli questa parabola: Il regno dei cieli sar simile a dieci vergini che
presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano
stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con s
l'olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli
vasi. Poich lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A
mezzanotte si alz un grido: Ecco lo sposo! Andategli incontro!. Allora tutte
quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle
sagge: Dateci un po' del vostro olio, perch le nostre lampade si spengono.
Le sagge risposero: No, perch non venga a mancare a noi e a voi; andate
piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano a
comprare l'olio, arriv lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui
alle nozze, e la porta fu chiusa. Pi tardi arrivarono anche le altre vergini e
incominciarono a dire: Signore, signore, aprici!. Ma egli rispose: In verit io
vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perch non sapete n il giorno n
l'ora. Ecco lo sposo! Andategli incontro! In queste parole trovo l'immagine pi
bella dell'esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare
incontro. Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un
abbraccio. Dio come un abbraccio. L'esistenza come un uscire incontro. Fin da
quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al
giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio. Il
secondo elemento importante della parabola la luce: il Regno di Dio simile
a dieci ragazze armate solo di un po' di luce, di quasi niente, del coraggio
sufficiente per il primo passo. Il regno di Dio simile a dieci piccole luci, anche
se intorno notte. Simile a qualche seme nella terra, a una manciata di stelle
nel cielo, a un pizzico di lievito nella pasta. Ma sorge un problema: cinque
ragazze sono sagge, hanno portato dell'olio, saranno custodi della luce; cinque
sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta. Ges non
spiega che cosa sia l'olio delle lampade. Sappiamo per che ha a che fare con
la luce e col fuoco: in fondo, saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno.
L'alternativa centrale tra vivere accesi o vivere spenti. Dateci un po' del
vostro olio perch le nostre lampade si spengono... la risposta dura: no,
perch non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole
un richiamo alla responsabilit: un altro non pu amare al posto mio, essere
buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono
responsabile di me stesso, chi lo sar per me? Parabola esigente e consolante.

Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed la nostra storia: tutti ci siamo


stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento pi nero, qualcosa, una voce
una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella
certezza che la voce di Dio verr. in quella voce, che non mancher; che
verr a ridestare da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non
stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. Dio non ci coglie in
flagrante, una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio pi fitto, per
mille strade. A me baster avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una
lampada, e uscire incontro a un abbraccio. (Letture: Sapienza 6, 12-16; Salmo
62; Tessalonicesi 4, 13-18; Matteo 25, 1-13)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


10/11/2011
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L'invito a non avere paura della vita

XXXIII Domenica Tempo ordinario-Anno A In quel tempo, Ges disse ai suoi


discepoli questa parabola: Avverr come a un uomo che, partendo per un
viaggio, chiam i suoi servi e consegn loro i suoi beni. A uno diede cinque
talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacit di ciascuno; poi
part. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti and a impiegarli, e ne
guadagn altri cinque. Cos anche quello che ne aveva ricevuti due, ne
guadagn altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, and a
fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto
tempo il padrone di quei servi torn e volle regolare i conti con loro (...). Dai
protagonisti della parabola emergono due visioni opposte della vita:
l'esistenza, e i talenti ricevuti, come una opportunit; oppure l'esistenza come
un lungo tribunale, pieno di rischi e di paure. I primi due servi entrano nella
vita come in una possibilit gioiosa; l'ultimo non entra neppure, paralizzato
dalla paura di uscirne sconfitto. La parabola dei talenti il poema della
creativit, senza voli retorici, perch nessuno dei tre servi crede di poter
salvare il mondo. Tutto invece odora di casa, di viti e di olivi o, come nella
prima lettura, di lana, di fusi, di lavoro e di attesa. Di semplicit e concretezza.
Ci che io posso fare solo una goccia nell'oceano, ma questa goccia che d
senso alla mia vita (A. Schweitzer). Il Vangelo pieno di una teologia semplice,
la teologia del seme, del lievito, di inizi che devono fiorire. A noi tocca il lavoro
paziente e intelligente di chi ha cura dei germogli. Dio la primavera del
cosmo, a noi il compito di esserne l'estate feconda di frutti. Leggiamo bene il
seguito della parabola: Dio non un padrone che rivuole indietro i suoi talenti,
con in aggiunta quelli che i servi hanno guadagnato. Ci che i servi hanno
realizzato non solo rimane a loro, ma moltiplicato un'altra volta: Sei stato
fedele nel poco, ti dar autorit su molto. Il padrone non ha bisogno di quei

dieci o quattro talenti. I servi vanno per restituire, e Dio rilancia: e questo
accrescimento, questo incremento di vita, questa spirale d'amore crescente
l'energia segreta di tutto ci che vive. Noi non viviamo semplicemente per
restituire a Dio i suoi doni. Ci sono dati perch diventino a loro volta seme di
altri doni, lievito che solleva, addizione di vita per noi e per tutti coloro che ci
sono affidati. Non c' neppure una tirannia, nessun capitalismo della quantit.
Infatti chi consegna dieci talenti non pi bravo di chi che ne consegna
quattro. Le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. Non ci sono
dieci talenti ideali da raggiungere: c' da camminare con fedelt a ci che hai
ricevuto, a ci che sai fare, l dove la vita ti ha messo, fedele alla tua verit,
senza maschere e paure. La parabola dei talenti un invito a non avere paura
della vita, perch la paura paralizza, perch tutto ci che scegli di fare sotto la
spinta della paura, anzich sotto quella della speranza, impoverisce la tua
storia. La pedagogia del Vangelo offre tre grandi regole di maturit: non avere
paura, non fare paura, liberare dalla paura. Soprattutto da quella che la
paura delle paure, la paura di Dio. (Letture: Proverbi 31,10-13.19-20.30-31;
Salmo 127; 1 Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-30).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
17/11/2011
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Dio ha legato la nostra salvezza a opere semplici, quotidiane


SOLENNITA' DI CRISTO RE ANNO A In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli:
Quando il Figlio dell'uomo verr nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui,
sieder sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli.
Egli separer gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e
porr le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. (...) Il Vangelo dipinge
una potente visione, drammatica, che noi chiamiamo il giudizio finale. Disegna
una scena dove rivelata, pi che la sentenza ultima, la verit ultima
sull'uomo, mostrato che cosa resta della vita quando non resta pi niente.
Resta l'amore del prossimo. Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo,
malato, in carcere: e tu mi hai aiutato. Sei passi di un percorso dove la
sostanza della vita sostanza di carit. Sei passi verso la terra come Dio la
sogna. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli pi piccoli,
l'avete fatto a me! Il povero come Dio! Carne di Dio sono i poveri, i loro occhi
sono gli occhi di Dio, la loro fame la fame di Dio. Se un uomo sta male anche
Lui sta male. Noi abbiamo ridotto i poveri ad una categoria sociale,
all'anonimato. Invece per il Vangelo il povero non l'anonimo, ha il nome di
Dio. Un Dio che ha legato la salvezza non ad azioni eccezionali, ma ad opere
quotidiane, semplici, possibili a tutti. Non ad opere di culto verso di lui, ma al
culto degli ultimi della fila. Un Dio che dimentica i suoi diritti, preferendo i
diritti dei suoi amati. E mi sorprende, m'incanta sempre un'immagine: gli
archivi di Dio non sono pieni dei nostri peccati, raccolti e messi da parte per
essere tirati fuori contro di noi, nell'ultimo giorno. Gli archivi dell'eternit sono

pieni s, ma non di peccati, bens di gesti di bont, di bicchieri d'acqua fresca


donati, di lacrime accolte e asciugate. Una volta perdonati, i peccati sono
annullati, azzerati, non esistono pi, in nessun luogo, tanto meno in Dio. E
allora argomento del giudizio non sar il male, ma il bene; non l'elenco delle
nostre debolezze, ma la parte migliore di noi; non guarder la zizzania ma il
buon grano del campo. Perch verit dell'uomo, della storia, di Dio il bene.
Grandezza della nostra fede. Poi per ci sono quelli condannati: via da me...
perch ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare. Quale la loro colpa?
Non detto che abbiano fatto del male ai poveri, non li hanno aggrediti,
umiliati, cacciati, semplicemente non hanno fatto nulla per loro. Sono quelli
che dicono: non tocca a me, non mi riguarda. Gli uomini dell'indifferenza.
Quelli che non sanno che cosa rispondere alla grave domanda di Dio a Caino:
che cosa hai fatto di tuo fratello? Il giudizio di Dio non far che ratificare la
nostra scelta di vita: via, lontano da me, perch avete scelto voi di stare
lontano da me che sono nei poveri. Allora capisco che il cristianesimo non si
riduce semplicemente a fare del bene, accogliere Dio nella mia vita, entrare
io nella vita di Dio : l'avete fatto a me! (Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17;
Salmo 22; 1 Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25, 31-46).

riproduzione riservataIl Vangelo A cura di Ermes Ronchi


24/11/2011
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Avvento, tempo dell'attenzione

I domenica d'Avvento Anno B In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Fate
attenzione, vegliate, perch non sapete quando il momento. come un
uomo, che partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi
servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate
dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritorner, se alla sera o a
mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo
all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti:
vegliate!. Entriamo nel tempo della speranza. Avvento vuol dire letteralmente
avvicinarsi, venire vicino. Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa pi vicino:
Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. In cui impariamo che cosa sia davvero
urgente: abbreviare distanze, tracciare cammini d'incontro. Nel Vangelo il
padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da
parte di Dio; assunzione di una responsabilit enorme, da parte dell'uomo.
Come custodire i beni di Dio che abbiamo fra le mani? Beni di Dio che sono il
mondo e ogni vivente? Il Vangelo propone due atteggiamenti iniziali: fate
attenzione e vegliate. Tutti conosciamo che cosa comporta una vita distratta:
fare una cosa e pensare ad altro, incontrare qualcuno ed essere con la testa da
tutt'altra parte, lasciare qualcuno e non ricordare neppure il colore dei suoi
occhi, per non averlo guardato. Gesti senz'anima, parole senza cuore. Vivere
con attenzione l'altro nome dell'Avvento e di ogni vita vera. Ma attenti a che
cosa? Attenti alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute e

alla ricchezza dei loro doni. Quanta ricchezza di doni sprecata attorno a noi,
ricchezza di intelligenza, di sentimenti, di bont, che noi distratti non sappiamo
vedere. Attenti al mondo grande, al peso di lacrime di questo pianeta barbaro
e magnifico, alla sua bellezza, all'acqua, all'aria, alle piante. Attenti alle piccole
cose di ogni giorno, a ci che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi
affidato. Il secondo verbo: vegliate. Contro la vita sonnolenta, contro
l'ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare. Vegliate
perch c' un futuro; perch non tutto qui, il nostro segreto oltre noi,
perch viene una pienezza che non ancora contenuta nei nostri giorni, se
non come piccolo seme. Vegliate perch c' una prospettiva, una direzione, un
approdo. Vegliare come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il
lento emergere dell'alba, perch la notte che preme intorno non l'ultima
parola, perch il presente non basta a nessuno. Vegliate su tutto ci che nasce,
sui primi passi della pace, sui germogli della luce. Attesa, attenzione, vigilanza
sono i termini tipici del vocabolario dell'Avvento e indicano che tutta la vita
dell'uomo tensione verso, uno slancio verso altro che deve venire, che il
segreto della nostra vita oltre noi. Allora sempre tempo d'Avvento, sempre
tempo di abbreviare distanze, di vivere con attenzione. Sempre tempo di
adottare strategie di risveglio della mente e del cuore, in modo da non
arrendersi al preteso primato del male e della notte, in modo da non dissipare
bellezza, e non peccare mai contro la speranza. (Letture: Isaia 63, 16-17.19;
64, 2-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1, 3-9; Marco 13, 33-37)

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


01/12/2011
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Quelle buone novelle nella vita di ogni giorno

II Domenica di Avvento - Anno B Inizio del Vangelo di Ges, Cristo, Figlio di Dio
(...). Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di
conversione per il perdono dei peccati (...). E proclamava: Viene dopo di me
colui che pi forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei
suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzer in Spirito
Santo. Il Vangelo di questa domenica chiuso tra due parentesi che subito
dilatano il cuore. La prima: inizio del vangelo di Ges. E sembra quasi una
annotazione pratica, un semplice titolo esterno al racconto. Ma il sigillo del
senso nel termine vangelo che ha il significato di bella, lieta, gioiosa
notizia. Dio si propone come colui che conforta la vita e dice: Con me vivrai
solo inizi, inizi buoni! Perch ci che fa ricominciare a vivere, a progettare, a
stringere legami sempre una buona notizia, un presagio di gioia, uno
straccetto di speranza almeno intravista. Infatti cos che inizia la stessa
Bibbia: Dio guard e vide che era cosa buona! La bella notizia di Marco una

persona, Ges, un Dio che fiorisce sotto il nostro sole. Ma fioriscono anche altri
minimi vangeli, altre buone notizie che ogni giorno aiutano a far ripartire la
vita: la bont delle creature, le qualit di chi mi vive accanto, i sogni coltivati
insieme, le memorie da non dimenticare, la bellezza seminata nel mondo che
crea ogni comunione. A noi spetta conquistare sguardi di vangelo! E se
qualcosa di cattivo o doloroso accaduto, buona notizia diventa il perdono,
che lava via gli angoli oscuri del cuore. Infine la parentesi finale: Viene dopo di
me uno pi forte di me. Giovanni non dice: verr, un giorno. Non proclama: sta
per venire, tra poco, e sarebbe gi una cosa grande. Ma semplice, diretto,
sicuro dice: viene. Giorno per giorno, continuamente, adesso Dio viene. Anche
se non lo vedi, anche se non ti accorgi di lui, viene, in cammino su tutte le
strade. Si fa vicino nel tempo e nello spazio. Il mondo pieno di tracce di Dio.
C' chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, Giovanni vede il
cammino di Dio nella polvere delle nostre strade. E ci aiuta, ci scuote, ci apre
gli occhi, insinua in noi il sospetto che qualcosa di determinante stia
accadendo, qualcosa di vitale, e rischiamo di non vederlo: Dio che si fa vicino,
che qui, dentro le cose di tutti i giorni, alla porta della tua casa, ad ogni
risveglio. La presenza del Signore non si rarefatta in questo mondo distratto,
il Regno di Dio non stato sopraffatto da altri regni: l'economia, il mercato,
l'idolo del denaro. Io credo che il mondo pi vicino a Dio oggi di dieci o
vent'anni fa. Me lo assicura la libert che cresce da un confine all'altro della
terra, i diritti umani, il movimento epocale delle donne, il rispetto e la cura per
i disabili, l'amore per l'ambiente... La buona notizia una storia gravida di
futuro buono per noi e per il mondo, gravida di luce perch Dio sempre pi
vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Profumo di vita. (Letture:
Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)

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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi


08/12/2011
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Chiamati a essere testimoni di luce

III Domenica d'Avvento Anno B Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome
era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perch tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare
testimonianza alla luce. Questa la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei
gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levti a interrogarlo: Tu, chi sei?.
(...) Rispose: Io sono voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via
del Signore, come disse il profeta Isaa (...). Venne Giovanni mandato da Dio,
venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce. Ad una cosa sola il
profeta rende testimonianza: non alla grandezza, alla maest, alla potenza di
Dio, ma alla luce. Ed subito la positivit del Vangelo che fiorisce, l'annuncio

del sole, la certezza che il rapporto con Dio crea nell'uomo e nella storia un
movimento ascensionale verso pi luminosa vita. Giovanni afferma che il
mondo si regge su un principio di luce, che vale molto di pi accendere una
lampada che maledire mille volte la notte. Che la storia una via crucis ma
anche una via lucis che prende avvio quando, nei momenti oscuri che mi
circondano, io ho il coraggio di fissare lo sguardo sulla linea mattinale della
luce che sta sorgendo, che sembra minoritaria eppure vincente, sui primi
passi della bont e della giustizia. Ad ogni credente affidato il ministero
profetico del Battista, quello di essere annunciatore non del degrado, dello
sfascio, del peccato, che pure assedia il mondo, ma testimone di speranza e di
futuro, di sole possibile, di un Dio sconosciuto e innamorato che in mezzo a
noi, guaritore delle vite. E mi copre col suo manto dice Isaia, e far
germogliare una primavera di giustizia, una primavera che credevamo
impossibile. Per tre volte domandano a Giovanni: Tu, chi sei? Il profeta risponde
alla domanda di identit con tre "no", che introducono il "s" finale: io sono
Voce. Egli trova la sua identit in rapporto a Dio: Io sono voce, la parola un
Altro. Io sono voce, trasparenza di qualcosa che viene da oltre, eco di parole
che vengono da prima di me, che saranno dopo di me. Testimone di un altro
sole. Chi sei tu? rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta
come in Giovanni, nello sfrondare da apparenze e illusioni la nostra vita. Io non
sono l'uomo prestigioso che vorrei essere ne il fallito che temo di essere. Io
non sono ci che gli altri credono di me, n un santo, n solo peccatore. Io non
sono il mio ruolo o la mia immagine. La mia identit ultima Dio; il mio
segreto in sorgenti d'acqua viva che sono prima di me. La vita scorre
nell'uomo, come acqua nel letto di un ruscello. L'uomo non quell'acqua, ma
senza di essa non pi. Cos noi, senza Dio. E venne un uomo mandato da Dio.
Anch'io sono un uomo mandato da Dio, anch'io testimone di luce, ognuno un
profeta dove si condensa una sillaba del Verbo. Il nostro tempo tempo della
luce nel frammento opaco, di fiducia e smarrimento, dentro il quale io cerco
l'elemosina di una voce che mi dica chi sono veramente. Un giorno Ges dar
la risposta, e sar la pi bella definizione dell'uomo: Voi siete luce! Luce del
mondo. (Letture: Isaia 61,1-2.10-11; Luca 1; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni
1,6-8.19-28).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


15/12/2011
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Nella vita quotidiana Dio parla il linguaggio della gioia

IV Domenica di Avvento - Anno B In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato


da Dio in una citt della Galilea, chiamata Nzaret, a una vergine, promessa
sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si
chiamava Maria. Entrando da lei, disse: Rallgrati, piena di grazia: il Signore
con te. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso
avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: Non temere, Maria, perch
hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e
lo chiamerai Ges. Sar grande e verr chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore
Dio gli dar il trono di Davide suo padre e regner per sempre sulla casa di
Giacobbe e il suo regno non avr fine. Allora Maria disse all'angelo: Come
avverr questo, poich non conosco uomo?. Le rispose l'angelo: Lo Spirito
Santo scender su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprir con la sua ombra.
Perci colui che nascer sar santo e sar chiamato Figlio di Dio. Ed ecco,
Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e
questo il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla impossibile a Dio.
Allora Maria disse: Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua
parola. E l'angelo si allontan da lei. L'annunciazione si apre con l'elenco di
sette nomi propri di luoghi e persone (Gabriele, Dio, Galilea, Nazaret, Maria,
Giuseppe, Davide) per indicare, attraverso il numero sette che simboleggia la
pienezza, la totalit della vita. Non ai margini, ma al centro della vita Dio
viene, come evento e non come teoria. Un giorno qualunque, un luogo
qualunque, una giovane donna qualunque: il primo affacciarsi del Vangelo un
annuncio consegnato in una casa. Al tempio Dio preferisce la casa. bello
pensare che Dio ti sfiora non solo nelle liturgie solenni delle chiese, ma anche e soprattutto - nella vita quotidiana. Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca, lo fa in un
giorno di festa, nel tempo delle lacrime o quando dici a chi ami le parole pi
belle che sai. La prima parola dell'angelo non un semplice saluto, ma: Chare,
sii lieta, gioisci, rallegrati! Non ordina: fa' questo o quello, inginocchiati, vai,
prega... Ma semplicemente, prima ancora di ogni risposta: gioisci, apriti alla
gioia, come una porta si spalanca al sole. Dio parla il linguaggio della gioia per
questo seduce ancora. E subito aggiunge il perch della gioia: piena di grazia,
riempita di tenerezza, di simpatia, d'amore, della vita stessa di Dio. Il nome di
Maria amata per sempre. Il suo ruolo ricordare quest'amore che d gioia
e che per tutti. Tutti, come lei, amati per sempre. Maria fu molto turbata.
Allora l'angelo le disse: Non temere, Maria. Non temere se Dio non sceglie la
potenza, non temere, l'umilt di Dio, cos lontana dalla luci della scena, dai
riflettori, dai palazzi; non temere questo Dio bambino che far dei poveri i
principi del suo regno. Non temere l'amore. Ecco concepirai e darai alla luce un
Figlio, che sar Figlio di Dio. La risposta di Maria non un "s" immediato, ma
una domanda: come possibile? Porre domande a Dio non mancanza di
fede, stare davanti a Lui con tutta la dignit di creatura, con maturit e
consapevolezza, usare tutta l'intelligenza e dopo accettare il mistero. Solo
allora il "s" maturo e creativo, potente e profetico: eccomi sono la serva del
Signore. Serva parola biblica che non ha niente di passivo, non evoca
sottomissione remissiva; serva del re la prima dopo il re, colei che
collabora, con-creatrice con il creatore. E l'angelo part da lei. Un inedito: per la
prima volta in tutta la Bibbia ad una creatura della terra, ad una donna, che
spetta l'ultima parola nel dialogo tra il cielo e la terra: nuova dignit della
creatura umana. La tua prima parola, Maria, / ti chiediamo di accogliere in
cuore: / come sia possibile ancora /concepire pur noi il suo Verbo (Turoldo).

(Letture: Samuele 7,1-5.8b-12.14a-16; Salmo 88; Romani 16, 25-27; Luca 1,


26-38)

riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


22/12/2011
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La storia ricomincia dagli ultimi

Natale del Signore Messa della notte In quei giorni un decreto di Cesare
Augusto ordin che si facesse il censimento di tutta la terra (...) Anche
Giuseppe, dalla Galilea, dalla citt di Nazaret, sal in Giudea alla citt di Davide
chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di
Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede
alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una
mangiatoia, perch per loro non c'era posto nell'alloggio (...) A Natale non
celebriamo un ricordo, ma una profezia. Natale non una festa sentimentale,
ma il giudizio sul mondo e il nuovo ordinamento di tutte le cose. Quella notte il
senso della storia ha imboccato un'altra direzione: Dio verso l'uomo, il grande
verso il piccolo, dal cielo verso il basso, da una citt verso una grotta, dal
tempio a un campo di pastori. La storia ricomincia dagli ultimi. Mentre a Roma
si decidono le sorti del mondo, mentre le legioni mantengono la pace con la
spada, in questo meccanismo perfettamente oliato cade un granello di sabbia:
nasce un bambino, sufficiente a mutare la direzione della storia. La nuova
capitale del mondo Betlemme. L Maria diede alla luce il suo figlio
primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia... nella greppia
degli animali, che Maria nel suo bisogno legge come una culla. La stalla e la
mangiatoia sono un "no" ai modelli mondani, un "no" alla fame di potere, un
no al "cos vanno le cose". Dio entra nel mondo dal punto pi basso perch
nessuna creatura sia pi in basso, nessuno non raggiunto dal suo abbraccio
che salva. Natale il pi grande atto di fede di Dio nell'umanit, affida il figlio
alle mani di una ragazza inesperta e generosa, ha fede in lei. Maria si prende
cura del neonato, lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Lo fa vivere con il suo
abbraccio. Allo stesso modo, nell'incarnazione mai conclusa del Verbo, Dio
vivr sulla nostra terra solo se noi ci prendiamo cura di lui, come una madre,
ogni giorno. C'erano in quella regione alcuni pastori... una nuvola di ali e di
canto li avvolge. cos bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un
gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte... bello per tutti i poveri, gli ultimi,
gli anonimi, i dimenticati. Dio riparte da loro. Vanno e trovano un bambino. Lo
guardano: i suoi occhi sono gli occhi di Dio, la sua fame la fame di Dio, quelle
manine che si tendono verso la madre, sono le mani di Dio tese verso di loro.
Perch il Natale? Dio si fatto uomo perch l'uomo si faccia Dio. Cristo nasce

perch io nasca. La nascita di Ges vuole la mia nascita: che io nasca diverso e
nuovo, che nasca con lo Spirito di Dio in me. Natale la riconsacrazione del
corpo. La certezza che la nostra carne che Dio ha preso, amato, fatto sua, in
qualche sua parte santa, che la nostra storia in qualche sua pagina sacra. Il
creatore che aveva plasmato Adamo con la creta del suolo si fa lui stesso creta
di questo nostro suolo. Il vasaio si fa argilla di una vaso fragile e bellissimo. E
nessuno pu dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perch Creatore e
creatura ormai si sono abbracciati. Ed per sempre. (Letture: Isaia 9,1-6;
Salmo 95; Tito 2,11-14; Luca 2, 1-14).

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