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Master Universitario di Secondo livello

ENVIRONMENT INNOVATION AND MANAGEMENT


EMEIM - I EDIZIONE

Titolo dellelaborato:

Il reato di avvelenamento colposo delle acque


nellesperienza della tutela dei beni comuni

Andrea Merlino

Direttore del Master


Prof. Franco Fontana

Introduzione: territorio, beni comuni e diritti


fondamentali.
- Squilibro ambientale ed economico finanziario
Gli scienziati ci permettono di affermare con certezza che luniverso allinterno del
quale il nostro pianeta ha svolto gran parte della sua millenaria esistenza
organizzato secondo una legge universale dell'equilibrio, con altrettanta certezza
possiamo affermare che tale legge, fondamento della vita dell'uomo e del pianeta,
stata da noi gravemente infranta portando come conseguenza diretta due grandi
squilibri: uno ambientale e uno economico- finanziario.
Il primo squilibrio riguarda le forze rigenerative della Terra. Gli scienziati di tutto
il mondo sono concordi nell'affermare che dal 2 agosto 2012 la Terra non pi in
grado di fornire l'ossigeno, l'acqua e il cibo necessari per sette miliardi di abitanti.
Ci dipeso da una moltitudine di fattori. Immensi territori sono stati devastati,
deforestizzati e cementificati; aria, acqua e suolo sono stati inquinati oltre ogni limite
sostenibile; gli equilibri ecologici, e specie l'equilibrio idrogeologico dell'Italia, sono
saltati; il buco nella coltre di ozono che circonda la Terra, e che non ricostituibile,
ha assunto dimensioni impressionanti, provocando danni irreparabili per l'uomo, per
gli animali e per la vegetazione; il cambiamento climatico ha sconvolto i cicli
stagionali ha aumentato a dismisura la frequenza degli uragani, ha innalzato il livello
del mare, ha distrutto gli immensi ghiacciai polari e quelli delle pi alte montagne, ha
arrecato danni incalcolabili alla vita del pianeta. In conclusione, le forze rigenerative
della Natura sono state sopraffatte dall'incoscienza dell'uomo, sostenuta da una
dominante concezione neoliberista che trasforma i desideri in bisogni e questi in
diritti al di fuori di qualsiasi principio di giustizia e di equit. Lavidit individuale ha
spinto all'accaparramento dei beni, alla sopraffazione dei deboli, alla diseguaglianza,
alla miseria generalizzata. Il secondo grande squilibrio a livello globale riguarda
l'economia reale. Oggi si calcola che il potere economico-finanziario privato supera
di diciotto volte il pil di tutti gli Stati del mondo. Se vero che il danaro ha una forza
impetuosa capace di rompere tutti gli argini, si capisce bene in quale condizione di
subordinazione ai cosiddetti poteri forti si trovino oggi gli Stati e i popoli. In

sostanza, l'economia stata finanziarizzata, poich le pi grandi banche, la cui


funzione originaria era quella di raccogliere i risparmi e concedere credito alle
imprese a fini produttivi, hanno preferito, invece, investire in titoli di credito, per
lucrare gli interessi, producendo, non pi sviluppo, ma recessione, disoccupazione e
disperazione. Tra le tante possibili cause di questi squilibri se ne evidenzia una in
particolare, tra le principali: l'accentramento della ricchezza nelle mani di pochi
speculatori ambientali e finanziari. C' un continuo travaso di ricchezza da molti
a pochi: si calcola che il 10 % della popolazione mondiale possiede il 50 % della
ricchezza totale, mentre l'altro 50 % delle risorse deve servire a sostenere il 90%
dell'intera popolazione del globo. Una possibile risposta a questo squilibrio, dovuta
ad una errata interpretazione del neoliberismo, stata quella di privatizzare, cio dare
a privati beni e servizi pubblici nell'erroneo convincimento che lo speculatore
privato, che comunque mira al suo tornaconto individuale, possa meglio servire
all'interesse pubblico. Viene da pensare che chi ha visto nella privatizzazione di beni
pubblici la migliore delle soluzioni possibili non abbia mai letto quanto Roosevelt
afferm in un suo famoso discorso al Congresso del 29 aprile 1938: Eventi infelici
accaduti in altri paesi ci hanno insegnato da capo due semplici verit in merito alla
libert di un popolo democratico. La prima verit che la libert di una democrazia
non salda se il popolo tollera la crescita di un potere privato al punto che esso
diventa pi forte dello stesso Stato democratico [...]. La seconda verit che la
libert di una democrazia non salda se il suo sistema economico non fornisce
occupazione e non produce e distribuisce beni in modo tale da sostenere un modello
di vita accettabile. In un contesto storico del tutto mutato le parole di Papa
Francesco pronunciate il 16 maggio 2013 in occasione della presentazione delle
lettere credenziali di alcuni ambasciatori, sembrano trovare una fonte comune
nellinterpretazione della realt odierna tanto diversa quanto affine nelle sue
manifestazioni: La crisi finanziaria che stiamo attraversando ci fa dimenticare la
sua prima origine, situata in una profonda crisi antropologica. Nella negazione del
primato dell'uomo! Abbiamo creato nuovi idoli. L'adorazione dell'antico vitello d'oro
ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del danaro e nella dittatura
dell'economia senza volto n scopo realmente umani [...]. Mentre il reddito di una
minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce.

Questo squilibrio deriva da ideologie che promuovono l'autonomia assoluta dei


mercati e la speculazione finanziaria, negando cos il diritto di controllo agli Stati
pur incaricati di provvedere al bene comune. Si instaura una nuova tirannia
invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le
sue leggi e le sue regole. Inoltre, l'indebitamento ed il credito allontanano i Paesi
dalla loro economia reale ed i cittadini dal loro potere d'acquisto reale. A ci si
aggiungono, oltretutto, una corruzione tentacolare e un'evasione fiscale egoista che
hanno assunto dimensioni mondiali. La volont di potenza e di possesso diventata
senza limiti. D'altro canto ben noto che motore dello sviluppo economico non
affatto laccentramento, ma la redistribuzione della ricchezza, la quale consente la
continuit della domanda, che sollecita l'offerta, la quale, a sua volta, produce beni
reali e sicuro assorbimento delle forze lavorative esistenti. Il dominio dei mercati
sulla societ e sulla politica ha innescato l'ossessiva rincorsa a "prezzare" ogni cosa.
Non basta ammirare le Dolomiti o l'Etna, necessario sapere quanto valgono in
moneta e quanto producono. Ai musei, alle cattedrali, alle citt, alle foreste, alla
forza lavoro di una fabbrica, alle spiagge, ai bambini di una scuola, agli ospedali, alle
specie animali vengono appesi cartellini del prezzo: cos a quanto pare si calcola il
rapporto costi-benefici utilizzato per decidere se chiudere o privatizzare ospedali,
scuole e musei, per licenziare operai, vendere palazzi, cartolarizzare montagne,
cementificare litorali, devastare l'ambiente. Cosa fare dinanzi a queste forze che
sembrano schiacciare qualsiasi iniziativa popolare? Prendere coscienza che possiamo
reagire: una reazione popolare contro il pensiero unico dominante del neoliberismo si
verificata con la vittoria del Referendum sull'acqua, affermata come bene comune
di tutti. Un passo concreto per riaffermare che la propriet collettiva del territorio
(inteso nel senso pi ampio possibile) prevale e condiziona la propriet privata, e che
quest'ultima deve essere reinterpretata secondo i principi di ordine pubblico
economico contenuti negli articoli 41 e 42 della vigente Costituzione repubblicana.
Un'ottima definizione dei beni comuni stata data dalla Commissione Rodot
(istituita per la modifica delle disposizioni in tema di patrimonio disponibile, di
patrimonio indisponibile e di demanio), la quale ha individuato come beni di uso
comune, quei beni essenziali per la sopravvivenza dell'uomo e per lo sviluppo della
persona umana, strettamente collegati ai diritti fondamentali []. Diritti

fondamentali, accesso, beni comuni disegnano una trama che ridefinisce il rapporto
tra il mondo delle persone e il mondo dei beni. Tale definizione ci porta ad ampliare
la visione individualistica dei diritti verso una visione collettivistica di una societ
che agisce secondo il principio dell'eguaglianza economica e sociale di tutti i
cittadini. In questo diverso ordine di idee assume grande rilevanza il rapporto tra
popolo e territorio. La vita civile implica in primo luogo l'individuazione di un
territorio come luogo comune nel quale, proprio a seguito di uno stretto rapporto
giuridicamente tutelato, tra popolo e territorio, si rende possibile il pieno sviluppo
della persona umana. Al concetto di popolo necessario affiancare, se non
sovrapporre nel suo rapporto con il territorio, il concetto di comunit ed in
particolare di quella che gi a met del 900, veniva definiva la comunit biotica
che allarga i confini della comunit umana per includervi suoli, acque, piante ed
animali e, in una parola, la terra allinterno del quale concretamente si esprime il
rapporto tra uomo e ambiente. infatti in questa comunit che, per usare ancora una
volta le parole di Rodot, il mondo delle persone davvero in grado di incontrare il
mondo dei beni, ed soltanto in questa comunit che deve aver origine e vita il
diritto. Da quel momento in poi il significato della parola ambiente ha cominciato
a corrispondere al significato di unaltra parola, pi precisa e concreta, biosfera.
Infatti si scelto di far ricorso a questultima, invece di usare la parola ambiente,
nel programma dell'Unesco intitolato Uomo e biosfera (MaB), e di biosfera parla
la famosa Dichiarazione Unesco di Stoccolma del 1972. Pensare all'ambiente come
biosfera, come quella parte del nostro universo dove si concentrano tutte le forme di
vita a noi conosciute, aiuta certamente ad ampliare i confini della riflessione sui
complessi legami tra il mondo delle persone e il mondo dei beni, tra popolo e
territorio. Non da sottovalutare in questa sede il fatto che la stessa Corte
costituzionale, con la sentenza n. 367 del 2007 e la sentenza n. 378 del 2007 riguardo
al tema della tutela dell'ambiente, ha provocato una forte rottura con lorientamento
precedente, avendo cura di precisare l'identit di significato delle parole ambiente e
biosfera. Vale la pena riportare quanto si legge, al paragrafo quattro, della parte in
diritto, della sentenza n. 378 del 2007: Occorre poi premettere, per la soluzione del
problema del riparto di competenze tra Stato, Regioni e Province autonome in
materia di ambiente, che sovente l'ambiente stato considerato come bene

immateriale. Quando si guarda all'ambiente come ad una materia del riparto della
competenza tra Stato e Regioni, necessario tener presente che si tratta di un bene
della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la
salvaguardia delle qualit e degli equilibri delle sue singole componenti. Oggetto di
tutela in tal caso pu essere solo la biosfera, che viene presa in considerazione non
solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra queste ultime, i loro
equilibri, la loro qualit, la circolazione dei loro elementi e cos via. La Corte ha
voluto, in linea con quanto si diceva prima, guardare allambiente come sistema
considerato nel suo aspetto dinamico quale realmente , e non soltanto da un punto di
vista statico ed astratto. La potest di disciplinare la tutela dellambiente nella sua
interezza stata affidata in via esclusiva allo Stato dallart. 117, comma secondo,
lettera S), della Costituzione, ne consegue che spetta a questultimo disciplinare
lambiente come unentit organica. Tale disciplina unitaria e complessiva del bene
ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed
assoluto e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di
tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore.
Probabilmente in questa stessa cornice semantica un grande costituzionalista tedesco
ha posto l'accento sulla necessit di passare da uno Stato sociale di diritto ad uno
Stato ambientale di diritto, immaginando di veder recedere il principio
antropocentrico che da sempre ha dominato il campo del diritto a favore di un pi
ampio e omnicomprensivo principio biocentrico, che non si ferma alla comunit
umana, ma investe la comunit biotica, la comunit di tutti gli esseri viventi. Questa
la necessaria base di una nuova idea di diritto e di giustizia che presuppone un
rapporto inscindibile tra l'uomo e la terra, rapporto che certamente trascende i singoli
individui, ma che connaturato sia alla terra, sia all'uomo, che in fondo dalla terra
deriva, condividendo con questa un percorso vitale.

- La tutela dellambiente attraverso le legge


penale
Ma come luomo nel suo percorso di sviluppo in qualit di componente la comunit
biotica ha pensato di dover difendere la biosfera? E quando nata questa necessit di
difesa? Potremmo essere indotti in errore se, senza volgere lo sguardo al passato,
dovessimo pensare che la tutela dellambiente solo una conquista del nostro
tempo come ritenuto da alcuni critici poco attenti. Il rapporto delluomo con la
natura alla base dellevoluzione umana, gli uomini hanno sempre trovato in natura
tutto quello che era necessario alla loro sopravvivenza. Questo rapporto in origine era
di natura quasi mistica, Madre Natura curava e forniva alluomo quanto egli aveva
bisogno e lui la ringraziava considerandola una Dea. Nella sua evoluzione questo
rapporto mistico con la Natura stato sostituito da un concetto di origine cristiana, la
Divina Provvidenza. La Provvidenza presuppone (nel contesto di una visione
cristiana della realt) che luomo pu aver fede in un Dio che provveder ai suoi
fabbisogni. Nella prima teologia cristiana, la dottrina della Provvidenza
direttamente collegata con la storia della Creazione. Dopo l'atto della creazione dal
nulla, Dio non ha semplicemente abbandonato il suo lavoro. La sua volont rimane
presente e opera in quello che stato creato, egli continua a lavorare al suo interno,
in virt della sua onnipotenza e secondo il suo piano. Con Provvidenza si
intendeva conservatio, la conservazione del mondo e la continuazione della
creazione. Ma il continuo processo culturale e di progresso ha portato lessere
umano ad allontanarsi da un concetto mistico della Natura fino, sotto il lume della
ragione, a dichiarare "cogito ergo sum". Cartesio sceglie questa certezza iniziale,
indubitabile e inconfutabile come punto di partenza del suo Discorso sul metodo,
la ricerca di un metodo per stabilire la verit. "Penso, dunque sono" stato un colpo
senza precedenti nella causa per la libert. Il soggetto autonomo agisce
indipendentemente dall'autorit della Chiesa o di un sovrano assoluto. La Natura e il
corpo umano vengono considerati meccanismi, realizzati da un Dio orologiaio che,
dopo aver chiuso il meccanismo, scompare dalla foto. Il soggetto pensante, ora
liberato, si concentra sull'obiettivo dellautoconservazione. Ora pu acquisire

padronanza sulla natura, prendendone possesso, classificandola, rendendola utile e


asservita alla soddisfazione dei bisogni umani, attraverso il pensiero razionale.
Riconoscendo come vero solo ci che evidente e dimostrabile. Rompere qualcosa
nelle sue tante parti costituenti, se necessario, sezionare, analizzare, misurare,
riorganizzare e ricostruire. Luomo arrivato a considerare la natura come un
oggetto separato da se, da studiare non tanto per meglio comprenderla e tutelarla ma
per dominarla. Linteresse delluomo verso la natura e il conseguente problema del
rapporto con essa, ha quindi radici remote e molto complesse. Sin dallantichit la
riflessione su questo tema ha invitato grandi autori come Esiodo, Lucrezio, Virgilio e
Plinio il Vecchio (Le opere e i giorni di Esiodo, De rerum natura, di Tito Lucrezio
Caro, Le Bucoliche e le Georgiche di Publio Virgilio Marone e la Naturalia Historia
di Plinio il Vecchio) a riflettere e studiare il rapporto tra Natura e Uomo. In questo
percorso hanno trovato sviluppo ed evoluzione tanti concetti, come il moderno
concetto di sviluppo sostenibile, oggi al centro della discussione sul tema ambientale
e pi in generale ecologico. Il fulcro centrale sembra proprio essere come lessere
umano interpreta il proprio ruolo e la propria funzione nei confronti della natura, e
pi specificatamente come e cosa considera essere la Natura nel suo complesso.
Alcune caratteristiche intrinseche dellessere umano si sono comunque espresse in
periodi storici dominati da circostanze politiche e sociali che lo hanno portato, in
ragione del suo stretto e necessario legame vitale con la Terra, prima a sfruttarla e
poi, grazie allabuso di questo sfruttamento, a doversene prendere cura. E cos che
lidea di una protezione dellambiente che fosse in grado di colpire, anche attraverso
delle sanzioni, coloro che ponevano in essere atti dannosi per lecosistema trova
origini antichissime. Ur-Nammu, re sumerico di Ur, ricordato principalmente per il
suo codice di leggi (il pi antico fino ad oggi conosciuto e che precede di tre secoli
quello di Hammurabi), nel Codice Ur-Nammu di Lagash (2100 a.c.) erano previste
sanzioni pecuniarie a carico di chi contaminava lacqua dei pozzi. Ancora nel diritto
romano erano presenti norme di prevenzione relative allinquinamento di canali o
agli scarichi delle concerie di pelle. Come nelle leggi delle XII tavole (duodecim
tabularum leges) corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C., contenenti regole di
diritto privato e pubblico, erano previste sanzioni durissime per reprimere
comportamenti e azioni atti a turbare il pacifico svolgimento delle attivit agricole, e

ipotesi di incendio doloso. In epoca medievale, fu il diritto penale ad assumere un


ruolo pi incisivo nella tutela dellambiente: nella Costituzione di Melfi di Federico
II (1231 d.C.), era previsto un divieto assoluto di gettare piante, di cui non si
conosceva la specie (o avvelenate), nei pozzi dacqua. Riguardo proprio alla tutela
dellacqua, fonte di vita per le popolazioni cittadine medievali, la Costituzione di
Friburgo (1520 d.C.) puniva con laffogamento colui che insozzava i pozzi. Inoltre,
chi danneggiava il patrimonio boschivo subiva delle pene davvero crudeli: se
tagliava una quercia, gli veniva mozzata la testa; in caso di scortecciamento cum
dolo malo gli venivano estratte le viscere del corpo. In epoca pi recente, nel 1700,
la legislazione ambientale comincia a puntare sul migliorare lecosistema, oltre che a
reprimere chi ne cagiona danno. A Dresda, ad esempio, fu emanata unordinanza che
impediva agli sposi di contrarre matrimonio finch non avessero dimostrato di aver
piantato nella loro nuova casa un certo numero di alberelli. Nel XIX secolo, nei
Lnder tedeschi erano previste sanzioni pecuniarie per la omessa denuncia di
inquinamento delle acque da parte di terzi. Il transito dallera agricola a quella
industriale ha comportato, senza dubbio, i danni pi gravi per lambiente. Ci
avvenuto soprattutto con la seconda industrializzazione nella seconda met del
novecento. Come conseguenza immediata del progressivo degrado ambientale, si
cominciato a prendere coscienza dellimportanza dei beni naturali in relazione alla
stessa sopravvivenza delluomo. Fu a partire dai primi anni 60 che la coscienza del
problema ambientale matur nellopinione pubblica. Luscita del libro Silent Spring
della biologa americana Rachel Carson fu levento chiave: luomo stava
distruggendo la natura e, quindi, se stesso. Il problema della tutela dellambiente a
questo punto emergeva in tutta la sua tragicit. A partire da quegli anni di grande
fermento culturale, cresciuta la consapevolezza che luomo stava vivendo in
conflitto con la natura, sensazione, questultima, alimentata dalla minaccia ecologica.
Come conseguenza, la questione ambientale ha acquisito una centralit sempre
crescente nei dibattiti non solo scientifici, ma anche politici e giuridici. In una
prospettiva tendenzialmente geocentrica, lambiente inizia ad assumere, nel sentire
comune, una sua autonoma dignit di bene, che per altro gi dalla fine degli anni
settanta - gli era stata espressamente riconosciuta, in una delle pi recenti
Costituzioni democratiche europee, quella spagnola del 1977 e in una serie di

successivi aggiornamenti delle costituzioni di altri importanti Paesi europei quali:


Germania (1994), Belgio (1993), Olanda (1993), Svizzera (1998), Finlandia (2000),
Francia (2005). In tempi pi recenti ulteriore accelerazione al consolidamento della
nuova sensibilit ambientale soprattutto in riferimento alla popolazione, stata data
dal succedersi di eclatanti incidenti, che hanno dato luogo a veri e propri disastri
ambientali ponendo laccento sulla necessit di una tutela penale ambientale, da
ricercare peraltro a livello sovranazionale. Il disastro nucleare di Chernobyl, il caso
Bhopal, lincidente della Sandoz, la nube tossica di Seveso, il naufragio della Amoco
Cadiz, il preoccupante fenomeno delle piogge acide con relativa distruzione di intere
foreste e contaminazione di suoli, mari o fiumi, il problema della desertificazione,
linquinamento dellaria tutti argomenti utili a sostenere che la questione ambientale
fuoriesce dallo stretto ambito nazionale in cui i fatti materialmente si verificano. Cos
come assumono valenza internazionale lutilizzazione, la conservazione e la gestione
degli elementi che compongono lambiente. Questa presa di coscienza a livello
internazionale ha coinvolto sia la Comunit Europea che tutti gli stati membri,
richiamando tutte le istituzioni ad una necessaria maggior attenzione alla questione
ambientale. Oggi la necessaria integrazione di fonti di natura europea e nazionale
nella tutela del bene ambiente rappresenta la sfida principale posta non solo ai
legislatori, ma anche alla politica. La materia ambientale, soprattutto negli ultimi
quarantanni, ha vissuto e si formata a livello internazionale e comunitario, dove le
convenzioni e i trattati, da una parte, e le direttive, i regolamenti, le decisioni, ma
anche le sentenze della Corte di Giustizia, dallaltra, la modificano e la plasmano in
maniera sempre pi incidente. Questa spinta ha dato origine a direttive e regolamenti
finalizzati a sensibilizzare i legislatori nazionali introducendo normative che
prevedessero degli efficaci e mirati mezzi di tutela dellambiente, nonch delle
sanzioni in caso di danno a carico di questultimo. La consapevolezza
dellimportanza cruciale degli interessi sottesi alla pi ampia nozione categoriale di
ambiente ha indotto il legislatore comunitario ad intervenire pi volte suggerendo
cos agli Stati membri lintroduzione di normative di carattere in primo luogo penale,
ma anche amministrativo e civile. La preoccupazione per laumento dei reati contro
lambiente e per le loro conseguenze, che sempre pi frequentemente si estendono al
di l delle frontiere degli Stati ove tali reati vengono commessi, che gi nel 1998

aveva portato il Consiglio d'Europa ad adottare una convenzione sulla protezione


dell'ambiente attraverso il diritto penale, ha costituito successivamente il fondamento
dalla Direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dellambiente.
Tale direttiva, obbliga gli Stati membri a prevedere nella loro legislazione
nazionale sanzioni penali in relazione a gravi violazioni delle disposizioni del diritto
comunitario in materia di tutela dellambiente. Il ricorso alle sanzioni penali stato
ritenuto necessario sulla base del presupposto che sono indice di una riprovazione
sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alle sanzioni amministrative o ai
meccanismi risarcitori di diritto civile. La direttiva si spinge anche oltre, indicando
gli ambiti specifici dellintervento penale mediante unelencazione delle condotte
penalmente rilevanti. In tempi recenti la tutela penale dell'ambiente nell'ordinamento
giuridico italiano risulta caratterizzata da sempre, da una molteplicit di leggi, decreti
e regolamenti, che hanno portato la dottrina a parlare di "ipertrofia normativa" e di
"inquinamento normativo", proprio per definire questa sovrabbondanza di
disposizioni in materia ambientale. Il tema dell'ambiente e della sua tutela, a lungo
ignorato dalla dottrina penalistica, soltanto negli ultimi decenni stato affrontato con
la meritata attenzione che ha finalmente permesso l'individuazione di una nozione di
riferimento, e del pi corretto modello di incriminazione da utilizzare in sede penale.
In Italia come in molti altri Paesi dEuropa, la legislazione penale in materia
ambientale si contraddistingue oggigiorno per essere costituita da disposizioni che
rientrano nel modello cosiddetto sanzionatorio puro. Si tratta di norme, cio, per lo
pi legate a specifiche norme della disciplina amministrativa, e gli illeciti previsti si
incentrano principalmente sullinosservanza di disposizioni di fonte o natura
amministrativa. Questo modello nasce dalla accessoriet del diritto penale al diritto
amministrativo, vale a dire dal fatto che le condotte sanzionate non sono individuate
in virt di concreti danni al bene ambiente, ma in virt della mancata osservanza di
prescrizioni dettate dalla Pubblica Amministrazione, ponendo cos in essere reati di
pericolo astratto o presunto. Senza dubbio, infatti, nella tutela penale dell'ambiente
ha tradizionalmente pesato l'esistenza di un consolidato quadro normativo
extrapenale: nella scelta tra un indirizzo penalistico ed uno politico-amministrativo il
legislatore italiano ha nettamente scelto nel secondo senso. Il sistema italiano, fin dai
lontani tempi della legge anti smog del 1966, e poi della legge Merli, e ancora della

prima legge sui rifiuti, ha sempre preferito un modello di incriminazione che affidava
alla sanzione penale una funzione gregaria rispetto alla violazione di un dato regime
amministrativo. In definitiva la tutela ambientale nel nostro Paese sempre stata una
competenza precipua della Pubblica Amministrazione cui si affidato il compito di
mediare tra gli interessi contrapposti (interessi ambientali e altri interessi dell'uomo,
secondo la nota visione antropocentrica dell'ambiente). Su questa scia la maggior
parte delle fattispecie incriminatrici via via introdotte a protezione delle diverse
matrici ambientali hanno sempre fatto rinvio, nella configurazione del precetto
penale, ad atti amministrativi, o a norme che li disciplinano. Oggi il diritto
ambientale italiano composto da una moltitudine di atti, i quali, essendo
indipendenti e slegati luno dallaltro, rendono la materia di complessa fruizione.
Senza tema di smentita si pu qui affermare che laria, lacqua, il suolo e il
sottosuolo in questo paese non sono provvisti di una seria tutela penale. La quasi
totalit degli illeciti penali contro lambiente esistenti, difatti, costituita da mere
contravvenzioni e non da delitti per le ragioni che sopra abbiamo esposto. Le
conseguenze pratiche di questa situazione sono varie. Per citare solo le principali: nei
fatti per la presenza nel nostro sistema penale di una serie di istituti, in senso lato,
indulgenziali, permane una altissima probabilit che nessuno, o quasi nessuno,
sconti mai un giorno di pena per una condanna per un reato ambientale; esistono
limiti alla impossibilit per la polizia giudiziaria di procedere ad arresto in flagranza
o, anche per il pubblico ministero, a fermo di indiziato di reato; come fatto divieto
per la magistratura di disporre misure cautelari personali (da quelle pi gravi, come
la custodia in carcere, a quelle pi lievi, come lobbligo di presentazione alla polizia
giudiziaria). Ma, prima e pi di quelli appena accennati, v un altro effetto
collaterale indissolubilmente legato alla natura di contravvenzione dei reati contro
lambiente, il pi devastante: il rischio prescrizione. Il nostro codice penale prevede
che un illecito del genere si prescriva, ossia si estingua per il mero decorso del
tempo, in un termine massimo di cinque anni. Nei nostri tribunali capita molto spesso
che in cinque anni un processo penale non si concluda; il che vuol dire che, prima
che arrivi una sentenza definitiva, giunge la fine per prescrizione, tanto frequente
quanto innaturale per il reato e, dunque, per il processo.

Cap. I: Industrializzazione e rischi ambientali: analisi


di un caso concreto
1 Storia ordinaria di una impresa
straordinariamente inconsapevole: la PM
Galvanica di Tezze sul Brenta
Il diritto composto da una serie di regole che aiutano a governare la relazione tra
luomo e lambiente, tutto questo non un esercizio di stile, ma ha delle conseguenze
concrete e tangibili. Di seguito affronteremo un caso di studio paradigmatico sotto
molti punti di vista a partire dalla sua origine qualificabile come una ordinaria storia
di sviluppo territoriale in un momento storico in cui la consapevolezza e anche le
conoscenze tecniche e scientifiche erano molto diverse dalle odierne.
La nostra storia comincia nel lontano 1971 e pi precisamente il 22 giugno, giorno in
cui il comune di Tezze sul Brenta (VI) concede unarea per la costruzione di un
edificio ad uso industriale. Richiedente lindustria di costruzioni meccaniche
Junior costruzioni meccaniche (la cui intestazione precedente era Cromatura
Zampierin sas, pi in l capiremo perch interessante sapere questo dettaglio).
Nulla di strano nella volont di una amministrazione locale di voler facilitare lo
sviluppo industriale di unarea come quella di Tezze sul Brenta la cui vocazione
principale viene tradita anche dal significato stesso del suo nome, tezze significa
fienili, e colpita come tanti altri comuni adiacenti da una forte emigrazione verso
terre lontane a cercar fortuna. Dal 1948 al 1968 la gente emigrava da Tezze verso
lestero perch in paese non esistevano industrie. Dal 1970 le cose cominciano a
cambiare, e in modo radicale. Le prime industrie, nei settori della concia e
dellabbigliamento ricevevano contributi dallamministrazione comunale per
insediarsi sul territorio comunale: ci siamo dati da fare per incoraggiare gli
imprenditori, mettendo a disposizione terreno a prezzo agevole per rendere
appetibile la zona, dichiara il sindaco in carica dal 1972 al 2002! Ed infatti
proprio al 72 che si pu far risalire linizio di un nuovo vigore industriale del
territorio comunale tanto da tornare a dare lavoro non solo alle maestranze locali, ma
anche a quelle dei territori adiacenti.

E passato un anno dalla prima concessione di terreno, siamo nel 72, il Comune di
Tezze continua a cedere zone di propriet comunali per agevolare gli insediamenti
industriali, il 28 marzo lamministrazione ha posto allordine del giorno del consiglio
comunale largomento: Proposta di vendita terreno sparso di propriet comunale.
Si tratta di 15.600 mq in localit Tre Case e di 84.000 mq in localit Granella da
destinare a zone industriali, gi previste nel programma di fabbricazione,
importante strumento di pianificazione territoriale che il Comune utilizza per
delimitare le zone destinate ad insediamenti residenziali e, soprattutto, quelle
destinate ad insediamenti industriali. Limpegno dellamministrazione a far fronte
alle continue domande per acquisto agevolato di terreno destinato a nuovi
insediamenti industriali che pervengono al Comune forte e trova anche conforto nei
numeri: infatti nel 51 risultavano esserci 183 addetti nellindustria, dieci anni dopo
si era arrivati a 351, nel 71 il primo forte balzo in avanti fino a 1005 e nell81 un
grande exploit che fa raggiungere i 2309 addetti.
Tra le tante richieste giunte ce ne interessa una in particolare, quella della ditta F.lli
Zampierin che richiede lacquisto di un ulteriore appezzamento di terreno al fine di
ampliare lattivit. La Giunta Municipale, adempiendo alla sua funzione principale di
governo del territorio nellinteresse comune, invita la richiedente alla presentazione
di un progetto di massima delle costruzioni che si andranno ad effettuare con la
precipua indicazione della loro destinazione. Dal progetto che la F.lli Zampierin
presenta, lamministrazione accerta che sar raddoppiato limpianto industriale con
indubbio vantaggio sia per leconomia locale in generale che per lo sviluppo
occupazionale in particolare. Il Comune nel contratto di compravendita si premura di
inserire la seguente clausola: il terreno ceduto deve essere destinato alla
costruzione di capannoni industriali, in caso di mancato adempimento di tale
obbligazione o di cambiamento di destinazione dellarea o di parte di essa, la
vendita dovr intendersi risolta senza bisogno di formalit alcuna. Ma non tutto,
si premura anche di inserire nello stesso contratto di compravendita dei limiti precisi
in merito alla tipologia di attivit che dovr essere svolta in questi nuovi insediamenti
industriali: purch non venga installato un impianto galvanico e vengano
rigorosamente rispettate le destinazioni del nuovo complesso. Considerando che il
ricavo di tale vendita sar reimpiegato per la manutenzione straordinaria del

patrimonio comunale e visto il consenso espresso dai consiglieri, il Comune aliena


alla ditta Junior Costruzioni meccaniche un appezzamento di terreno di propriet
comunale al prezzo 7.683.000.
Arriviamo cos verso linizio del 73 quando, a dispetto di quanto stabilito con
espressa clausola nellatto di compravendita del terreno precedentemente ceduto,
arriva una nuova richiesta al Comune di Tezze sul Brenta; sempre la nostra ditta
Junior costruzioni meccaniche a chiedere con lettera del 25/06/1973 al Comune
lautorizzazione per la realizzazione di un impianto galvanico!
Al fine di ottenere la concessione, e tenendo in seria considerazione i danni che
possono derivare da una inadeguata difesa dagli inquinamenti alla salute pubblica,
nonch gli interessi della Comunit locale, la ditta si impegna a ottemperare quanto
segue:
- che la societ inizi lattivit ad avvenuto collaudo dellimpianto di depurazione
- che limpianto di depurazione sar realizzato con il sistema del riciclo
- che il contenuto del cromo esavalente di eventuali scarichi liquidi dellimpianto
galvanico dovr risultare inferiore a 0,50 mg/l
- che limpianto di depurazione dovr funzionare in continuit durante le lavorazioni
dellimpianto galvanico
- che se limpianto di depurazione si dimostrasse inadeguato, la Societ si impegna a
sospendere immediatamente le lavorazioni dello stabilimento galvanico.
Il Comune, udito il parere favorevole espresso dallufficiale Sanitario del Comune
circa linstallazione del nuovo impianto, e viste le documentazioni ricevute dalla
Coldiretti e dal prof Ragusa coinvolti nel processo di valutazione dei possibili
pericoli dellistallazione oggetto della concessione, autorizza la ditta Junior ad
installare sul terreno precedentemente ceduto un complesso industriale galvanico per
la cromatura, stabilendo, ad ulteriore garanzia dellinteresse della Comunit, che ogni
qualvolta si proceder allo svuotamento dei fanghi raccolti nelle vasche stagne, dovr
essere presente un incaricato del Comune. Lamministrazione sicuramente riteneva
che questo progetto potesse dare un nuovo impulso e sviluppo alleconomia e al
progresso di Tezze, allo stesso tempo interessante notare come per garantire un
beneficio che sembra collettivo, ossia nuovi insediamenti industriali che
procureranno lavoro, una pubblica amministrazione possa bellamente ignorare una

clausola contrattuale che limitava, peraltro invalidando un atto di compravendita, la


scelta dellattivit da svolgere posta probabilmente a tutela di un bene superiore,
ovvero la salute pubblica. Gi nel 73 iniziava lattivit galvanica della Tricom
spa. Questa solo lorigine di una storia che ancora non entra nel vivo, dal 1977 al
1995 lattivit della Tricom spa stata costellata di una serie di eventi che gi
potevano essere considerati sintomi da un lato di un modo di fare impresa
inconsapevole e dallaltro di un modo interessato di governare il territorio, forse
molto diffuso in anni come quelli in cui la scarsa attenzione alle tematiche ambientali
era rappresentata anche dalla scarsa, se non assente del tutto, normativa in merito.
Di seguito si riportano in via meramente esemplificativa una serie di avvenimenti che
ci faranno meglio capire lepilogo a cui stiamo per arrivare:

- 1975 La ragione sociale della ditta Cromatura Zampierin cambia


in Tricom Spa. In febbraio vengono rilevati 7200 ug/l di cromo
totale e 3700 ug/l di nickel in forte aumento rispetto alle
rilevazioni fatte nel Settembre dellanno precedente in cui
vengono rilevati nello scarico della ditta 5700 ug/l di cromo e
3400 ug/l di nickel

- 1977 Comunicazione giudiziaria, per omissioni datti dufficio:


per il medico provinciale di Vicenza, lufficiale sanitario di Tezze
sul Brenta, il sindaco di Tezze sul Brenta (dipendente della stessa
ditta Tricom) per avvelenamento di acqua e scarico di rifiuti
industriali

in

acque

pubbliche

senza

autorizzazioni

danneggiamento aggravato per tre ditte, tra cui il gruppo Tricom.

- 1979

LAmministrazione

provinciale

di

Vicenza

revoca

lautorizzazione alla ditta Tricom di scaricare i liquami industriali.


Il sindaco di Tezze (ancora dipendente della ditta Tricom) emana
due autorizzazioni trimestrali provvisorie per continuare lo scarico
in deroga alla revoca della Provincia.

- 1980 Allacciamento alla rete fognaria consortile dellimpianto di


depurazione da parte dellazienda; nonostante tutto, vengono
rilevati superamenti dei parametri imposti per un corretto
smaltimento dei fanghi.

- 1980/1981 Vengono rilevati pozzi inquinati da cromo esavalente


nel circondario. A febbraio il comando carabinieri dei NAS di
Padova emette provvedimenti a carico della Tricom per:
- non aver indicato il luogo di destinazione dei fanghi scaturiti dalla depurazione dei
reflui industriali
- aver continuato a scaricare i fanghi nonostante la revoca della provincia, anche
dopo la scadenza delle proroghe temporanee emesse dal sindaco di Tezze sul Brenta
- aver continuato ad aumentare linquinamento a seguito del continuo peggioramento
qualitativo dei reflui industriali senza adottare tutte le misure necessarie ad evitare
tali inconvenienti
- aver omesso di far sottoporre i propri dipendenti alle visite mediche trimestrali
contro i rischi di malattie professionali

- 1982 Alla pretura di Bassano del Grappa arriva la richiesta di


rinvio a giudizio per 7 dipendenti della Tricom per scarico senza
autorizzazione di liquidi con residui chimici organici ed
inorganici. La richiesta riguarda anche il Medico Provinciale di
Vicenza e il Sindaco di Tezze sul Brenta per aver con pi azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualit di pubblici
ufficiali, indebitamente omesso atti del proprio ufficio.

- 1983/1984 Vengono rilevati inquinamenti da cromo esavalente


nelle zone limitrofe e in territori pi lontani. Nellagosto la ULSS
5 rileva varie infrazioni presso la ditta Tricom.

- 1985 In marzo la ULSS 5 rileva la mancanza di un idoneo


impianto di aerazione ed in ottobre vengono rilevati 240 ug/l di
cromo esavalente

- 1992 Il 25 febbraio la ditta SIEMEC dichiara che lo scarico del


depuratore di Tezze a lei in concessione ha superato i parametri
nichel e cromo.

- 1995 Lazienda Tricom Spa cede la propria attivit di cromatura


alla Galvanica PM

- 2001 A Cittadella viene emessa unordinanza che invita la


cittadinanza di varie frazioni a non utilizzare lacqua prelevata da
pozzi privati. Viene segnalato in un pozzo privato usato
abitualmente la presenza di cromo esavalente. Le quantit rilevate
vanno da 170 ug/l in su. Vengono emesse delle denunce per
lavvelenamento della falda.

- A Dicembre dello stesso anno la famiglia Milani, da poco


trasferitasi a Stroppari di Tezze del Brenta, comincia ad accusare
problemi legati alluso dellacqua del pozzo: prurito, rossore, mal
di testa e perdita di capelli.

- 2002 La polizia giudiziaria effettua delle indagini approfondite


alla ricerca della fonte dellinquinamento di suolo e acqua
individuando dapprima la zona di provenienza e poi la ditta
Galvanica PM come punto di partenza di tutto linquinamento.

- Nelle more del processo penale, in data 24 dicembre 2003, il


Tribunale di Bassano del Grappa dichiara il fallimento della ditta
Galvanica PM.

L'inquinamento era emerso 2002 quando erano stati segnalati livelli abnormi di
cromo esavalente nell'acqua di alcuni pozzi serviti dalla falda distanti anche 10-15
chilometri da Tezze. I successivi accertamenti della polizia giudiziaria avevano
condotto ad ipotizzare che la fonte dell'inquinamento fosse proprio la Pm
Galvanica. A produzione sospesa, iniziarono gli accertamenti sul terreno sottostante
lo stabilimento che diedero certezza nello stabilire che le vasche di lavorazione
avevano delle perdite e pertanto il cromo esavalente, a causa della sua alta solubilit,
era finito nella falda, diffondendosi poi in un'area molto pi ampia seguendo i
percorsi sotterranei dei corsi d'acqua. Siamo a questo punto arrivati allavvio
dellesperienza giudiziaria nella quale viene coinvolta la Galvanica P.M. e che
porter ad un epilogo dagli evidenti profili chiaro scuri.

2 Sentenza di condanna del Giudice di 1 grado:


riconosciuto lavvelenamento e non
semplicemente linquinamento
Dopo tre anni di processo, in data 25 ottobre 2006 viene emessa sentenza di
condanna a carico del sig. Paolo Zampierin, in qualit di amministratore delegato
della Galvanica PM, riconoscendolo colpevole del delitto di avvelenamento
colposo, p. e p. dagli art. 439 e 452 1 comma n.3 codice penale e condannandolo ad
una pena di due anni e sei mesi di reclusione, pena coperta da indulto.
Per comprendere a pieno la portata di questa sentenza necessario affrontare la
natura dei reati ascritti, ossia il reato di avvelenamento di acque o di sostanze
alimentari previsto dallart. 439 c.p. e del suo rapporto con la previsione dellart. 452
c.p., delitti colposi contro la salute pubblica, e pi in particolare con quanto previsto
al 1 comma, n.3.
Nella sentenza di condanna non viene riconosciuto il reato di inquinamento, ossia
non vengono riconosciuti solo i superamenti dei limiti tabellari previsti dalla legge
per limmissione o lo scarico di sostanze pericolose, ma piuttosto viene riconosciuto
il reato di avvelenamento e il valore che lacqua di falda rappresenta per i cittadini
che la utilizzano a scopo alimentare, diventando, di fatto, un avvelenamento ai danni
della collettivit.
Tale reato rientra allinterno della categoria dei reati commessi a cagione
dellincolumit pubblica, ponendo la tipologia di azioni commesse sotto una diversa
luce interpretativa. Il reato di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari
previsto dallart. 439 c.p. un delitto contro lincolumit pubblica, volto a
proteggere dal contatto con acque o sostanze alimentari avvelenate coloro che
potrebbero bere le acque avvelenate o mangiare gli alimenti avvelenati dopo la loro
distribuzione per il consumo e rientra nella categoria dei reati di pericolo in cui la
tutela del bene giuridico viene anticipata. I reati di pericolo costituiscono uno
strumento di estensione e rafforzamento della tutela penale in termini generalpreventivi: la minaccia di una pena collegata alla (mera) esposizione a pericolo di un
bene sortisce, infatti, un effetto di intimidazione/deterrenza ulteriore e, quindi,
superiore a quello espresso dalle fattispecie di danno. Attraverso la previsione di tali

reati, infatti, il legislatore avverte i destinatari delle norme che essi saranno puniti
non solo se danneggeranno un determinato bene, ma anche ed ancor prima se lo
porranno in pericolo.
Lexcursus logico di cui si trova ampia documentazione nelle pagine della sentenza,
ci fa capire che il giudice ha inteso dimostrare come possibile tutelare i cittadini e
uno dei loro diritti fondamentali, quello alla salute, nei confronti di chi, forse
inconsapevolmente, ha esercitato maldestramente la propria attivit industriale.
Nellanalizzare

linquadramento

teorico

del

reato

contestato,

in

merito

allorganizzazione sistematica dei reati di comune pericolo, reati a cui dedicato il


Titolo VI del Libro II del codice penale, il giudice scrive in merito al comune
pericolo: Si tratta del criterio unificante e distintivo dei delitti contro lincolumit.
Il requisito del comune pericolo non rappresenta il bene tutelato: il pericolo,
infatti, un concetto neutro, perch esprime una relazione di probabilit tra una
situazione e il verificarsi di un successivo fatto lesivo. Il comune pericolo esprime
la minaccia non per un singolo individuo, ma per un numero indeterminato di
potenziali vittime (il pericolo individuale per lincolumit tutelato nel Titolo XII).
La natura degli eventi e delle condotte punite in questo titolo, insieme con
lindeterminatezza dei soggetti esposti, evidenziano un ulteriore tratto comune
implicito dei delitti contro lincolumit pubblica: la diffusibilit del danno
possibile. Proseguendo in questa riflessione, con particolare riferimento
allincolumit pubblica, afferma: Il requisito dellindeterminatezza va interpretato
con riferimento al dato dimensionale delloffesa (una vasta cerchia di persone) Lo
dimostra lo stretto legame tra i concetti di incolumit pubblica e di comune
pericolo; il pericolo infatti comune quando riguarda pi persone; lincolumit
pubblica in quanto designa la proiezione esponenziale, collettiva, di beni
tipicamente individuali quali la vita, lincolumit fisica, la salute. Proprio a
questultima considerazione sulla salute, lo stesso giudice arriva ad un accostamento
tra la salute individuale e quella collettiva non riscontrando in queste due diverse
dimensioni della salute due beni degni di protezione differenti tra loro, piuttosto
come si legge: tutelando la salute pubblica il legislatore ha anticipato la soglia
della tutela, la salute delle singole, concrete, potenziali vittime, viene protetta sin dal
verificarsi di condotte prodromiche alla lesione. Come dicevamo il reato di

avvelenamento ex art. 439 rientra tra quelli contro lincolumit pubblica e


rappresenta una tipologia dei cos detti reati di pericolo Il giudice si legge pertanto
nella sentenza - non deve accertare se, in conseguenza dellavvelenamento, una o pi
persone abbiano riportato lesioni: una simile valutazione comporta un giudizio ex
post Deve, invece, accertare ex ante che le acque siano effettivamente destinate al
consumo nei luoghi in cui si innescata la catena causale che ha sviluppato
levento-disastro ovvero lungo la direttrice percorsa dalle acque le quali, se non
fermate, progredendo aggredirebbero punti di attingimento. Quindi il pericolo
deve avere la potenzialit di offendere il bene salute anche a prescindere che poi
effettivamente un reale danneggiamento di tale bene si verifichi. Questa
anticipazione della tutela di alcuni beni superiori come la salute della collettivit ad
alcuni potrebbe risultare eccessiva in quei casi in cui, accertato lavvelenamento le
circostanze possano permettere un ripristino senza conseguenze, neanche potenziali,
per la collettivit. Ma probabilmente la definizione di una serie di reati di pericolo,
come dicevamo, che anticipano la soglia della tutela del bene giuridico sono
lespressione di un alto interesse generale alla tutela del bene. Infatti anticipando la
soglia della tutela ( prima che siano attinte o distribuite per il consumo) la
norma incriminatrice copre tutto il possibile raggio dazione dellavvelenamento,
ossia lintervallo spaziale e/o temporale fra il fatto e le conseguenze dannose temute
per la cerchia di persone raggiungibili. Tutela, perci le acque che possono
realmente essere attinte per il consumo anche se non attualmente destinate al
consumo da parte di un numero indeterminato di persone. In altri termini, basta che
lattingimento o la distribuzione per il consumo non siano impossibili, e quindi che
non sia impossibile la oggettiva messa in pericolo del bene dellincolumit pubblica
Ecco perch in dottrina si ammette che il reato di cui allart. 439 c.p.,
configurabile anche quando le acque avvelenate sono quelle di un ruscello o di un
lago di montagna, in quanto la loro destinazione reale, anche se non attuale.
Ultimo fondamentale requisito analizzato dal giudice relativo al momento del
giudizio, in merito a tale aspetto pare palese la necessit di un giudizio prognostico,
il giudice deve riportarsi mentalmente al momento del fatto e verificare se era
probabile il verificarsi del risultato lesivo.

Quanto sopra rappresenta solo una sommaria valutazione dei principali elementi di
analisi come condotta nelle motivazioni della sentenza, questo ci permette di
comprendere meglio la natura logico-giuridica che ha portato alla condanna.
Volendo semplificare il giudice, intravedendo lacqua come un bene fondamentale
per il benessere e la sopravvivenza dellessere umano, ha interpretato
lavvelenamento non tanto come un mero superamento di limiti di immissione di
sostanze pericolose, ma piuttosto come un potenziale, e nel caso concreto anche
attuale, pericolo di lesione della salute pubblica quale bene supremo sottoposto a
tutele diverse dal mero inquinamento. Sentenza pi unica che rara nel suo genere.
Con questa sentenza del tribunale di Padova viene riconosciuto l'avvelenamento e
non semplicemente l'inquinamento, cos lallora ministro dell'Ambiente, Alfonso
Pecoraro Scanio, comment con "soddisfazione" la sentenza.

Cap. II: il reato di avvelenamento colposo delle acque


3. Natura del reato e interpretazione
giurisprudenziale e dottrinale.
Con la fattispecie in commento si apre la serie dei c.d. reati alimentari del codice
penale. Com' noto, la tutela della salute pubblica viene prevalentemente attuala dal
Legislatore attraverso tecniche normative volte a sanzionare quei comportamenti che,
pur non cagionando un nocumento effettivo ai singoli individui, espongono a
pericolo la salute di un numero indeterminato di persone: la repressione penale
interviene quindi in una fase anticipata, prodromica rispetto alla possibile
verificazione del danno, e ci rappresenta il comune denominatore delle fattispecie
penali di pericolo.
La fattispecie prevista dallart. 439 c.p. tutela la salute pubblica dalla minaccia
dell'avvelenamento di acque od altre sostanze destinate all'alimentazione. Recente
dottrina sottolinea peraltro come l'incolumit delle persone, uno dei molteplici
aspetti del soddisfacimento della tutela della salute, venga salvaguardata tutelando
l'innocuit degli alimenti di cui le persone hanno necessit vitale di approvvigionarsi
e consumare.
Pertanto, il recepimento da parte del legislatore nelle norme del codice penale della
tutela della salute come bene giuridico superindividuale e diffuso, ha comportato la
necessit di adottare la tecnica del reato di pericolo, ritenendosi che l'esposizione a
pericolo sia sufficiente a costituire offesa dell'interesse protetto. Infatti nella
giurisprudenza di legittimit costante l'affermazione che l'avvelenamento deve
essere di per s produttivo di pericolo per la salute pubblica, e ci richiede la
dimostrazione che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualit ed in
quantit tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico
nocivi per la salute.
E pertanto corretto concludere che nel delitto in oggetto non pu ritenersi presunto il
pericolo, perch lo stesso non pu prescindere dalla prova dell'effettivo
avvelenamento delle acque o delle sostanze destinate all'alimentazione: da ci deriva
che la lesione del bene giuridico (la messa in pericolo della salute di un numero
indeterminato di persone) non presunta ex lege, ma implicita nella condotta

tipicizzata e nella sua idoneit a nuocere alla salute, di cui deve essere acquisita la
prova concreta. Ci si evince dalla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte,
laddove si afferma che la norma incriminatrice di cui all'art. 439 c.p., se non richiede
espressamente la derivazione dal fatto di un pericolo per la salute pubblica, tuttavia
pur sempre richiede che si sia verificato un "avvelenamento", che il giudice deve
accertare in concreto, bastando questo stesso a ricomprendere un pericolo intrinseco.
questo il senso dellaffermazione ricorrente anche in dottrina, secondo cui il
pericolo per la pubblica incolumit non espressamente menzionato dal legislatore,
in quanto insito nello stesso avvelenamento, le due sentenze he seguono spiegano
bene questo concetto.
Cass. 13 febbraio 2007, n. 15216: La norma incriminatrice non richiede apertis
verbis che dal fatto sia derivato un pericolo per la salute pubblica e la
considerazione

pu

ritenersi

sufficiente

giustificare

lorientamento

giurisprudenziale che considera il reato in esame come fattispecie di pericolo


presunto. Ci nondimeno il giudice tenuto, anzitutto, ad accertare che si sia
verificato lavvelenamento (termine che ha pregnanza semantica tale da renderne
deducibile in via normale il pericolo per la salute pubblica, bene giuridico tutelato),
che levento del reato
Cass. 13 febbraio 2007, n. 15216: la Cassazione ha annullato (con rinvio) la
sentenza impugnata, che afferma in modo del tutto apodittico la sussistenza
dellavvelenamento; non spiega, in altre parole, da quali elementi abbia dedotto che
il cromo versato nel rio avesse determinato lavvelenamento delle acque. Manca, tra
laltro, nella decisione impugnata, ogni considerazione sulleffettiva quantit di
cromo finita nelle acque, bench lavvelenamento non possa riferirsi se non a
condotte che, per la qualit e la quantit dellinquinante, siano pericolose per la
salute pubblica, pericolosit che va scientificamente accertata ..Pericolosa per il
bene giuridico tutelato , in altre parole quella dose di sostanza contaminante alla
quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute. Non
corretto, invece, il riferimento a schemi presuntivi; in particolare, i limiti soglia,
di cui parla la sentenza impugnata, costituiscono una prudenziale indicazione sulla
quantit di sostanza, presente in alimenti, che luomo pu assumere senza rischio,
quotidianamente e sul lungo periodo.

Volendo analizzare la condotta rilevante per il realizzarsi di questa fattispecie, essa


costituita dallavvelenamento di acque o di sostanze destinate all'alimentazione
prima che siano attinte o distribuite per il consumo. La fattispecie a forma libera,
potendo essere realizzata da qualunque condotta idonea e causalmente orientata a
mettere a repentaglio la salute pubblica mediante lavvelenamento. La condotta
punibile consiste, quindi, nell'azione (quale condotta attiva) del contaminare l'acqua
o la sostanza alimentare con la immissione di elementi tossici in modo che la stessa
diventi nociva per la salute; oppure lavvelenamento pu realizzarsi anche mediante
omissione, se l'agente, ad esempio, omette di adottare le doverose cautele idonee a
evitare sversamenti accidentali di prodotti tossici, provocando l'avvelenamento di
pozzi di acqua potabile.
L'oggetto materiale del reato sono le acque e le sostanze destinate alla
alimentazione, tutelate dalla norma nella loro genuinit. Nella nozione di acque si
ritiene debbano rientrare non solo quelle destinate in via diretta al consumo (ad
esempio, l 'acqua potabile dell'acquedotto o dei pozzi artesiani), ma anche quelle che
lo sono "indirettamente" perch utilizzate per l'allevamento del bestiame e la
coltivazione dei prodotti agricoli, che a loro volta costituiscono la fonte della materia
prima di vari prodotti alimentari. Si fatto perci riferimento anche alle acque di
superficie o estratte dai pozzi che servono per la irrigazione dei campi o per gli
impianti di allevamento, senza che rilevi la potabilit o meno delle stesse, o la
circostanza che l'avvelenamento sia stato operato in acque batteriologicamente non
pure dal punto di vista delle leggi sanitarie, ma tuttavia idonee e destinabili al
consumo umano. La nozione di acque stata interpretata dalla giurisprudenza in
senso estensivo, ovvero anche di risorsa naturale oggetto di potenziale utilizzo da
parte dell'uomo: si cos espresso il Tribunale di Venezia, laddove ha affermato che
oggetto materiale del reato di cui all'art. 439 c.p. sono le acque di falda intese come
"risorsa naturale" (quale valore alimentare futuro), anche se non estratte dal suolo, in
quanto potenzialmente raggiungibili con moderne tecnologie. per necessario che
le falde siano obiettivamente suscettibili d'essere attinte per il possibile ripristino
della disponibilit di acque dolci. Nel caso di acque libere in natura, interessate dalla
dispersione di agenti inquinanti, si quindi ritenuto che per poter ricondurre il fatto
alla norma incriminatrice, dette acque debbano essere oggetto di qualche forma di

captazione (diretta o indiretta), tramite la quale l'acqua sia utilizzabile da parte


dell'uomo.
Anche la Suprema Corte ha affermato che le acque, quale risorsa naturale nella loro
purezza, sono l'oggetto specifico della protezione legale, ancorch non estratte dal
sottosuolo, come recita l'art. 1 I. 5-1-1994 n. 36, e che la protezione del valore
alimentare anche futuro delle acque di falda, potenzialmente raggiungibili con le
moderne tecnologie per lo sfruttamento ad uso umano, deve essere assicurato da ogni
forma arbitraria di corrompimento od adulterazione, non solo dolosa, ma anche e
soltanto colposa. Il requisito della "fruibilit" delle acque da parte della collettivit
stato ritenuto anche nel caso di pozzo privato tuttavia utilizzabile, in quanto posto
lungo la strada, anche dai viandanti, di talch il numero indeterminato di persone che
fanno, o possono fare uso dell'acqua, implica il pericolo per la salute pubblica.
Quanto alle "sostanze destinate all'alimentazione", vengono comprese nella nozione i
prodotti che l'uomo mangia, mastica e beve, sia allo stato naturale sia dopo una loro
trasformazione, al fine di soddisfare i suoi bisogni alimentari e stimolanti. Si tratta di
tutte le sostanze che svolgono una funzione nutrizionale, con esclusione perci di
quelle che ne esulano: ad esempio, non rientrano nella nozione in oggetto il tabacco
da masticare, il dentifricio, i prodotti odontotecnici, i cosmetici come il rossetto per
labbra, i giocattoli per bimbi ecc., che invece rientrano nell'art. 441 c.p..
Lavvelenamento di una sostanza viene determinato in relazione alla nozione di
veleno esogeno, ossia proveniente dallesterno, in contrapposto al veleno endogeno il
quale

si

produce

nell'organismo

stesso

provocando

un'auto-intossicazione.

Lavvelenamento pu essere determinato dall'immissione della materia venefica in


sostanze organiche o inorganiche destinate ad essere ingerite, in modo da
modificarne la composizione e renderle cos nocive alla salute. Tra i veleni si
annoverano, pertanto, non solo le sostanze indicate come velenose nella Farmacopea
Ufficiale, ma altres qualsiasi sostanza che abbia le caratteristiche sopra riferite. Ai
veleni vanno equiparate le sostanze tossiche che, introdotte negli organismi in
quantit relativamente piccole, si caratterizzano per l'effetto di recare danno alla
salute o di condurre alla morte senza agire in via meccanica, termica o settica. La
giurisprudenza ha precisato che lavvelenamento non deve necessariamente avere
potenzialit letale, essendo sufficiente che esso abbia la potenzialit di nuocere alla

salute. Il delitto in esame causalmente orientato, essendo indifferente il modo in cui


l'effetto intossicante prodotto viene posto in essere dall'agente. Lavvelenamento in
s pu consistere anche nella determinazione artificiosa dell'azione di una causa
naturale o nel favorirne lo sviluppo (per esempio, iniettare fermenti nocivi, liquame
cadaverico ecc.). Presupposto della condotta inoltre che l'avvelenamento avvenga
prima che le acque siano attinte o che le sostanze alimentari siano distribuite per il
consumo. La norma prevede dunque un limite di carattere cronologico, giacch
lavvelenamento deve avvenire prima che le acque o le sostanze destinale
all'alimentazione siano attinte o distribuite per il consumo. Tale limite, secondo la
dottrina, segnala il termine finale dello stato di pericolo per la salute pubblica
derivante dallavvelenamento il quale, a seguito dell'attingimento o della
distribuzione, sar causa non pi di comune pericolo ma di pericolo individuale.
Ai fini dellintegrazione del dolo viene richiesta la conoscenza della natura venefica
della sostanza immessa dallagente, la volont di contaminare le acque/sostanze
alimentari e la consapevolezza della destinazione allalimentazione collettiva.
Laddove parte della dottrina sostiene la necessit che lagente si rappresenti anche il
pericolo che deriva dallavvelenamento, altri ritengono che tale consapevolezza sia
insita nel fatto stesso di avvelenare cose destinate allalimentazione. Il reato di
Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari prevede anche lipotesi colposa. In
questo caso necessario verificare che lavvelenamento delle acque e delle sostanze
destinate allalimentazione pubblica sia avvenuta a causa di imprudenza, negligenza
o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
Quanto al momento a partire dal quale il pericolo comune immanente
allavvelenamento debba ritenersi riconoscibile allagente e, dunque, evitabile la sua
realizzazione nellevento, stato autorevolmente sottolineato che si deve far
riferimento alle conoscenze diffuse in un dato momento, e alle misure tecnologiche
disponibili in un dato momento sul mercato.

4. Danno ambientale: la nuova normativa e quella


che verr
Nella sentenza in oggetto di analisi il giudice prende in esame anche le richieste delle
parti civili. Al processo penale, infatti, possono partecipare delle specifiche figure
chiamate parti civili, la loro presenza dipende dalla circostanza che un medesimo
fatto pu costituire nello stesso tempo sia un illecito penale in quanto passibile di una
sanzione penale, che un illecito civile in quanto ha provocato un danno con
riferimento al quale si pone la necessit di una restituzione o di un risarcimento. La
parte civile nel processo penale il soggetto danneggiato dal reato che intende far
valere innanzi al giudice penale la propria domanda di risarcimento.
Con riferimento a questultimo, pi di un problema si pone nel momento in cui
necessario procedere alla quantificazione del danno perch nella maggior parte dei
casi bisogna rivolgersi al giudice civile. Nel novero delle ipotesi di risarcibilit
rientra anche il danno ambientale.
Nella sentenza si evince la necessit di dover procedere ad analizzare le conseguenze
in termini di responsabilit civile di un reato che si perfezionato per immissioni
successive in epoche diverse e sotto la vigenza di normative diverse. Nella sentenza
si nota in merito al susseguirsi della normativa ambientale: noto che il
29.4.2006 a distanza di quarantanni dalla prima legge ambientale, la n. 615 del
1966, e di ventanni dalla istituzione del Ministero competente, con l. n. 349 del
1986 entrato in vigore il d. lgs. n. 152 del 3.4.2006. Tale provvedimento
costituisce lattuazione della legge n. 308 del 15.12.2004 e, proseguendo nella
lettura, in merito al compito interpretativo: il tribunale ha dovuto, perci, affrontare
il non modesto problema della successione delle leggi che disciplinano la
responsabilit civile per danno all'ambiente. Il reato per cui si procede, infatti,
risultato caratterizzato da evoluzione nel tempo [] la sua consapevole
consumazione proseguita finch venuta meno la condotta del responsabile
causativa dellevento e del suo aggravamento (24.12.2003, data della sentenza
dichiarativa di fallimento).
Il giudice quindi si pone il problema dellentrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006, il
quale, non contenendo disposizioni di natura transitoria atte a regolare la questione

del danno ambientale conseguente a fatti illeciti la cui permanenza sia iniziata in
data antecedente al 29/4/2006 e prosegua dopo tale data, richiede la
determinazione di quale normativa applicare al caso concreto nei diversi momenti
storici in cui si realizzata la condotta criminosa. In tal senso, il giudice arriva a
dichiarare che: per i danni ambientali derivati da fatti verificatisi prima
dellentrata in vigore del nuovo T.U. sembra applicabile la disciplina dettata
dallart. 18 L. 349/1986, a prescindere dalla permanenza del danno. Il cosiddetto
Codice Ambientale, ovverosia il D.lgs. 152/2006 al suo interno prevede la
elencazione di precise responsabilit consequenziali ai danni arrecati allambiente,
nonch, per quanto attiene ai profili di prevenzione, ripristino ambientale ed azioni
volte al risarcimento, una chiara e dettagliata ripartizione di competenze, suddivise
tra i principali attori istituzionali: Ministero dellAmbiente e della Tutela del
Territorio e del Mare, enti locali, persone fisiche e giuridiche.
Nella definizione di danno ambientale data dellart. 300 del citato D.lgs. viene
ricompreso qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto ed indiretto, di
una risorsa naturale o dellutilit da essa assicurata. Va osservato come la fattispecie
di danno allambiente venga definita come un deterioramento rispetto alle condizioni
originarie delle risorse ambientali prese in considerazione; per condizioni originarie
devono intendersi, ai sensi e per gli effetti dellart. 302 le condizioni al momento del
danno, delle risorse naturali e dei servizi che sarebbero esistite se non si fosse
verificato il danno ambientale, stimate sulla base delle migliori informazioni
disponibili. Lo stesso Codice stabilisce pertanto dettagliate responsabilit in caso di
danno arrecato allambiente, unitamente ad una precisa ripartizione delle competenze
in materia di prevenzione, ripristino ambientale (nel caso in cui levento dannoso si
sia gi verificato) ed azioni di risarcimento in seno alle persone fisiche o giuridiche,
gli enti locali e lo stesso MATTM. Nel caso in cui il responsabile non sia
individuabile o non provveda, ovvero non sia tenuto a sostenere i costi, il Ministro
dellAmbiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha facolt di adottare egli
stesso tali misure, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile
verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse, sempre che
venga individuato entro 5 anni dalleffettuato pagamento (si veda lart. 305 comma 3
lett. c).

Spettano allo stesso Dicastero la proposizione e lesercizio delle azioni di


risarcimento del danno ambientale, in sede civile e penale, nonch lirrogazione delle
sanzioni di propria competenza. Altro potere di grande efficacia operativa quello
afferente allemanazione di ordinanze immediatamente esecutive di ingiunzione del
ripristino ambientale, a titolo di risarcimento in forma specifica e, nel rispetto di un
termine specifico.
Gli altri protagonisti istituzionali, vale a dire regioni, enti locali, associazioni
ambientaliste, persone fisiche e giuridiche, laddove minacciate o colpite da danno
ambientale hanno la facolt di richiedere lintervento statale tramite tempestiva
segnalazione alle Prefetture.
Per quanto attiene ai profili di responsabilit, lart. 311 del codice ambientale
prevede che lautore del danno abbia lobbligo di ripristinare la situazione
preesistente allevento nefasto ed in mancanza, risarcire per equivalente patrimoniale
la collettivit statale.
Appare opportuno evidenziare come la Direttiva 2004/35/Ce in tema di
responsabilit ambientale, preveda che in ordine alla riparazione del danno, le
autorit nazionali preposte debbano assicurare le misure per il ripristino dei danni,
anzich il risarcimento per equivalente pecuniario/patrimoniale. Alla luce di tale
disposizione, puntualmente disattesa nella prassi dal nostro apparato istituzionale, la
Commissione Ue ha avviato la procedura di infrazione nei confronti dellItalia, la n.
2007/4679.
In linea con le previsioni del Testo Unico Ambientale nel caso di studio il giudice, in
merito alla domanda risarcitoria del Ministero dellAmbiente a della Tutela del
Territorio scrive: la parte ha chiesto la condanna generica dellimputato in
solido con il responsabile civile - al risarcimento dei danni, una provvisionale di
5.000.000,00 di euro in relazione al danno patrimoniale, non patrimoniale e
ambientale, e la condanna dellimputato al ripristino, a proprie spese, dello stato dei
luoghi. Ha chiesto, inoltre, che il tribunale subordini la sospensione condizionale
della pena al risarcimento ed al ripristino, ed inoltre il sequestro preventivo
dellattivo fallimentare ed il sequestro conservativo di tutti i beni dellimputato e,
anticipando lirrealistica eventualit di una rimessione in pristino da parte del
responsabile della condotta penalmente rilevante, commenta: Linottemperanza alla

condanna generica al ripristino, se non altro, legittimer lintervento sostitutivo


dellAmministrazione in riferimento allart. 311 del testo unico.
Anche in riferimento alle domande delle parti private nella sentenza il giudice
afferma la legittimazione autonoma e concorrente dei singoli cittadini a veder
tutelati i propri diritti patrimoniali e personali un dato acquisito (Cass. Civ.
25.1.1989 n. 440). Anche ai sensi dell'art. 313, 7 comma, del D.Lgs. n. 152 del 2006
"resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di
danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro propriet, di agire in giudizio
nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi".
In questa cornice non riconosciuta alle parti private una legittimazione allazione
per il risarcimento del danno allambiente, inteso come danno del singolo alla
relazione che questo vive quotidianamente con lambiente che lo circonda,
nonostante i principi costituzionali della solidariet sociale, della funzione sociale
della propriet, dei limiti alla libert di iniziativa economica consistenti nellutilit
sociale, nella libert, nella sicurezza e dignit umana, e bench lambiente sia s un
interesse pubblico, ma anzitutto un diritto umano fondamentale e quindi anche
privato. Infatti tutte le diverse parti private costituitesi in qualit di parti civili nel
processo penale sono coinvolte direttamente nella vicenda con profili spiccatamente
personali, ci vuol dire che il fatto di reato era idoneo a compromettere, anche sotto
il profilo patrimoniale, i beni materiali di questi ultimi. Una volta accertata la
sussistenza del reato e la penale responsabilit dellimputato, ne consegue la
condanna al risarcimento dei danni a favore delle parti civili infatti,
positivamente accertato il rilevante inquinamento della falda idrica [], provocato
dall'attivit antigiuridica della P.M. Galvanica, e il conseguente danno morale
derivante alle parti private sopra nominate, in termini di pregiudizio arrecato alla
vita quotidiana delle persone e di turbamento psicologico risentito in relazione alle
possibili conseguenze nocive alla salute.
Ma da allora ad oggi cosa cambiato nella normativa relativa al risarcimento
ambientale?
La legge 6 agosto 2013, n. 97, ha sensibilmente modificato la disciplina sul
risarcimento del danno ambientale contenuta nella Parte VI del D.Lgs. n. 152/2006.
Alla base della riforma c'era l'esigenza di superare quanto rilevato dalla

Commissione europea nell'ambito della procedura d'infrazione 2007/4679, con cui si


contestava all'Italia di aver violato la direttiva 2004/35/CE sulla responsabilit
ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale per tre
ragioni:
- nonostante la direttiva (in relazione a determinate attivit) avesse introdotto una
presunzione di responsabilit, l'Italia aveva mantenuto un sistema legato alla
sussistenza del dolo o della colpa;
- mentre la direttiva insisteva per l'attuazione di misure di riparazione primaria,
complementare o compensativa, l'Italia continuava a preferire un risarcimento per
equivalente pecuniario;
- infine, era stato contestato l'art. 303, comma 1, lettera i) nella parte in cui aveva
escluso il risarcimento del danno all'ambiente nel caso di interventi di bonifica in
corso.
In merito alla prima contestazione, per le attivit elencate nell'Allegato 5 alla Parte
VI, il nuovo art. 298-bis prevede ora una responsabilit oggettiva che, ferma la
necessaria sussistenza del nesso di causa la cui dimostrazione spetta alla P.A.,
prescinde dal dolo e dalla colpa; sul piano concreto, questa novit trova attuazione
nel comma 2 dell'art. 311 per effetto del quale gli operatori, le cui attivit sono
elencate nel predetto Allegato 5, devono adottare le "misure di riparazione" di cui
all'Allegato 3 "entro il termine congruo di cui all'art. 314, comma 2". Le "misure di
riparazione" di cui all'Allegato 3 dovranno essere adottate entro un termine congruo
(la valutazione di congruit dovr essere fatta caso per caso) compreso tra due mesi e
due anni, salvo proroga.
Sempre il nuovo comma 2 dell'art. 311 precisa che "quando l'adozione delle misure
di riparazione risulti in tutto o in parte omessa o comunque realizzata in modo
incompleto o difforme dai termini e modalit prescritti, il Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attivit necessarie a
conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto
obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti".
La terza contestazione richiama lattenzione al delicato e controverso tema del
rapporto tra il procedimento di bonifica e il risarcimento del danno ambientale:

- il comma 2 del nuovo art. 298-bis, precisa che la riparazione del danno ambientale
deve avvenire nel rispetto dei principi e criteri stabiliti dall'Allegato 3, e
- il comma 3 sottolinea che restano disciplinati dal titolo V della Parte IV (quindi
dalle norme sulla bonifica dei siti contaminati) gli interventi di ripristino del suolo e
del sottosuolo "progettati e attuati in conformit ai principi e ai criteri stabiliti al
punto 2 dell'allegato 3 alla parte sesta nonch gli interventi di riparazione delle
acque sotterranee progettati e attuati in conformit al punto 1 del medesimo allegato
3, o, per le contaminazioni antecedenti alla data del 29 aprile 2006, gli interventi di
riparazione delle acque sotterranee che conseguono gli obiettivi di qualit nei tempi
stabiliti dalla parte terza del presente decreto".
Questa disposizione porta a ritenere superata la terza contestazione: individuare nei
criteri di cui all'Allegato 3 un principio generale, significa mettere al primo posto la
riparazione primaria, a seguire quella complementare o compensativa e solo come
ultima opzione il risarcimento per equivalente. Questo fondamentale concetto viene
rafforzato dal nuovo comma 3 dell'art. 311 nella parte in cui stabilisce che un decreto
ministeriale, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge n.
97/2013, dovr definire i criteri e metodi, anche di valutazione monetaria, il cui
scopo sar per quello di "determinare la portata delle misure di riparazione
complementare e compensativa"; questi criteri e metodi - precisa sempre il nuovo
comma 3 - troveranno applicazione "anche ai giudizi pendenti non ancora definiti
con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore del decreto di cui al
periodo precedente". Lo stretto collegamento tra il danno e le somme recuperate con
le quali attuare la riparazione che il soggetto obbligato ha omesso di realizzare, viene
rafforzato dal nuovo comma 5 dell'art. 317 per effetto del quale le somme versate
allo Stato dovranno confluire in un pertinente capitolo dello stato di previsione del
Ministero dell'Ambiente per essere destinate "alla realizzazione delle misure di
prevenzione e riparazione in conformit alla previsione della direttiva 2004/35/CE e
agli obblighi da essa derivanti". Infine, una modifica dell'art. 303 comma 1, lettera
f), porta a cos ridefinire l'applicazione temporale; in particolare, per gli eventi
verificatisi successivamente al 29 aprile 2006, varr la Parte VI del TUA, mentre per
quelli verificatisi in precedenza trover applicazione la disciplina previgente, con
validit estesa anche ai criteri di risarcimento.

In buona sostanza lattuale formulazione legislativa ha definitivamente eliminato


qualsiasi riferimento al risarcimento per equivalente patrimoniale, stabilendo che il
danno allambiente deve essere risarcito solo con le misure di riparazione previste
dallAllegato 3 del d.lgs. n.152/2006.
La disciplina normativa destinata ulteriormente a modificarsi grazie al disegno di
legge nr. 1533 recante disposizioni per ladempimento degli obblighi derivanti
dallappartenenza dellItalia allUnione Europea Legge europea 2013-bis (testo
approvato dal Senato della Repubbliva con modificazioni il 17 settembre 2014 e in
corso di esame in Commissione alla Camera con il numero C.1864-B).

INDICE
Introduzione: territorio, beni comuni e diritti fondamentali
- Squilibro ambientale ed economico finanziario
- La tutela dellambiente attraverso la legge penale

Cap. I: Industrializzazione e rischi ambientali: analisi di un caso


concreto
1. Storia ordinaria di una impresa straordinariamente
inconsapevole: la PM Galvanica di Tezze sul Brenta
2. Sentenza di condanna del Giudice di 1 grado: riconosciuto
lavvelenamento e non semplicemente linquinamento

Cap II: il reato di avvelenamento colposo delle acque


3. Natura del reato e interpretazione giurisprudenziale e dottrinale;
4. Reati ambientali: la nuova normativa e quella che verr

BIBLIOGRAFIA
P. Maddalena, Il territorio bene comune degli italiani, Saggine, 2014;

C. Ruga Riva, Diritto penale dellambiente, Giappichelli, 2013;

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AA. VV., Manuale ambientale, IPSOA, 2013;

Sentenza n. 140/06, Tribunale Ordinerio di Padova, 2006

U. Grober, Sustainability a cultural history, Green Books, 2012

G. Cerami, La tutela penale dellambiente nellordinamento giuridico italiano.


Dottorato di ricerca in Tutela dei Diritti Umani, XXIV ciclo, Universit degli Studi
di Catania Facolt di Scienze Politiche

P. Maddalena, La nuova giurisprudenza costituzionale in tema di tutela


dell'ambiente, Ambiente e sviluppo, 2012

C. Pugnoli, Reati ambientali, e responsabilit amministrativa degli enti, Universit


degli Studi Milano Bicocca, Scuola di dottorato in Scienze Giuridiche, 2012

A. Merlin, La tutela penale dellambiente nella direttiva 2008/99/CE, Ambiente e


sicurezza, 2009

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