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STORIA E FONDAMENTI DELLA MATEMATICA

Luigi Borzacchini (Dip. di Matematica, Universit di Bari)

Parte I. Dalle origini alla matematica moderna

Perch un corso di storia e fondamenti della matematica nella formazione dei futuri docenti di
matematica? Non basta che conoscano la matematica stessa? Cambia qualcosa nellinsegnamento
della matematica se ne conosciamo la storia?
Ma partiamo dalle inchieste sullinsegnamento che in passato hanno delineato una situazione
abbastanza paradossale: gli studenti in genere ritengono i loro docenti di matematica abbastanza
preparati, ma incapaci di insegnarla, tanto da fare della matematica la materia meno amata dagli
adolescenti. Incidentalmente: la materia pi detestata la matematica, seconda, la storia. Quindi la
storia della matematica per uno studente quanto di peggio si possa immaginare!
Perch accade questo disastro didattico nella matematica?
Certo lo studio di tecniche didattiche e pedagogiche pu migliorare la tecnica del docente di
matematica, ma c una questione pi radicale: diversamente dalle altre discipline in cui si impara
progressivamente, lapprendimento della matematica qualcosa che procede per improvvise
illuminazioni, per passaggi dalle tenebre alla luce. E normale lesperienza di ritenere qualche
idea matematica astrusa e incomprensibile per molto tempo, e poi, improvvisamente, capirla
chiaramente una volta per tutte. In questo modo di apprendere normalmente le difficolt
precedenti vengono rimosse, considerate quasi un momento di cecit di fronte a qualcosa di
evidente. Cos lo studente di matematica e futuro docente della stessa materia ritiene ovvio quello
che prima gli era astruso e rimuove le passata difficolt, considerandole quasi un peccato di
giovinezza, e quando deve insegnare si stupisce che i suoi studenti non trovino ovvio quello che
per lui da tanti anni diventato ovvio, pur essendo stato precedentemente incomprensibile.
Il maestro irlandese fra le due guerre descritto da Frank Mc Court nel Le ceneri di Angela
faceva ripetere ai suoi studenti ogni mattina <chi non capisce Euclide scemo>. In realt la
matematica non ovvia, non naturale, non logica, una conquista complessa, un faticoso
processo di maturazione concettuale e mentale, non capirla ovvio, naturale, logico.
Per questo pu aiutare la storia della matematica: pu rendere chiaro questo faticoso processo,
esplicitare le difficolt, relativizzare le certezze acquisite. Occorre che un professore guardi la
matematica con un doppio sguardo, uno che ne veda la certezza e la perfetta struttura
architettonica, e un altro che ne veda la faticosa e incerta costruzione.

Esiste la necessit di fondare la matematica? Si potrebbe tranquillamente rispondere di no.


Se consideriamo infatti gli ultimi quattro secoli davanti ai nostri occhi si presenta uno scenario
segnato da una sequenza continua di stupefacenti trionfi della applicazione della matematica al
mondo reale nella meccanica, ottica, elettromagnetismo, termodinamica, fisica atomica,
astrofisica, biologia, etc. Ma forse proprio questo stupefacente trionfo rende ancora pi
affascinante il problema del trovarne le ragioni: che cosa rende il mondo matematico?
Unaltra caratteristica che distingue la matematica anche dalle altre scienze il suo rapporto
con la verit e la certezza. E indubbio che un fatto matematico (ad esempio che 261 non un
numero primo) anche se verificato una sola volta appare molto pi certo di qualsiasi regolarit
naturale, anche se verificata miliardi di volte (ad esempio che domani sorger il sole). Anche
questa certezza che contraddistingue il fatto matematico non pu non renderci almeno curiosi
sulla sua origine.

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E la matematica la pi antica delle discipline: uno scriba mesopotamico di quattromila anni
fa potrebbe fare il suo corso di matematica elementare anche oggi: sembrerebbe solo un po
sperimentale. Di nessuna altra disciplina si pu dire lo stesso.
Cio, diversamente da tutte le altre discipline il problema filosofico in matematica non nasce
tanto dalle sue incertezze o mutabilit, ma proprio invece dai suoi successi e dalla sua
immutabilit. E forse per questo motivo i fondamenti della matematica non sono oggi una
disciplina di natura filosofica come i fondamenti della fisica, ma si presentano come una specifica
branca della matematica. In questo distingueremo il problema dei fondamenti della matematica
dalla filosofia della matematica, che invece conserva un impianto filosofico. Storicamente il
problema dei fondamenti sembra apparire verso la fine dellottocento, emergendo dalla filosofia
della matematica ma diventando parte integrante del pensiero matematico.
Tipicamente due problemi sono centrali nel dibattito sui fondamenti della matematica. In
primo luogo il problema ontologico: quale la natura degli enti matematici. Sono realmente
esistenti? sono creazioni della mente umana? O che altro? In secondo luogo il problema
epistemologico: come conosciamo la matematica? La scopriamo empiricamente? La creiamo? La
intuiamo?
Corollario a questi due interrogativi appare un terzo problema filosofico: perch le tecniche
matematiche funzionano cos bene nel mondo reale? Questo problema appare chiaro quando
riflettiamo sulla profonda diversit tra ci che vediamo intorno a noi, la realt e quello che
manipoliamo quando facciamo matematica, essenzialmente segni. Da qui possiamo far partire la
nostra indagine: che cosa significa conoscere tramite segni?

I SEGNI E LA RAPPRESENTAZIONE SINTATTICA

La rappresentazione sintattica connette due mondi: l'essere, il mondo reale (brevemente: la


semantica) e il linguaggio, il mondo dei segni (la sintassi), ogni segno sta per qualcosa, aliquid
stat pro aliquo. Ma che cosa intendiamo qui per segno? Una 'traccia' (scritta sulla carta, scolpita
nella roccia, incisa sulla argilla) scelta da un insieme finito, un alfabeto, di tracce.
Importante sottolineare che i nostri 'segni' sono anfibi: hanno qualcosa di astratto e ideale, in
quanto li riteniamo infinitamente riproducibili in modo identico e perfettamente distinguibili tra di
loro: anzi sono gli unici enti dei quali si possa realmente predicare la assoluta uguaglianza e
diversit, i segni sono gli 'apriori' del concetto moderno di "uguaglianza" a partire almeno da
Platone: si possono creare infiniti 5 e tutti identici fra di loro per quanto diversi possano essere
dimensioni, materiali, stili di scrittura, e un 5 e un 4 sono totalmente diversi per quanto somiglianti
possano apparire. Essi hanno tuttavia anche qualcosa di materiale e concreto, in quanto li
riteniamo costruibili e manipolabili tecnicamente. Dal punto di vista della funzione di
'rappresentazione', vengono ritenuti convenzionali nella forma e intersoggettivi nel significato e
nell'uso (secondo "regole"). Sono insomma i nostri segni logici, numerici, algebrici, ma anche
quelli alfabetici nella misura in cui il linguaggio naturale viene usato come 'protocollo di
comunicazione' di fatti.
La linguistica contrappone spesso questo tipo di rappresentazione 'sintattica' ad una
rappresentazione 'iconica', in cui gli elementi del mondo reale sono rappresentati da loro
'immagini' pi o meno stilizzate (ad esempio le silhouettes di uomini e donne sulle porte delle
toilettes).

I segni e la loro funzione di rappresentazione sintattica sono la base di ci che qui intendiamo
per pensiero formale. Qualcosa che fa parte integrante della nostra vita, al punto da apparire del
tutto ovvia. Ma davvero tale?
Ma che cosa il pensiero formale? Pu avere diversi significati, ma noi lo intendiamo come
ragionare senza comprendere. E qualcosa di comune in logica e matematica. Confrontiamo
queste due deduzioni: <ogni barese pugliese, Giovanni barese, quindi Giovanni pugliese> e

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<ogni sarchiapone sesquipedale, Joe un sarchiapone, quindi Joe sesquipedale>: quale la
differenza? Le deduzioni sono identichea, ma la prima deduzione ha un senso, possiamo
addirittura conoscere un tale Giovanni barese, la seconda puramente formale, non ha alcun
senso. Oppure consideriamo questi due problemi: <ogni cartone contiene 6 uova, la mamma
compra 4 cartoni, quante uova compra? 24> e <ogni brik contiene 6 stuk, abbiamo 4 brik, quanti
stuk abbiamo? 24>. Le operazioni sono le stesse, ma la prima qualcosa di assolutamente
comune, la seconda non significa niente, puramente formale.
Consideriamo ad esempio un astronomo (caldeo, rinascimentale o contemporaneo) che
guarda la luna e ne rappresenta la posizione attraverso coordinate astronomiche (figura 1):
questo l'aspetto 'statico' della rappresentazione (descrive il regno della realt, ed erede della
'characteristica universalis' di Leibniz).

| 27N
| rappresentazione 12E
|
| moto calcolo
| divenire deduzione
| mutamento regola
|
|
|
|
| 31N
| 28E
| interpretazione

figura 1

Ma l'astronomo pu anche prevedere, 'calcolare', attraverso tavole, operazioni, calcoli,


equazioni, ecc., la posizione che la luna assumer pi tardi e verificare il risultato. Se la posizione
cos prevista e quella reale coincidono, la rappresentazione si dice corretta (matematicamente
diremmo che il diagramma 'commuta'). Questo l'aspetto 'dinamico' della rappresentazione
(descrive il divenire, il mutamento, ed erede del 'calculus ratiocinator' di Leibniz).
I due 'mondi', sintassi e semantica, appaiono del tutto eterogenei e quindi si pone
immediatamente il problema del come faccia questa "tecnica rappresentativa" a 'funzionare' (e che
'funzioni' provato dalla sequenza praticamente ininterrotta di trionfi della nostra conoscenza
'sintattica', la matematica applicata soprattutto alla fisica, negli ultimi quattro secoli), non solo
come 'ricetta' empirica di registrazione di fatti, ma addirittura come fondamento della stessa idea
di "verit".

Proviamo a delineare pi precisamente le difficolt connesse con l'idea di rappresentare la


realt tramite "segni".
In primo luogo consideriamo la doppia caratterizzazione della rappresentazione sintattica, allo
stesso tempo convenzionale e intersoggettiva. A pensarci bene la intersoggettivit sarebbe meglio
garantita da una rappresentazione iconica (e del resto la prima idea di 'rappresentazione' che
troviamo nella cultura greca mimsis, "imitazione"), che da una sintattica, la quale invece, in
quanto convenzionale, si presenta essenzialmente soggettiva. In parole povere: sulla porta della
toilette, scrivere 'uomini' e 'donne' invece di usare le 'silhouettes' rende la rappresentazione pi
'soggettiva' (ad esempio la rende incomprensibile a chi non capisce l'italiano). Le due
caratterizzazioni del 'segno' appaiono cos curiosamente contraddittorie: le ragioni della

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"convenzionalit", legate soprattutto alla diffusione della scrittura, paradossalmente ne minano la
"intersoggettivit" .
In secondo luogo confrontiamo, nell'esempio astronomico fatto pi sopra, il moto reale della
luna durante la notte, continuo, quasi uniforme e rettilineo, con le operazioni sintattiche fatte dagli
astronomi, col moto delle palline sull'abaco o con gli scarabocchi delle operazioni aritmetiche o
con le transizioni di stato in un calcolatore. Non solo questi sono processi discreti, ma presentano
un carattere apparentemente caotico del tutto inconfrontabile col moto regolare della luna. Questa
differenza continuo/discreto (regolare/caotico) si traduce in diverse difficolt della
rappresentazione: la 'rappresentazione sintattica' richiede simboli 'elementari' mentre quella
'iconica' no, le parti della rappresentazione di un oggetto non sono rappresentazioni delle parti
dell'oggetto stesso (a quale parte di Socrate corrisponde la 'o' del suo nome?), mentre invece
questo accade nella rappresentazione iconica (la mano nella immagine di Socrate l'immagine
della mano di Socrate), ed infine la relazione non biunivoca: un predicato corrisponde a molti
oggetti e un oggetto possiede molti predicati.
In terzo luogo limmagine reale istantanea, distribuita su una superficie bidimensionale,
mentre invece la rappresentazione simbolica si sviluppa nel tempo (nel caso della oralit) o lungo
una linea da seguire con la mano o con lo sguardo (nella scrittura).
In quarto luogo la corrispondenza abbastanza semplice per termini osservativi (come "casa"
o "giallo"), pi complessa per termini astratti (come "bellezza" o "giustizia") o costrutti teorici
(come "carica elettrica"), ma esistono parole per le quali la corrispondenza del tutto impossibile,
quali "essere", "verit", "negazione", ecc. Addirittura nella realt rappresentata dalla proposizione
"non c' niente di rosso" non solo non troviamo qualcosa corrispondente a "non", a "niente" o a
"c'", ma neanche qualcosa corrispondente a "rosso". Un'ape forse pu trasmettere informazioni
sulla presenza di polline semplicemente 'mimando' direzione e distanza, ma pu in tal caso
'mentire' o 'riconoscere un errore', in generale tematizzare il falso?
Esistono poi i termini matematici, quali numeri o relazioni ("uguale" o "pi/meno"), i quali
non ammettono corrispondenze 'analitiche', ma solo 'olistiche', relative cio alla 'totalit' della
immagine, non sono attributi ma relazioni tra cose: in "ci sono due stelle" o "i pianeti hanno
uguale luminostit" il 'due' o l''uguale' non possono essere predicati di nessun oggetto singolo, ma
solo del fatto complessivo.

Alla periferia della scienza europea troviamo zone dove, del pensiero formale, si perdono le
tracce. Il bambino di Piaget arriva al pensiero formale lentamente tra i 6 e gli 11 anni, ed in modo
in fondo abbastanza misterioso anche se la scuola sembra giocarvi un ruolo decisivo.
Qualcosa di analogo si trova nelle indagini antropologiche, quali quelle di Levi-Strauss. Negli

| idee
|
| mente
|
|
|
| oggetti parole
|
|
| realt rappresentazione linguaggio

figura 2

anni 30 Luria e Vigotskij approfittarono della politica stalinista di imposizione della scuola di
massa per studiare la transizione in tempi rapidi da culture orali a culture della scrittura. In
Uzbekistan trovarono una popolazione di antica cultura, ma del tutto analfabeta, che fu costretta
nel giro di pochi anni a passare ad una scolarizzazione integrale. Fratelli pi grandi analfabeti e
fratelli pi piccoli secolarizzati. Impressionante il cambiamento per quanto riguardava il pensiero

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formale, che sembrava quasi assente nei primi e normale nei secondi. Ad esempio di fronte a
questioni del tipo Nei boschi qui intorno tutti gli orsi sono marroni. Se incontri un orso, di che
colore ? Entrambi rispondevano ovviamente, marrone. Ma di fronte alla stessa questione
riferita per agli orsi bianchi (mai visti dagli uzbechi) dellestremo nord, mentre il secondo
rispondeva ovviamente bianchi, il primo mostrava difficolt a fare una inferenza riguardo fatti
di cui non aveva esperienza.
Il Bororo di Levi-Strauss o l'uzbeco di Luria appaiono fuori del pensiero formale, ma Levi-
Strauss insiste che non si tratta di 'illogicit' ma di una logica "concreta" al posto di una logica
"formale", e Luria sottolinea l'apparire del pensiero formale al seguito della scolarizzazione di
massa.

Il pensiero formale nato 'una volta sola', intorno al V sec. A.C. in Grecia. Quali forze
segnano questo emergere? Sono i secoli che segnano l'affermazione definitiva di una economia
basata sulla moneta, della citt e della sua scuola, l'emergere degli intellettuali come ceto laico, il
crollo della famiglia allargata, la diffusione di massa della scrittura alfabetica. Di questa specie di
'melting pot' forse l'aspetto che ci interessa sottolineare, visto che dobbiamo studiare i 'segni', il
ruolo pervasivo della tecnologia alfabetica. Del resto diversi autori hanno sottolineato il ruolo
decisivo delle forme linguistiche e del medium comunicativo nella stessa 'forma' di una civilt: da
von Humboldt allinizio del XIX secolo sino, in tempi pi recenti, a Whorf, Sapir, Havelock,
MacLuhan.
La idea di rappresentazione ha un ruolo cruciale nella 'novit' del pensiero greco, non solo
nella astronomia geometrica e nel pensiero formale: si pensi alle carte geografiche che la
tradizione ascrive ad Anassimandro, Ecateo, fino ad Aristagora, tiranno di Mileto, che porter in
Grecia "una tavola di bronzo su cui erano incisi i contorni di tutta la terra, con tutti i mari e tutti i
fiumi".

Ed anche l'alfabeto nato 'una volta sola': tutti gli alfabeti sembrano essere derivati
direttamente o indirettamente da un proto-alfabeto nato tra il Sinai e la Fenicia nella seconda met
del II millennio a.C. e poi perfezionato dai Greci.
Nella cultura greca classica l'intera struttura del ceto e della funzione intellettuale viene
stravolta dal ruolo sempre pi rilevante assunto dalla scrittura. Di questo cambiamento epocale si
sente l'eco nelle parole di Platone, nel Phaedrus 274b-275c, ove narra il mito sulla nascita della
scrittura (oltre che della matematica e dei giochi combinatori) da parte del dio greco Theuth. Il dio
mostra a re Thamus di Tebe le sue invenzioni e ne vanta l'utilit.

Ma quando giunse alla scrittura, Theuth disse "Questa


dottrina, o re, render gli egiziani pi sapienti e pi
capaci di ricordare, perch con essa si ritrovato il
farmaco della memoria e della sapienza." E il re rispose: "O
ingegnosissimo Theuth, c' chi capace di creare le arti e
chi invece capace di giudicare quale danno o quale
vantaggio ne ricaveranno coloro che le adopereranno. Ora tu,
padre delle lettere, per affetto hai detto proprio il
contrario di quello che essa vale. Infatti la scoperta della
scrittura avr per effetto di produrre la dimenticanza delle
anime di coloro che la impareranno, perch, fidandosi della
scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante
segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi: dunque
tu hai trovato non il farmaco della memoria, ma del
richiamare alla memoria. Della sapienza poi tu procuri ai
tuoi discepoli l'apparenza, non la verit: infatti essi
divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza
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insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte
cose, mentre, come accade per lo pi, in realt non le
sapranno; e sar ben difficile discorrere con essi, perch
sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti."

Paradossale la 'paura' espressa da Platone, quando si pensi che grande scrittore egli sia stato,
quanto dovette alla sua opera il pensiero formale e quanto debba il suo ruolo nella storia della
filosofia al fatto di essere stato il primo filosofo i cui testi sono arrivati, grazie alla scrittura, sino a
noi quasi integralmente.
In mille e mille passi Platone ed Aristotele ci mostrano che l'alfabeto la metafora di quella
forma europea del sapere, centrata sulla rappresentazione sintattica. Un sapere fatto di enti discreti
complessi costituiti di elementi irriducibili ad altro da s e la cui conoscenza fuori della
dialettica. La dialettica compare al di l degli elementi, laddove essi si compongono e pongono le
basi dell'idea gerarchica, composizionale e funzionale della conoscenza (sia la realt che il
linguaggio scientifico sono costituiti di oggetti complessi composti a partire da oggetti pi
semplici, ed il funzionamento e significato di questi si ricavano univocamente a partire dal
funzionamento e significato di quelli), che resta l'impronta digitale della nostra civilt.

La matematica viene dallOriente e fino a quasi tutto il medioevo sempre stata un prodotto
orientale: la Grecia antica in fondo era la periferia dellOriente. Archimede di Siracusa il pi
occidentale matematico antico, ma i suoi riferimenti culturali erano tutti orientali. Si pu
considerare Leonardo da Pisa, detto il fibonacci, vissuto nella prima met del XIII secolo, il
primo matematico occidentale.
E prima dei Greci la matematica era patrimonio degli scribi, quei sacerdoti del tempio e del
palazzo che avevano il monopolio della cultura, della scrittura e della matematica, cos che, pur
apparendo negli antichi miti e rituali, aveva un aspetto essenzialmente pratico: calcoli relativi ad
aree, a quantit di beni, a problemi amministrativi. Harpenodaptai (tenditori di corde) erano detti
gli scribi egizi che dopo ogni inondazione del Nilo rimisuravano con corde e paletti i campi a fini
fiscali.
Probabilmente la matematica si svolgeva soprattutto sullabaco che allorigine era solo una
superficie piana coperta di sabbia sulla quale si potevano tracciare linee e poggiare sassolini. Era
lantenato del nostro pallottoliere ma serviva probabilmente anche a fare costruzioni geometriche,
ad esempio per scoprire come calcolare le aree delle figure geometriche (la fig.2 bis mostra come
si poteva scoprire sullabaco la regola per il calcolo dellarea del rettangolo). Del resto lo stesso
Archimede fu ucciso sulla spiaggia mentre faceva geometria sulla sabbia. I sassolini finivano con
lessere nel contempo punti, quadratini unitari e unit, antenati di quelle che i Greci chiameranno
monadi, cos che tanto un intervallo di lunghezza n quanto il numero intero n saranno da essi
considerati una sequenza lineare di n monadi (fig.1, destra).

FIG.2 BIS

Non si trova traccia di dimostrazioni, ma non si deve credere che si trattasse di una
matematica rozza. Ad esempio, gli egiziani avevano un algoritmo per la moltiplicazione tra interi,
rapido e facile, che usava non le tabelline ma di fatto la scrittura binaria dei numeri. Supponiamo

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ad esempio di voler moltiplicare 27 per 13. Iteriamo il raddoppio di 27 fino ad ottenere il suo
multiplo 2n-esimo con 2n minima potenza di 2 maggiore di 13, e scriviamo 13 come somma di
multipli di 2: otteniamo 13 = 8 + 4 + 1, contrassegniamo con una i termini di tale somma:

1 2 4 8 16
27 54 108 216 432
Ora sommiamo i multipli contrassegnati dalla : 27 + 108 + 216 = 351, che il risultato
cercato, senza tabelline.

I NUMERI E LINFINITO. I PITAGORICI E GLI ELEATI

In realt la storia della matematica fino al Rinascimento mostra lo sviluppo di due tradizioni,
tra di loro talora comunicanti, ma nettamente distinte. Vi una tradizione pratica, fondata sulluso
dellabaco, senza dimostrazioni ma sviluppata solo con esempi, appresa oralmente per
apprendistato, diffusa nella pratica di agrimensori, commercianti, architetti in maniera uniforme in
tutto il Mediterraneo fino in Oriente. Non vi una distinzione tra continuo e discreto, sullabaco
con luso di linee e pietroline tanto si svolgono calcoli aritmetici quanto si misurano superfici
geometriche. Non vale il principio di omogeneit (per il quale si possono sommare e confrontare
solo grandezze della stessa dimensionalit). Questa matematica sopravviver nei secoli pi bui del
Medioevo e crescer con lo sviluppo economico della nuova civilt europea.
Laritmetica pratica era legata al calcolo e alla misura. Inoltre apparir organicamente legata
alla filosofia e alla teologia, dominata da un clima pitagorico e platonico fino alla fine
dellantichit: il testo pi importante dellaritmetica greca fu quello di Nicomaco, vissuto ad
Alessandria tra I e II sec. d.C., il pi noto di una serie di testi in cui laritmetica veniva descritta
allinterno della tradizione neoplatonica dominante, senza nessuna parentela con la grande
tradizione dei geometri teorici e nella quale ogni numero era figurato, caratterizzato
filosoficamente ed entrava direttamente nella costituzione stessa della realt. Gli Elementi di
Euclide includeranno anche tre libri aritmetici, il VII, VIII, IX, in cui laritmetica verr trattata
teoreticamente rappresentando i numeri come segmenti: una aritmetica basata su postulati e
dimostrazioni, e sui concetti di rapporto e di proporzione, ma potremmo dire in un certo qual
modo adottata dalla geometria.
I numeri erano interi, cardinali e finiti. Non esistevano i numeri reali ma anche i razionali non
cerano (eccetto le parti, le frazioni unitarie 1/n, molto usate gi in Egitto). Ovviamente al
mercato esistevano dei modi pratici per trattare le frazioni, ma questo non aveva nessuna eco nella
aritmetica greca.

Laltra tradizione molto pi effimera, quella teorica dei grandi geometri greci, Archita,
Eudosso, Euclide, Apollonio, Archimede, fiorita tra il IV e linizio del II secolo a.C., con alcuni
epigoni successivi, come Pappo. E solo geometria non metrica, era puramente teorica e centrata
sulla teoria delle proporzioni, e sui concetti di uguaglianza e similitudine, con dimostrazioni
rigorose e principio di omogeneit, senza calcoli, esposta in libri e praticamente quasi del tutto
inutile, scomparsa nella tarda antichit e riapparsa solo con le traduzioni dei classici greci alla fine
del Medioevo.
Appariva netta in essa, contrariamente alla tradizione pratica, la opposizione tra numeri e
grandezze, tra aritmetica e geometria che durer fino al Rinascimento. E proprio tale opposizione
spiega la assoluta centralit della teoria dei rapporti e delle proporzioni nella matematica
premoderna, come unico linguaggio per estendere alla geometria teorica concetti di natura
aritmogeometrica.
La tradizione teorica si tramandava attraverso la scrittura e nelle scuole, che nelle citt greche
andava assumendo i caratteri moderni: relativamente di massa, spesso pubblica e fondata ai livelli

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elementari sul leggere, scrivere e far di conto, le fondamentali capacit della manipolazione dei
segni, linsegnare.
Certo, ci furono matematici in cui si leggono entrambe le tradizioni: il teorico Archimede fu
anche grande ingegnere ed il pratico Erone fu anche ottimo geometra: non causalmente ad essi si
attribuisce la formula per il calcolo dellarea del triangolo a partire dalla lunghezza dei lati, una
regola che per il suo carattere metrico sarebbe stata impensabile in Euclide. Tuttavia la distinzione
tra queste due tradizioni era molto pi netta di quella attuale tra matematica pura ed applicata, le
quali per noi in fondo condividono metodi, concetti, linguaggi, istituzioni formative e tecniche
didattiche.
Sono due tradizioni che si fonderanno allepoca di Descartes per creare la matematica
europea.

Nelle tradizione pratica i numeri erano da un lato parole del linguaggio orale dall'altro segni
scritti. Questi ultimi sembrano essere stati costruiti secondo lo schema generale di costruzione
della scrittura pi antica, come icone degli oggetti di calcolo, dita, pietroline, cerchi, bastoncini,
mani etc., con tracce probabili di prestiti fonetici, cio dell'uso di segni rappresentanti parole di
uguale pronuncia. Come parole i numeri erano credibilmente sempre "numeri di", potremmo
dire aggettivi o determinativi, ed anche in greco 1, 2, 3, 4, 100, 1000 erano declinati per genere e
caso. Il numero aveva cio da un lato un carattere semantico-computazionale, dall'altro la natura di
attributo cardinale di un insieme di oggetti concreti.
Le operazioni venivano spesso effettuate su 'tavole' la cui natura pu variare: semplici ripiani,
ripiani in qualche modo quadrettati, abaci, sui quali vengono mossi 'pezzi' quali gettoni, pietroline,
bastoncini, etc.
Pi complesso appare il ruolo della geometria. Sicuramente sembra svolgere un ruolo minore:
appare uno dei tanti settori pratici in cui si applicano le tecniche su accennate. Occorre cos
ricordare quanto descritto da Erodoto ne Le Storie: quando il Nilo asportava pezzi di terra il
Faraone mandava degli specialisti a computare l'area di quanto rimasto ai fini fiscali: era una
funzione cruciale, ma era sempre una geometria puramente metrica.
Tra le relazioni particolari messe in gioco nei problemi geometrici appaiono diverse propriet
concernenti l'area ed il perimetro di figure geometriche, volumi, similitudini e rapporti, e altre
propriet di natura metrica. Appare l'idea di calcolare l'area tramite dissezione della figura in
questione (in Cina si trovano esempi di un simile calcolo anche per volumi), ed largamente usato
il "teorema di Pitagora".
Ma credo sia possibile una valutazione pi articolata. La geometria appare, sicuramente in
Cina e presumibilmente in Mesopotamia, sotto un altro aspetto: come tecnica di dimostrazione e
anche di memorizzazione di propriet che noi diremmo algebriche: nel seguito ne daremo alcuni
esempi (per il calcolo delle radici, per il teorema di Pitagora, etc.). Si comprenderebbe cos perch
la terminologia 'algebrica' sia di natura 'geometrica'. Questo ruolo 'metodologico' e 'algebrico' della
geometria deriva verosimilmente da tecniche quali l'uso dell'abaco o strumenti analoghi in cui la
disposizione geometrica di oggetti era alla base sia di calcoli geometrici che di tecniche
aritmetiche ed algebriche. Forse di qui derivava la prassi pitagorica della rappresentazione figurata
dei numeri (triangolari, quadrati, rettangolari, gnomone, etc.: vedi fig.3). Le pietroline sono quindi
nel contempo unit, punti, quadrati unitari, monadi: una vera aritmogeometria. La risoluzione di
problemi matematici basata in gran parte sull'uso di 'tabelle'. Cos le frazioni vengono trattate nella
matematica egiziana usando tabelle della decomposizione di una frazione generica in frazioni
unitarie, e nella matematica babilonese la divisione si basa su tabelle degli "inversi".

Questo aspetto porter alla cosiddetta algebra geometrica che costituisce II libro degli
Elementi di Euclide (vedi fig. 3bis, nella quale vi sono le dimostrazioni geometriche delle nostre
formule algebriche ( a + b )2 = a2 + 2 a b + b2 e ( a + b ) ( a - b ) = a2 - b2, ed anche

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Neugebauer osserva che "i contenuti dell'algebra geometrica utilizzano risultati che erano noti in
Mesopotamia".

fig.3

a b

a a-b

b b

fig.3bis

In fig 3ter una costruzione che appare come teorema nel II libro degli Elementi (le due figure
nella parte superiore) e potrebbe essere la base della tecnica babilonesi di risoluzione delle
equazioni di II grado. Siano date la somma s di due grandezze e il rettangolo P, BCEH in figura,
che ha tali grandezze come lati. Prolunghiamo il lato CB di P per farlo diventare AB uguale ad s e
tracciamo la diagonale AO (figura in basso a destra). Sia D il punto medio di AB e costruiamo il
quadrato BDLN: se calcoliamo d, lunghezza di FG e quindi differenza tra s/2 e uno dei lati,
possiamo calcolare i due lati. Sia MN = CE, allora i due rettangoli quadrettati sono uguali e il
quadratino di lato d si pu calcolare come differenza tra il quadrato di lato s/2 e lo gnomone
DFGMNB, la cui area proprio P. Ma s e P sono noti e quindi noto il quadratino e di
conseguenza anche d.

La figura a sinistra era anche la base della procedura pratica per calcolare la A (il lato del
quadrato A). Se infatti a una buona prima approssimazione di A, allora A= a+b, con b molto
minore di a, e di conseguenza nel quadrato A il quadratino di lato b si pu trascurare, ottenendo A
~ a2+ 2ab (corrispondente ad una figura ad L, differenza tra un quadrato e un quadratino in esso
contenuto come in figura, detta uno gnomone). Cos la seconda approssimazione si ottiene
aggiungendo ad a il valore approssimato b ~ (A-a2)/2a. A tale nuova approssimazione si pu
riapplicare la stessa procedura per trovare una terza approssimazione, e cos via.

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a b
a
b
b s/2
s/2

s/2 - b d/2 O

P
L M N

S E F G H
d

fig.3 ter A C D B

Lidea di infinito e lopposizione continuo/discreto sono parte cruciale sin dallorigine della
prima caratterizzazione e del punto di distacco della tradizione teorica greca dai modelli orientali.
Di quelli egiziani e mesopotamici rimasto molto poco, cos che la mancanza di riferimenti
allinfinito o al continuo/discreto potrebbe sembrare accidentale, dovuta alla mancanza di fonti.
Considerando per la cultura cinese, possiamo analizzare una grande tradizione matematica che
nel finito stata fino a pochi secoli fa almeno confrontabile con quella occidentale, ed alla quale
probabilmente dobbiamo la nostra notazione numerica, gli algoritmi numerici, e diverse tecniche
combinatorie, oltre che le scoperte che hanno segnato l'inizio del 'moderno' in Europa: la bussola,
la stampa, la polvere da sparo. Eppure in tale cultura linfinito (ed il continuo) gioca un ruolo
minore (potremmo dire nullo): rimane lindefinitezza del tao ma niente di pi.
La nostra attuale idea di continuo e discreto quella delineata oltre duemila anni fa da
Aristotele, ma espressa in forma numerica solo con la nascita della scienza moderna, nel
'programma' di Descartes, ove il discreto visto come un campionamento del continuo (i numeri
interi sono particolari numeri reali), e il continuo esprimibile tramite il discreto (i numeri reali
sono rappresentati da una sequenza infinita di cifre). In maniera pi formale i numeri reali si
considerano una estensione (come i relativi e i razionali e poi i complessi) a partire dai naturali
allo scopo di trovare soluzioni ad equazioni a coefficienti interi.
Noi siamo cos abituati a scrivere un numero reale come due sequenze di cifre separate da un
punto:
... a3 a2 a1 . a-1 a-2 a-3 ....

che non ci accorgiamo del fatto che quel piccolo punto separa due universi radicalmente
differenti in tutta la storia della matematica e del pensiero, che solo saltuariamente e
provvisoriamente (come appunto nella rappresentazione del numero reale, nei secoli segnati dal
trionfo della fisica matematica) hanno trovato un punto di raccordo.
La prima sequenza sempre finita, a sinistra del punto, appartiene al dominio dei numeri interi,
contabili, alla numerazione, per contare uomini e pecore, ed origine dei segni numerici. Al di l
del punto, come al di l di uno specchio, la seconda sequenza appartiene alluniverso delle
grandezze, alla misurazione, legata alla realt esterna, in primo luogo sociale ed economica, ma
segnata anche dai fenomeni astronomici. Ed inoltre, mentre la prima sequenza sempre finita, e
solo potenzialmente infinita (esiste sempre qualcosa oltre nella definizione aristotelica), la

10
seconda pu e deve essere attualmente infinita (non esiste niente oltre nella definizione
aristotelica) per denotare un generico numero reale.

Il concetto di 'infinito' non ha basi empiriche, inizialmente solo un indeterminato, ma nel


V secolo comincia ad assumere un carattere pi esplicitamente quantitativo, "per addizione" con
Archita (dimostrazione dell'illimitatezza dell'universo per l'assurdo di attraversare l'eventuale
limite con un bastone) e "per divisione" con Anassagora (non esistenza di un limite alla
divisibilit) ed Eudosso (tecniche di esaustione): in tutti i casi si tratta di un infinito 'dinamico',
'potenziale', legato cio in fondo all'idea 'ordinale' di numero. Del resto anche il bambino
concepisce l'infinit dei numeri quando si accorge che non c' un limite al continuare a contare,
con una notazione numerica linguisticamente e sintatticamente illimitata.
Lidea di infinito che noi riteniamo 'ovvia' non emerge se non insieme ad unidea astratta di
numero, ben diversa dalla connotazione aggettivale-cardinale del numero nella aritmetica
greca, il numero di. La stessa locuzione infinito in numerosit viene usata da Platone per
connotare questa idea quantitativa di infinito o illimitato, a fronte credibilmente di una idea
semplice di apeiron destinata a conservare ancora in Platone una qualche caratterizzazione di
generica 'indeterminatezza'.
Per le grandezze aritmetiche l'idea di infinito non si poneva, ma anche per le grandezze
geometriche tale idea si rivelava ostica: ancora in Euclide ed Archimede eutheia una linea retta
finita, che pu essere estesa allinfinito, ma non esiste una parola per distinguere il 'segmento'
dalla 'retta'. Ma se per la retta esiste una idea di infinito potenziale, niente del genere per il piano
o lo spazio: quella greca una geometria piana senza il piano, solida senza lo spazio.

Abbiamo notizie molto vaghe sulla dottrina dello stesso Pitagora. Il reale contributo suo e dei
suoi immediati seguaci alla matematica stato nettamente ridimensionato da Walter Burkert. Tale
operazione in larga parte condivisibile e probabilmente occorre considerare Pitagora all'interno
dei rapporti stretti tra Grecia (Samo in particolare) ed Egitto, intensi ad esempio ai tempi della
occupazione dell'Egitto da parte di Cambise nel 525 a.C.. Ed Erodoto attesta che questi contatti
comprendevano rapporti coi sacerdoti egizi da parte di cittadini e commercianti greci.
L'acquisizione di tecniche e idee della casta sacerdotale egizia era destinata ad avere per poi
uno sviluppo del tutto originale in un ambiente culturalmente 'destrutturato' come quello delle
colonie greche. Possiamo dire che anche per la matematica vale quello che vale per la invenzione
dell'alfabeto greco a partire da quello fenicio: l'"emergenza" pressocch immediata legata alla
diffusione di un tipo di scrittura creata in una certa societ per un certo linguaggio in un
linguaggio e una struttura sociale del tutto diversi. La apparente 'banalit' del fatto rende ancora
pi sorprendente le dimensioni epocali delle sue conseguenze 'immediate'. Il fenomeno risulta pi
comprensibile se si ricorda che queste tecniche, sviluppate in ambienti sacerdotali, venivano ora
applicate in una societ 'aperta' e in rapida evoluzione: le figure intellettuali dei primi filosofi greci
appaiono estranee al 'palazzo' e alla religione ufficiale, ma in qualche modo connesse alla nascita
della polis greca.
La matematica non pi tecnica specifica dello 'scriba' nella sua funzione di funzionario
addetto alla amministrazione del 'palazzo', dei suoi conti e dei suoi calendari, ma diviene uno
"schema di libera educazione".
Il pitagorismo appare in tutta la sua dimensione se solo consideriamo il quadrivio, quella
ripartizione delle scienze matematiche di stampo certamente pitagorico, che regger fino al Medio
Evo e che appare del tutto eterogenea rispetto alla tradizione precedente, egizia, babilonese, ma
anche alla tradizionale formazione del giovane nobile indo-europeo basata su musica e ginnastica

I pitagorici consideravano le scienze matematiche divise in


quattro parti: una met riguardante la quantit, l'altra
met riguardante la grandezza; e ciascuna delle due la

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consideravano duplice. Una quantit pu essere considerata
per il suo proprio carattere o in relazione ad un'altra
quantit, le grandezze come stazionarie o in moto.
L'aritmetica studia allora la quantit in quanto tale, la
musica le relazioni tra quantit, la geometria la grandezza
a riposo, la sferica [astronomia] la grandezza in
moto.(Proclo, Commentari al I libro degli Elementi, 35-36)

Caratteristica della tradizione teorica, dopo Pitagora, la autonomia della geometria,


superando la tradizione pratica che di trattava i problemi geometrici come semplici calcoli
aritmetici senza principio di omogeneit, cos che sia Erone che Diofanto sommavano aree e
perimetri, aree e lati, etc., una tradizione che rimase estranea ai grandi problemi della geometria
greca: l'incommensurabilit, il continuo, le parallele, etc. E questa autonomia diventer anche
centralit della geometria nella matematica che durer fino al XIX secolo, relegando laritmetica
ad un ruolo minore, fino a Gauss.

B1 B2 + B3 + B4 B1
tg a =
A2 A1 -A5+A2+A3+A4A1

B2
A3

B3

A4 A5
Fig.4 B4

I babilonesi avevano creato una astronomia ricca di dati empirici, da cui erano in grado anche
di prevedere fenomeni quali le eclissi di luna, ma senza un modello dei cieli, i greci invece non
fecero vere osservazioni astronomiche e usarono soprattutto dati babilonesi, ma crearono gi nel
IV secolo a.C. con Eudosso un modello dei cieli basato su sfere rotanti, un modello che Claudio
Tolomeo complic immaginando sfere rotanti incastonate su altre sfere rotanti. Luso
modellistico della geometria: non apparve solo in astronomia ma anche nella rappresentazione
geografica: si pensi alla carta del mondo di Anassimandro o al tunnel dellingegnere greco
Eupalino di Megara, realizzato con una serie di costruzioni semplici ma testimoni di un uso
modellistico della geometria, che consentiva di calcolare la tangente dellangolo con cui occorreva
perforare la montagna (fig.4).
Ed anche questa caratteristica tutta greca ci riporta al problema della rappresentazione ed al
pitagorismo. Infatti il continuo geometrico appare ai greci come il regno dellessere, del reale,
della sua diretta percezione (e della sua non denominabilit), mentre il discreto aritmetico un
piccolo regno dei segni e appare anche la sua possibilit di rappresentare e di conoscere lessere,
pure quando non immediatamente percepibile.

E' Parmenide il vero padre del pensiero formale, in quanto ne inizia a rivelare tutte le
difficolt:

12
infatti identico il pensare e l'esistere(28. 3,1)
necessario che il dire e il pensare siano l'essere (28.

le vie di ricerca pensabili: l'una, che e non possibile
negare, la via della Persuasione (che segue alla Verit);
l'altra, che non e che necessario negare, questo ti dico
un sentiero del tutto indagabile. E infatti non puoi n
pensare n dire ci che non (non infatti possibile).
(28. 2,3-8)
Non ti permetter n di dire n pensare ci che non .
Infatti non si pu dire n pensare ci che non . (28. 8,7-
9)

E la necessit di trovare qualcosa di stabile nel flusso del divenire come condizione necessaria
per una conoscenza esprimibile linguisticamente causa l'immediato apparire del "paradosso del
giudizio negativo": se un'affermazione corrisponde ad un fatto che , allora una negazione
corrisponde a qualcosa che non , ma una frase su ci che non , intorno al nulla e quindi
impossibile.
Inevitabile tale paradosso quando si richieda una perfetta corrispondenza tra realt, pensiero e
linguaggio (il triangolo semiotico, fig.2). L'uomo europeo e la sua scienza sono il frutto di questa
scelta, che consisteva in definitiva nella costruzione del pensiero formale, una scelta di cui parte
integrante l'apparire al suo interno dei paradossi del non-essere.
Soprattutto la tradizione idealista da Parmenide a Platone il risultato di questa scelta, come
sottolinea Aristotele, nella Metaphysica, 1078 b 14-17:

tutte le cose sensibili scorrono perpetuamente, di modo che,


se c' scienza e conoscenza di qualche cosa, devono
esistere, al di fuori di quelle sensibili, certe altre
entit che permangano stabilmente, giacch non potrebbe
esserci scienza di cose che scorrono.

Il paradosso reso pi 'virulento' dalla origine 'visuale' dei termini greci di conoscenza: idein,
eidos, noein, theriaTutti verbi connessi alla 'visione' e progressivamente divenuti espressione
della conoscenza anche 'teoretica'. Una accezione 'visiva' della conoscenza, combinata con i
problemi del 'non essere', implica la quasi coincidenza tra "pensare ci che non ", "dire ci che
non ", e "vedere ci che non ", e quindi accentua il carattere 'devastante' del paradosso del
giudizio negativo:

E' possibile che un uomo pensi ci che non Ci sono


forse altri casi in cui si verifica una situazione del
genere? Si, che qualcuno vede qualche cosa ma non vede
nulla. (Theaetetus 188e)

La opposizione di essere e divenire, di sostanza e di accidente, si traduceva sostanzialmente


nella coincidenza tra divenire e contraddizione, e questo si manifestava ad esempio nella difficile
concezione del moto, che essendo un mutare (di luogo, affine ai mutamenti di sostanza,
dimensione, qualit in Aristotele), non poteva essere in senso stretto. Una difficolt il cui
superamento si riveler cruciale per la fisica rinascimentale.
Se ne vede traccia nei paradossi di Zenone rivelano alla radice della tematica del continuo i
paradossi della divisibilit, del numero e dellessere nellantico pensiero greco. In Achille e la
Tartaruga questultima parte con un vantaggio e quando Achille lo avr colmato la tartaruga avr

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ancora un vantaggio, quando anche questo sar stato colmato la tartaruga avr un nuovo
vantaggio, etc.: Achille non raggiunger mai la tartaruga. Ne la freccia in ogni istante la freccia
occupa uno spazio ben definito e quindi sempre ferma.
Comunque negli argomenti zenoniani la grandezza spaziale appare in qualche modo finita e
infinitamente divisibile nel contempo, cos che in un intervallo finito esistono infiniti punti di
divisione. La grandezza temporale sembra per trattata in maniera un po diversa, in quanto
infiniti istanti diventano un tempo infinito. Cos nella corsa tra Achille e la tartaruga: linfinita
divisibilit implica che saranno infiniti i punti e gli istanti coinvolti. Tuttavia, mentre in un
intervallo finito ci possono essere infiniti punti, gli infiniti istanti implicano che Achille non
raggiunger mai la tartaruga.
Nel paradosso della freccia invece si considera come in ogni istante loggetto mobile sia in
un punto, e quindi in ogni istante sia fermo, e questo riflette la concezione come passaggio
contraddittorio tra essere e non essere.

Fenomeno curioso della aritmetica greca la sua terribile idiosincrasia verso lo zero, che nei
sistemi semantici-computazionali (in Cina e in Mesopotamia) potette anche trovare qualche forma
di espressione, ma che fu rifiutato dalla matematica greca.
Quanto radicale fosse il rifiuto dello 'zero' si pu notare nel fatto che in Euclide le definizioni
sono costruite in modo da escludere esplicitamente cose come il "rapporto nullo" o l'"angolo
nullo" (Def. I.8: un angolo piano linclinazione tra di loro di due linee in un piano che si
incontrano e non giacciono sulla stessa linea. Def. V.4: Grandezze sono dette avere un rapporto
tra di loro quando sono capaci, se moltiplicate, di superarsi luna con laltra)
E' interessante osservare il legame esplicito tra il paradosso e la difficolt dei Greci a pensare
il numero 'zero', e come tale difficolt e tale paradosso fossero connessi alla struttura del
linguaggio, nel quale esistono i 'numeri' grammaticali.
E soprattutto qui si pu osservare il legame esplicito tra il paradosso e la difficolt dei greci a
pensare il numero zero, e come tale difficolt e tale paradosso fossero connessi alla struttura
stessa del linguaggio:

Poni che uno alla domanda a che cosa pu essere riferito


questo predicato, il non essere osasse dare una risposta,
ebbene, a quale oggetto e con quali determinazioni di
quantit e qualit riferirebbe tale espressione? [] a ci
che noi indichiamo con lespressione ci che (to on) non
pu riferirsi il non essere, neppure a ci che indichiamo
con lespressione qualche cosa (to ti) [] il singolare
(ti) segno di una cosa, il duale (tine) di due cose; il
plurale (tines) di molte cose. E devi ammettere che chi non
dice qualche cosa (ti) non dice niente in assoluto.
Inoltre non possiamo ammettere che questo tale usi
unespressione, ma non dica nulla; bisogna riconoscere che
chi crede di dire ci che non , non usa espressione alcuna:
non dice neppure [] (Sophista, 237c-237e).

Platone chiaro: esiste il singolare, il duale, il plurale, nessuna forma esiste per lassenza: il
plurale caratterizza il numero, il duale la diade (che era spesso considerato un numero
speciale), il singolare la monade, e il corrispondente del nulla allora semplicemente non esiste.
Luno non era un numero, ma il seme delle due sequenze, e lo zero non esisteva. Addirittura le
definizioni euclidee erano date in modo da escludere anche langolo nullo o il rapporto nullo.
Esiste quindi luno, esiste il numero ma non esiste lo zero. La matematica greca era un frammento
della lingua greca.

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La struttura grammaticale delle lingue indoeuropee pone un limite insuperabile alla
dicibilit del non-essere come numero: la declinazione indo-europea si riflette sulla dicibilit
del non essere come 'molteplicit', e cos l'impossibilit del non essere deriva alla stessa idea di
rappresentazione tramite il linguaggio naturale, e questo a sua volta si riflette subito sul concetto
di numero, nella sua accezione classica, cio numero cardinale, "numero di", attributo
necessario di tutto ci che ''.
La notazione numerica dei Greci imbarazzante. Niente di strano che al mercato usassero una
notazione simile a quella degli antichi romani, con un asta per indicare luno e poi laggiunta di
unasta per il successore, e luso delle iniziali dei numeri in greco per indicare numeri particolari,
cinque ( pente in greco), dieci (, deka in greco), etc.
Strano invece che i grandi matematici greci usassero invece per i numeri le lettere
dellalfabeto: per luno, per il due, e cos via. Lalfabeto greco ha 24 lettere, aggiungendo tre
lettere arcaiche di origine fenicia si arrivava a 27 simboli con cui denotare le nove cifre, le nove
decine, le nove centinaia. E poi, dopo 999? Bisognava usare apici. Ma con un simile sistema erano
molto difficili anche le somme elementari. Perch questa assurdit?
In primo luogo credo questo fosse una conseguenza dellincastonamento della matematica
greca nel linguaggio greco comune. E in secondo luogo credo occorra osservare come questa
rappresentazione introducesse il carattere ordinale e non solo cardinale del numero, e Piaget ci ha
insegnato come il numero astratto nel bambino nasca dal coordinamento tra i suoi aspetti cardinali
e ordinali. In altri termini la difficolt nel calcolo era il prezzo da pagare per fare della aritmetica
un frammento autonomo del linguaggio, e concepire il numero come un ente astratto e non solo
come un aggettivo.

Noi siamo abituati a considerare la matematica dotata di un suo autonomo linguaggio, anzi la
consideriamo essenzialmente un linguaggio. E conosciamo tanti linguaggi, alcuni naturali, altri
artificiali. La nostra cultura, sin dal medioevo, multilinguista: sappiamo dellesistenza di molti
linguaggi naturali e delle relative traduzioni, spesso ne conosciamo alcuni, e sappiamo
dellesistenza di linguaggi formali artificiali, lalgebra, la logica, i linguaggi di programmazione,
etc. I greci in realt conoscevano e consideravano solo il greco, erano rigorosamente
monolinguisti. Certo sapevano che esistevano altre lingue, ma erano solo balbettii (questo
significava il termine barbaro). Anche le definizioni, come si visto negli Elementi di Euclide,
non servivano ad introdurre nuovi termini nel linguaggio ma a delimitare e precisare luso tecnico
di normali parole in geometria. Forse il segno pi visibile di questa centralit del greco tra i greci
la parola logos, che in greco significava parola, discorso ma anche rapporto matematico,
ragione, pensiero, definizione.
I termini tecnici della geometria euclidea non ricevevano il loro significato dalle definizioni,
ma lo possedevano gi come termini del linguaggio naturale che la definizione solo precisava

Solo con la nascita della matematica moderna il numero diventer 'misura relativa', dove lo 0
funzioner da spartiacque tra positivo e negativo, mentre 'discreto' e 'continuo' saranno integrati
nella rappresentazione decimale, cos che ogni intero sar un particolare numero reale e ogni
numero reale sar rappresentabile con una sequenza (infinita) di cifre o come limite di numeri
razionali.
Nella matematica greca invece numeri interi e "parti" (frazioni) sono i due mondi numerici
che si contrappongono, spesso anche con base numerica diversa, 5 per il 'contare', 12 per il
'dividere', con l'1 che funziona come 'seme' della opposizione e lo 0 che non ha semplicemente
ragione di esistere. Fuori della aritmetica restano le "grandezze geometriche" poich eterogenee al
numero. Un greco avrebbe rappresentato il sistema dei numeri disegnando due semirette puntate
verso il basso, come una grande lettera e per questo detta figura lambdoide. Lorigine comune
era indicata con 1, una delle due semirette segnata con i numeri interi 2, 3, 4, e laltra con le
frazioni , , , , quelle che i greci chiamavano le parti.

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La scienza rinascimentale dovr poi rendere numerico anche il "continuo", ridurre le
grandezze meccaniche ad estensione geometrica, e cos potr superare l'idea del divenire come
contraddizione e farne invece una forma dell'essere, a fare cos della quiete una forma del moto, e
dello 0 un particolare numero e non la negazione dell'idea stessa di numero come molteplicit.
I due tipi di quantit possono essere infiniti in modo diverso. Il discreto pu dare un infinito
per addizione, ma esiste un limite nella direzione della divisione, in quanto esiste un minimo
che lunit, mentre il continuo pu dare un infinito per divisione, poich non puoi trovare
una grandezza minima, ma limitato per addizione poich non esiste una grandezza infinitamente
grande.
Lidea di continuo non aveva natura immediatamente matematica, ma veniva dalla indagine
filosofica sullessere e il divenire (il moto), iniziata dagli Eleati (e Zenone ne aveva rivelato i
paradossi) e sviluppata in Platone ed Aristotele, il quale ne aveva data una doppia
caratterizzazione che durer fino ad oggi: l(infinita) divisibilit (dalla quale deriva lidea moderna
di denso in s) e la mancanza di lacune tra le parti. la dicotomia in parti con elemento comune
(dalla quale deriva lidea di continuit di Dedekind). Etimologicamente sembra anteriore la
seconda, ed in Aristotele essa appare come la vera 'definizione', ma la coincidenza asserita con
forza, al punto che anche la infinita divisibilit caratterizza il continuo.
Era quindi un concetto fisico, estraneo alla matematica: il termine continuo (syneches),
come opposto di discreto, negli Elementi non appare mai.
In Eudemo e Proclo, la divisibilit del continuo/grandezza si configura come un principio
fondamentale e l'unico esplicitamente ipotizzato in geometria, mentre la mancanza di lacune
appare solo implicitamente nelle costruzioni geometriche. Da sottolineare infine come queste due
caratterizzazione aristoteliche siano affini alla densit in s e alla separabilit (Dedekind) della
matematica moderna, due concetti che noi sappiamo essere non equivalenti.

Larchitettura complessiva della matematica era quella del Quadrivio, in cui alle due
discipline di base, aritmetica e geometria, si aggiungevano altre discipline che il medioevo
chiamer miste: in primo luogo astronomia e musica per completare il quadrivio, e poi anche
ottica e statica. Altre scienze miste verranno aggiunte nel Medioevo.
Miste semplicemente perch apparivano inquinate dalla fisica. La matematica non poteva
essere applicata alla fisica, perch questa trattava del divenire, come nella meccanica, nella
biologia, nella psicologia (perch anche lanima era considerata un ente naturale). Ma in alcuni
settori della fisica il divenire non appariva. Ovviamente nella statica, ma anche nellottica, che non
considerava la luce come in moto, ma ne considerava solo gli aspetti geometrici, nella musica,
che trattava delle consonanze come rapporti fissi, e in astronomia che ignorava il concetto di
traiettoria dei corpi celesti studiando solo le propriet geometriche delle grandi sfere rotanti, ma
fisse, nelle quali i corpi celesti erano incastonati.
Lastronomia greca ci chiarisce poi un aspetto della geometria greca. I Babilonesi avevano
creato una astronomia estremamente efficiente, con grandi quantit di dati ed una eccezionale
capacit di previsione dei fenomeni astronomici (come le eclissi lunari), ma non vi si trova alcun
modello dei cieli. I greci invece crearono una astronomia praticamente senza dati osservativi,
costituita solo da un modello dei cieli, il cosmo, basato su sfere rotanti e poi complicato da sfere
rotanti incastonate in sfere rotanti, ma senza dati. Solo tardi, soprattutto con Claudio Tolomeo,
questo modello geometrico si arricchir dei dati osservativi e costituir il cosiddetto sistema
tolemaico che regger fino a Copernico: lAlmagesto (nome arabo che significa il pi grande)
sar il capolavoro di Tolomeo, insieme agli Elementi costituir la grande eredit della scienza
greca, e, assieme a Erone e Diofanto, segner lepoca doro della tradizione pratica in Alessandria.

Due temi di grande rilievo per il futuro meritano qualche osservazione.

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In primo luogo, la scissione tra continuo e discreto anche legata al fatto che le suddivisioni
dellunit sono unit di misura eterogenee rispetto allunit iniziale, come accade nelle unit di
misura misure inglesi, un piede si divide in dodici pollici, ma un piede di chi? Un pollice di
chi? Sono unit di misura accidentali. Un gregge di pecore invece si conta avendo per unit una
pecora, una sostanza. La misura era un concetto essenzialmente aritmetico: un numero
misurava i suoi multipli, ne era cio una parte. Al mercato si misurava il peso o la lunghezza,
ma erano numeri accidentali. Mentre infatti lunit di misura del gregge di pecore era intrinseca,
sostanziale (la singola pecora), lunit di misura della lunghezza era il braccio o il piede. Ma
il braccio o il piede di chi? Era una misura puramente accidentale, e citt diverse avevano unit
di misura diverse. La geometria si doveva quindi strutturare senza una metrica. E anche queste
misure accidentali erano sempre numeri interi, connesse tra di loro tramite fattori moltiplicativi
accidentali ed interi, come nelle misure inglesi: ci sono piedi e pollici, 12 pollici fanno un piede.
Ma non lo stesso che dire che cm.100 fanno m.1: infatti 12 solo un rapporto accidentale tra
unit autonome ed eterogenee, anche se convenzionalmente consolidato.
La sostanza unit di materia e forma, ma le parti di un individuo non sono individui in senso
stretto (le parti di un uomo non sono uomini) e quindi non sono numerabili. Il concetto di
insieme, fondamentale nella matematica moderna, e in generale tutto il nostro approccio
'analitico', non quindi solo inutile nella matematica greca, ma addirittura impossibile come
elemento di una "conoscenza teoretica". La definizione di qualcosa tramite le sue parti si pu fare
verbalmente, ma ontologicamente ed epistemologicamente "il tutto precede le parti" e la "forma"
non riducibile alle parti materiali.
In secondo luogo, linfinito attuale deve essere rifiutato perch finirebbe col costruire un
ponte tra quelle coppie di opposti che caratterizzano la concezione del cambiamento dai
presocratici al Rinascimento. Cos un infinito rallentamento trasforma il moto in quiete, un
poligono con infiniti lati diventa un cerchio e quindi la retta diventa curva, luno per infinita
divisione diventa molti ed infiniti, il numero per infinita divisione diventa qualcosa di
impensabile, lo 'zero', impensabile perch l'essere diventerebbe non essere, la grandezza
geometrica per infinita divisione diventa una non grandezza, il punto: lo zero e l'infinito dovevano
entrambi cadenzare la loro evoluzione sullo sviluppo di un'"algebra della negazione", in quanto
entrambi resi impraticabili dalle opposizioni polari del pensiero greco.
Di conseguenza alcune 'novit' della matematica moderna, dallo 'zero' all''infinito attuale',
accompagneranno una fisica che sostituisca la struttura polare della scienza aristotelica. E questa
fisica richieder a sua volta il superamento della opposizione tra 'numeri' e 'parti' e la nascita
dell'idea di "numero reale", che a sua volta richiede il superamento della opposizione tra aritmetica
e geometria, tra discreto e continuo, che a sua volta, etc. La scienza aristotelica e la scolastica
medievale era un sistema perfettamente integrato di conoscenze matematiche, logiche, fisiche,
biologiche e filosofiche, e quindi il suo crollo doveva investire tutti tali versanti
contemporaneamente, nessuno dei quali poteva accadere per ragioni puramente empiriche o
logiche, perch tale sistema era ed quello pi vicino alla realt naturale e il meno invischiato in
contraddizioni tra quelli che il pensiero europeo abbia mai creato.

LA DIMOSTRAZIONE

La origine visuale e costruttiva della 'dimostrazione' nella matematica antica stata


sottolineata da numerosi autori (Cambiano, Knorr, Szabo). Un ulteriore supporto a questa
interpretazione della matematica greca pre-euclidea si ricava osservando ad esempio che i primi
tre postulati ed i primi tre teoremi degli Elementi, nonostante l'influenza platonica, sono
"costruzioni", e che i termini relativi alle idee di dimostrazione o teorema sono diagramma,
apodeixis, therma,tutti derivanti, cos come i verbi di conoscenza, da radici che esprimono il
tracciamento di linee, la visione, l'ostensione. Ancora Aristotele sottolinea questo carattere

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costruttivo, facendolo derivare dal fatto che "l'esercizio del pensiero un portare qualcosa dal
potenziale all'attuale".
Ovviamente le dimostrazioni-costruzioni, direttamente visuali, sono compatibili con una
matematica rigorosamente 'positiva' e 'finita'. Il passaggio dalla costruzione alla dimostrazione
geometrica uno degli episodi pi affascinanti della storia della matematica. La dimostrazione
allinizio era probabilmente solo la descrizione per iscritto della costruzione di una figura eseguita
precedentemente per via solo orale e visuale: in greco diagramma significava dimostrazione
oltre che figura, e negli Elementi ogni dimostrazione era associata ad una e una sola figura, talora
di una banalit sconcertante.
La semplice trascrizione sembra una novit irrilevante, ma i geometri greci si accorsero che
cos si evitava di scoprire erroneamente propriet non generali ma valide solo per una particolare
figura. E inoltre introdussero un nuovo tipo di dimostrazione, quella per assurdo, che non
corrispondeva a nessuna costruzione effettiva, ma solo ad una costruzione impossibile.
Gran parte di tali dimostrazioni una descrizione a parole della costruzione della figura, che
d'altronde sempre presente nei teoremi degli Elementi. Con per una grossa novit che doveva
segnare la storia della matematica: la scoperta che la riduzione 'sintattica' della costruzione
permetteva di evitare di trovare risultati 'falsi', in quanto dovuti a qualche particolarit non
necessaria della costruzione.

Fig.5

La transizione dalla 'geometria visuale' alla 'geometria deduttiva' pu essere solo oggetto di
speculazione. Possiamo tentare di immaginarne la traccia considerando un problema classico, che
attraversa tutta la storia della geometria antica, dai babilonesi ad Euclide: il teorema di Pitagora e
la teoria delle parallele.
Il teorema di Pitagora era certamente noto, in tempi precedenti a Pitagora, ai babilonesi e, in
tempi probabilmente poco successivi, ai cinesi. Essi conoscevano bene il teorema: non solo
qualche terna pitagorica, come (3, 4, 5) oppure (5, 12, 13), ma la propriet generale, che
probabilmente spiegavano e ricordavano come costruzione geometrica. La sua dimostrazione
era tuttavia probabilmente di tipo visuale (fig.5): nella geometria antica, basata su un
rappresentazione iconica, la dimostrazione doveva avere appunto la struttura di una costruzione
evidente, un diagramma.
Cos un esempio di dimostrazione costruttiva pu essere quello di figura 5: il risultato
'perspicuo', ottenuto direttamente dalla figura stessa come conseguenza della costruzione. Questa
ricostruzione di una 'antica' dimostrazione del teorema anche supportata dall'esistenza di una
figura simile (fig.5bis) in un antico classico della matematica cinese, Il classico aritmetico dello
gnomone e dei sentieri circolari del cielo (Chou Pei Suan Ching). Ma la dimostrazione richiede
necessariamente la costruzione di quadrati. Se si postula la costruzione del quadrato come si
postulava da parte di Euclide quella del cerchio, il teorema ne consegue immediatamente. Tuttavia
tale costruzione non del tutto evidente. Anche ipotizzando la costruzione dell'angolo retto, che
cosa garantisce che il quarto lato si chiuda col vertice iniziale?

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Fig.5 bis
E abbastanza facile riconoscere lequivalenza, in un approccio deduttivo, di diversi enunciati
(costruzione del quadrato o di una retta equidistante in tutti i suoi punti da unaltra retta, somma
degli angoli interni di triangoli e quadrilateri, ecc.) con il quinto postulato: se una retta che taglia
due rette crea gli angoli interni dallo stesso lato minori di due retti, allora, se tali rette vengono
prolungate indefinitamente, esse si incontreranno dallo stesso lato in cui gli angoli sono meno di
due retti. Sono tutti enunciati rigorosamente 'al finito', compreso il quinto postulato che in
qualche misura inverte il teorema sulla somma degli angoli interni di un triangolo, il quale, nella
sua forma 'visuale' di fig.5 gi presupponeva il concetto di 'rette parallele'. Gli oggetti infiniti, le
parallele, non compaiono, e la loro stessa definizione: parallele sono rette che, essendo nello
stesso piano e venendo prolungate indefinitamente in entrambe le direzioni, non si incontrano,
in fondo costruita sulla doppia negazione e definisce semplicemente un non-triangolo.
Ma esistono teoremi in cui appare la reductio ad absurdum, che non sempre si pu ricondurre
a una dimostrazione costruttiva. Talora questo accade, e si intuisce che la dimostrazione basata su
un assurdo relativo ad un assioma dell'uguaglianza possa sostituire un'antica dimostrazione
'visuale'. Ma questo non accade sempre: in particolare non accade quando il risultato concerne
l'infinito. Cos linfinito indissolubilmente legato a tecniche non puramente 'costruttive',
'positive', di dimostrazione, poich l'infinito concetto puramente negativo e non si pu
costruttivamente mostrare la negazione dellesistenza, mentre si pu mostrare la non esistenza di
una qualche costruzione..

MATEMATICA E FILOSOFIA. LA LOGICA ARISTOTELICA

Nella filosofia greca classica appaiono le prime risposte alle domande che ci ponevamo
inizialmente, riguardo lontologia e lepistemologia dei concetti matematici.
Dopo Pitagora, la tradizione sofistica aveva in generale guardato con sospetto alla peculiarit
del ragionamento matematico, cercando di ricondurlo alla filosofia ingenua della conoscenza
comune ai primi filosofi greci, che riconduceva la conoscenza ad un fatto puramente osservativo
ed alla memoria. Protagora metteva in discussione la tesi che un cerchio ed una tangente ad esso si
incontrassero in un solo punto, Antifonte credeva che approssimando una circonferenza con un
poligono iscritto con numero crescente di lati prima o poi il poligono ed il cerchio avrebbero finito
col coincidere. Era in generale il concetto di punto che risultava ostico: lidea che un insieme di
punti (non-grandezze) potesse coincidere con una grandezza geometrica urtava la rigida
opposizione tra essere e non essere su cui si era sviluppato il pensiero greco dopo Parmenide sotto
la forma del paradosso del giudizio negativo.

La matematica e la filosofia si svilupparono come discipline sorelle. Entrambe


concernevano immediatamente la verit necessaria, la scienza e il discorso razionale, trovando le
loro radici nel fatto che vedere, conoscere ed essere per i Greci erano verbi profondamente
connessi (idea e video hanno unorigine comune e non si pu pensare senza immagini
[Aristotele, de memoria et remin., 450 a1]), la stessa verit (altheia) era originariamente la

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negazione delloblio, e quindi gli enti matematici erano immanenti e immediatamente percepibili e
nel contempo immediatamente scienza.
E Platone il filosofo che inserisce invece gli enti matematici al cuore della teoria della
conoscenza: nella sua Repubblica Platone colloca la matematica come mondo intermedio tra il
mondo delle idee, lunico nel quale domini lessere e quindi lunico che possa essere
effettivamente oggetto di conoscenza, e il mondo reale dominato dal divenire e regno della
semplice opinione. A questa ontologia si associa la concezione epistemologica secondo cui il
conoscere una forma di memoria dellanima: celebre il passo del Menone in cui Socrate
interrogando uno schiavo analfabeta lo porta a scoprire i primi passi del ragionamento che porta
verso la scoperta della incommensurabilit.
Sul materiale ereditato dalla matematica pregreca, i pitagorici e poi Platone avevano eretto
una filosofia complessa che da un lato accettava laspetto pratico della matematica, economico e
sociale, e dallaltro inseriva come parte integrante della ontologia il numero e la figura
geometrica, mediatori di una realt ideale, un aspetto essenziale della stessa descrizione del
cosmo: i Pitagorici vedevano nel numero il costituente base della realt, e per Platone gli enti
matematici erano un ponte tra il mondo delle idee e la realt naturale, cos che il Timeus
platonico descriveva il cosmo con misure prive di ogni valore empirico ma tratte dai rapporti
armonici musicali. Allo stesso tempo sembra che Platone esortasse Eudosso a salvare i fenomeni
astronomici, trovandone una descrizione matematica. Su questa base tutta la tradizione pitagorica
e platonica per millenni coltiver un miscuglio di numerologia filosofica e teologica, ma anche di
geometria metrica descrittiva e di presenza dei numeri nella realt.
In Platone rimane la difficolt di concepire i punti come qualcosa di diverso da una semplice
finzione matematica ed anche il rifiuto di teorie matematiche applicate (musica e astronomia
soprattutto) centrate sulla osservazione empirica dei fenomeni. Pur sostenendo lesigenza di teorie
che salvassero i fenomeni, Platone introduce nelle sua cosmologia espressa nel Timeo dati
numerici imposti da considerazioni puramente filosofiche di stampo musicale pitagorico. Riguardo
i numeri, in ambito pitagorico e poi platonico, importante sottolineare un doppio processo: il
loro farsi sostanza, non pi semplice attributo del gruppo di cose, cos che i numeri divenivano il
ponte tra essere e conoscenza, e il loro acquistare un carattere ordinale, che pone in primo
piano il problema della genesi sequenziale dei numeri e quindi il problema dell'infinito.

Diversa la collocazione della dottrina della scienza aristotelica, ove la matematica si trovava
in una posizione un po ambigua: da un lato riguardava lessere reale nei suoi aspetti puramente
logici in quanto scienza della struttura esplicativa del reale, scienza delle cause, della
spiegazione dei fenomeni e quindi calco deduttivo per tutte le scienze, dallaltro il suo essere
astrazione (rispetto alla materia e al divenire) ne faceva una sorta di impoverimento del reale.
Ne seguiva un ruolo prevalentemente epistemologico invece del ruolo ontologico che essa
aveva in Platone: la matematica era un frammento del linguaggio naturale che forniva la
spiegazione razionale dei fenomeni, ma la sua stessa certezza era un limite, segno di una purezza
che era solo una povert rispetto alla realt naturale. Al suo centro si collocava la geometria
poich la scienza greca era centrata sulla presentazione visuale dellessere, impermeabile al
divenire naturale, e quindi una geometria non metrica in quanto basata sulla forma. E in quanto
scienza dellessere la matematica non poteva essere applicata alla fisica, che invece trattava il
divenire (physis era la natura vista nel suo continuo fluire).
In realt la logica aristotelica aveva diverse radici: la teoria del sillogismo derivava dalla
filosofia naturale (col sillogismo a mimare la relazione causale), la dottrina della scienza dalla
geometria, e infine il sistema dei principi dalla dialettica. Cos che, pi che di una derivazione
diretta del sistema assiomatico-deduttivo euclideo dalla logica aristotelica, si deve piuttosto parlare
di una profonda affinit.
Concetti come infinito e continuo non appaiono nella matematica greca, ma nella filosofia
naturale e con Aristotele acquistano caratteri che in fondo conservano ancor oggi. Con Aristotele

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gli enti matematici perdono il carattere realista che avevano in Platone ed appaiono attributi
ottenuti per astrazione dalla realt. Assumono cos una forma di esistenza strettamente legata alla
attivit conoscitiva. In particolare i punti possono anche essere considerati esistenti, ma solo in
potenza. La differenza tra in potenza e in atto uno dei modi con cui Aristotele affronta il
problema della opposizione essere/non essere, cercando di renderla meno rigida. Schematicamente
possiamo dire che un seme una pianta in potenza ma non in atto, nel senso che la sua
essenza gi contiene il suo possibile sviluppo futuro, ma non ancora attuato. Anche per il
concetto di infinito Aristotele ricorre a quella distinzione: anche linfinito esiste solo in potenza e
consiste in ci a cui si pu sempre aggiungere qualcosa, rifiutando linfinito in atto, ci a cui
non si pu aggiungere nulla. Di conseguenza appunto il punto esiste solo potenzialmente poich
le divisioni successive di una grandezza possono portare solo a grandezze, mentre la esistenza
attuale del punto richiederebbe un infinito attuale di suddivisioni. Da notare che infinito attuale e
potenziale sono opposti tra di loro e non opposti del finito.
Per Aristotele la matematica non necessita del concetto di infinito, perch i suoi oggetti sono
finiti ed anche il cosmo finito. Il "finitismo" aristotelico sia 'naturalistico' (non si pu concepire
un processo di cambiamento infinito, che 'linguistico' (occorre esprimere con un numero finito di
termini infinite cose) e 'logico' (una derivazione deve essere sempre finita e ogni risalire alle
ipotesi deve essere un processo finito e non circolare.
Quella preclusione si associava poi alla preclusione verso lesistenza reale del punto. Il punto
infatti, come sar poi per il numero reale, richiede una suddivisione infinita attuale del
segmento, una suddivisione infinita potenziale producendo solo intervalli. E risulta chiara anche
limpossibilit di considerare un segmento come costituito dai suoi punti: come potrebbe un ente
di grandezza finita essere costituito dalla unione di infiniti enti privi di grandezza o addirittura
inesistenti? E si pu concepire il punto immediatamente successivo ad un altro punto? No, poich
se tale punto distinto allora tra i due punti esiste un intervallo il cui punto medio si colloca fra di
essi, e quindi il punto trovato non quello immediatamente successivo.
Problemi gi apparsi in Democrito, che si era posto il problema di considerare un cono come
unione delle sue sezioni parallele alla base: se tali sezioni erano uguali allora la loro unione era un
cilindro, se invece erano disuguali allora la loro unione era un cono a gradini.
Platone considerer allora i punti solo finzioni geometriche, in realt non esistenti.
Aristotele li considerer esistenti ma solo in potenza, cos che tutti i punti di un intervallo
esistono in potenza ma non possono costituirlo poich avrebbero bisogno a tal fine di esistere in
atto, creando le difficolt su accennate. E del resto quando un punto divide in due un segmento il
punto stesso si duplica come estremo di entrambi, e il duplicato nascerebbe dal nulla, ma nihil ex
nihilo. Lidea insomma che lessere del punto si esaurisca nella sua individuazione come estremo
o intersezione, ma non abbia altra forma di esistenza.

Per Aristotele lincommensurabilit era diventato un esempio canonico delle nuove forme del
sapere teoretico, paradigma di una proposizione vera, un 'essere' non immediato, ma vero,
dedotto dal ragionamento e non dalla ontologia, qualcosa di assolutamente nuovo rispetto alla
coincidenza tra 'conoscenza' e 'visione/memoria', tipica di tutta la filosofia greca fino a Platone. I
paradossi di Zenone erano invece ormai pura sofisticheria, ed Aristotele rigettava nettamente ogni
connessione fra incommensurabilit e paradossi. Veniva rimossa quella forma rigida del
"paradigma sintattico" che dopo Parmenide si era tradotta in una rete densissima di paradossi
concernenti essere e non-essere, uno e molti, moto e quiete, uguaglianza e differenza.
Il "paradosso del giudizio negativo" era il centro di questa struttura paradossale, e appare al
centro della riflessione platonica, "la prima e pi grande delle aporie", nella quale trover la via
della sua soluzione. La soluzione, o, forse sarebbe meglio dire, la semplice 'rimozione', del
paradosso deve essere ascritta ad Aristotele, la cui ridefinizione del pensiero formale durer
incontrastata per duemila anni, fino alla nascita della Scienza Moderna, laddove quella rete di
paradossi finir col ricomparire.

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Diciamo 'rimozione' perch Aristotele cambiava le 'regole del gioco': la sua 'soluzione' era
basata su due grandi 'novit' apparse nel pensiero platonico: da un lato l'anima con le sue idee
creava finalmente un 'ponte' sufficientemente 'lungo' per connettere il mondo dei segni e quello
reale evitando i paradossi, cercando di distinguere tra funzioni soggettive, quali il 'dire' o il
'pensare' e funzioni oggettive quali il 'vedere' o l''essere'. E' un passaggio che compare gi in
Platone: l'anima il principio del conoscere mentre l'essere ci che viene conosciuto, e nel
Theaetetus l'anima, non gli occhi, possono 'percepire' concetti quali essere, uguale e gli altri
concetti numerici.

Laspetto centrale della tradizione teorica era lidea di una strutturazione deduttiva della
matematica, intuita gi dai Pitagorici. Il passo decisivo apparir nel IV secolo tra i matematici,
soprattutto nellambiente della Accademia di Platone, e sar teorizzato da Aristotele, il pi
brillante degli allievi. Nascevano, soprattutto nei suoi libri analitici, la logica e la dottrina della
scienza, a partire dalla dialettica platonica, dal lavoro dei matematici e dagli sviluppi della
filosofia naturale.
Al nome di Euclide si ascrive la nascita del metodo assiomatico-deduttivo, mentre ad
Aristotele la nascita della logica formale.
Dalle sue origini sino a Frege la logica si sempre centrata su due settori di riferimento: la
dimostrazione matematica e largomentazione in linguaggio naturale. Dopo Frege, con la nascita
della logica matematica, le applicazioni matematiche o scientifiche sono diventate dominanti,
rompendo il rapporto della logica con la retorica e la grammatica che era stata alla base del trivio
fino al secolo XIX.
La antichit ci mostra prima di Aristotele tracce di un metodo logico da Parmenide alla
dialettica di Zenone e Platone, e dopo di Aristotele il fiorire della logica stoica. Nella logica greca
quella aristotelica sembra legarsi di pi alla dimostrazione matematica, lasciando la retorica ad
occuparsi della argomentazione nel linguaggio naturale, la logica stoica invece appare pi
orientata verso questultimo settore.
Per queste ragioni noi ci soffermeremo solo su Aristotele, e occorre avere chiaro che la sua
origine molto complessa: la dottrina della scienza derivando dalla matematica, il sillogismo dalle
scienze naturali, i principi formali dalla retorica.
La struttura del ragionamento scientifico veniva organizzata nella forma del sillogismo, una
forma di argomentazione in cui da due premesse con un termine in comune (il medio) si
ricavava una conclusione, e che rester per duemila anni la base della logica. La premessa riguarda
la appartenenza di un termine A ad un termine B. In termini moderni potremmo dire, in prima
approssimazione, che il sillogismo riflette le propriet della relazione di inclusione tra insiemi o
della relazione di implicazione tra proposizioni. Una forma semplice di sillogismo era: dalle
premesse <tutti gli ateniesi sono greci> e <tutti i greci sono mortali>, la conclusione <tutti gli
ateniesi sono mortali>. Premesse e conclusione potevano poi essere universali o particolari,
affermative o negative, le relazioni di opposizione tra i diversi tipi di premessa data dalla figura:
qui si vede lo schema relativo alle frasi universali e particolari, ove A rappresenta la affermativa
universale (ogni A B), I la affermativa particolare (qualche A B), E la negativa universale
(nessun A B), O la negativa particolare (qualche A non B).
Il termine comune poteva trovarsi in ruoli diversi nelle premesse: Aristotele studi tutte le
combinazioni possibili e individu quelle che effettivamente erano valide. E facile infatti notare
che certe coppie di premesse non permettono di concludere nulla: ad esempio nulla si pu dedurre
sullaltezza degli ateniesi da <qualche ateniese biondo> e <qualche biondo alto>.

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A contrario E

Contradditorio

Contradditorio

I subcontrario O

Fig.6

I sillogismi corretti ricevettero nel Medioevo nomi che servivano a memorizzare le premesse
ed altre caratteristiche del sillogismo: ad esempio le tre a in barbara rappresentavano il
sillogismo in cui due premesse universali affermative producevano una conseguenza universale
affermativa.
In Aristotele inoltre assumono forma moderna i principi formali con i quali si organizza la
gestione formale della negazione, dellessere, della verit. Alla sua base un sistema di
principi formali: il terzo escluso (di un oggetto una qualsiasi determinazione deve essere o
affermata oppure negata), il principio di non-contraddizione (non possibile affermare e al
tempo stesso negare qualcosa di un oggetto) [Anal. Post. I, 11] e la verit per corrispondenza (
vero dire che ci che e che non ci che non , falso dire che ci che non e che non ci
che ) [Metaph. 1011 b26].
Questo sistema di principi valeva per al prezzo di frantumare il campo unitario platonico del
sapere in un arcipelago di scienze regionali, solo allinterno di ciascuna delle quali i principi
valevano. Era un mondo fatto di sostanze individuali cui potevano essere associati attributi,
soprattutto qualit e quantit. Ogni scienza doveva parlare di un genere di sostanze ben
determinato, sulla base di un sistema di assiomi (proposizioni pi note e universalmente accettate)
e di definizioni di attributi appropriati per quel genere: la dimostrazione permetteva allora di
costruire le verit di tale scienza. E le scienze non erano comunicanti tra loro, a meno che una
scienza non fosse subordinata ad unaltra (come la musica alla aritmetica o lastronomia alla
geometria). Non si potevano infatti usare i principi formali per dire che il numero sette era curvo
oppure no.

Tuttavia la logica aristotelica anche una ontologia. Il discorso e la realt sono inseparabili:
ciascuna cosa possiede tanto di verit quanto possiede di essere (Metaphysica, 993b 30).
Conseguenza di questo dato che il sillogismo aristotelico categorico e riguarda semplicemente
termini e proposizioni tra tali termini, del tipo si predica di , supposte vere.
La logica rispecchiava poi perfettamente la fisica: il sillogismo doveva in realt mimare le
relazioni causali, ove la parola causa aveva per un senso solo esplicativo dei fenomeni, era la
risposta alla questione <perch?>.
. E si pu anche notare la distinzione, che si ritrova da Aristotele a Proclo, tra teoremi in cui la
deduzione aveva un ruolo causale e quelli in cui la deduzione era puramente formale, come ad
esempio nel teorema precedente nella cui dimostrazione appaiono gli angoli esterni al triangolo, i
quali non possono avere alcun ruolo causale sul triangolo (la somma degli angoli interni sarebbe
due angoli retti anche se gli angoli esterni non esistessero).
Da un punto di vista moderno questa "semantica" della dimostrazione che distingue tra
sillogismi solo in base al ruolo causale del medio non ha senso, ma essa rappresentava un
elemento di connessione tra verit e dimostrabilit che rester indiscusso fino al secolo scorso.
Infatti il sistema aristotelico-euclideo considerer verit e dimostrazione sostanzialmente
coincidenti e questa coincidenza rester qualcosa di ovvio, di non tematizzabile, per duemila anni.

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Anche per uno studente di oggi un teorema nel contempo 'vero' e 'provato'. Se io mi creo
mille triangoli di cartone e ne misuro gli angoli ottengo qualcosa di molto vicino a 180 in tutti i
casi, ma posso provare anche una sola volta il teorema relativo e ottenere la certezza che la somma
di tali angoli esattamente 180. Sono due procedure totalmente differenti, ma che vengono
connesse dalla idea che la dimostrazione fornisce una 'costruzione' ideale le cui realizzazioni
concrete sono particolari istanze. Se per caso la somma degli angoli misurata col goniometro
venisse 200 sospetterei piuttosto un errore di calcolo che una differenza tra verit e
dimostrabilit.
Analogamente la indiscussa certezza nella correttezza del metodo di prova (tutto ci che
dimostrato vero) non corrisponde ad una analoga certezza della sua completezza (chi mi
garantisce che tutto ci che vero possa essere dimostrato?)
Lo stesso carattere indifferentemente sintattico e 'semantico' si ritrova in un altro aspetto
della teoria aristotelica delle scienze teoretiche: l'idea che la definizione non possa essere ridotta ad
una semplice equivalenza logica, ma che debba contenere la via per rivelare lesistenza, o provata
o ipotizzata, del definiendum in quanto l'esistenza riguarda il singolo ente e non generi e specie.
Una connessione questa tra semantica e sintassi che si riflette anche nella natura dei
"principi", per i quali non si poteva distinguere neanche in linea di principio tra assoluta
oggettivit ed immediata evidenza o dimostrabilit, cos che il V postulato era assolutamente
oggettivo anche perch necessario per dedurre conseguenze assolutamente 'oggettive' (dal teorema
di Pitagora alla somma degli angoli interni del triangolo), ma, non sembrando del tutto evidente o
empirico, 'doveva' essere dimostrato: gli 'autentici' postulati dovevano essere veri. La mancata
soluzione di questa aporia rest per duemila anni una ferita aperta sul corpo della geometria
euclidea. Solo la esplicita tematizzazione di questa differenza, quale quella implicita negli apriori
kantiani, potette permettere di 'pensare' una geometria basata su postulati non assolutamente 'veri'
e permettere la creazione delle geometrie non-euclidee.
Tutto questo riflette la non problematicit del rapporto tra realt e conoscenza teoretica che
regger praticamente senza scosse fino alla nascita della scienza moderna, che si affermer come
"scienza di segni", nel quale dovr essere necessariamente tematizzato il rapporto tra semantica e
sintassi.
Verit e dimostrabilit potevano risultare ovviamente coincidenti nelle dimostrazioni
costruttive, in cui la dimostrazione poteva sembrare solo un perfetto schema per infiniti casi
concreti, ma non quando dimostrazioni non costruttive assurgevano allo stesso status di quelle
costruttive. Questo secondo tipo di dimostrazioni derivava la sua certezza non dallessere
organica ad una teoria della conoscenza basata su percezione e memoria, ma dallessere interna
alla ferrea struttura formale del paradigma sintattico che richiedeva la necessaria falsit di
ipotesi che portassero a contraddizioni e la necessaria verit della loro negazione. Cos alla
correttezza della dimostrazione costruttiva si associava la completezza della deduzione logica, per
la quale ci che non era dimostrabile, o meglio la cui costruzione portava a contraddizioni, doveva
essere falso.
Si trattava di una richiesta molto pi forte, sulla quale si costru gran parte della
argomentazione medievale e della stessa teologia cattolica (basti pensare alla prova ontologica
dellesistenza di Dio), ed anche abbastanza estranea al metodo delle scienze naturali. Non strano
che diventasse molto problematico il rapporto tra 'verit' e 'dimostrabilit', tra 'oggettivit' e
'intersoggettivit', un rapporto richiesto da una concezione deduttiva della scienza, che per
trov per duemila anni la sua credibilit in una garanzia divina della ragione umana.

Questa dottrina della scienza rester pressocch invariata fino al Rinascimento, anche se alla
sua ombra sopravvivevano i sottili paradossi formali della logica, il pi importante dei quali era il
mentitore: <io sto mentendo>. Se vero vuol dire che falso, ma se falso allora vero. Un
paradosso destinato a sopravvivere in fondo fino ai giorni nostri, e legato alla compresenza nella
stessa proposizione della negazione, dellessere, della verit.

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In effetti lassurdo era gi apparso nella filosofia greca, ad esempio nei paradossi di Zenone,
ma solo come una sorta di sgambetto retorico da fare per polemizzare contro lavversario.
Delluso retorico delle contraddizioni erano maestri i Sofisti, e la storia della logica antica
fondata sullo sforzo dei grandi filosofi tra la fine del V e il IV secolo, Socrate, Platone, Aristotele,
di riportare quelle tecniche della argomentazione nel campo delle verit e della scienza.
Infatti la semplice confutazione di un discorso avverso non la dimostrazione della tesi
contraria. Dimostrare che una tesi assurda non significa dimostrare che la tesi opposta sia vera: a
tal fine occorrono la non-contraddizione ed il terzo escluso, i principi formali della logica
aristotelica.
Tuttavia la teoria degli incommensurabili l'esempio cruciale dellapparizione dellinfinito e
del continuo nella matematica greca, e, nel contempo, dell'uso della 'dimostrazione per assurdo'. Il
teorema sulla incommensurabilit di lato e diagonale del quadrato, per essere accettato come
teorema, doveva anche far accettare il suo metodo di prova. Questo potrebbe spiegare il lungo
periodo di transizione in cui il risultato progressivamente si dovuto 'conquistare' lo statuto di
verit matematica negativa e non visuale in una geometria positiva e costruttiva.
E difficile collocare storicamente la scoperta della incommensurabilit ed anche difficile
intuire la storia culturale di tale scoperta. L'ipotesi pi comune riporta tale scoperta all'indagine del
rapporto tra diagonale e lato del quadrato, ma tale approccio non attestato in alcun testo
ascrivibile ai Pitagorici ed appare solo in Platone (l'episodio dello schiavo del Meno e forse il
brano riguardante le lezioni di Teodoro nel Theaetetus) e poi diffusamente in Aristotele. Altre
interpretazioni geometriche fanno riferimento ad altre costruzioni geometriche, quali la sezione
aurea, il pentagono regolare, il dodecaedro (von Fritz) oppure all'applicazione del metodo delle
divisioni successive, l'antiphairesis (Fowler).
Se ne deve riconoscere la natura pitagorica, ma la data della scoperta presunta sembra
oscillare dagli allievi diretti di Pitagora, come Ippaso (prima met del V secolo), fino ai tempi di
Archita (fine V-inizio IV sec.). Questa difficolt forse spiegabile pensando che probabilmente
lincommensurabilit richiese molto tempo per assurgere al rango di verit geometrica, partendo
dallessere una semplice stranezza. A questo proposito occorre osservare che:
(i) Anche nella matematica babilonese la mancanza di un valore esatto per il rapporto tra
diagonale e lato del quadrato era noto e trattato alla stessa stregua della mancanza di un inverso di
7. La differenza fra i due casi apprezzabile quando si riveli che il secondo risultato periodico
nell'applicazione dell' antiphairesis e dipendente dalla base del sistema numerico (ma questi
aspetti appaiono difficilmente rivelabili o apprezzabili per una aritmetica notazionalmente e
computazionalmente rozza come quella greca), oppure quando questo venga 'dimostrato' e non sia
pi uhn semplice fatto numerico empirico.
(ii) Proclo ci fa sapere che prima di Euclide esistevano libri di elementi che non
utilizzavano dimostrazioni per assurdo o rigettavano la teoria delle proporzioni, ed erano
probabilmente basati sullidea visuale e costruttiva di dimostrazione. In Euclide le
dimostrazioni per assurdo sono basate sull'idea e le propriet dell' uguaglianza (nozioni comuni)
o sul regresso allinfinito (come in VII.31). Si possono tuttavia immaginare antiche dimostrazioni
costruttive equivalenti basate sulla evidenza visuale, e pensare che antichi libri di elementi
utilizzassero simili dimostrazioni. Istruttivo a questo riguardo il teorema I.4, primo criterio di
uguaglianza dei triangoli): per dimostrare la unicit del triangolo costruito occorre supporre che
dati due punti esiste solo un segmento che li congiunge. Nelle edizioni critiche questo
semplicemente asserito senza motivazioni per la sua 'evidenza', mentre un successivo interpolatore
motiv questa asserzione con la 'nozione comune 9': "Due linee rette non possono racchiudere uno
spazio". Questo, come altri esempi, mostra che la sostituzione di risultati evidenti con
dimostrazioni per assurdo basate su 'nozioni comuni' fu un lungo processo di cui gli Elementi di
Euclide furono solo una tappa, anche se la pi importante.

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Questo non possibile per lincommensurabilit: non esiste una dimostrazione positiva
equivalente, il risultato essenzialmente negativo, cos che in quei libri di 'elementi' pre-euclidei
cui accenna Proclo la incommensurabilit doveva essere necessariamente assente, e del resto,
negli stessi Elementi euclidei, nonostante vi sia l'intero X libro dedicato all'argomento, la sola
dimostrazione esplicita di incommensurabilit (relativa a lato e diagonale del quadrato) una
inserzione posteriore, che si trova anche accennata in Aristotele: se diagonale e lato del quadrato
fossero commensurabili, le loro lunghezze sarebbero nel rapporto m:n , con m ed n interi e
relativamente primi (se non lo fossero si potrebbero entrambi dividere per il fattore comune): in
particolare non possono essere entrambi pari. Essendo 2 il rapporto dei quadrati costruiti su di essi
sarebbe m2 : n2 = 2. Da qui m deve essere pari, diciamo m = 2 k, e quindi sarebbe n2 : k2 = 2.
Quindi anche n sarebbe pari, contrariamente alla ipotesi secondo la quale m ed n sarebbero
relativamente primi.
Ma precedentemente (al passaggio tra V e IV secolo) la dimostrazione doveva essere di tipo
geometrico e probabilmente, prima ancora, fondata sulla teoria aritmetica della musica, la
cosiddetta armonica. Infatti la prima matematica greca originale, sviluppata dai Pitagorici e non
derivata semplicemente dallOriente, fu lo studio delle consonanze fra le note, misurate dai
rapporti tra le lunghezze delle corde che davano tali consonanze: tali rapporti erano molto
semplici, 1:2 (armonia di ottava), 2:3 (di quinta), 3:4 (di quarta).
Pitagora era un uomo di Samo, e, come tanti greci dellepoca impegolato negli scontri politici
della sua polis, fu costretto ad emigrare verso lItalia meridionale, la Magna Grecia. Queste
migrazioni erano un fenomeno diffuso nelle citt greche dellepoca. Provocate da ragioni politiche
ed economiche trapiantavano in un terreno vergine frammenti di societ greca, creando un
ambiente sociale pi destrutturato di quanto fosse la normale polis greca, che gi si presentava
come molto meno gerarchizzata delle societ orientali (niente di paragonabile al palazzo dei
faraoni o dei re mesopotamici) con una religione molto meno professionalizzata delle caste di
scribi del tempio orientale. In questo ambiente, quasi una specie di antico far west, dominavano le
questioni di potere politico, e i Pitagorici furono una setta politico-religiosa che trasmut le
conoscenze tecniche matematiche importate dalloriente in una educazione liberale, in una
filosofia, un sapere generale laico e religioso, politico e sociale, per governare le citt della
Magna Grecia: Metaponto, Crotone, Sibari, Taranto. Cos aspetti tecnici come luso dei sassolini
sullabaco per studiare le figure geometriche sono forse allorigine di ipotesi filosofiche quale
quella di studiare tutti i numeri, ed anche tutti gli oggetti reali, in base alla loro forma geometrica
discreta (triangolari, quadrati, rettangolari, lineari, etc.).
E la musica era cruciale per questo scopo politico: essa non era un semplice intrattenimento
come oggi per noi, ma era lautentica colonna sonora della vita religiosa e sociale della polis
greca, un po come la televisione oggi, al punto che Platone ripeter che credo che i modi
musicali non possano essere cambiati senza cambiare le leggi fondamentali della polis
[Respublica, 424c].
Per governare occorreva allora dominare i modi musicali e questo creava problemi
aritmetici: ad esempio per dividere in due parti uguali lottava occorreva trovare un x tale che
1:x=x:2. Oggi diremmo che x vale 2, un numero irrazionale, ma per i pitagorici i numeri erano
solo interi, e verso la fine del V sec. a.C. Archita, lultimo grande pitagorico, scopr che non
esistevano soluzioni intere (o razionali). E questa probabilmente lorigine della
incommensurabilit.

Tra gli storici della matematica si parla di frequente della scoperta degli incommensurabili
come di uno 'scandalo logico' destinato a provocare una Grundlagenkrisis, una 'crisi di
fondamenti', che avrebbe poi portato alla teoria delle proporzioni di Eudosso, alla
assiomatizzazione euclidea e alla logica aristotelica. Il punto cruciale che fonda questa
interpretazione l'analogia con i paradossi insiemistici, la teoria di Cantor e il formalismo
moderno: in entrambi i casi l'assiomatizzazione sarebbe stata la soluzione alla crisi.

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Occorre tuttavia ricordare che l'assiomatizzazione come 'mossa' per il superamento dei
paradossi era qualcosa di esistente nel secolo scorso, ma inesistente prima della matematica greca,
e di conseguenza il nesso tra 'crisi di fondamenti' ed 'assiomatizzazione rigorosa' un tipo di
operazione oggi comune, ma del tutto non ovvia oltre due millenni fa.
Quello che in fondo era un fatto numerico gi noto ai babilonesi divenne cos un teorema,
e non un teorema qualsiasi, ma larchitrave di una rivoluzione culturale la cui reale portata
tutt'altro che riducibile nei termini di una 'crisi dei fondamenti'.
Lincommensurabilit infatti apriva una breccia nel rigido isomorfismo eleatico tra pensiero e
linguaggio. E cos Parmenide e Zenone in Aristotele non hanno l'aura di mistero e profondit che
ancora presentano in Platone. La breccia nel paradigma sintattico parmenideo 'libera' il problema
del "continuo" dall'essere solo una zuppa di paradossi essere/non essere o uno/molti e dalla
indefinitezza in cui rester nella matematica cinese.
L'incommensurabilit in Aristotele diventa l'esempio paradigmatico di un "essere in quanto
vero", un modo dell'essere garantito solo teoreticamente e solo 'potenziale' pu essere l'infinito,
poich solo nel 'pensiero' si pu realizzare. E' l'autonomia del pensiero rispetto all'essere e alla
sua espressione il passo fondamentale che supera lo stallo del paradigma parmenideo.
E tale scoperta si accordava con una struttura preesistente del Quadrivio nella quale discreto e
continuo non svolgevano alcun ruolo.

LA GEOMETRIA EUCLIDEA

li Elementi di Euclide sono considerati nella nostra tradizione un monumento matematico


confrontabile, per stabilit e solidit, alle piramidi. Questo dovuto alluso in tale opera per la
prima volta, tra le opere pervenuteci, e tuttavia gi molto preciso, del metodo assiomatico-

D B G

L
Fig. 7
deduttivo. Ma la struttura concettuale degli Elementi invece, quando la si guardi con maggiore
attenzione, segno di un passaggio e di uno squilibrio profondi, in qualche modo erede
dell'impostazione pitagorica e di una filosofia platonica, ma anche punto di raccolta di una vasta
tradizione matematica e esempio di una idea di scienza teoretica affine alla impostazione
aristotelica.
L'aspetto costruttivo appare evidente sin dai primi tre postulati che garantiscono la
costruzione di un segmento fra due punti, la possibilit del prolungamento di un segmento e la
costruzione di un cerchio. Non si deve tuttavia credere che questo disegni la geometria euclidea
come una geometria 'empirica', basata sull'uso di riga e compasso. Infatti il compasso, garante
della costruibilit del cerchio con raggio dato, non pu essere usato per riportare distanze. Infatti,
il teorema I.2, porre una linea uguale ad una linea data con estremit in un dato punto, che
parrebbe apparentemente banale se attuato trasportando il raggio dato su un dato centro tramite il
compasso, richiede invece in Euclide una costruzione complessa (vedi fig.7): sia BC la linea data e
A il punto dato; si congiungono A e B e si costruisce il triangolo equilatero ABD. Si costruisce il
cerchio di centro B e raggio BC e si prolunga BD fino ad incontrare il cerchio in G. Si costruisce il
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cerchio di centro D e raggio DG, e si prolunga DA fino ad incontrare il cerchio in L: AL la linea
cercata.
Da notare che il Euclide i teoremi non hanno alcun aspetto metrico, ma si parla solo e sempre
di uguaglianza tra enti geometrici
In generale in Euclide non esistono "distanze", e occorre sottolineare in generale la natura non
metrica degli Elementi. Osserviamo che il termine usato da Euclide, diastmapi che 'distanza'
significa 'intervallo, spazio tra due punti', senza connotazioni metriche. Non vi traccia 'esplicita'
di quelle procedure di calcolo di aree che erano invece comuni nella matematica pratica di origine
babilonese ed egizia e che rimasero in funzione nella matematica antica, cos che, ad esempio in
Vitruvio, l'uso metrico del compasso era invece comune nelle applicazioni della geometria. E
probabilmente per questo n in Euclide n in Archimede esiste una parola per raggio, termine
sostituito dalla parafrasi quello dal centro.
Non appare neanche l'idea di una "area" o "volume" distinta dalla "superficie" o "corpo",
sebbene esista una sorta di algebra degli oggetti geometrici che permetta di 'sommarli' nel senso
che essi si possono comporre per ottenere altri oggetti geometrici. Una figura non ha la stessa o
doppia area di unaltra, ma uguale o doppia dellaltra, oppure 'un quadrato costruito cos
uguale ai quadrati costruiti cos'. Per dire che due triangoli sulla stessa base hanno la stessa
altezza, Euclide dice che i loro vertici sono su linee parallele alla base.
Oggi si dice (e qualcosa di simile dicevano i babilonesi) larea del cerchio r2 il
matematico greco diceva invece il rapporto fra due cerchi il doppio rapporto dei diametri
(bisogna ricordare che i rapporti non erano numeri e doppio significava solo composto con se
stesso, quadrato nella nostra terminologia).

La teoria delle proporzioni lo strumento fondamentale della geometria teorica greca appena
questa va al di l delle propriet elementari sostanzialmente ereditate dalle matematiche
babilonese ed egiziana. Il concetto di rapporto svolge quindi un ruolo cruciale, lo stesso uso del
termine logos per denominarlo ne rivela tale ruolo: logos infatti nella cultura greca un termine
fondamentale, spesso usato addirittura per caratterizzare la filosofia greca tout court. La sua radice
il verbo leg, che ha molti significati, quali porre, raccogliere e dire. Ancor pi significati
assume logos, quali discorso, parola, linguaggio, narrazione, definizione, pensiero,
ragione, opinione, importanza, resoconto, relazione, e appunto rapporto in
matematica.
Il concetto matematico appare sin nei pitagorici, ma solo relativamente ai numeri, e viene
definito come relazione tra due numeri, e mai come numero. Il rapporto quindi non la
frazione. La proporzione, analogia, definita tramite lidea di stesso rapporto, e due rapporti
sono lo stesso rapporto quando hanno la stessa antyphairesis, termine in qualche modo collegato
al numero di parti che mancano ad un intero. Da un punto di vista operativo il termine fa
riferimento probabilmente allalgoritmo delle divisioni successive col quale si trovava il massimo
comun divisore di due numeri e col quale quindi due rapporti potevano essere messi in forma
irriducibile: avere la stessa forma irriducibile voleva dire essere lo stesso rapporto.
La applicazione del concetto di rapporto alle grandezze geometriche non presentava alcun
problema in una geometria metrica e probabilmente tra i pitagorici la connotazione geometrica
coincideva con quella aritmetica. Ma la scoperta della incommensurabilit mostrava lesistenza di
coppie di grandezze tra le quali non esisteva una misura comune (cio lalgoritmo delle
divisioni successive non termina, teorema X.2 degli Elementi).
Ad Eudosso (IV sec.) si devono alcuni dei risultati pi eccezionali della storia della
matematica. In primo luogo il modello geometrico dei cieli accennato nel paragrafo precedente.
Un secondo contributo essenziale la sua teoria delle proporzioni, una dottrina centrale per la
matematica greca e medievale, essendo lunico ponte tra discreto e continuo.
Inizialmente il rapporto, il logos, era un concetto solo aritmetico, ma non un numero, bens
una relazione tra due numeri. Nella antica aritmogeometria ovviamente questo concetto aritmetico

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poteva estendersi facilmente alla geometria: il rapporto tra base e altezza di un rettangolo
nellabaco era il rapporto tra il numero di monadi su di esse. Ma la geometria teorica greca si era
distaccata dalla matematica dellabaco e lincommensurabilit tra lato e diagonale del quadrato
dimostrava che non si potevano ridurre le figure geometriche a configurazioni di monadi: per
quanto si riducesse lunit di misura non si riusciva a misurare contemporaneamente lato e
diagonale del quadrato con un numero intero.
Qui Eudosso forse osserv come i rapporti tra segmenti incommensurabili, pur non essendo
aritmeticamente definibili con esattezza, potevano essere aritmeticamente approssimati quanto si
voleva. Infatti gi i babilonesi avevano trovato ottime approssimazioni numeriche per la 2. Le
approssimazioni si potevano fare o per difetto o per eccesso. Ad esempio per 2 una
approssimazione per difetto : 1 1.4 1.41 1.414 1.4142, una per eccesso era: 2
1.5 1.42 1.415 1.4143 Qualunque numero razionale si prenda si pu sempre dire se
sia maggiore o minore di 2.
Non potendosi esprimere con numeri un rapporto tra grandezze incommensurabili, la
questione che Eudosso si pose fu se fosse possibile almeno dire se due rapporti a:b e c:d fossero
uguali (ricordiamo che erano luguaglianza e la similitudine i temi della geometria dellepoca),
costruire cio la proporzione a:b = c:d. Se si, le approssimazioni dei due rapporti dovevano essere
comuni ed allora qualunque approssimazione m/n se era per eccesso per un rapporto lo era anche
per laltro, e quindi per ogni m ed n si aveva che mb>na se e solo se md>nc. Abbiamo usato una
notazione algebrica e aritmetica inesistente allepoca, ma il ragionamento si poteva fare
ugualmente nel linguaggio matematico dellepoca, e, considerando quella condizione non solo
necessaria ma anche sufficiente, si otteneneva la definizione eudossiana della uguaglianza tra
rapporti e la fondazione della teoria delle proporzioni per le grandezze: grandezze sono dette
essere nello stesso rapporto, la prima con la seconda e la terza con la quarta, quando, per qualsiasi
multiplo, gli equimultipli della prima e terza siano entrambi maggiori o uguali o minori dei
corrispondenti equimultipli della seconda e della quarta.
Su questa definizione si svilupp la geometria teorica pi avanzata. Quanto questa definizione
fosse lucida e importante per il seguito si pu facilmente osservare non solo dal suo uso nei libri
successivi, ma anche dal fatto che essa sembrava preludere ad una possibile matematica comune
che unificasse continuo e discreto, aritmetica e geometria, numero e grandezza. In realt questo
non avvenne nella matematica greca e la teoria di Eudosso venne applicata solo alla geometria, col
risultato paradossale che teoremi identici a meno della terminologia aritmetica o geometrica
dovevano essere dimostrati separatamente.
La definizione per il suo carattere astratto fu del tutto incompresa nel Medioevo e rivel la
sua profondit concettuale quando riapparve nellOttocento: evidente che se si accetta la
identificazione del rapporto di grandezze con il numero reale questa definizione prelude alla
definizione di numero reale e di continuo in Dedekind.

Degno di nota anche che la soluzione 'complessa' fornita dal teorema I.2 consente di
realizzare la 'uguaglianza per coincidenza' senza bisogno di introdurre idee cinematiche o
intuitive, ma tramite una semplice costruzione geometrica.
Questa osservazione ci porta al cuore di quello che mi sembra il problema centrale per
un'opera, quale gli Elementi, che segna il passaggio da una geometria basata su costruzioni visuali
e risultati evidenti verso una geometria basata su dimostrazioni a partire da postulati e procedure
sintattiche: la traduzione della uguaglianza intesa come coincidenza evidente, visuale, con una
uguaglianza dimostrata sintatticamente. Le idee di uguaglianza e similitudine saranno il
denominatore comune tra matematica e filosofia greca: nella prima creando la teoria delle
proporzioni e il sistema assiomatico, nella seconda sviluppando la dottrina delle idee/forme.
Nella matematica greca luguaglianza riguardava non la misura ma la costruzione, tanto di
figure geometriche quanto di rapporti; pi tardi l'uguaglianza appare quando le istanze diverse di

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un oggetto geometrico possono essere pensate derivare da un'unica 'forma', ove il termine 'forma'
va letto in un approccio platonico o aristotelico e senza alcuna connotazione 'metrica'.

fig.7 bis

I rapporti erano relazioni tra quantit omogenee (impensabile quindi la velocit come
rapporto tra spazio e tempo) e non erano numeri; ed anche le stesse figure non avevano misure,
non si sommavano le loro aree, bens si univano le figure. Per su di esse si potevano fare
confronti (una figura equivalente ad unaltra se tramite opportune trasformazioni la si pu
trasformare in una figura sovrapponibile alla seconda, la prima invece maggiore della seconda
se, dopo le trasformazioni, la contiene). Le trasformazioni equivalenti erano le operazioni di
dissezione e riassemblaggio, e le equivalenze geometriche erano basate sugli assiomi
delluguaglianza: nellesempio in fig.7bis sono equivalenti i due rettangoli tratteggiati a sinistra e i
tre triangoli a destra costruiti sulla stessa base. Esisteva quindi un doppio criterio di uguaglianza,
in primo luogo quello arcaico della sovrapponibilit, in secondo luogo la trasformabilit nel
rispetto degli assiomi delluguaglianza.
L'uguaglianza in matematica appare all'inizio quindi una relazione tra "quantit", tra numeri o
anche tra coppie di numeri (rapporti), o anche tra grandezze geometriche, ma solo quando sono
coincidenti (nozione comune 4 degli Elementi), dove la coincidenza semplicemente
l'occupazione dello stesso spazio, e quindi la "uguaglianza" si differenzia dalla "somiglianza" cos
come lo "spazio" si differenzia dagli altri attributi. In una fase pi avanzata, le quantit sono rese
uguali tramite una serie di trasformazioni che soddisfano gli assiomi dell'uguaglianza (nozioni
comuni 1-3 degli Elementi: transitivit, uguaglianza della somma e della sottrazione di uguali).
Da notare anche come questa idea sia del tutto diversa dalla pratica metrica della matematica
pi antica, nella quale la 'figura' in quanto tale aveva una 'dimensione' sostanzialmente legata alla
lunghezza dei lati. Proclo osserva che il teorema I.35 che stabilisce l'uguaglianza di
parallelogrammi con la stessa base e 'tra le stesse parallele' (cio con la stessa altezza) aveva un
che di paradossale, poich diminuendo l'angolo alla base i lati potevano essere resi lunghi a
piacere lasciando la figura 'uguale', cos che apparivano avere 'la stessa dimensione' figure che in
una tradizione pi antica apparivano avere dimensioni del tutto diverse.
I greci riuscirono a risolvere in generale il problema del confronto per le figure rettilinee, ma
non per le figure curvilinee, e questo era il problema della quadratura del cerchio: non il calcolo
di per la cui approssimazione bisogner attendere Archimedema la ricerca di una sequenza di
trasformazioni sulle figure che rendesse equivalente un cerchio ed un quadrato.

GLI ELEMENTI DI EUCLIDE

ALCUNE DEFINIZIONI DEL I LIBRO

1. Un punto ci che non ha parti


2. Una linea una lunghezza senza larghezza
3. Le estremit di una linea sono punti.
4. Una linea retta una linea che giace ugualmente coi punti su di essa.
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17. Un diametro del cerchio ogni linea retta tracciata attraverso il centro e estesa in entrambe
le direzioni fino alla circonferenza ed una tale linea taglia a met il cerchio.
23. Linee rette parallele sono linee rette che stando sullo stesso piano e estese indefinitamente
in entrambe le direzioni non si incontrano in nessuna direzione

POSTULATI

1. Tracciare una linea retta da ogni punto ad ogni punto


2. Estendere illimitatamente una linea retta finita in una linea retta.
3. Descrivere un cerchio con ogni centro e intervallo
4. Tutti gli angoli retti sono uguali tra loro.
5. Se una linea retta tagliando due linee rette fa gli angoli interni sullo stesso lato minori di
due angoli retti, le linee rette, se estese indefinitamente, si incontrano dal lato su cui ci
sono gli angoli minori di due angoli retti

NOZIONI COMUNI (ASSIOMI)

1. Cose che sono uguali alla stessa cosa sono anche uguali tra loro
2. Se uguali sono aggiunti ad uguali i totali sono uguali
3. Se uguali sono sottratti da uguali i resti sono uguali
4. Cose che coincidono tra di loro sono uguali tra di loro.
5. Lintero maggiore della parte.

Il principio di omogeneit, estraneo alla matematica babilonese e che durer nella geometria
"teorica" fino a Descartes, presuppone che tutti i numeri sono segmenti e i prodotti di numeri sono
figure. E' vero che in IX,18 Euclide considera un segmento (e non un quadrato) come risultato del
quadrato di un segmento, ma si tratta in realt di numeri 'travestiti' in linguaggio geometrico
secondo una tradizione dell'antico pensiero aritmogeometrico.
La ragione di questa difficolt a unificare i concetti di "numero" e "grandezza" nel fatto che
essi erano due campi del tutto eterogenei, per quanto questo sia difficile da comprendere per chi
cresciuto nella matematica post-cartesiana: il numero reale comincia allora ad apparirci in realt
una creazione sintattica originale finalizzata a creare un ponte tra discreto e continuo, tra
numero e grandezza.
Certo, i numeri erano connessi alle grandezze e tanto la tradizione pi antica quanto
l'impianto aristotelico ritrovavano, anche se in modo diverso, una qualche connessione tra
numero e 'misura', ma nella cultura greca i due concetti restarono sempre nettamente separati,
sino a utilizzare sistemi numerici a base diversa.

La riduzione sintattica del concetto di 'uguaglianza' legata alla apparizione della


'dimostrazione per assurdo', che abbiamo visto essere verosimilmente assente in antichi libri di
"Elementi".
In Platone l'uguaglianza una idea strategica per la costruzione del mondo delle idee, e che
cos si realizzi l'imperativo parmenideo della conoscenza come conoscenza di qualcosa fissato una
volta e per sempre, al di l della variabilit e della diversit degli oggetti reali. Se l'uguaglianza
garantisce questa costruzione, i suoi assiomi sono ci la cui violazione garantisce la non-verit
delle ipotesi, e permette cos la introduzione della dimostrazione per assurdo al posto di molte
antiche dimostrazioni 'evidenti'.
Abbiamo gi notato una traccia di questa trasformazione nel teorema I.4, primo criterio di
congruenza fra triangoli. E questo ci pone anche sulla traccia della distinzione che credo pi
fondata tra postulati e nozioni comuni (o assiomi): i primi sono punti di partenza, come nell'antica
pratica dialettica, spesso di natura costruttiva, i secondi sono principi di ragione con cui costruire

31
dimostrazioni, anche dimostrazioni per assurdo (quasi sempre basate su assurdi connessi
all'uguaglianza o all'infinito) con cui sostituire antiche dimostrazioni per evidenza.
Il regresso infinito lunica forma di assurdo che non si riconduca alla negazione di una
delle nozioni comuni o di un teorema gi dimostrato. E gli assurdi per il regresso infinito non
potrebbero essere resi positivi in dimostrazioni costruttive neanche intuitivamente.
Infatti la geometria di Euclide tratta di oggetti 'finiti' ed effettivamente dati. Il termine eis
apeiron, allinfinito, compare nella definizione I.23 di "parallela" e nel V postulato due linee
estese 'indefinitamente' tagliate da una linea retta si incontrano sul lato su cui gli angoli sono meno
di due retti. Ma un infinito potenziale, e superfici e solidi restano rigorosamente limitati: quella
eucldea una geometria piana senza il piano, una geometria solida senza lo spazio

Anche lidea di infinito non apparteneva alla matematica ed era un concetto sostanzialmente
fisico. In Euclide il termine infinito (apeiron) appare in forma solo avverbiale, per dirci che la
retta pu essere prolungata illimitatamente. Anche le sezioni coniche, prima di Apollonio, erano
costruite su coni finiti. Quella euclidea una geometria piana senza il piano, una geometria
solida senza lo spazio, una geometria di figure e solidi finiti che non richiedono un ambiente
infinito che li contenga.
E qualcosa da ricordare per valutare precisamente la matematica greca. Ad esempio lo stesso
Apollonio nel suo studio delle coniche introduce rette di riferimento sulle quali proiettare le
posizioni di punti delle curve, individuando segmenti tra i quali riconoscere relazioni geometriche
nella forma di rapporti caratteristici delle curve (chiamati symptoma). Molti storici hanno
riconosciuto qui la geometria analitica odierna (con gli assi x, y, z, le coordinate dei punti, le
equazioni delle curve). La differenza che i concetti di Apollonio erano intrinseci alla curva
(assi, diametri, tangenti), mentre quelli moderni sono estrinseci ad essa e relativi invece ad uno
spazio indipendente che contiene la curva.
Linfinito appare in diverse forme, ma sempre secondo lo schema aristotelico dellinfinito
potenziale: cos nel II postulato eutheia sempre una linea retta finita che pu essere
indefinitamente e continuamente estesa. Limpossibilit di processi infiniti attuali adoperata
nella teoria della incommensurabilit, mentre esistono prove di esistenza dellinfinito potenziale (i
numeri primi). Anche nelle dimostrazioni di teoremi sono introdotte le ipotesi di estensione
infinita, come per tracciare una perpendicolare da un dato punto (I,12)
Linfinito appare anche nella forma della infinita divisibilit: per bisecare una linea (I,10) essa
deve essere supposta infinitamente divisibile. Proclo, citando Geminus, (278) osserva come, in
geometria, sia sufficiente ipotizzare che "il continuo divisibile", mentre che "il continuo sia
divisibile all'infinito" si pu dimostrare tramite la costruzione di grandezze incommensurabili.
Era anche difficile trattare linsieme dei numeri, poich questo significava trattare linfinito,
cos che Euclide non dir ci sono infiniti numeri primi, bens i numeri primi sono pi di ogni
molteplicit proposta di numeri primi [Elementi, IX.20], e nelle dimostrazioni non comparir mai
esplicitamente il principio di induzione completa: per ogni propriet P si ha che

P(0) (x) (P(x)=>P(x+1)) => (x) P(x)

che usualmente si ascrive a Pascal. Se ne trovano tracce precedenti in Maurolico, in Levi ben
Gerson ed anche in autori arabi. In Euclide si trovano tracce di ragionamenti che sembrano
preludere ad esso (VII 3, 27, 36, VIII, 2, 4, 13, IX, 8, 9), ma sono sempre ridotte a ragionamenti
intorno a numeri (piccoli, tre o quattro) ben definiti.
Vi tuttavia qualcosa di molto simile al principio di induzione. Linfinito numerabile in
fondo accettabile (ad esempio nel teorema su i numeri primi) in quanto coincide con linfinito
potenziale, e la sua limitatezza per divisione (o sottrazione) implica la inesistenza di una sequenza

32
infinita decrescente di interi, che appare sostanzialmente coincidente col principio di esistenza del
minimo1 e appunto col principio di induzione.
E tuttavia degno di nota che il principio di induzione, che permette un uso positivo
dellinfinito, non appaia nella matematica greca, ma che qualcosa di logicamente equivalente vi
appaia nella forma negativa di un principio che nega lesistenza di una sequenza infinita.

La dimostrazione procedeva da cose pi note verso cose meno note, dagli


assiomi/postulati ai teoremi/problemi, una procedura nota anche come sintesi, che caratterizza lo
stile di Euclide negli Elementi. Ma nella matematica greca appariva anche la procedura opposta,
detta analisi, che partiva da ci che si cerca per risalire a ci che gi si sa. Lidea fondamentale
era quella che invertendo le deduzioni di una delle due procedure si otteneva laltra, ma in realt
A=>B non implica B=>A, cos che per garantire la correttezza logica dei risultati lanalisi andava
sempre seguita dalla sintesi corrispondente. Gli psicologi cognitivi ci dicono che un bravo studente
di geometria oggi in genere abile nel mischiare in modo opportuno le due procedure, chiedendosi
alternativamente da quello che so che cosa posso conoscere? e per ottenere il risultato richiesto
che cosa mi serve?.
Maestro della analisi fu Apollonio. Per capirne la grandezza basta pensare che svilupp la
teoria delle coniche (le figure ottenute per sezioni di un cono tramite un piano al variare della sua
inclinazione: cerchio, ellisse, parabola, iperbole), nata probabilmente da esperienze di misurazione
astronomica (meridiana, astrolabio), in quanto le stelle si muovono rispetto ad un osservatore
terrestre su cerchi che col vertice nellosservatore formano un cono, la cui sezione con un piano
una conica. Ebbene Apollonio ottenne per via geometrica tradizionale gran parte di quello che
oggi si studia sullargomento usando il formalismo algebrico.

IL METODO DI ESAUSTIONE E ARCHIMEDE

Un capitolo speciale della matematica greca, il cui sviluppo va da Eudosso ad Archimede


attraverso il XII libro degli Elementi, il metodo di esaustione.
Nella preistoria del metodo di esaustione c Democrito, che si chiede: se noi tagliamo un
cono con un piano otteniamo un cono pi piccolo e un tronco di cono. Le sezioni, che ci danno la
base del cono minore e la faccia superiore del tronco di cono, sono uguali? Ricordando che
possiamo ripetere il discorso per le infinite possibili sezioni, se la risposta no, allora avremo che
il cono avr una struttura irregolare a scalini; se la risposta si, allora avremo che il cono in
realt un cilindro.
In Antifonte lesaustione del cerchio con poligoni si realizzava in un numero finito di
suddivisioni. Ippocrate di Chio, forse autore di gran parte dei contenuti pi antichi degli Elementi,
cio della prima costruzione assiomatico deduttiva delle geometria gi nel V secolo, aveva un idea
gi pi corretta e cercava la quadratura intermedia tra poligoni circoscritti ed iscritti, cos che a lui
si ascrive la intuizione del teorema XII.2, secondo il quale il rapporto tra due cerchi quello tra i
quadrati dei diametri.
In verit le radici del metodo si trovano nelle teoria di quelle che Euclide chiama
semplicemente grandezze, e che potremmo dire, con Aristotele, continue, sviluppatasi assieme
alla teoria delle proporzioni di Eudosso. Infatti gi la def. V.4 asserisce che due grandezze hanno
un rapporto se c un multiplo della minore pi grande della maggiore; questa propriet in un
certo senso proprio linversione della infinita divisibilit considerata come un infinito potenziale:
le grandezze per cui esiste un rapporto sono le entit non nulle ottenute da un numero finito di
suddivisioni Su questa base X.1 mostra che se, date due grandezze, sottraiamo iterativamente dalla

1
Il principio del buon ordinamento asserisce che ogni insieme pu essere ben ordinato, cio posto in un ordine totale tale che
ogni sottoinsieme limitato inferiormente ammette un minimo. Il principio di esistenza del minimo asserisce che ogni insieme non
vuoto di interi ammette un minimo.

33
maggiore una grandezza maggiore della sua met (ipotesi questa in verit non necessaria), rester
prima o poi una grandezza minore della minore delle due.
E X.2 mostra che due grandezze sono incommensurabili se lalgoritmo per la massima
comune misura, quello delle sottrazioni successive (X.3), non termina mai. Abbiamo gi visto che
questa propriet, applicata a lato e diagonale del quadrato oppure alla sezione aurea, potrebbe
essere stata il punto di partenza per la versione geometrica della incommensurabilit.

Archimede assegna ad Eudosso il famoso lemma: di linee, superfici, solidi disuguali, il


maggiore eccede il minore di una quantit capace, aggiunta a se stessa, di superare qualsiasi
grandezza di quelle confrontabili tra di loro. Insieme alla def. V.4 dava una caratterizzazione
matematica al concetto di grandezza continua e di confrontabilit tra grandezze omogenee.
Tuttavia delle due propriet che Aristotele assegna al continuo, l"infinita divisibilit" e la
"mancanza di lacune", solo la prima caratterizza la geometria euclidea, e per questa
considerazione Dedekind potr dire a ragione che questa ammette anche modelli non continui,
ma semplicemente densi.
La base del "metodo di esaustione" consiste nell'intuire' una relazione di uguaglianza (in
senso metrico) tra due enti geometrici, e poi nel dimostrare tale uguaglianza, con due
dimostrazioni per assurdo basate sulle propriet suaccennate applicate alle due opposte
disuguaglianze. A tale fine si devono costruire due sequenze di grandezze, una crescente e laltra
decrescente, una sempre minore della grandezza studiata, laltra sempre maggiore.
Ovviamente a questo scopo tutte i rapporti fra grandezze geometriche devono essere resi
confrontabili coi rapporti tra segmenti, che, secondo il canone della geometria greca sono il
'prototipo' della idea stessa di grandezza. Cos a questo fine sono dedicate le prime proposizioni de
Sulla sfera e cilindro di Archimede.
E interessante osservare il rapporto tra discreto e continuo che il metodo di esaustione
configura. Il punto di partenza la gi citata definizione 4 del V libro, che caratterizza lambito
delle grandezze (continue), cio aventi un rapporto tra di loro, in quanto capaci quando
moltiplicate di eccedersi lun laltra. Il passo successivo il gi citato teorema X.1 che garantisce
il viceversa, cio che una qualsiasi grandezza, se continuamente decrementata di almeno la met
di quanto resta, finisce con lessere minore di qualsiasi altra grandezza. Su questa base si fonda il
metodo di esaustione, che verifica una proporzione dimostrando per assurdo che le due
disequazioni relative non valgono: non quindi la continuit come 'separabilit', ma la continuit
come definita dalla 'divisibilit' e dall'assioma di Eudosso-Archimede.

Supponiamo di voler dimostrare che il rapporto tra i cerchi uguale al rapporto tra i quadrati
con lati uguali ai rispettivi raggi (fig.7). Dimostriamolo per assurdo supponendo che il rapporto tra
i cerchi A:B sia minore del rapporto tra i quadrati C:D, allora il rapporto tra i quadrati sar uguale
al rapporto tra il cerchio A ed una altra figura >B: A: =C:D. Circoscriviamo al cerchio B
poligoni regolari con un numero di lati crescente (e quindi decrescenti come area): L1, L2, L3, ,
prima o poi ne troveremo uno, Li, con tanti lati da rendere la sua differenza rispetto al cerchio B
minore della differenza tra e BQuesto poligono sar cos tale che >Li>B. Costruiamo un
poligono con altrettanti lati Mi circoscritto al cerchio A. Tra i poligoni regolari vale il teorema che
il rapporto tra due poligoni simili uguale al rapporto tra i quadrati costruiti su lati che hanno lo
stesso rapporto dei lati dei poligoni (uguale nel nostro caso al rapporto tra i raggi dei cerchi A e B)
e quindi Mi:Li=C:D. Ma A: =C:D e quindi A: Mi:Li e allora A:Mi:Li. Ma il cerchio
minore del poligono in esso circoscritto e quindi <Li. Ma Li era anche minore di : assurdo.
Analogo assurdo se supponiamo che il rapporto tra i cerchi sia maggiore del rapporto tra i
quadrati.

34
RADDOPPIANDO LE DIMENSIONI SI QUADRUPLICANO LE AREE

C A
U l U U l
l

?
D
2l 2l B
4U 2l 4U 4U

FIG.7

La proposizione XII.2 applica questo metodo per mostrare che due cerchi sono nella
proporzione del quadrato dei loro diametri. A e B sono i due cerchi, C e D sono i quadrati dei
diametri. La proporzione stata gi dimostrata per poligoni simili. Le sequenze Li e Mi sono le
sequenze di poligoni regolari iscritti nei due cerchi con numero crescente di lati. Lapplicazione
della procedura precedente dimostra il teorema.
Non appaiono n linfinito n lo zero. Infatti il metodo di esaustione si basava sul teorema X.1
degli Elementi: fissate due grandezze disuguali, qualora dalla maggiore sia sottratta una
grandezza maggiore della met [in realt questa condizione non necessaria] e da quella restata
fuori una maggiore della met, e questo risulti in successione, sar restata una certa grandezza che
sar minore della minore grandezza data. Poich la minore delle due grandezze date pu essere
scelta a piacere il residuo pu essere reso minore di ogni grandezza. Tuttavia non poteva diventare
zero poich una grandezza non poteva diventare un non-essere, e linfinito non era un limite ma
solo un luogo impraticabile.
In questo discorso le approssimazioni non sono pi numeriche come nellargomentazione
fatta per luguaglianza tra i rapporti, bens geometriche, ottenute da poligoni circoscritti (o iscritti)
con un numero crescente di lati, ma il ragionamento analogo.
Il lemma di Eudosso serve ad asserire qui sostanzialmente che la differenza tra una grandezza
(continua e incommensurabile) e unaltra grandezza (discreta) sempre non nulla ed in grado di
avere un rapporto con qualunque altra grandezza. La propriet usata nel teorema sulla leva, ed
anche i teoremi basati sul principio di esaustione come il XII.2, asseriscono che una grandezza
continua approssimabile da grandezze discrete con qualsiasi precisione finita non nulla. Il
legame tra i due dato dalla X.1, che garantisce che tramite sottrazioni successive tra due
grandezze si pu sempre ottenere una grandezza minore della minore delle due.

Il metodo di esaustione ha per un aspetto che lascia perplessi: pu servire per verificare una
ipotesi sulla proporzione tra figure, ma non per scoprirla. In certi casi (come nel caso del
cerchio) il rapporto tra le aree sembrava intuibile, ma in altri casi questo non accadeva, come nel
caso del rapporto tra figure curve e rettilinee, ove occorre sempre tenere presente che in generale
per i Greci retto e curvo erano opposti e quindi inconfrontabili.
Ad esempio Archimede dimostra col metodo di esaustione la correttezza della ipotesi che il
rapporto tra un segmento di parabola ed il triangolo isoscele in esso iscritto sia 4/3. Ma questa
ipotesi era tuttaltro che evidente. Come laveva scoperta? Questi interrogativi cominciarono a
porseli i matematici del XVI secolo, quando gli scritti di Archimede, sebbene tradotti in latino gi
nel Medioevo, cominciarono ad essere studiati, capiti ed apprezzati. Molti sospettarono che
Archimede avesse avuto un metodo segreto per scoprire la ipotesi giusta.

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Sorprendentemente un secolo fa Heiberg scopr in un antico palinsesto un testo dove si
leggeva il metodo di Archimede. La sorpresa doveva poi trasformarsi in ammirazione per il
genio dellautore. Nella dimostrazione si utilizzava una fusione inimmaginabile tra geometria e
statica (teoria della leva), sviluppata da Archimede in diverse opere, costruendo una
configurazione di equilibrio tra il segmento di parabola ed il triangolo, tramite la costruzione delle
figure come unione delle loro sezioni parallele (segmenti, e quindi di dimensione inferiore alle
figure).
La figura da studiare sezionata in elementi che diremmo infinitesimi. Tramite lemmi
geometrici si costruiscono proporzioni in cui tali sezioni vengono rapportate ad altre pi
facilmente analizzabili. Tali proporzioni vengono lette come condizioni di equilibrio su una leva,
avente da un lato la figura incognita e dallaltro una nota. Cos la misura dellente geometrico
incognito viene ridotta ad una misura nota. Tuttavia questo metodo viene usato da Archimede solo
per scoprire la relazione di uguaglianza che rimane per sempre da convalidare poi con il metodo
di esaustione.

V a.C. IV III II I a.C. I d.C. II III

TRADIZIONE MATEMATICA VITRUVIO NICOMACO DIOFANTO


PRATICA ORIENTALE CL. TOLOMEO
ERONE
PITAGORICI ARCHITA ARCHIMEDE
TRADIZIONE APOLLONIO PAPPO
TEORICA EUDOSSO EUCLIDE

ARISTOTELE
PLATONE PLOTINO
FILOSOFIA ELEATI

Il Metodo di Archimede, la tecnica euristica da lui usata per scoprire relazioni da dimostrare
col metodo classico di esaustione, semplicemente sostituisce le due sequenze X(n) e Y(n) con un
infinit attuale di grandezze di dimensione minore (ad esempio segmenti se le sequenze erano
figure piane).

Nella dimostrazione si utilizza la possibilit di distribuire e unificare distribuzioni di massa


intorno al centro di simmetria, e questo risultato si dimostra in Archimede per via assiomatico-
deduttiva a partire da postulati che asseriscono l'equilibrio di pesi uguali a uguali distanze e lo
squilibrio in caso si neghi l'uguaglianza di peso (anche se qualche ipotesi non esplicita compare
implicitamente nella dimostrazione).
T
H F

G
M
K
E
NW
P B
A
O D C
Fig.8

36
In fig.8 il 'metodo' applicato per il calcolo dell'area del segmento di parabola ABC, uguale
ai 4/3 dell'area del triangolo ABC. Sia DE l'asse della parabola e CF la tangente ad essa in C. Da A
si tira AKF parallela a DE. Prolunghiamo CB sino a K e ad H, con KH=KC. Sia CH la bilancia di
punto medio K. MO una generica retta parallela ad ED e siano M, N, O, P i suoi punti di
incidenza con le rette CF, CK, CA e con la parabola. Sull'asse EB=BD (risultato sulla parabola
provato da Aristeo ed Euclide), e quindi FK=KA e MN=NO. Si sa anche che: MO:OP=CA:AO
(Quadratura della Parabola di Archimede, 5) =CK:KN (Elementi di Euclide VI,2) =HK:KN. Sia
poi TG=OP e poniamolo in H come centro di gravit. N il centro di gravit di MO e
MO:TG=HK:KN, e quindi TG in H e MO in N saranno in equilibrio (Sull'equilibrio dei piani I,6-
7). Questo vale per ogni retta MO parallela a DE. Saranno in equilibrio intorno a K allora il
sistema dei segmenti PO cos ottenuti (e quindi il segmento di parabola ABC) e posti in H e il
triangolo AFC lasciato dove . Sia W tale che CK=3 KW; allora W il centro di gravit del
triangolo ACF (Sull'equilibrio dei piani I,15) e allora Area ACF: =HK:KW=3:1. Ma Area ACF=
4 Area ABC, da cui si ottiene la tesi.

Ma anche in Aristotele si ritrova la traccia delle difficolt a trattare linfinito.

Nelle dimostrazioni 'corrette' (Quadratura della parabola, 16-17 oppure 24), fatte per assurdo
secondo il classico "metodo per esaustione", Archimede utilizza lemmi (rispettivamente 6-7,14-15
oppure 23), nel primo caso basato sul centro di massa del triangolo, con una logica che si ritrova
nella proposizione 1 del Metodo, ove si risolve per via 'meccanica' lo stesso problema.
La dimostrazione nel secondo caso sostanzialmente fondata sulla serie geometrica di
ragione 1/4, ma in una forma particolare che rimane al finito. Archimede dimostra che 1 + 1/4 +
(1/4)2 + .+ (1/4)n + 1/3 (1/4)n = 4/3

Fig.9
Appare nei commentatori il riferimento alla fig.9 (non essenziale nella dimostrazione, ma
splendida per la 'evidenza' che d al risultato) in cui un quadrato contiene un altro quadrato di lato
dimezzato, che a sua volta contiene un quadrato di lato ancora dimezzato, etc., cos che la serie
diventa una somma di gnomoni, ciascuno 1/4 del precedente fino a completare un quadrato.
La figura mostra chiaramente che il limite della serie esattamente i 4/3 del primo 'gnomone', ma
ci fa capire un po' l'impossibilit di evitare il metodo di esaustione con un passaggio al limite: il
punto in basso a destra non farebbe parte di alcuno gnomone, fatto questo che nel nostro
linguaggio significa solo che l'ultimo termine della somma 'tende' a zero, come l'ultimo quadrato
'tende' a diventare un punto, secondo Nicomaco una "estremit senza estensione" (Erone,
Definizioni). In entrambi ragionamenti qualcosa che "" diventa qualcosa che "non ".

DIOFANTO

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Per chiudere la parte relativa alla antichit greca, non si pu ignorare l'opera di Diofanto, che
per molti versi gi preclude al futuro linguaggio algebrico di Viete e Descartes, e che d una forma
nuova, che potremmo gi dire 'sintattica', all'uguaglianza.

Per cogliere il cambiamento possiamo limitarci a considerare la risoluzioni delle equazioni


quadratiche. Consideriamo il seguente esempio, relativo a due numeri la cui somma 20 e la
somma dei quadrati 208. (HEATH 1910), confrontato con un problema analogo su un testo
babilonese. In Diofanto, troviamo una nuova notazione: la "incognita", probabilmente derivata
da aithmos, il suo "quadrato", derivato da dunamis, sta per il segno di
"uguale", caratterizza una "costante intera", e ^ sta per il segno "meno". (In figura la colonna di
destra traduce in termini moderni).

20 208

^ poniamo x+10 10-x

^ quadriamo x2 +20x+100 x2 +100-20x

sommiamo 2x2 +200 = 208

sottraiamo 2x2 = 8

dividiamo x2 = 4

x = 2

ottenendo 12 8

Invece il problema babilonese BM 345658 VsII 10, d la somma 23, e la diagonale (e quindi
la radice quadrata della somma dei quadrati) 17. I calcoli sono fatti nel sistema sessagesimale :

<lunghezza e larghezza sommate sono 23 e 17 la diagonale. Le grandezze sono incognite. 23


per 23 8,49. 17 per 17 4,49. 4,49 da 8,49 sottrai e rimane 4,0. 4,0 per 2 8,0. 8,0 da 8,49 sottrai
e rimane 49. Che cosa devo prendere per ottenere? 7 per 7 d 49. 7 da 23 sottrai e rimane 16. 16
per 0;30 prendi ed 8. 8 la larghezza. A 7 aggiungi 8 ed 15. 15 la lunghezza>

o un simile problema, in forma normale, AO 6484 Rs 10-14, dove la somma 2;0,0,33,20, e


il prodotto 1:

<divisore e dividendo d 2;0,0,33,20. con 0,30 moltiplica e d 1;0,0,16,40. 1;0,0,16,40 con


1;0,0,16,40 moltiplica, d 1;0,0,33,20,4,37,46,40. Sottraggo 1, rimane 0;0,0,33,20,4,37,46,40. Che
cosa devo moltiplicare? Moltiplichiamo 0;0,0,44,43,20 con 0;0,0,44,43,20 d
0;0,0,33,20,4,37,46,40. 0;0,0,44,43,20 sommato a 1;0,0,16,40 d 1;0,45 il divisore. 0;0,0,44,43,20
sottratto da 1;0,0,16,40 d 0;59,15,33,20 il dividendo.>

Rispetto agli esempi concreti sulle tavole babilonesi in Diofanto il problema viene posto in
modo astratto. La risoluzione babilonese sembrava seguire i passi di una procedura ben definita,

38
probabilmente legata alla costruzione di una figura nella quale interpretare i dati numerici del
problema, che permetteva di ricavarne la grandezza incognita, mentre Diofanto sembra
maneggiare diverse condizioni in forme di equazioni che hanno la loro origine nellalgebra
geometrica e nelle propriet delluguaglianza, ma vengono ora manipolate per riscrivere le
condizioni del problema. Il 'tempo' della risoluzione non pi quello della costruzione, ma
puramente funzionale, nel senso che la soluzione si ottiene nella sequenza di diversi passaggi a
partire dai dati e dallincognita del problema (spesso col vincolo di soluzioni intere), e la
possibilit di iterare i simboli permette di esprimere potenze superiori alla terza, liberando cos tali
tecniche dalla limitazione del linguaggio geometrico.
La origine pratica e geometrica delle tecniche e dello stesso linguaggio algebrico appaiono
per chiare anche nellapproccio non geometrico di Diofanto, come nella accettazione di sole
soluzioni positive, o nelluso di un quadrato disegnato per denotare un quadrato aritmetico, o
nelluso del termine lato, pleura, per il valore di cui si fa il quadrato. Non esiste il prodotto tra
incognite poich il quadrato o il cubo non il prodotto dei suoi lati, ma una figura; il prodotto tra
un numero e lincognita o la somma di termini sono date per semplice giustapposizione, come
nella descrizione delle figure geometriche; i numeri sono semplici aggettivi che devono essere
applicati ad unincognita o alla monade per diventare termini. Il segno compare come la parola
meno nelle frasi in linguaggio naturale
E' da notare come il calcolo segua la stessa evoluzione della dimostrazione a partire da una
comune origine (la costruzione della figura geometrica) tramite una traduzione sintattica, una
analogia questa tra calcolo e dimostrazione che ritroveremo ancora in matematica. La
dimostrazione ne conserva la struttura temporale, appare una edizione sintattica della costruzione,
mentre laritmetica di Diofanto crea un suo 'tempo', che parte dalle equazioni corrispondenti alle
condizioni del problema e utilizza singole proposizioni dellalgebra geometrica.
Quanto questo sia peculiare si pu cogliere osservando come la tecnica delle equazioni non
comparve mai nella matematica cinese, che cos, nonostante il grande sviluppo delle sue tecniche
di soluzione dei problemi, non riusc mai a creare una vera algebra.

DALLANTICHITA AL MEDIO EVO

Lantichit per la matematica finisce prima della caduta dellImpero Romano. I Romani
avevano avuto una breve passione per la cultura greca, allinizio dellimpero, al punto che in
qualche misura limpero era diventato bilingue: Cicerone per la filosofia e la retorica, Vitruvio per
larchitettura erano state figure in cui riecheggiava la cultura greca. Ma progressivamente la
romanit era tornata a prevalere. Del resto la stessa lingua latina mostrava lorigine molto pi
pratica dellidea romana di conoscenza: mentre i verbi greci di conoscenza richiamavano la
visione e la memoria, quelli romani ricordavano lesperienza pratica: sapio, sapientia (avere
sapore), puto, computo (potare), penso (pesare), verus (dritto), forse anche cogito
(raccogliere).
La divisione dellimpero in impero doccidente ed oriente fu quindi non solo un espediente
logistico, ma anche lesito di una frattura culturale che a partire dal IV secolo d.C. vedr la
scomparsa definitiva della matematica (e della filosofia) greca dalloccidente, solo la retorica vi
rester come traccia di quella antica influenza. La matematica si rifuger allora nella sua terra
dorigine, lOriente.

La filosofia platonica e ancor pi quella aristotelica rimasero la base del sapere umano per
circa due millenni e questo ci deve far riflettere su quanto poderosa doveva essere tale
sistemazione e come il suo superamento richiedesse (al di l delle metafore del tipo dei nani sulle
spalle dei giganti) un autentica catastrofe culturale, capace di rompere un meccanismo
incredibilmente solido di riproduzione culturale di innumerevoli generazioni di figure intellettuali
e un universo descritto mediante una coerenza ineguagliabile tra linguaggio e pensiero. Era un

39
mondo di 'individui' e di 'forme', cui si attaccavano attributi appartenenti a diverse categorie. La
difficolt di trattare con il problema del 'moto' e del 'mutamento' basta a caratterizzare questo
mondo aristotelico: il moto era "l'atto di qualcosa in potenza, ma in quanto appunto in potenza".
Per renderlo qualcosa di reale occorre legarlo al corpo in moto, qualcosa che il corpo ha gi in
potenza quando non in moto, ma che poi si realizza, si attualizza. Ma se il moto fosse il suo esito
finale, attuale, esso sarebbe il nuovo stato ottenuto per traslazione, la quiete in un altro luogo e non
il moto. Occorre quindi considerarlo solo in quanto 'in potenza'.
Nel pensiero aristotelico si erano fissati due temi costanti del pensiero dell'antichit: la
necessit di una sostanza che caratterizzasse il "permanere" e quindi la conoscibilit del reale nel
flusso del divenire, e la necessit di una serie di coppie polari di "contrari" sulla cui trama si
disegnasse il divenire. I quattro elementi, terra, acqua, aria e fuoco, ne garantivano i caratteri
sostanziali e i quattro attributi caldo/freddo e secco/umido, insieme alla coppia materia/forma
dovevano consentirne il mutamento. In realt l'approccio aristotelico aveva un carattere pi
biologico e medico che fisico: i quattro elementi risalivano ad Empedocle, le due coppie di
attributi opposti ad Ippocrate di Cos e si ritrovavano nei Pitagorici, e le idee di "causa", aitia, e di
"forma", eidos, apparivano pi mediche e naturalistiche che tecniche.
L'opposizione tra divenire ed essere diventava in particolare l'opposizione tra moto e quiete.
E il divenire nella cultura greca era in s la contraddizione, il fondersi di essere e non essere, e la
fisica, la scienza della genesi, del mutamento e del moto, restava cos bloccata dalle aporie
del non essere, attestata sullo stretto passaggio della coppia aristotelica atto/potenza.
Nel Rinascimento per lattenzione finiva col fissarsi sul carattere reale del moto. Il carattere
'relativo' ed il suo 'essere', lossimoro dello stato di moto, la natura 'sostanziale' cio di quello che
era pur sempre solo un 'divenire', appariranno solo con Galileo e Descartes.
Ma questa nuova soluzione, in cui il divenire, il moto in primo luogo, diventava un essere, e
la quiete una forma particolare di moto, richiedeva una estensione della descrizione matematica
del mondo e una nuova matematica del continuo e dellinfinito per considerare la stasi il moto di
quantit zero, e non il suo opposto, e quindi una matematica in cui lo 'zero', il nulla, fosse un
numero come gli altri, e quindi in definitiva una filosofia che coniugasse il non essere se non
come un modo dell'essere, almeno qualcosa che non fosse un opposto polare ed assoluto.
Restava infatti intatto l'imperativo parmenideo: solo l'"essere" pensabile, e quindi il moto
nella accezione della fisica rinascimentale potr 'essere' solo conservandosi. Nulla verr mutato di
questa filosofia dell'"identico" che niente testimonia meglio della irresistibile carriera
dell'aggettivo uguale, isos, dalla antica caratterizzazione omerica in cui segna l'uguale rango tra re,
dei, divinit e guerrieri, simmetria di posizione o di livello, fino al suo divenire la chiave di volta
per la costruzione degli "universali", rappresentanti di individui 'uguali', possibili oggetti di una
"scienza". Gli stessi inizi della geometria greca, con Talete e Pitagora, sono anche capitoli in
questo sviluppo del concetto di 'uguaglianza', che progressivamente diviene sempre pi un
concetto 'metrico' e 'numerico', e quindi destinato a selezionare solo quegli universali che si
rivelano 'misurabili'. Gi in Diofanto isosdiventa termine tecnico per denotare l'"equazione".

Ed anche il carattere 'quantitativo' del moto era del tutto inattingibile ad una matematica in cui
il rapporto era tra numeri e tra grandezze omogenee, mai e poi mai tra grandezze eterogenee, quali
la distanza e il tempo. Che il moto non potesse essere una 'grandezza' era confermato dalla
inconfrontabilit di moti diversi quali quello rettilineo e quello circolare: era insomma il
trattamento sintattico dell'"uguaglianza" il vero problema.
D'altro canto la matematica, bloccata dalla antica concezione del numero e dal fatto che lo
"zero" non era un numero, per confrontare grandezze eterogenee per confrontare grandezze
eterogenee richiedeva una diversa concezione del mondo, in cui la 'monade' divenisse una unit di
misura divisibile, e ogni grandezza fisica divenisse sostanzialmente e soprattutto qualcosa
soggetta al "pi" e al "meno", una misura e quindi semplicemente un numero, e non una sostanza
o una qualit o una categoria.

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Da notare che le propriet fisiche diverse da tempo e spazio (peso, velocit, calore, etc.) erano
qualitative. Quantit erano solo da un lato quelle geometriche ed il tempo (continue), dallaltro i
numeri ed il linguaggio (discrete), e quindi le velocit potevano essere confrontate o come spazi
percorsi in un tempo fisso o come tempi impiegati per percorrere una data distanza.
Il progressivo spostamento dei concetti fisici dalle categorie e dalle opposizioni aristoteliche
verso una progressiva caratterizzazione come "grandezza" e "quantit", e quindi a "numero" e
"misura", in particolare rendeva la coppia moto/quiete, che in Aristotele era una opposizione del
tutto inconciliabile e una coppia concettuale in fondo sghemba rispetto alla relazione principale
tutta compresa tra le idee/forme e le cose, una generica quantit, diventando cos la base
concettuale della rappresentazione 'meccanica' del mondo.

Anche il rifiuto dell'infinito non aveva niente di ideologico, ma era una caratteristica
necessaria nella concezione del mondo degli antichi greci, tanto per l'esigenza di una 'sostanza'
quanto per la necessit di 'opposizioni polari': la stessa geometria euclidea fatta di figure finite
individuali, costruite in modo tale da essere generali, e non porzioni di un piano o spazio infinito,
ed anche l'infinit della retta appare solo come un indefinito prolungamento. L'uso linguistico di
considerare 'ogni' , e non un 'qualsiasi', triangolo, 'la' data area, e non 'una' data' area, il fatto che
solidi che noi consideriamo infiniti quali coni e cilindri sono generati dalla rotazione di figure
finite, triangoli e rettangoli, le definizioni di rette e piani sempre come grandezze finite, dotate di
estremit e contorni, con lunghezze, larghezze e profondit, confermano l'idea di una geometria
piana senza il piano, di una geometria solida senza lo spazio, in un cosmo finito, una geometria di
oggetti ben definiti in modo generale, ma sempre individualmente costruiti nel finito.
Il cosmo, il mondo finito e strutturato di Aristotele l'unico vero mondo della scienza greca,
gli accenni 'infiniti' rimangono solo esigenze di 'indeterminazione' o illimitatezza, e non
casualmente resteranno marginali fino all'era moderna.
La dottrina aristotelica dellinfinito e del continuo rimase parte integrante della "scolastica",
ed in essa aspetti logici, fisici e matematici si sostenevano a vicenda in una unica cornice
metafisica.
Limpero romano doriente durer mille anni dopo la caduta di quello doccidente. E nei
secoli tra la fine dellantichit e linizio del Medioevo, soprattutto ad Alessandria, esso sar la
dimora della cultura classica. Qui troveremo gli ultimi grandi filosofi, da Plotino, padre del
neoplatonismo, a Simplicio, uno dei massimi commentatori di Aristotele.
Pi interessante per noi la figura di Giovanni Filopono, altro esponente della fusione tra
pensiero classico e cristiano, e primo pensatore a sottoporre la filosofia naturale dominante, quella
aristotelica, ad una critica terribilmente moderna. Aristotele infatti rifiutava il vuoto e lidea di uno
spazio tridimensionale contenitore delle cose, considerava la fisica dei cieli e quella terrestre del
tutto diverse, riteneva il mondo eterno, considerava la materia una realt solo negativa, priva di
propriet e dimensioni, e credeva che la velocit di caduta di un grave crescesse col peso. Tutte
tesi che Filopono rigett, anche se occorrer aspettare un millennio per vedere laffermarsi di
quelle critiche.

In un lungo periodo, pi o meno dal V allX secolo d.C., in Europa occidentale le popolazioni
di cultura latina assistono al disgregarsi del loro mondo, sottoposte ad invasioni e scorrerie
continue da quasi tutti i punti cardinali, dalla Scandinavia, dallAsia e dallEuropa orientale, dai
paesi islamici. La crisi aggravandosi travolge la produzione economica, il commercio
interregionale, la cultura, e segna una crisi profonda delle citt. Dopo il crollo dellimpero di
occidente le aggregazioni politiche che si creano hanno in genere vita grama, sempre pi le
popolazioni si rifugiano nei villaggi intorno ai castelli che diventano anche il cuore di tutta la
struttura dei rapporti economici e sociali tra le persone: si delinea quella che viene detta la societ
feudale.

41
Della cultura rimane quasi nulla, svaniscono le scuole, e anche la conoscenza del latino (del
greco neanche a parlarne) impallidisce, se non allinterno della vita religiosa, mentre nella vita
quotidiana cominciano a formarsi dialetti locali che saranno le future lingue nazionali. Il latino
rimarr la lingua della cultura, unico strumento unificante della societ europea, universale come
la Chiesa, ma rester uno strumento solo tecnico, una lingua senza vere radici sociali e senza
neanche alcuna aura religiosa: il suo ruolo sar del tutto diverso da quello dellarabo nellIslam
(il Corano non si pu tradurre, i Vangeli sono multilinguisti sin dallorigine, la versione ufficiale
della Bibbia in greco e in latino gi nella tarda antichit, e tradotta poi, a partire dalla Riforma
protestante, in tutte le lingue nazionali, senza che la traduzione ne infici mai il valore religioso), ed
anche quando nel Rinascimento si cercher una lingua originaria nella quale trovare il vero
nome delle cose, la si cercher nellebraico, o addirittura nel cinese, ma non nel latino.
Della matematica rimane solo la tradizione pratica nella sua forma pi elementare, legata ai
pi semplici calcoli del commercio, dellagrimensura e della architettura.

Un nome centrale nella storia della trasmissione del sapere logico e matematico antico al
Medioevo latino quello di Boezio, quasi lemblema del tentativo dei popoli latini di salvare la
loro identit culturale nella nascita della nuova Europa allinterno dei nuovi stati barbarici.
Senatore sotto Teodorico, ne diventa il consigliere, ma non pu evitare di essere coinvolto nelle
trame di corte, in unepoca in cui limpero bizantino, romano e cristiano, ancora presente in
Italia. Viene giustiziato e la sua morte interrompe il suo tentativo di tradurre in latino tutti i classici
della matematica e della logica antica. Alcune sue opere sono andate perse, quelle rimaste
costituiscono il nucleo principale delle conoscenze scientifiche dei greci note nellalto Medioevo
europeo: un libro di aritmetica ed uno di armonica ricavati da Nicomachus, un libro di geometria
che riporta i primi tre libri degli Elementi, quasi del tutto senza dimostrazioni. In realt di
questultimo ci sono arrivate due versioni, entrambe per ascrivibili ad autori medievali
successivi, anche se probabilmente basate anche sul testo di Boezio. Sebbene concettualmente
molto inferiori allopera di Euclide questi testi includono alcune aggiunte abbastanza
caratteristiche del pensiero medievale. Cos la Geometria II inizia definendo la misura, che negli
Elementi era concetto puramente aritmetico, come qualunque cosa si definisca non solo in
termini di lunghezza, ma anche di peso, capacit e animo! Dichiara il punto (che in Euclide era
caratterizzato solo dallessere senza parti) principium mensurae, include un libro di proposizioni
metriche, e considera la geometria utile ai meccanici, ai medici e ai filosofi: una rilettura
(caratteristica dellalto medioevo) della geometria teorica allinterno della tradizione pratica, con
lidea agostiniana della estensione della categoria della quantit al di l delle grandezze
geometriche e dei numeri.
Solo verso la fine del Medio Evo, soprattutto sotto l'influenza dei matematici arabi,
cominciano a riapparire frammenti pi consistenti della grande matematica greca, la cui
comprensione richiese tuttavia che altri secoli passassero.
Il Medioevo non un periodo buio ma un periodo di lenta incubazione delle idee che nella
era moderna cambieranno lEuropa. Gi alla fine dellalto Medioevo i popoli europei avevano
mostrato una grande capacit di assorbire le novit tecnologiche che arrivavano dellOriente, sulla
rotazione delle culture, sulluso agricolo e bellico del cavallo, sulla produzione di energia dal
vento e dallacqua, nuove tecniche costruttive, destinate a trasformare non solo leconomia ma
anche la potenza bellica degli europei. Anche successivamente le maggiori novit arriveranno
dallOriente ma gli Europei sapranno utilizzarle in maniera originale ed efficace. Ma, anche se si
intravedevano tutte queste novit, lEuropa occidentale nellalto Medioevo restava, rispetto ai
grandi imperi orientali, un continente sottosviluppato.
Tali cambiamenti endogeni della economia e societ europea provocavano lemergere di
nuove esigenze e nuovi ceti, ed anche una diversa collocazione dei ceti intellettuali e del sapere:
furono in effetti i mercanti italiani a decretare il trionfo degli algoritmi numerici sullabaco.

42
Analogamente la rottura delluso scolastico del latino a vantaggio del volgare, segno di un
cambiamento radicale nella struttura, nella riproduzione e nei collegamenti del ceto intellettuale,
preludeva alla fine della Scolastica, alla riapertura del problema del 'linguaggio della conoscenza',
e quindi alla nascita del nuovo linguaggio algebrico come fondamento linguistico delle scienze.

Ma la storia culturale del Medio Evo dominata in maniera assoluta dal Cristianesimo. Una
struttura culturale complessa, centrata su un ceto culturale che per secoli sar esclusivamente
interno alla Chiesa Cattolica, rompendo radicalmente con la organizzazione del ceto intellettuale
antico, greco, ellenistico e romano, e del tutto emarginato dallo sviluppo della scienza moderna a
partire dal Rinascimento.
Una struttura culturale complessa, centrata su un ceto culturale che per secoli sar
esclusivamente interno alla Chiesa Cattolica, rompendo radicalmente con la organizzazione del
ceto intellettuale antico, greco, ellenistico e romano, e del tutto emarginato dallo sviluppo della
scienza moderna a partire dal Rinascimento. Per certi versi il Cristianesimo rigetta la cultura
classica e frequentemente testi classici su pergamene vengono cancellati per utilizzarle per
scriverci omelie. Di fatto sul versante della tecnica matematica si assiste ad un regresso di circa
tremila anni, con la scomparsa pressocch totale di ogni frammento di matematica che andasse al
di l dei pi semplici usi quotidiani. Ma non si deve nascondere che il cambiamento culturale che
il Cristianesimo realizza nel mondo europeo disegna un ambiente del tutto nuovo per lo sviluppo
della matematica e della scienza, tanto che quando ricompariranno i classici greci nella cultura
europea avranno una lettura ed uno sviluppo del tutto inediti.
Il Cristianesimo antico da un lato trovava la sua diffusione soprattutto tra strati popolari
urbani e dallaltro si presentava come una struttura dogmatica decisamente sconcertante per la
cultura classica: la divinit una e trina, il Cristo uomo e Dio, lostia che si trasmutava nel corpo del
Cristo, la resurrezione dei corpi, etc. Era facile per i dotti pagani sottolinearne le assurdit ed
anche la grossolanit. Non quindi strano che allinizio si manifestasse lopposizione tra la nuova
religione e lantica cultura. Tertulliano ne il testimone pi celebre, credo quia absurdum,
tanto stolto da credere in un dio nato, e da una vergine. [De carne Christi, IV,6, V, 4]. La
contrapposizione totale : Che hanno in comune Atene e Gerusalemme? [De praesc. Haer. VII,
6, 9].
Il Cristianesimo apre una strada nuova quando rivendica l'"assurdit" dei suoi dogmi come
segno di una pi profonda verit, che sar poi quella "dotta ignoranza" del Cusano che chiuder il
Medio Evo e aprir l'Era Moderna. La fine della logica e della natura aristotelica gi chiara in
Tertulliano:

Morto il figlio di Dio, credibile poich irreale; e


sepolto risuscitato, certo poich impossibile. (Mortuus
est Dei filius, credibile est quia ineptum est; et sepultus
revixit, certum est, quia impossibile.)

Se Dio pu morire e se da morto pu risorgere, che cosa resta delle opposizioni aristoteliche
tra credibile e irreale, tra certo e impossibile?

Ma per altro verso il cristianesimo sin dallinizio sa di doversi misurare con la cultura
classica, san Paolo predica allArepago di Atene e Dionigi si converte. Cos lentamente la Parola
di Cristo si diffonde fra i dotti e inizia una delle integrazioni culturali pi incredibili della storia.
Per i popoli latini quasi un percorso obbligato: la cultura delle nuove popolazioni barbariche si
afferma come cultura popolare, nelle saghe ed epopee, con i cicli arturiano e carolingio, nelle
poesie, col passaggio dalla quantit metrica allaccento e alla rima, e nella musica, con la nascita
della polifonia e degli accordi di terza e sesta. La cultura di quelle romane, disfatta sul terreno
della cultura popolare, si poteva trincerare solo nella religione e nella cultura filosofica, unica loro

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forma di identit culturale nel Medioevo. E tutte le grandi questioni teologiche, le lotte contro le
eresie in cui si former lortodossia cattolica, saranno terreno di battaglia per quelle
argomentazioni filosofiche che avevano caratterizzato la cultura classica fino alla sua ultima
fioritura romana di tipo dialettico e retorico.
Tertulliano era un nordafricano e la sua formazione culturale era prevalentemente giuridico-
retorica. Il Nord-Africa negli anni finali dellimpero romano un centro culturale di primaria
importanza. Di l, da quelle terre e da quella formazione culturale, proviene anche il pi
importante pensatore cristiano della tarda antichit: SantAgostino. A lui si deve il primo grande
tentativo di fondere il platonismo con il pensiero cristiano. Ma finisce anche col diventare uno dei
canali, pochi e incerti, della trasmissione del pensiero matematico dellantichit nella cultura del
medioevo.
A lui si devono poche pagine contenenti semplici definizioni (punto e segno, figure
geometriche) nel de quantitate animae, che si ritroveranno nel Medioevo. E non solo si trovano
definizioni geometriche, ma anche un problema nuovo: si pu parlare di quantit dellanima? O
della carit? Lanima non un corpo, ma in un corpo e le sue immagini e ricordi hanno
dimensioni, si pu parlare di una grande anima o di una maggiore carit. E le anime si possono
anche contare. Si profila cos la possibilit inedita di estendere la quantit al di l delle grandezze
geometriche, del tempo e del numero di cose.
Lestensione del regno della quantit una delle novit medievali che risulteranno cruciali
per la nascita della scienza moderna. Il superamento della distinzione tra scienze e tecniche, e la
progressiva fusione tra tradizione pratica e teorica saranno un altro aspetto essenziale, anche se ci
saranno momenti, come nelle universit medievali o nellUmanesimo, in cui riapparir una forma
di elitarismo della intellettualit rispetto alle tecniche: di fatto le universit del basso Medioevo
interromperanno un processo di osmosi tra scienza e tecnica evidente nellalto Medioevo che
riemerger col Rinascimento.
Un altro aspetto essenziale che emerger nel Medioevo sar il superamento della idea greca di
scienza come pura scienza di universali, per cui era scienza descrivere col sillogismo la causa
delle eclissi, ma non era scienza individuarne la data, era un fatto tecnico che solo con Claudio
Tolomeo rientrava nella astronomia. Le idee generali della filosofia naturale aristotelica nel
Medioevo si estenderanno invece ai fatti individuali e tecnici, segnando il trionfo di scienze quali
lastrologia e lalchimia.
E lattenzione verso lindividuo era uno degli aspetti del pensiero cristiano, che trover nel
Francescanesimo la sua lettura pi radicale, destinato a caratterizzare una scienza che parlava
anche di singole cose e non di sole idee, e nella quale i fatti individuali non erano solo istanze
individuali di attributi universali delle specie, ma fatti complessi, effetti di innumerevoli relazioni
causali. Cos fino al Rinascimento si assiste al formarsi di un sistema culturale medievale intorno
al pensiero cristiano in cui cominciano a delinearsi i caratteri fondamentali della scienza
moderna.

A questo punto occorre fare unosservazione generale sullepoca che si apre: il Medioevo.
Usualmente ritenuto una lunga sequenza di secoli bui, in cui nessuna luce veniva a rischiarare il
pensiero, e dai suoi stessi difensori esaltato solo per la fede religiosa e la scarsa razionalit. Del
resto il nome stesso delle tendenze culturali che ne segneranno la fine, il rinascimento e la
rivoluzione scientifica, mostra come la sua fine sia stata rubricata nella nostra storia culturale con
un sospiro di sollievo e sotto legida della ragione e della scienza. Questa lettura ha portato a
ignorare il fatto che gli aspetti essenziali della nuova scienza siano apparsi nel Medioevo, aspetti
del tutto eterogenei rispetto alla scienza antica.
E lo stesso intellettuale europeo non ha il suo certificato di nascita nellantichit in Atene o
Alessandria dEgitto, ma in quelle lande sottosviluppate che nellalto medioevo costituivano
lEuropa. E il monaco benedettino la sua prima forma. Ora et labora: scompare quella scissione
netta tra scienza e tecnica tipica della cultura antica, che si formava nella schola, parola che in

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greco e latino significava ozio. Nel monastero si studia, si ricopiano i codici antichi, si prega e
daltra parte si lavora nellorto, nella falegnameria, nel laboratorio, lavorando la pietra e i metalli.
Quelle minime capacit matematiche che servivano ai muratori per edificare le chiese antiche si
affiancavano a quelle necessarie per calcolare la data della Pasqua. Sulla conservazione del
patrimonio culturale della antichit i monasteri avevano una funzione contraddittoria: da un lato
molti monaci avevano la brutta abitudine di cancellare antiche pergamene contenenti magari
classici del pensiero greco per scriverci le loro omelie, daltro lato nellalto Medioevo i monasteri
divennero gli unici luoghi in cui quegli stessi classici venivano ricopiati e letti.
Ed anche il mondo dei Cristiani non era il mondo eterno e immutabile o ciclico degli antichi
Greci, ma era un mondo fatto, creato da un Dio artigiano, artifex talora rappresentato col
compasso e gli attrezzi a produrre il mondo, e dal Rinascimento visto come il divino orologiaio
creatore della macchina del mondo. Ed il mondo creato era un mondo uniforme, fabbricato da
Dio: non cerano divinit n negli astri n nei fiumi, appariva ingiustificabile la distinzione tra una
fisica terrestre ed una celeste
Questi aspetti creano anche una serie di tematiche nuove per la cultura ereditata dallantichit.
Cos il Cristianesimo si presenta come una grande forza innovativa nell'universo culturale antico
introducendo ad esempio la necessit dell'infinito attuale (tutti gli attributi divini sono infiniti), e
quindi imponendo la necessit di una profonda frattura in quell'impianto aristotelico nel quale il
rifiuto dell'infinito attuale era parte essenziale e che tra l'altro includeva lassenza dello zero e
lincapacit di concepire la retta come composta di punti. Di questa rottura diventava un
ingrediente anche la ripresa di temi neo-platonici.
Inoltre, per la cultura del Cristianesimo la "verit", pur non essendo empirica, non era tuttavia
neanche statica, la verit era essenzialmente un 'cammino', in quanto la storia dell'Uomo allo
stesso tempo una historia salutis ed una historia veritatis. Ci si pu vedere la radice di quella idea
di "progresso", di continua ricerca della verit e di continuo avvicinarsi ad un ideale pratico e
teorico, che sar il tema di fondo della cultura tecnica, scientifica e industriale moderna.
Non forse irrilevante che probabilmente il primo a distinguere tra la conoscibilit
dell'esistenza di Dio e la inconoscibilit della sua essenza fu Filone di Alessandria, contemporaneo
del Cristo, giudeo di lingua greca e cultura neo-platonica. Allo stesso ambiente religioso e
culturale probabilmente da ascrivere il testo biblico della Sapienza biblica, ove si trova una frase
che spesso risuoner nel progressivo sviluppo della idea moderna di scienza nel Medio Evo: "tutto
Tu disponesti in misura, numero e peso" (11, 21)

E' con Sant'Anselmo (XI secolo) che l'infinito attuale e quello potenziale si riuniscono in Dio:

Signore, tu sei non solo ci di cui non pu pensarsi


nessuna cosa maggiore (quo maius cogitari nequit), ma sei
anche pi grande di tutto ci che pu essere pensato
(quiddam maius quam cogitari possit). (Proslogion, XV)

Pi precisamente, in termini aristotelici, coincidono nel pensiero l'"infinito attuale" ("il pi


grande di tutto") e la negazione dell'"infinito potenziale" ("non esiste niente di pi grande").
Da notare come quest'ultima caratterizzazione negativa la base della cosiddetta prova
ontologica dell'esistenza di Dio. Lo schema dell'argomento parte dall'assunto che Dio "ci di cui
non pu pensarsi alcuna cosa maggiore", e dal fatto che questa asserzione presente nell'intelletto
anche del non credente, il quale purtuttavia ne nega l'esistenza. Ma ci che esiste solo
nell'intelletto inferiore a ci che esiste anche realmente, ragion per cui la non esistenza di Dio
sarebbe contraddittoria con la stessa idea di Dio.
Questo argomento rester centrale nel dibattito filosofico-teologico per secoli, e verr
precisato da Descartes osservando che nell'argomento la stessa esistenza deve essere trattata come
un attributo; qui Leibniz sottolineer che l'argomento tuttavia garantisce la sola 'possibilit' di Dio,

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e l'argomento uscir di scena solo con Kant, col riconoscimento che l'esistenza non pu essere
considerata un predicato e quindi non pu essere ricavata dallessenza.
Che l'argomento sia connesso alla relazione tra esistenza ed essenza e che si concluda con la
netta separazione tra le due, che non verr mai pi messa in discussione, riflette una progressiva
frattura che si apre, e su cui torneremo pi volte, tra la verit e la deducibilit, e questo
significher l'affermazione progressiva di una "scienza sintattica".

III IV V VI VII VIII IX X XI


BOEZIO GERBERT
OCCIDENTE S. AGOSTINO
TERTULLIANO S.ANSELMO

DIOFANTO FILOPONO
ORIENTE PAPPO PROCLO
SIMPLICIO
PLOTINO AL KHWARIZMI
AL KHAYYAM
ISLAM ALHAZEN

Un 'mondo di segni' pi ricco infatti comparir nel Medio Evo, introducendo la notazione
numerica indo-araba, i cui numeri erano oggetti della computazione simbolica, l'algoritmo. Su
questa base si fonder la nuova algebra simbolica e quella straordinaria costruzione che
chiamiamo numero reale, con la connessa centralit del continuum, il cuore della scienza
moderna.
La nostra idea di continuo e discreto infatti quella delineata da Aristotele, ma espressa in
forma algebrica e numerica solo con la nascita della scienza moderna, in un'epoca che include
Stevin, Descartes, Pascal, ove il discreto visto come un campionamento del continuo (i numeri
interi sono particolari numeri reali), e il continuo esprimibile tramite il discreto (i numeri reali
sono rappresentati da una sequenza infinita di cifre). Spesso si dice che noi consideriamo oggi i
numeri reali una estensione (come i relativi e i razionali e poi i complessi) a partire dai naturali
allo scopo di trovare soluzioni ad equazioni a coefficienti interi. In realt una tale estensione porta
solo ai numeri algebrici complessi, la storia molto pi complessa.

MATEMATICA ALTO-MEDIEVALE NELLISLAM E IN EUROPA

Nellalto Medioevo in Oriente, diversamente che in Occidente, la tradizione matematica


pratica vive un periodo di grande evoluzione: si sovrappone la tradizione della matematica
babilonese in Mesopotamia con aree di cultura greca, dallEgitto alla Siria, ed aree orientali, dalla
Persia allAfghanistan, in cui si avverte linfluenza della matematica indiana. E saranno soprattutto
queste aree pi orientali, intorno alla Baghdad delle mille e una notte, il centro della matematica
islamica.
In queste aree nel VII secolo si afferma lIslam, con una incredibile capacit di espansione,
che lo porter a dominare dalla Spagna sino allIndia occidentale, lungo quella che era sempre
stata la grande strada di comunicazione tra occidente ed oriente. E quella islamica sar una grande
matematica, con le sue radici nella tradizione pratica ma capace di comprendere anche gli aspetti
pi avanzati della tradizione teorica greca. Importanti gli sviluppi nellottica, nellalchimia, nella
trigonometria, nella astronomia, ma vanno soprattutto sottolineati i contributi della matematica
islamica in due campi: la nuova notazione numerica decimale di origine indiana e lo sviluppo
dellalgebra.
Di solito si ritiene il ruolo della civilt islamica nella scienza limitato alla importazione delle
cifre indiane, ma in realt la matematica araba una realt molto complessa che connette la

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tradizione greca con quella antico babilonese e le influenze indiane. LIslam infatti gi un secolo
dopo la morte di Maometto ha conquistato paesi quali lEgitto, la Siria, la Persia che erano tanto i
luoghi in cui si era meglio conservata la antica matematica greca e la patria della matematica
caldea quanto aree di scambio con la civilt indiana.

Estremamente importante la modifica della notazione numerica, col passaggio al sistema


indo-arabo, notazionale ed algoritmico, diffuso a partire dai testi di al-Khwarizmi (780-850 circa).
Questo sistema appare in India almeno dal 595, ma probabilmente parecchio precedente. Lo
zero, sunya, il vuoto, appare per la prima volta come un cerchio nell870. Come poi in Europa, e
cifre sono quelle da 1 a 9 e lo zero appare come un semplice segno, circulum parvulum in
similitudine o litere, circulus sit qui nichil est. Vi daltra parte la consapevolezza che la
notazione pu estendersi allinfinito.
In genere questo passaggio viene considerato come puramente notazionale, la sua importanza
ascritta soprattutto al suo carattere posizionale, il valore di ogni simbolo essendo legato alla sua
posizione allinterno del numero. Ma non il carattere posizionale laspetto essenziale, esso cera
gi nel sistema sessagesimale, oltre che sullabaco. La novit essenziale invece la nascita
dellidea di algoritmo, come procedura di manipolazione sintattica dei segni numerici. I segni
numerici infatti nella matematica dellabaco non entravano nel calcolo, servivano solo per
registrare i dati iniziali e finali. Le cifre indo-arabe sono invece gli ingredienti essenziali degli
algoritmi con cui le operazioni vengono svolte.
Sembra che il passaggio dallabaco agli algoritmi sia stato nei paesi islamici meno travagliato
di quanto sembra sia stato in Europa. Vedremo con labaco di Gerbert come probabilmente ci
siano stati anelli di congiunzione tra i due metodi, forse allinizio gli stessi calcoli coi numerali
venivano fatti sullabaco (i numerali indo-arabi occidentali venivano detti ghubar, polvere), ed in
ogni caso nellIslam non ci sono tracce di una contrapposizione rigida fra essi: del resto, come
gi detto, lo stesso abaco aveva una struttura di base posizionale e in genere anche decimale per gli
interi: probabilmente il nuovo sistema era inizialmente soprattutto un uso di simboli nel calcolo
con labaco.
E lidea di algoritmo porta con s una inaudita estensione del concetto di numero, in
quanto quegli algoritmi vengono estesi rapidamente alle frazioni. Progressivamente comincia a
cambiare lidea della frazioni, anticamente ridotte ad interi, numero di parti, e ad affermarsi luso
di scriverle come numeratore e denominatore separati da una linea, mentre nel contempo gli
algoritmi numerici portano a considerare il rapporto come un singolo numero, il risultato della
divisione.
E tra i segni appare anche lo zero (un circoletto per denotare la colonna vuota sullabaco),
mentre luno viene trattato come le altre cifre (come nellabaco). Lantica idea di numero si
sfalda cos a partire dal suo uso algoritmico, mentre nel contempo si riduce la distinzione tra le
tradizioni pratica e teorica. Nelle operazioni si presuppone di poter scrivere e cancellare, e quindi
si presuppone ancora luso di una tavola coperta di sabbia, polvere o cera, labaco. Nel X secolo
Abul Hasan al-Uqlidisi copiatore di manoscritti di Euclide inventa la notazione decimale,
completa di punto decimale, con gli algoritmi di calcolo relativi, della quale non c traccia nella
matematica indiana. Da notare anche da parte sua labbandono dellabaco per carta e penna, ma
solo per non essere confuso con gli astrologi .
Anche le grandezze incommensurabili sono trattate come numeri (irrazionali): il concetto di
misura che fa da ponte e porta a considerare i numeri razionali come approssimazioni degli
irrazionali, con i rapporti ricondotti alla antica definizione pre-eudossiana. Al Hayyam parte dalla
definizione classica di numero ma poi si chiede:

il rapporto legato al numero non per natura, ma con


laiuto di qualcosa di esterno, o il rapporto per natura
un numero e non ha bisogno di niente di esterno?

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E conclude riconoscendo lesistenza di una nuova categoria di numeri, ed lidea pratica di
misura ad essere considerata come punto di partenza. Si deve riconoscere in Al Hayyam lidea di
un numero associato ad ogni rapporto e quindi, data una unit di misura, anche ad ogni segmento,
inclusi i numeri irrazionali e trascendenti.
In astronomia e trigonometria i rapporti incommensurabili appaiono come misure di intervalli,
diventando di fatto numeri, ignorando la complessa teoria dei rapporti di Eudosso: per Omar al-
Khayym lessenza del rapporto doveva essere la sua misura, e si chiede se il rapporto sia legato
al numero non per natura, ma con laiuto di qualcosa di esterno, o il rapporto sia per natura un
numero e non abbia bisogno di niente di esterno: il rapporto ormai un numero. Dopo sei secoli
Newton definir viceversa il numero (reale) come un rapporto tra una grandezza ed unaltra
grandezza della stessa specie intesa come unit.
I numeri diventavano segni, non erano pi caratterizzati come attributi delle cose, ma sempre
pi solo operativamente dagli algoritmi e dalle misure. E lestensione dellidea di numero arriva
quasi a prefigurare lidea di numero reale e dellisomorfismo tra il continuo geometrico della retta
e il continuo numerico dei numeri reali.
Ma lidea di numero come molteplicit (intero positivo) concettualmente sar dura a morire,
cos che lestensione della notazione indo-araba ai decimali dovr attendere Simon Stevin, e nel
frattempo le grandezze trigonomentriche saranno sempre indicate, in oriente come in occidente,
come numeri interi relativi a cerchi di raggio grande, tanto pi grande quanto migliore deve essere
la loro approssimazione (Regiomontanus user un raggio di 600 milioni!).

Un altro contributo essenziale della matematica araba consiste nellintroduzione, sempre da


parte di al-Khwarizmi, delle tecniche algebriche, con luso di simboli speciali per denotare i
diversi fattori delle equazioni da risolvere, la cui risoluzione tuttavia sempre basata sulle
tecniche geometriche del II libro degli Elementi e su antiche tecniche babilonesi, cos che ad
esempio non viene seguito il principio di omogeneit.
La stessa parola algebra deriva dalle parole iniziali dellopera di Al-Khwarizmi: al-jabr wa
al-muqabala, che indicavano le operazioni basilari dello spostare da un membro allaltro
cambiando di segno e la eliminazione dello stesso termine dai due lati dellequazione per
trasformarla in una delle sei forme canoniche che si ottengono tre ponendo a zero uno dei
coefficienti e tre per le possibili scelte dei segni. Difficile individuarne le origini: probabilmente
orientali, mesopotamiche o indiane, forse tramandate oralmente, difficilmente influenzate dalla
algebra geometrica dei greci.
La nascita del formalismo algebrico non si basa ancora su una unificazione degli enti
matematici quanto sulla unit delle operazioni algebriche: operare su quantit incognite usando
gli strumenti aritmetici che laritmetico usa su quantit note, procedendo cos ad una
aritmetizzazione algoritmica della algebra.
La tecnica di al-Khwarizmi ignora le conquiste 'simboliche' di Diofanto, anche se vengono
usati termini 'generali' e non 'esempi numerici'. Appare per diversa anche dai precedenti di tipo
euclideo o pre-euclideo. La figura non infatti costruita a partire da una 'falsa posizione', bens da
un processo analogo alla costruzione algebrica anche se in forma geometrica. E rilevante che la
soluzione delle equazioni algebriche non ha pi un senso geometrico come nella tradizione antica,
bens assume un senso aritmetico, come in al-Khayyam, pur potendo essere le soluzioni tanto
numeri quanto grandezze, in tal caso ottenute tramite costruzioni geometriche, ed essendo usate
figure geometriche per ricavare le soluzioni.
Rispetto allalgebra babilonese lalgebra islamica ha di fatto una struttura anfibia, da un lato
la tecnica sintattica per trasformare il problema in equazione e dallaltro la tecnica geometrica per
risolvere le equazioni. La prima tecnica fondata sullintuizione che un problema gi una
equazione tra due espressioni, e sulla esperienza che tale equazione pu essere trasformata con
semplici manipolazioni, ad esempio un termine pu essere spostato da un membro allaltro della

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equazione semplicemente cambiandogli il segno. Oggi si eseguono queste trasformazioni su
equazioni scritte in linguaggio simbolico, gli arabi lo facevano operando sulle frasi scritte in
linguaggio naturale, ma anche cos la manipolazione algebrica trattava le parole sintatticamente,
come segni. Con queste trasformazioni le equazioni potevano essere poste in una forma
canonica: tutte le equazioni di II grado potevano essere ridotte ad una delle sei forme seguenti
(tradotte in linguaggio algebrico moderno) con leventuale coefficiente di x2 eliminato dividendo
ambo i membri per esso:

x2 = bx, x2 = c, x = c, x2 + bx = c, x2 + c = bx, x2 = bx + c

Non troviamo come in Diofanto un elenco di problemi svolti, ma tecniche generali di


soluzione: in fig.10 mostriamo la soluzione generale dell'equazione del tipo "un quadrato e radici
uguale a numeri", cioe x2 + b x = c. Il quadrato al centro ha raggio x, i 4 rettangoli laterali hanno
lati x e b/4 (noto). Si costruiscono i quttro quadrati angolari di lato b/4, ed allora il grosso quadrato
ha area x2 + 4 (b/4) x + 4 (b2/16) = c + b2/4 (noto). Si estrae la radice e da essa si sottrae b/2,
ottenendo x. Si noti il perseverare della interpretazione geometrica e delle conseguenti limitazioni
di generalit, da cui discende che l'equazione di II grado richiede sei procedure differenti a
seconda del 'segno' dei coefficienti.

b/4 x

Fig.10

Se si confronta l'approccio di al-Khwarizmi coi precedenti babilonesi si nota una differenza


essenziale anche all'interno di una comune connessione alla fondazione 'geometrica'. In entrambi i
casi la equazione di II grado appare in 'forme' diverse, ma nei babilonesi tali 'forme' sono differenti
problemi di natura geometrica, "somma e prodotto dei lati", "somma dei lati e dei loro quadrati",
etc., in al-Khwarizmi, come negli algebristi italiani successivi, le differenti 'forme' si differenziano
'algebricamente', in termini cartesiani in base al segno dei coefficienti nella equazione: "censo e
cose ugual numero", "censo e numero ugual cose", etc.
Le tecniche di manipolazione simbolica si estendevano poi al calcolo di espressioni
contenenti radicali, come ad esempio (usando una notazione moderna)
(a + b) + (a - b) = (2a + 2 (a2 b) )
molto utile quando (a2 b) un quadrato perfetto. I matematici arabi raggiunsero in generale una
grande capacit di connettere le tecniche simboliche a quelle geometriche.

Un esempio brillante si trova in Alhazen, creatore tra laltro dellottica moderna, nel calcolo
di una relazione generale tra le somme della potenza K-esima dei primi N interi: SN,K = N i=1 iK

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Dalla fig.11 si ricava direttamente:
(N+1) SN,K = SN,K+1 + Np=1 Sp,K
Infatti il membro di sinistra semplicemente larea del rettangolo totale, nel membro di destra
il primo termine la somma dei rettangoli verticali e la sommatoria successiva la somma dei
rettangoli orizzontali. Da questa formula si possono calcolare iterativamente tutti gli SN,K.

K K K
SN,K = 1 + 2 +.+ N 1

.............................

K K K
S3,K = 1 + 2 + 3
NK+1
K K
S2,K = 1 + 2 N
..........
3K+1
K
S1,K = 1
2K+1
K+1
1

1K 2K 3K NK
FIG.11

Non deve sfuggirci la sottile omogeneit algoritmica e sintattica che lega la nuova notazione
numerica indo-araba alla nuova algebra simbolica: come gi in Diofanto, il trattamento sintattico
algebrico affonda le sue radici nella manipolazione aritmetica della tradizione pratica, in cui
assente la opposizione tra numeri e grandezze. Questo in fondo anche abbastanza ovvio poich
entrambe le tecniche nascevano su una base aritmogeometrica, ma ora accade che questi aspetti
della tradizione pratica causano mutamenti nella stessa struttura cognitiva della matematica
teorica.
Sostanzialmente si delinea un ruolo inedito dei segni, che nella matematica greca avevano un
ruolo secondario. Tanto lestensione del concetto di numero e la numerazione indo-araba quanto la
nascita della manipolazione algebrica simbolica significano che caratterizzante lidea di quantit
non sono pi confrontabilit e uguaglianza, ma il ruolo dei segni come elemento essenziale negli
algoritmi. I numeri e le grandezze cominciano ad uniformarsi nellessere soprattutto segni, e i
segni cominciano ad essere gli ingredienti essenziali dellalgoritmo, che a sua volta si caratterizza
come manipolazione di segni secondo regole.

La matematica europea conservava invece molto poco della matematica greca: gli scritti dei
tardi commentatori romani quali Martianus Capella o Boethius lasciavano pochissimo del passato:
pochi cenni della geometria euclidea ed una serie di tecniche pratiche di natura aritmetica e
metrica, residui di una antichissima tradizione di agrimensori che risaliva alla matematica egizia e
babilonese. Bisogna ricordare che anche nel periodo di massima fioritura dellImpero Romano la
cultura greca si era diffusa verso ovest solo per quanto riguardava la filosofia e la retorica, mentre
discipline come la geometria teorica e la logica vi erano rimaste quasi del tutto sconosciute, e con
la frattura dellImpero Romano in due (Occidente e Oriente) solo nella parte orientale si era
preservata la tradizione matematica greca.
Con la caduta dellImpero Romano dOccidente la situazione peggiora ulteriormente. Rimane
solo un minimo di uso pratico. Addirittura lo strumento principale per il calcolo non pi tanto
labaco quanto ormai le semplici mani: la tecnica del contare sulle dita era parte dellantica
tradizione mediterranea, mai scomparsa ai livelli elementari dellinsegnamento e della pratica, e
nel Medioevo ritrovava una nuova fioritura, apparendo ancora in Fibonacci.

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La tradizione di Erone e degli agrimensori romani, detti gromatici dalla groma, lo strumento
base del loro lavoro, si ritrova nel cosiddetto Corpus Agrimensorum, una collezione di testi di
datazione variabile probabilmente dal I sec. a.C. all VIII sec. d.C., come nel Codex Arcerianus
redatto a Corbie, culla della matematica pre-carolingia. Gli agrimensori costituivano la parte pi
coriacea della antica tradizione comune mediterranea, e i loro scritti mostrano la presenza delle
formule per il calcolo dei numeri poligonali, probabilmente segno di un ruolo metrico antico della
teoria dei numeri figurati pitagorici. Vi si ritrova una geometria legata alla grande tradizione di
matematica pratica le cui origini si possono trovare nella matematica babilonese ed egizia e che
mai scomparve in Oriente e nel Mediterraneo. Il calcolo di aree vi appare fatto in modi diversi e
contrapposti: luso dei numeri poligonali, corrette tecniche basate sul teorema di Pitagora tra cui la
formula di Erone (probabilmente dovuta ad Archimede), luso di strumenti di misura, la tesi che
larea di una figura si pu calcolare dal suo perimetro, regole babilonesi quale quelle secondo la
quale larea di un quadrilatero data dal prodotto delle semisomme dei lati opposti, diverse
approssimazioni per e i numeri irrazionali. Appaiono le definizioni euclidee, talora riscritte in
modo pratico, cos la definizione di estremo appare legata ai diritti di propriet: extremitas est
quousque uni cuique possidenti ius concessum est, aut quousque quisque suum servat, e teoremi
derivanti dai primi quattro libri degli Elementi. Non esistono dimostrazioni ma solo esempi.
E una tradizione che connette Boethius e gli agrimensori, e che tende a riconnettere la antica
tradizione pratica diffusa in tutto il bacino mediterraneo e in Oriente con gli elementi base della
geometria euclidea.
Non vi traccia della geometria greca teorica (quella che il medioevo chiamer speculativa):
le approssimazioni numeriche dei rapporti tra grandezze incommensurabili, le idee sulla
quadratura del cerchio, il calcolo di aree pi complesse sono affrontate con uno stile non diverso
da quello che si trovava nella matematica babilonese. Al punto che appare difficile datare e
ascrivere ad autori precisi e fonti riconoscibili molti testi: li si pu collocare indifferentemente tra i
Caldei, in Erone, in rielaborazioni bizantine, o allinizio del Medio Evo: certo una matassa che
pu essere filologicamente dipanata, ma culturalmente appare segno della continuit della
tradizione matematica pratica.

Beda il Venerabile (672-735) descrive il calcolo sulle dita, derivato da San Gerolamo, morto
nel 420, che probabilmente si era trasmesso per tradizione orale, mentre sul calcolo con le frazioni
non c nulla di pi delluso dellas e delloncia, legate dalla relazione che 1 as = 12 once. Dopo
lanno 1000 cominciano ad apparire nei testi calcoli con frazioni pi complesse del tradizionale
sistema di unit e sottounit di misura di tradizione romana. Ma il pi significativo problema
matematico, o meglio lunico significativo al di l delle pi semplici tecniche del commercio e
della agrimensura, era il calcolo della Pasqua!
Laritmetica riflette gran parte dei problemi dellaritmetica greca, anche quando si notano
novit come il trattamento dei numeri negativi che appare gi in unopera erroneamente ascritta al
Venerabile Beda, ma comunque molto antica, VIII-IX secolo. Qui il numero positivo verum, o
anche essente o esistente, mentre il numero negativo minus, non essente e non esistente:
verum essentiam, minus nihil significat.

A partire dallundicesimo secolo lEuropa occidentale comincia a risollevarsi dalle condizioni


miserabili dellalto Medioevo. Riprendono i commerci, rifioriscono le citt, ed anche militarmente
gli eserciti europei cominciano ad affermarsi nelle guerre contro lIslam: la Reconquista della
Spagna e le Crociate ne saranno gli aspetti pi evidenti. In questo processo gli Europei si aprono
alla matematica islamica. Soprattutto in Spagna vengono importate tecniche e strumenti, e tradotti
dallarabo testi tanto arabi che di origine greca. Inizia in realt unondata imponente di traduzioni,
realizzate proprio grazie al carattere multilinguistico della civilt medievale che in Spagna
raggiunge il suo culmine in citt come Toledo, dove le traduzioni sono legate alla compresenza di

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dotti parlanti pi lingue, larabo, il latino, lebraico, nonch i nascenti dialetti spagnoli. Si
traducono testi medici, astrologici e alchimistici, e poi i classici della matematica e il corpus
aristotelico.
Emblematica di questepoca la figura di Gerbert dAurillac, che fu papa col nome di Silvestro
II e mor nel 1003. I suoi viaggi lo avevano condotto in Spagna in cui aveva avuto contatti con la
scienza araba, e da questa esperienza aveva riportato strumenti astronomici ed un curioso abaco,
che si differenzia da quelli tradizionali per usare gettoni con incise le cifre indo-arabe al posto
delle pietroline, cos che invece di mettere quattro pietroline si metteva un gettone col numero 4
(da notare che non serviva alcun gettone per il numero zero, che nellabaco era solo la colonna
vuota). Forse questo abaco una traccia della derivazione della nuova aritmetica da quella antica
legata allabaco, quasi lanello mancante.
E la prima apparizione delle cifre indo-arabe in Occidente. Gerbert conobbe probabilmente le
cifre arabe in Spagna e le introdusse nel suo abaco probabilmente per la prima volta nellEuropa
cristiana. I nomi delle cifre appaiono di origine apparentemente araba: ingi; 1, andras, 2, ormis,3
arbas, 4, quimas, 5, caltis,6, zenis, 7, temeniam, 8, celentis 9. Ed infine un piccolo circoletto ,
sipos. Questultimo non appare tanto uno zero, che sullabaco semplicemente una colonna
vuota, quanto il segno di un marcatore di un posto.
Ma la diffusione delle nuove tecniche matematiche sar pi lenta e incerta di quanto accadeva
nei paesi islamici, le procedure di calcolo resteranno in Europa a lungo quelle tradizionali.

Ad esempio a Gerbert veniva posta la questione se il triangolo equilatero, il cui lato ha


lunghezza 7 piedi, possedesse area 28 (78/2) o area 21 (76/2). Rispondeva 21, valore
approssimato corretto, derivato dalla regola secondo cui laltezza del triangolo equilatero e sempre
1/7 pi piccola del suo lato (fig.12 destra). Interessante osservare che il 28 derivava invece dalla
regola dei numeri triangolari. Infatti aritmogeometricamente sono 28 le monadi che
costituiscono il triangolo (fig.12 sin.).
Altro esempio interessante un calcolo che appare in un testo del XII secolo: il nostro
algorista ha realizzato la divisione di 100 librae per 11 merciai. La singola libra restante dalla
divisione egli la pone uguale a 40 solidi. Lulteriore resto di 7 solidi viene trasmutato in nummi,
dei quali 12 fanno un solidus. Di nuovo rimangono dalla divisione altri 7 nummi, e per questi si
devono comprare uova delle quali i merciai si devono servire a pranzo. Per ogni nummus si
ottengono 13 uova, in totale cos 91 e si dividono di nuovo queste per 11, cos rimane ancora un
resto di 3 uova. Queste si devono dare in ricompensa a chi ha realizzato la spartizione o barattare
con del sale che debba essere mangiato probabilmente sulle uova. I numeri sono ancora solo
interi con diverse unit di misura, eterogenee ma connesse tra di loro mediante rapporti di
conversione fissi.

Quadratum

VI

VII
Fig. 12

52
Alla fine dellalto Medioevo lEuropa sembrava destinata a seguire anchessa la strada della
progressiva attenuazione della separazione tra scienza e tecnica, notata gi nei Monasteri allinizio
del Medioevo. Cera un diffuso pragmatismo nello studio anche dei problemi matematici; ad
esempio sembrava strano ritenere rette e curve inconfrontabili: bastava un filo piegato in modo da
coincidere con la curva e poi raddrizzato per poterlo misurare.
Ma verso la fine dellXI secolo si profila una trasformazione profonda nella realt culturale
europea: la nascita delle universit. Con esse di nuovo il solco tra scienze e tecniche si
approfondir, fino alla fine del Medioevo. Cos Leonardo da Pisa fu presente e ammirato alla
Corte di Napoli di Federico II negli stessi anni in cui il sovrano creava lUniversit di Napoli
anche con scopi eminentemente pratici: ebbene non ci sono tracce di un rapporto tra Leonardo e
quella universit. E il segno di una frattura che caratterizzer con pochissime eccezioni
(soprattutto italiane) la storia della matematica medievale.
Nelle universit si leggono gli Elementi di Euclide, ma, mentre nella matematica islamica il
testo aveva il ruolo di fonte di conoscenze utilizzabili, in Europa esso apparir sempre come
riferimento ideologico di un sapere scientifico assolutamente certo e necessario, ma indifferente
alle tecniche: nellIslam i risultati euclidei, in Europa lo stile euclideo. Non sar per solo un
passo indietro, ma solo una deviazione per aprire la via ad una nuova scienza dai caratteri
assolutamente inimmaginabili.

IL BASSO MEDIO EVO

Nel XII secolo ci fu un grande fiorire in occidente di traduzioni di autori arabi e molte
innovazioni arabe cominciarono a filtrare nella matematica europea, come risposta al risveglio
economico che creava in molte professioni una crescente domanda di matematica pratica..
Nel 1202 viene pubblicato il Liber Abaci di Leonardo da Pisa, detto Fibonacci. Nonostante il
titolo, il calcolo non si fonda sullabaco, bens su algoritmi basati sulle cifre indo-arabe, con
lausilio della notazione numerica sulle dita. Si conferma cos come il termine abaco nel basso
Medioevo finisse col denotare in generale tutta la tradizione pratica, quella che anche noi abbiamo
chiamato la matematica dellabaco.
Il libro dedicato ai temi classici della tradizione pratica, dagli algoritmi numerici alle
applicazioni commerciali (con grande attenzione a dettagli quali le unit di misura nelle diverse
citt, le leghe metalliche, etc.) e allalgebra araba, ed anche lo stile, fondato su problemi, nel
solco di quella tradizione. Va comunque sottolineato come Leonardo fosse un matematico
raffinato, buon conoscitore anche di quella parte della tradizione teorica che era entrata gi nella
matematica araba, Euclide in primo luogo.
Siamo dentro la grande tradizione pratica in cui aritmetica e geometria (nel senso di algebra
geometrica) sono connesse, come ci ricorda lo stesso Leonardo nella dedica iniziale. Nel libro
lautore introduce le cifre dall1 al 9 come figure e lo 0 come semplice signum: nonostante lo zero
fosse ormai usato negli algoritmi come le altre cifre, esso non appariva ancora esplicitamente
come numero. Ci sar la difficolt di concepire una velocit zero nei fisici (gli inglesi del Merton
College e Nicola Oresme) ancora nel XIV secolo.
I numeri sono somma o collezione di unit e vengono rappresentati come segmenti
(coppia di lettere) o come lettere singole, ma vengono usate le frazioni in maniera del tutto
naturale, ma con una notazione molto particolare. In generale

A1 A2 .. An An An-1 A1
---------------------- rappresenta il numero ----- + ----- + .+ --------------
B1 B2 .. Bn Bn Bn-1 Bn B1 B2 .. Bn

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Ovviamente se tutte le Bi sono uguali a 10, si ottiene la rappresentazione decimale. Leonardo non
usa tale rappresentazione decimale, ma si pu osservare che questo era ragionevole visto che le
sottounit di misura allepoca erano molto varie e quasi mai decimali.
Molto usate le proporzioni nelle quali il rapporto identificato con una frazione, e si
accettano anche soluzioni negative quando hanno un senso nel problema. I numeri sono sempre
definiti in modo usuale, come somma o collezione di unit, ma appaiono numeri negativi e
anche irrazionali, e vengono usate le frazioni in maniera del tutto naturale, ed anche rapporti tra
quantit eterogenee (quasi inevitabile nei commerci, basti pensare al prezzo unitario), con una
notazione anche molto particolare:
Era anche usata la rappresentazione egiziana, in cui ogni frazione era espressa come somma
di frazioni unitarie. Anche adoperato il metodo della falsa posizione nel caso di relazioni lineari
Per dimostrare le regole adoperate si usavano tecniche di algebra geometrica, senza il
principio di omogeneit. Oppure i problemi algebrici venivano risolti col cosiddetto metodo
diretto degli Arabi che consiste nel trattamento algebrico scritto tuttavia in linguaggio naturale,
cos che lincognita la cosa, il suo quadrato il censo, etc. Talora appaiono anche pi variabili, ad
esempio la cosa e la somma, oppure la cosa e la parte. Le equazioni di II grado, come in Al-
Khwarizmi, sono risolte facendo riferimento a tecniche di rappresentazione geometriche. In
algebra permane la duplicit tra una manipolazione sintattica ed una risoluzione aritmogeometrica:
se ne vede traccia nel fatto che lincognita la cosa nella costruzione algebrica del problema, la
radice nella equazione da risolvere.
Leonardo anche consapevole che solo in geometria, e non in aritmetica, ogni numero
ammette radice, conosce anche il libro X degli Elementi, ed usualmente, per avere a che fare anche
nelle radici approssimate con numeri interi, moltiplica il numero da cui estrarre la radice con una
potenza pari di 10.

Leonardo non per lunico nome della nascita della matematica in Europa nella prima met
del XIII secolo: va ricordato Jordanus Nemorarius, in qualche modo forse legato alla facolt darti.
In lui lo stile euclideo si dispiega sulla aritmetica, partendo dai libri aritmetici degli Elementi.
Ma quelle propriet algebriche che lantica algebra geometrica vedeva in maniera esclusivamente
geometrica cominciano ad essere da lui trattate in maniera aritmetica e simbolica, usando lettere
per indicare i numeri generici e parole come et, ductu, equalis per indicare somme, prodotti ed
equazioni. Si riconosce ancora dietro i simboli un senso geometrico nei passaggi, tentando di
mettere la tradizione araba in forma euclidea, per frequentemente con il carattere di una semplice
manipolazione simbolica di propriet aritmetiche.
Cos ad esempio il calcolo del quadrato del binomio, che nellantichit si basava sulla
costruzione geometrica di fig.2, appare ora dedotto dalla propriet distributiva e dal teorema se
un numero diviso in due parti, allora quello che si ottiene dal prodotto del numero intero per una
parte quanto si ottiene dal prodotto della parte per se stessa e per laltra parte, cio in formula
moderna (a + b) a = a2 + a b, a sua volta ricavato da un ragionamento puramente aritmetico.
Di Jordanus va ricordato anche lo studio matematico della statica, con la prima idea del
principio dei lavori virtuali, dal quale inizia negli ambienti universitari europei quel rapporto tra
matematica e fisica, inedito nella matematica greca, che sar uno dei caratteri essenziali della
scienza moderna.
Da notare che, pur restando il 'rapporto' una relazione tra due quantit e non una quantit, dal
punto di vista operazionale esso viene trattato sempre pi come una 'frazione', cos in Jordanus de
Nemore la nozione concettualmente vaga di 'composizione' di relazioni diviene la operazione
semplice e chiara di prodotto di due frazioni, per via della nozione di denominatio, completando
un processo che si era lentamente sviluppato sin dalla tarda antichit.

Leonardo e Jordanus non sono molto distanti fra loro, anche se appaiono avere una
estrazione sociale del tutto diversa: da un lato il mondo dei commerci e dallaltro quello delle

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universit. Il primo pi attento alle applicazioni il secondo pi attento allo stile dimostrativo, ma se
si fossero incontrati probabilmente si sarebbero capiti benissimo. Tuttavia i secoli successivi, fino
al Rinascimento, segneranno la divaricazione netta fra questi due mondi, e, dal punto di vista delle
pure e semplici conoscenze e scoperte, saranno secoli in cui la matematica sembrer ristagnare.
Si devono cos trattare per il basso Medioevo due ambienti matematici separati: le
professioni e le universit. In questultima le conoscenze e innovazioni matematiche nel periodo
sono estremamente limitate. Ma ci si trovano due aspetti che risulteranno importantissimi: il ruolo
della logica e del linguaggio da un lato, il rapporto con la filosofia naturale dallaltro.

Di fatto la novit pi importante del medioevo cristiano sar probabilmente la nascita della
universit. Alla fine dellXI secolo linsegnamento stava rifiorendo in Europa e stava spostandosi
dai monasteri benedettini e cistercensi nelle campagne verso le scuole delle cattedrali nelle citt, i
maestri delle universit saranno quindi in qualche modo clerici e nel XIII secolo verranno spesso
dagli ordini mendicanti, domenicani e francescani.
Il rifiorire delle citt forse il dato pi appariscente dellEuropa dellepoca, dovuto non solo
al risveglio della economia e dei commerci, ma anche al fatto che le citt apparivano un luogo pi
aperto e dinamico, meno soggetto ai condizionamenti della societ feudale in disfacimento, laria
della citt rende liberi diceva un detto germanico. E la figura di Pietro Abelardo, con il suo
tormentato amore per Eloisa, le sue disavventure, i suoi scontri con i maestri legati al mondo dei
monasteri e con le gerarchie della Chiesa, il suo insegnamento brillante di una logica erede di
quella greca ma nel contempo legata ai tempi nuovi, appare quasi lemblema della nascita della
universit parigina.
Esistevano due tipi di origini parzialmente diverse. In Italia le universit nascono dalle
organizzazioni corporative (universitates) dei comuni: tra queste cerano le corporazioni di
studenti, universitas studentorum, che si fanno riconoscere dalle autorit e assumono docenti,
cercano sedi, etc. In Francia e Inghilterra ci sono le scuole cattedrali in cui si formano ecclesiastici
ma anche col tempo un numero crescente di laici. Progressivamente queste strutture didattiche si
autonomizzano e si presentano come universitas. In realt il peso della Chiesa ci sar anche nelle
universit italiane, ma sar minore. Quanto questo fosse rilevante in Francia e Inghilterra si nota
dal fatto che i docenti universitari dovevano sempre essere clerici. Addirittura lo stesso Newton
alla fine del XVII secolo avr bisogno di una dispensa speciale per restare un laico nella
universit.
Qualche anno prima Irnerio aveva portato i libri legales, i codici del diritto romano, da Roma
a Bologna, e qui ne aveva iniziato linsegnamento. Tanto gli studenti quanto i docenti dovevano
adeguarsi al clima sociale delle citt, basato sulla struttura delle corporazioni, le cosiddette
universitates. Nascevano in Europa nel clima dei nuovi comuni urbani, strette tra le gerarchie
religiose ed il potere politico, le universit, destinate a mutare la storia del pensiero e della civilt.
Avevano una spiccato carattere professionale: le tre facolt maggiori erano giurisprudenza,
medicina e teologia, e poi, propedeutica a queste, la facolt di arti, nella quale veniva insegnato il
Quadrivio matematico ed il Trivio (grammatica, retorica, logica). La matematica insegnata era
poca e rudimentale, un po di Euclide e di aritmetica. Col tempo crebbe il ruolo della astrologia,
destinata anche ad avere un ruolo importante nella medicina. Ma nelle universit gli aspetti pi
interessanti della matematica li ritroveremo nel suo rapporto con la filosofia naturale.
Per la storia della matematica ovviamente la pi importante sar la facolt di arti. Le
universit medievali avranno il loro periodo di massimo splendore nel periodo della Scolastica
(secoli XIII e XIV), poi comincer un lento declino, meno netto in quelle italiane, ma anche nei
secoli XVII e XVIII, in cui la loro crisi sar pi evidente, resteranno un riferimento importante per
la scienza europea.
Rifiorisce la logica e la filosofia: la cosiddetta Scolastica che riscopre e riporta in auge il
pensiero aristotelico. Sono i secoli in cui in Europa riappaiono e vengono tradotti (in latino) i
grandi classici filosofici e scientifici greci, provenienti dai paesi arabi e bizantini. Fino al

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Rinascimento questa fioritura culturale accompagner lo sviluppo di una nuova economia in cui
avranno un ruolo cruciale nuove figure artigiane e commerciali le quali avanzeranno una domanda
di cultura matematica e scientifica crescente: si pensi alle esigenze computazionali del commercio
o a quelle ingegneristiche delle officine e delle fabbriche delle cattedrali: Leonardo Fibonacci
(prima met del XIII secolo) e Leonardo da Vinci (seconda met del XV, inizio del XVI secolo)
sono solo figure emblematiche di queste spinte nella transizione dal Medioevo al Rinascimento.

Lattenzione allanalisi dei testi linguistici uno dei caratteri essenziali della cultura
medievale, in quanto base della sapienza e del sapere dellepoca non era la natura ma un libro,
anzi il libro, la Bibbia. E la disputa teologica sino dai primi concili della antichit si era svolta
con lanalisi logica dei testi. Il sapere degli antichi riguardava un mondo visto e descritto, per i
medievali il sapere soprattutto scritto e interpretato.
La logica aristotelica era pervenuta, ma solo in parte, ai dotti del Medioevo soprattutto
attraverso gli scritti di Boezio e di un tardo commentatore di Aristotele, Porfirio. Era stata
sufficiente per per dare un aspetto caratteristico alle questioni teologiche dellepoca. Si pu a
questo proposito ricordare la celebre prova ontologica della esistenza di Dio, dovuta a
S.Anselmo. In essa ci si pone nei panni di un non credente, il quale, proprio in quanto non
credente in Dio deve avere nella mente lidea di Dio, della quale aspetto essenziale la perfezione
divina. Ma lidea stessa di perfezione deve contenere lidea di esistenza, in quanto una cosa
esistente pi perfetta di una non esistente, cos che anche il non credente deve in definitiva
riconoscere la necessaria esistenza di Dio. I punti dubbi di questa prova costituiranno per secoli
argomento di discussione sul concetto stesso di esistenza.
Ma anche questo esempio mostra la differenza tra la logica medievale e quella aristotelica. In
questultima il fondamento era il sillogismo costruito ad imitazione della relazione causale tra i
fatti, nel medioevo il fondamento sar lanalisi delluso dei termini nel linguaggio, il quale assume
un carattere pi tecnico e convenzionale, altro effetto della natura multilinguista della cultura
dellepoca. Ed anche pi autonomo dalla realt, che non deve semplicemente rispecchiare.
Altro aspetto della logica scolastica che si riveler fertile per lalgebra futura lattenzione ad
una ars inveniendi pi che ad una ars demonstrandi. E questa una distinzione che ricorda quella
antica tra analisi e sintesi, ma che viene posta in termini di argomentazione logica pi che
matematica: il sillogismo la classica procedura per dimostrare il suo termine inferiore da quello
superiore utilizzando il medio, ma se scopo della scienza trovare la dimostrazione, allora, dati i
due estremi, occorre trovare il medio. E inoltre la logica medievale stava abbandonando lidea
che lunica forma argomentativa fosse il sillogismo, cos che larte del trovare assumeva sempre
pi il carattere di un metodo scientifico generale.

La filosofia che si insegnava nelle universit medievali nota col nome di Scolastica, ed
appare purtroppo molto ostica alla cultura moderna, ma in essa appaiono mutamenti cruciali sui
temi del linguaggio e del carattere linguistico della scienza, la matematica in primo luogo.
La scienza per i Greci riguardava, attraverso gli universali, direttamente le cose ed era in
questo una immagine fedele del mondo, col linguaggio tramite quasi naturale e non tematizzato.
E il francescano William Ockham ad abbandonare questidea e ad intuire come invece la scienza
sia strutturata in proposizioni con cui il mondo vada descritto. Sembra una tipica questione
scolastica, ma di qua deriver anche lidea che la scienza non sia semplicemente linsieme di
tutte le verit necessarie, ma un metodo, un processo in cui essa si costituisce come discorso
intorno al mondo. Nella scienza antica una delle categorie con cui trattare le cose era la quantit,
un sistema di concetti, attributi immanenti nel mondo e presenti nel linguaggio naturale come
aggettivi delle cose: numeri e figure. Ma Ockham si accorge invece come essi non siano necessari
per descrivere il mondo, a tal fine bastando le cose stesse, le sostanze, e le loro caratteristiche, le
qualit. Era una svolta traumatica poich la matematica era stata nellantichit il cuore della idea
stessa di scienza, ora ne veniva estromessa.

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Lidea che la scienza sia un insieme di proposizioni, e quindi un linguaggio, con cui parlare
del mondo un tema nuovo, che investe i successori di Ockham. Tra questi Giovanni Buridano,
che si pone il problema di trovare un linguaggio che sia non limmagine del mondo, ma qualcosa
di autonomo con cui si possa costruire una scienza, che parta dallesperienza e dalle conoscenze
individuali per giungere tramite linduzione alle conoscenze universali, una scienza che non si
contrapponga pi alle tecniche in quanto le sue verit non sono pi necessarie e certe.
In questa analisi il linguaggio naturale viene letto in termini algebrici, come nella
concezione dellindividuo come determinatum (Socrates, una costante) o vagum (hic homo,
unincognita o un segno, analogo alla cosa degli algebristi, singolo numero incognito), la cui
vaghezza si dissipa tramite laggiunta delle condizioni del problema, sino alla sua individuazione
come incognita o alla sua caratterizzazione universale nel luogo geometrico. Il risultato
dellequazione lindividuo caratterizzato ex circumlocutione come in Sophronisci filius.
Buridano insiste che il segno pu avere un significato anche se non rappresenta una cosa
esistente (come nei problemi che non ammettono soluzione), e ci si chiede se lequazione abbia
ununica soluzione come ci si chiede se primus rex Franciae christianus individui univocamente.
Lindividuum vagum ricorda anche (come in aliquis homo) la x come termine generale, la
cui vaghezza si dissipa tramite laggiunta delle condizioni del problema, sino alla sua
individuazione come incognita o alla sua caratterizzazione universale nel luogo geometrico.
Aristotele aveva interpretato il caso del bambino che chiama tutti gli uomini padre come
conseguenza della mancanza in lui degli universali, Buridano lo interpreta come lesistenza
iniziale di un individuo vago da cui derivano tanto gli individuali che gli universali.
Tipica della scrittura medievale era poi labitudine massiccia di abbreviare le parole con
contrazioni, troncamenti, simboli sovrascritti o convenzionali. Una prassi, pressocch assente nel
mondo islamico, che nasceva dal carattere meccanico della copiatura dei manoscritti insieme col
carattere tecnico e artificioso del latino medievale, una prassi che sar allorigine del simbolismo
che caratterizzer lalgebra europea: non solo le lettere ma autentici nuovi simboli quali +, -, =, e
poi simboli per le potenze, per le radici, etc.

La traduzione in forma algebrica nella scienza sar un processo che durer secoli, sar ancora
assente in Galileo e trionfer solo con la scienza newtoniana. Nel 1343 Johannes de Muris
parlando di statica scrive "puoi provare questo tramite lettere dell'alfabeto, ma per me i numeri
sono pi chiari". E, come accade spesso nella storia della matematica, i simboli diventano cose,
delle quali parla un linguaggio. Si assiste cos lentamente alla trasformazione dellalgebra araba,
attraverso la linguistica e la scrittura medievale, nel lento emergere di un nuovo linguaggio
algebrico dotato di una sua autonoma sintassi. Questo accadr molto tardi, nel XVII secolo, ma
sar il medioevo a predisporre luniverso linguistico da cui poteva emergere questo intruso: le
radici dellalgebra simbolica si trovano nella scolastica medievale.
In tale linguaggio i segni appaiono nellalgebra e negli algoritmi: due termini arabi, apparsi
con la matematica islamica dove appare per la prima volta la vocazione sintattica della
matematica. I segni a questo punto non sono pi lantico aliquid stat pro aliquo, ma qualcosa di
inedito, e si caratterizzano attraverso tre prerogative:
1. con lalgebra il segno si svuota di significato e di senso: della x non conosciamo
immediatamente n il valore n la natura, lincognita, poi diventer il segno generico, e
infine la variabile. Il segno sta per lindefinito, per ci che non si conosce neanche
qualitativamente, sta per il nulla, uno spazio vuoto.
2. le cifre indo-arabe sono una rivoluzione non perch posizionali (gi la notazione
sessagesimale e lo stesso abaco erano posizionali), n per la presenza dello zero, ma
perch quei segni diventano gli ingredienti essenziali degli algoritmi (le operazioni in
colonna), diversamente da quanto accadeva con labaco: gli algoritmi diventano loro i
portatori unici di quel senso che i segni da soli avevano ormai perduto.

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3. processo meccanico e regola generale coincidono, il segno anfibio, nel contempo
ideale e materiale, astratto e manipolabile secondo regole, una novit che appare nel
Medioevo con gli orologi meccanici e la quantificazione delle qualit, ed quindi una
tecnica, ma relativa alle attivit intelligenti delluomo.
Ma questo non basta ancora per creare un linguaggio: non casualmente, a fare dellalgebra
un linguaggio, il primo linguaggio formale della storia, costruito come linguaggio autonomo e
non come frammento di un linguaggio naturale, saranno dei dotti francesi di cultura retorica,
giuridica e filosofica, e solo amateurs della matematica, quali Viete, Descartes, Fermat. E sar
Leibniz, un metafisico tedesco formatosi come matematico a Parigi, a stabilire una volta per tutte
che lUomo conosce il mondo solo attraverso i segni. Dio no, perch il mondo lha creato, ma gli
uomini non hanno altra via di accesso alla scienza, che in quellepoca era la meccanica, la
scienza geometrica del moto e delle sue cause. La sua ars combinatoria apre la strada a tutti i
linguaggi formali che nasceranno dopo lalgebra, dal calcolo differenziale alla logica
matematica, dalla teoria degli insiemi ai linguaggi di programmazione

LA MATEMATICA TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO

Se da un lato la matematica greca antica, i cui testi cominciano ad essere tradotti in latino,
trova qualche spazio nelle universit medievali, dallaltro lato si conquista uno spazio autonomo la
matematica pratica, erede della tradizione millenaria e mai interrotta che dai babilonesi e gli egizi
si era conservata per tutta la antichit, sia trovando unespressione pi elegante in Erone, sia
restando vitale nellopera di agrimensori ed architetti.

XII XIII XIV XV XVI

ABELARDO OCKHAM
GROSSETESTE CALCULATORES
UNIVERSIT BURIDANUS RAMO
S.ANSELMO ORESME NICOLA CUSANO COPERNICO
CARDANO
JORDANUS REGIOMONTANUS BOMBELLI
DEL FERRO
FIBONACCI MAESTRI DABBACO FERRARI
MATEMATICI PACIOLI TARTAGLIA

Nel Medioevo vediamo riapparire la geometria teorica intorno allanno 1000 e svilupparsi nei
secoli successivi. La geometria pratica si oppone a quella teorica gi in Ugo di San Vittore nel
1130 e il suo uso si estende anche verso la meccanica. Si caratterizza per lattenzione verso i
problemi applicativi, gli strumenti e le misure, di fronte ad una geometria teorica basata su
dimostrazioni. La base teorica molto limitata, basata sulle proporzioni e la similitudine dei
triangoli, senza riferimenti teorici, le stesse propriet geometriche euclidee sono da un lato molto
semplici, dallaltro menzionate senza prove. Spesso le propriet geometriche, come quella sulla
somma degli angoli di un triangolo, sono provate per via sperimentale. E la geometria si fonde con
laritmetica nelluso di numeri e frazioni per le misure e per le unit di misura, ed anche nelluso
dellabaco, la mensa Pythagorica. Come conseguenza andava attenuandosi la antica opposizione
greca tra numero e grandezza. Lo stile euclideo penetrer solo lentamente dalla prima met del
XIV secolo nella geometria pratica e luso dei rapporti numerici per grandezze geometriche
apparir con la trigonometria nel XV secolo.
Il rapporto tra la monade e luno era al centro della aritmetica euclidea: la prima
definizione del VII libro degli Elementi recita: La monade ci per la quale ciascuna delle cose
che esistono detta una. Ma questa connessione complessa tra due termini distinti, monade e

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unit, nel medioevo scomparir per la unificazione linguistica dei due termini, come nella
traduzione di Campano: Unitas est qua unaqueque res una dicitur.
Altrettanto notevole che questo approccio riduce effettivamente i rapporti a numeri, le
frazioni, fractiones, e nel contempo le tratta come quantit continue, nel senso che ogni rapporto
appare infinitamente divisibile, nel senso che quanti si vogliono medi proporzionali si possono
trovare in ogni rapporto. E il primo postulato, petitio o suppositio, Tra due quantit continue
diverse ogni numero di medie pu essere assegnato allinfinito e quindi ogni proporzione
possibile tra quantit continue.
In Bradwardine il rapporto sembra una qualit (la proporzione similitudine di rapporti, ma
nel contempo sembra apparire lidea generale di frazione come rapporto fra due termini e
lidea che due relazioni siano similari o uguali se possiedono la stessa denominatio tra
termini. Anche in un autore senza pretese teoriche quale Wigandus Durnheimer (fine del XIV
secolo) si trova lidea della riduzione delle frazioni a forma minima.
Il carattere numerico di questa idea di frazione appare nelluso di una terminologia aritmetica
(multiplicatio in Campanus, dividere in Oresme, ma subtrahere in Durnheimer) per le operazioni
tra rapporti, anche se la incertezza sulla operazione in questione rivela come il carattere numerico
della frazione sia ancora un work in progress e che il rapporto non sia ancora inteso come
numero. La rappresentazione della proporzione come denominatio tramite numeri appare gi in
Grosseteste, limitatamente ai rapporti commensurabili, ed Oresme considera i rapporti una
quantit continua in quanto infinitamente divisibile, e la terminologia frazionale sempre
possibile per rapporti razionali, ma non verosimile che questo accada per i rapporti irrazionali.
Osserviamo tuttavia come ancora nel XVII secolo Isaac Barrow si opponesse alla tesi che faceva
dei rapporti una specie di quantit.

Nelle universit era filtrato quasi nulla della nuova matematica degli arabi, oltre i rudimenti
sugli algoritmi numerici, anche se la riflessione sulla scienza e sul linguaggio aveva posto il
problema della collocazione stessa della matematica allinterno del sapere.
Invece fuori delle universit la nuova matematica investiva il tumultuoso sviluppo della
societ e della economia tardo-medievale. I commercianti, gli artigiani, gli architetti, i pittori, si
rivolgevano alla matematica degli arabi per le esigenze delle loro professioni.
Resisteva la tradizione degli abacisti, che ignorano gli algoritmi numerici, ed operano con i
classici algoritmi sullabaco, usando le frazioni romane duodecimali. Ma ad essi si
contrappongono sempre pi i cosiddetti algoristi: quegli scrittori che mostrano chiaramente la
loro dipendenza immediata dai matematici arabi attraverso lapparire della mal compresa parola
algoritmo, attraverso luso di valori posizionali delle cifre con inclusione dello zero, attraverso il
non uso dellabaco, attraverso procedure di calcolo numerico, inclusa la radice quadrata. La loro
disciplina verr insegnata fino al Rinascimento non tanto (in latino) nelle universit quanto invece
nelle scuole dabbaco dai maestri dabbaco (anche se non usano pi labaco, ma abaco era il
termine generico per indicare la tradizione pratica) e presto i testi relativi, i libri dabbaco,
saranno in lingua volgare, e si rivolger non alla formazione delle professioni dotte quanto a
mercanti, artisti, architetti, etc. Centro di questo insegnamento sar lItalia ed in particolare
Firenze, ma si diffonder rapidamente in tutta Europa.
Soprattutto in Italia, ma anche in Germania, la nascita dei comuni aveva segnato lo sviluppo
di tali professioni e la crescente domanda di conoscenze matematiche si era tradotta nella nascita
delle scuole dabbaco, talora organizzate dai Comuni o dalle Corporazioni, talora iniziative
private. Appaiono verso la seconda met del XIII secolo nellItalia centro-settentrionale, a Firenze
soprattutto, e fioriscono sino allinizio del XVI secolo. Le scuole dabbaco (nelle quali non vi era
traccia di veri abaci) sono listruzione superiore di un diffuso processo di formazione: Giovanni
Villani ci informa che a Firenze intorno al 1330 cerano da otto a diecimila giovani che
frequentavano le scuole elementari pubbliche e circa 1000-1200 che, dopo gli undici anni,

59
imparavano labbaco e algorismo per due o tre anni, e che era normale per un artigiano saper
leggere e far di conto.
Linsegnamento da parte dei maestri dabbaco era in volgare e allinizio puramente orale.
Successivamente appariranno i trattati dabbaco, nei quali compare un programma tutto interno
alla tradizione pratica, molto pi semplice per intenderci del Liber Abaci. Ma questi trattati
diventeranno col tempo pi completi e rigorosi e in essi si cimenteranno anche artisti come Piero
della Francesca. Una tendenza che culminer con lopera di Luca Pacioli, il cui sodalizio con
Leonardo da Vinci, omo sanza lettere ma attento lettore di matematica, paradigmatico del
rapporto inedito che si stringe tra questi matematici pratici e molti grandi artisti del Rinascimento,
con interessi artistici, meccanici e matematici.
Quasi emblematica di questa connessione la nascita della prospettiva, che nasce nella forma
di regole pratiche per dare il senso della profondit nei quadri, ma che presto diviene una precisa
tecnica matematica da cui si svilupper la geometria proiettiva.
Nel Rinascimento la tradizione pratica ancora dominante, ma diventa strettamente
algoritmica e la conoscenza degli algoritmi assume quel carattere mnemonico che tutto sommato
caratterizza ancoroggi linsegnamento della matematica elementare. Nellantichit la
memorizzazione delle procedure si appoggiava probabilmente soprattutto su esempi numerici e
figure geometriche, ora esse vengono memorizzate pi astrattamente e verbalmente, pi in l
assumeranno anche laspetto di formule. Gli algoritmi non vanno compresi e neanche dimostrati,
vanno bens memorizzati: tabelline pitagoriche, regola del tre, prova del nove, estrazione della
radice quadrata, etc.

E difficile alla fine del Medioevo ritrovare qualche legame tra la matematica delle universit
e quella delle scuole dabbaco. Soprattutto in Inghilterra e Francia, laddove, anche a causa della
guerra dei centanni, le universit avevano perso il dinamismo che le aveva caratterizzate nel XIII
e XIV secolo. Migliore la situazione in Italia e Germania.
Nicola Cusano era un cardinale tedesco, importante perch appare quasi una cerniera tra
medioevo e tempi moderni. Per quanto riguarda la matematica il suo nome va ricordato per come
faccia della riflessione sullinfinito il grimaldello per rompere lo schema delle opposizioni
aristoteliche. Moto e quiete erano opposti per Aristotele, ma un infinito rallentamento del moto
la quiete, cos anche retta e curva erano opposti, ma la retta poteva essere considerata come una
circonferenza di raggio infinito.
E in lui si trova unidea che si diffonder nei secoli successivi, diventando un luogo comune
nel Seicento: che sia la matematica e non la logica la base della argomentazione scientifica. In
realt per i Greci la matematica era soprattutto la scienza dellessere, mentre era la logica a fornire
la base della scienza del divenire e delle relazioni causali, la fisica. Nel cinquecento gli
aristotelici sottolineano i limiti della dimostrazione matematica (estranea alla causalit fisica, non
univoca, non sillogistica, etc.) al punto da escludere la matematica dalle scienze. I platonisti e i
meccanici, Leonardo da Vinci per primo, trovavano invece nella matematica la logica delle loro
macchine e lo strumento base per tutte le scienze. Inizier un lungo dibattito su quale fosse tra le
due la dimostrazione pi potente, di fatto iniziava per la logica un lungo periodo di ristagno,
interrotto prima dellottocento solo dalla figura di Leibniz.

Occorre anche ricordare linvenzione della stampa intorno alla met del XV secolo. Con essa
il libro, anche il libro di matematica, usciva dallangusto mercato dei copisti universitari per
diventare un bene relativamente di massa: nel giro di pochi decenni le stamperie si moltiplicarono
in Italia, in Germania, in Olanda, e i libri comparvero in tutte le case della borghesia benestante.
Lattenzione degli Umanisti per le lingue antiche aveva lasciato in eredit anche una
maggiore attenzione al rigore delle traduzioni, cos che il cinquecento vedr un fiorire di nuove
traduzioni dei classici della matematica greca. Tra i pi attivi matematici in questa attivit di
diffusione del libro matematico cera anche Johann Mller, detto Regiomontanus, famoso anche

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per i suoi studi di astronomia e trigonometria. Con lui inizia una tradizione di studi astronomici
nella Mitteleuropa che porter ai nomi di Copernico, Tycho Brahe e Kepler.
Il Rinascimento sar anche caratterizzato dallesplicito interrogarsi sul linguaggio. Ormai la
civilt era diventata largamente multilinguistica: i vernacoli erano diventati lingue nazionali, si
traduceva tra di esse o dallarabo o dal greco o dal latino o dallebraico. I linguaggi apparivano
tutti convenzionali, ma, quasi per contrappeso, nasceva lesigenza del linguaggio universale, in
cui le cose avessero il loro vero nome. Poteva essere il linguaggio originario, quello di Adamo,
simile allebraico, o un linguaggio iconico, come il cinese proposto da Leibniz. Quindi un
linguaggio da riscoprire o anche da creare. Era una indagine impensabile nella Grecia antica, in
cui il greco era lunico linguaggio che non fosse un balbettio, o nellIslam, laddove larabo era
lunica lingua vera e immutabile, quella in cui era scritto il Corano.

LINFINITO E IL TRANSFINITO

In generale sull'infinito ed il continuo restarono dominanti le tesi aristoteliche almeno per


tutto il periodo della Scolastica, anche se non erano assenti accenti platonisti e pitagorici che
riprendevano la teoria di un continuo realmente fatto di punti indivisibili. Anche la finitezza
dell'universo veniva messa in discussione: con Nicola Cusano luniverso diventava interminato,
e con Giordano Bruno luniverso diventava infinito e illimitato, e lo spazio vuoto e uniforme. Ma
l'infinito attuale acquista lentamente una crescente audience, e comincia ad apparire la tesi che la
retta sia di fatto composta dai suoi punti.
Soprattutto ragioni teologiche deponevano a favore dellesistenza dellinfinito attuale:
potendo Dio fare tutto nei limiti del principio di non-contraddizione, linfinito attuale sarebbe
impossibile solo se contraddittorio; ma tale contraddizione non appariva evidente.
Anche l'idea, di natura teologica, di un tempo esistente ab aeterno riproponeva il problema
dell'infinito attuale. E progressivamente questa novit teologica filtrava anche nella filosofia
naturale e nella matematica della scolastica nelluniversit di Oxford, a cominciare da Robert
Grosseteste. Matematico era lesempio della creazione di un oggetto infinito in un tempo finito:
Dio potrebbe creare una quantit in mezzora, la stessa quantit nel successivo quarto dora, la
stessa ancora nel successivo ottavo di ora, etc. e cos dopo unora aver creato una quantit
attualmente infinita.
All'interno di questa 'emergenza' occorre sottolineare l'apparire di una distinzione che si
riveler cruciale per la matematica moderna: quella tra infinito attuale, inteso come "tutto
massimo" e quindi in fondo inanalizzabile e inconfrontabile, e quello transfinito, "che eccede ogni
finito al di l di ogni determinata proporzione" (infinitum est quod excedit quodcumque finitum
ultra omnem proportionem determinatam), che esplicitamente rivela la traduzione matematica del
problema e si pone come negazione del finito, e all'interno della quale si possono realizzare
confronti tra infiniti.

FIG.13

Tale lettura matematica dellinfinito si traduceva in un problema nuovo e di grande portata


per il futuro della matematica: il confronto tra infiniti, un tema di grande importanza nel XIX
secolo. Gli infiniti sono tutti uguali? O esistono infiniti pi grandi di altri infiniti? E su questo

61
la Scolastica si divider. Gregorio da Rimini (XIV secolo) osserva che sorgevano paradossi
connessi allidea (assurda nel finito) che una collezione potesse essere contenuta propriamente in
unaltra e nello stesso tempo essere messa in corrispondenza biunivoca con essa. Qui entravano in
conflitto due principi fondamentali della matematica: uno di origine geometrica, il tutto
maggiore della parte (V assioma degli Elementi), laltro di origine aritmetica, due moltitudini che
si possono mettere in una corrispondenza 1-1 sono uguali. Esistevano diversi paradossi in cui
questi due principi entravano in conflitto. Paradossi sia geometrici (fig.13: in un triangolo coi lati
disuguali le parallele alla base istituiscono una corrispondenza 1-1 tra i punti dei due lati pur
essendo il minore riducibile ad una parte del maggiore, in due cerchi concentrici i raggi
istituiscono una corrispondenza 1-1 tra i punti delle circonferenze), che aritmetici (i numeri interi e
i numeri quadrati si possono mettere in corrispondenza 1-1 pur essendo i secondi una parte propria
dei primi).

La fine del Medioevo apre cos una nuova fase di riflessione sullinfinito. Limpianto restava
ancora aristotelico con il conseguente rifiuto dellinfinito attuale. Linfinito restava una 'potenza'
che pu divenire 'atto' in un processo mai simultaneamente, non infinitum in facto, ma infinitum in
fieri. Il punto non veniva considerato grandezza, come del resto lo zero esisteva in forma solo
simbolica e luno non era considerato un numero in senso stretto. Secondo la tradizione antica,
accettata quasi universalmente fino al XIV secolo, i punti, le linee, le superfici esistevano solo
come 'terminali', cos che non erano "grandezze" e non si poteva considerare il continuo composto
di punti. Cos si rigettava lidea che una curva fosse fatta di infiniti punti: aristotelicamente il
continuo non era composto di indivisibilia, ma di semper divisibilia.
Esempio tipico dei paradossi del continuo la cosiddetta rota Aristotelis, nota gi ad Erone.
In tale esperienza 'mentale' si consideravano due punti (allineati col centro comune) su cerchi
concentrici che rotolano solidalmente e quindi descrivono segmenti uguali (fig.15 bis). Analoga
antinomia, resa celebre da Galileo, si otteneva nel discreto tra i naturali e i pari (o i quadrati
perfetti). La ratio Achilles, di ascendenza zenoniana, consisteva invece nellosservare come se il
tempo fosse composto di istanti e lo spazio di punti, allora tutte le velocit sarebbero uguali poich
in ogni istante verrebbe occupato uno e un solo punto.
La soluzione antica richiedeva il rifiuto dellinfinito attuale e della idea che il continuo
potesse essere considerato come composto di punti, ma la liceit, anzi la necessit, dell'infinito
attuale diventa inevitabile per un rapporto tra fede e ragione. Di questo capovolgimento esempio
l'analogia tra poligono/circolo e conoscenza umana/assoluta: laddove il pensiero greco si era
ritratto, persino in Archimede, davanti al limite infinito, il pensiero cristiano ne fa la sua ragion
d'essere e vede nella riflessione sull'infinito la traccia della natura divina dell'anima. In Nicola
Cusano lidea della contraddittoriet dellinfinito non una ragione per rigettarlo: possiamo infatti
dargli un nome, ma descriverlo non pu essere fatto se non a spese di antinomie. "L'infinit non
sopporta in s alterit perch nulla al di fuori di essa.", senza maggiore, minore o uguale, senza
parti; un termine che sia termine senza termine per nell'indeterminato e nel confuso,
nell'ignoranza ed oscurit dell'intelletto: la dotta ignoranza. Alla omogeneit tra retta e curva o tra
unit e molteplicit non portava quindi solo il pragmatismo della cultura medievale ma anche la
ormai piena liceit teologica dellidea di infinito attuale, la quale porter Descartes ad affermare
qualche secolo pi tardi vedo manifestamente che si trova pi realt nella sostanza infinita che
nella sostanza finita, e quindi che ho, in certo modo, in me prima la nozione dellinfinito che del
finito, cio prima la nozione di Dio che di me stesso. [Meditationes de prima philosophia, III].

CONTINUO E DISCRETO

La rottura del sistema culturale medievale apparir come superamento dell'aristotelismo. Non
casuale allora che gli stimoli per la nascita della scienza moderna appaiano nel rifiorire del
platonismo nel XV secolo, come reazione allaristotelismo scolastico.

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La fine della Scolastica il tracollo di quel lessico teoretico, la cui creazione era stata la
grande opera aristotelica. Tutti i concetti della nuova scienza saranno 'sghembi' rispetto alle
categorie e alle opposizioni dell'aristotelismo: categorie, sostanza/accidente, forma/materia,
atto/potenza, individuale/universale, genere/specie, e tesi al superamento della opposizione rigida
tra le coppie pitagoriche: moto/stasi, retta/curva, limitato/illimitato, uno/molti.
Il passaggio dalla potenza all'atto nell'ambito delle sostanze necessariamente istantaneo,
mentre tipicamente il mutamento, pure interno alla relazione tra atto e potenza in quanto
aristotelicamente motus est actus entis in potentia secundum quod in potentia, si compie invece
nel tempo. La prima caratterizzazione presuppone una descrizione in linguaggio naturale
sostanzialistica e dominata dalla opposizione polare essere/non essere, la seconda richiede un
linguaggio nuovo in cui il moto sia costruito analogicamente allo spazio, e questo il punto di
partenza di quella intensio et remissio formarum che vedremo decisiva per la nascita della scienza
moderna.
La frattura con linterpretazione sostanzialistica della quantit appare gi in William Ockham.
La scienza aristotelica aveva al suo centro lidea di sostanza e dei suoi attributi, in primo luogo
qualit e quantit. Ockham sottopone tutti gli enti della filosofia scolastica ad uno scrupoloso
esame per verificarne la indispensabilit: lesito negativo ne comporta la eliminazione, e nota che
la quantit in fondo superflua: il mondo pu essere descritto analiticamente in termini delle
sostanze e delle loro qualit, la quantit pu essere espulsa dalla descrizione della percezione
comune.
La dotta ignoranza del Cusano la base della coincidenza degli opposti. Non si tratta di un
residuo eracliteo, ma dell'onda lunga di una riflessione teologica che da Tertulliano e lo pseudo-
Dionigi coglie quanto stretto sia il paradigma aristotelico per inserirci lidea di infinito emersa
nella civilt cristiana durante il Medioevo. Cos difronte a Dio tutte le opposizioni rigide
aristoteliche si dissolvono: "perch Dio al di sopra della coincidenza dei contradditori, essendo,
secondo Dionigi, opposizione degli opposti".
Quanto questo sia rilevante per la storia della matematica si comprende quando si osserva
che tra le opposizioni aristoteliche cera quella tra moto e quiete: "moto e quiete e la loro
opposizione sono posteriori a questa infinit". Il moto si pone come allontanamento da uno
stato, e muoversi passare da quiete in quiete, il movimento non che una quiete ordinata o stati
di quiete posti in serie. Esplicitamente il Cusano tenta di introdurre il "pi e il meno" nello schema
delle opposizioni aristoteliche basate sulle "essenze".

In Aristotele lopposizione essere/divenire si rifletteva nella inapplicabilit della matematica


(scienza dellessere immutabile) alla fisica (scienza del divenire): solo le scienze relative ad una
realt immutabile potevano essere quantificate (statica, ottica, astronomia, musica). Inoltre la
quantit continua sembrava doversi limitare alle grandezze spaziali e temporali. Nella antichit
questo era stato quasi un dogma, e ancora in San Tommaso lapplicazione della matematica alla
descrizione della realt naturale si riduceva a discipline concernenti lo spazio, come lastronomia e
lottica. Cos quando due oggetti si scambiavano calore si doveva avere la perdita di precedenti
attributi qualitativi e acquisizione di nuovi.
Sempre ad Oxford, nel Merton College, lavorano nella prima met del XIV secolo un gruppo
di filosofi (Thomas Bradwardine, William Heytesbury, Richard Swineshead), noti come
Calculatores, ai quali si deve il tentativo di estendere il campo dazione della quantit a quelle
che la filosofia antica e medievale considerava qualit (non solo velocit, illuminazione, calore,
etc., ma anche grazia, carit, etc.) e che il Medioevo definiva intensive poich potevano
aumentare o diminuire di intensit, quasi fossero grandezze: si parlava di intensio et remissio
qualitatum seu formarum. In termini moderni la estensione era sostanzialmente lintegrale (lo
spazio totale, la quantit di calore, il peso) mentre lintensione era il valore puntuale (la velocit,
la temperatura, la densit), che avendo una latitudine era considerata sempre come continua.

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Lesempio preferito era la velocit, e ai Calculatores va ascritto quello che noto come
teorema mertoniano, in termini attuali quello secondo cui lo spazio percorso in un moto
uniformemente accelerato uguale a quello percorso nello stesso tempo in un moto uniforme a
velocit media tra quella iniziale e finale.

A Parigi poco dopo Nicola Oresme tradurr questo teorema in una rappresentazione e
giustificazione geometrica (fig.15bis, sin.).

VELOCIT

TEMPO

FIG.15 BIS

Bisogna per non confonderla con una rappresentazione cartesiana, in quanto non una
rappresentazione pur essendo una imaginatio. Infatti per Oresme un calore triangolare punge
di pi di uno rettangolare! La figura fuori della realt comune ma ha effetti reali. Inoltre
lambiguit tra indivisibili eterogenei o omogenei fa si che larea venga vista sia come spazio
percorso che come velocit totale (in quanto una somma di velocit istantanee deve essere una
velocit).
Laumento era inteso in termini di gradi discreti, anche se magari infiniti. Questo uno degli
aspetti pi caratteristici dello sviluppo della quantificazione medievale. Nei campi pi diversi (il
tempo degli orologi meccanici; la rappresentazione della musica tramite i neumi, gli antenati delle
nostre note su uno spartito; la temperatura in termini di gradi; la velocit delle navi in termini di
nodi) il Medioevo quantificava discretizzando le qualit intensive anche se le presentava come
intervalli, latitudines, cio come grandezze continue.
Tuttavia la stranezza si attenua se si ricorda che tutti i modi per esprimere una quantit, che
fossero numeri o semplici parole, erano discreti, in quanto i numeri reali ancora non esistevano, e
quanto nebulosa fosse la distinzione tra discreto e continuo nella tradizione pratica, allora ancora
intuitivamente dominante, sebbene questo si sovrapponesse ad una struttura teorica aristotelica che
quella distinzione invece riteneva netta. Per questo motivo la misurazione era solo formale, era
una quantificazione discreta, ma intuita geometricamente e senza misura empirica.

Nel sistema aristotelico il divenire delle "qualit" era descritto tramite le coppie di 'opposti'
del tipo caldo/freddo, pesante/leggero, umido/secco, mentre gli stessi fenomeni nella scienza
moderna diventeranno graduazioni continue di una singola grandezza, quale calore, peso, umidit.
Questo significava esprimere il mutamento in forma di dipendenza funzionale. Questo fu fatto
in parte in forma linguistica, ma pi significativa fu lutilizzazione di diagrammi, analoghi a quelli
della futura geometria analitica, soprattutto da parte di Nicola Oresme (XIV secolo). Lestensione
delloggetto era rappresentata orizzontalmente, l'intensione della qualit/forma verticalmente, e
quindi larea sotto la curva dava l"estensione della forma", la "quantit di velocit" ovvero lo
spazio secondo Oresme. Non era acora geometria analitica soprattutto perch la rappresentazione,
detta da Oresme ymaginationes, allinizio era solo geometrica. Interessante osservare che nella
concezione di Oresme sulla continuit dellintensione: ogni cosa misurabile, eccetto i numeri,
concepita come quantit continua. E quindi, quando la grandezza non sia numero e si rappresenti
come un tutto divisibile, essa finisca col doversi rappresentare geometricamente e col dover essere
considerata continua.

64
LALGEBRA IN ITALIA NEL CINQUECENTO

In Italia appaiono le novit pi rilevanti in campo matematico, in algebra soprattutto.


Lalgebra in Europa aveva progressivamente guadagnato un ricco bagaglio di simboli e si era
sviluppata labilit nella manipolazione di espressioni algebriche. Andava crescendo la
consapevolezza che i risultati dellalgebra geometrica potevano essere ottenuti tramite la
manipolazione di espressioni, ed in questo gli algebristi italiani del Cinquecento stavano
raggiungendo una indiscutibile abilit. Ciononostante lalgebra era ancora essenzialmente una
disciplina della tradizione pratica, rivolta quindi esclusivamente alla risoluzione di problemi. In
particolare i problemi che portavano ad equazioni di grado superiore al secondo solo raramente
erano risolubili in quanto non esistevano procedure generali per la loro risoluzione.
Lambiente matematico appariva poco strutturato: qualche collegamento con le universit,
posizioni allinterno delle corti, legate anche al ruolo che i matematici svolgevano come meccanici
e ingegneri nei problemi bellici o idraulici o architettonici. Cera una grande attenzione verso gli
scritti di Archimede, e si diffondeva lidea di una meccanica come scientia media intermedia tra
geometria e fisica, ma nel contempo anche autonoma. Molto richiesta la matematica per
lastrologia, che si diffondeva in tutti gli strati della popolazione, Curia e Corti incluse. Esisteva
una diffusa e aspra concorrenzialit tra i matematici che si traduceva in autentici cartelli di sfida
in cui un matematico sfidava altri matematici a risolvere problemi, e la storia della scoperta della
risoluzione delle equazioni di III grado mostra il clima acceso che circondava tali sfide, in quanto
molti problemi delle sfide riguardavano tali equazioni.

La gloria dell'algebra rinascimentale italiana in gran parte legata alla risoluzione delle
equazioni di III e IV grado. Senza addentrarsi nelle complesse questioni di priorit, la risoluzione
della equazione cubica da ascrivere a Scipione del Ferro e Nicol Tartaglia e quella della
equazione di quarto grado a Ludovico Ferrari, entrambe diffuse poi dalla Ars Magna (1545) di
Gerolamo Cardano e dall'Algebra di Rafael Bombelli (scritta nel 1550 e pubblicata in parte nel
1572).
Alcuni aspetti rimangono sostanzialmente immutati da al-Khwarizmi fino agli algebristi
italiani del XVI secolo, da Tartaglia e Cardano a Bombelli, precursori di Viete e Descartes, in
primo luogo la doppia 'versione', algebrica e geometrica: la prima quasi una ricetta mnemonica in
termini di esempi numerici o in termini di "cose" e "censi" come espressione delle potenze
dell'incognita, la seconda un oggetto geometrico la cui costruzione permette la soluzione
dell'equazione in maniera rigorosa: laspetto geometrico doveva in ogni caso dare il senso
generale della soluzione. In secondo luogo il rifiuto di coefficienti negativi o nulli richiede la
presentazione di innumerevoli casi, cos, ad esempio, nell'Algebra di Bombelli appaiono 5 casi per
la risoluzione dell'equazione di II grado, 16 per l'equazione di III grado e ben 42 per l'equazione di
IV.

La risoluzione delle equazioni di III e IV grado, il punto pi alto dell'algebra rinascimentale


ed anche l'ultimo exploit della antica "tradizione" aritmetica, si sviluppa secondo le tecniche
classiche di tale tradizione. Consideriamo la risoluzione della equazione cubica (fig. 16): viene
ridotta ad esempio alla forma
x3 + p x = q ,
e, come nell'approccio di al-Khwarizmi per le equazioni di II grado, si considera il cubo di lato
x=AB, si 'completa' il solido nella forma di un cubo di lato u=AC, in modo che i tre
parallelepipedi di lati x, u, e v=u-x=BC diano un volume px. La somma di tale volume e del cubo
di lato AB vale quindi q e risulta uguale, con semplici ragionamenti di natura geometrica, alla
differenza tra i volumi del cubo di lato AC e del cubo di lato BC. Da questi dati possibile
calcolare u e v e quindi x. La risoluzione della equazione di IV grado procede sulla stessa linea,
con la novit che una delle 'lunghezze' considerate vale x2 , con una rottura implicita cos del

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principio di omogeneit.

F E

D L

A B C K G H

Fig. 16

E molto difficile capire se questa soluzione fu trovata tramite un ragionamento geometrico o


algebrico, se cio il completamento del cubo fu realizzato sulla figura o tramite la formula del
cubo del binomio (come nella nostra traduzione algebrica). Lequivalenza dei due linguaggi
allepoca non era ancora esplicita, ma intuitivamente era gi diffusa anche tra non matematici
come Pietro Ramo.
Ma daltra parte la scoperta della soluzione per lequazione di IV grado (impensabile in un
approccio puramente geometrico) da parte di Ludovico Ferrari, un allievo di Cardano, testimonia
della raffinatezza delle tecniche di manipolazione simbolica. Infatti nella procedura di risoluzione
occorre porre ad un certo punto un intervallo uguale al quadrato di un altro intervallo, ignorando il
principio di omogeneit dimensionale: qualcosa di lecito nellantica tradizione aritmogeometrica,
ma teoricamente inaccettabile. Tuttavia alla met del XVI secolo stava ormai maturando una
matematica del tutto nuova che in un certo senso saldava le due antiche tradizioni, teorica e
pratica. E qualcosa che si intravede gi nellopera dellultimo grande algebrista italiano del XVI
secolo: Rafael Bombelli, nel quale linguaggio algebrico e geometrico si interscambiano con la
massima naturalezza. Parlando di aritmetica e geometria egli scrive: Queste due scientie hanno
intra di loro tanta convenientia che luna la prova dellaltra e laltra la demostration delluna
[Algebra, 476], e dimostra le risolventi delle equazioni secondo una pluralit di approcci,
geometrici ed aritmetici.
Nell' Algebra di Rafael Bombelli, scritta intorno al 1550 e pubblicata in parte nel 1572,
appaiano alcune novit che preannunciano il XVII secolo: compaiono segmenti di lunghezza
negativa, i numeri irrazionali sono ormai numeri, anche se "impossibile poterli nominare", e
compare l'uso nei 'numeri immaginari' (la nostra i chiamata il "men di meno").
Al polo opposto alcune costruzioni geometriche non danno come risultati metodi numerici,
ma direttamente costruiscono enti geometrici. L'uso della incognita e delle sue potenze compare
per la prima volta nelle risoluzione approssimata di radici quarte: si potrebbe dire che appare un
po' come sostituto quando fallisce sia l'intuizione aritmetica che quella geometrica.

66
Le risolventi sono dimostrate secondo una pluralit di approcci, geometrici ed aritmetici. Si
consideri ad esempio l'equazione di primo grado a x = b. Viene risolta in tre modi. Nel primo (fig.
17 (a)) "in superficie composto di numero", b una superficie, x e a sono lunghezze (viene
preservato il principio di omogeneit), f l'unit di misura ed a un numero esplicitamente dato
(nell'esempio, 3). I due rettangoli devono avere la stessa area, ragion per cui x si trova
numericamente dividendo b per il numero dato a. L'altra soluzione (fig 17 (b)) "in superficie senza
numero": b una superficie data, la cui base viene prolungata di a. Si completa il rettangolo
superiore e si traccia la semiretta diagonale fino ad incrociare il prolungamento dell'altezza del
rettangolo b. Completando la figura si ottiene x, in quanto i due rettangoli opposti alla diagonale
hanno, in base ad un noto teorema degli Elementi di Euclide, la stessa area b. La terza soluzione

f f

b
x b x
b
x a f
a
a
(a) (b) (c)

fig.17

"in linea" (fig. 17 (c)) tramite il segmento unitario abbandona il principio di omogeneit e b ed a
diventano lunghezze esplicitamente date. Per un semplice teorema x si ottiene dividendo b per a.
Risolventi analoghe si ripetono continuamente nel testo: appaiono dimostrazioni in cui il principio
di omogeneit vale e si ritrovano le classiche tecniche dell'algebra geometrica e appaiono invece
dimostrazioni in cui il principio viene ignorato e la risoluzione appare puramente data dalla
costruzione geometrica, spesso tramite 'artifici meccanici' del tipo "squadri materiali" che si
muovono solidalmente, nelle soluzioni "in superficie piana".

Nonostante questa molteplicit di tecniche vi consapevolezza che la grandezza geometrica


ed il numero appaiono pressocch indistinguibili: "tanto a dire una quantit, quanto una cosa di
numero".

MATEMATICA E FISICA

La tesi dell'onnipotenza divina nei limiti del "principio di non-contraddizione" portava tra
laltro ad una accresciuta 'libert' dell'immaginazione che si tradurr in quella pratica, cruciale
della fisica moderna, a partire da Galileo e Stevin fino alla meccanica relativistica e quantistica,
basata sui Gedanken-experimente, che altro non sono che autentiche esperienze realizzate in un
mondo autonomo di modelli geometrici e meccanici, con gli "occhi della mente", nei soli limiti del
principio di non-contraddizione e in obbedienza 'condizionale' delle leggi naturali da testare. E
qualcosa di pi che luso della dimostrazione per assurdo (come nella dimostrazione di Archita
della infinitezza delluniverso): c la presenza di un sistema di assiomi intuitivi di natura fisica
da cui dedurre principi fisici espliciti. Un esempio particolarmente brillante di questa attivit
sperimentale nel "mondo mentale" quella dovuta a Stevin (vedi fig.15).

67
Qui si suppone una catena poggiata su un solido a sezione triangolare scalena (parte sinistra
della figura).
L'impossibilit 'evidente' di un moto perpetuo della catena intorno al solido implica che essa
star in equilibrio. Se eliminiamo la parte della catena pendente, per ragioni di simmetria la parte
restante rester ancora in equilibrio (parte destra della figura). Questo vuol dire che per i due lati
della catena restante, la cui massa proporzionale alla lunghezza e quindi inversamente

Fig.15
proporzionale al seno dell'angolo alla base, la parte del peso effettiva sar proporzionale al seno
dell'angolo alla base. Otteniamo cos il "teorema sulla accelerazione lungo un piano inclinato" per
via puramente 'deduttiva'.

Se confrontiamo lo schema di questa argomentazione coi risultati di Archimede, ad esempio il


suo metodo o il teorema sull'equilibrio dei pesi, in parte noti o comunque abbastanza omogenei
alla geometria di Eudosso e Euclide, e consideriamo il ruolo che vi svolgono ragioni di simmetria
e intuizioni 'fisiche', possiamo convincerci della continuit della evoluzione dei Gedanken-
Experimenten e del mondo mentale nel suo versante matematico e modellistico, dalla geometria
pitagorica fino alla meccanica classica. Ma dobbiamo notare che lo spirito modellistico con cui la
scienza moderna realizza gli esperimenti mentali sconta due aspetti assenti nella tradizione greca:
da un lato la "artificialit" dell'esperimento scientifico versus la "naturalit" dell'esperienza
aristotelica, dall'altro la struttura quasi fisica di un mondo mentale che nella filosofia e matematica
greca era stato solo sede di idee e di sillogismi.

Il rapporto tra matematica e realt naturale assume aspetti nuovi ma conserva anche tratti
antichi. Oresme tratta con disinvoltura linfinito e la probabilit. E consapevole che esistono
infiniti rapporti irrazionali inesprimibili in forma esponenziale. E, tornando alla originale
vocazione dinamica di questa teoria, Oresme nota modernamente che la probabilit che siano
commensurabili molto bassa e intuendo come gli irrazionali fossero pi numerosi e densi
rispetto ai razionali: "un eccesso impercettibiledistrugge un'uguaglianza e trasforma un rapporto
da razionale in irrazionale".
Di conseguenza anche le lunghezze dei periodi astronomici devono essere probabilmente
incommensurabili, e questo motiva il rigetto delle teorie astrologiche e dellidea del grande
anno, pur essendo convinto dellinfluenza delle cose celesti sulle attivit umane.
Oresme sembra considerare indifferentemente rapporti tra numeri o grandezze, quantit
razionali e irrazionali, superando la antica contrapposizione tra di esse anche se sembra sempre
preservare la distinzione euclidea. La stessa accettazione formale di Euclide, anche quando nella
sostanza ci si distacca, si ritrova nella asserzione secca che lunit parte di ogni numero,
ascritta allinizio del VII libro degli Elementi.
La associazione di numeri alle grandezze geometriche passa per lintroduzione degli aspetti
metrici nella geometria teorica: Bradwardine nella sua Geometria speculativa parla di uguale in
area a proposito delle figure geometriche.

68
Pi in generale, aritmetica e geometria costruiscono sequenze infinite di enti, per cui le loro
conclusiones sono infinite, implausibili per un intelletto creato e finito, necessariuamente
rimandano ad un intelletto increato e di potenza infinita.
Grosseteste e Henry of Harclay avanzano anche la tesi della esistenza degli indivisibili e che
quindi tempi e lunghezze fossero misurate dal loro numero di istanti e punti, tesi contrastata da
Bradwardine.

A questo punto, allalba della nuova scienza, si pu fare un confronto tra la matematica
europea e quella araba, per rispondere a quello che il pi grande interrogativo della storia della
scienza: perch in Europa? Perch la scienza moderna nasce qui e non in Cina o nellIslam?
Limitandoci al solo confronto con la scienza islamica, e considerando i soli aspetti scientifici,
si deve osservare come la matematica islamica appaia a prima vista aver fatto passi avanti nella
direzione della scienza moderna anche pi decisivi di quella europea: nella matematica islamica
risulta pi chiara ed esplicita la confluenza di continuo e discreto e la riduzione del rapporto a
numero, nonch pi avanzato lo sviluppo delle tecniche algebriche sintattiche (anche se senza un
nuovo simbolismo). Anche nelle scienze medie, dallastronomia allottica, i progressi appaiono
pi significativi, e pi sviluppate appaiono anche le tecniche alchimistiche e la strumentazione
astronomica.
La matematica europea, dopo limprovvisa fioritura legata ai nomi di Fibonacci e Jordanus
Nemorario, appare invece dominata dalla frattura tra una matematica universitaria antiquata e
inutile, ed una matematica dabbaco terribilmente rozza. Certo ci sono fenomeni positivi nelluso
della matematica su temi fisici da un lato, e su questioni tecniche e professionali dallaltro. Ma
niente di rilevante: ancora allinizio del cinquecento lunico settore scientifico ben caratterizzato
della matematica europea era lastrologia. Eppure nella matematica del tardo Medioevo si
preparano i caratteri di una svolta epocale.

In De Commensurabilitate Nicola Oresme, lultimo dei grandi scolastici del XIV secolo,
descrive il dibattito tra Aritmetica e Geometria, guidato da Apollo, che discutono sulla
commensurabilit dei moti celesti. Aritmetica difende la commensurabilit sia per il piacere che
procura in musica che per lutilit che rivela nella costruzione delle tavole astronomiche,
Geometria osserva invece, con la simpatia di Oresme, che lincommensurabilit garantirebbe una
grande variet di effetti, anche nella musica celeste. Aritmetica difende la conoscenza esatta,
Geometria sostiene invece il doversi accontentare di approssimazioni. Apollo introduce anche il
tema della impossibilit di una conoscenza esatta tramite i sensi.
Lopposizione tra continuo e discreto comunque confermata: magnitudospecies opposita
numero, ma si sottolinea, come gi Aristotele accennava, che la grandezza pu tradursi nella
natura numerica: magnitudofit in natura numeri, quando sia rationalis et numerata, e in tal caso
scientia de numero descendit in scientiam de magnitudine.
E ci si pone il problema, rilevante perch funzionale a questioni astrologiche, se i tempi di
percorrenza delle orbite planetarie siano commensurabili o no, osservando (molto modernamente)
che la probabilit che siano commensurabili molto bassa, intuendo come gli irrazionali siano
molto pi numerosi dei razionali. La modernit di Oresme appare anche nella capacit di usare
argomenti matematici per problemi fisici, ma la questione appare a noi anche abbastanza arcaica,
per il confronto tra una proposizione matematica ed una empirica in cui si ignora che la prima pu
parlare di uguaglianza in senso stretto, la seconda solo di uguaglianza a meno di errori nelle
osservazioni inevitabili e imprevedibili.
Ecco, qui si intravede levoluzione verso la matematica e la scienza nella Rivoluzione
Scientifica. Dove era infatti la matematica nellantichit e nel medioevo? Era immanente, sulla
superficie del mondo, era un frammento del linguaggio naturale che trattava di alcuni attributi
delle cose, numeri interi e figure, immediatamente percepibili: per Platone era un mondo di idee
che apparivano nelle cose, per Aristotele veniva astratta dalla realt, in primo luogo eliminando

69
la materia ed il moto. Aveva poi un ruolo cruciale nelle catene causali e quindi era la base della
scienza, e, se non era solo un insieme di tecniche, riguardava solo la verit necessaria e lessere
immutabile.
I filosofi naturali del Medioevo avevano cominciato a vederla anche nel movimento: sar
Nicola Cusano a vedere una curva nel moto di un punto su una ruota che rotola, e sar Tycho
Brahe a vedere nei cieli non pi sfere fisse ma traiettorie di corpi in moto. Nicola Oresme
arrivava addirittura a geometrizzare qualit fisiche come la velocit, la temperatura, etc., con la
imaginatione. Tuttavia esse restavano sempre immanenti anche se non normalmente percepite.
Quindi i tempi di rivoluzione planetaria erano ancora, come attributi, grandezze precise, i cui
rapporti dovevano essere, per il terzo escluso, commensurabili o incommensurabili.
Del tutto diverso il luogo della matematica per la scienza moderna: essa svanir dalla realt
immanente, si collocher nelle leggi fisico-matematiche di una realt nascosta e profonda, nelle
innumerevoli relazioni causali che spiegano il divenire di ogni evento nel mondo reale e che per
sommarsi negli effetti dovranno assumere un carattere numerico. Questa matematica non appare
nel mondo della vita quotidiana, richiede un linguaggio autonomo per essere descritta e non
tratter pi di numeri interi e figure, quanto invece di simboli algebrici, derivate e integrali, serie e
limiti, numeri reali, infiniti e infinitesimi, termini di un mondo che nella vita quotidiana
semplicemente non esiste. E la scienza non sar pi un sistema stabile di verit riguardo le
sostanze e i loro attributi, ma diventer un sistema per rispondere a problemi relativi alle
relazioni tra grandezze osservabili, diventer un metodo: unidea che serpeggia nel cinquecento e
che poi caratterizzer Descartes. Tre secoli dopo Hilbert sosterr che fin quando esisteranno
problemi matematici la matematica sar una scienza viva.
Ogni fenomeno reale sar leffetto di numerosissime relazioni causali scritte in forma
algebrica, e la cui misura possibile solo in laboratorio: solo in un ambiente artificiale infatti
possibile dipanare la matassa delle innumervoli leggi naturali che regolano la realt, isolandole. E
questa la distanza tra la antica esperienza (naturale e qualitativa) ed il moderno esperimento
(artificiale e quantitativo). Ed questa la stessa logica che sovrintende alla idea di macchina,
anchessa il luogo artificiale in cui si cerca di semplificare il sistema delle cause (eliminando gli
attriti, misurando esattamente le dimensioni, garantendo linvarianza delle condizioni e dei
materiali, etc.) per ottenere tutti e soli gli effetti voluti. La matematica non pi appiccicata alle
cose sulla superficie del mondo ma giace nella sua penombra, solo indirettamente e
approssimativamente da noi percepibile e utilizzabile, e per questo non avr pi senso chiedersi se
il rapporto tra i periodi di rivoluzione dei pianeti sia commensurabile o no. La nuova
dislocazione della matematica avr effetti epocali: gli stessi aspetti estetici della musica, che fino
al seicento hanno carattere matematico ed oggettivo, entro il settecento saranno ormai del tutto non
quantitativi e soggettivi, mentre la matematica sar solo nelle equazioni differenziali, la forma
impercepibile delle leggi fisiche delle onde sonore.
Ed questo sottile mutamento a rendere possibile la nascita di una teoria della probabilit,
una scienza del caso che apparir quasi allimprovviso verso la met del Seicento in autori quali
Fermat, Pascal, Huygens. Infatti in un mondo di catene causali deterministiche il caso solo una
mancanza soggettiva di conoscenza e dellignoranza non pu esservi una scienza. Ma in un mondo
in cui ogni evento effetto di innumerevoli causalit naturali i cui effetti si sommano, ed in cui la
scienza pu solo cercare di isolarne alcune per prevederne il divenire, si pu costruire una scienza
degli effetti minori trascurati e imprevedibili, degli innumerevoli mondi possibili che in ogni
istante si aprono davanti al presente.
La transizione fra queste due diverse collocazioni della matematica domina i primi secoli
dellera moderna, lalba della Rivoluzione Scientifica.

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA: GALILEO

70
Col XVII secolo si apre una stagione di trionfi per la scienza moderna e per la matematica che
ne il cuore. Il mutamento tanto profondo che invalsa labitudine di parlare di una autentica
rivoluzione scientifica, atto di nascita della scienza moderna.
La Rivoluzione Scientifica un processo complesso, ma oggi spesso descritta nei libri di
storia della scienza come il vestito di Arlecchino, il generico effetto di una zuppa di fattori
diversi, sociali, economici, tecnologici, culturali, filosofici, religiosi, etc.
C invece un filo rosso che la percorre tutta, e tale filo proprio il nuovo luogo della
matematica, descritto nelle pagine precedenti. Ed la meccanica il centro di questa nuova
collocazione, anzi direi lidea stessa di macchina (e di esperimento) al centro della riflessione
per tutto il seicento.
Il pensiero aristotelico era una totalit in cui i diversi aspetti si tenevano insieme; ragion per
cui nonostante i dubbi e le critiche cui erano stati sottoposti quasi tutti i suoi caposaldi poteva
crollare solo tutto insieme, e questo non accadde fino al seicento, quando Galileo e Descartes
smantellarono praticamente tutto ledificio aristotelico.
Alla base di questo mutamento ci sono alcune novit che vanno sottolineate:
- il divenire (e quindi il moto) viene inserito nellessere e cessa di essergli opposto, e cos
cessa di essere sostanzialmente una contraddizione impermeabile alla conoscenza o un segno di
imperfezione. Le dottrine tardo-medievali considerano ancora il moto una sorta di qualit delle
sostanze ma la "quiete" tende a divenire un valore particolare (nullo) del moto, la "somma tardit"
in Galileo, e non il suo opposto, cos come lo zero un numero particolare e non lassenza del
numero, all'interno di una idea di continuit che si estende al di l della semplice grandezza
geometrica. La sintassi della opposizione polare basata sulla negazione viene sostituita dalla
sintassi della progressiva coincidenza di grandezza e numero, basati su uguale, maggiore, minore.
E sar come numero "variabile" che il 'divenire' aprir la strada alla nuova scienza fisica-
matematica.
- la filosofia aristotelica era basata sugli oggetti individuali la cui caratterizzazione doveva
dare conto della evoluzione. Era un pensiero di sostanze ed accidenti tipicamente incapace di
trattare i concetti di tipo relazionale e funzionale. Essendo allora il moto connesso a qualche
sostanza non poteva essere relativo, n aveva senso parlare di composizione di moti
qualitativamente differenti. Questa difficolt comincia a svanire solo con la fine della Scolastica e
crolla con Galileo. Tuttavia, fino alla met del settecento non compare alcuna frattura tra fisica-
matematica e filosofia: Galileo vorr essere nominato primo filosofo e matematico, il capolavoro
di Newton sar il Philosophiae Naturalis Principa Mathematica, che il recensore sul Journal des
Savans, osservando come lo studio newtoniano delle forze fosse matematico e lattrazione fosse
da un punto inesistente nella realt e non da un corpo reale, definir unopera di meccanica ma
non di fisica, intesa come filosofia naturale. In realt, con le eccezioni di fisici puri come
Galileo e Huygens, saranno praticamente sempre princpi di natura metafisica e teologica alla base
delle leggi fisiche, da Descartes e Kepler a Leibniz e Newton.
- la connessione immediata tra realt e conoscenza, tipica della Antichit, rimane, ma muta
lentamente il 'linguaggio di rappresentazione': dal classico lessico teoretico di Aristotele si passa
ad un linguaggio matematico, dapprima geometrico e poi algebrico, che viene considerato del tutto
omogeneo alla realt naturale e unico strumento per superare le discrepanze tra fenomeni soggetti
al mutamento e leggi scientifiche immutabili e necessarie, per costruire una "scienza" a partire
dallesperimento. Di questo spostamento fa parte il rifiuto della 'logica' identificata con il
sillogismo scolastico ed in quanto tale da un lato legata ad una 'esperienza comune' opposta al
nuovo 'esperimento scientifico', dall'altro di natura puramente verbale: "insegnarvi delle parole,
ma non delle verit, che son cose" (Dialogo sui massimi sistemi, 242):

A me pare che la logica insegni a conoscere se i discorsi e


le dimostrazioni gi fatte e trovate procedano
concludentemente; ma che insegni a trovare i discorsi e le

71
dimostrazioni concludenti, ci veramente non credo io
(Discorsi intorno a due nove scienze, 707)

Il metodo cartesiano e l' ars inveniendi di Leibniz manifestano cos l'esigenza non di tecniche di
'prova' quanto invece di strumenti di 'scoperta' delle leggi naturali.
- Anche la incompatibilit tra matematica e fisica tipica dell'Aristotelismo tende a svanire. Il
personaggio aristotelico inventato da Galileo, Simplicio, tende a contrapporre la tangenza di una
retta ad un cerchio in geometria, laddove si realizza in un singolo punto, e nella realt fisica, dove
si verifica in un intervallo. Galileo/Salviati fa notare che ancora pi difficile in realt trovare due
corpi che si tocchino su una intera superficie che su un singolo punto.
- Il mondo 'mentale' acquista una crescente autonomia e si configura sempre pi come un mondo
di 'modelli meccanici'. Di questa evoluzione traccia lo sviluppo, notevole in Galileo, degli
"esperimenti mentali". Tra questi quello famoso che porta alla conclusione delle indipendenza
della accelerazione di gravit dal peso: consideriamo due oggetti che cadono separati e poi
collegati con una corda; non pensabile che questo legame muti sostanzialmente il loro moto pur
essendo il nuovo oggetto dotato di un peso somma dei due pesi iniziali. Qui si nota come nel
mondo mentale galileano le propriet dinamiche siano "analitiche", agenti cio sui singoli
elementi indipendentemente, senza che in questa azione entrino fattori dovuti alla "totalit".
- La meccanica si caratterizza come disciplina connessa alla geometria pi che come parte
della fisica. E vengono analizzate solo le propriet meccaniche quantificabili: grandezza, figura,
numero, movimento (qualit primarie per Boyle e Locke), considerando secondarie le altre, non
quantificabili, che invece nella fisica aristotelica erano quelle principalmente caratterizzanti le
sostanze (colore, essenza, calore, umidit, potenzialit). Essa era una disciplina speciale, non solo
una scientia media, intermedia tra matematica e fisica (che restava ancora sostanzialmente
qualitativa), come lastronomia e la musica, ma anche il terreno di una mediazione inedita tra
scienza e tecnica. Vi assoluta continuit tra meccanica e geometria, scriver Newton: il metodo
derivato immediatamente dalla natura stessa [de methodis], fluenti e flussioni avevano luogo
nella realt della natura fisica. Quella geometrica non una rappresentazione, ma una immagine
immediata e fedele di una realt non percepibile se non per via sperimentale e non esprimibile che
geometricamente. Per Newton non pi la meccanica una scienza mista subordinata alla
geometria, ma la geometria una forma di meccanica, in quanto la prima si attua tramite le
operazioni meccaniche di tracciare linee e costruire figure e la seconda in pi ha il tracciamento di
forze e moti.
- i segni estendono la loro influenza oltre il commercio e la scrittura, cominciando ad investire
anche la produzione. Gli artigiani e gli ingegneri impegnati nelle grandi opere idrauliche, fortezze,
cattedrali usano principi di statica soprattutto rinverdendo la tradizione archimedea.
Progressivamente lesperienza comune diventa lesperimento, progettato tramite segni e con
risultati quantitativi, misure e quindi segni, e, prima di essere realizzato in laboratorio, sar
realizzato nelle officine (i due ambienti sono inizialmente quasi indistinguibili, ad esempio per
gli alchimisti). Cos anche distinzioni aristoteliche, chiarissime all'interno della esperienza, quale
la opposizione tra moto naturale e violento, perdono di senso nell'ottica dell'esperimento.

Ma ancora fino al XVI secolo la tradizione sperimentale e quella matematica restano


abbastanza indipendenti: un grande sperimentatore come William Gilbert e il teorico dello
sperimentalismo Francis Bacon ignorano la matematica: gi Ockham aveva capito che la quantit
era estranea alla descrizione empirica della realt comune. E col XVII secolo che i due filoni
tendono a fondersi.
In Stevin il legame esplicito: le osservazioni sperimentali (in astronomia, alchimia,
medicina) devono essere fatte da molte persone in molti luoghi diversi, e i risultati devono essere
confrontabili. A questo fine serve una lingua comune: il greco, meglio ancora il fiammingo, ma

72
lordine migliore di presentazione, quello che diventer canonico, si ha con la matematica,
linguaggio comune delle osservazioni e delle leggi.
Archimede aveva usato la statica per sviluppare la geometria, e aveva anche, con Apollonio
ed altri, cercato di usare il moto per dare soluzioni ai problemi irresolubili con riga e compasso
(spirale). Tuttavia le sue idee geometriche e statiche erano state applicate da lui anche per scopi
pratici. In Grecia la matematica studiava enti immutabili, e la meccanica era solo un punto di
partenza o un ausilio da abbandonare per giungere a vera conoscenza. In Galileo lessere
invece oggetto della meccanica e la matematica ne lo strumento conoscitivo principe, assieme
allesperimento. Tuttavia in Galileo compaiono pochissimi numeri, mentre vi sono molte figure
illustrate con proposizioni di stampo geometrico: in questo Galileo un rinascimentale, al di qu
della riduzione sintattica e del nuovo ruolo dei segni che verr realizzato dallalgebra moderna:

La filosofia scritta in questo grandissimo libro che


continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico
luniverso), ma non si pu intendere se prima non simpara
ad intendere la lingua, e conoscer i caratteri, ne quali
scritto. Egli scritto in lingua matematica, e i caratteri
son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche... (Il
Saggiatore)

Luniverso un libro matematico, e quello che c scritto in caratteri geometrici la filosofia


naturale: Galileo non dice luniverso descritto matematicamente nel libro (della scienza) o le
leggi naturali delluniverso sono scritte matematicamente in un libro. Tra la matematica, la fisica
e il mondo c lo stesso rapporto che c tra i caratteri, il testo e il libro. La matematica di Galileo
quindi ancora sostanzialmente immanente, ma gli enti matematici non sono pi gli attributi reali
ed immediati delle cose, sono invece la descrizione geometrica della realt sottostante ignota, di
cui la realt immediata comincia ad essere ormai solo la manifestazione superficiale: il peso il
fenomeno di una gravit sulla cui natura Galileo non si pronuncia, ma della quale descrive la
struttura matematica. Le differenze tra matematica e realt non sono pi dovute alla presenza della
materia che perturba le pure forme geometriche, ma al fatto che diversi aspetti geometrici
descrivono diverse causalit, e la realt percepita ne la somma. I pianeti allora, con tutte le loro
irregolarit mostrate dal telescopio, sono corpi geometrici a tutti gli effetti, quanto la pi perfetta
delle sfere.
Per Galileo la matematica era la geometria, poich fino allottocento la matematica era
centrata sulla geometria e laritmetica svolgeva un ruolo marginale, mentre quella formulazione di
funzioni per via simbolica che noi chiamiamo solitamente algebra prima di Descartes era
sostanzialmente assente e dopo Descartes trovava il suo senso solo nella geometria analitica.
Il linguaggio quasi sempre il volgare. Particolarmente significativo il superamento della
dicotomia essere/non-essere, non solo nella idea di quiete/moto (ad esempio rifiutando lobiezione
avanzata al cannocchiale secondo la quale avrebbe trasformato oggetti invisibili in visibili,
trasformando il non essere in essere). La velocit inoltre non ancora esplicitamente un rapporto
tra spazio e tempo, si possono solo fare rapporti tra grandezze omogenee, secondo la tradizione
euclidea.
Tuttavia questa rappresentazione, quando applicabile, assolutamente certa, "cos assoluta
certezza, quanto se n'abbia l'istessa natura": di queste conoscenze Dio ne conosce di pi, le
conosce per semplice intuito e non "con discorsi e con passaggi", ma non per questo le sue sono
pi certe.

La continuit del moto forse il problema matematico pi evidente in Galileo.


Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo ne osserva i caratteri matematici: nel
moto di un grave lanciato verso lalto evidente che ad un certo punto esso si ferma e poi

73
comincia a cadere. Per quanto tempo si ferma? Per un solo istante? E nellistante successivo alla
quiete con che velocit si muove? Simplicio trova difficolt ad accettare che un oggetto che cade
passi per tutti i gradi di velocit inferiori a qualsivoglia grado di velocit, senza restar pure un
momento stazionario. Come possibile concepire un passaggio continuo dalla quiete al
movimento, dal nulla al qualcosa, dal non essere allessere, passando per infiniti gradi di velocit:
si intravede lidea di velocit nellistante e quindi si sentono i paradossi di Zenone, tanto lAchille
quanto la freccia.
Il grave passa invece per tutti i gradi di velocit: Salviati spiega che il passaggio avviene
senza dimorare in veruno, dando cos realt fisica all'istante e la quiete, somma tardit viene
cos immersa nel moto. Questo un passaggio cruciale: moto e quiete cessano di essere opposti, e
la quiete diviene un particolare moto. Questo si ritrover confermato in Descartes; in Leibniz
lomogeneit di moto e quiete caratterizzer la possibile mutua trasformazione continua.

a
a

n s
n s
fig.18

E questa lidea cruciale, pi che la legge del moto per cui lo spazio percorso dal grave cresce
col quadrato del tempo. Occorre ricordare che Galileo non conosce il numero reale ed alle spalle
ha una tradizione in cui la velocit cresceva di un gradus alla volta. Lo zero non esiste, al suo
posto c il non gradus, ma non solo un problema di termini, semplicemente non c un numero
zero che separi i positivi dai negativi, come un punto su una retta la divide in due semirette.
Caratteristico di questa difficolt un diagramma (a sinistra in fig.18) in cui Galileo illustra il
problema con un intervallo ns che si muove nella direzione della freccia sino ad annullarsi nel
vertice a, che si presenta come una sorta di limite, passando con continuit per tutti i valori
intermedi. La fig.18-destra in Galileo non esiste, non pu esistere: in essa a sarebbe lo 0 che
divide positivi e negativi. Quello che Galileo concepisce una sorta di processo di rallentamento
al limite dalle grandezze finite (di grado in grado?) fino al non gradus: la nuova idea di numero
basata sul numero reale richieder tempo per affermarsi del tutto.

Riguardo allinfinito Galileo conserva la tesi tradizionale secondo la quale: ...dellinfinito


una parte non maggiore dellaltra, ma parla ormai esplicitamente di un infinito attuale. Anche
sui concetti geometrici che saranno cruciali per la nascita del calcolo infinitesimale (come la
tangente), Galileo non ha nessun timore nel parlare dell'infinito e dei limiti, anche se in senso
ovviamente ancora solo intuitivo.

74
Nei Discorsi intorno a due nuove scienze egli analizza lesperimento mentale della rota
Aristotelis, sostituendo un esagono al posto della ruota e scoprendo cos che se rotola la figura
maggiore, la minore deve fare delle specie di salti. Se i lati sono mille essa interrottamente
composta di mille particelle uguali a i suoi mille lati con linterposizione di mille spazi vacui,
quando il poligono diventa un cerchio, quello maggiore ha infiniti lati e quello minore ha i lati e i
vacui infiniti, in tutti i casi non quanti, cio inestesi. Vengono rifiutati gli strascicamenti perch
essi sarebbero infiniti e quindi realizzerebbero una linea infinita. Occorre immaginare al limite "i
lati non son quanti, ma bene infiniti, cos gli interposti vacui non son quanti, ma infiniti", e la linea
va immaginata "risoluta in parti non quante, cio nei suoi infiniti indivisibili, distratta in
immenso senza l'interposizione di spazi vacui quanti, ma s bene d'infiniti indivisibili vacui", la
condensazione e rarefazzione si traduce in infiniti indivisibili ritiramenti nella linea disegnata
dalla figura maggiore. E questa di Galileo lunica caratterizzazione geometrica non intuitiva

Fig.19

del concetto di continuit che si trova nella storia della matematica: nellantichit il concetto era
fisico e qualitativo, nellera moderna esso diventer un concetto aritmetico (fig.19): l'idea di
continuit non riesce ancora a trovare una espressione credibile nella fisica rinascimentale.
Allo stesso modo si confrontano due linee: entrambe hanno infiniti punti pur essendo di
diversa lunghezza. Difficolt ottenute dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e
terminate. Poi c lesempio degli insiemi degli interi e dei quadrati degli interi, che si possono
porre in corrispondenza biunivoca pur essendo il secondo sottoinsieme proprio del primo: gli
attributi di eguale maggiore e minore non aver luogo neglinfiniti. Le parti quante nel continuo
terminato... non esser n finite n infinite. Poi fa un altro esempio: quello del cerchio che cresce e
si trasforma in una retta da un lato, in un punto dallaltro.
Di fronte a quello che Leibniz chiamer il "labirinto del continuo" appare ragionevole la
antica sfiducia aristotelica sulla applicabilit della matematica alle cose fisiche, come commentava
Simplicio obiettando che son cose matematiche, astratte e separate dalla materia
sensibile...applicate alle materie fisiche e naturali non camminerebbero secondo coteste regole.
Simplicio riprendeva argomenti protagorei per distinguere il cerchio matematico da quello reale,
ma Galileo rispondeva che la sfera o il piano reali erano s irregolari ma forme geometriche non
meno precise del cerchio o del piano matematici: era a caccia di leggi matematiche reali come
sostanza del reale, anzi per lui proprio del non matematico era lessere soggettivo, e avvalorava la
tesi di enti composti di infiniti elementi indivisibili, anche se era acutamente consapevole dei
rischi che si correvano nel concludere con la realizzazione di processi attualmente infiniti: appare
in lui una duplicit tra l'aspetto dinamico, il processo potenzialmente infinito di suddivisione, e
l'aspetto statico, l'infinito attuale, il limite del processo.

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C lesempio particolarmente fascinoso della scodella e cono in cui la circonferenza di
un cerchio immenso possa chiamarsi uguale a un sol punto, in quanto allo stesso tempo bordo

A C B

O N L P

N F E

Fig. 20

della scodella e vertice del cono. (Discorsi intorno a due nuove scienze, 598); in fig.20: il
semicerchio AFB ruotando intorno all'asse FC descrive una semisfera, il triangolo CDE descrive
un cono, il rettangolo ABED un cilindro. Si vede, per ogni punto P sull'asse, con semplici calcoli
che l'area del settore circolare formato nella rotazione da ON uguale all'area del cerchio di raggio
PL. Questa relazione vale per ogni P, e in particolare per C, laddove il settore circolare diviene
una circonferenza e il cerchio diventa un punto

Lo stesso principio di inerzia nasce dalla completa liceit, anzi dalla fertilit scientifica,
dell'idea di "infinito". Galileo vi arriva infatti immaginando un piano inclinato la cui inclinazione,
diventando infinita, lo rende piano orizzontale, e soltanto su tale piano 'ideale' il principio si
manifesta. Ed solo a questo limite all'infinito che il moto, conservandosi, finalmente passa dal
regno del divenire e della contraddizione nel regno dell'essere e della scienza. L'infinito il luogo
in cui si rompono le opposizioni aristoteliche, cos che un cerchio di raggio crescente, all''infinito'
diventa una retta.
Tuttavia, anche qui, nelle possibilit di una trattazione matematica, l'infinito resta limitato alla
sua manifestazione potenziale e soprattutto 'cinematica', carattere questo che conserver fino
all'Ottocento, ma gi ora l'infinito attuale 'dicibile', anche se ad esso non si possono applicare
concetti e propriet delle quantit finite. Per trattare il continuo al di fuori dei vincoli aristotelici
Galileo, alla questione della composizione del continuo, cui gli Aristotelici rispondevano
classicamente esservi parti finite in atto, infinite in potenza, risponde:

non esser n finite n infinite tra le finite e le infinite


ci sia un terzo medio termine, che rispondere ad ogni
segnato numero (Discorsi intorno a due nove scienze, 607)

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA: LALGEBRA

Nel Seicento muta anche il sistema delle istituzioni scientifiche: tramonta il sistema delle
scuole dabbaco e le universit diventano sempre pi ininfluenti (Galileo e Newton saranno
inizialmente universitari, ma lasceranno le universit per altri incarichi). Il dibattito culturale si
trasferisce nelle Accademie che fioriscono ovunque nel seicento, le quali sono poi la punta
delliceberg di una intensa corrispondenza interpersonale tra i principali uomini di scienza.

76
Rispetto alla tradizione medievale vi una svolta radicale soprattutto sui fondamenti della
matematica, anche se i successi pratici metteranno un po in ombra tali aspetti fondamentali,
mentre la nuova fisica si fonda rielaborando temi di filosofia naturale.
Un primo dato importante che si riscontra da Descartes a Newton lidea diffusa che la
conoscenza degli enti matematici proceda direttamente dalla osservazione del reale, quasi
naturalmente, tramite un corretto metodo scientifico. Per Galileo il linguaggio matematico quello
del libro della natura, per Descartes basta affidarsi alle idee chiare e distinte, per Newton le
nozioni del calcolo appaiono quasi immediate dalla osservazione scientifica. In Descartes le idee
matematiche appaiono praticamente innate e organicamente legate alla immediata percezione del
cogito, in Leibniz sono derivare immediatamente dai principi logici in quanto sostanzialmente
analitiche, tautologie, e quindi ancora una volta immediate. Strano, poich tali enti non sono pi
attributi della conoscenza comune, numeri e figure, ma enti strani, non percepibili nella realt
quotidiana: segni algebrici, serie infinite, numeri reali, derivate e integrali, equazioni e funzioni.
Cos tanto il problema ontologico quanto quello epistemologico si riducono al solo problema
metodologico.

E' noto che la geometria analitica di Descartes segna un nuovo rapporto tra algebra e
geometria, tra una nuova notazione e la tecnica delle coordinate geometriche, sviluppatesi nei
secoli precedenti con saltuarie mutue connessioni, ma che solo in Descartes troveranno la struttura
di un linguaggio, destinato a segnare la storia della scienza moderna. Sarebbe tuttavia impreciso
dire semplicemente che la geometria analitica segna l'applicazione dell'algebra alla geometria,
poich proprio della trasfigurazione dellalgebra stiamo parlando.
Sappiamo che algebra e geometria teoretica provenivano dalle due anime diverse della
matematica greca: l'algebra discendeva dalla matematica pratica di origine babilonese, preservata
e sviluppata dagli algebristi arabi ed italiani nel Medio Evo nella teoria della risoluzione delle
equazioni, sempre con un doppio approccio, da un lato puramente sintattico dall'altro tramite le
tecniche dell'antica aritmogeometria.
La geometria era rifiorita invece con le nuove edizioni di Euclide, Archimede, Apollonio,
Pappo. I suoi temi pi dibattuti erano centrati sui 'loci' e sul calcolo di aree e volumi, ed anche la
Geometrie cartesiana parte da un problema relativo ad un 'locus', studiato da Pappo.
In questa nuova sintesi l'"incognita", numero ignoto nella tradizione algebrica, diventava la
grandezza generica costitutiva del locus e poi la "variabile", punto che 'genera' la linea. La
"propriet" legata allo studio dei 'luoghi' geometrici doveva diventare la "equazione" algebrica. Il
"punto" della curva doveva diventare la coppia di "coordinate", numeri reali.

Questa novit appare in Francia allinizio del Seicento, e Viete, Fermat, Descartes hanno
radici culturali del tutto diverse dagli algebristi italiani. Questi avevano una formazione
matematica e meccanica, spesso molto pratica, e talora erano collegati a facolt come medicina. I
francesi invece hanno una formazione giuridico-retorica e filosofica, e sono amateurs della
matematica.
Il bagaglio tecnico da cui partono italiani e francesi non molto diverso, ma c tra di essi una
grande differenza: la notazione algebrica degli italiani si trasforma nei francesi in un linguaggio
algebrico. Per la prima volta nella storia la matematica si dota di un suo autonomo linguaggio
simbolico (la costruzione geometrica era stata solo una presentazione iconica ed il lessico euclideo
era interno al linguaggio naturale).
Vediamo come cambia lespressione di una equazione dalla met del cinquecento alla
Geometrie di Descartes (1637). Erano gi comuni i simboli per le operazioni aritmetiche, in
aggiunta Bombelli scriveva unequazione come
agguagliasi 13+27 a 62
Viete invece scrive
aggiungere Z a A piano/B, la somma sar (A piano) + (Z in B)

77
B
Descartes infine scriver
z2 a z + b b.
Bombelli ha una notazione in cui pu esprimere i polinomi ( la incognita) e poi una parola
(agguagliasi a) per esprimere lequazione. Viete estende la notazione per esprimere attributi
dei termini (piano esprime che la grandezza A bidimensionale) ed ha lettere tanto per le
costanti che per le incognite, ma sar Descartes a fare della equazione una proposizione in un
nuovo linguaggio totalmente simbolico ( il segno di uguaglianza).
Cambia anche il ruolo della x, la cosa degli algebristi rinascimentali. Per questi essa era
ancora semplicemente la grandezza incognita, tra gli algebristi francesi essa diventer anche la
grandezza generica, con cui rappresentare curve e luoghi geometrici, e i suoi quadrati e cubi
diventeranno potenze. Pi tardi, quando la meccanica imporr il trattamento geometrico del
divenire, diventer anche la grandezza variabile per esprimere le grandezze fisiche.
Sempre pi evidente lisomorfismo tra lalgebra geometrica e quella simbolica. In Viete
domina lequivalenza tra diversi linguaggi: quello geometrico, quello algebrico, quello meccanico,
quello delle proporzioni, senza una gerarchia.
Poi apparir sempre pi netta la centralit di quello simbolico, la quale appare anche nello
sviluppo del concetto di numero: il numero reale gi apparso nella generalizzazione degli
algoritmi numerici e nella notazione decimale di Stevin. Ora il simbolo algebrico, sin da Diofanto
considerato un simbolo aritmetico, appare rappresentare una grandezza ed il numero reale
appare come la sua istanziazione metrica. Ma alcune equazioni mostrano soluzioni formali che
non paiono grandezze. In primo luogo soluzioni negative, e poi soprattutto, con lautonomizzarsi
delle tecniche di manipolazione algebrica, appare anche lidea di numero immaginario.
Questa estensione si lega allintuizione, che verr dimostrata successivamente da Gauss, che
una equazione di n-esimo grado ammetta n radici, anche se non tutte distinte. Ma esistevano
invece equazioni di secondo grado senza soluzioni o di terzo con una sola soluzione, e gi Rafael
Bombelli si era accorto che esistevano equazioni di III grado la cui unica soluzione appariva
immaginaria, ove soluzione immaginaria era la soluzione formale che conteneva la (-1), il
numero immaginario che verr poi indicato con i, per formare numeri complessi, ottenuti come
somma formale di un numero reale e di uno immaginario: a+ib. E soprattutto di poterla mostrare
equivalente ad una reale manipolando algebricamente la soluzione che dallalgoritmo appariva
complessa. Infatti lquazione x3 = bx + c ammetteva come soluzione:
x= 3 {c/2 + [(c/2)2 (b/3)3]} + 3 {c/2 - [(c/2)2 (b/3)3]}
la quale per (c/2)2 < (b/3)3 d una somma di radici di numeri complessi. E tuttavia dalla
manipolazione algebrica si otteneva una soluzione reale, e questo in un certo senso mostrava una
certa omogeneit dei numeri complessi con quelli reali.

All'inizio della sua Geometria Descartes introduce l' "unit di misura" e la procedura con cui
definire un segmento la cui 'misura' il prodotto della 'misura' di due segmenti, segnando cos la
fine della "legge di omogeneit" e l'inizio della natura relazionale dell'idea di 'misura' che quindi
assume il carattere di un numero 'adimensionale' di unit di misura 'dimensionali'. Questo viene
realizzato con la costruzione gi introdotta da Bombelli che sostanzialmente inverte la costruzione
dei razionali in Euclide (vedi fig.17(c)). In Aristotele il concetto di "misura" era tout court il
numero di unit di misura la cui natura sostanziale implicava la natura sostanziale della misura,
ora la misura acquista invece un senso relazionale. Il crollo dell'impianto 'sostanzialistico' apre
anche la strada alla analisi dell'aspetto relazionale di concetti essenziali, quali l'"uguaglianza" o la
"causa/effetto" che erano rimasti difficilmente trattabili nella logica aristotelica. E la legge di
omogeneit scompare cos a livello simbolico ma non semantico, se vero che per trarre la radice
cubica di una espressione come a2 b2 -b, "si deve considerare la prima quantit divisa per l'unit e
la seconda moltiplicata due volte per l'unit."

78
Lalgebra ed il numero reale segnano la fine della opposizione tra tradizione pratica e teorica,
e anche di quella tra geometria/continuo e aritmetica/discreto. Appare una disciplina algebrica,
talora chianata mathesis (o arithmetica) universalis, che tratta delle grandezze in generale,
indifferentemente aritmetiche o geometriche.

Quegli algebristi francesi in realt preferivano definirsi analisti, poich si richiamavano


alla analisi (in contrapposizione alla sintesi) di cui si parlato a proposito della matematica
greca. Addirittura cera tra di essi limpressione di stare riscoprendo tecniche analitiche, nascoste
dai loro antichi autori. Ma in realt lantica coppia analisi/sintesi si sovrappone nel seicento da un
lato alla distinzione di origine aristotelica tra composizione (procedere dalluniversale al
particolare, secondo lordine naturale) e risoluzione (procedere dal particolare alluniversale,
secondo lordine della conoscenza), dallaltro alla alternativa tra algebra simbolica e geometrica.
Lapproccio geometrico appariva quasi sempre sintetico (anche se il tentativo di una analisi
geometrica appare in Newton), e quello algebrico sempre analitico. Cos che la procedura sintetica
non era semplicemente linverso di quella analitica, ma talora era la semplice ricostruzione
geometrica della soluzione simbolica o una procedura del tutto diversa. In generale pi che lantica
opposizione analisi/sintesi trionfa lidea di Viete di una generale intertraducibilit tra i diversi
linguaggi matematici, ed in realt quella tra metodi algoritmici simbolici e metodi geometrici
lalternativa principale che appare nella nascita della nuova scienza nel XVII e XVIII secolo.
Sia Viete che Descartes fanno riferimento a Pappo, ma il primo per le sue idee metodologiche
sulla 'sintesi' e la 'analisi', su 'teoremi' e 'problemi', il secondo per uno specifico, classico problema
di ricerca di un "luogo" geometrico. Rappresentando i punti tramite coordinate il nuovo linguaggio
assume una autonomia inedita cos che la stessa geometria ad assumere per la prima volta una
forma simbolica.
La Geometrie di Descartes quanto di pi diverso si possa immaginare dalla geometria di
Euclide: niente assiomi e postulati, niente definizioni, niente teoremi. Inizia semplicemente con la
descrizione dellisomorfismo tra operazioni aritmetiche e operazioni geometriche, tra cui il
prodotto, poich occorreva fare si che il prodotto di due intervalli fosse un intervallo e non un
rettangolo, e la soluzione di Descartes proprio quella intuita da Bombelli (fig.13 destra (c)).
Bastano questi caratteri (niente struttura assiomatico-deduttiva, niente principio di omogeneit) a
confermarci come lalgebra simbolica derivasse dalla tradizione pratica. Ma per Descartes il
metodo, e quindi lalgebra, ha un ruolo centrale, e cos, diversamente da Viete, questa volta c
una gerarchia: la geometria che sempre pi deve essere tradotta in linguaggio algebrico.
Anche quando esplicitamente richiesto, nelle Seconde Obbiezioni, di dare struttura euclidea
alle sue Meditationes, la realizzazione di Descartes solo apparentemente tale: sono
esplicitamente elencate in maniera ordinate le stesse "riflessioni" e "considerazioni" presenti nella
versione originale, come se la differenza tra il suo metodo e quello euclideo fosse solo quella tra
quelle che gli antichi greci chiamavano "analisi" e "sintesi", mentre invece in gioco vi la
sostituzione della semplice deduzione con un metodo. Qui appare la diffidenza, comune a gran
parte del pensiero scientifico post-scolastico, verso il processo 'sintetico' della tradizione
aristotelica ed euclidea. La svolta epocale: la scienza non pi un riflesso del mondo, sintetica in
quanto dimostrativa, dimostrativa in quanto il sillogismo limmagine della relazione di
causa/effetto. La scienza un processo attivo di interrogazione e soluzione di questioni, analitica
in quanto sono le questioni a guidare lindagine.
Fermat e Descartes riescono ad associare equazioni a curve, distinguendo le curve
geometriche da quelle meccaniche sulla base della esistenza di una singola equazione algebrica tra
intervalli che la descrive (cos ad esempio la spirale non geometrica poich non posso
rappresentarla senza coordinare un moto rettilineo con uno circolare). E Descartes classificher le
curve dapprima sulla base di criteri geometrico-meccanici, quali la semplicit della macchina per
tracciare la curva, ma alla fine si baser soprattutto sul grado dellequazione.

79
Nella geometria nel Seicento francese non c solo la analisi di Descares e Fermat, un altro
capitolo importante la geometria proiettiva di Desargues e Pascal. Essa appare legata ad una
doppia origine: la teoria delle sezioni coniche sviluppata nellantichit e la prospettiva apparsa
nellarte e nellingegneria rinascimentale. In entrambi i casi la collocazione del centro di
proiezione rispetto al piano di proiezione modifica la figura ottenuta dalla proiezione (un
cerchio diventa unellisse, rette parallele diventano convergenti). Ed appare lesigenza di
considerare ci che nella descrizione del mondo esterno rimane invariante al variare del soggetto
che conosce e che misura le grandezze, una esigenza che caratterizzer la geometria moderna nel
suo rapporto con le scienze fisiche fino alla teoria della Relativit. E in fondo lantica esigenza
che la scienza sia intersoggettiva, la stessa per tutti gli esseri razionali.

Fig.21

A Desargues si deve un teorema della geometria proiettiva che ha sempre attirato lattenzione
dei matematici: Se due triangoli sono in prospettiva da un punto, allora i tre punti di intersezione
dei lati corrispondenti sono allineati, e viceversa (fig.21). Il teorema ovvio nello spazio, nel
quale pu essere dimostrato facilmente dagli assiomi di incidenza. Nel piano invece stranamente
la dimostrazione pi complessa, richiede lassioma di congruenza tra i triangoli, a meno che non
venga ottenuta come semplice proiezione del teorema dallo spazio sul piano.

IL RAZIONALISMO E IL NUMERO REALE

Caratteristica dell'epoca la tematizzazione della funzione della mente nella conoscenza, ma


diversamente dalle tendenze materialiste, sensiste ed atomiste, quali si riscontrano con Hobbes e
Gassendi, in Descartes la mente, sotto le insegne del "pensiero", acquista una autonomia inedita,
cessando di avere quel ruolo 'derivato' dai sensi che aveva avuto nella Scolastica: nihil est in
intellectu quod prius non fuerit in sensu. A cui Leibniz aggiunger nisi intellectus ipse. Per
Descartes sono in primo luogo l' "io" e le idee di Dio e anima che non sono nei sensi, sono idee
innate che derivano direttamente dal 'dubbio' cartesiano.
Caratteristico del pensiero cartesiano poi il dualismo tra estensione e mente. La divisione
in parti era tipica dei corpi, assurda per lanima. Il cogito ergo sum la via di ingresso alla
scoperta del "soggetto" e dell'anima come irriducibili alla pura estensione.
E la ghiandola pineale il luogo ufficiale in cui per Descartes si incontravano lo spirituale
e il materiale. Tuttavia nella sua matematica questo ruolo di collegamento viene svolto dal segno
algebrico: oggetto ideale in quanto infinitamente riproducibile in istanze identiche e
perfettamente distinguibile, oggetto reale nellessere del tutto manipolabile e reperibile. E
linizio di un processo che culminer tra XIX e XX secolo nella aritmetizzazione della analisi,
nella logica matematica e nella computer science.
La continuit contrassegna invece l'essere, nella descrizione spaziale come linguaggio
geometrico e rifiuto del vuoto, nella descrizione temporale come differenza rispetto al 'sogno'. Ed
il ruolo cardine dell'estensione intesa come sostanza del reale che garantisce la riducibilit
matematica della natura e cos la ricostruzione della armonia tra verit ed essere.
La geometria cartesiana il registro sul quale si creer il concetto di modello geometrico-
meccanico del reale e che avr nel settecento una forma sintattica in quelle leggi algebriche della

80
natura che si svilupperanno insieme alla analisi matematica. La grande idea del paradigma di
Descartes consisteva proprio nellidentificare lalgebra, oggetto generale della sua mathesis
universalis a base simbolica, con la sostanza del mondo basata sulla estensione, e quindi legare
algebra e geometria e, nel contempo, geometria e realt, proponendo un nuovo programma
complessivo della conoscenza matematica della natura, il primo dopo quello di Pitagora, anche se
Descartes non riuscir ancora a dare forma algebrica alla sua descrizione matematica della realt.
Il meccanicismo richiedeva una riorganizzazione del mondo delle "qualit" che
nell'aristotelismo era il centro della fisica e si opponeva al mondo delle "quantit". Erano qualit
infatti anche il caldo, il peso e il movimento, quest'ultimo poteva essere solo 'quantit accidentale'
in quanto spazio nel quale si svolto il moto in un certo tempo. La "quantit" tende a comprendere
tutti i "sensibili comuni" (poich non legati ad un singolo organo di senso) della filosofia
aristotelica: moto, quiete, numero, figura che verranno ricostruiti, per analogia con l'estensione,
come numeri reali e diventeranno gli "attributi primari e oggettivi della fisica rinascimentale,
relegando fuori della fisica gli altri "secondari e soggettivi come il colore, l'odore, il sapore, etc.
Alcuni di questi, come il colore o la temperatura, verranno progressivamente introdotti tra le
grandezze quantitative durante lo sviluppo della fisica moderna.

La costruzione del "numero reale" connessa alla nascita della geometria analitica, un'idea
che rimase del tutto estranea alla matematica greca ed 'emerse' lentamente nel cuore della
matematica e della cultura, o addirittura dell'uomo, medievale. Scriveva Coolidge che

L'opinione corrente tra i matematici che la geometria


analitica spunt con tutte le armi dalla testa di Descartes
come Atena da quella di Zeus. 'Proles sine matre creata'
l'espressione pittoresca di Chasles per dire la stessa cosa
(History of geometrical methods, 117)

Forse l'opinione corrente sarebbe quella della scoperta di qualcosa platonicamente 'esistente in
s', implicita gi nella matematica pi antica, e semplicemente 'scoperta' con lo sviluppo della
scienza europea e del ruolo giocato in essa dalla matematica. Eppure la geometria analitica ha nel
suo DNA il segno di una origine non semplicemente 'tecnica': occorre infatti anche ricordarsi che
la Geometrie di Descartes appare nel 1637 come 'essai', quasi appendice di quell'opera filosofica
ma anche antropologica cruciale per la storia del pensiero europeo moderno che il Discourse de
la methode.

Il numero reale emerge lentamente in maniera intuitiva come parte intera e sequenza
infinita di decimali, che sembra apparire tra la fine del XVI e linizio del XVII secolo in Stevin e
in Descartes, e del quale l'idea di 'approssimazione' numerica di quantit inesprimibili in maniera
finita era parte integrante, ma senza trovare una vera sistemazione fino al XIX secolo, ma sempre
pi presente nella pratica del calcolo e dellalgebra. Occorre a questo punto cercare di delineare
la nuova forma che il "numero reale" conferisce alla conoscenza scientifica moderna in una
evoluzione iniziata nel Rinascimento e completatasi il secolo scorso.
Di tale idea qualche segno era gi apparso nella matematica greca. Che fosse una grandezza
approssimabile con numeri e frazioni (fra 3 1/7 e 3 10/71) esplicito in Archimede (Misura del
Cerchio, 3), anche se non vi la consapevolezza, che pur si aveva per i rapporti tra grandezze
incommensurabili, di una sua 'irrazionalit', meno che mai di una sua 'trascendenza'.
Ma la difficolt a trattare l'infinito attuale, che, cos come il punto, finiva col divenire una
'breccia' aperta all'ingresso della confusione tra essere e non essere nella pura "dottrina
dell'essere", rendeva impensabile lo studio matematico del "continuo".
Rispetto alla aritmetica greca, soprattutto nella sua ultima forma diofantea, appare il
superamento del numero come eidos: non pi un ente astratto, intermedio tra forma ideale e

81
realt o comunque derivato da quest'ultima nella sua descrizione linguistica comune, ma diventa
da un lato un linguaggio di rappresentazione della realt fisica nella forma della misura, dall'altro,
nella sua forma algebrica e simbolica, diventa un "ente" autonomo, ingrediente essenziale
dellalgoritmo, manipolabile attraverso regole sintattiche. Quindi lastrazione non genera la
species ma il simbolo, la variabile. E lestensione in Descartes, per la sua natura simbolica
oggetto dellalgebra, per la sua natura reale la sostanza del reale e questo ne garantisce la natura
'rappresentativa' e, per cos dire, 'condensata' nella funzione di base del processo di misura.
E, pi che semplici numeri determinati di unit, Stevin tratta illimitate possibilit di
combinare cifre per definire regole di calcolo. Cos le quantit divengono simboliche, numeri e
grandezze coincidono. Il segno non serve solo a memorizzare, ma viene trattato come un numero,
oggetto di manipolazione sintattica negli algoritmi di calcolo.
Tende a svanire la frattura fra le diverse forme di "grandezza" tipiche della matematica greca
(numeri, rapporti, grandezze geometriche anche incommensurabili). Ancora in Stevin (1548-1620)
si distinguono numeri aritmetici e geometrici (con dimensione), la stessa distinzione in Viete porta
alla legge di omogeneit, la quale scompare solo in Descartes con lidea della geometria analitica,
in cui lesistenza di una unit predeterminata rende tutte le grandezze omogenee nel loro
carattere simbolico, come visto precedentemente. Anche qui si vede una nuova "contaminazione"
tra l'unit numerica ed il continuo geometrico, impensabile nella matematica greca dove i due
universi apparivano rigidamente separati tanto che anche gli aspetti 'metrici' degli Elementi
avevano sempre un carattere 'non numerico'. Sar questa infatti lidea base di numero reale da
Stevin a Newton fino a Cauchy: il rapporto tra due grandezze omogenee.

Il continuo aritmetico appare in quegli stessi anni con lidea del numero reale, unidea che
era stata impensabile fino a pochi decenni prima e che rapidamente ora diventava ovvia, tanto
ovvia che nessuno si doveva preoccupare di definirla precisamente prima dellottocento.
Gran merito per questo si deve a Simon Stevin, tipica figura di questepoca di transizione tra
cinquecento e seicento. Ingegnere e matematico, come tanti personaggi importanti per la storia
della matematica di questi anni, in cui la matematica pratica si sovrappone con le questioni
teoricamente pi nuove. Altri personaggi simili (Brgi, Napier) in quegli stessi anni avevano
tabulato le funzioni trigonometriche e introdotto (e tabulato) i logaritmi per facilitarne le
operazioni. Questa pratica aveva reso familiari gli uomini dellepoca con numeri indefinitamente
lunghi in quanto quelle tavole, diventando sempre pi precise, utilizzavano un numero crescente
di cifre significative. Erano in genere approssimazioni e luso pratico di rapporti irrazionali aveva
reso coscienti che esistevano grandezze la cui misura numerica esatta non si poteva esprimere
finitamente, ma la cui approssimazione numerica si poteva dare con qualsiasi precisione
desiderata. A questo punto Stevin introduce la notazione decimale potenzialmente illimitata,
praticamente la stessa che usiamo oggi.
Stevin usava come pratica computazionale le frazioni decimali e realizzava lesistenza di
frazioni, come 1/3, la cui scrittura richiede infinite cifre, con un uso notazionale che scontava la
sostanziale accettabilit dell'infinito potenziale, e John Napier introdusse la moderna notazione
decimale con il punto separatore. La rappresentazione del numero reale basata sul sistema
decimale e posizionale, praticamente superiore a quello greco e a quelli degli altri popoli della
antichit. Appaiono cos numeri approssimati e potenzialmente infiniti: dopo che la trigonometria
era stata sviluppata da Johannes Mueller Regiomontanus (XV secolo), i logaritmi sono scoperti da
John Napier (1614), il regolo calcolatore inventato da William Oughtred (1622). Nella prima met
del XVII secolo la nostra notazione decimale e le relative tecniche computazionali potevano dirsi
ormai completate.
Occorre qui anche ricordare che nella matematica greca le frazioni, quando non fossero
grandezze numeriche sessagesimali, erano per cos dire 'schizoidi' tra una caratterizzazione
geometrica come "rapporto" di natura non numerica ed una caratterizzazione numerica la cui base

82
computazionale era ancora quella della tradizione pratica, in cui i calcoli con le frazioni
richiedevano uso di procedure e notazioni varie e prive di basi scientifiche.
Ma quello che pi colpisce che questa innovazione nella notazione si affianca alla intuizione
del continuo numerico e alla completa scomparsa della opposizione tra continuo e discreto. E
asserita la "comunanza e similaritquasi identit" tra grandezza e numero, e di conseguenza i
numeri sono strutture continue e non discrete, e quindi non solo le frazioni ma anche gli irrazionali
sono numeri.

Ad una grandezza continua corrisponde il numero continuo che


gli assegnato il numero per la grandezza come l'umidit
per l'acqua: penetra come questa in ogni parte dell'acqua; e
come ad una acqua continua corrisponde una continua umidit,
cos ad un numero continuo corrisponde una grandezza
continua (L'arithmetique)

La sottrazione di un numero coincide con laddizione di un numero negativo, ed in generale


la possibilit di estendere le "operazioni" sui numeri a permettere l'estensione del concetto di
numero. Gi Leonardo Fibonacci (inizio XIII secolo) aveva introdotto le frazioni infinite. La
rappresentazione dei numeri irrazionali tramite somma di infiniti razionali diventa quasi
paradigmatica in Leibniz, che ad essa paragona la conoscenza dei concetti, alcuni dei quali
richiedono una analisi infinita e che quindi solo Dio pu realizzare compiutamente.
Lunit diventa un numero in quanto la parte dello stesso materiale del tutto. Non lunit,
ma lo zero il vero e naturale principio, esso, e non lunit, lanalogo del punto geometrico,
principio della linea ma non linea (Stevin). Lunit per gli antichi era principio del numero,
indivisibile, per i moderni grandezza continua, e per gli antichi solo gli interi erano numeri,
mentre ora il numero soprattutto un rapporto, quindi adimensionale, e laritmetica in primo
luogo una teoria dei rapporti (Wallis).

In Descartes la radice "reale" appare opposta alla grandezza "immaginaria", con una
connotazione quindi di 'realismo geometrico' in cui la corrispondenza tra grandezza geometrica e
segno numerico non ancora completa, ma gi esplicita nella esigenza della 'linea unitaria' per
legare il pi possibile enti geometrici e numeri.
Il numero reale segna un nuovo rapporto tra continuo e discreto, tra misura e numerazione, e
si fondono cos quelle due tradizioni, "teoretica" e "pratica", che avevamo riconosciuto lungo tutta
la tradizione antica, e questo accade sullo sfondo di una nuova funzione 'intellettuale' della
matematica nello sviluppo della societ moderna, come patrimonio di ingegneri, artigiani e
commercianti.
Effetto del superamento della distinzione tra misurare e contare, tra geometria ed aritmetica,
che, con Descartes (1596-1650), la mathesis universalis esclusivamente simbolica coincide con
la sostanza del mondo che estensione. Oggetto dellalgebra una teoria astratta delle
proporzioni, algebra e geometria coincidono, ed anche le operazioni aritmetiche corrispondono ad
operazioni geometriche. La tradizione cartesiana porta cos la geometria a coincidere con la realt,
e la sovrapposizione di geometria e moto (e quindi tempo) a definire la meccanica. Il centro della
dottrina nel concetto di grandezza geometrica e fisica, come risposta al problema ontologico e
nella sua traduzione come numero reale e segno algebrico, come base della conoscenza teoretica.
In Wallis (1616-1703) appare lidea che gli oggetti aritmetici abbiano una natura pi astratta
ed alta di quelli geometrici, e che quindi comincia a balenare l'idea che la geometria possa essere
subordinata alla aritmetica: il carattere adimensionale dei numeri ne diventer segno di 'purezza'
concettuale coincidente con la loro natura simbolica. D'altro canto tutte le grandezze fisiche sono
considerate continue, come conseguenza della fondamentale metafora estensionale, spaziale e

83
meccanica, mentre la loro valutazione in base a processi di misura, caratterizzati quindi in forma
simbolica ed approssimata.
Si amplia anche il trattamento formale delle propriet aritmetiche, ed in Pascal (1623-1662)
appare il principio di induzione aritmetica.

Il XVII secolo segna una svolta nella struttura del paradigma sintattico. Il Rinascimento
aveva reso un luogo comune lidea che il mondo fosse un grande libro i cui segni erano percepibili
dalluomo: prima che i caratteri matematici di Galileo potevano essere i segni alchimistici o
magici. Nel XVII secolo lattenzione si sposta sul linguaggio e sul suo uso per rappresentare la
natura, e si aprono subito due diverse ipotesi: da un lato lidea di un linguaggio puramente
convenzionale creato allo scopo di rappresentare la realt, dallaltro lidea della esistenza di un
linguaggio fondamentale, originario, naturalmente strutturato per rappresentare la realt. La prima
tesi si pu leggere soprattutto in Hobbes, la seconda caratterizza soprattutto Leibniz.
Il "paradigma sintattico" di Descartes si caratterizza anche per il ruolo diverso giocato in esso
dal mondo mentale. Un mondo apparso pallidamente in Parmenide e cresciuto nella filosofia greca
classica senza mai intaccare l'idea di una scienza basata su una "ontologia in III persona" nella
quale non si tematizzava il ruolo della mente e del soggetto. Il "dubbio" ed il "cogito" cartesiano
pongono invece il mondo mentale ed il soggetto della conoscenza alla radice della stessa
possibilit di una 'scienza'. Dal dubbio in primo luogo il "soggetto pensante" che emerge come
unisola di terra ferma in un oceano di incertezze, e da esso procede la ricostruzione del triangolo
semiotico. In un certo senso il cogito cartesiano recita <se sono ingannato allora esisto: di questo
non posso essere ingannato>.

Tutta la scienza moderna nasce sotto l'insegna del rifiuto della logica, considerata sterile di
fronte al nuovo metodo scientifico basato sull'esperimento e la rappresentazione matematica delle
leggi di natura.
La certezza di quelle propriet geometriche (ad esempio del triangolo) che era garantita in
passato dalla 'logica', divengono effetto di una "conoscenza chiara e distinta", le cui metafore sono
tutte legate alla 'visione' e alla 'luce'. Potremmo dire che il "mondo delle idee" si reso ormai tanto
immediato da potersi caratterizzare come percepibile con gli "occhi della mente". Questo grande
sviluppo del 'mondo mentale' sar alla base di tutto il disinteresse che la scienza moderna porter
verso la logica e di quelle tecniche quali il modello meccanicistico e il Gedanken-Experiment che
la caratterizzeranno nei secoli successivi. E daranno alla "geometria" quel surplus di verit e realt
che ne faranno il fondamento della descrizione scientifica anche nella forma della analisi
infinitesimale.
L'aspetto "metodologico" del cartesianismo rimanda all'abbandono della descrizione della
conoscenza come fatto statico a vantaggio di una descrizione del 'processo', guidato da "regole",
da un "metodo", che ne garantisce la 'verit'. La I regola recita: "il fine degli studi deve essere di
guidare la mente a giudizi sicuri e veri". Questo a sua volta sposta l'attenzione dal 'teorema' al
'problema', dalla 'sintesi' alla 'analisi', dalla 'completezza dell'esposizione' al 'piacere della
scoperta', e cos l'abbandono della logica classica e dello stile euclideo appare come la punta di un
iceberg, alla cui base vi il passaggio da una "verit" intesa come qualcosa di dato ad una "verit"
vista come risultato di un progresso governato da un metodo.
Nello schema aristotelico realt e conoscenza erano facilmente connesse attraverso
l'esperienza comune dalla quale l'astrazione ricavava quel mondo di 'forme', nel contempo base
della realt e della scienza, sulle quali si poteva costruire la scienza teoretica per via logica.
Questo schema svanisce sotto la critica galileana, e tocca a Descartes ricostruire una connessione
armonica tra realt e conoscenza. L'esperienza comune, l'astrazione e la logica non servono pi.
Serve un metodo, regole per indirizzare l'indagine a partire dalla esperienza progettata,
l'esperimento, e dalla chiarezza ed evidenza delle idee coinvolte, la cui natura intellettuale nello
stesso tempo una natura simbolica. L'idea di esperimento comincia ad assumere la sua

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connotazione moderna, di "laboratorio", come conseguenza dell'impianto analitico, che richiede
sia l'isolamento artificiale del fenomeno, sia la sua riduzione ad elementi gerarchicamente ultimi,
sia la sua esplorazione 'combinatoria':

Se desideriamo comprendere perfettamente una questione, essa


deve essere separata da ogni concetto superfluo, deve essere
semplificata il pi possibile, e deve essere divisa mediante
l'enumerazione in parti che siano le pi piccole possibili
(Regola XIII).

La stessa 'deduzione' ne fa parte, ma non pu essere 'insegnata' perch, come l'intuito, deve
essere considerata una capacit 'primitiva', ed ogni ulteriore strumento dialettico si rivelerebbe un
ostacolo "perch al puro lume della ragione non pu essere aggiunto niente che in qualche modo
non lo oscuri" (Regola IV)

LA PREISTORIA DEL CALCOLO

Sempre nella prima met del XVII secolo riappaiono due antichi problemi geometrici relativi
a figure non rettilinee, diffusi soprattutto nel corpus archimedeo: la costruzione della tangente e la
quadratura. Sono i problemi che saranno alla base della nascita del calcolo delle derivate e degli
integrali. Perch questo accada nella matematica dovr entrare in gioco il concetto di infinito, un
altro concetto estraneo al mondo comune ma che sar decisivo per la costruzione del mondo della
fisica-matematica.
Entrambi i problemi erano centrati sulla idea di continuo e sui relativi processi al limite, in
qualche modo legati all'infinito attuale. Non casualmente tali problemi erano rigettati dal 'realismo'
dei Sofisti: Protagora non accettava linee dei "geometri", diverse da quelle sensibili, e quindi
anche che il circolo potesse toccare la tangente in un punto solo (Metaphysica 997b), mentre
Antifonte pensava che aumentando il numero di lati di un poligono iscritto bel cerchio, prima o
poi tale poligono sarebbe diventato coincidente con la circonferenza (Physica 185a).
Il problema della tangente era presso i Greci un problema esclusivamente geometrico, che
doveva divenire problema di calcolo solo con la trattazione matematica della cinematica. Il
problema delle aree e dei centri di massa fu invece sin dall'inizio un problema in qualche modo
metrico, trattato in genere col metodo di esaustione

Tuttavia esistono tracce di un approccio finitista ai problemi differenziali in Fermat e


Descartes. Lidea di fondo molto semplice: in problemi estremali come la tangente o la ricerca
del massimo o minimo accade che pi soluzioni si identifichino.
Ad esempio Descartes si pone il problema della costruzione algebrica della normale ad una
curva in un punto P (chiaramente equivalente alla costruzione della tangente). Considerando
lintersezione tra la curva ed un cerchio passante per P chiaro che se il centro del cerchio sulla
normale per P alla curva, allora P una soluzione multipla (fig.22, destra).
Fermat invece si pone il problema del massimo di una funzione, per esempio bz2 z3 (usiamo
anacronisticamente il termine funzione, che era unidea non ancora emersa, la formula era solo
una cosa attaccata ad una curva per sintetizzarne aspetti di natura aritmetica). Fermat considera
lequazione bz2 z3 = c (vedi fig.22 sinistra), siano x e y le radici: Fermat osserva che per c troppo
grande non ci sono soluzioni e che per c abbastanza piccolo ce ne sono due, ma che per un valore
di c massimo della funzione le radici della equazione coincidono e quindi x = y. Quindi bx2 by2
= x3 y3. Da qui, dividendo per x y, consegue bx + by = x2 + xy + y2 , e uguagliando le radici
2/3 b = x, valore del massimo. Da notare che, sebbene sia facile tradurre queste procedure in
termini di calcolo infinitesimale, esse siano in realt procedure finite senza bisogno di introdurre
limiti o infinitesimi.

85
c
F(z)=b z2 z3
3
4 b /27 p p

z
2b/3 b
fig.22

Gli infinitesimi/indivisibili appaiono invece da subito nellaltra questione: quella delle


quadrature. Lidea quella di calcolare unarea come una somma infinita di elementi o omogenei
(una superficie somma di rettangolini) o eterogenei (una superficie somma di segmenti). La
seconda soluzione appare ad esempio nellopera di Cavalieri, la prima nellopera di Keplero o di
Pascal. C la vaga impressione che i due approcci possano coincidere, ma la vaga idea di un
principio di continuit che porti un numero finito di rettangolini sempre pi stretti a diventare
infiniti segmenti ancora ha un senso troppo geometrico per fondare lidea di limite.
Il linguaggio degli indivisibili appare geometricamente in Cavalieri, Wallis lo tradurr in
termini aritmetici e riterr giustificato sfumare la distinzione tra infinitesimi e indivisibili finiti,
considerando nella somma gli indivisibili di dimensione inferiore come infinitesimi omogenei. Il
simbolo serve tanto a contare il numero n di elementi da sommare, quanto la loro dimensione
1/, la cui somma diventa finita quando n . Lidea di limite in fondo estranea alla dottrina
degli indivisibili, la quale apparir ancora un po in Leibniz ma verr poi sostanzialmente
abbandonata.
Gli eventuali indivisibili che costituivano il continuo potevano essere omogenei (cio
intervalli per intervalli, superfici per superfici, etc.) secondo una tradizione vagamente atomista, o
eterogenei (cio punti per intervalli, intervalli per superfici, etc.) secondo una tradizione
vagamente platonico-archimedea, in tal caso magari generabili dal moto di un indivisibile (un
punto in moto genera la linea, etc.). La tesi atomista si scontrava con lincommensurabilit, quella
archimedea coi paradossi legati alla esistenza reale dei punti. Celebre ad esempio il paradosso
della rota Aristotelis (fig.12, destra), gi noto ad Erone: due cerchi solidali e concentrici rotolano
finch la ruota esterna ha percorso unintera circonferenza. I punti pi bassi delle due ruote
percorrono entrambi un intervallo uguale alla circonferenza maggiore, ritornando nelle stesse
condizioni di partenza, pur essendo le circonferenze di diversa lunghezza.
Su questi temi si nota il mutamento che il pensiero di Ockham e Buridano impone alla
matematica: svanisce il problema se i punti esistano o meno, poich la scienza fatta di
proposizioni ed i punti sono solo termini che possono entrare, magari come ipotesi, in determinate
proposizioni, e questa loro esistenza ipotetica, secundum imaginationem, sicuramente lecita.
Anche perch, diversamente da altri enti solo immaginabili (come chimere e grifoni), tale
esistenza utile per la ragione.

Fra Descartes e Newton la distanza notevole. Descartes segna il trionfo della filosofia
meccanica, alla cui base appaiono principi di carattere metafisico, ed il mondo descritto fatto di
palle che si urtano, pendoli oscillanti, funi e pulegge, proiettili e gravi che cadono o restano in
equilibrio. La sua geometria-meccanica concerne relazioni tra propriet immanenti degli oggetti
materiali (lunghezze, figure, tempi, pesi), come nella filosofia naturale medievale, con laggiunta
della velocit, propriet relativa, ma ormai quantificata come qualit intensiva gi dai Mertoniani e
in Oresme. E lalgebra appare un linguaggio per esprimere problemi geometrici, e in qualche
modo espressione di un metodo generale, ma non ancora un linguaggio di rappresentazione della
realt fisica.

86
La meccanica inizialmente era strutturalmente geometrica, nella sua tradizione archimedea
come in quella aristotelica, dalle sue radici ingegneristiche cinquecentesche a Galileo e Newton.
Anche se sostanzialmente falsa la tesi di un Galileo insensibile alla misurazione numerica,
indubbio che tanto i suoi schemi argomentativi quanto la sua prassi sperimentale erano
prevalentemente geometrici: infatti losservazione astronomica il suo contributo sperimentale pi
rilevante. Ed anche Newton, nonostante le sue eccezionali capacit algebriche, scrisse i suoi
Principia in uno stile quasi esclusivamente geometrico, senza formule. Tra i due anche Descartes,
padre del formalismo algebrico, scrive la sua Geometrie per tradurre i problemi geometrici in
linguaggio algebrico, ma la sua fisica tutta in una presentazione puramente geometrica, anche
laddove una rappresentazione algebrica sembrava a portata di mano: nel moto dei gravi, nella
teoria degli urti, nella legge di rifrazione.
Il linguaggio algebrico anche dopo il Seicento conserver il peccato originale di essere parte
della tradizione pratica: uno strumento euristico, utile, ma inadatto a costruire una scienza. Era
solo una ars inveniendi, non una ars demonstrandi. Non casualmente allora lalgebra diventer,
soprattutto in Descartes, parte essenziale del metodo: agli occhi del filosofo razionalista il
metodo tutto e quindi lalgebra centrale, ma solo nel metodo e non come linguaggio di
rappresentazione della realt fisica, mentre agli occhi del fisico empirista la scienza tutto, ha
carattere geometrico e quindi lalgebra solo una tecnica spesso utile, ma fisicamente opaca.

La fisica-matematica newtoniana si libera dello stile meccanico, non solo tratta di enti non
immanenti come la forza di gravit, ma la matematica stessa tratta di un mondo non pi
immanente nelle cose, ma ad esse sottostante, i cui principi sono la matematica stessa e la prassi
sperimentale. E la matematica questo mondo di leggi, ne fornisce la natura geometrica, in esso
forze e flussioni sono realmente esistenti.
Dallalgebra comincia invece ad emergere il calcolo, un linguaggio che abbandona del tutto i
termini della matematica antica, figure e numeri, fatti per parlare del mondo immediato
dellesperienza quotidiana, e tratta invece di enti matematici (differenziali, integrali, serie di
potenze, etc.) del tutto estranei allesperienza ed al mondo quotidiano, ma immanenti, direttamente
presenti e percepibili nel mondo artificiale in cui facciamo scienza, il laboratorio (per Newton
per il calcolo ha ancora solo un ruolo pratico). A tal fine occorre far fronte ai paradossi
dellinfinito, a quel labirinto del continuo, che per Leibniz, insieme al paradosso della giustizia
divina, era la pi grande sfida per il pensiero umano. E non solo di sopravvivere ad essi, ma farne
la base per una scienza del tutto nuova, capace di gestire il divenire di un mondo tecnico, in cui
lempiria da naturale, qualitativa e semantica diventer artificiale, quantitativa e sintattica, da
esperienza diventer esperimento.
La nuova meccanica emerge in questo mondo tecnico, sottostante quello reale, e se ne
vedono le tracce nelle figure geometriche che appaiono nei libri di fisica. I mertoniani avevano
rappresentato le configurazioni delle qualit intensive in schemi autonomi, senza connessioni col
mondo delle grandezze spaziali reali. In Galileo e Huygens invece nelle figure appaiono nel
contempo grandezze spaziali e velocit, in Newton appariranno anche le forze.

Le tematiche che saranno alla base del futuro calcolo infinitesimale appaiono nel Cinquecento
a ridosso della riscoperta dei testi archimedei, come ad esempio lindividuazione del centro di
gravit dei solidi ed i problemi di quadratura delle superfici curvilinee (aree delimitate da
parabole, iperboli, spirali, etc.). Anche la tecnica quella archimedea del metodo di esaustione
fondato sulla doppia riduzione allassurdo, una tecnica che a lungo apparir come il termine di
riferimento rigoroso rispetto al quale le tecniche simboliche presentavano solo il vantaggio della
facilit duso; e ci sar la diffusa convinzione che i metodi analitici appena scoperti fossero sempre
stati alla portata dei matematici greci Qualcuno sottolineer anche come essi siano una ars
inveniendi inconfrontabile col rigore della ars demonstrandi (Wallis) ed altri daranno al simbolico
un valore metafisico particolare (Leibniz), ma sar solo nel Settecento che lapproccio simbolico si

87
affermer definitivamente e bisogner aspettare lOttocento per riconoscere al simbolico un senso
autonomo, indipendente dal presupposto di senso geometrico.
Il primo tentativo di liberarsi della tradizione sintetica antica appare probabilmente in Simon
Stevin, che cerca di porre il problema in termini logici: supposto che <se due quantit differiscono,
esse differiscono per una quantit non nulla>, allora <due quantit che differiscono per meno di
ogni quantit non nulla non sono differenti>.
C qui il nucleo della idea di limite e di infinitesimo. Vale la pena chiedersi perch questo
approccio non fosse stato effettivamente sviluppato dai Greci al posto del complesso metodo di
esaustione.

FIG.23
I greci, oltre alle difficolt con linfinito, non potevano concepire concetti negativi come lo
zero (il numero era sempre finito e determinato, un semplice aggettivo), n mischiare concetti
geometrici (grandezza) con concetti aritmetici (differenza). Invece nel Medioevo lo zero era ormai
accettato e svaniva la opposizione tra geometria e aritmetica (come nellassioma aritmetico-
geometrico il tutto uguale alla somma delle parti, apparso solo nel Medioevo).
Certo in Stevin o in Galileo lo zero come numero non appare, sostituito da una sorta di
limite delle grandezze verso il nulla, ma lidea di una grandezza esistente ma minore di qualsiasi
grandezza (noi diremmo di misura nulla) non era assurda: poteva essere una semplice superficie,
come nel paradosso della scodella di Galileo.
Luca Valerio osserva come la differenza tra cilindri circoscritti e iscritti ad un paraboloide
(fig.23) uguale allultimo cilindro circoscritto (risultato gi noto in Archimede), e quindi,
aumentando il numero di cilindri, essa possa essere resa minore di qualsivoglia volume e di
conseguenza il centro di gravit possa essere trovato considerando una sola delle due sequenze di
cilindri. Ma il suo approccio solo geometrico e lidea di limite non appare.
Sullo stesso problema Stevin scoprir che le approssimazioni attraverso i cilindri pongono il
centro di massa ad un terzo dellaltezza pi una quantit che si dimezza al raddoppiare del numero
di cilindri, e pu quindi essere resa minore di qualsiasi quantit, ma tradurr infine il ragionamento
in una argomentazione analoga al metodo di esaustione.
Comunque nei problemi di quadratura il Seicento continuer a distinguere, anche se con
difficolt, tra indivisibili, costanti e senza quantit come i punti, e infinitesimi, costanti minori di
ogni quantit o variabili con una grandezza che diventa zero.

Un'altra fonte di ispirazione veniva dalle somme di sequenze di numeri. Ad esempio molti
matematici, tra cui Wallis, si accorsero che le somme delle potenze degli interi ni=1 ik
mostravano una certa regolarit: si sapeva che ni=1 i = n(n+1)/2 n2/2 ni=1 i2 =
n(n+1)(2n+1)/6 n /3 (ove denota lapprossimazione sempre migliore al crescere di n), e per
3

valori di k maggiori la somma sembrava approssimare il valore nk+1/k+1.


Wallis introduce un principio di interpolazione e analogia col quale estende la formula di
Newton,(1-xp)q, a esponenti frazionali, nulli e negativi, e la applica al problema geometrico di
calcolare larea di un quadrante del cerchio unitario. A tal fine arriv a estendere la formula anche
per k fratto. In realt questi risultati non erano dimostrati, ma verificati fino a certi valori finiti di
n e di k, ed estesi per analogia. Da essi poi Wallis con una idea intuitiva di interpolazione
ricavava la formula per il calcolo di

88

Linteresse per le somme finite si saldava cos con linteresse per le somme infinite, le serie
(il cui calcolo delle era pure tuttaltro che rigoroso), usate anche per calcolare le aree al di sotto di
certe curve. Molto nota la quadratura della parabola proposta da Mercator. Data la parabola di
equazione y = 1/(1+x) larea tratteggiata (fig.24) veniva approssimata come somma di
rettangolini circoscritti, le cui aree erano poi sviluppate come serie geometriche, e, usando le
approssimazioni di Wallis su citate, risultava essere uguale a T T2/2 + T3/3 T4/4 +=
log(1+T)

0 T X

FIG.24

Per tale sviluppo in serie compariva una tecnica che sar portata al massimo sviluppo da
Newton: luso formale degli algoritmi aritmetici. Ad esempio per sviluppare in serie la funzione
1/(1+x), basta dividere 1 per (1+x) applicando le usuali regole della divisione in colonna per
ottenere 1-x+x2x3+ . Analogamente lo sviluppo in serie di una formula sotto il radicale si trova
sviluppando lalgoritmo in colonna per lestrazione della radice.
Questa tecnica ci fa toccare con mano non solo lorigine pratica del calcolo infinitesimale, ma
soprattutto la sua natura algoritmica fondata su una fiducia nel trattamento simbolico corroborata
dal suo successo. Non c da stupirsi se si troveranno frequentemente filosofi critici dellapproccio
simbolico, soprattutto in Inghilterra: Hobbes lo definiva una scabbia di simboli, Berkeley
definir gli infinitesimi fantasmi di quantit defunte. E vedremo che diffidenze verso tale
approccio si troveranno anche in Newton. Del resto nella usuale definizione di derivata, si
divideva per un infinitesimo il quale poi nel calcolo veniva posto uguale a zero, il che dal punto di
vista aritmetico un errore. Certo, si intuiva che la procedura aveva una natura algoritmica e non
dimostrativa, ma il problema dello status del calcolo infinitesimale simbolico rester di fatto
aperto fino allottocento.

Una terza tendenza appare lapproccio cinematico, nel quale la curva la traiettoria descritta
da un corpo/punto in movimento. In questo approccio la tangente appariva il moto che il corpo
avrebbe percorso per inerzia. La stessa teoria delle curve cartesiana faceva spesso riferimento al
tracciamento della curva tramite moti complessi. Anche funzioni come seno e logaritmo erano
state definite come sovrapposizione o confronto di due moti (noi diremmo tramite una descrizione
parametrica). Diffusa soprattutto tra i matematici anglosassoni, eredi dei "calculatores" mertoniani,
attraverso Isaac Barrow e sino alle fluxiones newtoniane. Limportanza della lettura cinematica
della derivata non stava solo nelle applicazioni fisiche del calcolo, ma nel fatto che la connessione
meccanico-geometrica ne fornir il vero senso per circa due secoli: di fronte alle incertezze e
contraddizioni del calcolo si potevano sempre ricondurre derivate e integrali tanto al moto e allo
spazio percorso, quanto alla tangente e allarea.

LEIBNIZ E NEWTON

Queste tendenze porteranno nella seconda met del secolo a dare al calcolo infinitesimale,
nellopera di Newton e Leibniz, la forma che, almeno dal punto di vista delle tecniche, conserver

89
fino ad oggi. Nonostante le feroci polemiche sulla priorit che scoppieranno fra i due, i loro
approcci saranno equivalenti (almeno per quanto riguarda gli aspetti algoritmici), ma le differenze
concettuali saranno non di meno nette (e anche per uno stesso autore nel tempo ci saranno
differenze rilevanti) ed eloquenti per illuminare il complesso processo cognitivo che portava
allemergere del calcolo infinitesimale.

Il problema di partenza era il trattamento del continuo, come tema sia matematico (area e
tangenti delle figure curve), che meccanico (il moto). Le radici del labirinto del continuo erano
in fondo nel fatto che si poteva parlare di un istante o punto successivo, ma non dellistante o del
punto immediatamente successivo. Era il problema degli insuperabili paradossi che si
incontravano quando si pensava il continuo come composto di elementi indivisibili di dimensione
nulla, punti, segmenti, superfici.
Newton e Leibniz abbandonano quella via e affrontano il problema da due punti di partenza
distinti, anche se entrambi in definitiva centrati sulla difficolt di trattare gli infinitesimi, cio
grandezze infinitamente piccole ma non nulle, e orientati nel cercare in una idea intuitiva di
limite o di continuit la soluzione per distinguerli dagli indivisibili, sostituendo il punto
immediatamente successivo ad un punto P con un punto P P che per si pu avvicinare quanto
si vuole a P, con PP intervallo non nullo ma nel contempo minore di ogni intervallo finito.
Newton lo fa concependo una curva descritta da un moto locale, e quindi in termini spaziali
usando il tempo come variabile indipendente. Considera sempre una grandezza fisica fluente, x, il
cui mutamento, pi o meno rapido, chiama flussione, indicato con , ed un attributo della
variabile x. E una matematica del moto in cui si pu riconoscere una tradizione tipicamente
inglese, dai Mertoniani ai logaritmi di Napier e alla matematica di Isaac Barrow, il maestro di
Newton, che sviluppa una concezione cinematica di processi continui. Newton considera un tempo
infinitesimo, denotato in genere con o, cos che un aumento infinitesimo (momento) di x risulta
o: Il 'momento' della linea inteso come "un segmento infinitamente breve", ma non nullo. Le
difficolt vengono aggirate dallidea cinematica, sostenendo il carattere 'potenziale' e non 'attuale'
dellinfinito processo al limite.
Da notare che tale tecnica viene applicata uniformemente a tutta la equazione, differenziando
cio tutti i termini contenenti fluenti (ad esempio x e y) per ottenere una equazione contenente
fluenti e flussioni. Per trovare la tangente occorrer risolverla ottenendo il rapporto /.
Da un punto di vista algoritmico il calcolo si basa sulla flussione della potenza xn, data da n
x . Questo risultato viene ottenuto da z = xn scrivendo z + o = (x +o)n, sviluppando il
n-1

secondo membro, sottraendo z = xn, dividendo per o, trascurando tutti i termini contenenti o, e
ottenendo = n xn1. Per funzioni pi complesse strumento chiave la teoria delle serie, tramite
la quale tali funzioni vengono ridotte a somme di potenze, che per Newton sono anche uno
strumento di calcolo approssimato. Allinterno di questa tecnica si inserisce anche la celebre
estensione dello sviluppo della potenza del binomio a potenze qualsiasi: se la potenza un intero
positivo lo sviluppo d un polinomio, altrimenti si ottiene una serie di potenze. Questa tecnica
appare sicuramente pi fondata della semplice interpolazione e analogia di Wallis, anche se in
definitiva basata su una presupposta omogeneit algoritmica tra finito ed infinito.
Newton osserva come si possa generalizzare la formula della potenza del binomio a potenze
non intere (razionali positivi) ottenendo una serie:

(a+x)r = a r + r x a r-1 + + r (r-1) (r-2) +.. + (r-k+1)/ k! x k a r-k + .

Scoprendo che ad esempio questo sviluppo per a=1 ed r=-1 dava un risultato coincidente con la
serie geometrica:

(1+x) -1 = 1 x + x 2 - x 3 + .

90
Che si pu anche ottenere applicando formalmente lalgoritmo della divisione in colonna.

Tuttavia Newton col tempo si distaccher, almeno dal punto di vista teorico e nella sua fisica,
dallapproccio algebrico-simbolico (il punto di svolta si pu collocare negli anni settanta, ma
allinizio del Settecento Newton sembra riconsiderare questa scelta) a vantaggio di un approccio
geometrico e fondato sui rapporti, secondo la antica tradizione teorica, cos che gli infinitesimi
saranno per lui solo una notazione conveniente da sostituire nei calcoli rigorosi con il "metodo dei
primi e ultimi rapporti" (limite di rapporti incrementali). In termini geometrici l'idea rigorosa che
quando due punti sulla curva tendono a coincidere anche l'arco, la tangente e la secante sulla curva
tendono a coincidere. Newton insister che non si tratta di studiare un rapporto tra infinitesimi, ma
di studiare un rapporto tra quantit finite che, in quanto rapporto ben definito, tende ad un limite
ben definito, e considerer il suo calcolo coincidente con quello degli antichi liberato dei fastidi
della dimostrazione per assurdo del metodo di esaustione. Per difendersi dalle critiche sulla
inesistenza del rapporto tra quantit evanescenti Newton far il paragone con un corpo che in moto
allimprovviso si arresta, considerando la sua ultima velocit al momento dello stop: anche essa
prima dello stop non lultima e allo stop non c pi. Ragionamento strano perch per chiarire
lidea del rapporto tra quantit evenescenti non cera bisogno di immaginare un arresto
improvviso, una qualsiasi altra velocit istantanea (come limite del rapporto tra differenze di
spazio e tempo) sarebbe andata altrettanto bene.

La fig.25 a sinistra mostra il ragionamento che porta Newton al teorema fondamentale del
calcolo, al fatto cio che derivazione e integrazione sono due operazioni inverse luna dellaltra, e
mostra anche come il linguaggio delle proporzioni resti alla base del ragionamento geometrico.
Newton pone AC = 1, z e x sono le aree rispettivamente al di sotto della curva e al di sotto
dellasse (e quindi x anche lascissa). Di conseguenza le flussioni di z e x sono rispettivamente
DB e BE=1. DB sar quindi anche il rapporto tra le flussioni di z e di x, quello che potremmo
chiamare la derivata di z. Ma z lintegrale della curva, la quale curva quindi coincide con la
derivata del suo integrale.
Per Newton la cinematica era il fondamento del calcolo, il suo metodo derivava direttamente
dalla natura, e questo era il motivo per la preferenza per lapproccio geometrico e la diffidenza
verso quello simbolico, il calcolo era qualcosa di evidente per enti geometrici, poco credibile per
semplici simboli. Le entit geometriche esistevano, mentre il trattamento simbolico introduceva
numeri immaginari e infinitesimi. Quando tradotta in linguaggio naturale, la geometria
funzionava, lalgebra invece provocava nausea, era ridondante, aveva un ruolo solo euristico e
un carattere meccanico privo di chiarezza referenziale, le dimostrazioni geometriche avevano
invece un chiaro contenuto, e tutto un complesso processo aritmetico corrispondeva al semplice
tracciamento di una linea. Quindi il metodo sintetico delle flussioni, basato sul moto continuo e sui
primi ed ultimi rapporti, e non su infinitesimi, era preferibile a quello analitico.
D

F T
Z P
P M
A
B
1 X

C X E

FIG.25 S A A N

Lapproccio di Leibniz si basava invece sulle somme e differenze finite, generalizzate per
diventare infinitesime, mi accorsi che le differenze corrispondevano alle tangenti e le somme
91
alle quadrature. [Lettera a Wallis, 28-5-1697], ed il linguaggio della teoria delle proporzioni,
centrale in tutta la storia della matematica fino ai suoi tempi (Newton incluso), gli sembra inutile,
riducibile ai pi fondamentali segni di divisione e uguaglianza.
Lidea del triangolo caratteristico era gi apparsa in Pascal ed la base della connessione tra
la teoria degli infinitesimi e lo studio delle tangenti. Leibniz dir di essere rimasto stupito di come
Pascal non ne avesse colto le potenzialit, ma occorre ricordare come esse richiedessero da un lato
una fusione tra geometria e aritmetica (la determinazione della tangente, fatto tipicamente
geometrico e quasi iconico, riconducibile a differenze, concetto aritmetico, tra ascisse e ordinate)
allepoca ancora in statu nascendi, dallaltro un trattamento algoritmico degli infinitesimi.
Nella fig.25 destra il triangolo caratteristico TPM, simile al triangolo PAS (ed anche al
triangolo PAN, con PN normale alla curva). Confondendo T e P, in quando infinitamente vicini A
e A, otteniamo che il rapporto tra gli infinitesimi PM e PM uguale al rapporto tra lordinata AP
e la subtangente SA. Pascal laveva usato per studiare i problemi di quadratura, Barrow per quelli
relativi alle tangenti. Ed evidente dalla figura che come la quadratura la somma dei valori della
funzione in rettangolini infinitesimi, cos la tangente individuata dalla differenza tra i valori della
funzione in punti la cui distanza infinitesima. Ma la somma loperazione opposta alla
differenza, ed anche chiaro che la differenza tra le due quadrature di f(x) nei punti x+dx e x
proprio la f(x) moltiplicata per dx: ci sono tutti gli elementi per intuire aritmeticamente il teorema
fondamentale del calcolo.

Anche per lui gli infinitesimi non esistono realmente: violano il principio di Archimede, sono
diversi da 0 ma in fondo indistinguibili da esso, e per il principio di continuit possono essere
trattati come quantit ordinarie, come il continuo stesso non erano enti reali bens finzioni, ma
servivano tramire la loro algebra a fare i calcoli. Tuttavia linfinitamente piccolo non gli appare un
artificio, un inganno che ostacola lo sviluppo delle leggi naturali, ma qualcosa che ha un
fondamento reale legato al ruolo dellinfinito, che entra nella realt, non materialmente ma come
fondamento intellettuale nel principio di continuit.
Il 'differenziale' un simbolo autonomo: quantit non nulla ma non in nessun modo 'variabile'
o 'tendente' verso qualcosa, "finzioni utili per abbreviare e parlare universalmente". E' un metodo
molto pi vicino a quello oggi usato e che dovr affermarsi anche per la efficienza delle tecniche
di manipolazione simbolica connesse. A lui si rivolse la critica di considerare i suoi infinitesimi
come se fossero addirittura nulli, e la sua risposta a Bernard Nieuwentijdt sottolinea che "non
necessario ricadere in controversie metafisiche, quale la composizione del continuo", che "sar
sufficiente fare uso di questi come uno strumento utile per il calcolo, come per gli algebristi le
radici immaginarie".
Il differenziale non quindi un infinitesimo, anche se incomparabilmente minore delle
quantit ordinarie, ma come un grano di sabbia rispetto al cielo, talora inteso come una variabile,
talora come una costante, e comunque sempre omogeneo alla grandezza differenziata. Per lui, dato
un numero dx, dy quel numero tale che dy/dx la pendenza della tangente: il differenziale appare
quindi un numero non nullo, una linea retta scelta arbitrariamente, e la tangente la linea che
connette due punti a distanza infinitamente piccola o il lato di un poligono con un infinito
numero di angoli [nova methodus]. Il ruolo svolto in Newton dallidea di limite viene svolto in
Leibniz dal principio di continuit: in ogni transizione supposta terminante in qualsiasi termine,
si pu istituire un ragionamento generale in cui tale termine finale incluso. Essa in realt
semplicemente asserisce la natura continua (metafora della grandezza geometrica) delle grandezze
fisiche, anche di quelle che venivano analizzate da Aristotele come coppie di opposti, con esempi
del tipo "la legge dei corpi in quiete un caso speciale della legge di ci che esiste in movimento".
Cio le tradizionali opposizioni movimento/quiete, disuguaglianza/uguaglianza, curva/retta, vanno
considerate come un continuo (il primo termine) di cui il secondo un caso speciale (Nuovi saggi
sull'intelletto umano, II,8)

92
Resta la preclusione verso una teoria degli indivisibili, ma lintegrale gli appare non il limite
di una somma ma una totalit, come nelle dottrine degli indivisibili di Cavalieri e Wallis. Usa
inizialmente scriverex, come una sorta di somma di linee, ovvero con dx=1, e solo
succesivamente x dx, come una somma di rettangoli infinitesimi.
Anche lui stabilisce senza prova le regole della differenziazione, usando implicitamente lidea
di infinitesimi, i differenziali di variabili come differenze variabili, e cos la d agisce come un
operatore, in modo da permettere di definire differenziali di ordine superiore, qualcosa di difficile
nellapproccio geometrico newtoniano. Cos "esistono differenti gradi di infinito e di infinitamente
piccolo" e che "quantit le cui differenza incomparabilmente piccola sono da considerarsi
uguali".
La differenziazione per Leibniz non si applica genericamente ad una equazione (come in
Newton) bens ad una funzione (usa proprio questo termine per indicare quantit geometriche,
coordinate, tangente, corda, etc., associate ad una curva): una grandezza geometrica legata alle
altre tramite una espressione algebrica.
Quella di Leibniz infatti una aritmetica dellinfinito ed il suo approccio esplicitamente
simbolico ed algoritmico, nei suoi fondamenti e non solo in pratica: Tutto il calcolo differenziale
appare solo un aspetto di una arte combinatoria generale, un alfabeto del pensiero umano
[Lettera ad Oldenburg, 27-8-1676], connaturata allarte umana della scoperta, lars inveniendi,
quasi un metalinguaggio rispetto al linguaggio aritmetico o algebrico.
Leibniz fu il testimone pi autorevole della crescita del registro simbolico nella nuova
matematica. Questa forse la differenza essenziale tra lui e Newton: per questi il simbolismo aveva
un ruolo secondario mentre per Leibniz esso assumeva un ruolo centrale. La notazione simbolica
un mezzo sensibile e palpabile che guida la mente: si pensi ad esempio alla forma
autoesplicativa che assume nella sua notazione la regola di derivazione della funzione composta:
dz/dx = dz/dy dy/dx. Ed il suo linguaggio algebrico si adatter al trattamento del continuo creando
una sintassi in grado di evitare i paradossi noti gi ai Greci. Considerare il punto x+dxsignifica in
fondo solo prendere il punto successivo ad x, cos che dx diverso da zero perch il punto
distinto ma poi si pone uguale a zero perch la distanza tra i due punti deve essere minore di ogni
possibile distanza finita, altrimenti vi sarebbero altri punti intermedi, e questo nel continuo
aritmetico significa zero: dy la differenza delle due y pi vicine [Lettera a Oldenburg, 21-6-
1677].

Gli infinitesimi furono oggetto di aspre critiche (del resto anche Cantor li considerava
assurdi). In generale infinitamente piccole quantit erano ritenute semplicemente nulle. Leibniz
rispondeva che col calcolo infinitesimale si potevano ritenere uguali grandezze che differivano di
quantit infinitesime e che esistevano diversi gradi di infinito o di infinitamente piccolo: una palla
un punto rispetto alla terra e la terra un punto rispetto alla sfera delle stelle fisse.
Jacques Bernoulli li riteneva quantit variabili, il fratello Jean invece li riteneva realmente
esistenti, Leibniz quantit piccole quanto si ritiene necessario perch siano incomparabili e no ci
siano conseguenze negli errori prodotti e si appellava al suo principio di continuit ed al fatto
che le figure rettilinee sono un caso particolare di figure curvilinee.
Il vescovo Berkeley sottoline la natura spettrale degli infinitesimi, qualcosa di nullo e
non nullo nello stesso tempo, legati alle difficolt connesse ai concetti di infinito e di continuo.
Berkeley attacc gli infinitesimi di Newton: ghosts of diparted quantities, le sue flussioni:
velocities of evanescent incrementsneither finite quantities, nor quantities infinitely small, nor
yet nothing, e la tradizione empirista si fece carico anche della critica del concetto di infinito
attuale: si ritrovavano antichi problemi, risalenti alla filosofia greca ma, di fronte ai paradossi
legati al concetto di infinitesimo, limmagine geometrica della tangente e quella fisica della
velocit istantanea, insieme ai crescenti ed indubbi successi della nuova fisica matematica,
sembravano sufficienti a dissolvere tutti i dubbi, e si apriva lepoca doro della analisi applicata
alla fisica. Seguir unepoca di successi ininterrotti, nella meccanica, nella termodinamica,

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nellottica, nellelettromagnetismo. La forma differenziale delle leggi della natura si riveler
perfettamente corrispondente alle verifiche sperimentali e lintuizione geometrica, poggiata anche
sul prestigio millenario degli Elementi di Euclide, sar sufficiente a tacitare dubbi e antinomie.

IL REGNO DEI SEGNI

Il solo Leibniz sembrer tentare una ripresa della logica, ma anche in lui, come in Descartes,
prevale il ruolo delle idee "chiare e distinte", termini che in qualche modo nel mondo delle idee
tendono a riproporre la antica mimesi 'iconica', anche se Leibniz sottolinea sempre la differenza tra
una idea e una immagine (l'esempio del chiliagono, difficilmente immaginabile, ma la cui idea
perfettamente chiara). La ripresa della logica appare pi che una "ars demonstrandi" una "ars
inveniendi", lars combinatoria, la possibilit cio di individuare un insieme di idee elementari,
rappresentabili tramite numeri, indefinibili e comprensibili per analogia o intuitivamente, con cui
costruire idee complesse, ottenibili come prodotto di numeri, rappresentabili simbolicamente e
comprensibili per definizione. La characteristica universalis la capacit del linguaggio
simbolico di rappresentare compiutamente luniverso oggetto di una scienza, permettendo una
perfetta corrispondenza tra oggetti, idee e segni, e ad essa si deve affiancare un calculus
ratiocinator, la capacit algoritmica di effettuare ragionamenti inoppugnabili manipolando segni,
traducendo ogni ragionamento in un calcolo. Metodi di questo calcolo sono la scomposizione dei
concetti nei loro componenti elementari, i sillogismi ed i principi di identit e di non-
contraddizione.
La ars combinatoria di Leibniz si delinea sin dallinizio come la scienza della pratica
simbolica il cui essere anfibio la rende nel contempo prassi algoritmica e linguaggio della
scienza umana. La sua idea giovanile e cartesiana di un alfabeto del pensiero umano evolve
nellidea che in realt luomo conosce attraverso i segni, una idea che oltre lalgebra influenzer
tanto lanalisi combinatoria che la logica formale, sino ad apparire una profezia dei futuri
linguaggi algoritmici.
E di qui lutopia razionalista in cui Leibniz prevedeva il giorno in cui difronte ad ogni
diatriba filosofica ci si potesse sedere e risolverla semplicemente calcolando. C addirittura in
Leibniz lidea che ogni verit (anche quando ci appare empirica) sia, per un essere capace di
deduzioni anche infinite, sempre analitica, riducibile cio allinclusione del predicato nel
soggetto.
In Leibniz i segni assumono per la prima volta un carattere esplicitamente costitutivo della
conoscenza umana, e quindi, nella loro struttura complessiva, non hanno un carattere puramente
convenzionale, poich la loro sintassi, intesa in senso generale come la regolamentazione della
loro manipolazione, deve riflettere la reale connessione tra le idee.
Gi nella matematica islamica era apparsa la nuova connessione tra segni ed algoritmi, nei
quali i segni non erano pi solo usati per registrare i valori numerici, ma diventavano gli
ingredienti essenziali dei secondi. Alla base cera la loro natura anfibia: da un lato oggetti
concreti, scrivibili, leggibili, manipolabili, spostabili, e quindi trattabili algoritmicamente,
dallaltro enti ideali, gli unici per i quali si poteva parlare di assoluta uguaglianza e assoluta
differenza: due 7 sono lo stesso numero anche se scritti con grafia diversa, un 4 e un 5 sono
numeri del tutto diversi anche se talora scritti in modo simile.
E non forse casuale che grandi analisti come Viete e Wallis si impegnassero anche come
decrittatori di codici. In questa diffusione del simbolismo algebrico si affacciava quindi un
processo che dominer la matematica moderna e in fondo la stessa civilt moderna: lirresistibile
ascesa del regno dei segni.
Si intuisce che a questo punto sempre pi per segno si intende il segno matematico. Cos i
segni sono la via per cui noi giungiamo alla conoscenza, essendoci preclusa l'intuizione unitaria
delle cose, e tali segni, sebbene arbitrari in quanto ci che non deve essere arbitrario il loro uso e
la loro connessione, per Leibniz dovrebbero essere anche il pi possibile "naturali", simili alle

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cose da rappresentare, secondo lo schema tipico dei geroglifici, con un esplicito riferimento a
caratteri cinesi.

La analisi puramente logica della definizione, la definizione nominale, ne pu garantire la


semplice possibilit quando non contenga alcuna contraddizione, ma la esistenza reale richiede
una autonoma dimostrazione, di tipo sostanzialmente generativo, e solo a questo punto otteniamo
una definizione reale. E questo si riflette nell'altro grande principio, che in Leibniz governa il
mondo fisico, il principio di ragion sufficiente, secondo il quale ogni fenomeno deve essere
spiegato come effetto di una determinata causa. Esempio paradigmatico di questo principio la
teoria della bilancia di Archimede, in cui una simmetria geometrica della configurazione reale
sufficiente per asserire l'equilibrio statico della configurazione stessa.
Ogni essenza prelude alla esistenza, una possibilit qualora non porti a contraddizioni. In
altri termini ci di cui possibile farsi una idea non contraddittoria anche possibile. Quali delle
possibili esistenze si realizza dipende dal massimo bene perch Dio fa si che questo sia "il
migliore dei mondi possibili".
Il razionalismo di Leibniz significa anche un nuovo assetto alla problematica del rapporto tra
identit e uguaglianza, basato sul rapporto tra identit e indiscernibilit ("indistinguibilit").
L'"indiscernibilit degli identici" appare indiscutibile, la "identit degli indiscernibili" significa
semplicemente ridurre l'individuo alla somma delle sue caratteristiche. In altri termini la "forma"
diventa una somma di propriet e l'"individuo" la somma di tutte le sue propriet. Consideriamo
ad esempio l'"autore dei primi due goal alla finale della Coppa del Mondo" e il "vincitore della
coppa di miglior giocatore dell'anno"; entrambi coincidono con Z.Zidane. Nella 'monade' Zidane
entrambe le propriet sono incluse e quindi dire che "il vincitore della coppa di miglior giocatore
dell'anno l'autore dei primi due goal alla finale della Coppa del Mondo" per una conoscenza
'divina' non un fatto empirico, ma una semplice identit: "Zidane Zidane". Le difficolt nel
ridurre tutta la complessit delle "verit di fatto" alle "verit di ragione" solo nella umana
impossibilit di deduzioni e caratterizzazioni infinite.

Il trattamento simbolico permetteva anche di trattare matematicamente lidea di infinito. In


Descartes esso appare prerogativa divina:

Noi non ci avvolgeremo mai nelle dispute dellinfinito...noi


che siamo finiti...non asseriremo che esse siano infinite ma
le crederemo solo indefinite...la quantit pu essere divisa
in parti il cui numero indefinito (I,26)riservare a Dio
solo il nome dinfinito (I,27) lintelletto non si estende
che a quei pochi oggetti che si presentano a lui, e la sua
conoscenza sempre limitatissima, mentre la volont in
qualche modo pu sembrare infinita, poich noi non
percepiamo nulla che possa che possa essere loggetto di
qualche altra volont...ci che causa che noi la portiamo
ordinariamente oltre quello che conosciamo chiaramente e
distintamente...non meraviglia se ci accade di ingannarci
(I,35) (Principi della filosofia)

E cos in Leibniz linfinito attuale lungi dallessere unidea da rigettare, entra a buon diritto
nella prassi conoscitiva, e cos anche il continuo:

Sono tanto a favore dellinfinito attuale, che ritengo che


la natura lo presenti ovunque per meglio mostrare la
perfezione del suo autore. Cos credo che ogni parte della
materia , non dico divisibile, ma attualmente divisa.
95
Un primo aspetto di questa funzione dell'infinito appare nelle riduzione dei concetti a concetti
elementari, punto chiave dellidea di riduzione sintattica della conoscenza. La risoluzione di tutte
le verit anche empiriche in verit a priori pu essere ottenuta tramite la pura analisi dei concetti,
il che per luomo richiede un regresso infinito, almeno per quanto riguarda le verit 'contingenti',
de facto, paragonabile alla rappresentazione di un numero irrazionale mediante una somma di
razionali, mentre per Dio invece realizzata compiutamente, a-priori e finitamente (cosa che per
l'uomo accade solo per la conoscenza delle verit 'di ragione', de jure, in quanto riducibili tramite
principi di contraddizione e definizioni a proposizioni identiche).
Quindi luomo pu conoscere il mondo con la stessa certezza divina, unica differenza essendo
la finitezza delluomo di fronte allinfinitezza di Dio, e questo far dellinfinito lorizzonte della
nuova scienza: i numeri reali, le serie, i limiti saranno i concetti infinitari che caratterizzeranno la
matematica nei secoli successivi. Ed anche essi si riveleranno ostici ad una matematica
tradizionale, geometrica, richiedendo invece una matematica sintattica e logica per essere
affrontati.

Ma la combinatoria si connette ad unaltra intuizione leibniziana, quella delluso della


probabilit per trattare casi in cui non si pu dimostrare ma si pu solo discutere la evidenza, come
ad esempio in ambito giudiziario.
Intorno al 1660 appare quasi senza preavviso una lunga serie di studi che oggi possiamo
inquadrare come inizi di una teoria della probabilit: nel 1654 Pascal risolve due problemi
probabilistici, nel 1657 Huygens scrive un libro sulla probabilit, nel 1662 la logica di Port Royal
riporta largomento probabilistico di Pascal sullesistenza di Dio (dal punto di vista decisionale,
per massimizzare lutile, sempre preferibile credere in Dio), in quegli anni Leibniz scrive il suo
saggio sulle combinazioni e vengono calcolate le annualit dei vitalizi in maniera corretta, nel
1662 vengono pubblicate le prime statistiche di mortalit.
Sin dallinizio nellidea di probabilit convivono due aspetti: uno statistico concernente
processi casuali ed uno epistemologico concernente le credenze e le decisioni relative. Quanto
fossero intrecciati i due aspetti si pu vedere nel fatto che i due riferimenti a Pascal concernono i
due diversi aspetti.

Di tipo statistico erano i problemi di divisione. Ad esempio: supponiamo che una partita che
doveva svolgersi sino a che uno dei contendenti non avesse n vittorie venga interrotta quando uno
dei due abbia ottenuto h e laltro k vittorie: come si deve dividere la posta? Pascal osserva che il
primo deve vincerne altre n-h e il secondo n-k.
Sicuramente in 2n h k +1 partite uno dei due vincer. Basta allora considerare i coefficienti
binomiali (triangolo di Pascal) su 2n h k +1 elementi e sommare da un lato quelli fino a n-h
dallaltro i restanti. Il rapporto fra i due numeri dar la divisione richiesta.
Il metodo non del tutto esatto poich non necessario svolgere tutte le partite: ci si fermer
quando uno dei due avr raggiunto le n vittorie, ma il procedimento concettualmente e
numericamente corretto.

Di tipo epistemologico la decisione sulla fede in Dio. Qui appare la teoria delle decisioni:
occorre valutare il vantaggio atteso. Qualunque sia la probabilit (non nulla) della esistenza di
Dio il vantaggio conseguente alla sua esistenza e alla fede in Dio infinitamente superiore a
quello conseguente alla sua non esistenza ed alla non fede in Dio, considerando poi irrilevante lo
svantaggio dovuto alla non esistenza in Dio ed alla fede e drammatico lo svantaggio conseguente
alla esistenza di Dio ed alla mancanza di fede.

Sulla via dei segni si dovr incamminare anche la logica. Sar Leibniz il primo ad asserire la
natura analitica delle verit matematiche, il loro essere deducibili come verit logiche, puramente

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formali, a prescindere dal loro contenuto: tautologie, vere per la sola forma senza bisogno di
riferimenti agli enti matematici. Se si guarda la dimostrazione leibniziana di una somma gi si
intravede la futura logica matematica, in cui la dimostrazione e calcolo coincidono, con la stessa
natura algoritmica e sintattica.
Euna logica inconfrontabile con quella medievale, che era una logica dei termini del
linguaggio naturale, ed anche con quella antica, che era unimmagine esplicativa della physis. In
essa appare inoltre unidea che avr un ruolo centrale nella logica moderna: quella della possibile
aritmetizzazione del pensiero, nella quale le idee complesse sono ottenute da operazioni
aritmetiche (moltiplicazioni o addizioni) sui numeri associati alle idee semplici.
Il pensiero di Leibniz appare lo sviluppo pi coerente dellidea, gi intravista nel
Cinquecento, che allinterno dellargomentazione matematica ci fosse il nucleo di una logica
generale della scienza di cui il sillogismo era solo un capitolo, unidea spesso contrassegnata come
mathesis universalis, che svolgeva un ruolo centrale nel metodo di Descartes.

ogni a b nessun a b qualche b a qualche b non a

a a a
a b b

b b

Fig.26

Oltre che con la matematica, la logica del seicento si legava anche alle scienze naturali. Ad
esempio, nella logica di Port Royal, si trova la distinzione, molto sfumata in Aristotele e apparsa
vagamente nel Medioevo, tra intensione ed estensione di un predicato: ad esempio, dellaggettivo
<rosso> lestensione era linsieme degli oggetti rossi, lintensione era invece il concetto di rosso,
cio un ente essenzialmente mentale. Era una distinzione chiara anche a Leibniz, ma per lui
probabilmente irrilevante poich i due ambiti erano legati nella sua armonia prestabilita. Nel
secolo successivo Euler introdurr quella rappresentazione insiemistica estensionale che ancora
oggi domina nelle nostre scuole (fig.26).
Pi in generale si diffondeva lidea che quel mondo reale, ma inattingibile alla conoscenza
comune, che era diventato loggetto della scienza, avesse una struttura simbolica. Era conoscibile
solo in laboratorio ma, come osservava Weyl, anche la misura sperimentale in fondo solo il
confronto tra due segni, uno risultato dalla manipolazione di leggi naturali in forma algebrica e
uno letto su uno strumeno di misura. Nel giro di un secolo tutta la fisica sar scritta in linguaggio
algebrico, il linguaggio delle funzioni e delle equazioni differenziali.

IL SETTECENTO

Il XVII secolo coronato dalla pubblicazione dei Principia newtoniani, nei quali la nuova
fisica viene costruita non con i concetti del calcolo infinitesimale ma col linguaggio della
geometria. Tuttavia lalgebra simbolica si era costruita uno spazio crescente, anche se allinizio
era adoperata solo perch i segni aiutavano la memoria, esplicitavano i passaggi, semplificavano
gli algoritmi, e quindi essa apparteneva solo al metodo dellindagine. Ma si diffondeva
limpressione che essa aprisse nuove strade precluse al ragionamento geometrico: non casuale
che le prove fatte col metodo di esaustione tendessero a scomparire.
Il simbolismo algebrico era stato utilizzato come un puro strumento, neutro e nel contempo
affidabilissimo, ed applicato anche a questioni come il calcolo differenziale-integrale e la teoria
delle serie che hanno a che fare direttamente con linfinito ed il continuo. Lo stile euclideo e la

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logica aristotelica scompaiono assieme alla scolastica: la Geometrie di Descartes non contiene
assiomi, postulati e neanche dimostrazioni, Newton ritrova il suo calcolo direttamente nella realt
naturale, e persino un autore attento al rigore logico come Leibniz non si pone alcuna questione
logica o fondazionale nel suo uso degli infinitesimi. Questo approccio inizia con il XVII secolo e
dura fino alla fine del XVIII.
Ad esempio alla met del XVII secolo John Wallis calcola somma dei cubi degli interi fino ad
n mostrando la regolarit del valore di tale somma per n da 1 a 6 e fornisce la formula
commentando questo evidente dal precedente ragionamento: sembra di risentire Nicomaco.
Analogamente nella seconda met del settecento fa Leonhard Euler.

Ad esempio egli parte dalla formula che esprime un polinomio tramite le sue radici non nulle:

P(x) = c (1- x/r1) (1- x/r2) (1- x/r3) . (1- x/rn)

da moltiplicare per x nel caso di una radice nulla. E la applica allo sviluppo della funzione
seno,con radici 0, +1, -1, +2, -2, etc.:

sin x = cx (1-x/1) (1+x/1) (1-x/2) (1-x/2)

passando al limite per x0 ottiene che c vale . E quindi

sin x = x (1- x2/1) (1- x2/4).

Ma il teorema di Taylor gli permette di scrivere anche

sin x = x/1! - x3/3! + x5/5! -..

Uguagliando i coefficienti allora

/3! = -1/1 1/4 1/9 -.)

ovvero /6 = 1/n .
n
2

Dopo aver sommato una trentina di termini della serie si convinse della correttezza della
formula.

Ma tale disinvoltura non sempre ha successo.


Che i tempi stiano cambiando lo si vede nello stesso Euler che si sforza di rispondere alle
perplessit sulluso degli infinitesimi sollevati ad esempio da Berkeley pochi decenni prima: la sua
idea di analizzare il rapporto tra due zero, distinguendo tra un metodo aritmetico ed uno
geometrico. Il primo porta a dare a tale rapporto valore unitario, mentre il secondo permette di
dargli valori diversi. E ancora lambito geometrico lunico che permette di dare un senso al
calcolo differenziale.
Allinizio del nuovo secolo per difendere le tecniche simboliche, di sicura efficacia ma di
dubbio fondamento, DAlembert esortava che le calcul porte sa preuve avec soi e allez de
lavant, la foi viendra ensuite.
Il settecento verr caratterizzato dallopera di grandi fisici-matematici, quali i Bernoulli (Jean,
Jacques, Daniel), Euler, dAlembert, Lagrange, che daranno al calcolo infinitesimale la sua forma
analitica attuale. A prima vista potrebbe sembrare una fase minore, ma ci sono due aspetti di

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questa sistemazione che vanno sottolineati: la rottura tra filosofia naturale e scienza fisica-
matematica, ed il passaggio, progressivo ma definitivo, del calcolo infinitesimale dalla forma
geometrica a quella algebrica. Sar questo aspetto sintattico lo sfondo della pi poderosa tecnica
per lapplicazione della analisi alla fisica-matematica: la risoluzione delle equazioni differenziali.

Il primo testo sul calcolo sar quello del marchese de lHopital, pubblicato nel 1696, ma
dovuto in gran parte a Jean Bernoulli. Qui appaiono le definizioni di quantit variabile, che
cresce e decresce con continuit e la cui parte infinitamente piccola il differenziale, e due
postulati: due quantit la cui differenza una quantit infinitamente piccola possono essere prese
o usate indifferentemente, una curva pu essere considerata come un poligono con un infinito
numero di lati, ognuno di lunghezza infinitamente piccola, che determinano la curvatura della
curva dagli angoli che fanno tra di loro.
Si esplicita il concetto di funzione come espressione: per Euler la funzione di quantit
variabile una espressione analitica comunque composta di tale quantit variabile e di numeri o
quantit costanti, per Lagrange sar unespressione algebrica comunque composta di variabili e
contenente un numero qualsiasi di costanti, la stessa derivata sar allora una funzione. Il
carattere sostanziale delle espressioni algebriche (anche infinite) appare nel fatto che per Euler la
serie di potenze diventa la forma pi generale per esprimere una funzione, e la continuit viene
caratterizzata dallesistenza di ununica espressione algebrica per la funzione. Classicamente nel
XVIII secolo una funzione era necessariamente data da una espressione analitica. Per Eulero la
distinzione decisiva quella tra espressioni finite (funzioni algebriche) e serie infinite (funzioni
trascendenti).
Parallelamente inizia il processo di traduzione della meccanica newtoniana nel formalismo di
Leibniz.
Quindi i matematici del Settecento accetteranno inizialmente lesistenza degli infinitesimi pi
dei 'padri fondatori', Newton e Leibniz: per Jean Bernoulli nella misura in cui il numero dei
termini infinito, linfinitesimo esiste ipso facto.
Ma in realt lapproccio realista al calcolo (sia nella sua versione geometrica che in quella
simbolica) stava tramontando a vantaggio di un approccio puramente algoritmico, senza
riferimento agli infinitesimi, alle figure geometriche o al moto. Cos il problema metafisico della
loro natura riceveva soluzioni che oggi appaiono strane: per Euler il differenziale non altro che
lo zero ed il calcolo solo una procedura per calcolare espressioni del tipo 0/0 che per scopi pratici
utilizza i differenziali, e motiva la sua opinione facendo vedere come la loro manipolazione si
possa ricondurre a propriet dello zero. Boyer scrive che di 28 pubblicazioni tra il 1754 e il 1784
da lui analizzate 15 interpretavano il calcolo con i differenziali leibniziani, 6 in termini di limiti, 4
in termini di zero euleriano. E poi cera Lagrange, il quale definiva le derivate come i coefficenti
nello sviluppo in serie di Taylor:
f(x+h) = f(x) + h f(x) + h2/2! f(x)+.+ hn/n! f(n)(x) +

In Euler il calcolo infinitesimale ha ancora caratteri spiccatamente geometrici, ma nel 1788


Lagrange pubblica la sua Mcanique Analytique, il pi importante libro scientifico dopo i
Principia newtoniani, nella quale si vanta di non utilizzare pi figure ma solo formule. E lo fa
veramente: un libro di 600 pagine senza neanche una figura! E spesso qualche figura sarebbe
anche utile per seguire meglio le formule, ma non c. Con laffermarsi della forma algebrica
simbolica, la nuova analisi infinitesimale diventava sempre pi la base non solo della meccanica
ma della fisica tout court (astronomia, acustica, ottica, teoria del calore).
Anche la teoria delle equazioni differenziali parziali, legata al concetto di funzione, cresceva
intorno a problemi di fisica. Uno dei pi celebri fu quello delle corde vibranti, la cui forma data
da una funzione u(x,t) soluzione della equazione differenziale
2u/t2 = a2 2u/x2

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la cui soluzione nel caso di unonda stazionaria (le oscillazioni delle corde degli strumenti
musicali non si propagano nello spazio) era una somma di sinusoidi, e quindi periodica. Motivo di
discussione tra DAlembert ed Euler in questo studio era la funzione iniziale, se dovesse essere gi
periodica, come voleva dAlembert, o no, come voleva Euler sulla base della plausibilit fisica:
infatti una corda ferma viene di solito messa in vibrazione tirandola in alto per il suo punto medio
e poi lasciandola andare, una forma iniziale quindi non periodica e neanche data da una sola
espressione algebrica (una spezzata formata da due segmenti di retta, fig.27 destra).

FIG.27

Nella seconda met del XVIII secolo lo studio delle vibrazioni di una corda diventa il cuore
del dibattito tra i grandi matematici dellepoca: DAlembert, Euler, D.Bernoulli, Lagrange.
Occorreva trovare e poi risolvere le equazioni differenziali che potevano caretterizzare il
problema. A questo punto occorreva dare le condizioni iniziali e queste, nel caso di una corda
pizzicata, potevano richiedere una funzione che noi oggi diremmo non differenziabile in un punto
e data da due spezzate. Euler estende il concetto sino a comprendere anche funzioni discontinue
definite a pezzi e comincia ad apparire la concezione moderna di funzione come legge che
definisce, dato il valore delle variabili, il valore della funzione, a prescindere dalla sua
espressibilit algebrica.

Euler e Lagrange fondano la meccanica su principi, quali il principio di minima azione, il


principio dei lavori virtuali, il principio della minima altezza del centro di massa, i principi di
conservazione, e caratteristica dellepoca la quasi impossibilit di distinguere tra matematica e
fisica, come ad esempio nel calcolo delle variazioni. Esso appare con il problema della
brachistcrona, cio della curva che, dati due punti su di essa a diversa altezza, in presenza della
sola gravit e del vincolo di seguire la curva, consente la discesa tra essi in un tempo minimo (non
la retta, che d invece la curva di minima lunghezza, fig.27 sinistra). Chiaramente questo un
problema di minimo, ma non su una curva bens in una famiglia di curve, affrontato per la
prima volta alla fine del XVII secolo da Jean Bernoulli e poi dal fratello Jacques.
Essi studiarono in generale il problema di trovare in una famiglia di curve (funzioni) F quella
che minimizzava il valore di una certa funzione (il tempo, nel caso della brachistcrona) che
dipendeva dalla curva variabile in F, una funzione di funzione che assumer il nome di funzionale.
A questo fine Lagrange distinguer tra la d che esprime la differenziazione lungo la curva e la
che esprime la variazione in una famiglia di curve. Tali problemi di minimizzazione apparivano
sempre pi spesso in una meccanica che si andava caratterizzando con principi di massimo e
minimo o di conservazione. Il calcolo delle variazioni alla radice della moderna analisi
funzionale, ma la sua motivazione era fisica, problemi fisici ne segnarono lo sviluppo, e fisico fu
lesito principale della teoria: quella meccanica lagrangiana che diventer lo standard della fisica a
partire dalla fine del XVIII secolo.

Non diverso un altro capitolo centrale della matematica settecentesca: il metodo dei
moltiplicatori di Lagrange. Fu questo metodo sviluppato per studiare il minimo o massimo di una
funzione tra punti vincolati a variare su una linea o una superficie. Detta f la funzione e detti gi=0 i
vincoli, il metodo consisteva nel minimizzare la funzione f + l1 g1 + l2 g2++ ln gn al variare non

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solo delle incognite ma anche dei parametri li. Il metodo ha una elegante motivazione matematica
(in fondo riconducibile alla intuizione di Descartes e Fermat che un punto di massimo o minimo
anche un punto multiplo, in cui cio pi soluzioni vengono a coincidere), ma ammetteva anche
una parallela motivazione fisica: le linee o superfici di vincolo per il moto di un corpo potevano
essere determinate dallazione di forze (ad esempio di tipo pressione o resistenza che
costringevano il corpo a muoversi sulla linea o superficie), ed allora il moto veniva dedotto dai
principi di minimo della meccanica applicate senza i vincoli ma in cui fossero presenti anche tali
forze, il cui valore era proprio dato dagli li.
Quanto nellopera di Lagrange derivasse dal problema matematico e quanto derivasse dal
problema fisico difficile da dire, in realt limpressione che mai come nel settecento tra
meccanica e calcolo simbolico la distinzione fosse impalpabile.

Nel 1744 Maupertuis introduceva il principio di minima azione, partendo dal problema della
rifrazione di un raggio di luce, ma basato su ragioni teologiche, Euler dava a tale principio un
fondamento pi fisico, ma dal 1768 al 1772 nelle sue Lettere ad una principessa tedesca sulla
filosofia naturale anche lui ancora fondeva fisica, matematica, filosofia e teologia senza soluzione
di continuit.
Ma quando nel 1779 lAccademia delle Scienze di Berlino indice un concorso sul tema delle
cause della forza, tema ragionevole per gli scienziati-filosofi del Seicento, molti filosofi
partecipano, ma nessun fisico-matematico, c anzi tra questi una certa ironia sul tema.
Un altro sviluppo che alla fine del settecento preannuncia la nuova analisi matematica
dellottocento labbandono progressivo del riferimento geometrico: gi Lagrange si vanta di
avere introdotto solo operazioni algebriche senza n costruzioni n ragionamenti geometrici o
meccanici per chiarire i concetti, partendo dallidea che ogni funzione era sempre sviluppabile in
serie di potenze. E nella Mcanique Analytique di Lagrange del 1788 gli aspetti filosofici sono
ormai del tutto assenti: viene utilizzato il principio di minima azione, ma esso non ha pi alcuna
motivazione che non sia puramente fisico-matematica. Oramai la fisica-matematica si separava
definitivamente dalla filosofia: il suo fondamento era da un lato nella certezza della dimostrazione
geometrica e del calcolo algebrico, dallaltro nella sua capacit di risolvere i problemi fisici.

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