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PONTIFICIA UNIVERSIT DELLA SANTA CROCE

FACOLT DI TEOLOGIA

Prima Edizione:
Testo originale della 14ma. generazione (2007)

Revisione 2015
Non ci sono delle novita importati, tranne la
riduzione di alcuni temi e aggionramenti di
alcuni piccoli punti.

TEMI PER LESAME DI BACCELLIERATO


Ad uso degli studenti

Roma 2015

TEMA 1: Natura della Teologia


Definizione di teologia: secondo san Tommaso la scienza della dottrina rivelata procedente dalla stessa scienza di
Dio e dei beati la cui conoscenza serve alluomo per la sua salvezza.
I.
OGGETTO E FONTI.
Seguendo lo schema scolastico, loggetto materiale della teologia la Rivelazione, ossia Dio e il suo disegno salvifico.
Loggetto formale quod Deus sub ratione deitatis, Dio che si autorivela. Loggetto formale quo la ragione illuminata
o guidata dalla fede.
Donum veritatis presenta due formule delloggetto della teologia:
a) la ricerca dellintellectus fidei;
b) la verit, loggetto della teologia la verit, il Dio vivo e il suo disegno di salvezza rivelato in Ges Cristo.
In senso radicale e definitivo, la fonte della teologia la Parola di Dio incarnata, poich su di essa si fonda e si sviluppa.
In senso derivato, la fonte della teologia il Depositum della Rivelazione di Dio in Cristo, deposito consegnato alla
Chiesa e da essa custodito e trasmesso.
Dei Verbum, 24, la sacra teologia si basa, come su un fondamento perenne, sulla Parola di Dio scritta, insieme con
la sacra Tradizione e in quella vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede
ogni verit racchiusa nel mistero di Cristo.
Scrittura e Tradizione costituiscono un solo deposito, formano in un certo modo una cosa sola e tendono allo stesso fine.
decisivo inoltre il ruolo del Magistero per interpretare autenticamente la rivelazione.
DV,10: La sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio,
sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere e che tutti insieme, ciascuno
secondo il proprio modo, sotto lazione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle
anime.
Vi sono tre elementi necessari ad ogni teologia:
- Rivelazione, il dono che Dio fa di se stesso alluomo, apparendo a lui nel suo mistero e restando sempre in
questo ambito. Essa non pu essere accolta che alla luce della fede.
- Fede, non vago sentimento di credulit, un dono di Dio, una grazia con cui il cristiano accoglie come
proveniente da Dio il messaggio rivelato e vi aderisce fermamente con certezza totale. Tale grazia rende il
credente figlio di Dio per adozione e lo connaturalizza per cos dire al mondo di Dio e delle realt divine.
- Ragione, necessaria in modo da poter stabilire un discorso teologico; essa per non va considerata parallela o
esterna alla fede. Solo la ragione credente pu fare teologia, perch essa una scienza che implica quindi un
carattere rigorosamente razionale- soprannaturale per cui si accede ad essa solo quando i suoi oggetti sono
considerati alla luce della ragione credente-.
II.
IL RUOLO DELLA FEDE NELLA RAZIONALIT TEOLOGICA
Malgrado alcune differenze, come:
a) la fede riferisce se stessa ai contenuti della Rivelazione ut credibilia (come credibile), mentre la teologia a quelli
ut intelligibilia (come intelligibile), suscettibili ad una comprensione sempre maggiore.
b) Ci che proprio della fede assentire o dare assenso alla verit in quanto degno di essere creduta, proprio della
teologia, invece, analizzarla; si pu dire che esiste tra di loro un rapporto molto stretto ed importante.
Sono due i momenti che evidenziano il rapporto fede-teologia:
- Il primo, la Rivelazione in quanto iniziativa divina;
- Il secondo, il conseguente invito di Dio a credere alla sua parola ed accoglierla.
La fede suscita la teologia ad aderire alla Rivelazione. La fede posseduta fa aspirare il credente ad una migliore conoscenza
dell'oggetto della fede. Questa contiene un dinamismo che suscita la ricerca, il fides quaerens intellectum. Un minimo di
ricerca intellettuale sempre presente nella fede: credere (inizialmente) significa "teologizzare". "La mente umana non
pu restare indifferente dinanzi alla virtuale intelligibilit della verit rivelata, perch la verit di cui si tratta d una risposta
ai pi gravi problemi della nostra condizione temporale. L'intelligenza della fede non si limita ad una curiosit intellettuale,
ma ad una esigenza della realt che essa rivela.

III.

TEOLOGIA COME SCIENZA.

La controversia sul carattere scientifico della teologia risale al XIII secolo. Guglielmo di Auxerre riteneva che
lintellectus fidei merita il nome di scienza poich si tratta di un discorso logicamente coerente a partire da principi
determinati e ben conosciuti, che sono gli articoli di fede riassunti nel Simbolo.
Duns Scoto nega questo carattere in nome della nozione aristotelica di scienza, essa esige non solo la certezza della
causa ma anche la sua evidenza. La negazione della scientificit della teologia deriva dalla visione dualista che considera
la sapienza e la scienza come aventi oggetti diversi.
Santo Tommaso ha il merito di eliminare questo dualismo con una concezione unitaria delloggetto. Per superare la
problematica ricorre alla teoria della subalternazione delle scienze; cos giunse alla conclusione che la teologia
veramente scienza ma subalternata alla scienza di Dio e dei beati: i principi della teologia non sono evidenti a noi ma a
Dio e ai beati. La sacra dottrina una scienza in quanto che poggia su principi conosciuti per lume di scienza
superiore, della scienza di Dio e dei santi.
La teologia allora una scienza imperfetta per linevidenza della fede, ma vera scienza per lattendibilit di Dio,
autore della fede. Nellattualit si nega ancora la scientificit teologica partendo da una concezione riduttiva della
scienza che considera tali solo le scienze fisiche empiricamente comprovabili, escludendo le scienze umane e la teologia.
Questo problema si risolve considerando che il concetto di scienza non univoco ma analogico e quindi applicabile
anche alle scienze umane.
IV.
UNIT DELLA TEOLOGIA E PLURALIT DELLE DISCIPLINE TEOLOGICHE.
La teologia una, sia rispetto al suo oggetto materiale sia a quello formale. Ma, infatti, questa scienza si occupa non
solo di Dio ma anche delle creature.
San Tommaso chiar che la teologia non si occupa di Dio e delle creature nella stessa misura, ma principalmente di Dio,
mentre delle creature solo in quanto si riferiscono a Dio. il suo cristocentrismo a fare della teologia cristiana una sola
scienza al di l della variet dei temi trattati, essa, infatti, tratta sempre lo stesso oggetto.
Dentro questa unit si possono dividere le discipline in tre gruppi:
a) disciplina apologetica, che include la teologia fondamentale;
b) discipline storico-bibliche, sono la storia della Chiesa, e le scienze bibliche: introduzione alla Sacra Scrittura,
Esegesi e Teologia Biblica;
c) teologia sistematica: teologia dogmatica e mistica, morale e ascetica, teologia pratica, liturgia, diritto
canonico, teologia pastorale.
V.
I PADRI DELLA CHIESA NEL LAVORO TEOLOGICO
Padri della Chiesa sono giustamente chiamati quei santi che, con la forza di fede, la profondit e la ricchezza dei loro
insegnamenti, nel corso dei primi secoli lhanno rigenerata e grandemente incrementata1.
Limportanza degli scritti dei padri sta nel fatto che la Chiesa considera infallibile lunanime consensus patrum, quando
riguarda linterpretazione della Scrittura. I Padri sono maestri non solo per i contenuti ma anche per il metodo teologico,
specialmente per 4 aspetti:
a) per unire il ricorso continuo alla Sacra Scrittura e il senso della Tradizione; il loro approccio alla Scrittura
veramente religioso.
b) mettono insieme il rispetto alloriginalit cristiana e la sensibilit allinculturazione. C un duplice
movimento: assimilazione di ci che valido e rifiuto di quello che incompatibile con la fede cristiana
c) difendono la fede ricevuta e promuovono al contempo il progresso nella sua comprensione. Non si limitarono
ad allontanare ci che contro la fede, ma operarono un autentico ripensamento, riuscendo a trovare formule
nuove per esprimere una dottrina antica.
d) compresenza di senso del mistero ed esperienza del divino; i Padri sono maestri anche per latteggiamento
spirituale di rispetto del senso del mistero divino, sempre al di sopra delle possibilit di comprensione umana e
per la contemplazione personale dei misteri divini.

Let. Ap. Patres Ecclsiae, n. 1


2

VI.
TOMMASO DAQUINO, MAESTRO DEL LAVORO TEOLOGICO.
Nel secolo XIII, con la riscoperta di Aristotele da parte degli scolastici latini, la teologia acquista definitivamente il suo
statuto di scienza rigorosa. San Tommaso ha il merito di avere perfezionato il metodo teologico e di averlo praticato in
modo esemplare nella Summa Theologiae, unopera monumentale, dove trova posto tutto quanto riguarda la fede
cristiana, cos come essa pu apparire ad una persona colta del suo secolo, che il secolo doro della civilt medioevale,
il tempo in cui la speculazione filosofica e teologica arriv ad uno stato tuttora insuperato. Ci che pi profondamente
distingue san Tommaso il riconoscimento dellesistenza e consistenza di un ordine naturale della creazione che la
grazia non distrugge, ma perfeziona.
Oltre alla Summa, autore di quasi altre novanta opere, tuttavia essa la sua opera magna. Tommaso lha costruita
secondo un piano circolare che gli permette di considerare tutte le cose dal punto di vista di Dio, in quanto Egli il
principio da cui esse emanano e il fine ultimo verso il quale ritornano.
I documenti del Magistero recente che raccomandano lAquinate ai teologi sono molti. Vanno dalla ripresa del tomismo
auspicata da Leone XIII nellAeterni Patris fino al magistero di Giovanni Paolo II.
VII.
RAPPORTI FRA TEOLOGIA E MAGISTERO, CONTENUTO DELLISTRUZIONE DONUM VERITATIS (1990).
Il Magistero ha la responsabilit di mantenere inalterato il depositum fidei. nato cos un documento che definisce
chiaramente e autorevolmente la vocazione, le funzioni e il ruolo del teologo nella Chiesa.
Listruzione si articola in 4 parti, che trattano:
1) La Verit, dono di Dio al suo Popolo;
2) La vocazione del teologo;
3) Il magistero dei pastori;
4) Magistero e teologia.
La parte pi importante lultima, specialmente per la sua novit. Sottolinea specialmente il carattere ecclesiale della
teologia e del magistero; entrambi hanno il fine ultimo di conservare il Popolo di Dio nella Verit.
Il Magistero ha il compito specifico dinsegnare autenticamente la dottrina degli Apostoli e, traendo vantaggio dal lavoro
teologico, di respingere le obiezioni e deformazioni della fede. Mentre il compito della teologia acquisire in modo
riflesso, unintelligenza sempre pi profonda della Parola di Dio; cercare di chiarire linsegnamento della Rivelazione
di fronte alle istanze della ragione, ed infine dargli una forma organica e sistematica.
A livello dottrinale presenta sei idee principali:
1) teologia e magistero non sono funzioni parallele e tanto meno rivali o concorrenziali, ma solidali, perch
hanno lo stesso fine;
2) sono, in certi aspetti, interdipendenti;
3) la funzione della teologia subordinata a quella del Magistero;
4) lautorit del Magistero ordinario vincolante, anche per i teologi;
5) riconoscimento di condizionamenti storici nei documenti e lammissione che dei documenti magisteriali non
fossero privi di carenze;
6) il riconoscimento del pluralismo teologico.
VIII. LAVORO TEOLOGICO E FILOSOFIA SECONDO LA FIDES ET RATIO.
Luomo naturalmente filosofo; la teologia, da parte sua in quanto elaborazione riflessa e scientifica dellintelligenza
della Parola alla luce della fede non pu prescindere di rapportarsi con le filosofie. Senza gli apporti della filosofia non
si potrebbero illustrare parecchi contenuti teologici, come per esempio, il linguaggio su Dio, le relazioni personali
allinterno della Trinit, ecc. e le stesse considerazioni valgono per le tematiche della teologia morale che ricorre
direttamente a concetti definiti delletica filosofica.
La fede, pur non basandosi sulla ragione, non pu fare a meno di essa; allo stesso tempo, la ragione deve rafforzarsi
mediante la fede.

TEMA 2: La Rivelazione
I.

IL CONTENUTO DELLA DEI VERBUM (1965) CIRCA LA RIVELAZIONE E LA SUA TRASMISSIONE


AUTOREVOLE DA PARTE DELLA CHIESA.

La costituzione dogmatica Dei Verbum (1965), la pi ampia trattazione magisteriale sulla natura della Rivelazione.
Natura e oggetto della Rivelazione, (n. 2) I punti principali sono i seguenti:
- Il carattere sacramentale della Rivelazione: Essa avviene con parole e opere, le quali si compenetrano
reciprocamente. Dio si rivela intervenendo nella storia e, parlando, rivela il senso degli avvenimenti. Le opere
con quali Dio si rivela sono avvenimenti causati da un agente personale.
- La Rivelazione nella storia viene collegata allazione dello Spirito Santo (DV, 8). .. Lo Spirito Santo, per mezzo
del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo del quale introduce i credenti a tutta la verit.
- La collocazione del mistero del Cristo al centro della Rivelazione: Cristo non solo conduce la rivelazione alla
sua pienezza, ma Egli questa pienezza. Egli insieme mediatore e compimento: (Egli la via, la verit, e la
vita personificata).
- Il carattere personale e testimoniale della Rivelazione, messo in evidenza dallutilizzo delle categorie della
parola e del dialogo come nozioni-chiave attorno alle quali spiegare la natura della Rivelazione (Cfr. n. 5).
Sulla missione autorevole da parte della Chiesa, DV. nn. 7 & 8 presentano alcuni punti fermi.
- Lunica fonte del messaggio trasmesso dalla Chiesa il Vangelo della salvezza. Attraverso la parola incarnata,
Cristo, in unione con lazione interiore dello Spirito, continua ad interpellare gli uomini di ogni generazione e
chiamarli alla salvezza. Natura e modalit di questa trasmissione sono la predicazione orale, gli esempi, le
istituzioni, lannuncio posto per iscritto con lispirazione dello Spirito Santo. La missione della Chiesa nasce dalle
missioni del Figlio e dello Spirito Santo e n il loro prolungamento invisibile nel mondo.2 Salvaguardare la purezza
e fedelt, pertanto il ruolo del ministero apostolico ed episcopale.

II.

LA RIVELAZIONE/MANIFESTAZIONE DI DIO NELLANTICO TESTAMENTO.

NellAT non esiste un termine tecnico per indicare la nozione teologica di Rivelazione. Il vocabolario rivelare o scoprire
(galah) utilizzato quasi sempre allinterno di testi con genere letterario di tipo apocalittico (annuncio di eventi futuri
sconvolgenti), spesso in connessione con lannuncio del giorno di Jahv, rivelazione definitiva di Dio e compimento
finale della sua giustizia. La comunicazione di Dio alluomo e la condiscendenza di Dio in favore delluomo vengono
espresse dallAT in vari modi; cio: Teofanie, Parola, i sogni, nube, ecc.
Teofanie. LAT non conosce una visione diretta di Dio, ma ne riconosce la prossimit alluomo attraverso una certa
manifestazione della sua presenza, cio mediante teofanie. Come esempi, troviamo:
Es 19, 16- 20: Ed ecco al terzo una nube densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: ... Allora Mos fece uscire il popolo
dallaccampamento incontro a Dio. Il Monte Sinai era tutto fumante, perch su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo
saliva come il fumo di una fornace. Es 24, 16- 18: Mos sal dunque sul monte e la nube copr il monte. La Gloria del Signore
venne a dimorare sul Monte Sinai e la nube lo copr per sei giorni.. 1Re 19, 11- 13: Gli fu detto: Esci e fermati sul monte alla
presenza del Signore. Ecco, il Signore pass. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti
al Signore.

I sogni. Dio manifesta la sua volont agli uomini tramite i sogni:


Gn 20, 3: Ma Dio venne da Abimlech di notte, in sogno, e gli disse: Ecco stai per morire a causa della donna che tu hai presa;
essa appartiene a suo marito. Gn 28, 11- 15: Capit cos in un luogo, dove pass la notte, perch il sole era tramontato;
[12] Fece un sogno: Ecco il Signore gli stava davanti e disse: Io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il
Dio di Isacco...
Per, la Rivelazione tramite i sogni, con i profeti, pi scarsa. Sono piuttosto i falsi profeti ad affermare di avere avuto
rivelazioni nei sogni. Ci non toglie nel fatto che Dio, anche nel NT si riveli agli uomini tramite sogni (cfr. i sogni di S.
Giuseppe). Un fatto molto importante che Dio non si rivela mai, nella Sacra Scrittura, attraverso fenomeni magici.
Anzi, Dio ha vietato il ricorso alla magia e ai maghi.
Parola: Lespressione parola di Dio (dabar Jahv) la maniera pi comune, ed allo stesso tempo pi importante e
solenne, con cui lAT descrive la comunicazione ed il manifestarsi di Dio al genere umano. Una delle espressioni pi
frequenti con cui luomo, il profeta, reagisce alla percezione della presenza divina : Parla, Jahv, perch il tuo servo
ti ascolta. (1 Sam 3,1- 10). Attraverso la sua parola, Dio introduce progressivamente luomo nella sfera della sua
intimit, nella conoscenza di S, fino al dono supremo della sua parola fatta carne.

Lc 10, 16

III.

GES CRISTO, VERBO INCARNATO, MEDIATORE E PIENEZZA DELLA RIVELAZIONE. [CFR. DV N. 4].

Cristo incarnato pienezza della Rivelazione divina, tanto nel modo di realizzarsi come nella portata del contenuto.
Cristo la parola definitiva e pi perfetta che Dio dirige allumanit. Non soltanto perch, in quanto parola incarnata,
la parola pi condiscendente pronunciata da Dio in favore delluomo, ma anche perch essa la parola che interpreta,
decodifica e rivela il vero senso di ogni parola pronunciata da Dio. In Cristo, la parola divina trova non solo la sua
pienezza noetica (cio la pi alta rivelazione del suo contenuto concettuale), ma anche la sua pienezza ermeneutica
(cio la rivelazione del suo contenuto concettuale). Il prologo del Vangelo di Giovanni il sunto solenne di questa
economia: <<Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato>> Gv. 1,18.
Cristo, pienezza della parola creatrice, centro e fine della storia del cosmo. Questa pienezza in Cristo della parola
creatrice si manifesta almeno sotto quattro aspetti:
a.
La creazione sussiste in Cristo ed stata fatta in vista di Cristo;
b.
Lumanit di Cristo pienezza della creazione, la realt creata pi perfetta e pi rivelatrice della
grandezza di Dio;
c.
In Cristo si rende gi possibile la logica di una nuova creazione, che egli inaugura e conduce
misteriosamente al suo compimento escatologico mediante la sua risurrezione gloriosa; (iv)
d.
La storia della creazione ha raggiunto nel mistero dellincarnazione un suo punto focale, una pienezza
dei tempi, in quanto a partire da Cristo possibile leggere il senso cui la storia tende, interpretare il suo
passato e comprendere la logica del suo futuro. Questo collegamento fra creazione e incarnazione pone in
luce levidenza che, nellunica economia storica, esiste una corrispondenza gi prevista nei piani di Dio.
Cristo pienezza della Parola dellAlleanza: Cristo nella sua santissima Umanit manifesta in s la pienezza
dell'Alleanza nella sua figliolanza divina che naturale e perfetta, e limmagine dell'unione matrimoniale si compie in
Cristo nell'essere lo Sposo della Chiesa, sua Sposa (cfr. Ef 5, 1). Negli Ebrei 10 si parla del sacrificio della nuova
alleanza Eb 10,1-24 legato alla croce di Cristo, realizzato nel proprio corpo. Non solo corporale, esteriore ma anche
morale, interiore. Cristo , anche, pienezza e compimento delle promesse legate allAlleanza.3

Cristo rivela la pienezza della Legge nel precetto della Carit; Questa legge per dono dello Spirito di
Dio. La legge non solo comprende solamente concreti precetti morali, ma soprattutto una grazia interiore
che dona la forza di operare la giustizia. - Cristo, pienezza della parola profetica: Ges il Profeta annunciato
nell'Antico Testamento. Ma Egli supera i confini del profetismo veterotestamentario in quanto Egli interpreta
la Legge, e per lautorit con quale parla. La sua frase ripetuta diverse volte - "Amen, amen, Io vi dico" significa il superamento del vecchio e l'avvento del nuovo, e conferma il fatto che Egli la Via, la Verit e la
Vita.
IV.

LA NOZIONE DI TRADIZIONE ED I SUOI RAPPORTI CON LA SACRA SCRITTURA.

Tradizione, in senso ampio, significa lintera trasmissione, ci che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, ci che crede e
ci che vive. In senso stretto, significa la sola trasmissione orale della Rivelazione (non scritta), fatta dagli Apostoli
e tramandata in molti modi alle generazioni. Nella sua etimologia latina vi sono i concetti del trasmettere e del
consegnare (tradere). La Dei Verbum parla dellunit, distinzione, e interdipendenza tra la Tradizione e Sacra
Scrittura.
DV,9: La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poich
ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano... una cosa sola e tendono allo stesso fine. [..]
ne risulta cosi che la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di
conseguenza luna e laltra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di piet e riverenza.
Possiamo riassumere questo rapporto nei seguenti punti:
-Unit: essa dipende da vari fattori come:
(i) La comune origine da Dio, perch Dio ispira la Scrittura e Dio stabilisce in Cristo, con lassistenza dello Spirito
Santo, una tradizione apostolica (ii) Il comune fine, cio la salvezza degli uomini (iii) Il comune contenuto, il
Vangelo, cio la predicazione apostolica.
-Distinzione: La Scrittura distinta dalla Tradizione perch:
(i) Luna parola divina, laltra parola umana, sebbene arricchita dalla garanzia dellassistenza divina, attraverso
la funzione del Magistero; (ii) Luna ha la struttura di un testo fissato, mentre laltra ha la struttura di un messaggio
vivo, che esplicita ci che il deposito (la Scrittura e la Tradizione stessa) contiene.
-Interdipendenza: Esse sono interdipendenti nel modo in cui:
3

La discendenza ( Il sacrificio di Ges fa dei due popoli un solo popolo perch diventa un sacrificio per tutti [Ef 2, 10-18]); La terra ( quel
regno celeste al quale siamo chiamati a partecipare); La liberazione dalla schiavit (la salvezza, dal dominio del diavolo).

(i) il deposito si formato: la Tradizione, che interpreta la Scrittura anche precedente alla Scrittura; (ii) il deposito
viene riconosciuto autentico: la Tradizione esiste primordialmente per interpretare rettamente la parola di Dio scritta
(tradizione finalizzata alla Scrittura), ma la parola di Dio scritta, senza la vita vissuta della Chiesa, resterebbe lettera
morta (Scrittura finalizzata alla tradizione viva).
V.

LA CREDIBILIT DELLA RIVELAZIONE: CRISTO E LA CHIESA, MOTIVI DI


CREDIBILIT E SEGNI DI SALVEZZA.

La credibilit della Rivelazione rimanda ai segni compiuti da Dio nella Storia. In essi, la credibilit della fede nellunico
e vero Dio possa essere riconosciuto.4
Cristo: I segni di salvezza sono concentrati in Cristo perch in definitiva, in Cristo che il Padre compie le opere e
manifesta i suoi segni.5 In relazione con la credibilit, alla persona di Ges Cristo vengono associate tre caratteristiche.
a. Egli pienezza e compimento della Rivelazione, manifestando in s stesso lintero disegno del Padre,
b. Egli fonte di intelligibilit per comprendere qualsiasi altro segno (profezie, miracoli, santit),
c. Egli chiave di discernimento per vedere chiaramente come le aspirazioni pi profonde delluomo trovino
compimento nella dottrina evangelica.
La Chiesa: La Chiesa il secondo gran segno che corrobora la credibilit della fede in tre modi sostanziali:
a. Con la sua predicazione e la sua azione sacramentale, che manifestano come in essa permangono i mezzi di
salvezza voluti da Cristo stesso;
b. Con i segni della sua unit, santit e storicit, che vengono proposti anche nella loro dimensione di paradosso,
ovvero come tensione fra la condizione terreno - umana dei cristiani e la sublimit dei frutti che la Chiesa in
grado di produrre nonostante i limiti di tale condizione;
c. Con la testimonianza di vita, in modo particolare quella del martirio, (segno che accompagna e accompagner
sempre la predicazione del Vangelo).
E Cristo che rende possibile che la Chiesa sia sacramento visibile di salvezza e dunione di tutti gli uomini con Dio, lui
che con la sua presenza e le sue opere manifesta il mistero della Chiesa fin dalla sua fondazione.6

VI.

LA RESURREZIONE DI GES CRISTO, CENTRO DELLA CREDIBILIT CRISTIANA.

La Risurrezione stata la ragione ultima e definitiva della fede per varie e diverse ragioni, in definitiva collegate con il
suo essere il massimo segno della Missione e della Persona del Figlio. La Risurrezione, da una parte, rappresentava una
conferma divina delle parole di Ges; dallaltra parte, nelle apparizioni Ges risorto si presentato come il grande e
definitivo segno della fede in Lui.
Risurrezione e riconoscimento di Ges come Kyrios: E possibile che gi prima della Risurrezione, i discepoli si siano
rivolti a Ges con questo titolo di Signore (kyrios), perch lo seguivano come loro Maestro. Tuttavia, luso del titolo in
tutta la sua portata cristologica connessa con lesperienza pasquale, lunica che ha permesso agli Apostoli di sapere
Ges glorificato e di riconoscerlo come Signore assoluto della vita e della morte, Giudice dei vivi e dei morti, tanto da
potere e dovere essere proclamato con la formula della tradizione biblica dellAlleanza: Signore mio e Dio mio.
Risurrezione e riconoscimento pieno della filiazione divina di Ges: Lesegesi contemporanea ha messo altres in rilievo
il collegamento tra risurrezione e filiazione di Ges, evidenziato dagli Apostoli. Nella risurrezione questa divina
figliolanza si manifestata in tutta la pienezza, per la potenza di Dio che, con lopera dello Spirito Santo, ha restituito a
Ges la vita e lo ha costituito nello stato glorioso di Kyrios (Fil 2,9)
La resurrezione di Cristo centro dellannuncio cristiano. La Chiesa nasce come comunit dei testimoni della
resurrezione di Ges Cristo e coloro che vengono battezzati sono coloro che hanno creduto allannuncio di Cristo risorto.

La fede nella resurrezione dei morti fede nella resurrezione dei corpi e non mera fede nella condizione
immortale dellanima umana. Al di l delle diverse prospettive antropologiche del mondo antico, qui giace la
principale originalit del messaggio cristiano sulla vita eterna, nel cui annuncio la Chiesa nascente ha trovato
serie difficolt sia in ambito greco-romano che in una parte dellebraismo. La verit della resurrezione di Ges
Cristo diviene essa stessa ermeneutica della storia e del cosmo, rafforzando la sua credibilit grazie alla sua
capacit di fornire coerenza e unit allinsieme della Rivelazione e allintero disegno di Dio sul cosmo.

Cfr. DH 3012
Gv14,10; 12, 29 - 30
6
Cfr. LG nn. 2, 1, 9, 5
5

TEMA 3: La Fede
I.

LA NOZIONE DI FEDE NELLA SACRA SCRITTURA.

Antico Testamento
Il rapporto dellIsrael con il suo Dio comprende molti verbi, i cui i principali sono: heemin (aver fede), aman (essere
saldo, sicuro, fedele), batah (confidare), hasah (trovare rifugio), qawah (sperare), hakah (attendere). Il credere
riassume tutti questi insegnamenti e le loro conseguenze, al punto che il suo contrario, il non credere in Dio, ovvero
lapostasia e lidolatria, sono il peccato per eccellenza.
Lazione di credere in Dio causa un passaggio dal timore e dalla paura alla fiducia e alla pace. La fede dIsraele non
opinione n semplice speranza, ma adesione ad una parola stabile e pertanto, principio di comprensione vera del reale.
La fede veterotestamentaria ha in Abramo la sua icona pi chiara; Essa mette in luce due aspetti principali della fede
biblica: cio quello della fiducia/abbandono e quello della ferma persuasione. In Abramo la fede assume limpegno di
abbandonare nelle mani di Dio il passato, come testimoniato dalla sua chiamata a lasciare il paese di Ur di Caldea, ma
anche il futuro, come mostra la sua disponibilit a sacrificare il figlio Isacco, frutto della promessa di una discendenza
e di una benedizione universali (Gen 15,6). A partire da Abramo, la fede sar legata in modo irrevocabile al
riconoscimento di un monoteismo assoluto. La fede di Abramo, origine della fede dIsrael, fede nellunico Dio e vero
Dio, il Dio Altissimo, il creatore del cielo e della terra (Gen 14,17-20).
Lesperienza religiosa dellEsodo rivela che la fede dIsraele in Dio a generare la sua identit come popolo, un
popolo che si riconosce come popolo di Dio, giungendo cosi alla propria identit e libert (Deut 27, 9-26). La fede
dIsraele sviluppa come risultato della memoria di eventi realizzati da Dio e di comportamenti richiesti alluomo. Essere
fedeli vuol dire conservare la memoria dellAmore di Dio (Sal 136). La fede dIsraele ladesione al Dio della Promessa
e dellAlleanza. Al contrario, non credere si traduce nel non considerare/riconoscere le opere del Signore, ribellarsi ai
suoi comandamenti, dimenticarsi della sua bont, mormorare, mettere in dubbio, non obbedire.7 La fede nellAT quindi
si comprende come un riassunto dei rapporti che devono legare luomo a Dio e risposta alliniziativa di Dio che si rivela.
Il carattere della fede dIsraele pare dipendere strettamente dalla natura storica e personale della Rivelazione del suo
Dio: a generare questa fede ci sono degli eventi di cui si fa memoria; ad esprimere questa fede ladesione personale
ad una fonte di senso e di verit.
Nuevo Testamento
I molteplici aspetti della fede sono concentranti nel NT nella terminologia (fede). Oggetto di questa fede
principalmente Ges Cristo nella sua missione divina, quale inviato dal Padre.
Nei vangeli sinottici, la fede indica soprattutto laccoglienza dei contenuti e della logica del Regno di Dio e il
riconoscimento del potere divino del Maestro. Oggetto della fede il Vangelo (Cfr. Mc 1,15) predicato da Ges e diffuso
dagli apostoli dopo la sua risurrezione. Esempio di fede Maria, il cui credere alla parola di Dio lodato da Elisabetta
(Lc 1,45), e presentato da Luca in opposizione allincredulit di Zaccaria. Il termine fede pu voler dire anche
atteggiamento di fiducia, ovvero fidarsi di Ges o anche fidarsi di Dio (Mt 14,31).8 Inoltre, i sinottici parlano della
fede principalmente in termini di fede che Ges possa fare qualcosa, essenzialmente in riferimento ai miracoli di
guarigione (Cfr. Mc 9,23-24, Mt 15,28). In prossimit degli eventi della passione, credere a quanto Ges ha insegnato
vuol dire soprattutto aderire a lui, essere disposti alla sua sequela, compresa lesperienza della croce.
Nel quarto Vangelo, esiste un legame fra fede/verit e salvezza. Frutto dellatto del credere la conoscenza di Dio,
ma proprio in ci consiste la vita eterna (Cfr. Gv 6,40). Lo stesso Vangelo mette in luce linsistenza secondo la quale
Cristo ammonisce con decisione di credere alle sue opere, come segno adeguato per suscitare la fede verso di lui (Gv
2, 11.23).
Atti degli Apostoli, la fede in Cristo-Messia non un mero sentimento nutrito di speranza, ma viene presentata come
conoscenza certa (At 2,36).9 Inoltre, credere leffetto della predicazione di una parola ascoltata e accolta, e trova subito
la sua concrezione pubblica nellamministrazione del sacramento del battesimo (At 2,41). Nella predicazione degli
Apostoli, la fede in Ges Cristo indissociabile dalla conversione (At 3,26).

Cfr. J. Al faro, Fides in terminologia Biblica, <Gregorianum> 42 (1961) 463 505.


Pietro viene chiamato uomo di poca fede perch non si fida dal Signore.
9 Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israel che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Ges che voi avete crocifisso.
8

Corpus Paolino la fede compresa essenzialmente in un orizzonte di grazia (cio: un dono gratuito di Dio e quella che
rende luomo capace di accoglierlo. Confessare la propria fede/ credere in Ges Cristo equivale per lApostolo a stabilire
almeno due contenuti fondamentali:
a) ladesione vitale al Figlio di Dio il cui effetto la giustificazione del peccatore;
b) il riconoscimento che in Cristo si sono adempiute le promesse di Dio al suo popolo, la cui fedelt viene cosi
solennemente riaffermata.
La fede anche compresa come risposta allannuncio cristiano, in modo particolare a quella della morte redentrice e
della risurrezione di Ges (Rm 6,8). Inoltre, le lettere presentano la dinamica fede-salvezza (Rm 3-5).

II.

I PRINCIPALI INSEGNAMENTI DEL MAGISTERO DELLA CHIESA CIRCA LA VIRT DELLA FEDE.

Concilio di Trento (1545 1563) mette in luce alcuni punti principali:


La fede viene ricevuta mediante lascolto (ex auditu); con essa e con laiuto della grazia divina (DH 1526). La fede in
sostanza conoscenza generata dallascolto e non sentimento. Il Concilio anche espone alcuni aspetti dei suoi rapporti
con la speranza e la carit: le tre virt teologali sono insieme un unico dono ricevuto nella giustificazione, che sancisce
il proprio inserimento in Cristo (DH 1530). La fede senza la carit non vera fede. Secondo Trento, linterpretazione
dellespressione essere giustificati per mezzo della fede va intesa nel senso che la fede sia linizio della salvezza, non
che essa, da sola, causi la salvezza (DH 1532).
Concilio Vaticano I (1870), dal capitolo De Fide della costituzione Dei Filius, si presenta la fede come un atto libero,
mosso dalla grazia divina, ma anche doveroso, legando questultimo aspetto alla totale dipendenza della ragione creata
da Dio, motivo della sottomissione obbediente dintelletto e volont della Rivelazione divina. Sulla natura della fede, lo
stesso testo nega che la fede sia un moto cieco dello spirito, e affermando che debba essere considerata sempre in s
stessa un dono di Dio il quale luomo potrebbe anche liberamente resistervi (DH 3010). Loggetto della fede la
parola di Dio, scritta o tramandata nonch le formazioni con cui il Magistero propone lungo la storia ai fedeli (DH
3011).
Nella Costituzione Dei Verbum, n. 5, e altri documenti del Concilio Vaticano II (1962), la fede viene considerata come
una relazione personale nella quale lessere umano si dona interamente a Dio, secondo un atto globale e compiuto,
che coinvolge intelligenza, volont e libert, e che pu qualificarsi, biblicamente, ob-auditus fidei. Lo Spirito Santo
muove lintelletto (occhi della mente) e la volont (cuore), consentendo quel progressivo approfondimento della
Rivelazione che, a sua volta, rafforza in un circolo virtuoso lopzione di una fede irrobustita dalla grazia.
Giovanni Paolo II nella Fides et ratio (1998) ripropone un commento alla comprensione della fede secondo la Dei
Verbum (come visto sopra).
Dignitatis Humanae, 10 (nesso fra fede e libert): nessuno pu essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volont;
la fede per sua stessa natura un atto volontario, giacch gli esseri umani non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il
Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero.

III.

LA DIMENSIONE PERSONALE ED ECCLESIALE DELLA FEDE.

Latto di fede, il credere, la risposta delluomo alla Rivelazione; risposta daccettazione della Rivelazione esteriore.
Questo atto un atto volontario, un atto libero; la volont muove lintelletto allassenso, aiutata dalla grazia attuale.
Perci lintera persona - attraverso le due facolt specificamente umane - a rispondere alla Parola di Dio, mediante
un atteggiamento globale dadesione non soltanto al contenuto neotico della Parola divina, ma allo stesso Dio. Dunque,
latto di fede un incontro personale tra luomo e Dio; incontro che proviene ed fatto possibile dalla gratuita iniziativa
divina (1 Gv 4, 10). Nellatto di fede, luomo offre a Dio stesso la sua libera obbedienza, acconsentendo e cooperando
alla sua grazia, alla quale potrebbe resistere. La dimensione personale vuol dire che la fede una libera risposta
delluomo alliniziativa di Dio che si rivela.
La fede sopranaturale ha un rapporto di comunione piena e viva con gli altri, cio, una dimensione comunitaria e sociale,
e questa non annulla la dimensione personale. NellAT ci che lega il popolo a Jahv la fede. La fede una realt
sociale e pubblica, che unendo i credenti a Dio e tra loro, li identifica come popolo. Nel NT, la fede che unisce i suoi
membri tra di loro, ad aggregarli e a mantenerli in essa (At 2,41). La fede lelemento comune, in senso assoluto, a tutti
i membri della Chiesa. Nessuna persona singola pu compiere un atto di fede perfetto e pieno se non nella Chiesa, 10
perch lo Spirito Santo che permette di conoscere Dio dimora nella Chiesa. E dunque chiaro che solo la Chiesa pu
esplicitare un atto di fede in Dio Uno e Trino, e di conseguenza, che solo grazie alla Chiesa possibile al singolo un
atto di fede esplicitamente trinitario.11 Riassumendo la dimensione ecclesiale della fede, si pu dire che:
a. E la Chiesa che comunica in maniera esplicita la fede -culminando nel sacramento del battesimo- e la
sorregge con gli altri sacramenti. , dunque, la partecipazione ai sacramenti che attua in modo vitale la
10
11

Cfr. LG nn. 17
Cfr. LG nn 1-5

comunione -attraverso la Chiesa- tra il credente e il mistero di Cristo; cosi incorporato in Cristo egli partecipa
per mezzo dei sacramenti alle virt e alla vita stessa di Lui, che ci nutre.
b. La Chiesa sotto la guida dello S. Santo la custode della Rivelazione nella quale Dio si rivolge all'uomo per
invitarlo e ammetterlo alla comunione con S.
c. Nella Chiesa infine il credente attua, vive e testimonia la fede che ha ricevuto.

IV.

IL RAPPORTO FRA FEDE E RAGIONE: SPUNTI DAL MAGISTERO DELLA CHIESA E DELLA
TRADIZIONE TEOLOGICA

Il magistero insegna che la fede e ragione sono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche
per il loro oggetto: per il loro principio, perch nelluno conosciamo con la ragione naturale, nellaltro con la fede divina;
per loggetto, perch oltre la verit che la ragione naturale pu capire, c proposto di vedere i misteri nascosti in Dio,
che non possono essere conosciuti se non sono rivelati dallalto.12Sebbene la fede sia superiore alla ragione, tuttavia non
si pu mai riscontrare tra esse nessun dissenso e nessun disaccordo, perch tutte e due provengono dallunica e medesima
fonte immutabile della verit, Dio ottimo massimo, e cosi danno reciproco aiuto. Tanto vero che la retta ragione rivela,
protegge e difende la verit della fede; e la fede libera la ragione da ogni errore, la illumina di fulgida luce con la
conoscenza delle cose divine, la rinsalda e la perfeziona.13 La ragione non si limita a puri fenomeni, ma riesce a
raggiungere con certezza la realt conoscibile spiritualmente.14 La chiesa ha sempre tentato di esprimere il messaggio
di Cristo con laiuto dei concetti e delle lingue dei diversi popoli e di spiegarlo con laiuto della filosofia. La ragione e
le scienze umane possono condurre a Dio, con laiuto della grazia, se usate come si deve.15 Giovanni Paolo nella Fides
et Ratio insegna che la fede e ragione sono chiamate ad essere in unit; per questa unit non annulla le differenze.
Questa unit e diversit tra fede e ragione esigono in pratica la mutua collaborazione.
I limiti della ragione: A motivo del carattere soprannaturale e misterioso dei contenuti della rivelazione alla ragione
sono osti dei limiti: Cristo nella sua predicazione offre prospettive che non sono accessibili alla ragione umana; i misteri
non possono venir trattati come gli oggetti della scienza naturale16; la filosofia non esente da errori; ci sono questioni
pi profonde che dalla ragione quasi non possono essere risolte. La ragione umana deve servire alla verit rivelata e non
pu essere padrona di essa.

La tradizione teologica cristiana17 invece ha suggerito diversi modelli per presentare i rapporti tra fede e
ragione: il modello dialogico (questo presenta la fede e ragione come distinte ma aperte luna allaltra in un
confronto di mutua collaborazione); il modello sponsale (la fede e ragione come due luci intellettuali nello
stesso soggetto che si aiutano mutuamente, ognuno secondo il suo modo proprio); il modello incarnazionale
(come lunione delle due nature nellunica persona del Verbo: la fede e ragione, mantenendo la loro distinzione
e proprie caratteristiche operative, siano nel contempo unite e concorrono alla stessa conoscenza ed attivit
del credente.

12

DH 3015
DH 2776
14 DH 4315
15 DH 3019
16 DH 2854 2856
17 M.J Scheeben, I misteri del Cristianesimo, pp. 109-110.
13

TEMA 4: I Libri Sacri


NOZIONE E NATURA DELLISPIRAZIONE.

I.

A. La Nozione dellIspirazione Biblica:


Il termine ISPIRAZIONE esprime la qualit unica dei libri elencati nel canone dellAT e del NT, cio la loro origine
divina18.
Definizione: Lispirazione un influsso soprannaturale carismatico, cio, lazione dello Spirito Santo agli agiografi
dei libri della Bibbia.
B. La Natura dellIspirazione:
1) Dio, Autore Principale della Sacra Scrittura.
Le parole con le quali il Concilio Vaticano II si riferisce allispirazione biblica in quanto azione che procede da Dio
sono le seguenti:
Dei Verbum 11: Le realt divinamente rivelate che sono contenute e presentate nei libri della Sacra Scrittura, furono
messe per iscritto sotto ispirazione dello spirito Santo. Infatti, la santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri
e canonici tutti interi i libri sia dellAntico sia del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perch, essendo scritti
sotto ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono consegnati alla Chiesa
Cosa si vuole dire, quando si afferma che la Sacra Scrittura ha Dio come autore?
- Da una parte si vuole affermare che la Scrittura unopera di Dio, ossia il risultato di una di quelle azioni che
la teologia denomina ad extra per il fatto di avere il suo termine fuori dello stesso Dio. Come tutte le
operazioni ad extra, lispirazione comune alle tre Persone divine, bench si debba attribuire particolarmente
allo Spirito Santo, Persona divina alla quale si attribuisce ci che fa riferimento alla santificazione degli uomini.
-

Daltra parte, si vuole affermare che si tratta di una di quelle azioni di Dio chiamate soprannaturali, per il fatto
che si trovano al di l delle forze ed esigenze della natura creata. Il Magistero della Chiesa non a caso adopera
nel parlare dellispirazione biblica, espressioni come supernaturalis, gratia collata ed altri simili che
vengono intese come grazia soprannaturali.

2) Gli Agiografi, ispirati da Dio, veri Autori dei Testi Sacri


Il rapporto fra lazione divina e quella degli agiografi stato descritto dalla DV 11 con le seguenti parole: Per la
composizione dei libri sacri, Dio scelse e impieg uomini in possesso delle loro facolt e capacit,e ag in essi e per
mezzo di essi, affinch scrivessero come veri autori tutte le cose e soltanto quelle che egli voleva. Tre idee vengono
messe in risalto:
Preminenza dellazione divina Dio scelse gli uomini, fece uso delle loro facolt e forze, ed in modo tale che
nella composizione dei testi sacri: nella Sacra Scrittura si trova tutto e soltanto quello che Lui volle fosse scritto.
Si fa menzione degli agiografi La formula veri auctores, riferita agli agiografi, stabilisce con esattezza la
come veri auctores.
natura della loro azione. Cos si precisa lesistenza di unanalogia fra lagire
degli agiografi e lagire di Dio, essendo ambedue autori nel senso proprio del
termine.
Il concilio propone una formula
per spiegare il rapporto fra
lazione dellagiografo e quella di
dio: in essi e per mezzo di essi.

Si tratta di una formula sostanzialmente appartenente al campo semantico della


strumentali. Evidentemente, la spiegazione del processo dellispirazione
dellagiografo con le categorie della causalit strumentale si deve realizzare
nellordine dellanalogia.

Da un punto di vista teologico, ci che si vuole affermare si pu ridurre ai seguenti cinque principi:
a) Nel processo ispirante, Dio, Auctor principalis, agisce sullagiografo con una mozione previa e immediata.
Questa azione provoca unelevazione dellagiografo allordine carismatico: gli si infonde, infatti, quel dono
conosciuto nel linguaggio teologico come carisma dellispirazione, luce e forza divina che illumina
lintelligenza e determina la volont a scrivere e lo assiste in tutto il suo lavoro.
b) Come agente strumentale, nellagiografo esiste lintreccio di due capacit: una propria, derivante dai talenti e
dalle attitudini personali; unaltra, nata dallinflusso divino.
18

Cfr. Dei Verbum, 11

10

c) I testi sacri che risultano da questa collaborazione ineffabile delluomo con Dio si devono attribuire interamente
a Dio e interamente allagiografo perch ambedue agiscono come un unico autore che elabora tutta lopera.
d) Nella Sacra Scrittura, risultato della collaborazione delluomo con Dio, si scorgono le tracce di ambedue gli
autori.
e) Infine, bench lattivit carismatica dellagiografo sia transeunte, non per ci egli meno autore dei suoi testi. Il
carattere transeunte del carisma dellispirazione manifesta soprattutto il dominio pieno di Dio nella composizione
dei testi sacri.
II.

VERIDICIT E SANTIT DELLA SACRA SCRITTURA.

A. La Veridicit della Sacra Scrittura.


Dei Verbum, 11: Poich dunque tutto ci che gli autori ispirati, cio gli agiografi, asseriscono da ritenersi asserito
dallo Spirito Santo, si deve professare, per conseguenza, che i libri della sacra Scrittura insegnano fermamente,
fedelmente, e senza errore la verit che Dio in vista della nostra salvezza volle fosse messa per iscritto nelle sacre
Lettere.
Con queste parole viene indicata una delle propriet fondamentali dei libri sacri: la piena veracit e, pertanto, lassoluta
inerenza o carenza di errore.
- Principi Fondamentali che presiedono alla Verit della Bibbia
i) Loggetto formale della Rivelazione e della Verit biblica
La Rivelazione storica della Bibbia comprende dei contenuti che sono anche oggetto della filosofia, della storia e delle
scienze esatte. Comunicare la verit salvifica loggetto formale permanente della Sacra Scrittura. Cos le verit o nozioni
profane vengono scelte e fornite in considerazione della salvezza. E sono libere da errore in quanto notizie contenenti
lagire o il rivelare di Dio, o in proporzione, maggiore o minore, del rapporto che con tale agire divino hanno.
-Nellambito della metafisica: Per quel che riguarda la metafisica, i libri sacri non danno alcun tentativo di spiegazione
razionale delle cose, elaborato per via di riflessione astratta e sfociante nella costruzione di un sistema coerente.
-Nellambito delle scienze naturali: La bibbia non intende istruirci sulla conformazione fisica delle cose; gli autori sacri ne
parlano seguendo le opinioni comuni della loro epoca.
-Nellambito della storia: La Sacra Scrittura considera gli avvenimenti sotto il punto di vista dei rapporti fra gli uomini e
Dio, del dramma spirituale in cui questi rapporti vengono alla luce grazie alla particolare situazione del popolo di Dio. La
materialit dei fatti come tali qui meno importante che non il loro rapporto col mistero della salvezza.
ii) I generi letterari e la verit della Bibbia: La DV 11 afferma che Per ricavare lintenzione degli agiografi, si deve
tenere conto tra laltro anche dei generi letterari.
iii) Progresso della Rivelazione e verit delle affermazioni bibliche: Il mistero di salvezza rivelato nella storia e
attraverso la storia, quindi cresce col tempo. La stessa DV sottolinea a pi riprese e in vari modi la dimensione storica e il
carattere progressivo della Rivelazione biblica ne teme di riconoscere che i libri dellAT contengono cose imperfette e
temporanee (DV15).
iv) La verit dei singoli testi nella globalit dellintero messaggio dellAT e del NT: DV 12 afferma che per ricavare
con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore intelligenza al contenuto e allunit di tutta la
Scrittura.
v) Valore perenne dellAT: La globalit del senso della Scrittura e della sua verit non va presa soltanto nella direzione
AT-NT, ma anche vice versa, cio NT-AT. In altri termini, non soltanto lAT illuminato dal NT, ma lo stesso NT
illuminato dallAT.
Loggetto formale della Rivelazione e della Verit della Bibbia

I generi letterari e la verit della Bibbia


Progresso della Rivelazione e verit delle affermazione bibliche
La verit dei singoli testi nella globalit dellintero messaggio dellAT e del NT
Valore perenne dellAT

Ambito della metafisica


Ambito delle scienze naturali
Ambito della storia
DV, 11
DV, 15
DV, 12

B: La santit della Sacra Scrittura.


Come lispirazione comporta la verit di tutto il contenuto della Bibbia, cos pure, grazie alla stessa ispirazione, cio
alla sua origine divina, tutta la Sacra Scrittura piena della santit di Dio. Questa santit vuole dire da una parte che i
testi insegnano una dottrina morale giusta e buona, capace di condurre luomo alla partecipazione della perfezione di
Dio; dallaltra, che in essi non c nulla che disdica alla bont di Dio, ovvero che essi sono immune da qualsiasi fallo o
errore morale.

11

III.

LA CANONICIT DEI LIBRI SACRI

La canonicit designa lappartenenza di un libro al catalogo dei libri ispirati. La definizione dogmatica sul canone biblico
fu proclamato semel pro semper dal Concilio di Trento. Nella definizione dogmatica viene affermata luguale autorit
normativa di tutti libri del canone, senza dunque introdurre differenze allinterno di esso, e lestensione della canonicit:
tutti i libri con tutte le loro parti. Il Concilio offriva anche due criteri sui i quali si fondava la sua solenne dichiarazione:
la lettura liturgica della Chiesa e la loro appartenenza nellantica versione latina Volgata; due criteri che si fondano in
uno: la Tradizione viva della Chiesa, orale e scritta. (cfr.DS 1504)
Il Concilio Vaticano I conferm la definizione Tridentina con queste parole Questi libri dellAT e del NT, nella loro
interezza, con tutte le loro parti, cos come sono elencati nel decreto di questo concilio e come si trovano nellantica
edizione latina della Volgata, devono essere accettati come sacri e canonici (cfr.DS 3006).
Il Concilio Vaticano II ha messo, infatti, in rilievo la funzione della Sacra Tradizione come criterio definitivo per la
definizione del canone biblico, con le seguenti parole: per mezzo di questa Tradizione che la Chiesa conosce lintero
canone dei Libri sacri e che le stesse Sacre Scritture sono comprese pi compiutamente e rese continuamente
operanti(DV 8).
IV.
ERMENEUTICA BIBLICA
Tradizionalmente lermeneuta biblica quella scienza che si occupa della determinazione della natura dei sensi
scritturistici (Noematica), formula le nozioni teoriche e le regole attinenti alla buona interpretazione dei testi sacri
(Euristica), ed indica il modo di esporre convenientemente il contenuto della Bibbia al servizio della Chiesa
(Proforistica).
Stando al significato etimologico, il termine esegesi sinonimo di ermeneutica. Tuttavia, luso scientifico in genere
distingue le due parole: oggi si preferisce chiamare esegesi quellanalisi del testo scritturistico destinata a scoprire ci
che lautore voleva dire ai suoi contemporanei, ed ermeneutica ci che il medesimo testo dice a noi oggi in un contesto
diverso e in un linguaggio comprensibile alluomo moderno.
V.

CRITERI RAZIONALI E TEOLOGICI PER LINTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA.

A. Criteri Razionali:
i)
Necessit di uninchiesta esegetica seria: Dio ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana; dunque
linterprete deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano voluto effettivamente significare e a
Dio piaciuto manifestare con le loro parole. (cfr.DV 12)
ii)
Conseguente Necessit della critica letteraria e storica: la fedelt al testo e al suo senso letterale esige
nellinterprete il ricorso ad una rigorosa critica letteraria e storica, oltre che alla critica testuale.
B. Criteri Teologici (Principi di ermeneutca teologica)
i)
Lettura nello Spirito: Secondo DV, la Sacra Scrittura deve essere letta e interpretata con laiuto dello Spirito
mediante il quale stata scritta.
ii)
Il Contenuto e lunit di tutta la Scrittura: Questo criterio ermeneutico esige che ogni pagina della Bibbia
venga letta alla luce di tuttintero il messaggio biblico.
iii)
La viva Tradizione di tutta la Chiesa: la Bibbia deve essere interpretata nella Chiesa perch lo Spirito Santo,
Autore principale e quindi vero interprete dei testi sacri, per divina promessa insegna nellunica Chiesa di
Ges Cristo. Dunque, la Chiesa assistita dallo Spirito Santo possiede il senso vero della S.Scrittura come
caratteristica connaturale.
iv)
Lanalogia della Fede: ovvero la coscienza dellunit della Rivelazione e della fede della Chiesa. Tutte le
espressioni della Rivelazione e della fede sono strettamente coordinate e silluminano a vicenda; ogni
espressione, dunque, va vista alla luce delle altre e con esse collegata, se vuole essere rettamente intesa e
restare aperta ad una profonda comprensione.
VI.

TEOLOGIA ED ESEGESI BIBLICA.

Lesegesi essa stessa una disciplina teologica, fides quaerens intellectum, per cui intrattiene con le altre discipline
teologiche relazioni strette e complesse. Da una parte la teologia sistematica ha un influsso sulla precomprensione con
la quale gli esegeti affrontano i testi biblici, dallaltra, lesegesi offre alle altre discipline teologiche dati che sono per
esse fondamentali.
Quando affrontano i testi biblici, gli esegeti hanno necessariamente una precomprensione basata su certezze di fede: La
Bibbia un testo ispirato da Dio. Queste certezze di fede arrivano agli esegeti dopo essere state elaborate nella comunit
ecclesiale dalla riflessione teologica. Reciprocamente, il lavoro dellesegesi risulta imprescindibile per la teologia
sistematica. Per interpretare la Scrittura con esattezza scientifica e precisione, i teologi hanno bisogno del lavoro degli
esegeti.

12

TEMA 5: P e n t a t e u c o
I.

DESCRIZIONE GENERALE DEL SUO CONTENUTO.

Il nome di Pentateuco designa i primi cinque libri della Sacra Scrittura, questi raccontano lstoria della salvezza partendo
dalla creazione del mondo fino alla morte di Mos. Dagli Ebrei considerato come ununico libro che denominato
Torh (legge o insegnamento). A partire di Filemone di Alessandria (sec. I dC), i giudei della diaspora e poi i cristiani
di lingua greca e latina, diedero alla Torah il nome di Pentateuco (libro contenuto in 5 astucci: contenitore cilindrico).
I cinque libri sono:
GENESI
1-2
Racconto della creazione del mondo
3-11
Storia primitiva dellumanit percorsa dal peccato
12-37 Eventi del diluvio e la scissione dei popoli a causa della Torre di Babele, ma essa
sempre sostenuta dalle promesse e dalla misericordia di Dio.
37-50 Storia patriarcale incentrata nelle figure dei 3 grandi patriarchi dIsraele: Abramo,
Isacco, Giacobbe. dedicato un ampio spazio alla storia di Giuseppe e agli eventi
attorno alla discesa della famiglia di Giacobbe in Egitto).
ESODO
1-18
Schiavit del popolo dIsraele in Egitto, la sua liberazione ad opera di Mos ed il
pellegrinaggio nel deserto fino al Sinai.
19
Evento Centrale della costituzione dIsraele come popolo di Dio. Alleanza del Sinai.
20-23 Rivelazione del decalogo e del codice dellAlleanza
25-40 Sezione contenente di disposizione divine relative al culto, con la seguente messa in
atto da parte di Mos.
32-34 Particolarit: Inciso narrativo sulla rottura dellAlleanza. Al peccato didolatria
(adorazione del vitello doro) segue la punizione divina e il rinnovo dellAlleanza
grazie allintercessione di Mos.
LEVITICO
1-16
Libro contenente della legislazione cultuale dIsraele, con le leggi sui sacrifici,
sullinvestitura dei sacerdoti, sulla purit e con il cosiddetto codice di santit.
17-26 Dio parla a Mos della tenda dellincontro, non pi del Sinai.
NUMERI
1-19
Opera composta da un intreccio di sezioni narrative e testi legislativi. Descrive,
prima, el censimento e la preparazione del popolo per la partenza dal Sinai ed il
pellegrinaggio nel deserto fino Kades, ai confini di Edom.
20-35 Peregrinaggio nel deserto da Kades a Moab, con le ulteriori disposizioni date da
Mos. Israele si sposta quindi dal Sinai alle steppe di Moab, dove si prepara ad
entrare nella terra promessa. Le leggi promulgate nelle steppe di Moab vengono
equiparate a quelle date sul Sinai (Dt, 28,69).
DEUTERONOMIO
Si presenta formate da tre grandi discorsi di Mos, in cui il grande legislatore fa
memoria della provvidenza divina sul popolo lungo il pellegrinaggio nel deserto.
Contiene anche una lunga sezione legale, il codice deuteronomico, che complimenta
la legislazione sinaitica (12-36), nonch diversi episodi accaduti nella pianura di
Moab. Conclude con le ultime vicende e la morte di Mos (31-34).

II.

ORIGINE MOSAICA ED IPOTESI CRITICHE SULLE TRADIZIONI E LE FONTI NELLA COMPOSIZIONE


DEL PENTATEUCO.

Lorigine Mosaica del Pentateuco:


Fino al sec. XVI, la tradizione ebraico-cristiana aveva considerato il Pentateuco opera composta da Mos, cos come
suggerivano alcuni testi veterotestamentari. Cos Mos viene collocato al centro di alcuni avvenimenti come la vittoria
sugli Amaleciti (E 17,14), tappe del pellegrinaggio nel deserto (Nm 33, 1-2), e sopratutto la registrazione di alcune leggi
rivelategli da Dio (Es 24, 4-8; Es 43, 27; Dt 31, 9.22.24-26). In alcuni libri del A.T. troviamo gi la formula di libro di
Mos o libro della legge di Mos (1 Re 2,3); cos anche troviamo lusanza di questi termini: Legge di Mos (Lc
24,44), o il libro di Mos (Mc 12,26).
La tradizione ebraica sullautenticit mosaica testimoniata esplicitamente soltanto nel tardo giudaismo (sec. I dC), da
Filemone di Alessandria e Giuseppe Flavio; convinzione che raccoglie la tradizione talmudica. Nella letteratura apocrifa
giudaica si trovano tuttavia riferimenti isolati ad un certo lavoro realizzato dallo scriba Esdra (sec. V aC). La tradizione
cristiana, da parte sua, si limita in questi lunghi secoli a seguire quella ebraica, anche per quanto riguarda una possibile
13

attivit redazionale di Esdra. Solo nellambito di alcune sette e delle correnti gnostiche del primo periodo della patristica
sorgono eventuali debbi o ridimensionamenti sulloperato di Mos, pi per ragioni ideologiche che critiche. Verso la
fine del medioevo, qualche voce isolata, come quella del celebre rabbino di Tudela Abraaham ibn Ezra (1092-1167),
metter in dubbio in modo pi critico lorigine mosaica del Pentateuco in alcuni de suoi testi.
Ipotesi critiche sulle Tradizioni e delle fonti nella composizione del Pentateuco:
Nel sec. XVIII con lilluminismo si apre una nuova fase degli studi critici sul Pentateuco. Questa volta non sulla origine
mosaica, ma piuttosto della sua composizione e le sue fonti. Il primo fu Henning Bernhard Witter (1683-1715), pastore
della chiesa luterana ad Hildesheim, la sua opera sulle fonte di Gn 1-3 fu pubblicata nel 1711, ma fu conosciuta nel
1924.
Il merito di pioniere perci e stato attribuito a Jean Astruc (1684-1766), medico di Luigi XV, calvinista convertitosi al
cattolicesimo e biblista dilettante. Con lui nasce la ipotesi documentaria. Astruc vuole difendere la paternit mosaica,
lui propone lidea che Mos avesse utilizzato fonti antiche disponendole in colonne, sinotticamente. Posteriormente esse
sarebbero state intralciate nel corso della trasmissione e ci spiegherebbe le anomalie esistenti nel testo attuale. I suoi
studi si rivolgono solo al libro della genesi e ai 2 primi capitolo del Esodo. La costatazione dei diversi nomi con cui Dio
chiamato (Elohim e Jhwh) lo portando a distinguere tre fronti o documenti (Mmoires, secondo la terminologia di
Astruc), che denomina A, B, C. Le due prime, posteriormente chiamate J (jahvista) ed E (Elohista), si caratterizzerebbero
per luso di un appellativo divino; la terza conterrebbe i testi indipendenti dalle altre due. Se Astruc limita il suo lavoro
al solo blocco Gn-Es 1-2 perch si rese conto che dopo Es 3,14 diventa pi difficile utilizzare gli appellativi divini
come criterio per distinguere le fonti, come oggi tutti riconoscono. La teoria di Astruc sulle fonti parallele e distinte
viene ripresa e sviluppata dallanticotestamentarista, professore a Jena e Gottingen, Johann Gottfried Eichhorn (17521827), che stende la teoria di Astruc a tutto il Pentateuco. Pi tardi, dopo che de Wette pubblica la sua famosa
Dissertatio critica sul Deuteronomio, Eichchornabbandoner del tutto lidea della paternit mosaica. A un altro
studioso, rettore a Pforta, Karl David Ilgen (1762-1834), viene riconosciuto il merito daver distinto due documenti
elohista, di diversa datazione. Il pi recente sar identificato con il racconto sacerdotale dellipotesi documentaria
classica posteriore.
La Ipotesi frammentaria viene proposta dal sacerdote cattolico dorigine scozzese Alexander Geddes (1737-1802).
Essa ebbe poco impatto in Gran Bretagna, ma si diffonde in Germania grazie a Johann Wilhelm de Wette (1780-1849),
docente prima a Berlino e poi a Basilea, il quale introduce importanti modifiche. Secondo lui, il Pentateuco sarebbe
costituito da numerosi frammenti o piccole unit narrative non collegati originariamente tra loro e messi insieme da un
redattore molto tempo dopo la morte di Mos. Vater distingue 39 frammenti.
In reazione a questa posizione estrema, lorientalista Heinrich Ewald (1803-1875), professore a Gottinga, avanza alcuni
anni pi tardi una seconda ipotesi, nota come la Ipotesi dei complementi. Ad essa si accoster in seguito de Wette.
Lipotesi parte della considerazione che, pur nella semplicit, il narratore dellEsateuco (Pentateuco pi Giosu) aveva
composto un testo sufficientemente unitario. Lintero pentateuco si sarebbe formato a partire da uno scritto fondamentale
(Grundschrift), il documento E, composto allepoca dei Giudei o allinizio della monarchia, che racconterebbe la storia
delle origini del mondo fino agli avvenimenti dellEsodo. A questo documento base si sarebbero inseriti dei complementi
di redazioni diverse: i documenti J (dellepoca monarchica) ed il D (Deuteronomio), aggiunto probabilmente verso
lultimo periodo della monarchia di Giuda (sec. VII). Il documento E di Ewald corrisponde in grande misura al
documento sacerdotale P della teoria documentaria.

III.

INSEGNAMENTO TEOLOGICO DELLA GEN 1 11:

1. La creazione, preludio dellalleanza di Dio con lumanit (Gn 1-2)


Creazione: Secondo la S. Scrittura Dio ha creato tutto ci che si trova sulla terra e nel cielo ex nihilo (dal nulla) per
mezzo della sua Parola Divina Onnipotente. Ha creato luomo a sua immagine e somiglianza.
Protovangelo: Dio pone linimicizia tra la donna e il serpente e tra le loro discendenze, e promette alla discendenza
della donna la vittoria finale sul diavolo.
- La creazione del Cielo e della Terra: (Gn 1, 1-2, 4a): Onnipotenza creatrice divina; Luomo creato a immagine e
somiglianza di Dio (Gn 1, 26-27); La benedizione divina sul creato; Il sabato e il riposo di Dio (Gn 2, 2-3).
- La creazione delluomo e della donna: (Gn 2, 4b-25): Il rapporto di Dio con luomo; La creazione delluomo (Gn 2,
4b-7); Il giardino dellEden (Gn 2,8-17); La creazione della donna (Gn 2, 18-24); Creazione e alleanza.

14

2. LIntroduzione del Peccato nel mondo e la prima promessa di salvezza (Gn 3-5)
- Il peccato dei progenitori e la loro condanna (Gn 3, 1-24): La tentazione e il peccato; La condanna.
- Il protovangelo o prima promessa di salvezza (Gn 3,15): Peccato e salvezza; Linimicizia tra il serpente e la donna;
La discendenza della donna; La vittoria definitiva della discendenza; Senso ecclesiologico e mariologico del brano;
Dio non abbandona luomo.
- Il progredire del male e del bene dopo il peccato delle oigini: Il racconto jahvista di Gn 4. Caino e Abele; La
genealogia dei caininiti (4, 17-24) e dei setiti (Gn 4, 25-5,32).
3. Il diluvio e la Torre di Babele (Gn 6-11)
Diluvio: Dio dopo averli esortati a fare il bene, punisce con il diluvio tutti gli uomini tranne No e la sua famiglia, che
rimangono fedeli alla Sua Parola.
La torre di Babele: Dimostra la superbia umana. La confusione delle lingue riflette che la civilizzazione bench sia
sviluppata, senza lunit con Dio finisce divisa.
- Il Diluvio Universale: La causa del diluvio; La costruzione dellarca e il diluvio (Gn 6-8); Luniversalit del diluvio.
- La Benedizione divina a No e lalleanza: La benedizione divina (Gn 9, 1-7); Lalleanza di Dio con No e con tutta
la creazione (Gn 9, 8-17).
- Lelezione divina su Sem (Gn 9, 20-28). La tavola delle nazioni (Gn 10): La benedizione su Sem; La tavola delle
nazioni (Gv 11) e la discendenza di Sem (Gn 11, 10-32).
- La Torre di Babele (Gn 11,1-9)

IV.

LE STORIE DEI PATRIARCHI.

La storia dAbramo: Lui il padre del popolo dIsraele di cui nasce il Messia. Dio ha chiesto da lui di uscire dal suo
paese, cio dallambiente idolatrico. Doveva abbandonare tutto ci che era sicuro per lui. Ma nella sua obbedienza alla
voce di Dio mostra la sua fede viva e diventa la benedizione per tutti i popoli della terra.
Lalleanza con Abramo: Dio gli promette un figlio che sar erede della benedizione e della terra. Questa alleanza era
piuttosto unilaterale - iniziativa divina. Era conclusa con il sacrificio.
Isacco: La Bibbia parla di lui abbastanza poco. Dio si rivel a lui presso Gerar nel tempo di carestia, gli comand di
non scendere in Egitto e rinnov le promesse della terra, della discendenza numerosa, della benedizione di tutti i popoli
per lobbedienza di Abramo. Pi tardi, Dio si rivel a lui a Bersabea presentandosi come Dio del suo padre e rinnovando
tutte le promesse.
Giacobbe: Giacobbe riceve con la furbizia la benedizione di Isacco. Nella fuga davanti a Esau Dio si rivela a Giacobbe
a Luza (BetEl) e rinnova tutte le promesse date ad Abramo. Dopo la lotta con langelo, gli chiede la benedizione. Viene
cambiato il suo nome in Israele (essere forte contro Dio), perch ha combattuto contro Dio e con gli uomini e ha vinto
(Gn 32,28).
La benedizione di Giuda: attraverso cui passa la benedizione divina. Dalla sua discendenza nasce il Messia promesso:
"Non sar tolto lo scettro da Giuda n il bastone del comando tra i suoi piedi, finch verr colui al quale esso appartiene
e a cui dovuta lobbedienza dei popoli" (Gn 49,10).

V.

LALLEANZA.

Caratteristiche:
1) Patto bilaterale.
2) Si stabiliscono i diritti e i doveri - accordo mutuo.
3) Un segno della testimonianza alla quale si pu ricorrere.
4) un sacrificio.
No
Abramo/Discendenza
Patto
Tra dio e il creato
Promessa:
discendenza
numerosa, terra, benedizione.
Diritti/
Non sar pi il diluvio rispetto Fede/obbedienza
(Abramo).
Doveri
alla vita, non mangiare il sangue. Riconoscimento (Discendenza)
Segno
Arcobaleno
Cambio del nome/circoncisione
Sacrificio Sacrificio anticipato

Sacr. Solenne con il fuoco

Mos
Popolo uscito da Egitto
Israele
popolo
eletto
Dio/osservare lAlleanza
Sabato, giorno riservato
Signore
Convito pasquale

da
al

15

TEMA 6: Libri profetici dell Antico Testamento


I.
VOCAZIONE E MISSIONE DEI PROFETI.
I profeti erano uomini e donne- chiamati da Dio che, soprattutto nei momenti pi critici della storia dIsraele, nel suo
nome e con la sua autorit annunciavano e trasmettevano la volont divina. Avevano specialmente il compito di
difendere e conservare il messaggio spirituale della religione degli ebrei, minacciata dal sincretismo religioso che
circondava il popolo.
Di solito erano chiamati nab, che significa colui che chiama e colui che chiamato. Nessuno si poteva attribuire
la funzione profetica personalmente, era Dio che chiamava a svolgere questo ruolo. La chiamata sempre personale e
libera da parte di Dio. Altri modi di designare i profeti sono visionario, veggente, uomo di Dio, sempre meno
usati ma avendo in comune il manifestare il rapporto speciale con Dio.
La maggior parte dei profeti scrisse sulla propria vocazione, ed erano sicuri di essa. Spesso descritta come una chiamata
irresistibile (Am 3,8). Anche se la vocazione contraria alla propria inclinazione accettata per lautorit di Dio che
il fondamento e garante del loro messaggio.
Il profeta portavoce di Dio e il suo destino collegato strettamente con la Parola che annuncia; essa contrassegnava
tutta la sua vita, il suo pensiero e i suoi atteggiamenti. Il modo in cui Dio parlava ai profeti misterioso; il suo messaggio
era percepito nella realt, nei simboli, o doveva essere colto dalla situazione concreta, ma erano sempre sicuri che Dio
parlava tramite loro.
La missione profetica caratterizzata da tre elementi:
a) chiamare il popolo al monoteismo, perch solo JHWH Dio e Signore della storia;
b) chiamarlo alla fedelt concretizzata secondo il profeta: fedelt allAlleanza, alla giustizia, ecc.;
c) annunziare il messianismo.
II.
MESSAGGIO RELIGIOSO DEI PROFETI ANTERIORI ALLESILIO.
Amos. Caratteristico nella sua predicazione la giustizia di Dio, Egli il Signore della storia e di tutti i popoli, e pu
fare rispettare lordine morale stabilito dallAlleanza. Nel Giorno di YHWH, il privilegio dIsraele far ancora pi severo
il giudizio, perch la scelta divina del popolo implica responsabilit. Israele ha associato la religione allo splendore e
regolarit del culto e non alla pratica della giustizia, perci sar punito con uninvasione assiria. Tuttavia la fine non
arriver con il Giorno di YHWH, il suo messaggio si chiude con la speranza messianica: ci sar un resto fedele composto
dai poveri, il risorgimento nazionale si terra attorno a un discendente di Davide.
Osea. Manifesta linfedelt del popolo con lagire simbolico della sua vita matrimoniale; con i nomi dei suoi figli
anche simbolici- (Non amata e Non mio popolo) annunzi la caduta del Regno del Nord. Nel suo libro sottolineato
lamore di Dio per il suo popolo, Osea ama sua moglie infedele e allo stesso modo Dio ama Israele, suo Popolo, molto
di pi. Lidolatria paragonata alladulterio, il popolo sar castigato come prova dellamore geloso di Dio, ma dopo
verr la salvezza e sar stabilita la nuova alleanza. Dio cerca di attirare il suo popolo con la misericordia e lamore. Il
messaggio fondamentale di Osea il rapporto fra Dio e Israele di tipo matrimoniale- e la misericordia divina.
Michea. Scopo fondamentale della sua predicazione far prendere coscienza dellimminente catastrofe a chi si ritiene
sicuro e in pace con Dio. Presenta anche una denuncia sociale, vicina al messaggio di Amos: una societ dominata dalla
legge del pi forte e dove la giustizia disprezzata da chi dovrebbe attuarla croller. Michea tende a riportare tra il
popolo un ideale etico fondato su un corretto rapporto con Dio. La via duscita proposta si trova in Mich 6,8b: Praticare
la giustizia, amare la piet, camminare umilmente con il tuo Dio. Presenta anche la profezia su Betlemme per
manifestare le umili origini del Messia come gli inizi della dinastia davidica.
Proto-Isaia. Il suo messaggio si pu riassumere in quattro punti: a) la santit e trascendenza di Dio sulluniverso; b) la
fede e la fedelt; c) la prefigurazione del Messia e le sue sofferenze, il messianismo regale, i doni dello Spirito; d) la
salvezza universale per mezzo dIsraele, la figura del resto.
En torno allesilio
Sofonia. Ha un profondo senso della grandezza di Dio, presentato come giudice universale. Il peccato essenzialmente lorgoglio
e la mancanza di fiducia in Dio, questo attira la punizione divina. Bisogna quindi fidarsi di Dio e riconoscere la propria piccolezza
e indigenza davanti a Lui, atteggiamento dei poveri. La povert materiale non garanzia di essere gradita a Dio ma pu favorire il
modo giusto di presentarsi a Dio. La vera conversione dono di Dio e consiste nel riconoscerlo Signore confidando in Lui. La sua
visione religiosa ebbe un forte influsso sugli scritti successivi anche del NT.
Naum. Anche lui dominato da un forte senso della grandezza e sovranit di Dio; Egli difensore e vendicatore dei deboli e degli
oppressi, verso i quali nutre sentimenti di tenerezza e bont. Naum visse in tempi duri e per questo parla con crudezza, ma con la
sua predicazione ispir ulteriori autori e anim alla speranza altri credenti.
Abacuc. Si confronta con la domanda di sempre: perch Dio non interviene contro le ingiustizie?, perch la punizione dei malvagi
include i giusti?. Nonostante le apparenze in contrario, Dio salver chi si affida completamente a Lui e non fa conto delle proprie

16

forze e capacit. Sottolinea il potere di Dio sulle forze della natura per far capire che Dio pu intervenire nelle faccende umane con
la stessa libert e potenza.
Geremia. Presenta un alto concetto di Dio insieme ad una estrema confidenza in Lui. Il Signore interviene nelle vicende del popolo
sia per punirlo sia per salvarlo, dimostrando la sua potenza anche in un paese straniero. Interviene anche nelle vicende dei singoli,
perch conosce perfettamente luomo pur illudendosi luomo- di poter ingannarlo. un Dio esigente e geloso che non sopporta
rivali. Luomo ha assoluto bisogno di Dio, mentre Dio non ha bisogno delluomo. Presenta, come Osea, il rapporto Dio-uomo in
termini sponsali. Il suo discorso tratto dal vissuto concreto, e parla con molta chiarezza: luomo come argilla nelle mani
dellartigiano, incapace da solo di compiere il bene. Attribuisce la condotta malvagia alla caparbiet del cuore, allostinarsi nel
male. La sua concezione delluomo sembrerebbe pessimistica, ma quello che lesperienza lo ha fatto vedere, e tuttavia il suo
discorso aperto alla speranza, perch dalla parte di Dio c ancora la possibilit di superare ogni difficolt: la conversione
possibile se Dio interviene nel cuore umano. Chiarisce anche molto la figura del profeta, come uno che appartiene a Dio, non per
volont propria ma per scelta divina; uno che parla a nome di Dio, e sa che rappresentante di Dio solo quando comunica i messaggi
divini. Il suo unico strumento la Parola di Dio che gli stata affidata.

III.
PROFETI DELLESILIO E DELLA RESTAURAZIONE.
Ezechiele. Questo un personaggio che mette insieme sacerdozio e vocazione profetica. Il suo essere sacerdotale
contrassegna tutto il suo ministero e il suo messaggio, ha attinto il suo patrimonio culturale dalla formazione sacerdotale,
e si pu vedere per esempio dalla sua concezione di peccato inteso come profanazione. Tuttavia un autentico profeta:
la sua visione della gloria di Dio in Babilonia gli fecce capire che la presenza di Dio non ristretta a un solo luogo. Lui
annunzia il giudizio come la fine di unepoca, presentando tutto nella sua radicale impurit (il Santuario, la Terra Santa,
ecc.). La storia dIsraele presentata dallinizio come storia dinfedelt, di peccato; la speranza non pu trovarsi nel
passato ma solo nel futuro intervento di Dio. La sua originale idea della speranza manifestata dalla visione delle ossa
aride: la potenza di Dio non limitata nemmeno dalla peccaminosit umana. Il suo messaggio si chiude nellattesa di
un nuovo mondo attorno alla nuova Gerusalemme: la gloria di Dio torner al Tempio, questa volta per sempre.
Deutero-Isaia. Tema centrale: la salvezza, intesa fondamentalmente nella liberazione dallesilio. Esso loccasione
perch si manifesti la potenza divina e la sua fedelt. Le principali figure presentate sono Dio liberatore e il nuovo esilio.
Dio agisce tramite la Parola efficace che apre e chiude il discorso; lesilio pi meraviglioso di quello dallEgitto;
realizzato in tre momenti: uscita da Babilonia, camminare nel deserto, che non pi ostile come nellesodo e ingresso
in Gerusalemme. La prospettiva centrale del nuovo esodo non luscita da Babilonia, ma il terzo esodo, quello definitivo
dallesistenza non autentica e il ripiegamento in se stessi alla proiezione in Dio. Il riferimento sar lassoluto che
realizzer il Messia. Presenta i quattro carmi del Servo di YHWH.
Daniele. un libro apocalittico, presenta quattro visioni profetiche, simbolizzano il destino e la fine delle grandi
monarchie e dei governanti dellOriente per dimostrare la potenza sovrana di Dio sulla storia del mondo. Il portatore
della dominazione regale divina il Figlio delluomo che viene sulle nubi del cielo. Dopo la risurrezione dei morti, i
giusti avranno parte alla gloria di Dio e i malvagi saranno condannati allignominia eterna.
Aggeo. Il suo messaggio incentrato sulla necessit di ricostruire il Tempio di Dio con delle considerazioni teologiche
attorno a questo fatto. Si rivolge ai capi politici. La ricostruzione del Tempio deriva da due considerazioni: la grandezza
di Dio e la costatazione che il popolo trascura gli interessi di Dio anteponendogli i propri interessi materiali. Per lui,
lunico problema e la ricostruzione del tempio, da l nascono tutti gli altri problemi. Limportanza del Tempio dovuta
alla presenza di Dio, che assicura i beni che il popolo si vuol procurare senza di Lui. La sua premura per ricostruire il
Tempio sembra dare un passo in dietro rispetto alla predicazione di Geremia, ma lui si trova una nuova situazione: il
Tempio segno concreto dellimportanza da dare agli interessi di Dio, rispecchia una motivazione interiore simile
allinsegnamento di Geremia.
Zaccaria. Si pu riassumere il suo messaggio nellelenco dei temi che presenta: a) la fiducia in Dio: il tempo della
punizione finito, ora il Signore avr misericordia; b) Dio domina il creato e la storia, la sua sovranit assoluta, le
nazioni riconosceranno il Signore e andranno a Gerusalemme ad adorarlo; c) fiducia negli uomini scelti da Dio; il
Signore concede laiuto per compiere la missione affidata a Giosu e Zorobabele, pur essendoci le colpe Dio le
canceller reintegrando Giosu nella sua dignit; d) lattesa del Messia, incentrata in un primo momento sulle due
autorit (governante e sacerdote), passando poi ad una sola figura, quella del sacerdote, che sostituisce il Germoglio di
Davide; e) il mondo sovraumano, impenetrabile per gli uomini, l Dio regna sovrano e guida gli avvenimenti umani
attraverso i suoi messaggeri, accentuando cos il fatto della trascendenza divina. La verit fondamentale da lui trasmessa
che Dio non separato dal mondo, pur essendo diverso da ogni realt che si possa sperimentare.
Terzo Isaia. a) Delusione e speranza, le promesse del deutero-Isaia sembrano irraggiungibili, la situazione rimane
sempre difficile. Il profeta risponde incoraggiando a fidarsi nella Parola del Signore che non pu venire meno; b)
Necessit di vera conversione, il ritardo nel compimento delle promesse divine dovuto al peccato del popolo, alla sua
vita morale; c) La salvezza promessa ai poveri, il profeta convinto che Dio sar benevolo con chi accoglie il dono
gratuito di salvezza. I poveri possono salvarsi appunto perch non si fidano che di Dio; d) Dio salva anche gli stranieri,
17

potranno appartenere al Popolo di Dio anche coloro che erano esclusi, sar sufficiente che aderiscano sinceramente
allAlleanza e si sforzino di compiere quanto gradito a Dio, alcune osservanze esteriori come il Sabato sono conservate.
Malachia. Ha tre temi centrali: la giustizia di Dio, il messaggero divino e il sacrificio che Dio gradisce. Il primo
momento in cui si riferisce alla giustizia divina quando parla della sorte degli edomiti, discendenti di Esa e della
situazione degli israeliti, discendenti di Giacobbe, la scelta di Dio non venuta a meno. Davanti alle ingiustizie il popolo
si chiede se vale la pena osservare la legge, perch sembra inutile, il profeta per reagisce alla tentazione del disfattismo
morale predicando il ristabilimento della giustizia da parte di Dio adoperando una figura gi conosciuta: il Giorno del
Signore. Alla descrizione tradizionale del giorno del Signore si aggiunge la figura del messaggero dellalleanza, che
sembra identificarsi con il Signore, e pi avanti presentato come il profeta Elia. Si mette in evidenza la mancanza dei
sacerdoti che antepongono i loro interessi alla gloria che dovrebbero dare a Dio attraverso i sacrifici, offerti non secondo
le prescrizioni della Legge, con essi si profanava lunico luogo di culto: Gerusalemme. Si presenta una triplice
contrapposizione: ai sacrifici di animali indegni unofferta pura; ai sacerdoti leviti i non ebrei, a Gerusalemme ogni
luogo, dalloriente alloccidente.
Baruc. Offre informazione sulla vita dei giudei della diaspora. La vita religiosa si svolge nella preghiera, nella liturgia
legata alla Legge mosaica e la speranza messianica resta legata a Gerusalemme.
Profeti di unepoca incerta sono:
Abdia, che predica specialmente la giustizia divina, il giudizio di Dio sui nemici dIsraele; incoraggia al resto nella fede
in Dio che sovrano su tutti i popoli e annunzia la restaurazione trionfale compiuta nel Regno di YHWH;
Gioele, tratta del Giorno di YHWH che verr accompagnato da uneffusione universale del suo Spirito.
Giona, manifesta la misericordia divina e la sua volont di salvare non solo Israele ma anche gli altri popoli pagani.
Nella sua medesima persona viene simbolizzato Israele, che vuole sottrarsi alla sua missione di partecipare a tutti i
popoli i doni divini ricevuti.

PRE-ESILICI

ESILICI

POST-ESILICI

PROFETI CLASSICI
Amos
Nord
Osea
Isaia
Sud
Michea
Sofonia
Naum
Abacuc
Geremia
Ezequiele
Deuteroisaia
Lamentazioni
Aggeo
Zaccaria
Abdia
Gioele
Malachia
Tritoisaia
Giona
Baruc

18

TEMA 7 : Salmi e Lib ri Sapienziali d ell Antico Testamen to


I.

DIVERSI GENERI DI SALMI, RAPPORTO CON IL CULTO; LETTURA MESSIANICA E CRISTIANA DEL
SALTERIO;
1. I Generi Principali:
GENERO
CARATERISTICHE
SALMI
Preghiere
di
lode.
8,
19,
29, 33, 65,
INNI
L'inno ambientato nel culto. La festa liturgica unisce il popolo con 67, 96, 98, 100,
il grido halelu-Yah (Lodate JHWH).
103-105, 111, 113114, 117, 135-136,
145-150.
I canti di Sion
(Presenza di Dio nel tempio)
I salmi della regalita di YHWH
(YHWH regna, e re!
Collettive
Il salmista evoca il passato o il presente doloroso per protestare e
gridare perch Dio intervenga. Il 'Sitz im Leben' di questa genere
sono i rituali dei grandi giorni o digiuno penitenziale celebrato per
ottenere salvezza da Dio
Individuali
40 % dei salmi rientra in questa categoria.

46, 48, 76, 84, 87,


122
47, 93, 96-99

RINGRAZIAMENTO Individuale
Esprimono la riconoscenza gioiosa di chi stato esaudito.
Ambiente: forse nel corso di una cerimonia liturgica dove il
graziato scioglieva il voto fatto, offrendo il sacrificio.
Nazionale
Raccontano delle opere salvifiche di Dio a favore del suo popolo.
Sitz im Leben: Una cerimonia liturgica nel tempio, come
adempimento del vuoto (pubblico) di ringraziamento, fatto nel
contesto delle suppliche.
L'istituzione monarchica era un fatto non solo politico, ma rivestiva
REGALI
un carattere sacro.
Alcuni elementi: oracolo, promessa dinastica, supplica per il re.
Contesto: forse l'intronizzazione o altre feste del re e l'anniversario
dell'intronizzazione, cio contesto della corte; se invece sono
postesilico allora ha piuttosto un senso messianico.
Hanno avuto origine nell'ambito dell'insegnamento sapienziale
SAPIENZIALI
come composizione didatiche ('maskil') sono dunque non del
contesto liturgico.
RIFERENDOSI: a Natan- profezie messianiche (2Sam 7,14); allo
ORACOLI
stile profetico - convocare il popolo per una requisitoria sulla rottura
dell'alleanza; che Dio convoca per un giudizio sui giusti e ingiusti.
LITURGIA DELLA La struttura tipica: richiesta di accesso.
Sono preghiere che riflettono un 'cerimoniale' celebrato prima
PORTA
dell'ingresso nel tempio. Il pellegrino viene interrogato dal sacerdote
e dopo aver risposto esattamente sulle condizioni necessarie,
ammesso alla preghiera nel tempio.

18, 30, 32, 34, 40,212, 41, 66, 92, 100,


107, 116, 118, 138.

SUPPLICHE

44, 58, 74, 79, 80,


83, 106, 125

3, 5-7, 13, 17, 22,


25, 26, 28, 31, 35,
38, 39, 42, 43, 51,
L'ambiente delle suppliche quello del culto. Spesso includono 54-59, 61, 63, 64,
implicitamente o esplicitamente un vuoto di ringraziamento 70, 71, 88, 102,
(pubblico) se Dio aiuta, tale compimento trova espressione nei Salmi 109, 120, 130, 140di ringraziamento.
143.

66.
8-12,
124,129

67,

2, 18, 20, 21, 45,


72, 101, 110, 132,
144,1-11.

1, 37, 49, 73, 91,


112, 127, 128, 133.

15, 24. 3-6

19

2. Generi letterali secondari:


A) Salmi profetici: sono "influenzati" dal profetismo (Isaia soprattutto) e imitano lo stile degli scritti dei profeti
(esortazione, professione, minacce). Girano intorno ad un oracolo (Sal 110 - messianico). Oracolo pu essere profetico
o sacerdotale. Salmi messianici: 2, 89, 110, 132, altri profetici: 14, 46-48, 50, 68, 75, 76, 96-99,149. Alcuni di questi
sono detti "requisitorie sulla rottura dell'alleanza": 78, 81, 95, 105.
B) Salmi di pellegrinaggio: appartengono i salmi: Sal. 84 e "i canti delle ascensioni" e Sal. 120-134. La loro struttura
comprende: esclamazione iniziale di gioia,scambio di saluti tra pellegrino e leviti, catechesi della porta, preghiera dei
pellegrini per la citt santa, formula di accoglienza degli abitanti di Gerusalemme. Questi salmi venivano recitati in
occasione delle grandi feste (pasqua e azzimi, festa delle settimane e delle tende).
LETTURA MESSIANICA E CRISTIANA DEL SALTERIO
Lettura Messianica (come usata nel NT): In alcuni di essi vengono espresse le speranze messianiche dei Israeliti che
si fonda fin dai primi patriarchi anzi gi nel proto-vangelo, tale speranza dovr compiersi nei tempi del Messia tanto
aspettato dal resto dei Israeliti. Ges cita alcuni di loro perch essi si compiono nella sua persona (cfr. Lc 24, 44; Mt 21,
16; Gv 13, 18). Gli agiografi del NT si riferiscono anche ai salmi per comprovare che Ges il Messia atteso (Lc 2, 2528; 4,21; 13, 33; Eb 5, 5; Rom 1, 3).
Lettura Cristiana (cfr. prenotanda del breviario): L'esempio di Cristo e il NT- Cristo ha recitato i salmi Sal 113-118
nella celebrazione della Pasqua (cfr. Mc 14,26; Mt 26,30), li sicuramente preg anche nella salita a Gerusalemme; li
preg sulla croce quando grid: "Dio mio, Dio mio perch mi hai abbandonato!" (Sal 22, Sal 31,6; cfr. Lc 23,46).
Secondo l'esempio di Cristo i salmi diventarono la preghiera cristiana gi nei tempi apostolici (1 Cor 14,26; Ef 5,19).
I Salmi nella Chiesa: Il CV II considera i salmi come "voce della Sposa (Chiesa) che prega lo Sposo (Cristo)" (SC. 84).
Dunque la preghiera dei salmi va letta come preghiera di Ges, da cui il pregare cristiano "memoria" della preghiera
storica di Ges, mediante l'aiuto e la guida dello Spirito di Cristo. Il "realismo" dei salmi si compie dunque nell'umanit
di Ges. A partire da Ges si comprende la duplice dimensione dei salmi - il ringraziamento e la domanda. Con Cristo
la sua Chiesa che prega; il singolo pregando con i salmi sinserisce dentro la grande preghiera di Cristo e della Chiesa.
II.
LA LETTURA SAPIENZIALE NELL'ANTICO ORIENTE E NELLA BIBBIA
La lettura sapienziale del Vicino Oriente nasce in tre ambiti diversi: egiziano, mesopotamico e aramaico, che per
sono collegate in quanto ci furono i contatti internazionali sopratutto fra le corte.
La letteratura sapienziale EGIZIANA: molto ricca e pu essere divisa in tre forme letterarie: insegnamenti
(istruzioni che venivano rivolte al figlio del faraone per prepararlo nella guida saggia del regno); lamentazioni dispute;
iscrizioni biografiche e onomastici.
La realt viene percepita tramite il mito e la sapienza. Il mito l'intuizione di una realt trascendente che spiega i
vari fenomeni della realt sperimentale; esso descrive gli archetipi (storie divine e cosmogoniche) a cui l'uomo deve
ricondursi (visione cosmostatica). La sapienza indica il cammino da percorrere (visione cosmodinamica) per adeguarsi
all'ordine cosmico prefissato che si raggiunge con l'esperienza.
La letteratura sapienziale MESOPOTAMICA: sumero-accadica: si tratta di raccolte di proverbi, dispute sapienziali,
composizioni scolastiche (per la scuola di Edubba): assiro-babilonese: raccolte di proverbi (di natura esperienziale e
morale), vari scritti sul male, la sapienza di Ahigar. Secondo Schmid, alla base della sapienza mesopotamica sta il
concetto di Me, molto vicino alla Maat: sono -le divinit- del ordine cosmico e i destini del mondo: letteratura ugaritica:
non propriamente sapienziale; tuttavia nei poemi mitologici vi sono alcuni aspetti vicini alla letteratura sapienziale.
Ad es. nel poema di "Baal e Anat" si esalta la sapienza come un'incarnazione del dio supremo El.
La letteratura sapienziale di ISRAELE: I profeti criticarono una sapienza vista come conoscenza esperienziale basata
solo sulla ragione e non in dialologo con la fede; perci la sapienza politica viene vista come sfiducia in Dio (Is 29,1314; 30,1-5). Per i profeti la sapienza una conoscenza pratica in cui ragione e fede sono in dialogo. L'origine della
sapienza l'esperienza, intesa nel senso pi ampio del termine. Lo scopo della sapienza la scoperta delle regole di
vita: ci la rende adatta per tutti gli uomini, perch vivano bene.
Ai libri sapienziali appartengono: il libro dei Proverbi, il libro di Giobbe, il libro di Qoelet, il Cantico dei cantici, il libro della
Sapienza ed il libro del Siracide. Datazione: Erano scritti fra V - I sec. a.C. L'autorit di questo corrente sapienziale si attribuisce
spesso a 'Salomone' (970-931 aC) come prototipo dei saggi dIsraele. Gli Israeliti avevano molta stima per la Sapienza di Edom
(Abd 8; Ger 49,7; Gb 2,11), dell'Egitto (1Re 5,10; Is 15,1), di Babilonia (Is 44,25; 47,10; Ger 50,35) -- si pu dedurre che questa
sapienza orientale abbia influenzato la Sapienza dIsraele. Ma Israele ha adattato questi libri alla sua fede monoteista e concentrato
il loro insegnamento morale nella nozione di giustizia e in quella dell'osservanza della legge; di un'etica riservata agli aristocrati
ha fatto una morale universale.

20

III.

LE DIVERSE COLLEZIONI DEL LIBRO DEI PROVERBI: LE LORO FORME LETTERARIE E TEMI
FONDAMENTALI:
Questo libro collezione di 31 capitoli, datata verso il sec. V, escluse le appendici dei cc. 30-31, che probabilmente
sono del II sec. a.C.. Masal (proverbio- la similitudine o la parola direttiva/governatrice) serve per designare generi
letterali diversi: detti sapienti o popolari, discorsi, allegorie, paragoni.
Caratteristica principale della poesia proverbiale la forma del parallelismo: antitetico, sinonimico e progressivo (o
sintetico).
Forme Letterarie: detti filosofiche della vita, proverbi, condotta sociale, dottrina della retribuzione, indovinelli,
dialoghi.
L'ambiente vitale dei proverbi la "scuola" (sacerdotale e sapienziale).
I temi fondamentali sono presi degli ambiti: famigliare; sociale; lavoro; parlare; psicologia (virt/elogie).
Collezione I:
Prv 1-9

(PROLOGO => dando prospettiva teologica. Lo scopo di questa collezione didattico:


si vuole insegnare la filosofia della vita a gente che, in periodo post-esilico, rischia di
perdere il senso dei valori religiosi, la propria identit. La Sapienza uscita da Dio; e
personificando la sapienza (Prv 1-9) si vuol mostrare che essa una "forza" in cui
presente Dio. Essa una "creatura" di Dio che fa nesso tra Dio e l'universo intero.

Collezione II:
Prv 10,1-22,16

Questa una raccolta eterogenea di detti e massime vari, con una struttura distica (due
stichi). La forma dei proverbi basata sul parallelismo antitetico cc. 10-15 e
sinonimico (cc. 16-20). Il carattere pi secolare che religioso. Questa collezione il
nucleo pi antico del libro. Essa frequente la contrapposizione tra saggio-stolto, vitamorte. Il giusto avr la "vita", l'empio avr la "morte", cio la dannazione.
Quest'appendice una collezione dei 30 proverbi. Comincia con una breve
introduzione: un discorso diretto del maestro di sapienza (allusione all'egiziana
Istruzione dAmenemope ) nella quale predomina l'argomentazione sapienziale.

(Proverbi di Salomone)
Appendice III:
Prv 22,17-24,22
(Saggi)
La piccola Appendice IV:
Prv 24,23-34
(Saggi):
Collezione V:
Prv 25-29
(Anche questi sono
'Proverbi di Salomone')

Appendice VI:
Parole di Agur (30,1-14):

Questa sembra essere un'appendice a quella anteriore.

Il tema predominante della sezione il re, facendo riferimento al re Ezechia (verso


700) sotto il quale si svolse una grande attivit letteraria. In questa parte si presenta la
dottrina della retribuzione nel senso che ad ogni atto segue una conseguenza
proporzionata per connessione, in obbedienza alle leggi universali imposte da JHWH.
L'uomo punito dalle sue azioni. Nella seconda parte (cc. 28-29) accentuato
l'interesse per la condotta sociale con l'enfasi religiosa. Chi saggio edifica la societ.
un dialogo tra un scettico e un credente. Parla della saggezza di Dio, che cos grande
che l'uomo non pu capirla. Agur era da religione di Ismaeliti.

Appendice VII:
Proverbi Numerici
(30,15 -33)

In forma di indovinello, che riflettono lo stupore dei saggi di fronte ai misteri della
natura della vita, e della societ umana.

Appendice VIII:
Parole di Lemuel (31,1-9):

Riflette la tipica saggezza di un amministratore o di un re. Qui la madre che d dei


consigli a suo figlio per evitare il pericolo del vino, delle donne, e badare ai poveri.

Collezione IX
(Epilogo)

Del II sec. a.C costituisce il epilogo, formato da un poema acrostico (alfabetico) con
22 distici in forma di parallelismo progressivo. Il suo tema la lode della donna ideale
che personifica la sapienza, sia quella secolare sia quella religiosa.

21

IV. LA STRUTTURA DEL LIBRO DI GIOBBE; IL TEMA DELLA RETRIBUZIONE NELLANTICO TESTAMENTO
Giobbe un libro di una lunga evoluzione orale e scritta. Esso ha la seguente struttura: 1. Gb 1,1 - 2,13 (prologo) e Gb
42, 7-17 (epilogo) la parte pi antica, risalendo all'epoca preesilica. La terra di origine potrebbe essere quella di Edom.
Il tema del giusto sofferente diffuso nell'ambiente orientale. 2. Gb 3-31 (dialogo di Giobbe con gli amici) e 38,1-42,6
(teofania) di epoca postesilica (sec VI-V). 3. Gb 32-27 (intervento di Eliu): aggiunta inserita nel postesilio come anche
4. Gb 28 che parla sulla sapienza introvabile. Il genere letterario stabilito dalla presenza di pi modelli letterari sia di
dramma di carattere giuridico, sia delle lamentazioni, sia di provenienza sapienziale. Il libro di Giobbe presenta due
momenti diversi della riflessione sapienziale di Israele: la sapienza "antica" e la contestazione di essa, cio la sapienza
"nuova".
1 Il tema della retribuzione nell'Antico Testamento: La SS insegna esplicitamente che la giustizia sorgente di
felicit e che il peccato causa di sventura (Sal 1; Prov. 24,12).
Retribuzione nella vita terrena: La Legge e i profeti promettono sanzioni temporali tanto al popolo nel suo insieme
(cfr. Dt. 4,40; Gs 1,7) che al singolo individuo, al quale promettono vita lunga e felice in Canaan se osserver la legge
(Dt 5,16). Nei Libri sapienziali la dottrina della Retribuzione si muove sul terreno della felicit terrena, La virt procura
ricchezza e onore (Prov. 3,16), fecondit (Prov. 3,10), abbondanza e possesso della terra (25,13) mentre i peccatori
saranno distrutti insieme alla loro discendenza (Sal 112,10).
Retribuzione dopo la vita terrena: Dopo l'esilio (sapienza antica) si pensava piuttosto ad una retribuzione terrena, a
tal punto che dalla sventura di un uomo si pensava di poter risalire al suo peccato (gli amici di Giobbe). Questa
concezione rigida condusse a una crisi che fece poi progredire la dottrina della retribuzione. In Giobbe un sapiente
contesta la validit assoluta della retribuzione terrena. Anche Qo si ribella al concetto tradizionale e dichiara pi volte
che il bene non con certezza sempre ricompensato o il male punito; , secondo l'autore, uno dei numerosi "assurdi"
dell'esistenza umana.
2 La concezione automatica della retribuzione e il suo superamento:
a) Il movimento deuteronomico segna il superamento dell'idea di una retribuzione automatica e afferma sia l'assoluta
bont promettente di Dio sia la libert discriminante dell'uomo. Esempi di questo si trovano nel Dt 6,23-25; 7,7-8; 8,17;
9,4-6. Il popolo di Israele ha responsabilit nell'alleanza con Dio, senza cadere in una forma di legalismo, poich la
richiesta divina della legge sta nel rapporto che dipende non solo dall'obbedienza alla legge ma sopratutto dalla gratuit
e libera iniziativa dell'amore divino. In questo senso la predicazione profetica che denuncia il peccato, invita alla
conversione e promette la salvezza. I profeti mettono gli uomini di fronte alle loro colpe, ma in pari tempo affermano
l'assoluta misericordia di Dio, che si propone come possibilit mai esaurita di speranza.
b) Nei libri sapienziali la riflessione sapienziale sulla retribuzione conosce due fasi: una pi 'secolare' -Sapienza
classica' e una pi religiosa -'Crisi della Sapienzia'-. Nella prima fase dominerebbe la concezione automatica. Giobbe
rifiuta questo come insufficiente a spiegare la storia e l'esistenza. Il male, proprio perch un mistero, non pu essere
'razionalizzato' attraverso un facile teorema teologico (demerito-castigo). Ma Dio riesce a collocare in un progetto ci
che per l'uomo sembra invece allontanarsi da ogni progetto. Nella seconda fase c' la protesta della sapienza critica, che
contesta lo schema azione-conseguenza facendo appello alla libert dell'azione di Dio, al fine di dibattere il problema
del giusto-sofferente, caso in cui lo schema suddetto non funziona. Messo di fronte alla creazione buona, l'uomo pu
sperimentare sia il bene sia il male. Dio rimane il senso del mondo anche nelle situazione di crisi (Gb). Secondo i
Proverbi e Siracide la ragione di divaricazione di esiti va ricercata nella libera scelta umana: il male prodotto umano.
Il rifiuto della sapienza in sostanza un'autopunizione (Prv 1,24-32; Sir 39,25-27). Ben Sirach non si pone il problema
del giusto -sofferente, ma si limita ad affermare la giustizia, la bont e la misericordia di Dio. Il male problema che
riguarda l'uomo e la sua storia, non problema di Dio. La riflessione apocalittica approfondisce la linea di pensiero
sapienziale in 2 direzioni: accentua l'esigenza di comprendere la giustizia di Dio e il suo intervento rivendicatore a
favore dei giusti; perch tale rivendicazione assoluta afferma l'idea di una rivendicazione finale con l'idea di
risurrezione (Dn 12; Sap 1-4) che il volto finale che assume la misericordia divina costitutiva dell'universo, ma anche
l'esito cui Dio conduce l'uomo che lo accoglie.

22

TEMA 8 : I Vang eli Sino ttici e g li Atti d egli Apo sto li


I.
LA LORO ORIGINE APOSTOLICA E LA LORO FORMAZIONE (SANCTA MATER ECCLESIA, N. 2)
a) Il ministero pubblico o lattivit di Ges di Nazareth.
Ges Cristo si scelse dei discepoli (Mc. 3,15; Lc. 6,13), i quali lo seguirono fin dallinizio (Lc. 1,2; At. 1,21-22); ne
videro le opere, ne udirono le parole e furono cos in grado di divenire testimoni della sua vita e del suo insegnamento.
Il Signore nellesporre a voce il suo insegnamento seguiva le forme di pensiero e di espressione allora in uso, adattandosi
per tal modo alla mentalit degli uditori e facendo s che quanto egli insegnava si imprimesse fermamente nella loro
mente e potesse essere ritenuto con facilit dai discepoli. I discepoli intesero bene i miracoli e gli altri eventi della vita
di Ges come fatti operati e disposti allo scopo di promuovere alla fede nel Cristo e di farne abbracciare con la fede il
messaggio di salvezza.
b) La predicazione apostolica su Ges.
Gli apostoli annunziavano anzitutto la morte e la risurrezione del Signore, dando testimonianza a Ges (Lc. 24,44-48;
At. 2,32; 3,15; 5,30-32), di cui riferivano con fedelt episodi biografici e detti (At. 10,36-41), tenendo presenti nella loro
predicazione le esigenze dei vari uditori (At. 13,16-41; 17,22-31). La fede, dopo la risurrezione, non fece dimenticare
la memoria degli avvenimenti, ma anzi la consolid, poich quella fede si fondava su ci che Ges aveva fatto e
insegnato (At. 2,22; 10,37-39). A causa del culto con cui poi i discepoli onoravano Ges come Signore e Figlio di Dio,
non si verifico una sua trasformazione in persona mitica, n una deformazione del suo insegnamento. Gli apostoli
predicarono con modi di esporre adatti al loro fine specifico e alla mentalit degli uditori. Questi modi di esporre, usati
nella predicazione avente per tema il Cristo vanno individuati ed esaminati: catechesi, narrazioni, testimonianza, inni,
dossologie, preghiere e altre simili forme letterarie.
c) I Vangeli scritti
Listruzione primitiva fatta da prima oralmente e poi messa per iscritto, gli autori sacri la consegnarono nei quattro
vangeli per il bene della Chiesa, con un metodo corrispondente al fine che ognuno si proponeva. Fra le molte cose
tramandate, ne scelsero alcune; talvolta compirono una sintesi, tal altra, badando alla situazione delle singole chiese,
svilupparono certi elementi cercando con ogni mezzo che i lettori conoscessero la fondatezza di quanto era loro
insegnato (Lc. 1,4). Invero fra tutto il materiale di cui disponevano gli agiografi scelsero in modo particolare ci che era
adatto alle varie condizioni dei fedeli e al fine che si proponevano, narrandolo in modo di venire incontro a quelle
condizioni e a quel fine. Dipendendo il senso di un enunciato dal contesto, quando gli evangelisti nel riferire i detti e i
fatti del Salvatore presentano contesti diversi, da pensare che ci fecero per utilit dei lettori. Perci lesegeta ricerchi
quale fosse lintenzione dellevangelista nel esporre un detto o un fatto in un dato modo o in un dato contesto.
II.
LA QUESTIONE SINOTTICA.
La questione sinottica nasce dal singolare intreccio di convergenze e divergenze riscontrate nei vangeli di Matteo, Marco
e Luca. Queste convergenze e divergenze riguardano tre aspetti di questi vangeli:
a) Il materiale: in gran parte il medesimo. Per troviamo materiale che non presente in tutti e tre, ma solo in due
o solo in uno. Marco ha 661 versetti, Matteo ne ha 1068 e Luca 1149. Lottanta per cento dei vv. di Marco sono
riprodotti in Matteo e il sessantacinque per cento in Luca. Il materiale marciano che si trova in ambedue gli altri
chiamato triplice tradizione. I circa 220-235 vv. (in tutto o in parte) di materiale non marciano che Matteo e
Luca hanno in comune chiamato duplice tradizione.
b) Lordine di successione: quasi identico allinterno del racconto sia nelle grandi linee (ministero in Galilea viaggio a Gerusalemme passione e risurrezione), sia allinterno delle sezioni. Ci nonostante troviamo materiale
collocato in ordine diverso (per es. la predicazione a Nazareth allinizio del ministero in Galilea anzich alla fine:
cf. Lc. 4,16-30 con Mt. 13,53-58 e Mc. 6,1-6).
c) La formulazione, a volte addirittura identica non solo per i detti ma anche per i fatti. Troviamo anche materiale
formulato diversamente (per es. la parabola dei talenti/mine: Mt. 25,114-30; Lc. 9,11-27).
Principali soluzioni per spiegare queste convergenze e divergenze in questi tre Vangeli:
a) Lipotesi delle due fonti: Premessa fondamentale di questipotesi lesclusione di una dipendenza di Luca da
Matteo o di Matteo da Luca. Pertanto si afferma: 1. Luca non dipende da Matteo, n Matteo da Luca. 2. La fonte
della triplice tradizione Marco. 3. La duplice tradizione deriva da unaltra fonte (Q).
b) Ipotesi alternative: Si possono raggruppare in due grandi categorie: da una parte quella che, accusando lipotesi
delle due fonti dessere troppo complicata, ritiene possibile una soluzione pi semplice, una sola fonte. Considera
superflua Q e cerca di spiegare tutto partendo da un solo testo: o un testo anteriore a noi non pervenuto oppure uno dei
testi attuali, generalmente Matteo.
23

Sul fronte opposto quelle che, accusando lipotesi delle due fonti dessere troppo semplice, ritengono necessaria una
spiegazione pi complessa e aumentano il numero delle fonti, soprattutto ipotizzando varie redazioni successive dei
testi; oppure ipotizzando, anzich un vangelo completo, vari complessi minori. Il massimo della complessit si ha in
M.E.Boismard, che ipotizza per ogni scritto varie redazioni, con tutta una fitta reti di influssi delluna sullaltra; si
appella in sostanza alla presenza di stilemi lucani in Matteo o matteani in Luca, dimostrati pero con un metodo puramente
statistico molto discutibile.
III.
PECULIARIT DEI VANGELI SECONDO MARCO E MATTEO.
Lo stile parlato di Marco
Senza dubbio il linguaggio di Marco povero e lo stile modesto, la sua conoscenza del greco assai ridotta e i semitismi
abbondano; e tuttavia il suo vangelo un libro leggibilissimo, addirittura gustoso e spesso accattivante. Sembra di sentire
una persona parlare, con semplicit e spontaneit, con le incongruenze naturali del parlato, e listintiva vivacit del
narratore nato. La vivacit una caratteristica propria di Marco. Si distingue per le descrizioni, le ripetizioni (Mc. 2,510; 9,36), per il modo di raccontare che sembra proprio una predica. Marco lunico Vangelo a mettere in rilievo le
cose negative di Pietro.
Caratteristiche letterarie: molto dettagliato nei suoi racconti. C lha il gusto di raccontare dei piccoli particolari
vivaci (1,33; 2,4; 3,9.20; 6,31-32; 9,11-12).
Linguaggio paratattico (paratassi): unione di due frasi coordinate (anzich subordinate) luna laltra, senza rapporti
gerarchici, mediante il solo nesso di una congiunzione (6,30-33).
La frequenza dellasindeto: inizio brusco della frase; non c coordinazione tra la frase precedente e quella che segue
(10,27-29). Si trova circa 38 volte.
Il plurale impersonale caratteristico di Marco: 1,21.38.
Ripete senza stancarsi gli stessi avverbi, ma sono quelli tipici dei racconti popolari (e subito, e di nuovo, e dopo). In
Marco si trovano molti riassunti, caratteristica propria del linguaggio parlato (1,4; 2,13; 3,7; 4,33; 6,7). Nel vangelo
marciano Ges mai si chiama Figlio di Dio o Messia, ma s Figlio delluomo. In Marco appare una sola volta lespressione
Figlio di Davide. In questo Vangelo predominano i fatti sui detti. Soltanto in due capitoli si trovano i detti di Ges: 4 e 13.
Lintenzione teologica di Marco dimostrare che Ges Figlio di Dio.

Matteo: uno stile chiaro e solenne.


Il passaggio dalla lettura di Marco a quella di Matteo brusco. Da una parte Matteo fa rimpiangere un po
limprovvisazione spesso gustosa di Marco; in complesso ne evita le scorrettezze di stile, col risultato di un linguaggio
meno colorito ma letterariamente pi accettabile. A Matteo sta a cuore massimamente la chiarezza e lordine; non
granch il colorito del racconto, e di fatti lascia cadere sistematicamente i particolari vivaci. Questo del tutto naturale
per levangelista dei grandi discorsi e della solenne catechesi. Landatura generale, calma e solenne, assicurata dal
succedersi ordinato di masse omogenee (racconti su Ges, o insegnamenti) che si alternano, ma non si confondono mai.
A differenza di Marco che si muove quasi esclusivamente sui racconti, e di Luca che spesso fonde elementi narrativi o
discorsivi in una specie di impasto originale e suggestivo, che per talvolta sconcerta il lettore, Matteo mantiene sempre
ben distinti i blocchi fondamentali della sua costruzione solidissima, resa trasparente e accessibile dal procedimento
della concentrazione tematica.
Caratteristiche letterarie di Matteo: Linclusione (che Luca non ama, e Marco trascura), per cui un episodio narrativo
o discorsivo, iniziando e finendo, allo stesso modo, rivela la sua interna coesione ( vedi il termine tesoro in 6,19-21;
frutti in 7,16-20; lievito in 16,6-12; regno dei cieli nelle beatitudine: 5,3-10; non affannarsi in 6,15-34).
Citazioni di compimento: Dieci volte impiega il verbo pleroun (compiere): 1,22; 2,15; 2,17-18; 2,23; 4,14; 8,17; 12,1721; 13,35; 21,4-5; 27,9-10; 13,14: anapleroun). Ma oltre queste citazioni in Matteo appaiono 60 citazioni implicite dellAT,
senza contare tutte le implicite (si arriverebbe a un centinaio).

In Matteo di solito non si menziona il nome di Dio, tranne che alcune volte (4 in tutto). Mentre gli altri evangelisti
scrivono Regno di Dio, Matteo scrive Regno dei cieli.
Matteo applica molte volte lespressione Figlio di Davide, Marco invece lapplica una sola volta.
Lintenzione teologica matteana quella di mostrare la permanenza di Dio con il suo popolo, perci, lespressione
dellEmmanuele, il Dio con noi: 1,23; 18,20; 28,20.
IV.
GLI SCRITTI DI SAN LUCA.
Il Vangelo secondo Luca.
Lautore del terzo vangelo conosce bene il greco classico e, volendo, lo sa anche maneggiare con disinvoltura. Lo
dimostra il suo prologo (1,1-4; parimenti At. 1,1-2). Ma anche la sola volta che lo fa; in tutto il resto del vangelo leco
semitizzante della lontana origine palestinese dei ricordi su Ges si avverte benissimo. Luca presenta il suo vangelo che
24

destinato ai cristiani provenienti dal paganesimo (1,1-4). Una caratteristica lucana e linteresse storico:
linquadramento socio-politico e religioso che fa prima dellapparizione di Giovanni Battista (3, 1-2) n un esempio.
Questo interesse storico lo si pu notare anche nei suoi racconti dellinfanzia di Ges (capp. 1-2). Per quando lui non
sa con precisione un dato storico non si butta: ad esempio, parlando dellet di Ges quando cominci il suo ministero
dice che aveva circa 30 anni.
Luca presenta una certa quantit di materiale che le proprio, pi degli altri evangelisti: il ricco stolto, re che vuole
andare in guerra, il ricco epulone, il fariseo e il pubblicano, il re e la vedova, la dracma (unit monetaria) perduta e il
figlio prodigo, Marta e Maria, la peccatrice che lava i piedi di Ges.
La parola chiave per parlare della teologia di Luca : Gerusalemme.
Il Vangelo comincia a Gerusalemme (1,5), si svolge a Gerusalemme e l finisce (cap. 24). lunico Vangelo che
presenta a Ges che piange su Gerusalemme e dove vengono riportate quelle parole di Ges: nessun profeta pu morire
fuori di Gerusalemme (13,33). Un altro punto da risaltare e quello quando Luca narra le tentazioni di Ges, dove inverte
lordine delle tentazioni rispetto a Matteo: quella che seconda in Matteo (allora il diavolo lo condusse alla citt
santa4,5), Luca la mette al terzo posto (lo condusse allora a Gerusalemme4,9). Perch lo fa? Perch vuole rilevare
che le tentazioni finiscono nella citt santa. Alcuni temi sui quali levangelista fissa maggiormente la sua attenzione: la
figura di Ges Cristo, lamore, la povert, la rinuncia e il distacco, la gioia, la preghiera.
Gli Atti degli Apostoli.
Sicuramente il terzo Vangelo e il libro degli Atti sono opera di uno stesso autore; su questo punto laccordo fra gli
studiosi unanime. Lo provano i due prologhi (Lc. 1,1-4 e At. 1,1-2) che volutamente si richiamano; la lingua, il
vocabolario e lo stile, praticamente identici, salvo rare e leggere differenze; il riscontro tematico-teologico evidente nelle
linee tipiche (senza necessariamente alcune peculiarit).
Lopera connessa col terzo Vangelo, e anzi scritta dopo di esso (esplicita affermazione dellautore: At. 1,1); dunque
un punto fermo di riferimento per stabilire il tempo in cui sorta rimane la data di composizione del Vangelo stesso
(verso lanno 80). Gli Atti sono stati composti dopo; ma molto dopo? Probabilmente un certo distacco c stato, data la
caratterizzazione autonoma dei due scritti lucani; non per di molti anni. La prospettiva rimane la stessa: riportare la sua
Chiesa alla freschezza e vitalit delle origini. Inviarla a rispecchiarsi nella primitiva comunit cristiana, discretamente
idealizzata, ora lo scopo che guida Luca nel comporre il libro degli Atti.
Leggendo Gli Atti ci si accorge che il tipo di materiale impiegato e il modo della sua messa in opera, nonostante le ovvie
particolarit, richiama quello dei Vangeli; e precisamente il Vangelo di Luca.
- Il piglio del narratore palese; perci naturale che il materiale utilizzato dallautore consista anzitutto in
racconti. Elenchiamo alcuni tipi: 1. Episodi che sembrano trascendere la storia, destinati a esprimere il divino
che sta allorigine della Chiesa (le apparizioni del Risorto, lAscensione, la Pentecoste cc. 1-2), paralleli a
racconti analoghi che iniziano e concludono il Vangelo di Luca; 2. Racconti di miracoli, guarigioni o risurrezioni
(cc. 3 e 9 per Pietro, cc. 14 e 20 per Paolo) che si richiamano palesemente ai miracoli evangelici; 3. Racconti di
missioni (c. 8: Filippo) o di viaggi (cc. 13-21: i viaggi di Paolo) che, in modo del tutto nuovo, riprendo la vicenda
itinerante di Ges, raccontata soprattutto da Luca (Lc. cc. 9-18) e le varie missioni dei discepoli nel Vangelo; 4.
Racconti di prove o di martirio (cc. 6-7: Stefano; c. 12: Giacomo; cc. 21ss: Paolo) che ripropongono in termini
ecclesiali il tema evangelico della croce, talora con richiami espliciti; 5. Sommari che sintetizzano,
generalizzandoli, momenti della storia della Chiesa (per es. 2,42-47; 4,32-35), palese ripresa despedienti
narrativi tipici dei Vangeli.
- Un secondo tipo di materiale rappresentato dai discorsi, accortamente distribuiti entro il corso della narrazione,
e con abbondanza eccezionale: occupano quasi un terzo dellopera. Il rapporto al Vangelo anche qui palese,
ma non pi come parallelo, bens come oggetto: la Chiesa, mediante le voci pi rappresentative, rende
testimonianza di fronte al mondo ai misteri di salvezza raccontati nel Vangelo e incentrati sulla figura di Ges.
Elenchiamo alcuni tipi: tre discorsi kerigmatici pronunciati da Pietro: lannuncio in s (c. 2), lannuncio a Israele
(c. 3), lannuncio ai pagani (c. 10); tre discorsi missionari pronunciati da Paolo: agli ebrei della diaspora (c. 13:
primo viaggio missionario), ai popoli pagani (c. 17: Secondo viaggio), alla Chiesa delle genti (c. 20: terzo
viaggio); infine tre discorsi apologetici, sempre per bocca di Paolo: la difesa dellapostolo perseguitato e martire
(cc. 22.24.26).

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TEMA 9: Le Lettere Paoline e le altre Lettere


I.
LA CRONOLOGIA DI S. PAOLO E DEI SUOI SCRITTI.
Le fonti principali della cronologia paolina si possono trovare nelle sue lettere e soprattutto nei capitoli 13-28 degli Atti
degli apostoli. Queste fonti per si limitano a indicare in modo piuttosto frammentario lordine con cui si sono svolti e
lintervallo temporale che li separa luno dallaltro. Con tutte le riserve imposte dalle premesse fate, si pu seguire la
seguente tavola cronologica tradizionale che risulta pi probabile:
5-10 d.C. Nascita di Paolo
20-25 (?) nella scuola di Gamaliele
33-36 --conversione
37 --prima visita a Gerusalemme e incontro con Pietro
44-45 --ad Antiochia
45-49 -- primo viaggio missionario
49
--Assemblea di Gerusalemme
49-52 --secondo viaggio missionario. Soggiorno a Corinto (scrisse 1 e 2 Tess.)
52-54 --terzo viaggio. Soggiorno di due anni e mezzo a Efeso (scrisse 1Cor e Gal.)
54-55 --Macedonia (scrisse 2 Cor) e soggiorno di 3 mesi a Corinto (scrisse Rom). Viaggio a Gerusalem.
56-58 --prigionia a Cesarea
58-59 --viaggio verso Roma
59-61 --prima prigionia romana (scrisse Fil, Fm, Ef e Col.)
62-66 --viaggio in Spagna?, Asia Minore, Creta, Macedonia (scrisse 1Tim e Tito)
66-67 --seconda prigionia romana (scrisse 2 Tim e Ebrei?) e martirio.
II.
LE LETTERE AI ROMANI E AI GALATI.
a) Lettera ai Romani
Tempo e Luogo: Scritto nel 55 da Corinto.
Circostanze: Paolo attendeva con ansiet lesito della colletta per la chiesa di Gerusalemme che doveva mettere pace
tra giudeo-cristiani e pagano-cristiani. Intanto, lapostolo scrive questa lettera per annunziare allantica comunit di
Roma il suo desiderio di recarsi alla capitale dellimpero prima del suo viaggio in Spagna, arrivando cosi fino agli ultimi
confini del mondo allora conosciuto.
Struttura e contenuto: Dopo il saluto e lesordio, seguono una parte dottrinale e unaltra morale; poi finisce con epilogo
e saluti finali. I temi principali della lettera sono: la giustificazione per la fede in Cristo; contrapposizione tra vita secondo
la carne e vita secondo lo Spirito; nuova vita in Cristo; e fedelt di Dio alle sue promesse nei riguardi di Israele.
b) Lettera ai Galati (sembra una prima traccia della lettera ai Romani)
Tempo e luogo: Scritto nel 53-54 da Efeso.
Circostanze: Paolo scrisse questa lettera per combattere il problema dei cristiani giudaizzanti che negavano a lui il
diritto di chiamarsi Apostolo. Inoltre, affermavano che per essere giustificati bisognava passare necessariamente per
il giudaismo. Paolo insorge con appassionata violenza per difendere non tanto s stesso quanto lautentica dottrina
evangelica, secondo cui, la salvezza (=giustificazione) viene soltanto dalla fede in Cristo.
Struttura e contenuto: Dopo lintroduzione, Paolo d una prova autobiografica e poi seguono unargomentazione
dottrinale e unesortazione. Conclude con unepilogo. I temi principali trattati sono i seguenti: Cristo autore della nostra
libert; la giustificazione mediante la fede in Cristo; origine divino del vangelo predicato da lui; la nuova vita in Cristo
(filiazione divina).
Autenticit: Sia la lettera ai Romani che ai Galati sono comunemente accettate come autentiche sin dallantichit. Sono
rifiutate solo da Bruno Bauer e da alcuni fautori della scuola olandese radicale.
III.
PECCATO E GIUSTIFICAZIONE.
Il tema del peccato trattato soprattutto nella lettera ai Romani. In Rm. 5,12-21 Paolo mette laccento sul peccato
originale, per non lascia nellombra il peccato del mondo, cio il comportamento disordinato degli uomini giudei e
pagani. Per il peccato dei primogeniti, tutti sono costituiti intrinsecamente peccatori, meritevoli di una sentenza di
condanna che necessariamente la morte, come separazione da Dio. Sono il contributo decisivo della colpa di Adamo
e le colpe personali a determinarsi e originarsi del dominio nelluomo delle due potenze malefiche (peccato e morte).
La giustificazione: Essa non riconoscere la giustizia degli oppressi, n un ristabilirli nella condizione alla quale hanno
diritto, ma un gesto di gratuita benevolenza a favore di gente che non possiede alcuna giustizia ed sotto il dominio del
peccato. E unatto con cui Dio ristabilisce, a prescindere dai meriti, luomo peccatore ed empio in uno stato di giustizia,
e ne fa una nuova creatura. Paolo sottolinea poi il carattere universale e il rilievo sociale della giustificazione. Dio si
26

manifesta giusto e giustificante in Ges Cristo, e quindi si ottiene la giustificazione soltanto per la fede in Lui (Ges
Cristo).
IV.
I GRANDI TEMI DELLE LETTERE AI CORINZI.
a. Essere uniti in Cristo -unit della Chiesa. (1Cor.1,10-6,20): Trattasi dellassurdit delle divisioni nelle comunit
e lunicit dellopera evangelizzatrice, fondata su Cristo che indiviso. Poi, i disordini morali dellincesto e i
processi fra i cristiani di fronte ai tribunali pagani e limpurit.
b. Matrimonio e verginit (1Cor. 7): Tratta del matrimonio cristiano e la superiorit del celibato.
c. Il problema delle carni immolate (1Cor 8,1-11,1): Principi generali sulluso degli idolotiti con lesempio
dellapostolo e dIsraele. Soluzione pratica del problema (proibizione di partecipare ai banchetti sacrificali, libert
per comprare la carne ai macellai,ecc)
d. Il problema delle assemblee cultuali (1Cor 11-14): Il comportamento delle donne; la celebrazione della cena del
Signore; natura e uso dei carismi (principi generali sul loro uso, la carit come carisma supremo, regole pratiche
sui carismi).
e. Il problema della risurrezione (1Cor 15): Il fatto della risurrezione (quella di Cristo, principio della nostra e la
risurrezione dei fedeli) e il modo della risurrezione (situazione corporale e personale, solidariet collettiva al
trionfo di Cristo glorioso).
f.

Polemica contro i falsi apostoli giudaizzanti. Apologia personale (2Cor 10-13,10): Prova e difesa della propria
autorit apostolica; confronto con gli avversari, ecc.

V.
LA PARUSIA E LE LETTERE AI TESSALONICESI.
La dottrina dellescatologia occupa un posto di grande rilievo nelle lettere ai Tessalonicesi e le contraddistingue nel
corpus paulinum. Domina in tutte le due lettere il tema della venuta finale di Cristo, della risurrezione e dellincontro
con Lui. Contro lagitazione e falso allarme circa la presunta imminenza della venuta del Signore presente nelle
comunit di Tessalonica, Paolo presenta il contenuto e il momento della parusia (1Tes 5,1-11 e 2Tes 1,5-10; 2,1-12).
Paolo usa il termine parusia per significare la venuta gloriosa del Signore. Parla del giusto giudizio di Dio alla parusia
di Cristo, nella quale i fedeli avranno il premio e i loro oppressori la pena (2Tes 1,5-10). Insegna, poi, che il giorno del
Signore (la parusia) non prossimo a giungere; prima deve sopravvenire lapostasia e apparire il grande empio
(lAnticristo), che al presente ancora trattenuto; questi, apparendo, sedurr con segni fallaci gli uomini destinati alla
rovina; ma Cristo al suo ritorno lo annienter (2Tes 2,1-12). Altrove Paolo usa i termini il giorno del Signore (1Tes
5,2), quel giorno (2Tes 1,10) e il giorno (1Tes 5,4) per riferirsi alla medesimo avvenimento della parusia.
VI.
LA LETTERA AGLI EBREI.
Tempo e luogo: Si scritto negli anni 66-67d.C, probabilmente dallItalia (cfr. 13,24)
Circostanze: Gli Ebrei destinatari sono cristiani provenienti dal giudaismo a contatto del culto e del tempio e tentati
di ritornare alla loro fede ebraica. E indirizzata questa lettera a loro affinch riconoscano la superiorit della Nuova
Alleanza (inaugurata da Ges Cristo il Messia Redentore) e non ricadrebbero nel giudaismo.
Struttura: Dopo lintroduzione seguono 2 grandi parti:
- Una parte dogmatica (ruolo di Cristo nel piano di Dio, Cristo sommo sacerdote, il sacerdozio e il sacrificio di
Cristo).
- Una parte morale (la fede perseverante, la condotta cristiana). Si chiude con unepilogo.
Temi principali: Il tema, in genere, quello della supremazia della nuova alleanza fondata da Cristo in rapporto con
lalleanza dellAT. Questo si dimostra, non solo perch Cristo superiore agli angeli, ma principalmente perch il suo
sacerdozio e il suo sacrificio sono infinitamente superiore al sacerdozio e ai sacrifici dellantica legge.
Autenticit: Nonostante le affinit dottrinali di questa con le altre lettere di San Paolo, le differenze nella struttura
(senza indirizzo, saluto o intestazione di autore), nello stile e nel vocabolario fanno pensare che lautore sia un giudeo
di cultura ellenistica che ha assorbito le tesi paoline. San Giovanni Crisostomo e altri orientali attribuivano questa lettera
allo stesso San Paolo. In Occidente, invece, dovette trascorrere pi tempo affinch fosse riconosciuta come scritto sacro,
ma a partire dal sec. IV fu ammessa come tale in tutta la Chiesa.

27

VII.
LA LETTERA DI GIACOMO, PIETRO E GIUDA
Tempo: Tra il 45 e il 49 (prima che sorgesse la controversia giudaizzante).
Luogo: Rimane storicamente un enigma.
Circostanze: I cos detti lassisti si ritenevano dispensati da compiere le opere di carit e i lettori dorigine ebraica si
trovavano nelle tribolazioni che sorgevano dallesterno e dallinterno della Chiesa. Perci, lautore voleva mostrare ai
lassisti il vero volto del Cristianesimo e confortare anche i lettori dorigine ebraica.
Autenticit: Diversi autori acattolici (eg Harnack, Dibelius, ecc) sostengono che sia lopera di uno sconosciuto. In
favore della sua origine apostolica, si pu osservare che questo scritto si legge gi nelle antiche versioni bibliche latine.
Era conosciuta ed usata da Clemente Romano, Erma, Giustino, Ireneo.
LETTERA

PIETRO19

GIUDA

19

TEMPO/LUOGO
PRIMERA
Primavera del 64,
Roma
SECONDA
Probabilmente nel
67, da Roma

CIRCOSTANZE
I destinatari, cristiani sparsi in varie province dellAsia Minore, provenienti
dal paganesimo, ma anche dal giudaismo, erano circondati da difficolt e
sofferenze, provenienti dallambiente ostile circostante.
Allo scoppio della persecuzione di Nerone non era seguita lattesa parusia
vendicatrice. Schernitori procaci serano infiltrati tra i fedeli. Pietro, avendo
ricevuto delle notizie allarmanti sulla situazione, si decide ad intervenire per
mettere in guardia i lettori e insieme per istruirli sulla vera dottrina ed
esortarli a perseverare coraggiosamente conservando intatta la loro fede nella
parusia del Signore.
Probabilmente il 65 I fedeli destinatari erano in pericolo per la loro fede, per linsorgere di
nelle regioni della movimenti eretici che negavano la divinit di Cristo e si mostravano piuttosto
Mesopotamia
licenziosi nei costumi (vv. 4.7).
CONTENUTO
Dopo liscrizione e gli auguri, S.
Giuda indica lo scopo e
loccasione per cui scrive (3-4),
quindi mette in guardia i lettori dai
falsi maestri (5-8), citando esempi
dalla storia biblica e dalla
tradizione
giudaica
(9-16).
Ribadisce i moniti con esortazioni
e direttive (17-23) e conclude
lepistola con una splendida
dossologia
(24-25).
E
particolarmente sviluppata in
questa lettera linsegnamento circa
gli angeli, chiamati Glorie,
distinti in buoni e cattivi.

AUTENTICIT
Il fatto della dipendenza della seconda
lettera di Pietro rende indirettamente
provata lalta antichit e lautorit
apostolica di questa lettera. Scrittori
come Tertulliano, Origine, e il
Frammento Muratoriano, citano e
mostrano la sua autenticit. Solo
Eusebio la elenca fra gli scritti disputati
riconosciuti da molti. Si deve dire che,
nonostante gli argomenti positivi
interni, la possibile citazione dalle
tradizioni extra-bibliche (il libro di
Enoch) ha indotto un certo numero di
scrittori a metterne in dubbio
lispirazione e la canonicit di questa
lettera.

Per la struttura e contenuto, consulta la tua Bibbia.

28

TEMA 1 0: L Op era Giov ann ea


I.
IL VANGELO SECONDO GIOVANNI: CARATTERISTICHE LETTERARIA E CONTENUTO DOTTRINALE
Lorigine; Il quarto Vangelo ha le sue origini nel kerigma annunziato dagli Apostoli. Inoltre, S.Giovanni si presenta
come un testimone anonimo, il discepolo che Ges amava, che partecip al dramma della Passione, vide la tomba vuota
e Ges risorto.
Il libro dei segni (Gv 1-12);
- Prologo (1,1-18): Ha struttura circolare perch ogni versetto ha un suo correlato, e si distribuiscono come circoli
concentrici in torno al loro centro. (a b c d e f f e d c b a).
a) 1-2: il Logos rivolto al Padre.
a) 18: il Figlio rivela al Padre.
b) 3: mediazione cosmica del Logos.
b) 17: mediazione salvifica del Logos.
c) 4-5: benefici procurati dal Logos.
c) 16: pienezza di grazia procurata dal Logos.
d) 6-8: testimonianza del Battista.
d) 15: testimonianza del Battista.
e) 9: presenza del Logos.
e) 14: abitazione del Logos incarnato
f)10-11:incredulit(mondo, Israele).
f) 12-13: accoglienza mediante la fede.
- Lannuncio della vita (1-6): troviamo in questi capitoli frequenti riferimenti alla vita, sia tramite il verbo in infinito
[, (zn: vivere): 4,10.11], sia mediante il sostantivo [ (zo: vita): 1,4; 3,15;]. Dentro, dunque, del Libro dei
segni troviamo lannuncio della vita perch i segni sono dati perch crediate e abbiate la vita.
- Discorso del Pane di Vita (6,26-59)6,26-51: mangiare il Pane di Vita = credere in Ges. 6,52-58: mangiare il Pane
di Vita = mangiare (: trgein) la Carne e bere il Sangue di Ges. 6,59: epilogo. Ges si presenta come il
Pane di Vita che scende dal Cielo.
- Minaccia di morte (7-12): infatti, compaiono molti termini riguardanti la morte, come o (apoktino):
uccidere. Questa parte viene chiamata minaccia perch a Ges si oppongono i Giudei che cercavano di ucciderlo.
- Il libro dellora (Gv 13-20); Nozione di ora: il tempo della glorificazione del Figlio, che d gloria a Dio Padre. Al
parlare del libro dellora si deve capire ora compiuta e non annunciata, perch questo accade nella prima parte del
S.Vangelo (Gv 2,2; 4,21.23.25;). Perci sarebbe pi adeguato parlare del Libro del adempimento dellora (13,1; 16,32;).
- Discorsi daddio (13-17): Ges annuncia ci che accadr e ne spiega il senso (Lui se ne va al Padre).
* caps. 13-14: interloquii con gli Apostoli.
* caps. 15-16: Parole di Ges sulla vite e sui tralci; lamore cristiano; persecuzioni; ecc.
* cap. 17: la Preghiera Sacerdotale di Ges al Padre: Glorificazione e santificazione per gli Apostoli.
- Morte di Ges (18-19),
- Risurrezione di Ges (20)
- Prima conclusione (20,30).
- Seconda conclusione (21): testimonianza del discepolo amato da Ges che viene accolta dalla Comunit. Essendo
pure ispirato, sembra essere unaggiunta posteriore, sia perch una seconda conclusione, sia perch viene stabilita una
differenza tra il discepolo che ha scritto queste cose e noi sappiamo che la sua testimonianza vera. La ragione
dellaggiunta pu trovarsi nella possibile necessit di chiarire un malinteso: che Ges non aveva detto di S.Gv che non
morirebbe.
Lautore; Sappiamo per la Tradizione che lautore del quarto Vangelo S.Gv Apostolo, uno dei figli del Zebedeo. Gi
nel II secolo, troviamo parecchi riferimenti dei Padri della Chiesa al riguardo (es. S.Ignazio dAntioquia). La prima
testimonianza esplicita quella di SantIreneo (180). Nella stessa epoca, il Canone muratoriano attribuisce il IV Vangelo
a S.Gv. Oggi tra coloro che negano lautenticit -nel campo cattolico- si trova R. Schnackenburg (motivi di critica
letteraria).
Caratteristiche letterarie; Ci sono autori che sostengono che questo Vangelo traduzione di unoriginale aramaico.
vero che si trovano degli aramaismi lungo il testo per non ragione sufficiente per provare lipotesi di unoriginale
aramaico. Ci sono dei termini caratteristici di questo Vangelo che ricorrono poco nei Sinottici (e viceversa). Vediamo
alcuni:
- (Eg eim: Io sono): si deve collegare questespressione alla rivelazione del nome di Dio nellAT: YHWH: Io sono.
Quindi, nella bocca di Ges, si tratta di una confessione della sua propria divinit.
- (agapn, agpe): amare, amore. Si tratta di un amore spontaneo, non meritato, dono di Dio, che apre allamicizia
con Lui e fluisce verso il prossimo.
- (pistuein): credere. Luso del verbo (credere) con preferenza al sostantivo (pstis: fede), manifesta che la fede viene
concepita come un impegno attivo della persona, anzich una disposizione interna.
-(fos): luce. Si dice, per antonomasia, del Verbo (8,12: Io sono la Luce del mondo). Questa luce si manifesta (fanern:
manifestare).

29

- althia, aleths, alethins. verit, vero, verace. Non si tratta di una verit agnostica, come dicono molti esegeti
(Bultmann). Si deve capire nel contesto della mentalit ebraica: Dio ricco in misericordia e verit (=fedelt) (Es 34,6).
Vuol dire che Dio rimane fedele alle sue promesse.
-(Iudioi: giudei
ksmos: mondo). Si presentano come glia antagonisti di Ges. I giudei, in questo contesto, non
il Popolo, ma le autorit religiose.
- Per quanto riguarda a ksmos: occorre fare unosservazione, in ordine a spiegare perch ha un valore negativo in Gv.
- In Gv: (srx, carne) invece in
S.Paolo:( sma, corpo)
Lapparente contradizione si spiega facilmente. Ogni autore -sia Gv, sia S.Paolo- vede il concentramento di tutto ci
che si oppone alla salvezza in un determinato termine relativo alla materia (tutti questi termini indicano qualche
materia). Certamente, nella vita spirituale, c un dualismo; ma sarebbe erroneo concepirlo come unantinomia materiaspirito. Tuttaltro, la antonomia reale salvezza-peccato. Quindi, si tratta di un dualismo soteriologico, anzich
ontologico.
Per quanto riguardo lo stile. Adopera la paratasi (coordinazione), anzich la ipotasi
proposizioni si verifica tramite il polisindeton (ripetizione di u
kai: e) o lasindeton
(giustapposizione delle proposizioni senza nesso coordinante). Dai procedimenti letterari, adopera: linclusione (la parte
conclusiva richiama quella iniziale: 6,31.58); il chiasmo (6,36-40. un parallelismo in senso inverso: a-b; b-a; come
jiasms). Il doppio senso (4,10.11); il malinteso (Ges dichiara le realt
soprannaturale, per lo capiscono male: in senso materiale (3,4); lironia (gli interlocutori di Ges parlano ironicamente:
4,12); le note esplicative (1,38.42; 2,21; 12,33).
CONTENUTO DOTTRINALE
Il mistero della Santissima Trinit:
- Il Padre. La tematica dei rapporti di Ges con il Padre costituisce un aspetto caratteristico della teologia
giovannea. Ges afferma la sua perfetta unit con il Padre (10,30). I rapporti sono segnalati con un linguaggio
di reciprocit: Il Padre glorifica il Figlio (8,50) e il Figlio cerca la gloria del Padre (7,18).
- Il Figlio. Il tema pi importante della Cristologia giovannea riguarda il mistero dellIncarnazione del Verbo. Il
fatto dellIncarnazione richiama per necessit logica la preesistenza del Verbo. Mentre nei Sinottici Ges
nasconde la sua Messianit, i suoi discorsi in Gv sono sempre unautorivelazione: annuncia la sua condizione
di Figlio di Dio, la sua preesistenza presso il Padre (8,58) che lo ha inviato, la sua missione nel mondo e il suo
ritorno al Padre. Ges parla in prima persona: Io sono la Luce del mondo (8,12), il Pane della Vita (6,35), la
Resurrezione e la Vita (11,25), la Verit e la Vita (14,6).
- Lo Spirito Santo. Gv parla di Lui come di una Persona diversa del Padre e del Figlio. Nel Battesimo al Giordano,
Lo Spirito Santo scende e si possa su di Ges (1,32). Dopo di essere ritornato al Padre, Ges invier lo Spirito
(16,7) che proseguir la sua opera perch lo Spirito di verit (14,17). Ci che il Ges terreno per i discepoli
immediati, lo sar lo Spirito Santo per la Chiesa.
- Ecclesiologia; I rappresentanti della Chiesa sono i discepoli. Ges proietta la sua attenzione anche al di l dei
suoi discepoli, nel futuro, come mostra quando dice che ci sono altre pecore che non sono di questo ovile.
Quando si dice che Egli ha inviato i discepoli nel mondo (17,18; 20,21-23), si delinea lidea della missione. Un
passo importante per lEcclesiologia si trova nel capitolo 21, quando Ges affida a San Pietro il mistero e il
potere di pascolare il suo gregge (21,15-17).
- Sacramenti;I testi direttamente sacramentali sono: Gv 6 (Eucaristia); 3,1-21 (la nascita dallalto: Battesimo);
19,34 (sangue, simbolo dellEucaristia e acqua, simbolo del Battesimo, che escono del fianco trafitto di Ges);
20,22-23 (il potere di rimettere i peccati).
- Mariologia; ci sono tre importanti passi mariologici: le nozze di Cana (Gv 2,1-11), Maria ai piedi della croce
(Gv 19,25-27) ; la donna e il dragone (Ap 12).
II.

IL SUO RAPPORTO CON I VANGELI SINOTTICI

1. Nel piano generale, cronologico e topografico: i Sinottici danno limpressione che tutta lattivit pubblica del
Signore si svolta in un solo anno e pochi mesi. In Gv ci sono molti indicazioni cronologiche e topografiche: Gv
racconta parecchi viaggi e soggiorni di Ges a Gerusalemme, specie per le feste giudaiche. Secondo Gv, lattivit
pubblica del Signore dura, almeno due anni ed alcuni mesi, o tre anni.

2. Nel materiale: ci sono poche narrazioni comuni con i Sinottici, e queste, vengono impostate di maniera diversa: nel
racconto della Passione si trova una concordia pi evidente (specie con Lc), ma Gv sottolinea pi la regalit di Ges.
Dai miracoli: solo due sono comuni: la moltiplicazione dei pani e il cammino di Ges sulle acque.

3. Nello stile: Inoltre, il modo di parlare di Ges diverso: nei Sinottici, il tono popolare, vivo e piano; soprattutto
nelle parabole. In Gv, invece, astratto e dottrinale. Ci sono solo due allegorie: del Buon Pastore (10,1-18), della
Vite e i tralci (15,1-6).
30

4. Nei concetti teologici: c pure chiara differenza. Il Regno di Dio (Sinottici), viene presentato con lespressione
avere la vita, che , per, secondo Gv, una realt gi presente, mentre nei Sinottici indica un bene escatologico. In
Gv mancano dei discorsi escatologici, che ci sono nei Sinottici. Gv sottolinea che il giudizio si compie nel
presente. Mentre nei Sinottici ci sono discussioni tra Ges e i farisei sullosservanza della Legge, Gv sottolinea
piuttosto lincredulit dei Giudei, riguardante la personalit divina di Ges. Le questioni sulla condotta morale del
cristiano dettagliate nei Sinottici, si sintetizzano nel precetto dellamore fraterno.
III.
LE LETTERE DI SAN GIOVANNI
1) Prima Lettera. Pi importante. Scritta verso 90-100, in Asia Minore. Lettera-enciclica destinata alle Comunit
dellAsia, minacciate dalle prime eresie. Lautore vi ha condensato lessenza della sua esperienza religiosa. Struttura:
1. Prologo (1,1-4). 2. Parte I (1,5-2,29): Camminare nella luce, che Dio. Per camminare cos, ci sono le esigenze morali
da compiere. 3. Parte II (3,1-4,6):Vivere da figli di Dio, che gi lo siamo. Per vivere cosi, bisogna amare i fratelli e non
prestare fede ai falsi profeti.4. Parte III (4,7-5,12): Lamore e la fede: Dio amore. (4,86). il messaggio pi alto di
tutta la teologia biblica. 5. Conclusione (5,13): lo scopo della lettera. 6. Appendice (5,14-21): preghiera per i fedeli e
ricapitolazione.
2) La Seconda Lettera. Nella 2 e la 3 Lettera di Gv lautore si presenta come il Presbitero. Mette in guardia unaltra
Chiesa particolare, la Signora eletta, contro la propaganda dei falsi dottori, che negavano la realt dellIncarnazione.
Perci seguono i consigli di non lasciarsi ingannare, non avere rapporto con loro.
3) La Terza Lettera. la prima cronologicamente. Tende a regolare un conflitto di autorit sorto in una Chiesa, che
dipendeva dellautorit dellApostolo. Il destinatario Gaio, discepolo, a cui si fa la lode per la sua ospitalit.
Rimprovero dellApostolo a Diotrefe che non riceve i fratelli mandati da Lui.
IV.
LAPOCALISSE: IL GENERE LETTERARIO ED I TEMI TEOLOGICI SPECIFICI
1) Genere letterario. Apokalypsis significa rivelazione. Si tratta -tutto apokalypsis- di uno scritto giudaico o cristiano
dove lautore riceve da Dio la rivelazione in forme di visioni di cose nascoste, che riguardano lavvenire, conosciute
solo da Dio. Le visioni non hanno valore in s, ma per il simbolismo di cui sono cariche; le cifre, le cose, gli animali, le
parti del corpo, gli stessi personaggi che entrano in scena, hanno un valore simbolico. Quando descrive una visione, il
veggente traduce in simboli le idee che Dio gli suggerisce. Lautore (S.Gv, oppure un suo discepolo dei circoli vicini
allapostolo), pur scrivendo (90-95 dC) unapocalisse anche profeta (10,11) e quindi lo scritto si presenta come una
sintesi nuova tra apocalittica e profezia. LAp, pur sembrando la Lettera alle sette Chiese, manca di tutti gli altri elementi
specifici delle lettere. LAp ci appare come uno scritto inviato alle Chiese e destinato ad essere letto, ascoltato,
interpretato nellAssemblea liturgica.
Struttura: - Prologo (1,1-3) , Il saluto e lintroduzione (1,4-8)
I.
Parte profetica: le visioni e le lettere alle sette Chiese (1,9-3,22).
II.
II. Parte apocalittica: le visioni delle cose ultime e del nuovo mondo (4,1-22,5),
La fine (22,6-16), Lepilogo (22,17-21)
2) Temi teologici specifici; Ci sono presenti anche i temi generali; comuni degli scritti dellNT: nel riguardo di Dio:
titoli significativi di YHWH: Santo, Giusto, lOnnipotente. Il Cristo (lAgnello risorto vivente nella Chiesa); lo Spirito
Santo (parla alle Chiese); la Chiesa (Popolo di Dio, nuova Gerusalemme).
Escatologia; il tema pi caratteristico dellAp: in Cristo vengono riassunti il presente, il passato, il futuro: Colui che
, che era e che viene 1,4.8). Esiste qui una tensione verso un punto di arrivo finale, che pu scoprirsi dallanalisi della
struttura letteraria, che si rivela nel seguirsi in crescendo delle varie sezioni; ce lo dice anche il tempo che ha uno
scorrimento veloce: il tempo vicino (1,3). Lultima sezione, che inizia quanto giunto il gran Giorno di YHWH (16,14);
ci presenta il punto di arrivo: il male, personificato dalla porns (prostituta) dai re della terra; dai due mostri; da Satana,
dalla morte e dagli uomini nellostilit a Dio, viene superata definitivamente; segue il rinnovamento generale, il trionfo
della nymf (sposa), la Gerusalemme celeste.
Teologia della storia; Lescatologia ancorata alla storia. La materia specifica dellAp ci che deve accadere: la storia
intesa nel suo contenuto concreto. LAp esprime di questa storia uninterpretazione religiosa: la comunit che ascolta
sar in grado di comprenderla e apprezzarla. LAp una profezia nel senso usuale del termine: rivela grandi costanti
storiche concrete, ci istruisce su quello che sar lo svolgimento evolutivo dei grandi periodi. NellAp ci sono richiami a
fatti contemporanei dellautore, sia nella prima che nella seconda parte.
La Chiesa, purificata e discerne la sua ora; La comunit ecclesiale situata tra il gi e il non ancora, si mette nella
purificazione interiore, sottomettendosi al giudizio della Parola di Cristo. Si rinnova la voce dello Spirito (2,7). Essa
invitata a salire al Cielo (4,1) e a considerare di lass i fatti che la riguardano dallesterno. Cos la Chiesa comprende la
sua ora in rapporto alle realt storiche che le sono simultanee.
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TEMA 11: Il Pensiero Teologico di S. Agostino


I. LA VITA E LA CONVERSIONE DI S. AGOSTINO
Nacque il 13 novembre 354 a Tagaste, una piccola citt della Numidia; il suo padre pagano di nome Patrizio, e sua
madre cristiana di nome Monica (santa). Studio a Tagaste, continu poi gli studi nella via Madaura e dopo, con laiuto
di un concittadino chiamato Romanzano studio a Cartagine.
A Tagaste (374) insegn grammatica. In Cartagine aveva molti amici, tra i quali i manichei che allet di 19 anni lo
coinvolsero nel loro movimento provocando labbandono della fede cattolica, nella quale era stato educato. La sua lunga
e tormentata evoluzione interiore (383-386) cominci con la lettura dellOrtensio di Cicerone che lo entusiasmo per il
desiderio della sapienza, ma ne tinse i pensieri di tendenza razionalista e naturalista. Poco dopo, letta senza frutto la
Scrittura, incontr ascolt e segu i suoi amici manichei. Consegui, intanto i titoli necessari per il insegnamento e come
professore, raggiunse il suo paese natale dove incontro Cartegiano con cui rimase unito per molti anni. Dopo la morte
di un caro amico, ritorna deluso a Cartagine dove rimase fino al 383 come professore di retorica. Infine, a ventinove
anni, lasciava l'Africa per indirizzarsi a Roma, cominciato intanto ad allontanarsi dal manicheismo.
In preda a certo qual scetticismo, coltiv qualche simpatia per la filosofia della Nuova Accademia, incline alla Teoria
della Probabilit. Con l'aiuto degli amici, egli riusc a ottenere un cattedra a Milano, cercando una retribuzione pi
consistente. La nuova citt segn la svolta decisiva di tutto il suo avvenire; con il disgusto ormai acuito per i piaceri, si
accompagnava l'effetto benefico che egli provava nell'ascoltare l'insegnamento del vescovo Ambrogio. Furono questi i
prodromi che lo portarono alla conversione.
Bramoso di solitudine decideva di ritrarsi dall'insegnamento e di recarsi in una villa di Cassiciaco nel autunno 386.
Erano con lui sua madre e alcuni degli amici. In quel ritiro egli compose le sue prime opere di carattere filosofico,
persuaso ormai che l'uomo, se bene intenzionato, era in grado di raggiungere la verit.
Ritornato a Milano riceveva nella Pasqua del 387 il battesimo conferito da S. Ambrogio. Prese la decisione di ritornare
in Africa; durante il viaggio di ritorno, a Ostia, la madre mor improvvisamente. Dopo un anno a Roma, raggiunse
l'Africa nello autunno al 388 e si ferm a Tagaste. Sistemate le cose di propriet famigliare, si ritir con pochi amici a
formare una comunit monastica. Una volta che si era ricatto a Ippona nell'anno 391, per acclamazione del popolo,
il vecchio vescovo Valerio lo scese per coadiuvarlo. Nellanno 396, il vescovo Valerio otteneva che Agostino fosse
consacrato come vescovo, prima come suo ausiliare, e poi dopo la morte del vecchio vescovo, Agostino diventa il
Vescovo Titolare.
A questo punto la vita di Agostino si confonde con quella delle sue opere: sermoni, lettere, trattati polemici, studi
teologici. Si aggiungono le cure pastorali, la direzione del clero di Ippona che vivano in comunit col suo vescovo, i
viaggi obbligati dalla lotta contro gli eretici, e si avr il bilancio di una delle vite pi utilmente spese. Mori a 76 anni
meditando i salmi penitenziali, nell'anno 430 (agosto 28).
II. LE OPERE PRINCIPALI
Le molti opere di Agostino, sono raggruppati in: scritti autobiografici, filosofici, apologetici, dogmatici, polemici contro
le eresie, scritti esegetici, morali, le epistole e i discorsi.
Vedremmo le Confessione, De civitate Dei, il De Trinitate:
"LE CONFESSIONES" Redatta in 13 libri, scritti in forma di autobiografia spirituale. Essa si prende avvio della
fanciullezza dello scrittore e si dilunga fino alla sua conversione. Tutto per si svolge sotto la visione dei presupposti
teologici, richiamati continuamente per illuminare i pi segreti risvolti dellanima, con l'unico scopo della esaltazione
della misericordia di Dio e della edificazione del lettore. Il titolo Confessiones ha senso biblico e significa lodi" o
"completo".
"DE CIVETTATE DEI"
- Ne furono occasioni le accuse dei pagani contro il cristianesimo rinnovatesi pi acerbamente dopo il sacco di Roma
del 410. divisa in due parti: - la prima: (1-10) destinata a confutare il paganesimo, - la seconda: (11-22) ad esporre
e difendere la dottrina cristiana.
L'idea centrale quella della provvidenza divina che illumina e guida tutta la storia dellumanit. Questa divisa in
due citt fondate su due amori: amore di s e amore di Dio. La citt di Dio fu molto letta ed ebbe grande influsso
nel medioevo.
"DE TRINITATE" L'opera dogmatica principale, un altro capolavoro agostino che ha esercitato un'influenza decisiva
sulla teologia trinitaria occidentale. L'opera fu compiuta in due tempi:
1) i primi dodici libri tra il 399-4 2) i restanti e la redazione finale verso il 420.
Il piano il seguente: libri 1-4: teologia biblica della trinit; 5-7: la teologia speculativa e la difesa del dogma; 8:
introduzione alla cognizione mistica di Dio; 9-14: ricerca dell'immagine della trinit dell'uomo; 15: riassunto e
completamento dell'opera.
V perci insieme l'esposizione, la difesa, la formulazione, l'illustrazione e la contemplazione del dogma.
Gli aspetti pi originali sono: la dottrina delle relazioni; la spiegazione "analogia psicologia"; le propriet personali dello
Spirito Santo (lo Spirito Santo procede come Amore); il collegamento tra il mistero trinitario e la vita di grazia.
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III. LA POLEMICA CONTRO I MANICHEI, I DONATISTI, I PELAGIANI


Contro i Manichei, (immutabilit di Dio, dualismo, sul principio e origine del male). Vengono trattati temi di: metafisica
(immutabilit di Dio, creazione, il male); di apologetica (credibilit della fede); e di Scrittura (armonia tra l'AT e NT).
De moribus Ecclesiae catholicae et de
Moribus Manichaeorum

De duabus animabus liber 1

Acta contra Fortunatum Manichaeum


De actis cum Felice Manichaeo libri 2

Prima apologia della fede da parte del neoconvertito: si basa sul paragone tra la
dottrina e la vita della Chiesa cattolica, incentrata nell'amore e da esso informata;
analizza la dottrina e la vita dei manichei, la prima insostenibile, la seconda
incoerente.
Confuta una tesi del Manicheismo: quella delle due anime, delle quali una proverebbe
dal principio buono e l'altra dal cattivi, tesi che nega all'uomo la libert. Lui sostiene
che in ogni uomo l'anima una sola ed dotata di libero arbitrio, da cui proviene il
male.
Sull'origine del male: dimostra che il male procede dal libero peccato dell'uomo.
Fortunato non seppe che rispondere a lascio Ippona.
La discussione verte sullimmutabilit di Dio, la creazione, e l'origine del male.

Contro i Donatisti. (Chiesa e sacramenti): Donatismo: scisma ed eresia sorto in Africa nel IV secolo denominata da
Donato. Secondo lui la Chiesa sarebbe le societ dei santi, per cui i sacramenti amministrati dai peccatori e dagli eretici
sarebbero invalidi. La lunga e laboriosa polemica contro i donatisti impose ad Agostino una serie numerosa di opere
nelle quali chiarendo la controversia donatista approfond la teologia ecclesiologia e sacramentaria.

Contro epitolam Parmeniani libri 3

Prima grande opera sulla controversia donatista, in cui si dimostra una tesi
fondamentale: nell'unita della chiesa cattolica e nella comunione dei
sacramenti i cattivi non contaminano i buoni.

De baptismo libri 7

Opera fondamentale: vi dimostra la validit del battesimo amministrato dagli


eretici e toglie ai donatisti l'autorit di Cipriano di cui si facevano forti.
Insiste sulla tesi fondamentale, cio che la vera chiesa di Cristo la chiesa
universale.

De unitate Ecclesiae liber 1.

Contro Pelagianismo: la eresia insegnata dal monaco Pelagio. Sostenevano che il peccato dei progenitori non si
trasmette ai posteri; per cui i bambini nascono nelle condizione d'innocenza, morendo senza battesimo salvano
ugualmente. L'uomo con le sole risorse della natura e il buono uso della libert pu evitare il peccato e conquistarsi la
vita eterna. Pertanto; non si da altra grazia che l'esempio di Cristo; Non esiste altra norma che la legge naturale, unaltra
facolt che il libero arbitrio.
Opera fondamentale. Contiene la: prima teologia biblica della redenzione e del
peccato originale e della necessita del battesimo; la dottrina della necessita
della grazia per osservare i comandamenti di Dio; la risposta alle difficolt
contro la nozione del peccato ereditario proposte da Pelagio nella spiegazione
di Rom. 5,12.
Vi si dimostra che: non bisogno difendere la natura contro la grazia; n la
De natura et gratia liber 1.
grazia contro la natura; ma natura e grazia insieme: la grazia che libera e sana
la natura.
De gratia Christi et de peccato Denuncia l'equivoco di Pelagio che chiamava grazia la libert, la legge la
rivelazione, ma negava l'aiuto interiore della grazia, se non, tutta al pi, per
originali libri 2
osservare "facilius" i comandamenti di Dio, e dimostra che tanto Pelagio
quanto il discepolo Celestio non ammettevano il peccato originale, cio una
verit fondamentale della fede.
De peccatorum meritis et remissione
et de baptismo parvulorum ad
Marcellinum libri 3

IV. LA DOTTRINA TRINITATRIA E SULLA GRAZIA IN SANTAGOSTINO.


La dottrina trinitaria di Agostino rappresenta un grande progresso teologico sulla linea della tradizione e determina lo
sviluppo della teologia trinitaria in Occidente. Studia l'unita e le propriet distintiva delle tre persone; Chiarisce le
processioni e le missioni indicando l'ordine di processione di una persona dall'altra e non subordinazione; Dice che
tutte le operazioni "ad extra" della Trinit sono comuni, anche se solo il figlio incarnato. Chiarisce soprattutto tre
punti:

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a. La dottrina delle distinzioni delle persone.


- Il principio delluguaglianza e delle distinzione delle persone divine viene enunciato con queste parole: "Dio
tutto ci che ha, eccetto la relazioni per cui ogni Persona si riferisce all'altra. Non v il Figlio...".
- La prima parte del principio esprime lassoluta semplicit di Dio per cui le Persone identificano con la natura
divina che non , dunque ad esse comune "quasi quarta", ma , essa stessa la Trinit.
- La seconda parte indica nella dottrina delle relazioni, la distinzione tra le tre Persone: "Sebbene non sia la
stessa cosa essere Padre ed essere Figlio, tuttavia la sostanza non diversa, perch questi appellativi no
appartengono all'ordine della sostanza, ma della relazione; relazione che non accidentale, perch non
mutevole.
b. La Spiegazione "analogia psicologica" della Trinit,
La teologia sullo Spirito Santo. Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come da unico principio, ma
"principaliter" dal Padre, perch il Padre, che il "principio della deit, ha dato al Figlio di spirare lo Spirito Santo;
procede come Amore, e perci, non generato, perch l'amore ha questo di proprio: che non immagine, ma peso,
dono, comunione. Agostino dava cos la ragione teologica che mostra in qualche modo la distinzione che passa tra la
generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo, che era una delle tre questioni che aveva promesso di
illustrare fin d'inizio del "De Trinitate" e sulla quale era tornato spesso nella stesura dell'opera. La "volont (Amore)
procede dal pensiero, ma non come immagine del pensiero. Con ci s'insinua una certa distanza tra la generazione e la
processione poich non lo stesso vedere col pensiero che desiderare e godere con la volont." Al contrario "il Figlio
in tanto il Figlio in quanto Verbo e in tanto Verbo in quanto Figlio."
LA DOTTRINA DELLA GRAZIA
Intorno alla tema della giustificazione gira tutta la dottrina della grazia adiuvante che fu il punto cruciale della
controversia pelagiana. Agostino ne difese: la natura, la necessita, l'efficacia e la gratuita. Fu questa difesa che gli merit
il titolo di "dottore della grazia."
a) La natura. La grazia: un dono gratuito da Dio, indicandoci la via della salvezza; un beneficio e un segno di
benevolenza; l'aiuto divino per compiere ci che la legge comanda per giungere alla giustificazione e perseverare
in essa.
b) La necessita: Agostino difende la sua assoluta necessita; sia per evitare il peccato, sia per convertirsi a Dio e
giungere alla salvezza.
c) L'efficacia: Pi difficile il tema dell'efficacia della grazia, perch tocca quello delicatissimo della libert. Agostino
ne cosciente. La sua prospettiva quella evangelica; motto pragmatico sono le parole di Cristo: se figlio
dell'uomo vi liberer sarete veramente liberi (Gv. 8, 36). Libert dal peccato, dall'inclinazione al male, dalla
morte, e dal tempo. Porta la giustizia, l'ordine, limmortalit, e leternit.
d) La gratuita: La grazia un dono gratuita della divina benevolenza, non meritato. Come dono di Dio l'inizio
della fede e dono di Dio la perseveranza.

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TEMA 1 2: Dio
I.
FEDE E RAGIONE COME VIE DI ACCESSO A DIO
La fede ha come punto di partenza la rivelazione soprannaturale e la grazia; per questa fede, noi accettiamo che tutto ci che Dio
trasmette, tramite fatti e parole, ci manifesta il suo proprio essere e le sue disposizioni salvifiche. Per questo possiamo affermare
che la nostra conoscenza di Dio non una sola fede fiduciale. La Rivelazione che ci stata data nell'opera della creazione,
mediatrice tra Dio e noi; il fondamento del nostro accesso a Lui. La fede si attua quando l'uomo ascolta e da risposta a questa
rivelazione. La risposta di fede da parte dell'uomo non una sua azione; ma piuttosto la sua anima progettata da Dio creatore, in
modo tale che la rivelazione della Parola appare come un appello di fronte all'uomo.
La ragione giunge a Dio avendo come punto di partenza la realt creata. (Rom 1,20), e poggiando sulle forze naturali. Questo
possibile perch Dio, essendo trascendente, presente anche nella creazione in tal modo che si pu conoscerlo per mezzo della sua
opera; partendo dal principio che "l'agire segue l'essere". Questa conoscenza naturale di Dio pu essere di due modi: Spontanea
(esercizio comune o generale, caratteristico di ogni uomo che sia giunto a uno sviluppo normale del senso comune e che riconosce
Dio come fondamento di tutta la realt), e Scientifica (conoscenza metodica, pensata, ordinata che da luogo alla conoscenza
metafisica: Dio come causa prima di tutto il creato). Noi diciamo, infatti, che Dio ci testimonia la sua esistenza mediante la natura
di cui noi stessi facciamo parte. Di questa affermazione la Chiesa ne ha fatto una verit di fede, in quanto questo dato rivelato.
("Dio, principio e fine di ogni cosa, pu essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire delle
cose create" Ds. 3004, CV I, Cost. dogm. Dei Filius).
II.

L'ACCESSO NATURALE DELL'UOMO A DIO COME DIMENSIONE CENTRALE DEL UOMO; CON RIFERIMENTI ALLA
SACRA SCRITTURA E AL MAGISTERO DELLA CHIESA, E LE SUE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI

Antico Testamento
Nei salmi dove la creazione intesa come luogo dell'incontro tra Dio e l'uomo:
- Salmo 8 :"se guardo il cielo opera delle tue mani, la luna e le stelle che vi hai posto, chi mai l'uomo perch ti ricordi?(...) Tutto
hai messo sotto il suo dominio."
- Salmo 29: Descrive sua potenza e la forza su tutto creato. Tutto il creato stato "fatto con saggezza" e porta a conoscere suo creatore.
- Salmo 104:
- Nel libro di Daniele 3,52-90: i tre giovani lodano il Signore e invitano tutte le creature che vivono sulla terra lodare il Signore.
- Il testo pi fondamentale Sap 13,1-9: La vista e lo studio della natura dovrebbero elevare lo spirito umano fino a un Dio
trascendente e Creatore di tutto. Perci vengono chiamati "stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e dai
beni visibili non riconobbero colui che ". Nel quinto versetto lautore afferma molto chiarimento: "Difatti dalla grandezza e bellezza
delle creature per analogia si conosce autore"

Nuovo Testamento
- San Paolo nella lettera ai Romani (1,18-20) riprende l'idea del libro della Sapienza: "Dalla creazione del mondo in poi,
le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna
potenza e divinit."
- Prologo di Giovanni (1,1-18) nel centro mette il Verbo che era in principio e "tutto stato fatto per mezzo di lui, e
senza di lui niente stato fatto di tutto ci che esiste", "il Verbo era Dio".
L'uomo pur avendo la capacit per arrivare ad una conoscenza di Dio con le sole forze della ragione, a causa del peccato
non ha mai potuto attualizzare tale capacit; solo dopo l'incarnazione di Cristo l'uomo stato capace di arrivare ad una
conoscenza di Dio con la sua ragione. Cristo , in questo senso la Luce vera che illumina ogni uomo.
Magistero della Chiesa
CV I, Dei Filius, II:
"La stessa santa madre chiesa ritiene e insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, pu essere conosciuto con certezza
mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create".
La conoscenza certa non identica alla dimostrazione. Infatti, esse sono due tipi di conoscenza diversi, il concilio non
definisce dogmaticamente che l'esistenza di Dio si possa dimostrare. Il testo parla di certo cognosci posse; ci vuol
dire pu e non . L'uomo pu certo conoscere Dio, ma non vuol dire che questa potenzialit si attualizzi.
-CV II, Dei Verbum, 2 e 6:
Piacque a Dio nella sua bont e sapienza di rivelare se stesso e fare conoscere il mistero della sua volont (Ef. 1,9),
mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono
resi partecipi della divina natura (Ef. 2, 18; 2 Pt. 1, 4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (Col. 1,15; 1Tim.
1,17) nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (Es. 33,11; Gv. 15,14-15) e si intrattiene con essi (Bar.
3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con S. Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole
intimamente connessi tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e
rafforzano la dottrina e le realt significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse
contenuto.
In questo brano, oltre alla ripresa della dottrina del primo Concilio del vaticano, si afferma che la conoscenza naturale
dell'uomo rientra all'interno della Rivelazione totale di Dio, che manifesta la sua pienezza in Cristo.
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CV II, Nostra Aetate, II:


Dai tempi pi antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una sensibilit a quella forza arcana che presente al
corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinit suprema o il Padre. Tale
sensibilit e questa conoscenza affondano nella vita del uomo un intimo senso religioso. L'accesso certo a Dio non si
ferma nella conoscenza razionale essa spinge fino a una conoscenza che sia sempre pi perfetta.
Come abbiamo visto la ragione si presenta come una caratteristica fondamentale dellaccesso delluomo a Dio. Per
questo San Tommaso sottolinea che ci sono due tipi di verit divine: (cfr. Contra gentiles).
1) Le verit a cui si accede esclusivamente con la fede, cio senza la possibilit di una dimostrazione razionale.
2) Le verit di fede a cui la ragione pu accedere tramite la dimostrazione. San Tomasso spiega gli inconveniente
se si lasciassi alla sola ragione il lavoro di scoprire queste verit:
a) Pochissimi uomini conoscerebbe Dio, sia a causa dellinsufficiente capacit conoscitiva, sia perch
non tutti si possono dedicare alla ricerca della verit.
b) Quelli chi arrivano alla verit lo fanno con molta difficolt e dopo molto tempo.
c) La nostra conoscenza non priva derrori. Si potrebbe dare che nella ricerca della verit sinserissero
degli errori.
III. LA QUESTIONE DELLATEISMO E DELLAGNOSTICISMO E LE LORO POSIZIONI CONTEMPORANEE.

ATEISMO:
Il problema dellateismo un fenomeno recente. Nella Sacra Scrittura non viene nemmeno considerato, lateo lo stolto. Fino al
sec. 18, lateismo appare sempre come un fenomeno individuale e isolato, in quel tempo lateismo diventa un fenomeno culturale.
Nei nostri giorni per, questo ateismo ha perso molte delle sue ragioni forti che prima lo sostenevano teoreticamente; ad un livello
pi pratico, non difficile trovare lateismo vissuto. E necessario, anzitutto, chiarire cosa intendiamo per ateismo. Possiamo avere
due grandi tipi dateismo: lateismo negativo e lateismo positivo.

1) Ateismo negativo
Lateismo negativo quello che parte dalla premessa che luomo un essere che non gode della possibilit di aprirsi alla
trascendenza. In questo senso, si nega lesistenza di Dio poich luomo ridotto alla sua dimensione puramente materiale: quello
che avvolge luomo non lo porta a farsi la domanda su Dio. Lateismo negativo, ormai abbandonato, era sostenuto ad esempio da
Nietzsche (Dio morto, e la teoria del Super-Uomo). Questo ateismo negativo entra in confronto con la verit che luomo, con le
sue sole forze naturali, certo cognosci posse le qualit invisibili di Dio (Rm 1, 20)

2) Ateismo positivo
Questo ateismo ammette lapertura delluomo ad una realt soprannaturale, ma allo stesso tempo afferma in un modo riflesso che
Dio non esiste in tale trascendenza. Ad esempio, mettendo luomo al posto di Dio.
Abbiamo tre grandi radici dateismo positivo:
1. Il pensiero scientifico
2. Idealismo e materialismo storico.
3. Esistenzialismo sinistra.
Lesistenzialismo di sinistra anche se quantitativamente meno importante dagli altri due, qualitativamente questateismo dalto
livello. Lesistenzialismo sorse in un ambito predominantemente cristiano per combattere lidealismo che faceva a meno de singolo
per esaltare la massa. In sede filosofica, questesistenzialismo si riffa a Kant. Allora, Dio considerato un noumeno, un postulato
che bisogna negare per affermare lesistenza delluomo (Sartre, Camus). Lateismo ha delle radici dal momento in cui si perde la
concezione della verit come adaeqatio per arrivare alla concezione della verit come certezza (Descartes). Questa concezione
diede origine a due grandi correnti: lempirismo, che ebbe la sua forma pi estrema in Hume, e al razionalismo che ebbe la sua
forma pi estrema Leibniz. Da allora in poi, tutto il pensiero razionalista che predomin nellEuropa continentale, prender le mosse
dei dati scientifico-empiristi. Dopo Kant, con Hegel, appare lidealismo nella sua forma pi elaborata. Questo idealismo sar la base,
a sua volta, del materialismo storico di Marx, che ha segnato il pensiero politico di questo secolo di un modo singolare. In sintesi la
nascita dellateismo come fenomeno di masse, si pu riassumere nei passi: secolarit, autonomia, immanenza e profanazione.

LAGNOSTICISMO:
Lagnosticismo la negazione della possibilit di arrivare ad una conoscenza di Dio, anche se si possa ammettere la sua esistenza.
Al contrario dellateismo, lagnosticismo si presenta come un fatto allinterno della stessa fede; infatti, il fideismo, presente dagli
inizi nella storia del cristianesimo in ultima analisi, una posizione agnostica, cio luomo non pu con la luce della ragione naturale
dimostrare lesistenza di Dio. Lagnosticismo non nega lesistenza di Dio ma ne sostiene lindimostrabilit. Dunque, lagnosticismo
si distingue dallateismo a causa della negazione della possibilit di una conoscenza certa riguardo allesistenza di Dio.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma come lagnosticismo assume parecchie forme. In certi casi lagnostico si rifiuta di
negare Dio; ammette invece lesistenza di un essere trascendente che non potrebbe rivelarsi e di cui nessuno sarebbe in grado di dire
niente. In altri casi lagnostico non si pronuncia sullesistenza di Dio, dichiarando che impossibile provarlo, cosi come
impossibile ammetterla o negarla (CCC 2127).

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TEMA 13: Il Dio Personale e Vivente della Sacra Scrittura


I.
IL DIO PERSONALE E VIVENTE DELLA SACRA SCRITTURA
Il Dio dIsraele non una forza della natura personificata: Egli Qualcuno che parla, che vede, che vuole; le relazioni
con il suo popolo sono nate da una libera decisione, da una sua scelta, e questo rapporto susiste in un dialogo continuo.
Questa realt viene espressa nella Bibbia con frasi fortemente antropomorfiche: Dio parla (Gen 1,3), sente (Es 16,12),
vede (Gen 6,12). Il suo comportamento molto spesso descritto con immagini estremamente realistiche, ad esempio.
Is 63,1-3: Chi costui che viene da Edom, da Bozra con le vesti tinte di rosso? Costui, splendido nella sua veste, che
avanza nella pienezza della sua forza? Io, che parlo con giustizia, sono grande nel soccorrere. Perch rossa la tua
veste i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino?. Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li
ho pigiati con sdegno, li ho calpestati con ira. Il loro sangue sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli
abiti.
NellAT, questo carattere personale di Dio sottolineato nel uso abbondante dellantropomorfismo. Infatti, il fatto di
parlare di Dio come qualcuno che se indegna, se compatisse, se pente di avere creato alluomo, ecc. implica
necessariamente concepirlo come un essere personale. Al rivelare Dio il suo proprio nome, si mostra S stesso come
essere determinato, come un essere che si pu distinguere degli altri.
Lappellativo Dio vivente, che si trova anche sotto la forma frequente di giuramento viva Dio!, anche una
importante espressione della fede del Dio personale. Nei diversi usi di questa espressione, vi qualcosa di comune: la
vivacit, la potenza delle sue reazioni, sia per salvare che per punire: Il Dio vivente non resta inerte; egli vede, intende,
agisce; egli il Dio vivente e il Re Eterno; per la sua ira trema la terra e le nazioni non possono sostenere la sua collera
(Ger 10.10).
II.
NOMI BIBLICI DI DIO, SPECIALMENTE YHWH
Tre grandi immagini nella Bibbia rappresentano il Dio trascendente nella sua concretezza vivente nella storia:
1) il Signore (degli eserciti, della storia) - Colui che stato con i padri, Abramo, Isacco e Giacobbe, e ha liberato
Israele e ne ha fatto una nazione.
2) il Creatore che ha creato dal nulla tutte le cose e tutte le nazioni della terra.
3) infine il Salvatore che con un nuovo e meraviglioso esodo ricondurr il suo popolo da tutte le parti in cui
stato disperso.
Nel Nuovo Testamento Dio Padre riassumer queste immagini che si riuniscono nellespressione Dio amore (1Gv
4, 6).
A questi concetti fanno riferimento i nomi con cui viene chiamato Dio:
1) El: (Dio; Signore, Reggitore, Potente) e Elohim (plurale maiestatico; esprime la pienezza della potenza e della
gloria, e che Egli lUnico, in opposizione alle molte divinit - elim - che sono nulla, nullit - elilim -) il nome che
esprime la meraviglia di fronte alla grandezza e magnificenza di Dio. Con questo nome Abramo, Isacco e Giacobbe
cominciano a chiamare Colui che appare loro.
Nei composti: El addai - il Potente; Elion - lEccelso; El kado - il Santo, separato, inaccessibile -.
2) Adonai: (plurale astratto: Signoria, sovranit, Maest) Nella versione dei Settanta sar tradotto con .
3) IHWH: il nome proprio che Dio rivela a Mos per manifestargli che Colui che si trovava con i suoi padri ora parla
a lui, il sempre presente, lessente, il fedele. Colui che esiste potentemente, che ha chiamato allessere ogni cosa, che
qui per il suo popolo che pu invocarlo in ogni momento, perch Egli ha cura del suo popolo e ha concluso con lui un
patto che assicura gloria e salvezza:
Es 3, 13-15: Mos disse a Dio: Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi.
Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponder loro? . Dio disse a Mos: Io sono (Ehieh) colui che sono
(Ehieh)! . Poi disse: Dirai agli Israeliti: Io-Sono (Ehieh) mi ha mandato a voi. Dio aggiunse a Mos: Dirai agli
Israeliti: Il Signore (Ihaweh), il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato
a voi. Questo il mio nome per sempre; questo il titolo con cui sar ricordato di generazione in generazione.
Egli il Dio dei patriarchi e di tutto il popolo e del suo passato, Egli il Dio che ha liberato Israele ed fedele alle
promesse fatte ai padri e di tutto il futuro, perch la sua promessa stabile per sempre. Ed per questo pronto ad aiutare
in ogni momento il popolo della sua alleanza: Voi saprete che io sono Iahweh, il Signore fedele, vostro scudo e
salvezza. Iahweh il Dio salvatore e fedele, misericordioso e giusto: Egli fedele alla sua salvezza: Io sono Iahweh,
non cambio (Mal).

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Nei profeti il suo Nome si universalizza: non sar pi solo il Dio di Israele, ma sar invocato da tutte le nazioni: Poich
dalloriente alloccidente grande il mio nome tra le genti (Mal 1, 11; cf. Zc 14, 9).
Il solo nome sotto il quale gli uomini possono essere salvati sar Ges: Iahweh-salva (Fil 2, 9; At 4, 12). Ges stesso
riprendendo laffermazione che Dio ha fatto di S a Mos riveler ai giudei in modo inaudito la sua uguaglianza col
Padre; Egli con Lui dalleternit lunico Dio, Iahweh: In verit, in verit vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono
(Gv 8, 58).
III.
LE PRINCIPALI CONNOTAZIONI DELLIDEA BIBLICA DI DIO.
Al principio ci sono proprio Abramo, Isaaco e Giacobbe gli uomini che per primi accolgono la rivelazione di Dio. Questi
capostipiti erano nomadi; per essi Dio forse non aveva ancora nessun nome, ma era un Dio buono e potente, un Dio per
tutti.
Dallambiente delle culture pi avanzate, ricevono gradualmente la denominazione per il loro Dio di El; giach per
loro, come Dio del Tutto personale, contemporaneamente anche il Dio universale. Il crescere del popolo inmezzo alle
diversi trib con i loro propri di, non trov mai un non riconoscimento del popolo nei confronti del proprio Dio.
Un decisivo perfezionamento della rappresentazione di Dio in Israele, sta in stretta relazione con gli avvenimenti, che
negli scritti storici posteriori, associato alla personalit di Mos e allesodo dallEgitto; questo produce un importante
sviluppo per la religione degli Ebrei (Es 3,18 ; Gn 40,15).
Il popolo Ebreo riceve il nome del loro Dio Jahv, sui cui si baser in avvenire la grande rappresentazione di Dio
dellAT Javh lunico Dio assolutamente personale, da cui tutto dipende nella sua intima esistenza, tutto ci che
persona dipende da Lui. Jahv il nome proprio per lunico Dio universale. In lui conservato anche la storia di
ciascun Israelit e di tutto il popolo; tanto il passato come il futuro.
Con questo ricco significato del nuovo nome di Dio (Io sar per voi colui che sar Es 3,14), sono collegate anche le
grandi vicende di Mos, nellEsodo dallEgitto e sul Monte Sina; vicende in cui il popolo diviene il Popolo di Jahv
con cui Dio conclude la sua eterna alleanza (Es 6,7; Lc 26,12).
Ci che qui appare come nuovo nellimmagine di Dio del N.T. di fronte a quella dellA.T., si deve certamente
intendere come un complemento trascendente.
In Israele Jahv apparso gi in tre aspetti dl tutto diversi:
1. Al principio come il creato del mondo e delluomo (Gn 1).
2. Sul monte Sina; soprattutto dal tempo di Mos, come Signore di Israele e legislatore (Es 19).
3. E, come Salvatore dIsraele e di ogni devoto. Almeno dal tempo del Deuteronomio e della predicazione del
profeti durante lesilio (Dt 6,21,23; Ger 14,18).
Nel N.T. il Dio creatore diventato Dio Padre; il legislatore e Signore il redentore, che per i peccati del servo ha preso
su di S la croce, e perci stato glorificato dal Padre:
1. Il Salvatore dIsraele; come personale amore di Dio, come lo Spirito della Santit, diventato Santificatore per
coloro che lo accolgono. (Gv 1,12 ss..; Rm 5,14ss..).
2. In questo Spirito di Dio; il cuore delluomo trova in Ges che Via, Verit e Vita (Gv 14,6), il nuovo accesso a
Dio e agli uomini, nella fede, nella speranza e nellamore. (Rm 5,1-5).
IV.
DIO COME PADRE, AMORE SANTO.
Con linvocazione di Dio come Padre, si vuole distaccare due aspetti nellagire di Dio:
Il primo aspetto, che Egli il primo origine di tutto;
Il secondo aspetto, che Egli la bont e la sollecitudine amorosa versi tutti gli uomini. Cio come lo fa un buon Padre
con i suoi figli. Questa tenerezza paternale di Dio si esprime incluso attraverso limmagine della maternit che ndica
ancora di pi, lavvicinamento e la compassione di Dio: come uno a chi sua madre consola, cos vi consolar io (Is
66,13). Dio non ne uomo, n donna, bens lessere supremo; la sua paternit trascende, la paternit e la maternit
umane e, allo stesso tempo origine e misura di tutte laltre paternit. Ef 3, 14-15: (preghiera di Paolo): Per questo,
dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternit nei cieli e sulla terra prende nome.
NellA.T.: La paternit di Yahv sul popolo dIsraele si trova nel fatto della sua elezione, della sua liberazione (Dt 7,7),
e della sua protezione continua. Incluso quando il popolo infedele, la paternit di Yavh si mostra nella correzione,
come un Padre che corregge ai suoi figli, lento lira e ricco di misericordia (Is. 64,7; Jr. 2,27). Lidea di Padre nei
testi profetici non solo fanno riferimento al suo popolo, ma anche al giusto indifeso. Sal 103, 13-14: Come un padre
ha piet dei suoi figli, cos il Signore ha piet di quanti lo temono. Perch egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi
siamo polvere. Sal 68,6: Padre degli orfani e difensore delle vedove Dio nella sua santa dimora.
Nel N.T.: Ges rivela la paternit di Dio, anzi lo rivela con tutta propriet che Egli il Suo Padre, e che attraverso Lui
(Ges), siamo diventati realmente figli di Dio. Ad esempio:
38

- Mt 6,9: Voi dunque pregate cos: Padre nostro che sei nei cieli,sia santificato il tuo nome.
- Mt 5,45: perch siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa
piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
- Mt 6,8: Non siate dunque come loro, perch il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele
chiediate.
- Lc 15,11: Ges con la parabola del Figlio prodigo mostra come Dio Padre esercita questa misericordia di Paternit.
Il primo dato che si aggiunge a questa paternit lamore. Di fronte alle asserzioni dellA.T. secondo le qualli: Dio
bont; che per noi ha un amore pi grande che di una Madre (Is 46; 49,15; 53; canto del servo); che stende come
unaquila le sue ali sopra il suo popolo per proteggerlo (Dt 32,11). E chiaro che lasserzione del N.T. Dio Amore (1
Gv 4,10), manifesta una cosa del tutto nuova.
Con lincarnazione de Cristo, Dio si avicinato tanto a noi, che lasserzione Dio amore, divenuta credibile per noi
uomini. In Cristo Dio divenuto una persona con luomo, e questo fatto rende possibile unasserzione personale del
tutto nuova sullessenza di Dio. Alcuni passi scritturistici:
- Gv 3,16: Dio ha tanto amato al mondo da dare il suo figlio unigenito parche chiunque crede in lui non muoia.
- 1 Gv 4,10: Dio ha mandato a noi e ha mandato al suo figlio coma vittima di espiazione per i mostri peccati
- Rm 5,7: San Paolo dice .Dio dimostra il suo amore per noi perch, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo
morto per noi.
La Santit il modo della Esistenza di Dio. Quando diciamo che Dio Santo, vogliamo significare che diverso delle
creature, diverso di tutto quello che conosce la nostra esperienza, che la Sua Esistenza elevata su tutti gli uomini e su
tutte le cose.
NellA.T., la Santit di Dio si manifesta nelle sue azioni. Per la sua azione Dio dimostra essere Colui che trascende tutto
lo creato, a chi luomo deve venerare e temere, per anche deve amare.
Lui si rivela come il Santo in mezzo al suo popolo (Os 11,9), la Santit il mistero di Dio (Is 45).
Rivela che il suo agire diverso a quello delluomo, e che tutti gli uomini devono confessare sempre che Dio si manifesta
come lagente della storia. Questo lo ha fatto il signore: In tali azioni, si da a conoscere come Santo, come separato di
tutti gli uomini. Etimologicamente la parola Santit fa riferimento allebraico qads, che vuol dire: essere separato,
non mescolato non legato, cio avere la completezza piena.
Nel N.T., possiamo citare alcuni testimoni della sua santit:
- Il triple grido di Santo dei serafini nel brano dellapocalisis (4,8). Dio lodato come dominatore delluniverso, che
era, che , e che viene.
- Nel Vangelo di Giovanni appare la Santit come mistero di Dio quando Cristo prega per i suoi discepoli (Gv 17,11)
- Mara aggiunge al suo canto di lode la seguente professione di fede: Santo il suo nome (Lc 1,49).
- La Santit di Dio appare visibilmente in Cristo. Cristo il Santo di Dio (Mc 1,24; Lc 4,35), cio colui che appartiene
a Dio ed inviato da Dio.
- Atti 3,14 ; 27.30: Cristo chiamato anche il Santo servo (..di Dio). Questo nome esprime che stato santificato ed
stato separato per il sacrificio; Lui stesso a essere il santo sacrificio per i peccati delluomo (Eb 9).
- La Santit di Cristo testimoniata per lo Spirito Santo inviato per lui (Gv 15,26), santo perch lo spirito di Dio e
non delluomo.

39

TEMA 1 4: Il Mistero d ella Santa Trinit


CCC 234: Il mistero della Santissima Trinit il mistero centrale della fede e della vita cristiana. il mistero di Dio
in se stesso. quindi la sorgente di tutti gli altri misteri della fede; la luce che illumina. linsegnamento pi
fondamentale ed essenziale nella "gerarchia della verit" di fede. "Tutta la storia della salvezza la storia del rivelarsi
del Dio vero e unico: Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia e unisce a s coloro che sono separati dal peccato".
Anche se Dio, principio e fine di tutte le cose, pu essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione
umana partendo dalle cose create (Vat I-Dei Filius; e Vat II-DV 6), non si pu dire lo stesso per la conoscibilit che
questo Dio Uno allo stesso tempo Trino. San Tommaso spiega questo fatto cos: la ragione naturale pu conoscere
Dio come causa delle cose create. Le perfezione divine invece che si rivelano attraverso le cose create, come potenza,
sapienza, bont, comune alle Tre Persone. Perci pu la ragione naturale riconoscere Dio come Uno, ma non come
Tre Persone (S.Th.I 32,1).
Cos dice il CCC 237: < La Trinit un mistero della fede, in senso stretto uno "dei misteri nascosti in Dio, che non
possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati, (Vat I, DS 3015). Indubbiamente Dio ha lasciato tracce del
suo essere trinitario nell'opera della creazione e nella sua Rivelazione lungo il corso dell'AT. Ma lintimit del Suo
essere come Trinit Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione, come pure alla fede d'Israele, prima
dell'Incarnazione del Figlio di Dio e dell'invio dello Spirito Santo." > Ed anche dopo la Rivelazione, i misteri divini
rimangono coperti con il velo della fede come in un certo buio. Tuttavia la ragione illuminata dalla fede, guidata dal
Magistero, della Sacra Scrittura e attraverso l'analogie delle cose create, pu capire bene il senso del dogma trinitario
ed avvicinarsi sempre di pi al mistero e alla sua comprensione; senza dimenticare per, i limiti della ragione umana
davanti a un Mistero Divino, e anche riconoscendo la confine dove comincia il mistero. Perch il mistero della Trinit
supera la ragione, ma non va contro la ragione (DS 3017).
RIVELAZIONE NELLA SACRA SCRITTURA: PREPARAZIONE NELLAT E LA MANIFESTAZIONE IN
CRISTO: ANALISI DETTAGLIATA DELLA NOVIT NEOTESTAMENTARIA
La dottrina trinitaria non un frutto dellimmaginazione delluomo, n qualcosa inventata. un mistero divinamente
rivelato. stato Dio ad auto-rivelarsi come Egli : Padre, Figlio e lo Spirito Santo, un Dio Uno e Trino. Per arrivare a
questa conoscenza serve alluomo la rivelazione di Dio Trino nella Sacra Scrittura:
I.

Preparazione nellAntico Testamento


Che Dio Uno in tre Persone, non viene affatto rivelato nellAT; troviamo per, alcuni elementi nellAT che
predispongono alla manifestazione delle tre persone. Questi elementi vengono chiamati Strutture di mediazione
salvifiche divine. Queste strutture sono elementi che fanno intravedere una certa mediazione esistente tra Dio e gli
uomini, e si manifesta nella Sua azione. I principali sono:
a) Angelo di JHWH: Questa figura appare alcune volte nell'AT, per esempio in Gen 16,7 davanti a Agar, o in Gen
31,11ss. davanti a Giacobbe; o Es 3,2-14 davanti a Mos. L'angelo del Signore si distingue dagli altri angeli, Lui
appare soltanto per un intervento salvifico. Quasi si identifica con JHWH (p.e.Gen 31,11), perch Lui parla come
se fosse Dio stesso, cio in nome proprio. Coloro ai quali appare hanno una esperienza di JHWH, pensano che
devono morire perch vedono JHWH; per tuttavia non JHWH. Secondo Ludwig Ott questo vuole indicare, che
esistono due persone: una che invia, altra che inviata. I primi Padri, come S. Giustino e S. Ireneo pensavano a
Logos a Cristo e pi tardi S. Agostino pensa che il Logos si serviva di un angelo creato come mediazione.
b) Il Figlio delluomo: (Mt 8,20; 24,30; Gv 1,51) davanti al sinedrio Ges dice: "Vedrete il Figlio dell'uomo seduto
alla destra di Dio e venire sulle nubi del cielo"; che quasi una citazione di Dan 7,13-14 nella visione della sua
Apocalisse. A Lui viene dato il Regno del Altissimo dopo la vittoria sul nemico (cfr. "ecco apparire, sulle nubi
del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; [...] che gli diede potere, gloria e regno [...] potere eterno [...] e il suo
regno tale che non sar mai distrutto."). Questo essere ha una dimensione trascendente, un essere che manifesta
la pienezza della divinit, perch ha degli attributi divini, ma legato a una figura umana. Alla reazione del Sommo
Sacerdote che si strappa le veste e parla di bestemmia si vede come evidente era per gli ebrei questa preparazione,
che in Ges si realizza. Anche nel libro dell'Apocalisse (Ap. 1,13-17; 14,14) viene usato e applicato l'immagine
del Figlio dell'uomo alla Parusa ed a Ges Cristo.
c) La Sapienza di Dio: Appare non solo come una virt, ma compie un agire personale e divino. Il testo fondamentale
Sap 7,22; 8,1, che parla di un origine divina della sapienza; un essere spirituale, santa, ed onnipotente, che
sono gli attributi di JHWH; ma allo stesso tempo si vede l'alterit (9,4: siede accanto al trono) in quanto non
coincide con JHWH; una persona non soltanto una forza (Prv 1,20-33; Sir 24,1-9). La sapienza una figura che
non Dio ma neanche un mero uomo; esiste al di fuori di JHWH, ma Dio crea con Lei e Lei giocava davanti a
Dio. Lei ha un misterioso origine in Dio, JHWH ma allo stesso tempo non lo , perch si parla di una procedenza
in Dio. Nel NT si collega la sapienza a Cristo (1 Cor 1,24-30). Fra i Padri S. Giustino ritiene la sapienza
unimmagine cristologica.

40

d) Le profezie messianiche: Presuppongono una distinzione fra le persone in Dio in quanto preannunziano il Messia
inviato da Dio, come Dio, e come Figlio di Dio: mio Figlio sei tu oggi ti ho generato (Sal 2,7); sulle sue spalle
il segno della sovranit ed chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della
pace." (Is 9,5)
e) Altre realt che hanno una dimensione personale, forse collegato al pensiero semitico: La stessa Parola di Dio
viene considerata come in un ruolo autonomo in un agire personale che ha le attributi divini (eterno; onnipotente).
Meno chiaro come preparazione lo Spirito di JHWH, perch manca la dimensione personale. Lui appare piuttosto
come potenza, che procede da Dio, che d la vita(crea) e la forza, illumina e santifica (Gen 1,2; Ez 11,5). Lui
svolge funzioni storiche con attributi divini, ma non proprio Dio. Nei profeti il Messia ha la pienezza dello
Spirito di JHWH (Is 11,2).
Tutti questi immagine dell'AT sono nel ambito della mediazione salvifica, cio attraverso il suo agire nel confronto del
uomo si rivela la Trinit. Ma la piena Rivelazione trinitaria succede tramite l'Incarnazione e l'invio dello Spirito Santo,
cio con la Nuova Alleanza.
Manifestazione in Cristo (NT)
Il mistero della Trinit non ci stato rivelato, com ovvio, di modo didattico. Ges Cristo, quale il rivelatore di Dio
Padre e dello Spirito Santo, si presentato al mondo uomo tra gli uomini, persona umana; manifestata dalle relazioni
interpersonali tanto con gli uomini, che con Dio, che Egli chiama Suo Padre; relazioni interpersonali che comportano
chiaramente distinzione tra le persone, in tale rapporto tra loro.
Ma ecco che poco alla volta Egli si manifesta come uno pi che uomo, vero Dio: le Sue relazioni con Dio sono date
come quelle del Figlio col Padre, Dio come Lui: un solo Dio con Lui.
Da qui, questi rapporti interpersonali ci sono stati rivelati come situati inizialmente nellintimit divina, come facenti
parte del suo mistero. In seguito unaltra Persona divina, inviata dal Padre e dal Figlio, ma in rapporto con Essi, sempre
nellintimit divina, stata rivelata come componente con le due prime persone il mistero di Dio, il segreto della Sua
trina personalit. Per capire meglio il come che Cristo Ges rivela e manifesta questa realt trinitaria in Dio, occorre vedere
le novit neotestamentaria nel seguente tema.
Analisi dettagliata della novit neotestamentaria
1. La prima novit: Ges di Nazareth Dio: Per affermare la divinit di Ges di Nazaret, bisogna affermare due elementi:
la Sua natura divina e la Sua preesistenza:
a) La divinit di Cristo: Testimonianza della prima comunit apostolica: San Paolo attribuisce gli stessi attribuiti divini
a Ges: 1 Tess 3,11-13: Cristo fonte di santit, carit, grazia; 1 Tess 4,9: "insegnato da Dio" in Cristo. Inni
Cristologici nei quali Cristo viene glorificato come Dio: Fil 2,5-11: Ges Cristo il Signore; Col 1,15-20: Egli
limmagine del Dio invisibile; Ef 1,3-14: Ricapitolazione in Cristo. Dio si attribuisce almeno sei volte a Ges Cristo
nel NT: Gv 1,1; Gv 20,28; Rom 9,5; Tito 2,13; 2Pt 1,1.
Testimonianza di Ges su Se stesso: Ges si chiama Signore (Gv 13,13); Lui ha la consapevolezza di avere autorit
divina (Mt 12,5-8, essere padrone del sabato); Ges si manifesta come verit, vita, risurrezione, che sono espressioni
molto legati alla divinit (Gv 14,6). Attraverso le Sue opere: nella remissione dei peccati, perdona in nome proprio ( Mc
2,7-12: "Il Figlio dell'uomo ha il potere di rimettere i peccati"); Lui vuole portare in compimento, alla pienezza le leggi
che ha dato JHWH a Mos (Mt 5,17-22); Lui d la promessa della beatitudine, della vita eterna (Lc 23,42-43).
b) la Sua Pre-esistenza: Ges Dio da sempre: Il Prologo di Giovanni; Inni Cristologici (Fil 2,6-11; Col 1,15 20; Ef
1,3-14); Gv 8, 57-59: In verit, in verit vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono; Preghiera di Ges: Poich Tu mi
hai amato prima della creazione del mondo. (Gv 17, 24); Io sono lAlfa e lOmega, il Primo e lultimo, il principio e
la fine (Apoc 22, 13).
2. La seconda novit: Ges il Figlio di Dio: La paternit di Dio si rivela in senso proprio quando Ges si rivela come
Figlio di una filiazione naturale (Mc 14,36 Abba), diversa dalla nostra filiazione adottiva. (Gv 20,17. Padre mio e Padre
vostro viene distinto; Gal 4,6 e Rom 8,15 come esempi per la nostra filiazione).
Cristo usa per s di solito Figlio dell'uomo e non Figlio di Dio, tranne in qualche momento per es. davanti al Sinedrio
quando risponde alla domanda (Gv 19,7; Mc 14,61-62), e quando Ges d il mandato di battezzare nella formula
trinitaria "Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Nelle prime omelie pronunciate dalla Chiesa appare la
filiazione divina molto chiara (Rom 1,1-4; Eb 1,2-3). Le testimonianze pi evidente nei Vangeli sono le epifanie:
nell'Annunciazione Ges viene chiamato Figlio dell'Altissimo (Lc 1, 32-35); nelle tentazione nel deserto viene detto:
"Se tu sei Figlio di Dio" (Lc 4,3-7); nel battesimo si sente la voce "Tu sei il Figlio mio prediletto" (Mc 1,11). La filiazione
naturale richiede due cose: una distinzione fra le persone del Padre e del Figlio, e l'unit di natura, cio che Padre e
Figlio hanno la stessa natura per poter chiamare il Figlio veramente figlio:

41

a) La distinzione nei testi biblici si trova sulla linea dell' invio. Ges, il Figlio di Dio incarnato ( linviato), colui che
stato mandato dal Padre (che linviante), e ritorner a lui. Questo tema una costante nelle parabole del re (Lc
20,9ss), poi in Gv 14: vado al Padre sono uscito dal Padre, e in Gal 4,4-6: Dio mand il suo Figlio.
b) La seconda richiesta la unit di natura; Si trova nel prologo di Giovanni, con il nome di Unigenito (Gv 1,14-18);
con la frase " Il padre e Io siamo una cosa sola (Gv 10,30) e quella di "chi vede me, vede il Padre". I Sinottici parlano
indirettamente sul tema attraverso identit della conoscenza: "nessuno conosce il Padre se non il Figlio" (Mt 11,27; Lc
10,22).
I testi, che possono sembrare subordinazionistiche come Mt 24,36 e Gv 14,28, si riferiscono allo stato dell'inviato
nelleconomia dell'Incarnazione, non significano negazione delluguaglianza di natura.
3. Lo Spirito del Padre e del Figlio: Ges si poggia sull'immagine dello Spirito di JHWH, usato nell'AT come
espressione metaforica per l'agire divino nella storia, ma porta punti di novit:
a) Lo Spirito Santo viene presentato come "Suo Spirito, che Egli possiede; essendo il Messia in pienezza, come qualcosa
di proprio (Lc 1,35. Lannunciazione; Mt 3,11 battezza in Spirito e fuoco; Gv 1,33. l'uomo sul quale vedrai scendere e
rimanere lo Spirito colui che battezza in Spirito Santo"; Mt 3,16-17.. il battesimo del Signore; Lc 4,18.. nella sinagoga di
Nazareth). Ges promette che il Padre Lo invia nel nome Suo (Sp. di Ges; Gv 14,26), dopo la risurrezione e lo d
attraverso il Suo alito in unapparizione ai Suoi apostoli (Gv 20,22.. alit su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo).
b) Lo Spirito una persona che viene promessa da Ges, come un Altro (Gv 14,16), un Terzo, un Consolatore (Gv 16,7.14;
20,22) che ha degli caratteristiche personale: Egli rende testimonianza a Ges (Gv 16,7), insegna e spiega ai discepoli le
verit rivelate da Ges . Cristo d il mandato di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La venuta
dello Spirito Santo fondamentale per la nascita della Chiesa (Atti 2,33). Gli Atti degli Apostoli quasi il Vangelo dello
Spirito Santo, perch qui viene testimoniato il Suo agire, che una continuazione dellopera di Ges. San Paolo parla dallo
Spirito Santo come soggetto di giustificazione (Gal 2,16), come donatore di vita ed amore (Rom 5,5), come santificatore
(1Cor 6,11), come sigillo divino (Ef 1,13).
II.
LE FORMULAZIONE DELLA FEDE TRINITARIA NEOTESTAMENTARIA
Le formule sono come un riassunto della manifestazione della Trinit nell'NT. Si lasciano classificare in:
1. Formule manifestative:
a) Nell'annunciazione dell'Incarnazione del Verbo, l'angelo si riferisce alle tre persone divine: al Padre come l'Altissimo,
al Figlio e alla potenza dello Spirito Santo
b) Nel battesimo di Ges. Mt 3,16-17: Lo Spirito di Dio scende come una colomba, voce che disse Figlio mio
prediletto
c) Nella Trasfigurazione c' una teofania trinitaria. Mt 17,5: la presenza dello Spirito Santo viene interpretato con la
nube, secondo la Tradizione, poi si sente la voce questi il mio Figlio prediletto.
2. L'espressioni religiose-liturgiche: Della prima comunit apostolica includono formule trinitarie che si trovano nel
saluto o nel congedo (Rom 1,1-4; Ef 1,3-14; 1Cor 12,4-6). La pi importante fra di questi la formula battesimale (Mt
28,19), che Ges d agli apostoli. Si battezza nel nome (singolare, non "nei nomi") del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
3. Nelle formule teologiche - paoline: Si d un contenuto pi ampio alla fede trinitaria, nel senso che si spiega di pi;
per es: in 1 Cor 12,4-6 si spiega i carismi e ministri in riferimento alla Trinit; in Gal 4,6 Paolo indica la nostra
partecipazione alla filiazione divina ("Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida Abba Padre).
In 2Cor 13,13, Paolo indica il senso della fede nella fede trinitaria che sta nella nostra salvezza: La grazia del Signore
Ges Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. Dio fa riferimento alla causa della
realizzazione, che la volont amorosa del Padre; "la grazia" fa riferimento ai mezzi che ci ha portato Ges per diventare
figli di Dio; e introdurci nella "comunione" intratrinitaria lo scopo che viene realizzato dallo Spirito Santo.
Il brano di 2 Cor13,13 (insieme a Mt 28,19), la base per la formula trinitaria della Chiesa: La salvezza ci arriva "Dal
Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo". Si tratta di un unico Dio in tre Persone, che coopera per la nostra salvezza, che
si dona a noi e chiede la nostra risposta.

42

TEMA 15: Il Mistero della Santissima Trinit nella Teologia


I.

TRINIT ECONOMICA E TRINIT IMMANENTE: VALENZA RELIGIOSA DELLA RIFLESSIONE


TEOLOGICA SUL MISTERO TRINITARIO.

Ogni riflessione teologica trova il suo punto di partenza ineludibile nelleconomia della salvezza cristiana. La
oikonomia la base per ogni theo-logia. Alla dispositio intradivina si pu approdare guardando al mistero di
Cristo, cio, Ges Cristo, che la rivelazione di Dio. Tutto ci che egli mostra nella sua vita storica il luogo teologico
del rilevamento di ci che Dio in s. Nella manifestazione cristologica, Dio in persona (nella persona del Figlio)
realmente presente nella storia. Nellevento discendente dellincarnato, possibile risalire, ascendere, per
conoscere Dio in se stesso, il Padre, il Figlio e lo Spirito, ovvero lamore eterno.
Si chiama Trinit economica la Trinit cos come si manifesta nella storia della salvezza: prima di tutto in Cristo e in
tutte le manifestazioni dello Spirito Santo. Si osserva immediatamente pertanto che la cristologia nellordine della
manifestazione della Trinit di Dio e non in quello della sua costituzione. Cristo rivela il Padre e con il Padre dona lo
Spirito. Non dato per di ritenere, n biblicamente, n ecclesialmente, che in Lui, nellevolversi della sua coscienza
religiosa-divina, Dio si autoattui trinitariamente nella e attraverso la storia, e cosi divenga un Dio trinitario nel tempo.
La rivelazione trinitaria di Dio in Gesu rimanda ad un prima, esplicita una precedenza atemporale, eterna, la vita
trinitaria di Dio stesso, ontologicamente tale, prima di tutti i secoli, bench conoscibile solo a partire dalla storia di
Ges. Questa comprensione ci che si riferisce come Trinit immanente. La Trinit immanente , in sintesi, la
Trinit qual in s stessa, nelleternit.
Secondo Rahner, la Trinit economica la Trinit immanente. Questo significa che tutto ci che si pu dire della Trinit
immanente lo sappiamo prima e lo diciamo della trinit economica.
Per, due obbiezioni si pongono al riguardo:
a) Dio, in S, trascende infinitamente tutte le rappresentazioni, tutte le manifestazioni.
b) Se la Trinit economica e la Trinit immanente coincidono, non ne segue in alcun modo che la conoscenza delluna coincida
con la conoscenza dellaltra.

In sintesi; il riferimento alla storia (la Trinit economica) imprescindibile per laccesso alla verit di Dio. In altre
parole, la valenza della Trinit economica il fatto di essere il luogo dove si manifesta la Trinit immanente, cio,
Dio come in s stesso (Trino). Per, questo aspetto non fine in s stesso, ma la sua conoscenza ci fa risalire
ontologicamente alla Trinit (in quanto possibile per lo spirito credente) qual in s stessa. Quindi, una giusta unit
di queste due dimensioni ci da una conoscenza della verit di Dio.
E di molta importanza dire che, per la salvaguardare della fede trinitaria ecclesiale, dalla storia si risalga
ontologicamente alla verit di Dio. Si afferma lassioma fondamentale circa lunit della Trinit economica e
immanente nella sintesi del Catechismo della Chiesa cattolica (n. 236) : << I padri della Chiesa fanno una distinzione
tra teologia e loikonomia, designando con il primo termine il mistero della vita intima del Dio-Trinit, e con il
secondo tutte le opere di Dio, con le quali egli si rivela e comunica la sua vita. Attraverso loikonomia ci rivelata la
teologia; ma inversamente, la teologia che illumina tutta loikonomia. Le opere di Dio rivelano chi egli in se
stesso; e, inversamente, il mistero del suo essere intimo illumina lintelligenza di tutte le sue opere >>. Si deve dire, in
definitiva, che la Trinit immanente il fondamento della Trinit economica, ma non viceversa.

II.

LE DIVERSE ANALOGIE CHE PERMETTONO UNA MAGGIORE COMPRENSIONE DEL MISTERO


TRINITARIO.

Come attesta la Sacra Scrittura (cfr. Sap 13,5; Rm 1,20), c la possibilit di una conoscenza analogica delluomo su
Dio. Fondamentalmente ci sono due analogie che ci permettono tale conoscenza:
a) Analogia entis: E quella basata sulla somiglianza e dissomiglianza presente in Dio e il creato. Quindi, essa si fonda
sui diversi modi di essere. E nellanalogia entis che si d precisamente la necessit morale della Rivelazione. Secondo
la stessa filosofia, mediante lessere delle creature si pu conoscere lessere di Dio. Gia nellepoca patristica, lo PseudoDionigi era arrivato alla formulazione della possibilit di un linguaggio analogico su Dio secondo una triplice via:
i. Via affermationis (via dellaffermazione). Con questa attribuiamo a Dio tutte le perfezioni che noi vediamo nelle creature.
ii. Via negationis (via della negazione). Eliminiamo in Dio tutti i difetti, quella limitatezza, finitezza e contraddizione proprie delle
perfezioni create.
iii. Via eminenter (via delleminenza). Infine, affermiamo queste perfezioni in un modo assoluto e diverso in Dio. Queste perfezioni
esistono in Dio in modo sovra eminente e qualitativamente diverso dal modo in cui si danno nelle creature.

b) Analogia fidei: Essa completa la necessit morale della Rivelazione datta gi nellanalogia entis. Si fonda sui dati
della fede. Lanalogia fidei introduce tre livelli a quelli della conoscenza analogica:
i. Conferma lanalogia entis: Lanalogia fidei conferisce certezza ai dati ai quali la ragione era arrivato da sola.
ii. La fede pu, inoltre, creare una nuova analogia alla quale lanalogia entis non potrebbe arrivare con le sue sole forze. Ad esempio,
che Dio Padre, la ragione lo potrebbe intuire dalla creazione, ma non potrebbe mai affermarlo.
iii. Le analogie fidei trovate nel passo anteriore sono connesse tra loro e non possono essere due verit contraddittorie, perch in
Dio non c contraddizione.

43

III.

LANALOGIA PSICOLOGICA, E I CONCETTI DI PROCESSIONE E RELAZIONE COME FONDAMENTO DELLA


PENSABILIT DEL CONCETTO DI PERSONA IN DIO.

a) Lanalogia psicologica (strumento di approfondimento razionale del mistero trinitario): E lanalogia che permette
di risalire dallimmagine di Dio nelle creature allineffabile e sublime realt divina. Lanalogia psicologica si basa sul
dato biblico che luomo stato fatto a immagine di Dio ed principalmente per il suo spirito, per il suo nous, per
la sua mens, chegli immagine di Dio. E necessario allora cercare nello spirito delluomo le analogie capaci di condurci
a una certa intelligenza del mistero della vita divina, che pu essere solo del tutto spirituale.
Origini storiche: Questa via stata indicata gi dai scrittori anti-modalisti (Origene e Tertulliano), e anche da S.
Gregorio di Nissa. La vera sistemazione, per, avviene solo con S. Agostino nel suo De Trinitate.
Giustificazione metodologica: Lanalogia psicologica lo strumento adatto, anche se non perfetto, per parlare della
Trinit e dellorigine delle Persone divine. Infatti, come dimostra S. Agostino, luomo in quanto immagine di Dio
anche immagine della Trinit. Tramite lanalisi delle facolt spirituali delluomo (intelligenza e volont) si pu arrivare
a conoscere in qualche modo il come ci sono tre Persone divine. Lanalogia psicologica, perci, risponde alla domanda
quo modo sit?
Unaltra analogia, quella della perfecta caritas, che ha origine in Riccardo di S. Vittore; completa lanalogia
psicologica mettendo in luce, non il come ci sono Tre Persone divine, ma la loro origine come communio personnarum:
lamore infatti, richiede la pluralit. Questanalogia risponde alla domanda an sit?.
b) Il concetto di processione: Il termine processio, emanatio in latino significa una produzione di unessere da un altro.
Per la teologia il termine scritturistico. In Gv 8,42; 17,8 affermato che il Figlio procede e viene da Dio Padre; in Gv
15,26 si dice che anche lo Spirito procede dal Padre. Nella dottrina della Trinit immanente la processione serve a
studiare le origini in Dio; il derivarsi delle persone, luna dallaltra, secondo un ordine: il Padre primo, il Figlio
secondo, lo Spirito terzo. Quindi, in Dio esistono due processioni, quella del Figlio dal Padre e quella dello Spirito dal
Padre e dal Figlio, che consistono nellidentit reale di persone nellunicit dellessere divino.
La natura delle processioni: Il procedere, infatti, sembra indicare una dipendenza e una causalit, che per, sono
inammissibili nel divino. Lautoattuazione di Dio immanente in Dio. Perci, le processioni non potranno essere intese
come movimenti temporali tendenti a costruire alcunch in Dio. Ci che Dio , lo da sempre: le processioni divine
sono immanenti. Colui che procede rimane allinterno della sua origine (processio immanens o ad intra). Cosi,
nonostante le processioni, la sostanza divina resta indivisibile, unica, semplice.
Per spiegare intellettualmente questo procedere immanente in Dio delle persone si ricorso, sulla scia di Agostino e Tommaso,
allanalogia del processo spirituale umano nei suoi atti immanenti di intelligenza, e di volont. Luomo conosce se stesso, sempre
presente al suo spirito, avendo unidea di se stesso produce unoperazione intellettiva; amando se stesso poi, se vuole; aderisce
totalmente a se medesimo, realizzando unoperazione volitiva: conoscendosi e volendosi, luomo si ama. Dio come accade
nelluomo, anzitutto conosce se stesso assolutamente (= generazione del Verbo) e nel Figlio, che come la contemplazione del
Padre, si ama, volendosi (= spirazione dello Spirito). Perci, dunque, il Figlio procede per unoperazione intellettiva, mentre lo
Spirito per unoperazione volitiva del Padre e del Figlio. La processione del Figlio dal Padre chiamato generazione, mentre
quella dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio chiamato spirazione. Il Figlio e lo Spirito procedono, il Padre no. Il Padre il
principio, la fonte della divinit, la sua origine: genera, ma ingenerato. Il Lateranense IV la definisce in Denz 800.

c) La relazione come fondamento della pensabilit del concetto di Persona in Dio: Il procedere del Figlio dal Padre,
e dello Spirito dal Padre e dal Figlio, comporta che tra le persone divine si istituiscano relazioni reciproche. Luno ,
infatti, riferito allaltro: relazione esse ad aliquid, cio rapporto a qualcosa altro, o esse ad, cio essere in
riferimento a qualcuno. Le persone sono lidentica natura divina, ma distinguendosi realmente si oppongono
relativamente. Si individuano pertanto quattro relazioni fondate dalle processioni:
i. la generazione attiva o paternit, fonda la relazione del Padre verso il Figlio;
ii. la generazione passiva o figliolanza, fonda la relazione del Figlio verso il Padre;
iii. la spirazione attiva, produce la relazione del Padre e del Figlio verso Spirito Santo;
iv. la spirazione passiva, infine, produce quella dello Spirito santo verso il Padre e il Figlio.

Solo tre di queste quattro relazioni sono realmente distinte, perch una di esse (=la spirazione attiva) coincide con la
paternit e la figliolanza ed quindi comune al Padre e al Figlio. La Scrittura non parla espressamente di relazioni reali
in Dio, ma queste sono incluse nelle denominazioni di Padre, Figlio e Spirito.
La logica trinitaria raggiunge qui un suo vertice esplicativo: ogni opposizione relativa, infatti, produce una realt distinta dallaltra
(= una persona diversa). Ma la spirazione attiva, non essendo un principio diverso dalla generazione attiva e dalla generazione
passiva, non produce unaltra persona, ma costituisce solo lunione tra il Padre e il Figlio. Le altre tre relazioni sono realmente
costitutive delle persone divine: la paternit che d il Padre, la figliolanza che d il Figlio, la spirazione passiva che d lo Spirito.
Le tre persone divine sono luna per laltra, e luna nellaltra. La loro personalit consiste esclusivamente nellessere luna per laltra.
La presenza di relazioni in Dio non comporta alcunch di accidentale: le relazioni sono la stessa sostanza divina e non si distinguono
da essa, ma vi si identificano realmente. Pur nelle relazioni opposte, la sostanza divina tutta nel Padre, nel Figlio e nello Spirito.
Padre, Figlio e Spirito sono lunica essenza divina e lunica natura divina il Padre, il Figlio e lo Spirito, le tre relazioni sussistenti
dellunico Dio. Diversamente dalle creature, nelle quali la relazionalit suppone la sostanza, in Dio relazioni e sostanza coincidono.
Ci che Dio , sono le relazioni intratrinitarie. In fine, il concetto di relazione ci permette di approfondire la conoscenza della vita
divina trinitaria. Le relazioni opposte ci aiutano ad affermare in Dio la presenza di pi di una Persona, e a distinguerle. Come afferma
il Concilio di Firenze: In Dio tutto uno, dove non si tratta delle relazioni opposte (Denz. 703).

44

TEMA 16: Le Missioni Divine


I.

CONCETTO DI MISSIONE DIVINA.

Nella teologia trinitaria sintende per missione, linvio di una delle tre Persone Divine allumanit per operare la nostra
salvezza. La missione in stretta dipendenza dalle processioni eterne, e quindi dalla Trinit immanente. Essa ha solida
radice biblica. Sono numerosi i testi in cui si afferma linvio del Figlio da parte del Padre (Gal 4,4; Mt 10,40; Gv 10,35)
o che il Figlio invia lo Spirito Santo (Gv 15,26; 16,7) e la missione dello Spirito Santo come inviato dal Padre (Gv
14,16.20).
Il concetto di missione richiede due cose:
1) Che ci sia un rapporto fra linviato e colui che manda/invia.
2) Che ci sia un rapporto fra linviato e la sua destinazione.
La Scrittura esprime chiaramente che il Figlio e lo Spirito Santo sono inviati e che, lo Spirito Santo inviato dal Padre
e dal Figlio. La missione richiede nellInviante unautorit di poter inviare, inoltre un oggetto o fine della missione.
Ma questa superiorit di Colui che invia non pu riguardare lessere che identico poich il Figlio consustanziale e
co-uguale al Padre. Inoltre la missione si fa nel tempo. Ma come possibile una dipendenza temporale nellambito
delleternit di Dio o in una Persona che immutabile?
Dunque, nella missione solo leffetto temporale ma il fondamento eterno, cio, la stessa processione divina: Dio
Figlio generato dal Padre e inviato da Lui; lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio da essi inviato. La
missione la processione eterna con un effetto o prolungamento nel tempo.
La ragione o la potest di inviare risiede dunque nelle stesse processioni, che si manifestano in un nuovo essere
temporale. Leffetto temporale pu essere visibile (Incarnazione del Verbo, invio dello Spirito Santo) o invisibile
(inabitazione della Trinit nellanima in grazia).
NellIncarnazione dunque la Persona inviante il Padre, linviato il Figlio; fondamento della missione la processione,
cio, la generazione; e leffetto o nuovo modo di essere che il Figlio che era nel creato in quanto Dio, passa ad essere
nel creato in quanto Figlio. Cos nellinabitazione, Dio che presente in tutte le creature come la causa presente
nelleffetto, si fa presente in modo nuovo quale Padre, Figlio e Spirito Santo nellanima (giusta) come il conosciuto nel
conoscente e lamato nellamante.

II.

PROCESSIONI E MISSIONI.

Se la Scrittura ci rivela le missioni del Figlio e dello Spirito Santo ci rivela anche che queste si danno perch ci sono
processioni: il Figlio dice di s: sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo (Gv16,28), e parla dello Spirito Santo
che procede dal Padre e dal Figlio (Gv15,26-27).
Le processioni in Dio possono essere concepite per analogia con le azioni immanenti della mente: la processione
dellintelletto verso la cosa conosciuta, la processione della volont verso la cosa voluta. Sono dette immanenti perch
restano nel soggetto intelligente e volente. In Dio, la natura spirituale perfettissima, possono esserci le stesse processioni:
Egli ha intelletto e volont, dunque ha processioni, ma mentre in una mente finita il soggetto che intende o che vuole si
distingue da ci che da lui procede, un Intelletto infinito quanto pi perfettamente procede unazione, tanto pi si
identifica col procedente: nellintelletto divino il Verbo di Dio sar perfettamente uno con Colui da cui procede; e
tuttavia Dio conoscente si distingue da Dio conosciuto, appunto per le relazioni; cio per il fatto che da Dio conoscente
procede Dio conosciuto, pur essendo i due la stessa cosa.
Ma come procede il Verbo da Colui da cui procede? La Scrittura chiama questa processione Generazione: (Sal 2: Tu
sei mio Figlio: io oggi ti ho generato; Gv.1,18 Unigenito del Padre; Col. 1,15: Generato prima di ogni creatura).
Dio conosciuto che procede da Dio conoscente lo stesso Dio generato che procede da Dio generante: il Verbo procede
dal Padre, come lUnigenito generato da Dio Padre.
La Scrittura parla della processione di unaltra Persona, lo Spirito Santo (Gv. 14,20; 15,26). E come nelluomo vi sono
due azioni immanenti: dellintelletto e della volont, cos in Dio non si pu porre lIntelletto senza porre pure la Volont:
non si ha generazione di un Verbo, senza che ci sia pure il dirigersi verso la cosa conosciuta amandola. Dio che ama, ha
come oggetto del suo amore solo se stesso: lAmato sta nellAmante. la processione per modo della volont: essa pone
in colui che ama il tendere verso lamato. In Dio questa processione ha come oggetto Dio stesso, termine dellamore;
crea perci distinzione tra Dio amato e Dio amante ma vi consustanzialit, coeternit tra il Principio e il termine della
processione: Dio amato con Dio amante lunico Dio. La processione della volont si dice in senso generico Spirazione.
Il termine della spirazione pu dirsi in senso proprio Amore. La processione crea la relazione di spirazione attiva (Colui
che spira) e spirazione passiva (Colui che spirato). Se lintelletto divino comune alle tre Persone, ma il termine (il
Verbo) la sola seconda Persona, cosi lamore divino comune alle tre Persone, ma il termine la sola terza Persona
(lo Spirito Santo).
In Dio tutto uno dove non vi sia opposizione di relazione: ora Dio amante non si oppone a Dio conoscente-Dio
conosciuto; per questo Dio conoscente e Dio conosciuto devono essere identici a Dio amante: Dio amante (o spirante)
45

da cui procede Dio amato (lo Spirito) , sia il Padre che il Figlio. Il Padre infatti, si distingue dal Figlio per il fatto che
Padre; tutto il resto comune. Il Padre lunico Principio (a Patre); e ci che il Figlio ha ricevuto, come lessere
principio dello Spirito Santo, lo ha ricevuto dal Padre (per Filium); insieme dunque, il Padre e il Figlio sono lunico
Principio dello Spirito Santo (ex Patre Filioque).
Le missioni, dunque, fondate sulle processioni eterne traggono origine dallamore eterno dei tre Amanti verso lumanit.
Esse rivelano ad extra il piano di grazia e di salvezza che le Persone Divine hanno dalleternit predisposto per luomo.
Le Persone agiscono nella storia (ad extra) tramite una missione, un invio; grazie alle missioni conosciamo la Trinit.
Le missioni possono in un certo senso dirsi un prolungamento nel tempo delle processioni eterne; ossia sono le
processioni stesse che hanno un effetto nel tempo: ma non Dio immutabile e eterno a subire cambiamento nel tempo,
ma piuttosto grazie alle processioni il tempo e la storia sono introdotti nella Trinit attraverso luomo chiamato a far
parte della vita trinitaria, delleterna comunione damore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

III.

LA MISSIONE DEL FIGLIO.

Il fondamento biblico della missione del Figlio si trova principalmente in:


- Gv 3,16: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perch chiunque crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna.
- Gal 4,4: Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mand il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge.
Diventando uomo, il Verbo si rende presente nel mondo per tutti gli uomini. Questa sua presenza deve essere estesa per
la sua risurrezione e per la Chiesa, il suo Corpo. Questa relazione di accesso agli uomini, fondata sullIncarnazione
costituisce la sua missione visibile. LIncarnazione leffetto del volere di tutta la Trinit e del loro amore per gli uomini,
ma in quanto missione del Figlio testimonianza dellamore del Padre. LIncarnazione la manifestazione della persona
che si incarna, il Verbo. Ma essa anche la manifestazione del Padre e dello Spirito Santo. Il mistero della Santissima
Trinit stato rivelato da Ges ed in Ges. La missione visibile completata dalla missione invisibile, che senza di essa
non sarebbe avvenuta. San Tommaso spiega questa missione invisibile per la presenza del Verbo nellanima. Come si
spiega questo accesso del Verbo nellintimo della persona creata? Lumanit di Ges il simbolo della divinit delle
tre Persone. Simbolo non rimanda ad un simboleggiato esteriore o distante, ma porta in s la realt di quello che
simboleggia. Credere nel Cristo far entrare nel proprio intimo, questa realt col simbolo che lo presenta allo spirito e
al cuore. Leucaristia il mezzo di questo accesso nellintimo del credente, che per essa si rende presente in modo
invisibile a colui che crede e vi partecipa sacramentalmente. Inoltre il Cristo causa di questa grazia interiore che
mezzo della presenza interiore delle Persone divine.

IV.

LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO ALLA CHIESA E AL CRISTIANO.

La missione visibile dello Spirito Santo permanente e necessaria. Lo Spirito Santo stato donato alla Chiesa, lanima
di essa. Ma la Chiesa visibile e la sua personalit ha bisogno di esteriorizzarsi. La Chiesa espressione dello Spirito
Santo e le forme di questa esteriorizzazione possono essere molteplici. Nella storia del mondo, nella vita sociale, nella
vita privata, vi sono tutte le manifestazioni dello Spirito vivente nella Chiesa, che le anima e guida.
Linvio dello Spirito Santo alla Chiesa prima di tutto visibile:
1) Nella risurrezione di Cristo: Costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione
dai morti, Ges Cristo, nostro Signore. (Rm 1,4); E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Ges dai morti abita in voi,
colui che ha risuscitato Cristo dai morti dar la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
(Rm 8,11).
2) Nella Pentecoste dove avvenuta la vera creazione della Chiesa. Qui la missione visibile precede per preparare la missione
invisibile. Nella Pentecoste vediamo i due aspetti della missione unirsi strettamente e indissolubilmente. Le manifestazioni
della missione hanno per soggetto la Chiesa, poich lo Spirito abita nella Chiesa, abita anche nei credenti che ne fanno parte
e ne sono membra (Gv 7,39; 1 Cor 12,11). Nessuno riceve lo spirito se non nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, cio
mediante i sacramenti. Per la grazia che loro effettuano il cristiano messo in stretta unione con le grandi manifestazioni
dello Spirito Santo.

V.

LINABITAZIONE DELLA TRINIT NELLUOMO GIUSTIFICATO. (FONDAMENTO NELLE FONTI


DELLA RIVELAZIONE).

Il fine ultimo dellintera economia divina che tutte le creature entrino nellunit perfetta della Santissima Trinit. Tutta
la vita cristiana comunione con ognuna delle Persone divine.
Lidea dellinabitazione della Trinit nellanima del giusto un idea del N.T. La rivelazione neotestamentaria parla
dellinabitazione delle Persone divine distinguendone i nomi (Gv 6,56; 14,23; Rm 8,9; Gal 2,20; Ef 2,22; 2 Tm 1,14).
San Giovanni parla di uninabitazione di Dio legata alla condizione della fede nel Figlio (1 Gv 4,15) e parla inoltre di
uninabitazione della parola (Gv 5,37; 1 Gv 2,14). Linabitazione della Trinit si fa esplicita nellinabitazione dello
Spirito Santo che caparra della nostra eredit (Ef 1,14). La vita di grazia, la divinizzazione delluomo giusto e le opere
proprie dei figli di Dio hanno il loro fondamento nellinabitazione della Trinit nellanima.
Quale tipo di presenza corrisponde allinabitazione divina nellanima? Si tratta di una presenza come quella della causa
che porta i suoi effetti propri, come causa dellessere soprannaturale, cio di vita divina in quanto vita trinitaria.
46

Linabitazione determina nella creatura non solo gli effetti di unazione ad extra, ma la avvicina alle propriet della vita
ad intra. Linabitazione ci introduce nella communio personarum che anticipo della beatitudine eterna. Le Persone
Divine si rivelano e si donano allanima mediante la grazia, che una condizione ontologica - operativa, creata, conferita
ad una creatura. Per il dono della grazia santificante luomo viene elevato a fruire della Persona Divina. Linabitazione
coinvolge non solo la presenza, ma anche il possesso. Non si pu godere completamente ci che in qualche modo non
si possiede, seppure in modo partecipato. Si tratta per di un possesso reciproco. La vita della grazia vita nella Trinit.
Il fondamento reale di questa inabitazione la conseguenza del fatto che lumanit di Cristo presente nella Trinit
anche dopo lAscensione. Identificandosi con Cristo, la creatura santificata, pu accedere alla vita della Trinit fino a
nascondersi in essa, poich la nostra vita nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3).

VI.

INABITAZIONE DELLA TRINIT E VITA CRISTIANA.

Lagire proprio della creatura santificata consiste nellesercizio delle virt infuse teologali e morali, ed facilitato dai
doni dello Spirito Santo. La partecipazione alla natura divina comporta degli abiti operativi soprannaturali e, per tanto
un agire soprannaturale. Il progetto trinitario di farci figli di Dio in Cristo raggiunge lessenza della persona, la sua
natura, prima delle sue potenze. La grazia santificante un abito infuso che perfeziona la natura umana e non le sue
facolt, come avviene per gli abiti acquisiti, virt umane. Le virt umane determinano una certa facilit a compiere
unazione data; mentre le virt infuse abilitano il soggetto alla stessa capacit di compierla. Il Concilio di Trento insegna
che nella stessa giustificazione, insieme con la remissione dei peccati, luomo riceve come infuse, per mezzo della sua
incorporazione a Cristo, le virt della fede, della speranza e della carit (DS 1530). Le virt teologali si richiamano a
vicenda: la fede produce la speranza, e muove alla carit, la speranza rafforzata dalla carit. Il ruolo della carit
unico, poich essa perfezione e forma di ogni altra virt. Le virt teologali hanno Dio come oggetto materiale ma
anche come oggetto formale. dottrina comune della Chiesa che anche le quattro virt cardinali della prudenza,
giustizia, fortezza e temperanza verranno infuse con la grazia santificante. Hanno lo stesso oggetto materiale delle virt
umane acquisite, ma in quanto virt soprannaturali, abilitano ad atti orientati a Dio come fine ultimo.
Ci sono anche i doni dello Spirito Santo (Is 11,2-3). Essi appaiono come il frutto di una speciale presenza dello Spirito
Santo nellanima in grazia. La creatura esperimenta una certa affinit per le cose divine, dove lo stesso Spirito Santo
motore degli atti che sono frutto dei doni. Nei doni si realizza la connaturalit filiale operativa di coloro che sono
guidati dallo Spirito Santo; sono figli di Dio (Rm 8,14).
I primi quattro doni lintelligenza, la sapienza, la scienza, il consiglio perfezionano lintelletto; i secondi tre
perfezionano la volont la fortezza, il timor di Dio, e la piet. Per quanto riguarda ancora le virt teologali, esse sono
un anticipo di quella conoscenza e di quel amore che nella condizione beata diventer contemplazione della Trinit.

47

TEMA 1 7: La Creazion e
I.

LA FEDE CRISTIANA NELLA CREAZIONE: CREAZIONE E SALVEZZA

Il termine creazione si riferisce allatto creatore per cui Dio produce la totalit di quanto esiste. Tale atto creatore
riceve anche il nome di creazione attiva. La Creazione un atto diretto che implica il passaggio radicale e assoluto dal
non-essere allessere. Dunque possibile definire la Creazione come la produzione dellintero essere delle cose; o
definirla con San Tommaso: La produzione delle cose secondo ci che sono, secondo la propria sostanza 20
Latto di creazione comprende tre aspetti basilari:
a) Nel Creatore non avviene nessun cambio. Dunque la creazione non apporta nulla a Dio, ma quod
nos rivela il nostro stato esistenziale: il rapporto creaturale di dipendenza. La creazione nellessre
creato un rapporto reale col Creatore, Principio e origine del suo essere.
b) Il creato realmente e totalmente distinto dal Creatore. Lidea di Creazione riflette nozionalmente
la differenza assoluta fra Creatore e creatura che esiste di fatto nella realt.
c) Il creato realmente creato. Dio ha creato luniverso dal nulla, dal non essere, ossia senza una
materia preesistente o informe a modo di un qualche presupposto creativo.
La condizione fondamentale delle cose, per loro natura, essere opera divina: luniverso intero riposa sulla sapienza e
onnipotenza divine, e per tanto, esso non appartiene a s, n autonomo, ma propriet di Dio.

II.

LA DOTTRINA BIBLICA SULLA CREAZIONE:

Genesi:
Creazione ex nihilo. Bisogna vedere le parole: 1. Bara: fare o creare. Unazione dorigine esclusivamente divina,
unazione inaspettata. 2. Cielo e terra riferiscono allintera realt fisica e spirituale. 3. In principio(beresith). Ci sono
due racconti della creazione:
1.
Il racconto teologico Sacerdotale Gn 1,1-2,4a
2.
Il racconto antropomorfico Jahvista Gn 2,4b 3,244
La bont della creazione. e Dio vide che era una cosa buona molto buona I sette giorni vuole mostrare che Dio ha
creato tutto. Il riposo entra nel disegno di Dio. vero che dice la Bibbia che Dio ha creato in sette giorni? Bisogna
vedere che significa giorno. Bisogna parlare dei generi letterari. La Genesi ha un carattere storico ma bisogna capire in
quale modo. Ad es.: le stelle sono create il quarto giorno, non sono divine come nella mitologia.
Gn 1,1: In principio Dio cre il cielo e la terra. Creare si trova nella Bibbia 47 volte e ha esclusivamente come
soggetto Dio. unazione divina che ha Dio
come soggetto. Azione divina nel mondo (effetti cosmici) e nella storia (in favore del popolo dIsraele). Si riferisce
allinizio, alla storia e alla fine. Non si serve degli strumenti. Dio crea dal nulla, ex nihilo; in altre parole senza di niente
preesistente. (Gli altri di dei pagani creavano dal caos. Solo mettevano in ordine il caos.) Dio cre il cielo e la terra,
cio tutto! Se crea tutto significa che tutto buono. Quando crea luomo vide che era molto buono. Tutto stato creato
in Cristo, nel Verbo.
Dio come Salvatore nel libro dellEsodo
Si parla della liberazione dEgitto, dellAlleanza, delle promesse. Il personaggio principale Dio di fronte a Israele.
Dove il collegamento con la creazione? il popolo dIsraele con la sua conoscenza di Dio arriva alla fede nel Dio
creatore. Hanno lesperienza di un Dio salvatore. Si manifesta nella liberazione dIsraele. una fede storica - salvifica.
un Dio che si manifesta con un potere assoluto, un Dio onnipotente, Signore della natura (le piaghe, il mar Rosso, la
nube, la manna del deserto). Non viene conosciuto nellordine del cosmo ma nelle sue azioni, interventi puntuali,
concreti e salvifici. Il popolo dIsraele si fa pi consapevole di Dio come creatore attraverso la conoscenza di Dio come
salvatore. Non parla di una creazione ex nihilo.
I Profeti dellesilio
Isaia e Geremia. unepoca pi oscura, di gran crisi della loro fiducia in Dio. Loro sapevano che se erano fedeli
allalleanza tutto andrebbe bene altrimenti succedeva il contrario. Isaia e Geremia erano i grandi profeti. Loro avevano
il messaggio di conversione. Occorre rinnovare la fiducia in Dio. Il loro compito non era facile perch nellesilio il
popolo dIsraele entra nel mondo mitico babilonese. C il tipico loro racconto della creazione: Eneuma Elish che parla
del mondo come risultato di una battaglia fra Marduc (Dio della luce) e il grande Drago. A conseguenza di questa lotta
c il mondo. Marduc spezza in due il Drago e si forma il cielo e la terra. Per questo Dio manda profeti per liberarli dalla
disperazione. Ricordavano lalleanza e affermavano Dio come creatore di tutto. Dio pu salvare anche adesso perch
il Creatore di tutto. Isaia 40-55 si chiama il libro della consolazione dove Dio salva perch creatore. Geremia 32,17:
Ah, Signore Dio, tu hai fatto il cielo e la terra con grande potenza e con braccio forte; nulla ti impossibile. un
messaggio di tipo religioso. Esprimono la loro convinzione che Dio Creatore, un atto di fede e non una visione
scientifica.
20

Productio rei secundum totam suam substantiam. S.Th.,I,q65,a3

48

I libri sapienziali
I salmi proclamano il mistero della creazione con accento religioso e di lode al Padre Creatore (8,19,33,104,136,148).
Questi inni sono imbevuti di una meraviglia credente per lordine e la bellezza del mondo. Il giubilo per la creazione e
la piet verso il Creatore sono alla base di tutte le affermazioni nei salmi. Nei libri sapienziali sinsiste piuttosto sugli
aspetti razionali. La creazione appare come unopera eccellente di Dio che parla da s del suo Creatore e nella quale
brillano la bellezza e lordine.

III.

LO SVILUPPO STORICO DELLA DOTTRINA DELLA CREAZIONE:

Platonismo, Spiritualismo, Gnosticismo, panteismo, materialismo


Platone un autore religioso che vuole raggiungere la salvezza/limmortalit. Questo determina la sua etica e
cosmologia. Luomo deve unirsi a ci che permanente ed escludere ci che mutevole. Gli enti permanenti sono le
idee. Ci che rimane nel mondo lo spirito ossia lanima umana. La materia invece mutevole e cambia, non
permanente. Luomo deve staccarsi dalla materia perch essa non appartiene al mondo del divino. Dobbiamo liberarci
dalla materia. Parla di due mondi chiaramente distinti. Mondo dello spirito e della materia. Porta allidea di spiritualismo.
Dice che la materia non ha futuro. Parla anche del dualismo. Per Platone la conoscenza il ricordo.
Mondo dello SPIRITO: immutabile, (eterno), divino, reale, bene: anima
Mondo della MATERIA: mutabile, fugace, non divino, irreale, male: corpo
Per Platone, non c lidea di creazione ex nihilo. Dio non crea. La realt ne ha due principi: Divino/Spirito e la
Materia. Per i cristiani, tutta la realt ha la sua origine in Dio.
Dualismo
Nel cristianesimo siamo circondati da dualit: bene/male,individuale/sociale, ecc. Nel dualismo ci sono sempre due mondi
inconciliabili. Per negare il dualismo si parla della dottrina dellincarnazione (Dio rimarr sempre umano), unit funzionale,
principio unico. Crediamo nella risurrezione dei morti e della carne. La materia pu essere trasformata e pu diventare eterna (questo
non ovvio). Il dualismo in senso stretto significa che c una doppia origine al di fuori delluomo. Una parte da Dio e laltro dalla
materia, dal male. La distinzione non e fra la materia e lo spirito, ma fra Creatore e creature.

Gnosticismo
La prima eresia allinterno del cristianesimo che vedeva la realt in modo platonico ritiene che la salvezza si raggiunge attraverso
la conoscenza. elitaria e non universale. Parla anche della lotta del mondo tra la luce e loscurit, tra lo spirituale e il materiale.
Luomo una scintilla della divinit. Gnostici Cristiani: Mani, Valentiniano, Marcione. Ireneo ha lottato contro lo gnosticismo. La
dottrina della creazione e laffermazione del valore della materia sono causate dalla lotta contro gli gnostici. Mani dice che il grande
gnostico era Cristo in quanto lui rivelava Dio misericordia e vuole assorbire il Dio dellAT che era cattivo. Era uno gnosticismo
senza voglia di salvare il mondo, senza salvezza. Il cristianesimo parla della salvezza del mondo ma non la salvezza dal mondo.

Panteismo
Pensiero umano filosofico: platonismo, panteismo (cerca di unire materia e spirito). Pan-teismo (tutto / dio; tutti gli dei). Tutta la
realt si confonde con Dio. La Chiesa fa una distinzione netta fra creatura e creatore (trascendenza) ma nello stesso tempo
immanente. Il panteismo cerca di dire il contrario. Dio onnipresente, sottolineano limmanenza di Dio nel mondo. Luomo scopre
in s lo spirito, non appartiene al mondo; quasi divino. Il saggio colui che ha raggiunto una sintesi. Noi facciamo distinzione tra
Dio e la Creazione, bens in Ges Cristo si unisce.
Baruch Spinosa. (Idealismo) di tradizione ebraica. Lui sostiene che esista una sola sostanza ossia ci che in s. Non ha la sua
causa al di fuori. Nel mondo troviamo tanti fenomeni che non esistono in s e per s. Occorre differenziare: natura naturans (Dio,
la sostanza) e natura naturata. La natura naturans Dio e si manifesta in molti modi. La natura naturata tutta il resto che
manifestazione dellunica natura.
Hegel: panteismo totale. Concetti chiave: Idealismo assoluto, dialettica, spirito, storia. Cera il romanticismo: Goethe, Lessing.
Ci furono il razionalismo (la ragione cerca di afferrare la realt, lidea) e lempirismo (ambito anglosassone e legato al materiale).
Cerca di unificare attraverso la dialettica (opposizione) gli elementi fissi (razionalismo) e la storia (lempirismo). La nostra mente
si sviluppa nel ragionamento attraverso il conflitto, opposizione; attraverso la tesi, antitesi e sintesi. La tesi lidea, lantitesi la
natura e la sintesi lo spirito (la sintesi superatrice dellidea e la natura). Hegel parla di triadi perch ha in mente il mistero della
Santissima Trinit. Fa una filosofia che prescinde dalla trascendenza di Dio. Cerca di capire tutto con la sola testa. Ha detto: dopo
di me il manicomio. Con Hegel arrivata la pienezza: la sintesi. Tutto il reale razionale, tutto il razionale reale.

Materialismo:
Marx propone un paradiso sulla terra. Dallopposizione sorge la societ nuova, senza classi; una visione secolare delleconomia
cristiana. Dallidealismo si passa allateismo materialista. Dobbiamo riuscire ad avere una societ senza classe, di pace. Come mai
possibile questo passaggio? Perch la polarit fra creatore e creatura stata dissolta.

49

IV.

LA LIBERT DI DIO E LA CREAZIONE; LA GLORIA DI DIO FINE DELLA CREAZIONE

Le cose create non procedono da Dio necessariamente, come il Figlio procede dal Padre. Non vi nulla al di fuori o
allinterno di Dio, che lo costringa a creare. La libert dellatto creatore una conseguenza diretta della trascendenza
divina e della distinzione radicale fra Dio e il mondo. Dio non ha bisogno del mondo per essere Dio, e lattributo di
Creatore non appartiene allessenza della divinit, come lo sono gli attributi entitativi (semplicit, santit,
immutabilit, eternit, bont, ecc.) e gli attributi operativi (sapienza, amore, giustizia, ecc.).

Il mondo esiste perch Dio lo vuole. Pot non averlo voluto, oppure aver voluto un mondo distinto da questo,
questo mondo corrisponde perfettamente alla sua volont. La creazione un dono grazioso di Dio e una
manifestazione libera della sua bont e del suo amore.
La Gloria di fine della Creazione
La dottrina cristiana insegna che il mondo stato creato per la gloria di Dio (DS 3025), eppure Dio lo cre non per
aumentare la sua beatitudine, n per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue
creature (DS 3002).
I cieli narrano la gloria di Dio e lopera delle sue mani annunzia il firmamento (Sal 18,2). Quando la Sacra Scrittura e la Chiesa
parlano della gloria di Dio si riferiscono alla manifestazione della presenza divina, affascinante e sorprendente, come pure
alleccellenza e alla somma perfezione di Dio. La gloria divina dunque quella che Dio possiede in se stesso (gloria intrinseca),
oppure la lode che le creature devono tributare a Dio, quando lo adorano attivamente o manifestano passivamente le perfezioni
divine. Dio vuole essere glorificato dalle sue creature e per tale fine le dispone.
Limpressionante manifestazione della gloria divina il centro della teofania del Sinai. Nel Nuovo Testamento la gloria di Dio
si manifesta in Ges. I miracoli sono le epifanie della gloria messianica del Signore, il solo che ha contemplato il volto del
Padre e perci lunico che pu parlare della sua gloria (Gv 1,14.18; 6,46; 11,40). Il concilio Vaticano II insegna che il fine
ultimo del mondo la gloria di Dio (Cfr. Cost. LG 41; Cost. GS 12-14; Decr. AG 22), e aggiunge che una gloria in Cristo,
poich solo lui pu essere chiamato propriamente fine della Creazione.

V.

LA CREAZIONE: FRUTTO DELLAMORE TRINITARIO

La rivelazione cristiana sullatteggiamento divino verso lopera della creazione: entusiasmo, speranza, gioia, come
amore.
1. Lamore di Dio per il mondo illimitato ed eterno. Precede il nostro amore per lui. Dio ci ha amati per primo.
qualcosa che definisce Dio. 1Gv 4,8 Deus caritas est.
2. La vita eterna lunione con lui. Dio che ci ama vuole lunione continua con lui nella vita eterna. Gv 3; Gv 6
(discorso sul pane di vita).
3. Dio mostra il suo amore mostra in molti modi anche permettendo il male. Il male anche un modo di mostrarci
il suo amore. Lo dimostra soprattutto con lincarnazione del Figlio, fino alla morte in croce.
4. Comandamento nuovo che Ges ci ha lasciati: la legge di amore. Amate gli uni gli altri come io vi ho amati.
Credere in Cristo perch quello significa che crediamo nellamore che ha per noi.
Dio ha fatto il mondo per amore. Latto libero: verso il bene per un fine; migliorando laltro, migliora se stesso. Dio
non si migliora. Si d liberamente solo per migliorare noi. Luomo non d niente, ma amministra i beni divini.
La motivazione divina della creazione: soltanto un Dio perfetto e felice pu amare disinteressatamente; la creazione
totalmente dono.
a) Un miglioramento dellaltro: la bont provoca lamore che si spinge a volere che nellaltro sia mantenuto il bene
che possiede, e acquisti quello che non ha.
b) Il miglioramento di se stesso: Dio crea per manifestare la sua perfezione mediante i beni che impartisce alle
creature.
c) La progressiva identificazione delloggetto (laltro) con lideale che il soggetto ha di lui: Identificazione a
immagine e somiglianza di Dio.
d) La progressiva identificazione del soggetto con quello stesso ideale (non in Dio).
Le processioni delle persone (trinitarie) sono in certo modo causa e ragione della creazione. San Tommaso.
La spiegazione agostiniana delle processioni intra-trinitaria: Il Figlio procede dal Padre, generato come perfetto Verbo e Immagine;
lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio lamore che Dio ha di s stesso, poich lamore implica il dialogo. Per cui,
secondo la rivelazione che Dio ha fatto di s in Cristo, tutto ci che dimora in Dio una costante ed infinita comunicazione vitale
tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: il suo amore, la sua vita, la sua suprema attualit, la forza trainante di tutto ci che fa.
Dio crea il mondo per il Figlio nello Spirito Santo. Donandogli esistenza, appunto nel Dono Increato. E lo crea affinch sia conforme
allImmagine, cio al Figlio, affinch lopera creata sia amata dal Padre in maniera analoga al suo amore per il Figlio. Il Padre ama
il Figlio, e il frutto ad extra luniverso creato: sotto il dominio totale di Dio; costantemente trafitto dallamore di Dio, dallo Spirito
Santo, con la vocazione di essere al suo inizio e al suo compimento simile al Figlio. Dio cerca con amore il suo Figlio in tutta la
creazione.

50

TEMA 18: Gli Angeli e la Provvidenza


I.

TESTIMONIANZA BIBLICA SULLESISTENZA E SULLATTIVIT DEGLI ANGELI; IL RAPPORTO TRA MINISTERO


ANGELICO E MISSIONE DI CRISTO.

(DH: indice Pagina 38 C 2aa)


Testimonianza biblica sullesistenza e sullattivit degli angeli
Antico Testamento
Il termine angelo: Il nome che la Sacra Scrittura loro attribuisce indica che ci che pi conta nella rivelazione la
verit sui compiti degli angeli nei riguardi degli uomini: angelo (angelus) vuole infatti dire messaggero. Laramaico
malak, usato nellAT, significa pi propriamente delegato o ambasciatore. Gli angeli, creature spirituali, hanno
funzione di mediazione e di ministero nei rapporti che intercorrono tra Dio e gli uomini. Lesistenza e lattivit degli
angeli vengono chiaramente testimoniate nellAT
La lode divina e la cura degli uomini: I libri sacri sottolineano soprattutto la speciale partecipazione degli angeli alla
celebrazione della gloria che il Creatore riceve come tributo di lode da parte del mondo creato. I salmi in particolare si
fanno interpreti di questa voce: lodate il Signore dai cieli, lodatelo nellalto dei cieli, lodatelo, voi tutti, suoi
angeli(Sal 148,1-2); (Sal 102,20). Gli angeli partecipano alla provvidenza divina, in particolare alla speciale cura e
sollecitudine per gli uominiil libro di Tobia e Sal 90,11-12. I compiti degli angeli come ambasciatori del Dio vivo si
estendono non solo ai singoli uomini e a coloro che hanno speciali compiti, ma anche ad intere nazioni (Dn 10,13-21;
Gn 24,7-10; 48,16; 2Mac 11,16; Tb 5,6-22; Gdt 13,20)
Lesistenza degli angeli, distinta da Dio: Allinfuori dei testi che parlano semplicemente degli angeli, nellAT si
utilizza spesso la designazione angelo del Signore(Gn 16,10-13; 21,17-19; 22,11-17; Es 3,2), in questi testi si sta
parlando veramente degli angeli come esseri personali e creati, distinti da Dio.
Nuovo Testamento
Essi possiedono unesistenza reale ed individuale, insieme ad unattivit intellettuale e volitiva, paragonabile anche se
superiore a quella umana: contemplano la faccia di Dio (Mt 18,10). Si presentano esteriormente come esseri umani (Gv
20,12; At 1,10).
Il rapporto tra ministero angelico e missione di Cristo.
Cristo il centro del mondo angelico. Essi sono i suoi angeli. Sono suoi perch creati per mezzo di lui e in vista di
lui sono suoi ancor pi perch li ha fatti messaggeri del suo disegno di salvezza: non sono essi tutti spiriti incaricati
di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza. (CCC 331).
La presenza e lattivit degli angeli in favore degli uomini, qualcosa di costante lungo tutto il NT, sempre in
collegamento con la Persona di Ges, il messaggio della salvezza portati da lui. Anche se supera definitivamente gli
angeli con la rivelazione, questi circondano sempre il Figlio di Dio, lo scortano e lo corteggiano alla sua nascita, e lo
accompagnano durante tutta la vita, spiegando e facilitando il suo ministero, comportandosi per cos dire come
mediatori del Mediatore.
II.

IL RUOLO DEGLI ANGELI NELLA LITURGIA DELLA CHIESA E NELLA VITA DEGLI UOMINI: GLI ANGELI CUSTODI

Il ruolo degli angeli nella liturgia della Chiesa


Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; [Messale Romano, "Sanctus"] invoca la loro
assistenza (cos nell'"In Paradisum deducant te angeli. . . " - In Paradiso ti accompagnino gli angeli - della Liturgia dei defunti,
o ancora nell'Inno dei Cherubini della Liturgia bizantina), e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele,
san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi). (CCC 335).
La Chiesa il luogo della consolazione e dellassemblea degli angeli recita un antico inno copto. La Chiesa lambiente
dove si radunano Cherubini e Serafini. Gli angeli sono presenti in maniera speciale durante la celebrazione dellEucaristia.
Nella vita degli uomini: gli angeli custodi
La Chiesa confessa la sua fede negli angeli custodii, venerandoli nella liturgia con una festa apposita (2 Ottobre), e
raccomandando il ricorso alla loro protezione con una preghiera frequente, come nellinvocazione dellAngelo di Dio. Si
tratta di una protezione di cui giova tutta la Chiesa e tutta la realt creata. Il loro potere diretto inoltre al governo della
materia, alla preparazione dellavvento del cristianesimo tra i pagani, ad ogni nazione e istituzione e ad ogni uomo.
Dal suo inizio [Cf Mt 18,10] fino all'ora della morte [Cf Lc 16,22] la vita umana circondata dalla loro protezione [Cf Sal
34,8; Sal 91,10-13] e dalla loro intercessione [Cf Gb 33,23-24; Zc 1,12; 336 Tb 12,12]. "Ogni fedele ha al proprio fianco un
angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita" [San Basilio di Cesarea, Adversus Eunomium, 3, 1: PG 29, 656B].
Fin da quaggi, la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunit degli angeli e degli uomini, uniti in Dio. (CCC
336).

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III.

RIFLESSIONI TEOLOGICHE SULLA NATURA ANGELICA.

(DH: INDICE PAGINA 33. C 2AA.)

La spiritualit degli angeli


San Tommaso, afferma con estrema chiarezza la piena spiritualit degli angeli, dottrina fondamentalmente accettata poi
dalla Chiesa. La piena spiritualit creata degli angeli rivela ed esprime la perfetta e originaria spiritualit di Dio.
Numero, finitezza, immortalit ed ubicazione degli angeli
- Poich sono esseri totalmente spirituali, non ce niente di contraddittorio nella possibilit di un numero
sconfinato di angeli, come sembra indicare la Scrittura.
- La finitezza proviene dalla composizione di atto e potenza trovabile in qualsiasi creatura. Gli angeli si
distinguono luno dallaltro perch appartengono ciascuno ad una specie diversa.
- Dalla loro spiritualit si deduce la loro immortalit. Non possiedono certamente limmutabilit essenziale che
corrisponde allimmortalit divina, essendoci molteplicit e successione nelle loro operazioni, possono
progredire nella conoscenza o nella santit.
- Gli angeli non si trovano localizzati in nessun luogo particolare, nel senso di una loro possibile circoscrizione
materiale e spaziale. Sicch hanno una certa presenza nel mondo, non circoscritta, ma piuttosto operativa. Non
possono tuttavia agire simultaneamente in ogni luogo, perch la loro onnipresenza non coincide con quella
divina.
Lintelligenza e la volont degli angeli
Lintelligenza degli angeli non come quella divina, identificata con la loro sostanza, n una sorta di un intelletto
discorsivo come il nostro; la loro mente agisce in maniera intuitiva, immediata e senza lappoggio della organica o
dellimmaginazione. La loro volont si esercita in corrispondenza unito allintelligenza, ma senza le oscure e sconosciute
imperfezioni che toccano gli uomini; di conseguenza agiscono in maniera chiara, lucida, istantanea e definitiva.
IV.

CADUTA E CASTIGO DEGLI SPIRITI RIBELLI.

(DH: INDICE PAGINA 39.)

Come gli uomini, anche gli angeli sono capaci di rifiutare l'invito di Dio, di essere uniti con Lui. La Chiesa insegna che
alcuni angeli hanno rifiutato questo. Il libro del Siracide (10,2) ne d l'indicazione e si pu percepire che si tratta del
peccato di tentare con arroganza, farsi indipendenti da Dio e porsi al di sopra di tutte le altre creature (cfr. 2 Tes 4ss).
Forse sono stati delusi nella loro propria aspettativa di gloria e, dimenticando la loro dipendenza da Dio, hanno rifiutato
di essere creature. Questa ribellione contro Dio, attacca il piano di salvezza di Dio in genere e specialmente nella
persona e opera di Ges Cristo, Salvatore del mondo. Come abbiamo visto sopra, avendo l'intelligenza e volont
pienamente spirituali, superiori alle nostre, impossibile per loro revocare la loro decisione.
Gi allinizio della S. Scrittura si parla del serpente, che poi nellApocalisse chiamato drago; appare chiaro che si tratta
di Satana -Essere Maligno-, il capo dei demoni. La parola "satana" significa avversario, nemico e accusatore; lui
anche chiamato: diavolo; belzebul; belial; principe di questo mondo e omicida fin dal principio Sempre si
oppone ai piani di Dio, tentando di portare la gente lontano da lui; di contagiare l'umanit con la propria disgrazia.
Gi nellAT il demonio presentato come seduttore e tormentatore degli uomini (Tb 3), e come causa della morte: per
linvidia del diavolo che la morte entrata nel mondo (Sap 2,24).
Questi stessi concetti ricompaiono nel NT. Cristo resiste alle tentazioni del demonio (Mt 4,1ss). Egli lotta contro i
demoni, li caccia da coloro che ne sono posseduti, dando cos prova del suo potere divino (Mt 12,28 / Mc 1,34 / Lc
13,22). Il demonio, il grande dragone, il vecchio serpente (Ap 12), gi caduto dal cielo (Lc 10,18). Nel tempo
presente ancora un avversario temibile per la sua potenza e i suoi atti (cfr. Ef 6,10 ss), ma alla fine dei tempi diventer
pienamente manifestata la sua sconfitta (Mt 25,41 / Ap 20,10).
Lateranense IV: i diavoli -dal greco daimon- sono per la loro decisione individuale. Sono stati creati come angeli
buoni, e soltanto per la loro peccaminosa decisione che sempre tentano gli uomini affinch abbandonino Dio.
CV II: Lo spirito del male, soprattutto presentando gli effetti negativi della sua azione sullumanit sino dallinizio,
specificando che la Rivelazione insegna che dalla tentazione del Maligno sul primo uomo ha origine il peccato nel
mondo (LG n 16b / GS n 13a & 37b), ma Dio libera luomo dal giogo di satana (SC n6 / GS n 13b & 22c / AG n
2a) e come la Chiesa con la sua funzione missionaria libera luomo dal potere del demonio (GS n 17a / AG n 9b).
V.
LA PROVVIDENZA DIVINA: DIO IN CRISTO GUIDA OGNI COSA ALLA REALIZZAZIONE DEL PROPRIO FINE.
(DH: indice pagine 35, C 1 ga. Contesto, n 629,2901,3003,3251,3875,4195)
Dio, mediante il suo Verbo, il Figlio Eterno, sempre presente nella sua opera creata, senza confondersi in nessun
modo con essa. La presenza del Logos al cuore del creato molto di pi che una mera razionalit statica impressa in
52

esso che rimanda eventualmente a unazione divina passata; il significato e il corso del mondo in questo momento, ed
in ogni momento riflettono sempre questa presenza fondante, creatrice, conservatrice, provvidente e ri-creatrice del
Verbo nelluniverso. Dio presente e opera nel mondo, nella storia di ogni sua creatura, perch ogni creatura, e
specificamente luomo, sua immagine possa realizzare la sua vita come un cammino guidato dalla verit e dellamore
verso il traguardo della vita eterna in Lui.
NellAT: Dio vicinissimo alluomo e ai suoi affari pi piccoli ed apparentemente insignificanti. Cristo non soltanto ci
comunica di nuovo il messaggio o la dottrina della provvidenza, approfondendolo, ma ci si presenta anche come
lagente, la presenza attuale, la realizzazione, lincarnazione piena della divina provvidenza. Questo avviene in diversi
modi. Per esempio:
- Cristo come Pastore, Dio pastore, lespressione pi ricca dellAT, nellNT interessante notare come Cristo
si appropri di questo titolo, lui diventa il Buon Pastore.
- La solidariet di Cristo con le disgrazie umane, si vede spesso come Cristo si occupa personalmente di tutti i
problemi e disagi degli uomini.
- Ges non soltanto esort i suoi ascoltatori e discepoli a non preoccuparsi del cibo, delle bevande, del vestito,
ecc. Lui stesso moltiplica il pane e i pesci, e cambia lacqua in vino.
La provvidenza divina la continuazione dellopera creatrice di Dio per mezzo del Verbo, secondo quel piano che
esisteva nella mente divina da tutta leternit, e che gradualmente porta tutte le cose al compimento perfetto. Questo
piano eterno nella sua globalit spesso denominato predestinazione in Cristo (Ef 1,3-6). Questa predestinazione non
si pu confondere n con il destino cieco, inconsapevole di ci che accade, n con un decreto arbitrario di condanna o
salvezza perpetua, si tratta piuttosto di leterna scelta di Dio, una scelta paterna, intelligente e positiva, una scelta
damore.
VI.
LINTELLIGIBILIT DELLA PROVVIDENZA DIVINA ALLA LUCE DELLA CROCE E DELLA RISURREZIONE.
Secondo Giovanni Paolo II, bisogna far luce sul ruolo, all interno della provvidenza divina, di Cristo e della Chiesa:
- La fede nella provvidenza non differisce da quella nellIncarnazione: laffermazione della provvidenza divina
equivale ad affermare che Dio vicino, che Dio accanto a noi,che Dioin Cristo diventato Emmanuel,
Dio-con-noi. Tutto ci che Cristo fece tra gli uomini quando era in terra era azione divina; appartiene
ugualmente alla stessa provvidenza tutto ci che accade a Cristo.
- Il ruolo della Chiesa quella di segnalare agli uomini le tracce della divina provvidenza, in quanto in essa si
pu scoprire che tutta la vicenda della Chiesa nel tempo presente consiste nella ricerca costante ed appassionata
di ritrovare, approfondire, proporre, i segni della Presenza di Cristo. La Chiesa pu, vuole e deve dare al mondo
la grazia e il senso della provvidenza di Dio; cos e non diversamente si fa compagna delluomo. La Chiesa
ha il compito di sforzarsi ad interpretare lagire della provvidenza divina in ogni epoca e situazione. In realt
non ce nessuna contraddizione tra le due impostazioni, quella sapienziale e quella storico-attualista.

La provvidenza divina costante e reale, arriva a tutto e a tutti; sono gli uomini che non considerano tutte le visitazioni
divine come provvidenza. Dio a volte visita il suo popolo con la sofferenzao pi correttamente permette sofferenza e
malee non con il bene, come Giobbe. Il discorso sulla provvidenza divina sembra ambivalente; ed per questo che
soltanto sulla Croce di Cristo sulla Risurrezione di Cristo Dio rivela in pienezza il suo amore provvidente, cos come
rivel il suo amore creatore. Dire provvidenza divina significa riconoscere che nelleterno piano di Dio, nel suo disegno
creativo, quel male che originariamente non ha posto, una volta commesso dalluomo e permesso da Dio, in definitiva
viene subordinato al bene: tutto concorre al bene (Rm 8,28).

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TEMA 19: LAntropologia Teologica


I.

LA RIVELAZIONE DIVINA RISPETTO ALLUOMO: CRISTO CHE RIVELA LUOMO ALLUOMO (GS. 22)

Alcune idee:
a. Cristo rivelerebbe tutto sulluomo (Karl Barth). Fideismo, dove non si pu dire nulla sulluomo al di fuori della fede in Cristo.
b. Cristo ci rivela alcune cose sulluomo che vanno pi in l delle informazioni fornite dalla scienza e dalla filosofia. una
posizione concordista, che far che la teologia paghi ogni nuova conquista umana.
c. Cristo offre alluomo una prospettiva unitaria e definitiva su se stesso, che consiste nel progetto divino che d la ragione della
sua esistenza e del destino escatologico dintegrit e di gloria. La verit piena sulluomo solo esiste nella mente di Dio: per
gli uomini ancora oggetto di fede e di promessa. La conoscenza offerta svolge anzitutto il ruolo di confrontare, reintegrare
e re-calibrare le conoscenze che si possono acquistare con altri mezzi, mettendo insieme queste conoscenze (non le lasciando
isolate, scollegate ed intelligibili). Ci richiede la conversione del cuore e limpegno di superare il peccato.
II.

L UOMO CREATO A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO; IL SUO DESTINO SOPRANNATURALE ED ESCATOLOGICO

C una base teologica solida per laffermazione della nostra risurrezione futura. Menzioniamo tre aspetti:
a. La realt storicamente constatata e fedelmente testimoniata nella Chiesa della risurrezione di Ges.
b. La forza della medesima risurrezione spinge i cristiani a testimoniare il vangelo fino al martirio.
c. In ogni caso, la Scrittura offre ugualmente una visione chiara delluomo riguardo le sue origini, della sua creazione
come immagine e somiglianza di Dio.
Due sono i principali racconti che il libro della Genesi offre sulla creazione delluomo.
Nel primo (Gn 2,4b-Gn 3,24), si descrive lorigine delluomo come qualcuno che stato tratto dalla terra, in cui Dio
infonde il suo spirito. Luomo presentato come un essere unitario, simile agli animali, e con la morte torner alla terra
da cui stato tratto.
Nel secondo (Gn 1,1-2,4a), luomo non descritto nelle sue origini e composizione, ma considerato alla luce sia della
sua relazione fondamentale con Dio a cui deve tutto, che della sua missione nel mondo e verso il mondo. Lultimo testo
analizzato ha grandi risonanze cristologiche. In effetti, Cristo, Immagine Perfetta del Padre, Colui che rivela, rinnova
e porta a compimento limmagine di Dio presente nelluomo.
Luomo come essere relazionale, creato a immagine e somiglianza di Dio
E Dio disse: facciamo luomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del
cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio cre luomo a sua
immagine; a immagine di Dio lo cre; maschio e femmina li cre. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere
vivente, che striscia sulla terra (Gn 1,26-28).
Situando Gn 1,26-28
a. Lidea delluomo come immagine di dio non sconosciuta nellantichit.
b. Luomo non unimmagine di Dio; ma stato fatto a immagine di Dio (mediante un atto della sua volont
creativa). Cos, luomo non unemanazione spontanea della divinit (appartenente alla sua sostanza). Luomo
un essere con una dignit inalienabile ricevuta tramite latto della creazione, per allo stesso tempo in grado di
crescere e di diminuire secondo accoglienza pi o meno fedele dei doni divini.
c. In Gn 5 (quando gener a sua immagine, a sua somiglianza, un figlio e lo chiam Set.), limmagine ha una
chiara valenza filiale. Perci, pu essere comunicata alla discendenza.
d. Gn 9, 6-7 si riferisce alla morte di Abele causata da Caino. Perch a immagine di Dio luomo fu fatto, il testo
fonda limmoralit dellomicidio, giacch destinato alla vita immortale. Il motivo ripreso nel libro della
Sapienza: S, Dio ha creato luomo per limmortalit: lo fece ad immagine della propria natura (Sap 2,23).
e. La parola immagine in ebraico adoperata lungo lAntico Testamento per tradurre il termine idoli. Ma, lungo
i suoi libri, questo fa pure un deciso rifiuto allidolatria. Ci diventa unaffermazione non sola della sovranit
assoluta di Dio e della necessit di adorare Lui e solo Lui, ma anche della dignit delluomo, ultima e eccelsa
creatura fatta da Dio, destinata allimmortalit.
f. Per alcuni autori, laffermazione genesiaca vuole dire che luomo ha una forte sembianza a quante pare, fisica
e corporea - con Dio stesso.
g. Sembra che lespressione a immagine di Dio fa riferimento alla distinzione tra i sessi e alla propagazione della
specie umana (Gn 1, 27- 28). Karl Barth ha insistito che la manifestazione centrale dellimmagine di Dio
nelluomo sta precisamente nella sua socialit che manifesta in particolar modo nella comunione tra uomo e donna.
Ci non fu accolto da molti esegeti. Infatti, si deve notare che linvito alla propagazione applicato pure ad altri
animali, che non furono fatti ad immagine di Dio.

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Linterpretazione cristologia di Gn 1, 26-28


Ges Cristo, salvatore delluomo , Lui stesso, perfetta immagine del Padre. Perci i Padri della Chiesa leggevano i testi
dellAntico Testamento in chiave cristologica. soprattutto San Paolo che presenta Cristo come Immagine del Padre,
anche se non manca la stessa idea nella dottrina giovannea delleterna generazione del Verbo e della sua incarnazione
(Gv 1,1-14).
III.
LUOMO COMPOSTO DI ANIMA E CORPO: RETTA COMPRENSIONE DI QUESTA DUALIT UNITARIA
La persona umana e un essere insieme corporeo e spirituale. C'e una dualit. Tra i due c'e una tensione. C' una dualit
che diverso di dualismo e monismo. Dualismo: qualcosa collegata a un doppia origine che si trovano in conflitto.
Monismo: un solo elemento destinato a scomparire. L'uomo solo corpo e quando sparisce, muore, sparisce l'uomo.
Cio non n dualismo n monismo, ma dualit.
I Greci: hanno due modi di vedere l'uomo: visione materialista / edonista:
L'uomo solo il corpo. Con la morte scompare, l'uomo non immortale. La visione edonista aggiunge: se l'uomo
scompare, allora dobbiamo godere questa vita fino in fondo. Nella visione materialista popolare, l'uomo non immortale
ma rimane in due modi: a) fama-(reputazione) b) famiglia: che in certo modo una continuazione dell'individuo.
Visione spiritualistica (Platone, neoplatonismo):
Non tanto un proseguimento (fama, storia), ma una sopravivenza dell'io anche lasciando le persone care, il luogo di
nascita, ecc. L'uomo un anima che adopera un corpo. L'anima un essere separato dal corpo, dopo la morte l'uomo
viene realizzato perch liberato dal corpo.
Reincarnazione:
una visione che tenta di risolvere la tensione anima-corpo. L'uomo anima con corpo. Il corpo muore, l'anima si va a
un'altra vita, l'uomo esiste sempre incorporale. Ha presente le due visioni precedenti. Problemi di questa visione:
sovrappone due mondi che anche se si intrecciano, ognuno ha le sue propri leggi (spirituali, materiali).
La visione cristiana:
Spirito e corpo esprimono una realt. L'esistenza umana accade una sola volta. La Risurrezione di Cristo non si ripete,
la sua umanit per sempre gloriosa. Dopo la risurrezione ci uniamo definitivamente a Cristo, una volta per tutte.
L'A.T. propone una doppia antropologia:
a) Cosiddetta teologica (l'uomo come immagine di Dio),
b) Cosiddetta descrittiva (l'uomo concreto).
L'antropologia veterotestamentaria parla sulla costituzione dell'uomo in diversi termini: prima di tutto c' la parola
BASAR (in greco "sarx" o carne), che disegna tutto l'uomo, si adopera anche per gli animali. In genere esprime
debolezza, mortalit, limite (Is 40,6; Sa1 77,39). Infatti, cosi si capisce San Paolo quando parla di carne: indica il mondo
del peccato, cio l'opposto a Dio. Esprime anche solidariet/comunione. Disegna la comune umanit degli uomini.
L'individualit viene trascurata.
Un'altro termine NEFES (in greco 'psyche' o anima), che in modo concreto si riferisce alla gola, dove passa l'aria per
la quale l'uomo respira e per cui la vita possibile. adoperato anche per gli animali; quando usata per l'uomo sta ad
indicare che l'uomo un essere vivente. Come BASAR e pure adoperato per disegnare tutto l'uomo. Un' altra parola
LEB (che significa 'kardis' cio cuore). Esso il punto integrativo del BASAR e NEFES. il centro dell'uomo, della
memoria, un vero centro unitario dell'uomo. Il termine RUAH (in greco 'pneuma'), significa etimologicamente vento.
Questo lo spirito che viene da Dio e spinge l'uomo verso la trascendenza. Il desiderio alla trascendenza non dovuto
all'uomo, ma Dio che glielo d. I profeti sono uomini dello spirito di Dio. Insomma, l'uomo nell'A.T. BASAR con
NEFES causato dal RUAH. Nell'A.T. 1'uomo carne viva, basar con alito vivente: un basar che diventa 'nefesh'. Questa
unificazione opera della 'ruah'. Sono elementi descrittivi molto concreti, si devono prendere tutte e tre per cogliere la
ricchezza unitaria dell'uomo. Tutta la nozione della dignit dell'uomo espressa nell'A.T. con la fedelt all'Alleanza,
allo spirito (ruah) che Dio gli ha donato. L'immortalit si esprime nella discendenza. Il popolo immortale, non
l'individuo. Gli israeliti solo all'inizio hanno negato l'immortalit personale, dopo i libri Sapienziali sviluppano la
nozione dell'anima e della sopravivenza personale. Adoperano con una terminologia chiara la sopravivenza dell'anima
dopo la morte.
- Nel Nuovo Testamento
Non c' unantropologia esplicita, tematica, ma nella vita, morte e risurrezione di Ges si trovano gli elementi che
riguardano l'antropologia (GS 22). L'Incarnazione diede una grande luce: a) la corporeit degna di Dio. Giovanni lo
esprime fortemente: il Verbo si fece carne. b) la redenzione viene dalla morte e risurrezione di Cristo: dalla rottura fra
anima e corpo e dalla riunione di entrambi. c) la corporeit riceve un destino eterno con la risurrezione. D'ora in poi non
c'e nessun aspetto dell'essere umano che non abbia rilevanza per l'eternit. Sorgono due visioni antropologiche: a)
dualismo: anima accanto al corpo. Vanno insieme e poi si separano; b) unitaria: mutua appartenenza di ambedue.
55

- Periodo Patristico
Secondo i Padri della Chiesa l'uomo strutturato da spirito, anima e corpo (tripartizione); sottolineano specialmente due
realt: unit dell'uomo e bont del corpo umano e del mondo creato. Il corpo destinato alla risurrezione e il mondo
creato alla rinnovazione escatologica.
a) S. Giustino il primo a parlarne. Lui cerca di conciliare le categorie cristiane e pagane. L'anima dell'uomo e
il corpo dell'uomo. Dio chiama tutto l'uomo alla risurrezione. "L'anima da se stessa l'uomo? No, solo
l'anima dell'uomo. L'uomo risultato della composizione dell'anima e del corpo". (Giustino, De Resurrectione).
b) SantIreneo parla di un'antropologia tripartita: spirito, anima, corpo. Tutto l'uomo, anche il corpo fatto a
immagine di Dio. Cos esalta il valore del corpo e della corporeit.
c) Tertulliano parlando del primo e secondo Adamo: quando Dio modellava l'argilla pensava a Cristo, l'uomo
futuro. L'Incarnazione la culminazione di questo processo. "caro cardo salutis": la carne il cardine, punto di
appoggio per tutta la salvezza. Se l'anima arriva ad appartenere a Dio la carne che lo fa possibile.
Esempio: nellEucaristia la carne nutrita dal Corpo e Sangue di Cristo, l'anima riempita da Dio. Nel Battesimo la
carne lavata, l'anima pulita. L'anima e il corpo sono nati insieme, l'immagine di Dio si esprime nell'anima e nel corpo.
Questo stile teologico stato presente fino a 220. In questo momento comincia una visione pi sviluppata, Teologia
Alessandrina: insisteva sulla centralit dell'anima, e il ruolo secondario, problematico del corpo, contro la visione
unitaria precedente.
-

Medioevo:

il tramonto dell'antropologia tripartita (spirito, anima e corpo), forse perch lo spirito (secondo loro) faceva riferimento

alla vita soprannaturale, e pertanto poteva essere staccata dall'uomo, che rimane con anima e corpo. Si sviluppa il
misticismo: accentuarono l'aspetto spirituale lasciando da parte il corpo. L'uomo avrebbe in s la tendenza di un contatto
diretto e intimo con Dio. Si dimentica la realt della risurrezione finale.
In questo periodo sorga la questione della relazione anima-corpo:
a) S. Tommaso: Il corpo la materia in quanto informato dall'anima. Appartiene all'anima essere forma del corpo.
Non si tratta di due sostanze complete unite accidentalmente ma di una sostanza complessa. L'anima prima
del corpo, non temporalmente, ma da un punto di vista metafisico: l'anima primordiale sul corpo e per questo
pu sopravvivere dopo la morte.
b) Il Concilio di Vienna afferma che la sostanza dell'anima razionale o intellettiva veramente e per s la forma
del corpo umano (DS 902). La stessa dottrina viene affermata anche dal Concilio Laterano V, che definisce:
l'anima non comune a tutti gli uomini, ma l'individuale e immortale (DS-1440). Del corpo e dell'anima nella
loro unit parla anche GS 14. Per sottolineare questa realt l'antropologia moderna preferisce parlare non tanto
dal fatto che l'uomo ha un anima e un corpo, bens che invece anima e corpo.
IV.
CREAZIONE DELL'UOMO ED EVOLUZIONISMO
L'origine dell'uomo si pu trattare da due punti di vista, sia come specie sia come individuo. Per chiarire bene dire che
sono due modi di vedere l'origine dell'uomo. Sono detti fissisti coloro che sostengono che era creato precisamente come
scritto nella Bibbia, quindi immediatamente da Dio senza qualche intermedio o sviluppo, invece i trasformisti
accettano qualche intermedio temporale o strumentale riguardo alla materia. Nel dibattito sull'origine dell'uomo sono
coinvolte direttamente due tipi di evoluzionismo: come teoria scientifica e come ideologia della dottrina dellevoluzione
biologica. Qua far riferimenti dal discorso del Papa pronunciato 22 ottobre 1996 "Ai membri della Pontificia
Accademia delle Scienze riuniti in Assemblea Plenaria" (OR 24-10-1996)."Nella sua Enciclica Humani generis (1950)
il mio predecessore Pio XII aveva gi affermato che non vi era opposizione fra l'evoluzione e la dottrina della fede
sull'uomo e sulla sua vocazione, purch non si perdessero di vista alcuni punti fermi (cf. AAS 42, pp. 575-576).
L'Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell'evoluzionismo un'ipotesi seria, degna di una ricerca e di una
riflessione approfondite al pari dell'ipotesi opposta. - Il Magistero della Chiesa direttamente interessato alla questione
dell'evoluzione, poich questa concerne la concezione dell'uomo, del quale la Rivelazione ci dice che stato creato a
immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,28-29). La Costituzione conciliare Gaudium et Spes ha magnificamente
esposto questa dottrina, che uno degli assi del pensiero cristiano. Essa ha ricordato che l'uomo la sola creatura che
Dio abbia voluto per se stesso (n.24).
In altri termini, l'individuo umano non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento n alla
specie n alla societ; egli ha valore per se stesso. una persona. Grazie alla sua intelligenza e alla sua volont, capace
di entrare in rapporto di comunione, di solidariet e di dono di s con i suoi simili...".

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TEMA 20: La Giustizia e il Peccato Originale


I.

CREAZIONE PRIMIGENIA DELLUOMO NELLA SANTIT E NELLA GIUSTIZIA E LA SUA ELEVAZIONE ALLORDINE
DELLA GRAZIA.

Seguendo la Sacra Scrittura, la Chiesa ci insegna che Adamo ed Eva furono creati nello stato di giustizia originale, cio,
in una situazione privilegiata di santit e giustizia in cui i nostri progenitori furono costituiti allinizio della storia
umana (cfr. Concilio di Trento; Professione di Fede di Paolo VI). Il libro della Genesi, capitoli 1-3 lo rappresenta come
uno stato di amicizia e familiarit con Dio, che insieme ad una libert e un dominio sulluniverso materiale, corrisponde
ad una speciale intimit con Dio. I progenitori godevano della benevolenza divina. la conseguenza ragionevole del
fatto che luomo era creato a immagine e somiglianza di Dio(Gn 1,27).
San Tommaso considera questa situazione come uno stato di Grazia ed armonia interna alluomo: poich lanima
soggetta a Dio, il corpo era soggetto allanima, e le forze inferiori dellanima erano soggette alle forze superiori.
Nel Nuovo Testamento troviamo unallusione a questo stato di giustizia originale in Rom 5,12-21, dove s. Paolo spiega
che Cristo, il nuovo Adamo, ha restaurato in noi cio che il primo ha perso.
La sua elevazione allordine della grazia
Come abbiamo appena visto, l'intervento di Dio nella natura umana, per farla partecipare della vita divina, trinitaria,
significa elevare l'uomo all'ordine soprannaturale. Quest'elevazione non distrugge la natura, ma la rispetta e la suppone,
cio la perfeziona, nella conoscenza e nella virt.
- I doni preternaturali.
In rapporto con lelevazione allo stato di grazia (i doni soprannaturali) i nostri progenitori ricevevano anche alcuni
doni chiamati preternaturali, ad esempio, lesenzione dal male e dalla morte, integrit ecc. Nella teologia questi dono
sono denominati preternaturali poich, pur essendo doni di Dio, corrispondono alla perfezione della natura umana.
- Nelle parole del Credo del popolo di Dio, luomo non conosceva n il male n la morte.
- Dice Giovanni Paolo II, alla luce della Bibbia, lo stato delluomo prima del peccato appare come una condizione di
perfezione originale, espressa in qualche modo nellimmagine del paradiso. Unamicizia con Dio mediante la grazia
santificante. Luomo possedeva e manteneva in se stesso lequilibrio interiore. Il dominio sul mondo, che Dio aveva
dato alluomo dallinizio, si realizzava prima di tutto nelluomo stesso come dominio di s. Era libero dalla triplice
concupiscenza: concupiscenza al piacere dei sensi, alla cupidigia dei beni terreni e allaffermazione di s contro i dettami
della ragione.
Il libro di Siracide. Il Signore cre luomo dalla terra e ad essa lo fa tornare di nuovo. Discernimento, lingua, occhi,
orecchi e cuore diede loro perch ragionassero. Li riemp di dottrina e dintelligenza e indic loro anche il bene e il
male. (Sir 17, 1-12).
- I doni dellimpassibilit e della conoscenza.
In primo luogo, luomo nel paradiso non soffriva: era fisicamente integro, e, essendo signore e non schiavo del creato,
dominava tutto ci che gli poteva infliggere danno, sofferenza o oppressione sia interiore che esteriore. Collegata
allesenzione di dolore, si inferisce la presenza del dono della conoscenza, lilluminazione dellintelletto umano.
Il dolore e le passioni.
Bisogna aggiungere che luomo nel paradiso non fu esente delle sensazioni, poich, diversamente dagli angeli, era fatto
di carne ed ossa. Non era esente nemmeno dalle passioni, perch queste sono parte integrante dellessere umano. Ma le
passioni erano perfettamente sottomesse alla ragione.
- Il dono dellimmortalit.
Nello stato di giustizia originale luomo non solo non conosceva il male, ma neanche la morte; era immortale. Secondo
il Credo del popolo di Dio- fu sottomessa al dominio della morte.
Secondo Agostino- questo stato non era n assoluto n permanente, ma dipendeva dalla fedelt delluomo allalleanza
con Dio. Una frase classica- non un non posse mori, ma piuttosto un posse non mori. Il dono dellimmortalit
primitiva va esaminato contestualmente alla dottrina sulla prova, uno stato di pellegrinaggio. Alla fine della prova
luomo avrebbe raggiunto unimmortalit definitiva. Si pu capire meglio limmortalit primitiva attraverso uno sguardo
approfondito dei privilegi mariani.

II.

LA PROVA E LA CADUTA DELLUOMO.

1. Il testo della genesi.


Il signore Dio prese luomo e lo pose nel giardino di Eden, perch lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore gli diede
questo comando: tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dellalbero della conoscenza del bene e del male
57

non devi mangiare, perch quando tu ne mangiassi, certamente moriresti. (Gn 2,15-17). La prova chiaramente vietava
di mangiare dellalbero del bene e del male.
2. Linterpretazione teologica.
Lalbero della conoscenza del bene del male richiama simbolicamente il limite invalicabile che luomo, in quanto
creatura, deve riconoscere e rispettare. La prova indirizzata alla libera volont delluomo, ossia alla sua libert.
3. Lambivalenza dellinterpretazione mitica del testo della genesi.
Come descrizioni mitiche(non sono eventi radicati storicamente), sono rappresentazioni della legge stabile della realt,
datagli da Dio. La caduta originale sarebbe quindi soltanto il peccato tipico.
4. Il peccato originale come immaturit cosmica.
Questa idea trova il suo fondamento nella riflessione di alcuni autori protestanti secondo cui la natura umana stata
corrotta veramente e non soltanto storicamente dal peccato originale. Ci che noi chiamiamo peccato originale non
sarebbe stato unazione umana e libera, ma semplicemente una descrizione mitica della primitiva povert esistenziale
delluomo e del cosmo, della sua immaturit naturale e cosmica.
III.
PECCATO ORIGINALE: NATURA, CONSEGUENZE E TRASMISSIONE.
La natura del peccato originale consiste nella pretesa dell'uomo di costruirsi un progetto dell'umanit escludendo Dio,
negandolo. In Gn 3, si riferisce che questa fu esattamente la pretesa dei progenitori: essi mangiarono del frutto proibito
per diventare come Dio. Il peccato iniziale si trasform in peccato originale; cio, tutti i discendenti di Adamo e Eva
furono coinvolti nella stessa colpa e nella sua conseguenza. I punti salienti della dottrina del peccato originale sono i
seguenti:
1) nella sostanza, il peccato originale un evento storico, cio un evento umano e libero, e non mitologico.
2) l'allontanamento da Dio non ha distrutto l'immagine di Dio nell'uomo, ma lha gravemente diformata.
3) L'uomo non in grado di riparare il proprio peccato.
4) Il peccato originale ha anche una ripercussione importante sull'ordine naturale in progetti dell'umanit in cui l'uomo
elabora un progetto umano e sociale nel campo della filosofia, politica, morale e giustizia, contrario al progetto originario
di Dio.

CONSEGUENZE:
1. La perdita dellamicizia divina: Significa la perdita della grazia, e con essa, la condanna e lira di Dio. Questa
perdita non viene considerata come una mera mancanza della grazia, ma come la spoliazione, la privazione del
favore divino. La rottura dellalleanza con Dio come atto personale di ingiustizia.
2. La morte e la sofferenza, perdita dellimmortalit: Sebbene luomo possedesse una natura mortale, Dio lo
destinava a non morire. La morte fu contraria ai disegni di Dio creatore ed essa entr nel mondo come conseguenza
del peccato (CCC 1008) (Rm 5,12; 6,23). Larmonia della creazione spezzata: la creazione visibile diventata
aliena e ostile alluomo.
3. La sottomissione al diavolo: In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquistato un certo dominio
sulluomo, bench questi rimanga libero. San Paolo insiste che il risultato del peccato la schiavit alle passioni
disordinate.
4. Il danno fatto a tutto luomo: Secondo il Concilio di Trento lanima e il corpo fu deteriorato. C una ferita nelle
sue proprie forze naturali. La padronanza delle facolt spirituali dellanima sul corpo infranta.
5. Linclinazione al peccato: conosciuta come la concupiscenza disordinata o il fomes peccati. Il concilio di
Trento insiste che il fomes peccati non peccato, ma che dal peccato nasce e al peccato conduce. La tentazione
deriva dalla concupiscenza disordinata in s non peccato; produce il peccato solo se la tentazione viene
volontariamente accolta, permessa o provocata.
LA TRASMISSIONE:
Le conseguenze di questo peccato non furono solo personali. Cacciata dal Paradiso terrestre, il dolore, la fatica del
lavoro, la morte, sono anche collettivi - partecipate (non per la commissione bens per i suoi effetti), ereditate da tutta
l'umanit. Per l'unit del genere umano, il peccato di Adamo diventato il peccato di tutti i suoi discendenti, cos come
tutti sono coinvolti nella giustizia di Cristo. Tuttavia, la trasmissione del peccato originale un mistero che non possiamo
comprendere pienamente. Perci, sappiamo dalla Rivelazione che Adamo e Eva hanno ricevuto la santit e la giustizia
originaria, non soltanto per se stessi, ma per tutta la natura umana; ma ora cadendo al peccato, Adamo ed Eva
commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, ed essi trasmettono una condizione di
caducit.
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IV.
INSEGNAMENTI BIBLICI ED ECCLESIALI
1. Il peccato originale come peccato di natura nella dottrina della Chiesa.
Il concilio di Trento nello terzo canone della sessione V descrive che il peccato originale un vero peccato in ogni
uomo, il quale perci diventa bisognoso della redenzione di Cristo. La frase chiave questa: il peccato originale
trasfuso in tutti non per imitazione, ma per propagazione, e che tale peccato risiede in ciascuno come proprio. La
Chiesa insegna che il peccato originale viene trasmesso realmente ed presente in ognuno realmente. Gibellini ha
dimostrato che il termine propagazione equivale a quello di generazione. Secondo SantAgostino per mezzo della
generazione umana il peccato viene trasmesso. Ma la generazione umana non la causa efficiente del peccato originale,
ma piuttosto il mezzo della trasmissione di qualcosa gi esistente; loccasione pi che la ragione intrinseca.
Dice il CCC 404- Adamo aveva ricevuto la santit e la giustizia originale non soltanto per s, ma per tutta la natura
umana: cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura
umana, che si trasmettono in una condizione decadutaPerci il peccato originale un peccato contratto e non
commesso, uno stato e non un atto.
Secondo Giovanni Paolo II, il peccato originale la privazione della grazia santificante in una natura che, per colpa dei
progenitori, stata distorta dal suo fine soprannaturale. Con il peccato originale la grazia santificante ha cessato di
costituire larricchimento soprannaturale di quella natura, che i progenitori trasmisero a tutti loro discendenti nello stato
in cui si trovava in quando diedero inizio alle generazioni.
2. La trasmissione del peccato originale nella scrittura.
I testi parlano delluniversalit del peccato tra gli uomini, dottrina complementare a quella delluniversalit della
salvezza in Cristo. Non c infatti sulla terra un uomo cos giusto che faccia solo il bene e non pecchi. Ecco nella
colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre.(Sal 50,7) . Ma il passo pi significativo quello di
Rm 5,12: Come a causa di solo uomo il peccato entrato nel mondo, cos anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini,
perch tutti hanno peccato. Seconda la tradizione Volgata, era evidente linclusione di tutta lumanit nel peccato di
Adamo. La nozione dellinclusione di tutti gli uomini nel peccato di Adamo viene ribadita dal concilio di Trento.

59

TEMA 2 1: LIncarn azione d el Fig lio di Dio


I.
IL MISTERO DI CRISTO SECONDO LA SACRA SCRITTURA
La figura di Cristo si trova al centro di tutta la Sacra Scrittura (SS), perch in Cristo si compie la pienezza della
rivelazione cristiana (DV 4). Di fatto, tutta la SS si riferisce a Cristo (Lc 24,27; Gv 5,39). Per questo, LAT si pu
considerare come la preparazione per la venuta di Cristo nella pienezza dei tempi (DV 15). Alcuni dei testi pi
significativi che parlano di Cristo Messia nellAT sono:
- Gen 3,15 (protovangelo): Promessa del Messia Redentore.
- 2 Sam 7,12-13: Il Re-Messia sar dalla stirpe di Davide e regner per sempre.
- Is 7,14: Il Messia nascer da una giovane donna e si chiamer Emmanuele (Dio con noi).
- Mic 51: Il Messia nascer a Betlemme.
- Dan 7,13-14: Visione gloriosa del Messia- Figlio delluomo che contrasta fortemente con i poemi che troviamo in
Isaia sul Servo di Jahv.
Tutto il NT invece, dominato dalla domanda chi Ges?. Nei vangeli troviamo la principale testimonianza sulla
vita e dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore. Perci i vangeli godono di una particolare importanza biblica; essi
costituiscono il centro vitale di tutta la SS (DV 8).
In Cristo si compiono pienamente tutte le profezie dellAT: Lui il Messia Redentore atteso lungo i secoli dal popolo
di Israele. Lui il Cristo, il Figlio del Dio vivente confessato da Pietro (Mt 16.16). Infatti, Lui si rivolge a Dio
chiamandolo Abba (Padre), perci in Cristo viene anche rivelato il mistero della Santissima Trinit. Cristo si presenta
come lunico Mediatore: Io sono la via, la verit, e la vita. Nessuno va al Padre se non per mezzo di me (Gv 14,6).
- Negli scritti giovannei, il Cristo appare principalmente come il Verbo incarnato inviato dal Padre per amore agli
uomini (prologo: Gv 1,14; 3,17). Lui anche il buon Pastore (Gv 10) che conosce le sue pecore e chiama ciascuna
per nome a una comunione di vita intima con lui.
- San Paolo, invece, ci presenta a Cristo anzitutto come Colui che si umiliato fino alla morte di croce per i nostri
peccati ed risorto per farci partecipare a una nuova vita. Inoltre, in Cristo tutti formiamo un solo corpo (la Chiesa)
secondo il disegno stabilito dal Padre. I brani pi significativi sono gli inni cristologici di Fil 2,6-11; Col 1, 13-20;
Ef 1,3-10.
In definitiva, tutto linsegnamento della SS sul mistero di Ges Cristo si pu riassumere nella confessione di Pietro: Tu
sei Cristo, Figlio dei vivi (Mt 16,16).

II.

INSEGNAMENTI DEI GRANDI CONCILI CRISTOLOGICI.

325

Defin la divinit di Ges Cristo dichiarando che consustanziale al Padre


(omousios to patri: DS 54). Il Concilio ha condannato leresia di Ario che
considerava Cristo come una creatura, anche se la prima e la pi eccelsa tra di esse.

431

Defin lunicit della persona di Cristo e, come conseguenza la natura, che Maria
veramente Madre di Dio (DS 251). Con questa dichiarazione si condannava leresia
nestoriana che affermava in Cristo lesistenza di due persone o ipostasis. Il Verbo
abiterebbe nella persona umana di Ges come in un tempio. Quindi, tra le due
persone potrebbe esserci una perfetta unione morale ma non ununione ontologica.
Perci, Maria non sarebbe Madre di Dio (Theotokos) ma soltanto Madre di Cristo
(Cristotokos).

451

il concilio cristologico pi importante. Definisce la dualit di natura in Cristo in


ununica persona divina: due nature unite ontologicamente nella persona del Verbo
senza cambiamento n divisione, senza confusione n separazione (DS 302). Il
concilio condann leresia monofisita di Eutiche e Dioscoro che affermavano
lesistenza di una sola natura in Cristo come risultato dellunione tra natura divina e
natura umana. Quindi, ritenevano che Cristo una Persona con due nature prima
dellunione ipostatica (ex duabus natrae) ma non dopo lunione (in duabus naturae).

NICEA

EFESO

CALCEDONIA

COSTANTINOPOLI III

680- Sulla scia del concilio di Calcedonia, dichiara che in Cristo si trovano due volont e
681 due operazioni naturali senza divisione n cambio, senza confusione n
separazione. La volont umana di Cristo non resiste alla volont divina ma coopera
con questa e gli sottomessa (DS 556). Questa definizione del concilio condannava
leresia monotelista che affermava in Cristo lesistenza di una sola volont. In realt,
il monotelismo non altro che una conseguenza o variante del monofisismo.

60

III. SPIEGAZIONE DELLUNIONE IPOSTATICA: DUALIT DI NATURA NELLUNIT DELLA PERSONA


In Cristo si da una dualit di natura (umana- divina) nellumanit della persona (Il Verbo), ci vuol dire che la natura umana di
Cristo bench sia perfetta non costituisce una persona umana perch non sussiste in s ma nel Verbo.
Il fatto che la natura umana di Cristo non abbia sussistenza propria, non diminuisce la sua dignit perch pi degno esistere in
qualcosa pi nobile che avere esistenza propria. E nemmeno si pu dire che la natura umana di Cristo sia impersonale, anzi, la sua
personalit divina.
Questo ci permette di capire meglio che lunione ipostatica non un unione accidentale (nestorianesimo) e che questa unione non
si fece nella natura (monofisismo). Pertanto, bisogna affermare che lunione ipostatica ununione sostanziale di due nature nella
persona del Verbo.
Infatti, se lunione ipostatica fosse accidentale, il Verbo non sarebbe fatto uomo. Non si potrebbe parlare di Incarnazione bens di
inabitazione perch mancherebbe lunione ontologica, si tratterebbe soltanto di ununione morale tra due soggetti diversi.
Con altre parole, la natura umana di Cristo non pu essere unita accidentalmente al Verbo perch lunione che un supposto ha con
la sua propria natura non mai accidentale, altrimenti non potrebbe sussistere in essa. E il Verbo sussiste nella natura umana come
uomo, ossia, uomo. Questa realt, lessere uomo, gli conferita mediante un atto formale sostanziale, atto che gli accidenti non
possono comunicare perch al di sopra del loro ordine. Dunque, il fatto che Cristo preesista sin dalleternit non implica che la
natura umana sia stata unita posteriormente a lui in maniera accidentale perch la assunse in modo di essere vero uomo. Lunione,
pertanto, si realizz nella persona (ipostasis) rimanendo entrambe nature in confuse ma unite, precisamente perch appartengono
alla stessa persona (Il Verbo).
IV. LA COMMUNICATIO IDIOMATUM
Questa espressione si usa per esprimere la mutua convertibilit delle caratteristiche particolari che appartengono alle singole nature
di Cristo. Siccome le nature di Ges sono sostanzialmente unite tra di loro, si pu attribuire allumanit ci che appartiene alla
natura divina e vice versa. Tuttavia, questa comunicatio non pu realizzarsi arbitrariamente. Per esempio: si pu dire che Dio
morto perch Cristo essendo Dio e vero uomo mor sulla croce. Ma non si pu dire che la divinit morta perch Cristo in quanto
Dio immortale.
Una regola generale pu essere: i nomi concreti di una natura si possono predicare dai nomi concreti di unaltra natura (concretis
de concretis: Dio uomo), mentre che i nomi astratti di una natura non si possono predicare dai nomi astratti dellaltra natura
(abstractis de abstractis non est: la divinit umanit, falso).
V.

VALUTAZIONE CRITICA DELLE CRISTOLOGIE CONTEMPORANEE; ORIENTAMENTI DEL MAGISTERO

ECCLESIASTICO
Tra i teologi contemporanei ci sono alcuni che hanno tentato di reimpostare la cristologia utilizzando concetti pressi dalla filosofia
e dalla psicologia moderna. Perci molte tendenze cristologiche attuali girano intorno al io di Cristo. Questi studi hanno
contribuito a rinnovare e ad approfondire nella cristologia ma, in molti casi le conclusioni tratte da queste riflessioni hanno portato
a fare delle affermazioni sbagliate o imprecise, soprattutto per non tener conto della cristologia classica. Alcune delle teorie moderne
pi importanti sulla Cristologia sono:
Assumptus homo (Dodat di Basly):
Espressione di origine patristica che viene a dichiarare lesistenza in Cristo di due io come conseguenza dellintegrit delle sue
nature. Dodat distingue in opposizione a san Tommaso tra persona e individuo per garantire la perfetta autonomia della natura
umana di Cristo (lassumptus homos) e perci afferma che in Cristo ci sono due individui in una sola persona. Con questa si nega
lunione ipostatica perch tra due individui autonomi non pu esserci che ununione morale.
Nel 1951, Pio XII, nellenciclica Sempiternus Rex rifiuta la dottrina come veniva sposta da Dodat e da L. Seiller, suo discepolo.

Riguardo lio di Cristo:


GALTIER: in Cristo ci sono due io, ma lio umano sa di non essere lespressione di una persona umana ma divina perch grazie
alla visione beatifica vede nella divinit la sua appartenenza al Verbo.
Critica: questa divisione a livello psicologico manca di fondamento biblico e filosofico perch in Cristo c un solo soggetto.
PARENTE: In Cristo c un solo io, lio divino del Verbo, conosciuto sia dallintelligenza divina che da quellintelligenza umana
di Ges. La mente umana di Ges capace di esprimere unautocoscienza divina grazie allunione ipostatica e alla visione beatifica.
GALOT: In Cristo c un solo io ma questo io divino conosciuto dalla mente umana di Ges per una particolare esperienza
mistica.
Critica: La mistica appartiene allambito del chiaro-oscuro della fede ma Cristo non aveva la fede bens la visione beatifica.
Paolo VI dichiar in Cristo lesistenza di un solo io vivente ed operante in una doppia natura:divina ed umana. Infatti, in Gv 17,5
Ges parla di s e manifesta la sua autocoscienza di essere vero Dio e vero uomo. Quindi, dallunit ontologica della persona di
Cristo ne segue pure la sua unit psicologica.
Il giro cartesiano (Gunther e A. Rosmini)
Tentano di definire la persona a partire dalla sua soggettivit.
Gunther: persona = autocoscienza. In Cristo ci sono due intelligenze. Unione ipostatica = unit dinamica delle coscienze in Cristo.
Posizione condannata da Pio IX nel 1857 (DS 2828)
Rosmini: Persona = apertura a Dio = percezione innata dellEssere oggettivo. In Cristo, questa apertura fu tale da identificarsi con
il Verbo in maniera che la volont umana lascia di essere personale perch viene totalmente governata dal Verbo.
Posizione condannata dal Santo Ufficio: si parla di unione ipostatica in termini di azione e non di essere dimenticando che gli atti
non sono costitutivi della persona ma provengono dalla persona gi costituita (DS 3227).

61

TEMA 22: LUmanit di Cristo


I.
TESTIMONIANZA BIBLICA SULLA PERFEZIONE UMANA DI CRISTO.
Il Vangelo ci mostra nellannunciazione del angelo alla Vergine Maria che il Figlio di Dio si incarnato nel suo grembo,
cosi anche per lo stesso motivo affermiamo che Ges Cristo ha una vera natura umana come la nostra. Questa verit ci
stata rivelata in diversi passi e in diversi modi nel Nuovo Testamento. La Sacra Scrittura contempla il concepimento
verginale di Ges nel grembo di una donna, della nascita del Signore e della sua crescita, la sua vita come un uomo
adulto, la sua predicazione e la sua morte.
Gli apostoli stessi parlano sullumanit di Cristo: Uno solo, infatti, Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini,
l'uomo Cristo Ges (1 Tim 2,5); si pu confrontare anche Rom 5,15 e 1 Cor 15, 21-22. Dello stesso modo San Paolo
afferma che Cristo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge (Gal 4,4).
Uno dei testi che esprime la realt della umanit di Gesu si trova nel prologo del Vangelo di Giovanni: E il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14).
Nel N.T. si trovano anche diverse testimonianze chiare tanto sullumanit di Gesu che sulla realt materiale del suo
corpo; infatti vediamo che Gesu aveva bisogno di mangiare e di bere (Mt 4,2; Mt 11, 19; Gv 4,7; Gv 19,28), di dormire
(Mt 8,24) e di riposare (Gv 4,6). La mostra pi chiara sulla realt della sua carne, la sofferenza durante la sua passione
e la sua morte veramente umana e corporale nella croce.
II.
COSCIENZA MESSIANICA DI GESU.
Il testo del vangelo di Matteo 16, 16 sulla confessione di Pietro Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente ci mostra
chiaramente il messianismo di Cristo: Ges, e il Cristo.
La figura di un Messia paziente che salva il popolo per mezzo della morte, era una idea molto lontana alla realt per il
popolo giudaico; basta ricordare Ges annunziando la sua passione e morte ai discepoli e la sconcertata loro reazione
(Mt 16, 21-24), anche dopo la Sua risurrezione con i discepoli cammin a Emas (Lc 24, 20-26). Lo scandalo della
croce era difficile da capire, anche fra i pi intimi di Ges.
molto significativa il modo sottile e discreto con che Ges impiega al suo titolo di Messia: Lui accetta i titoli messianici
(Gv 4, 25-27), e non gli rifiuta quando gli lo riconoscono, come per esempio nella confessione di Pietro (Mt 16, 16; Lc
9, 20). Lui non nega che il Messia e anzi, si presentato davanti ai discepoli di Giovanni Battista come Colui che
doveva venire (Lc 7, 18-23). Lagire di Ges agisce come Messia si vede sin dallinizio della sua vita pubblica, afferma:
Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete al vangelo (Mc 1, 15). Ges mostra il suo
carattere messianico di modo pedagogico, si rivela poco a poco per evitare false interpretazioni ed evitare confusioni
della sua Persona come un liberatore politico di fronte allImpero Romano. Possiamo farci delle domande.
Ges sapeva che era Dio? Ges conosceva quale era la sua missione? Come poteva Ges portare a termine la sua
missione se non conosceva gli aspetti esenziali di essa? Come seguire un Messia che ignora aspetti essenziali della sua
missione?...
La risposta a queste domande positiva, Ges sapeva quale era la sua missione e non si sbagliato rispetto alla sua
dimensione kentica. Ci sono quattro posizioni di un documento della Commissione Teologica Internazionale:
1. La coscienza di Ges testifica la relazione figliale al Padre. Il suo comportamento e le sue parole, che sono quelle
del perfetto servitore, implicano una autorit che supera quella degli antichi profeti e corrisponde soltanto a Dio.
Ges prendeva quella autorit imparagonabile dalla sua singolare relazione con Dio, che Lui chiama Mio Padre.
Aveva coscienza di essere il Figlio unico di Dio e, in questo senza, di essere Lui stesso Dio.
2. Ges conosceva lo scopo della sua missione: annunziare il Regno di Dio e renderlo presente nella Sua Persona, nei
suoi atti e nelle sue parole, cosi che il mondo sia riconciliato con Dio e sia rinnovato. Ha accettato liberamente la
volont del Padre: dare la sua vita per la salvezza di tutti gli uomini; se sapeva di essere inviato dal Padre per servire
e dare la vita per tutti quanti (Mc 14,24).
3. Per realizzare la sua missione salvifica, Ges ha voluto riunire gli uomini in ordine al Regno di Dio e convocarli
intorno a s. In ordine a questo disegno, Ges ha realizzato degli atti concreti, la cui unica interpretazione possibile,
presi nel suo insieme, la preparazione della Chiesa che sar definitivamente costituita negli eventi della Pasqua e
della Pentecoste. Perci, necessario affermare che Ges ha voluto fondare la Chiesa.
4. La coscienza che Ges ha di essere inviato dal Padre per la salvezza del mondo e per la convocazione di tutti gli
uomini nel popolo di Dio implica, misteriosamente, lamore di tutti gli uomini, in modo che tutti possiamo dire che
il Figlio di Dio mi ha amato e si dato per me (Gal 2,20).
Le quattro posizioni mostrano gli aspetti pi importanti della questione:
1. Ges ha mostrato chiaramente nei suoi gesti e parole che cosciente della sua relazione filiale al Padre, e
conseguentemente di essere Lui stesso Dio, e daccordo a questa sua consapevolezza ha agito con autorit divina.
2. Ges conosceva la sua missione, la accetta e d la vita per tutti noi.
3. Ges ha voluto fondare la Chiesa.
4. La coscienza che Ges ha della sua missione li permette dare la vita per ogni uomo.

62

III.

PERFEZIONI DELL UMANIT DEL VERBO INCARNATO: SANTIT E GRAZIA; SCIENZA PERFETTA;
VOLONT E LIBERT IMPECCABILI.

Santit e grazia:
Lc 1, 35: Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scender su di te, su te stender la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che
nascer sar dunque santo e chiamato Figlio di Dio >. La santit di cui parla langelo consiste nellassoluta presenza di
Ges alla persona del Verbo, Lui santo, prima di tutto, con la santit del Verbo al che appartiene per opera dello
Spirito. Lui santo anche con santit veramente umana: lazione dello Spirito Santo riempie Ges dei suoi frutti e doni.
Questa santit la fonte della santit di tutti gli altri uomini.
Per lIncarnazione, la natura umana di Cristo stata elevata alla maggiore unione possibile con la divinit con la
Persona del Verbo che qualsiasi essere possa essere elevato. Da qui, dal punto di vista della umanit del Signore, la
unione ipostatica il maggiore dono che Lui stesso abbia potuto ricevere, per questo si chiama grazia di unione. Per
questa unione, Ges, essendo persona nel e per il Verbo, Figlio naturale dal Padre, per esprimere questa santit si usa
di solito lespressione santit sostanziale, infatti Ges Figlio per natura, e si chiama sostanziale perch la natura
umana sta unita al Verbo sostanzialmente.
Bench lumanit di Cristo sia santa sostanzialmente, la sua appartenenza al Verbo in unit di persona fa molto
congruente che riceva in pienezza la grazia abituale, le virt infuse e i doni dello Spirito Santo. Anche se per lunione
ipostatica la umanit di Cristo sia stata santificata sostanzialmente, se non ricevesse la grazia abituale rimarrebbe in se
stessa semplicemente umana, senza essere divinizzata con quella trasformazione che eleva la natura e le operazioni del
anima al piano della vita intima di Dio.
Sono tre le ragioni per affermare la esistenza della grazia abituale in Cristo:
1. La prossimit dellumanit di Cristo alla fonte della grazia il Verbo-, faceva molto conveniente che ricevesse da
Lui linflusso della grazia.
2. Lanima di Cristo, per la sua vicinanza al Verbo, doveva raggiungere a Dio il pi intimamente possibile per mezzo
delle sue operazioni di conoscenza e amore, perci aveva bisogno di essere elevata dalla grazia.
3. Cristo, in quanto uomo, mediatore fra Dio e gli uomini e capo di tutti i santi; perci doveva avere una grazia che
influisca negli altri. Dalla sua pienezza tutti abbiamo ricevuta la grazia (Gv 1,16).
Anche possiamo parlare in Cristo di una grazia capitale, non una grazia diversa della grazia personale del Signore,
sino piuttosto un aspetto di essa, la sua qualit santificatrice.
Esiste una doppia faccia di pienezza di grazia: Cristo ha avuto tutta la pienezza intensiva della grazia (in quanto
perfezione), e la pienezza estensiva (in quanto i doni e le grazie ai quali si stendono).
Scienza perfetta:
Appartiene alla fede che Cristo ha una doppia intelligenza: una divina e una umana. In quanto Dio, il Verbo possiede la
scienza divina, che infinita e incomunicabile allUmanit assunta; in quanto uomo, ha tutte le conoscenze possibile
alla natura umana: visione beatifica, scienza infusa e scienza acquistata. Lc 2, 52: E Ges cresceva in sapienza, et e
grazia davanti a Dio e agli uomini. Si chiama cos alla conoscenza intima e immediata di Dio che propria dei beati
del cielo e li rende simili a Lui perch lo vedono cosi come egli (1 Gv 3, 2), faccia a faccia (1 Cor 13, 12).
Laffermazione dellesistenza della scienza di visione in Cristo durante la sua vita terrena si afferma sul Nuovo
Testamento: Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre (Gv 6, 46). Questa
esistenza della scienza di visione si fonda sullunione della natura umana col Verbo; come conseguenza di questa unione,
lintelletto umano di Cristo godeva di una piena e immediata conoscenza del Verbo.
Scienza infusa o profetica: La scienza infusa la conoscenza che non si acquista per mezzo della ragione, ma che
proviene direttamente da Dio per mezzo della comunicazione di alcune idee alla mente umana. diversa alla conoscenza
di visione, per mezzo della quale si vede Dio immediatamente in s stesso. Un esempio di scienza infusa la conoscenza
profetica. I testi del N.T. suggeriscono questo tipo di conoscenza quando dicono che conosceva i pensieri segreti del
cuore degli uomini, o degli avenimenti futuri. Ma Ges, avendo subito conosciuto nel suo spirito che cos pensavano
tra s, disse loro: Perch pensate cos nei vostri cuori? (Mc 2,8); E altri passi comeGv 1, 47-49; Gv 2, 25; Gv 4, 1718.
Scienza sperimentale o acquisita: Si intende il complesso delle conoscenze che luomo acquisisce con le proprie forze,
partendo dai sensi e dallesperienza. Lintelletto umano, basandosi sui dati dellesperienza sensibile, ha la capacit di
conoscere ci che le cose sono, non solo le loro apparenze, e di conoscere le loro cause, le loro relazioni con le altre
cose, ecc. Ges acquisiva quelle conoscenze e con lapplicazione della mente e tenendo conto delle conoscenze degli
altri: Ma egli replic loro: Quanti pani avete? Andate a vedere. E accertatisi, riferirono: Cinque pani e due pesci.
(Mc 6,38). Accettare lesistenza di una conoscenza acquisita in Cristo, e quindi progressiva, conseguenza del realismo
con cui accettiamo lIncarnazione del Verbo. Appare chiaro che la conoscenza di Ges avr avuto una portata limitata,
poich la sua intelligenza umana si sar sviluppata nelle concrete situazioni storiche della sua esistenza, che erano
limitate nello spazio e nel tempo. Anche la chiarezza e lacume della sua intelligenza gli avr fatto comprendere la realt
delle cose che via via sperimentava con molta maggiore profondit e saggezza degli uomini.
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Volont e libert impeccabili:


Lassenza di peccato in Cristo deve impostarsi in tre realt fondamentali:
1. Lunione ipostatica: Le Persone sono quelle che corrispondono alle sue azioni secondo la Loro Propria natura, se
Cristo avesse commesso peccato, sarebbe la Persona del Verbo quella che avrebbe commesso peccato per mezza
della natura umana.
2. La santit di Dio: La stessa Santit infinita di Dio incompatibile con qualsiasi ombra di peccato.
3. La sua missione di Redentore: La sua missione di redimere il mondo contraria a che in Cristo esistesse peccato.
Lui il Sacerdote Santo che non ha bisogno offrire vittime e sacrifici per se stesso, sino per i suoi fratelli, e non
sarebbe stato modello perfetto se esistesse peccato in Lui.
Gli autori cattolici come Pietro Lombardo, Duns Scoto e Tommaso dAquino, affermano che la impeccabilit viene a
Cristo per la stessa unione ipostatica, e che pertanto assoluta e precedente a qualsiasi altra grazia. S. Tommaso afferma
una impeccabilit metafisica, questo ci porta a domandarci rispetto al tema della Sua Libert:
Come potrebbe dirsi che Cristo era impeccabile in ragione della sua propria Persona e allo stesso tempo possedere una autentica
libert umana?

La risposta del santo considera che il peccato non appartiene alla natura umana in se stessa; sino che piuttosto stato
introdotto nel uomo contro la sua natura. La libert si manifesta nellelezione, ma lelezione in quanto tale non
essenziale nel atto libero, e meno ancora nellelezione fra bene e male: La volont e libera perch causa del suo
proprio atto. Essendo il bene loggetto proprio della volont, non esiste contraddizioni fra essere libero e non poter
scegliere il male; ci che esiste precisamente perfezione della libert.
IV.
UNIONE IN CRISTO DELLA VISIONE DI DIO E DELLA CONDIZIONE DI VIATOR
La principale difficolt ci si presenta al teologo che vuole ammettere lesistenza della scienza di visione in Cristo
consiste in ammettere che durante la sua vita terrena Egli fu nello steso tempo viator e comprehensor, cio nello stato
di chi in cammino e nello stato finale. Questo sembrebbe contraditorio in se stesso, ma bisogna dire, allo stesso tempo,
che per questo stes-so motivo che Lui pu redimerci.
San Tommaso: impossibile che lo stesso soggetto e sotto lo stesso aspetto cammini verso il suo fine e nel contempo
riposi in esso. Perci sostiene che Cristo si trova nello stato camminante in quanto alla passibilit dellanima e del
corpo, mentre in quanto alla profondit dellanima, ha gi raggiunto lo stato finale. Quindi laffermazione non
contradditoria. Il Santo insegna che Cristo sulla terra era insieme viator (cio in stato di progresso) e comprehensor
(cio in stato al termine) Precisa per accuratamente che questo si dice sotto due aspetti diversi, cio in quanto in
rapporto a due termini formalmente differenti: da una parte, la beatitudine in quanto riguarda la sola anima spirituale
(=beatitudine essenziale); daltra parte, in quanto concerne la beatitudine comunicata allessere corporeo (= i beni che
completano la beatitudine).

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TEMA 2 3: Cristo Red ento re


I.
LA MEDIAZIONE DI GES CRISTO: SENSO SALVIFICO E FONDAMENTO NELLA CRISTOLOGIA;
Dio ha voluto istaurare un rapporto di salvezza con gli uomini e si servito spesso di personaggi scelti, uomini che, per
volont di Dio, hanno avuto il compito di trasmettere la salvezza, hanno compiuto unopera di mediazione (per es.
Mos). Ma il mediatore per eccellenza Ges Cristo che incarna personalmente Dio. Tutti i misteri della nostra
redenzione sono esclusivamente di Cristo; lesclusivit della salvezza la detiene Cristo; universalit: tutti gli uomini
sono salvati per Cristo, non c nessuno escluso dalla salvezza. Sotto questo trattato bisogna considerare quattro punti
fondamentali per capire meglio la mediazione cristologica partendo dai dati della rivelazione:
Il senso salvifico e fondamento nella cristologia:
La centralit soteriologica di Cristo non deriva soltanto dal fatto che Egli il Salvatore, lAutore della salvezza, ma
anche dal fatto che Egli incarna la salvezza in modo tale che essa pu avvenire soltanto nella partecipazione al Suo
mistero. Salvarsi partecipare ai misteri di Ges, e avere parte con Cristo (Gv 13,8), pervenire alla risurrezione
eterna. Quindi gli aspetti della mediazione salvifica di Cristo sono strettamente legati alla Sua costituzione personale e
con la Sua missione, che si svolge nel tempo e in una storia segnata dal peccato. I punti seguenti costituiscono il
fondamento cristologico della mediazione:
1. Lunione ipostatica fondamento della Nuova Alleanza: significa dire che in Cristo convergono la Trinit e luomo;
vuol dire che Cristo lambito comune della Trinit e dellumanit. Cristo il dono che Dio offre agli uomini ed
allo stesso tempo il dono che gli uomini donano a Dio (tutto ci che umano). La fondazione cristologica della
mediazione si trova nella persona, nel Verbo incarnato in quanto persona, in quanto Figlio eterno di Dio, e quindi
la seconda persona della Trinit. Ges Figlio di Dio sia come Dio sia come uomo; quindi lunione ipostatica
il fondamento della mediazione salvifica di Cristo; e per capire come Cristo sia mediatore, bisogna tener presente
che Lui Mediatore in quanto Figlio di Dio e in quanto si incarnato.
2. La Nuova Alleanza: Cristo, autocomunicazione di Dio e pienezza delluomo: La dimensione iconica fonda il fatto
che Ges sia il sacramento di Dio; in Cristo Dio comunica se stesso agli uomini; ci che viene comunicato lo
stesso comunicatore; attraverso le parole e le opere di Cristo, noi conosciamo il Padre; tutto ci che Cristo fa la
visibilizzazione dellamore del Padre: non solo lo fa conoscere ma anche lo attua, fino a donarci lo Spirito.
Dimensione responsoriale: Ges come rivelatore delluomo e del senso dellumano. Questa dimensione ci presenta
Ges come colui che risponde perfettamente al Padre. Ges limitato dalla Sua umanit ma dentro questa umanit la
perfetta risposta allamore del Padre; qui si svela anche il senso che ha lumano. In Cristo, tutte le dimensioni umane
sono manifestazioni e strumenti della filiazione eterna di Cristo. La filiazione eterna si esprime in due modi: divino e
umano; nella sua umanit Lui si manifesta come il Figlio di Dio e manifesta anche il vero senso delluomo (cfr. GS 22);
Lui mostra e comunica la sua filiazione agli uomini; e questi offrono la loro filiazione e la vita di ciascuno a Dio Padre.
3. Lo Spirito umano di Cristo come centro della sua perfetta mediazione: lo spirito umano di Cristo la sua anima,
il suo cuore (nel senso biblico); questo spirito umano il centro della sua mediazione perfetta; in questa parte
dellumanit, che Lui assume, che Lui allo stesso tempo: icona (Ges coglie intellettualmente e affettivamente
la volont del Padre; questo amore sorge spontaneo nello spirito di Cristo); e risposta al Padre, il luogo da dove
scaturiscono le decisioni umane; il luogo della responsabilit e della responsorialit, il luogo dove Ges dice
s alla volont del Padre.
4. Il ruolo della natura divina e della natura umana nella mediazione di Cristo: Ges mediatore perch uomo e
non perch Dio, ma la specificit della sua mediazione perch Dio (Verbo) e non perch uomo; Uno solo
il Mediatore, il Cristo uomo. Lui, attraverso la Sua umanit pu comunicare Dio agli uomini; e attraverso Essa
pu dare a Dio lobbedienza e lamore che spetta a Lui; quello che Lui dona a Dio la Sua umanit perfetta, che
racchiude in se tutto lumano. La specificit della mediazione di Cristo si fonda sulla persona del Verbo; senza
questa dimensione, non superiamo la mediazione di tutti i mediatori dellAT. Tutta la sua mediazione impregnata
dalla Sua filiazione divina: Lui la perfetta risposta allamore del Padre perch Dio; la Sua personalit divina
caratterizza perfettamente la Sua mediazione umana e fa s che questa mediazione sia definitiva e superiore.
La venuta di cristo e il peccato umano:
Per capire pi concretamente il senso e il modo della mediazione di Cristo imprescindibile tenere presente la storia
delluomo prima di Cristo sin dalla sua creazione, e la realt della prima caduta e della successiva storia di peccato
dellumanit: Il peccato segna profondamente la storia dellumanit e del singolo uomo, disgregando e corrompendo
limmagine di Dio che in lui e introducendo una molteplicit di fratture nel disegno di Dio sugli uomini. Propria
questassenza di legame vitale con Dio, causato dal peccato, si traduce per luomo in un destino di sofferenza e di morte,
nella sottomissione ai limiti della sua condizione di creatura e introducendo una vera economia di peccato nella quale il
genere umano appare iscritto.
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Lofferta dellamore di Dio allumanit continua malgrado il peccato nella quale si trova luomo. In tale condizione
(sopra descritta) la mediazione si realizza e si rivolge sia nel mondo che alluomo di peccato. Per attirare verso di S il
peccatore, Dio si presenta in Cristo pieno di misericordia verso tutti e arriva a caricare se stesso con tutti i peccati umani,
dellintera condizione umana peccatrice, per distruggerla nella perfetta carit del Suo cuore. Ges nella Sua giustizia e
innocenza assume in Se stesso tutto lambiente umano corrotto col quale viene a contatto, dandolo un nuovo senso e
integrandolo nel disegno di Dio. Quindi la venuta di Cristo, la Sua assunzione dellumano nella condizione decaduta, la
Sua solidariet e comunione con gli uomini serve come la via della Sua opera redentrice.
In poche parole, possiamo dire che la venuta di Ges nel mondo rende Ges solidale con il mondo. Questa solidariet
il fondamento particolare dellopera di redenzione. Sulla base di questo fondamento, Cristo assume lintera realt umana
e la trasforma interiormente. La grazia di Cristo il principio formale di questa trasformazione. In questo senso si pu
parlare di una dinamica costitutiva della Redenzione, perch le varie realt per essere redente devono essere assunte a
trasformate da Cristo. Poi, mediante il contatto dinamico con Lui la realt creata acquista una nuova condizione, si situa
in un nuovo contesto di relazione con Dio, e di conseguenza, si perfeziona internamente.
Ges, Re, Profeta e Sacerdote: La triplice funzione redentrice di Cristo
Il fondamento della mediazione redentrice di Cristo il fatto dell'unione ipostatica, l'essere perfetto Dio e perfetto uomo.
Il Verbo usando la Sua umanit come strumento comp la redenzione in queste tre maniere. Questi tre funzioni sono
prefigurati nell'AT in applicazione al Messia e nel NT sono compiuti in Ges Cristo.
Il re nell'A.T. sorge all'epoca di Samuele per iniziativa umana che poi ricevette l'approvazione di Dio. Lui un "unto di
Dio" che governa il popolo partecipando alla regalit di Dio, il qual il Re dIsraele e simpegna nel dare la pace al
popolo in un periodo con molte guerre. Quando Cristo rivela il Regno di Dio, al tempo stesso, si rivela come Figlio del
Padre. Essendo Lui il figlio del Padre misericordioso, in Lui si realizza la sovranit di Dio. Lo ha mostrato con la Sua
stessa persona, lo ha provato con le Sue parole e opere (ha scacciato i demoni, ha guarito ogni infermit, etc.), giudica
con la Sua propria autorit, governa in modo di servizio (come Pastore). La Sua sovranit universale.
Il profeta dell'AT era il portavoce di Dio. Si pu dire che Lui rivela Dio, il Suo messaggio, la Sua legge, e la Sua volont.
Egli testimonia anche con la Sua vita. Ges, il Profeta del NT, l'unico Maestro, ha rivelato il Padre nella Sua persona
stessa. Lui insegna con la Sua autorit come Verbo di Dio e come la Verit stessa. Confermandoli con i Suoi miracoli
e vita. Ges stesso si attribuisce implicitamente il titolo di "profeta" in Mc 6,4.
Il sacerdote dell'AT luomo del culto. Egli il mediatore fra Dio e il popolo attraverso il sacrificio, offrendo il sacrificio
di lode, ringraziamento, e despiazione dei suoi peccati e di quelli del popolo. Ges anche sacerdote fin dal primo
istante della sua Incarnazione, perch sacerdote come uomo, consacrato sostanzialmente dall'unione personale col
Verbo. Ges Cristo, il Sommo Sacerdote del NT, l'unico che compiutamente e simultaneamente Sacerdote e Vittima
stessa del sacrificio. Il suo sacrificio perfettissimo perch c' l'unit tra il sacerdote, il sacrificio e la vittima (S.
Agostino). Questo Suo sacrificio gradito al Padre perch dal Figlio; un sacrificio che espia ogni peccato perch
vers il Suo proprio sangue una volta per sempre sulla Croce.
Il valore salvifico dei misterio della vita di Ges: Soteriologia della vita nascosta di Cristo e del suo ministero pubblico

Ges Cristo con la sua umanit ha ricapitolato in s l'intera creazione. Ha assunto la natura umana fino ad addossarsi le
conseguenze del peccato. Si inserito pienamente nella famiglia umana, ha lavorato con le sue stesse mani e ha
conosciuto la sofferenza. Tutto ci meritevole della salvezza perch Lui, il pieno di grazia, capace di elevare tutti al
piano soprannaturale, e con la sua coscienza messianica tutte le sue azioni, pienamente libere, sono compiute per
realizzare la volont di Dio, che la salvezza degli uomini. La sua vita intera, la passione e la morte, quindi, sono volute
da Dio per redimere l'umanit.
1. Durante la Sua vita nascosta, Cristo ricapitola in s, assumendola, la parola della creazione e della Legge e la
situazione comune dellumanit. Lassunzione delle situazioni della vita ordinaria come la famiglia, il lavoro, la
sofferenza costituisce linizio della ricapitolazione della realt in Cristo e della redenzione del mondo, che culminer
con lopera pasquale. Ges partecipa di tutte queste realt e le inserisce nel suo specifico rapporto col Padre. cos che
Egli d inizio alla salvezza senza rendere testimonianza espressa della propria gloria. Fin dalla sua vita nascosta Cristo
il Redentore. Egli apre alla salvezza la vita ordinaria delluomo.
2. La vita pubblica di Ges iniziata col Suo Battesimo - costituisce un nuovo periodo della Sua missione di Salvatore.
In esso si concentra soprattutto la rivelazione di Cristo come Messia atteso dal popolo dIsraele. Ges inizia allora
lannunzio della Buona Novella, dellarrivo del Regno con le sue caratteristiche. La predicazione va accompagnata dai
miracoli e soprattutto dalla propria testimonianza di vita. La bellezza dellinsieme di questi elementi attira i primi
discepoli, che sono scelti e formati personalmente da Ges. Poi a poco a poco si costituisce una schiera di discepoli in
diverse cerchie che dovranno essere le colonne del nuovo popolo di Dio.
Tutto questo fenomeno della manifestazione messianica di Cristo, pu essere visto come una convocazione. Ges attira
verso di Se molti discepoli, d vita a un movimento spirituale, suscita determinate attese nel popolo con i Suoi miracoli
e la predicazione. Tuttavia questa convocatio non fine a se stessa, non si ferma ad un messaggio o a suscitare una
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maggiore pratica religiosa, ma si apre ad un futuro, molto presente nelle parole e nei misteri della vita di Ges in questo
periodo. Il popolo convocato attorno a Cristo, alla Sua vita e mistero ad assistere al definitivo intervento salvifico di
Dio nella storia, allevento pasquale di Cristo, rivelazione definitiva del mistero di Dio e del Suo disegno filiale.
II.
IL MISTERO PASQUALE: MORTE, RISURREZIONE, ED ASCENSIONE DI GES CRISTO
1. La morte di Ges: Cristo era morto e fu sepolto veramente. Tutti i vangeli testimoniano questo. C' poi evidenza
tra alcuni scrittori antichi non cristiani (ad es. Flavio Giusephus) su questo fatto. Sin dall'inizio del cristianesimo questa
verit mantenuta nei simboli della fede; confessato e predicato dagli apostoli di tutta la Chiesa. Ci sono tre punti
salienti: a) La morte la separazione dell'anima dal corpo. ci che accaduto all'umanit di Ges; la sua anima
separata dal corpo. Ma la Chiesa confessa e insegna sempre che la sua divinit (il Verbo) era sempre unita al Suo corpo
e alla Sua anima. "Cristo... messo a morte nella carne, reso vivo nello spirito" 1 Pt 3,18-20. b) La morte di Cristo la
consumazione irrevocabile del Suo amore. Nell'ora della morte si pu riassumere l'intera vita di Cristo perch il
culmine della Sua obbedienza al Padre quando gli offre il principio stesso di tutti i Suoi atti di fedelt: Cristo si dona nel
Suo proprio essere. c) Il Suo corpo era sepolto, un fatto testimoniato dagli apostoli ed evangelisti. La Sua anima discesa
agli inferi per liberare i giusti (At 2,27-31); questa dottrina fu insegnata dai Padri della Chiesa. SantIreneo: "Cristo
disceso agli inferi per proclamare la salvezza alle anime giuste."
2. Cristo veramente risorto (nel terzo giorno dopo la sua morte): Questo una verit fondamentale della nostra fede
cristiana (1Cor.15,17). La risurrezione di Ges, come si confessa nei simboli, un avvenimento storico e soprannaturale
(perch il corpo di Cristo animato dallo Spirito di una vita divina). La testimonianza evangelica proviene dai quattro
elementi: il sepolcro vuoto, la verit oggettiva delle apparizioni, la testimonianza dei visionari (le donne etc.) e degli
Apostoli che hanno dato la loro vita per difendere questa verit. Da parte di Cristo, c' l'identit numerica - lo stesso
Ges che morto e risorto, il Suo corpo tiene carattere glorioso: appare soltanto, quando vuole, pu entrare nella casa
con le porte chiuse etc. Ma ritiene un vero corpo umano (Lc 24,39), ha le funzioni nutritivi, sensitivi, ecc. risorto,
unendo la Sua anima al Suo corpo, con la Sua propria potenza. (Le conseguenze della Risurrezione: La Risurrezione
principio di vita nuova per l'umanit; La Risurrezione principio di filiazione divina per gli uomini; La Risurrezione
principio e fondamento della risurrezione corporea degli uomini.).
3. Cristo salito al cielo: Si professa nei simboli della fede che Ges Cristo salito corpo e anima con la Sua propria
potenza . La Sacra Scrittura ci mostra chiaramente questa verit: Mc 16,19; Lc 24,51. asceso in cielo come Dio e come
uomo, e quindi si suppone un certo "movimento locale". Perci l'Ascensione un momento naturale (storico) e
sopranaturale (CCC 660). Nel cielo siede glorioso alla destra del Padre, e intercedendo eternamente (come Re, Profeta,
e Sacerdote) per noi tutti.
III.
LA MODALITA DELLOPERA DI SALVEZZA: SACRIFICIO E RISCATTO
Perch muore Ges? Qual il senso salvifico della morte di Cristo? Come attestano i Vangeli ed i libri
neotestamentarie la morte di Cristo ha avuto luogo per i nostri peccati, come riscatto per molti (Mc 10,45), come
sacrificio di Alleanza per noi (Mc 14, 24).
1) La teologia del Sacrificio: La prima comunit cristiana, sulla scia di quanto affermato dal Maestro stata fortemente
convinta che la Croce di Ges fosse il sacrificio perfetto e definitivo per la giustificazione e la donazione perenne della
grazia (paragonando questo sacrificio a quello dellAT). Gli autori del NT hanno attribuito alla morte di Ges un valore
di propiziazione e despiazione, che evidenzia la finalit della Croce nella cancellazione dei peccati. Poi in continuazione
al processo di spiritualizzazione della nozione di sacrificio hanno sottolineato il fatto che sono lobbedienza alla volont
del Padre e lamore allumanit a fondare la novit di questo sacrificio. Perci il sacrificio di Cristo raggiunge la
categoria di dono, alla quale rimanda la consegna libera e totale di Se stesso fatta da Ges per amore (Ef 5,2; 1 Gv
9,10).
2) La redenzione e il riscatto: Lidea di redenzione nellAT si sviluppa anzitutto nellambito del diritto. Si riscatta
qualcuno da una situazione giuridica di schiavit, di debito e, in generale, di necessit. Dio si presente come il Redentore
del popolo, e lo riscatta con braccio teso e grandi castighi (Es 6,6), fondato sulla solidariet che Egli ha stabilito
quando ha scelto Israele come Suo popolo. Il riscatto dIsraele risponde ad una gratuita iniziativa divina perch Egli
per Israele come un Padre o una Madre; in questo senso e a motivo della Sua Onnipotenza, Dio non paga per Israele un
prezzo di riscatto. Egli libera semplicemente con il Suo intervento nella storia. Mentre nel NT Paolo considera lopera
di Ges come una redenzione dalla condizione di miseria, di peccato e dalle passioni: tutti hanno peccato e sono privi
della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la Sua grazia, in virt della redenzione realizzata da Cristo
Ges (Rm 3,23-24). Una redenzione che stata onerosa: Ges ha dovuto versare il Suo Sangue per la nostra salvezza.
Si paragona perci la Sua passione a un prezzo: non a prezzo di cose corruttibili, come largento e loro, foste liberati
dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti
e senza macchia (1 Pt 1,18-19). La vita consegnata da Ges stato il prezzo del nostro riscatto. Egli ci ha liberati dal
peccato, dal potere delle tenebre, dalle legge perch viviamo nella nuova condizione di grazia e giustificazione. Ci che
frutto del Suo amore e misericordia infinita verso di noi.

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IV. FRUTTI DELLA REDENZIONE: LIBERAZIONE, GRAZIA, SANTIFICAZIONE.


1) Liberazione: Ges Cristo ci ha riconciliato con Dio perch ci ha liberato da tutto ci che ci allontana da Lui. Egli
ci ha liberato dal peccato (Ef 1,7); dal potere del diavolo (Gv 12,31); dalla pena per il peccato (direttamente per la
"soddisfazione" ed indirettamente rimettendo il peccato che la causa della pena); dalla morte in quanto conseguenza
del peccato (Rm 5,12-17); dalla legge (Rm 7, 1-6).
2) Grazia: Luomo reso ingiusto dal peccato era divenuto disgraziato, incapace di ricevere lamore divino e di
comunicarlo. Nelle sue opere non regnava pi lamore divino ma lamore di se, ed egli era incapace di uscire di questa
situazione. Perci serviva di nuovo la presenza della grazia, la quale deriva dalla vita stessa della Trinit. Il principio
della grazia la novit che Dio apporta per ricostruire il mondo e per lavarsi il mondo dal peccato. Questa grazia ci
che abbiamo ricevuto come frutto della redenzione di Cristo. Ci che ci fa diventare figli di Dio nel Figlio.
3) Santificazione: Con la passione, morte e risurrezione del nostro Signore siamo diventati nuove creature: nella Sua
grande misericordia Egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Ges Cristo dai morte (1 Pt 1,3). Solo in Cristo,
con Lui e in Lui siamo giustificati e diventati santi: Cristo Ges, il quale per opera di Dio diventato per noi sapienza,
giustizia, santificazione e redenzione (1 Cor 1,30); Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel
nome del Signore Ges Cristo e nello Spirito del Nostro Dio. 1 Cor 6,11; Ef 2 mostra la nostra vecchia condizione e il
passaggio alla vita giusta e santa.
La Chiesa frutto dellopera redentrice
Frutto dellopera salvifica di Cristo la comunione di vita che si instaura tra Ges e gli uomini e tra gli stessi redenti
cio ci che compongono il Corpo Mistico di Cristo, quale la Chiesa, avendo anche Cristo come suo Sposo. Infatti, per
il battesimo gli uomini entrano nella condizione di figli di Dio e ricevono la vita dellUnigenito Incarnato, Morto e
Risorto, acquistando con Lui un legame non solo esterno ma anche interno: una partecipazione nella vita soprannaturale.
S. Tommaso dAquino ha espresso questo mistero indicando che il Capo e le membra formano come una sola persona
mistica.
Questa comunanza si riferisce allora alla vita, indica unit dintenti e di destino, di gioie e sofferenze, ma soprattutto di
beni spirituali. il mistero della comunione dei santi, i quali sono uniti in Gesu Cristo con vincoli pi forti e qualificati
di quelli umani.
La salvezza nellambito della storia umana
La storia umana ha il suo inizio nella creazione dAdamo ed Eva, procreatori di tutto genere umano e del peccato.
Subito dopo la caduta, tutta lumanit e la storia umana sono segnate dalla macchia del peccato e delle sue conseguenze.
Ma Dio, che la pienezza dellamore e della misericordia, non ha abbandonato luomo n tutta la Sua creazione bens
li guida verso la realizzazione del Suo disegno di salvezza in termini di rigenerazione, risplamazione o ricreazione in
Cristo. Per questo, Ges cancella il peccato e introduce le conseguenze negative di questo, come la sofferenza e la
morte, allinterno e al servizio del progetto divino di salvezza. Egli integra nella pienezza della Sua umanit filiale
lintera condizione umana, innalza quanto la creatura ha di positivo, quanto riflesso della grandezza divina, e trasforma
interiormente la miseria, la indegnit e la depravazione del peccato. La storia e la condizione umana sono rinnovate da
Ges, per la via dellassunzione e della loro integrazione in Se stesso. C un rinnovamento che non stravolge la realt
di partenza: luomo resta toccato dal peccato, inserito in una storia segnata col nero, ma la presenza dellassunzione e
della grazia cristologica cambia il dominio del peccato in comunione con Dio.

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TEMA 24: Maria, Madre di Dio e Madre nostra


I. MARIA NELLA SACRA SCRITTURA
Antico Testamento: Triplice preannuncio di Maria, sotto la forma di una preparazione morale, tipologica e profetica.
Specialmente ci sono tre figure attribuite a Israele applicabili a Maria: Israele-Sposa di YHWH; Madre-Sion e VergineFiglia di Sion. Anche il titolo Arca dellAlleanza, la dimora escatologica di Dio in mezzo al suo popolo. Sulla
preparazione profetica: fondamentalmente ci sono tre testi profetici che i cristiani associamo a Maria: il protovangelo di
Gn 3,15; la vergine che concepir di Is 7,14; la donna partoriente di Mic 5, 2-3.
Nuovo Testamento: Delineacion gradual de la figura di Maria. Si possono riconoscere tre tappe:
a) La sobriet e discrezione dei testimoni pi antichi (Paolo e Marco). I primi testi del NT si centrano su
unaffermazione fondamentale: Ges, il Figlio di Dio, nato da una donna, Maria. Cos lo scrive San Paolo in Gal
4, 4-5, senza nominarla esplicitamente. Nel vangelo secondo Marco la gente chiama Ges il figlio di Maria. Un
altro elemento presentato da Marco che lingresso nel Regno, predicato da Ges, si fa per via della fede e
delladempimento della volont di Dio, quella via percorsa in modo esemplare da Maria.
b) La lettura pasquale pi sviluppata (Matteo e Luca); Matteo presenta Maria in un contesto pieno di reminiscenze
messianiche; la figura della Gebirah si riscontra facilmente in Maria in scene come ladorazione dei Magi: Maria
nella funzione materna ha una dimensione di segno collegata al riconoscimento del Bambino da parte dei gentili.
La Madre presentata in un secondo posto, ma inseparabilmente unita al Figlio. Si d una speciale importanza
allunit di vita tenuta durante tanti anni: Ges ha con Maria un vincolo che non ha con nessunaltra persona al
mondo. Luca senza dubbio lautore che offre pi informazione sulla persona di Maria in tutto il NT; oltre a
interessarsi sulla sua persona d una speciale attenzione al ruolo che svolge nella storia della salvezza e in relazione
alla Chiesa (negli Atti). Maria appartenente al tempo del Cristo, anzi, Lei che lo inaugura col suo fiat. presente
in modo particolare la concezione verginale di Ges e il progredire del suo cammino di fede e obbedienza nella
realizzazione del piano divino. Lopera lucana offre la venerazione teologica alla Madre del Signore cos come
era vissuta nella Chiesa primitiva, evidenziata soprattutto dalle menzioni che si fanno nel libro degli Atti (la sua
presenza alla Pentecoste in At 1, 14).
c) La ricerca del significato che lopera di Ges nella sua umile serva ha per la Chiesa (Giovanni e Apocalisse);
Giovanni presenta pochi testi mariani ma quei pochi sono tutti situati in momenti basilari. Maria la Madre di
Ges, totalmente legata alla sua opera che continua nella Chiesa di cui un chiaro segno. La maternit messianica
diventa poi spirituale per tutti i redenti da Cristo sulla croce. La fede di Maria ha un ruolo salvifico: lelemento
che, alle nozze di Cana, inizia il processo che si chiude con la fede dei discepoli. Un altro momento fondamentale
il Calvario, quando giunta lora di Ges e la sua Madre l ai piedi della croce. NellApocalisse, le figure di
Maria e della Chiesa si soprappongono evidenziando lo stretto rapporto che c tra loro. (La donna di Ap 12).
La Dottrina mariana nella Tradizione della Chiesa
Per i Padri, Maria di Nazaret una dimensione evidente ed essenziale dello stesso Vangelo e, come Vergine Madre di
Dio centrale nel cristianesimo, non una realt a se stante, ma inserita nel mistero di Cristo e nel mistero della Chiesa.
Sec. II: La riflessione mariana sempre fatta nellambito della discussione cristologica. SantIgnazio di Antiochia - il
primo dopo il NT a elaborare un primitivo schizzo dei principali tratti della vera immagine di Maria - difendeva il
mistero della verginit di Maria che manifesta il mistero di Cristo e la sua vera maternit che assicura la realt storica
del Signore. Dello stesso periodo sono san Giustino e santIreneo di Lione, che presentano nelle loro riflessioni dei
parallelismi antitetici Maria-Eva.
Sec. III: Si confessava Ges Cristo, Figlio di Dio, nato dallo Spirito Santo e Maria Vergine nel simbolo della fede. I
principali autori di questo secolo sono Tertulliano e Origene che davanti agli eretici difendono la maternit divina di
Maria, la concezione verginale e la verginit perpetua.
Da Nicea a Efeso (325-431) let doro della patristica, si sveglia linteresse specifico per la Madre del Signore e si
sviluppa fortemente la devozione mariana. Spiccano le figure di Padri orientali come santAtanasio, santEfrem di Siria
- che diede inizio alla tradizione innologica mariana -, i Cappadoci che difendevano il dogma mariologico fondamentale:
la maternit divina; i Padri occidentali hanno loriginalit di una maggiore attenzione alla persona di Maria e alla sua
figura morale, assente di imperfezioni, la loro novit sono le considerazioni fatte sul peccato originale e lassenza in
Maria della stessa colpa. SantAmbrogio, il padre della mariologia latina, fu il primo a correggere lopinione di Origene
sulle imperfezioni in Maria; la riflessione fondamentalmente si centra sulla maternit divina - luso del termine
Theotokos comincia a generalizzarsi -, la concezione verginale e la verginit perpetua, e nel campo della liturgia si tiene
una forte produzione omiletica e innologica.
Da Efeso a Calcedonia. Nel 431, il concilio ecumenico di Efeso dichiar ufficialmente Maria Madre di Dio
riconoscendole il titolo Theotokos, dopo il concilio si tenne una pi intensa diffusione del culto mariano, specialmente
in Oriente, il genere omiletico si svilupp ancora e con esso la dottrina mariana. In questo periodo si sottolinearono
69

specialmente i titoli, immagini e figure bibliche applicabili a Maria e si diede molta importanza al parto verginale,
allonore e al suo potere dintercessione. San Leone Magno, nel Tomus ad Flavianum, lega intimamente la sua dottrina
mariana alla cristologia.
Da Calcedonia alla fine della patristica. Si approfondiscono la conoscenza e celebrazione liturgica di Maria, si
sviluppano i prolegomeni sullassunzione. In ambito liturgico si compone linno Akathistos, un canto di ringraziamento
equivalente al Te Deum latino. Questultimo periodo patristico dominato dalla figura storica verginale di Maria, la
Tutta Santa, e soprattutto dalla sua figura e funzione celeste di gloriosa Signora e potente interceditrice.
Nel medioevo la mariologia sinserisce nella teologia monastica dove Maria contemplata come Regina gloriosa, Madre
di Misericordia e Mediatrice di Cristo e della Chiesa, si tengono le dispute dogmatiche sulla verginit nel parto,
lassunzione e limmacolata concezione. La scolastica introdusse un nuovo modello teologico che riflette su Maria la
Madre di Dio, piena di grazia e vicina a Cristo secondo lumanit.
Nellepoca moderna si impone la concezione protestante di Lutero che ritiene Maria Madre di Dio, sempre vergine,
santa esemplare ma non mediatrice. Il modello barocco reag diffondendo la figura di Maria caratterizzata dalla
grandezza, dai privilegi, e dal trionfo. In questo tempo appare il trattato di mariologia.
Nel periodo contemporaneo, prima del Vaticano II si definirono i dogmi dellImmacolata Concezione e
dellAssunzione, si favor la mariologia dei manuali; dopo il concilio si avviata una nuova riflessione mariologica che
comincia a dare frutti.
Maria Madre di Dio e Sempre Vergine
Nella persona del Verbo sussistono le due nature, umana e divina, essendoci cos un soggetto unico. La persona di Ges
divina, Maria madre di questa persona secondo lumanit assunta come propria. quindi Madre di Dio.
La maternit divina di Maria stata liberamente voluta da Dio che vuole nel suo piano salvifico la cooperazione umana
ove trova luogo lo speciale ruolo di Maria Vergine come Madre. (cfr CCC 488) La Sacra Scrittura testimonia la maternit
di Maria, per esempio in Lc 1,43, quando Elisabetta saluta Maria come madre del mio Signore. In Gal 4, 4-5, il Figlio
venuto nella pienezza dei tempi, nato da donna; il vangelo secondo Giovanni riconosce Maria come Madre di Ges,
Gv 2, 1; 19, 25.
Le eresie che negarono la maternit divina furono il nestorianesimo, che considera lunione ipostatica come solo morale
e non reale e allora la divinit abita in Cristo come in un tempio, quindi Maria sarebbe solo Cristotokos; e il monofisismo,
che riconosce in Cristo una sola natura, divina, non essendo Ges perfetto uomo non si pu affermare la maternit divina
di
Maria.
Gli
interventi
del
Magistero
sono:
il
Concilio
di
Efeso dichiar il dogma della Maternit divina di Maria chiamandola Theotokos, titolo pi volte confermato da ulteriori
concili; il Papa Paolo VI, nella Marialis Cultus dichiar il primo giorno dellanno come festa della Divina Maternit di
Maria.
La verginit di Maria una conseguenza dellIncarnazione del Verbo per opera dello Spirito Santo e non per concorso
duomo; essa si pu intendere in tre sensi: spirituale o morale, fisico e assoluto, stretto: nel primo caso si tratta di una
condizione che possono vivere tutte le madri consistente nellintegrit della fede, speranza e carit, il secondo senso si
riferisce a un privilegio esclusivo di Maria, perch la concezione del Figlio di Dio opera solo dello Spirito Santo; il
senso assoluto la volont consapevole e libera di appartenere interamente a Dio. Maria Vergine prima, durante e
dopo il parto, prima perch la sua vita tutta consacrata a Dio, durante il parto per il medesimo privilegio divino
dellIncarnazione del Verbo, e dopo a causa della sua consacrazione a Dio e perch non ebbe pi figli con san Giuseppe
che visse lo stesso stato di castit. Maria dunque perfetta e perpetuamente vergine come si professa nel Credo et
incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, un sinodo Lateranense (649) sotto Martino I defin a Maria sempre
vergine; Paolo V nel 1555 condann coloro che non credessero lintegrit verginale di Maria anche dopo il parto; e la
Lumen Gentium afferma che il Figlio suo non diminu la sua verginale integrit, ma la consacr.
La Prima tra tutti i redenti: LImmacolata Concezione, la Tutta Santa, e Assunta in cielo
Il dogma dellimmacolata concezione di Maria significa il singolarissimo privilegio di essere preservata da ogni macchia
del peccato originale in previsione dei meriti di Cristo, fu definito da Pio IX nel 1854 l8 dicembre con lenciclica
Ineffabilis Deus; ci sono tre principali fondamenti di questa verit:
a) La maternit divina: Dio prepar per suo Figlio una madre degna di accoglierlo, la sua purezza si addice alla
missione di essere Madre di Dio.
b) La cooperazione alla redenzione: essa culmina al Calvario dove Maria si unisce al sacrificio del suo Figlio,
insieme e subordinatamente a Cristo presenta al Padre la vittima pura, santa e immacolata, conveniva che
questa offerta materna venisse da un cuore puro, santo e immacolato, in questo modo Maria pu essere
veramente la perfetta cooperatrice di Ges sulla Croce.
c) La maternit universale: la santit originale della Madonna la situa sulla via del perfetto amore, e quindi della
maternit universale, della totale disponibilit. Daltra parte, questo privilegio ispira il fervore nel contemplare
Maria.

70

La verit dellimmacolata concezione presente nella Sacra Scrittura, nel protovangelo (Gn 3, 15); nellannunciazione
quando lAngelo saluta Maria piena di grazia, e nella donna dellApocalisse (cap. 12). Lumen Gentium accenna questo
dogma quando deve parlare del ruolo di Maria come membro, modello, tipo, Madre della Chiesa e co-redentrice del
genere umano.
La Tutta Santa. La madonna oggettivamente e soggettivamente santa; nel primo caso santa nel corpo e nellanima,
perch non mai stata sottomessa al peccato n alle sue conseguenze corporalmente e la sua anima fu riempita dello
Spirito Santo come nessunaltra creatura; soggettivamente santa perch tutta la sua vita consacrata a Dio. La santit
di Maria non solo assenza di peccato ma si intende analogicamente a Cristo, perch la maternit divina e lessere coredentrice richiedono la pienezza di santit; questa santit non e per ontologica, (frutto dellunione ipostatica come in
Cristo) ma come un privilegio divino singolare. La santit positiva di Maria significa la sua crescita costante nella santit,
nella corrispondenza fedele alla volont divina, specialmente dal momento dellincarnazione del Verbo col suo fiat fino
al Calvario. In ragione della sua immacolata concezione assente della concupiscenza e di ogni imperfezione. Non si
pu concepire maggiore pienezza dinnocenza e santit allinfuori di Dio.
LAssunzione. Il dogma stato dichiarato dal Papa Pio XII nellenciclica Munificentissimus Deus (DH 3900), l1
novembre 1950, l si sottolinea il fatto che finito il corso della sua vita terrena Maria stata assunta in corpo e anima
nella gloria celeste. Si tratta di un evento soprannaturale che contenuto nella Rivelazione in modo formale implicito.
Basandosi sulluniversale credenza della Chiesa, sugli scritti dei Padri e le considerazioni degli scolastici si dichiar
questo dogma, che inoltre poggia su 5 argomenti di convenienza: 1. la maternit divina, era conveniente che il Figlio
nel suo grande e onnipotente amore volesse glorificarla nel corpo e nellanima; 2. la verginit perpetua converrebbe che
sfociasse nella glorificazione del corpo dopo la morte; 3. lassociazione con Ges in tutto il mistero della sua vita,
specialmente nella croce, la unisce anche alla sua vittoria e merita la glorificazione in vista ai meriti di Cristo; 4. per la
pienezza di grazia e benedizione, attestata dalla Scrittura; 5. per la sua immacolata concezione. Lassunzione una
singolare partecipazione alla Risurrezione del suo Figlio e unanticipazione della risurrezione degli altri cristiani (CCC
966).
II. LA SPECIALE PARTECIPAZIONE DI MARIA ALLOPERA DI SALVEZZA E LA SUA MEDIAZIONE MATERNA
La mediazione materna di Maria.
Maria partecipa allopera della salvezza come co-redentrice perch per volont del Padre attivamente associata a Cristo
in modo di essere co-redentrice universale, integrale e totalmente dipendente da Cristo. Universale perch si estende a
tutto larco della salvezza; integrale perch la sua cooperazione ha come oggetto tutta la salvezza dellumanit senza
limiti, partecipa alla salvezza oggettiva e soggettivamente (nel primo caso con la sua obbedienza, nel secondo perch
partecipa allapplicazione della grazia con la sua unione meritoria a Cristo). La sua funzione materna non oscura in
nessun modo lunica mediazione di Cristo ma ne mostra lefficacia; ogni salutare influsso della Madonna sgorga dai
meriti di Cristo e si fonda sulla sua mediazione, da essa dipende assolutamente. Ma allo stesso modo che il sacerdozio
di Cristo partecipato in diversi livelli dai ministri sacri e dal popolo, la mediazione di Cristo non esclude nelle creature
la cooperazione partecipata ma la suscita, cos Maria occupa il primo posto in questa partecipazione. Maria quindi
mediatrice, e in virt della sua intima unione con Cristo supera tutte le altre mediazioni. La mediazione unica del Cristo
non esclusiva ma inclusiva, nel caso della Madonna la mediazione ha un carattere speciale e straordinario che come
specificit ha la maternit, ordinata sempre alla nuova nascita di Cristo nel mondo (cfr. LG 60).
Maria, Madre della Chiesa
Il papa Paolo VI si rifer a Nostra Signora col titolo Mater Ecclesiae durante il concilio e insegn che il suo primo
fondamento la stessa maternit divina: la Madre di Cristo lo anche del suo corpo mistico. La costituzione Gaudium
et spes (n. 53) spiega che Maria veramente madre delle membra di Cristo per avere cooperato col suo amore alla
nascita nella Chiesa dei fedeli che la salutano come membro del tutto singolare della Chiesa, il suo prototipo e modello
nella fede e nella carit. Pur essendo Madre della Chiesa non si trova al di fuori della Chiesa ma il membro pi eccelso.
Esiste in Maria una ragione misteriosa per cui Lei pu e deve essere chiamata Madre nostra; Lei la Madre del Figlio
di Dio e per la sua co-redenzione Madre spirituale di ogni uomo redento da Cristo e Madre della Chiesa; tutto in virt
della sua intima unione al Sacrificio redentore di Ges; le parole Donna, ecco tuo figlio, Ecco, tua Madre sono
soltanto la proclamazione solenne dei vincoli di maternit e filiazione che, nellordine dello spirito, esistevano gi tra
Maria e tutti gli uomini.

71

TEMA 2 5: La Chiesa di Cristo


I.
LATTUAZIONE DEL DISEGNO DEL PADRE SULLA CHIESA PER OPERA DI CRISTO
(CCC 759,761)
a) La nascita di Ges Cristo in ordine alla formazione della Chiesa:
La pienezza del tempo (Gal 4,4), designa linizio arcano del cammino della Chiesa (GP II, Enc. Redemptoris Mater,
1/3). i) I Vangeli dellinfanzia: Nei Vangeli, Ges presentato come Cristo, discendente di Davide liberatore del popolo
dIsraele, annunziato dai profeti (Mt 1,21). In Ges, si compiono i vaticini circa un discendente di Davide che sarebbe
stato buon pastore del popolo (Mt 2,2). I due capitoli di Luca chiarisce il senso della sua nascita in chiave cristologica e
ecclesiologica. Israele entra nella fase definitiva del pieno compimento dei vaticini profetici circa la sua restaurazione
(Lc 1,33). Il regno sar perpetuo. ii) Maria esordio della Chiesa: La presenza di Maria essenziale alla formazione
della Chiesa sin dallinizio del suo cammino. Il fiat di Maria prestava a Dio la perfetta obbedienza della fede. Maria
Madre diventava cos, la prima discepola di suo Figlio (RM 20/7). Fede di Maria precede la testimonianza apostolica
della Chiesa.
b) Lattivit prepasquale di Ges:
La comunit dei discepoli: Lo scopo dellistituzione dei Dodici innanzitutto stare con Ges, condividere la sua vita.
Poi, per mandarli a predicare. Il gruppo dei discepoli non si riduce ai Dodici. Luca menziona la missione di settantadue
discepoli. Devono pure annunziare la vicinanza del regno di Dio e curare i malati. I discepoli costituiscono una vera
comunit attorno al Maestro. Dai Vangeli chiaro che egli non costitu una comunit separata dal resto del popolo
dIsraele: la sua offerta di salvezza, era rivolta a tutto il popolo.
La prospettiva del tempo di assenza visibile di Ges: Per la giusta comprensione teologica dellorigine della Chiesa in
Ges, occorre cogliere bene la novit e insieme la continuit della comunit postpasquale dei discepoli rispetto a quella
prepasquale. Ges durante la sua attivit prepasquale, si riferito diverse volte a un tempo nel quale egli sarebbe stato
assente dalla comunit dei discepoli. Ges promette a Pietro dei poteri che suppongono la ekklesia nel tempo di assenza
fisica di Cristo (Mt 16,19).
Luniversalismo della salvezza presente nellattivit prepasquale di Ges: Nella sua attivit prepasquale, Ges restringe
lambito della sua azione agli Israeliti e non solo come realt di fatto, ma come scelta di principio. Lepisodio della
preghiera della donna Cananea, lepisodio della guarigione del servo del centurione, la conclusione della parabola dei
vignaioli omicidi, ecc. evidenziano aspetti universali della salvezza.
c) Lultima cena nella formazione della Chiesa:
I Sinottici inquadrano lultima cena nel contesto pasquale. Questa volta gli evangelisti ne evidenziano la singolarit. La
cena viene preparata secondo precise indicazioni di Ges (Lc 22,15). Il gesto tradizionale del capotavola, nel pranzo
festivo israelitico, di prendere il pane, recitare la preghiera di benedizione, viene realizzato da Ges ed acquista ben altro
significato: identificazione del pane col suo corpo (Lc 22,19). Il voi riguarda coloro ai quali destinata lEucaristia.
Versato per molti, una moltitudine che esprime luniversalit a cui mira la morte redentrice di Ges. Cristo la nuova
alleanza nel suo sangue, chiamando gente dai giudei e dalle nazioni, perch si fondasse in unit non secondo la carne,
ma nello Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio (LG 9/1). Con lordine di Ges fate questo in memoria di me la
comunit dei discepoli proiettata verso il futuro. Bench nellultima cena listituzione dellEucaristia costituisce il
momento centrale e pi decisivo per la formazione della comunit, altri gesti e parole di Ges si rivelano pure come
decisivi per la formazione della Chiesa. Ges, promette loro il dono dello Spirito Santo, la sua presenza con loro e in
loro (Gv 14,16-17).
d) La morte e risurrezione di Cristo nella formazione della Chiesa:
Che la Chiesa sia formata dal sacrificio di Cristo nella croce un insegnamento esplicito del N.T. At 20,28: Vegliate
su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio,
che egli si acquistata con il suo sangue. Ef 5,25-27: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei. Eb 9,1315: Ges col suo sacrificio sulla croce ha suggellato la nuova alleanza. Concilio Vaticano II dice Questopera della
redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio [] stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo
del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale morendo
ha distrutto la nostra morte e risorgendo ci ha ridonato la vita. Dal costato di Cristo dormiente sulla croce scaturito il
mirabile sacramento di tutta la Chiesa (SC 5/2).
e) Lopera di Cristo risorto prima dellascensione:
Le prime parole del Cristo risorto sono lincarico di missione (Gv 20,21). Non se ne specifica n il contenuto n i
destinatari: ci che importa la continuit. Nel conferire lincarico di continuare la sua missione, trasmette il potere di
rimettere i peccati. Lobiettivo della missione, quello di rendere discepoli tutti i popoli. Ges promette la sua presenza
nella comunit dei discepoli. Luca rende esplicita la destinazione universale della missione (Lc 24,45). Vi aggiunge la
promessa del dono dello Spirito Santo (At 1,8). A Pietro viene affidata la funzione pastorale rispetto a tutto il gregge
(Gv 21,).
72

II.
IL REGNO, LA SALVEZZA, E LA COMUNIONE IN QUANTO OGGETTO DELLA MISSIONE DELLA CHIESA.
a) La Chiesa e il regno:
Nella fase attuale la Chiesa il germe e linizio del regno. Vi una tensione dialettica, nella fase attuale della storia
della salvezza, tra la Chiesa e il regno, tensione fatta didentificazione e di distinzione. Il concilio sottolineava
lidentificazione affermando che la Chiesa il regno di Cristo gi presente in mistero (LG 3). Lazione divina fuori dei
confini della Chiesa il motivo della distinzione. Lunione degli uomini con Dio e tra di loro, si manifesta anche
visibilmente. Nel tempo intermedio la missione della Chiesa tende a rendere partecipi tutti gli uomini della redenzione
salvifica, e questo avviene sia verso lesterno sia verso linterno: verso esterno, il che implica lopera di annunziarlo;
verso interno affinch il regno cresca, in ognuno dei fedeli. Anche nel tempo intermedio la missione della Chiesa rispetto
al regno comprende il compito di informare e perfezionare con spirito cristiano lordine delle realt temporali (GS).
Annunzio del vangelo e, cos incorporazione alla Chiesa, contribuisce alla pienezza del regno.
b) La salvezza degli uomini in quanto fine della missione della Chiesa:
Il Concilio Vaticano II, nel decreto Apostolicam actuositatem, offre alcune formulazioni della missione della Chiesa.
La Chiesa nata con il fine di rendere, partecipi tutti gli uomini della redenzione salvifica e per mezzo di essi ordinare
effettivamente il mondo intero a Cristo (AA 2\1). La missione della Chiesa ha come scopo la salvezza degli uomini
che si raggiunge con la fede in Cristo e la sua grazia (AA 6\1). Nel N.T. la salvezza frequentemente intesa in senso
escatologico; ma anche in diversi passi la salvezza riguarda il presente o la conversione battesimale o il perdono dei
peccati. Ad ogni modo, la salvezza ci viene per mezzo di Cristo (At 4,12). Il senso teologicamente primario della
salvezza quello escatologico. La salvezza interessa tutto luomo integralmente, anima e corpo, anche luomo nella sua
socialit. Infatti, la salvezza ha un inizio nella conversione battesimale. Non del tutto realizzata poich rispetto alla vita
eterna siamo diventati eredi, ossia non ancora possessori. La piena salvezza finale non il risultato di un loro sviluppo
immanente lungo la via della salvezza, ma un nuovo dono di Dio con un suo intervento. La missione della Chiesa
riguardo alla salvezza degli uomini mira, ad annunciare la salvezza per mezzo e in Cristo, soprattutto per mezzo dei
sacramenti. Anche lordine della realt temporali interessato dalla salvezza (AA 5).
c) La comunione in quanto compito della Chiesa:
La comunione il vincolo dei cristiani con la Trinit e tra di loro. La comunione cosi intesa il mistero stesso della
Chiesa. Si estende sia ai fedeli qui in terra, sia a quelli che dopo la morte ancora si purificano, sia a quelli che godono
della chiara contemplazione di Dio. Nella fase pellegrinante della Chiesa la comunione allo stesso tempo visibile e
invisibile. Lintima unione dei discepoli di Cristo con lui e per mezzo di lui innanzitutto spirituale. La fede si palesa
esternamente nella professione della fede e nella condotta, lo stesso accade riguardo alla speranza e alla carit. La
comunione con Cristo si realizza per mezzo dei sacramenti. La comunione con gli altri anche visibile: lunanimit di
sentimenti e nella preghiera, e la compartecipazione di bisogni. La comunione destinata a crescere. Ammette dei gradi,
fino alla perfezione escatologica. Essa una realt gi presente, ma ancora da realizzarsi nel futuro definitivo. Il Concilio
descrive il perfezionamento della comunione in termini di crescita di ognuno dei membri e delle parti della Chiesa (LG
13/4). Il consolidamento della comunione verso linterno della Chiesa comprende anche il ristabilimento dei vincoli di
comunione. Inoltre la comunione cresce estendendosi verso lesterno mediante lincorporazione di altri uomini alla
comunione. La comunione, diventa oggetto della missione della Chiesa, perch la comunione genera comunione
(LG32/3).

III.

LA CHIESA POPOLO DI DIO E CORPO DI CRISTO

1. La Chiesa popolo di Dio (CCC 781-786)


Nuovo Testamento
Nel N.T. la Chiesa viene designata come popolo di Dio, quasi sempre sottolineando la continuit rispetto al popolo
dIsraele. Rm 9,25-26 citando Os 2,25, spiega questo fatto. Eb 8,10 citando Ger 31,33: dice il Signore: porr le mie
leggi nella loro mente e le imprimer nei loro cuori; sar il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Mt 1,21: Essa
partorir un figlio e tu lo chiamerai Ges: egli infatti salver il suo popolo dai suoi peccati. Il testo pi significativo
1 Pt 2,9-10: Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si acquistato perch
proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo
eravate non- popolo, ora invece siete il popolo di Dio.
Concilio Vaticano II
Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, capitolo II considera Chiesa come popolo di Dio. La
categoria di popolo sottolinea che la Chiesa soggetto storico, ossia realt composta di persone umane che operano
nella storia. Tuttavia essenziale alla Chiesa lessere di Dio. Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non
individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verit e
santamente lo servisse (LG 9/1). Il popolo caratterizzato dai legami tra coloro che lo compongono, dalla loro
condizione entro il popolo e lordine vigente tra loro. I credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile
ma per la parola di Dio vivo e dallo Spirito Santo costituiscono una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa
un popolo tratto in salvo (LG 9/1). Questo popolo messianico ha per capo Cristo che stato dato a morte per i nostri
73

peccati, ed risuscitato per la nostra giustificazione, e che ora, dopo essersi acquistato un nome che al di sopra di ogni
altro nome, regna glorioso in cielo (LG 9/2). Questo popolo ha per condizione la dignit e la libert di figli di Dio, nel
cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio (LG 9/2). Vi dunque una radicale uguaglianza tra tutti i
membri del popolo di Dio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (LG 9/2). LG
13 dedicato interamente a spiegare luniversalit dellunico popolo di Dio.
2. Chiesa corpo di Cristo (CCC 787-796)
Nuovo Testamento:
Lunit dei credenti in Cristo viene spiegata da san Paolo ricorrendo allimmagine del corpo umano (1 Cor 12,12). La
semplice immagine del corpo non rende sufficientemente ragione dellunit che formano i battezzati. Due passi della
lettera confermano questo senso realistico dellessere corpo di Cristo. 1 Cor 6: Il corpo non per limpudicizia, ma per
il Signore. Chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo
spirito. Il secondo passo ci fa vedere come diventiamo corpo di Cristo. E il pane che noi spezziamo, non forse
comunione con il corpo di Cristo? Poich c un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti
partecipiamo dellunico pane (1Cor 10,16). Nella lettera ai Colossesi e agli Efesini si dice in modo pi chiaro quale
rapporto intercorre fra Cristo e il corpo dei battezzati. In queste altre due lettere, ci viene rivelato che Cristo il capo di
questo suo corpo (Col 1,18; Ef 5,23.30). Ma ulteriore specificazione d Ef 2,14-16. La menzione della croce fa intendere
che il corpo qui indicato si riferisce in primo luogo al corpo di Cristo in croce, ma il contesto suggerisce di intendere
pure che tutti i redenti formano un corpo. La lettera agli Efesini presenta lanalogia sponsale: Cristo lo sposo e la
Chiesa la Sposa. (cfr Ef 5, 21.33).
Storia della riflessione teologica sulla Chiesa:
Nellepoca patristica, lespressione corpus mysticum, indicava il corpo di Cristo nellEucaristia. Dopo la met del secolo
XII lespressione corpus mysticum fu generalmente applicata per indicare la Chiesa quale corpo di Cristo. Leone XIII
pubblica lenciclica Satis cognitum sullunit della Chiesa. Il documento magisteriale pi esteso sulla Chiesa corpo di
Cristo lenciclica di Pio XII, Mystici Corporis. Vi si espone la dottrina sul Corpo mistico principalmente per ci che
concerne la Chiesa nel suo stato pellegrinante. Prima considera la Chiesa come corpo: indiviso e visibile; organico e
gerarchico; dotato dei mezzi necessari di vita, che sono i sacramenti. In secondo luogo, il Papa espone che la Chiesa
corpo di Cristo, perch egli ne il fondatore. In terzo luogo, si espone che la Chiesa corpo mistico di Cristo; mistico
per distinguerlo dal corpo fisico e per sottolineare che non vi si toglie la personalit dei membri. Il corpo mistico ha un
vincolo soprannaturale, che lo Spirito Santo. Nella Lumen gentium la dottrina sulla Chiesa corpo di Cristo espone in
modo sintetico nel numero 7. LG 7/1 enuncia il fatto della costituzione di corpo mistico da parte di Cristo. In LG 7/2 si
spiega come la Chiesa effettivamente il corpo di Cristo e i fedeli vengono uniti realmente a Cristo per mezzo dei
sacramenti. In concreto questo punto viene sviluppato per quanto concerne il battesimo e lEucaristia. In LG 7/3 si
espone lorganicit della Chiesa corpo di Cristo: vi diversit di membra e di funzioni, secondo i doni che lo Spirito
Santo distribuisce, ma egli stesso mantiene lunit del corpo e la solidariet fra le membra. In LG 7/4-6 lo sguardo si
rivolge a Cristo e vi si spiega come egli sia il capo della Chiesa.

IV.

LA CHIESA SACRAMENTO DELLA COMUNIONE.

Lumen gentium si ha tre volte siffatta applicazione rispettivamente nei nn. 1, 9, e 48. LG 1: La Chiesa in Cristo come
sacramento, cio segno e strumento dellintima unione con Dio e dellunit di tutto il genere umano. La Chiesa segno
e strumento: strumento, perch per mezzo della sua attivit si ottiene una tale comunione;e segno perch la comunione
con Dio e del genere umano si rende visibile attraverso la Chiesa. Negli altri due passi della Lumen gentium in sui si
parla della Chiesa sacramento, la realt di cui essa detta sacramento viene indicata come unit salvifica (LG 9/3) e
come salvezza (LG 48/2). Del mistero di Cristo si pu anche dire che segno e strumento dellintima unione con Dio
e dellunit di tutto il genere umano. Questo il mistero di Cristo, che la Chiesa. Perci, la Chiesa sacramento, in
totale dipendenza da Cristo. Dio in Ges d massimamente se stesso ad una natura umana e la santifica in pienezza,
cosicch essa ne diventa la forma visibile (segno) e il mezzo (strumento) del dono di Dio a tutti gli uomini, i quali non
possono ottenere la salvezza, se non unendosi a Cristo, inserendosi nel suo corpo, nella Chiesa. Ecco perch possiamo
chiamare Cristo sacramenti primordiale. La sacramentalit della Chiesa sempre va intesa in rapporto a Cristo, cio
quale prolungamento del mistero di Cristo. Affermarne la sacramentalit significa che non si intendono gli elementi
visibili come contenitore di una realt spirituale invisibile. I sacramenti sono visibili, la fede viene esternamente
confessata e annunciata, la Chiesa strutturata gerarchicamente in modo visibile; e tutti questi sono elementi essenziali
alla Chiesa. Affermare in senso pieno la sacramentalit della Chiesa vuol dire professare la fede nella presenza di Cristo
nella Chiesa e nel suo operare.

74

TEMA 2 6: Struttu ra Gerarchica della Chiesa:


I.

PIETRO E GLI ALTRI APOSTOLI

Pietro il primo apostolo: Il posto e il ruolo speciale svolto dallapostolo Pietro nel NT incontestabile. Fu uno dei
primi a essere chiamato tra quanti sarebbero stati i compagni abituali di Ges; che nel gruppo dei dodici sempre indicato
per primo Egli fece una singolare confessione di Ges. Nella Chiesa primitiva riconosciuto come il destinatario di
unapparizione del risorto e in Gerusalemme era il pi importante dei dodici. I tre brani pi frequentemente utilizzati per
richiamare la funzione speciale di Pietro allinterno del gruppo apostolico sono Mt 16,16-19; Lc 22,31-32; Gv 21,15-17.
Pietro la roccia: Mt 16,16-19: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Beato sei tu, (.). Io ti dico tu sei Pietro
e su questa pietra edificher la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa. Ti dar le chiavi del regno
dei cieli; tutto ci che avrai legato sulla terra rester legato nei cieli, e tutto ci che avrai sciolto sulla terra rester sciolto
nei cieli. Pietro giunto alla sua risposta attraverso laccoglienza di un dono personale di Dio. Simone non pi il
portavoce degli altri discepoli, bens il destinatario e il portatore di una rivelazione. Le tre metafore della rocca, delle
chiavi e del legare/sciogliere nel loro insieme sembrano effettivamente descrivere tutta lautorit di Pietro quale maestro,
pastore e giudice.
Colui che conferma i fratelli: Il secondo testo quello di Lc 22, 31-32. Pietro, dovr rinsaldare la fede dei discepoli:
Simone, Simone, ascolta! Satana ha ottenuto il permesso di passarvi al vaglio come il grano. Ma ho pregato per te,
perch non venga meno la tua fede. E tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli. Nel nostro caso essa suppone
un velato richiamo del rinnegamento di Pietro. Quando Pietro, anchegli vagliato da Satana, sar ritornato a Ges, dovr
confermare nella fede i suoi fratelli.. evidente che Ges vuole affidare a Pietro il compito di sostenere i suoi fratelli.
Il pastore: Il terzo testo quello di Gv 21,15-17: Mi ami tu pi di costoro? Mi ami tu?. La scena, racchiude il racconto
di una riabilitazione dellapostolo, lassegnazione di un compito pastorale, anche lannunzio di una morte da subire a
imitazione del Maestro. Alla risposta positiva di Pietro, Ges risponde con il mandato di pascere i suoi agnelli e le sue
pecore. Cristo dunque il pastore supremo, mentre a Pietro affidato il compito di proteggere e di guidare con attenta
cura le pecore che appartengono a Cristo.

II.

IL PRIMATO DEL PAPA

Il dogma sul primato: La dottrina stata dogmaticamente definita dalla costituzione Pastor aeternus promulgata dal
concilio Vaticano I. Linsegnamento esposto con una particolare terminologia giuridica. Nel capitolo terzo della Lumen
gentium si legge la volont dintegrare la dottrina sul primato del Vaticano I. sulle orme del concilio Vaticano I e ()
ha preposto agli altri apostoli il beato Pietro, e in lui ha istituito il principio e il fondamento perpetuo e visibile dellunit
della fede e della comunione. (LG 18). Pietro chiamato il principio dellunit nella Chiesa, lo si afferma nellordine
della sua visibilit. Il vero soggetto della potest sulla Chiesa unicamente Cristo e che in coloro che agiscono
visibilmente come suoi vicari sono presenti il suo potere e la sua autorit. Ambedue testi conciliari affermano lesistenza
del ministero petrino da intendersi come unistituzione positiva del Signore.
Il primato del beato Pietro: Il primo capitolo della costituzione Pastor aeternus illustra listituzione del primato apostolico
nel beato Pietro. Distinto in due parti: (1) esso afferma che Pietro stato costituito da Cristo quale primo tra gli apostoli
e capo visibile della Chiesa sulla terra; (2) insegna pure che il primato di Pietro da intendersi come un primato di vera
e propria giurisdizione ricevuto da Cristo. Il testo afferma che Pietro ha un primato sui rimanenti undici, intesi
singolarmente e collegialmente. Il canone tocca la stessa persona di Pietro e la costituisce superiore in un senso che noi
oggi diremmo canonico e giuridico. Circa il modo del conferimento, il canone afferma che il primato conferito a Pietro
direttamente e immediatamente da Cristo. Il primato del romano pontefice definito dalla Pastor aeternus collocato nel
livello non della sacramentalit, bens della giurisdizione. Diversamente dal potere, questa autorit, invece, un servizio
che sostenta la realt, la conosce e la fa crescere. In tal senso le figure della roccia e del pastore dicono senzaltro che
questo apostolo voluto dal Signore quale principio visibile di stabilit e di unit nella sua Chiesa.
La perpetuit del primato di Pietro nei vescovi di Roma: Il secondo capitolo della Pastor aeternus dice: Chi dunque
afferma che non per istituzione dello stesso Cristo Signore, cio per diritto divino, il beato Pietro ha successori perpetui
nel primato su tutta la Chiesa, oppure che il vescovo di Roma non il successore di Pietro in questo primato, sia
scomunicato. Questo canone contiene due affermazioni. La prima, infatti, dichiara la necessit che Pietro abbia dei
successori nel suo primato. I compiti affidati da Cristo a Pietro sono legati alla struttura stessa della Chiesa, sicch il
primato di Pietro devessere necessariamente esteso nel tempo tanto quanto estesa la Chiesa. La seconda affermazione
di fede cattolica riconosce che tale successione nel primato si realizza in quella persona fisica, che succede a Pietro sulla
cattedra di Roma. Il senso dellaffermazione del Vaticano I che la trasmissione del primato di Pietro avviene nei vescovi
di Roma.
Natura e portata del primato: Al Papa, si riconosce una potest piena e suprema di giurisdizione su tutta la Chiesa, non
soltanto nelle cose di fede e di morale, ma anche in tutto ci che riguarda la disciplina e il governo della Chiesa. Questa
giurisdizione suprema ordinaria e immediata. Con potest piena e suprema sintende dire che la potest del vescovo
di Roma non pu essere limitata da alcunaltra potest ecclesiastica, ma solo dal diritto naturale e da quello divino. Come
uomo il papa evidentemente sottoposto agli imperativi morali del decalogo. La potest universale perch si esercita
su tuttintera la vita della Chiesa. Ordinaria in quanto annessa allo stesso ufficio del successore di Pietro. Immediata,
la potest del vescovo di Roma pu essere esercitata senza che vi si frapponga alcun intermediario.
75

Il primato papale e autorit episcopale: Secondo la dottrina della Chiesa cattolica il papa vescovo di Roma. Ma in
quanto vescovo di Roma egli al tempo stesso Papa, cio pastore e capo di tutta la Chiesa. I decreti del concilio Vaticano
II non offrono possibilit alcuna di ritenerlo un monarca assoluto in ragione dellinfallibilit. La potest ecclesiastica del
Papa essenzialmente diversa da quella dei capi politici. Neppure in materia ecclesiastica il Papa pu essere ritenuto un
monarca assoluto: egli infatti subordinato al diritto divino e obbligato a tutto ci che Cristo ha disposto per la sua
Chiesa.
Vescovo di Roma e il collegio episcopale: Il primato del vescovo di Roma sempre interiore al collegio. LG 22 afferma
che anche lordine episcopale soggetto di potest piena e suprema. La ragione che il collegio cointende sempre il suo
capo. La presenza nella Chiesa di due soggetti di ununica suprema potest spiega che essi sono solo inadeguatamente
distinti: c un soggetto singolare, che il successore di Pietro, e c un soggetto collegiale, che linsieme di tutti i
vescovi includente necessariamente il vescovo di Roma. Qui, lunit e lunicit della suprema potest sufficientemente
salvaguardata dal fatto che i due soggetti si distinguono tra loro in modo inadeguato (il collegio soggetto di suprema
potest solo perch include il Papa).

III.

LA COLLEGIALIT EPISCOPALE E LE DIVERSE MANIFESTAZIONI DELLO SPIRITO COLLEGIALE

La collegialit episcopale: La communio Ecclesiarum ha il suo primo luogo espressivo nella comunione dei vescovi.
Essi, infatti, nella Chiesa, formano insieme un unico collegium e costituiscono lordo episcoporum. A motivo di questa
inscindibile e soprannaturale unit, ogni vescovo chiamato a esercitare la sua missione nella communio episcoporum..
In LG 22 la dottrina dellunione collegiale dei vescovi articolata su quattro punti ben precisi. Esprime anzitutto, la
certezza che Cristo Ges, costitu i dodici a modo di collegio stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a
loro. In secondo luogo la dottrina sul collegio episcopale afferma che lufficio affidato da Cristo agli apostoli permane
nel sacro ordine dei vescovi, il quale, succedendo al gruppo apostolico nel magistero e nel regime pastorale, ne prolunga
anche la struttura collegiale. Il concilio insegna, inoltre, che come Pietro, scelto tra i dodici, fu messo da Cristo a capo
del collegio apostolico, cos il vescovo di Roma, successore di Pietro, posto per volont di Cristo a capo del collegio
episcopale. Infine uno costituito membro del corpo episcopale in virt della consacrazione sacramentale e mediante
la comunione gerarchica con il capo del collegio e con le membra. Il vescovo di Roma, successore di Pietro, il principio
e il fondamento visibile della communio episcoporum.
a) Concilio ecumenico: La potest del Collegio episcopale su tutta la Chiesa si esercita in modo solenne nel Concilio
ecumenico (can. 3371). La convocazione di competenza esclusiva del Romano Pontefice. A lui spetta anche il
diritto di presiederlo, sospenderlo e approvarne i decreti (can. 3381). Tutti vescovi che siano membri del Collegio
episcopale hanno dovere di partecipare al Concilio ecumenico. (can. 3391).
b) Extra- conciliare: La collegialit pu essere realizzata anche mediante unazione congiunta di tutti i vescovi sparsi
nel mondo, indetta o liberamente recepita dal Papa. (cf. LG 22, can. 337).
La collegialit episcopale si basa anche su altre istituzioni collegiali che non comportano lesercizio pieno della
collegialit, ma si basano sul vincolo di unit collegiale tra i vescovi che deriva da essa.
a) Il Sinodo dei Vescovi (can. 342): Il Sinodo dei vescovi un assemblea di vescovi, scelti dalle diverse regioni del
mondo, che non ha carattere permanente. Il Sinodo fu istituito da Paolo VI con il M.P. Apostolica sollicitudo, del
15 settembre 1965. La funzione del Sinodo consultiva. Ci sono tre tipi:
i)
ii)
iii)

Assemblea generale ordinaria (esempio Sinodo sullEucaristia);


Assemblea generale extra-ordinaria (esempio ventesimo anniversario di concilio vaticano II);
Assemblea speciale (per una ragione della Chiesa)

b) I Concili Particolari (can. 439): Il concilio particolare un assemblea collegiale di vescovi, con la partecipazione
di altri fedeli per provvedere alle necessit del popolo di Dio nelle chiese particolari. Ci sono due tipi: plenari, che
si celebrano per tutte le Chiese particolari di una conferenza episcopale; e provinciali, che riuniscono le Chiese
particolari di una provincia ecclesiastica.
c) Le conferenze episcopali (can. 447ss): La conferenza Episcopale, organismo di per s permanente, lassemblea
dei Vescovi di una nazione o di un territorio determinato, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni
pastorali a beneficio dei fedeli di quel territorio per promuovere il bene della Chiesa. Laffetto collegiale li unisce.

IV.

ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA CHIESA PARTICOLARE

Il can. 368 si limita ad affermare che Le particolari (..) sono innanzitutto le diocesi. La diocesi la porzione del popolo
di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del presbitero, in modo che, aderendo al
suo pastore e da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Vangelo e lEucaristia, costituisce una Chiesa particolare in
cui veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica.
1. Elemento sostanziale: porzione del popolo di Dio.
2. Elementi genetici: Spirito santo (elemento congregante), Vangelo (elemento convocante), Eucaristia
(elemento edificante).
3. Elementi ministeriali: Vescovo (apostolicit), presbiterio.
4. Elemento finale: finalit (l veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica).
76

Ecclesia in Spiritu Santo congregata: Il soggetto convocante della Chiesa precisamente il Padre, che la raduna per
Cristo nello Spirito. Lo Spirito dona ai credenti la fede in Cristo, li riunisce in un solo corpo e li rende figli nel Figlio.
Nella comunit di quanti sono stati rigenerati nel battesimo e sono nutriti dal pane e dal calice eucaristici abita lo Spirito
di Dio. Lo Spirito convoca la Chiesa agendo nella Parola e nel sacramento.
Ecclesia per Evangelium congregata: questa la prima mediazione attraverso cui il Dio trinitario riunisce concretamente
la sua Chiesa. La sua importanza messa in evidenza anche da San Paolo (piacque a Dio di salvare i credenti per mezzo
della stoltezza della predicazione: 1 Cor 1,21). Lannuncio, beninteso, non di un semplice messaggio bens di una
Presenza, quella del Signore, del quale lannunciatore ha fatto esperienza e che ora comunica, affinch si riproduca in
chi ascolta il vangelo. Dalla risposta allannuncio apostolico nasce la Chiesa. Allannuncio del vangelo corrisponde latto
di fede come accoglienza della parola.
Ecclesia per Eucharistiam congregata: La celebrazione dellEucaristia laltra grande azione che costruisce la Chiesa
in un luogo determinato. Essa fonte, centro e culmine di tutta la vita cristiana. Nella carne e sangue del Signore, infatti,
si rinnova lintera fraternit del corpo. Eucaristia tuttavia , non una realt autonoma nella vita della Chiesa. Essa, infatti,
fonte e culmine di tutta levangelizzazione e punto darrivo di un processo sacramentale. NellEucaristia, poi, tutta la
novit battesimale trova la sua manifestazione e piena realizzazione. Si battezzati in un solo Spirito per formare un
corpo solo.
Ecclesia Episcopo cum cooperantione presbyterii pascenda concredita: Questo rimanda direttamente al ministero
specifico della successione apostolica presente in pianezza nel vescovo. Questo ministero rende autentica la predicazione
del vangelo e legittima la celebrazione dellEucaristia. Questo elemento costitutivo non collocato al medesimo livello,
nel quale sono invece collocate la parola di Dio e la celebrazione eucaristica. Questo non sminuisce per nulla la funzione
dellufficio della successione apostolica. Alla ministerialit propria del vescovo unisce quella del suo presbiterio. La
particolare qualifica di necessari collaboratori e consiglieri del vescovo nel ministero e nelle tre funzioni significa che il
ministero episcopale non solo personale ma pure sinodale e che il vescovo, per compiere il suo compito pastorale nella
Chiesa particolare ha bisogno del presbiterio. Daltra parte i presbiteri non possiedono lapice del sacerdozio e dipendono
dal vescovo nellesercizio del loro ministero.

V.

LA RECIPROCA IMMANENZA FRA LA CHIESA UNIVERSALE E CHIESA PARTICOLARE.

Lunico mysterium Ecclesiae si attua e si manifesta con distinte modalit tanto nelle Chiese particolari quanto nella
Chiesa universale. Nella formula ecclesiologica usata dal Concilio Vaticano II, si mette in luce la reciproca immanenza
che vige tra la Chiesa paticolare e la Chiesa universale. Le Chiese particoalari sono formate a immagine della Chiesa
universale e in esse e da esse costituita lunica Chiesa Cattolica(LG 23). Il Concilio afferma anzitutto che le Chiese
particolari sono ad imaginem Ecclesiae universalis formatis. Vangelo, Eucaristia e sacramenti appartengono alla Chiesa
Universale. Il richiamo, alla situazione unica e irrepetibile della Chiesa madre di Gerusalemme- sembra abbastanza
eloquente per farci dire che non esiste un prius cronologico da parte di una delle due grandezze, in virt del quale luna
sarebbe una mera derivazione dellaltra. La Chiesa universale trova la sua esistenza concreta ed presente nelle Chiese
particolari, le quali, a loro volta, sono la sua base storica. Chiesa particolare e Chiesa universale, dunque non si
contrappongono fra loro ma sono entrambe, modalit differenti, realizzazione del medesimo mysterium Ecclesiae. Per la
mutua inabitazione che tale rapporto include pure possibile dire che le Chiese particolari sono costituite nella e a partire
dalla Chiesa universale. ad ogni modo evidente che la natura misterica di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese
particolari non paragonabile a quello tra il tutto e le parti di qualsiasi gruppo puramente umano. La Chiesa di
Gerusalemme era universale e locale. Era universale per lintero collegio apostolico e i popoli di molte nazioni. Era locale
perch circa centoventi fratelli della Chiesa nascente sono riuniti in uno stesso luogo. Ministero petrino una realt
interiore alla Chiesa particolare. Le Chiese particolari in se stesse sono Chiese, perch pur essendo particolari, in esse si
fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, tuttavia non sono in se stesse un soggetto completo
perch uno degli elementi essenziali la comunione con la Chiesa universale.

77

TEMA 2 7: LEcu men ismo


I.
LA RICERCA DELLUNIT NELLA STORIA DELLA CHIESA E LATTUALE MOVIMENTO ECUMENICO
La parola ecumenismo, in greco oikoumene, classicamente appartiene a una famiglia di vocaboli riferibili
allabitazione, alla permanenza. Nel NT il termine usato nello stesso senso. Nella storia della Chiesa, la parola si
introduce nel linguaggio ecclesiastico ufficiale quando i primi Concili vengono chiamati Concili Ecumenici. Da allora
in poi il termine significa quelle dottrine, usi ed eventi accettati come norme valide, autorevole e universali nella Chiesa
Cattolica. Il significato tecnico teologico attuale inizia solo nel XX secolo, ai tempi della prima guerra mondiale e in
seno ai movimenti Fede e Costituzione e Vita e Azione. Alla Conferenza di Oxford del 1937 il termine indica gi con
tutta chiarezza gli forzi delle differenti comunioni a favore dellunit della Chiesa.
Gli studi di teologia ecumenica distinguono spesso tre diversi modi secondo i quali la Chiesa diresse i propri sforzi
ecumenici: la chiamata via costantiniana, la via unionista e la via missionaria.
- La via costantiniana: corrisponde al periodo storico compreso tra la pace costantiniana e il sec.VIII. Pi che una
forma espressamente cercata dalla Chiesa, il fenomeno risponde alla peculiare conformazione storica della societ
dellepoca.
- La via unionista: corrisponde specialmente alla relazione della Chiesa cattolica con le comunit scismatica
orientali. Si tratta di promuovere il loro ritorno in modo globale: cio accogliendole come comunit. Oggi
considerato un tema politicamente incorretto, perch viene concepito come assorbimento nella Chiesa cattolica.
- La via missionaria: corrisponde allatteggiamento che assunse la Chiesa cattolica rispetto alle divisioni sorte dalla
Riforma. Cio linvio di missionari alle terre cadute in mano ai riformatori.
Ad ogni modo non si pu ignorare che questa presentazione delle vie stata realizzata da storiografi dellecumenismo
che cercano di prendere le distanze da esse, a favore dellattuale movimento ecumenico.
Con lespressione movimento ecumenico si indica la particolare forma che ha preso lecumenismo nel sec. XX, come
fenomeno suscitato dallo Spirito Santo in seno alle varie Chiese a favore dellunit. Gli storici sono soliti indicare la
Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo(1910) come il punto di partenza dellattuale movimento ecumenico.
Inoltre pu considerarsi come realt che percorre il movimento ecumenico la creazione, durante il sec. XIX e gli inizi
del sec. XX, di alleanze o federazioni di Chiese appartenenti alla stessa tradizione confessionale(Alleanza delle Chiese
Riformate 1875, Consiglio Internazionale Congregazionalista 1891, Convezione Luterana Mondiale 1923).
La pietra molare dellecumenismo da parte cattolica senza dubbio il Decreto Unitatis Redintegratio del Concilio
Vaticano II. Poi successivamente seguirono molti documenti dal Magistero(Direttorio Ecumenico 1970; Ecumenismo e
formazione alla pastorale di GP II 1993; Dominus Iesus, 2000). Dal concilio fino ai nostri giorni la Chiesa cattolica
si impegnata in prima persona in questo dialogo dottrinale con un futuro abbondante di documenti bilaterali.
II.
LECUMENISMO COME REALT CRISTIANA, ECCLESIALE E MISSIONARIA
- Una realt cristiana: lecumenismo una attivit svolta fra i cristiani, ossia fra tutti coloro che hanno ricevuto
validamente il sacramento del battesimo e <invocano la Trinit e professano la fede in Ges Cristo e Salvatore>(DH
4186, UR1). Si distingue quindi dal dialogo interreligioso, che si riferisce al dialogo con le religioni non-cristiane e
dal dialogo con i non-credenti(atei). Riguarda agli ebrei, si rende una considerazione speciale rispetto agli altri noncristiani, perch con essi condividiamo lAntico Testamento. Daltronde, non appartiene allambito ecumenico la
relazione della Chiesa con le sette o i nuovi movimenti religiosi che non posseggono un valido battesimo, n
conciliamo le loro convinzioni con la rivelazione contenuta nelle Sacre Scritture.
- Un approccio ecclesiale: nel dialogo ecumenico gli altri cristiani non sono considerati come persone singole, ma in
quanto facenti parte di una comunit; pi che lunit dei cristiani, si promuove lunit fra le Chiese. Questo implica
che il dialogo ecumenico si stabilisce tra istituzioni, ma include anche il fatto che laltra parte contemplata come
una realt ecclesiale, come una comunit costituita da vincoli veramente ecclesiali, e non solo come somma di singoli
cristiani. Lecumenismo si distingue dallapostolato dalle conversioni, che si riferisce allo stesso tema, ma da una
prospettiva individuale.
-Un compito missionario: la missione della Chiesa pu essere considerata sotto tre diversi aspetti: laspetto pastorale
della missione (ad intra: ai fedeli cattolici); laspetto ad gentes (ad extra: ai non-cristiani); e laspetto ecumenico, che
si occupa dei cristiani non cattolici. Essendo un aspetto dellunica missione, la Chiesa cattolica non pu non essere
ecumenica senza tradire la propria missione e la volont esplicita del Signore.
III.
LUNIT COME TRAGUARDO
Lobbiettivo finale dellecumenismo lunit visibile della Chiesa, come <un solo gregge con un solo pastore> (Gv
10:16). In questo senso quando si parla di comunione piena o perfetta, si riferisce alla comunione strutturale nella
confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio,
che include laccettazione di ununica gerarchia, con capo il Papa e il Collegio episcopale.
Sullunit della Chiesa, sono apparsi diversi modelli:
- Federazione di Chiese - Diversit riconciliata, - Comunit conciliata, - unit organica totale (in India, che meno
teologica), - Comunione eucaristica (nellambito ortodosso, un modello pi cattolico).

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IV.
I PRINCIPI CATTOLICI DELLECUMENISMO E LA LORO APPLICAZIONE NELLA VITA DELLA CHIESA
DH 4187-4190
- La Chiesa una comunione
La Chiesa il mistero della comunione degli uomini con Dio e tra di loro. Come Ecclesia in via, pellegrinante, essa
configurata in Cristo come sacramento, cio segno e strumento dellintima unione con Dio e dellunit di tutto il genere
umano(LG 1); essa contemporaneamente strumento di comunione e segno di comunione.
La sacramentalit della Chiesa parla non solo della sua bidimensionalit, ma anche della sua indissolubile unit. Come
nellIncarnazione, la natura assunta al servizio del Verbo divino, a lui indissolubilmente unito. In modo simile
lorganismo sociale della Chiesa al servizio dello Spirito di Cristo che lo vivifica, per la crescita del corpo(LG 8).
La considerazione del mistero della Chiesa inteso come comunione non sarebbe completa senza menzionare che la
Chiesa , nello stesso tempo, la communio omnium fidelium e la communio Ecclesiarum. Per cui possibile applicare
in modo analogo il concetto di comunione anche allunione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale
come una comunione di Chiese.
Inoltre, in questa comunione lunit non si configura come uniformit; anzi, la diversit fonte di reciproco
arricchimento allinterno della comunione. Luniversalit della Chiesa, da una parte comporta la pi solida unit e,
dallaltra, una pluralit e una diversificazione, che non ostacolano lunit, ma le conferiscono invece il carattere di
comunione. Poi, importante percepire che la comunione ecclesiale una realt graduale: si pu essere pi o meno in
comunione, sia dal punto di vista singolare che strutturalmente come comunit. Finalmente si deve considerare che lo
stato di comunione con la Chiesa pu essere affrontato come comunione strutturale o come comunione interiore;
come comunione personale o istituzionale.
- La relazione Chiesa di Cristo-Chiesa cattolica
Tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica esiste una relazione che la prima sussiste nella Chiesa cattolica governata
dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorch al di fuori del suo organismo visibile si trovino
parecchi elementi di santificazione e di verit, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso lunit
cattolica (LG 8). Questo principio implica:
- Fuori dai confini visibili della Chiesa cattolica non tutto vuoto ecclesiale, pertanto lunica Chiesa di Cristo non interamente
coestensiva con la Chiesa cattolica.
- Questo non contraddice lunicit della Chiesa, dove si trova la pienezza dei mezzi di salvezza voluti da Dio perch luomo possa
raggiungere la comunione piena e totale con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
- Indefettibilit dellunit della Chiesa cattolica; la continuit della Chiesa di Cristo si trova nella Chiesa cattolica. La Chiesa di
Cristo continua a sussistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica.
-Lecclesiologia nelle Chiese sorelle: Il CVII anche si usa questa espressione, per parlando nel senso delle chiese particolari.
Quando si parla nel senso che indica la relazione fra Chiesa cattolica e altre Chiese, non corretto.
- Tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica non esiste una relazione didentit assoluta.

Gli elementi ecclesiali


Gli elementi ecclesiali sono tutto ci che genera lecclesialit, pi concretamente sono i sacramenti. Gli elementi riferiti
sono elementa Ecclesiae; questo significa non solo che appartengono alla Chiesa, ma che fanno la Chiesa.
Propriamente parlando, meritano il titolo di Chiesa solo quelle che possiedono lepiscopato e lEucaristia, perch la
Chiesa continuamente edificata dallEucaristia. Una Chiesa che celebra validamente lEucaristia, pi Chiesa di
una che non la celebra, anche se questa ha altri sacramenti. Quella che non celebra validamente lEucaristia, in altra
parola, che non ha conservato lepiscopato, non Chiesa in senso proprio, solo una comunit ecclesiale. Da un punto
di vista teologico, la Chiesa cattolica un concetto molto sacramentale, appunto, lEucaristia il suo fondamento.
Normalmente, quelle che hanno meno elementi ecclesiali, hanno una tendenza meno forte verso lunit, proprio perch
le mancano gli elementi ecclesiali.
Il battesimo dacqua: questo il confine tra le realt corrispondenti al dialogo ecumenico e quelle del dialogo
interreligioso. I cristiani, attraverso il battesimo dacqua, sono incorporati in Cristo. Invece, quelli che non sono
battezzati sono ordinati al popolo di Dio, si tratta di un ordinamento alla Chiesa.
Sintesi: la Chiesa concepita come una comunione con Dio e con gli uomini tra loro. La realt di questa comunione
per natura una realt che ammette una gradualit: si pu essere pi o meno in comunione, tanto a livello personale
quanto a livello strutturale a seconda degli elementi ecclesiali posseduti.

Status ecclesiale delle comunit cristiane:


1.
2.

3.

Situazione di piena comunione: sono i fedeli che conservano il triplice vincolo simbolico, liturgico e gerarchico, e godono
della vita nello Spirito (LG 14). 2)
Situazione di comunione imperfetta: bisogna distinguere:
a. I fedeli cattolici che hanno perso la vita della grazia, per strutturalmente la loro condizione rispetto alla Chiesa
cattolica di comunione piena;
b. I fedeli nati nelle comunit cristiane non cattoliche;
c. Quelli che sono scomunicati dalla Chiesa cattolica.
Situazione di ordinazione: i non-battezzati, questi sono ordinati al popolo di Dio

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La pratica:
- Il rinnovamento istituzionale: il cammino verso lunit riguarda tutte le parti inserite, nel senso che tutte devono
riformare quello che di ostacolo alla vera unit. Ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente
nellaccresciuta fedelt alla sua vocazione.
-

La mutua conoscenza e le relazioni reciproche: oltre allo studio delle origini e dellattuale situazione delle altre
confessioni cristiane, si tratta di apprezzare sinceramente i valori positivi presenti in essi, evitando atteggiamenti
che pregiudichino il dialogo.

La compartecipazione ai beni spirituali: due principi:


o La vera comunione esistente tra i cristiani: preghiera e culto liturgico.
o Il carattere incompleto di questa comunione, che impedisce una compartecipazione completa ai beni
spirituali. La partecipazione ai sacramenti richiede la previa unit completa nella fede.

Il dialogo teologico e la sua ricezione: un dialogo fraterno e sincero sui problemi dottrinali.

Lespressione della dottrina di fede: la purezza e la pienezza: principio della differenza tra espressione e
contenuto, il principio dintegrit, il principio della gerarchia delle verit: le diverse verit si rapportano fra loro
secondo un certo ordine oggettivo di importanza, perch non tutte contengono ed esprimono realt dello stesso
valore salvifico.

Il primato romano in prospettiva ecumenica: problema della comprensione di successione.

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TEMA 2 8: La Teologia d ella Grazia Cristiana


LA REALIZZAZIONE STORICA DEL DISEGNO DIVINO DI STABILIRE CON LUOMO UNINTIMA E PERPETUA
COMUNIONE FILIALE CON LA TRINIT:
Premessa: Il disegno di Dio e la sua realizzazione in Cristo.
Nel mistero di Dio nei confronti degli uomini esiste un progetto di grazia: amore gratuito e intimo, che chiama luomo
alla vita e lo invita alla comunione con S. In questo progetto di grazia, luomo non solo una creatura di fronte a Dio
ma una creatura verso Dio. Si tratta di un solo progetto divino, che si realizza gradualmente nel tempo, nella storia e nel
cuore degli uomini in 5 tappe, secondo san Paolo: conoscenza(creazione), predestinazione, chiamata(vocazione),
giustificazione e glorificazione. Il contenuto del progetto misteriosamente racchiuso nella persona di Cristo, Verbo di
Dio fatto carne.
a. La creazione nel Verbo, fondamento del progetto salvifico di Dio: La conoscenza divina delle creature,
specialmente delluomo, interamente anteriore (non posteriore) alla loro esistenza, anzi, essa fonda tale esistenza
(Ef 1,4-6 cfr. i verbi scelta ed elezione). La creazione il fondamento del progetto salvifico che Dio porta a
compimento nel Suo Verbo fatto uomo. Per san Paolo, Cristo il mediatore della creazione come lo della
salvezza. La creazione avviene in Cristo, in vista di Cristo, e per Cristo (Rm 11,36). Perci Cristo non solo un
principio esemplare del creato, ma anche la sua causa efficiente.
b. La predestinazione di Cristo e delluomo in Cristo: Nel NT, principalmente in Paolo (cfr. Rm. 8,29; Ef 1,5), la
dottrina della predestinazione caratterizzata in 3 momenti:
o Momento teologico: la predestinazione scaturisce dallamore di Dio, cio, liniziativa divina e gratuita.
Perci incondizionata e non dipende in nulla dalliniziativa delluomo.
o Momento cristologico: il disegno divino incentrato in Cristo, il vero ed unico predestinato. Secondo Paolo,
gli uomini sono predestinati solo indirettamente perch la predestinazione ha avuto luogo in Cristo. Il
destino degli uomini si presenta, perci, come conformazione a quello di Cristo. Cosi, verifichiamo la
predestinazione in 2 momenti: nel rapporto di Cristo con il Padre e nel rapporto degli uomini con Cristo.
o Momento ecclesiologico: il disegno di Dio in Cristo non si riferisce direttamente ai singoli individui ma
alla comunit di fede, cio, la Chiesa.
c. La vocazione cristiana e la chiamata universale alla santit: Lidea di vocazione aggiunge 2 elementi a quella
di predestinazione: lofferta della grazia rispetta in pieno la libert delluomo; poi, Dio si indirizza agli uomini
personalmente (uno per uno). Altri punti: la vocazione non accidentale al progetto divino; la risposta umana
pienamente libera; la sua finalit suscitare lamore delluomo verso Dio, e spinge sempre allapostolato.
I.

Luniversalit della chiamata alla santit: fondamento biblico = Gv 3,17; Col 1,20; 1Tm 2,4. Magistero: LG 39(la
Chiesa indefettibilmente santa, perci tutti nella Chiesa sono chiamati alla santit). GP II nel Novo Millennio
Ineunte, 2001 offre le sue dimensioni soggettiva ed oggettiva.

d. La giustificazione del peccatore, fase terrena della grazia: Nella giustificazione si concretizza e si corona la
chiamata nella donazione effettiva della grazia. C lavvicinamento gratuito di Dio alluomo, e un vero e proprio
rinnovamento delluomo e del suo essere (nuova creatura). Due realt da considerare:
a. Loggetto della chiamata luomo peccatore.
b. La chiamata precede la giustificazione: luomo giustificato, quando risponde liberamente alla chiamata divina,
accogliendo cos il dono stabile della grazia.
e. La glorificazione e il destino escatologico di ogni grazia: La glorificazione lultimo termine dellopera del
Padre, che esegue il disegno eterno con cui ha predestinato i cristiani. La vita della grazia sempre tesa verso il
compimento escatologico, cio, essa promette la gloria e si realizzer pienamente solo nel futuro. La gloria, quindi,
rivelazione definitiva della vita della grazia.
II.
LINABITAZIONE DELLA TRINIT NEL GIUSTO; LA FIGLIOLANZA DIVINA.
Linabitazione: Lidea dellinabitazione proprio del NT. La rivelazione neotestamentaria parla dellinabitazione delle
Persone Divine distinguendone i nomi(Gv 14,23; Rm 8,9; Gal 2,20, ecc). San Giovanni parla di uninabitazione di Dio
legata alla condizione della fede nel Figlio (1Gv 4,15) e parla di una inabitazione della parola(Gv 5,37). Linabitazione
della Trinit si fa esplicita nellinabitazione dello Spirito Santo che caparra della nostra eredit(Ef 1,14). La vita di
grazia, la divinizzazione delluomo giusto e le opere proprie dei figli di Dio hanno il loro fondamento nellinabitazione
della Trinit nellanima.
Quale tipo di presenza corrisponde allinabitazione divina nellanima? Si tratta di una presenza come quella della causa
che porta i suoi effetti propri, come causa dellessere soprannaturale, cio di vita divina in quanto vita trinitaria.
Linabitazione determina nella creatura non solo gli effetti di unazione ad extra, ma la avvicina alle propriet della vita
ad intra. Linabitazione ci introduce nella communio personarum che anticipo della beatitudine eterna. San Tommaso
formula la sua soluzione al tema della presenza nel contesto delle missioni: Dio presente nelle creature come la cosa
conosciuta in chi conosce e la cosa amata in chi ama. Dio abita in essa come in un suo tempio(S.Th. I, q.43, a.3). Le
Persone Divine si rivelano e si donano allanima mediante la grazia, che una condizione ontologica-operativa. Per il
dono della grazia santificante luomo viene elevato a fruire della Persona Divina. Linabitazione coinvolge non solo la
81

presenza, ma anche il possesso. Si tratta per di un possesso reciproco. La vita della grazia vita nella Trinit. S.
Bonaventura ricorda che habere Deum est haberi a Deo. Il fondamento reale di questa inabitazione la conseguenza
del fatto che lumanit di Cristo presente nella Trinit anche dopo lascensione. Identificandosi con Cristo, la creatura
santificata pu accedere alla vita della Trinit fino a nascondersi in essa.
La figliolanza divina: Il carattere essenziale della grazia fare delluomo un figlio adottivo di Dio. E questo lunico
progetto divino che svela il significato di quella creazione ad immagine di Dio in Cristo sulla quale la Rivelazione
stata cos esplicita. La filiazione divina non un aspetto fra gli altri del nostro essere cristiani, ma la condizione
ontologica che d significato ad ogni altro aspetto del progetto della grazia, inglobandolo in essa. La filiazione divina
determina entitativamente ci che il cristiano agli occhi di Dio. Si tratta di una relazione formalmente distinguibile,
anche se inseparabile, dalla grazia santificante, dalle virt e dai doni dello Spirito Santo. Sono piuttosto tutte queste altre
forme ad esserci date per farci vivere la vita propria dei figli di Dio e costruirci come tale. La figliolanza divina adottiva
, in definitiva, la condizione della creatura nuova in Cristo chiamata alla comunione con la Trinit. Vi corrisponde
un operare da figli, non come una virt in pi con atti propri, ma come una condizione permanente di chi soggetto di
tutte le virt soprannaturali e vive da figlio di Dio tutte le virt umane e le realt materiali, facendole, per lamore filiale
con cui vengono compiute. La filiazione divina del cristiano la conformit alla Filiazione sussistente, siamo figli
perch, partecipiamo dei tratti caratteristici del Figlio naturale, il Padre pu allora riconoscerci come figli suoi. In
Cristo Dio Padre ci riconosce figli suoi.

III.

GRAZIA INCREATA E GRAZIA CREATA.

Si fa questa distinzione per il fatto che la grazia cristiana non si esaurisce nella trascendenza della sua origine, ma anche
nel suo profondo inserimento nel cuore della realt creata, particolarmente in ogni aspetto della vita delluomo (la grazia
acquista una storia, uno sviluppo, una dinamica, ecc).
La grazia detta increata in quanto la vita di Dio nelluomo (cio, qualcosa di increato, divino e divinizzante). Si
tratta di Dio Trino che si dona. Questa dimensione fa possibile che la grazia non venga ridotta al livello della natura,
oppure confusa con luomo stesso nella sua costituzione naturale.
La grazia , poi, detta creata in quanto la vita delluomo in Dio. Tramite la grazia, detta santificante, Dio rende
luomo capace di conoscerlo ed amarlo. SantAgostino la esprime cos: Dio ci rende amanti suoi, e san Tommaso:
Ogni amato presente nel suo amato. La grazia, per, non distrugge la natura, ma la eleva al di sopra di tutte le sue
possibilit. Questa dimensione fa s che non si pu escludere dalla vita della grazia un riscontro creato, un impatto diretto
sulla struttura ontologica della creatura.
Si deve dire alla fine che, in Dio, queste 2 dimensioni sono un unico progetto. La grazia di Dio verso luomo non consiste
in una mera compiacenza o ammirazione estrinseca verso di lui; ma un vero atto di donazione dellessere, con cui Dio
pone qualcosa nellanima. La grazia un favore di Dio, ma diventa anche una qualit dellanima (Lutero non
daccordo con questo).

IV.
LA GRAZIA E LA VITA: VIRT INFUSE E DONI DELLO SPIRITO SANTO.
Premessa: Lagire proprio della creatura santificata consiste nellesercizio delle virt infuse, teologali e morali, ed facilitato
dai doni dello Spirito Santo, che delle virt infuse sono come un prolungamento. Qui, parliamo delle virt e dei doni in quanto
atti propri della vita della grazia.
a. Le virt infuse: Esse sono doni divini con i quali luomo pu orientare a Dio come vero fine ultimo, e meritare,
nella sua grazia, la risposta del suo amore. Le virt infuse, che conferiscono al soggetto la capacit di compierle
in quanto atto soprannaturale, si differiscono dalle virt acquisite/umane che determinano una certa facilit
acquisita a compiere una data azione. Per, si complimentano a vicenda. Esse si dividono in 2:
o Le virt teologali: Nella stessa giustificazione, insieme con la remissione dei peccati, luomo riceve come
infuse, per mezzo della sua incorporazione a Cristo, le virt della fede, la speranza e la carit (Trento) Le
fonti bibliche sono Rm 5,1-5; 1Cor 13,8-13; 1Ts 1,2-3. Dio loggetto, e la forza dietro le virt teologali,
e luomo partecipa direttamente alla sua vita, mentre le riceve e le vive. Le virt teologali (e filiali) si
richiamano a vicenda ed i loro atti non possono essere esercitati separatamente. La fede quella virt filiale
per la quale luomo partecipa in qualche modo alla conoscenza che Dio ha di s stesso. La speranza
quella per cui si aspetta da Dio ci che solo Lui pu dare. La carit la virt teologale per cui luomo
partecipa realmente a quel flusso di amore intratrinitario con cui Dio ama s stesso. Lo stesso amore con
cui Dio ama luomo lorigine della carit con cui luomo ama Dio (e gli altri). Dio ci rende amanti suoi
(Agostino).
o Le virt morali infuse: Le virt cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) sono infuse insieme
con la grazia santificante. Esse indirizzano loperare umano ad un uso corretto dei beni creati, in modo
conveniente alla dignit della filiazione divina. Non hanno come fine luomo in s stesso, bens il pieno
sviluppo dellatto della libert di fronte a Dio che si dona.
b. I doni dello Spirito Santo: Sono abitudini soprannaturali infuse da Dio nelle potenze dellanima perch la persona
possa ricevere con prontezza e facilit le luci e movimenti dello Spirito Santo (san Tommaso). I doni sono sette:
Intelletto, sapienza, scienza, consiglio, fortezza, timore di Dio e piet. I primi 4 doni perfezionano lintelletto, gli altri 3
82

la volont. Con i doni, luomo acconsentendo, viene mosso e guidato dallo Spirito Santo. E in essi che si realizza quella
connaturalit filiale operativa di coloro che guidati dallo Spirito sono figli di Dio.

V.

LA NECESSIT DELLA GRAZIA.

Esistono 2 prospettive complementari per dare fondamento alla necessit della grazia: una di tipo ontologico-metafisico
(si considera la trascendenza di Dio e di tutto ci che alla vita divina si riferisce); laltra di tipo storico-salvifico (si
considera che luomo non pu salvare s stesso). Ogni atto ordinato alla nostra salvezza non pu essere realizzato se
non nella grazia. San Tommaso tratta cos la necessit della grazia in diversi ambiti, distinguendo tra i diversi aspetti
dellagire umano.
a. La grazia necessaria per la conversione.
b. E necessaria per perseverare fino alla fine della vita della grazia.
c. La grazia attuale (preparatoria) necessaria nella preparazione della giustificazione.
d. E necessaria per meritare la vita eterna (aumento della grazia).
e. Non necessaria per amare Dio al di sopra di tutte le cose, perch luomo naturalmente capax Dei e Dio oggettivamente
pi amabile e pi conoscibile di qualsiasi altra cosa.
f. Per conoscere il bene? No, perch luomo ha una capacit naturale di conoscere le cose e questa capacit non stata rimosso
n distrutta dal peccato, anche se la sua forza diminuita.
g. Per evitare il peccato (veniale)? La grazia attuale necessaria per sostenere luomo nella lotta contro la concupiscenza e le
reliquie del peccato originale.

VI.

LA GRAZIA DIVINA DI FRONTE ALLA LIBERT UMANA: IL MERITO.

Luomo giustificato, per mezzo delle sue buone opere compiute per la grazia e nella grazia, pu meritare qualcosa
presso Dio. La Scrittura esplicita in proposito, specie attraverso la categoria della ricompensa. Il fondamento del
merito non una giustificazione dovuta o un diritto in senso stretto, ma piuttosto il dono eccedente di Dio, cfr. la parabola
dei lavoratori chiamati a tempo nella vigna(Mt 20,8-15). Sullesistenza di meriti si pronunciato il Concilio di Firenze
nella Bolla Laetentur Coeli(cfr. DS 1305), e poi, lha formulato il Concilio di Trento nella sua dottrina contro i
riformatori(cfr. DS 1545 e 1582).
Cinque ragioni in virt delle quali si pu parlare del merito nel contesto della grazia:
1) La stessa possibilit del merito stabilit da Dio per grazia.
2) Luomo deve essere nella condizione di viator (= storicit).
3) Il merito richiede la libert del soggetto.
4) Il soggetto luomo nello stato di grazia, redento da Cristo.
5) Per il premio escatologico, lazione deve essere buona e retta secondo la volont di Dio.
Loggetto del merito: Trento distingue tra merito de condigno (ci che in base alla pre-ordinanza divina merito in
senso stretto) e il merito de congruo (ci che sembra appropriato, conveniente secondo le circostanze). In base a questa
distinzione ci sono 3 campi da considerare:
i)
Luomo pu meritare de condigno 3 cose: la vita eterna, laumento della grazia santificante e il grado della
gloria (mai per, a favore degli altri);
ii)
Pu meritare de congruo tutto ci che lecito chiedere a Dio o desiderare da Lui (anche a favore degli altri),
tramite le buone opere e pure con le preghiere;
iii)
Non pu meritare una serie di cose che pu, per, desiderare, ad es. il pentimento del proprio peccato, la
prima grazia e la perseveranza finale.
Premio e merito: I protestanti ritengono luso del termine premio, che permette una visione esclusivamente
conseguente dellescatologia (le cose ultime realizzate solo alla fine). Tale visione esclude ogni escatologia realizzata
e quindi evita la dottrina del merito in quanto applicabile al momento presente delluomo.

83

TEMA 29: LAn tropo log ia Cristian a


I.
LA CENTRALIT DEL SOPRANNATURALE NELLA COMPRENSIONE DELLUOMO.
La vita soprannaturale, ci che fa luomo figlio di Dio, partecipe della natura divina, certamente gratuita, e ha origine
dallamore di Dio. Si possono aggiungere quattro osservazioni:
1. Mentre la volont umana libera non partecipa allopera della creazione, essa si fa presente nellaccoglienza della
grazia, partecipando fino in fondo nel conseguente processo di divinizzazione.
2. La vita soprannaturale si esprime anche nel fatto che luomo un essere che si realizza storicamente. E questo
cos nel senso che lessere pienamente uomo non del tutto dato a partire dalla propria natura, ma si d
escatologicamente. In effetti, tramite lesercizio della libera volont; di fronte ai doni di Dio, luomo si realizza
entro il tempo e nella storia, intensificando ed arricchendo la propria esistenza fino al momento della
consumazione finale.
3. La realt della vita soprannaturale, come qualcosa di donato dal Dio tri-personale, trova una conferma forte nel
fatto che luomo sia un essere profondamente sociale, sia nellordine della natura, come in quella della grazia. La
grazia viene alluomo essenzialmente come un dono da un altro, cio dal di fuori.
4. Ed infine, la vita della grazia, come vita divina donata al mondo nel suo insieme per stabilire la Signoria di Dio
su tutte le cose, deve fruttificare nel lavoro umano con cui luomo esprime sia la sua appartenenza al mondo ed il
suo inserimento in esso, sia la sua trascendenza nei confronti delle cose create.
LUOMO, CREATO AD IMMAGINE DI DIO, ESSERE LIBERO, ESSERE STORICO, ESSERE SOCIALE, ESSERE
SESSUATO.
1. Essere libero:
La prima conseguenza della creazione delluomo ad immagine e somiglianza di Dio sta nellinvito imperativo di
dominare la terra. In effetti, il dominio delluomo sulla terra viene svolto nel libero esercizio delle facolt spirituali
dategli da Dio.
La libera volont umana pu essere vista in due maniere. Prima di tutto, si dice che luomo libero poich chiamato a
una libert che gli viene data dal di fuori, come uno spazio pi ampio di movimento e di azione. Qui la libert pu
chiamarsi, in maniera pi precisa, liberazione. Poi, si dice che luomo libero perch costituito come un essere libero,
come un essere capace- pur sempre in modo finito- di scegliere, di decidere, di plasmare il proprio destino e quello degli
altri e del mondo che ha intorno a s. Qui la libert viene chiamata normalmente libero arbitrio.
Dal punto di vista teologico, il libero arbitrio il dono pi grande che Dio abbia dato agli uomini nellordine della
creazione, e la liberazione il dono pi grande che Egli ha promesso e dato agli uomini nellordine della grazia. Dio, in
effetti, libera luomo, gli offre il dono della liberazione ma previamente gli aveva dato la possibilit di accogliere (o
rifiutare) questo dono con intelligenza e coscienza piena (libero arbitrio). In altre parole, come il dono della grazia il
libero arbitrio delluomo viene reso capace di cooperare a pieno titolo nella liberazione umana. San Paolo insiste che
luomo ha ricevuto la liberazione come grazia divina, la libert dei figli di Dio, questa liberazione consiste non solo
nellaiuto tangibile che Dio d alluomo per poter superare il peccato, ma anche nella presenza della vita eterna.
soltanto nel contesto del dono e della grazia divina dove si comprende il senso e il valore della libert umana, dove si
libera la libert, dove si ama la libert, dove si pu difendere la libert con passione. Come San Tommaso diceva:
quanto pi luomo ha carit tanto pi ha libert.
II.

2. Essere storico:
Luomo qualcuno che cambia, che muta, che va avanti e indietro, che progredisce e che regredisce, che vive
coscientemente della memoria del passato, progettandosi verso il futuro, radicandosi nel momento presente.
Levento storico e la storicit umana. Perch un atto o un evento possa essere considerato propriamente storico, si
richiedo tre condizioni:
a) La prima condizione che si tratti di un atto libero proveniente da uno o pi individui umani.
b) La seconda condizione che esso abbia un effetto pi o meno tangibile e permanente sulla societ, sulle altre
persone, sul modo, un effetto che pu essere conosciuto e in qualche modo misurato e documentato.
c) La terza condizione che in qualche modo esso contribuisce a formare e a plasmare ci che si chiama la storia,
quellinsieme sinfonico deventi e deffetti, quella realt umana unitaria, accumulata lungo il tempo, che il risultato
ultimo dellinsieme dello sviluppo umano.

84

Le interpretazioni della storia:


a) Il determinismo greco e leterno ritorno. In questa visione della storia, dove tutto luniverso gira sempre entro
grandi circoli ripetendosi in cicli senza fine, alluomo antico non viene in mente che egli possa occupare un posto
privilegiato allinterno delluniverso e al di sopra di queste realt cosmiche che spesso vengono considerate come
divinit.
b) La visione cristiana della storia. Leconomia cristiana, basata sul farsi presente di Dio nella storia umana e
culminando nellIncarnazione del suo Verbo-Figlio, Ges Cristo, si stacca decisamente della visione ciclica della
storia, tipica del pensiero antico. Appunto, i tempi non si ripetono; le situazioni successive non sono interamente
tipiche e prevedibili. Il tempo, quindi, non solo chrnos, il tempo che passa, ma anche plroma, pienezza futura
la venuta in Cristo e ancora tesa verso il compimento escatologico, e pi specificamente, il tempo kairs,
loccasione, lopportunit, momento di grazia, intervento imprevisto di Dio nella storia. A partire dallevento
fondante della creazione divina del mondo, in effetti, si verificano una serie di eventi non interamente prevedibili:
il peccato delluomo seguito dallopera della salvezza per la parola e la forza di Dio rese presente proprio
allinterno della storia umana, non fuori di essa. E il punto culminante e determinante della storia umana
lincarnazione del Verbo.
3. Essere sociale:
La natura delluomo e il senso della sua esistenza hanno valore soltanto come un progetto che ha avuto inizio fuori da
se stesso, in Dio, nella comunione con il suo Creatore. Luomo non ha donato lesistenza a se stesso; piuttosto lha
ricevuta. Luomo essenzialmente un essere in relazione; in relazione a tutti i livelli, per specialmente in relazione
col Creatore. Questo aspetto fondamentale dellessere umano trova espressione compiuta nella possibilit di rapportarsi
con gli altri esseri umani, membri della razza a cui appartiene. Questo fatto si esprime in due modi. Primo nel fatto che
il progetto che Dio ha ideato per lui-la vocazione- viene realizzato con e per mezzo di altre persone, appunto perch Dio
ha voluto dare i suoi doni agli uomini -esistenza, la grazia, la felicit, la vita eterna- per mezzo di altri ed insieme ad
altri. Secondo, luomo si realizza come persona, comessere umano, comunicando agli altri i doni che Dio gli ha affidati,
tramite lesercizio della virt della carit, forma di tutte le virt.
Il rapporto con gli altri e il senso delluguaglianza e le disuguaglianze umane. Dio non solo crea luomo come un essere
sociale ma anche permette disuguaglianze tra gli uomini perch gli uni possano vivere la carit con gli altri, perch
possano vivere con impegno libero la loro socialit come carit, come donazione disinteressata. In effetti, se Dio avesse
creato tutti uguali sin dallinizio, uguali fino infondo, senza delle necessit, tutti con gli stessi talenti e capacit, la
socialit umana sarebbe rimasta un semplice fatto decorativo, senza senso, senza significa, senza mordente. Si pu dire
che Dio fa si che ci siano delle disuguaglianze perch gli uomini siano invitati a contribuire a loro superamento. Il senso
della socialit cristiana lo d, quindi, la virt della carit, ma lopportunit di esercitare la carit la danno le
disuguaglianze delle persone. Sono precisamente le molteplice disuguaglianze e differenze che permettono agli uomini
la donazione e la possibilit di ricevere. Senza tale disuguaglianze non ci sarebbe lopportunit di donarsi ad altre
persone, di vivere la carit, in modo tale luomo si realizza soltanto nel dono sincero di se stesso GS 24.
4. Essere sessuato:
GP II, in Mulieris dignitatem, dice che secondo la Genesi 1,27, La donna un altro io nella comune umanit. Sin
dallinizio essi appaiono come ununit di due. Questo mette in risalto tre elementi: luomo e la donna furono creati
insieme secondo limmagine e la somiglianza di Dio; limmagine di Dio presente in loro come ununit di due;
questunit intrinsecamente ordinata alla procreazione. In poche parole, limmagine di Dio pi perfetta in quanto
esiste nelluomo e nella donna, nella loro unione e nella loro fecondit.
Il valore della distinzione sessuale umana si pu riassumere cos:
(1) lamore umano tra luomo e la donna in qualche modo un riflesso dellamore divino stesso, perch loro insieme
sono a immagine e somiglianza del Creatore;
(2) lunione tra i due non distrugge lindividualit di ciascuno, perch si tratta di ununit di due;
(3) lautenticit di questa unione che riflette la comunione in Dio stesso, in Dio che d la vita, i figli che sono
immagini dei genitori, cos come i genitori il loro essere fatti ad immagine di Dio.

III.

LUOMO DI FRONTE AL MONDO: IL LAVORO E LA SFIDA ECOLOGICA.

1. Luomo designato da Dio creature suprema sulla terra, portavoce della creazione, fornito dalla capacit di
controllare e dominare la terra, sicch pu liberamente convertire il suo dominio di servizio (paziente, attento,
prudente, perseverante, rispettoso) in un dominio di distruzione (impaziente, sfrenato, trascurante, egoista).
85

Infatti, la possibile distruzione delluniverso della quale luomo sta diventando colpevole come la replica dello
stesso peccato originale, del voler essere come Dio (Gn 3,5).
2. Il Papa GP II, nella Sollicitudo Rei Socialis (1987) dice che il problema ecologico non un problema puramente
tecnico che richiede la ricerca di una soluzione meramente tecnica, ma un problema morale, un problema
delluomo, per cui il rispetto per la vita e, in primo luogo, per la dignit della persona umana la fondamentale
norma ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico.
3. Latteggiamento cristiano verso lecologismo deve credere nel potere creatore e ri-creatore e nella conseguente
rovina e rinnovo di tutto il cosmo, giacch forma parte integrante della sua speranza cristiana; e finalmente, essere
consapevole che la salvezza dipender soprattutto dallagire morale, e non dalla materialit delle opere compiute.

IV.

LA PERSONA UMANA.

Luomo, ens ab alio e ens a se


Luomo esiste sempre e solo come un essere in relazione; nel pi profondo del suo essere un ens ab alio, un essere
che ha ricevuto lesistenza e la vita da un Altro, che Dio, e tramite gli altri, gli uomini. Allo stesso tempo per, luomo
un essere esistente a se stante, corporeo e libero. Colui che stato costituito come un ens ab alio diventa anche, quindi,
un ens a se, un essere che esiste da se stesso. Questa esistenza distinta e separata delluomo, questa sua individualit
inalienabile di fronte al Creatore e gli altri, ci che nella filosofia e nella teologia si chiama persona umana.
Le basi teologiche del concetto di persona umana
E stato durante lepoca patristica, nel contesto del chiarimento della dottrina cristologia e quella trinitaria, che si
potuto riflettere sul carattere personale di Dio e, come sua conseguenza tardiva, sulluomo come persona, immagine
di Dio.
Attraverso la cristologia e lintera opera salvifica di Cristo si arriva alla conoscenza delluomo come persona. Per il
diventare persona, lessere persona, non dipende dallopera di salvezza compiuta dal Figlio eterno fatto uomo. Essa
una dottrina propriamente protologica, ovvero appartenente alla creazione, allorigine delluomo; deriva dalla creazione,
opera del Padre per mezzo del Figlio e nello Spirito.
Il consolidamento della nozione di persona nel tempo patristico si verifica in due momenti principali: la confessione
della consustanzialit del Verbo con il Padre, e dello Spirito con ambedue; e lapplicazione del termine persona alle tre
ipostasi in Dio.
La persona umana nella teologia
E probabilmente solo con SantAgostino che il termine originariamente trinitario di persona comincia ad essere
applicato alluomo come modo di designare lesemplare concreto della specie umana, definita a partire dalla sua
sostanza spirituale come immagine e somiglianza di Dio. Dice Agostino, il nome di persona non designa la specie, ma
piuttosto qualcosa di singolare e individuale. Sono molte le definizioni della persona fatte lungo il medioevo, ma
particolarmente nota quellofferta da Boezio: naturae rationalis individua substantia, una sostanza individuale di
natura razionale. Secondo San Tommaso la persona si definisce come ci che sussiste in una natura razionale. Poi
Dun Scotus afferma che la persona substantia incommunicabilis naturae rationalis, una sostanza incomunicabile di
natura razionale.
La persona, in poche parole, viene presentata nelle definizioni medioevali come un ens a se. Dovuto a questenfasi, pu
sembrare che il pensiero medioevale abbia trascurato la relazionalit fondante dellessere persona, che rimanda in fondo
al Creatore. Questa insistenza sullindividualit della persona, della sua incomunicabilit ontologica, seppur giusta come
espressione della dignit dogni uomo, dogni persona, in pratica ha lasciato allombra il fatto che la persona un essere
essenzialmente in relazione con altre persone. Lungo la storia della filosofia moderna si verificato uno sviluppo
significativo che ha contribuito al ricupero di questo aspetto essenziale dellessere persona.
La centralit della persona umana
Le spiegazioni fenomenologiche personalistiche lasciano chiara la valenza interpersonale dellindividuo umano, anche
se non sempre mettono in risalto laspetto ontologico dellessere persona, riflesso della relazione fondante e creativa
delluomo con la Trinit. La domanda rimane: cosa succede con lindividuo destinato a stabilire delle relazioni
significative con gli altri, ma che tuttavia non riesce a realizzarsi? Si pu dire che persona? La risposta cristiana
chiara: luomo persona indipendentemente dal suo pensiero, dallessere accolto e riconosciuto da parte di altri.
Conclusione
In effetti, soltanto nel contesto della fede in Cristo che luomo scopre definitivamente di essere persona e diventa
capace di raggiungere la perfezione a cui Dio ha destinato la persona umana: quella delleterna comunione filiale con
Lui. Per questo non vuole dire che luomo sia stato costituito come persona tramite la sua fede.
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TEMA 3 0: I Sacramen ti
I . DAL MISTERO DI CRISTO AI SACRAMENTI
Nei vangeli appare una volta il vocabolo greco misterion per indicare il mistero del regno di Dio: Ges disse agli
Apostoli: "A voi stato confidato il mistero del regno di Dio a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole"
(Mc 4,11). La parola sacramentum la traduzione latina di questa medesima parola. Questo significa, conoscere il
mistero del regno di Dio, vedere la venuta concreta del regno di Dio attraverso le Parole e le azioni di Cristo. Questa
conoscenza del mistero di Dio un dono immeritato. laccettazione nella fede della verit efficace di Dio, fede nel
piano e nellattivit di Dio per la salvezza del mondo. Questa attivit di Dio si realizza attraverso le parole e le azioni di
Cristo. Ges Cristo stesso il mistero del regno di Dio, come dice il Lumen Gentium 5a: "Questo regno si manifesta
chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo ma innanzi tutto il regno si manifesta nella
stessa Persona di Cristo, Figlio di Dio e Figlio delluomo".
Anche San Paolo parla del mistero di Dio che non altro che Ges Cristo: 1 Cor. 2,1-2. Il mistero detto di Dio in senso
soggettivo, cio il mistero che ha origine in Dio, che Lui ha rivelato. Esso appare in stretta connessione con la sapienza
di Dio, ma viene contrapposta alla sapienza del mondo. La sapienza di cui parla lapostolo non e dunque unastratta,
bens lo stesso Cristo nella vicenda della sua crocifissione.
La comprensione del mistero frutto della donazione di uno Spirito di Sapienza e di Rivelazione, cio della Sapienza
come dono dello Spirito Santo (la fede e la conversione). Tale dono presentato nel contesto della conversione dei
cristiani provenienti dal paganesimo: Ef 1, 9-14. Qui mostra che il mistero il cui contenuto Cristo, si rivelato ai
credenti coinvolgendoli partecipi del dono dello Spirito Santo. San Paolo anche parla di tutti i redenti inseriti nel mistero,
che Cristo (Col 1,26-27), perch se Egli il mistero, nascosto da secoli e generazioni, rivelato ai pagani e ai giudei, e
perch ne fanno parte come quelli chiamati in Cristo (Ef 3,6), cio che tutti i redenti o battezzati formano un solo Corpo
con Ges Cristo. E inseriti nel Corpo di Cristo, i redenti hanno accesso al Padre(Ef 2,18). Questo Corpo di Cristo nei
quali i redenti sono inseriti la Chiesa. Essa, pertanto, fa parte del mistero di Cristo, ed anche mistero della Chiesa.
In Cristo c' comunione con Dio Padre, Figlio, e Spirito Santo. Per Cristo non solo Rivelatore del piano divino bens
Egli anche il rivelato (contenuto della Rivelazione), nucleo e l'essenza del mistero. Il mistero, quindi, che rivela Ges
(ed Lui stesso) attraverso lo Spirito, lo ha affidato agli Apostoli che a loro volta lo hanno affidato alla Chiesa. Da qui
si vede l'intima relazione fra Cristo e i sacramenti della Chiesa.

II.

CONCETTO DI SACRAMENTO:

SantAgostino fu il primo ad aprire la via alla riflessione generica sui sacramenti. Secondo lui, sacramento pu
significare:
1) azione o cose sacre a carattere religioso come la degustazione del sale data ai catecumeni;
2) le celebrazioni dei misteri del Signore come il Natale;
3) i sacramenti dell'antica legge, che promettevano il Redentore, sono per lui un segno sacro. Egli trova nel sacramento
una ragione di somiglianza in cui la visibilit del sacramento conduce all'intelligenza di qualcosa dinvisibile o spirituale.
Egli chiama sacramento il momento visibile e virtus sacramentum l'efficacia invisibile.
Dopo venne SantIsidoro di Siviglia che invece mise in rilievo lattivit divina occultamente operante nel sacramento
piuttosto che il segno sacro. Questo un mistero per lui perch sotto la visibilit degli elementi sensibili del sacramento
agisce la potenza divina in segreto, in maniera occulta, portando la salvezza in ciascun sacramento. L'efficacia viene
dallo Spirito Santo che agisce nello stesso sacramento. Il sacramento per lui sinonimo del misterion dei greci.
Pi tardi, venne Algero di Liegi che affermava il contrario di ci che Isidoro insegnava perch egli differenziava il
sacramento e il mistero. Sacramento un segno sensibile che significa qualcosa, mistero invece la cosa occulta
significata dal sacramento.
Nel secolo X, venne Pietro Lombardo con le sue Sententiae e defin il sacramento come segno della grazia di Dio e
forma della grazia invisibile, che ne l'immagine e, insieme, la causa. Introduce il concetto di causa in rapporto
all'efficacia che applicabile solo ai sacramenti del N.T.
Poi, venne San Tommaso a riprendere il tema del sacramento nelle sue sentenze. Sacramento per lui la 'res sacra '.
Una cosa santa non in s, ma per gli uomini, come ci che rende santi gli uomini. Non la semplice rappresentazione
sacramentale ma ci che opera una santificazione effettiva. Parla dei sacramenti come cause secondarie e strumentali di
santificazione perch Dio ne la causa principale. Hanno un'efficacia senza paragone nella natura, che raggiunge il pi
intimo dell'uomo (nella sua volont), ma nello stesso tempo c' la fanno conoscere. E il modo di Dio di adeguare al
nostro modo di conoscere (attraverso i sensi). Per lui pi importante il causare la santit che il segno, cio che
l'efficacia veramente viene perch Dio agisce in essi (manuale, pp. 34-51).

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Nel Magistero della Chiesa- Concilio di Firenze: Esultate Deo, spiega la differenza con quelli dellantica legge(che
non causano grazia, ma solo figurativo), i nostri sacramenti invece contengono la grazia e la conferiscono a coloro che
degnamente li ricevono Concilio di Trento: sessione 7a, contengono la grazia che significano e la conferiscono a
coloro che non frappongono un impedimento Catechismo Romano: una cosa sensibile che per istituzione divina ha
la virt di significare e di produrre la giustizia e santit E nel CCC: sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo
e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina (manuale, pp. 119-120).

III. ISTITUZIONE DA PARTE DI CRISTO


Il dogma sull'origine dei sacramenti non implica soltanto l'affermazione della loro istituzione divina che Ges come Dio
pu dare la grazia ma anche la causa principale della grazia. Un tale potere si chiama potestas auctoritatis, ma pi
specificamente che Ges Cristo ne l'autore, con atti che coinvolgono la stessa Trinit Santissima. San Tommaso chiama
la potest di Cristo, in quanto uomo, sui sacramenti 'potestas excellentiae'. Questa potest di eccellenza sui sacramenti
comporta in primo luogo che la loro efficacia deriva dal Mistero Pasquale della Sua Vita, Passione, Morte e Risurrezione.
La potest deccellenza sui sacramenti implica inoltre che Ges Cristo stesso ad averli stabiliti. Ci vuol dire che i
singoli sacramenti sono riconducibili ad una specifica volont istitutrice di Cristo prima della sua Ascensione in cielo
(manuale, pp. 70-75).

IV.

IL SETTENARIO SACRAMENTALE

Il Concilio di Trento, nel definire l'istituzione dei sacramenti da parte di Cristo, specific che essi sono sette, tutti veri e
propri sacramenti e ne diede l'elenco: "Se qualcuno afferma che i sacramenti della Nuova Legge non sono stati tutti
istituiti da Ges Cristo Nostro Signore, oppure che sono di pi o di meno di sette, cio: Battesimo, Confermazione,
Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio, oppure che uno di questi sette non propriamente e
realmente sacramento, sia scomunicato." Il concilio di Trento anche aggiunse un altro canone nel quale defin la
necessit di tutti i sacramenti: "Se qualcuno dice che i sacramenti della nuova legge non sono necessari per la salvezza,
ma superflui, e che si pu ottenere da Dio la grazia della giustificazione senza di essi o senza il loro desiderio, bench
non tutti siano necessari a ciascun uomo, sia scomunicato" (manuale, pp. 84-85).

V.

STRUTTURA DEL SEGNO SACRAMENTALE

Il segno sacramentale dei sacramenti strutturato in "res et verba" secondo il Concilio Fiorentino, che afferma come
"tutti i sacramenti si realizzano con cose sensibili, come materia, e con parole, come forma. Le cose, che vengono
chiamate materia del sacramento, sono tanto elementi materiali (acqua, olio, vino, pane) quanto azioni sensibili, sia
quelle relative all'uso di tali elementi (abluzione, unzione) sia azioni di altro genere, come l'imposizione delle mani, la
confessione dei peccati, ecc. Le parole che vengono chiamate forma del sacramento sono quelle pronunziate dal
ministro nella realizzazione del sacramento. Materia e forma costituiscono la parte essenziale del segno sacramentale,
diversa dalla parte cerimoniale che d'istituzione ecclesiastica.
Questa struttura del segno sacramentale corrisponde alla perfezione propria dell'economia della salvezza dopo Cristo.
La significazione adesso molto pi precisa, perch non si tratta di annunciare la futura santificazione attuale in virt
della redenzione gi realizzata da Cristo. Ebbene, la significazione diventa precisa con le parole del segno sacramentale.
Gli elementi materiali, i gesti e le parole sono di per s cose eterogenee, ma nel sacramento costituiscono ununit di
causa e di significazione. Le cose sensibili e le parole sacramentali costituiscono un unico segno e un'unica causa degli
effetti del sacramento, e non possono mutare, perch non ci sarebbe pi il sacramento (manuale, p. 94).

VI.

CONTENUTO SALVIFICO DEI SACRAMENTI: LA GRAZIA SACRAMENTALE; IL CARATTERE

Sant'Agostino distingueva tra il sacramento e la virtus sacramenti. Sacramento la parte visibile e virtus sacramenti
l'effetto spirituale invisibile. I teologi del Medioevo, ispirandosi a Sant'Agostino parlano del "sacramentum " che il
segno esterno e del "res sacramenti " che la grazia.
La grazia, tuttavia, non l'unico contenuto di salvezza dei sacramenti. Questo particolarmente indiscusso nel caso
dell'Eucaristia dove oltre alla grazia divina che si riceve nella comunione, vi dopo la consacrazione, una realt
santissima sotto le specie visibili di pane e di vino, cio il Corpo e il Sangue di Ges Cristo. I teologi del secolo XII
cominciarono a distinguere nell'Eucaristia oltre alla forma visibile esterna(sacramentum) e all'effetto invisibile di grazia
in noi (res), anche un terzo elemento, che il Corpo e il Sangue di Cristo (res et sacramentum) (manuale, pp. 105-106).
La Grazia sacramentale
L'efficacia santificatrice dei sacramenti deriva da Cristo, dagli "acta et passa Christi ", soprattutto dal suo Mistero
Pasquale che l'aspetto Cristo-configurativo della grazia sacramentale.
Il fatto che Dio conceda la grazia agli uomini attraverso l'azione dellUmanit Santissima di Cristo, non pu non lasciare
traccia sull'effetto di grazia dei sacramenti, i quali servono, appunto, al contatto salutifero dei misteri della vita di Cristo
con gli uomini di tutte le epoche, superando le barriere dello spazio e del tempo che ci separano da essi.
L'unione misteriosa con Cristo, che pat e fu glorificato, ci rende conformi a Lui. E questa configurazione avviene
attraversi i sacramenti, come insegna il Concilio Vaticano II, "In quel Corpo Mistico la vita di Cristo si diffonde nei
credenti, che attraverso i sacramenti vengono uniti in modo misterioso ma reale a Cristo che ha sofferto ed stato
glorificato. Per mezzo del Battesimo infatti siamo resi conformi a Cristo. Con questo sacro rito viene rappresentata e
88

prodotta la nostra unione alla morte e alla resurrezione di Cristo (...). Nella frazione del pane eucaristico, partecipando
noi realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi" (LG 7b). Ci che si realizza per
mezzo dei sacramenti corrisponde a una necessit inderogabile della vita cristiana: "Tutta le membra devono essere a
lui conformate, fino a che Cristo non sia in esse formato (Gal 4,19). Perci siamo assunti ai misteri della sua vita, resi
conformi a lui, morti e risuscitati con lui, finch con lui regneremo" (LG 7e). Si pu dire che la grazia sacramentale
perfeziona le nostre potenze in modo tale da produrre atti di virt simile, bench parzialmente, a quelli di Cristo nella
sua passione.
In rapporto alle ferite causate dal peccato, la grazia sacramentale d un certo ripristino, pur parziale, dell'integrit
originale. La forza sanante della grazia sacramentale diffonde la sua efficacia sulle diverse facolt interiori dell'uomo,
le quali sono il soggetto immediato delle ferite causate dal peccato. un effetto di una modificazione intrinseca della
grazia, per cui dispiega un'efficacia che, oltre a manifestare una peculiare configurazione a Cristo, comporta anche una
tale opera sanante.
Bisogna dire anche la parte dello Spirito Santo nella santificazione sacramentale, compiuta l'opera che il Padre aveva
affidato al Figlio sulla terra (Gv. 17,4), nel giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente
la Chiesa e perch i credenti avessero cos per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (Ef 2,18). La santificazione
della Chiesa attribuita allo Spirito Santo ed essa avviene innanzi tutto per mezzo dei sacramenti: si vede nei testi
neotestamentari come gli effetti sacramentali si attuano nello Spirito Santo (manuale, pp. 115-119).
Il Carattere
Il carattere una potenza spirituale che rende abili i fedeli a operare non per virt propria ma come strumento di Cristo,
Sommo ed Eterno Sacerdote. Si tratta di un dogma di fede, definito dal Concilio di Trento, "Se qualcuno afferma che
nei tre sacramenti, cio Battesimo, Cresima e Ordine, non viene impresso il carattere nell'anima, vale a dire, un segno
spirituale indelebile , per cui non possono essere ripetuti, sia scomunicato. Segno distintivo un segno di speciale
appartenenza a Cristo. segno invisibile a noi, visibile per a Cristo e agli angeli. Segno configurativo a Cristo. Con
la ricezione del carattere l'uomo reso abile a porre gli atti specifici del culto (oltre alla finalit santificatrice e di rimedio
al peccato del sacramento).
Il sigillo che viene impresso nell'anima il "carattere di Cristo", cio una sua immagine. Il fedele con il carattere acquista
i lineamenti di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, non solo col carattere dell'Ordine, ma anche con quelli del Battesimo
e della Confermazione. Non sono altro che una certa partecipazione al Sacerdozio di Cristo, derivanti da Cristo
medesimo.
Che il carattere ci configura a Cristo anche insegnato dallo stesso magistero. Il Concilio Vaticano II insegna che il
carattere sacramentale dell'Ordine, che viene conferito ai candidati, fa si che "sono segnati da un carattere speciale che
li configura a Cristo". Il carattere segno indelebile. La fonte del carattere il Sacerdozio di Cristo, che eterno, e
l'anima che lo riceve incorruttibile. A differenza della grazia, la quale si radica anche nell'anima, il carattere non si
perde con il peccato perch essendo un potere strumentale, la sua stabilit non dipende dallimmutabilit del soggetto
ma dall'immutabilit di Colui che ha il potere come proprio e in pienezza, cio in Cristo (manuale, pp. 136-138).

VII.

L'EFFICACIA SALVIFICA DEI SACRAMENTI

Il Concilio di Trento definisce come dogma di fede l'efficacia dei sacramenti rispetto alla grazia che conferiscono, e
perci, "Se qualcuno affermer che per mezzo dei sacramenti non viene conferita la grazia "ex opere operato ", ma che
la sola fede nella divina promessa sufficiente per conseguire la grazia, sia scomunicato".
Papa Innocenzo III usa per esprimere che l'indisposizione morale del sacerdote non nuoce all'efficacia dell'Eucaristia,
"... bench 'lopus operans ' (azione moralmente cattiva in quanto imputabile a chi realizza) sia immonda, ci nonostante
'lopus operatum ' (la stessa azione in quanto Dio ne trae del bene) sempre immacolato". L'opus operatum il segno
sacramentale rettamente realizzato secondo l'intenzione della Chiesa, con la materia e la forma dovuta. L'opus operans
la stessa azione in quanto atto morale del ministro.
La grazia non deriva dalle disposizioni di fede e di devozione del ministro e del soggetto, la fonte di grazia non si trova
in loro, ma in Cristo (manuale, pp. 150).

89

TEMA 3 1: La Litu rgia


I.
NATURA DELLA LITURGIA: LE SUE DIMENSIONI CRISTOLOGICA ED ECCLESIOLOGICA
Etimologia nel greco extra-biblico: i = i (che riguarda il popolo o la comunit popolare) + - fare
cose che sono in rapporto con la comunit popolare intesa come unit politica; pi precisamente significa rendere un
servizio al popolo (come comunit politica), anche significa: servizio del popolo. Nel LXX e nel giudaismo
ellenistico: i: -servire nel culto. Sheret, servire nelle funzioni cultuali (dei sacerdoti). : -termine
tecnico per indicare il culto sacerdotale. Nel N T i, : -servono a indicare il culto e importanti azioni
cultuali, ma specialmente la celebrazione delleucaristia Uso attuale del termine Liturgia : CCC 1069: Nella
tradizione cristiana vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all'opera di Dio. CCC 1070: Il termine
Liturgia nel Nuovo Testamento usato per designare non soltanto la celebrazione del culto divino, ma anche
l'annunzio del Vangelo e la carit in atto. In tutti questi casi, si tratta del servizio di Dio e degli uomini.
Definizioni:
Mediator Dei: La Sacra Liturgia il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa;
ed il culto che la societ dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, allEterno Padre: , per dirla in breve, il
culto integrale del Corpo mistico di Ges Cristo, cio del Capo e delle sue membra.
Sacrosanctum Concilium, 7: La liturgia ritenuta quello esercizio dellufficio sacerdotale di Ges Cristo mediante
il quale con segni sensibili viene significata e, in modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione delluomo, e
viene esercitato dal corpo mistico di Ges Cristo, cio dal capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale.
CCC Compendio 218: La liturgia la celebrazione del Mistero di Cristo e in particolare del suo Mistero pasquale.
Elementi essenziali:
Esercizio dellufficio sacerdotale di Ges Cristo, Santificazione degli uomini, Culto pubblico dellintero corpo mistico
di Cristo: Capo e sue membra. Attraverso segni sensibili che significano e realizzano il culto a Dio e la santificazione
degli uomini, Azioni realizzate 1) da persone legittimamente incaricate e 2) attraverso atti approvati dallautorit della
Chiesa Mistero pasquale di Cristo.
La Dimensione Cristologica
La liturgia appoggia essenzialmente in Cristo glorioso. C' una presenza specialissima di Cristo, adesso glorioso accanto al Padre,
nella Chiesa e, in modo particolare, nelle azioni liturgiche. Quella parte di Cristo di tale modo reale, ontologica, viva, presente e
preponderante, che in fondo non esiste nel mondo se non un solo liturgo, Cristo, e una sola liturgia, quella di Cristo. Per mezzo della
liturgia dei sacramenti, Cristo comunica la plenitudine della sua vita a ognuno, e riproduce in loro il suo mistero. "Cristo presente
e agisce nella persona del ministro ordinato che celebra. Questi in virt dell'ordinazione ricevuta stato consacrato per agire "in
persona Christi". Cristo presente nella sua Parola proclamata nell'assemblea. Cristo presente e agisce per virt dello Spirito Santo
nei sacramenti e, in modo singolare ed eminente nel sacrificio della Messa sotto le specie eucaristiche ..." (V.Q.A.7). Dimensione
cristologica-pasquale (CCC 1085, 1088)

La Dimensione Ecclesiologica
Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazione della Chiesa. In realt nella liturgia sempre la Chiesa come tale che
opera, e gli individui solo in quanto sono i suoi ministri e membra. Pertanto, l'efficacia divina dell'azione liturgica sorpassa
immensamente il potere proprio inerente personalmente agli individui che le realizzano. Il "Sacrosanctum Concilium" n. 7 afferma
come "Il Concilio, infine, ha voluto vedere nella liturgia unepifania della Chiesa ": essa la Chiesa in preghiera. Celebrando il
culto divino, la Chiesa esprime ci che : una, santa, cattolica, e apostolica. Essa una quando il popolo santo di Dio partecipa alla
medesima Eucaristia, in una sola preghiera, presso l'unico altare, dove presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio e dai suoi
ministri. santa quando, radunata in un solo corpo dallo Spirito Santo, che santifica e d la vita, comunica ai fedeli, mediante
l'Eucaristia, e gli altri sacramenti, ogni grazia del Padre. cattolica poich in essa lo Spirito del Signore raduna gli uomini di tutte
le lingue nella professione della medesima fede. apostolica perch la fede che essa professa fondata sulla testimonianza degli
Apostoli (cf V.Q.A.9).

II.
CARATTERE GERARCHICO DELLA LITURGIA. CENTRALIT DELLEUCARISTIA
CCC 1142: Ma Le membra non hanno tutte la stessa funzione (Rm 12,4). Alcuni sono chiamati da Dio, nella Chiesa e dalla
Chiesa, ad un servizio speciale della comunit. Questi servitori sono scelti e consacrati mediante il sacramento dell'Ordine. Vescovi:
LG 20, 21, 28, Presbiteri: PO 5, Diaconi: LG 29. CCC 1143: Al fine di servire le funzioni del sacerdozio comune dei fedeli, vi sono
inoltre altri ministeri particolari, non consacrati dal sacramento dell'Ordine la cui funzione determinata dai vescovi secondo le
tradizioni liturgiche e le necessita pastorali. SC 29: ministranti, lettori, commentatori, membri del coro. Nel suo discorso Giovanni
Paolo II ai Vescovi USA dice la liturgia, come la Chiesa, deve essere gerarchica e polifonica e deve rispettare i diversi ruoli assegnati
da Cristo, permettendo a tutte le differenti voci di fondersi in un unico grande inno di lode. SC 33: Il sacerdote che presiede
l'assemblea nella persona di Cristo rivolge a Dio le preghiere a nome di tutto il popolo santo. SC 28: ministro e fedele svolge il
proprio ufficio, compia solo e tutto ci che di sua competenza, secondo la natura del rito, secondo le norme liturgiche. CCC 1144.
In questo modo, nella celebrazione dei sacramenti, tutta l'assemblea liturga, ciascuno secondo la propria funzione, ma nell'unit
dello Spirito che agisce in tutti.
90

CENTRALIT DELLA EUCARISTIA NELLA LITURGIA

SC 10: Dalla liturgia dunque, particolarmente dalleucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, si ottiene con
la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono,
come a loro fine, tutte le altre attivit della Chiesa.
CCC 1324: LEucaristia fonte e apice di tutta la vita cristiana. (Ecclesia de Eucaristia 7: additando con nuova forza
alla Chiesa la centralit dell'Eucaristia. 31: centralit dell'Eucaristia nella vita e nel ministero dei sacerdoti. 51: La
centralit del Mistero eucaristico).

III.

IL TEMPO NELLA LITURGIA

i)

Il Verbo di Dio e il tempo- Gal 4,4: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mand il suo Figlio, nato da donna, nato
sotto la legge , per riscattare coloro che erano sotto la legge, perch ricevessimo ladozione a figli. La pienezza del
tempo si identifica con il mistero dellincarnazione del Verbo. Il fatto che il Verbo eterno abbia assunto nella pienezza
dei tempi la condizione di creatura conferisce allevento di Betlemme un singolare valore cosmico. Il tempo in realt si
compiuto per il fatto stesso che Dio, con lincarnazione, si calcato dentro la storia delluomo. Leternit entrata nel
tempo. Entrare nella pienezza del tempo significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini,
per trovare il compimento nelleternit di Dio. Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia
celeste. Dentro la dimensione del tempo viene creato il mondo, al suo interno si svolge la storia della salvezza. In Ges
Cristo, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso eterno. Da questo rapporto di Dio col tempo nasce il
dovere di santificarlo. Si dedicano a Dio singoli tempi , giorni o settimane. Cristo Signore del tempo: il suo principio
e il suo compimento. Ogni anno, ogni giorno ed ogni momento vengono abbracciati dalla sua Incarnazione e
Risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella pienezza del tempo.
Il tempo liturgico: Spiritus et Sponsa 3 La vita liturgica della Chiesa assume un respiro cosmico e universale segnando
in modo profondo il tempo e lo spazio delluomo. In questa prospettiva si comprende perch lanno liturgico sia cammino
attraverso il quale la Chiesa fa memoria del Mistero pasquale di Cristo e lo rivive. La Chiesa vive e celebra la liturgia
nello spazio dellanno. Lanno solare viene cos pervaso dallanno liturgico, riproduce in un certo senso lintero mistero
dellincarnazione e della Redenzione, iniziando dalla prima Domenica dAvvento terminando nella solennit di Cristo
Re e Signore delluniverso e della storia. Ogni domenica ricorda il giorno della resurrezione del Signore. La Chiesa
considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in determinati giorni nel corso dellanno, lopera salvifica del suo
sposo divino. Ogni settimana, domenica fa la memoria della resurrezione del Signore. Una volta allanno unitamente
alla sua beata passione, celebra a Pasqua, la pi grande delle solennit. Nel ciclo annuale presenta tutto il mistero di
Cristo, dallincarnazione e nativit fino allascensione, al giorno di pentecoste e allattesa della beata speranza e del
ritorno del Signore.(cfr. CCC1166,1168,1172,1174).

ii)

IV.
LE FAMIGLIE LITURGICHE DELLORIENTE E DELLOCCIDENTE.
Oriente:
1. La Famiglia Alessandrina.
a) rito copto: La base del rito copto l'antica osservanza liturgica di Alessandria. Il nome copto deriva dal greco aigyptios egizio,
dall'arabo (qpt o qubt). La liturgia si celebrava in greco nelle citt ellenizzate, fin dal IV secolo. Ci sono state influenze bizantina
ed antiochena nel rito copto.
b)Il rito etiopico : deriva dall'antica liturgia alessandrina. Il regno etiopico di Axum fu il punto di riferimento della fondazione della
Chiesa in Etiopia. La Chiesa etiopica rimase gerarchicamente dipendente dalla Chiesa egiziana fino al tempo recente. Nel corso del
tempo i libri liturgici provenienti dall'Egitto furono tradotti dal greco in ge'ez (la lingua nazionale). Fra i documenti che
influenzarono lo sviluppo della liturgia etiopica nei riti e nell'eucologia sono:
1) il Testamento del nostro Signore Ges Cristo.
2) la Traditio Apostolica
3) infine la cosiddetta Didascalia etiopica.

2. La Famiglia Antiochena o Siro-Occidentale.


a)Il rito siriaco o siro-antiocheno: Deriva dallantica liturgia di Antiochia. La liturgia di Gerusalemme influenz levoluzione
ulteriore del rito. Le celebrazioni liturgiche erano in greco nelle citt, ma gradualmente assunsero una forma siriaca nella campagna.I
cristiani siriaci si erano divisi dopo concilio di Calcedonia. Il rito siriaco la liturgia usata dalle attuali Chiese ortodossa siriaca e
cattolica siriaca.
b)Il rito maronita: deriva dallosservanza liturgica dei monasteri e delle comunit cristiane all'interno dellinfluenza del monastero
di Marone (410) in Siria. Perseguitati dall'ostilit dei musulmani e dai Giacobiti e Melchiti, i Maroniti emigrarono verso le montagne
del Libano nellVIII secolo e l formarono una Chiesa autonoma. La liturgia maronita, mantenne molte usanze siriache antiche. I
Maroniti hanno ricevuto molti influssi latini. Oggi la lingua liturgica larabo con alcune parti, in siriaco.
c)Il rito malankarese -La liturgia antiochena raggiunse lIndia del Sud con i vescovi siri ortodossi nei secoli XVII e XVIII . I
cristiani di Tommaso che rifiutarono di cedere alla latinizzazione riuscirono a contattare il patriarca della Chiesa siriaca ortodossa
che accett di riceverli sotto la sua giurisdizione e di dar loro un vescovo a patto che essi accettassero la teologia e la liturgia della
sua Chiesa. Ci diede origine al rito malankarese in India

91

3. La Famiglia Bizantina: Costantinopoli, fu fondata nel IV secolo da Costantino sul sito di Bisanzio. Fu influenzato molto dagli
elementi provenienti dalle tradizioni Cappadocia, Antiochia, e Gerusalemme La liturgia bizantina assunse la sua classica struttura
fra i secoli VI e IX nella cattedrale di Hagia Sophia e nel monastero di Stoudion a Costantinopoli. Dalla fine dellVIII secolo e
soprattutto attraverso la missione di Cirillo e di Metodio, la liturgia bizantina fu diffusa fra i popoli slavi nei balcani, poi fra i Rumeni
e fra i Russi.
4. La Famiglia Armena -La liturgia armena si form e fior presso la comunit armena nella regione intorno al lago Van. Nei secoli
II e III era entrata una variet siriaca del rito antiocheno. Nella prima met del sec V. si tradussero le Scritture e i testi liturgici in
armeno. Nei secoli V e VI questa liturgia fu arricchita con lintroduzione di abbondanti materiali tradotti in armeno dalla tradizione
di Gerusalemme. Fra il VII e lXI secolo il rito armeno pass attraverso molte fasi dinfluenza bizantina.

5. La Famiglia Persiana o Siro-Orientale


a) Il rito assiro o caldeo -Si tratta di un rito dentro di una tradizione liturgica costituita nelle regioni orientali, particolarmente
nellAlta Mesopotamia (Caldea). Ha ricevuto influssi da Edessa anche da Nisibi. Le prime comunit si fanno riconoscere, gi dalla
fine del II secolo, a Nisibi ed Edessa. Dal XVI secolo alcune parti della Chiesa assira orientale si sono unite con Roma. Questi
cattolici si chiamano caldei. Bench il siriaco rimanga la lingua liturgica, larabo talvolta usato nella liturgia della parola.
b)Il rito di Malabar-Prende il nome dalla costa sud occidentale dellIndia nel Kerala. Il cristianesimo si sia diffuso nella regione
in seguito allevangelizzazione dell'apostolo Tommaso. I missionari latini si fece il tentativo di liberare la liturgia di Malabar da
qualsiasi traccia di nestorianesimo. La riforma liturgica per restaurare il carattere orientale del rito di Malabar cominci con papa
Pio XI nel 1934.

Occidente
1. Rito Romano: Per liturgia romana intendiamo la liturgia che nasce e si sviluppa nella citt di Roma attorno al Papa e ai tituli,
vale a dire le chiese rette da un presbitero. A partire dal IV secolo, con ladozione definitiva del latino nella liturgia romana
incomincia un lungo periodo di produzione eucologica e di successiva codificazione nei libri liturgici La formazione della liturgia
romana Secoli IV VIII: il periodo classico. La formazione della liturgia romana-Mondo culturale romano Momento di sviluppo,
espansione e arricchimento. soprattutto lepoca che abbraccia i secoli V e VI. I grandi Papi San Leone Magno, San Gelasio San
Gregorio Magno.
2. Rito Ambrosiano: si svilupp a Milano. Porta il nome di ambrosiana come riconoscimento alla grande personalit di
SantAmbrogio vescovo di Milano. Ci, non significa che essa sia tutta opera di Ambrogio. Alcuni sostengono unorigine orientale,
altri unorigine romana. La liturgia romana abbia esercitato un grande influsso su quella di Milano, anche ce le influenze orientali.
Questa liturgia si mantiene viva fino ad oggi
3. Rito della Gallia- si ebbe nel VI secolo con San Cesario di Arles. Il rito gallicano scomparve alla fine dellVIII secolo in seguito
all'adozione, da parte di Carlo Magno dei libri liturgici portati da Roma, per il suo regno.
4. Rito Ispanico -La liturgia ispanica nacque e si svilupp nella penisola iberica dagli inizi della predicazione cristiana fino alla sua
soppressione per opera di papa Gregorio VII nell'anno 1080. Tre nomi: ispanica, visigotica Mozarabica, rispondono a tre periodi
storici nei quali la liturgia si sviluppata. Ispanica, corrisponde al periodo romano; visigotica, al periodo del regno visigotico;
mozarabica, al periodo della dominazione musulmana.
5. Rito Celtico -La liturgia celtica si svilupp in Irlanda. Le fonti che sono giunte fino a noi, sebbene poche, sono molto antiche.
Risalgono infatti al VII secolo. Si tratta di una liturgia fondamentalmente romana con influssi gallicani, ambrosiani e ispanici
6. Rito dellAfrica -Per liturgia africana intendiamo la liturgia celebrata nellAfrica nord occidentale da quando in questa zona si
predic il cristianesimo fino alla sua scomparsa a causa delle invasioni dei Vandali e dei musulmani.

Famiglie
Alessandria
Oriente

Antiochena/Siro-Occidentale

Bizantina
Armena
Persiana o Siro-Orientale

Riti
Copto
Etiopico
Siriaco o siro-antiocheno
Maronita
Malankarese

Occidente

Riti
Romano
Ambrosiano
Della Gallia
Ispanico
Celtico

Assiro o caldeo
Malabar

DellAfrica

92

TEMA 3 2: Il Battesi mo e la Cresima


I.

IL BATTESIMO NEL NUOVO TESTAMENTO

Il Battesimo il sacramento per mezzo del quale siamo incorporati a Cristo e alla sua Chiesa (Conc. di Firenze) mediante
la rigenerazione per mezzo dellacqua nella parola (Conc. di Trento; cf. Ef 5, 25): liberati dal peccato e rigenerati come
figli di Dio, diveniamo membra di Cristo, siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione (CCC 1213).
Il Battesimo cos il sacramento delliniziazione cristiana e rendendoci partecipi del mistero pasquale di Cristo ci fa
rinascere a una nuova vita, la Vita divina di Cristo. (Col 2, 9-14).
Il Nuovo Testamento ci presenta il battesimo amministrato da Giovanni che era per solo un battesimo di conversione
e penitenza, preparazione alla grazia del Battesimo cristiano (per la fede nel Cristo che Giovanni annunziava, per il rito
stesso battesimale di immersione nelle acque, e per la penitenza che veniva richiesta a coloro che si facevano battezzare).
Ges stesso, facendosi battezzare nel Giordano da Giovanni, mostra la futura grazia che avrebbero ricevuto i credenti
in lui, mediante il Battesimo da lui istituito: la santificazione delle acque attraverso la sua discesa nell'acqua; i cieli aperti
e la teofania che rivelano il mistero della Trinit di cui saranno resi partecipi i battezzati, essendosi riaperta per l'uomo
la via che conduce al Padre chiusa a causa del peccato; il dono dello Spirito Santo e la filiazione divina, prefigurati dalla
discesa dello Spirito Santo su Ges risalito dall'acqua e dalla voce del Padre che lo dichiara il suo Figlio prediletto, nel
quale si compiaciuto (Mt 3, 13-17 sin. Gv 1, 29-34)21.

II.

EFFETTI DEL BATTESIMO: LA RIGENERAZIONE BATTESIMALE; IL CARATTERE

La rigenerazione battesimale:
Si tratta di una vera e propria rinascita, un passaggio dalla morte alla vita: la vita naturale si trasforma nella vita in Cristo
(2Cor 5,17). 1). Partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo: (testi paolini: Rm 6,3-5; Col 2,9-12; Gal 3,26-27) si
conferma che per mezzo del battesimo luomo si inserisce in tal modo in Cristo che la sua morte e risurrezione diventano
anche eventi del battezzato. Si tratta di un principio di solidariet, incorporazione. 2). Purificazione dal peccato:
aspetto sanante del battesimo. per mezzo del battesimo sono rimessi tutti i peccati, il peccato originale e tutti i peccati
personale(CCC 1263). 3). Filiazione divina e nuova vita in Cristo: laspetto elevante del battesimo. La portata
elevante della grazia battesimale opera nelluomo secondo una triplice dimensione dellunica realt salvifica: la grazia
santificante, le virt infuse e i doni dello Spirito Santo. Per la grazia santificante i cristiani sono resi partecipi della
natura divina nella nuova condizione di figli di Dio, sono figli nel Figlio. Questa realt fonda una radicale uguaglianza
tra di loro (Gal 3,26-28). Questa adozione legato al dono dello Spirito Santo. Il credente battezzato in Cristo nello
Spirito Santo. Nel battesimo anche riceve le virt infuse, in modo immediato, la virt della fede sacramento della fede.

Il carattere:
Battesimo conferisce la grazia perch imprime il carattere, che un segno esegitivo della grazia. Il carattere sacramentale
conferito ai battezzati rientra invece fra quella realt configurate come potenza dellanima, e pi concreto come la facolt
per cui essi sono deputati al culto della religione cristiana(LG 11/1). Lesistenza del carattere battesimale definita
nel Concilio Tridentino come patrimonio della fede cattolica (DH 1609). Il carattere una consacrazione, una
partecipazione alla stessa consacrazione di Cristo. Il sacerdozio di Cristo messo in essere mediante la sua
consacrazione (incarnazione) e la sua missione; per la consacrazione battesimale il cristiano partecipa al sacerdozio di
Cristo e si inserisce nella missione della Chiesa esercitando il sacerdozio comune dei fedeli. Il carattere un segno
configurativo in quanto ci imprime nellanima una rassomiglianza con Cristo. un segno distintivo che il battesimo
distingue nettamente i cristiani dai non-cristiani. anche un segno dispositivo, attraverso del quale il cristiano reso
idoneo ed destinato al culto di Dio secondo la religione cristiana, e diventa capace di ricevere i beni divini. Poi il
carattere battesimale una deputazione, che quello rende partecipe alla missione della Chiesa.

III.

NECESSIT DEL BATTESIMO PER LA SALVEZZA:

Il Concilio Tridentino afferma che la grazia battesimale necessaria per la salvezza, in tutti i casi, con necessit di
mezzo, e cio come conditio sine qua non per raggiungere la vita eterna. La salvezza possibile solo in Cristo: in
nessun altro c salvezza.(unicit della mediazione di Cristo). Ma la salvezza in Cristo, lincorporazione a Cristo,
avviene attraverso il battesimo. Chi creder e sar battezzato sar salvo, ma chi non creder sar condannato(Mc
16,15-16). Dio ha legato la salvezza al sacramento del battesimo, tuttavia egli non legato ai suoi sacramenti(CCC
1257). Quindi fuori del battesimo dacqua, esiste anche la possibilit di salvezza. Riguardo questo la Chiesa parla del
battesimo di sangue e battesimo di desiderio, questi due insieme al battesimo dacqua, convergono nellunico
battesimo cristiano.

21

Altri brani nel NT: At 2, 38; Gal 3, 27; 1Cor 12, 13; Ef 4, 5; Tt 3, 5.

93

IV.

LA CRESIMA NELLA SCRITTURA E NELLA VITA DELLA CHIESA:

La cresima nellAT viene considerata come leffusione dello Spirito insieme ai suoi doni. Tradizionalmente si cita il
testo di Isaia parlando di Messia: su di lui si poser lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito
di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore (Is 11,2).
1) Lo Spirito in Ges: NellIncarnazione del Salvatore, lo Spirito non solo opera il miracolo della concezione
verginale, ma santifica il frutto del grembo di Maria con lunzione sostanziale che lo costituisce Figlio di Dio e
Capo dellumanit. Questa prima effusione dello Spirito sul Cristo ammirevolmente manifestata e anche
ulteriormente sviluppata con lunzione del Giordano (Lc 3,21-22). (Soprattutto Ges parla dello Spirito nel Gv).
2) Lo spirito nella Chiesa: Ripetutamente Ges annuncia che lo Spirito sar comunicato anche ai suoi discepoli
(Lc 12,12; Gv 14,16-17; 15,26-27; 16,7-15). Ma lo Spirito non scese sui discepoli finch sia glorificato Ges.
Invece furono uniti dallo Spirito nel giorno della Pentecoste. Il fatto che lo Spirito scendesse sugli apostoli in
quel giorno non poteva non rivestire una forte carica simbolica presso la Chiesa primitiva. Con la discesa dello
Spirito, la Chiesa, rivestita la forza irresistibile di Dio, comincia la sua missione nel mondo formando i popoli
come parte del Popolo nuovo di Dio.
3) Lo spirito nei cristiani: Gli apostoli hanno ritenuto la novit delleffusione dello Spirito nella Pentecoste come
un dono (e una missione) talmente unico e decisivo che trasmettono mediante il rito dellimposizione delle
mani. Tale gesto nella Chiesa primitiva indica la trasmissione dei doni divini, in modo particolare, il potere
dello Spirito Santo. Lesegesi dellepoca patristica gi considerava che questo rito dellimposizione delle mani
come rito distinto del battesimo.
La cresima nella vita della Chiesa:
Nei testi degli Atti, la confermazione veniva conferita dagli apostoli mediante il segno dellimposizione delle mani
accompagnato da una preghiera. riservata ai soli apostoli. Nella Traditio Apostolica gi si vede che per meglio
esprimere il dono dello Spirito Santo, ben presto allimposizione delle mani si aggiunta lunione di olio profumato
(cresima). Nei scritti dei diversi Padri (S,Cirillo di Gerusalemme, Tertulliano), questo rito riservato al Vescovo.
Posteriormente, le Chiese dellOriente privilegiarono lunit sacramentale delliniziazione cristiana, a scapito della
presenza del vescovo per la confermazione. Il presbitero prese il suo posto e divenne il ministro ordinario della cresima.
LOccidente prefer conservare il simbolismo dellunit ecclesiale rappresentata dalla ministerialit episcopale nella
cresima. (CCC1292). Quando il magistero della Chiesa assunse il concetto teologico di sacramento, esso fin dallinizio
annover la cresima come uno dei sette sacramenti (DH 860, Concilio di Lione).

V.

IL DONO DELLO SPIRITO SANTO: (EFFETTI)

E' il Sacramento dello Spirito Santo che viene comunicato in pienezza ai rigenerati nel Battesimo. Il Paraclito scende su
di loro come discese sugli Apostoli. Cristo ha compiuto quella promessa fatta nell'Antico Testamento dell'effusione su
tutti gli uomini dello Spirito di Dio. E agli Apostoli promise di effondere su di loro il Promesso dal Padre, lo Spirito di
verit, un altro Consolatore: saranno investiti dall'alto, rester con loro per sempre, li guider alla verit tutta intera, dar
loro forza di rendergli testimonianza. Egli procede dal Padre, render testimonianza del Figlio e perci lo glorificher,
il Figlio lo mander ed Egli convincer il mondo. La sua promessa riguarda tutti i credenti in Lui (Gv 14-16; 7). La
promessa si adempie il giorno di Pentecoste: gli Apostoli sono guidati a tutta la verit, sono resi annunciatori intrepidi
di Cristo e comprendono in profondit il suo mistero. Lo Spirito Santo che hanno ricevuto lo trasmettono per via
sacramentale. E nel conferire lo Spirito si rinnova l'evento pentecostale (cf. At 8; 19). Il mistero si rinnova nei cresimati:
lo Spirito li colma della sua grazia sovrabbondante, della pienezza dei suoi doni rendendoli perfetti cristiani, come gli
Apostoli, soldati di Cristo.
Questo sacramento non un semplice accrescimento della grazia del Battesimo, ma comunica la pienezza della vita
nello Spirito, porta a compimento l'opera iniziata nel Battesimo, perfezionando la nuova creatura nata alla vita
spirituale, in modo da farle raggiungere l'et adulta: l'et perfetta che rende conforme a Cristo nella sua suprema
perfezione di Verbo incarnato, pieno di grazia e di verit (la sua perfezione il modello di ogni confermato). Ef 4, 13
finch arriviamo tutti all'unit della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura
che conviene alla piena maturit di Cristo.
La vita teologale riceve un arricchimento meraviglioso, una pienezza di vita interiore e di santificazione, con una
trasformazione soprannaturale dell'agire (come la forza dall'alto che rese intrepidi gli Apostoli) che irrobustisce contro
i nemici invisibili nel combattimento spirituale: robur ad pugnam - militia Christi -. L'uomo, che non ha vissuto che
per s, comincia a vivere a servizio degli altri, e viene abilitato a rendere un'efficace testimonianza apostolica:
(apostolato) "vincolati pi perfettamente alla Chiesa, arricchiti di una speciale forza dello Spirito Santo, sono pi
strettamente obbligati a diffondere e difendere con la parola e con l'opera la fede come veri testimoni di Cristo" (LG
11). Lo Spirito d loro la capacit di assolvere pi efficacemente il compito ricevuto col Battesimo per l'unione con
Cristo Capo, inseriti nel suo Corpo, sono deputati dal Signore all'apostolato (AA 3).
94

Come nel Battesimo e nell'Ordine, il sacramento imprime un carattere indelebile, un nuovo modo di somigliare a Cristo
e di appartenere alla Chiesa, che configura a Cristo nella sua forza messianica, in quanto affronta pubblicamente le
potenze del male e con la sua Croce distrugge il peccato e la morte. Vi perci l'obbligo di riceverlo per necessit di
precetto, in quanto richiesto dalla vita spirituale dei fedeli per affrontare con successo il combattimento della fede e la
lotta contro i nemici della nostra santificazione.

VI.

ELEMENTI ESSENZIALI DEL RITO:

In et apostolica l'elemento materiale l'imposizione delle mani. La Costituzione Apostolica Divinae consortium
naturae (1971) di Paolo VI chiarisce definitivamente che la cresimazione comunque rappresenta l'imposizione delle
mani usata dagli Apostoli: il sacramento viene conferito mediante l'unzione col crisma sulla fronte che si fa con
l'imposizione della mano. La forma: la Const. Div. cons. nat. prescrive l'antichissima formula propria del rito greco, con
la quale si esprime il dono dello Spirito Santo, e si ricorda l'effusione che avvenne a Pentecoste: Accipe signaculum
doni Spiritus Sancti. Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti dato in dono.

VII.

MINISTRO E SOGGETTO:

Ministro ordinario o originario il Vescovo (cf At 8; 19 - l'amministrazione del sacramento riservata agli Apostoli.
Nella Traditio Apostolica il rituale prevede come ministro solo il Vescovo). Il motivo che in tal modo risulta pi chiaro
il riferimento allo Spirito Santo che fu effuso sugli Apostoli il giorno di Pentecoste, e furono essi a trasmetterlo ai fedeli.
Il Vescovo poi rappresenta la Chiesa, e a lui spetta la celebrazione dei sacramenti della piena appartenenza ad essa.
Ministro straordinario il sacerdote che abbia ricevuto tale potere per prescrizione generale del diritto: amministratore
apostolico, prelato, abate nullius, vicario apostolico, prefetto apostolico - oppure per speciale indulto apostolico.
Il soggetto ogni battezzato non ancora cresimato. La tradizione latina fissa come et conveniente per riceverlo l'et
della discrezione (o della ragione, verso i sette anni). In Oriente continua la tradizione antica per cui questo sacramento
viene amministrato immediatamente dopo il Battesimo, e dunque nei primissimi anni di vita.

95

TEMA 3 3: L Eu caristia(I)
I.

LEUCARISTIA ISTITUITA DA CRISTO: INSEGNAMENTO DELLA SACRA SCRITTURA E DELLA TRADIZIONE.

(DH: indice Pagina220, K 5aa. Contesto numero :1637, 1727, 1740, 1752, 4047)

1. La promessa dell'Eucaristia:
Gv 6,51-59: Giovani attribuisce implicitamente l'istituzione dell'Eucaristia a Ges stesso, il quale ha parlato ai discepoli
della necessit assoluta per tutti di cibarsi della sua carne e gustare il suo sangue. Altre ragioni: Cristo attribuisce al fatto
di mangiarne e di berne effetti reali: vita eterna, risurrezione e intima unione con Lui; lo scandalo dei Giudei nacque
dall'interpretazione letterale delle sue parole; Ges Cristo avrebbe dovuto eliminare uno scandalo inutile, ma se non l'ha
fatto, ci perch, da parte sua, ne era innocente.

2. Le parole dell'istituzione dell'Eucaristia (Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,19-20; 1Cor 11,23-25)


a) Mt e Mc riferiscono che Ges istitu l'Eucaristia "mentre mangiavano". Lc e Paolo precisano che Ges consacr il
vino "dopo aver cenato" alla fine cio della celebrazione giudaica della cena pasquale.
b) Mt e Mc riportano la formula: "Questo il mio corpo" senza aggiunte; Paolo ha invece in pi "che per voi" mentre
Lc vi aggiunge offerto "in sacrificio per voi"
c) Mt e Mc nella consacrazione del calice rammentano direttamente il sangue (Questo il mio sangue dell'Alleanza);
Paolo e Lc invece ricordano direttamente il calice e l'Alleanza e solo indirettamente il sangue (Questo calice la
Nuova Alleanza nel mio sangue).
d) La recessione di Paolo e di Lc ha il comando di Ges: "Fate questo in memoria di me" Comando che non invece
riportato da Mt e Lc.

3. Pratica e significato dell'Eucaristia negli Atti degli Apostoli.


La Chiesa apostolica, obbediente al comando del Signore: fate questo in memoria di me, subito celebr
leucaristia a Gerusalemme (At 2), a Troade (At 20), a Corinto (I Cor 10-11), e in tutti luoghi dive arrivava il
cristianesimo. In occasioni dell'addio di Paolo, essa avviene di sera, come di sera avvenne l'ultima cena. La liturgia
costituita dai discorsi dell'apostolo, che si prolungano fin dopo mezzanotte e del successivo "spezzare il pane" con un
rito, a quanto sembra, piuttosto rapido. Dagli Atti dunque risulta che la primitiva comunit cristiana considerava come
il suo centro e la sua forza unificante il sacramento della Eucaristia, la quale fa la Chiesa.

4. Pratica e significato dell'Eucaristia nella Chiesa di Corinto.


I punti salienti:
Anche nelle lettere di San Paolo troviamo testimonianze di come la Chiesa di Ges Cristo celebrava
lEucaristia nei luoghi dove cominciava a radicarsi. Due sono i testi di maggior importanza, ambedue della
Prima lettera ai Corinzi: I Cor 10,14-22, e I Cor 11, 20-34.
- Come la manna fu il cibo dell'Antico Israele nel deserto, cosi l'Eucaristia il cibo del Nuovo Israele nel suo
pellegrinaggio verso la patria celeste.
L'Eucaristia inoltre cibo in forma di convito sacrificale.
- Come negli altri sacrifici si mangia la carne della vittima, cos nell'Eucaristia si mangia la vittima stessa ed
entriamo in comunione con lei.
- L'Eucaristia simboleggia ed attua l'unit della Chiesa: per eccellenza il sacramento che ci fa un "corpo solo".
II. LA SPECIFICIT DELLA PRESENZA EUCARISTICA DI CRISTO:
PRESENZA VERA, REALE E SOSTANZIALE DELLA PERSONA DI GES CRISTO NEL SANTISSIMO SACRAMENTO.
(DH: indice Pagina 222, K 5bd.Contesto:Numero 700,1640,1651 )
Ges Cristo veramente, realmente e sostanzialmente presente nell'Eucaristia con la carne ed il sangue, il corpo e
l'anima, l'umanit e la divinit.
Tale presenza si dice "reale" non per esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma per antonomasia perch anche
corporale e sostanziale, ossia totale e non puramente dinamica come negli altri sacramenti; e in forza di essa Cristo,
uomo-Dio, tutto intero si fa presente.
La sostanza non presente normalmente in un luogo per se stessa, ma mediante gli accidenti che la quantificano e la
situano. Nel caso della Transustanziazione, quello che reso presente direttamente invece, la sostanza di Cristo: essa
presente per se stessa; in forza della transustanziazione, non mediante gli accidenti propri.

a) Magistero:
Il concilio di Trento insegna sullEucaristia: se qualcuno nega che nel sacramento della santissima eucaristia sia
contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue, insieme con lanima e la divinit di nostro
Signore Ges Cristo, e conseguentemente tutto il Cristo, ma dir che sia soltanto come in simbolo, in figura, e con la
sola efficacia: sia anatema. Inoltre, la dottrina tridentina sulla presenza reale contenuta nel capitolo 1:
96

a. il concilio asserisce che nel sacramento delleucaristia, Cristo veramente, realmente e sostanzialmente presente
sotto il velo del pane e del vino. Questi tre avverbi sono diretti rispettivamente contro Zwinglio (veramente) e
Ecolampadio (realmente) e Calvino (sostanzialmente).
b. Non ripugna che lo stesso Salvatore sia presso il Padre (Berengario), secondo il suo modo naturale, e allo stesso
tempo presente in molti luoghi, sacramentalmente secondo la sua sostanza. Si possono distinguere 3 forme di
esistenza di Cristo: quella connaturale di Cristo durante la sua vita terrena, quella connaturale di Cristo glorioso e
quella sacramentale di Cristo nelleucaristia. Il modo sacramentale di esistere non meno reale degli altri due.
c. La presenza reale di Cristo nelleucaristia un mistero inspiegabile per noi.
Lenciclica Mysterium Fidei
Il concilio Vaticano II mette fortemente in luce la presenza di Cristo nella Chiesa ed in particolare nelleucaristia. Cristo
presente nel sacrificio della messa sia nella persona del ministro sia soprattutto sotto le specie eucaristiche (SC 7).
Lenciclica Mysterium Fidei di Paolo VI considera, seguendo le orme del Vaticano II, la presenza eucaristica alla luce
e contesto nei diversi modi di presenza di Cristo nella sua Chiesa. Cristo presente nella sua Chiesa che prega, essendo
Egli colui che prega per noi, prega in noi ed pregato da noi. Egli presente alla sua Chiesa che esercita le opere di
misericordia, che predica, che regge e governa il popolo di Dio. inoltre, in modo ancora pi sublime, Cristo presente
alla sua Chiesa che in suo nome celebra il sacrificio della Messa e amministra i sacramenti. Ma ben altro il modo,
veramente sublime, con cui Cristo presente alla sua Chiesa nel sacramento delleucaristia. Tale presenza si dice
reale non per esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma per antonomasia perch anche corporale e sostanziale,
in forza di essere Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente. La presenza di Cristo nelleucaristia deve essere vista,
anche s in termini analogici, come il prolungamento nel tempo e nella storia dello stesso mistero dellincarnazione. La
presenza di Cristo nel sacramento , inoltre, unesigenza dellamore di Cristo verso gli uomini. Lamore porta per sua
stessa natura, ad essere presente, in quanto possibile, alla persona amata.

b) Nuovo Testamento:
Ci presenta molte testimonianze sull'Eucaristia: dalla promessa (Gv 6,52ss) e dalle parole d'istituzione
Ges ha voluto dare ai discepoli la sua vera carne e il suo vero sangue. 1Cor 10,20-21 e 11,26-30 ci fanno vedere che
gli Apostoli hanno veramente ricevuto come tale il dono di Ges e continuato a nutrirsene nei loro conviti religiosi.
Secondo S. Paolo il ricevere il corpo ed il sangue di Cristo ha delle conseguenze morali reali: per i buoni "la
partecipazione al corpo del Signore" (1Cor 10,16), per i cattivi: "la colpevolezza verso il corpo e il sangue del Signore",
"il giudizio", "la debolezza, la malattia e la morte" (1Cor 11,27-30). Se si trattasse solo di puri simboli, di figure e di
parabole, non si avrebbero tali effetti.
III. IL DOGMA DELLA TRANSUSTANZIAZIONE.
(DH: indice Pagina 222 k 5bd, contesto Numero 1642, 1652)
Ges Cristo si rende presente nell'Eucaristia mediante la conversione della sostanza del pane e del vino nel suo corpo e
nel suo sangue.

a) La transustanziazione ha due aspetti:


La conversione passiva degli elementi. Nelle trasformazioni naturali distinguiamo un punto di partenza (terminus a
quo), un punto di arrivo (terminus ad quem) e un punto comune permanente (terminus manens) che fonda la
relazione interna e la continuit richieste dalla nozione di conversione. Nella conversione eucaristica, il punto di
partenza costituito dal pane e dal vino, il punto di arrivo il corpo del Signore, mentre le specie costituiscono il
punto intermedio e comune.
L'operazione attiva della trasformazione da parte da Dio che produce in modo soprannaturale il totale cambiamento
del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo.
b) Definizione della Chiesa
Il Concilio di Trento contro gli errori protestanti defin la transustanziazione:
- La presenza reale del corpo e sangue di Ges Cristo sotto la specie del pane e del vino.
- L'assenza della sostanza del pane e del vino sotto la specie sacramentali (e quindi viene condannata la dottrina
luterana dell'impanazione).
- La presenza del corpo e del sangue di Cristo e l'assenza del pane e del vino si spiega per la conversione totale
della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Ges.
- Gli accidenti del pane e del vino permangono.
Recentemente Paolo VI ha riaffermato la dottrina cattolica in due importanti documenti del Magistero:
i) L'Enciclica "Mysterium Fidei" (3 IX 65): "Ora quella voce (della Chiesa docente e orante) ci assicura che Cristo non
si fa presente in questo sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di
tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la Chiesa cattolica chiama
giustamente e propriamente "transustanziazione".
97

ii) Il Credo del Popolo di Dio (29 VI 68). "Per tanto Cristo non pu essere presente in questo Sacramento se non
mediante la conversione nel suo corpo della realt stessa del pane e mediante la conversione nel suo sangue della
realt stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto la propriet del pane e del vino percepite dai nostri
sensi. Tale conversione misteriosa chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, "transustanziazione".
c.
Dottrina di S. Tommaso.
San Tommaso, partendo dalla verit della reale presenza che non pu essere conosciuta n con i sensi, n con l'intelletto,
ma con la sola fede, che si fonda sull'autorit divina, conclude che l'unica via per procurare la reale presenza la
"conversione". Passando poi all'esame di questa, considera con particolare attenzione il termine "a quo" (sostanza del
pane) che cessa totalmente, per non cessa cadendo nel nulla, ma mutandosi totalmente nella sostanza del corpo di
Cristo (ad quem).
IV. TEORIE TEOLOGICHE RECENTI SULLA CONVERSIONE EUCARISTICA E ORIENTAMENTI DEL MAGISTERO.
(DH: INDICE PAGINA 222, K 5BD. CONTESTO N. 4411,4412)
Per sostituire le categorie tradizionali di sostanza e transustanziazione con altri schemi pi accessibili alla mentalit moderna,
alcuni si sono serviti della filosofia esistenzialista, che definisce lente alla luce della sua relazione con la persona umana, e
applicando le regole al sacramento lo vede come un rapporto simbolico con i credenti. Secondo questi principi la presenza
reale (che non negata) non che un mutamento di significato (transignificazione) e di finalit (transfinalizazione) acquisito
dagli elementi fisico chimici, per cui non sono pi pane e vino.
La teoria della transignificazione stata proposta pubblicamente nel 1955 da Lecnhardt e si andata sviluppando sino
alla fine del concilio Vaticano II. In essa si possono distinguere due tappe. Nella prima tappa: secondo lui la
transustanziazione eucaristica viene concepita come cambiamento profondo del senso religioso del pane e del vino.
Nella consacrazione, il senso o significato religioso degli elementi eucaristici vengono cambiati, in quanto diventano
segni efficaci del sacrificio e della presenza di Cristo. Questa profonda mutazione del significato religioso del pane e
del vino costituisce la loro vera essenza o sostanza e avviene rimanendo intatto il loro essere fisico-chimico. Nella
seconda tappa si passa dalla concezione religiosa alla realta quella antropologica della medesima. Seguaci della nuova
impostazione fenomenologica sono Schonnemberg, Smits e Schillebeecks. La realt vienre intesa da questi autori
come essere-in-s-e-per-s, ma anche come essere-per-noi. Questa dimensione di significato per luomo non va
intesa qualcosa di estrinseco ma piuttosto come qualcosa di essenziale, di costitutivo della realt stessa. Applicando
questa concezione della realt alleucaristia, si afferma, che nella transustanziazione cambia solo la realt antropologica
del pane e del vino, ossia il loro significato, mentre rimane intatta la loro realt fisico-dinamica. avvenuto un
cambiamento essenziale della essere-per-noi del pane e del vino, del loro significato. E, di conseguenza, anche la loro
finalit unaltra. Per cui la teoria nota anche con il nome di transfinalizzazione. Una valutazione di questa
spiegazione del mistero eucaristico, la troviamo nellenciclica Mysterium Fidei di Paolo VI.. in questo documento
vengono fatte quattro affermazione chiave illuminano tutto il problema.
a. Bisogna parlare chiaramente della conversione totale della sostanza degli elementi eucaristici nella sostanza del
corpo e del sangue del Signore, non possibile cio parlare di transignificazione e transfinalizzazione, senza
parlare anche di transubstanziazione.
b. Secondo, la ragione di questo sta nel fatto che la transignificazione e la transfinalizzazione suppongono la
transubstanziazione, poich si fondano in essa.
c. Terzo, soltanto mediante la transubstanziazione che le specie eucaristici acquistano un nuovo significato ed
un nuovo fine.
d. Quarto, va notato che gli elementi eucaristici acquistano un nuovo significato ed un nuovo fine, in quanto
contengono una nuova realt, a ragion detta ontologica.

98

TEMA 3 4: LEu caristia (II)


I. LEUCARISTIA, VERO E PROPRIO SACRIFICIO DELLA NUOVA LEGGE: MEMORIALE E SACRAMENTO
DELLUNICO SACRIFICIO DI CRISTO
La presenza di Cristo vera, reale e sostanziale. presente la sua Persona. LEucaristia presenza dellunico Cristo
che fu crocifisso e che adesso risorto. Questa presenza comporta la presenza del Suo sacrificio redentore. Quello
dellEucaristia un segno efficace della presenza di Cristo e, quindi, della presenza attuale della sua opera redentrice.
In ogni Eucaristia celebrata dalla Chiesa si rende presente la Persona di Cristo nella sua donazione sacrificale, fatta una
volta per sempre sulla croce (cfr. Eb 7,27; 9,28; 10,10), e consumata con la Sua risurrezione e ascensione gloriosa (cfr.
Fil 2,8-11). Il Concilio Vaticano II ci offre una preziosa sintesi dei molteplici aspetti del mistero Eucaristico: Il nostro
Salvatore, nellultima cena, la notte in cui veniva tradito, istitu il Sacrificio Eucaristico del Suo Corpo e del Suo Sangue,
col quale perpetuare nei secoli, fino al Suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare cos alla diletta sposa, la
Chiesa, il memoriale della Sua morte e risurrezione: Sacramento di piet, segno di unit, vincolo di carit, convito
pasquale, nel quale si riceve Cristo, lanima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura22.
LEucaristia in stretto rapporto col sacrificio redentore di Cristo, nella pienezza del mistero pasquale della Sua morte
e risurrezione gloriosa. Tale rapporto fu istituito da Ges Cristo nellUltima Cena, quando consegn agli Apostoli, nei
segni sacramentali del pane e del vino, il Suo Corpo offerto in sacrificio e il Suo Sangue sparso in remissione dei peccati
(cfr. Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,19-20; 1Cor 1,23-25), con la volont di riprendere di nuovo la vita (cfr. Gv 10,1718). Il sacrificio redentore di Cristo assoluto e unico; si comp in un momento della storia, ed irripetibile. La Messa
si celebra incessantemente in tutti i luoghi del mondo in cui si trova la Chiesa di Cristo. Il Sacrificio redentore di Cristo
possiede un valore espiatorio perfetto ed eterno, ed come una sorgente inesauribile di redenzione per lumanit. Nella
Messa presente lo stesso Sacerdote, Ges Cristo, adesso risorto e glorioso, che offre se stesso, ma agendo
invisibilmente per mezzo dei suoi ministri.
Memoriale e Sacramento dellUnico Sacrificio di Cristo
Secondo linsegnamento conciliare, lEucaristia insieme sacrificio, in quanto rende presente nelloggi della
Celebrazione Eucaristica il Sacrificio della croce, memoriale della Morte e Risurrezione del Signore, Sacramento della
sua presenza personale, banchetto pasquale, segno e causa del lunita della chiesa, pegno della pienezza escatologica.
Per il Concilio chiaro che nessuna di queste categorie sacrificio, memoriale, sacramento, banchetto- pu, da sola,
comprendere pienamente il mistero eucaristico. Ges Cristo, per la nostra salvezza, umili se stesso, facendosi
obbediente fino alla morte sulla croce. Il Padre accett il Sacrificio di Cristo e lo esalt, costituendolo Re di tutto il
creato. Questi misteri cristologici sono ricordati nell'anamnesi della Messa, che pertanto pu definirsi il Sacramentum
Paschalis, perch in essa si celebra e si commemora la morte e la risurrezione del redentore. Essa costituisce il
memoriale di quanto avvenne irrevocabilmente 2000 anni fa, ma nello stesso tempo l'Eucaristia ha la virt di darci hic
et nunc il Cristo glorioso che, nonostante le umili parvenze dei segni esterni, esercita la sua signoria sulle anime, sulla
Chiesa, sull'universo.
Dalle parole d'istituzione si capisce che l'Eucaristia un vero sacrificio:
- Il Sangue del Signore chiamato "sangue dell'Alleanza". L'Antica Alleanza si era stabilita con un sacrificio:
Gen 15,9-18 - con Abramo; Es 24,5-8 - Mose/Israele. Perci la lettera agli Ebrei (9,18) dichiara come legge
religiosa che l'alleanza con Dio non si pu stabilire senza sangue. Cristo offre dunque il suo sangue ai discepoli
come "sangue dell'Alleanza", cio, secondo la storia ebraica, come sangue del sacrificio.
- "Per la remissione dei peccati" (Mt 26,28) sottolineano la realt del sacrificio di espiazione.
- Ges istituisce l'Eucaristia sotto le specie separate del pane e del vino, il che simboleggia la separazione del suo
corpo e del suo sangue nella sua morte in croce.
- Ges istituisce l'Eucaristia "durante la cena" dell'Antica Alleanza e fonda la Nuova Alleanza. La Pasqua era un
convito sacrificale; siccome l'istituzione dellEucaristia doveva abolire l'antico ordinamento e sostituirlo con un
nuovo, cos quest'istituzione fu un sacrificio.
La dottrina unanime dei Padri:

Ges Cristo ha offerto un sacrificio sulla croce per la nostra salvezza.

Nella celebrazione dell'Eucaristia questo sacrificio rinnovato e reso presente

Esso si compie per mezzo dell'azione liturgica del sacerdote.


Concilio di Trento, sezione 22 nella Messa si offre a Dio un vero e proprio sacrificio istituito da Ges Cristo.
L'offerta oggettiva costituita dal corpo e dal sangue di Cristo e non dagli atti soggettivi degli offerenti.
Concilio Vaticano II Il nostro Salvatore nell'Ultima Cena (...) istitu il Sacrificio della Croce e per affidare cos alla
sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione" (Sacrosanctum Concilium n 47;
Lumen Gentium n 13; P.O. n 5).

22

CV II, Sacrosanctum Concilium, 47

99

CCC n: 1362: L'Eucaristia il memoriale della Pasqua di Cristo, l'attualizzazione e l'offerta sacramentale del suo unico
sacrificio, nella Liturgia della Chiesa, che il Suo corpo. In tutte le preghiere eucaristiche dopo le parole della
istituzione, troviamo una preghiera chiamata "anamnesi" o memoriale.
II. L'UNIT TRA IL SACRIFICIO DELLA MESSA ED IL SACRIFICIO DELLA CROCE
Lunico sacrificio assoluto della Nuova Alleanza quello cruento della croce. Cristo si offerto ed immolato una volta
per tutti. Il sacrificio del Golgota un evento storico unico, irripetibile. Sia lultima cena sia lEucaristia devono, dunque,
essere considerati come sacrifici relativi, in rapporto cio al sacrificio unico e definitivo della croce. LEucaristia
annuncio o proclamazione della morte di Cristo, in quanto ne fa memoria, dunque una commemorazione del sacrificio
della croce. Ma non si tratta di un ricordo nella celebrazione eucaristica. Il Concilio di Trento, s. 22, c 2, DS 940, afferm
che tra il sacrificio della Messa e il sacrificio della Croce esiste un'identit essenziale e una distinzione accidentale:
1.
L'identit del sacrificio della Messa e della Croce sta nell'identit della vittima e del sacerdote
sacrificatore.
- Sulla croce Ges Cristo sacrific se stesso con l'accettazione volontaria della morte dolorosa, secondo la volont
del Padre Suo. Non sono gli Ebrei che lo sacrificano; essi commettono un gravissimo delitto, ma gli offrono
l'occasione reale di sacrificarsi
- La stessa cosa si riproduce essenzialmente nella Messa, anche se le circostanze esteriori sono diverse.
Il sacrificio della Messa dunque la rappresentazione (ri-presentazione) reale del sacrificio della Croce, cio il sacrificio
della Croce che, storicamente compiuto una volta sola, reso misteriosamente presente in maniera sacramentale. Questa
rappresentazione avviene sotto i segni simbolici della morte sacrificale di Cristo e non con una morte esteriore e fisica;
ma essa tuttavia avviene in modo reale in quanto Ges Cristo veramente presente sotto questi segni nella sua qualit
di vittima e di sacerdote sacrificatore.
Prova:

Ges Cristo presente realmente nell'Eucaristia.

Ges Cristo ha istituito l'Eucaristia come un sacrificio


Da questo deriva: Se l'Eucaristia il corpo sacramentale del Signore e, al tempo stesso, anche un sacrificioquesto
corpo appunto il Corpo di Ges Cristo in quanto stato sacrificato per noi. Questo avvenuto una sola volta: sulla
Croce.
2.
-

Differenza tra i sacrificio della Messa e quello della Croce:


Il modo di offrire: Sulla Croce si offerto da se stesso, mentre nell'Eucaristia Ges si offre per mano dei
sacerdoti. Certamente il ministero del sacerdote secondario.
L'oblazione sulla Croce stata cruenta, mentre nella Messa incruenta (in quanto non comporta distruzione
della vita e dolore). Certamente le entrambe sono oblazioni sacrificali.

Essenza del Sacrificio della Messa


1.
L'atto costitutivo del sacrificio si trova nella consacrazione perch per mezzo di essa Ges Cristo diviene
presente sull'altare e Ges Cristo il sacerdote sacrificatore e la vittima del sacrificio.
2.
L'essenza del sacrificio eucaristico di Cristo consiste nel suo atto interiore di oblazione sotto i segni
rappresentativi della sua Passione, che cos resa sacramentalmente presente onde la Chiesa pu unirsi ad essa e
appropriarsene i frutti.
III. LA PARTECIPAZIONE DELLA CHIESA AL SACRIFICIO EUCARISTICO
Enc. Mysterium Fidei: La Chiesa, in unione con Cristo da sacerdote e da vittima, offre tutta intera il sacrificio della
Messa e tutta intera vi offerta.
1.
La chiesa offerente: Tutta la chiesa offre con Cristo il sacrifico della messa: CCC: La chiesa il Corpo
di Cristo, partecipa allofferta del suo capo Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di
tutti gli uomini. I documenti magisteriali fondono la partecipazione dei fedeli al sacrificio Eucaristico sul loro
sacerdozio regale e sulla loro incorporazione a Cristo, sacerdote principale anche sullaltare. Secondo lenciclica
Mediator Dei, Lazione del sacerdote consacrante la medesima azione di Cristo che agisce per mezzo del
suo ministro. Tutta la Chiesa misticamente immolata con Cristo nel Sacrificio della Messa. Ci emerge da
un fondamentale principio ecclesiologico: il corpo mistico tratto a partecipare della stessa sorte del Capo; e
poich -questo Capo sacramentalmente immolato nel sacrificio della Messa, ne deriva che anche la Chiesa
misticamente immolata. La Chiesa non soltanto ascolta, contempla, in senso passivo ma partecipa attivamente
nel Sacrificio della Messa, come si vede nella Preghiera Eucaristica. I fedeli offrono un sacrificio ma in diversi
modi.
2.
La chiesa offerta con Cristo: Tutta la Chiesa vittima misticamente immolata con Cristo: Pio XII nella
Mistici Corporis: Il divine redentore non solo offre se stesso al Padre Celeste come Capo della Chiesa, ma in
se stesso (offre) pure le sue membra mistiche in quanto le include tutte nel suo cuore amatissimo. La Chiesa
non soltanto sacerdote, ma anche vittima. CCC1368: NellEucaristia il sacrificio di Cristo diviene pure il
100

sacrificio delle membra del suo Corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il
loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo.
IV. FINALIT, VALORE ED I FRUTTI DEL SACRIFICIO DELLA MESSA.
Finalit: La Chiesa celebra lEucaristia per entrare in comunione con Ges Cristo nel suo mistero pasquale.
Immedesimata nel suo Signore, essa sollecitata ad attuare con una quadruplice finalit. Il documento "Mediator Dei"
elenca i quattro fini del Sacrificio della Santa Messa:
a) Fine Latreutico. La Glorificazione di Dio (adorazione). Il Sacrificio della Messa, in quanto rappresentazione del
Sacrificio della croce, l'atto supremo di adorazione e di ringraziamento a Dio.
b) Fine Eucaristico. Il Ringraziamento a Dio. Ges, celebrando la Cena, rende grazie a Dio Padre (Mt 26,27; 1Cor
11,24). La Messa ha l'efficacia di un sacrificio di lode e di ringraziamento da se stessa, perch costituisce il dono
pi santo e pi gradito che possa offrirsi a Dio. In quanto Sacrificio della Chiesa contiene anche le lodi ed i
ringraziamenti dei fedeli che si uniscono a quelli di Cristo.
c) Fine Propiziatorio e soddisfattorio. L'Espiazione e la propiziazione. Cristo offr se stesso in sacrificio "per la
remissione dei peccati" (Mt 26,28). Nella lettera agli Ebrei (Eb 5,1) si vede che la prima funzione del sacerdote e
quella di offrire sacrifici di espiazione.
d) Fine impetratorio. L'Impetrazione. Ges comand ai discepoli di pregare e di chiedere, dopo l'Ascensione al
Padre ogni cosa "in suo nome" (Gv. 16,23-24). Questo spiega perch fin dagli inizi, le preghiere quotidiane di
domanda (pace, salute ...) furono unite alla celebrazione eucaristica.
Valore: Il Sacrificio Eucaristico celebrato dalla Chiesa, in quanto presenza sacramentale del sacrificio redentore del
Signore, possiede un valore latreutico, Eucaristico, propiziatorio e impetratorio perfetto e infinito, lo stesso del sacrificio
della croce. Tale valore non pu essere compromesso da nessuna indegnit, n dei fedeli che partecipano alla
celebrazione dellEucaristia, perch si fonda sulla dignit di Cristo. Ogni volta che si celebra lEucaristia con fede e
devozione, inserendosi vitalmente nel sacrificio di Cristo, la Chiesa rende onore e gloria a Dio, e con la sua attivit
richiama lAmore divino, che continua ad elargire grazie salvifiche per lintera umanit. Gli effetti della Messa sono di
valori infinito per parte della vittima e del principale offerente che Ges; sono invece limitati nella loro applicazione.
Ogni azione di Ges ha un valore infinito. chiaro che lapplicazione finita, non solo per la limitatezza della creatura,
ma ancora per le disposizione con cui riceve il frutto.
I frutti sono costituiti dalla Grazia Divina e possiamo distinguere:
I frutti della messa si intendono gli effetti che la virt salvifica della croce, resa presente nel sacrificio Eucaristico,
genera negli uomini quando laccolgono liberamente, con fede, speranza e amore per il Redentore. I frutti che tale virt
fa germogliare in noi comportano essenzialmente una crescita nella vita della grazia santificante e una maggiore e pi
intensa conformazione esistenziale con Cristo nel suo mistero pasquale, secondo il modo specifico che lEucaristia ci
offre. Questi frutti di santit non si determinano identicamente in tutti i partecipanti al sacrificio Eucaristico; saranno
maggiori o minori a seconda dellinserimento di ognuno nella celebrazione liturgica, e della sua fede e devozione.
b. Frutto generale (fructus generalis) - a questo frutto partecipano, per la comunione dei santi, tutti i fedeli
della Chiesa.
c. Frutto speciale (fructus specialis) - lo ricevono i fedeli che assistono alla Messa.
d. Frutto principale (fructus ministerialis) - lo ricevono coloro per i quali si applica la Messa.
e. Frutto personale (fructus personalis) - Il sacerdote agisce in persona Christi e quindi a causa del suo
ministero ha diritto ad un frutto del tutto speciale dal sacrificio della Messa.

101

TEMA 3 5: Il Sacramen to della Pen iten za e della Ricon ciliazio ne


I.
LA PENITENZA DEI BATTEZZATI
Il cammino di ritorno a Dio, la conversione, inverso a quello del peccato, che un atto della volont che ci allontana
da Dio e comporta un disordinato amore alle creature (aversio a Deo - conversio ad creaturas). La realt del peccato in
effetti persiste nell'uomo decaduto per il peccato originale anche dopo la redenzione operata da Cristo. Accogliendo la
rivelazione del suo amore mediante il battesimo, siamo inseriti nel mistero pasquale di Cristo che ci infonde la vita
soprannaturale con la grazia della giustificazione e ci vengono rimessi i nostri peccati.
Ma il battesimo non riporta l'uomo alla condizione originaria: resta in lui la concupiscenza, il disordine legato all'amore
sensibile; anche se rigenerato dalla grazia l'uomo sempre chiamato a scegliere tra l'accettazione e il rifiuto della
paternit. Per rimettere i peccati commessi dopo il battesimo, il Signore ha istituito un sacramento, quello della
Riconciliazione (Gv 20, 21-23), un suo prolungamento, una conversione continua che restaura l'innocenza battesimale,
un inizio sempre nuovo: liberando l'uomo dallo stato di peccato.
Ma questo sacramento pure un atto del cristiano peccatore che prende di nuovo il cammino di ritorno a Dio, la via
della conversione. Perch non c' perdono dei peccati senza pentimento, n vero pentimento senza apertura del cuore a
Dio che spinge a riconoscere e a manifestare i propri peccati di fronte a Colui che pu guarirci. Per questo Dio stesso
determina il modo di fare penitenza. E l'uomo non pu cercare una propria autogiustificazione, ma deve sottomettersi al
giudizio di Dio. Cos Cristo lasci alla sua Chiesa un modo concreto di fare penitenza affidando ad essa, e
particolarmente ai suoi ministri la missione e il ministero della remissione dei peccati, conferendo ad essi un potere
efficace di assolvere al modo di un atto giudiziale.
Pertanto la realt di questo sacramento Cristo stesso che agisce attraverso la sua Chiesa, che in Cristo il sacramento
di salvezza, cio il segno e lo strumento della sua Persona e della sua opera (LG 48). Cos nel segno esterno di questo
sacramento si manifesta in modo mirabile questa realt: Dio in Cristo che venendo incontro a questo gesto penitente del
cristiano lo eleva alla riconciliazione con S distruggendone la colpa. Il segno perci costituito insieme dagli atti del
penitente e dalle parole di assoluzione del ministro.
II.
LA POTEST DI RIMETTERE I PECCATI CONCESSA DA CRISTO AGLI APOSTOLI
La buona novella del Regno di Dio che Ges porta al mondo riguarda anzitutto i peccatori. Egli dichiara di non essere
venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori (Mt 9, 12). Ges non solo predica la conversione, ma rivendica per s il potere
di perdonare i peccati, e per provare che Egli ha effettivamente questo potere, che solo Dio ha, compie il miracolo della
guarigione di un paralitico (Mt 9, 1-8).
Nella sua risposta alla confessione di Pietro (Mt 16, 17-19 A te dar le chiavi del regno dei cieli) la Chiesa appare come
la comunit messianica che prepara e realizza gradualmente in terra il regno dei cieli; essa ha la missione di liberare gli
uomini dal potere dell'inferno che tenta di sottometterli alla morte del peccato, e di farli entrare nella vita eterna. Pietro
sar il fondamento visibile (la pietra) su cui Ges edificher questa Chiesa. A lui dar le chiavi del regno dei cieli - come
amministratore della casa di Dio eserciter questo potere legando e sciogliendo.
In un altro passo ai discepoli (i Dodici) Ges conferisce questo stesso potere partecipato (tutto quello che legherete
sopra la terra sar legato anche in cielo ... Mt 18, 15-18): di fronte a un fratello che ha peccato e resiste alla correzione
fraterna e di tutta la comunit i ministri della Chiesa hanno il potere di pronunciare una sentenza che esclude dalla Chiesa
(legare) e il potere di revocare questa scomunica e riammettere nella comunit il peccatore che si corretto (sciogliere).
In Gv 20, 19-23 Ges risuscitato appare ai discepoli (i Dodici), e per la missione ricevuta dal Padre, come stato da Lui
mandato per la salvezza degli uomini, cos manda gli Apostoli per lo stesso fine - e li invia dando loro il potere di
rimettere i peccati:
"Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi ...". Per l'infusione dello Spirito, simbolizzata dal
soffio di Ges, sono conferiti alla Chiesa nella persona degli Apostoli quei mezzi soprannaturali necessari per realizzare
la sua missione - che quella di Cristo: la salvezza degli uomini, e dunque il potere di togliere ci che si oppone ad essa:
il peccato.
Dal punto di vista magisteriale le due carateristiche principali della potest concessa da Cristo agli Apostoli per la
remissione dei peccati sono definiti solennemente al concilio di Trento:
Potest universale (DS 1701) & Potest giudiziale (DS 1709)
III.
LA STRUTTURA DEL SEGNO SACRAMENTALE DELLA PENITENZA.
La struttura del segno sensibile del sacramento costituita dagli atti esterni del penitente (manifestazioni sensibili della
conversione interiore) -materia- che vengono determinati dall'assoluzione (forma) che ha efficacia diretta nel perdono
dei peccati. I tre atti del penitente sono detti quasi materia perch non consistono in qualcosa di fisico, ma negli atti
morali del soggetto; o sono anche detti materia prossima del sacramento: la contrizione, la volont di soddisfare e
l'accusa dei peccati.
102

Si dicono materia remota gli stessi peccati che sono la materia da rimuovere ad opera del sacramento e muovono gli atti
del penitente (il dolore, l'accusa, la riparazione). Questa materia pu essere necessaria, se deve necessariamente essere
sottoposta ad assoluzione -sono tutti i peccati mortali commessi dopo il battesimo, non ancora rimessi dalla potest delle
chiavi della Chiesa.
Ma la materia remota pu essere anche libera e sufficiente (tutti i peccati veniali, ma anche i peccati mortali gi
confessati e direttamente rimessi). Invece materia insufficiente sono i peccati commessi prima del battesimo, le
imperfezioni, i peccati dubbi (mat. dubbia): con questa sola materia il sacramento dubbio o dubbiosamente valido. Gli
atti del penitente costituiscono la materia prossima: contrizione, confessione e soddisfazione. Il nuovo Ordo dichiara
importantissima la parte del penitente (O. Pn 11): condiziona il prodursi stesso del sacramento -`quasi materia del
sacramento sono gli atti del penitente: la contrizione, la confessione e la soddisfazione che sono chiamate pure parti
della penitenza perch in virt della divina istituzione sono richieste al penitente per l'integrit del sacramento' (Conc.
Trid. sess. XIV de sacr. pn. cap. III doctr.; can. 4) IV.
LA CONTRIZIONE
E' il dolore e la detestazione del peccato commesso col proposito di non peccare pi.
Questo atto sempre stato necessario per domandare il perdono dei peccati; prepara alla remissione solo se
accompagnato dalla fiducia nella divina misericordia e dal desiderio di adempiere tutte le condizioni richieste per
ricevere in modo dovuto il sacramento (Conc. Trid. s. XIX, cap. IV).
Si distingue tra una contrizione perfetta e una imperfetta (attrizione), per il diverso motivo formale: la considerazione
del peccato come contrario a Dio, sommamente buono (include perci un atto di amore perfetto a Dio), oppure la
considerazione della deformit del peccato, il timore di pene eterne o temporali, il desiderio del cielo (nasce da un amore
imperfetto che ci fa amare Dio per i doni che elargisce, ma i motivi restano soprannaturali).
La contrizione perfetta di per s, essendo un atto di amore perfetto, produce l'immediata remissione di qualsiasi peccato
(Ez 33, 12; Lc 7, 47). Essa per non pu darsi senza il voto della confessione, il desiderio di ricevere il sacramento, a
motivo dell'istituzione divina e della disposizione che tutti i peccati gravi siano sottoposti al potere delle chiavi.
L'attrizione, invece, nascendo dall'amore imperfetto, nell'uomo privo della grazia santificante, non rimette i peccati se
non in unione col sacramento.
Per compiere i suoi effetti la contrizione (anche imperfetta) deve essere vera, cio deve essere un atto della volont ed
escludere l'affetto al peccato; soprannaturale (per il principio: nata per influsso della grazia che Dio concede sempre a
chi fa quanto in suo potere; e per il motivo: ragioni conosciute col lume della fede - amore di carit, bruttezza del
peccato, timore dell'inferno); appretiative somma, cio in modo da disporre la volont dell'uomo cos che sia disposto
a subire qualunque male e a rinunziare a qualunque bene piuttosto che commettere un solo peccato grave. Universale,
deve estendersi almeno implicitamente a tutti e singoli i peccati gravi commessi e non ancora rimessi. Infine la
contrizione per essere vera deve includere il proposito, che un deciso atto della volont che si determina a non pi
peccare.
V.
LA CONFESSIONE E LA SUA INTEGRIT
E' l'accusa dei peccati davanti al sacerdote idoneo per ottenere da lui l'assoluzione.
E' un'accusa, non una semplice narrazione; un'accusa distinta dei propri peccati (non generica); fatta davanti al
sacerdote poich lo si ritiene fornito del legittimo potere di assolvere. Il Conc. Trid. insegna l'istituzione di diritto divino
e la necessit della confessione sacramentale per la salvezza, e ugualmente la sua integrit.
Allora la necessit della confessione, che necessaria per diritto divino - in virt della medesima divina istituzione riguarda tutti i peccati gravi commessi dopo il battesimo, e non ancora direttamente rimessi dal potere delle chiavi. No
pu essere pronunziata questa sentenza senza che il colpevole confessi distintamente al giudice tutti i suoi peccati
mortali: dal numero, specie, gravit il sacerdote potr giudicare se egli sia sufficientemente contrito, di quali doveri deve
essere ammonito, quali pratiche deve adempiere, quale opera di soddisfazione gli deve essere imposta.
L'integrit richiesta di diritto divino per i peccati mortali commessi dopo il battesimo non ancora direttamente rimessi
- necessario confessarli uno ad uno; si dice materiale quando si accusano secondo specie e numero e circostanze (che
mutano la specie) tutti i peccati mortali che effettivamente gravano; formale quando si accusano solo i peccati mortali
che il penitente al momento pu e deve confessare. Per la validit del sacramento sempre necessaria la confessione
formalmente integra: non si tenuti alla confessione materialmente integra quando questa impossibile, o quando
l'obbligo di confessare il peccato mortale positivamente dubbio.
VI.
NECESSIT, SCOPO E VALORE SALVIFICO DELLA SODDISFAZIONE
E' l'azione con cui si adempie ad un debito; dunque un atto con cui soddisfaciamo Dio per i nostri peccati. Il peccato
deve essere soddisfatto sotto i suoi due aspetti - di colpa, in quanto l'uomo si allontana da Dio e, negandogli l'onore
dovuto, lo offende, e di pena, agendo contro l'ordine morale disobbedendo a Dio che ne il tutore. Ma la soddisfazione
della colpa non distinta dalla stessa contrizione: rimessa la colpa rimessa pure la pena eterna; nulla rimane pi da
soddisfare riguardo ad essa. Resta invece la soddisfazione per la pena temporale dovuta, perch deve essere ristabilito
l'ordine che il peccato ha violato.
103

Questa soddisfazione pu essere sacramentale, cio imposta dal confessore nel sacramento, o libera (che il penitente
ricerca da s o accetta volentieri). Occorre che l'atto sia libero, buono, soprannaturale, posto dall'uomo giusto e viatore;
poi l'opera deve essere penale, e questa penalit il fondamento della soddisfazione.
La soddisfazione ha una natura vendicativa in quanto tende direttamente all'espiazione del peccato; medicinale in quanto
mira a correggere il penitente; premunitiva in quanto preservando dai peccati conduce il penitente alla vita eterna. Ex
opere operato la soddisfazione sacramentale produce la remissione della pena temporale dovuta per i peccati gi rimessi
e d gli aiuti soprannaturali per guardarsi dai peccati.
Il confessore ha il grave dovere di imporre una penitenza in qualche modo proporzionata alla gravit e al numero dei
peccati, perch il penitente possa soddisfare al debito di pena che spesso rimane anche dopo rimessa la colpa.
VII.
L'ASSOLUZIONE SACRAMENTALE
E' la sentenza che determina i tre atti del penitente (forma), viene impartita ai singoli penitenti dopo l'accusa dei loro
peccati. In imminente pericolo di morte, per, quando manca l'opportunit di sentire la confessione di coloro che si
trovano in pericolo, l'assoluzione pu essere impartita in modo collettivo a tutti coloro che in modo sensibile hanno
manifestato al sacerdote di aver peccato e di pentirsene. L'assoluzione generale per il suo carattere straordinario, non
lecita se non in caso di grave necessit (pericolo di morte o gran numero di penitenti che sarebbero senza loro colpa e
per lungo tempo privati della grazia del sacramento).
Effetti: in coloro che sono sufficientemente disposti, il sacramento produce la remissione dei peccati, con l'infusione
della grazia santificante, le virt infuse e i doni dello Spirito Santo. Questo perdono si estende a tutti i peccati mortali,
anche di cui non si ha memoria; non per necessariamente anche ai peccati veniali (se manca la contrizione). Col
sacramento riviviscono invece quegli atti che una volta furono salutari (i meriti delle opere buone compiute); e viene
donato un diritto costante a ricevere speciali grazie attuali per non ricadere nei peccati commessi (e un permanente
vigore che medica le piaghe causate dai peccati rimessi).
Oltre alla riconciliazione con Dio che l'effetto specifico del sacramento della penitenza, il Concilio Vaticano II,
insegnando la dimensione ecclesiale del sacramento, parla pure di un effetto connesso: la riconciliazione con la Chiesa
(LG 11; PO 5).
VIII. IL MINISTRO DELLA PENITENZA E I SUOI COMPITI
Ministro del sacramento il sacerdote avente giurisdizione. Cristo ha conferito questo potere agli Apostoli e ai loro
successori nel sacerdozio. Dalla natura e fine di questo sacramento deriva l'ufficio del sacerdote come maestro giudice
e medico. Come maestro il confessore ha l'obbligo di istruire il penitente in caso di ignoranza delle cose necessarie alla
salvezza e quelle richieste per la fruttuosa ricezione dei sacramenti. Come giudice il ministro ha il compito di dare una
sentenza che inerisce al sacramento stesso (che in modo analogo un giudizio). Per questo deve avere certezza morale
di ci che deve definire e ha pure l'obbligo grave di curare la validit del sacramento che stato istituito a salvezza e
non a condanna del penitente.
Fatta l'indagine il confessore obbligato ad assolvere il penitente, se questi sufficientemente disposto. Invece deve
negarla al penitente che certamente non disposto. In alcuni casi potrebbe differirla (quando ad esempio si teme con
fondatezza che il penitente non intenda soddisfare ad un grave obbligo). Come medico delle anime il confessore dovr
suggerire gli opportuni rimedi per sfuggire il peccato anche in avvenire.
Oltre ai compiti e alle condizioni per la validit si richiedono nel confessore gli attributi della scienza, prudenza e onest
di vita. Dovere principale l'osservanza del sigillo, del pi assoluto segreto su quanto udito nella confessione -fatta dal
penitente in ordine all'assoluzione - la cui manifestazione pu rendere onerosa e odiosa la confessione sacramentale al
penitente o ad altri.
La violazione diretta la manifestazione di un peccato noto dall'accusa e della persona che se accusata: un sacrilegio,
un'ingiustizia. Il confessore che viola direttamente il sigillo incorre automaticamente nella scomunica riservata alla Santa
Sede..
La violazione indiretta si ha quando dalle parole o azioni del confessore pu nascere il pericolo di conoscere l'oggetto
del sigillo e la persona del penitente. Il confessore pu esser colpito da pene varie, non esclusa la scomunica. Dopo aver
espletato il suo ufficio il confessore infine tenuto a riparare agli errori commessi nel suo esercizio riguardo
all'amministrazione valida dell'assoluzione, l'integrit della confessione, gli obblighi da imporre al penitente.

104

TEMA 36: Il Sacramento dell Unzione degli Infermi


I.
SENSO CRISTIANO DELLA MALATTIA E DELLA MORTE
Antico Testamento
Luomo religioso dellAT vede spontaneamente un legame tra malattia e peccato. La malattia contraria allintenzione
originaria di Dio: entrata nel mondo come una funesta conseguenza del peccato originale (Gn 3,16-19). Tuttavia, si
pone il problema di sapere se ogni malattia abbia sempre come causa i peccati personali di chi ne affetto. Il libro di
Giobbe d tre concezioni su che cosa la sofferenza (la realt della malattia e della morte). (a) La sofferenza un
castigo: impossibile che un innocente sia oggetto di una grave malattia; (b) la sofferenza una prova: metter in
evidenza la qualit religiosa del malato; (c) la sofferenza un mistero: non smentisce lamore di Dio, ma ne rivela le
misteriose profondit. Inoltre, la vedono di avere un valore despiazione e di riparazione per i peccati degli altri, come
suggerisce il carme del servo sofferente (Is 53,4-5).
Nuovo Testamento
Nel Vangelo soprattutto, le guarigioni costituiscono una parte considerevole dei miracoli di Ges. La malattia, quindi,
nel suo pensiero un male da vincere. La guarigione dalla malattia il segno della nuova era del regno di Dio, la quale
riguarda la completa salvezza delluomo, corpo e anima, ed gi presente e attiva.
Il rituale voluto dal concilio Vaticano II e attualmente in vigore comporta unintroduzione sulla malattia e sul suo
significato nel mistero della salvezza. Si tratta dei numeri 1-4 dei Praenotanda, o prefazione.
Si osserva prima di tutto che il problema del dolore e della malattia sempre stato tra i pi angoscianti per lessere
umano. I cristiani stessi ne conoscono tutta la portata e la complessit ma, sostenuti dalla fede che li illumina, hanno il
mezzo per penetrare pi a fondo questo mistero e per sopportarlo con coraggio. Le parole di Cristo hanno loro insegnato,
infatti, il valore della sofferenza per la loro stessa salvezza e per quella del mondo. Sanno che Cristo stesso sta loro
vicino e li ama, lui che, durante la sua vita pubblica, andato cos spesso dai malati per visitarli e guarirli.
Si pone poi la questione della relazione tra il male fisico e il peccato: innegabile che ci sia uno stretto rapporto tra la
malattia e la nostra condizione di peccatori, ma si commetterebbe un errore considerandola per questo, almeno in
generale, come un castigo per il peccato personale: Cristo, pur indenne dal peccato, soffr durante la passione pene e
tormenti di ogni specie. Ha fatto suoi i dolori dellumanit e soffre ancora nei membri del suo corpo mistico che
conoscono la sofferenza, pur essendo destinati alla gloria.
Il cristiano si deve quindi rassegnare? No, il piano della Divina Provvidenza che luomo lotti con tutte le sue forze
contro la malattia, sotto qualunque forma, e che si adoperi in ogni modo a conservare la salute. Questa devessere
considerata un bene fondamentale, che permette alluomo di assolvere il suo dovere nella societ e nella Chiesa. I malati,
peraltro, hanno una missione particolare da compiere nella comunit cristiana, una testimonianza da dare: ricordare a
quelli che stanno in buona salute che ci sono dei beni essenziali e soprannaturali da non dimenticare, e che solo il mistero
della morte e della risurrezione di Cristo pu riscattare e salvare la vita degli uomini, destinati senza di lui alla morte.
L'Unzione, mettendo in opera l'intero organismo soprannaturale della redenzione, tende a prestare all'infermo il massimo
aiuto possibile per assicurargli l'incontro definitivo con Cristo, l'unione con Lui.
"Con la Sacra Unzione degli Infermi e la preghiera dei sacerdoti, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore,
sofferente e glorificato, perch alleggerisca le loro pene e li salvi; anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione
e morte di Cristo, per contribuire cos al bene del popolo di Dio" (LG 11).
II.
SEGNO ED EFFETTI DEL SACRAMENTO DELLUNZIONE
Il segno sacramentale (DH 1695, di Trento) secondo la Costituzione Apostolica Sacram Unctionem Infirmorum di
Paolo VI:
Il Sacramento dellUnzione degli Infermi si conferisce a coloro che sono ammalati con serio pericolo, ungendoli sulla
fronte e sulle mani con olio di oliva debitamente benedetto e pronunciando, per una volta soltanto, la formula del
sacramento (la forma).
La materia remota lolio che significa molto bene loperazione interiore del sacramento; deve essere di oliva o in caso
di necessit, si potr ammettere un altro olio, a condizione che sia di origine vegetale; per la validit dellunzione deve
essere benedetto per questuso dal Vescovo o da un sacerdote che ne abbia facolt (concessa dalla Santa Sede o, in forza
del diritto, agli equiparati al Vescovo diocesano e, in caso di necessit, a tutti i sacerdoti). Il Vescovo benedice lolio
ordinariamente il gioved santo nella Messa crismale; il sacerdote in caso di necessit durante il rito stesso.
La materia prossima lunzione (o le unzioni) che deve essere fatta con la mano (eccetto il caso di necessit);
rappresenta la grazia dello Spirito Santo con cui viene invisibilmente unta lanima. Viene fatta sulla fronte e sulle mani
105

(che rappresentano la persona e il suo lavoro). In caso di necessit basta ununica unzione sulla fronte; se neanche questo
possibile per le circostanze particolari della malattia, lunzione potr essere compiuta su unaltra parte del corpo pi
adatta.
La forma la formula pronunciata dal sacerdote durante lunzione:
Per questa santa Unzione e la sua piissima misericordia
ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo (R. Amen)
e, liberandoti dai peccati, ti salvi
e nella sua bont ti sollevi . Rta: Amen

Di questi membri di frasi, il primo ripreso dallantica formula romana, il secondo si ispira al concilio di Trento, il terzo
e quarto provengono dalla lettera di Giacomo (Gc 5,15). Inoltre, in essa sono espressi in modo chiaro gli effetti enunciati
dalla lettera di s. Giacomo.
Gli effetti (DH 1696) Come tutti i sacramenti dei vivi conferisce la grazia santificante e le grazie attuali per il sollievo
integrale dallo stato di malattia e la guarigione - se sia la cosa migliore per l'anima:
- I peccati vengono rimessi se ancora vi sia qualcosa da espiare; sono cancellati anche i peccati mortali dei quali
l'infermo non pu confessarsi, purch abbia una contrizione almeno imperfetta.
- D forza all'anima per operare il bene e resistere al male, conforto al malato, aumentando in lui la fiducia in
Dio, la rassegnazione al divino volere e la forza per sopportare pazientemente e con merito i dolori.
- Rimette tutta o parte della pena temporale dovuta per i peccati.
- Dona la guarigione fisica ubi saluti animae expedierit: un effetto condizionale, la cui condizione appunto
che ci sia utile alla salute dell'anima (come tutti i benefici temporali non concesso che secondo le leggi della
saggezza e bont divina); deriverebbe da una supernaturale ridondanza della consolazione spirituale sul corpo
in forza del reciproco influsso anima/corpo.
La nuova formula mette in rilievo il bene dell'uomo intero - evita di accentuare solo la grazia del perdono o di aspettarsi
solo un aiuto terapeutico miracoloso -. Certamente l'effetto principale del sacramento spirituale come per tutti gli altri
sacramenti: tutti hanno come fine la divinizzazione dell'anima mediante la grazia.
Il rito congiunge costantemente i due aspetti (spirituale e corporale); in questo sacramento tutto l'uomo aiutato per la
salvezza (Ordo unct. infirm. 6): l'unzione viene in soccorso dell'intera persona sotto l'aspetto della vita sia spirituale
che corporale, affinch nel particolare stato di malattia possa comportarsi in modo adatto per conseguire la salvezza.
III.
SOGGETTO CUI DESTINATO E PREPARAZIONE A RICEVERE LUNZIONE
Soggetto: Nei canoni del concilio di Trento non c unindicazione speciale riguardo al grado di malattia che richiede
di ricevere lunzione. Il capitolo 3 dei canoni (DH 1698) parla del caso di malati che sono in pericolo di morte, senza
tuttavia considerarli gli unici soggetti capaci di ricevere il sacramento.
Aggiunge, poi, che il sacramento pu essere reiterato se i malati, tornati in salute, ricadono in una situazione critica per
la loro vita. La ragione sarebbe che lunzione non imprime un carattere.
Il concilio non precisa se ci sia lobbligo di ricevere lunzione. Dice semplicemente che disprezzare un tale sacramento
sarebbe grande empiet e offesa dello stesso Spirito Santo. La frase riguarda evidentemente i protestanti.
Nel brano del capitolo 3 concernente il soggetto dellunzione, il concilio indica dunque come destinatari del sacramento
i malati in generale, ma specialmente (praesertim) i malati in uno stato tale che c da temere la loro fine. E ci si
comprende facilmente, senza fare per questo dellunzione il sacramento della morte cristiana. Tra i malati, in effetti,
quelli che hanno pi bisogno delle grazie legate allunzione sono certamente quelli colpiti in modo pi profondo, quelli
che la gravit stessa della loro malattia mette in pericolo. Cos, il concilio lascia la possibilit di una interpretazione pi
larga sui destinatari dellunzione.
Soggetto la persona malata in pericolo di morte. Ma cosa vuol dire? esclusivo ai malati in pericolo di morte?
Rituale romano di Paolo V (1614), mette senza dubbio lunzione in stretta connessione con la morte, ma non insiste
sulla sua assoluta esclusivit.
CV II, Sacrosantum Concilium, propone esplicitamente la formula del pericolo di morte, ma ne tempera lasprezza
parlando di un inizio di pericolo come momento opportuno per lunzione (SC,73).
Nuovo rituale, sopprime semplicemente la formula, pur conservando lidea molto giusta della gravit della malattia (n.
8). Distingue del resto un rito ordinario (n. 64) e un rito per chi in proximo mortis periculo (n. 115).
Secondo luso universale della Chiesa, non mai stato conferito il sacramento dellunzione ai condannati a morte, ai
naufraghi in pericolo, ai soldati che vanno allattacco. Questo sacramento non per loro, perch non sono malati.
Lunzione non dunque il sacramento della morte probabile o certa. Lunzione si deve amministrare solo ai malati, a
quelli che lo sono seriamente, esposti a una grave minaccia, non necessariamente immediata, ma possibile o ipotetica.

106

Risulta infatti che questa clausola del pericolo di morte prossima non dipende dalla dogmatica. Si tratta di una
disposizione disciplinare che la Chiesa, sembra, non ha mai avuto finora lintenzione o la volont di canonizzare perch
divenga dottrina di fede definita. La vera ragione contemporanea di questa restrizione nel conferimento dellunzione
forse mirata alla preoccupazione di evitare gli eccessi e gli abusi, a prescindere dal passato e dalla sua evoluzione.23
Alcune regole da ritenere:
Lunzione pu essere amministrata a un malato che sta per essere operato, a patto che la causa dellintervento chirurgico
sia una malattia grave; pu essere amministrata alle persone anziane le cui forze sindeboliscono, anche se non soffrono
di una malattia grave; pu essere amministrata ai bambini, purch abbiano raggiunto un uso della ragione sufficiente a
far loro percepire il conforto di questo sacramento.
Nel dubbio pratico opportuno amministrare il sacramento, perch i sacramenti sono per gli uomini, e sono i canali
ordinari ed efficaci della grazia (CIC, can. 1005). A giudicare la gravit della malattia sufficiente il prudente e probabile
giudizio che ognuno pu formarsi, anche col parere del medico.
Si pu dare agli infermi che hanno perso i sensi o luso di ragione, purch si possa presumere che come credenti
lavrebbero richiesta.
Dopo la morte, il sacerdote non deve amministrare il sacramento; ma se vi fosse dubbio potr farlo sotto condizione.
Preparazione: Per la validit si richiede che il soggetto abbia lintenzione almeno abituale di ricevere questo sacramento.
Per riceverlo lecitamente si richiede lo stato di grazia perch lunzione un sacramento dei vivi. Chi, trovandosi in stato
di peccato lo riceve in buona fede deve essere almeno imperfettamente contrito; se ha solo peccati veniali si richiede
una contrizione almeno virtuale. Bisogna poi che vi sia rispetto e devozione verso questo sacramento.
IV.
IL MINISTRO DELLUNZIONE DEGLI INFERMI
(DH 1697; 1719)
Il nuovo rituale (CV II) non propone alcuna innovazione riguardo al ministro dellunzione. Allo stato delle cose, non
c dubbio che il solo e unico ministro del sacramento dellunzione sia il sacerdote o, ovviamente, il vescovo.
Eppure alcuni si chiedono se non sarebbe auspicabile un allargamento del ministro dellunzione. Ne potrebbero
beneficiare molti malati, soprattutto dove i sacerdoti sono rari o nei paesi di missione. Per mancanza di sacerdoti,
lamministrazione del sacramento sarebbe allora affidata ai diaconi e, in assenza di diaconi, a laici ben preparati.
Trento parla per due volte del ministro proprio del sacramento dellunzione: al capitolo 3 del decreto che lo riguarda:
proprios hujus sacramenti ministros; e nel canone 4: proprium extremae unctionis infirmorum. Il termine proprio non
lequivalente di esclusivo: lo si pu interpretare anche come sinonimo di ministro ordinario, il che lascerebbe la
possibilit di ministri straordinari. Ma qui la discussione va oltre il nostro proposito.24
Inoltre, lunzione pu essere compiuta da un singolo o da pi ministri, applicando ognuno di loro la materia e
pronunciando pure ognuno la forma (DH 2524).

23
24

Citato in gran parte da P. Adns, Lunzione degli infermi, (diverse pagine)


Ibid., p. 83.

107

TEMA 37: Sacramento dellOrdine


I.

SACERDOZIO DI CRISTO E SUCCESSIONE APOSTOLICA:

Soltanto in Dio l'uomo trova la sua salvezza. E come uno solo Dio, anche "uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini,
l'uomo Ges Cristo" (1Tim 2,5). Cristo, il pontefice ("costruttore dei ponti"), non solo l'unico sacerdote, ma lo anche
in modo perfetto e definitivo.
Il sacerdozio di Cristo stabilito al modo di Melchisedek Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek.
superiore al sacerdozio levitico (la superiorit del sacerdozio di Cristo). Si tratta di un sacerdozio in eterno e perenne,
che non tramonta mai. Il suo sacerdozio anche universo (luniversalit del sacerdozio di Cristo), che non legato e
determinato a un certo trib, ma si rivolge a tutti i popoli della terra. Poi il sacerdozio di Cristo ha anche una iniziativa
divina, che Dio fa qualcuno di essere sacerdote, che non ho lorigine umana ma a Dio in persona. Inoltre, lunicit anche
una caratteristica del sacerdozio di Cristo. Questa unicit riaffermata dallunicit del sacrificio della Nuova Alleanza:
il sacrificio di Cristo si attua una volta per sempre.
Allo stesso tempo Cristo non un sacerdote che esaurisce il suo ruolo una volta compiuto il sacrificio. Egli infatti continua
ad esercitarlo, perch sempre vivo intercede per noi (Eb 7:25); il suo sacerdozio continua (quindi la continuit del
suo sacerdozio) nel tempo. Si tratta di un sacerdozio senza successione, senza concorrenza; c un solo sacerdozio, quello
di Cristo.
- Sacerdozio, sacrificio e filiazione: Il sacerdozio di Cristo attuato mediante un sacrificio e cos laspetto sacrificale
di esso gli assolutamente essenziale: non si pu parlare del suo sacerdozio senza sacrificio. Nella dottrina tridentina,
sacrificio e sacerdozio sono vincolati luno allaltro. Una nozione di sacerdozio costruita esclusivamente a partire da
quella di sacrificio, definendo il primo a partire dallofferta del secondo. Lunione fra offerente e offerta, cio lidentit
fra il sacrificio e il sacerdote, rende il sacrificio gradito a Dio perch essa porta in pienezza lunit fra sacrificio esteriore
e sacrificio interiore. Lintrecciato rapporto fra sacerdozio, sacrificio e filiazione di Cristo in cui la sua funzione
sacerdotale appare determinata dalla singolarit della sua dignit filiale (totale e filiale obbedienza fino alla morte
offrendosi al Padre).
- Sacerdozio e mediazione: Il sacerdozio di Cristo si prospetta come una mediazione intesa in senso forte. Essere
sacerdote essere mediatore; ogni sacerdote sar sempre una mediazione, la persona del sacerdote in se stessa
mediatrice. Si tratta di una mediazione perfetta: una mediazione che porta allimmediatezza, poich raggiungere Cristo
raggiungere Dio. Uno solo, infatti, Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, luomo Ges Cristo, che ha
dato se stesso in riscatto per tutti (1Tm 2,5-6). La mediazione di Cristo Ges esiste nella sua umanit in quanto unita
ipostaticamente con il Verbo. Lazione mediatrice di Cristo unazione umana di Dio.
Parlando degli Apostoli, vediamo che Cristo li ha fatti partecipi del suo proprio sacerdozio. Partecipazione allo stesso
sacerdozio si manifesta, da un lato, con la stessa missione: come Cristo fu mandato dal Padre, cos mand i Dodici (cf Gv
17,18), cambiando lo stato dei suoi discepoli ed affidando loro un compito. Come Ges venuto per riconciliare l'umanit
con Dio (cf Gv 3,17) e gli apostoli continuano la sua missione (Mt 28,18-20: "Andate dunque ed ammaestrate tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ci che vi
ho comandato). Da laltra parte, Ges ha fatto gli apostoli partecipi anche della sua consacrazione. La consacrazione
per la missione e la missione richiama la consacrazione.
Quella missione divina, affidata da Cristo agli apostoli, dovr durare fino alla fine dei secoli, poich il vangelo che essi
devono trasmettere per la Chiesa principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Perci gli apostoli, in questa societ
gerarchicamente ordinata, ebbero cura di costituirsi dei successori (LG 20/1, DH 4144).
Come eredi del manus apostolicum i vescovi vengono considerati i pastori che presiedono la comunit nel nome di Dio.
Anche i presbiteri e i diaconi partecipino in diverso grado al manus apostolicum, soltanto i vescovi sono i successori degli
apostoli. Il ministero dei vescovi ha unidentit sostanziale con il ministero apostolico. La successione apostolica , secondo
la sua essenza, la presenza viva della parola nella forma personale del testimonio, in modo che il Vangelo da trasmettere
sia davvero per la Chiesa principio della sua vita nel tempo.
Lordine come sacramento: La presenza attiva di Cristo nei vescovi esige un legame ontologico tra Cristo e i vescovi. Si
tratta di una presenza che teologicamente consiste nella repraesentatio Christi Capitis, propria ed esclusiva dei detentori
della successione apostolica. La consacrazione episcopale conferisce pure, con ufficio di santificare, gli uffici di insegnare
e di governare, che per la loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con le
membra del collegio. La rassomiglianza con Cristo conferita dallordine una rassomiglianza con Cristo Capo della
Chiesa. Sebbene in tutto il ministero sacerdotale esista tale rassomiglianza tra il ministro e Cristo. Il sacerdozio
costituisce la manifestazione visibile dellintervento mediatore di Cristo nella vita dei cristiani.

II.

NATURA DEL SACERDOZIO MINISTERIALE:

Innanzitutto il sacerdozio ministeriale ha il suo fondamento nel sacerdozio di Cristo e la sua successione apostolica.
Rispetto al sacerdozio comune, che la partecipazione al sacerdozio di Cristo nel battesimo, il sacerdozio ministeriale
la partecipazione al sacerdozio di Cristo in quanto capo del corpo mistico che la Chiesa. Esiste una diversit
108

essenziale tra il sacerdozio comune e quello ministeriale. Questa ha la potest sacra e ministeriale, che esercita in persona
di Cristo. Invece, il sacerdozio comune ha una potest sostanziale rispetto a quello ministeriale.
Caratteristiche specifiche del sacerdozio ministeriale:
- La repraesentatio Christi Capitis et Pastoris, una rappresentazione sacramentale. La sacramentalit qualifica la
natura della rappresentazione. La pastoralit specifica la partecipazione del sacerdozio ministeriale.
- La visibilit, lautorit e il carattere pubblico: attraverso il ministero ordinato, specialmente dei vescovi e dei
sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa resa visibile in mezzo alla comunit dei fedeli. pubblico
perch svolto il ministero sensibilmente a favore degli uomini, un ufficio, il sacerdote il rappresentante ufficiale
di Cristo tra gli uomini. Lautorit non soltanto la potest giuridica, ma anche quella con la quale Cristo fa crescere,
santifica e governa i fedeli. una partecipazione allautorit di Cristo, la esercita nella funzione gerarchica.
- Lagire in persona Christi: questo soprattutto si manifesta nella celebrazione dei sacramenti, specialmente nella
consacrazione eucaristica e la riconciliazione. Questo agire, da una parte, regge per azioni senza un insediamento
permanente nel soggetto; da unaltra parte, significa che in quel momento le azioni non sono pi azioni del ministro
celebrante, ma azioni di Cristo.
- La dimensione ecclesiologica: la rappresentazione di Cristo dei presbiteri si colloca nella Chiesa ed esiste per la
Chiesa, per il suo servizio. Il servizio sacerdotale alla Chiesa anche nella repraesentatio Ecclesiae. Il sacerdote svolge
il suo ministero in totius Ecclesiae persona.
- Luniversalit, collegata con luniversalit della Chiesa.

III.

IL MINISTERO ECCLESIASTICO NEI SUOI DIVERSI GRADI.

Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che gi anticamente sono
chiamati vescovi, presbiteri, diaconi (LG 28/1).
Sono i ministeri propri dei pastori della Chiesa, quelli che stanno a capo della comunit. (Lc 9,1-6; 10,1; At 6,1-6; 1Pt
2,25; At 20,28; Col 1,23).
Distinzione episcopato-presbiterato-diaconato:
S. Tommaso non parla dellepiscopato come ordine distinto dal presbiterato; si basa invece sul binomio potestas ordinispotestas iurisdictionis e trova la differenza nella seconda. Mentre riguardo al Corpus verum la potestas ordinis la
stessa, riguardo al Corpus mysticum il presbitero dipende interamente dal vescovo che gode di piena potestas
iurisdictionis. Nel Concilio Vaticano II parla della consacrazione episcopale come di un vero sacramento. Il nucleo della
distinzione si trova nel fatto che la missione apostolica ricevuta in modo pieno solo dai vescovi; dai presbiteri quella
missione ricevuta subordinato grado riguardo al ministero episcopale: il primo il sommo sacerdozio, mentre il
secondo una partecipazione non piena e da esercitarsi in dipendenza dai vescovi.
Ai diaconi sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio, il servizio del sacerdozio. La Traditio
Apostolica: il diacono viene ordinato non al sacerdozio, ma al servizio del vescovo con il compito di eseguire gli ordini.
Anche se il diacono non sacerdote, si pu parlare del diaconato come di una partecipazione ministeriale al sacerdozio
di Cristo: una realt comune ai tre gradi dellordine. Ha una funzione assolutamente relativa alle altre funzioni del
ministero ordinato. Come realt proveniente dal sacramento dellordine, il diaconato va considerato come una
repraesentatio Christi. Come grado gerarchico partecipa alla capitalit di Cristo. Cio: il diaconato come di una
sacramentale repraesentatio Christi Servi, mentre repraesentatio Christi Capitis resta come aspetto specifico del
presbiterato e dellepiscopato.
Funzioni:
- Il Vescovo ha una potest propria, ordinaria, e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato
dalla suprema autorit della Chiesa. Ha la funzione di guidare, governare, e santificare il popolo di Dio.
- Il presbiterato , come cooperatore del vescovo. Ha la funzione di proclamare la parola di Dio, soprattutto di
celebrare lEucaristia per i fedeli.
- Il diaconato ha la funzione come del servizio della liturgia, della parola e della carit. Pi particolare appartiene
al diacono lamministrare il battesimo, conservare e distribuire lEucaristia, in nome della Chiesa assistere e
benedire il matrimonio (LG 29).

IV.

SEGNO SACRAMENTALE ED EFFETTI:

Base biblica: (At 6,5), (1Tm 4,14), (1Tm 5,22), (2Tm 1,6). La cosa importante che la sacra potestas propria del sacro
ordine viene conferita sempre attraverso la impositio manuum e la preghiera e solo in questo modo. La Cost.
Sacramentum Ordinis del Papa Pio XII (30-11-1947): dichiariamo e in quanto necessario, decretiamo e disponiamo
che la materia degli ordini sacri del diaconato, del presbiterato e dellepiscopato una sola, ed limposizione delle
mani; e che la forma, anchessa una sola, sono le parole che determinano lapplicazione di questa materia, con cui in
modo univoco vengono significati gli effetti sacramentali.(DH 3857-3861). Lattuale CIC conferma che gli ordini
vengono conferiti mediante limposizione delle mani e la preghiera consacratoria, che i libri liturgici prescrivono per i
singoli gradi (CIC, can. 1009 2).
109

Effetti:
I.

II.

V.

Carattere: S. Tommaso: il carattere una partecipazione al sacerdozio di Cristo ed concepito come una
potenza spirituale di ordine strumentale per la deputazione al culto. (DH 1609, 1774: se qualcuno afferma
che nei tre sacramenti del battesimo, della confermazione e dellordine, non viene impresso nellanima il
carattere sia anatema..). Concilio Vaticano II parla del carattere come effetto sia della consacrazione
episcopale (LG 21), sia dellordinazione presbiterale. Riguardo allordinazione diaconale il CCC ne parla
esplicitamente: il sacramento dellordine imprime in loro (nei diaconi) un segno (carattere) che nulla pu
cancellare e che li configura a Cristo, il quale si fatto diacono, cio il servo di tutti (CCC 1570). Il
carattere signum indelebile segue necessariamente la realt per cui lordine un sacramento non reiterabile.
Conc. Vat. II afferma che con la consacrazione episcopale viene impresso un sacro carattere, in maniera
che i vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo maestro, pastore e
Pontefice, e agiscono in sua persona (LG 21/2, DH 4145). I presbiteri sono segnati da uno speciale carattere
che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo Capo. Nei
diaconi si imprime un segno (carattere) che li configura a Cristo (servo)(CCC 1570). Si prende nota che il
carattere sacerdotale come segno configurativo, distintivo e potestativo trova puntuale conferma nella
nozione di repraesentatio Christi Capitis: quale ripresentazione sacramentale di Cristo Capo, i presbiteri
sono configurati con Cristo perch lo rendono presente nella propria persona; si distinguono dai fedeli nonordinati in quanto configurati con Cristo Capo della Chiesa; e sono abilitati a svolgere le funzioni sacerdotali
in quanto rendono presente la potestas Christi.
La grazia del sacramento: dono dello spirito di forza, di amore, e di saggezza. (CCC 1586 vescovo, la
grazia di fortezza, la grazia di guidare e difendere la Chiesa, prudenza. 1587 presbitero, 1588 diacono).

MINISTRO E SOGGETTO:

Solus episcopus pu ordinare validamente. (CCC 1576, DH 1777). Il ministro della sacra ordinazione il Vescovo
consacrato (CIC can.1021).
Condizione episcopale: la comunione con la Sede Apostolica, mandato pontificio, tre vescovi con-consacranti (CIC 1013,
1014). Per presbitero e diacono: dal proprio vescovo e nella proprio circoscrizione.
Soggetto:
Per validit: solus vir baptizatus e lintenzione.
Altre condizioni: la vocazione al sacerdozio (la chiamata della gerarchia. La risposta libera del candidato). Il celibato
sacerdotale. Poi le
Condizioni personali: disposizioni interne e esterne, senza richiesta, et ed interstizi, assenza di impedimenti e di
irregolarit, requisiti previ allordinazione, la formazione permanente. (CIC cc.1024-1052)

110

TEMA 38: Il Matrimonio


I. IL MATRIMONIO IN QUANTO HA LA SUA ORIGINE NEL DISEGNO ORIGINALE DIVINO:
I SUOI FINI, PROPRIET E BENI NATIVI
Il Matrimonio non frutto dellevoluzione della societ. Dio stesso ne lAutore (cfr. GS 48)
1. Dio Creatore della prima coppia coniugale: Gn 1,27 (li cre maschio e femmina) e Gn 2,24 (per questo luomo
lascer suo padre e sua madre e si unir alla moglie e i due formeranno una sola carne: Una carne indica lunit della
coppia, non lunione sessuale.
2. Dio autore del matrimonio negli altri libri dellAT: Tb 8, 5-7, Tobia chiede a Dio la protezione del suo matrimonio,
considerando che Dio, creando la prima coppia, ha voluto la vita coniugale. In Ml 2 14,15, il profeta ricorda la prima
coppia come fondamento di ogni unione matrimoniale, di cui Dio garante.
3. Latteggiamento di Ges riguardo al matrimonio: Ges manifesta la sua approvazione del matrimonio innanzitutto
partecipando alla nozze di Cana (Gv 2). Inoltre, Ges nelle immagini utilizzate per parlare del Regno utilizza immagini
nuziali (il banchetto nuziale, lo sposo).
4. Bont del matrimonio e sua origine in Dio: epoca patristica: i Padri parlano di Dio come autore del matrimonio in tre
contesti: difesa del matrimonio contro errori dualisti (errori combattuti da San Ireneo e San Clemente Alessandrino);
bont del matrimonio in rapporto allideale della verginit (San Girolamo contro Gioviniano, che lo accusava di
disprezzare il matrimonio e San Agostino contro Giuliano dEclana, affermando che conseguenza del peccato la
concupiscenza, non il matrimonio); insegnamento sulla monogamia e linseparabilit coniugale ( Origene, Crisostomo).
5. Difesa della bont del matrimonio da parte dei Concili: a difesa del matrimonio, sono intervenuti vari concili: Concilio
di Toledo (447), contro i seguaci di Priscilliano e nel sec .XII, contro errori dualistici, i concili di Tolosa (1119),
Lateranense II (1139) e Lateranense IV (1215) difendono che anche gli sposati meritano di raggiungere la beatitudine
eterna.
I suoi fini, propriet e beni nativi
I fini del matrimonio: Secondo GS 48a, fini del matrimonio sono la procreazione e leducazione della prole. Per GS
50c aggiunge che fine del matrimonio non solo la procreazione dei figli, ma richiesto che lamore dei coniugi si
manifesti, si sviluppi ed arrivi a maturit.
Il mutuo aiuto o bene dei coniugi: nel libro del Genesi si dice anche che la donna un aiuto adeguato per luomo, e per
tanto anche il mutuo aiuto si considera un fine del matrimonio. Il CIC del 1983 cambia la terminologia, e invece di
mutuo aiuto preferisce parlare di bene dei coniugi. GS 48a parla di mutuo aiuto e servizio come di quellintima
unione delle persone e delle attivit, attraverso la quale i coniugi sperimentano il senso della propria unit e la
raggiungono pi pienamente. Cos, anche senza prole, il matrimonio mantiene il suo valore e la sua indissolubilit (cfr.
GS 50c).
Il remedium concupiscentiae fine del matrimonio: n la GS, n il CIC 83 parlano del remedium
concupiscentiaecome fine del matrimonio. Per se ne parla la Casti Connubi ed il SIC del 1917. Le base biblica si trova
in 1Cor 7,1-2, dove si dice che il matrimonio un rimedio allincontinenza alle unioni sessuali illecite.
Interdipendenza e ordine fra questi fini: il remedium Concupiscentiae non un fine indipendente del matrimonio, ma
incluso nel fine del mutuo aiuto. San Tommaso afferma che la procreazione il fine principale del matrimonio, mentre
il fine del mutuo aiuto secondario. Tale dottrina, ripresa dal CIC 17 e dalla Casti connubi, fu messa in discussione da
H. Dums e B. Krempel, per i quali il senso del matrimonio sta nellunione tra i due sessi, che trova la sua massima
espressione nellatto coniugale. Tale posizione fu respinta dal SantUffizio del 1944.
Beni Nativi del matrimonio:
1. La Prole quale frutto della partecipazione speciale dei coniuge allamore e al potere di Dio creatore.
2. La Fedelt matrimoniale contribuisce alla bont del matrimonio stesso e, insieme alla prole, rende buono latto
specificamente matrimoniale.
3. Il Sacramento che designa lindissolubilit del vincolo ed insieme alla elevazione e consacrazione fatta da Cristo,
del contratto a segno efficace della grazia (Pio XI, Casti Connubii n.141).

II.

PREPARAZIONE

ED ELEVAZIONE DEL MATRIMONIO A SACRAMENTO: LA SACRAMENTALIT


NELLA TRADIZIONE E NEL MAGISTERO; INSERIMENTO NEL MISTERO DELLUNIONE SPONSALE
TRA CRISTO E LA CHIESA.

1. Preparazione del matrimonio nellantico testamento:


Il matrimonio entra a far parte della storia della salvezza, indicato come immagine dellalleanza tra Dio e il suo popolo:
un patto allinterno del gran patto tra Dio e Israele. In Osea, (cc1,2) limmagine acquista una forza espressiva perch lo
stesso coinvolto in una vicenda personale. In Geremia (Ger3, 1-13), Dio il primo sposo del suo popolo. In Ezechiele
riappare la figura delle sorelle (Ez 23) una sposa infedele. Tuttavia il Signore promette una nuova alleanza sponsale,
111

come aveva detto attraverso Osea. Isaia (54,1-8) ripropone lo stesso tema ma in termini consolanti. Dio promette la
moltiplicazione del popolo. C una terminologia matrimoniale, ma non esplicito il rapporto con Dio-Sposo.
2. Elevazione del matrimonio a Sacramento nel Nuovo testamento:
Nel NT, il matrimonio elevato a sacramento basandolo al mistero dellunione sponsale tra Cristo e la Chiesa, che
nuovo popolo messianico. Risponde alla questione del digiuno alludendo a se stesso come sposo delle nozze (Mc 2, 1921), Le parabole delle nozze regali (Mt 22, 1-14) e delle cinque vergini (Mt 25, 1-13), paragona il Regno di Dio alle
nozze con riferimento allo sposo. Ne troviamo una prima indicazione nelle Nozze di Cana: la Sua presenza in essa,
conferma il valore del matrimonio Ges appare al centro come il vero Sposo. Il contesto anteriore, (Gv 1,19-51), volte
a rivelare Ges quale Messia di Israele, con il culmine in Cana. S. Paolo in Ef 5, 21-33 spiega il legame del matrimonio
come producente di nuova comunit che rispecchia lunione sponsale di Cristo con il nuovo popolo messianico, la
Chiesa. Il Magistero della Chiesa espone la dottrina che il matrimonio un sacramento. Il sacramento del matrimonio
conferisce la grazia per Christum. L inserimento degli sposi nellalleanza sponsale di Cristo con la Chiesa gi
avvenuto nel battesimo. I battezzati sono inseriti nel mistero di Cristo e della Chiesa. (Giovanni Paolo II, Familiaris
Consortio n. 13).
La sacramentalit nella Tradizione e nel Magistero
Tradizione. La Chiesa non considerava il matrimonio dei cristiani come cosa profana, anzi, sottopose a vigilanza dei
capi ecclesiastici e vi messe norme. SantIgnazio, II sec. scrive a Policarpo: che si sposino col parere del vescovo, di
modo che le nozze siano secondo il Signor Ges. Pero pi importante una prassi del buon comportamento cristiano.
San Callisto Papa, 220 ca. secondo SantIppolito, avrebbe permesso maritarsi alle donne nobili con cristiani di rango
sociale pi basso per evitare di sposare un pagano. La benedizione nuziale unaltra prova di come la Chiesa
sinteressasse al matrimonio. Clemente Alessandrino, agli inizi del III sec. vieta luso della parrucca, perch il sacerdote
deve imporre le mani per Benedire, ma se ha i capelli altrui, chi sar benedetto? SantAgostino parla della santit del
matrimonio evidenziato dall uso del vocabolo Sacramento; con questo vocabolo egli intende lindissolubilit del
legame che unisce i coniugi; la permanenza.
Magistero della chiesa: La professione di fede prescritta da Clemente IV e da Gregorio X allimperatore orientale
Michele VIII, in vista dellunione con Roma, che questi accett in pieno, tramite i suoi legati, davanti al concilio di
Lione (1274). La bolla pro Armeni, del concilio di Firenze (1439) afferma: il settimo dei sacramenti ed segno
dellunione di cristo e della Chiesa. Il Concilio di Trento nella 7a e 24a sessione dichiara che il matrimonio uno dei
sette sacramenti istituiti da Cristo e che conferisce la grazia Il CCC, nel 1515 e 1617, ribadisce linsegnamento della
Chiesa riguardo la sacramentalit del Matrimonio.
Linserimento nel Mistero dellunione sponsale tra Cristo e la Chiesa
Linserimento degli sposi nellalleanza sponsale di Cristo con la Chiesa gi avvenuto nel battesimo. I battezzati sono
inseriti nel mistero di Cristo e della Chiesa, e quindi il matrimonio inserisce luomo e la donna definitivamente nella
nuova ed eterna alleanza, nellalleanza sponsale del Redentore con la Chiesa, sostenuta ed arricchita dalla forza
redentrice di Ges.

III.

PROPRIET DEL MATRIMONIO

Propriet del matrimonio:


1. LUnit: Gn 2,24. La Prima coppia era monogama e la loro condizione paradigmatica per le altre coppie. Pertanto
la poligamia, nelle due forme della poliandria e delle poliginia, non corrisponde al disegno originale divino.
Lunione coniugale presenta un carattere di totalit. Inoltre la poligamia contraddice la pari dignit uomo-donna,
e il vincolo mutuo perde il suo carattere di reciprocit.
2. Lindissolubilit:-Il CCC (n.1605) insegna che Gn 2,24 significa una unione indefettibile tra marito e moglie. Il
vincolo coniugale che contraggono gli sposi il frutto di una loro libera decisione, ma in seguito sottratto alla
loro volont: esso trae la sua forza dallistituzione divina.

IV.

CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO

Ci sono due elementi nucleo essenziale della celebrazione del matrimonio:


- Il consenso matrimoniale: l'atto della volont con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e
accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (CIC can. 1057 2). Volont deve avere il valore
e la qualit hic et nunc e, in concreto, il vincolo consiste nel donarsi ed accettarsi reciprocamente, l'uomo e la
donna come coniugi, questa specifica persona quale coniuge per me. Quindi il mutuo consenso fa nascere il
vincolo matrimoniale; esso il segno sacramentale oppure la res et sacramentum del matrimonio. La dottrina
tradizionale afferma che: la materia il consenso in quanto dato e la forma il consenso in quanto ricevuto. Un
altro chiarimento sul consenso che esso deve manifestarsi esteriormente con parole o con segni equivalenti.
112

La forma canonica: La Chiesa latina nel, o sin dal, concilio di Trento esige la formalizzazione del patto coniugale
e lo chiama forma canonica della celebrazione del matrimonio, per la sua validit. Ordinariamente, sono validi
soltanto i matrimoni che si contraggono alla presenza dell'Ordinario del luogo, del parroco, del sacerdote oppure
diacono delegato da uno di essi che sono assistenti, nonch alla presenza di due testimoni (CIC can. 1108 1),
o i laici delegati ad assistere ai matrimoni (CIC can. 1112 2).

V.

PASTORALE CON LE COPPIE IN SITUAZIONE IRREGOLARI

Il matrimonio rato e consumato assolutamente indissolubile. Lazione pastorale nei confronti dei divorziati risposati
fu trattato nel V Sinodo dei Vescovi (1980) e la successiva esortazione apostolica Familiaris Consortio vi dedic un
esteso paragrafo, l84.
1. Discernimento delle diverse situazioni, Posizione dei divorziati risposati verso la Chiesa: Bisogna guardare bene
le diversi situazioni (causa molto diverse). I divorziati risposati non vanno respinti ma al contrario sono figli
della Chiesa e come tali vanno accolti e aiutati a percorrere un cammino di conversione fino alla piena
riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
2. Divorziati risposati e comunione Eucaristica: Nella FC n. 84 il Papa risponde negativamente alla possibilit di
ammettere i divorziati risposati alla comunione eucaristica. Il Papa da un duplice fondamento scritturistico per
ribadire tale prassi:
f. Il divieto rivolto dal signore ai coniugi di separarsi e risposarsi.
g. Il mandato di 1Cor 11,27-29 di non accostarsi alla comunione se non si liberi da peccato grave. La
Congregazione per la Dottrina della Fede ribadisce, i pastori e la comunit sono chiamati a non lasciare
soli i fedeli ma accompagnarli in un cammino di conversione e a portarlo a compimento, e ci passa
attraverso il sacramento della penitenza La penitenza possibile solo con un vero mutamento di vita.
3. Condizioni per accordare lassoluzione a coloro che si manifestano pentiti: Il penitente deve manifestare una sua
disposizione a una forma di vita che rispetta lindissolubilit del matrimonio, impegnandosi nella continenza.
4. Il caso di divorziati risposati in base a una presunta certezza di coscienza sulla nullit della loro prima unione: A
questo proposito si consiglia che ci si rivolga principalmente ai giudici dei tribunali ecclesiastici.

VI. DOVERI MORALI DEGLI SPOSI:


1 . La cura del benessere materiale: il modo in cui gli sposi contribuiscono ai beni familiari varia. Ma un dovere la cui
responsabilit di entrambi. Il loro tenore di vita deve essere uguale (CIC 1135).
2. Il dovere della convivenza coniugale: Lunita coniugale implica la convivenza tra i coniugi, per raggiungere i fini del
matrimonio. un dovere morale che ha anche una espressione giuridica nel CIC 1151. Interruzione volontaria della
convivenza coniugale peccato mortale. Per interruzione della convivenza non un separazione. Il CIC anche regola
separazioni. In caso dellimpossibilit (per vari ragioni) della convivenza, la Chiesa ammette la separazione nelle cause
validi: Adulterio (separazione dopo ricorso allautorit ecclesiale, CIC 1152), Danni spirituali e corporali(ricorso
allautorit). Per il bene di prole e coniugi, se ha fine la causa della separazione si deve ristabilire la convivenza. Solo
nel caso di adulterio la separazione si pu protrarre in perpetuo.

VII.

STUDIO MORALE DELLA VITA SESSUALE NELLAMBITO DEL MATRIMONIO: IL DOVERE MORALE
DELLA CURA DEI FIGLI:

La decisione sul numero dei figli:


1. Perch generare un figlio? La Gaudium et Spes ha affrontato direttamente il tema della decisione sulla prole da
generare. Il primo dato al riguardo che la trasmissione ed educazione della vita umana un dovere (officium)
proprio dei coniugi ad essere cooperatori dellamore di Dio creatore. Nella FC, n.30 sinsegna che il figlio un
dono di Dio, e non pu essere considerato come lattuazione di un progetto di cui si padroni.
2. Elementi per una decisione moralmente giusta: Insegna GS, N.50b che sono gli sposi che in ultima analisi
devono formulare, davanti a Dio, il giudizio di coscienza sul numero di figli. Nel formularlo gli sposi devono
considerare il proprio bene personale e quello di figli, societ e Chiesa.
3. Criteri di valutazione dei beni implicati nella decisione sul numero dei figli: La GS (nn.48 e 50) insiste sulla
generosit che deve guidare gli sposi nella loro scelta procreativa. Vi sono circostanze in cui il numero dei figli
non pu essere accresciuto, essere ragioni proporzionate ai beni che sono in gioco (cfr.HV 10).

113

4. Il compito di trasmettere la vita umana e il dovere di favorire lamore coniugale: La paternit responsabile
sempre caratterizzata da unapertura generosa verso la vita, e tale apertura favorisce lamore coniugale. La GS
51b ci d un principio generale: non pu esserci contraddizione tra le leggi divine del trasmettere la vita e del
dovere di favorire lautentico amore coniugale.
Moralit dellatto coniugale:
1. Bont morale dellatto coniugale: se la distinzione tra i sessi opera di Dio, non c dubbio che luso del matrimonio
sia concordante con la volont divina. San Paolo presenta lunione sessuale come uno dei doveri fondamentali degli
sposi (cfr. 1 Cor 7,5). Luso della facolt di generare certamente buono, perch la sua finalit la persona umana.
Sulla bont dellatto coniugale ha insistito la GS (nn.49b e 51c).
2. Inscindibilit tra i significati unitivo e procreativo dellatto coniugale: nellenciclica Humanae Vitae, dopo aver
formulato la norma morale secondo cui qualsiasi atto matrimoniale deve essere destinato alla trasmissione della vita
(cfr. HV 10), Paolo VI propone il fondamento di tale norma nellinscindibilit dei due significati dellatto coniugale:
unitivo e procreativo (cfr.HV 12). Come indica anche la FC, la sessualit riguarda lintimo nucleo della persona umana,
e la donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale totale (FC 11).
Il dovere morale de la cura dei figli:
1. Lamore dei figli: considerando che il concetto stesso di paternit che applichiamo a Dio lo conosciamo
dallesperienza della paternit umana, si comprende la responsabilit dei genitori di far trasparire limmagine della
paternit (cfr. FC n.14). Sono mancanze gravi di amore verso i figli (peccati mortali):
a) labbandono.
b) le ingiurie;
c) i castighi corporali immoderati;
d) le indebite disuguaglianze di affetto. Tali mancanze, eccetto labbandono, ammettono parit di materia.
2. Cura della salute e dello sviluppo corporale dei figli: questo un dovere che ammette parit di materia, ma trascurarlo
pu costituire un peccato mortale per i danni che arrecherebbe ai figli.
3. Responsabilit dei genitori rispetto alleducazione dei figli Il diritto-dovere educativo dei genitori: i genitori sono i
primi/principali educatori della prole (cfr GE n.3). Il loro un diritto-dovere essenziale (FC 36). Lamore paterno e
materno alla basa del compito educativo: lelemento pi radicale, che qualifica il compito educativo dei genitori
lamore paterno e materno (FC 36).

114

TEMA 3 9: LEscato log ia Cristian a


I.
LA VITA CRISTIANA COME VITA IN SPERANZA
La venuta del Signore - inizio definitivo e causa di tutte le realt escatologiche - sar un'espressione dell'amore di Dio
verso le sue creature, perci gi nella S. Scrittura e nei testi patristici questa venuta una realt che si attende come
oggetto di speranza (cf Padre nostro: "venga il tuo regno"; 1 Cor 11,26: "annunziate la morte del Signore finch egli
venga"; Didach: "Maranatha"). Parousia - e gli eventi ad essa connessi - sono realt la cui realizzazione ci assicurata
dalla Rivelazione. Questo fatto gi ci d una certezza. D'altra parte, con sicurezza sappiamo che la Parousia porter con
s una pienezza finale del cosmo: non ci sar pi n caducit, n dolore, n morte - comincer una vita felice ed eterna
per coloro che ne saranno degni. Perci le realt escatologiche - per un cristiano - sono oggetto di una speranza ben
fondata ed amorosa, speranza che deve tendere a manifestarsi nella preghiera e nelle opere (che hanno tanto valore
quanto valgono per il futuro).
In qualche modo la speranza cristiana gi molto vicina al suo fine, perch le realt preparate nel disegno di Dio per i
suoi figli sono in parte gi iniziate a realizzarsi nella morte e Risurrezione del Signore e continuate (anche se in un
modo privo della perfezione definitiva) nei Sacramenti e nella grazia presente nei cristiani. La Chiesa cos gi quasi
tocca con la mano quella unione amorosa con il Signore, per non sa il momento del suo definitivo compimento. I
cristiani non possono nemmeno preparare solo con i loro sforzi quella Venuta: essa di ordine soprannaturale, non
umano, e sar realizzata dalla potenza divina.
Ci che rimane ai cristiani, essere docili allo Spirito Santo ed essere testimoni costanti di Ges Cristo nella speranza
(cf At 1,6-8). E fin quando non ci saranno i cieli nuovi e la terra nuova i cristiani continuano ad annunziare gli uni agli
altri e ad ogni essere la fugacit di questo mondo e allo stesso tempo il valore molto pi grande del Regno di Dio (cf LG
48). Davanti all'enigma della condizione umana - che minaccia con il fatto che in qualsiasi momento pu sopraggiungere
un dolore o persino una fine di tutto - ci possono essere soltanto due atteggiamenti: o una ferma speranza, o una afflizione
continua ed insormontabile. Non possibile non preoccuparsi totalmente della morte come di un evento senza grande
rilevanza.
II. LA FINE DEL MONDO COME VENUTA DEFINITIVA DI CRISTO NELLA GLORIA(PAROUSIA)
La fede nella Parousia, oggetto principale della speranza ecclesiale, confessata gi nei primi simboli della fede
cristiana. Il Credo Apostolico: "e di nuovo verr nella gloria per giudicare i vivi e i morti" (DS 30). Il Credo di Nicea Costantinopoli: "e torner di nuovo con gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avr mai fine" (DS
150). E cos la Chiesa fino ad oggi (anche nel Credo del Popolo di Dio di Paolo VI) continua a proclamare la sua fede
nella manifestazione gloriosa del nostro Signore come una realt "distinta e differita rispetto alla situazione che propria
degli uomini subito dopo la morte" (CDF, 17.5.79 - EV 6 / 1541). Prima della fine del mondo avranno finito la vita
terrena molti uomini, ma nemmeno per loro si sar compiuta la Parousia. Le caratteristiche specifiche di quest'ultima
sono l'universalit (per vivi e per i morti) e definitivit ("il suo regno non avr mai fine"), oltre il suo modo glorioso.
La Parousia coinvolger tutto l'universo. Il mondo, al quale manca l'incorruttibilit e perfezione propria di Dio, per poter
accogliere il Signore che viene, dovr subire la fine della sua esistenza nel modo proprio dell'essere della creatura
materiale e temporale. LG 48c spiega che la fine del mondo e la sua piena ricapitolazione in Cristo non si realizzeranno
"fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora (cf 2 Pt 3,13)".
Anche se ci saranno dei segni della vicinanza della Parousia, "ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanit"
(GS 39a; cf At 1,7). La LG ci dice soltanto alcune cose sul modo della Parousia: tra l'altro, essa sar collegata con la
trasformazione dell'universo secondo la giustizia di Dio. Non si parla di una distruzione totale, bens solo di una
trasformazione. I Padri della Chiesa, basandosi sulla dottrina della risurrezione, spesso affermano che la struttura del
mondo alla fine dei tempi rimarr materiale e cosmica (cf dispense, pag. 93). Il mondo sar, innanzitutto, "restaurato nel
suo stato primitivo" (CCC 1047) per essere, senza pi nessun ostacolo, al servizio dei giusti, cos arrivando attraverso
l'uomo al suo vero fine (cf LG 48a). La Chiesa respingeva gi dall'antichit la dottrina origenista secondo cui la fine del
mondo viene identificata con la distruzione definitiva del mondo corporeo e materiale, e la permanenza soltanto dello
spirito.
Tuttavia, anche se ci sar una certa permanenza, continuit del mondo vecchio, ci sar d'altra parte anche una decisiva
rottura. Quanto agli uomini, Cristo "trasfigurer il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso" (Fil
3,21). Anche il mondo intero sar purificato cos, che "allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal
calore si dissolveranno e la terra con quanto c' in essa sar distrutta" (2 Pt 3,10; cf. Ap 21,1-2).
III.
I SEGNI DELLA FINE DEL MONDO: IL LORO SENSO APOSTOLICO E SPIRITUALE.
a) La predicazione universale del Vangelo (Mt24,14).
Questo brano inserito nel nucleo del discorso escatologica di Matteo, di difficile interpretazione. Non vengono
definite n le dimensioni n le caratteristiche dei gruppi evangelizzati, neppure la qualit ed profondit di questa
evangelizzazione.
115

b) La conversione dIsraele.
La venuta del Messia glorioso sospesa in ogni momento della storia [Cf Rm 11,31] al riconoscimento di lui da
parte di "tutto Israele" (Rm 11,26; 674 Mt 23,39) a causa dell'"indurimento di una parte" (Rm 11,25) nell'incredulit
[cf Rm 11,20] verso Ges"La partecipazione totale" degli Ebrei (Rm 11,12) alla salvezza messianica a seguito
della partecipazione totale dei pagani [Cf Rm 11,25; Lc 21,24] permetter al Popolo di Dio di arrivare "alla piena
maturit di Cristo" (Ef 4,13) nella quale "Dio sar tutto in tutti" (1Cor 15,28 ). (CCC 674)
c) Lapostasia e la venuta dellanticristo (2 Ts2,3-4;7-10).
Lapostasia e lanticristo sono strettamente collegati: il trionfo dellanticristo, occasione dellultima e trionfale
venuta del Signore per mettere fine al tempo storico, si fa possibile precisamente per lapostasia degli uomini.
Il discorso sui segni che precederanno lAvvento finale del Signore tratta certamente di avvenimenti reali, che non per
noi, per difficili da discernere, capire e identificare. San Tommaso dAquino dice che questi segni non sono meramente
per la nostra curiosit, ma per muovere il nostro cuore a sottometterci al Giudice che viene, in questo senso si pu
dire che i segni ricorrono e appaiono in modo ciclico lungo la storia e la vita dei cristiani. La certezza sul ritorno di
Ges, che ci fa pensare al dolce dovere di restituire di nuovo a Luipulito e purificatoil mondo che ha creato, donato
alluomo e finalmente redento, ci ricorda che questo mondo non dura per sempre; e che non dobbiamo considerare le
calamit e le catastrofi come meri accidenti, senza significato o rilevanza allinterno della Provvidenza divina, la
presenza persino parziale dei segni dei tempi finale indica sempre una chiamata alla vigilanza cristiana e, perci, sono
altrettante occasioni di grazia, segni della Provvidenza amorevole del Padre.
IV.
LA RISURREZIONE DEI MORTI: SVILUPPO BIBLICO ED IMPLICAZIONI ANTROPOLOGICHE ED ETICHE.
La risurrezione nellAT (CCC 992)
La dottrina sulla risurrezione, pur essendo tra le pi centrali nella rivelazione cristiana, non si trova espressamente nei
primi libri Antico Testamento. Dottrine che preparano la risurrezione indirettamente: Sono cinque le forme in cui Dio
preparava il suo Popolo per la dottrina della risurrezione nellAT: i) Dio mostra il suo potere sullo sheol, sul sottomondo:
il potere creatore di Dio arriva a tutto, anche ai morti. (I Sam2,6; Amos 9,1-2; Sal 16,9-10; Sap 16,13-14). ii) Dio si
rivela sempre come il Dio vivo dei viventi. Tutta lazione creatrice di Dio una effusione di vita. (Dn14,25). iii) la morte
non entra a far parte diretta dei piani divini: Dio ha creato tutto per la vita. Cos si insiste che la morte sia risultato e
compimento del peccato delluomo. (Sap 1,12-13; Sap 2,23). iv) Nei libri dei Re si spiega come i profeti Elia ed Eliseo
hanno operato alcune volte il miracolo della risurrezione (I Re7,17-24). Lassunzione dElia e di Enoch (II Re2,1-11;
Sir 48,8). v) parecchie volte si parla della caduta e risollevarsi del popolo dIsraele come un processo di morte e
risurrezione (Is25,8;Is26,19). Forse lesempio pi chiaro di questa dottrina si trova nella visione del profeta Ezechiele
(37,1-14) della risurrezione delle ossa aride.
La risurrezione personale (AT): Nel libro di Daniele,12,1-4 molti di quelli che dormono nella polvere della terra si
risveglieranno
La dottrina viene espressa anche nel racconto del martirio dei sette fratelli in II Maccabei (7,1-19). Il punto principale
che la risurrezione viene rappresentata come qualcosa di buono, come perfezione e opera salvifica. bello morire a
causa degli uomini, per attendere da Dio ladempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati
La risurrezione nel NT
E noto che la dottrina sulla risurrezione dei morti non viene sistematicamente esposta nei Vangeli. La ragione
semplice: era pacificamente accettata dalla maggioranza come parte integrante del patrimonio dottrinale dellAT. Ges
ha riaffermato e ha precisato sulla natura e causa della risurrezione nella sua predicazione, soprattutto nella occasione
della risposta alla domanda di Sadducei. Lo fa ritornando alla vera fede dellAT e alla consapevolezza di un Dio potente
che solo pu compiere i desideri d immortalit perfetta nascosti nel cuore degli uomini. la risurrezione, che restituisce
la pienezza e leternit alluomo, frutto del potere ricreato del Dio vivo e lo stato spirituale come angeli, senza
matrimonio. Lapporto pi significavo e decisivo dellNT allAT questo: la risurrezione eterna dei morti gi
cominciata in Ges; inoltre la risurrezione di tutti avviene per mezzo di Lui. Ges nella sua persona la risurrezione e
la vita (Gv11,25).
Implicazione antropologiche
Il Dio di Ges Cristo il Dio vivo dei viventi, che avendo creato luomo e il mondo, perfettamente capace di
ricostituirlo e trasformarlo, anche nel suo vertice materiale, storico e caduco, con una perfezione molto maggiore della
terrena. Lantropologia cristiana basato sulla dottrina della risurrezione, insiste che ce una profonda unit tra anima e
corpo, ununit ribadita oggi anche in molti aspetti dalle antropologie scientifiche. Le conseguenze antropologiche della
fede cristiana nella risurrezione dei morti sono importante, luomo non pu n disprezzare n abusare del suo corpo.
La chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non
proibisce la cremazione, a meno che questa sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana (CIC n 1176).

116

Implicazione etiche
Tutto ci che ha costituito la storia personale di ogni uomo, semplice, forse nascosta e apparentemente banale, raggiunge
nella risurrezione il suo corpo ultimo e eterno valore davanti d Dio ed gli uomini. Larticolo sulla risurrezione afferma
la piena continuit etica di ogni aspetto della vita umana tra questa vita e la vita dopo la morte, la piena e eterna rilevanza
delle azioni puntuali e storiche, in particolare per quanto riguarda tutti aspetti della vita corporea, umana, visibile,
quotidiana. Tutti risorgeranno con i loro propri corpi, i corpi che hanno adesso, perch ciascuno riceva secondo le sue
opere, siano opere buone, siano esse cattive.
V.
LA PAROUSIA COME GIUDIZIO UNIVERSALE E DEFINITIVO SUL MONDO E SULLA STORIA.
Nei simboli della fede si menziona una chiara finalit della Parousia: Cristo verr per giudicare (tutti). Il tempo sar
concluso, e ci che rimarr del cosmo davanti al Signore sar il suo valore acquistato fino alla Parousia. Tutta l'esistenza
posteriore del cosmo intero sar in modo dipendente dall'uomo una "ricompensa". Il giudizio sar un'espressione del
rapporto profondamente cambiato tra Dio e le sue creature. Giudizio sar collegato a questo cambiamento del rapporto
ed insieme in qualche modo preparer il suo compimento. Ci dovr essere un giudizio, perch il cosmo sar ormai
pienamente "ricapitolato" dal Creatore, che prima era trascendente, e nella Parousia verr ad instaurare una sua nuova
e gloriosa presenza. E proprio per essere "tutto in tutti" il Signore dovr preparare il cosmo.
Nell'AT l'intera storia d'Israele era la storia del giudizio che faceva YHWH del suo popolo a livello collettivo. Era,
possiamo dire, un'anticipazione del giorno del Signore che doveva venire. E questo "giorno" inaugurato con la stessa
Incarnazione, come ha notato Giovanni il Battista: "Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente?
Gi la scure posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco "
(Mt 3,7-10). Quindi, il grande giudizio gi cominciato in qualche modo, e sar definitivamente compiuto alla fine del
mondo (riferendoci a 2 Pt 3,13 gi avevamo visto che il dimorare della giustizia nel mondo collegato con i nuovi cieli
e nuova terra).
E' il Padre che il Giudice di tutti, per questo potere lui ha rimesso al suo Figlio (cf Gv 5,22s), che assiso alla sua
destra. Ed "davanti a Cristo che la Verit" che "sar definitivamente messa a nudo la verit sul rapporto di ogni uomo
con Dio. Il Giudizio finale manifester, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avr compiuto o avr
omesso di compiere durante la sua vita terrena" (CCC 1039).
VI.
I NUOVI CIELI E LA NUOVA TERRA.
Alla fine dei tempi avverr la realizzazione definitiva del disegno di Dio di "ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle
del cielo come quelle della terra" (Ef 1,10). Per poter manifestarsi pienamente in tutto il creato, Dio trasformer il
mondo. Tale trasformazione per l'universo non sar naturale, ma nemmeno contro la natura; sar invece al di sopra della
natura (cf Suppl. S.Th. q.91, a 1 ad 4) per l'onnipotenza di Dio. Tutto il mondo " intimamente unito con l'uomo" (LG
48a), e per questo insieme con l'uomo soggetto al peccato e bisognoso della purificazione. La trasformazione del
cosmo legata alla risurrezione dei corpi e in qualche modo sar preparata dall'uomo che collabora al disegno divino
(perch capace di accogliere i doni di Dio e di restituirli al Signore). Comunque, la stessa trasformazione, secondo S.
Pietro, sar operata dal fuoco purificatore: "i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno" (2 Pt 3,12).
Nel nuovo universo Dio avr la sua dimora in mezzo agli uomini, uniti da Dio in una "Citt santa" (Ap 21,2), e il mondo sar
"restaurato nel suo stato primitivo", per essere, "senza pi nessun ostacolo, al servizio dei giusti, partecipando alla loro
glorificazione in Ges Cristo risorto" (CCC 1047). I cieli nuovi e la terra nuova, quindi, saranno gloriosi proprio perch
parteciperanno alla glorificazione dei giusti. Per questo possiamo concludere che il mondo, in modo analogo ai giusti
risorti, sar un mondo nuovo, cambiato, ma ci sar una continuit con il modo del suo essere precedente. In quel mondo
ritroveremo tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosit, purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati.

117

TEMA 40: LEsito Escatologico


I.

LA VITA ETERNA NELLA GLORIA DI CRISTO: VISIONE BEATIFICA COME CONTEMPLAZIONE


IMMEDIATA ED INTUITIVA DI DIO.

La visione beatifica in Paolo la tensione escatologica fra presente e futuro.


Il testo principale di San Paolo sulla visione si trova in 1 Cor, 13 ...ma al1ora vedremo a faccia a faccia. ..conoscer
perfettamente, come anchio sono conosciuto. Ci sono quattro punti per chiarire:
a) Una forte tensione e contrasto tra ora allora. Cio la conoscenza di Dio secondo la fede e quel1a della visione.
b) La conoscenza di Dio dalla visione diversa, cio non come la nostra visione terrena. Uomo conosce in maniera
quasi divina partecipando alla conoscenza che Dio ha di se stesso e delle creature.
c) Luomo per vedere Dio ha bisogno di essere divinizzato, diventare partecipe della natura divina.
d) La carit accompagna la visione perch la carit non avr mai Fine.
La visione beatifica in S. Giovanni il ruolo di Cristo.
Il testo principale sulla visione beatifica nella prima lettera. Qui si parla sulla nostra fi1iazione divina cio la nostra
appartenenza a Dio (Cfr. 1Gv 3, 1-2). Alcune osservazioni sul testo:
a) La visione resa possibile per lappartenenza a Dio, cio attraverso la nostra fi1iazione divina.
b) Loggetto esatto della visione Dio; anche il soggetto di questo brano Dio. Loggetto della visione pu
essere anche Cristo. La possibilit di prendere Cristo come soggetto compatibile con la prima lettera, perch
si tratta di una visione di Cristo cos comEgli . Egli il Verbo consustanziale al Padre. Questo loggetto
della visione beatifica: Dio padre: Figlio e Spirito Santo.
La dottrina della Chiesa
La Costituzione: Benedictus Deus del Papa Benedetto XII (1336) parla di tre punti:
a) La visione beatifica rende superflua la fede e la speranza;
b) eterna;
c) avviene senza mediazioni, cio direttamente.
Linvisibilit di Dio nella rivelazione.
Nell A.T. Mos chiede a Dio di vedere il suo volto. La risposta era nessun uomo pu vedermi e restare in vita ( Es
33, 19-20).
San Giovanni: Dio nessuno lha mai visto (Gv. 1, 18).
Cosa significa esattamente linvisibilit di Dio? Linvisibilit di Dio denota la sua assoluta alterit o trascendenza
rispetto a noi, 1a sua completa indipendenza dalla creazione che ha fatto. il Figlio che rende visibile il Padre. Senza
un dono soprannaturale (lumen gloriae) luomo non pu vedere mai Dio.
Il Concilio di Vienne (1312) ha dichiarato che la stretta relazione tra Dio e lanima che gode della visione beatifica non
dovuta alla natura ma in virt di un dono speciale infusa da Dio.

II.

LA PERPETUA RETRIBUZIONE DELLUOMO IMPENITENTE

La Dottrina cattolica sullinferno:


E conosciuta sin dallinizio la dottrina sul castigo definitivo e permanente per chi muore in peccato mortale.
Fede e speranza riguardo allinferno: nel Eb 11,1 sindica che la fede il fondamento delle cose che si sperano, e la
prova di quelle che non si vedono. Ora se non sembra ragionevole sperare positivamente nellinferno, intendendo la
speranza come virt teologale, neppure sembra logico credere nellinferno, dal momento che la fede fondamento
delle cose che si sperano. Insomma, sembra che linferno non possa essere oggetto propriamente della fede. Bisogna
chiarire per che il cristiano non crede (n spera) che qualcuno in particolare sia condannato allinferno; tale condanna
non potr essere oggetto della sua fede. Ma certamente crede in un Deus retribuens: un Dio che, pur volendo trarre tutti
gli uomini a se per sempre, ha voluto allo stesso tempo farlo libero, con la possibilit personale concomitante di poter
respingere per sempre il dono della salvezza e della vita eterna. Paradossalmente, la terribile realt dellinferno la
conseguenza e la conferma dellamore di Dio verso luomo; linferno il mistero dellamore offerto e dellamore
respinto.
Linferno nei documenti della Chiesa: si parlato spesso dellesistenza e della natura dellinferno. Il sinodo di
Costantinopoli (543), respinse gli origenisti che affermavano la temporalit dellinferno (apokatastasis, o riconciliazione
universale di tutti gli uomini alla fine dei tempi). Innocenzo III papa, nel concilio Lateranense IV (1215), defin leternit
dellinferno. Anche i concili di Firenze (1439) e di Lione II hanno ripresentato questo insegnamento. Il CV II richiama
anche lattenzione sul tema (LG 48). Paolo VI nella professione di fede afferma lo stesso, cio la condanna a chi fino
allultimo momento si opposto col rifiuto. La CDF (1979) spiega la dottrina con nitidezza: sar privato della visione
di Dio il CCC #1035. Seguendo linsegnamento del Magistero si pu affermare che linferno esiste, partendo, come
118

si sa, dal dato biblico e dalla Tradizione; la suddetta affermazione : -Espressione della fede Cristiana, -Fondata sulle
fonti della rivelazione, - una realt o stato permanente, - la privazione della visione di Dio, -Coinvolge tutto luomo
(anima-corpo).
Il problema della ricompensa dellingiusto:
In tutte le religioni intorno ad Israele c la consapevolezza del bisogno di una retribuzione nellaldil, per chi abbia
fatto del male in questa vita. Questo trova le sue radici nel desiderio dimmortalit e soprattutto nella volont umana di
una giustizia universale e finale. Linferno dunque il risultato della giustizia. perci che i giudei credono che la
giustizia sia nelle mani di Dio; questo fa s che luomo per se stesso sia incapace di stabilire la giustizia definitiva sulla
terra essa appartiene a Dio. Solo Dio giudica e castiga.

III.

MISERICORDIA E GIUSTIZIA DIVINE DI FRONTE AL MISTERO DELLA CONDANNA ETERNA

La condanna del peccatore non indica uningiustizia divina; infatti la Giustizia divina d a ciascuno il suo; Dio d al
peccatore ci che ha cercato, cio lessere solo. La condanna per colpa propria. Se la condanna non contraria alla
giustizia divina, non per, compatibile con la sua misericordia. Unimposizione della Misericordia, incompatibile con
linferno, sarebbe incoerente. Un Dio misericordioso diverso da un Dio inconsapevole, indifferente. Il Dio di Ges
soffre con luomo e nelluomo. Una misericordia che perdona sarebbe disinteresse o incuria, non amore. Cos come tra
gli uomini la tolleranza pu indicare tuttaltro che un amore di un sentito rispetto per la dignit e indipendenza degli
altri, ma piuttosto un disprezzo assoluto per la loro situazione e felicit. In Dio giustizia e Misericordia sidentificano
con la sua natura divina.

IV.

IL RUOLO E SIGNIFICATO DELLA MORTE NELLA VITA UMANA: LA MORTE COME PENA DEL
PECCATO, REDENTA DA CRISTO, E FINE DEL PELLEGRINAGGIO TERRENO; IL GIUDIZIO
PARTICOLARE.

La morte come pena del peccato, redenta da Cristo


La Chiesa non ha mai considerato la morte come qualcosa di buono in se stessa. La morte dunque veramente
sperimentata dalluomo come una pena, una punizione, un male imposto. Il Magistero della Chiesa insegna che la morte
entrata nel mondo a causa del peccato delluomo. Sebbene 1uomo possedesse una natura mortale, Dio lo destinava a
non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entr nel mondo come conseguenza del
peccato. La morte corporea, dalla quale luomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato (Gaudium et spes, 18)
pertanto lultimo nemico delluomo a dover essere vinto. La morte rottura: la separazione delluomo da se stesso,
la separazione anche dagli altri, cio la distruzione delluomo come individuo e come membro della societ. Perci, essa
il compimento perfetto della separazione da Dio; la faccia esteriore del peccato, la manifestazione pi chiara della
caducit di tutti i progetti umani fatti senza Dio.
Luomo stato creato da Dio per limmortalit; la morte, che appare come un tragico salto nel buio, costituisce la
conseguenza del peccato, quasi per una sua logica immanente, ma soprattutto per castigo di Dio. Senza il peccato, la
fine della prova non sarebbe stata cos drammatica. Allora, che cosa vuol dire che Cristo, assumendo la morte, lha
superata e sconfitta? Da una parte, certamente, perch la morte di Cristo seguita dalla sua Risurrezione, pegno e
promessa della vittoria perfetta e definitiva sulla morte che accadr alla fine dei tempi con la risurrezione dai morti. Ma,
daltra parte, questa liberazione comincia veramente qui in terra in un certo senso, perch (l) la morte umana, unita a
quella di Cristo, attinge una forza corredentrice dal tutto speciale, e (2) perch luomo non ha la morte umana non pi
una pena; assunta ed accettata volontariamente come Cristo, diventa occasione, opportunit, di partecipare alla Sua vita,
di redimere con Lui, di essere a Lui unito, con Lui identificato, di essere cristiano.
La morte come fine del pellegrinaggio terreno
La conclusione di tutto quanto abbiamo visto fin dora che la morte fine, punto di arrivo, ma non la fine della vita.
Dio lha costituita inizio della vita eterna e perfetta piuttosto il compimento e tendine del pellegrinaggio terreno.
Appunto: la morte non la fine nel senso di scomparsa dellindividuo ma precisamente la meta o punto finale della
prova voluta da Dio per la persona. Il senso della morte questa: con essa finisce il tempo del cambiamento, e comincia
il tempo immutabile; in altre parole, la morte diventa giudizio definitivo sulla vita delluomo. Questa dottrina viene
ribadito dal rifiuto costante delle dottrine reincarnazionisti, quelle cio che ammettono la possibilit di una nuova vita
umana subito dopo la morte.
Il Giudizio Particolare
La dottrina della Benedictus Deus contiene virtualmente laffermazione dellesistenza di un giudizio personale di
ciascuno subito dopo la morte, normalmente chiamato il giudizio particolare . In effetti, la collocazione immediata di
ciascuno nel Cielo o nellinferno (o nel purgatorio) indica la necessit di un previo giudizio e una sentenza divina
corrispondente. Malgrado la mancanza di dichiarazioni formali, il Magistero ordinario della Chiesa ha accolto e spiegato
spesso questa dottrina. La dottrina sul giudizio particolare viene espressa ad esempio nella Costituzione Lumen Gentium,
includendo il testo di san Paolo ai Corinzi. Disse: Prima infatti di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo
davanti al tribunale di Cristo (Il Cor 5,10), e alla fine del mondo ne usciranno chi ha operato il bene a risurrezione
119

di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna (Gv 5,29). Linterpretazione data dalla Lumen Gentium
al testo di san Paolo sembra questa: il giudizio di cui parla la 2 Cor. viene prima di regnare con Cristo inoltre, questo
momento diverso ed anteriore a quello descritto nella seconda parte del testo: alla fine del mondo collegata
senzaltro alla Parusa e al giudizio universale. E il Catechismo della Chiesa Cattolica menziona in maniera esplicita il
giudizio particolare e spiega: il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva, dellincontro
finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma, anche, a pi riprese, limmediata retribuzione che, dopo la morte,
sar data a Ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede (CCC 1022).

V.

LE CARATTERISTICHE DELLESCATOLOGIA INTERMEDIA.

Lescatologia intermedia quella parte dellescatologia che corrisponde al tempo o spazio assiomatico tra morte
individuale e risurrezione universale. Nellescatologia di senso unico di tipo individuale, era pacificamente accettata
lesistenza di questo tempo o spazio; per forse non considerata come rilevante. Invece, nellescatologia di senso unico
presa al livello collettivo- ad esempio quando si parlava della risurrezione nel momento della morte- lescatologia
intermedia neppure una realt significativa. Non esiste semplicemente un tempo o spazio intermedio tra morte e
risurrezione perch questo sono la stessa cosa. Unescatologia che tenta dassumere congiuntamente entrambi gli aspetti
trova il suo punto di convergenza proprio nellescatologia intermedia. Un documento della congregazione per la dottrina
della Fede Alcune questioni dEscatologia (1979) parla dellescatologia Intermedia. La sua finalit dice il documento
di richiamare linsegnamento che la Chiesa propone a nome di Cristo, specialmente circa quel che avviene tra la
morte del cristiano e la risurrezione finale.
La sopravvivenza dellanima nel documento questioni descatologia (CDF 1979).
Nel numero 3, si trova laffermazione della sopravvivenza e la sussistenza dopo la morte. La Chiesa afferma la
sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, di un elemento spirituale, il quale dotato di coscienza e di volont, in
modo tale che 1io umano sussista, pur mancando nel frattempo del complemento del suo corpo. Per designare tale
elemento, la Chiesa adopera la parola anima, consacrata dalluso della S. Scrittura e della Tradizione. Senza ignorare
che questo termine assume nella Bibbia diversi significati, e che assolutamente indispensabile come strumento verbale
per sostenere la fede dei cristiani.

VI.

IL PURGATORIO: DOTTRINA BIBLICA ED ECCLESIALE

Ci sono parecchi testi nella Scrittura che parlano della vita cristiana come purificazione dei peccati degli uomini.
Nessuno adopera il termine purgatorio. Vediamone due.
2 Mac 12,40-45: E il testo classico, citata dal Concilio Vaticano II e dal Catechismo delle Chiesa Cattolica che
parla dei suffragi offerti per i morti in campo di battaglia. Si dice che Giuda Maccabeo e le sue truppe, dopo la battaglia,
andavano per raccogliere i corpi dei caduti, ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di
Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei. Perci tutti ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse
pienamente perdonato. E chiaro che questi avevano peccato realmente portando con s degli idoli, mostrando cos una
certa sfiducia in Dio. Ma indicata la possibilit di ottenere il perdono e soprattutto lespiazione anche dopo la morte.
I Cor 3, 10-15 laltro testo significativo riguardante il Purgatorio anche menzionato dal Catechismo della Chiesa
Cattolica, questo brano Paolino sembra indicare che luomo che vive cristianamente, ma con delle imperfezioni, pu
salvarsi, ma per mezzo della purificazione. Certo, quanto alla durata, il momento preciso, La natura della pena
purificatrice, il testo non d informazioni precise.
La dottrina sul Purgatorio nel tempo patristico viene sviluppata tramite una riflessione sulla parola di Dio nel contesto
pi ampio della dottrina sulla grazia, sulla giustificazione e sul giudizio. Pi significativa ancora, comunque, risulta la
testimonianza della pratica liturgica della Chiesa, in particolare quella della preghiera a favore dei defunti. Queste
testimonianze rivestono unimportanza e un valore del tutto singolare. Nel documento sullescatologia la Chiesa
esclude ogni forma di pensiero o di espressione, che renderebbe assurdi o inintelligibili la sua preghiera, i suoi riti
funebri, il suo culto dei morti, realt che costituiscono, nella loro sostanza, altrettanti luoghi teologici.

VII.

FINALIT E SIGNIFICATO DELLA PURIFICAZIONE DOPO LA MORTE

La purificazione dopo lesistenza terrena non pu che essere opera damore, da parte di Dio e da parte delluomo. Dio,
per donarsi alluomo in modo totale, rimuove ogni ostacolo per dilatare la capacit di accoglimento delluomo.
La finalit del Purgatorio la perfetta purificazione di tutto ci che rimane del peccato, cio, i peccati veniali,
linclinazione della volont verso il peccato, e la pena temporale dovuta ai peccati gi perdonati. I peccatori che hanno
causato danno e disordine devono restaurare lordine e la giustizia. Disse il Dottore Angelico che la contrizione
certamente cancella i peccati, ma non rimuove tutto il reato di pena per essi dovuti. La giustizia di Dio richiede il
ristabilimento del ordine perturbato per mezzo di una pena a proporzionale. Negare il Purgatorio , quindi, bestemmia
contro la giustizia divina.

120

TEMA 4 1: Natu ra della Teo log ia Mo rale


I.
LA TEOLOGIA MORALE, INTELLIGENZA DELLA VITA CRISTIANA
La morale cristiana si fonda sulla rivelazione dato in Cristo che porto alla perfezione la morale rivelata nel AT. Ges basandosi
sulle conoscenze presente dei principi morali nel suo ambiente (Alleanza dell'AT) e li approfond in autorit propria attraverso
correzioni, interpretazioni e completandogli; per esempi per elenchi di comportamenti concreti che sono compatibili o
incompatibili per poter partecipare al suo regno. Le tratti caratteristiche nuove delle morale cristiane sono:
- L'ingresso al regno non solo per appartenenza ad un popolo ma secondo la fede in Lui e l'adeguata condotta morale
indipendentemente di qualsiasi appartenenza nazionale. Questa condotta morale richiesto da Ges troviamo ben sviluppato
-in sintesi- nel discorso della montagne; l fra altro si trova dei contenuti normativi che si riferiscono:
o al primato dello Spirito
o Alla gratuit dell'amore
o Alla radicalit di una motivazione che porta a rischiare tutto per Cristo
o Alla configurazione della personalit morale dei figli del regno
o Allatteggiamento in vista delle legge e dei profeti
o Ai rapporti col prossimo
o Alle pratiche religiose (elemosina / digiuno / orazione)
o Allimpegno di lotta interiore e di fedelt fino alla fine
- Le novit si capisce anche confrontando i beatitudine al decalogo:
II.

OGGETTO, FINALIT, STATUTO EPISTEMOLOGICO E RAPPORTO CON LA TEOLOGIA DOGMATICA.


a.
Oggetto e finalit della teologia morale
La natura della teologia morale pu essere spiegata e capita solo in riferimento alla vita morale cristiana, evento storico
susseguente allauto-comunicazione di Dio in Cristo che richiede per la libera collaborazione delluomo.
La teologia morale costituisce la comprensione scientifica e lesposizione sistematica di questa vita morale cristiana.
Essa dunque un sapere riflessivo. Pi concretamente, la riflessione scientifica sul Vangelo come dono e
comandamento di vita nuova, sulla vita secondo la verit nella carit (Ef 4,15), sulla vita di santit della Chiesa, nella
quale risplende la verit del bene portato sino alla sua perfezione25.
Diciamo allora che la teologia morale ha come oggetto proprio lintelligenza della vita dei fedeli in Cristo. Il Concilio
Vaticano II afferma che essa deve illustrare scientificamente laltezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro
obbligo di apportare frutto nella carit per la vita del mondo26. Essa intende portare a consapevolezza riflessa questa
vita che nasce dal nostro essere in Cristo per mezzo dello Spirito, verificandola costantemente sul suo principio che la
Rivelazione testimoniata dalla S. Scrittura e dalla Tradizione27.
Inoltre, luomo stato creato per accogliere la verit e porta con s lesigenza di pensare ci che egli e ci che egli fa.
A ci si aggiunge il dinamismo insito nella fede, la quale chiede di essere capita fides quaerens intellectum e anche
comunicata sia ai credenti per una comprensione pi profonda, sia ai non credenti affinch anche loro arrivino alla
conoscenza di Cristo. La riflessione teologica (e dunque la teologia morale) serve quindi al rafforzamento della vita dei
fedeli e contribuisce allo svolgimento dellattivit apostolica della Chiesa.
b.
Lo statuto epistemologico della teologia morale
Si ritiene che la teologia morale deve avere un fondamento cristologico. La vita morale cristiana adesione e comunione
vitale con Cristo, ricerca della pienezza della filiazione divina, e dunque una vita secondo la fede. Detto ci, resta
comunque aperto per lulteriore elaborazione teologica il problema epistemologico di come integrare il momento
razionale (legge morale naturale) allinterno della prospettiva fondativa cristologica, e di come elaborare questultima
affinch costituisca un punto di vista che ispira tutta la trattazione morale. Resta aperto, in definitiva, il problema di
istituire una mediazione adeguata mediante categorie etiche che siano nel contempo ben fondate e coerenti con la
prospettiva cristologica. Cos, possiamo meglio inserire al livello pratico il discorso fondativo cristologico. Inoltre, si
eviterebbe ogni discorso che porta un concetto della teologia morale solamente come unintelligenza teorica che non
riesce a descrivere e a far capire la vita propria, qui e ora, di ogni cristiano in Cristo. Perci, quanti pensano di identificare
puramente la teologia morale con la cristologia sbagliano molto. Neppure accettabile lestremo opposto, cio la
posizione di quanti pensano che la nostra condizione di figli di Dio in Cristo non dica assolutamente nulla sul contenuto
dellagire etico concreto, che sarebbe il campo esclusivo della ragione autonoma. Lintegrazione non raggiunta n dai
sostenitori della sola ragione autonoma n da quanti riducono la teologia morale a cristologia.
Occorre sapere che nella riflessione morale del XX secolo si diffusa la tendenza a concepire la vita morale come un
fatto il fatto morale che la teologia morale dovrebbe spiegare in modo analogo a come le scienze della natura
25

Veritatis splendor, n. 110.


Optatam totius, n. 16.
27
C. Caffarra, Viventi in Cristo, cit., p. 72.
26

121

spiegano i fatti naturali. A questo proposito, la teologia morale si costituirebbe allora come un sapere sulle norme morali
da osservare, cio come una morale dellobbligazione. Sarebbe unetica dellobbligazione, la quale, fra laltro, studia
dallesterno una realt, quale lazione umana, che nasce e acquista la sua moralit nel cuore delluomo.
Noi (Proff. Colom e Luo), riteniamo, invece, che il problema morale, prima che una domanda sulle regole da
osservare, una domanda di pienezza di significato per la vita28. Le categorie analitiche impiegate dalla teologia morale
devono essere congruenti con una visione della vita morale appunto come una vita, come una condotta, che va capita e
valutata primariamente in riferimento al fine verso il quale il soggetto morale conduce se stesso, e solo
conseguentemente in riferimento a una regola. La vita morale cristiana lattivit con la quale il cristiano elabora un
ordine di vita che gli consente di individuare le azioni e i comportamenti che qui e ora realizzano concretamente la vita
in Cristo.
A nostro giudizio (Proff. Colom e Luo) limpostazione etica oggi conosciuta come etica della prima persona o etica
della virt quella che meglio pu svolgere la mediazione richiesta dallo statuto epistemologico della teologia morale.
Siamo daccordo (Proff. Colom e Luo) con Melina quando scrive che la categoria di virt offre il presupposto umano
e razionale per una morale cristocentrica della carit, che permette di superare una morale della pura obbligazione e di
unire la dimensione naturale a quella soprannaturale...29. Le virt praticate e insegnate da Cristo diventano i principi
pratici dellagire morale.
c.
Il rapporto tra teologia morale e teologia dogmatica
Il sapere teologico unitario, perch unitaria la Rivelazione divina, alla luce della quale la teologia studia le verit
teoriche da credere e le verit pratiche che permettono di individuare i comportamenti congruenti con le verit credute.
La comprensione di qualsiasi tematica teologica richiede frequenti richiami a questioni che sono oggetto di altre parti o
trattati teologici. Perci non possibile affrontare lo studio della morale cristiana senza tener presente il suo fondamento
cristologico, ecclesiologico e sacramentale.
Questioni tipicamente dogmatiche come la creazione e la predestinazione in Cristo, il peccato originale e la
concupiscenza, la redenzione, lazione dello Spirito Santo nella Chiesa e nel credente, ecc., sono punti di riferimento
essenziali per il moralista. Non si deve dimenticare che lo studio della teologia morale richiede la professione e la
considerazione di tutta la fede cristiana. Tale soprattutto una conoscenza vissuta di Cristo, una memoria vivente dei
suoi comandamenti, una verit da vivere.

III.

FONTI DELLA TEOLOGIA MORALE: LA RIVELAZIONE DIVINA

(DH 4207; 4333)


Sacra Scrittura e Tradizione La fonte specifica e il fondamento perenne della teologia morale, come di tutta la teologia,
la Rivelazione divina. Il sapere teologico lo sforzo umano di capire e approfondire scientificamente il contenuto
della Rivelazione accolto nella fede. La teologia scienza della fede. Essa ha nella fede i suoi principi contenutistici
propri (fides quae) e la luce (fides qua) che ispira ulteriore approfondimento razionale. La fede anche la meta e la
regola intrinseca della teologia.
La Rivelazione divina trova il suo compimento in Cristo Ges, che ordin agli Apostoli di predicare a tutti il Vangelo,
come la fonte di ogni verit salutare e di ogni regola morale30. Loro e gli uomini della loro cerchia lo fecero sia
oralmente che per iscritto. La Rivelazione viene quindi trasmessa sia attraverso la Sacra Scrittura sia attraverso la Sacra
Tradizione di origine apostolica. Scrittura e Tradizione sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti. La Sacra
Scrittura, scritta per ispirazione divina e consegnata alla Chiesa, va letta e capita come stata letta ed interpretata dalla
Chiesa. Perci, la Sacra Scrittura senza la Tradizione formalmente insufficiente, vale a dire, senza la Tradizione non
sarebbe garantito n il riconoscimento del canone delle Scritture n la loro corretta interpretazione.
Cristo ha promesso lassistenza dello Spirito Santo affinch la Chiesa conservi intatto il deposito della divina
Rivelazione, sia in credendo che in docendo, cio nella fede professata e nella fede insegnata. Lufficio di interpretare
autenticamente e di custodire nel nome di Cristo la parola di Dio stato affidato al solo magistero vivo della Chiesa.
Esso non per al di sopra della parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ci che stato trasmesso31, contando
sempre sullassistenza dello Spirito Santo.

28

Veritatis splendor, n. 7.
L. Melina, Cristo e il dinamismo dellagire, cit., p. 198.
30
Dei Verbum, n. 7.
31
Dei Verbum, n. 10.
29

122

III.

COMPETENZA DEL MAGISTERO IN CAMPO MORALE

La Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione del Concilio Vaticano II, Dei Verbum, esprime in termini generali
quello che stato sempre il sentire della Chiesa: il Vangelo anche la fonte di ogni regola morale; ed tradizionale
(Concilio di Trento e tutti i documenti ecclesiastici sulla materia) luso della formula in rebus fidei et morum, in
materia di fede e di morale, per riferirsi sia al contenuto della Rivelazione sia allambito in cui il magistero della Chiesa
dottrinalmente e autoritativamente competente.
La competenza specifica del magistero in campo morale si spiega fondamentalmente per due ragioni: a) in quanto
custode e interprete della Rivelazione (e quindi del suo contenuto etico), e b) in quanto Cristo invi gli Apostoli e i loro
successori a predicare il suo messaggio di salvezza, e losservanza di tutta la legge morale necessaria in vista della
salvezza32. Sulla base di questa seconda ragione la Chiesa ha affermato la sua competenza anche in materia di legge
morale naturale.
Dopo il Concilio Vaticano II, emergeva un orientamento teologico chiamato morale autonoma, che ha la tendenza a
negare la competenza del magistero della Chiesa sullambito delle norme morali concrete della legge morale naturale e
a rifiutare lappartenenza di tali norme al deposito rivelato e la loro rilevanza per la salvezza. Tale orientamento
arrivarono a sostenere delle posizioni erronee, le quali motivarono lintervento del Pontefice con lenciclica Veritatis
Splendor (nn. 36-37). In breve, il Papa dice che non si pu parlare di una completa sovranit della ragione umana. Essa
sempre dipendente dalla Sapienza divina. Quindi non si pu parlare di una morale solamente umana.

IV.

RUOLO DELLA RAGIONE NATURALE, DELLE SCIENZE FILOSOFICHE E DELLE SCIENZE UMANE

Ragione umana e teologia morale (DH 3016;3019) La teologia proviene dalla fede. Ma la comprensione pi profonda
della fede si raggiunge con lapplicazione della ragione ai contenuti rivelati. Lesercizio ordinato e sistematico della
ragione parte essenziale della teologia. M. J. Scheeben scrisse giustamente che la fides e lintellectus, si completano e
si postulano a vicenda per formare lunit organica di un sapere proveniente da Dio intorno alle verit da Lui rivelate.
Mediante la fides io accetto la parola di Dio; mediante lintellectus io la comprendo: ma soltanto con ambedue
contemporaneamente io mapproprio del sapere di Dio espresso nella parola di Dio e divengo io stesso uno che sa.
Etica filosofica e teologia morale Lesatta conoscenza della naturale condizione morale delluomo, oggetto delletica
filosofica, indispensabile per la teologia morale. Cos Giovanni Paolo II nel Fides et ratio n. 68: il Vangelo e gli
scritti apostolici propongono sia principi generali di condotta cristiana sia insegnamenti e precetti puntuali. Per applicarli
alle circostanze particolare della vita individuale e sociale, il cristiano deve essere in grado di impegnare a fondo la sua
coscienza e la forza del suo ragionamento. La teologia morale deve ricorrere ad una visione filosofica corretta sia della
natura umana e della societ che dei principi generali di una decisione etica. Anche se non il principio ermeneutico
ultimo per lintelligenza della vita cristiana, letica filosofica deve apportare le basi per una comprensione teologica.

Uso delle scienze umane La loro importanza deriva nel permettere di capire meglio le condizioni fattiche in cui si
svolge anche la vita morale cristiana. A loro riguardo va tenuto presente che, poich la morale della Chiesa implica
necessariamente una dimensione normativa, la teologia morale, non pu ridursi a un sapere elaborato solo nel contesto
delle scienze umane33.

32
33

Paolo VI, Enc. Humanae vitae, n. 4.


Veritatis splendor, n. 111.

123

TEMA 42: La Santit come Fine Ultimo della Vita Umana


I.
LA SANTIT NELLINSEGNAMENTO BIBLICO
Antico Testamento
La santit imperniata intorno alla santit di Dio34; anzi, caratteristica propria dellessere divino. La parola ebraica
(qadosh) per santit significa tagliare, separare: Dio santo per la sua separazione e trascendenza. Ma non significa
che sia statica o inimitabile: si manifesta in tutte le sue opere, e le persone devono vivere secondo la santit divina 35.
Inoltre lAT mostra i diversi aspetti della santit: i profeti sottolineano il suo carattere soteriologico in quanto rivela
lamore di Dio e libera gli uomini dai peccati. Nella letteratura sacerdotale, ma non solo in essa, la santit viene messa
in rapporto al culto: santo il tempio, i sacerdoti, il sabato, i giorni di festa; Israele come popolo santo; il Deuteronomio
insiste sullidea di popolo consacrato al Signore. I libri sapienziali invece uniscono la santit alla sapienza come luce
data dal Signore per guidare i santi. La santit delle creature come partecipazione non puramente passiva, ma richiede
lo sforzo umano verso una condotta morale coerente, sebbene Dio a santificarle.
Nuovo Testamento
(DH 4165) Ci sono dei passi che riflettono il concetto di santit dellAT: santo il nome di Dio (Lc 1,49), la sua alleanza
(Lc 1,72), le Scritture e la legge (Rm), ecc. Ma ci che sembra caratteristico del NT che la santit appare legata allo
Spirito Santo che, quale dono dellera messianica, porta il credente ad una partecipazione della santit di Dio finora
impensabile.
II.

SANTIT INIZIALE E SANTIT MORALE

(DH 4166)

Santit iniziale: Cos nellAT la santit era partecipazione della santit del Signore, nel NT Ges, come Santo di Dio,
rende partecipe della sua santit la Chiesa e i cristiani, che sono santificati in Cristo Ges attraverso lidentificazione
con Lui e il lavacro dello Spirito. S. Paolo si riferisce ai fedeli di Corinto come a coloro che sono stati santificati in
Cristo Ges36. Questa accezione della santit, almeno in senso diretto, non ha un significato morale, e viene impiegata
(da S. Paolo) in senso analogo in altre espressioni quali i perfetti, i chiamati, gli eletti o i credenti. Essa mette
in luce piuttosto il dono di iniziale santit ricevuto da coloro che hanno accolto la fede e hanno ricevuto il battesimo.
Guidati dallo Spirito Santo, hanno ricevuto una prima configurazione con Cristo, diventando figli di Dio e partecipe
della natura divina.
Santit morale: La santit morale rappresenta lo sviluppo della santit iniziale, mediante lagire buono ed eccellente,
che mira al suo compimento escatologico (cio, la comunione definitiva con Dio nella vita eterna, e, in ultima analisi,
alla gloria di Dio, fine ultimo assoluto delluomo).
Da un punto di vista materiale, la santit morale cercata e raggiunta attraverso e nella realizzazione delle normali
attivit delluomo: lavoro professionale, vita familiare, attivit sociali e politiche, doveri religiosi, ecc. Da un punto di
vista formale, essa consiste nei principi che ispirano e finalizzano tali attivit soprattutto la carit e nel modo in cui
esse vengono realizzati.
Inoltre, la santit morale un tipo di vita o, se vogliamo, un modo di vivere che ammette per molteplici modalit di
realizzazione pratica. Diversi, almeno parzialmente, sono il modo e i contenuti della santit morale alla quali chiamato
un fedele laico sposato e un altro che celibe, ecc. Ci che comune a tutti consiste in ogni caso nellimitare e seguire
Cristo, configurandosi sempre di pi a Lui, fino ad arrivare alla pienezza della carit, che lessenza della perfezione
cristiana. E seguire Cristo far s che le virt teologali e le virt morali siano rispettivamente lispirazione e i criteri di
regolazione pratica delle attivit nella vita.
III.
LA CHIAMATA UNIVERSALE ALLA SANTIT
(DH 4165; 4166)
La riproposizione di questa dottrina da parte del Concilio Vaticano II (soprattutto in Lumen gentium) stata una vera
novit teologica. La novit consiste nel proporre la santit, con quanto essa implica di eccellenza, come fine pratico e
raggiungibile per tutti i cristiani, anche a tutti coloro la stragrande maggioranza che non sono chiamati da Dio allo
stato sacerdotale n alla vita consacrata. Come ci ricorda S. Josemara Escriv, dice che Dio ci chiama per servirlo nei
compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana. C un qualcosa di santo, di divino, nascosto
nelle situazioni pi comuni, qualcosa che tocca a ognuno scoprire.
Lumen Gentium Esso inizia additando il fondamento ultimo di tale impegno: la santit di Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo che Cristo ha trasmesso alla Chiesa; nella Chiesa quindi tutti sono chiamati alla santit, sia coloro che
34

1Sam 2,2: Non c santo come il Signore.


Lv 19,2: Siate santi, perch io, il Signore, Dio vostro, sono santo.
36
1 Cor 1,2
35

124

appartengono alla gerarchia, come coloro che dalla gerarchia sono diretti, secondo il detto dellApostolo: Questa la
volont di Dio, la vostra santificazione (1 Ts 4,3)37. Il punto successivo sviluppa questa idea, mettendo la santit dei
fedeli in rapporto con Ges, maestro e modello, con lo Spirito Santo, che muove dallinterno ad amare Dio e il prossimo,
con la vita sacramentale (battesimo), le virt e la preghiera.
Poi ricorda che la santit una e la stessa per tutti. Non si possono distinguere diversi gradi di vocazione alla santit,
giacch tale chiamata per tutti un invito alla pienezza cristiana: nelle varie condizioni, occupazioni e circostanze in
cui vivono, anzi proprio per mezzo di esse, tutti i fedeli cristiani saranno sempre pi santificati, se sapranno prendere
tutto con fede dalla mano del Padre celeste e cooperare con la volont divina38.
IV.
LA SEQUELA DI CRISTO COME FONDAMENTO ESSENZIALE E ORIGINALE DELLA SANTIT CRISTIANA
(DH 4115; 4166)
Cristo come via, verit e vita: La vita morale cristiana il cammino verso la casa del Padre, che ha in Cristo il suo
fondamentale punto di riferimento. Cristo lo ha reso possibile e Cristo ne costituisce il fine, la norma e il modello, umano
e divino allo stesso tempo.
Ges la via verso la casa del Padre in quanto mediatore personale della salvezza e in quanto norma di vita. la via
perch la verit, ossia la rivelazione personale del Padre e del suo disegno di amore verso gli uomini. Camminando
e rimanendo nella verit si arriva alla vita, al traguardo finale. In termini paolini, Cristo la nostra sapienza, giustizia,
santificazione e redenzione39: sapienza che insegna a camminare secondo il disegno di Dio; giustizia e santificazione
interiore, ossia liberazione dal peccato mediante la Croce, e quindi anche redenzione.
Si afferma pertanto che la santit cristiana nella sua attuazione terrena consiste nella sequela di Cristo. Ges stesso
che prende liniziativa e chiama a seguirlo... Per questo, seguire Cristo il fondamento essenziale e originale della
morale cristiana... Ma non si tratta qui soltanto di mettersi in ascolto di un insegnamento e di accogliere nellobbedienza
un comandamento. Si tratta, pi radicalmente, di aderire alla persona stessa di Ges, di condividere la sua vita e il suo
destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volont del Padre40.
La sequela di Cristo come vita secondo le virt cristiane fino alla pienezza della carit Seguire Cristo significa
concretamente vivere secondo le virt cristiane, vale a dire, secondo le virt insegnate con le parole e con lesempio da
Cristo, perfectus Deus, perfectus homo. La teologia morale non altro che una spiegazione di questa realt.
Le virt teologali e morali sono allo stesso tempo principi intrinseci posseduti come abiti della vita in Cristo, la sua
norma e in certo senso anche il suo fine (in quanto progredire nelle virt cristiane e identificarsi con Cristo , nella
pratica, la stessa cosa).
Va sottolineato il ruolo centrale della virt della carit. Essa esprime il valore morale della persona e il grado della sua
unione con Cristo. Attraverso le virt teologali e i doni dello Spirito Santo, ma specialmente, attraverso la carit,
raggiungibile in questa vita ununione con Dio che rappresenta il bene pi grande di cui luomo capace in questo
mondo. Anche se lunione consiste essenzialmente nellamore, nella carit, essa d luogo ad una vera contemplazione
di Cristo e di Dio. Per contemplazione non intendiamo qui i fenomeni mistici straordinari, ma limpegno e la capacit
di scoprire Dio in ogni evento grande o piccolo della propria vita.
La carit forma di tutte le altre virt, principio mediato di tutte le opere giuste e come il loro frutto. Perci, la sequela
di Ges non uni-dimensionale, n pu ridursi ad un unico tipo di attivit umana: richiede lattuazione delle diverse
dimensioni umane secondo un ordine virtuoso che dipende anche dalle circostanze e soprattutto dalla vocazione
personale di ciascuno. il rapporto con la personale vocazione allunione con Cristo a determinare il valore profondo e
definitivo dellagire umano. Lunione con Cristo, pur essendo un bene trascendente e destinato a durare eternamente,
viene realizzato o mancato dalla persona nella regolazione morale delle diverse attivit umane e dei diversi beni
personali e sociali.
V.
LIDENTIT UNITARIA DELLA MORALE CRISTIANA COME SEQUELA DI CRISTO
Dobbiamo discutere il problema, molto controverso nella teologia attuale, se il cammino verso la santit cristiana sia in
grado di fondare una morale sufficientemente unitaria. Fra gli studiosi c un accordo universale sul fatto che nel NT
esiste unetica con unidentit e unit specifica rintracciabile nella fondazione teologico-cristologica e nella motivazione
escatologica. Ma le opinioni sono assai pi differenziate sulla possibilit di rintracciare nella S. Scrittura unetica unitaria
e perennemente valida per quanto riguarda i contenuti e le indicazioni sul comportamento personale, interpersonale e
sociale. La cosa che si tiene che noi viviamo in un contesto concreto ben diverso da quello dei cristiani delle prime
37

Lumen gentium, n. 39.


Ibid., n. 41.
39
1 Cor 1, 30.
40
Veritatis splendor n. 19.
38

125

generazioni. Allora, si pone la domanda se la sequela di Cristo comporti una morale concreta universale e immutabile,
valida anche per il nostro tempo.
La conoscenza morale riguarda innanzitutto quale sia il tipo di vita migliore o quale sia il bene della vita umana presa
come un tutto. La vita migliore scaturisce da certi modi di realizzare e ordinare le attivit umane e di usare e gestire i
beni personali e sociali. Questi modi di regolazione sono i principi vitali della ragione pratica umana, le virt, sulla base
delle quali la ragione, in modo spontaneo, capace di individuare i programmi di azione e anche le singole azioni che
realizzano qui e ora il tipo di vita desiderato. Con questo, lidentit unitaria della morale cristiana garantita dal
momento che, nel NT, contenuta sia lindicazione del tipo di vita proprio del cristiano la vita in Cristo che
comprende tutta la vita personale, e non solo unarea di essa; sia la sua finalit escatologica; sia i principi della ragione
pratica cristiana le virt cristiane, teologali e morali , sulla base delle quali essa in grado di individuare il modo
cristiano di vivere in ogni circostanza e in ogni situazione41. Tuttavia, ci che veramente decisivo il fatto che quei
principi (le virt cristiane) sono dati al cristiano con la grazia, in modo che costituiscono come i principi reali e vitali
della conoscenza e comportamento morale.
Riteniamo (Proff. Colom e Luo), in sintesi, la morale cristiana come identificazione con Cristo per mezzo dello Spirito
Santo possiede unidentit unitaria ben precisa. La S. Scrittura contiene sotto forma di insegnamento morale
unillustrazione pi che sufficiente dei principi pratici che il cristiano riceve con la grazia che lo rende figlio di Dio.
Portare alla consapevolezza riflessa e scientifica questi principi vitali il compito della teologia morale. Ma sono le
virt teologali e le virt morali quali principi reali della vita morale cristiana la chiave di volta per arrivare ad una
comprensione teologica della reale identit specifica della vita morale cristiana come sequela di Cristo. La teologia
morale infatti, richiede unattenta riflessione che sappia mettere in evidenza le sue radici nella parola di Dio. Per poter
adempiere a questa sua missione, la teologia morale deve far ricorso a unetica filosofica rivolta alla verit del bene; a
unetica, dunque, n soggettivista n utilitarista42.

41
42

1 Gv 2,6: Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si comportato.
Fides et ratio, n. 98.

126

TEMA 43: Valutazione Morale dellAtto Libero


I.
LA LIBERT NELLANTROPOLOGIA CRISTIANA
Come prima cosa va sottolineato che la libert, sia la libert di scelta (Dt. 30,15.19; Sir. 15, 14-17), sia la liberazione
dalloppressione (Est. 4, 17; Sal. 17, 3.49; Dn. 6,28) vista nellantropologia cristiana, come un dono di Dio, sempre
legato allazione salvifica di colui che la elargisce. Particolarmente nel NT prevalente una prospettiva esistenziale o
storico-salvifica, che vede la libert- fattasi peccatrice- redenta da Cristo e chiamata a collaborare con la grazia per
diventare liberamente volont buona e infine volont santa. Dio ha fatto luomo a sua immagine e somiglianza e prova
di questa sua altissima dignit il valore della sua libert, poich Dio creando luomo libero ha voluto che egli lo
cercasse liberamente e questo implica anche che luomo non voglia aderire a Lui, Sommo Bene. Se luomo accoglie
lazione salvifica di Dio in Cristo allora quando pu essere liberato dal peccato, ma occorre che partecipe a questa
azione, senza pero pensare a una auto-redenzione, che tra laltro sarebbe impossibile (Rm. 1,18-3,20). Luomo solo in
Cristo raggiunge la pienezza della sua libert, pienezza che lo porta ad amare Dio e il prossimo. Colui che stato
liberato da Cristo nello stesso tempo servo di Cristo, sottoposto alla legge di Cristo, che la legge della carit (Gc.
1,25; 2,12).
II.
CONCETTO DI ATTO MORALE
Ci che contraddistingue latto umano-e quindi latto libero- il fatto che esso un atto volontario. Latto volontario
pu essere definito come latto che procede da un principio intrinseco ed accompagnato dalla conoscenza formale del
fine. Latto volontario procede da un principio intrinseco, da una facolt operativa del soggetto che agisce, quale la
volont.
Conoscenza formale del fine significa che il soggetto conosce ci in vista di cui egli compie latto, e lo conosce
espressamente come oggetto del suo agire, valutandone la convenienza, in modo tale che la conoscenza ponderata
delloggetto lorigine e la causa dellagire.
Per ultimo, il termine fine esprime genericamente loggetto proprio degli atti della volont. Nella sua accezione pi
ampia o generica, il fine significa loggetto o termine dellatto della volont, il quale una volta raggiunto e compiuto
completamente dalla volont finisce. Quando si parla del fine (ossia delloggetto) di un atto della volont fuorviante
pensare subito ad una cosa (orologio, penna, vestito, ecc.). Il fine dellatto della volont molte volte unazione
imperata: la volont sceglie lazione comprare un orologio oppure regalare un orologio, e cos queste azioni sono il
fine dellatto della volont.
III.
CARATTERISTICHE DELLA VOLONTARIET
La volontariet (elemento costitutivo essenziale dellatto morale) la tendenza consapevole e deliberata del volere
personale verso il suo fine.
Latto volontario atto deliberato e consapevole perch comprende nella sua intima struttura un giudizio intellettuale
che progetta e valuta come bene lazione o ci che attraverso di essa viene raggiunto o realizzato.
La volontariet attiva, nel senso che nel modo di volgersi verso il fine stato scelto o deciso della persona.
La volontariet sempre autoreferenziale. Essa implica unidentificazione personale con lazione voluta, che non si
d nella conoscenza (nessuno diventa ladro semplicemente perch conosce che c stato un furto). La persona rimane
coinvolta come persona in ogni atto della volont, e per questo ogni determinarsi della volont verso un oggetto sempre
anche autodeterminazione, cio un atto per il quale la persona si autodetermina.
IV.
OGGETTO DIRETTO ED INDIRETTO DELLA VOLONT
Loggetto diretto della volont il bene (reale o apparente) colto dalla ragione. Questo bene pu essere di diversi
tipi. Tra questi, il fine nellaccezione pi rigorosa ci che si presenta come bene desiderabile in se stesso, vale a dire,
ci che interessa in s, e per questo pu essere in se stesso principio dellattuazione della volont. Il fine quindi ci
che visto come bene o appetibile in se stesso e pertanto voluto o realizzato per se stesso. Allinterno di questa
accezione ristretta occorre introdurre ancora unulteriore distinzione di tipo qualitativo:
- Bene onesto: ci che voluto in se stesso perch oggettivamente buono o degno di essere amato.
- Bene piacevole: ci che voluto in se stesso anche perch causa in me una risonanza affettiva positiva.
- Bene finalizzato oppure mezzo: il bene finalizzato considerato formalmente in quanto tale voluto non in se
stesso, ma perch si presenta come ordinato (finalizzato) alla realizzazione o al conseguimento del fine: quindi
voluto in virt di altro, in virt del fine per il cui conseguimento risulta utile.
Loggetto indiretto una conseguenza dellazione (un effetto collaterale dellazione) che non interessa e non in alcun
modo voluto, n come fine n come mezzo, ma previsto o permesso in quanto inevitabilmente legato a ci che si vuole.
Per evitare confusioni, bene saper distinguere loggetto indiretto dalloggetto voluto direttamente come mezzo. Il criterio distintivo
fondamentale il seguente: perch leffetto previsto duna azione possa essere considerato oggetto indiretto della volont, tale
effetto non pu essere voluto come il mezzo (sul piano reale, la causa) che permetta di conseguire o di realizzare ci che realmente
interessa. Ogni effetto che visto e voluto come anello causale tra il soggetto e il suo fine voluto direttamente come mezzo, cio
come bene finalizzato. Leffetto indiretto non voluto, ma permesso, tollerato o sopportato.

127

V.
LE FONTI DELLA MORALIT
La moralit degli atti umani dipende da tre elementi: 1) loggetto scelto (loggetto dellatto della scelta); 2) dal fine
che si prefigge o dallintenzione (loggetto dellatto dellintenzione); 3) dalle circostanze dellazione (CCC nn. 17491761). Loggetto, lintenzione e le circostanze rappresentano le fonti, o elementi costitutivi, della moralit degli
atti umani (CCC n. 1750).
Loggetto scelto d la specie morale dellatto del volere, e pu da solo viziare tutta unazione. Ci sono dei
comportamenti concreti- come la fornicazione- che sempre sbagliato scegliere, perch la loro scelta comporta sempre
un disordine della volont, cio un male morale (CCC 1755). Unintenzione buona non pu rendere n buono n giusto
un comportamento cattivo per il suo oggetto; al contrario, unintenzione cattiva, potrebbe rendere cattivo un atto che, in
s, pu essere buono. Le circostanze, elementi secondari dellatto morale, concorrono ad aggravare oppure a ridurre la
bont o la malizia morale di un atto; possono anche attenuare o aumentare la responsabilit di chi agisce, ma non possono
rendere n buona n giusta unazione cattiva in virt del suo oggetto. In sintesi, latto morale buono suppone la bont
delloggetto, del fine e delle circostanze.
Approfondimento dottrinale dellenciclica Veritatis Splendor (nn. 71-83) su alcuni aspetti di questo argomento. Il nucleo
dottrinale dellazione sullatto morale sta nellaffermazione dellesistenza di atti intrinsecamente cattivi, vale a dire, nel
sostenere che ci sono comportamenti concreti (adulterio, aborto, ecc.) che sono moralmente cattivi, sempre e per s,
ossia per il loro oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze (VS 80).
Dallesistenza di azioni che sono moralmente cattive secondo la loro specie, ossia secondo il loro oggetto, scaturisce
una seconda tesi dottrinalmente rilevante: le norme che proibiscono tali azioni sono valide semper et pro sempre, sempre
e per tutti, senza alcuna eccezione (VS 82).
Il principio generale che sta alla base della dottrina ecclesiale sulle fonti della moralit chiaro e pacificamente accettato:
ogni atto di volont specificato fondamentalmente dalloggetto (dal fine o bene) a cui mira direttamente tale
atto.
VI.
MORALIT DEGLI EFFETTI
La volontariet di unazione comporta, almeno in una certa misura, la volontariet degli effetti che scaturiscono da tale
azione. La domanda che ci si deve porre in questo ambito la seguente: quando si moralmente responsabile delle
conseguenze buone o cattive di unazione o di unomissione? Qui indichiamo 5 principi che aiutano a risolvere i casi
che pi frequentemente si presentano:
- Siamo responsabili delle conseguenze negative delle nostre azioni cattive, anche se queste conseguenze non
erano state previste, pur essendo prevedibili. Le avremmo potuto evitare se avessimo fatto ci che buono o se
non avessimo compiuto lazione cattiva. Chi butta a terra una persona per rubarla, e a conseguenza della caduta
la persona aggredita muore, il ladro responsabile della sua morte, anche se solo intendeva rubare e non
uccidere.
- Le conseguenze buone delle cattive azioni non possono essere ascritte come un merito allagente. Per esempio,
non verr lodato n premiato il ladro che, trovandosi per rubare in un posto dove in teoria non dovrebbe esserci
nessuno, evita collateralmente che un terrorista lasci in quel posto un ordigno esplosivo che poteva causare
molte vittime.
- Non siamo responsabili delle conseguenze negative non prevedibili delle nostre buone azioni. Tali conseguenze
sono semplicemente non intenzionali, sempre che veramente non le potevamo prevedere. Il poliziotto che scopre
un delitto e consegna il delinquente alla giustizia non responsabile se il delinquente, una volta in carcere, si
suicida.
- Non siamo responsabili delle conseguenze negative previste dellomissione di unazione cattiva o vietata. Chi
respinge un tentativo di corruzione da parte di un altro non responsabile di altre azioni illecite che il corruttore
intraprender per ottenere ci che desidera, anche se sono pi immorali.
- Non si colpevole delle conseguenze negative previste delle azione buone, purch si verifichino le condizioni
che diremmo a proposito delle azioni dal duplice effetto.
Lazione dal duplice effetto (volontario indiretto)
Quando risulta lecito realizzare unazione che oltre agli effetti buoni, ne implica qualcuno moralmente cattivo?
Si possono indicare alcune condizioni riassuntive che devono essere ottemperate- tutte quante insieme- perch sia lecito
compiere unazione (oppure ometterla) quando ci provoca un effetto cattivo.
a. Latto realizzato deve essere in se stesso buono, o quanto meno indifferente.
b. Leffetto buono non si deve raggiungere attraverso quello cattivo.
c. La persona deve protendere direttamente alleffetto buono (cio avere unintenzione retta), e accettare
controvoglia e tollerare a malincuore leffetto cattivo.
d. Che esista proporzionalit tra il bene che sintende e il male che si tollera.
128

VII.
LIMPUTABILIT MORALE
Imputare significa attribuire unazione a un uomo. Solo le azioni libere sono moralmente imputabili.
Circostanze attinenti la conoscenza che modificano limputabilit morale.
Da parte della conoscenza formale del fine bisogna considerare lavvertenza (consapevolezza). Lavvertenza latto
mentale per il quale la persona si rende conto di ci che sta per fare o di ci che sta facendo e della moralit della sua
azione.
Tipi di avvertenza:

Per lintensit: avv. piena, parziale o semipiena, inavvertenza.

Per la modalit: avv. (o inavv.) della legge, avv. (o inavv.) del fatto.

Per lattualit: avv. attuale, virtuale.

Per lampiezza: avv. Distinta (o chiara), generica (o confusa).


Principi morale sullavvertenza:
1) Unazione moralmente imputabile se realizzata almeno con avvertenza virtuale.
2) Lavvertenza generica della moralit sufficiente per latto morale.
3) lavvertenza semipiena diminuisce la libert, e per tanto diminuisce limputabilit dellatto.
Circostanze attinenti la volontariet che modificano limputabilit morale.
Il consenso lelemento essenziale della volontariet: il libero volgersi della volont (approvazione, acquiescenza)
verso il bene (reale o apparente) presentato dallintelligenza. Il consenso si riferisce sia allintenzione del fine, sia alla
scelta delle azioni finalizzate (i mezzi).
Tipi di consensi:
- Per il grado di consenso: consenso perfetto e imperfetto.
- Per lattualit del consenso: consenso attuale e virtuale.
Principi morali sul consenso:
1. Per la moralit dellagire sufficiente il consenso imperfetto, che segua ad unavvertenza semipiena,
oppure ad unavvertenza piena, pero con acquiescenza incompleta della volont.
2.

Per il peccato mortale, che ha una malizia e delle conseguenze gravissime, occorre un consenso perfetto;
esso tuttavia, compatibile con una certa riluttanza e con la volontariet mista.

3.

La realt della nostra natura libera implica che, con la normale avvertenza e se non esiste coazione esterna,
si pu dire che il consenso perfetto, quando latto si realizza esternamente.

129

TEMA 4 4: Le Virt Mo rali e i Do ni d ello Spirito San to


I.
LE VIRT NELLA TRADIZIONE TEOLOGICO- MORALE CATTOLICA
Le origini nella filosofia greca. La virt (aret) per i greci, uno dei concetti fondamentali dellantropologia e
delletica- come leccellenza morale delluomo; e in un senso molto ampio pu significare la qualit eccellente delle
cose. Socrate lo impiega ad un senso pi ristretto, solo per riferirsi: leccellenza morale delluomo e nellintesa come un
sapere sul bene, comunicabile attraverso linsegnamento. Platone, seguendo questa linea, sviluppa la classificazione
delle quattro virt: sapienza, fortezza, temperanza, giustizia. E per Aristotele, essa la perfezione abituale e stabile delle
facolt operative umane. Per lui la vita umana secondo le virt la vita buona o felicit.
La Sacra Scrittura. La lingua ebraica non possiede un termine corrispondente al greco aret. Nella versione LXX si
traduce con questo alcune espressioni ebraiche che significano quasi sempre lazione gloriosa di Dio. Ad esempio nel
libro dei Maccabei come fedelt, coraggio, virilit e prudenza di Dio; o nel libro della Sapienza come contrapposta al
vizio, ha un rapporto con limmortalit. Luomo virtuoso per lAntico Testamento chi agisce con la potenza e vigore
dello spirito divino- messia (Isaia).
Nel Nuovo Testamento il vocabolo aret poco usato. In alcuni versetti viene applicato a Dio, o in un altro riferito al
buon comportamento dei cristiani. Ci sono per, numerosi cataloghi sia delle virt, sia dei vizi, che dimostrano qual
(o non ) congruente con la vita cristiana.
In termini generali, la Sacra Scrittura sottolinea che liniziativa dello sforzo diretto verso le virt non parte dalluomo
stesso, bens da Dio: le virt cristiane si collegano esplicitamente allazione dello Spirito Santo. In questo consiste la
radicale differenza rispetto alla concezione greca di virt: essa ha come principio e fine Dio stesso, non una semplice
perfezione umana.
I Padri, i teologi e il Magistero. I Padri vedono nelle virt come la scala per salire dalla terra al cielo e come sono le
disposizioni per raggiungere lidentificazione con il Signore- Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simile a
Dio (S. Gregorio di Nissa). Le virt sono necessarie per raggiungere la mta a cui Dio ci chiama; sono gi una certa
realizzazione della chiamata divina: rendono luomo simile a Cristo. Per la chiesa latina, nel medioevo, importante il
contributo di SantAmbrogio e SantAgostino alla definizione della virt. Secondo Pietro Lombardo: la virt una
buona qualit dellanima per la quale si vive rettamente, che non pu essere usata per il male, e che Dio produce in noi
senza di noi. Il concetto di virt frequentemente utilizzato dal Magistero della Chiesa e dalla catechesi cristiana per
riferirsi sia alla fede, speranza e carit, sia alle qualit etiche, che nel cristiano sono collegate alle prime. Le virt umane
si radicano nelle virt teologali, le quale rendono le facolt delluomo idonee alla partecipazione alla natura divina. S.
Tommaso considera: fede, speranza e carit come virt teologali. E lui ha strutturato la parte morale, nella sua Summa
Theologiae sulla base delle virt teologali e morali. Lui coglie e integra in un contesto teologico loriginalit aristotelica
come etica delle virt.
II.
VIRT INTELLETTUALI E VIRT MORALI
In termini generali la virt pu essere definita come abito operativo buono. Un abito operativo una disposizione stabile
di una facolt umana, per la quale essa resta bene o male strutturata in ordine alle azione che le sono proprie. Quelli abiti
che perfezionano le facolt umana sono le virt e quelli che danneggiano sono i vizi. Le virt perfezionano le potenze
operative- (affinch esse possano realizzare le azioni buone e anche eccellenti con facilit, prontezza con piacere e
naturalezza in diverse circostanze e di fronte a diversi oggetti).
Gli abiti operativi si distingue come: le virt soprannaturali (infuse) - che luomo riceve da Dio come un dono legato
alla grazia; e le virt umane (acquisite) - che sono ottenute attraverso lesercizio e sforzo personale delluomo. Le virt
umane possono essere intellettuali o morali. Dove le virt intellettuali inseriscono alla ragione e la perfezionano sia nel
suo aspetto speculativo sia in quel pratico (danno la capacit di operare il bene, ma non assicurano il retto uso di questa
capacit- in altre parole si pu utilizzarlo per fare il male; tali abiti non compiano pienamente la ragione di virt). Le
virt morali perfezionano la volont e le tendenze; sono la prudenza, fortezza, giustizia, e temperanza; la prudenza,
anche se considerata come virt intellettuale per la facolt, essa inserisce la ragione pratica. E virt morale per il suo
oggetto.).
III.
LA VIRT MORALE COME ABITO DELLA BUANA SCELTA.
La virt morale definita come: un abito elettivo che consiste in un termine medio relativo a noi, e che viene regolato
dalla retta ragione nella forma in cui lo regolerebbe luomo veramente prudente. un abito elettivo- consiste nella
determinazione dellazione da compiere in ordine ad un fine- un abito della buona scelta- che permette di individuare e
di prendere in ogni circostanza le scelte giuste ed eccellenti. In termini pratici, ci significa tre cose:
a) La virt non pu essere concepita come unabitudine o assuefazione. (Non un automatismo- inclinato a
ripetere le stesse azioni, bens in modo sempre elettivo).
130

b) Latto proprio e principale della virt la scelta buona. (Gli atti delle virt intellettuali sono oggetto di scelta,
ma non sono in se stesse delle scelte).
c) Per parlare dazione virtuosa occorre non solo un atto esteriore, ma anche un determinato modo di agire. (Cio
si deve sapere quello che si fa; -Scegliere interiormente lopera, qui e ora buona in quanto tale; -Operare con
fermezza e costanza, senza venire meno di fronte agli ostacoli).
Si pu considerare che la virt morale si adegua alla liberta propria dellagire che essa perfeziona; anzi le virt morali
sono in se stesse principio di operare elettivo.
IV.
IL TERMINE MEDIO DELLA VIRT MORALE
Le virt morali consistono in un termine medio perch il loro atto elettivo deve adeguarsi al dettame della retta regione,
e la misura imposta dalla ragione pu essere sorpassata o non raggiunta dal movimento spontaneo della potenza carente
di virt. Questa essere mediata si riferisce soprattutto alle rispettive virt: fortezza e temperanza- perch il giudizio della
ragione guida le tendenze sensibili, i cui vengono indirizzati verso un punto medio. (Le mediet non sinonimo di
mediocrit; si riferisce soprattutto agli aspetti sensibili: labito elettivo deve adeguarsi alla misura stabilita dalla retta
ragione.) Il medio non identico per ciascuna persona, ma viene stabilito dalla prudenza in ogni singolo caso
guardando alle condizioni di ciascun individuo. Perci si parla di un termine medio in noi che viene regolato dalla
retta ragione nella forma in cui li regolerebbe luomo veramente prudente. Latto della virt viene individuato e imperato
dal giudizio della retta ragione cio, della ragione pratica perfezionata dalla virt morale della prudenza... Le virt
morali hanno un importante aspetto cognitivo, e non sono in modo alcuno una semplice disposizione che aiuta a
compiere ci che viene indirizzato senza di esse. Si propone quindi una buona formazione affettiva sulla conoscenza
morale pratica e cos il soggetto si adeguer sia nella teoria, sia nella pratica. (Poich le virt morali, in quanto primi
principi pratici, possono essere conosciute dalla ragione pratica tramite la sinderesistutti possono conoscere le
esigenze essenziali delle virt; ma tale conoscenza diventa convinzione solamente quando vengono praticate)
V.
IL PERFEZIONAMENTO ABITUALE DELLA SCELTA ATTRAVERSO LE VIRT MORALI.
Le due dimensioni della virt morale. La spiegazione di come le virt morali possono perfezionare abitualmente le
scelte umane: questo perfezionamento abituale richiede:
i)
Lintenzione di un fine retto, e la rimozione degli ostacoli che a tali intenzioni si oppongono. (Comporta
che le tendenze e la volont siano rettamente ordinate in modo stabile).
ii)
La capacit abituale di individuare lazione o le azione quali il fine retto pu essere realizzato qui e ora, e
la neutralizzazione degli elementi che ostacolano lindividuazione della scelta giusta. (sopratutto le passioni
che vengono prima del giudizio pratico della ragione).
iii)
La scelta e realizzazione dellazione indicata dal giudizio prudenziale.
La virt morale desiderio abituale dei fini retti (dimensione intenzionale) e la scelta delle azioni che li realizzano
(dimensione elettiva), perch i fini della virt sono fissi e universali, mentre le azioni concrete necessarie per realizzarli
variano nelle diversi occasioni e circostanze.
Nelle virt morali possiamo distinguere dunque una duplice dimensione:
a) La Dimensione Intenzionale della virt: la prudenza presuppone le virt morale (esso desiderio fermo e stabile
di agire sempre secondo la virt; che san Tommaso afferma che le virt morali sono presupposto necessario della
prudenza) produce unordinazione stabile degli aspetti e delle tendenze che permette di deliberare senza alcun
ostacolo a partire dai fini delle virt.
b) La Dimensione Elettiva della virt: le virt morali presuppongono la prudenza. Dal desiderio stabile dei fini
virtuosi permette alla prudenza deliberare ad individuare lazione che qui e ora realizza il fine virtuoso, in modo
che possa essere scelta e portata a compimento (dimensione elettiva della virt).
La prudenza guida, giudica e impera quale azione realizza meglio la retta intenzione. La ragione ha come principi i fini
virtuosi; essa stessa che determina, con la prudenza, le azioni che si adeguano meglio ai fini virtuosi. La verit raggiunta
dalla prudenza si pu chiamare verit pratica, che consiste nella conformit della ragione allappetito retto, cio al
desiderio del fine virtuoso. Per questo diciamo che la prudenza dipende dalle virt morali. Al giudizio e allimperio
della prudenza segue latto elettivo della virt, la scelta virtuosa adeguata al dettame prudenziale. Di conseguenza, la
virt morale il desiderio dei fini virtuosi e la scelta delle azioni che li realizza, il che dimostra che la dimensione pi
importante quellelettiva.
VI.
LORGANISMO DELLE VIRT MORALI
La differenziazione delle virt. La classificazione tomista delle virt si fonda sulla sua concezione delle facolt
dellanima e anche sulla relazione che diverse passioni e i beni a cui mirano hanno rispetto alla ragione che le deve
regolare. E quindi:
Ragione pratica
Volont
Appetito irascibile
Appetito concupiscibile
Facolt
Bene
Bene arduo
Bene piacevole
Oggetto Verit
Prudenza
Giustizia
Fortezza
Temperanza
Virt

131

Ogni virt comprende un modo specifico di regolare le azioni o le passioni. Di conseguenza, comprende anche un
insieme desigenze omogenee delleccellenza morale in ciascuno degli ambiti o settori che compongono il
comportamento.
La connessione delle virt. la propriet per cui non si pu dare una virt allo stato perfetto senza che si diano le
altre. La sua ragione la partecipazione di tutte alla prudenza e, dal punto di vista cristiano, al loro rapporto con la carit
che forma e radice di tutte le virt (SantAgostino).
La formazione delle virt. Le virt umane (e vizi) si acquistano e aumentano per la ripetizione degli atti (volontaria,
consapevole, atti virtuosi). E diminuiscono e si perdono mediante la realizzazione di atti contrari a quelli della virt, infatti,
la prolungata cessazione di atti virtuosi pu occasionare anche la debilitazione e perfino la perdita della virt.
Formazione della prudenza. Prudenza nello stato perfetto presuppone il possesso di tutte le virt morali, ma questi
possono nascere solo attraverso la guida della prudenza. E quindi mette in problema da dove nasce o come possibile
formare la prudenza.
VII.
I DONI DELLO SPIRITO SANTO E I CARISMI
Esistenza delle virt infuse. Sia la Sacra Scrittura, sia il Magistero della Chiesa concorde nellaffermare che Dio, con
il battesimo, trasforma luomo in modo tale da renderlo suo figlio. Questa elevazione soprannaturale include tutta la
persona, e quindi, anche le sue facolt operative I principi fondamentali immediati della vita soprannaturale che lo
Spirito infonde nelluomo sono le virt teologali o divine: la fede, la speranza e la carit Queste tre virt informano
le virt morali. Secondo la Sacra Scrittura, le virt morali sono un dono di Dio. Molti Padri, il Magistero e la
maggioranza dei teologi affermano che insieme alla grazia si ricevono anche le virt morali infuse.
Lesistenza di virt morali infuse richiesta dal fine soprannaturale a cui luomo viene elevato da Dio, perch le sole
virt teologali non bastano a raggiungerlo. Sono necessarie quelle virt che rendono soprannaturale lagire delluomo
mediante le cose create. Le virt morali infuse vengono date al cristiano con la grazia santificante; si distinguono dalle
corrispondenti virt acquisite non dalla materia che da esse viene regolata (azioni e passioni), ma dal criterio che ispira
la regolazione (il criterio delle virt infuse soprannaturale). Le virt morali infuse rendono luomo capace di prendere
scelte valide rispetto alla vita eterna, ma non danno la facilit di compierle, che la capacit propria delle virt umane,
che corrispondono a un abito acquisito.
I doni dello Spirito Santo. La Rivelazione mostra un altro e pi elevato modo di agire, che si verifica quando Dio stesso
agisce in noi. lo Spirito che viene in aiuto della nostra debolezza (Rm 8, 24.26). Affinch ci avvenga, necessaria
una certa disposizione stabile che renda il cristiano pronto ad accettare la guida e le ispirazioni divine: queste qualit
stabili infuse nellanima da Dio sono i doni dello Spirito Santo. Sono disposizioni permanenti che rendono luomo docile
a seguire le mozioni dello Spirito Santo (CCC n. 1830). Essi sono: la Sapienza: per conoscere e amare con prontezza le
cose divine; lIntelletto: per capire in profondit le verit della fede; la Scienza: per valutare le cose umane nel loro
rapporto al fine ultimo; il Consiglio: per discernere le cose da fare; la Piet: per compiere con solerzia e con animo
filiale ci che si riferisce al rapporto con Dio e, secondariamente, con gli uomini; la Fortezza: per essere pronto a
rigettare le suggestioni negative nei pericoli; e il Timore di Dio: per evitare gli stimoli delle passioni disordinate al fine
di non offendere di pi il Signore.
I carismi. Nel Nuovo Testamento essi sono come svariati doni (diversit di carismi) che lo Spirito Santo distribuisce
come vuole per lutilit comune, e che non tutte le persone ricevono, poich non sono necessari ad ogni cristiano per
sviluppare la propria santit. In un senso ampio, sono grazie e doni che tutti i cristiani ricevono. In un senso pi ristretto,
sono certi doni divini.

132

TEMA 4 5: La Legg e Mo rale


I.

LORIGINARIO DISEGNO SALVIFICO COME LEGGE ETERNA

La considerazione delluniversale disegno salvifico di Dio come legge eterna costituisce la chiave di volta del pensiero
cristiano su tale nozione (sulla legge eterna). Vale a dire: il decreto per il quale Dio in Cristo ci ha scelti prima della
creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carit, predestinandoci a essere suoi figli
adottivi (cfr. Ef 1,4-5), pu e deve essere chiamato legge eterna. Legge perch esso lordinatio o il piano secondo il
quale la Sapienza divina ha creato luniverso e governa con bont eccellente ogni cosa. E` eterna perch si tratta del
mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore delluniverso (Ef 3,9), oppure della multiforme sapienza di
Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Ges nostro Signore (Ef 3,10-11); questa legge eterna cos
come lo la sapienza di Dio, con la quale si identifica.
San Tommaso preciser che la legge eterna non solo il piano della creazione, ma anche il piano che viene attuato dalla
provvidenza di Dio. E cos definisce la legge eterna come la ragione della divina sapienza che muove tutto al fine
dovuto.
La dottrina ecclesiale considera la legge eterna come norma morale suprema, archetipo di ogni bont, di ogni giustizia
e di ogni rettitudine (cfr. Dignitatis humanae n. 3). CCC n. 1951 aggiunge che ogni legge trova nella legge eterna la
sua prima e ultima verit.

II.

LA LEGGE MORALE NATURALE.

La prima e fondamentale partecipazione delluomo alla legge eterna viene chiamata dalla teologia legge morale
naturale. Essa consiste nella luce dellintelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ci che si deve
compiere e ci che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio lha donata nella creazione.
La legge morale naturale la prima e fondamentale partecipazione delluomo alla legge eterna. Prima e fondamentale
in senso logico, giacch essa loriginaria costituzione delluomo come soggetto morale, che rende possibile
lintelligibilit e la ricezione di qualsiasi altra disposizione etico-positiva, tanto divina come umana. Ma allo stesso
tempo la legge morale naturale oggettivamente insufficiente e frammentaria. E` insufficiente per ordinare la
convivenza sociale necessaria per lottenimento del bene umano, e perci deve essere ulteriormente esplicitata e
determinata dalla legge civile, e in pratica anche insufficiente per garantire la realizzazione del bene personale:
sebbene indichi in linea di principio tutte le esigenze del bene umano, non possiede la forza necessaria per evitare
loscuramento della percezione di alcune esigenze etiche, dovuto al disordine introdotto dal peccato nelle facolt
operative umane.
La legge morale naturale nella dottrina cattolica.
a) La legge morale naturale nella Sacra Scrittura.
Il concetto di legge morale naturale chiaramente fondato sulla Sacra Scrittura, anche se in essa non viene esplicitamente
utilizzato come espressione tecnica. Uno dei luoghi classici senzaltro la Lettera ai Romani. Nei primi due capitoli San
Paolo vede un collegamento diretto tra le forme pi perverse dimmoralit e il rifiuto di un Dio che pu essere conosciuto
dalla ragione umana. E` sottinteso che limmoralit dei pagani colpevole, in quanto essi non danno ascolto
allesperienza umana del bene e del male, esperienza che tuttavia comune a tutti gli uomini, anche a coloro che non
conoscono la legge di Mos. (cfr. Rm 2,14-15).
Una prospettiva complementare emerge nella discussione del Signore con i farisei sullindissolubilit del matrimonio.
Ges si richiama al principio, vale a dire, alla verit della Creazione (cfr. Mt 19,4-9). Linteresse di questo passo sta
non tanto nella testimonianza della propria coscienza, che non viene invocata riguardo a unesigenza etica che si era
parzialmente oscurata, quanto nel richiamo al principio, inteso come verit originaria del matrimonio secondo il
disegno creatore di Dio, che la legge morale naturale esprime e partecipa.
b) Concetto di legge morale naturale (secondo il Magistero)
La questione ricevette grande attenzione da parte del Concilio Vaticano II (es. GS nn. 16 e 89; AA n. 7), e del Catechismo
della Chiesa Cattolica (cfr. CCC. nn. 1954-1960) e ultimamente lenciclica Veritatis Splendor lha ripreso con profondit
e rigore critico.
Per il CCC la legge morale naturale esprime il senso morale originale che permette alluomo di discernere, per mezzo
della ragione, quello che sono il bene e il male, la verit e la menzogna (CCC n. 1954). Essa, infatti, non altro che la
luce dellintelligenza donataci da Dio nella creazione in quanto permette di discernere ci che si deve compiere e ci
che si deve evitare. (cfr. CCC nn. 1954-1955)
Secondo la Veritatis Splendor, luomo partecipa attivamente alla legge eterna, diventando capace di provvedere a se
stesso e agli altri. La legge naturale naturalmente presente nella luce della ragione umana e, nel contempo, esiste
unessenziale subordinazione della ragione e della legge umana alla Sapienza di Dio e alla sua legge. La legge naturale
scritta e scolpita nellanimo di tutti e di ciascun uomo. La legge naturale la stessa legge eterna, insita negli esseri
dotati di ragione, che li inclina allatto e al fine che loro convengono; essa la stessa ragione eterna del creatore e
governatore delluniverso (Cfr. VS. n. 44).
133

c) Universalit e immutabilit della legge morale naturale.


Luniversalit e limmutabilit sono due propriet della legge morale naturale ricordate costantemente
dallinsegnamento ecclesiale. La legge morale naturale universale nel senso che i suoi precetti e la sua autorit si
estende a tutti gli uomini. (CCC. n. 1956). La legge morale naturale anche immutabile nel senso che permane inalterata
attraverso i mutamenti della storia. (CCC n. 1958)

III.

I PRINCIPI NATURALI DELLE VIRT MORALI.

a) La ragione naturale e i principi pratici:


San Tommaso ritiene che i fini virtuosi sono conosciuti per natura. La conoscenza naturale dei fini significa che la
ragione pratica ha dei principi naturali, sui quali fondata tutta la sua attivit, giacch nellordine pratico i fini hanno
carattere di principi, vale a dire, di punti di partenza del ragionamento pratico che si conclude con la scelta. Ma quando
si afferma che alcuni beni sono per natura conosciuti come fini, si sta parlando semplicemente della legge morale
naturale. Questa unordinatio rationis naturale verso il bene, come partecipazione della legge eterna. Luomo ha la
percezione di ci che ragionevole per natura, indipendentemente da qualsiasi legge positiva. La legge morale naturale
la legge che la ragione possiede per natura, in virt della quale alcuni fini sono naturalmente conosciuti dalluomo in
quanto tali, vale a dire, come principi dellattivit pratica della ragione.
b) Il primo principio della ragione pratica:
Si tratta di vedere i contenuti della legge che la ragione pratica possiede per natura. La ragione pratica ha un primo e
fondamentale principio, costituito dalla percezione pratica del bene come ci che deve essere fatto e del male come ci
che deve essere evitato; cio bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum(secondo S. Tommaso). Dal
punto di vista gnoseologico si pu aggiungere che il primo principio pratico colto dallabito intellettuale chiamato
sinderesi.
c) I fini virtuosi come principi pratici:
Le virt sono i modi di regolazione razionale delle inclinazioni naturali e dei beni a cui esse tendono. Esiste un senso
naturale delle virt morali (giustizia, temperanza ecc.) che d luogo ai principi pratici che seguono al primo principio
della ragione pratica, e che sono fondamentalmente modi di regolazione razionale in rapporto alle inclinazioni naturali.
I modi virtuosi di regolazione dei fini delle tendenze non sono posseduti dalla ragione come idee innate, ma nei loro
termini generali sono facilmente conosciuti, grazie alla naturale attitudine costituita dalla sinderesi. Insomma, il bene e
il male morale solo possono essere determinati, in ultima analisi, in riferimento alle virt. Bene morale significa
conformit alla virt; male morale, contrariet ad essa.
d) Primo principio della ragione pratica e primo principio della legge morale naturale.
Il primo principio della legge morale naturale, nel senso del pi importante e del massimamente architettonico
lamore di Dio e del prossimo. Le virt esprimono allora i modi in cui deve essere regolata la tendenza e la realizzazione
dei beni umani affinch siano congruenti con una volont intenta alla perfezione in Dio per s e per ogni persona umana.

IV.

PRECETTI DELLA LEGGE MORALE NATURALE.

Questo solo possibile quando si passa dal piano dellesercizio diretto della ragione pratica al piano dellesercizio
riflesso della stessa ragione. Cio, quando si passa alla riflessione sistematica sullattivit pratica della ragione umana,
riflessione che appartiene alla scienza morale. E` a questo livello di riflessione che la scienza morale stabilisce enunciati
normativi, vale a dire, proposizioni in termini di si deve o non si deve che esprimono i contenuti dei principi della
ragione pratica o dei giudizi su tali principi fondati.
Sulla scia di San Tommaso, stata stabilita una distinzione tra diverse categorie di precetti della legge morale
naturale, a seconda della loro evidenza o della loro vicinanza o lontananza dai principi evidenti.
i)
I precetti primi e comuni: questi sono quelli che godono della massima evidenza per tutti e riguardano diversi
ambiti dellagire.
ii)
I precetti secondari vicini ai primi: Si riferiscono gi ad ambiti specifici dellagire, e possono essere conosciuti
a partire dai primi con ragionamenti semplici, alla portata di tutti; a questo gruppo appartengono i precetti del
decalogo.
iii)
I precetti secondari che possono essere derivati dai precedenti solo attraverso ragionamenti pi o meno difficili
o complicati: sono accessibili solo ai sapienti, cio ai cultori della scienza morale; secondo San Tommaso essi
sono trasmessi da Dio al popolo mediante linsegnamento dei saggi.

V.

LA LEGGE MORALE DELLANTICO TESTAMENTO

Nella teologia biblica vetero-testamentaria generalmente accettata la distinzione tra: unetica della legge, unetica
dei profeti ed unetica sapienziale.
a) Letica della Legge:
Nel Pentateuco abituale distinguere tra precetti morali, cultuali e giudiziali. Secondo la tradizione teologica le norme
cultuali e giudiziali sono da considerarsi abrogate dopo lavvento di Cristo. Ci occuperemo dunque soltanto delle norme
morali. I precetti morali contengono prescrizioni sul comportamento da osservare con il prossimo, sul comportamento
134

sessuale, e il decalogo. Letica della torah ha un carattere religioso-teologico. Listruzione morale divina vissuta
come dono e grazia, segno della vicinanza e della cura di Dio verso il popolo. La legge ha anche un accentuato carattere
sociale. E` innanzitutto la legge data al popolo di Israele.
b) Letica dei Profeti:
I profeti sottolineano energicamente listanza etica la quale non soddisfatta dai soli atti cultuali. La loro intuizione
fondamentale che listanza etica lesigenza primaria del vero Dio. In questa prospettiva si riscontra nei profeti una
forte insistenza sui doveri sociali.
c) Letica Sapienziale:
Caratteristiche generali.
- Il contenuto etico-razionale.
- Letica sapienziale contiene i consigli dei saggi dIsraele.
- Nei libri del Siracide e della Sapienza il valore fondamentale rappresentato dalla Sapienza. La Sapienza la
Sapienza divina; si arriva alla Sapienza attraverso lascolto degli antichi maestri.
- Il linguaggio tipicamente normativo quasi assente. Vengono invece comunicati esperienze, intuizioni, massime,
consigli, argomentazioni razionali.
- prestata una grande attenzione alle forme virtuose e viziose della vita umana,agli atteggiamenti, ai modi di sentire
e valutare etc.
- Linsegnamento morale viene anche trasmesso attraverso lesempio dei grandi protagonisti e attraverso i principali
eventi della storia dIsraele.
- Tutto si svolge sulla base della fede in Dio Creatore, che ha ordinato tutti gli aspetti dellesistenza.

VI.

LA LEGGE DI CRISTO COME LEX GRATIAE E PIENEZZA DELLA LEGGE MORALE

La Veritatis Splendor (citando San Tommaso) dice che la Legge Nuova la grazia dello Spirito Santo donata mediante
la fede in Cristo. I precetti esterni, di cui pure il Vangelo parla, dispongono a questa grazia o ne dispiegano gli effetti
nella vita. Si distinguono pertanto due elementi nella legge di Cristo:
a) La grazia dello Spirito Santo che sana luomo intero ed eleva le sue facolt operative mediante le virt teologali e
le virt morali infuse (questa il primo e principale elemento). La legge nuova veramente la lex gratiae, perch
la grazia dello Spirito Santo non semplicemente un aiuto per osservare la legge, ma il costitutivo essenziale
della legge stessa, che si manifesta mediante la fede operante nella carit. Per questa ragione la legge nuova
fondamentalmente una legge interna, e non una legge scritta, perch lo Spirito Santo istruisce interiormente i fedeli.
b) I precetti esterni: la legge nuova anche una legge scritta; come tale costituita dagli insegnamenti del Signore e
della catechesi morale degli Apostoli, che possono essere riassunti nel duplice comandamento dellAMORE.
Questi insegnamenti riguardano le cose che dispongono allacquisizione o recupero della grazia, e gli atteggiamenti
e le opere attraverso le quali la grazia si esprime e cresce; san Tommaso parla sinteticamente dei sacramenti e delle
virt.
La Legge nuova come pienezza della legge morale
La legge nuova la pienezza quaggi della legge divina, naturale e rivelata. Essa porta a compimento sia la legge
morale naturale sia la legge morale dellAT. Riguardo a questultimo, la legge nuova ne svela le virtualit nascoste e
ne fa scaturire nuove esigenze. La legge nuova, infatti, arriva a formare la radice delle azioni, il cuore, laddove luomo
sceglie tra il puro e limpuro, dove si sviluppano la fede, la speranza e la carit e, con queste, le altre virt. Cos il
Vangelo porta la legge alla sua pienezza mediante limitazione della perfezione del Padre celeste, il perdono dei nemici
e la preghiera per i persecutori, sullesempio della magnanimit divina.
Con la legge nuova il libero ed eterno decreto di Dio per il quale siamo stati scelti in Cristo per essere figli di suoi
arriva a compimento, e con laiuto della grazia si rende possibile la virt perfetta.

135

TEMA 4 6: La Coscien za Morale


I.
LA COSCIENZA NELLA SACRA SCRITTURA E NEL RECENTE MAGISTERO ECCLESIASTICO.
Sacra Scrittura.
Antico Testamento:
LAT non usa alcun termine specifico per indicare ci che noi chiamiamo coscienza. Nella versione greca dei LXX la
parola synedesis compare soltanto in tre passi tardivi (cfr. Qo 10,20; Sap17,10; Sir. 42,18). Ci non significa che sia
assente il contenuto, cio la voce del giudice divino che loda il buon comportamento e rimprovera quello cattivo. Il pi
delle volte viene usato il termine ebraico leb (cuore), cfr. 2Sam 24,10.
Dunque, nellAT (ma anche nel Nuovo) la coscienza morale sempre coscienza di fronte a Dio. Luomo sta al
cospetto di Dio, che santo, e in questa luce acquista la consapevolezza di aver agito rettamente e bene, oppure
scorrettamente e male; questa un nota caratteristica della nozione biblica di coscienza.
Nuovo Testamento:
Neppure i Vangeli usano un termine specifico per indicare la coscienza morale. A tale fenomeno si fa riferimento
specialmente con i vocaboli cuore (karda) e spirito (pnuma).
E` con il corpus Paulinum che il termine coscienza(synedesis) fa il suo ingresso nella dottrina cristiana. La coscienza
sempre invocata da San Paolo come testimone (cfr. Rom9,1; 2Cor 1,12;2 Cor4,2). San Paolo pure si appella alla
capacit di giudizio che c in lui e nei suoi interlocutori, perch presente in ogni uomo. Essa testimone affidabile,
ma ad essa non spetta lultima parola (cfr. 1Cor4,3-4). La coscienza, come istanza umana, viene in certo senso
ridimensionata da san Paolo: lultima istanza il giudizio di Dio. Riconosce anche luniversalit della coscienza. La
synedesis appare come unistanza immanente alluomo, che porta alla coscienza il comportamento delluomo con
giudizio positivo o negativo. San Paolo mette in luce anche i delicati rapporti tra scienza, la coscienza e la carit. Se la
scienza viene a mancare, la coscienza giudica in modo erroneo. Si ricorda, inoltre, che la coscienza del cristiano giudica
anche alla luce della fede; e che la carit vuole evitare lo scandalo persino di coloro che hanno una coscienza debole.
Nelle lettere Pastorali la coscienza esprime la presa di posizione delluomo nei confronti di Dio, che pu essere positivo
o negativo. La coscienza pu essere retta oppure erronea, e perci non possibile identificare sempre e assolutamente
la voce della coscienza con la voce di Dio.
Insegnamenti recenti del magistero ecclesiastico
I pi importanti insegnamenti del magistero recente sulla coscienza morale sono contenuti in GS n. 16, nel CCC nn.
1776-1802 e nellenciclica Veritatis Splendor nn. 54-64. Ci soffermeremo su questultima, che contiene unesposizione
sostanziale della dottrina ecclesiale sulla coscienza morale.
Problemi attuali intorno alla coscienza: Entro una giusta rivendicazione dellinteriorit dellistanza morale, si
inseriscono tendenze che, contrapponendo o separando tra loro la libert umana e la legge di Dio, arrivano a proporre
uninterpretazione creativa della coscienza morale, che si allontana dalla posizione della tradizione della Chiesa e del
suo Magistero. Linterpretazione creativa della coscienza ritiene che sarebbe possibile compiere praticamente, con
buona coscienza, ci che qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale.
Natura della Coscienza Morale: Tre sono le note caratteristiche presentate dallenciclica:
i)
La coscienza un giudizio pratico, ossia un giudizio che intima che cosa luomo deve fare o non fare,
oppure che valuta un atto da lui ormai compiuto.
ii)
La coscienza formula lobbligo morale alla luce della legge naturale: lobbligo di fare ci che luomo,
mediante latto della sua coscienza, conosce come un bene che gli assegnato qui e ora.
iii)
La coscienza morale infine la norma prossima della moralit personale, in modo che se si agisce contro di
essa si commette un male morale.
La coscienza erronea e la formazione della coscienza:
La Veritatis Splendor avverte che la coscienza non un giudice infallibile, pu errare. Lerrore della coscienza pu
essere il frutto di unignoranza invincibile, e allora la coscienza non perde la sua dignit. Compromette invece la sua
dignit quando essa colpevolmente erronea. Da qui scaturisce la necessit dellimpegno per formare bene la propria
coscienza. Per farlo indispensabile, ma non sufficiente, la conoscenza della legge di Dio: occorre anche la connaturalit
del soggetto con il bene; essa si radica e si sviluppa negli atteggiamenti virtuosi delluomo stesso: la prudenza e le altre
virt cardinali, e prima ancora le virt teologali. Un ulteriore aiuto per la formazione della coscienza proviene dalla
Chiesa, dalla sua vita e soprattutto dal suo magistero, che si pone sempre al servizio della coscienza.

136

II.
STUDIO TEOLOGICO SISTEMATICO DEI PROBLEMI DEL GIUDIZIO MORALE.
Il giudizio di coscienza un atto di discernimento estremamente complesso, nel quale diversi elementi, quali il sapere
morale, la conoscenza dellazione e della situazione, il senso dellobbligazione morale, le componenti affettive della
scelta, devono rapportarsi adeguatamente tra loro in ordine al raggiungimento della verit morale. Adesso analizziamo
questi elementi e la loro interazione reciproca.
a) Coscienza e Scienza morale.
La coscienza giudica sulla base di un sapere morale preesistente. Ci significa che essa presuppone non solo labito dei
primi principi morali (sinderesi), e quindi la conoscenza naturale irriflessa dei criteri virtuosi per la regolazione delle
azioni e dei beni umani, ma anche la loro formulazione riflessa sotto la forma di precetti o norme. Viene pertanto in
qualche modo presupposto lhabitus della scienza morale.
Le norme morali sono uno dei principali mezzi per comunicare e ricevere il sapere morale riflesso. Le norme, quindi,
non sono solo un comandamento o un divieto, ma sono anche istruzione, insegnamento: mediante formule pi o meno
semplici trasmettono la conoscenza delle principali esigenze delle virt personali e sociali.
b) Coscienza morale, norme di comportamento, eccezioni.
Lapplicazione delle norme di comportamento da parte della coscienza morale personale deve tenere conto della
distinzione tra norme legali e norme morali. Entrambe hanno portata morale, ma il loro rapporto con lazione e la
modalit della loro obbligatoriet completamente diversa.
Chiamiamo norme legali quelle regole di comportamento che sono costitutive della liceit o illiceit morale- o almeno
giuridica- delle azioni in ordine alla promozione o tutela di un bene o di uno stato di cose vantaggioso. La necessit di
salvaguardare importanti beni personali e sociali giustifica una normativa, secondo cui diventano buone o cattive azioni
che non possiedono un intrinseco valore morale. Tale norme obbligano in coscienza, ma sono norme che in termini
generali lasciano aperta la possibilit di eccezioni o correzioni secondo la epicheia, sempre che ci si trovi in situazioni
concrete nelle quali losservanza della norma non pi necessaria o addirittura sarebbe nociva.
Le norme morali sono, invece, enunciati normativi il cui fondamento ontologico la positivit o negativit etica
intrinseca allazione che comandata o vietata. Possono servire come esempi le norme che vietano ladulterio, laborto,
lo stupro ecc. In senso rigoroso, in rapporto a queste norme non sono possibili eccezioni n epicheia, perch il bene o il
male non sta nellosservare la norma in ordine a tutelare un valore o uno stato di cose; il bene o il male sta nellazione
stessa, che nella sua intrinseca volontariet un atto di virt o un atto ad essa opposto.
Occorre ancora distinguere tra le norme morali positive, ossia norme che comandano di fare qualcosa, e le norme
morali negative, ossia norme che vietano di fare qualcosa. Si afferma che le norme negative obbligano semper et pro
semper, in ogni possibile circostanza o situazione. Le norme positive, invece, obbligano semper sed non pro semper.
c) Coscienza morale e Situazioni.
Il giudizio di coscienza richiede anche la retta comprensione e valutazione della situazione. Ma questo non implica
affatto il relativizzare la validit assoluta delle norme morali negative e la conseguente negazione dellesistenza di
azioni intrinsecamente cattive.
Va inoltre notato che ogni esigenza morale potenzialmente universale, ci significa che tale esigenza incombe a
qualsiasi persona che si trova in quella concreta situazione.
d) La Virt dellEpicheia:
Per epicheia si intende lesigenza che la legge non va osservata letteralmente se la sua osservanza d luogo ad un
comportamento in qualche modo contrario alla giustizia o al bene comune. Diventa allora doveroso, dove il legislatore
umano ha trascurato qualche circostanza e non ha colto nel segno, per avere parlato in generale, dirigere lapplicazione
della legge, e considerare prescritto ci che il legislatore stesso direbbe se fosse presente e che avrebbe incluso nella
legge se avesse potuto conoscere il caso in questione.
e) Coscienza e Obbligazione.
Per la teologia lobbligazione morale contiene un riferimento alla chiamata alla santit. La coscienza morale la sede
privilegiata dove il carattere teonomo dellobbligazione morale viene avvertito in modo chiaro e riflesso. La regola
morale delle virt doverosa in quanto ha per fine normativo Dio Bene perfetto; essa anche obbligante, in quanto
regola che in noi, ma proveniente da Dio: mediante essa Dio ci notifica lordine morale doveroso, e con ci vincola,
obbliga la nostra volont verso Dio. Nel pensiero cristiano questa consapevolezza che la regola morale anche legge
obbligante che proviene da Dio prende il nome di coscienza morale.

137

III.
CLASSIFICAZIONE DEGLI STATI DELLA COSCIENZA.
Si possono classificare le diverse modalit che il giudizio di coscienza pu presentare, considerando tre criteri.
Secondo
Pu essere
Coscienza antecedente quella che giudica latto che si sta per realizzare,
La sua
comandandolo, permettendolo, vietandolo ecc.
relazione allazione giudicata
Coscienza conseguente, invece, quella che approva o disapprova unazione
gi realizzata.

La sua
conformit con la verit

Coscienza retta o vera quella che giudica con verit la qualit morale di un
atto.
Coscienza erronea quella che non raggiunge la verit sulla qualit morale
dellazione stimando come buona unazione che in realt cattiva o vice versa.
Questa pu essere:
- Vincibile
- Invincibile
Coscienza certa quella che giudica con sicurezza se un atto buono o cattivo.

Il grado di sicurezza
con cui si emette il giudizio

Coscienza probabile quella in cui il giudizio non sicuro fino al punto di


escludere la possibilit opposta.
Coscienza dubbiosa quella in cui non si sa quale perte prendere, e perci non
si riesce a emettere un giudizio.

IV.
PRINCIPI PER SEGUIRE LA COSCIENZA.
a. Solo la coscienza certa regola morale.
b. Oltre che certa, la coscienza deve essere vera o invincibilmente erronea per essere regola di moralit.
c. La coscienza vincibilmente erronea non norma morale.
d. Non lecito agire con una coscienza probabile.
V.
COSCIENZA E SANTIT.
La coscienza occupa un ruolo importante nella vita morale e nel cammino dellidentificazione con Cristo. Essa il
nucleo pi profondo e basilare della persona; il suo cuore, il sacrario intimo dove luomo ascolta la voce di Dio.

La coscienza anche norma soggettiva ultima sul bene e il male. Mediante la coscienza, luomo si trova in
grado di conoscere in ogni concreta situazione ci che facilita la sua vita in Cristo e ci che la contraria; sicch
seguire la voce della coscienza il cammino sicuro per accrescere la santit: la santit morale si sviluppa
quando il giudizio di scelta coincide col giudizio di coscienza, e il peccato altro non che il disaccordo tra
questi due giudizi.

138

TEMA 4 7: Il Peccato e la Conv ersion e


I.

INSEGNAMENTI BIBLICI

Antico Testamento. Lidea del peccato comprensibile a partire del libero e gratuito disegno salvifico di Dio. Luomo
stato costituito inizialmente in uno stato di giustizia e amicizia divina, dal quale i nostri progenitori si sono auto-esclusi
tramite il primo peccato (Gn 3,1-13). Con la caduta, il peccato si alza nel cuore delluomo come una potenza dilagante e
distruttrice. Ci nonostante, il Signore mostra la sua misericordia e lascia la possibilit di riconciliazione. Il Signore non
rinunci al suo disegno salvifico e scelse il popolo dIsraele per attuarlo. Il peccato nel contesto dellalleanza non tanto
lopposizione a una norma, ma allo stesso Dio (Os 8,1-2)- un rifiuto quindi dellamore offerto dal suo Creatore. Con i
profeti, esso visto come uninfedelt allamore divino, e considerato anche una rottura con il popolo.
Vangeli sinottici. Ges e il suo messaggio sono punto di riferimento della nuova Alleanza. Egli evidenzia che il peccato
comporta lallontanamento da Dio e la voglia di trovare la propria felicit altrove, il che difatti conduce alla pi
abbietta sventura (es. figlio prodigo: Lc 15,11-32). E che egli libera luomo dal peccato (Mt 1,21); da parte delluomo,
per, gli si chiede un atteggiamento penitente e non dauto-perdono.
Corpus Paulinum. Gli scritti paolini sono permeati dalla dottrina del peccato, inserita nella prospettiva di Cristo
redentore. Caratteristico di san Paolo luso del termine peccato: hamartia, al singolare, come potere personificato che
opera nelluomo e per mezzo di lui. Questo ha una portata universale, ma anche personale, che scaturisce dalla
disobbedienza dAdamo (Rm 5,12). Ges per distruggere il dominio del peccato e liberare gli uomini dalla sua legge,
ha vinto il peccato sulla croce, affinch si adempisse in noi la giustizia. La vittoria di Cristo sul peccato viene applicata
alle persone attraverso il battesimo. Mediante il battesimo e la fede, luomo morto al peccato e ha una nuova vita in
Cristo, diventa una nuova creatura (Rm 6,3-7). La perenne minaccia del peccato e la necessit di un continuo impegno
ascetico: la nuova creatura non pienamente libera dal fomes peccati, e fintantoch si trova nel mondo pu allontanarsi
nuovamente da Dio. Alla luce dellopera redentrice, il peccato rappresenta la non- accoglienza di Cristo, la non- fede.
Per Paolo il peccato la non accoglienza o lallontanamento dal Dio misericordioso che in Cristo ci venuto e ci viene
incontro.
Scritti giovannei. Giovanni usa anche il termine hamartia al singolare. Esiste un peccato per antonomasia: il rifiuto di
accogliere Cristo come luce, come verit (1Gv, 5), unincredulit- che si presenta come il peccato di cui lo Spirito
convincer il mondo. In 1 Gv esso viene visto come opposizione allamore. Questa lettera mostra una tensione da essere
generato da Dio quindi liberi dal peccato, e la possibilit e la realt del compimento del peccato (che porta alla morteriferendosi allapostasia e allidolatria), che se viene riconosciuto sar rimesso da Cristo.
La rivelazione sul peccato non si limita a mostrarne la realt e la malizia, ma al contempo evidenzia la sovrabbondante
misericordia del Signore. Il peccato una realt che deve essere vinta, perch gi Cristo la vinse sulla croce. La
remissione dei peccati si realizza attraverso la conversione che comporta la resipiscenza (riconoscimento del male
commesso accompagnato dal pentimento) verificata nella fede, nella lotta verso il peccato, nellamore verso il prossimo
e nel ricondurre a Dio tutto il creato.

II.

DOTTRINA ECCLESIALE SUL PECCATO

I Padri. Il sacramento della penitenza testimonia la conoscenza che la Chiesa ha sempre avuto del peccato come
inimicizia con Dio e rottura con la comunit ecclesiale. I Padri Apostolici ripropongono gli insegnamenti biblici,
sottolineando le due vie: il bene e il male, e il peccato come il sommo male. Gli Apologisti insistono sulla peculiarit
religiosa del peccato di fronte al paganesimo che lo concepiva come semplice azione esterna meritevole di castigo;
rilevano il carattere personale libero del peccato, anche se collegato con il peccato originale (in contrasto con gli
gnostici). SantAgostino elabora un corpo, approfondendo gli insegnamenti biblici e la prassi della chiesa. Egli mostra
la psicologia della colpa distinguendo tra suggestione, dilettazione e consenso; e afferma che il peccato proviene dalla
libera volont disordinata quando priva del bene e della rettitudine morale dovuta. Sviluppa anche questa dottrina
come aversio a Deo e conversio ad creaturas.
Il Concilio di Trento. La dottrina sul peccato secondo i Protestanti: come opposizione a Dio per il desiderio di piena
autonomia, in altre parole il peccato nasce dalla mancanza di fiducia in Dio e si riflette nella superbia. Non risulta chiara
per la distinzione tra peccato originale e i singoli peccati attuali: il primo sarebbe la corruzione della natura che perverte
tutte le persone, senza possibilit di essere superata.
La depravazione naturale si rende concreta negli atti delle persone come singoli peccati. Con questo luomo
nascerebbe e rimarrebbe peccatore, non peccatore perch pecca, ma pecca per la sua condizione naturale di
peccatore. La persona con fede fiduciale allora, simul peccator et iustus. Il Concilio di Trento tratta il peccato originale
(sessione V), la dottrina della giustificazione, la distinzione tra peccato mortale e veniale (sessione VI), e la necessit di
confessare tutti e ognuno dei peccati mortali (sessione XIV). La dottrina del concilio sul peccato non soltanto la
139

mancanza di fede, ma ogni peccato mortale priva dalla grazia di Cristo. Differenzia tra peccati mortali e veniali, e
insegna che il peccato non distrugge totalmente la libert umana.
Il Concilio Vaticano II. Viene trattata sistematicamente la dottrina sul peccato nella Gaudium et Spes nn. 13 e 37. Che
nella Rivelazione divina ed esperienza umana attestano la realt del peccato e linclinazione delluomo a peccare- GS
13. Di fronte alla secolarizzazione del concetto di peccato, il Concilio afferma che esso si erge sempre contro Dio, e da
questa opposizione, scaturiscono gli altri suoi effetti: contro linterpretazione evoluzionistica-, il peccato come autolesione (GS 13, 15-17); contro lindividualismo etico-, la dimensione sociale del peccato (GS 25, 40, 58, 78; LG 11).
Con il realismo imperniato dalla Rivelazione, il Concilio tratta il peccato- con quella fede realizzata da Cristo (GS 13;
22b)- suscita la necessit di una lotta incessante contro il peccato (GS 37).
Altri documenti del magistero. Esortazione Apostolica Reconciliatio et pnitentia sincentra su tre punti: la
conversione, il peccato e la pastorale della riconciliazione. Spiega che luomo deve riconoscere il proprio peccato,
valutandolo con gli occhi della fede le sue conseguenze. Si parla di peccato come atto della persona, ma anche come
sociale- in tre sensi: ogni peccato si ripercuote su tutta la compagine ecclesiale e sullintera umanit; ci sono alcuni
peccati pi direttamente contro il prossimo e che per questo costituiscono anche unoffesa a Dio; e in senso analogo si
pu parlare di peccato sociale, tenendo presente che sono sempre il frutto e la concentrazione di molti peccati personali.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica tratta il tema del peccato sempre in rapporto con la misericordia di Dio, alla
redenzione realizzata da Cristo e alla santificazione operata dallo Spirito Santo. Il peccato viene studiato da diverse
angolature: il peccato originale (nn.385-421); la fede in Ges, nostro Redentore (nn.422-682); la fede nel perdono dei
peccati (nn.976-987); il sacramento del battesimo (nn.1213-1284) e della penitenza (nn.1422-1498); il peccato come
ostacolo alla vocazione delluomo (nn.1846-1876); i dieci comandamenti (nn.2083-2557); e le tre ultime domande del
Padre nostro (nn.2838-2854).
Lenciclica Veritatis splendor ricorda che solo il Vangelo pu svelare lintera verit sul peccato: il peccato unoffesa
a Dio che oscura la coscienza umana. I peccati si possono evitare con la grazia del Signore, ma necessario riconoscersi
peccatore e chiedere laiuto divino.

III.

NATURA E DIVISIONE

Definizione. Il peccato un atto, una parola o un desiderio contrario alla legge eterna (S. Agostino). Questo ci
mostra due aspetti dellazione peccaminosa: un atto umano e per questo libero, realizzato con la sufficiente avvertenza
e consentimento; ed inoltre un atto umano contrario alla legge di Dio. peccato qualsiasi atto umano opposto alla
regola morale: alla retta ragione, alla legge umana, civile o ecclesiastica. Il peccato quindi (in definizione cristiana)
latto contrario alle virt etiche (naturali o soprannaturali), che rompe la comunione delluomo con Dio in Cristo e,
conseguentemente, impedisce di arrivare alla pienezza definitiva della filiazione divina.
Aversio a Deo e conversio ad creaturas. (Ger 2, 13) Il peccato ha due elementi: uno formale: aversio a Deo
(separazione, distacco e non propriamente avversione a Dio, odio) e un altro quasi materiale: conversio ad creaturas.
Generalmente il punto di partenza psicologico dellazione peccaminosa non lopposizione a Dio. Tuttavia, dal punto
di vista teologico, la sua radice si trova nel dubitare di Dio nel non conoscerlo come Signore, amore e bene assoluto.
Alla base dogni peccato si scopre lamor proprio e la sfiducia verso Dio, per cui luomo cerca la propria soddisfazione
nelluso disordinato dei beni terreni.
Unico vero male in senso assoluto. Ogni male la privazione di un bene, di per s non consiste in qualcosa di positivo.
I mali di carattere non morale (cio fisico: per esempio malattia, povert) sono privazione di beni finiti. Per il male di
carattere morale (cio i peccati mortali) priva luomo dal bene infinito, che inoltre il bene completo e definitivo
dellessere umano. In questo senso si afferma che il peccato lunico male in senso assoluto.

IV.

PECCATO MORTALE E VENIALE

Quando si impiega il termine peccato in riferimento al mortale e veniale, bisogna notare che esso viene usato in senso
analogo. Laversio a Deo si trova pienamente nel peccato mortale, dove uno si stacca volontariamente dal bene
superiore. La vita divina si perde nel peccato mortale, perch si perde la grazia santificante, la carit- scegliendo invece
la morte (Gc 1,15 produce la morte). Il peccato veniale, piuttosto, debilita la vita divina, rendendo anche difficile
lattuazione delle virt infuse. Si commette un peccato veniale quando trattandosi di materia leggera, quando si
disobbedisce alla legge morale in materia grave, ma senza piena consapevolezza e senza totale consenso (CCC1862).
Si d il peccato veniale in due modi: per imperfezione dellatto o per lievit della materia. La gravit della materia si
conosce tramite la retta ragione e per la rivelazione. La ragione di peccato si trova pienamente solo nel peccato mortale
e in modo imperfetto, in quello veniale. Le condizioni, infatti, per il peccato grave sono: matteria grave, avvertenza
piena e perfetto consenso.

140

V.

IL PECCATO SOCIALE E IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILIT COLLETTIVA

La Rivelazione insegna lesistenza di un peccato del mondo e di una certa responsabilit sociale dei peccati. Si pu
parlare di peccato sociale in un triplice senso: ogni peccato riguarda tutta la societ; ci sono peccati che colpiscono pi
direttamente la vita sociale; ed esistono situazioni collettive che inducono al peccato (Reconciliatio et paenitentia, n.
16). La moralit dipende per dalla consapevolezza e dalla libera volizione di ogni persona. In senso rigoroso, quindi,
la responsabilit morale alla fin fine si riconduce sempre alla responsabilit individuale di uno o pi soggetti. Tuttavia,
il riconoscimento del carattere personale della responsabilit, non dovrebbe renderci insensibili di fronte alla
dimensione culturale e sociale dalcuni fenomeni morali.

VI.

CAUSA ED EFFETTI DEL PECCATO

Causa remota e prossima. Nelluomo possibile distinguere una causa remota e una causa prossima del peccato. La
causa remota la defettibilit naturale delluomo e la concupiscenza susseguente al peccato; mentre la causa prossima
la malizia della volont. La prima non spiega ogni singolo peccato, sebbene possa spigare la presenza del peccato
generale. La radice del peccato nel cuore delluomo, nella sua libera volont (CCC 1853); questa causa la libera
volont disordinata. Non si pu affermare in ultima analisi che il peccato provenga dalla fragilit delluomo. La libert
non la debolezza delluomo, bens la sua forza.
I peccati e vizi capitali. Sono gli abiti e gli atti che per loro caratteristiche agiscono come sorgente e principio direttivo
daltri peccati. Essi sono: la vanagloria, lavarizia, la lussuria, la gola, laccidia (e pigrizia), linvidia, e lira (CCC 1866).
La tentazione. listigazione al male morale mascherato di bene per ingannare la volont. Le tentazioni, affrontate
con spirito soprannaturale, aiutano a crescere in grazia, in virt e in merito. I tipi di tentazione sono: il mondo pervertito
dal peccato, il demonio chi il tentatore, e la carne che inclinazione interione al male. Bisogna tener conto che: essi
non possono essere vinti con le sole nostre forze; si pu sempre vincerle con la grazia di Dio; occorre reagire con
prontezza di fronte ad esse; sentirle non peccato; non per consentito mettersi volontariamente in esse.
Occasione di peccato sono quelle circostanze esteriori, non cercate direttamente per poter peccare, ma che si presentano
pi o meno volontariamente e suppongono un pericolo di offendere Dio.
Effetti del peccato. Il primo effetto del peccato mortale lesclusione dellamicizia divina- aversio a Deo. Con il
peccato mortale, luomo, creato per vivere in comunione con Dio, contraddice anche la sua pi profonda verit e il suo
vero bene. Esso influisce negativamente sulle svariate dimensioni umane: teocentrica, personale, sociale e materiale. Il
peccato del singolo non danneggia soltanto il peccatore, ma ha anche delle conseguenze nella comunit ecclesiale e
civile (Eb 12, 15).

VII.

LA MISERICORDIA DI DIO E LA CONVERSIONE

La misericordia di Dio. La misericordia uno degli attributi di Dio che pi si ricordano nella Sacra Scrittura. Il
dinamismo della conversione e della penitenza stato meravigliosamente descritto da Ges nella parabola detta del
figlio prodigo il cui centro il padre misericordioso (Lc 15,11) CCC 1439. Tuttavia al cristiano gli chiede un
atteggiamento penitente: riconoscere il proprio peccato- anzi, riconoscersi peccatore (Reconciliatio et paenitentia 13).
Questo atteggiamento si chiama metnoia. Non solo un atteggiamento proprio dellinizio della vita cristiana ma deve
essere permanente lungo tutta lesistenza per potersi cos convertire ogni volta di pi al Signore. La riconciliazione con
Dio possibile soltanto in Cristo e mediante Cristo (Ad Gentes 9). Riconciliazione che si concretizza attraverso la
Chiesa, sacramento universale di salvezza (LG 9/48; GS 48). Ma la morale cristiana non pu che essere una morale
sacramentale: la prima grazia si riceve sempre attraverso un sacramento, il battesimo. La via ordinaria per la remissione
dei peccati commessi dopo il Battesimo il Sacramento di Penitenza.

VIII. CONVERSIONE, VITA MORALE E IMPEGNO ASCETICO


La conversione comporta un radicale riorientamento di tutta la vita: ritorno a Dio con tutto il cuore, richiede il desiderio
e la risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia di Dio e la fiducia nellaiuto della sua grazia (CCC
1431). La manifestazione morale della santit ontologica ricevuta nel battesimo come un passaggio dai vizi alle virt
non immediato. Una lunga strada va percorsa: lotta contro il peccato, educazione e formazione della coscienza e facolt
umane, interiorizzazione degli enunciati normativi della legge morale come prima fase della vita cristiana, crescita nelle
virt umane e infuse (cristiane e doni dello Spirito Santo), e costante ricorso ai mezzi di santificazione. Tutto questo non
facile, ma non impossibile: non da dimenticare che Dio ha vinto il peccato.

141

TEMA 4 8: Le Virt Teologali


I.

INSEGNAMENTI BIBLICI SULLA FEDE, LA SPERANZA E LA CARIT


Fede
Le affermazioni della rivelazione sulla fede cominciano nellAT e raggiungono il loro punto culminante nel NT. Le
concezioni neotestamentarie sono comprensibili solo sullo sfondo dellAT. Tanto nellAT, quanto nel NT fede non
significa anzitutto quel che viene creduto (fides quae), quasi un sistema di verit rivelate, bens la risposta delluomo
allauto-partecipazione di Dio, la sua donazione al Dio che si rivela (fides qua auditur). La fede veterotestamentaria non
conosce ancora la pienezza della rivelazione in Cristo, bens lazione salvifica di Dio verso il popolo eletto. Per questo
anzitutto diretta alla storia di questo popolo.
Elementi biblici principali:
La fede la risposta delluomo allautorivelazione di Dio, che nel NT ha raggiunto il suo culmine nella parola ed
opera di Cristo. Nel tempo postpasquale essa basata sulla predicazione e sulla testimonianza a riguardo di Ges.
La Chiesa primitiva fu presa dallannuncio evangelico da non riflettere sul fatto e sul come arrivino alla fede e alla
salvezza gli uomini che senza loro colpa non vengono mai raggiunti da questo messaggio.
Affinch luomo possa credere, Dio non solo gli si rivela, ma lo spinge pure interiormente alla fede. Non elimina la
sua libera decisione, ma la rende possibile.
La decisione di fede non puro assenso intellettuale allautorivelazione di Dio. Luomo chiamato a decidersi con
tutto il suo essere per Lui nella fede o contro di lui nella non credenza.
Attraverso la decisione della fede, luomo perviene alla salvezza (visto chiaramente in Paolo).
Nel tempo postpasquale Cristo viene a occupare il centro della fede nella sua qualit di Figlio di Dio incarnato e di
Signore risorto e glorificato.
Speranza
Sia nellAT che nel NT luomo uno che guarda pieno di speranza verso il futuro.
Egli attende da Dio la salvezza che supera le possibilit umane, si oppone a visioni puramente realizzabili col solo
sforzo umano (torre di Babele).
La speranza si basa sulle azioni salvifiche compiute da Dio in passato e al presente e i beni salvifici sperati portano
a compimento quelli gi concessi.
Loggetto della speranza ha uno sviluppo storico (dalla terra passa alla comunione con Dio).
La Sacra Scrittura lontana da un restringimento individualistico della speranza (Chiesa spera).
Il motivo della speranza Dio, la sua volont salvifica e lopera salvifica da Lui attuata.
Paolo accenna la tensione tra la certezza della speranza garantita da Dio e linsicurezza della salvezza che deriva
dalla libert umana.
Carit
Lamore delluomo per Dio una risposta e precisamente la risposta autentica e piena allamore preveniente e
immeritato di Dio per luomo, che si rivelato e comunicato al mondo, nellAT in rapporto dellalleanza e nel NT in
Cristo. Dio dona alluomo anche la forza necessaria per riamarlo: lamore frutto dello SS (Gal 5,22). Esso, anzitutto
in qualit di amore per Dio con tutto il cuore, con tutta lanima e con tutte le forze, e poi anche in qualit di amore del
prossimo, deve permanere tutto luomo e determinare la sua vita e in particolare i suoi rapporti interumani.
II.
LA FEDE, FONDAMENTO DELLA VITA CRISTIANA.
Nella vita morale cristiana, la fede rappresenta latto fondamentale e decisivo. anzitutto nella fede che luomo si
orienta al Dio che si rivela. Tale movimento sta alla base di ogni altro orientamento verso di lui. Il fatto che Dio si
manifesta alluomo non soltanto esternamente attraverso le cose da lui create, ma lo renda partecipe della sua scienza e
della sua conoscenza intra-divina, comunicandogli la vita divina trinitaria e lazione salvifica delle tre persone divine,
pura grazia, dono soprannaturale, a cui luomo non ha alcun diritto e che da solo non pu capire. Dio non soltanto si
rivela alluomo, ma anche illumina la sua conoscenza e muove la sua volont, con cui egli risponde nella fede (sia per
linizio della fede, che per i suoi atti successivi). La fede poi ordinata alla visione beatifica. Tale divinizzazione inizia
appunto con la fede stessa.
La fede non la pura fiducia, non consiste nella convinzione soggettiva sicura che Dio mi dona in Cristo il suo amore
misericordioso di salvezza (DS 1533s, 1562). Una fiducia senza conoscenza sarebbe cieca ed impossibile. La fede
proprio come conoscenza mette in rapporto levento della rivelazione come realt, ma pure sbagliato considerare la
fede solo come conoscenza, molto di pi della mera presa di conoscenza di dati oggettivi. La fede come il s
fondamentale ed onnicomprensivo al Dio della salvezza sorregge tutto ledificio della morale cristiana.
Ulteriore approfondimento: cooperazione delluomo nella fede, cooperazione nellinizio della fede e durante il suo
sviluppo vedere Chiamata e risposta Gnthr pag. 107-124 (Biblioteca: M 2)

142

III. OBBLIGO DI CONSERVARE, PROFESSARE E DIFFONDERE LA FEDE.


Fede esplicita. tenuto a credere espressamente nella rivelazione di Dio in Cristo colui a cui il messaggio del vangelo
stato testimoniato in misura sufficiente dallesterno e che con la grazia lha riconosciuto come rivelazione divina.
Fede implicita. Qua si pone il problema di un mondo ateo, agnostico, secolarizzato che rende difficile la via che porta
alla conoscenza di Dio. In questo contesto si parla di una fede implicita di Dio, un desiderio dellincondizionato e
dellassoluto, della giustizia e bene incondizionati. Tale aspirazioni si manifestano nella coscienza. Qui luomo anche
senza saperlo sta davanti a Dio. Quando egli segue la chiamata dellincondizionato, allora crede implicitamente.
Che la verit rivelata e la grazia destinata a tutti i popoli chiaramente espresso nel NT e ad esso viene aggiunto
lespressione di Paolo di dover ricapitolare tutte le cose in Cristo. Tutto ladoperare di Cristo nel mondo stato per
ricondurci al Padre, per questo la sua missione viene continuata dallopera della Chiesa con la sua missione insita di
conservare la rivelazione, professare la fede e diffonderla affinch Cristo diventi tutto in tutti. (Cfr. Mausbach Teologia
morale vol. I; 1953 pg. 92ss. biblioteca: M 5).
IV.
LE OPERE DELLA FEDE
Ogni cristiano chiamato a vivere la fede. Per vivere bene la fede necessario evitare i pericoli che la minacciano. La
convivenza con i non-credenti pu essere un tale pericolo, per anche si pu trasformare in unoccasione di rafforzare
la propria fede. Perch essa venga vissuta bene, si deve stare attenti, ad esempio nello scegliere la scuola, i libri, gli
spettacoli, i programmi televisivi, ecc. La fede deve essere armonizzata nella vita pratica, cio manifestata negli atti
concreti della vita quotidiana. assoluta necessit lavere fede nella salvezza. Tutto lagire morale deve essere
conseguenza della fede.
La fede opera attraverso la carit, ad esempio nella soddisfazione delle legittime esigenze della persona umana, nella
giustizia comunicativa, nella distribuzione dei beni spirituali o materiali, oppure nella regolazione delluso dei beni
terreni secondo le esigenze del vero sviluppo delluomo. In pratica la fede trova il fondamento in Dio come fine ultimo
e Padre di tutti gli uomini. Lamore il modo migliore di manifestare la fede in Dio, e dunque in Ges Cristo, come si
pu vedere ad esempio:
Gv 13, 34-35: "Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato, cos amatevi anche
voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete i miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri."
S. Paolo nella lettera ai Galati afferma che la fede viva "opera per mezzo della carit".
S. Giacomo nella sua lettera tratta: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che
quella fede pu salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi
dice loro andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Cos
anche la fede se non ha le opere morta in se stessa" (Gc 2, 14-17).
V.
SPERANZA E CONDIZIONE PEREGRINANTE DELLUOMO.
Lo sperare fa parte delluomo, dal momento che egli si sperimenta come essere storico, come uno che orientato e
predisposto a svilupparsi e a realizzarsi in maniera sempre pi grande nel futuro. Quando luomo nella mancanza di
speranza si chiude allimpulso fiducioso verso il futuro, intristisce. Non pu restare senza speranza se non vuole fallire
il suo essere-uomo. La speranza cristiana non rappresenta unintrusione violenta nelluomo, sebbene una novit.
La virt della speranza possibile soltanto come dono di Dio e come libera decisione nelluomo pervenuto alluso della
ragione. La speranza soprannaturale ha il suo fondamento e il suo motivo in Dio. Mentre la speranza come passione
orientata ai beni naturali, mondani; la virt della speranza orientata alleterna comunione di grazia con Dio nella
visione beata. Per analogia della fede implicita, esiste anche una speranza implicita. La speranza ha come oggetto
primario il Dio Trino; e come oggetto secondario tutto ci che conduce alla piena comunione con Dio (gli aiuti
soprannaturali- la grazia, perdono; naturali- vita sufficientemente lunga per poter tendere a questo fine). Non esiste un
restringimento individualistico delloggetto della speranza, il singolo non sta da solo davanti a Dio; la salvezza non
solo per i singoli come tali, ma come membri della comunit. I membri devono raggiungere la meta come Chiesa, come
popolo pellegrinante.
Il fondamento della speranza Dio, nelle sue promesse divine di salvezza, nella volont salvifica, sulla realizzazione
donata in Cristo e portata avanti dallo SS. Tra i principali motivi secondari della speranza si trova la Chiesa, sua
predicazione, i sacramenti, la grazia abituale, lintercessione dei santi ed anche lattivit meritoria sorretta dalla grazia
di Dio nei santi.
Ulteriore approfondimento: la certezza della speranza e insicurezza della salvezza definitiva; necessit della speranza
(Gnthr pg. 179-237).

143

VI.
IL PRIMATO DELLA CARIT.
Secondo la Sacra Scrittura, lamore verso Dio e verso il prossimo costituisce il nucleo della vita morale. Secondo la
predicazione sinottica di Ges tutta la legge e i profeti dipendono dal comandamento dellamore di Dio e del prossimo;
in tutto si tratta in fondo della caritas. Un amore puramente umano magari occupa nella vita e nel pensiero di un uomo
una posizione di preminenza assoluta, ci per non dice ancora nulla circa la qualit morale di tale amore e del suo
primato; dal punto di vista morale pu risultare addirittura imperfetto. Invece lamore soprannaturale verso Dio detiene
il primato non solo perch nella sua qualit di donazione totale e di apprezzamento di Dio sopra tutto determina luomo
in tutta la sua vita, ma anche perch rappresenta oggettivamente la pi alta di tutte le virt; pi alta perch un amore
rivolto alloggetto pi alto, Dio, che possiede tutti i valori nella maniera pi perfetta. In tal modo lamore di Dio si
colloca non solo al disopra delle virt morali (giustizia, temperanza), bens anche al di sopra della fede e della
speranza. Solo essa infatti si indirizza a Dio in tutta la pienezza della sua realt divina e puramente per amore di Lui. La
caritas agisce come causa efficiens in quanto comanda e provoca gli atti delle altre virt, e come causa finalis in
quanto indirizza ogni azione buona al proprio scopo che quello di donarsi a Dio.
VII.
LA CARIT, FORMA DELLE VIRT.
"La carit la forma di tutte le altre virt", questo si pu capire in tre aspetti:
a)
In quanto impera e ordina gli atti di tutte le virt e li porta, forte e soavemente verso i loro atti pi perfetti. In
questo senso, scrive san Paolo, "La carit paziente, benigna ... tutto crede, tutto spera, e tutto sopporta." (1
Cor 13:4.7).
b)
Tutte le virt devono tendere verso quello che l'oggetto proprio della carit, l'unione con Dio (STh, De
Caritate).
c)
Soltanto grazie all'influsso della carit sia attuale, sia virtuale, gli atti delle altre virt sono meritori. San
Tommaso insegna che sufficiente l'influsso virtuale della carit per rendere meritorio qualunque atto delle
altre virt. Parlando del merito, dice, "Il merito della vita eterna appartiene in primo luogo alla carit,
appartiene alle altre virt in quanto i loro atti sono imperati della carit," (STh, I-II, q. 144, a. 4).
VIII. ESISTENZA, ESTENSIONE ED ORDINE DEL PRECETTO DELLA CARIT.
Il fatto che esiste un comandamento dellamore di Dio potrebbe sembrare una contraddizione in termini. Un amore
comandato non sarebbe un amore storto e quindi non pi amore reale? Lamore di Dio (e del prossimo) anzitutto un
dono di grazia e solo dopo un comandamento. Dio si manifesta alluomo nella creazione e nella rivelazione
soprannaturale e lo invita allamore. Gli dona la capacit e la grazia per compiere gli atti corrispondenti. Il
comandamento dellamore di Dio significa che luomo deve aprirsi allautotestimonianza e allautopartecipazione di
Dio e non deve lasciare inoperose le forze dellamore donategli, bens utilizzarle e svilupparle. Luomo tenuto a
ricambiare lamore di Dio e non semplicemente amarlo. Questo comandamento ci che decide della salvezza
delluomo. La necessit dellamore attuale di Dio quella dellunica via per raggiungere lo scopo indispensabile per
attingere la meta suprema della propria esistenza. Chi ama il padre o madre pi di Lui non ne degno (Mt 10,37). La
misura dellamore quella di non avere misura, non esiste un amare troppo, sempre perfezionabile dalle creature.
IX.
PECCATI CONTRO LE VIRT TEOLOGALI.
Peccati contro la fede:
La non credenza (infidelitas, la non credenza davanti al Vangelo espressamente predicato di coloro che hanno
riconosciuto il carattere vincolante della rivelazione). Lapostasia (un battezzato che rinnega completamente la fede
cristiana tanto nel proprio intimo quanto in maniera esternamente riconoscibile). Leresia (andare contro linsegnamento
della Chiesa- materiale se luomo agisce secondo coscienza e formale se agisce contro la propria coscienza). Il dubbio
di fede (sospendere il proprio assenso ad un contenuto di fede). La superstizione (peccato contro il vero culto di Dio).
Peccati contro la speranza:
La disperazione (luomo con il suo comportamento pratico non pu raggiungere la salvezza), la presunzione (colui che
sopravvaluta le sue forze e confida pi in se che in Dio, il moralismo- autoredenzionismo; oppure un quietismo che
trascura della necessaria ascesi cristiana). La noia o disgusto di Dio (un sentimento di nausea di fronte ai beni della
salvezza spirituale, spesso causate da un non voler rinunciare alla sua presunta libert).
Peccati contro la carit verso Dio:
L'indifferenza incurante della carit divina o rifiuta di prenderla in considerazione; ne misconosce l'iniziativa e ne
nega la forza; l'ingratitudine tralascia o rifiuta di riconoscere la carit divina e di ricambiare a Dio amore per amore. La
tiepidezza una esitazione o una negligenza nel rispondere all'amore divino. L'accidia o pigrizia spirituale giunge a
rifiutare la gioia che viene da Dio e a provare repulsione per il bene divino. L'odio di Dio nasce dall'orgoglio, si oppone
all'amore di Dio, del quale nega la bont e che ardisce maledire.
Peccati contro lamore del prossimo:
Ogni peccato contro Dio, ma specificamente: il non praticare l'elemosina ed il non fare la correzione fraterna. Poi,
l'odio, l'ira, l'invidia, la vendetta ed il litigio; lo scandalo e la cooperazione al male.
144

TEMA 49: La Virt della Giustizia


I.
LA GIUSTIZIA NELLA SACRA SCRITTURA E NELLA TRADIZIONE MORALE CATTOLICA.
Anche se la carit non assente nellAntico Testamento, la virt sociale per eccellenza dellantica Legge la giustizia.
Cominciando dal Decalogo43 e dal Codice dellAlleanza44, lAntico Testamento pieno di precetti che regolano i
rapporti di equit tra le persone. Nel Codice dellAlleanza ci sono insegnamenti sui servi ebrei45, sugli omicidi e lesioni
corporali46, sui danni e depositi47, sui processi48, ecc. Lingiustizia profana il tempio, mentre la giustizia lo fa trono di
Jahv49. Il digiuno vano se si vuole renderlo compatibile con loppressione. Nella Bibbia Dio il Giusto per eccellenza,
in quanto stabilisce unAlleanza salvifica con il suo popolo a cui indefettibilmente fedele50. Questa giustizia si
manifesta sia nel castigare le persone o le nazioni empie51, sia nel liberare loppresso52.
Lamore di Dio e del prossimo portato al pi completo radicalismo, fino ad amare i nemici e a porgere laltra guancia53,
reso possibile dalla piena donazione di Cristo54. questa la nuova energia motrice che irrompe nella societ e che
comporta quella giustizia superiore in cui compresa tutta la legge 55. Si deve concludere che lenfasi del Nuovo
Testamento sulla carit, comandamento supremo e vincolo della perfezione, presuppone la giustizia e contiene la pi
ferma condanna dellingiustizia.
Nei Padri della Chiesa ritroviamo in forma non sistematica molte delle questioni trovate nel N & AT. Lattanzio (250325) offre la prima trattazione sistematica sulla giustizia. SantAmbrogio, partendo dal concetto classico, mette in
rapporto la giustizia con la piet, la carit e la misericordia56. Per SantAgostino la virt della giustizia coincide con la
regola doro: Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te (Tob 4, 16). Un grande apporto alla giustizia diede S.
Tommaso, la cui dottrina vedremo nella parte sistematica. Gli ultimi due secoli hanno aperto nuovi e importanti campi
alla teologia della giustizia influita dalla: rivoluzione industriale, laffermarsi di regimi politici atei e dittatoriali,
positivismo giuridico ecc.
II.
ESSENZA E FORME DELLA GIUSTIZIA: OGGETTO, TIPOLOGIA E VIRT COLLEGATE.
San Tommaso accoglie la definizione della virt della giustizia dei giuristi romani, che noi gi conosciamo: la volont
costante e perenne di dare a ciascuno il suo oppure: la giustizia labito mediante il quale si d a ciascuno il suo con
volere costante e perenne57. Oggetto della virt della giustizia quindi dare a ciascuno il suo diritto, dare o rispettare
ci che suo e gli dovuto: la vita, la libert, i beni di cui legittimo proprietario, la fama, ecc.
Tipologia: Per quanto riguarda le specie o parti soggettive della giustizia ci sono diverse opinioni. Due sono le
fondamentali. Per alcuni esistono tre specie di giustizia: la giustizia generale o legale, che ordina le relazioni delle
persone rispetto alla societ; la giustizia distributiva, che ordina le relazioni della societ rispetto alle persone; e la
giustizia commutativa, che ordina le relazioni delle persone tra loro. Per altri, tra i quali Aristotele e san Tommaso 58, le
specie della giustizia sono due: giustizia generale o legale da una parte, e giustizia particolare dallaltra. Questultima
si divide poi in giustizia commutativa e giustizia distributiva.
La iustitia legalis, chiamata anche iustitia generalis, che orienta gli uomini al bene comune, come lanima di tutto il
corpus iustitiae. Essa non sta sullo stesso piano della iustitia particularis (commutativa e distributiva), ma sopra di
essa e la dirige e la guida dal punto di vista del bene comune. Anzi, assume addirittura tutte le virt morali al proprio
servizio, per dirigerle a questo scopo. Per questo Tommaso chiama la iustitia legalis o generalis una virt superiore.
Secondo lui la iustitia generalis o legalis addirittura la virt suprema tra le virt morali, perch il suo oggetto, il
bene comune, sovrasta il bene della persona singola.
Le virt collegate alla giustizia sono le parti potenziali della giustizia, cio quelle virt morali che hanno un oggetto
molto vicino a quello della giustizia. Sono: la religione, la piet, losservanza, la veracit, la gratitudine, la vindicatio,
la liberalit, laffabilit, la fedelt e lepicheia.

43
44
45
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49
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53
54
55
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58

Cfr. Es 20, 12-17.


Cfr. Es 20, 22 -23, 19.
Cfr. Es 21, 2-11.
Cfr. Es 21, 12-26.
Cfr. Es 22, 4-14.
Cfr. Es 23, 1-9.
Cfr. Ger 7, 4-15.
Cfr. Gn 24, 27; Gs 23, 14; Sal 30, 6; 70, 22.
Cfr. Est 4, 17n; Sal 9, 16-17; Dn 9, 6-7.14.
Cfr. Sal 7; 11; Ger 11, 20.
Cfr. Mt 5, 39.
Cfr. Mt 20, 28; 1 Gv 4, 9-10.
Cfr. Rm 13, 9.
Cfr. De officiis ministrorum, I, 27, 127 - 28, 138: Biblioteca Ambrosiana 13, 101-107.
S. Th., II-II, q. 58, a. 1, c.
Cfr. S. Th., II-II, q. 58, a. 7.

145

III.
GIUSTIZIA E CARIT.
Queste due virt si trovano a diversi livelli: la giustizia una virt morale naturale anche se esiste la corrispondente
virt infusa che intende garantire il fondamento naturale della vita sociale. La carit invece una virt teologale o
divina, infusa con la grazia santificante. La sua finalit amare Dio in Se stesso e, di conseguenza, amare tutti coloro
che sono amati da Lui. La carit va pi in l della giustizia, e perci la presuppone.
La carit esige la realizzazione della giustizia come condizione necessaria per la sua verit. Ogni ingiustizia , almeno
indirettamente, una mancanza di carit, invece la giustizia richiede la pratica della carit, come qualit necessaria per
interiorizzarla e personalizzarla, giacch soltanto lamore rende completa giustizia alla dignit della persona. Una
giustizia cosificata e impersonale sempre imperfetta.
Il ruolo della carit di elevare tutta la vita morale verso lamore del Padre in comunione con lo Spirito Santo e,
conseguentemente, verso lamore dei fratelli. La carit rappresenta il pi grande comandamento sociale, esige la pratica
della giustizia e sola ce ne rende capaci.
IV.
LE FORME FONDAMENTALI DI INGIUSTIZIA.
Ingiuria o ingiustizia sono ogni azione contraria alla virt cardinale della giustizia, si tratti di giustizia generale,
commutativa o distributiva. Ingiuria il nome generico dei peccati contro la giustizia. Due sono le grandi classi di
ingiurie: lappropriarsi dei beni altrui e il danneggiamento dei beni o dei diritti degli altri
La differenza tra le due classi dipende dal fatto che ci sia o non ci sia un arricchimento o vantaggio materiale di colui
che commette lingiuria. Appartiene alla prima classe lazione di rubare una macchina o un orologio; alla seconda,
lazione di dar fuoco ad una macchina o la calunnia. Lingiuria peccato mortale ex genere suo, ma sar lieve se il bene
rubato o il danno causato di scarsa entit.
V.
LA LESIONE DELLA PROPRIET ALTRUI.
Il diritto sui propri beni, economici, corporali o spirituali (fama, onore), rimane tale anche quando stato calpestato, e
continua ad essere leso finch i beni tolti vengono ridati al suo legittimo proprietario o i danni ingiustamente causati
sono riparati o risarciti.
Affinch i beni della terra ridondino effettivamente a vantaggio di tutti gli uomini, occorre listituzione della propriet.
La propriet il diritto di disporre in maniera esclusiva e libera di ogni cosa. La propriet in senso oggettivo indica la
cosa stessa, di cui uno pu disporre in questo modo. Il diritto di propriet si distingue dal semplice possesso. Luomo
possiede qualcosa quando lha in proprio potere, indipendentemente dal fatto che labbia in maniera legittima o meno.
Invece la propriet basata sul fondamento del diritto e sta nellordine. Lo stato ha il diritto di ordinare la propriet
nellinteresse del bene comune, senza tuttavia poterla abolire in linea di principio, e pu intervenire parzialmente in
maniera incisiva sul diritto di propriet; per questo si parla di propriet superiore (dominium altum) dello Stato, mentre
a paragone di essa i cittadini detengono solo una propriet inferiore (dominium umile), ma questo non significa che i
cittadini ricevono dallo stato il loro diritto di propriet. Lo stato ha soltanto il compito di regolamentare giuridicamente
questo diritto in maniera tale da promuovere sia il bene del singolo che il bene comune.
VI.
LA RESPONSABILIT VERSO LA VITA PROPRIA E DEL PROSSIMO.
Tutto luomo stato creato da Dio e sta sotto il suo dominio e la sua tutela. Unit di anima e di corpo, luomo sintetizza
in s, per la stessa sua condizione corporale gli elementi del mondo materiale, cos che questi attraverso di lui toccano
il loro vertice e prendono voce per lodare in libert il creatore. Allora, non lecito alluomo disprezzare la vita corporale;
egli anzi tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perch creato da Dio e destinato alla
risurrezione nellultimo giorno. nella dignit stessa delluomo che egli glorifichi Dio nel proprio corpo e che non
permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore59.
Luomo composto di anima e corpo. Lelemento esteriore corporeo nelluomo espressione, simbolo o segno di
quello interiore. Il Signore per il corpo e il corpo per il Signore60. Tutte queste affermazioni fanno s che si debbano
tutelare i diversi aspetti del dono di vita nella sua totalit. Per primo c la necessit della cura del benessere corporeo
nello stato di salute e nei periodi di malattia (fare lo sport, evitare la droga ecc.). Per secondo il suicidio diventa una
cosa riprovevole in quanto va direttamente contro il dono vitale ricevuto (qua entra anche la mutilazione, sterilizzazione
ecc.).
Quello che vale per la preservazione della vita propria vale anche in relazione con gli altri: rispettare la vita degli altri
(uccisione, aborto, impegno per la pace ecc.), la loro salute e tutto ci che favorisca il raggiungimento del bene altrui.

59
60

Gaudium et Spes n. 14
1 Cor 6,13

146

VII.
I DOVERI VERSO LA VERIT, LONORE E LA FAMA DEL PROSSIMO.
L'uomo deve rispettare interiormente se stesso ed essere umile e grato a Dio, da cui ha ricevuto ogni bene. La vera umilt
consiste nel essere riconoscente dei propri doni naturali e soprannaturali concessici da Dio. L'uomo deve prendersi cura
e proteggere il proprio onore esteriore e il proprio buon nome, anzitutto compiendo il bene e meritandosi cos l'onore,
perch pu realizzarsi nella comunit e servire ad essa solo se onorato e rispettato. Ci vale soprattutto per coloro che
sono di guida in seno alla comunit.
Dobbiamo poi rispettare interiormente il prossimo e pensare bene di lui. Non esageriamo, quando in linea di principio
stimiamo il prossimo pi di noi stessi. Dobbiamo poi stimare il prossimo pi di noi stessi soprattutto, quando risulta
ch'egli utilizza meglio i doni concessigli da Dio di quanto ne facciamo noi. Dobbiamo esprimere nell'onore esteriore il
rispetto interiore e lo possiamo fare anzitutto salutandolo in maniera rispettosa e degna e trattandolo educatamente, con
parole di riconoscimento e di lode pronunciata nella sua presenza oppure nella presenza di altri.
VIII. LA RESTITUZIONE E LA RIPARAZIONE DELLINGIUSTIZIA.
La teologia morale intende per restituzione latto proprio della giustizia commutativa che consiste sia nel ridare il bene
che stato tolto a qualcuno sia nel riparare o risarcire il danno ingiustamente causato61. I doveri di giustizia distributiva
e legale la cui lesione comporta il dovere di restituire hanno aspetti di giustizia commutativa, almeno nel senso che
causano positivamente un danno concreto e quantificabile, senza la cui riparazione non si pu pensare che la giustizia
sia stata ristabilita.
La restituzione effettiva, o almeno il fermo e sincero proposito di realizzarla appena possibile, del tutto necessaria per
la remissione dei peccati contro la giustizia. Perci si afferma che, quando si tratta di ingiustizie gravi, la restituzione
necessaria per la salvezza62. Possessore in buona fede chi ignora invincibilmente che il bene da lui posseduto propriet
di un altro, e solo per caso arriva a saperlo. Possessore in cattiva fede colui che colpevolmente prende o possiede un
bene che sa di essere di un altro. Possessore in dubbia fede chi sulla base di motivi seri dubita se il bene in suo possesso
suo o meno.
Principi:
- La propriet tende al suo proprietario, fruttifica per il proprietario, cio i frutti che il bene produce naturalmente (e
non per lindustria del possessore) appartengono al proprietario e a lui devono essere restituiti. Quando il bene
perisce naturalmente, perisce a danno del proprietario.
- Nessuno pu arricchirsi ingiustamente con laiuto della propriet altrui. Quando si dubita a chi appartiene un bene,
il suo possessore attuale si trova in posizione di vantaggio.
- Il possessore in buona fede non tenuto a subire danni a motivo del possesso del bene altrui. Se il bene ancora in
mano al possessore, bisogna restituirlo appena si viene a sapere chi ne il proprietario, tranne in caso di avvenuta
prescrizione.
- Il possessore in cattiva fede deve risarcire tutti i danni che il legittimo proprietario ha sofferto per essere stato privato
dalla sua propriet.
- Quando si raggiunge la certezza che un bene appartiene ad alcun altro, ma non si riesce a trovarlo, il possessore in
buona fede lo pu tenere; il possessore in cattiva fede lo deve destinare ai poveri.

61
62

Cfr. S. Th., II-II, q. 62, a. 1.


Cfr. S. Th., II-II, q. 62, a. 2.

147

TEMA 50: La Dottrina Sociale della Chiesa


I.

COMPETENZA DELLA CHIESA IN AMBITO SOCIALE.

La morale naturale e la morale evangelica sono due livelli diversi, ma non separati, in profonda unione senza confusione.
Siccome tutto stato creato per mezzo di Cristo e in vista di Cristo63, soltanto alla luce del Verbo incarnato si pu
conoscere pienamente il cammino delle creature verso il loro fine ultimo64 che, nel caso delluomo, implica tutto lordine
etico: naturale e soprannaturale, individuale e sociale. Perci la Chiesa ha sempre sostenuto la propria competenza su
tutta la legge morale, non soltanto su quella evangelica, ma anche sulla legge naturale, in quanto losservanza dei suoi
precetti necessaria alla salvezza. Inoltre, la Chiesa vive nel mondo ed logico, anzi doveroso, che interagisca con
esso secondo un rapporto di mutuo aiuto, senza per travalicare i propri limiti. Unaltra ragione deriva dal profondo
influsso che questo ambito sociale esercita sul comportamento delle persone. Lo sviluppo morale umano dipende, in
buona misura, da un corretto ordine nella societ (ordine nella politica, lavoro, economia, cultura); di conseguenza, la
Chiesa non si pu disinteressare di tale ordine.
Tuttavia, se la Chiesa entra in questioni temporali, consapevole dei propri limiti. Essa non pretende dare una soluzione
concreta a tutti i problemi presenti nella drammatica situazione del mondo. Pu invece, e deve proporre, alla luce che le
viene dal vangelo, i principi di riflessione, formulare criteri di giudizio e offrire gli orientamenti indispensabili per la retta
organizzazione della vita sociale, per la dignit della persona umana e per il bene comune.
Il diritto della Chiesa di evangelizzare il sociale insieme un suo dovere; essa non pu compiere la missione affidatale
se tralascia le proprie competenze nellambito morale della societ. I problemi sociali, quindi, non sono estranei alla
legittima preoccupazione della Chiesa vista come istituzione religiosa65.
Il Compendio (prima sezione, capitolo 12, nn. 521 540) sottolinea, tra laltro, la responsabilit che hanno il Vescovo
e i presbiteri di far conoscere la dottrina sociale della Chiesa e di promuovere nei fedeli la coscienza di essere soggetti
attivi di tale dottrina66. Inoltre i fedeli hanno il dovere di aderire al Magistero sociale, unadesione dellintelligenza,
della volont e delle opere: e lappartenenza alla Chiesa non si limita alla sfera strettamente ecclesiale e spirituale, ma
coinvolge la persona nella sua integralit e responsabilit. Tralasciare volutamente una parte della dottrina o della vita
cristiana che include lambito sociale significa diffidare di Cristo.

II.

ORIGINE E SVILUPPO STORICO DELLA DOTTRINA SOCIALE.

La dottrina sociale affonda le sue radici nella storia della salvezza e trova la sua origine nella missione salvifica e
liberatrice di Ges Cristo e della Chiesa. Essa si riallaccia all'esperienza di fede nella salvezza e nella liberazione integrale
del popolo di Dio, descritte nell'A.T. e nel N.T. I contenuti fondamentali sono le grandi verit della storia della salvezza.
Nell'insegnamento e nella prassi sociale, la Chiesa dei primi secoli e del medioevo applica e sviluppa i principi e gli
orientamenti contenuti nel vangelo, muovendosi all'interno delle strutture della societ civile.
Negli inizi della epoca contemporanea il Vangelo doveva indirizzarsi ad una societ pi dinamica, slegata dalla
tradizione e, per di pi, segnata da un grave ed ogni volta pi esteso problema: il problema dello sfruttamento dei
lavoratori, conseguente alla nuova organizzazione industriale del lavoro67. Il Magistero ricord i principi di validit
universale e di perenne attualit, e incoraggiando cambiamenti personali e strutturali a favore del lavoratore e dei suoi
diritti. La prima grande questione sociale si andata ampliando in senso geografico fino a raggiungere lintero
pianeta e con il diffondersi di altre problematiche sociali: la questione femminile, degli armamenti, della demografia,
della ecologia, degli anziani, e soprattutto, la grande questione del sottosviluppo, della pace, del terrorismo, ecc. La mira
degli interventi magisteriali in questo ambito , pertanto, eminentemente pastorale. Tuttavia, man mano che si sono
sviluppati si andato formando un corpus dottrinale, che adesso intendiamo brevemente percorrere nei suoi principali
documenti.
La "Rerum Novarum " (1891) rappresenta il primo documento ufficiale e solenne della dottrina sociale della Chiesa,
nel quale Leone XIII entra in questioni come quelle delle associazioni sindacali, giusto salario, diritto alla propriet
privata, dignit dell'operaio, ecc.
Pio XI su gli errori gravissimi di cui erano inficiati alcuni sistemi socio-politici allora vigenti (per esempio, fascismo,
nazionalsocialismo, comunismo). Nella "Quadragesimo Anno" (1937), mostra come non si possano dissociare le
questioni economiche dalle questioni sociali.

63
64
65
66
67

Cfr. Col 1, 16.


Cfr. Gv 14, 6.
Cfr. Sollicitudo rei socialis, n. 8.
Cfr. Compendio, n. 539.
Compendio, n. 267. Cfr. Ibid., n. 88.

148

L'insegnamento sociale di Pio XII legato soprattutto a tre famosi radiomessaggi: quello della Pentecoste del 1941
in cui proclama il diritto al lavoro; quello del Natale 1942, che contiene una vera dichiarazione dei diritti dell'uomo;
quello del Natale 1944 in cui vede nella democrazia la base della ricostruzione della societ umana.
L'enciclica "Mater et Magistra " (1961) di Giovanni XXIII, tratta i problemi sociali sui rapporti di giustizia tra le
nazioni. L'altra enciclica "Pacem in Terris " (1963), introduce il concetto di "segni dei tempi", a cui occorre fare
attenzione nell'applicazione dell'insegnamento sociale del vangelo.
Una trattazione pi organica e completa della dottrina sociale della Chiesa si trova nella costituzione conciliare del
Vaticano II: "Gaudium et Spes" (1965). Essa sviluppa il tema della missione della Chiesa ad extra, cio verso il mondo
degli uomini, come continuatrice della missione di Cristo di instaurare il Regno di Dio nella societ contemporanea.

Paolo VI, nella enciclica "Popolorum Progressio" (1967), analizza il vincolo dialettico tra giustizia e sviluppo, tra
pace e libert; e nel "Octogesima Adveniens " (1971) studia le nuove forme di oppressione e afferma l'importanza della
politica per lottare contro di esse e riconosce il pluralismo di cui godono i cristiani impegnati nell'azione sociale.

Giovanni Paolo II. Egli, in numerosi documenti e discorsi, l'ha riproposta in ci che essa contiene di perennemente
valido e l'ha rinnovata, aggiornata ed integrata tenendo conto dei "segni dei tempi". Pu bastare un breve cenno alle tre
encicliche: In "Laborem Exercens (1981), la problematica del lavoro al centro della questione sociale. Nell'enciclica
"Sollicitudo Rei Socialis" (1988), egli riprende la tematica dello sviluppo, e le grandissime ingiustizie che uno sviluppo
tecnico ed economico sfrenato sta procurando all'umanit, che sempre pi divisa in nazioni ricche e nazioni povere.
Nell'enciclica "Centesimus Annus" (1991), ricorda che la Chiesa con il suo insegnamento sociale non offre un modello
di societ, ma solo un orientamento ideale (n. 43) che ha come base di partenza e come suo obiettivo principale l'uomo.
Nella prima enciclica di Benedetto XVI Deus Caritas est -: La seconda parte, dedicata allesercizio dellamore,
contiene numerosi concetti che rientrano nella dottrina sociale della Chiesa68. In questo modo i due ultimi Pontefici, ma
anche i loro predecessori, sottolineano come la dottrina e la pratica sociale siano parte integrante della sequela Christi.

III.

NATURA E FONTI DI QUESTO INSEGNAMENTO.

Natura: La dottrina sociale della Chiesa, in senso stretto, un corpus dottrinale relativo allinsegnamento cristiano sulla
vita sociale, proposto da chi, nella Chiesa, ha il munus docendi, cio dal Magistero. Tale dottrina , pertanto,
linsegnamento elaborato, annunziato e praticato dalla Chiesa, come opera del Magistero che unifica e promulga il
pensiero cristiano in ambito sociale.
Difatti, la dottrina sociale trova il suo fondamento essenziale nella Rivelazione biblica e nella Tradizione della Chiesa,
che mostrano il disegno divino sulla vita e sul destino delluomo anche in ambito sociale. Da questa sorgente il Magistero
trae lispirazione e la luce per analizzare, giudicare e orientare la condotta umana nei rapporti sociali.69 Non
unideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati di unautentica riflessione sulle complesse realt dell'esistenza
dell'uomo, nella societ e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione della Chiesa.
La fonte della morale sociale, come di tutta la teologia, la Rivelazione divina contenuta nella Sacra Scrittura e nella
Tradizione. Tale Rivelazione custodita ed autenticamente interpretata dal Magistero vivo della Chiesa.
Linterpretazione del Magistero necessaria per far capire come applicare tali insegnamenti della Rivelazione alle
societ attuali.

IV.

SOGGETTO E AUTOREVOLEZZA.

Il soggetto della dottrina sociale della Chiesa tutta la comunit cristiana secondo i diversi compiti e carismi: il
Magistero pontificio ed episcopale, i teologi o preti che siano, gli esperti nei diversi ambiti della vita sociale e i fedeli
laici che cercano la propria santit attraverso il loro inserimento nel mondo.
Autorevolezza: Essa deriva dal diritto-dovere della Chiesa di insegnare, interpretare e incoraggiare la pratica delle verit
salvifiche.

V.

FINALIT E DESTINATARI.

Finalit: La dottrina sociale della Chiesa mira alla realizzazione di un ordine sociale che permetta agli uomini di
compiere la volont divina e di condurre una vita pienamente umana. Ossia illuminare le coscienze, indicare le vie da
proporsi come guida agli uomini e alle strutture sociali e di orientare i loro comportamenti per salvaguardare e per
promuovere la persona umana nella societ, cos che i rapporti sociali diventino pi umani e umanizzanti ( uno scopo
di ordine religioso e morale). Si pu, pertanto, affermare che la finalit immediata della dottrina sociale quella di
proporre i principi e i valori che possono sorreggere una societ degna delluomo.
68

Lespressione dottrina sociale appare sei volte nellenciclica; ma sono molto di pi i riferimenti indiretti a tale insegnamento.

69

Cfr. Compendio, n. 74.

149

Destinatari: sono i fedeli della Chiesa, secondo la vocazione loro propria, che pu essere vissuta in tanti diversi modi
concreti. In particolare sui fedeli laici che ricade principalmente limpegno propriamente secolare di cui questo
insegnamento si occupa. Infatti, i compiti riguardanti la costruzione, lorganizzazione e il funzionamento della societ
appartengono primariamente ai fedeli laici, non ai sacerdoti e ai religiosi.70
Oltre ai fedeli cristiani, sono destinatari della dottrina sociale della Chiesa tutti coloro a cui rivolta la missione che
Ges ha affidato alla Sua Chiesa, vale a dire tutta lumanit: Ammaestrate tutte le nazioni71.

VI.

CONTINUIT E RINNOVAMENTO

La DS della Chiesa necessariamente al contempo perenne in quegli aspetti intrinsecamente collegati con la verit
sulluomo, e mutevole in relazione agli aspetti sociali pi intimamente connessi con la storicit della persona. Tutte
e due le caratteristiche continuit e rinnovamento vanno mantenute simultaneamente, in modo tale da non
trasformare la dottrina sociale della Chiesa in un insieme di proposte solo contingenti, n in una dottrina irrigidita per
mancanza dattenzione alla realt. La dottrina continua in connessione con le verit universali che derivano dalla
Rivelazione e dalla natura umana; e dallaltra parte, si rinnova per aprirsi alle cose nuove, ed essere in grado di
accogliere i necessari e convenienti adattamenti derivati dal mutamento delle situazioni storiche.

VII.

PRINCIPI E VALORI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA.

I principi della dottrina sociale, nel loro insieme, costituiscono quella prima articolazione della verit della societ,
dalla quale ogni coscienza interpellata e invitata ad interagire con ogni altra, nella libert, in piena corresponsabilit
con tutti e nei confronti di tutti. In altre parole, essi costituiscono, soprattutto, regole pratiche di comportamento per
istituire unautentica societ umana e riguardano tutti i settori dellagire comunitario, sia per giudicare la loro validit
che per offrire indicazioni valide per la loro realizzazione. Essi sono la meta a cui sindirizza lagire personale nella vita
sociale. Essi indicano le vie da percorrere per edificare una vita sociale umana e umanizzante. Nonostante essendo
molteplici, hanno una radice comune: la dignit della personal umana. Da essi, scaturiscono immediatamente altri
importanti principi: il bene comune, la destinazione universale dei beni, la solidariet, la sussidiariet e la partecipazione.
Questi principi evidenziano senza mezzi termini la loro vicendevolezza, complementarit e legami mutui72.
I Valori: Segnalano atteggiamenti da praticare e, pertanto, richiedono specifiche disposizioni e azioni da parte degli
attori sociali. Si rapportano alle qualit e alle azioni che favoriscono tale sviluppo. In concreto nella dottrina sociale,
sono quelli che hanno a che vedere con la crescita personale nello svolgimento dei rapporti sociali. Formano, insieme
con i principi della dottrina sociale della Chiesa, gli elementi che garantiscono la sua caratteristica di continuit. I
principali valori della dottrina sociale della Chiesa sono: la verit, la libert, la giustizia, e in primo luogo, la carit.
Come gi indicato, esiste uno stretto rapporto tra principi e valori sociali, in quanto i valori sociali esprimono
lapprezzamento da attribuire a quei determinati aspetti del bene morale che i principi intendono conseguire, offrendosi
come punti di riferimento per lopportuna strutturazione e la conduzione ordinata della vita sociale. I valori richiedono,
pertanto, sia la pratica dei principi fondamentali della vita sociale, sia lesercizio personale delle virt, e quindi degli
atteggiamenti morali corrispondenti ai valori stessi.

70

Cfr. Catechismo, n. 2442.

71

Mt 28, 19.

72

Cfr. Compendio, n. 162.

150

TEMA 51: La Virt d ella Temp eran za


I.

LA TEMPERANZA NELLA SACRA SCRITTURA E NELLA TRADIZIONE MORALE CATTOLICA.

CCC 1809: La temperanza la virt morale fondamentale (virt cardinale) che modera lattrattiva dei piaceri e
rende capaci di equilibrio nelluso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volont sugli istinti e mantiene i
desideri entro i limiti dellonest. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana
discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore (Sir 5,2;
37,27-31).
La Sacra Scrittura:
a. Sir 31,12-22 raccomanda la moderazione nel mangiare, offrendo di seguito una diffusa trattazione sul vino. La
moderazione deve presiedere, pi in generale, in tutte le passioni: Non ti abbandonare alla tua passione, perch
non ti strazi come un toro furioso; divorer le tue foglie e tu perderai i tuoi frutti, s da renderti come un legno
secco. Una passione malvagia rovina chi la possiede e lo fa oggetto di scherno per i nemici. Sir3, 17-28.
b. Rm 12,3 la temperanza va riferita ai beni spirituali, che non devono esser causa di presunzione e vanagloria:
Per la grazia che mi stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi pi di quanto conveniente
valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede
che Dio gli ha dato.
b. La tradizione morale cattolica:
a. SantIgnazio dAntiochia: Lasciate che imparino dalle vostre opere. Non si trovi tra noi nessun erba del
diavolo, ma con ogni purezza e temperanza rimanete in Ges Cristo con la carne e con lo spirito. La
moderazione degli impulsi passionali, perch la passione porta alla fornicazione, nonch lumilt della quale
Cristo ci ha dato esempio, contraddistinguono la via del Signore.
b. SantAgostino, nel De moribus, considera che la temperanza lamore integro che si d a ci che si ama, o
anche lamore per Dio che si conserva integro ed incorruttibile. Dice che la temperanza il dominio fermo
e moderato della ragione sulle passioni e sugli altri moti sregolati dellanimo. Sue parti sono: la continenza, la
clemenza, la modestia. Mediante la continenza la cupidigia governata dalla ragione. Mediante la clemenza gli
animi, sedotti ed eccitati sfrenatamente dallodio contro qualcuno, sono moderati dalla serenit. Mediante la
modestia il pudore decoroso si guadagna una limpida e solida autorit.

II.

ANALISI TEOLOGICA DELLA VIRT.

Lantropologia della temperanza:


- San Tommaso: In ogni essere in cui si d la conoscenza si d anche la volont e il godimento. La radice ontologica
del godimento il bene, dice: il motivo per cui si cerca il bene identico al motivo per cui si cerca il godimento.
Il godimento fruizione del bene, stimola lattivit e la rende pi spedita e sicura. Facilita lattenzione e la tensione
necessarie per agire con efficacia.
- Il godimento non bene o male da s e per s, san Tommaso afferma che: Esso non deve essere assolutizzato, non
va cercato cio come fine autonomo ed esclusivo dellagire, pena la distruzione del valore morale dellagire e
dellagente stesso.
- San Tommaso ritiene che linsensibilit un vizio, cos come anche un vizio lelevazione del godimento a valore
autonomo e assoluto, svincolato dal contenuto di valore personale dellattivit che lo genera.
Loggetto della temperanza:
1. Loggetto della temperanza moderare la ricerca del bene dilettevole e le passioni da esso suscitate secondo il giudizio
della retta ragione illuminata dalla fede. La temperanza introduce stabilmente ordine e misura nel desiderio, in modo
che esso si volga verso ci che qui e ora conviene e con lintensit adeguata al bene globale del cristiano. La virt
morale della temperanza padronanza di s o, con le parole gi citate di santAgostino, dominio fermo e moderato
della ragione sulle passioni e sugli altri moti sregolati dellanimo.
2. Il Concilio di Trento insegna che anche in coloro che vivono in comunione con Cristo rimane, la concupiscenza, la
quale non in se stessa peccato ma proviene dal peccato ed inclina al peccato. San Giovanni parla a questo proposito
della concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita. La concupiscenza potrebbe
essere definita come la difficolt di integrare la scelta dei beni verso cui spontaneamente tendiamo, dentro la nostra
orientazione a Dio in Cristo causata in noi dallo Spirito.
151

3. La sregolatezza del desiderio ha come effetto delloscuramento della mente.


4. La virt della temperanza non sopprime la ricerca del bene dilettevole, come abbiamo detto, ma deve impedire che
venga capovolta la relazione tra godimento e attivit, che si traduce sul piano pratico in un atteggiamento edonista.
Questo sarebbe ledonismo meno rozzo. Invece, quello pi rozzo latteggiamento che vede nel piacere un bene
unitario che ammette solo differenze quantitative, e considera le diverse attivit come semplici mezzi che non
possiedono altro valore che il maggiore o minore godimento che esse procurano al soggetto.

III.

LE DIVERSE FORME DI TEMPERANZA.

Gli elementi integranti:


- Il pudore una passione lodevole.
- Lonest riceve il suo nome dal bene onesto, che si distingue formalmente dal bene piacevole e dal bene utile o
finalizzato.
Lastinenza o temperanza nel mangiare:
Lastinenza modera luso degli alimenti solidi e liquidi secondo il dettame della retta ragione illuminata dalla fede. Atto
fondamentale dellastinenza il digiuno. Coloro che sono dispensati dalla legittima autorit ecclesiastica: i malati e i
convalescenti, persone che versano in stato di povert o denutrizione, ecc.
La sobriet e il problema del alcolismo:
La virt della sobriet la temperanza nelluso delle bevande alcoliche. Lalcool preso in quantit eccessiva perturba
luso della ragione. Procurare volontariamente un tale turbamento senza una giusta ragione costituisce il peccato
dubriachezza. C lubriachezza completa, se si perde totalmente luso della ragione, e lubriachezza incompleta, se la
perdita dellautocontrollo e dellautocoscienza solo parziale. Lubriachezza completa peccato mortale.
Le droghe:
Sono sostanze psicotrope che, per gli effetti piacevoli che producono, anche solo perch mai provati prima, attirano il
soggetto a unassunzione ripetitiva, dapprima liberamente voluta, poi coatta. CCC 2291 sulla valutazione morale:
Luso della droga causa gravissimi danni alla salute e alla vita umana. Esclusi i casi di prescrizioni strettamente
terapeutiche, costituisce una colpa grave. La produzione clandestina di droghe e il loro traffico sono pratiche scandalose;
costituiscono una cooperazione diretta, dal momento che spingono a pratiche gravemente contrarie alla legge morale.
IV.
LE VIRT COLLEGATE: CONTINENZA, MANSUETUDINE, CLEMENZA, LA MODESTIA E LE SUE FORME.
La continenza: Pu significare lastensione da ogni relazione sessuale, e cos si parla di continenza perfetta. Qui invece
significa una virt, parte potenziale della temperanza, che consiste nella fermezza della volont per resistere le passioni
veementi che mirano ai piaceri della tavola e a quelli dordine sessuale. Di essa dice Aristotele che non una virt,
bens una specie di mescolanza di virt e di vizio.
La mansuetudine o mitezza: la virt che modera lira secondo il dettame della retta ragione illustrata dalla fede. Lira
disordinata non solo costituisce un peccato, che pu essere anche grave, ma anche un peccato capitale, causa di molti
altri: inimicizie, violenze, contumelie, calunnie, ecc.
Clemenza: la virt che inclina al governante e al superiore a mitigare, secondo un giudizio ragionevole, la punizione
dovuta al colpevole. Anchessa ha come oggetto lira, ma si riferisce specificamente non tanto alla passione interiore
quanto allespressione esterna che essa ha nel governante, il quale deve punire secondo le esigenze della giustizia e del
bene comune, e mai come sfogo incontrollato dellira.
La modestia e le sue forme:
1)
La modestia una virt che rifugge lostentazione e che osserva moderazione nel modo di vestire e di giocare,
nellatteggiamento corporale e nel desiderio di sapere o di curiosare.
2)
La studiositas (Parte de la modestia) Modera il desiderio di sapere che porta allo studio, la curiosit e, in senso
opposto, la negligenza. Il desiderio di sapere quanto di pi naturale ci sia nelluomo. Aristotele diede inizio
alla Metafisica: Tutti gli uomini per natura tendono al sapere.
3)
Eutrapelia, modera il nostro atteggiamento nei confronti del gioco, dello sport, ci sono molti i modi legittimi
di riposare. Tuttavia immorale soffermarsi in intrattenimenti disonesti o del tutto inutili, oppure che non sono
congrui con let e la condizione della persona, o che comportano spese eccessive o pericoli per la salute.
152

V.

STUDIO SPECIALE DELLA VIRT DELLA CASTIT.

La castit significa che la funzione di questa virt ordinare il comportamento sessuale in modo tale che questo
abitualmente segua, non tanto linclinazione della libido, quanto il dettame della ragione, la quale tiene conto della
natura della sessualit e delle particolari circostanze della persona.
- Gradi della virt e vizi contrari:
La castit si potrebbe tradurre come padronanza di s o self-control, si limita a mantenere il controllo di se stessi di
fronte alle sollecitazioni esterne o alle passioni interne, la verginit presuppone una volont ferma di rinunciare
definitivamente allattivit sessuale. Alla virt della castit si oppone il vizio della lussuria.
- Il senso positivo della virt:
GP II ha detto: la purezza non soltanto lastenersi dallimpudicizia, ossia la temperanza, ma essa, al tempo stesso,
apre anche la strada ad una scoperta sempre pi perfetta della dignit del corpo umano. La virt della purezza, ha il
compito ancora pi essenziale di promuovere positivamente quelle condizioni personali e morali che favoriscono la
realizzazione della vocazione allamore, al dono di s e alla comunione personale, alla paternit o maternit, sia a livello
corporale (matrimonio) che spirituale (verginit).
-

Il problema della lussuria:


a. Il rapporto interpersonale risulta imperfetto poich esso non si fonda sulla persona stessa ma sulle sue
caratteristiche sessuali, indipendentemente dal fatto che in esse prevalga il valore procreativo o il valore unitivo.
b. Tale rapporto esposto a falsificazioni, nel senso che le reazioni emotive legate al sesso tendono a deformare
la percezione dellaltro conferendogli delle qualit, a livello personale, che in realt non possiede.
c. Prima o poi si rende manifesta limpossibilit di tener conto della dignit della persona, sia perch misconosce
il suo autentico valore, sia perch tende a ridurla a livello di semplice strumento in ordine a soddisfare limpulso
sessuale. Questo non altro che lussuria.

- Il valore della castit:


La castit unaffermazione dei valori del corpo e del sesso, come beni inalienabili della persona. La castit preserva e
promuove la bont originale del significato unitivo e procreativo essenziale allunione dei corpi e, allo stesso tempo,
purifica la tendenza allunione fisica tanto dallegoismo che dalla ricerca isolata del piacere sessuale o dellappagamento
della sensualit. La castit orienta lattrazione sessuale in modo che questa possa essere integrata nella relazione
dellamore sponsale. Per questo motivo, parlare di questa virt significa parlare dellAmore.
- Essenza e funzione del pudore:
Per san Tommaso il pudore forma parte della castit, giacch mentre questa si riferisce allunione dei corpi, quello cura
invece le manifestazioni esterne della sessualit. Oggetto del sentimento del pudore linsieme del comportamento
sessuale e tutto quanto si rapporta ad esso, sia lecito meno da un punto di vista morale. Il pudore verte soprattutto sulle
parti e gli organi che determinano il sesso. Gli uomini hanno una tendenza pressoch generale a dissimularli agli occhi
degli altri, e soprattutto rispetto alle persone dellaltro sesso.

VI.

LA VIRT DELLUMILT.

San Tommaso la colloca come parte della modestia, e quindi come virt collegata alla temperanza, in quanto deve
moderare secondo verit le aspirazioni delluomo e il sentimento del proprio valore e delle proprie capacit. Nei
confronti di Dio luomo deve essere consapevole di aver ricevuto tutto da Lui, i doni naturali e pi ancora i doni di
grazia. Non C in noi alcuna vera giustizia se non quella con la quale Dio ci rende giusti. Se c da gloriarsi, che non
ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Ges Cristo. Lumilt fondata sulla verit, sulla vera conoscenza
di s. La sua importanza consiste piuttosto nel preservare dalla corruzione. Lumilt deve garantire la correttezza delle
due tendenze coinvolte: il desiderio di essere stimato e lautostima.

153

TEMA 52: La Bioetica


I.

COLLOCAZIONE DELLE QUESTIONI CHE RIGUARDANO


ALLINTERNO DELLA TEOLOGIA MORALE

LA VITA UMANA E LE BIOTECNOLOGIE

La Teologia Morale, occupandosi delle questioni riguardanti la vita umana e la sua integrit, riceve dalla Bioetica lo
status questionis, cio lanalisi del problema etico- che comprende la definizione delle componenti biomediche e le
interpretazioni fornite da altre discipline-, insieme alle conclusioni della riflessione propria della filosofia morale, il che
ordinariamente facilita un primo discernimento fra il lecito e illecito, il bene e il male, il valore positivamente umano e
quello di significato opposto. A sua volta, la teologia prosegue in una lettura pi profonda, poich conosce meglio il
fondamento e il valore della dignit delluomo- immagine di Dio-, ne pi convinta, e intravede in una prospettiva
teologale il senso promettente della vita delluomo: una vita soggetta ai limiti della condizione terrena, ma elevata e
chiamata alla pienezza della vita in Cristo. Integrata nelle scienze teologiche, la Bioetica, allarga il proprio campo di
competenza scientifica alla vita delluomo nella sua interezza, dal concepimento fino alla morte. La Bioetica teologica
procede con una riflessione logicamente rigorosa, fondata in ultimo termine sulle premesse della fede cristiana.

II.

PRINCIPI NORMATIVI ED INSEGNAMENTI MAGISTERIALI

a) Il principio della sacralit della vita umana: Dio Creatore ha affidato alluomo lamministrazione di tutto il
creato. Alcune cose per ha voluto proteggerle massimamente da ogni prepotenza e capriccio. Per questo si
dicono sacre. Tra esse si annovera la persona umana, sua immagine. Nessun uomo, in nessuna circostanza,
pu pertanto disporre arbitrariamente n della propria esistenza n di quella degli altri.
b) Il principio dellinviolabilit della vita umana: che la vita umana sia di per s inviolabile una conseguenza che
ne deriva immediatamente dalla sua sacralit. La vita di ogni uomo deve essere rispettata; nessuno pu
danneggiarla o farle violenza. Recentemente GPII lo ha riproposto come insegnamento definitivo e
irreformabile garantito dallinfallibilit propria del Magistero ordinario e universale della Chiesa: con
lautorit che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i vescovi della Chiesa
cattolica, confermo che luccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente sempre gravemente
immorale ( EV 57).
c) Il diritto alla vita: La persona umana, dal momento del concepimento fino al suo termine naturale, ha un diritto
alla vita inalienabile, nativo e fondamentale.
d) Diritto allobiezione di coscienza: sostanzialmente consiste nella doverosa affermazione e il conseguente
riconoscimento da parte della legge, del diritto a non essere costretti a partecipare ad azioni moralmente
cattive (EV 74). Il riconoscimento del diritto allobiezione di coscienza comporta limmunit non solo da
sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, economico e professionale.
e) Pio XII: La vita di un innocente intangibile e qualunque attentato o aggressione diretta contro di essa, viola
una delle leggi fondamentali, senza le quali non possibile una convivenza umana sicura (Discorso
29.X.1951).
f) Concilio Vaticano II, GS, nn. 27 e 51.
g) Dichiarazione De abortu procurato, CDF, 18.XI.1974.
Il primo diritto duna persona umana la sua vita, che deve essere protetta pi di ogni altro bene. Non spetta alla societ, non
spetta alla pubblica autorit, qualunque sia la forma, riconoscere questo diritto ad alcuni e non ad altri: ogni discriminazione
iniqua (n. 11).
Dal momento in cui lovulo fecondato, si inaugura una vita che non quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere
umano che si sviluppa per proprio conto. Non sar mai reso umano se non lo stato fin da allora (n. 12).

h) Dichiarazione Iura et bona sullEutanasia, CDF, 5.V.1980.


necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno pu autorizzare luccisione di un essere umano innocente, feto o
embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno inoltre, pu richiedere questo gesto
omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilit, n pu acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna
autorit pu legittimamente imporlo o permetterlo.

i) Istruzione Donum vitae, CDF, 22.II.1987.


La finalit dellistruzione quella di far una valutazione morale delle nuove tecniche nellambito della vita umana
nascente e della procreazione. Di fronte al pericolo che le nuove tecniche possano andare oltre il limite di un ragionevole
dominio sulla natura, listruzione propone i valori fondamentali per lesatta valutazione di questi problemi:
- Linviolabilit del diritto alla vita dellessere umano innocente dal momento del concepimento fino alla morte.
- Loriginalit della trasmissione della vita mediante un atto personale e cosciente soggetto alle leggi di Dio che
non lecito trasmettere con altri mezzi o procedimenti.
j) Lettera Enciclica Evangelium Vitae sul valore e linviolabilit della vita umana, GPII, 25.III.1995.
In questo documento il Romano Pontefice illustra il comandamento divino Non ucciderai, e fa una condanna esplicita
e formale degli attentati contro la vita, richiamando lattenzione sulla loro gravit:

154

Pertanto, con lautorit che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i vescovi della Chiesa
cattolica, confermo che luccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente sempre gravemente immorale
(n. 57).
Pertanto, con lautorit che Cristo ha conferito dichiaro che laborto diretto, cio voluto come fine o come mezzo,
costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente (n. 62).
Confermo che leutanasia una grave violazione della legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente
inaccettabile di una persona umana (n. 65).

III.

ANALISI TEOLOGICA DELLE QUESTIONI SPECIFICHE: FECONDAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA,


ABORTO, RICERCA SCIENTIFICA SULLUOMO, TRAPIANTI DI ORGANI, SOSPENSIONE DI CURE E TERAPIA,
EUTANASIA, ECC.
Fecondazione medicalmente assistita.
Alla luce dellantropologia cristiana diventa pienamente intelligibile il criterio generale per giudicare laccettabilit
etica di una certa tecnica di procreazione artificiale, formulato nella sua sostanza da Pio XII nel 1949 e riproposto
da Donum Vitae, che il mezzo tecnico non deve essere sostitutivo dellatto coniugale, ma deve configurarsi
come una sua facilitazione o aiuto affinch esso raggiunga il suo scopo naturale.
Nellambito della trasmissione della vita umana, il bonum humanum essenziale e irrinunciabile il rispetto del
legame fra la procreazione e lamore incarnato dei coniugi, unico contesto degno per il sorgere della persona.
Alla luce della distinzione fra aiuto e sostituzione, non possono essere accettate quelle tecniche che, come la FIVET,
intervenendo in modo drastico sullo svolgimento del processo generativo, lo collocano al di fuori del contesto della
vita sessuale e amorosa della coppia, cos che, il momento propriamente fecondativo avviene in vitro,
artificiosamente dissociato dal momento unitivo. (cf. DV II, B, 5).
Sono ammissibili in linea di principio quelle tecniche che come linseminazione artificiale (Ia. Impropriamente
detta), virtualmente rispettano lintegrit dellatto coniugale nel suo duplice momento unitivo e procreativo. I due
momenti sono separati nel tempo (come del resto accadere in natura), ma restano in stretta connessione di significati
e di intenzione.
Definizione di Inseminazione artificiale (Ia): la deposizione strumentale del liquido seminale maschile nelle vie
genitali femminili o, quanto meno, linoltro o deposizione pi profonda di un seme che sia stato gi depositato
naturalmente in vagina.
Aborto:
Laborto procurato luccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua
esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita (EV 58).

Distinzione tra aborto diretto ed indiretto. Nel primo c una volont omicida (condannato nellEV 62 e nel CVII, GS
51); nel secondo, una volont risoluta a favore della vita e, contemporaneamente, rassegnata ad una conseguenza che
non si pu evitare.
Altre distinzioni:
Laborto terapeutico si d quando si realizza per salvaguardare la salute oppure la vita della madre.
Laborto eugenico consiste nel non far nascere un bambino handicappato.
Laborto legale consiste nella possibilit che danno alla donna di abortire nel caso di stupro.
Laborto diretto (EV 58) condannato dal CVII, GS 51 e dallEV 62 e comporta la pena canonica della
scomunica (CIC can. 1298).
Vedere le indicazioni dellEV per le donne che hanno abortito (n. 99).
Ricerca scientifica sulluomo
Chi partecipa a una ricerca farmacologica spera di ottenere un beneficio per s o per gli altri, ma contemporaneamente
accetta un rischio e soprattutto spesso rinuncia di fatto ad un trattamento gi collaudato. Il giudizio etico, pertanto, deve
valutare se c una adeguata proporzione fra rischi e benefici prevedibili, dei quali bisogna essere informati affinch si
possa consentire o meno in piena consapevolezza e libert. Esistono per dei limiti morali che non si possono varcare:
nessuno pu mettere in pericolo la propria vita n compromettere gravemente la salute, n rischiare imprudentemente
lintegrit o lidentit personale.
Trapianti di organi
I trapianti sono legittimati dal principio di solidariet che unisce gli esseri umani e dalla carit che dispone al dono verso
i fratelli sofferenti. Per la rettitudine dellatto, la donazione deve essere: libera, gratuita e ordinata.
I trapianti di organi ex-vivo:
1) deve essere lultimo rimedio terapeutico (esauriti tutti glia altri mezzi),
2) proporzionalit (prospettiva di successo nel ricevente),
3) lidentit del ricevitore si deve proteggere (per tale ragione sono esclusi i trapianti dellencefalo e le gonadi).
155

I trapianti post-mortem:
La Chiesa insegna che il dono gratuito di organi dopo la morte legittimo e pu essere meritorio (CCC n. 2301). Per
la liceit dellasportazione di organi post-mortem necessario, anzitutto, la certezza medica del decesso della persona.
Chi pu autorizzare la donazione di organi post-mortem? In questi casi si deve rispettare ci che la persona ha
espressamente disposto in vita. Se questa volont sconosciuta, i familiari o i legittimi eredi possono dare il consenso
o il rifiuto; in loro assenza, lautorit civile allinterno dei criteri stabiliti da una legge giusta.
La donazione di organi dopo la morte non moralmente accettabile se il donatore o i suoi aventi diritti non vi hanno dato il loro
esplicito assenso (CCC n. 2296).

Sospensione di cure e terapie.


La Chiesa insegna che si pu in coscienza rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario
e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovuti allammalato in simili casi (Iura et bona, IV).
Distinzione fra cure e terapie. Le cure sono le attenzioni normali che necessita un paziente (alimentazione, igiene, ecc.).
Le terapie sono quelle attenzioni propriamente indirizzate a debellare la malattia. Mentre le cure sono sempre
moralmente doverose, i trattamenti esigono ulteriori chiarimenti.
La sospensione di cure non la stessa cosa che leutanasia poich la liceit dipende dal fine dellazione: se lazione ha
come scopo causare la morte del malato stiamo di fronte alleutanasia, o se si cerca invece soltanto di evitare
laccanimento terapeutico (chiamato anche distanasia, ossia il rifiuto di accettare la morte, insistendo sul differirla il pi
possibile, al prezzo per di inutili sofferenze) allora lecito. Infatti, la rinuncia a mezzi sproporzionati non equivale al
suicidio o alleutanasia, poich vi grande differenza etica tra procurare la morte e permettere la morte: il primo
atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa (PAV, Considerazioni etiche
sulleutanasia, n. 6).
LEutanasia
Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere unazione o unomissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la
morte, allo scopo di eliminare ogni dolore (EV 65).

Da parte del Magistero della Chiesa non ci sono dubbi nel definire leutanasia come azione vergognosa (GS 27) o di
una violazione della legge divina, di una offesa alla dignit della persona umana, di un crimine contro la vita, di un
attentato contro lumanit (Iura et bona). Giovanni Paolo II ha confermato lintrinseca illiceit come insegnamento
definitivo e irreformabile:
Leutanasia una grave violazione della legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona
umana (EV 65).

156

TEMA 53: I Primi Concili Ecumenici


I.

LARIANESIMO E IL CONCILIO DI NICEA (325)

D.S. 125-130.
Il primo dei concili fu convocato dallimperatore Costantino nel 325 allo scopo di condannare leresia dArio, questo
prete alessandrino negava la divinit della seconda persona della Santissima Trinit, il Logos.
Scomunicato dal vescovo Alessandro, Ario trova rifugio con i meleziani, e nei seguaci della dottrina subordinazionista,
(fra quelli i vescovi Eusebio di Nicomedia ed Eusebio di Cesarea). Trova consenso in tutto loriente, ma anche degli
oppositori.
Dopo un fallito tentativo di pacificazione da parte dal vescovo di Cordoba, chiamato Osio, che era anche consigliere
spirituale di Costantino, limperatore sotto il consenso del papa Silvestro I convoca a concilio a tutti i vescovi dispersi
nelle regioni dellimpero. Dapprima fu scelta come sede la citt di Ancira (Ankara), successivamente si trasferirono a
Nicea, citt pi vicina a Nicomedia che era la sede della corte imperiale.
Nel concilio parteciparono circa 300 vescovi, nella stragrande maggioranza orientali (Egitto, Siria, Palestina, Grecia,
Armenia, Persia e altre), mentre dalloccidente solo 7 persone (tra di loro due presbiteri italiani come delegati papali:
Vittorio e Vincenzo). Geograficamente era presente lintera cristianit nei suoi pastori pi qualificati, molti di loro
celebri per la dottrina, umilt e modestia, alcuni ancora avevano i segni delle torture e delle mutilazioni subite durante
le recenti persecuzioni.
Non si conosce con certezza chi abbia presieduto il concilio, forse era stato il vescovo Osio, che era il primo a
sottoscrivere il simbolo niceno, seguito dai legati papali ed era anche uomo di fiducia di Costantino. Ma poi, fu stato lo
stesso Costantino a volere il concilio ecumenico, a organizzarlo e a dare forza di legge ai suoi decreti. Non certa la
partecipazione di Ario al concilio, e se intervenne, lo fecce forse come imputato. Fu presente invece santAtanasio;
bench era un diacono era consigliere dAlessandro, suo vescovo; esercit molto influsso nei lavori dellassemblea.
Dai lavori del concilio non ci sono rimasti atti ufficiali; soltanto la professione di fede, venti canoni, e una lettera scritta
dai Padri al clero egiziano sugli argomenti e le deliberazioni prese. I lavori del Concilio cominciarono il 20 di maggio
del 325 con un discorso iniziale di Costantino.
Lassemblea si divise in due partiti: il primo quello ortodosso guidato da Alessandro dAlessandria (con Atanasio) ed
Eusebio di Antiochia; e il secondo partito ariano capeggiato da Eusebio di Nicomedia. Prendendo come base il simbolo
battesimale della Chiesa di Palestina si arriv alla formulazione del simbolo di fede nicena che condannava in modo
inequivocabile la dottrina dArio e qualunque subordinazione del Logos al Padre.
La redazione finale del Simbolo Niceno avenne il 19 di giugno del 325 dicendo: Il Figlio di Dio della natura del
Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della identica sostanza del Padre
(consustanziale omousios). In seguito vennero condannate espressamente le tesi di Ario secondo cui ci fu un tempo
in cui il Figlio di Dio non era, ed di una sostanza o essenza diversa da quella del Padre, era creatura mutabile.
Linserimento del termine omousios era una vittoria per la teologia occidentale, in oriente non si era raggiunto ancora
la chiarezza del suo significato. Questincertezza terminologica spiega perch dopo la definizione di Nicea, anche i
vescovi ortodossi nella fede non volessero accettare lomousios.
La confessione di fede fu sottoscritta da 220 vescovi che erano presenti, e promulgata da Costantino come legge di tutto
limperio. Solo due vescovi rifiutarono di firmare, ed essi come Ario furono esiliati.
Il concilio deliber anche su altre due questioni: la data della Pasqua e lo scisma di Melezio in Egitto; per la prima si
adott luso alessandrino e romano della domenica successiva al plenilunio di primavera (14mo giorno del mese di
Nisan); e per la seconda, sintim al clero meleziano di riconoscere lautorit del patriarca dAlessandria.

II.

DISCUSSIONI TEOLOGICHE SUCCESSIVE

Dopo il concilio di Nicea, la controversia si complica di pi perch tale concilio aveva dato una formulazione vera, ma
non completa del mistero trinitario. Mancava una chiara definizione sulla distinzione personale del Figlio dal Padre,
sulla sua generazione e sulla consostanzialit con lo Spirito Santo. Inoltre, la parola consostanzialit, "homousios ", non
era chiara.
Eusebio di Nicomedia, a capo di un gruppo di vescovi, sferr unattacco contro i vescovi niceni fino a provocare uno
scisma dei vescovi orientali a Sardica (343), che rifiutarono il termine "homousios " come una forma di modalismo
(Cristo come modalit del Padre), e condannarono Atanasio. Nella controversia interfer limperatore Costanzo (350360) -in linea del cesaropapismo - tentando di imporre con forza un compromesso a Smirnium (351), la prima formula
sirmiana, nel quale si condann la posizione di Ario, comunque non si riusc di chiarificare il concetto della
consustanzialit.
In questo periodo gli Ariani pi radicali propongono una seconda formula sirmiana (357), apertamente eretica: "Il Figlio
totalmente diverso (Anmios) dal Padre (Anomeismo)". Viene riproposta un'altra volta una certa subordinazione del
Figlio al Padre.
I semi-ariani (moderati) propongono una terza formula sirmiana (358), nella quale si ammette che il Figlio di una
sostanza simile al Padre (homoiousios). Questa la proposizione pi vicina all'ortodossia. Tuttavia, tutti sono d'accordo,
per cui la quarta formula sirmiana (359) imposta, cio che il Figlio simile al Padre in tutte le cose (homoios; omeismo
), nei concili di Rimini, Selencia e Costantinopoli, da Acacio, succesore di Eusebio di Cesarea.
157

III.

CONTROVERSIA PNEUMATOMACA

D.S. 150-180.
Siccome la dottrina del Logos non era ancora ben chiarita, cos anche la dottrina dello Spirito Santo era sposta a
deviazioni. Lesistenza di Tre Persone nella SS. Trinit era stata ufficialmente riconosciuta, ma esistevano tendenze
subordinazioniste: per esempio Origine (il Figlio inferiore al Padre e lo Spirito Santo inferiore al Figlio).
Per gli ariani che consideravano il Figlio come creatura del Padre, era logico dichiarare lo Spirito come creatura del
Figlio; ma questo come problema non si tratt fino alla met del IV secolo gi che la riflessione teologica era concentrata
sul Logos. Quando gli ariani (omeusiani) sostennero che lo Spirito Santo era uno degli spiriti serventi incaricati di un
ministero (Eb 1,14) diverso agli angeli solo in grado, santAtanasio scrisse 4 lettere a un vescovo in difesa della Divina
terza Persona della Trinit. Nel 362, poi, lui presiedette un sinodo ad Alessandria che proclam lo Spirito Santo della
stessa sostanza e divinit del Padre e del Figlio.
Successivamente in altri sinodi ad Alessandria e a Roma ci sono stati anche pronunciamenti contro lerrore ariano,
soprattutto i tre grandi Padri Cappadoci (San Basilio di Cesarea, San Gregorio di Nazianzo e San Gregorio di
Nissa).

IV.

IL CONCILIO DI COSTANTINOPOLI (381)

La condanna ufficiale venne nel 381 dal Concilio Costantinopolitano I; composto da 150 vescovi dopo che 36 padri
seguaci di Macedonio, vescovo di Costantinopoli, si erano allontanati.
Negli art. 1 e 2, sul Padre e sul Figlio, venne riconfermato quasi alla lettera il Simbolo di Nicea; mentre nel art. 3 sullo
Spirito Santo, fu precisato con laggiunta antipneumatomaca: Signore e Vivificatore, che procede dal Padre e che,
insieme con il Padre e il Figlio, adorato e glorificato. Quando il Concilio venne riconosciuto come ecumenico in
Oriente e Occidente, questa formula dogmatica entr a formare il Simbolo niceno-costantinopolitano. Pi tardi, nella
Chiesa greca divenne lunica professione di fede ammessa nel battesimo e nella celebrazione eucaristica. Comunque
rimaneva unultima questione sulla relazione tra lo Spirito Santo e il Figlio; essa fu risolta diversamente in Oriente e
Occidente in quanto alla terminologia, ma in modo uguale quanto alla sostanza. La Chiesa greca simpegn che lo
Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio (per Filium); invece in quella latina si disse Dal Padre e dal Figlio
(Filioque). Nella storia dello scisma fra le due Chiese, la questione del Filioque assumer unimportanza decisiva.

V.

DOTTRINA E STORIA DEL NESTORIANESIMO

Nestorio era un monaco antiocheno chiamato da Teodosio II alla sede patriarcale di Costantinopoli. Lui cominci subito
a combattere gli ebrei e gli eretici, ma anche a proteggere i pelagiani. Polemizz nelle sue prediche con i vescovi che
chiamavano Maria Theotkos, cio Madre di Dio; lui sosteneva invece che il vero titolo era Cristotokos, cio Madre
di Cristo in quanto che lei aveva generato luomo-Ges, nel quale la seconda persona della SS. Trinit abitava come
in un tempio. Tale predicazione suscit in mezzo al clero unagitazione e unopposizione gi che il titolo di
Theotokos era molto antico e caro ai fedeli. Nella lotta intervenne il patriarca Cirillo dAlessandria contro Nestorio.
Il dissidio fra i due era di natura tanto teologica, politico ecclesiastica, come personale.
Ambidue decisero di ricorrere al papa Celestino I; il quale nel sinodo del 430 condanna le idee di Nestorio, incaricando
Cirillo di intimargli la ritrattazione sotto la pena dellesilio. Cirillo invi 12 anatematismi, ma Nestorio si rifiut e
ricorse allimperatore per la convocazione del Concilio Ecumenico. Il concilio doveva aprirsi ad Efeso il giorno di
Pentecoste del 431. Il Papa invi i suoi delegati e nomin presidente Cirillo. Prima dellinaugurazione accadde che
Nestorio si present con 16 vescovi e Cirillo con 50 suffraganei; il terzo patriarca ritard il suo arrivo, mentre che i
legati pontifici erano trattenuti da una traversata burrascosa. Non poterono partecipare i vescovi dAfrica del nord
prigionieri dei vandali dal 429, e fu particolarmente dolorosa la mancanza di SantAgostino morto il 28 Agosto del 430.

VI.

IL CONCILIO DI EFESO (431)

D.S. 250-268.
Il concilio venne convocato dallimperatore Teodosio II per condannare gli errori attribuiti a Nestorio, e a comporre il
dissidio fra i due patriarchi di Alessandria e di Costantinopoli.
Il Concilio comincia il 22 giugno con 198 vescovi presenti; lo stesso giorno nella sessione inaugurale il Conc. dimostr
la verit del titolo mariano di Theotokos e della reale unione delle due nature in Cristo. Si condanna Nestorio che
ancora non era presente, i 12 anatematismi furono letti e allegati agli atti. Non si defin un nuovo simbolo di fede
ritenendo sufficiente il Credo di Nicea.
Il quarto giorno giunse Giovanni di Antiochia con una quarantina di vescovi da Siria che tenero per proprio conto,
insieme con Nestorio e i suoi seguaci un altro concilio, successivamente arrivarono i 3 legati papali che invece
parteciparono al Conc. di Cirillo. Si svolgevano dunque 2 sinodi contemporaneamente. Solo il primo considerato come
legittimo.
Nella sessione II e III, Cirillo e i Legati approvarono la sentenza di deposizione di Nestorio; nella IV-V venero
scomunicati Giovanni e i suoi seguaci; nella VI-VII si stabil di attenersi al simbolo niceno con la esplicita proibizione
di formulare altri. A sua volta, il secondo concilio (o anticoncilio) aveva proceduto a deporre Cirillo e Pennone. Cerano
delle confusioni e tensioni fra i protagonisti. Limperatore approv le delibazioni dei 2 sinodi e convoco a una
158

conciliazione fra le parti. Teodosio II conged il concilio con parole di deplorazione rimandando a ciascuno alla propria
sede; solo Nestorio fu sostituito sulla cattedra episcopale e rimandato nel suo monastero dAntiochia, 4 anni dopo verr
relegato nellesilio del deserto egiziano, dove concluder la sua vita verso il 450.
Il papa Sisto III, successore di Celestino, tent di sanare le discussioni fra i vescovi, e dopo lunghe negoziazioni, Cirillo
di Alessandria e Giovanni di Antiochia raggiunsero nel 433 un accordo sulla base di reciproche concessioni: Alessandria
rinunciava a imporre il proprio Credo e gli anatematismi; Antiochia accettava la condanna di Nestorio e sottoscriveva
la formula di fede con il Theotokos. Il papa, a ricordo dellevento fece costruire a Roma la Basilica di Santa Maria
Maggiore.

VII.

DOTTRINE MONOFISITE

D.S. 300-329.
Cirillo in polemica con i seguaci di Nestorio, aveva sottolineato lunit di persona in Cristo con una formula ortodossa,
ma non distingueva bene tra natura e persona: Una sola la natura incarnata del Verbo di Dio. Questa frase
malintesa diede origine alleresia monofisita.
Loccasione prossima fu la lotta scatenata da Eutiche contro i nestoriani; lui sosteneva che in Cristo cera una sola natura
(divina), pur ammettendo che fosse veramente uomo nato da Maria Vergine. Condannato da un sinodo nel 448 a
Costantinopoli, ottenne da Teodosio II la convocazione di un nuovo Concilio a Efeso per rivedere la causa. Questo
concilio si apr ad Efeso nellagosto del 449 e fu presieduto da Dioscoro (Patriarca di Alessandria che appoggiava
Eutiche); egli neg la presidenza ai Legati pontifici (papato di Leone Magno), imped la lettura del tomus ad
Flavianum (importante testo dogmatico), e fecce riabilitare a Eutiche. Il papa Leone cancell le decisioni e defin il
concilio come latrocinium ephesinum.

VIII. IL CONCILIO DI CALCEDONIA (451)


La morte improvvisa dellimperatore Teodosio II e lascesa di Marciano e Pulcheria, devoti a Roma permisero la
celebrazione di un altro concilio a Calcedonia; celebrato dall8 ottobre al 1 novembre del 451. Dal quarto concilio
ecumenico ci sono rimasti gli atti ufficiali con i nomi di oltre 500 partecipanti, tutti orientali eccetto 2 vescovi africani
e 4 legati papali.
Nella seduta inaugurale furono condannati Dioscoro e gli altri del latrocinium ephesinum; nella seconda venne
proclamato il Tomo a Flaviano e nella terza i vescovi e i legati scomunicarono Dioscoro e lo destituirono della dignit
patriarcale; nella quarta vengono ammessi alcuni responsabili minori del latrocinium; nella quinta cera unaspra
polemica che minacci di far naufragare il concilio, fu formata una commissione di 23 persone di diversi tendenze
teologiche per la redazione di un nuovo Simbolo di Fede; nella sesta si approv il testo che riprendeva i concetti del
Tomo a Flaviano e delle lettere di Cirillo a Nestorio e a Giovanni dAntiochia.
In esso confessa:
Un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, Unigenito; le due nature sono unite senza divisione (indivise), senza
separazione (inseparabiliter), senza mutazione (inmutabiliter) e senza confusione (inconfuse); la differenza delle due
nature non viene soppressa dalla loro unione, anzi le propriet di ciascuna vengono salvaguardate e riunite in una sola
persona (prosopon) e in una sola ipostasi.
Questo Simbolo di fede fu proclamato il 25 ottobre del 451 in una seduta solenne presieduta dalla coppia imperiale.
Nelle sessioni successive vennero affrontati altri temi come la riabilitazione dei vescovi antiocheni che non avevano
accettato la condanna di Nestorio.

159

TEMA 54: Le Crociate dei Secoli XI -XIII


I.

MOTIVAZIONE, CRONOLOGIA, SPIRITO E RESULTATI.

Motivazione
- Hanno una base essenzialmente religiosa: un vero e proprio culto delle reliquie.
- Furono concepite come azioni militari dirette a rendere possibili, normali e indisturbati i pellegrinaggi e le visite
dei luoghi santi.
- Meta principale dei pellegrinaggi era, ovviamente, il sepolcro che aveva contenuto il corpo del Signore. Terra
Santa per era caduta, ormai dal secolo VII, in mano agli Arabi musulmani. Con loro non ci furono particolari
attriti da parte dei pellegrini.
- Ma nel XI secolo questa terra cadde sotto il potere dei Turchi Selgiuchidi, molto pi intolleranti con il
cristianesimo e le possibilit di viaggiare l si chiusero.
- Insieme a questa finalit, si trova anche linteresse dellImpero bizantino per ricuperare i territori asiatici persi.
- Agli interessi puramente religiosi si univano quelli commerciali. Le repubbliche marinare dItalia (Pisa, Genova,
Amalfi, Venezia) intendevano ottenere una pi libera circolazione nel Mediterraneo e alcuni punti di riferimento
sulle coste orientali del mare per le loro finalit economiche.
Cronologia
1. La prima Crociata (1095- 1099).
Il disegno di una grande spedizione di forze cristiane in Oriente per la liberazione di Gerusalemme era stato vagheggiato
da papa Gregorio VII nel 1074, ma solo Urbano II (1088-1099), riusc a realizzarlo nei concili di Piacenza e di
Clermont Ferrand del 1095, indirizzando le energie religiose del movimento riformatore verso la mta della Terra
Santa. Sotto il moto Dio lo vuole alcuni signori feudali si riunirono, con ardore religioso, per limpresa militare. Ma
non accolsero linvito n limperatore n il re di Francia, n nessuno dei grandi feudatari. Ugo di Vermandois, Raimondo
di Tolosa, Roberto di Normandia erano i principali partecipanti. Il vero e proprio esercito dei crociati, diviso in quattro
corpi e seguendo diversi itinerari, conflu a Costantinopoli nel 1097: erano forse 300 mila soldati. Occupata Nicea,
assediarono per 15 mesi Antiochia, difendendola poi dagli assalti turchi, mentre i signori pi potenti si affannavano a
costituirsi dei domini personali. Goffredo di Buglione fu il primo principe cristiano di Gerusalemme con il titolo di
Protettore del Santo Sepolcro.
2. La seconda Crociata (1147-1149).
Una seconda crociata, di risultati disastrosi, fu promulgata da Eugenio III nel 1147, dopo la caduta di Emessa nelle mani
dei Turchi. La figura pi eccelsa del secolo XII, San Bernardo di Clairvaux, fu chiamato a predicarla, e lo fece con un
tale ardore che convinse i re Luigi VII di Francia e Corrado III di Germania i quali parteciparono di persona nellimpresa.
Gli eserciti turchi e le epidemie dichiarate nelle file dellesercito non permisero raggiungere la finalit della crociata, e
neanche riusc nella conquista di Damasco dopo un lungo assedio. Lunico frutto durevole fu la conquista di Lisbona
con lappoggio al re portoghese di alcuni crociati inglesi e francesi.
3. La Terza Crociata (1189-1192).
Quando il potente Salah ad-Din, nel 1187, riconquist la Citt Santa, lEuropa rimase commossa: era la premessa per la
terza crociata. Durante il periodo di Clemente III, Federico Barbarossa, Filippo Augusto di Francia e Riccardo
dInghilterra presero la croce con i loro eserciti: ma il primo anneg miseramente nel fiume Salef, dopo una serie di
vittorie. Il ricupero di san Giovanni dAcri e la presa di Cipro per opera di Guido di Lusingano, lo spodestato re di
Gerusalemme. La Citt Santa rimase in mano ai Saraceni.
4. La Quarta Crociata (1202-1204).
La morte di Salah ad-Din incoraggi i crociati a ritenere la prova. A capo della crociata, promessa da Innocenzo III, si
trovano dei feudatari senza mezzi e ricattati da Venezia. La storia di questa crociata fu una tragedia dal punto di vista
religioso ed ecumenico, nonch di stolto calcolo politico e diplomatico.
La Crociata dei fanciulli. (1217).
Drammatica fu la chiamata crociata dei bambini: il pastorello francese Stefano, pieno di fervore ma sprovvisto del
minimo buon senso, predic una crociata da farsi esclusivamente con fanciulli; ma i bambini francesi imbarcarono a
Marsiglia su sette navi, furono fatti prigionieri e venduti come schiavi. Un fatto analogo si verific in Germania, dove
schiere di giovinetti, dai 12 ai 18 anni, arrivarono fino Roma, ma poi si dispersero senza aver realizzato la loro impresa
utopica.
5. La Quinta Crociata (1217-1219).
Ebbe la stessa sorte fallimentare: dopo uninconcludente azione in Palestina, i crociati si impadronirono di Damietta in
Egitto, con lidea di scambiarla con Gerusalemme, invece vi rimasero bloccati e dovettero ritirarsi per potersi salvare.
Nel 1219 San Francesco dAssisi tent di convertire il sultano Al-Kamil.
160

6. La sesta Crociata (1228-1229).


Fu lunica, dopo la prima, che ottenne un esito positivo. La guid il quindicenne Federico II, scomunicato da Gregorio
IX per il precipitoso rientro della sua flotta a Brindisi. Mediante trattative con il sultano Al-Kamil, egli ottenne
Gerusalemme, Nazareth e Betlemme, e un armistizio di dieci anni. Gerusalemme rimasse ai cristiani fino al 1244.
7. La settima crociata (1249-1254).
Nel 1248, il re di Francia Luigi IX si assunse il compito di liberare Terra Santa: fu lultima grande crociata del secolo.
Damietta fu riconquistata di sorpresa, ma poi il sovrano cadde prigioniero e dovette pagare un forte riscatto per salvarsi.
8. Lottava Crociata (1270).
In seguito a ci i Musulmani poterono conquistare le fortezze cristiane di Iaffa e di Antiochia. Per liberare gli stati latini
non cera altro mezzo che una nuova crociata. Nel 1270 il santo re prese di nuovo la croce e part con un esercito: sbarc
a Tunisi, ma le epidemie decimarono i suoi soldati ed egli stesso soccombette al colera il 25 agosto, ultimo dei veri
crociati.
Spirito e risultati
Nel secolo XII la storia non conosce solo la spiritualit monastica, a anche forme del tutto nuove di comportamenti
religiosi di dedizione fino al sacrificio, una devozione a Cristo pi viva diversa che nel passato. La spiritualit crociata
appare come un tratto di ricerca della salvezza che ogni cristiano trova nella triplice unione con Dio, in un servizio di
obbedienza con Cristo (Dio lo vuole); in una sequela di morte e di trionfo con lo Spirito Santo, nellentusiasmo della
partenza, considerata una nuova esperienza di Pentecoste.
I Risultati- Positivi:
- Nel settore religioso, suscitarono un indubbio risveglio di fede e di culto al Salvatore povero, pellegrino per la
Palestina e sofferente; accentuarono il senso comunitario del Cristianesimo e il desiderio dellevangelizzazione.
- Una mentalit tipicamente cristiana, sensibile alla dimensione escatologica, per cui la guerra, benedetta dai
papi, era percepita come voluta da Dio, e come via della salvezza.
- Nellambito del mondo sociale, fiorirono in modo imprevisto lindustrializzazione, la civilt cittadina e le
aspirazioni borghesi.
- A livello culturale, loccidente approfond la conoscenza della civilt araba, si diffusero i testi di autori classici
commentati dagli arabi ecc.
Negativi:
- Le ricchezze accesero la bramosia delle classi inferiori oppresse, provocando problemi socio-economici.
- La scoperta di una civilt superiore non cristiana impression loccidente, seminando il germe dellindifferenza.

II.

NUOVE ENTIT POLITICHE CREATE.

a. La figura del Papa appare sempre di pi come quella del gerarca supremo della Chiesa universale. Si sviluppa
la coscienza che in Lui risiede la plenitudo postestatis.
b. La Chiesa si presenta come monarchia assoluta, erede del Imperium Romanum; in essa si vede realizzata la
Civitas Dei di S. Agostino.
c. La curia romana crebbe in dimensioni e capacit decisionali, insieme alla crescente autorit pontificia.
d. Verso lOriente, lespansione missionaria avviene in collaborazione con il potere temporale.
e. Dopo che il papa era diventato un sovrano, una delle costanti difficolt fu rappresentata dal fatto che lo stato
della chiesa dovette prima cercarsi degli alleati che lo difendessero e poi difendersi da queste potenze difensive
che si facevano troppo forti.
f. La formazione di cavalleria come una organizzazione unitaria della nobilt sopranazionale.
g. La nascita dellInquisizione- la collaborazione fra il potere ecclesiastico e quello civile nella lotta contro leresia.

III.

GLI ORDINI CAVALLERESCHI.

A capo del movimento crociato c il papato universale, al suo servizio, i cavalieri cristiani con una coscienza universale.
1.
2.

3.

4.

Lordine del Santo Sepolcro: Il pi antico ordine del Santo Sepolcro, istituito per la difesa del sepolcro di Cristo: nel 1103
Goffredo di Buglione ne affida lincarico a suo fratello Baldovino I.
Lordine dei Templari: Altri cavalieri francesi fondarono verso il 1118 lOrdine dei Templari che raggiunse maggior
importanza dal punto di vista militare. Cos chiamata perch ebbe le sua prima sede sul terreno di quello che si credeva
Tempio di Salmone. Inizialmente otto cavalieri, sotto la guida di Ugo di Payens, si unirono con i tre voti religiosi di
obbedienza, povert e castit ai quali unirono quello di difendere con le armi i pellegrini avviati verso Gerusalemme. I
Templari saranno soppressi allinizio del XIV secolo per interessi di Filippo IV il Bello di Francia.
I Giovaniti: I Giovaniti (Ospedalieri), sorsero pure a Gerusalemme, nellospizio di San Giovanni, per la cura dei pellegrini
malati. Essi seguivano la regola di SantAgostino e i loro membri provenivano dai chierici e dai laici. Osservavano i consigli
evangelici della povert, castit e obbedienza e vivevano in comunit. lattuale Ordine dei Cavalieri di Malta.
LOrdine Teutonico: nacque da un lazzaretto fondato da cittadini tedeschi durante la terza crociata, ma trasfer la sua attivit
in Prussica.

161

IV.

LA CROCIATA CONTRO GLI ALBIGESI E LA NASCITA DELLINQUISIZIONE.

Gli albigesi sono eretici di tipo manicheo, che predicavano lesistenza di due principi divini, uno del bene laltro del
male; le opere di questo secondo principio sono legate, dicevano, alla materia. Nutrivano un forte risentimento contro
la Chiesa Cattolica, e assalirono violentemente alcuni edifici ecclesiastici. Papa Innocenzo III band una crociata contro
di essi e il loro protettore Raimondo VII di Toulouse. Alla crociata partecipano vari nobili della Francia come il Duca
di Borgogna ed il Conte di Neves e la guerra finisce con il trattato di Meaux del 1229.
Fu in occasione della lotta contro gli albigesi che fu creata lInquisizione, istituito preposto alla ricerca degli eretici
(inquirere-cercare) e la loro punizione. I vescovi locali avevano lobbligo di vegliare sul loro gregge. Era interesse
comune della Chiesa e dello stato civile la repressione di quanto si opponeva alla verit della fede e allunit dello stato.
Nel sinodo di Tolosa del 1229 si stabilirono i criteri per lattivit dellInquisizione.

V.

VALUTAZIONE GENERALE DELLE CROCIATE.

a. Le crociate non furono soltanto impresse militari, ma anche manifestazione di spirito religioso, ed eventi di
grande rilievo anche a livello economico.
b. Le crociate servirono anche a svegliare e mettere a punto un sistema militare difensivo di occidente.
c. Le crociate aprirono molti mercati alle attivit economiche, specialmente quelle che ruotavano intorno al
Mediterraneo. La stessa cultura ricevette un forte impulso per lo scambio di conoscenza fra lOriente e
lOccidente.
d. Da un punto di vista religioso le crociate, pi che rappacificare la Chiesa occidentale con quella orientale,
signific un ulteriore passo nella divisione. I latini crearono nei territori conquistati dei nuovi Patriarcati.
e. Crebbe invece, e molto notevolmente, il prestigio e la capacit di mobilitazione della Sede Apostolica, unica
entit capace di ispirare queste imprese unificando le sincere aspirazioni dei principi cristiani occidentali.

162

TEMA 5 5: La Rifo rma Catto lica


I.
RIFORMA CATTOLICA O CONTRORIFORMA?
La Riforma Cattolica si riferisce agli sforzi compiuti dalla Chiesa Cattolica al suo interno per rendere trasparente la
dottrina, assumere la struttura esterna adeguata alla sua missione e stabilire un contatto con la cultura dominante
dellepoca. In questo senso la Chiesa si trova in una situazione di perenne riforma, perch vive nel tempo cercando di
comunicare un messaggio che supera il tempo. La Contro - Riforma, invece, si riferisce alla reazione ecclesiastica al
movimento messo in moto da parte di Lutero e gli altri riformatori. Il concetto pi limitato e non deve trasmettere
l'impressione che lazione riformatrice della Chiesa fosse stata soltanto una reazione alle accuse lanciate dai riformatori.
Tuttavia, com sviluppato nei seguenti paragrafi, si pu ritenere che anche prima di Lutero esistevano allinterno della
Chiesa Cattolica dei movimenti e tentativi con lo scopo di migliorare gli abusi e tendenze corruttive. L'autoriformazione della Chiesa, quindi, stata senza dubbio sollecitata dall'attacco; nella sua essenza, tuttavia essa un
movimento spontaneo, sbocciato dall'intima realt della Chiesa. Si manifesta nelleliminazione dello spirito mondano,
infiltratosi nella Chiesa sopratutto dopo Avignone e, pi precisamente, dello spirito rinascimentale. Essa assai pi
significativa di quanto spesso non si supponga.
II.
I PRIMI PASSI DELLA RIFORMA CATTOLICA
Nel Concilio di Costanza (1414 - 1418) si chiedeva da parte dellimperatore Sigismondo, prima ancora alla soluzione
dei problemi causati dallo scisma occidentale, una riforma della Chiesa in capite et curia Romana. Eletto il papa
unificante Martino V, venivano prese delle decisioni per ristrutturare soprattutto la gestione delle finanze papali
siccome per restringere lo sfruttamento della simonia. Seguivano l'obbligo delluso delle vesti clericali e la limitazione
del numero dei cardinali a 24, scelti per rappresentare i paesi diversi. Nonostante questi sforzi legislativi, mancavano
sia il rendersi conto della gravit della situazione sia la volont per metter in pratica la riforma da parte dei responsabili
della Chiesa. Il tentativo riformatorio risultava, allora, incapace di procurare degli effetti desiderati. Alla sua elezione
(1503), il papa Giulio II si costringeva a convocare un concilio di riforma entro un limite di due anni. Il progetto si
realizz nel 1512 con la convocazione del Concilio Lateranense V (1512 - 1517), la quale, per, veniva subito seguita
dalla morte del pontefice.
Leone X, come il suo predecessore almeno tanto protettore dellarte quanto pastore, procurava delle risoluzioni
riguardanti la distribuzione degli uffici clericali cos come il modo di vivere per religiosi, chierici e laici. Ma neanche
lui era l'uomo da insistere sulla loro realizzazione. Personalit importanti sono: nella Germania, il Card. Nicola di Cues
("Cusanus", +1464) che lavorava per un rinnovamento convocando dei sinodi e visitando i monasteri e diocesi. Nella
Francia, gli spinti della riforma provenivano dallambito accademico, p.e. dal cancelliere dellUniversit di Parigi, Pierre
dAilly (+ 1419), e dal suo successore Giovanni Gerson (+ 1429). Infine, non si deve dimenticare la forte piet popolare,
la quale si manifestava nel fiorire dei pellegrinaggi, nella venerazione dei santi ed in unintensa vita di preghiera. Essa
si realizzava p.e. nello sviluppo della Via Crucis e del Santo Rosario (sec. XV).
III.
GLI ESORDI IN ITALIA E IN SPAGNA
In Italia gli abusi da parte della Chiesa venivano castigati da predicatori di penitenza, il cui pi famoso era Girolamo
Savonarola (+ 1498), Dominicano zelante a San Marcodi Firenze, che per i suoi attacchi implacabili veniva condannato
al rogo. Nascono inoltre dei nuovi movimenti di vita religiosa, che si distinguevano tanto per la loro piet quanto per il
maggior interesse che dedicavano alla vita attiva. Si concentravano per lo pi ai compiti pratici della formazione e
dell'incremento del clero o dellistruzione ed elevazione religiosa del popolo, mediante la predicazione, la catechesi e
l'opera missionaria; altre, specialmente le corporazioni femminili, s'impegnavano nell'educazione della giovent e
nellassistenza agli infermi. Siano menzionate qui le Compagnie del Divino Amore, un movimento di laici, che si
concentrava sulle opere di carit e sulla promozione della devozione popolare. Devoti a S. Girolamo, i suoi membri
organizzavano ospedali, funerali degni per i poveri e delle doti per ragazze senza mezzi propri. L'ordine dei Teatini,
fondato nel 1524 a Roma, si obblig alla povert pi rigorosa e si dedic con fervore alla cura delle anime come alla
formazione sacerdotale.
Nella Spagna, le nozze di Ferdinando dAragona e Isabella di Castiglia fond il regno dei re cattolici. Essi, tramite il
potere secolare, promuovevano la fede della Chiesa, la quale univa il regno minacciato dai Mauri. La concentrazione
del potere politico, la cui mancanza facilitava nella Germania lo sviluppo e la promulgazione della riforma di Lutero,
gli permetteva di rendere la Chiesa pi perspicua e pi unita. Cos, il controllo della nomina dei vescovi, p.e., tramite il
quale si trasmettevano i nomi di candidati veramente adatti, li faceva evitare le tendenze del nepotismo tanto diffuso a
Roma, per cui i vescovi tante volte nemmeno abitavano nelle loro diocesi. Simpegnavano anche nella riforma del clero
secolare, convocando inoltre dei concili provinciali e dei sinodi; la stretta osservanza degli ordini religiosi e l'educazione
cristiana riceveva un impulso forte con la fondazione delluniversit dAlcala, sopratutto con lattivit riformatrice del
Cardinale Ximenes de Cisneros, primate della Spagna 1495 - 1517, che si dedicava alla riforma nazionale della vita
monastica e clericale.

163

IV.
GLI ORDINI RELIGIOSI: NOVIT E RIFORME
Le tendenze riformatrici allinterno della Chiesa si manifestavano inoltre nelle riforme degli ordini tradizionali. Fra i
Cistercensi francesi si costitu nel 1580 il convento di Feuillana presso Tolosa, la congregazione riformata dei Feuillanti.
Sorse tra i Benedettini una serie di congregazioni di disciplina pi severa, fra cui la principale era quella di S. Vannes e
di S. Hidulph in Lorena. Sul modello di questo fu fondata nel 1618 la Congregazione di S. Mauro o dei Maurini, cui pi
tardi si associ la maggior parte dei monasteri Benedettini di Francia. Molto vivaci erano le aspirazioni di riforma negli
osservanti Francescani, che Leone X nel 1517 aveva staccati dai Conventuali. Fra i Carmelitani di Spagna, S. Teresa
d'Avila (+ 1582), investita d'autorit dal papa Pio IV, lavor con successo dal 1562 ai fini di una pi rigorosa osservanza
della regola nei monasteri maschili e femminili dell'ordine. Come movimento di riforma nascono anche i Cappuccini,
fondati da Matteo Bascio nel 1525, che si distinguevano per la loro rigida povert, la barba e il cappuccio dellabito,
godevano di una gran crescita e popolarit. Il tempo era anche dotato da Fondazioni delle comunit che arricchivano la
Chiesa coi loro carismi specifici. Da una confraternit dedicata alla Santissima Trinit, fondata a Roma nel 1548 da S.
Filippo Neri, si svilupp nel 1564 quella chiamata degli Oratoriani. Essa preferiva una forma pi libera d'organizzazione
senza voti e si dedic specialmente alla cura delle anime individuali. Riceve l'approvazione nel 1575 da Gregorio XIII.
Unaltra congregazione di sacerdoti secolari, degli Oblati di Milano, ha per fondatore (1578) S. Carlo Borromeo,
l'arcivescovo di questa citt. La seconda met del sec. XVI vide sorgere ordini di chierici regolari: i Padri della Buona
Morte o Camiliani, fondati da S. Camilo de Lellis; i Chierici Regolari Minori o Caracciolini di Giovanni Adorno e di S.
Francesco Caracciolo; gli Scolopi del sacerdote aragonese S. Giuseppe Calasanzio.
V.
L'EPOCA DEL CONCILIO DI TRENTO
L'imperatore Carlo V regnava in un impero il quale, includendo diversi continenti, mai "vedeva il tramonto del sole".
Francesco I della Francia e Enrico VIII d'Inghilterra desideravano unautonomia pi ampia e nazionale, sia dalla
corona imperiale, sia dalla Santa Sede. Perci, quando il papa Paolo III cercava di convocare un concilio, doveva
affrontare delle difficolt considerevoli, essendo lui stesso considerato a causa dei sui predecessori come potenza
politica ambiziosa. Nel campo politico c'erano le guerre tra Carlo V e Francesco I (1521 - 1549), ambedue di loro potenti
cattolici. Lultimo era opposto ad un concilio radunato con lo scopo di una riconciliazione con i protestanti, cera anche
la resistenza dei principi tedeschi. Dentro la Chiesa si temeva le tendenze conciliariste, che potrebbero consegnare ad
un nuovo concilio lautorit ecclesiastica suprema. Anche la questione del luogo risultava difficile, e solo dopo la pace
di Crepy tra Carlo V e Francesco I, Paolo III poteva nel 1544 convocare il concilio a Trento con la bolla "Laetare
Hierusalem".
VI.
IL CONCILIO DI TRENTO SOTTO PAOLO III E GIULIO III
Primo periodo (1545 - 1549) si svolgeva sotto il pontificato di Paolo III, il quale sospendeva il concilio poche settimane
prima della sua morte. Si trattavano i temi dottrinali accanto ai temi disciplinari. I decreti dottrinali contengono le
seguenti definizioni.
a. Le fonti della fede sono la Sacra Scrittura e la Tradizione, ambedue da venerare con "pari pietatis affectu"; viene
cos rifiutato il principio protestante di "sola scrittura".
b. L'autenticit della Vulgata viene dichiarata, come anche il Canone dei Libri Sacri, inclusi i Libri
Deuterocanonici respinti prima dai protestanti.
c. La dottrina sul peccato originale viene stabilita.
d. Il concetto di giustificazione viene definito. Essa non si fonda solamente sulla fede ("sola fides" secondo i
protestanti), bens la fede ne costituisce l'inizio. Si richiede per anche l'aiuto della grazia e la confermazione
tramite le opere.
e. Si delineano i sacramenti in genere, come pure il battesimo e la cresima in particolare.
Nel campo disciplinare, i decreti regolano il commento alla Bibbia nelle cattedrali; la riforma della predicazione; i
doveri dei vescovi, tenuti ad abitare nella propria diocesi, a visitare le parrocchie periodicamente, a curare il clero e
anche gli ospedali. Vengono vietate le accumulazioni duffici.
Secondo periodo (1551 - 1552) sotto Giulio III cominciava con l'alienamento dei protestanti. Essi avevano messo delle
condizioni inaccettabili per continuare la loro partecipazione alle sessioni. Si richiedevano p.e. lindipendenza dal papa,
l'annullamento di tutti documenti segnati fin a questo punto e la ripresa dal concilio sin dallinizio; quando queste
richieste non venivano rispettate, si ritiravano dai lavori conciliari. Le dichiarazioni dogmatiche di questo periodo
riguardano:
a. L'eucaristia e la presenza reale di Cristo tramite essa. Cristo presente "vere, realiter et substantialiter" con
corpo/sangue, anima e divinit.
b. La penitenza come giustificazione anche dopo un peccato mortale, con gli elementi di contrizione, confessione
e riparazione. Viene prescritta la confessione auricolare.
c. L'estrema unzione viene definita come sacramento.
I decreti disciplinari regolano i costumi dei chierici, l'autorit dei vescovi e la collocazione dei beni ecclesiastici.

164

VII.
L'AFFERMARSI DELLA RIFORMA CATTOLICA SOTTO PAOLO IV
Anche nellambito romano si pu osservare nell'elezione di un papa riformatore, Marcello II, come successore di
Giulio II; vive da papa per solo pochi giorni. Il suo successore, Paolo IV (1555 - 1559), promoveva la riforma per
conto suo, servendosi soprattutto dell'indice e dellinquisizione romana, fondata da Paolo III sul suo suggerimento. Fu
anche co-fondatore dell'ordine dei Teatini e faceva parte dellOratorio del Divino Amore. Avendo, per, un carattere
irascibile e alle volte sfrenato ed essendo scettico per quanto riguardava il concilio, infittiva alle volte pi danno alla
riforma che promuoveva. La maggior parte della riforma in questo periodo dovuta allinflusso dei Gesuiti (cf. l'ultimo
paragrafo).
VIII. PIO IV E LA CONCLUSIONE DEL CONCILIO DI TRENTO
Terzo periodo (1562-1563) si svolgeva sotto il pontificato di Pio IV, che si affidava da gran parte ai suggerimenti del
suo nipote di 21 anni, S. Carlo Borromeo, creato da lui cardinale segretario di stato ed arcivescovo di Milano. Sotto il
suo influsso promulgava dei decreti riguardanti i seguenti temi:
a. La comunione sotto due specie non necessaria a causa della totale ed indivisibile presenza di Cristo in ambedue
forme. Viene concesso il calice ai laici solo date certe condizioni, nella provincia ecclesiale Germanica.
b. Il carattere sacrificale della messa viene definito, la quale allo stesso tempo commemorazione e rende presente
il sacrificio della croce senza rompere l'unicit del sacrificio di Calvario. La messa pu esser offerta in onore di
santi o per l'intenzione dei fedeli morti o vivi.
c. Il carattere sacramentale del matrimonio si definisce nel suo aspetto unitario ed indissolubile. I matrimoni
clandestini vengono vietati.
d. Viene delineato il sacramento dellordine come anche l'istituzione dei seminari per la preparazione ad esso.
e. Il potere di perdonare tutti i peccati viene dichiarato come proprio della Chiesa. La realt del purgatorio come
anche l'utilit delle preghiere per la Chiesa purgante sono dichiarate.
f. Il culto alle reliquie ed alle immagini viene regolato tramite gli ultimi decreti.
Il concilio si termin il 4 dicembre 1653, i decreti venivano firmati da 217 padri conciliari. Con la bolla "Benedictus
Deus" Pio IV convalidava i decreti il 30 giugno 1564.
IX.
RINNOVAMENTO DELLA CHIESA DOPO IL CONCILIO DI TRENTO
La realizzazione dei decreti del concilio incontrava inizialmente delle difficolt considerevoli. L'erezione di seminari,
p.e., risultava difficile a causa della mancanza sia dinsegnanti adatti, sia dei soldi. Le differenze tra clero secolare e
regolare e l'essenza degli ordini non facilitavano un progredire efficace dei riformatori, come pure l'influsso politico
ancora notevole dentro la Chiesa. L'andare avanti della riforma dovuto sopratutto a vescovi zelanti come S. Carlo
Borromeo ed agli ordini talvolta appena nati.
I papi promovevano il concilio in modi diversi. S. Pio V procurava i mezzi per lunificazione del culto tramite il
catechismo per i parroci, il messale romano ed il breviario romano. Gregorio XIII (1572-1585) promuoveva gli studi
ecclesiastici fondando luniversit Gregoriana, affidata ai Gesuiti, ed istigando le fondazioni di collegi nazionali a Roma,
centralizzando cos la formazione del clero. Sisto V ristrutturava la curia e istituiva la Congregazione del Concilio,
mezzo ed autorit per l'applicazione del concilio alle situazioni concrete. Alla sua iniziativa si rifanno anche la revisione
della Vulgata ("Sisto-Clementina"), come anche le obbligatorie visite ad limina dei vescovi.
La Societas Jesu, i Gesuiti (SJ), si mostravano fedeli lavoratori per lapplicazione del concilio. Fondati da S. Ignazio di
Loyola, soldato spagnolo convertito dopo le ferite gravissime ricevute nella difesa di Pamplona, a Parigi, dove i primi
membri facevano i suoi voti a Montmartre nel 1534, si mettevano al servizio senza condizioni del papa, la cui
approvazione hanno ricevuto nel 1540. Si distinguevano per la loro spiritualit, vissuta sistematicamente tramite gli
"Esercizi" del fondatore, e l'impegno culturale e teologico. Cos risultava naturale di affidare a loro la predicazione come
anche leducazione cattolica dopo Trento. Si mostravano degni di questa fiducia, realizzando il compito tramite un
metodo pedagogico solido, la "ratio studiorum" distinta secondo le materie umanistiche - filosofiche - teologiche, le
pratiche religiose e una fedelt assoluta sia allortodossia cattolica sia al papa.

165

TEMA 5 6: La Chiesa Catto lica e il Liberalismo :


Grego rio XVI e Pio IX
INTRODUZIONE
Per liberalismo si intende il movimento di carattere filosofico, politico, sociale ed economico ispirato al principio della libert in
ogni campo, che si afferm in Europa dopo la Rivoluzione francese e caratterizza lepoca moderna fino alla prima guerra mondiale.
In Inghilterra liberalismo acquista un chiaro significato politico, opponendosi a conservatore; in Germania ha un senso piuttosto
culturale e religioso; e nei diversi paesi latini viene identificato come parola che si identifica con antitradizionale, anticattolico e
laicista.
Liberalismo cattolico il movimento religioso e culturale che, sviluppatosi durante lOttocento nelle nazioni cattoliche di Europa,
persegue come scopo principale la conciliazione tra la fede tradizionale e le libert moderne proclamate dalla Rivoluzione francese.

I.

INTRANSIGENTI E LIBERALI CATTOLICI

Dallatteggiamento di condanna del liberalismo da parte del papato e dellepiscopato europeo ebbero origine le correnti
dellintransigentismo cattolico che, con sfumature diverse, comprendono gruppi di cattolici puri, legittimisti,
allopposizione, sociali, ecc. Cosi cerano i cattolici liberali non-ubbidienti, che pur non approvando le direttive
laiche dello stato uscito dal moto risorgimentale, riteneva che questo stato fosse ormai una realt storica in cui ci si
doveva inserire, costituendovi un partito conservatore a sostegno di principi ed istituzioni della tradizione cattolica
nazionale in spirito di leale collaborazione coi pubblici poteri. I cattolici intransigenti si caratterizzarono per
unadesione incondizionata a Roma sul piano religioso e politico-sociale; per unaspirazione a creare un movimento su
base nazionale; per la disponibilit del laicato al servizio della Chiesa a scopo di apostolato. Il papato ritorn ad essere
il centro di attrazione per tutti i cattolici dEuropa. In Italia si form il Movimento cattolico che, dopo il 1874, fu
imperniato nellOpera dei Congressi. In Europa prese anche il nome di Ultramontanismo (nei paesi al di l delle Alpi).

II.

LA CRISI DEL LIBERALISMO FRANCESE

Il personaggio pi conosciuto nel movimento liberale francese fu Lamennais, un liberale che invoc la separazione tra
la Chiesa e lo Stato e la libert di coscienza, educazione e stampa. Con Henri Lacordaire, Carlos di Montalambert e un
gruppo di scrittori romani cattolici e liberali, egli aveva un giornale quotidiano per diffondere i temi del liberalismo che
si chiama LAvenir e che aveva un motto, pi che titolo: Dio e la libert. Le polemiche di Lamennais contro il
gallicanesimo e la filosofia scolastica gli avevano gi procurato una serie di opposizioni da parte del episcopato e dei
teologi francesi, specialmente da parte della Compagnia di Ges. Il Papa Gregorio XVI condann un numero di punti
fondamentali del liberalismo francese nellenciclica Mirari Vos.
Conosciamo gi gli episodi principali della persecuzione rivoluzionaria: confisca dei beni ecclesiastici (1789);
soppressione degli Ordini religiosi (1790); costituzione civile del clero, riduzione delle diocesi, distacco da Roma, ecc.
altri fattori scatenarono una nuova lotta contro i cattolici un secolo dopo: lavversione del regime repubblicano impostosi
in Francia dopo il 1870; dissidi fra il governo e la Santa Sede sul tema della nomina dei vescovi; laffare Dreyfus e la
visita del presidente della repubblica allo scomunicato re dItalia. Parecchie leggi anticlericali colpirono le scuole
cattoliche; le congregazione religiose furono perseguitate; le opere dassistenza e di beneficenza furono chiuse o
assorbite dallo stato. Si accentu lazione scristianizzante della societ col governo di Emilio Combes, un ex-seminarista
divenuto massone.

III.

LA CONTROVERSIA TRA CATTOLICI SUL LIBERALISMO ALLINDOMANI DEL 1848.

Lanno 1848 si apr sotto inquietanti auspici: doveva essere il pi agitato che la storia avesse portato da cinquantanni.
Le forze che travagliavano lEuropa dacch il 14 di luglio 1789 la Rivoluzione si era messa in moto, provocarono una
crisi assai pi vasta, alla quale pochi paesi poterono sfuggire.
Cominci il 12 di gennaio a Napoli e a Palermo, dove il re Ferdinando II fu costretto a concedere una costituzione. Il 17
di febbraio anche Leopoldo II, granduca di Toscana, doveva concederne una a Firenze e il 4 di marzo Carlo Alberto a
Torino. Il 22 febbraio erano stati i parigini ad entrare in azione: travolto dalle ondate unite della media borghesia che
reclamava una riforma elettorale, e del popolo esasperato dalla crisi economica, dalla disoccupazione, dallalto costo
della vita, il regime di Luigi Filippo croll e il vecchio re podagroso, vittima della sua cieca ostinazione, dovette
abdicare. Leco delle trois glorieuses risuon allora in tutta lEuropa come un appello di rivendicazioni. Davanti a questo
improvviso scatenamento di combattimenti sanguinosi, Pio IX ne comprese subito. Gli avvenimenti che si succedono
e si accumulano con una cos grande rapidit, esclam in una proclamazione pronunciata il 20 di marzo, non sono
certamente opera umana. In questa grande tempesta che agita, curva, sradica e riduce a pezzi i cedri come le canne, guai
a chi non ascolta la voce del Signore.
23 marzo 1848: scoppia la prima guerra dindipendenza. Lindomani del 15 di novembre di 1848, una folla urlante
assedi il Quirinale, reclamando chi una nuova costituzione, chi la dichiarazione di guerra allAustria (a cui
espressamente Pio IX si era opposto perch Austria non aveva dato motivo), chi labbandono del potere temporale,
ecc. Il Papa usc dalla citt e part per Gaeta, terra napoletana. Unassemblea costituente, con 134 voti contro 123,
166

dichiar il Papato decaduto di fatto e diritto dal governo temporale dello Stato romano e proclam la Repubblica
Romana, specificando bene per che il Pontefice avrebbe avuto tutte le garanzie necessarie per lindipendenza
nellesercizio del suo potere spirituale. Fu costituito un triumvirato, presieduto da Mazzini. Pio IX lev una solenne
protesta davanti al Sacro Collegio e a tutto il Corpo Diplomatico. Giacomo Antonelli, il famoso Segretario di Stato del
Papa, chiese aiuto alla Francia. I francesi entrarono in Roma dopo aver combattuto contro i nazionalisti romani e in
queste condizioni Pio IX, dopo diciassette mesi desilio, torn nella sua citt il 12 aprile 1850.

IV.

LENCICLICA QUANTA CURA E IL SYLLABO: PREPARAZIONE E REAZIONI.

Lidea di una condanna solenne delleresia dellepoca non era di ieri. Anche senza risalire fino alla Mirari Vos e alla
Singulari nos, le encicliche pubblicate da Gregorio XVI durante il caso Lamennais, si possono trovare loro parecchi
antecedenti.
Pio IX incaric alla stessa commissione che aveva preparato il testo del dogma dellImmacolata Concezione di studiare
il problema. Questa fa un progetto, un catalogo di sessantun proposizioni condannate, il quale fu sottoposto ai vescovi
venuti a Roma, nel 1862, per la canonizzazione dei martiri giapponesi. La grandissima maggioranza dellepiscopato si
era dichiarata daccordo su questo progetto.
Due anni dopo usc il documento pontificio, che comprese due testi, alquanto differenti di tono, ma complementari: una
enciclica, la Quanta Cura, e un catalogo, Syllabus, vero repertorio delle dottrine, teorie, idee, affermazioni che la Chiesa
condannava. Nellenciclica, si potevano notare sei punti principali: la condanna del principio dello Stato laico, che vuole
che la migliore costituzione umana sia costituita e governata senza vero riguardo della religione come se non esistesse,
quella della libert di coscienza e dei culti, quella della sovranit del popolo considerata come legge suprema, prosciolta
da ogni diritto umano o divino, e daltra parte tre affermazioni solenni: quella dellindipendenza assoluta della Chiesa
di fronte a ogni potere civile, quella del suo sacro diritto a formare le coscienze e in particolare quelle della giovent e
infine quella della pienezza dellautorit pontificia anche in quei campi che non riguardano i dogmi della fede e dei
costumi.
Il Syllabus, poi, passava in rivista tutte le dottrine, recenti o no, che scalzavano la religione, la Chiesa, la societ cristiana.
Sia il razionalismo che pretende di opporre la ragione alla rivelazione, il naturalismo negatore di Dio, il panteismo che
vede il divino dappertutto, sia lindifferentismo che permette a ciascun uomo di credere o di non credere a suo talento,
e lutilitarismo che gli consiglia di accumulare ed accrescere per qualsiasi materia le ricchezze, non che di contentare
la volutt.
Logicamente il Syllabus ebbe leffetto di una bomba: il Papa dichiarava la guerra alla sua epoca! Il governo di
Napoleone III dichiar ambedue documenti contrari ai principi sui quali si fondava la costituzione dellImpero, ne
proib la pubblicazione, defer al Consiglio di Stato, per abuso, i vescovi che li fecero leggere dal pulpito. In Italia, a
Napoli e a Palermo, furono organizzate delle cerimonie in cui si bruciarono solennemente i due documenti, non senza
grandi discorsi ed imprecazioni. In Germania, i giornali protestanti annunciarono che si stava tornando allInquisizione.
Ma ci furono anche reazioni diverse, per esempio, in Italia certi vescovi organizzarono raduni di fedeli per ringraziare
il Papa del suo intervento (a Torino oltre 150.000!). Montalembert, Newman e molti altri li ammisero senzaltro.

V.

I PROGRESSI DELLULTRAMONTANISMO.

I quindici anni del pontificato di Gregorio XVI furono marcati dal trionfo e sviluppo dellultramontanismo. In Francia,
il gallicanesimo si indebolisce dopo il 1830; La rinuncia di numerose diocesi ad usare le liturgie francesi moderne, gi
prima del 1848, apparve concretamente come una grande vittoria dellultramontanismo sul particolarismo ecclesiastico.
I due ardenti difensori del movimento ultramontano nellepiscopato francese erano Mons. Gousset e Mons. Parisis. La
campagna ultramontana era favorita dai diversi elementi: la caduta dei Borboni, facendo mancare il fondamento per il
lealismo monarchico sostenuto dal gallicanesimo e il carattere anticlericale della monarchia di luglio; la debolezza di
alcuni vescovi nella lotta per la libert dinsegnamento; il basso clero cerc un appoggio dalle congregazione romane
contro larbitrio dei vescovi, ecc.
In Germania, lo sviluppo dellultramontanismo era pi lento per certe opposizioni dei molti teologi. Tuttavia, autori
come Leibermann, Klee e Phillips sostenevano la prospettiva pi romana, di centralizzazione alla Curia di Roma. Un
vero partito ultramontano si form in Germania nel quale confluiscono gli ecclesiastici e i laici, prendendo il suo centro
in Mangonza e avendo un organo che si chiamava Der Katholik.
Daltra parte molti nunzi in tutto il mondo appoggiavano lazione degli ecclesiastici ultramontani e si preoccupavano di
orientare verso i collegi romani il maggiore numero possibile di studenti.

VI.

IL CONCILIO VATICANO I E IL LIBERALISMO

L8 dicembre del 1869 Pio IX apre solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano I. Sono presenti circa 700 vescovi e
cardinali. Il programma, anchesso fissato con cura, comportava due specie di questioni, le une dogmatiche e le altre
disciplinari; la costituzione Dei Filius afferma, in opposizione al tradizionalismo, la capacit della ragione di conoscere
con le sue forze alcune verit fondamentali come lesistenza di Dio. Il testo conciliare ribadisce, contro il razionalismo,
167

lesigenza di una rivelazione per la conoscenza delle verit soprannaturali; esprime la vera natura della fede, virt
soprannaturale basata sulla Parola di Dio, dimostra l'accordo fra ragione e la fede.
La costituzione Pastor Aeternus sancisce due dogmi: primato universale di giurisdizione del papa su tutta la Chiesa;
la sua infallibilit personale nelle definizioni ex cathedra, in materia di fede e morale. Il concilio viene sospeso con la
presa di Roma da parte del governo italiano il 20 settembre 1870.

VII.

LA QUESTIONE ROMANA

Nella sua accezione pi generale, questione romana indica il problema della libert del Pontefice in Roma dove
tradizionalmente aveva risieduto. I Savoia, nel 1870, riescono a coronare il loro progetto, con la conquista di Roma, che
completa lunificazione della penisola.
Il re Vittorio Emanuele fece preparare e approvare il 13 maggio 1871, una Legge delle Guarentigie che doveva
regolare la situazione del Sommo Pontefice. Lo Stato Italiano riconosceva linviolabilit della persona del Papa, la sua
qualit di sovrano, il possesso del palazzo del Vaticano, del Laterano, della Cancelleria e della Villa di Castelgandolfo,
garantiva la piena libert dei conclavi e dei concili, rinunciava a qualunque controllo negli affari ecclesiastici ed
assicurava alla Corte pontificia una dotazione annua di 3.225.000 lire. Pio IX non accett, lenciclica Ubi nos respinse
la legge del governo subalpino. La scomunica maggiore fu scagliata contro gli spogliatori della Sede Apostolica. Tra
la Chiesa e il nuovo Stato, era dunque una rottura totale. Pio IX era divenuto il prigioniero del Vaticano e i suoi tre
successori manterranno lo stesso atteggiamento per cinquantanove anni, fino alla soluzione nel 1929 con la firma dei
Patti Lateranensi (Pio XI). Essa consistette nellavere creato un vero stato, lo Stato della Citt del Vaticano, il quale,
senza aver importanza politica, possiede peraltro tutte le prerogative e le garanzie della perfetta sovranit, di quella
effettiva libert, quindi, pretesa programmaticamente per tanti secoli.

168

TEMA 57: La Dimensione Secolare della Vita Cristiana


I.
INSEGNAMENTI BIBLICI SUL MONDO.
Non esiste nella Bibbia ebraica una traduzione specifica per designare il termine mondo. Troviamo invece, altre
espressioni per questo scopo:
NellA.T. si adoperano il cielo e la terra (Gn 1,1; Ger 51,15), o anche il tutto (Is 44,24; Sal 8,7); nei libri
veterotestamentari, scritti originalmente in greco troviamo kosmos (2 Mac 7,9; Sap 7,17). Nel N.T. gli autori invece
adoperano indistintamente tali espressioni (Mt 24,35; At 17,24; Sap 7,17).
Per indicare questo concetto lebraico biblico usa pure olam che significa il mondo sottomesso al tempo di cui soltanto
Dio conosce la durata. Tale parola ebraica stata tradotta dai LXX con quella greca aion che nel greco classico
indicava la durata della vita umana, e per estensione un periodo di tempo duraturo. Da sua parte la Volgata traduce
ambedue con saeculum (secolo) che nellambito cristiano diviene sinonimo di mondo.
Tra le diverse affermazioni bibliche sul mondo pi importanti abbiamo:
a. Il mondo creato da Dio: Viene insegnata la trascendenza assoluta di Dio rifiutando la visione panteista; perci
viene ammessa la bont originaria del mondo- prospettiva antidualistica- in quanto che la materia non
intrinsecamente cattiva e in quanto che essa non si oppone radicalmente allo Spirito. (Gn 1, 10.18.21)
b. Il carattere drammatico del mondo: Larmonia originaria delluniverso frantumata dal peccato originale (Gn 3,
16-19); e di conseguenza il mondo sottomesso alle conseguenze dal peccato che si rivela come causa vera del
male. (Rm 8, 18-23).
c. Il mondo sottomesso al giudizio di Dio: Lespressione giudizio di Dio appare come peggiorativa; il mondo
deve essere messo a giudizio perch non ha voluto riconoscere il Figlio di Dio, e cosi si opposto a Dio stesso.
(Gv 7, 7-14; 1 Cor 2, 12).
d. Il mondo sottomesso alla promessa: Lamore di Dio pi forte del peccato e Lui ha promesso la salvezza del
mondo inviando suo Figlio per salvare il mondo, e non per condannarlo. (Gv 3, 16ss.; 8, 12).
e. La pienezza del Regno e lescatologica: Il mondo sar pienamente rigenerato in Cristo soltanto alla fine dei tempi,
anche se la redenzione gi operante. Ladempimento della promessa avverr in un nuovo cielo e una nuova
terra (Ap 21, 1; Is 65, 17).
f. Preghiera durante lUltima Cena: Io non sono pi del mondo: essi invece sono del mondo Non chiedo che tu
gli tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo
(Gv 17, 11. 15. 16). La situazione dei discepoli nel mondo e sintetizzata da Ges nella preghiera sacerdotale
durante lultima cena. Il cristiano in Cristo mediante la fede e la carit non appartiene pi al mondo del peccato
perch una nuova creatura (Gal 6, 15); tuttavia, egli nel mondo e deve rimanere in esso rendendo testimonianza
di Cristo morto e risorto per la salvezza degli uomini, e cos vince il mondo con la sua fede.

II.

LAMORE CRISTIANO AL MONDO

Latteggiamento del cristiano davanti al mondo non pu essere di avversione, se non quello dellamore; questamore
non procede soltanto da una contemplazione naturale della bellezza, dellordine e della armonia del universo, ma che
sorge di qualcosa di pi profondo in quanto un amore teologale. Questamore affonda le sue radici nella
contemplazione soprannaturale del creato: Bisogna amare il mondo appassionatamente, ma in Dio e da Dio, fonte di
ogni amore (S. Josemaria Escriv).
Adesso seguiremmo da vicino la dottrina di S. Josemaria, uno dei pi importanti promotore di una spiritualit secolare
sullamore cristiano per il mondo. Si possono individuare 3 pilastri:
a) La contemplazione dellopera creatrice di Dio alla luce della fede:
Il cristiano ama il mondo perch Dio lo ha amato ed lamore divino a rendere buone le cose, di conseguenza il cristiano
vede il mondo comeffetto della Somma Bont e perci lo guarda con amore:
La fede cristiana ci porta a vedere il mondo come creazione del Signore, apprezzando tutto ci che giusto e bello,
riconoscendo la dignit dogni persona, fatta ad immagine di Dio.
Dunque lamore del cristiano per il mondo un amore che scaturisce dal suo amore per Dio, nonch dal fatto di essere
consapevole della sua filiazione divina:
Dal momento che siamo figli di Dio, questa realt ci porta anche a contemplare con amore e ammirazione tutte le
cose che sono uscite dalle mani di Dio, Padre e Creatore. In tal modo, amando il mondo che diventiamo contemplativi
in mezzo al mondo.
b) Lottimismo cristiano basato sulla virt della speranza:
Il cristiano non ignora la presenza del male nel mondo, ma anche consapevole che tale presenza non ha potuto
distruggere la bont originaria del mondo; e per questo il cristiano non deve assumere un atteggiamento disfattista al
mondo:
inammissibile pensare che per poter essere cristiani sia necessario voltare le spalle al mondo, guardare con
pessimismo la natura umana. Tutto ci che onesto, fino al pi piccolo avvenimento, racchiude in se un significato
umano e divino.
169

Il male e il bene si mescolano nella storia umana, e il cristiano deve essere quindi una creatura capace di discernere:
ma questo discernimento non lo deve condurre mai a negare la bont delle opere di Dio; al contrario lo deve condurre
a riconoscere il divino che si manifesta nellumano, persino nella nostra debolezza
C) Contemplazione unitaria del disegno salvifico di Dio:
Da quando Dio ha manifestato il suo amore per il modo tramite lincarnazione del Verbo, non ci sono pi realt profane.
Cristo ci rivela la bont che hanno tutte le cose, da una prospettiva soprannaturale alla luce di un disegno unitario
salvifico di Dio in Cristo.
Tutte le cose della terra sono buone e non solo in maniera naturale, ma anche per lordine soprannaturale al quale
sono state destinate.
Ges stato inviato dal Padre per riconciliare luniverso con Dio, e per raggiungere questo scopo vuol servirsi dei
cristiani, che nel battesimo sono diventati Figli di Dio. Dunque, Dio ha affidato al cristiano il compito di ripristinare la
bont originaria e di conseguenza, lamore teologale per il mondo deve essere una dimensione costitutiva della vita
spirituale di ogni fedele.

III.

DIMENSIONE SECOLARE DELLA CHIESA E INDOLE SECOLARE DEI FEDELI LAICI.

Il sostantivo secolarit dorigine moderna, essendo stato coniato per designare la condizione o le caratteristiche
proprie della realt appartenenti al mondo o secolo, e pi concretamente il loro positivo valore cristiano. Quindi si
contrappone a secolarizzazione o secolarismo che, designano in qualche modo il mondo che si allontanato da Dio
e della Chiesa, o come modo di parlare che disprezza la realt terrena.
Negli studi alla met del s. XX sul laicato, la secolarit designa la condizione propria dei laici, la loro presenza nel
mondo, la loro dedicazione alle occupazioni e ai compiti temporali o secolari. Da 1970 si comincia a parlare di
secolarit della Chiesa conservando il suo significato originale: la relazione che le realt cristiane hanno con il mondo
e con la storia. In questo senso Paolo VI affermava: La Chiesa ha unautentica dimensione secolare, inerente alla sua
intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo incarnato, e viene realizzata in forme diverse per
i suoi membri.
Il Concilio Vaticano II mostra anche questo contenuto teologico:
a) Apostolicam actuositatem 5 e 7: La missione della Chiesa non soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua
grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare lordine delle realt temporali con lo spirito evangelico .
b) Gaudium et spes, 40 e 42: La Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica alluomo
la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo La missione propria
che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non di ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso di
ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze che
possono contribuire a consolidare la comunit degli uomini secondo la legge divina.

Lespressione dimensione secolare della Chiesa, o secolarit di tutta la Chiesa ha un significato non puramente
sociologico, ma teologico: sta a significare la responsabilit di tutti i fedeli ad essa appartenenti nei riguardi delle realt
secolari, giacch la Chiesa non vive in un mondo che le estraneo, ma in un mondo al quale si sa inviata e al quale
annuncia e comunica la vita divina che essa stessa vive.
Laffermazione della dimensione secolare della Chiesa ha per i fedeli delle profonde conseguenze spirituali; mette in
evidenza il compito di ogni cristiano di sentirsi aperto al modo e collaborare alla sua animazione cristiana; e nel
contempo la partecipazione di ogni cristiano a questo compito sar secondo la peculiare vocazione ricevuta.
Giovanni Paolo II: Tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In
particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalit di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, loro propria
e peculiare: tale modalit viene designata con lespressione indole secolare . (Christifideles laici, 15). Dio chiama i laici

proprio a santificare il mondo dal di dentro, a infondere nelle realt temporali la linfa del Vangelo in modo che anche in
esse si rifletta la forza salvifica della Grazia.

IV.

INSEGNAMENTI DEL CONCILIO VATICANO II SULLA VITA SPIRITUALE DEI FEDELI LAICI.

Apostolicam actuositatem n. 4: La spiritualit dei laici in ordine allapostolato.


NellA.A. 4, sindicano due coordinate per determinare i lineamenti della spiritualit laicale:
a) Quella verticale costituita dalla sequela e imitazione di Cristo, vale a dire, lunione esistenziale con Ges,
caratteristica che e comune alla vita spirituale dogni cristiano.
b) Quella orizzontale invece integrata dalla missione specifica dei fedeli laici, la santificazione del mondo
dallinterno, caratteristica loro particolare.
Il decreto conciliare insegna che bisogna non separare tali coordinate nella loro vita spirituale, ma piuttosto che vanno
intrecciate in una sintesi profonda:
1. Il punto di partenza la coordinata verticale, lunione con Cristo; Siccome la fonte e lorigine di tutto
lapostolato della Chiesa e Cristo, mandato dal Padre, evidente che la fecondit dellapostolato dei laici
170

dipende dalla loro vitale unione con Cristo, perch il Signore dice: Chi rimane in me ed io in lui, questi produce
molto frutto, perch senza di me non potete far nulla (Gv, 15,5). Questa vita intima con Cristo si alimenta nella
chiesa con gli aiuti spirituali, che sono comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione attiva nella sacra
liturgia.
2. a partire di questo momento, la coordinata verticale sintreccia con quellorizzontale: I laici devono usare
tali aiuti in modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni ordinarie
della vita, non separino dalla propria vita lunione con Cristo, ma svolgendo la propria attivit secondo il volere
divino, crescano sempre pi in essa.
Il n. 4 di A.A. prosegue spiegando il modo in cui il laico deve praticare le virt teologali attraverso la sua vita quotidiana;
tale vita richiede un continuo esercizio della fede, della speranza e della carit.

a) Per quanto riguarda la fede, il fedele laico deve essere capace di riconoscere Dio sempre e dovunque e di cercare
in ogni avvenimento la sua volont. Tale fede si nutre nella meditazione della Parola di Dio, cos si intensifica
la loro preghiera in mezzo alle attivit quotidiane.
b) Per quanto riguarda la speranza, il fedele laico pu realizzare una sintesi tra la dimensione escatologica delle
attivit umane e lanimazione delle realt temporali, nel senso che il cristiano non si disimpegna delle realt
temporali a causa della sua speranza, bens questa lo spinge allazione per stendere il regno di Cristo in questo
mondo.
c) Per quanto riguarda la carit, il Concilio la segnala come la forza per poter realizzare la sintesi tra la dimensione
verticale ed orizzontale pocanzi accennate, chiave di volta della vita spirituale dei fedeli laici. (Gal 6,10; 1Pt
2,1; Rm 5,5).
Il documento segna limportanza di altre virt come la povert, lumilt, la fortezza, la prudenza, ecc ce una
particolare menzione sullamicizia come uno dei valori della spiritualit laicale, anche sulle virt che rendono possibile
la convivenza nella societ civile.
Alla fine del documento, si fa un riferimento particolare alla Madonna come modello di uno stile di vita spirituale e
apostolico in mezzo al mondo.

171

TEMA 58: La Diocesi e le altre Strutture Gerarchiche


I.
LA CHIESA PARTICOLARE: LE SUE NOTE ESSENZIALI.
La Chiesa non appare visibilmente solo nella sua dimensione universale, ma anche presente e operante nelle Chiese
particolari (cf. CD, 11; can 369), formate ad immagine della Chiesa universale, nelle quali e dalle quali sussiste la sola
e unica Chiesa di Cristo (cf. LG, 23; can. 368). Le Chiese particolari, pur essendo particolari, si fa presente la Chiesa
universale con tutti i suoi elementi essenziali, ma tuttavia non sono in se stesse un soggetto completo ed autosufficiente,
perch uno dei loro elementi essenziali la comunione con la Chiesa universale, che si fa presente in esse. Il tutto non
la somma delle parti, n le parti ununit parziale, ma il tutto, contemporaneamente opera ed esiste in ognuna delle
parti (Rouco).
La categoria stessa di Chiesa particolare possiede unoperativit giuridica limitata, dato che non sufficiente da sola
a dare ragione delle molteplici espressioni particolari della presenza salvifica dellunica Chiesa di Cristo (CN, 7)
conosciuta dallesperienza canonica. Possiamo dire che esiste un uso canonico, ma non una nozione canonica di Chiesa
particolare. Per questo risulta utile la nozione generica di circoscrizione ecclesiastica, che si pu riferire a tutte le
istituzioni attraverso le quali la Chiesa si organizza nella dimensione particolare (CN, 7).
Il diritto stabilisce i criteri di determinazione dellambito pastorale proprio di ogni circoscrizione e della comunit
cristiana che la costituisce. Il criterio territoriale ha goduto tradizionalmente di una prevalenza poich permette una
distribuzione certa ed omogenea delle responsabilit pastorali e assicura lunit di regime nelle diocesi, necessaria
affinch compiano il loro fine. Tuttavia il CVII ha evidenziato lopportunit di rendere pi flessibile lapplicazione del
criterio territoriale per venir incontro alle missione nei luoghi, situazioni o circostanze in cui le strutture risultavano in
pratica insufficienti a rispondere allesigenze pastorali del mondo moderno. Il territorio non elemento costitutivo ma
elemento determinante della Chiesa particolare. Cos il canone 372 stabil il criterio territoriale come regola generale
per ammettendo altre possibili criteri di natura personale (rito, nazionalit).
Lunit dellepiscopato, con la partecipazione collegiale che comporta la sollicitudo omnium Ecclesiarum, e la presenza,
interna a ogni Chiesa particolare - come elemento essenziale che la costituisce ad immagine della Chiesa universale
(CN, 13) del ministero petrino, costituiscono questunit della Chiesa nella diversit (comunione).
II.
DIVERSE FORME GIURIDICHE IN CUI APPAIONO LE CHIESE PARTICOLARI.
Risposto pi avanti (Altre strutture gerarchiche in cui concorrono alcuni elementi propri della Chiesa particolare).
III.
LA DIOCESI, PARADIGMA GIURIDICO DI CHIESA PARTICOLARE.
Il regime giuridico della diocesi regolato dettagliatamente nel codice (verso 200 canoni), mentre solo uno o al massimo
quattro sono dedicati ad ognuna delle altre restanti circoscrizioni. Questo rispecchia la tecnica legislativa che assimila
giuridicamente alle diocesi una serie di circoscrizioni ecclesiastiche, con caratteristiche diverse (can. 368). Questo si
chiama lequiparazione giuridica, che senza eliminare le differenze permette che, quando non sia stabilito diversamente,
il regime giuridico previsto per la diocesi si applichi analogamente alle entit assimilate. Cos si evita il moltiplicarsi di
norme eguali (economia normativa) per casi simili. Il regime della diocesi anche, per analogia di legge, referente
normativo per le istituzioni non menzionate nel can. 368.
In alcuni uffici principali la potest propria, in altri vicaria. Nelle diocesi, lautorit episcopale piena, e nelle altre
circoscrizioni lautorit quasiepiscopale, poich le attribuzioni giurisdizionali di un vescovo diocesano non
appartengono allordine episcopale di chi le presiede (le circoscrizioni con autorit quasiepiscopale partecipano alla
potest episcopale del Romano Pontefice).
La diocesi la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del
presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello SS mediante il Vangelo e lEucaristia, costituisca
una Chiesa particolare in cui veramente presente e operante la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica ed apostolica
(can. 369). La diocesi la figura giuridica principale della Chiesa particolare, cio, il modello migliore di organizzazione
giuridica della Chiesa per la cura pastorale ordinaria. La circoscrizione si erige nei luoghi in cui la Chiesa ha gi uno
sviluppo e una stabilit tali da poter costituire gli elementi principali della struttura diocesana (oppure eparchia- nel
Diritto orientale).
IV.
CHIESE PARTICOLARI GIURIDICAMENTE ASSIMILATE ALLE DIOCESI.
I. Le circoscrizioni territoriali di regime ordinario sono le circoscrizioni territoriali proprie dellorganizzazione
pastorale ordinaria della Chiesa latina, dipendenti dalla Congregazione per i Vescovi e destinata alla cura pastorale
ordinaria o comune, nei luoghi in cui la Chiesa gi normalmente stabilita. Comprende: la diocesi, la prelatura
territoriale e labbazia territoriale.

172

La prelatura territoriale o labbazia territoriale una determinata porzione del popolo di Dio, circoscritta territorialmente, la cui
cura viene affidata, per circostanze speciali, ad un Prelato o ad un Abate che la governa in modo di Vescovo diocesano, come suo
pastore proprio (can. 370).

Il prelato e labate territoriale governano la loro circoscrizione con potest propria, non vicaria, ma con giurisdizione
quasiepiscopale, dato che non spetta alla natura di queste circoscrizioni la piena autorit episcopale propria della diocesi.
Ordinariamente il prelato territoriale consacrato vescovo e gli viene attribuito il titolo della prelatura, e non quello di
unantica diocesi estinta, come nel caso di vescovi titolari. La natura del prelato non cambia con la sua ordinazione
vescovile.
Le speciali circostanze portano allerezione di queste circoscrizioni e sono diverse per ciascuna, e meno straordinarie
per quanto riguarda la prelatura territoriale. La figura della prelatura territoriale stata molto utilizzata in zone che non
potevano essere considerate di missione, ma che avevano diocesi di grande estensione e di difficile cura. Quando una di
queste diocesi non aveva le condizioni (soprattutto per la scarsit del clero) per essere divisa in due, si optato per lo
smembramento di una parte del territorio diocesano erigendolo in prelatura, nella speranza che in futuro si potesse
costituire una diocesi. Invece le abbazie territoriali esistenti sono poche e obbediscono a ragioni storiche. Paolo VI
dispose nel 1976 che non venissero erette in futuro abbazie territoriali, a meno che lo suggerissero ragioni molto speciali
e che gli abati non fossero consacrati vescovi.
II. Le circoscrizioni territoriali di missione sono quelle previste per organizzare giuridicamente lattivit propriamente
missionaria per mezzo della quale la Chiesa impiantata nei popoli o nei gruppi dove ancora non stata radicata (can.
786). La suprema direzione e coordinazione di tale attivit competono al Romano Pontefice e al Collegio episcopale (cf.
can. 782). Per questo sono governate vicariamente, in nome del Romano Pontefice, e con una speciale dipendenza dalla
Santa Sede, mediante la Congregazione per lEvangelizzazione dei popoli. Comprende: prefettura apostolica e poi il
vicariato apostolico / prefettura apostolica e poi la diocesi di missione / missione sui iuris.
Il vicariato apostolico, o la prefettura apostolica, una determinata porzione del popolo di Dio che, per circostanze peculiari,
non ancora stata costituita come diocesi ed affidata alla cura pastorale di un Vicario apostolico o di un Prefetto apostolico
(can. 371 1).

Questi sono in un certo senso una diocesi in formazione e ad esso tendono. Il vicariato ha una struttura pi completa, ed
solito precedere la trasformazione della circoscrizione in diocesi. Tanto il vicario che il prefetto governano la
circoscrizione in nome del Sommo Pontefice, con potest vicaria. Il prefetto solitamente non riceve lordine episcopale.
La diocesi di missione e la missione sui iuris non sono regolate dal CIC. Le diocesi di missione sono diocesi di
regime peculiare, erette in territori che dipendono dalla congregazione per lEvangelizzazione dei popoli. C una
dipendenza pi stretta dalla Santa Sede pi stretta di quella della diocesi ordinaria, per la precariet, relativa ai mezzi e
al personale, di un territorio ancora di missione. La missione sui iuris (autonoma) invece stabilita in territori che non
fanno parte di unaltra circostanza missionaria, la struttura missionaria pi semplice ed elementare, governata con
potest vicaria da un superiore ecclesiastico, appartenente ad un istituto missionario. Normalmente il primo passo per
levangelizzazione di un territorio e dura finch non ci sono le condizioni per erigere una prefettura apostolica.
III. Lamministrazione apostolica una determinata porzione del popolo di Dio che, per ragioni speciali e
particolarmente gravi, non viene eretta come diocesi dal Sommo Pontefice, e la cura pastorale della quale viene affidata
ad un amministratore apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice, cio con potest vicaria (can. 371 2).
Per cause gravi o speciali si nomina un amministratore apostolico per governare in modo transitorio una diocesi, vacante
o meno. Si tratta piuttosto di una semplice tecnica organizzativa, a disposizione dellautorit pontificia, per dare struttura
giuridica ad una comunit di fedeli che, per speciali circostanze, non pu ricevere una diversa configurazione. Essa deve
essere considerata provvisoria.
V.

ALTRE STRUTTURE GERARCHICHE IN CUI CONCORRONO ALCUNI ELEMENTI PROPRI DELLA


CHIESA PARTICOLARE.
Oltre alle struttura gi viste, ci sono circoscrizioni in cui mancano elementi costitutivi per il quale si pu dire che sono
Chiese particolari, per questo diciamo che hanno soltanto alcuni elementi della Chiesa particolare.
Le Circoscrizioni personali. La delimitazione in base a criteri personali si pu applicare alle circoscrizioni
normalmente territoriali menzionati nel can. 368. Ma esistono anche alcune circoscrizioni in cui il carattere della
personalit giustifica la loro stessa creazione, in quanto proprio della loro natura e delle loro funzioni
nellorganizzazione pastorale. Comprende: la prelatura personale e gli ordinariati latini per i fedeli di rito orientale.
La prelatura personale una circoscrizione ecclesiastica, delimitata da criteri personali, eretta per la realizzazione di
speciali opere pastorali o missionarie (can. 294-297). Esse rendono possibile non soltanto una distribuzione funzionale
dei presbiteri, ma anche lattuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe regioni o
173

nazioni o addirittura continenti. I due tipi di prelature (territoriale & personale) hanno in comune la natura di prelature:
circoscrizioni strutturate attorno allufficio principale di un prelato con potest propria quasiepiscopale. Loro si
differiscono per il modo di delimitazione: una territoriale, mentre laltra per una speciale missione. La missione
pastorale si qualifica speciale rispetto al modo comune ed ordinario con cui la chiesa si organizza per la sua missione.
Lambito della missione invece pu essere diocesano, nazionale, internazionale ed universale. Possono essere incardinati
nella prelatura presbiteri e diaconi del clero secolare; e il prelato pu erigere un seminario proprio.
Gli ordinariati latini per fedeli di rito orientale sono circoscrizioni destinate ad assistere i fedeli cattolici dei diversi riti
orientali che si trovano nei luoghi in cui la gerarchia di rito latino. Sono erette con decreto della Congregazione per le
Chiese Orientali, che stabilisce il loro specifico regime. Ogni ordinariato presieduto da un Ordinario di rito latino.
Solitamente viene nominato il vescovo nella cui diocesi si trova la capitale del paese, al quale si conferisce oltre al
governo della sua diocesi latina, una missione pastorale di ambito interdiocesano, dato che si estende a tutti i fedeli di
rito orientale residenti nel paese di cui si tratta. La potest dellOrdinario in ambito pastorale si configura, in alcuni casi,
come esclusiva. In altri, si cumula con quella degli ordinari del luogo, ma questi agiscono solo sussidiariamente. Le
norme costitutive degli ordinari rituali prevedono la presenza di sacerdoti, formati in un seminario dello stesso
ordinariato; parrocchie e chiese dedicate specificamente a questa particolare pastorale.
VI.
GLI ORDINARIATI CASTRENSI.
Gli ordinariati militari (castrensi) sono particolari circoscrizioni ecclesiastiche, giuridicamente assimilate alla diocesi
(cf. SMC art. I 1), erette per provvedere alla cura pastorale di ampi gruppi di persone, che si trovano in particolari
condizioni di vita per la loro appartenenza alle forze armate o per il loro rapporto con esse. Gli ordinariati sono retti da
statuti propri, emanati dalla Sede Apostolica, che determina ulteriormente le disposizioni della cost. Spirituali militum
curae, che la legge quadro che stabilisce i caratteri generali di questa circoscrizione. Normalmente sono eretti per una
nazione, sebbene il suo ambito sia delimitato personalmente. Allordinario militare spetta la dignit episcopale, che lo
governa come ordinario proprio, con potest quasi-episcopale. Il presbiterio costituito dal proprio seminario o trasferiti
da altre circoscrizioni. I cappellani castrensi sono equiparati giuridicamente ai parroci, ed esercitano le loro facolt
cumulativamente al parroco del luogo. Sono fedeli a iure dellordinariato i militari e gli impiegati civili dellesercito, i
loro familiari e gli impiegati domestici che vivono nelle loro case, come pure altre persone che abbiano un rapporto
speciale con i centri militari per lavoro o per altre circostanze. Appartengono allordinariato anche coloro che esercitano
in esso un ufficio permanente affidatogli dallOrdinario o assunto con il suo consenso.

174

TEMA 59: La Vocazione Personale del Cristiano


I.

INSEGNAMENTI BIBLICI SULLA VOCAZIONE.

La vocazione nellAntico Testamento.


La prima cosa che si nota leggendo la Sacra Scrittura la frequenza con cui appaiono scene di vocazione: momenti nei
quali Dio si rivolge a una persona e la chiama. Si pu giustamente dire che queste scene scandiscono tutta la storia della
salvezza, sin dai primi momenti, dato che la storia dIsraele comincia cosi: (Gn.12,1-2).
In un altro momento importante, quando il popolo israelita attraversava la grande prova della schiavit in Egitto, Dio
interviene nuovamente designando e chiamando Mos perch liberi il popolo: Mos, Mos! Rispose: eccomi (Es3,4).
Le scene di vocazione dei profeti sono cos esemplari che diversi critici vedono in esse il modello letterario di tutte le
scene analoghe contenute nella Sacra Scrittura. Isaia per esempio, di aver avuto un giorno una visione del Signore seduto
sul suo trono, circondato dai serafini che glorificavano il suo nome. Dal clamore trema tutta la casa e, con essa Isaia,
che si riconosce colpevole e peccatore. Uno dei serafini si avvicina e lo purifica toccandolo con un carbone ardente:
poi, continua il profeta, io udii la voce del Signore che diceva: chi mander e chi andr per noi? E io risposi: eccomi,
manda me! Egli disse: va e riferisci a questo popolo (cfr. Is 6,1-9).
Analizzando le scene di vocazione nellAntico Testamento si possono notare alcuni aspetti comuni:
- In tutte posto in forte rilievo lintervento di Dio: la vocazione un atto di Dio che, avendo scelto un uomo, si
rivolge a lui facendogli conoscere la sua volont.
- La persona chiamata, nel riconoscere Dio, si sente scossa nel pi profondo. Tal volta si pu osservare una resistenza,
che finisce tuttavia per essere vinta: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai
prevalso. Mi dicevo: non penser pi a Lui, non parler pi in suo nome! Ma nel mio cuore cera come un fuoco
ardente, chiuso nelle mie ossa. (Ger 20, 7-9).
- La forza della Parola di Dio, che trascina colui che viene chiamato, possiede un dinamismo che porta a mettere in
opera i disegni divini: perch ogni vocazione, cos come la presenta la Sacra Scrittura, una chiamata a compiere
una determinata missione. Dio chiama, e chiamando invia.
Il concetto di vocazione, che allude a un fenomeno prettamente individuale viene completato dal concetto di missione
che evoca invece una dimensione collettiva. Dal punto di vista della terminologia biblica si pu esprimere questa idea
rimarcando lintimo collegamento della parola vocazione al termine elezione, che ne completa e chiarisce il
significato. In effetti, diverse vocazioni che troviamo nellAntico Testamento si riferiscono allelezione di Israele.
Abramo viene chiamato a essere padre di quel popolo; Mos un guerriere e lorganizzatore che dar al popolo la Legge
con la quale dovr governarsi, e che lo condurr fino alla terra promessa; i profeti hanno la missione di ricordare alla
comunit dIsraele la sua dipendenza da Dio, la necessit di pentirsi dei peccati e mantenersi fedeli allAlleanza e alla
elezione, che una conseguenza di questa Alleanza. Questo processo, scandito da successive vocazioni, non un mero
succedersi di azioni e eventi, bens il precisarsi dei disegni di Dio lungo la storia.
La vocazione nel Nuovo Testamento.
Il Nuovo Testamento inizia con alcune scene di vocazione, molto simili a quelle dellAntico. Con la stessa libert e lo
stesso potere con cui, nel corso dellAntica Alleanza, Yahwh aveva chiamato patriarchi, profeti e re, Ges chiama i
suoi discepoli: Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, Andrea suo
fratello, che gettavano la rete in mare, poich erano pescatori. E disse loro: seguitemi e vi far pescatori di uomini. Ed
essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. (Mt 4,18-20).
Negli scritti neotestamentari si dimostra come lelezione di Dio raggiunge il vertice nellelezione di Cristo. Ges
leletto di Dio. (Lc 23,35: Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: ha salvato altri, salvi se stesso,
se il Cristo di Dio, il suo eletto.) Lelezione di Ges precede e presiede ogni altra elezione, perch stato scelto prima
di tutte le altre generazione, prima della creazione del mondo, perch tutto trova in Lui consistenza e senso (cfr. Ef 1,3ss;
Col 1,13ss).
Il concentrarsi dellelezione in Cristo accompagnato dallapprofondimento nel senso spirituale delle promesse e della
piena rivelazione della universalit del decreto salvifico: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla
conoscenza della verit. (1Tm 2,4).
La vocazione dono di Dio, grazia salvifica, conseguenza della elezione con la quale Dio Padre ci fa partecipi di Cristo.
Siamo stati eletti in Cristo, scrive San Paolo (cfr. Ef 1,4) e San Pietro unisce con forza il tema della elezione a quello
della confessione trinitaria: Eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per
obbedire a Ges Cristo e per essere aspersi dal suo sangue.(1Pt 1,2).

175

Dunque, la vocazione va vista come linizio di un itinerario il cui termine il regno dei cieli; la prospettiva escatologica
a dare il significato ultimo alla chiamata e a fondare, pertanto, la speranza. San Paolo ci offre una sintesi completa di
questa prospettiva in un noto passo della lettera ai Romani: (Rm 8,28-30). In questo testo si rivela il disegno eterno di
Dio per la salvezza delluomo attraverso la chiamata in Cristo, disegno che comprende cinque atti, due nellordine
dellintenzione divina: preconoscenza e predestinazione, e tre nellordine dellesecuzione temporale: vocazione,
giustificazione e glorificazione. La vocazione il cardine o ponte fra il piano che si attua in Dio e il piano che si attua
nelluomo.
Il testo paolino riporta i testi al passato, come se la salvezza fosse gi realizzata, perch qui la vocazione vista in
prospettiva escatologica, in quanto situata in mezzo ad un itinerario il cui principio Dio e il cui termine anche Dio
per mezzo della glorificazione finale della comunit dei fedeli. Da questa prospettiva scaturisce la speranza fondata sulla
certezza della fedelt divina al suo disegno salvifico.

II.

ANALISI TEOLOGICA DEL CONCETTO DI VOCAZIONE.

a. Elezione divina.
Innanzitutto la vocazione presuppone allorigine unelezione divina, un disegno preciso di Dio nei confronti del singolo.
Tale elezione eterna, cio da sempre e per sempre, e quindi pienamente gratuita, vale a dire antecedente qualsiasi
merito umano. Inoltre, lelezione divina comporta una missione particolare: Dio sceglie qualcuno per affidargli un
compito concreto allinterno della storia della salvezza.
Poich lelezione appartiene allambito della preconoscenza e predestinazione divine, siamo davanti a un mistero
insondabile, che non potrebbe essere mai conosciuto dalla persona, a meno che Dio non lo manifesti al singolo in un
momento storico preciso.
b. Manifestazione dellelezione: la vocazione o chiamata.
In senso stretto la vocazione o chiamata la manifestazione dellelezione divina nel tempo e nella storia. Ci pu
avverarsi in maniere diverse e complementari, rintracciate a vicenda. Talvolta Dio si rivolge direttamente allindividuo
come nel caso dei grandi patriarchi e profeti dellAntico Testamento, nonch dei 12 Apostoli e di S. Paolo. In altre
occasioni, Dio chiama tramite una mediazione umana. Oltre alle persone, Dio pu servirsi degli avvenimenti comuni
per manifestare la sua elezione, quali la famiglia, leducazione, la formazione Cristiana, ecc. sta di fatto che Dio non
chiama quasi mai attraverso avvenimenti straordinari, miracolosi, travolgenti; talvolta pu capitare cos, ma non la
cosa usuale.
c. Lascolto o discernimento della vocazione.
La chiamata di Dio deve pervenire alla persona concreta in modo tale che questa possa rendersi consapevole del disegno
divino nei suoi confronti. Quindi, allo scopo di discernere una vocazione individuale ci sono alcuni segni che portano
ad avere una certezza morale di essa. Tali segni sono intrinseci oppure estrinseci alla persona.
I primi sono lidoneit, vale a dire linsieme di attitudini richieste per seguire un cammino particolare allinterno della
comune vocazione Cristiana, ad esempio la condizione maschile per la vocazione sacerdotale, e la rettitudine
dintenzione, lessere mossi da un motivo soprannaturale: il desiderio di servire Dio nel modo che Lui abbia stabilito
per ognuno. Tra i secondi si possono annoverare lorientamento spirituale e laccettazione da parte dellautorit
ecclesiastica corrispondente, che sigilla lautenticit della vocazione.
d. La risposta umana alla vocazione.
- La vocazione divina non mai una scelta arbitraria o capricciosa, frutto di uno stato danimo per cui una persona
decide di scegliere adesso un cammino e poi un altro diverso. La scelta umana ha il carattere di risposta alla
scelta eterna di Dio, per cui la risposta della persona alla propria vocazione coinvolge tutta la vita, ha il carattere
di totalit, ed esige la fedelt e la perseveranza fino alla morte.
- Inoltre, poich la vocazione una manifestazione della volont divina nei confronti del singolo, la risposta
umana comporta sempre un esercizio profondo della fede. In maniera assoluta Maria ha risposto con una fede
maggiore alla propria vocazione, in quanto la sua vocazione stata indubbiamente quella pi impegnativa.
- Proprio perch il problema vocazionale una questione di fede, si deve risolvere allinterno della preghiera
personale: questa latmosfera soprannaturale necessaria e per ascoltare la chiamata e per rispondere ad essa
con generosit.

176

III.
LA VOCAZIONE, REALT DINAMICA.
La vocazione non un fenomeno estatico, puntuale, vale a dire limitato ad un momento iniziale o scoperta di essa, ma
la vocazione una realt dinamica, continuamente, che si protrae lungo tutta lesistenza del singolo, fino a costituire
il sostrato, ci che conferisce unit, che riempie di senso tutti gli avvenimenti della vita.
Inoltre, la vocazione progressiva. Nel momento iniziale o scoperta della vocazione, Dio manifesta i suoi tratti
essenziali, ma linsieme dei particolari, tutto ci che comporta una vocazione concreta viene manifestata a poco a
poco, col passare degli anni.
Ogni avvenimento a sua volta una chiamata, un invito che Dio rivolge alluomo affinch questi reagisca
manifestando lamore di Cristo nella maniera di volta in volta pi opportuna. Ogni situazione va delineando la vita
delluomo e pertanto va manifestando la sua vocazione.
Di conseguenza, la risposta di fede e di amore alla propria vocazione non nemmeno essa un singolo atto iniziale
che predetermina gli eventi successivi ma invece un esercizio costante della libert.
Dunque la vita umana si configura come un processo di maturazione della propria vocazione, di realizzazione del
progetto di Dio tramite lo sviluppo dei talenti accordati da Dio ad ognuno.

IV.
-

UNIT E DIVERSIT NELLA VOCAZIONE CRISTIANA.


Finora s parlato della vocazione individuale del Cristiano, senza pi sfumature. Sappiamo bene per, che ci
sono forme diverse di vivere la vocazione cristiana, e perci parliamo di vocazione sacerdotale, vocazione alla
vita consacrata, vocazione laicale, ecc, come determinazioni della comune vocazione battesimale.
Il fondamento di tale diversit altro non che la dimensione ecclesiale della vocazione cristiana, giacch questa
anzitutto chiamata alla fede, al riconoscimento di Cristo e, per tanto, chiamata alla Chiesa, o comunit dei
fedeli.
Il Battesimo, punto di partenza della chiamata personale che Dio rivolge alluomo, nel contempo e
inseparabilmente il sacramento per il quale entriamo nella comunit dei cristiani, che la Chiesa. E nella Chiesa
esiste unit e diversit, come afferma S. Paolo: vi sono poi diversit di carismi, ma uno solo lo Spirito
(1Cor12,4).
Unit profonda, quindi, dal momento che uno lo Spirito che distribuisce i doni, e uno anche il fine a cui tutto
si ordina, lunit comune, lo sviluppo del Corpo di Cristo. Ma anche ampia verit esistenziale, dipendente dai
carismi ricevuti, dagli incarichi e funzioni affidati, dal compito che a ciascuno tocca svolgere.

In questo senso la parola vocazione sta a significare le diverse vocazioni denominate specifiche o peculiari in quanto
comportano un modo specifico di portare avanti la missione unica della Chiesa: si tratta quindi di modalit o
determinazioni ulteriori della comune vocazione cristiana. Una prima modalit viene data dalla configurazione stessa
della Chiesa, per cui ognuno dei suoi membri chiamato a un modo di essere cristiano e quindi situato in una categoria
ecclesiale o stato di vita concreto che lo contraddistingue, senza separarlo, dagli altri membri.
Accanto a questa prima determinazione della vocazione cristiana ne troviamo una seconda, poich le vocazioni
specifiche comportano tal volta una dimensione istituzionale, nel senso che Dio chiama molti cristiani ad appartenere
ad istituzioni concrete della Chiesa, che sono strade determinate suscitate dallo Spirito Santo, per la realizzazione di
missioni specifiche allinterno della comune missione della Chiesa. Ne deriva il riferimento alla parola Vocazione
anche con un significato per cos dire istituzionale, come quando parliamo di vocazione a un ordine religioso oppure a
un altro tipo distituzione ecclesiale.
Inoltre, una terza determinazione della vocazione cristiana viene data dalla chiamata al sacramento del matrimonio
oppure al carisma del celibato per il Regno dei Cieli. Va qui sottolineato che il dono del celibato come vocazione, pu
essere vissuto nelle varie situazioni ecclesiali, anche nella vocazione laicale. Bisogna in fine, tener conto del fatto che
le vocazione specifiche non sono vocazioni aggiunte o sovrapposte alla vocazione cristiana, bens determinazioni
ulteriori di essa.

177

TEMA 60: Teologia Pastorale


I.
FINALIT, OGGETTO E METODO DELLA DISCIPLINA
La Chiesa nel suo divenire e nel suo edificarsi attraverso la storia a servizio della salvezza di tutti gli uomini, ha necessit
di riflettere continuamente sulla propria vita emissione, sulle sue azioni e le sue scelte, in riferimento alle situazioni
concrete e alle esigenze attuali delle persone nei diversi ambienti e nelle diverse culture. A tale riflessione contribuisce
in modo originale e pratico la teologia pastorale o pratica. La riflessione di teologia pastorale ha come finalit una
pianificazione dellazione della Chiesa, secondo la strategia pi adeguata e rispondenti alle condizioni presenti e future,
in uninseparabile fedelt al Vangelo di Dio e alluomo concreto e storico, considerato nella sua dimensione personale
e collettiva.
Molte sono le realt e le situazioni che vengono evocate dal termine pastorale: i compiti dei pastori nella Chiesa, uno
spirito e sensibilit particolari, loperativit ecclesiale, una dimensione comune a tutta la teologia, ecc. Tuttavia, la
qualifica di pastorale comunemente attribuita a quelle azioni che sono percepite come appartenenti allambito della
missione della Chiesa. Per pastorale intendiamo dunque lazione della Chiesa in ordine alla salvezza, cio lazione con
cui la Chiesa edifica se stessa e si rivolge al mondo, secondo la missione affidatale da Ges Cristo.
La Chiesa continua il compito salvifico del suo Fondatore, per suo mandato e fino al suo ritorno glorioso. Funge nel
mondo, da strumento di salvezza e sinserisce l dove luomo vive concretamente. Lazione pastorale della Chiesa non
dunque una operazione soltanto umana, perch lanima della Chiesa lo Spirito Santo, n una attivit sconnessa dei
principi dottrinali della fede, n una attivit generica che non sappia cogliere le caratteristiche e gli influssi di ogni
momento storico. Lazione pastorale linsieme dellintervento della grazia divina e della collaborazione umana nella
vita e nella missione della Chiesa.
E se nella vita della Chiesa va colto il nesso profondo tra attivit e fede, tra azione e finalit per cui si opera, non si
esclude, anzi si manifesta con forza lesigenza di un continuo confronto tra i due termini per ottenere interventi sempre
pi rispondenti alla Parola di Dio e al momento storico. Quando la riflessione sullagire della Chiesa, alla luce della
Parola di Dio, assume rilevanza sistematica, allora si dispone di una disciplina teologica e si utilizzano metodi ad essa
propri. E cos la teologia pastorale sinteressa dei fondamenti de dellagire pastorale della Chiesa, dellaspetto storico,
cio del costruirsi della Chiesa nelle varie epoche e culture, del compito pastorale nella Chiesa, del problema del rapporto
tra scienza teologica e vita ecclesiale, ecc. Proprio la considerazione di questo legame tra azione e riflessione teologica
della pastorale ha fatto che molti autori preferiscano qualificare la teologia pastorale come teologia pratica.
Anche se la parola pastorale serve sia ad sottolineare la consistenza teologica dellattivit pastorale, che a qualificare la
parte della teologia che studia lazione della Chiesa, e si va avanti con questa terminologia pastorale e teologia
pastorale, tuttavia gli studiosi cercano unaltra pi consone alla realt odierna dellattivit della Chiesa. Il termine
pastorale richiama solo lintervento dei pastori mentre ogni battezzato tenuto alledificazione della Chiesa nelle
proprie circostanze di vita. Per questo, come gi detto, la teologia pastorale diventa sempre pi la teologia pratica, e
lattivit salvifica della Chiesa, invece di pastorale, azione ecclesiale.
Anche se rimane ancora una diversit di posizioni riguardo alla natura della teologia pastorale, che si traduce
logicamente in diversit di definizioni, confrontando fra loro queste ultime si possono cogliere gli elementi comuni e e
tentare una sintesi sufficientemente espressiva che sarebbe: la teologia pastorale o pratica la "teologia dell'azione
ecclesiale", cio la disciplina teologica che riflette sulle forme storiche dell'essere e dell'agire della Chiesa. Questa
definizione pone come l'oggetto della teologia pastorale la Chiesa nella complessit delle attivit (agire) con cui attua
se stessa e svolge nel tempo (storicit) la mediazione salvifica per la costruzione del regno di Dio.
Nella esortazione apostolica Pastores dabo vobis (1992) si offre una definizione di teologia pastorale, l dove dice che
la formazione del presbitero "esige lo studio di una vera e propria disciplina teologica: la teologia pastorale o pratica,
che una riflessione scientifica sulla Chiesa nel suo edificarsi quotidiano, con la forza dello Spirito, dentro la storia;
sulla Chiesa, quindi, come sacramento universale di salvezza (Cost. Lumen gentium, n.48), come segno e strumento
vivo della salvezza di Ges Cristo nella Parola, nei Sacramenti e nel servizio della Carit" (Giovanni Paolo II, Esort.
Apost. Pastores dabo vobis, 25-III-1992, n.57).
Inoltre, viene precisato che "la pastorale non soltanto un'arte n un complesso di esortazioni, di esperienze, di metodi;
possiede una sua piena dignit teologica, perch riceve dalla fede i principi e i criteri dell'azione pastorale della Chiesa
nella storia, di una Chiesa che genera ogni giorno la Chiesa stessa, secondo la felice espressione di S. Beda il Venerabile:
Nam et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam (Explanatio Apocalypsis, lib.II, 12: PL 93,166)" (Ibidem).
Il campo o ambito di riflessione, cio l'oggetto materiale, della teologia pastorale l'azione della Chiesa nel mondo
nell'esercizio della sua missione di salvezza. Essa comprende in concreto: a) l'azione di tutti i membri della Chiesa, con
compiti e ruoli diversi all'interno dell'unica missione, sia a livello personale, sia a livello comunitario, sia a livello di
strutture-istituzioni: b) le funzioni fondamentali attraverso le quali la Chiesa esercita la propria missione l'annuncio e
la testimonianza della fede, la celebrazione liturgica e la preghiera, il servizio della carit; c) i diversi fattori culturali,
economici, socio-politici, religiosi, ecc., che interpellano la Chiesa nella sua missione universale e nel concreto delle
178

situazioni. Inoltre, la prospettiva o angolatura specifica di riflessione, cio l'oggetto formale, della teologia pastorale
data dall'"attualit" qui, ora dell'azione della Chiesa e, insieme, dalla sua universalit-missionariet.
Si tratta quindi di una riflessione che, dal punto di vista della fede, coglie l'azione della Chiesa nel suo farsi dinamico e
storico, sempre relazionato da una parte a condizioni concrete e particolari, dall'altra a una visione universale,
storicamente interdipendente e interecclesiale.
Infine, la riflessione della teologia pastorale ha come finalit una pianificazione dell'azione della Chiesa, secondo la
strategia pastorale pi adeguata e rispondente alle condizioni presenti e future, in una inseparabile fedelt al Vangelo e
all'uomo concreto e storico, considerato nella sua dimensione personale e sociale.
Anche se non tutti sono d'accordo, si andato affermando sempre di pi un metodo che, insieme e seriamente, sia
teologico ed empirico-critico, senza rigide esasperazioni, a servizio della vera finalit dell'azione pastorale, con una
costante circolarit tra il momento deduttivo e induttivo, tra riflessione e prassi, tra scienze teologiche e scienze pi
spiccatamente antropologiche, tra la vita della chiesa particolare e la vita della Chiesa universale.
La teologia pastorale assume la forma di un sapere analitico e critico, in cui l'agire cristiano nel tempo presente
sottoposto al vaglio della genuinit e dell'efficacia, e lo sguardo al tempo futuro progetta i modelli di un agire che si
vuole pi autentico e incisivo. Si tratta, dunque, di un metodo empirico riferimento alla situazione, critico
valutazione in vista di un miglioramento, e qualificato teologicamente riferimento a criteri teologici ricavati dal
Vangelo.
II.
QUALIT DELLAZIONE ECCLESIALE
La Chiesa, sacramento universale di salvezza (Lumen gentium, n. 48), chiamata a esprimere una mediazione salvifica
verso tutti gli uomini. Allinterno dellazione della Chiesa nel esercizio della sua missione possiamo considerare, da una
parte lazione di tutti i fedeli, con compiti e ruoli diversi allinterno dellunica missione; e dallaltra le forme dellazione
o compiti o dimensioni fondamentali dellazione della Chiesa, attraverso le quali esercita la sua missione. Il Magistero
e la teologia hanno proposto uno schema tripartito con il triplice ufficio di Cristo profeta, sacerdote, re come punto di
riferimento, per cui la Chiesa esprimerebbe un triplice ministero pastorale: evangelizzazione annuncio e testimonianza
, liturgia e servizio. Con parole di Benedetto XVI: L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito:
annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carit
(diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro (Deus caritas
est, n. 25).
La dimensione o compito che deriva dellufficio profetico di Cristo comporta per la Chiesa la necessit di annunziare e
comunicare il messaggio di salvezza, di dare testimonianza di esso con lintera vita, di interpretare le situazioni
dellesistenza e della vita interaalla luce del disegno divino, svelandone il senso salvifico e aprendo alla fede, alla
speranza e alla carit, cio alla conversione. Le modalit in cui si esprime questa dimensione profetica sono molteplici:
levangelizzazione, la catechesi, la predicazione, latestimonianza di vita, ecc. Questa dimensione il tema centrale della
Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI (8-XII-1975).
La dimensione che deriva dellufficio sacerdotale di Cristo, comporta per la Chiesa la necessit di celebrare il messaggio
di salvezza, nella celebrazione dei sacramenti e della preghiera, come energia di trasformazione della vita e della storia
nella presenza dello Spirito Santo, come solidariet e comunione salvante di Dio con le situazioni concrete della nostra
esistenza, come possibilit di vita nuova in Cristo, come apertura al futuro, ecc. Lazione di salvezza che Cristo ha
compiuto resa presente ed efficace per mezzo della liturgia celebrata dalla Chiesa. Cristo vive e agisce ora nella sua
Chiesa e con essa in una maniera nuova, propria di questo tempo nuovo. Egli agisce per mezzo dei sacramenti; ci che
la Tradizione comune dell'Oriente e dell'Occidente chiama l'Economia sacramentale; questa consiste nella
comunicazione (o dispensazione) dei frutti del Mistero pasquale di Cristo nella celebrazione della Liturgia
sacramentale della Chiesa (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1076). Questa dimensione ampiamente
sviluppata nella costituzione Sacrosanctum Concilium del concilio Vaticano II.
La dimensione di servizio, che deriva dellufficio regale di Cristo consiste nella riscoperta in s e negli altri, di quella
particolare dignit della nostra vocazione cristiana, che si pu definire regalit, e che si esprime nella disposizione a
servire secondo lesempio di Cristo. Papa Benedetto XVI ha dedicato la seconda parte della sua prima enciclica Deus
caritas est (25-XII-2005) a questa dimensione di servizio. In essa, afferma: Lo Spirito anche forza che trasforma il
cuore della Comunit ecclesiale, affinch sia nel mondo testimone dell'amore del Padre, che vuole fare dell'umanit, nel
suo Figlio, un'unica famiglia. Tutta l'attivit della Chiesa espressione di un amore che cerca il bene integrale dell'uomo:
cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante volte eroica nelle sue realizzazioni
storiche; e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell'attivit umana. Amore pertanto il servizio che la
Chiesa svolge per venire costantemente incontro alle sofferenze e ai bisogni, anche materiali, degli uomini (n. 19).
Inoltre afferma che la carit non per la Chiesa una specie di attivit di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare
ad altri, ma appartiene alla sua natura, espressione irrinunciabile della sua stessa essenza () la Chiesa la famiglia
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di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario. Al contempo
per la caritas-agape travalica le frontiere della Chiesa; la parabola del buon Samaritano rimane come criterio di misura,
impone l'universalit dell'amore che si volge verso il bisognoso incontrato per caso (cfr. Lc 10, 31), chiunque egli sia.
Ferma restando questa universalit del comandamento dell'amore, vi per anche un'esigenza specificamente ecclesiale,
quella appunto che nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perch nel bisogno (n.25).
Oltre a queste tre dimensioni, lazione della Chiesa possiede una dimensione storica. La storia umana il terreno
concreto in cui Dio si rende presente e incontra luomo per proporgli la salvezza. La storia anche il terreno in cui la
Chiesa chiamata a compiere la sua missione, vivere la propria fede, ad annunciarla ed a servire il progetto del regno
di Dio. Lazione della Chiesa sinquadra nella storia come in un tessuto base in cui opera, immersa e si muove nella
storia. Non si rivolge alluomo in assoluto, ma ad un determinato uomo. Ne deriva, per la Chiesa, un atteggiamento del
tutto particolare: la Chiesa da una parte ascolta e riceve continuamente in s il messaggio di Cristo, dall'altra ascolta e
percepisce la novit delle situazioni storiche del mondo in cui vive; ne risulta uninterazione per cui il messaggio
illumina nella universalit la storia, e la storia offre materia per interpretare con viva aderenza e attualit il messaggio.
Il mondo della storia e degli uomini non lo sfondo indifferente sul quale si rappresenta l'avvenimento cristiano, ma ne
costituisce momento qualificante. La realt storica esprime l'unica possibilit data al cristiano per essere tale e svolgervi
il proprio apostolato. L'azione pastorale non pu, perci, sentirsi svincolata dalla contingenza storica e non lecito
eludere il complesso rapporto tra cristianesimo e mondo moderno. La capacit della Chiesa di stare nella storia decisa
dalla capacit di elaborare "imperativi" di azione, oltre che enunciare i "principi" di sempre della vita cristiana. La
pastorale, dunque, oltre alla conoscenza e alla applicazione dei principi teologici, esige anche una profonda conoscenza
dello stato in cui l'uomo si trova. Il Decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II evidenzia che le varie forme di
apostolato "devono essere convenientemente adattate alle necessit dei nostri giorni, tenendo presenti le varie esigenze
degli uomini: non solo spirituali e morali, ma anche quelle sociali, demografiche ed economiche" (n. 17).
III.
I SOGGETTI E GLI AMBITI DELLAZIONE PASTORALE
Lattivit pastorale della Chiesa la messa in atto del mistero della salvezza, attraverso la mobilitazione di tutti i membri
della Chiesa, ciascuno secondo i propri ministeri e carismi sotto la guida dei pastori. La Chiesa, guidata dallo Spirito
Santo, attua lunico piano di salvezza; fa convergere verso tale fine tutta la variet degli elementi che la compongono:
ministeri e carismi. Opera tra loro un coordinamento che non un fatto strumentale, ma unesplicitazione della sua
natura e missione.
La concezione della Chiesa come comunione (Lett. Communionis notio) richiede un modo nuovo per lazione pastorale
con la comune corresponsabilit che ne deriva per tutti i fedeli nei confronti della missione della Chiesa. Tale concezione
aiuta a capire e a sviluppare il rapporto di amore e di servizio tra tutti i membri della Chiesa considerati nella loro uguale
dignit battesimale e vivificati dalla grazia di Cristo che effonde su di essi lo Spirito Santo. Inoltre, aiuta a capire ed a
svolgere meglio i diversi ministeri e carismi, non in antagonismo o indipendenza tra loro, ma in termini di reciproca
integrazione. In tale Chiesa, tutti hanno un dono, un compito, un servizio da svolgere: tutti vanno aiutati a riconoscere i
propri doni e quelli degli altri in funzione del bene comune. Secondo limmagine paolina del corpo, la diversit degli
stati, delle vocazione, dei ministeri, dei carismi d luogo a una comunione organica che si attua nella diversit, nella
complementariet e nella corresponsabilit, riguardo alla missione della Chiesa.
IV.
FARE PASTORALE OGGI: EVANGELIZZAZIONE, CONVERSIONE, PASTORI, COMUNIT CRISTIANA.
Soggetti della azione pastorale sono quindi, la Chiesa come soggetto primo e poi, in concreto, una pluralit di soggetti
che agiscono a livello universale e particolare a seconda delle diverse funzioni, carismi e ministeri. Quanto agli ambiti
dellazione pastorale, cos come lazione della Chiesa si rivolge alluomo concreto che vive in un determinato tempo e
in un particolare contesto storico, sono tanti quanti vengono individuati come aspetti delluomo e della vita umana,
personale e sociale, che hanno bisogno di una evangelizzazione pi sistematica e ordinata. Si parla cos di pastorale
della famiglia, pastorale del turismo, pastorale dei carcerati, ecc.

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