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Roma antica

Storia del Colosseo


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L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e la fine di Pompei ed Ercolano
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Imperatori romani
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I 10 monumenti pi belli dellimpero romano
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Storia del Colosseo

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Sulla storia del Colosseo nei secoli, dalla costruzione alla distruzione, c da dire molto. Un
lungo periodo storico, durante il quale il Colosseo stato usato e restaurato tante e tante volte, in modi
diversi, con metodi diversi. Le storie del Colosseo, infatti, sono molte e segnano i vari periodi della
Roma antica. Insomma, questo magnifico anfiteatro ne ha viste e subite di tutti i colori. E continua a
vederne! Perch il Colosseo ancora in piedi, appartiene anche a questa epoca moderna.
Il Colosseo tuttora riconosciuto dal mondo intero come simbolo di Roma. Dagli antichi
romani era denominatoAmphitheatrum Flavium dal nome della famiglia imperiale Flavia sotto la
quale iniziarono e finirono i lavori per la sua costruzione. Nellanno 72 d.c. lImperatore Vespasiano
inizi i lavori che furono terminati nellanno 80 d.c. da Tito suo figlio. Al termine dei lavori si celebr
linaugurazione con straordinari giochi e combattimenti che durarono 100 giorni.
Con queste poche nozioni abbiamo una breve panoramica della storia del Colosseo. Una storia
appassionante che puoi approfondire cercando tra gli argomenti che pi ti interessano e iniziando il tuo
percorso dallarticolo che pi ti cattura. Tuttavia io ti segnalo una prima sequenza logica, giusto per
farti una buona idea su come sono andate le cose fin dallinizio.

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L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e la fine di Pompei ed Ercolano

latelanera.com
Una delle pi grandi e spettacolari eruzioni del vulcano Vesuvio e una delle prime a essere
documentate

SPECIAL_IMAGE-e27536b76ca0e000eb43119817612378.jpg-REPLACE_ME Il Vesuvio
lunico vulcano attivo dellEuropa continentale. La sua altezza varia a seconda delle fasi di distruzione
e costruzione, ma risulta comunque superiore ai 1.200 metri e sorge allinterno di una caldera di circa
quattro chilometri di diametro.

La caldera rappresenta ci che resta della grande eruzione del 79 d.C. (dopo Cristo): una delle pi
grandi e spettacolari eruzioni del vulcano e una delle prime a essere documentate.

Il resoconto fu realizzato da Plinio il Vecchio in primis e da suo nipote Plinio il Giovane attraverso
una serie di lettere indirizzate a Tacito.

Plinio il Vecchio descrisse cos bene il fenomeno che ancora oggi il termine pliniano viene utilizzato
nella vulcanologia.

Questo termine, infatti, stato associato anche alle eruzioni precedenti a questa: Codola (25.000 anni
fa), Sarno-Pomici, basici (17.000 anni fa), Pomici verdoline (15.500 anni fa), Mercato o Pomici di
Ottaviano (7.900 anni fa) e Pomici di Avellino (datata tra il 1880 e il 1680 a.C.).

Sono invece considerate subpliniane le eruzioni avvenute dopo quella data, potenti almeno la met di
quella avvenuta a Pompei ed Ercolano nel 79 d.C., una catastrofe vulcanica caratterizzata da terremoti,
nubi ardenti e tossiche, maremoti e sciami sismici.

L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., una tragedia annunciata

Leruzione del '79 si attiv dopo aver dato dei segni prodromici abbastanza evidenti.
Nei dieci/quindici anni che precedettero la tragedia, la zona circostante fu colpita da diverse scosse di
terremoto e sciami sismici. Un fenomeno naturale del tutto ininfluente per la popolazione di allora,
abituata ai tremori e ai sussulti della terra. Tuttavia, nessuno avrebbe pensato a uneruzione del
vulcano.

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foto: un dipinto che rappresenta l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Tant vero che le pendici del Vesuvio erano del tutto diverse da come le vediamo oggi. I rilievi erano
ricoperti da una vegetazione lussureggiante e le coltivazioni di viti e ulivi si arrampicavano sin quasi
sulla cima.
Strabone, infatti, cos descrive la montagna:

"tra Pompei ed Hercolaneum si trova il Vesuvio, tutt'intorno magnificamente coltivato ad eccezione


della vetta... in gran parte spianata... del tutto sterile come un campo di cenere, e presenta caverne di
pietre, simili a voragini, di colore fuligginoso come se fossero corrose dal fuoco. Quindi si pu
giustamente concludere che il monte in un primo tempo ha bruciato ed ha avuto un cratere attivo che
poi si spento quando il materiale igneo si esaurito. Forse proprio questa la causa della fertilit
dei terreni circostanti, come a Catania la cenere decomposta dell'Etna...".

Il primo vero colpo gli abitanti dellarea lo subirono nel 62 D.C. quando un violento terremoto
devast lintera area vicina al vulcano. L'episodio noto perch avvenne proprio mentre l'imperatore
Nerone era impegnato a cantare in un teatro di Napoli. La montagna si scosse violentemente e un
gran numero di case furono rase al suolo dal terremoto.

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foto: le opere dipinte che illustrano l'eruzione del Vesuvio sono tantissime

Il successivo periodo di tranquillit, per, favor la ricostruzione degli edifici crollati e la vita riprese a
scorrere ordinata e tranquilla in terre che, ormai inserite nello strutturato sistema imperiale, si potevano
ritenere al riparo da qualsiasi minaccia esterna.

Poi tra il 20 e il 24 agosto del 79 una crescente frequenza di scosse telluriche colp incessantemente
larea campana. A Pompei si prosciugarono le sorgenti dacqua Qualcuno fugg, ma la maggior parte
degli abitanti non si lasci influenzare dalle scosse e continu a prosperare nelle Domus e nelle ville
patrizie circostanti.
Fu uno sbaglio.

L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., cosa successe a Pompei ed Ercolano

Il Vesuvio si risvegli alle nove del mattino del 24 agosto, tuttavia leruzione vera e propria
inizi soltanto verso la una del pomeriggio. Allinterno del vulcano si apr un condotto causato da una
serie di esplosioni dovute alla repentina trasformazione in gas dellacqua venuta a contatto con il
magma in risalita. In seguito una colonna di gas, ceneri, pomici e frammenti piroclastici si sollev per
circa 15/20 km al di sopra del vulcano e cre una nube caratteristica che oscur il sole.

Plinio la descrisse da Miseno, a una distanza di 21 km dal vulcano, e pot osservare la colonna eruttiva
in tutto il suo sviluppo. La rappresent accennando alla forma di un pino, con il fumo che si dissolveva
sul suo stesso peso. Lo scrittore annot che la colonna a volte era bianchissima, talora invece era sporca
e macchiata, a seconda che avesse sollevato con s terra o cenere.

SPECIAL_IMAGE-a73393dde813279a5ee404f516f59ef0.jpg-REPLACE_ME
foto: su Pompei ed Ercolano cadde di tutto, una pioggia infernale portatrice di morte

Dalla colonna pliniana caddero pomici in direzione di Pompei, dove nel giro di poco tempo si
accumularono formando uno strato alto circa 4 metri che seppell interamente la citt.

Ora, mentre cadevano le pomici, qualcuno lasci in fretta e furia la citt, altri, del tutto inconsapevoli
di ci che stava accadendo, si nascosero nelle cantine e nei locali pi riparati. Morirono inconsapevoli,
nella penombra creata dalla nube che aveva oscurato il sole nelle ore successive soffocati dal calore e
dai gas tossici quando il primo grosso flusso raggiunse la citt.

Su Ercolano, invece, la situazione fu del tutto diversa: sino alle otto del mattino seguente piovve
soltanto una sottile cenere e sebbene ci furono frequenti scosse di terremoto la citt fu risparmiata per
molte ore dal disastro. Ora, gli abitanti del posto avrebbero avuto tutto il tempo di salvarsi se soltanto
avessero immaginato cosa sarebbe accaduto nella ore seguenti, invece, nella notte, anzich allontanarsi
dalla zona, approfittando di una pausa apparenta dellattivit eruttiva, molte persone fecero ritorno alle
loro case che erano state lasciate incustodite.
E questo gli cost molto caro.

Dopo le otto del mattino del 25 agosto, infatti, lattivit vulcanica riprese con la formazione della
colonna pulsante, dove si alternavano emissione di cenere, flussi e surge piroclastiche. Sia i flussi
piroclastici sia i surge si sviluppano quando il flusso di magma, arrivando al cratere, aumenta fino a
diventare troppo abbondante per formare una colonna eruttiva capace di innalzarsi sopra il vulcano. Il
collasso di una colonna densa e pesante, che pu interessare anche solo le sue zone pi esterne,
convoglia la miscela di gas e frammenti di magma solidificato e di rocce verso il basso. Si formano in
questo modo flussi di materiale vulcanico che scorrono al suolo e scendono veloci lungo i fianchi del
vulcano.

Il passaggio sopra la citt di questo flusso fu disastroso. Spesse mura e intere pareti perpendicolari
al suo percorso furono rovesciati di netto, cos come furono travolti i tetti e gli ultimi solai che ancora
reggevano. Il materiale vulcanico turbinava con una velocit prossima ai 100 km orari, trascinando una
gran quantit di pietrisco, intonaco, travi e tegole degli edifici che distruggeva. La sua furia irruppe
dall'alto su quanti ancora resistevano al riparo dei rifugi pi isolati. E dopo questo flusso, tutta l'area
intorno a Vesuvio divenne simile a un deserto grigio.

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foto: chi rimase nelle zone colpite dal vulcano fece una brutta fine...

Ma non finita.
Le onde di maremoto provocate dal materiale magmatico finito in mare travolgono i pochi superstiti
scesi sulle spiagge in cerca di salvezza. Ma le barche ancorate nel porto sono in fiamme e lacqua del
mare ribolle.
lultima fase della catastrofe.

I flussi terminano intorno alle 10,30 del 25 agosto e l'acqua delle falde sotterranee si rivers sulle rocce
riscaldate dal magma, provocando una successione di violente esplosioni che scuoteranno il vulcano
ancora per qualche tempo.

Al calar della sera del secondo giorno, l'attivit eruttiva inizi a calare rapidamente fino a cessare del
tutto.
L'eruzione era durata poco pi di 25 ore, durante le quali il vulcano aveva espulso quasi un miliardo
di metri cubi di materiale.

L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., le conseguenze


I morti in totale furono oltre duemila e il Vesuvio fu stato sottoposto a un cambiamento radicale.
La sua cima non era pi piatta, ma aveva acquisito una forma conica, dalla cima della quale ascendeva
un denso vapore. Questo cono, determinato dalla fortissima spinta del materiale eruttato, sfond
letteralmente il precedente cratere per 3/4 circa della sua circonferenza.

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foto: il Vesuvio ai giorni nostri

Ci fu comunque un grande interessamento dei vertici dellimpero. In soccorso alle popolazioni


colpite si mossero milizie, navi e funzionari politici.

Dallimpero furono messe a disposizioni ingenti risorse finanziarie per la ricostruzione. I sopravvissuti
delle popolazioni colpite, poco alla volta, tornarono sul luogo del disastro, ma ci che si present ai
loro occhi fu certamente uno spettacolo impressionante: cenere trasformata in fango dalle piogge, case
crollate, templi distrutti e il segno del benessere di una regione sepolto dai materiali vulcanici.

Ora, lefficienza e lorganizzazione Romana consentirono di ripristinare in gran parte le zone sinistrate.
Tuttavia, tutta la regione, fu soggetta a un processo generale di degrado. Ci vollero decenni prima che
limperatore Adriano riportasse larea allo splendore di un tempo.

Fonti:
http://vulcan.fis.uniroma3.it/vesuvio/eruzione_79.html
http://cronologia.leonardo.it/storia/anno079.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Vesuvio
http://www.parodos.it/storia/argomenti/eruz.htm

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L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e la fine di Pompei ed Ercolano


Articolo scritto da:
Articolo pubblicato il 01/05/2011

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Imperatori romani

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Ecco gli imperatori romani che fecero parte della storia dell'impero romano dopo Ottaviano
Augusto.

Tiberio

Tiberio non proveniva da una famiglia di ordine equestre, ma da una Gens patrizia; egli fu
scelto come nuovo imperatore, poich Augusto non aveva mai avuto figli maschi con Livia.
Nel 14 d.C. fu proclamato imperatore dell'Impero romano, ma si trov davanti a una grande scelta:
come affrontare la sua futura vita politica: egli, infatti, non sapeva se sarebbe stato meglio ripristinare
la repubblica (e quindi riportare il caos e le guerre civili) o accettare il potere supremo. Alla fine scelse
il trono, ma non si fece mai chiamare n imperator, n pater patriae . Tiberio visse sempre tormentato
da pensieri e da angosce causate dalle sue difficili decisioni politiche, egli fu sempre molto attento e
moderato.

Per quanto riguarda la politica estera, Tiberio fece diventare province Cilicia e Cappadocia e fortific
le difese ai confini dei territori romani in modo che il suo impero potesse vivere in una siotuazione di
pace e sicurezza. Nel 27 d.C. egli si volle ritirarsi nella sua grande villa a Capri, poich stanco e
preoccupato dal fatto che la corte imperiale stesse diventando un luogo di trame, lotte per la
successione e congiure di palazzo. Nonostante ci egli continu a tutelare limpero fino al momento in
cui apprese che Seiano spadroneggiava a Roma e tramava contro il Cesare.
Data la situazione, limperatore torno presso la Capitale e fece uccidere Seiano; gli ultimi anni del suo
governo furono caratterizzati dal terrore e dal sospetto che molto spesso causarono vittime innocenti.
Egli mor nel 37 d.C.
Caligola

A Tiberio successe l'imperatore romano Gaio Cesare Caligola soprannominato in questo


modo a causa delle calzature che indossava quando era bambino. Gi nel 37 d.C. , appena salito al
potere, Caligola pose fine alla politica moderata di Tiberio. Egli assunse il titolo di pater patriae,
impose il culto dellimperatore vivente e inizi a governare come un despota. Una grave malattia
compromise la sua sanit mentale: nel periodo del suo Impero molte persone morirono senza
giustificazione, vennero dilapidate le finanze pubbliche e il Senato venne umiliato in continuazione. I
pretoriani senza scrupoli pagarono dei sicari per la sua uccisione e per porre fine alla pazzia che aveva
imposto a tutto il suo impero per ben 5 anni. Caligola mor nel 41 d.C.

Claudio

Dopo lassassinio di Caligola, i pretoriani trovarono suo zio Claudio nascosto tra le tende
dellex imperatore per paura di essere ucciso ugualmente, invece essi lo proclamarono imperatore
romano.
Claudio, eletto nel 41 d.C. era un uomo sui cinquanta anni considerato ottuso e stravagante, poich
molto studioso e poco socievole. Diventato imperatore egli si rivel degno di un ruolo cos importante
e molto pronto ad assumersi le proprie responsabilit. In questo periodo al governo ebbero grande
importanza i liberti imperiali: egli, infatti, diede loro da svolgere i compiti e le funzioni pi importanti
emarginando cosi il lavoro dei cavalieri e del Senato di cui diffidava. Claudio non aveva paura di
cambiare sistema poich era fermamente convinto che il segreto della grandezza di Roma consistesse
nella sua capacit di resistere a trasformazioni e di riuscire sempre e comunque a mantenere la sua
identit. La sua reputazione fu parzialmente rovinata dal comportamento negativo delle mogli
Messalina e Agrippina. La prima, dopo esser stata per lui un motivo di scandalo a causa dei suoi
comportamenti licenziosi e della sua infedelt al patto matrimoniale, fece una congiura contro il marito
ma esso la elimin molto velocemente. La seconda invece fu accusata da alcuni storici di aver
avvelenato il marito per far salire al trono il figlio nato da una relazione extraconiugale.
Claudio nella sua vita ampli notevolmente le terre di propriet romana facendo diventare province la
Mauritania, la Tracia e la Britannia. Egli mor nel 54 d.C.

Nerone

Nerone, figlio di Agrippina, sal al trono non ancora diciassettenne. Nei suoi primi anni di
governo egli si fece fortemente influenzare dal suo maestro: il filosofo Seneca. Questultimo era un
senatore che intendeva ripristinare la repubblica e riportare lequilibrata divisione dei poteri. Allinizio
del suo governo il giovane ragazzo rimase ammaliato dalla grande personalit di Seneca e, infatti, lo
rispettava molto e segu tutti i suoi suggerimenti, ma ad un certo punto a corte esplose il grande
contrasto tra il filosofo e la madre Agrippina la quale voleva esercitare un ruolo dominante al governo
anche contro la fazione del figlio.

La situazione degener nel 59 d.C. quando Agrippina prese le parti di Ottavia (moglie dellimperatore)
contro Poppea (amante dellimperatore); Nerone, consapevole che il filosofo lavrebbe appoggiato,
ordin luccisione della madre. Dopo questo avvenimento egli cerc di emarginare sempre di pi
Seneca fino a al punto di esortarlo al suicidio. Intraprese cos una politica autonoma, dispotica e
crudele, dilapid le finanze pubbliche per organizzare i Neronia (giochi e spettacoli) e si esib molte
volte in pubblico divenendo lidolo delle folle. Sempre nello stesso periodo consigliato dal pretorio
Tigellino fece uccidere Ottavia per poter finalmente sposare la sua amante Poppea. Nel 65 d.C. fu
scoperta la congiura dei Pisoni per uccidere Nerone il quale inizi a sterminare la classe dirigente tra
cui Petronio,lautore del Satyricon. Nel 64 d.C. Roma fu assalita da un enorme incendio che la rase al
suolo e Nerone ne diede colpa ai Cristiani che, specialmente durante il suo governo, furono molto
perseguitati.
Si dice che probabilmente fosse stato Nerone stesso ad appiccare lincendio, poich mirava a costruire
la Domus Aurea in una zona gi abitata. Comunque dopo lincendio egli stabil norme edili che
prevedevano luso di materiali non infuocabili, criteri di costruzione e la distanza di sicurezza tra gli
edifici. Attu anche una riforma monetaria che miglior notevolmente il potere dacquisto e riorganizz
il sistema di approvvigionamento di Roma. In merito alla politica estera, egli non comp grandi azioni,
ma fece riconoscere al re dei Parti, popolo con il quale si erano riaccesi i contrasti, il dominio romano
sullArmenia.
Nel 67 d.C. Nerone intraprese un viaggio in Grecia per imparare ancora il teatro e la poesia, ma anche
per esibirsi, al suo ritorno a Roma per egli si ritrov solo e indifeso: la sua citt aveva complottato
contro di lui. Si suicid pur di non consegnarsi nel 68 d.C., ponendo fine alla dinastia Giulio-claudia.
Dopo l'epoca neroniana limpero precipit nel caos e tra il 68 e il 69 d.C. si ebbero ben quattro
imperatori: Galba (Senato), Otone (pretoriani), Vitellio (legioni Germania superiore) e Vespasiano
(legioni operanti in Giudea).
Dopo la guerra scatenatasi per il potere si ebbe come vincitore Flavio Vespasiano.
Flavio Vespasiano

Flavio Vespasiano diede inizio alla dinastia Flavia, una delle pi note tra le dinastie degli
imperatori romani. Egli sal al potere nel 69 d.C. e mir prevalentemente a consolidare il potere
imperiale e a risanare le finanze dello Stato. Eman le "Lex de imperio Vespasiani" che formalizzavano
il regime assoluto e la massima libert dalle leggi dellimperatore. Vespasiano finanzi una delle opere
pi significative di Roma: il Colosseo/Anfiteatro Flavio.

Egli mor nel 79 d.C.


Tito

A Vespasiano succedette il figlio Tito, gi famoso durante il regno del padre per aver represso
violentemente una rivolta giudaica che aveva sconvolto la Palestina e in particolare Gerusalemme. Egli
venne ricordato anche per essere stato uno dei soccorritori pi valorosi nel corso dell'eruzione del
Vesuvio che nel 79 d.C. aveva raso al suolo le citt di Pompei ed Ercolano. Fu definito delizia del
genere umano grazie alla sua intelligenza, ai suoi modi accattivanti e al suo fascino. Il suo fu per un
regno breve, poich mor nell'81 d.C, solo dopo due anni che era al potere, a causa di un male
improvviso.

Domiziano

Salito al potere nell' 81 d.C. , a differenza del fratello molto estroverso e aperto, egli era di
carattere autoritario e molto riservato. Egli aspirava al rafforzamento del potere imperiale, amava farsi
chiamare dominus et deus (signore e dio) e govern con il pugno di ferro. Egli port avanti il
risanamento delle finanze pubbliche iniziato dal padre, eman leggi a favore dellagricoltura e aument
il salario dei soldati. Guadagn la fiducia della popolazione italica, degli eserciti e dei pretoriani; il
Senato invece non gradiva affatto il suo carattere dispotico e poco disposto a collaborare. Il contrasto
con il governo degener e allora Domiziano temendo di essere prossimo a delle congiure scaten il
terrore tra la classe dirigente. Nel 96 d.C. una congiura pose fine allultimo erede della dinastia Flavia.
Nei registri il Senato volle ricordare ingiustamente Domiziano e, infatti, questo venne paragonato a
Nerone.

Nerva

Eliminato dalla scena politica Domiziano, i congiurati scelsero come successivo imperatore romano
Nerva, un vecchio settantenne senza figli e tradizionalista. Il merito pi grande della sua carriera che
va dal 96 al 98 d.C. fu la scelta del suo successore, il legato della Germania Superiore Marco Ulpio
Traiano.
Marco Ulpio Traiano

Traiano sal al potere nel 98 d.C. ed era un uomo autorevole. Fu il primo imperatore romano
di origini non italica, infatti, proveniva dalla Spagna; la sua elezione fu dunque un evento molto
importante poich esprimeva lallargamento della classe dirigente romana. Durante i venti anni del suo
governo egli fu apprezzato da tutti, i senatori erano soliti chiamarlo Ottimo; era un uomo tollerante,
collaborava con il Senato , distribu denaro alla popolazione, fu un ottimo condottiero e fu molto
gradito ai provinciali che per la prima volta si sentirono parte integrante del governo romano.
Per quanto riguarda la politica estera fu il primo dopo Nerone a intraprendere delle vere campagne,
mise in atto una politica aggressiva con la quale tra il 101 e il 102 d.C. fece diventare uno Stato
vassallo la Dacia e tra il 105 e il 106 d.C. tramut lo Stato vassallo in provincia; per limpresa fece
erigere la Colonna traiana (che rimane tuttoggi uno dei massimi capolavori dellarte mondiale). Nel
106 d.C. conquist lArabia.
In quegli anni i romani si ritrovarono in contrasto con la popolazione dei Parti, ma Traiano sia per la
fama che per la volont di trafficare con lAsia direttamente, cerc lo scontro con questi. La campagna
contro i Parti inizialmente port dei clamorosi successi come quelli in Armenia e in Mesopotamia
(ridotte a province). Fu espugnata la capitale nemica e la vittoria sembrava imminente, quando in
Mesopotamia il popolo romani inizi a ribellarsi al dominio troppo duro e oppressivo.
Allo stesso tempo allinterno dellimpero, in alcune regioni, si diede il via alle rivolte degli ebrei che
furono tutte soffocate nel sangue. Traiano fu costretto a rinunciare alla politica estera e il confine
dellimpero romano torn ad essere segnato dallEufrate; Traiano mor nel 117 d.C. in Cilicia.
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I 10 monumenti pi belli dellimpero romano

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Ormai esiste una classifica per ogni cosa. Perch non farla anche per le meraviglie di Roma? Vi
presentiamo la nostra speciale Top 10.

10 Alla decima posizione troviamo..il Colosseo.


Lanfiteatro romano voluto da Vespasiano per restituire a Roma parte della citt sottratta in
precedenza da Nerone. Lo posizioniamo cos indietro per non avere un vincitore scontato!
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9 Alla nona posizione il Mausoleo di Adriano, o almeno quel che ne resta. Sulla tomba del
grande imperatore venne edificato lattuale Castel SantAngelo, utilizzato a lungo come struttura
difensiva dallo Stato Pontificio e dai papi.
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8 Ottava posizione
La porta Nigra, ci che rimane del sistema difensivo della citt di Treviri in Germania
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7 Settima posizione, il ponte romano presso la citta di Cordova, in Spagna. Nonostante i suoi
suonati 2000 anni ancora li.
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6 Sesta posizione
Lacquedotto di Segovia; anche questo ancora in piedi nonostante gli anni.
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5 Quinta posizione
Il vallo di Adriano, fatto costruire dallomonimo imperatore durante una sua visita in Britannia
per tenere a bada le riottose trib della Scozia (abitata a quei tempi dai Piti). Le sue pietre sono state
usate dagli abitanti locali per costruire le proprie case.
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4 Quarta posizione
Il palazzo di Spalato, Croazia, sede del governo dellimperatore che cerc di salvare limpero
dallanarchia militare fondando la tetrarchia. Fu qui che si ritir dopo aver abdicato.
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Eccoci giunti sul podio!
Alla terza posizione troviamo..
Villa Adriana. La stupenda villa fatta costruire su volere dellimperatore Adriano. Un podio
anche come incoraggiamento, sperando che non venga perduta.
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Al secondo posto gli stupendi Fori imperiali, il sito romano pi visitato in assoluto.
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ed al primo posto
Il mitico Pantheon!
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Articolo di Stefano Borroni


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Crollo dell'impero romano

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STORIA ROMANA

IL CROLLO DELL'IMPERO ROMANO

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I
Perch croll l'impero romano, visto che era molto pi avanzato, sotto vari aspetti tecnico-
scientifici, del feudalesimo?
Se guardiamo i conflitti di classe, le insurrezioni schiavistiche e le ribellioni delle colonie di
quel periodo, dovremmo dire che l'impero crollato quando meno c'era da aspettarselo. Dal punto di
vista della lotta socio-politica, la resistenza delle classi oppresse (se si escludono gli ebrei e i cristiani)
era molto pi forte tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. che non nel III e IV sec. d.C.
Se dovessimo pensare solo ai motivi endogeni dovremmo dire che l'impero caduto non
quando era pi debole, ma quando sembrava pi forte (almeno in apparenza). Certo, sotto l'impero era
aumentata la corruzione, la decadenza dei costumi, l'immoralit, ma fortissimo era il potere politico,
amministrativo e militare.
Un impero non pu crollare solo perch i costumi sono corrotti. N ha senso affermare che
l'impero caduto a causa della irriducibile resistenza dei cristiani, i quali tutto erano meno che
rivoluzionari. Costantino, infatti, ad un certo punto lo comprese perfettamente.
Peraltro, va detto che non tutto l'impero croll, ma solo la parte occidentale (quella pi
sviluppata), poich quella orientale, ribattezzata nel nome di Cristo, sopravvisse per altri mille anni. Il
che pu forse indurci a credere che non tutto l'impero era uguale, cio che la debolezza (pi morale che
politico-militare) della parte occidentale era maggiore di quella della parte orientale.
Uguali infatti erano l'odioso fiscalismo, la coscrizione militare, le leggi inique... Semmai anzi
potremmo dire che le regioni orientali avrebbero avuto un motivo in pi per distruggere le fondamenta
dell'impero, poich qui erano senz'altro maggiormente vessate da Roma.
Il motivo per cui la parte orientale dell'Impero non solo non sia crollata ma addirittura sia
sopravvissuta per altri mille anni, non mai stato sufficientemente spiegato dagli storici.
Probabilmente le popolazioni delle regioni orientali avevano nei confronti delle cosiddette
popolazioni barbariche un atteggiamento meno ostile, pi aperto di quello che avevano le
popolazioni delle regioni occidentali, che erano pi ricche e quindi meno disposte a dividere le loro
ricchezze.
L'impero romano crollato non solo per motivi interni (corruzione morale, fiscalismo,
militarismo ecc.), ma anche perch, espandendosi, tolse ingenti beni e propriet alle popolazioni
limitrofe, che ad un certo punto ritennero opportuno ribellarsi.
Quando i valori morali di un impero si indeboliscono progressivamente, il rimedio che
solitamente si prende quello dell'autoritarismo istituzionale, che diventa tanto pi forte quanto pi
debole la coesione sociale sui valori comuni.
E' dunque probabile che le popolazioni occidentali, abituate a vivere anche in forza dello
sfruttamento di quelle orientali (quest'ultime temute da Roma assai meno, essendo pi lontane), non
fossero ben disposte a lottare contro i cosiddetti barbari per difendere i valori della civilt romana;
si lottava contro il nemico (e solo i mercenari, peraltro, lo facevano) pi che altro per difendere un certo
livello di benessere.
Viceversa, le popolazioni orientali da tempo dovevano aver capito che il modo migliore per
difendere i veri valori della vita non era quello di stare dalla parte di Roma, che, in cambio della difesa
contro i nemici, non offriva che ulteriori vessazioni e soprusi, ma era quello di mettersi direttamente
dalla parte degli invasori.
Quando un invasore vede che il nemico si arrende senza combattere, non ha motivo di infierire.
E' stato forse questo che ha permesso una facile integrazione fra culture, etnie e religioni cos diverse.
In occidente invece la resistenza all'integrazione culturale e sociale sempre stata fortissima.
Ci non poteva che esasperare gli animi di quelle popolazioni che, costrette da secoli a vivere in
condizioni precarie, premevano ai confini dell'impero.
Roma dunque caduta non solo per motivi endogeni, dovuta alla grande corruzione che la
caratterizzava, ma anche per motivi esogeni, dovuti all'incapacit di gestire democraticamente i rapporti
con le popolazioni confinanti.
Quando queste popolazioni entrarono nell'impero distrussero praticamente tutto, anche quello
che avrebbero potuto utilizzare per migliorare i loro standard vitali. Ci sta a significare che l'odio
accumulato nel corso dei secoli nei confronti della potenza romana, specie di quella dell'area
occidentale, aveva raggiunto livelli altissimi.
II
Il declino dell'impero romano non iniziato sotto l'impero, perch questo stato soltanto una
soluzione militare alla crisi della repubblica. Una crisi sociale ed economica molto forte, in quanto la
grande propriet, gi nel corso delle guerre puniche, s'era mangiata quella piccola. E in una condizione
del genere non potevano certo i senatori, che difendevano la grande propriet, trovare una soluzione ai
problemi che loro stessi avevano creato o che avevano permesso che si formassero.
Se il popolo non avesse avuto la percezione della totale inutilit del Senato per la risoluzione
dei problemi sociali, non avrebbe cercato in un imperatore, cio sostanzialmente in un generale, che si
pensava super partes, la soluzione estrema alla propria miseria.
Il popolo doveva per forza essere convinto, vista l'esigenza che l'imperatore si attribuisse grandi
poteri, con cui poter contrastare efficacemente quelli non meno grandi del Senato, che il ritorno di
Roma alla monarchia costituisse il prezzo da pagare per vedere risolti i propri problemi.
Tuttavia la soluzione militare, che probabilmente all'inizio si considerava provvisoria, per il
tempo utile a sistemare le situazioni pi urgenti, e che invece divenne definitiva, non riusc mai a
realizzare alcuna uguaglianza sociale.
Gli imperatori si limitarono soltanto:
a estendere il diritto della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero;
a favorire lo sviluppo economico dei ceti commerciali e imprenditoriali (soprattutto quelli delle
province);
a permettere qualunque tipo di carriera militare anche ai ceti subalterni o marginali;
a concedere l'accesso alle maggiori cariche burocratiche anche ai candidati non provenienti da
ambienti di tipo aristocratico-senatoriale;
a riconoscere all'esercito ampi privilegi, facendo in modo che di questi privilegi potessero fruire
anche determinate unit barbariche, integrate nei ranghi militari, a condizione che difendessero i
confini dell'impero.
Indirettamente i militari, limitandosi pi che altro a reprimere le sollevazioni interne, avendo
l'impero, gi sotto Traiano, raggiunto la sua massima espansione, favorirono la trasformazione dello
schiavismo (l'abbondanza di reperire manodopera schiavile sui mercati era stata pi che altro una
prerogativa della repubblica) in colonato (schiavi semi-liberati, incentivati a lavorare le terre dei
latifondisti dietro un compenso).
Tuttavia gli imperatori non riuscirono mai a spezzare il latifondo, n a eliminare i rapporti
sociali schiavili, n a impedire il dilagare della corruzione, n a favorire un'equa tassazione dei
cittadini, n ad assicurare il legittimo esercizio di qualunque fede religiosa.
Probabilmente fu proprio l'inversione di rotta su quest'ultimo punto che permise a Costantino di
realizzare un inedito e fortunato compromesso con la chiesa cristiana (che venne per rifiutato dalle
forze conservative e pagane residenti a Roma): quel compromesso che favor per un altro millennio la
prosecuzione dell'impero su basi romano-cristiane, in quell'area orientale che gli storici chiamano, con
una semplificazione, "bizantina".
Molti storici tuttavia ritengono che l'impero sia crollato non tanto per le intrinseche
contraddizioni interne, ma soprattutto a causa delle sempre pi forti pressioni barbariche. Ci dicendo
non si rendono conto di due cose:
che le pressioni erano legittimate dal fatto che Roma cercava di esportare al di fuori dei propri
confini il peso delle proprie contraddizioni interne, il modello del proprio antagonismo sociale;
che se queste contraddizioni fossero state ridotte al minimo, probabilmente Roma avrebbe avuto
la forza per resistere all'urto di quelle pressioni.
Non solo, ma tutti gli storici, indistintamente, vedono il progressivo ritorno all'economia
naturale, iniziato praticamente gi nel III secolo, in cui la citt prende a essere abbandonata a favore
della campagna, come un indizio di sicura decadenza, quando invece quella tendenza poteva essere
l'occasione per dire basta al potere della citt sulla campagna, al dominio del centro sulla periferia,
all'egemonia della rendita sul lavoro...
Non fu forse proprio in quel periodo che gli schiavi si trasformarono massicciamente in coloni,
disposti a difendere personalmente i loro appezzamenti? Semmai ci si sarebbe dovuti opporre in massa
alla riforma fiscale voluta da Diocleziano, che voleva approfittare di quella situazione per sfruttare al
massimo la rinata attivit agricola, imponendo odiose tasse non in rapporto all'effettiva produzione, ma
in rapporto alla superficie coltivata e al numero dei coloni, obbligando persino ogni cittadino a restare
per sempre legato alla propria "gleba" (pezzo di terra).
Quando gli imperatori iniziarono ad accettare il cristianesimo, illudendosi di poter risolvere la
crisi dell'impero, non si rendevano conto che una contraddizione antagonistica di tipo sociale ed
economico non pu essere risolta in maniera meramente culturale. Gli imperatori arrivarono a fare la
cosa giusta solo sul piano sovrastrutturale, ma saranno i barbari che porranno fine allo schiavismo,
all'economia di mercato e al dominio della citt sulla campagna.
Resta tuttavia il fatto che l'impero bizantino durato fino al 1453, mostrando in un certo senso
che si potevano creare delle condizioni di vita relativamente accettabili, pur senza l'aiuto dei barbari.
Giustiniano
La Renovatio imperii di Giustiniano fall nell'Europa occidentale perch egli costat che
concedendo ampi poteri politico-economici alla chiesa romana, questa, invece che sostenere il suo
progetto, faceva di tutto per ostacolarlo. Quanto pi la chiesa romana riceveva poteri da Bisanzio, tanto
pi se ne serviva in funzione anti-imperiale e anti-ortodossa.
L'ingenuo ottimismo del monofisita basileus s'incontr con la disponibilit cattolico-romana al
monofisismo, ma non tenne conto che tale chiesa, per affermare il proprio potere politico, aveva
necessit di staccarsi dalla rivale chiesa ortodossa.
Introduzione Enrico Galavotti

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia


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Aggiornamento: 11/09/2014
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Usi e Costumi romani

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I padri romani erano molto affezionati alle loro figlie; davano loro nomignoli gentili quali
Uccellino o Mammina.
Agli inizi della Repubblica, le figlie erano considerate effettivamente delle piccole madri:
apprendevano a cucinare, a filare e a tessere: Pi tardi, nelle famiglie tradizionaliste, le figlie
continuavano a filare e a tessere; fierissimo, il padre faceva ammirare agli amici la toga tessuta dalla
figlia.
La figlia di una famiglia agiata era affidata alle cure di una nutrice greca che le raccontava le
prime favole in lingua greca. La ragazza doveva imparare a dipingere, poich la madre pensava che ci
le sarebbe pi tardi servito nella scelta dei tappeti e dei tendaggi per la sua casa. Imparava anche a
cantare, a danzare e a suonare alcuni strumenti.
Se la famiglia non aveva precettore, a 6 anni la fanciulla veniva mandata a scuola per imparare
a leggere e a scrivere. Verso i 10 anni veniva fidanzata dal padre o dal tutore, che le sceglievano il
futuro sposo, a volte anche con laiuto di un sensale di matrimoni. Il futuro sposo regalava alla
fidanzata un anello di fidanzamento doro o di ferro su cui aveva fatto incidere due mani che si
stringevano. Il matrimonio avveniva alcuni anni dopo. Alla fine della Repubblica, essendo divenuto il
divorzio un fatto assai comune, non era difficile vedere uomini o donne che si sposavano quattro
cinque o volte . Cesare si spos quattro volte; Cicerone divorzi da sua moglie per sposare
unereditiera pi giovane della figlia Tullia. Sua moglie per non si disper a lungo. Si rispos infatti
per ben due volte. Quando il matrimonio veniva celebrato religiosamente, la futura sposa portava sul
capo un velo arancione sormontato da una corona di fiori darancio. Dopo aver firmato il contratto di
matrimonio, una matrona la conduceva dal suo sposo. Anche presso i Romani, come presso i Greci, la
sposa superava la soglia della casa fra le braccia del marito.
Verso la fine della Repubblica, il matrimonio generalmente si limitava a una cerimonia civile.
Lo sposo, davanti ai testimoni, domandava alla sposa se voleva diventare "madre di famiglia": ella
rispondeva di s e a sua volta domandava allo sposo se voleva diventare " padre di famiglia": Dopo di
che, essi erano legalmente marito e moglie. Bench la sposa potesse disporre liberamente dei propri
beni e della propria dote, in realt il capo di casa era sempre il marito. Ma secondo quanto diceva un
romano: "Noi governiamo il mondo, ma sono le nostre mogli a governare noi".
Non era cosa rara che una sposa dodicenne abbandonasse la casa paterna per stabilirsi nella
propria, passando per cos dire dalla balia alla vita pubblica. Altre donne si occupavano di politica,
preparavano le campagne elettorali in occasione delle elezioni e addirittura dipingevano frasi di
incitamento sui muri delle case. Dopo le elezioni, iscrizioni del genere venivano cancellate con una
mano di calce. Avendo il Senato proposto un giorno una legge tendente a limitare i gioielli di propriet
di una donna, una matrona infuriata tenne nel Foro, il luogo delle pubbliche riunioni, un discorso cos
violento che la legge fu subito abrogata. Negli ultimi anni della Repubblica vi furono perfino
avvocatesse che difendevano i loro clienti nei tribunali.
Durante lImpero, donne di nobili famiglie lottarono come gladiatori nellarena, parteciparono a
incontri di lotta e guidarono carri durante la caccia al cinghiale. La matrona romana formosa era ormai
una figura del passato: le ragazze portavano busti fin dallinfanzia . Quelle che non avevano forme
snelle e aggraziate erano considerate "lottatrici". Tuttavia le matrone romane non persero mai il oro
coraggio. Quando limperatore Claudio ordin a Cecina Peto di uccidersi e questi esit per paura, la sua
sposa si pugnal, estrasse il pugnale dalla ferita e lo tese al marito dicendo:
" Non fa male, Peto": Sulla tomba delle loro spose i Romani facevano incidere epitaffi di questo
genere: "Viandante, breve il mio messaggio; arrestati leggi ! Questa pietra odiosa copre una bella
donna".

Mentre nel mondo moderno labbigliamento della donna si distingue nettamente da quello
delluomo, in Roma la differenza non consisteva tanto nella foggia del vestire quanto piuttosto nei
tessuti impiegati e nella variet dei colori. Anche le donne usano la tunica, pi lunga di quella maschile;
su di essa indossano la "stola" che la veste caratteristica della matrona romana, cos come la toga il
costume nazionale degli uomini.
La stola, che ha subito attraverso il tempo vari mutamenti a seconda della moda, una
sopravveste molto ampia che scende sino ai piedi; stretta in vita da una cintura (talvolta le cinture
sono due, una pi alta e laltra sui fianchi) ed chiusa sul petto da una fibbia, oppure sulle spalle da
bottoni ornati di pietre preziose; le maniche possono essere lunghe o corte: nella parte inferiore la stola
ornata da una striscia di porpora o da una balza ricamata in oro.
Per uscire in pubblico, nei primi secoli dellet repubblicana le matrone usavano gettare sulla
stola un mantello quadrato di dimensioni piuttosto limitate, cui si va sostituendo, con il passar del
tempo, la "palla" ossia un grande manto rettangolare che, a differenza della toga maschile, copre
entrambe le spalle; pu essere lungo fino ai piedi, ma generalmente scende fin sotto le ginocchia. In
pubblico la donna talvolta si copre la testa con un lembo della palla; nei tempi antichi lo faceva sempre,
poich alla lana ed al lino vanno sostituendosi nellet imperiale i tessuti misti: lana e cotone; cotone e
lino, cotone e seta. Le donne amano soprattutto le stoffe fini e leggere, come la seta che rappresenta il
massimo delleleganza e della raffinatezza.
Anche nellambito dei colori vi una larga possibilit di scelta: abilissimi tintori hanno creato
tutta una gamma di sfumature che soddisfano qualsiasi esigenza.
I gioielli: ecco la grande passione delle donne romane! Un tempo, nei primi secoli della
Repubblica, il lusso eccessivo delle vesti e degli ornamenti era severamente riprovato dai Censori;
allora lausterit e la semplicit caratterizzavano ancora la vita del popolo romano. Poi vennero le
grandi conquiste degli ultimi due secoli prima di Cristo e con le conquiste si oper una profonda
trasformazione materiale e morale nella vita e nei costumi dei cittadini: la ricchezza ed il lusso ebbero
un enorme incremento, le leggi che ogni tanto venivano emanate dal Senato per limitare le spese del
vestiario, dei banchetti, degli ornamenti, rimanevano senza alcuna efficacia pratica: nessuno si curava
di osservarle.
Patrizi e grossi borghesi vanno a gara nel coprire di ornamenti preziosi le mogli e le figlie, per
ostentare davanti a tutta la citt la loro ricchezza ed il loro sfarzo; le donne, dal canto loro, si danno da
fare per non rimanere indietro in questa competizione che solletica la loro vanit: pretendono pietre
sempre pi rare, le gemme pi costose e si mettono addosso interi patrimoni. E naturalmente c chi
esagera in questo sfoggio di gioielli e si trasforma in una specie di vetrina ambulante con risultati
ridicoli.
La variet degli ornamenti femminili enorme: vi sono diademi di metallo prezioso, nastri
ornati di gemme che si inseriscono tra i capelli; spille e fibbie in oro e argento; anelli con pietre
preziose che si portano
non solo alle dita delle mani, ma anche a quelle dei piedi o intorno alla caviglia; braccialetti in
oro massiccio; collane di perle e pendenti in smeraldo che adornano il collo ed il petto.
Fra gli orecchini sono di gran moda i "crotalia" e cio dei pendenti doppi che hanno
allestremit una perla; quando la donna cammina, producono un piacevole tintinnio.
Affinch i l quadro sia completo ricordiamo ancora alcuni accessori che una signora veramente
elegante non dimentica mai quando esce di casa: la borsetta, il ventaglio e lombrellino.
I ventagli non sono pieghevoli come i nostri, ma rigidi: sono fatti di piume di pavone dai
brillanti colori, oppure di foglie di loto. In quanto allombrello una

LEDUCAZIONE DEL RAGAZZO

Nove giorni dopo la nascita, il padre dava al figlio un nome, poi gli poneva al collo un piccolo
amuleto doro o di bronzo o di cuoio, chiamato bulla e destinato a scacciare il " malocchio"; il ragazzi
lo conservava fino alla maggior et.
Nei primi tempi della repubblica il ragazzo veniva allevato dalla madre o da una vecchia
parente; in seguito se la sua famiglia poteva permetterselo, egli veniva educato da una schiava greca
apprendendo cosi a parlare il greco contemporaneamente al latino.
I suoi passatempi erano il gioco a mosca cieca, la trottola, il cavallo di legno, i trampoli.
Di solito era il padre che gli insegnava a leggere, scrivere nuotare e cavalcare.
Un padre ricco poteva servirsi di un liberto o comperare uno schiavo colto perch facesse da
precettore al figlio; altrimenti a sette anni il ragazzo veniva mandato a scuola.
Le lezioni non si svolgevano in un edificio apposito; il maestro stesso affittava una stanza in
qualche retrobottega oppure faceva lezione sul tetto a terrazza di una casa qualsiasi.
Chiunque poteva aprire una scuola purch naturalmente trovasse allievi paganti. Le lezioni
cominciavano piuttosto presto. Il ragazzo usciva di casa prima dellalba, rischiarandosi il cammino con
una lanterna. Il povero portava da se stesso il sacco con le tavolette incerate e comperava per via un
pezzo di pane per la colazione; il ricco invece, si faceva accompagnare da uno schiavo che gli portava i
libri. Il problema principale del maestro era quello di mantenere la disciplina.
Se insegnava in una bottega, laula era separata dai rumori della strada soltanto da una tenda.
Linsegnante era spesso un liberto che aveva imparato a leggere e scrivere quando ancora era
schiavo; ma poteva anche essere un ex lottatore oppure un mimo, che i figli dei liberi cittadini non
rispettavano minimamente.
Le lezioni duravano sei ore, con una pausa per la colazione a mezzogiorno . A volte invece di
tornare a scuola dopo lintervallo gli allievi si intrufolavano nel circolo per vedere le corse dei carri.
Durante la repubblica lanno scolastico contava pi di un centinaio di giorni festivi durante i
quali la scuola era chiusa, senza tener conto naturalmente delle vacanze estive.
Per cinque anni lallievo imparava a leggere a fare di conto (addizioni sottrazioni,
moltiplicazioni e divisioni fatte con laiuto di un abbaco).
Labbaco pi semplice era costituito da una scatola di sabbia con dischi metallici mobili.
Gli abbachi pi complicati, o pallottolieri, erano composti o di asticelle sulle quali si facevano
scorrere alcune palline di legno colorate. Linsegnante stava seduto su una sedia, mentre gli allievi
sedevano su panche e tenevano sulle ginocchia le tavolette per scrivere. Incidevano le lettere sulla cera
mediante una cannuccia appuntita di ferro chiamata stylum (da cui e derivata la parola "stilografica").
Le lettere che essi tracciavano, erano praticamente identiche a quelle in cui noi ci serviamo oggi.
A dodici anni il ragazzo iniziava lo studio, a casa o a scuola, della letteratura sotto la guida di un
grammatico, generalmente greco, dellAsia o di Egitto.
Gli allievi dovevano arrivare a parlare, a leggere e a scrivere il greco correttamente come il
latino.
I Romani si burlavano di quei grammatici che tenevano corsi di lezione su argomenti assurdi:
per esempio su quali fossero i canti delle sirene.
Nei primi tempi della Repubblica, il ragazzo diventava ufficialmente uomo a 17 anni.
Deponeva allora la "bulla" e la toga praetexta con un fregio rosso, per indossare la toga tutta
bianca o toga virilis. Ormai era un cittadini che doveva prestare servizio nellesercito.
Verso la fine della Repubblica e sotto lImpero, il ragazzo poteva a volte indossare la toga virilis
gia a 14 anni senza per questo dover servire nellesercito.
Dopo aver rivestito la toga virile, il giovane studiava la filosofia e loratoria.
Alla fine della Repubblica si recava anche allestero: ad Atene ad Alessandria e Rodi.
Cesare Cicerone e il poeta Orazio studiarono allestero.
Pi tardi, ai tempi dellimpero il giovane poteva ricevere questa formazione "universitaria"
anche nel suo paese, poich gli imperatori favorirono listruzione superiore fondando nuove scuole e
distribuendo borse di studio agli studenti poveri.

Su di una specie di camicia di lino piuttosto corta e a diretto contatto con la pelle, il romano
infila la "tunica", ossia una veste di lana formata da due pezzi di stoffa cuciti insieme e tenuta stretta
intorno al corpo da una cintura piuttosto bassa sui fianchi; la tunica cade in modo ineguale: fin sul
ginocchio davanti, un po pi lunga dietro. Le maniche o mancano del tutto o non arrivano allaltezza
del gomito; solo gli effeminati usano tuniche lunghe fino alla caviglia, senza cintura e con maniche fino
ai polsi, il che considerato, almeno nellet repubblicana e nei primi secoli dellImpero cosa assai
riprovevole.
La tunica la veste che si indossa nellintimit della casa, in campagna, in provincia ; la veste
che usa la gente che lavora, perch semplice e pratica.
Quando fa freddo si mettono due o pi tuniche luna sullaltra.
Ornamento pi comune della tunica una striscia di porpora che serve a determinare lordine o
la
classe sociale cui si appartiene: quella dei senatori molto larga, pi ridotta quella dei cavalieri.
Vi poi la tunica "palmata" adorna di splendidi ricami che indossano i generali vincitori durante
il trionfo.
Il cittadino romano prima di uscire di casa si avvolge nella "toga": questo labito ufficiale dei
romani, inseparabile da tutte le manifestazioni della loro attivit civica.
La toga stata usata fin dai tempi antichissimi; essa costituisce il costume nazionale e distintivo
dei romani.
La toga un manto di lana bianca pesante, tutto di un pezzo; le sue dimensioni e il modo con
cui si avvolge intorno al corpo hanno subito vari mutamenti attraverso i secoli.
Alle origini doveva essere una specie di coperta di forma quadrata che si gettava semplicemente
sulle spalle; poi, con il passare del tempo, quel manto fu tagliato in modo da permettere un drappeggio
menu rudimentale.
Intorno al terzo secolo a.C. la forma che la toga ha assunto grossomodo quella di un trapezio
con i lati arrotondati.
Nellet di Augusto di moda una toga molto ampia tagliata a forma di ellisse, che avvolge il
corpo con una sapiente drappeggiatura, lasciando libero il braccio destro.
Mettersi addosso la toga in modo che cada bene, che avvolga armoniosamente il corpo, richiede
una notevole abilit; chi pu si fa aiutare da uno schiavo che ha provveduto fin dalla sera prima a
preparare labito disponendo in ordine le pieghe; gli altri si arrangiano da soli, ma talvolta non possono
evitare che la toga, come dice Orazio, cada male, esponendo chi la porta ai commenti maligni del
prossimo.
Bello e dignitoso questo abito, ma assai poco pratico: quando si cammina, quando si gesticola,
quando ci si fa largo nelle vie e nelle piazze formicolanti di gente, difficile mantenerlo composto ed
in bellordine! E inoltre, quanti lavaggi sono necessari per conservare il suo candore immacolato! La
lana a furia di lavarla, si rovina
Poich la toga veramente poco pratica, non c da stupirsi se i Romani cercano di limitarne
luso alle situazioni in cui strettamente indispensabile e se, con il passare del tempo, vanno via via
sostituendola con manti pi semplici e pi comodi, alcuni dei quali, si possono indossare anche sulla
toga, quando fa freddo. Cos, soprattutto nellet imperiale il cittadini romani comincia ad usare il
"pallium", una sopravveste pi corta, meno ampia della toga e che perci non impaccia i movimenti.
Quando ci si mette in viaggio, o in citt quando fa molto freddo, si indossa sopra la tunica una specie di
blusa interamente chiusa davanti, fornita di cappuccio, che si infila passando la testa attraverso una
apertura centrale.
Esaminiamo ora gli altri elementi che completano labbigliamento maschile: scarpe e capelli.
Quando il romano indossa la toga o esce in pubblico, porta i "calcei", stivaletti alti fin quasi al
polpaccio che coprono interamente il piede; neri sono i calcei dei senatori, rossi quelli dei patrizi
generalmente i romani vanno a capo scoperto; solo quando si mettono in viaggio o a teatro quando
stanno lunghe ore fermi al sole, si riparano con un cappello di feltro a larghe tese annodato sotto il
mento o sulla nuca che si chiama "petasus".
Lunico ornamento che gli uomini usano sono gli anelli. Nellet imperiale si diffonde la
consuetudine di portare anelli esclusivamente come ornamento; certi tipi stravaganti giungono al punto
di metterne uno ad ogni dito e persino parecchi allo stesso dito; altri pi bizzarri ancora sfoggiano
anelli "destate" e anelli "dinverno"

BARBA E CAPELLI

Prima di uscire di casa il cittadino romano dedica pochissimo tempo alla cura della propria
persona: siccome al pomeriggio far il bagno alle Terme, oppure in casa sua, al mattino si limita a
lavarsi il viso e le mani nellacqua fresca. Cos, dopo che ha consumato una rapida colazione
consistente in cibi leggeri quali pane, formaggio, miele, datteri, pu uscire e dedicarsi alle sue
occupazioni.
Nel corso della mattinata egli far certamente una sosta nella bottega del barbiere.
Nei tempi antichissimi, i Romani si lasciavano crescere liberamente barba e capelli.
Quando si diffuse linfluenza del mondo greco cominci a farsi sentire nei costumi e nelle
usanze, si diffuse tra i Romani la consuetudine di tagliarsi i capelli e radersi le guance. Soltanto in
segno di lutto o in occasioni di calamit e sventure che colpivano la citt, i cittadini tralasciavano per
qualche tempo di tagliarsi capelli e barba.
I giovani aspettavano che la barba diventasse bella folta, allora si sottoponevano per la prima
volta allopera del barbiere e lavvenimento veniva festeggiato in modo solenne. Assumeva infatti il
carattere di una cerimonia sacra: la barba deposta in una pisside doro, di vetro, o in un vaso di
semplice fattura veniva offerta come primizia agli dei; in casa del giovane si faceva gran festa, si
invitavano gli amici si scambiavano doni.
La bottega di un barbiere dallalba fino alle prime ore del pomeriggio un continuo via vai di
gente:
chi si siede sulle panche che circondano la bottega, chi si rimira negli specchi appesi al muro,
chi si ferma ad oziare, a pettegolare, a raccontare le ultime novit.
Allinterno avvolto in un accappatoio di mussola o di lino, oppure protetto da un asciugamano
intorno al collo, sta il cliente di turno seduto su di uno sgabello; intorno a lui si affaccendano il barbiere
e i suoi aiutanti.
Gli strumenti che vediamo nelle loro mani(forbici e rasoio) ci danno unidea della difficolt
dellimpresa.
Poich nessuna testimonianza accenna ad una qualche operazione preliminare per lubrificare la
pelle con olio o con altre sostanze emollienti, probabile che il barbiere si limitasse a passare sul viso
del cliente un po dacqua, prima di cominciare il suo lavoro.
Chi non aveva il tempo di far lunghe sedute dal barbiere poteva ricorrere ad un altro sistema: si
faceva strofinare la faccia con uno dei tanti linimenti depilatori. Si tratta di unguenti a base di resina e
di pece, oppure di grasso dasino o fiele di capra, o sangue di pipistrello, bava di rana, polvere di
vipera
Sulla loro efficacia non possiamo pronunciarci, sappiamo soltanto che lautore consiglia in ogni
caso di far ricorso anche alle pinzette per strappare i peli ribelli della barba: i due sistemi combinati
Insieme dovevano pur dare qualche risultato ed erano probabilmente preferibili al supplizio del
rasoio. Ognuno si arrangiava come poteva; vi era persino chi usava in una sola volta, sulla propria
faccia, tutti e tre gli strumenti del barbiere: forbici rasoio e pinzette.
Il barbiere ha anche il compito di tagliare o arricciare i capelli; la grande maggioranza dei
romani usa portarli n troppo lunghi, n troppo corti; solo la gente di campagna e gli schiavi di fatica si
fanno rasare; gli schiavi di lusso ed i giovinetti liberi portano lunghi capelli ondulati sulle spalle.
Naturalmente accanto ai comuni mortali che si accontentano di un taglio e di un colpo di pettine
non mancano nella variopinta societ romana quelli che noi oggi chiameremmo "gag": bellimbusti
dalle chiome arricciate e abbondantemente profumate con oli e balsami vari.
Sono passati molti secoli e i costumi sono mutati; eppure, come ci appaiono vivi e attuali i
"gag" del mondo romano, con le loro ridicole pose e la loro eleganza di dubbio gusto!
Il barbiere deve cercare di accontentare sempre il cliente: gli elegantoni vogliono la pettinatura
allultima moda; coloro che hanno i capelli grigi e bianchi vogliono illudersi di essere ancora giovani e
allora bisogna ricorrere alla tintura; quelli che sono calvi o quasi calvi, devono essere aiutati a
nascondere i danni che il tempo ha provocato, con risultati talvolta piuttosto ridicoli.
Quello del barbiere un mestiere assai redditizio; chi particolarmente abile pu arricchire
facilmente, come ci dimostrano gli accenni nelle opere di Marziale e di Giovenale alla rapida ascesa di
tanti barbieri, divenuti ricchi proprietari di fondi, o entrati nellordine dei cavalieri.
Qualcuno salito in gran fama per la sua perizia ha persino lonore di essere celebrato dai poeti.

La primissima educazione avveniva in famiglia e comprendeva oltre a leggere, scrivere e far di


conto anche nozioni musicali, poich le gesta degli antenati cosi come alcune cerimonie religiose
venivano cantilenate. Siccome lignoranza della legge non scusava nessuno, si imparava presto a
compitare i caratteri e a tracciare le prime righe di scrittura, naturalmente con uno stilo su tavolette che
pi tardi furono chiamate codicilli da codex, che era il libro dei conti. Quindi, una volta esercitatisi in
casa con stilo e tavoletta di cera, ragazzi e adulti erano in grado di usare il clamo e scrivere sui rotoli
di papiro, poi di pergamena romani appresero a usare rotoli e codici a seguito della diffusione della
cultura greca e della costituzione di biblioteche asportate dalla Macedonia, da Atene, dal Ponto e da
Alessandria dEgitto. La prima biblioteca pubblica a Roma fu allestita soltanto nel 39 a. C. dal
coltissimo funzionario Gaio Asinio Pollione.
Due erano i pasti principali dei romani antichi .Il prandium e la cena. anche dopo poco il
risveglio si mangiava qualcosa, generalmente pane, frutta secca e formaggio, ma questa prima
colazione non era di tutti. Cera chi beveva soltanto una ciotola di latte. I cibi fondamentali erano
ottenuti dai cereali e dai vegetali, per quanto riguarda la generalit della popolazione, che faceva poco
uso di carne se non in particolari occasioni. La base della nutrizione era una pappa di cereali bolliti ,
farro o miglio o semola. Frequente era anche luso di pane bollito insieme ai vegetali. Chi poteva
permetterselo, aggiungeva a questa pappa uova, formaggio o miele, ottenendo, cosi, la cosiddetta puls
punica. Col nome di polenta si indicava lorzo bollito, se tale orzo gi molle veniva allungato con miele
e un po dacqua si otteneva la tisana, una bevanda rinfrescante, altrettanto medicamentoso era il
decotto di riso trattato con miele, che per veniva preparato raramente, poich il riso era importato
dallIndia e costava un occhio.

Grazie alla disponibilit di prigionieri e alle leggi che consentivano di ridurre in schiavit I
debitori insolventi, la societ romana assunse una struttura insolita per il mondo mediterraneo. In
Grecia infatti, la schiavit non era mai stato un fenomeno di massa. Ma di cosa si occupavano queste
disgraziate persone. Essi formavano la mano dopera per qualsiasi tipo di lavoro, le aziende agricole, in
particolare potevano produrre solo se si sfruttava il lavoro degli schiavi. Del resto, i Romani liberi
preferivano fare il bottegaio o il pastore che lavorare alle dipendenze di un padrone. Questo, per,
portava a clientele limitate per gli artigiani liberi, perch le aziende erano autosufficienti e inoltre
siccome uno schiavo costava meno di un uomo libero, si giunse al fenomeno di persone che si davano
volontariamente in schiavit per sopravvivere.

I giorni festivi erano tali per tutti; in Atene in un anno vi erano ben 70 giorni festivi. Ogni
4 anno, gli Ateniesi davano in onore della loro dea protettrice, Atena ,una festa che durava da 6 a
9 giorni consecutivi. Questa veniva aperta con giochi e gare atletiche, fra cui una corsa di barche
e una con le fiaccole; questultima era una corsa a staffette fra due squadre i cui componenti
dovevano passarsi le fiaccole. Il vincitore dei giochi riceveva in dono una giara decorata e piena
di olio ottenuto da olive sacre .Questa consuetudine esiste ancor oggi, quando nelle competizioni
sportive viene data in dono una coppa.

Le religioni orientali che si diffusero a Roma e nelle provincie occidentali verso la fine del
periodo repubblicano e allinizio dellet imperiale appartenevano a un mondo di idee completamente
estraneo alle credenze e alle pratiche del paganesimo romano tradizionale. La religione tradizionale era
nata dalle necessit di una semplice societ rurale e nella sua forma pi progredita veva sancito le
attivit politiche e limperialismo sempre pi spinto dal governo repubblicano di Roma; tuttavia,
allinterno della cosmopolita societ urbana dellimpero romano, era considerata sempre pi
insufficiente. Dapprincipio, i culti orientali furono diffusi in occidente dai mercanti e soprattutto dagli
schiavi; significativo, per esempio che Euno Antioco, capo della prima rivolta degli schiavi in Sicilia
fosse un seguace di Atargatis, la "dea siriana", e dovesse gran parte del suo carisma nel presentarsi
come un suo protetto.
Limmigrazione spontanea provocata dal commercio fece nascere comunit greche e orientali di
notevoli dimensioni in tutte le principali citt occidentali dellImpero; questi nuclei divennero dei centri
di diffusione dei culti orientali, esattamente come le comunit ebree della diaspora furono gli agenti
iniziali della diffusione del cristianesimo.
Le religioni misteriche divennero sempre pi popolari, una delle pi importanti era il culto della
"dea siriana". Fra gli altri ricordiamo i culti frigi di Cibele e Sabazio, quello egizio di Iside e quello
persiano di Mitra. Si potrebbe anche aggiungere il culto ebraicopalestinese del cristianesimo che,
sebbene per certi aspetti fosse unico, aveva molti tratti comuni con gli altri culti orientali, di cui per un
certo periodo sub la concorrenza.
I culti orientali differivano dal paganesimo tradizionale perch si rivolgevano direttamente
allindividuo offrendogli una possibilit di redenzione personale attraverso la comunione con i poteri
divini. Lappello alle convinzioni personali dellindividuo introdusse il concetto di conversione; essa
avveniva tramite la cerimonia di iniziazione e la rivelazione dei misteri noti solo a un gruppo di
ristretto e privilegiato. Grande importanza era data ai pasti rituali, alla sofferenza come mezzo di
espiazione e alle cerimonie di purificazione. Tra queste ultime la pi impressionante era senza dubbio il
taurobolium il fedele veniva posto in una fossa e lavato con il sangue di un toro sacrificato sopra di lui.
Da questo rito liniziato usciva in uno stato di purificata innocenza.
Parte dellattrattiva esercitata da culti misterici stava nelluguaglianza con gli altri credenti; tra
iniziati non si teneva pi conto delle barriere sociali ed etniche. Tutti i culti misterici avevano rituali e
liturgie complessi, unelaborata teologia e una dottrina dellimmortalit; in parole povere erano in
grado di soddisfare le necessit estetiche, intellettuali e spirituali di qualsiasi tipo di persona, offrendo
rifugio dalla realt che spesso era dura ed ingiusta.

SOMMARIO
LEDUCAZIONE DELLA RAGAZZA VESTI E ORNAMENTI FEMMINILI
LABBIGLIAMENTO MASCHILE
BARBA E CAPELLI
9 LINSEGNAMENTO A ROMA
CIBI E BEVANDE
GLI SCHIAVI A ROMA
I GIOCHI OLIMPICI
I CULTI ORIENTALI

web.tiscalinet.it
La civilt romana

romanoimpero.com
(Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, pp. 19-20)

LA CIVILTA'
- Barbari iura gentium iuriumque humanorum principia quoque ignorant. -
- I barbari ignorano il diritto delle genti e anche i fondamenti dei diritti umani. -
Questo il detto latino, profondamente vero in epoca romana.

La vita dei Romani, seppure arretrata rispetto a tante conquiste di oggi, era molto avanzata civilmente
rispetto alle popolazioni del resto del mondo.

Del tuo mondo bellissima


regina, o Roma, ascolta;
...Desti una patria ai popoli
dispersi in cento luoghi:
furon ventura ai barbari
le tue vittorie e i gioghi;
ch del tuo diritto ai sudditi
mentre il consorzio appresti,
di tutto il mondo una citt facesti.

(Rutilio Namaziano, De reditu, I (traduzione di Giosu Carducci))

SPECIAL_IMAGE-f4c16fc3c9fe512a5b7d6aa1dc6e070a.jpg-REPLACE_ME Questa civilt si form


per il contatto tra popoli diversi che stemperarono tra di loro molti eccessi scambiandosi aspetti diversi
di diverse culture. Raggiunse il massimo in epoca imperiale, anche se ci si lamentava per la decadenza
dei costumi, in realt ci che si rimpiangeva era un'ingiusta dominazione degli uomini su donne e figli.

Il lato pi sano dei Romani era la famosa CONTINENTIA, la continenza, per cui qualsiasi eccesso era
da evitare, dall'eccessiva devozione agli Dei all'eccessivo cibo, o sesso, o bagordi, ma pure dal suo
contrario, cio l'astinenza dai piaceri della vita.
Orazio nelle sue Satire ne fa ottimi esempi, mostrando l'avaro e il prodigo, il casto e l'amante
indiscriminato, lo spartano e l'amante dei lussi smodati:
"C' una misura in tutte le cose: vi sono insomma dei precisi confini al di l e al di qua dei quali non
pu trovarsi il giusto."
Da qui Orazio trae la sua filosofia:
"nessuno nasce senza difetti, il migliore colui che ne ha di meno... ed giusto che chi chiede
indulgenza per i propri difetti, la conceda a sua volta anche agli altri."

LA CULTURA

limpero di Roma era fondamentalmente un impero di impronta greco-romana, bilingue e biculturale.


A Roma, la filosofia e la medicina si insegnavano in greco, e limperatore Marco Aurelio annotava i
suoi pensieri in greco, non in latino. La frontiera linguistica passava sul territorio della Dalmatia: di qui
si parlava il latino, di l il greco.
Orazio scriveva che la Grecia ha conquistato il suo selvaggio conquistatore recandogli le arti. Infatti
la filosofia e la retorica erano greche, nelle dous si ponevano le staue e i rilievi eseguiti dagli artisti
greci trasferitisi a Roma, dove lavoravano e guadagnavano di pi.
Roma aggiunse il genio politico al genio artistico e culturale greco, nonch il senso dell'autorit e il
senso delle regole.

I Romani copiarono l'arte greca per inventarne una propria, ma erano grandi estimatori di antiquariato
greco, egizio e orientale.
Greci e Romani avevano citt simili, col concetto della city con i servizi e i mercati al centro. Ma
Grecia e Roma avevano in comune il sistema della citt. Il mondo dominato da Roma viveva in uno
stato di autarchia. Il potere centrale non si confondeva con gli affari delle citt conquistate, ma
interveniva soltanto nel caso di disordini. Limpero romano lasciava ampia autonomia ai poteri locali e
comandava semplicemente trasformando i notabili delle citt in collaboratori. Ma non volevano fare
proseliti o diffondere la loro civilt, per la cittadinanza romana si acquisiva solo a patto di una
effettiva civilizzazione.

Il fine era la massima sicurezza per Roma, e non essendoci altre nazioni, non cera neppure una
politica estera. Roma si considerava l'unico vero stato, e in effetti lo era, con attorno una serie di trib
informi cui demandare larga autonomia.
Comunque Galli, Spagnoli e Africani si sentivano Romani. Erano fieri della loro nascita, ma poi si
consideravano parte di un tutto pi vasto. Un siriano diceva: sono siriano, ma poi aggiungeva, "suddito
fedele dell'imperatore". Al contrario, i Greci erano fieri di essere Greci. Ancora nel IV secolo,
dicevano: "Noi siamo greci, voi romani". Con tutto il loro senso di superiorit, i Greci erano comunque
contenti della dominazione romana, che assicurava il potere dei notabili, la buona societ e la difesa dai
barbari.

L'imperatore poi non era un re. Era un "grande cittadino", che aveva assunto il potere per governare e
difendere la res publica, quindi l'Impero. Il suo potere non aveva connotazione mistica. Era un
mandatario del popolo romano e nel caso si fosse comportato male sarebbe stato rimpiazzato. E poich
la sola sanzione nella politica romana era la morte, il suo allontanamento coincideva spesso col suo
assassinio.

LE GUERRE

Molto stata criticata la dominazione dei Romani sugli altri popoli, senza tenere conto che all'epoca i
propri confini erano sempre minacciati, per cui non c'era soluzione, o si attaccava o si era attaccati.

SPECIAL_IMAGE-e68aac2d55e3074edbd211da7aa574cb.jpg-REPLACE_ME Gi i primi romani


stanziati nell'isola Tiberina dovevano difendersi da chi tentava di passare il guado per attaccarli, e
l'unione coi Sabini avvenne per fronteggiare i nemici che stavano ovunque.

Si trattava in effetti di trib e queste hanno sempre combattuto tra loro, in ogni angolo della terra, cosa
che accade tutt'ora con le trib odierne.

Il detto di Ottaviano: - Si vis pacem para bellum. - "se vuoi la pace prepara la guerra" esprimeva
esattamente la situazione.

L'unico modo per tener buoni i confinanti si basava per i Romani sui seguenti principi:
Dimostrare con la battaglia la supremazia militare.
Essere generosi coi conquistati evitando ritorsioni dopo la vittoria.
Stabilire sul territorio milizie romane che scoraggiassero le rivolte.
Ricostruire in modo molto pi efficace e artistico ci che con la guerra era stato distrutto al
popolo nemico. Hanno non solo abbellito tante citt ma ne hanno costruite di sana pianta.
Rispettare gli usi e costumi del popolo, nonch le sue leggi. Naturalemnte ne restavano escusi i
Romani,che sottostavano solo alle leggi romane, per cui dire: Cives romanus sum "Sono cittadino
romano" garantiva l'impossibilit di essere processati in terra straniera, solo il tribunale romano poteva,
e nessuno avrebbe osato derogare, pena la morte.
Rispettavano dei vinti non solo usi e costumi ma anche la religione. I Romani non hanno mai
lottato per affermare i loro Dei, per loro le divinit altrui erano in pi, e avevano diritto ad essere
adorate come gli altri, spesso infatti le adottavano portandone i simulacri a Roma ed erigendogli templi.
I Romani, al contrario di tante religioni intolleranti di oggi, non si ritenevano detentori degli unici veri
Dei, n soffrivano se altri avevano diverse divinit. Furono un grande esempio di tolleranza religiosa.
Se perseguitarono cristiani ed ebrei non fu a causa dei loro Dei, ma perch questi promulgavano le loro
divinit come le uniche vere, insegnando che tutte le altre erano false. Per la mentalit romana questo
era da un lato fanatismo, da un lato un tentativo di destabilizzare i loro credo religiosi.

IL DIRITTO

L'ordinamento giuridico romano dur per tredici secoli, dalla data della Fondazione di Roma (753 a.c.)
alla fine dell'Impero di Giustiniano (565 d.c.). Infatti, dopo la morte di Giustiniano lItalia fu invasa dai
Longobardi, con il decadimento morale e giuridico dei costumi e del diritto. Limpero dOccidente si
dissolse e Bisanzio si allontan sempre pi dalla civilt romana.

Putroppo di quello stile levantino ne portiamo ancora la pesante eredit, come moralismo e
mentalismo, dove gli uomini non sono uguali, dove il potere non al servizio del cittadino e dove la
religione unica e si trasforma in paura e sacrificio.

LE LEGGI

Il diritto romano si suddivideva in:


Ius Quiritium (il diritto quirito): dai "Quirites", cio i "Romani", un insieme di consuetudini
non scritte, sul diritto di famiglia, matrimonio, patria potestas e propriet privata, ma non comprendeva
obblighi o doveri.
Ius civile: rapporti tra cives romani, cio tra coloro che possedevano la cittadinanza romana.
Veniva determinato dai plebisciti (Lex Hortensia), dai senatoconsulti, dai decreti degli imperatori e dai
responsi dei periti giuristi. Il dice quanto gi all'epoca il popolo avesse il suo peso.
Ius praetorium: situazioni di diritto o di fatto che, non trovando tutela nello ius civile, furono
regolamentate dai magistrati di giurisdizione.
Ius legitimum: le leggi decise dalle assemblee attraverso la votazione di una legge comiziale; le
principali assemblee erano i Comitia centuriata e i Concilia plebis.
La costituzione imperiale: sostitu lo ius legitimum confluendo nello ius civile. Fu il dominio
degli imperatori.
Ius gentium, Le leggi straniere dei popoli assogettati. I Romani cercarono di portar loro il
massimo rispetto.

LE COLONIE
Il significato attuale di colonia diverso da quello latino: per noi indica estesi territori in continenti
lontani, conquistati a fini di sfruttamento, per i Romani era un'espansione del loro Stato, attraverso lo
stanziamento di nuove comunit su alcune terre confiscate a nemici vinti. Ma prevedeva pure la
romanizzazione dei nemici vinti, cambiandone senza violenza le leggi e i costumi, cio civilizzandole
al punto di poterle considerare come Roma stessa, concedendo agli abitanti di quelle terre la
cittadinanza romana.

In genere per i coloni Romani fondarono nuove citt, con i rituali, le offerte alle divinit e la loro
delimitazione sacrale. Le colonie latine avevano citt con cerchie murarie, un reticolato stradale con
fognature, un Foro, edifici pubblici, unarea sacra con il Capitolium dedicato alla triade capitolina
(Giove, Giunone, Minerva), altri templi, cisterne pubbliche, e, talvolta, un mercato. Le case in citt
erano destinate alla classe dirigentee ai lavoratori urbani: commercianti, artigiani e coltivatori con terre
vicine alle mura. Gli altri coloni vivevano in campagna.
Successivamente in Italia vi furono solo colonie di diritto romano.

SPECIAL_IMAGE-b85d7c77ea69902adfdf6cdf063efb77.jpg-REPLACE_ME I LUSSI

Durante l'epoca imperiale i Romani vivevano perlopp nel lusso, anche se per via dell'enorme
urbanizzazione, accorrevano poveri da ogni parte, insieme a persone alla ricerca della fortuna.

Il potere senatorio e imperiale cercarono in ogni modo di porre argini a questi lussi, un po' per il
famoso principio della Continentia, un po' perch gli aristocratici non bruciassero i propri beni, un po'
perch il denaro doveva essere speso in opere a favore di Roma e non per vanagloria personale.

Queste leggi, forse perch spesso troppo severe, non ebbero gran seguito.

LE LEGGI SUNTUARIE

I provvedimenti di limitazione del lusso angustiarono i patrizi fin dall'antichit. Infatti sia le tombe
arcaiche che quelle repubblicane furono sempre prive di corredo, al contrario di quelle etrusche o
latine.

Le leggi delle XII Tavole (445 a.C.), gi imponevano di ridurre al minimo il numero delle prefiche e
degli apparati funerari, vietando la mirra nonch di seppellire col defunto oggetti doro, tranne le
corone acquisite in guerra o nei giochi pubblici.

Per ammorbidire il divario tra poveri e ricchi alla fine del III secolo a.C. sino allinizio del I secolo
a.C. venne emessa una lunga serie di leggi per limitare gli eccessi del lusso.
La lex Oppia, che nel 215 a.c. avrebbe limitato il lusso delle donne stabilendo che nessuna
donna potesse possedere pi di mezza oncia doro (circa 14 grammi), n indossare vesti di vari colori
n andare in carrozza a Roma o in altre citt o in un raggio di mille passi da esse se non in occasione di
festivit religiose pubbliche. Ma nel 195 a.c., le donne insorsero e la legge venne abrogata, con grande
scorno di Catone, per la decadenza dei costumi. In realt l'uso della carrozza riguardava solo le donne e
non gli uomini, per cui quel che si voleva limitare era la libert delle donne.
La lex Orchia limitava il numero dei convitati nelle cene nel 161 a.c.
La lex Fannia proibiva che si ponesse sulla tavola alcun volatile tranne una sola gallina non
ingrassata ma venne spesso elusa allevando galli con cibo inzuppato nel latte: gli animali vengono
cos considerati di sapore pi raffinato. I cittadini pi in vista in alcune festivit solenni dovevano
giurare di fronte ai consoli che avrebbero limitato la spesa per ogni pranzo a un massimo di centoventi
assi (esclusi ortaggi, farro e vino); che avrebbero servito vino nostrano e non forestiero; che non
avrebbero portato in tavola pi di cento libbre dargento.
Nel 143 a. c. la lex Didia estese le pene previste dalla legge non solo a chi avesse dato pasti di
costo eccessivo, ma anche agli invitati.
La successiva Lex licinia consentiva per i pasti non pi di trenta assi al giorno nelle ricorrenze
delle calende, delle none e dei mercati; in tutti gli altri giorni era concesso non pi di tre libbre di carne
secca, una libbra di cibi conservati sotto sale e prodotti agricoli, vino e frutta.
La lex Aemilia invece prescriveva non le spese dei pranzi, ma la qualit e la quantit dei cibi,
per cui erano banditi ghiri, lingue suine, ostriche e uccelli esotici. Il dictator Silla poi, nell81 a.c.
permise di spendere trecento sesterzi per il pranzo alle calende, alle idi, alle none, nei giorni dei ludi e
in alcune solennit festive; in tutti gli altri giorni non pi di trenta.
Nella lex Iulia, del 18 a.c., il limite fu di duecento sesterzi per i giorni feriali, trecento per
calende, idi, none e alcune altre festivit, mille per il giorno delle nozze e il banchetto dellindomani.
Queste leggi cos numerose dicono che non avessero grande effetto, infatti Macrobio rifer lobbligo
"di pranzare e cenare a porte aperte: cos, facendone testimoni oculari i cittadini, si poneva un limite al
lusso."

L'OGGETTISTICA
I vasi - Tra gli oggetti d'uso comune rinvenuti ricordiamo lolla: un recipiente alto, con corpo
ovoidale o globulare e fondo piano, che serviva come pentola per la preparazione dei cibi. Le olle
realizzate con argille grossolane, piu' resistenti al fuoco, erano usate per la cottura dei cibi, mentre
quelle con argille piu' fini contenevano provviste.
Bucchero - Ceramica inventata dagli Etruschi, una terracotta nera, di spessore finissimo e
leggerissima, per realizzare vasi. Alcuni esemplari hanno conservato tracce dellapplicazione di una
sottilissima lamina argentea per aumentarne lo splendore. Era di gran lusso e fu presto soppiantata da
un bucchero pi pesante, dove solo lo strato esterno era nero, il cosiddetto falso bucchero. Fu adottato
dai ricchi romani, poi soppiantato dalla ceramica aretina.
Ceramica aretina - Si diffuse a partire dall'eta' augustea al posto del bucchero, tanto in voga nel
corso del I secolo a.C., denominata terra sigillata, dal termine latino sigillum, cio con decorazione a
rilievo. La terra sigillata, caratterizzata da una vernice di colore rosso corallo, venne inizialmente
prodotta e importata dai vasai di Arezzo, che poi aprirono filiali nel nord Italia.
Vasi di vetro - L'uso pi antico del vetro presso i Romani, fino al V sec. d.c, fu quello di colare
in uno stampo il vetro fuso, oppure polvere di vetro e lo stampo veniva quindi posto nella fornace; per
gli oggetti concavi lo stampo era formato da due parti, una esterna e una interna. Nel I secolo d.c. si
diffuse una tecnica a stampo suddivisa in due fasi, per la fabbricazione di coppe e vasi: prima si
formava un disco di vetro, poi lo si poneva sopra o dentro uno stampo e lo si metteva un forno: grazie
al suo stesso peso il vetro si "afflosciava" e prendeva la forma desiderata. Una volta raffreddato
l'oggetto veniva levigato al tornio. Nella seconda met del primo secolo a.c., nel Medio Oriente, fu
sperimentata la soffiatura che soppiant le altre tecniche, anche se la soffiatura di un bolo di materia
vetrosa, attraverso un'apposita canna da soffio, fu associata all'uso dello stampo, oltre che essere
effettuata "a mano libera. I Romani furono maestri nell'arte vetraria, tanto nel settore dei vetri artistici
(coppe, bicchieri, calici, gemme) quanto nell'impiego del vetro in edilizia, vetri per le finestre, per i
mosaici pavimentali e parietali. Ma dato il costo rimase appannaggio dei pi ricchi.
Bronzi - i pi antichi, dell'Et del bronzo, presentano fusioni colate in due valve di pietra, poi
riprese a martello sul taglio e levigato a pietra. Dal VI sec. a.c. si trova la fusione a cera persa, oppure
la fusione nel negativo di terra, su cui veniva impressa una statuetta per ripeterne l'immagine. Dal I sec.
a.c. il modello rozzo, fatto in serie, viene scolpito con lo scalpello a freddo per ottenere una ritrattistica
particolareggiata, e non scade di livello ma anzi raggiunge alte vette di perfezione. I vassoi venivano
battuti a martello da un lingotto pieno spianandolo continuamente, poi ripreso a penna sui bordi per le
bombature. Gli Etruschi firono prima dei Romani maestri raffinati della fusione in bronzo, ma basta
osservare Pompei per accorgersi di quale maestria avessero raggiunto i Romani.
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I sette re di Roma: dalla monarchia alla repubblica

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Storia antica
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Introduzione
La tradizione letteraria concorde nel ritenere che Roma, per i primi duecentocinquantanni
della sua storia, fu retta da un governo monarchico. In questarco di tempo si sarebbero alternati ben
sette re, la maggior parte dei quali di origine sabina o etrusca:
Romolo (che avrebbe regnato dal 753 a.C., anno della fondazione di Roma, al 713)
Numa Pompilio (713-670)
Tullo Ostilio (670-638)
Anco Marzio (detto anche Anco Marcio, 638-616)
Tarquinio Prisco (616-578)
Servio Tullio (578-534)
Tarquinio il Superbo (534-509)

Infine, nel 509 a.C., una rivoluzione guidata da alcuni membri dellaristocrazia senatoria
avrebbe portato allespulsione dellultimo re e alla fondazione della libera res publica.
Le notizie tramandate dalla tradizione letteraria vanno ovviamente confrontate con i dati forniti
dallarcheologia: sebbene numerose questioni rimangano controverse, appare comunque difficile
negare in toto lesistenza e lattivit di figure regali.
Lipotesi monarchica sembra comprovata, in primo luogo, da alcuni riferimenti rituali, come la
celebrazione, ancora in et repubblicana, della cerimonia del regifugium o la presenza, nel calendario,
per i giorni 24 marzo e 24 maggio, della sigla Q.R.C.F. ovvero Quando Rex Comitiavit Fas, che
indicava la data in cui era lecito per il re convocare il popolo in assemblea. A questi si aggiungo poi
nomi di edifici - come la Regia, sede, in et repubblicana, del Pontefice Massimo, ma che
probabilmente rappresentava lantica dimora del sovrano - e forme istituzionali, come linterregnum,
istituto cui si ricorreva in et repubblicana in caso di assenza dei magistrati superiori.
Vi sono poi, come accennato, le testimonianze archeologiche. Il famoso cippo rinvenuto nel Foro
romano (impropriamente denominato lapis niger, ma che sicuramente risale a unet molto arcaica)
menziona per ben due volte nel suo testo la carica di re. Gli scavi pi recenti sul Palatino hanno invece
portato alla luce una notevole struttura abitativa che stata riconosciuta come la dimora dei primi re
di Roma. Infine, nellarea del Foro romano sono state rilevate tracce di monumentalizzazione risalenti
alla seconda met del VI secolo a.C., che ben si accordano con lepoca di splendore che secondo la
tradizione letteraria coincise con la fase etrusca della monarchia. La storicit dei sette re sembra
garantita inoltre anche dalla sequenza onomastica. Mentre i personaggi relativi alla leggenda della
fondazione (Romolo, Remo, Amulio, Numitore) esibiscono un nome unico, i re successivi riportano,
accanto ad esso, anche un patronimico (Numa Pompilio, Tullo Ostilio), sintomo questo della necessit
di evitare le omonimie in una comunit evidentemente pi allargata.
A risultare dubbia invece la durata complessiva del periodo monarchico, che implicherebbe
una media quanto meno irrealistica di trentacinque anni di regno per ogni sovrano. Allo stesso tempo si
riscontra la tendenza, da parte della tradizione letteraria, di assegnare a ciascun re il ruolo di
riformatore di uno specifico settore della vita della comunit cittadina. Cos Romolo avrebbe dato una
prima organizzazione istituzionale allintero corpo civico, Numa Pompilio avrebbe riformato le
strutture religiose, Servio Tullio quelle militari e cos via.
Queste difficolt tuttavia si superano se ammettiamo, come sembra probabile, che la tradizione
provvide ad eliminare dalla scena le figure di re minori e a concentrare levoluzione del corpo cittadino
intorno alle gesta di singole, grandi personalit: era questo un modo (del resto molto diffuso) per
legittimare le stesse istituzioni repubblicane, che affondando le loro radici nellet monarchica
entravano di diritto a far parte del mos maiorum.
Lintero periodo monarchico pu comunque essere diviso in due fasi: la prima, che abbraccia i
regni di Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio e Anco Marcio, e la seconda, che si caratterizza invece
per la presenza di tre sovrani di origine etrusca: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il
Superbo.

La prima fase della monarchia (753-616 a.C.)


Per quanto riguarda la prima fase monarchica, la tradizione attribuisce ai singoli sovrani
importanti interventi in ambito civile e religioso. Essi diedero alla nuova civitas un ordinamento pi
composto, definendo le competenze dei singoli organi istituzionali e creando una separazione tra i
poteri esercitati dal sovrano, dal Senato e dallassemblea popolare.

I poteri del re
In primo luogo il re era a capo delle funzioni religiose: egli si faceva mediatore tra la
comunit cittadina e gli di attraverso la celebrazione di riti collettivi, la presa degli auspici e la stesura
del calendario. Si trattava di un ruolo importantissimo: i romani erano infatti convinti che la religione si
fondasse sullo scrupoloso rispetto delle prescrizioni rituali, fondamentali per garantire la cosiddetta pax
deorum, ossia la concordia tra la comunit cittadina e quella divina. La natura contrattualistica della
religione romana era del resto uno dei fondamenti della stessa societ, la quale si riconosceva in
costumi e valori condivisi (il cosiddetto mos maiorum). Il re era anche a capo degli eserciti cittadini,
che egli guidava in virt dellimperium, cio il potere in ambito militare da esercitare in guerra.
Attraverso limperium egli era inoltre arbitro assoluto della politica interna ed estera, sulla quale
esercitava unautorit simile a quella del pater familias allinterno della struttura familiare dei clan
gentilizi.
Infine il sovrano amministrava la giustizia: egli presiedeva cio a tutti i tribunali e poteva comminare
pene severe, tra cui quella capitale. In questultimo caso egli aveva inoltre la facolt di garantire al
condannato a morte il diritto di appellarsi al popolo (la provocatio ad popolum).
La monarchia era una carica vitalizia, ma non ereditaria: alla morte del sovrano il potere passava
infatti, sebbene in via temporanea, agli altri due organi decisionali del primitivo stato romano, ossia il
Senato e lassemblea popolare.

Il Senato
Secondo la tradizione letteraria, uno dei primi atti compiuti da Romolo nei giorni successivi alla
fondazione della citt fu la creazione di unassemblea ristretta, detta Senato, chiamata a svolgere la
funzione di consiglio del re. I membri di questa assemblea - 100 in tutto - furono scelti da Romolo
tra i capi delle pi importanti famiglie, e per questo motivo vennero in seguito chiamati padri. Non
sono chiare quali funzioni esercitasse il Senato in et monarchica: esso non poteva condurre iniziative
di carattere legislativo (questa era prerogativa del sovrano), ma sembra che il re dovesse consultarlo in
occasione della preparazione di una campagna militare. Erano infatti le famiglie sottoposte ai padri a
fornire i contingenti bellici.
Di sicuro il Senato esercitava unimportante funzione di controllo nella fase di transizione che seguiva
la morte del sovrano. Il Senato nominava infatti un interrex, scelto allinterno dellassemblea, che
deteneva il potere per un massimo di cinque giorni fino a quando il nuovo re non era acclamato dal
popolo.
Lassemblea popolare
Lassemblea popolare, oltre a scegliere il nuovo sovrano per acclamazione, era incaricata anche
di rendere ufficiali tutte le proposte legislative, cos come le dichiarazioni di guerra. Liter legislativo
prevedeva infatti il coinvolgimento di tutti gli organi statali: la proposta veniva dal re in persona, il
quale la sottoponeva prima al vaglio del Senato, che esprimeva un parere consultivo (detto senatus
consultum), quindi allassemblea del popolo, che poteva in questo caso esprimere solo un parere
positivo o negativo: non aveva cio la facolt di proporre modifiche al testo preventivamente
approvato dal Senato.
Il popolo sin dallet pi antica possedeva diverse forme di aggregazione interna: esso era diviso in tre
trib gentilizie (Tities, Ramnes, Luceres) che servivano come base di reclutamento e unit di
combattimento: ogni trib doveva infatti fornire allesercito una centuria di cavalieri (100 uomini, i
cosiddetti celeres) e mille uomini di fanteria (i cosiddetti pedites). Ogni trib era a sua volta divisa in
10 curie, per un totale quindi di 30 unit. La somma delle curie costituiva i comizi curiati, la pi antica
assemblea romana, che si riuniva nel Comitium e deliberava in materia di diritto familiare (come
adozioni e testamenti). Inoltre questa assemblea si radunava ogni anno per votare la lex curiata de
imperio, una legge con la quale si assegnava ufficialmente al sovrano il comando militare (cio,
limperium).

I magistrati
Durante let monarchica fecero la loro prima comparsa anche alcune primitive magistrature.
Il praefectus urbi, per esempio, si occupava di governare la citt nei periodi in cui il re era impegnato
in azioni militari. Viceversa, allo scoppio di una guerra il sovrano poteva decidere di rimanere a Roma
e di assegnare il comando delle operazioni a due figure: il magister populi e il magister equitum.

Roma citt aperta


La tradizione letteraria ricorda che i primi sovrani si impegnarono ad allargare notevolmente il
dominio di Roma. Sono infatti ricordate campagne militari contro le vicine comunit di Cenina,
Antemna, Crustumerio e Fidene, importanti vittorie su Sabini e Veienti, e infine il trasferimento coatto
a Roma degli abitanti di Alba Longa, Politorio, Tellene e Ficana. A completare il quadro vi fu poi la
fondazione della colonia di Ostia. Dalla tradizione appare per altrettanto chiaro che a questa intensa
attivit bellica si un un processo di integrazione nella comunit civica di gruppi di etnia, origine ed
estrazione sociale differente. Lo stesso Romolo, al fine di popolare la nuova citt, avrebbe garantito il
diritto dasilo a tutti coloro che, fuggiaschi dalle proprie citt, desideravano cominciare una nuova
vita. Il ratto delle Sabine, testimoniato da diversi storici, fornisce probabilmente una ricostruzione
figurata delleffettiva fusione tra la comunit romana e quella sabina. Sappiamo infatti che ben due dei
primi quattro re (Numa Pompilio e Anco Marcio) furono di origine sabina. Del resto, in tutta la
penisola italica si assiste nella seconda met del VII secolo a.C. a un massiccio spostamento di interi
clan di etnie diverse da una citt allaltra per assicurarsi una posizione di dominio.

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Jacques Louis David, Intervento delle donne sabine, 1799

Significativa in questo senso la parabola che ebbe come protagonista il re Tarquinio Prisco.
Tarquinio, figlio di una donna etrusca e di Demarato, un aristocratico originario di Corinto e migrato in
Etruria a causa di una faida politica, si trasfer a Roma in cerca di fortuna e venne qui accolto
benevolmente dal re Anco Marcio, che ne apprezz le doti e la vasta cultura. Alla morte del sovrano,
Tarquinio Prisco fu quindi eletto re dal popolo e dal Senato nonostante fossero ancora in vita i figli di
Anco Marcio.

La grande Roma dei Tarquini


Con Tarquinio Prisco entriamo nella seconda fase della monarchia (616-509 a.C.) per la quale
si parla comunemente di dominazione etrusca. Se infatti nella prima fase si era assistito a
unalternanza tra monarchi di origine romana e sabina, in questa seconda registriamo invece la
presenza di tre sovrani tutti di origine etrusca. Sembra inoltre farsi strada un principio di successione
dinastica: a Tarquinio Prisco (616-578 a.C.) successe il genero Servio Tullio (578-534 a.C.) il quale fu
a sua volta assassinato e sostituito dal genero Tarquinio il Superbo (534-509 a.C.).
Tarquinio Prisco fu il protagonista di una vera e propria rivoluzione tecnologica. Durante il suo regno
lagricoltura prese infatti piede come principale attivit di sussistenza soppiantando la pastorizia.
Grazie alla nuova canalizzazione delle acque, furono bonificate diverse superfici tra cui quella ai
piedi del Palatino che divenne sede del Foro. In questarea sorsero ben presto i primi edifici pubblici
tra cui la pi antica sede del Senato, il comizio, il tempio di Vesta e i primi negozi (tabernae) che
contribuiranno a fare del foro il cuore pulsante della vita economica e politica di tutta la citt. Fu questa
la grande Roma dei Tarquini, in cui il sovrano fin per arrogarsi molte delle competenze fino ad allora
esercitate dal Senato e dallassemblea popolare: in questo periodo, del resto, che compaiono anche i
segni esteriori del potere monarchico, come la veste purpurea, luso del trono, lo scettro e la scorta
dei littori con i fasci di verghe e le scuri.
Vennero inoltre introdotte modifiche nelle pratiche religiose: costruzione di nuovi templi,
consultazione del volere degli dei mediante lazione degli aruspici, stesura di un calendario che
regolava non solo la vita religiosa ma anche quella politica (e che per questo motivo rimaneva sotto
stretto controllo del re), sostituzione della classica triade maschile (Marte, Giove e Quirino) con figure
anche femminili (Giunone e Minerva).
Alla morte di Tarquinio Prisco il potere pass nelle mani di Servio Tullio. La tradizione
letteraria incerta sullorigine di questo personaggio: secondo alcuni autori, egli sarebbe stato di
origine servile o comunque di natali ignoti; secondo limperatore Claudio, invece, egli avrebbe avuto
origini etrusche. Si sarebbe infatti chiamato Mastarna e sarebbe stato amico di Celio Vibenna, famoso
condottiero di Vulci. Alla morte di questultimo, Mastarna si sarebbe trasferito a Roma e avrebbe
cambiato il suo nome in Servio Tullio. Qui, dopo aver sposato la figlia del re, sarebbe entrato nelle
grazie della regina Tanaquil, la quale, alla morte di Tarquinio Prisco, avrebbe fatto pressioni per
garantire al suo prediletto la successione.

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Affresco della tomba Franois di Vulci: Celio Vibenna libera Mastarna (raffigurato sulla
sinistra)

A Servio Tullio la tradizione attribuisce importanti riforme, la cui storicit comunque molto
discussa e pi facilmente accordabile alloperato di diversi sovrani.
Per prima cosa Servio Tullio allarg il Senato a 300 membri. I nuovi senatori, scelti tra le minores
gentes, cio i clan di recente costituzione, vennero chiamati patres conscripti, perch iscritti
nellelenco dei senatori insieme ai precedenti. In questo modo Servio Tullio intendeva premiare non
soltanto lappartenenza a determinati clan gentilizi, ma anche la ricchezza delle singole famiglie, in
modo da creare una collettivit pi coesa.
A livello amministrativo il re sostitu le antiche 3 trib gentilizie con 4 trib territoriali (suburana,
esquilina, collina e palatina): la popolazione fu cio divisa non pi in base al luogo di nascita, ma a
quello di domicilio. Egli inoltre cre una netta distinzione tra la citt e la campagna (anche lager
Romanus venne riorganizzato in pagi) e concesse i diritti della cittadinanza solo ai residenti in citt,
decurtando in questo modo le basi di potere dei clan gentilizi e favorendo invece lascesa del ceto degli
artigiani.
La riforma pi incisiva fu comunque quella in ambito militare: se fino a quel momento le azioni
militari erano state prerogativa dei reparti di cavalleria, Servio Tullio introdusse invece a Roma la
fanteria oplitica, cio una formazione di linea, armata pesantemente, che combatteva a ranghi serrati.

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Panoplia del V secolo a.C. proveniente da Lanuvio (Roma: Museo nazionale romano delle
terme di Diocleziano)

In questa nuova formazione, ogni cittadino contribuiva a seconda delle proprie risorse
patrimoniali. Il soldato-cittadino doveva infatti provvedere personalmente allequipaggiamento: ne
conseguiva che i cittadini pi ricchi erano coloro che potevano armarsi pi pesantemente e che quindi
affrontavano i maggiori rischi in battaglia. Tali rischi vennero ricompensati con lattribuzione, in tempo
di pace, di maggiori responsabilit e diritti politici.
Servio Tullio provvide infatti a dividere la popolazione libera maschile tra coloro che non potevano
essere arruolati perch sprovvisti di risorse economiche (i proletarii, cos detti perch il loro unico bene
era la prole) e coloro che invece disponevano di un patrimonio sufficiente a provvedere al proprio
equipaggiamento (adsidui). Questi ultimi vennero riorganizzati in 193 centurie: 170 di fanti, 18 di
cavalieri e 5 di corpi senza armi (fabbri, carpentieri, trombettieri, suonatori di corno, inservienti). Le
centurie dei fanti erano distribuite in 5 classi, a seconda della complessit dellarmamento e quindi del
censo: la prima classe era composta da 80 centurie, la seconda, la terza e la quarta da 20, la quinta da
30. Ogni classe era divisa tra centurie di iuniores (combattenti tra i 17 e i 46 anni) e seniores (tra i 46 e
60 anni, che in occasione della leva rimanevano a presidio della citt). Schematizzando la riforma:
Classe Centurie Censo minimo Armamento I
80 100.000 assi
Elmo, scudo rotondo, schinieri, corazza, asta e spada II
20 75.000 assi Elmo, scudo rettangolare, schinieri, asta e spada III 20 50.000 assi Elmo, scudo
rettangolare, asta e spada IV 20 25.000 assi Asta e giavellotto V 30 11.000 assi Fionde e pietre da getto

Il nuovo ordinamento dellesercito fu alla base dellintroduzione di una nuova assemblea popolare, i
comizi centuriati, che si riunivano nel Campo Marzio, ossia fuori dalle mura della citt: questo perch
essi rappresentavano il popolo in armi, soggetto quindi ai vincoli imposti dal pomerium, il confine
sacro oltre il quale non era lecito introdurre armi. In questa assemblea lunit di voto era rappresentata
dalla centuria, ed essa quindi tendeva a favorire enormemente gli elementi pi abbienti della
comunit, i quali, seppur numericamente esigui, erano tutti distribuiti tra le 80 centurie della prima
classe o tra le 18 dei cavalieri: lunione di queste due classi era sufficiente a garantire la maggioranza
nelle votazioni (ovvero 98 centurie su 193).
A lungo andare i comizi centuriati, che si occupavano dellelezione dei magistrati superiori
(ossia quelli dotati di imperium, come i consoli e i pretori) e decidevano della guerra, divennero
lassemblea popolare pi influente, soppiantando i pi antichi comizi curiati.
Il regno di Servio Tullio si concluse per in tragedia. Il sovrano trov infatti la morte per mano
del genero Tarquinio, poi detto il Superbo, la cui salita al trono fu favorita dalla moglie Tullia. Anche
sulla figura dellultimo re di Roma la tradizione appare alquanto inquinata: a Tarquinio il Superbo
sono infatti attribuite tutte le caratteristiche negative e i luoghi comuni propri di un tiranno: tra questi
possiamo menzionare listituzione di una guardia personale, una forte ostilit nei confronti
dellaristocrazia, una politica edilizia spettacolare e tesa a celebrare le proprie gesta.
Nonostante ci, innegabile che durante il suo regno Roma incontr importanti successi sul piano
militare e diplomatico. Il re diede inizio al secolare conflitto con la popolazione dei Volsci, sulla quale
riport unimportante vittoria presso Suessa Pomezia; inoltre estese linfluenza romana su Tuscolo. In
campo diplomatico Tarquinio il Superbo sigl rapporti di alleanza con la citt greca di Cuma e un
trattato commerciale con la potente Cartagine, vedendo cos riconosciuta legemonia romana su tutta
larea laziale. Ulteriore segno di prestigio per la citt fu il completamento del tempio di Giove
Ottimo Massimo sul Campidoglio.

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Espansione di Roma in et monarchica

La cacciata di Tarquinio da Roma viene tradizionalmente interpretata come la conseguenza di


uno scandalo sessuale: la matrona romana Lucrezia, moglie del cugino del re, Lucio Tarquinio
Collatino, si sarebbe data la morte dopo aver subito violenza da parte del figlio del sovrano, Sesto
Tarquinio. Collatino avrebbe quindi trovato appoggio sia nel nipote del Superbo, Lucio Giunio Bruto,
sia in due nobili di origine latina, Publio Valerio Publicola e Marco Orazio, i quali avrebbero fomentato
la rivolta in tutta la citt costringendo infine il sovrano ad abbandonare Roma.
Seppur cacciato da Roma, Tarquinio cerc di farvi ritorno alleandosi con Lars Porsenna, il lucumone
di Chiusi, la cui marcia su Roma fu arrestata solo grazie ad atti di estremo eroismo, tra i quali la
tradizione celebra lautomutilazione di Muzio Scevola e leroica resistenza di Orazio Coclite, il quale
avrebbe difeso da solo il ponte Sublicio consentendo ai concittadini di demolirlo e di impedire cos
lingresso in citt ai nemici.

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Muzio Scevola davanti a Porsenna (Charles Le Brun, olio su tela, 1643-1645, Macon, Muse
des Ursulines)

Nonostante la rinuncia di Porsenna (affascinato e intimorito dalla tenacia romana), il figlio di


questo, Arrunte, riusc lanno successivo (508 a.C.) a impossessarsi per un breve periodo di Roma, che
torn quindi momentaneamente sotto la dominazione etrusca. Gi nel 507 a.C., tuttavia, la citt fu
liberata grazie allintervento di Aristodemo di Cuma che, sollecitato dalle citt latine, sconfisse
Arrunte nella battaglia di Aricia, consentendo finalmente a Roma di tornare libera.
A partire da questo momento si instaur in modo definitivo un governo di stampo repubblicano,
fondato cio sulla condivisione del massimo potere tra pi magistrati eletti annualmente dallassemblea
del popolo.

Suggerimenti di lettura:

Fonti antiche:
- Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, Libro I, Vol. 1, Milano, BUR, 1982.
- Dionisio di Alicarnasso, Storia di Roma arcaica (Le Antichit romane), Milano, Rusconi, 1984.
- Plutarco, Vite parallele (Vite di Romolo e Numa Pompilio), Torino, UTET, 2011.

Studi moderni:
- AA. VV., Storia di Roma, Vol. 1, Roma in Italia, a cura di A. Momigliano e A. Schiavone,
Torino, Einaudi, 1988.
- R. T. Scott, The Contibution of Archaeology to Early Roman History, in K. Raaflaub (ed.), Social
Struggles in Archaic Rome: New Perspectives on the Conflict of the Orders, University of California
Press, 2005, pp. 98-106.
- C. Smith, Early and Archaic Rome, in J. Coulston and H. Dodge, Ancient Rome: the Archaeology of
the Eternal City, Oxford, 2000, pp. 1641.
- G. Cresci Marrone, F. Rohr Vio, L. Calvelli, Roma antica. Storia e documenti, Bologna, Il Mulino,
2014.
- E. Gabba, Roma arcaica. Storia e storiografia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000.

Il cippo, in tufo, fu rinvenuto nel 1899 dallarcheologo Giacomo Boni vicino allarco di
Settimio Severo. Sul cippo iscritto un testo che tuttavia di difficile interpretazione a causa della
mancanza della parte superiore e dellandamento della scrittura bustrofedico, cio dallalto verso il
basso e dal basso verso lalto. Si dovrebbe comunque trattare di una legge che disciplinava laccesso
al santuario presso cui era collocato il cippo.
In latino patres, da cui sarebbe poi derivato il termine patrizi.
La felice espressione fu coniata da Giorgio Pasquali in un celebre saggio pubblicato nel 1936.
Per la riforma oplitica di Servio Tullio si veda Tito Livio (Ab urbe condita, 1.43.1-8): Di
quelli che avevano un patrimonio di centomila assi o pi fece ottanta centurie, quaranta di seniori e
altrettante di iuniori: tutti questi furono chiamati prima classe; i seniori dovevano rimanere alla difesa
della citt, gli iuniori condurre le guerre esterne. Le armi a questi prescritte erano lelmo, lo scudo
rotondo, gli schinieri e la corazza, tutte di bronzo, come armi difensive, e come armi offensive lasta e
la spada. A questa classe furono aggregate due centurie di operai, che prestavano servizio militare
senzarmi, ed erano addetti al trasporto delle macchine da guerra. La seconda classe comprendeva
coloro che avevano un patrimonio da centomila assi a settantacinquemila assi, e con essa di formavano
venti centurie fra seniori e iuniori; le armi prescritte erano lo scudo rettangolare in luogo di quello
rotondo, e per il resto erano quelle stesse della prima, eccetto la corazza. Il censo prescritto per la terza
classe volle che fosse di cinquantamila assi; il numero delle centurie era il medesimo, anche queste
divise secondo gli stessi limiti det; le armi non erano diverse, solo mancavano gli schinieri. Nella
quarta classe il censo minimo era di venticinquemila assi: le centurie sempre venti, ma le armi
cambiavano: non avevano altro se non lasta e il giavellotto. Pi numerosa la quinta classe, con 30
centurie; gli uomini portavano la fionda e le pietre da getto. Aggregati a questi erano gli accensi, i
suonatori di corno e di tromba, divisi in tre centurie. Il censo di questa classe doveva raggiungere gli
undicimila assi; di tutto il resto della popolazione che aveva un censo inferiore si fece una sola centuria
esente dal servizio militare.
Sui comizi centuriati, si veda sempre quanto scrive Livio (Ab urbe condita, 1.43.10-11: Tutti
questi oneri furono addossati alle spalle dei ricchi sgravando i poveri, ma poi fu accresciuto il loro
potere politico: infatti il voto non fu pi individuale, concesso a tutti senza distinzione con lo stesso
valore e lo stesso diritto, secondo luso introdotto da Romolo e mantenuto dagli altri re, ma furono
stabiliti dei gradi, di guisa che nessuno in apparenza era escluso dal voto, ma tutto il potere politico era
in mano dei cittadini pi eminenti. I cavalieri infatti erano chiamati per primi a votare; seguivano poi le
ottanta centurie della prima classe; se vi era disaccordo fra queste, cosa assai rara, veniva chiamata la
seconda classe, e quasi mai si scendeva tanto da giungere ai gradi pi bassi).
Su questa tradizione si veda Tito Livio 1.49.
Lucumone: termine etrusco per re.
Dai un voto:
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La nascita dell'Impero Romano Ulisse Rai 3

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Breve storia di Roma

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Breve storia di Roma antica Roma e i suoi numerosi secoli di storia partono ufficialmente nel 753
a.C. sulle pendici del colle Palatino, in un momento in cui gli Etruschi e i coloni greci occupano aree
vicine. La tradizione d a Romolo la paternit del villaggio, tracciato nel perimetro con un aratro.
Nel 509 a.C., fino al 27 a.C. governano le supreme autorit repubblicane che, elette anno dopo
anno dai cittadini, fondano le basi del diritto civile.
Roma, da villaggio, diventa in pochi secoli capitale di un impero e, con le guerre puniche, la
dominatrice incontrastata del mar Mediterraneo.
> Mappa dell'Impero
Lespansione territoriale e della popolazione necessitano una ridefinizione della "res publica",
ovvero dello stato. Le soluzioni suggerite dai diversi uomini influenti che si succedono arrivano, dopo
lassassinio di Cesare (44 a.C.) e il contrasto tra Marco Antonio alleato con Cleopatra da una parte e
Ottaviano, nipote di Cesare, dallaltra, a un nuovo regime istituzionale: il principato. Il "princeps" (da
"primum caput" o primo cittadino) fonda limpero in un assetto unificato e pacificato che dura fino al
III secolo d.C. ("pax romana"). Durante questi secoli limpero romano raggiunge il suo splendore.
Con il III secolo d.C., Roma via via perde il ruolo centrale per la vastit e universalit del suo
regno, finch Diocleziano separa in due parti limpero ristrutturando profondamente economia, finanze,
politica e burocrazia. Questopera garantisce a Roma un secolo di nuova prosperit e il Cristianesimo,
autorizzato ufficialmente nel 313 d.C. da Costantino il Grande con leditto di Milano, constribuisce a
sostenere il regime.
In quel periodo Roma contava circa 4 milioni di cittadini (uomini liberi, schiavi esclusi) e
limpero oltre 50 milioni.
Nel IV secolo il baricentro dellimpero si sposta verso oriente, dopo le successive invasioni in
Italia di Barbari, Visigoti e Vandali, che arrivano a saccheggiare persino la citt di Roma.
Il VI secolo vede la scomparsa dellimpero romano, lasciando alla storia il merito di aver creato
e unificato il cosiddetto "mondo civile".
Addentratevi nella conoscenza di Roma antica attraverso gli altri brevi capitoli:
Negli altri capitoli potete trovare il notiziario sull'avanzamento degli scavi archeologici nella
zona dei Fori Imperiali, la WebView in diretta sui Fori, le ricostruzioni degli antichi edifici, i detti e le
curiosit sulla vita degli Antichi Romani. Selezionate il capitolo tra i quattro titoli nella colonna nera di
destra.

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