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di Andrea branzi
Architetto, designer
Si parlato e si parla molto del design italiano, e in modo particolare del design milanese; ma questo complesso
fenomeno stato spesso visto come il lato imprevisto di una societ molto seria e molto efficiente. Non sempre si
indagato il perch di questa realt italiana e milanese, che possiede ormai dei connotati radicati sul piano
sociale e rilevanti sul piano economico.
Nel mio libro Introduzione al design italiano una modernit incompleta (Baldini & Castoldi, Milano, 2000)
ho cercato di indagare le sue origini profonde nella storia del paese, e anche nelle vicende singolari della
modernit italiana.
Ma il primo serio contributo alla conoscenza strutturale del Sistema Design Italia stato prodotto dalla ricerca
MIUR, coordinata su scala nazionale dal Politecnico di Milano, da cui nato il libro Milano distretto del design
un sistema di luoghi, attori e relazioni al servizio dellinnovazione pubblicato nel 2002 da Il Sole 24-Ore.
Si tratta di una indagine affascinante sulle mutazioni avvenute allinterno delleconomia di un sistema industriale
particolare come quello italiano; indagine che permette di aprire una finestra sulle nuove e complesse relazioni
interne al nostro distretto culturale e alla sua funzione guida nel quadro della produzione nazionale di
innovazione.
La produzione di innovazione a livello di massa dentro a distretti urbani come Milano, mette in evidenza infatti
le mutate modalit di produzione del progetto, e la assoluta rilevanza economica e sociale che le capacit
individuali di intuizioni estetiche e creative (fino a pochi anni fa considerate marginali e minoritarie) rivestono
nello sviluppo delleconomia nazionale.
Il modello italiano
LItalia ha elaborato durante la seconda met del XX secolo un suo particolare modello pratico di modernit,
basato sulla capacit di sperimentare nella piccola serie, di relazionarsi con le culture creative esterne alla
fabbrica, e soprattutto di fare sistema delle energie produttive (e culturali) disperse nel territorio. La scuola
italiana di analisi economica di Giacomo Becattini, ha sviluppato gi dagli anni 70 un modello di interpretazione
dei distretti produttivi come sistemi basati sulla presenza positiva di piccole e medie industrie concorrenziali in
un ambito territoriale ristretto. Questo modello si sviluppato a partire da una nuova interpretazione dei processi
dello sviluppo industriale, non pi limitato a una crescita uni-direzionale dellimpresa (piccolo-medio-grande),
ma capace di creare sistemi di relazioni altamente complessi a partire dalle condizioni distrettuali,
apparentemente deboli e diffuse ma in realt capaci di produrre sinergie e duttilit rispetto al nuovo, e energie
espansive originali sui mercati maturi.
Sebastiano Brusco e Sergio Paba hanno censito nel 1991 nel nostro paese ben 238 distretti, di cui 149 gi presenti
fino dal 1951, a dimostrazione dello stabile radicamento del fenomeno sul territorio produttivo. Giorgio De
Michelis analizzando i processi creativi allinterno dei distretti industriali del Made in Italy (maglieria,
pelletteria, tessuti, scarpe, occhiali, arredamento, accessori, ceramiche, vetro, legno e altro), ha rilevato che
linnovazione che essi producono e che li alimenta nella concorrenza interna e internazionale, non il risultato n
dallevoluzione tecnologica, n dallincremento del mercato; essa invece guidata dallinvenzione sia di un
nuovo profilo dellutente, che dei prodotti/servizi che lo soddisfano. Una energia innovativa che pu essere
definita design driven cio guidata dal progetto, inteso come capacit diffusa di immaginare nuovi scenari/nuovi
prodotti/nuove imprese.
Questa particolare economia basata sullinnovazione diffusa (estetica, tecnologica, commerciale, tipologica)
produce, secondo stime approssimative, quasi il 70% dellattivo della bilancia dei pagamenti del nostro paese;
in questo contesto particolare che il design acquista una nuova identit, come segno visibile di una civilt
industriale, che esprime progetto e impresa a livello di massa.
In tutti i mercati maturi, ad alto livello di concorrenzialit, e dove il rischio prodotto altissimo, vi una forte
domanda di innovazione estetica e relazionale; ma anche vero che la disponibilit sul mercato di questa
particolare tipo di energia evolutiva, non n di facile programmazione n di semplice raccolta, e chi capace di
produrla svolge un ruolo prezioso per la vitalit del sistema.
Se un tempo il design concorreva in maniera occasionale ai processi di innovazione tecnologica, che scendevano
dalle cattedrali della ricerca (Nasa, MIT, esercito) collaborando a adattare alle singole situazioni produttive i
contenuti alti delle nuove tecnologie, oggi esso coinvolto in prestazioni pi complesse e articolate, come
cultura capace non solo di interpretare al livello pi sofisticato (cio estetico) le tecnologie a disposizione, e
anche di inventare tecnologia sulla base di necessit estetiche.
La tradizione milanese
Milano ha una lunga e singolare tradizione di collaborazione tra cultura tecnica e cultura estetica. Qui possiamo
ricordare il ruolo tecnico dei maestri comacini nelle vicende dellarchitettura medievale italiana ed europea.
Oppure il primo Rinascimento lombardo legato alla presenza di Leonardo da Vinci alla corte degli Sforza, che si
faceva carico di trasformare in ingegneria, innovazione e invenzione, la nuova civilt estetica. Lilluminismo
milanese della rivista Il caff contribu inoltre ad affermare lidea che la tecnologia e lindustria erano il
risultato di una visione politica e sociale del progresso, come valore condiviso nella societ, e non soltanto frutto
del desiderio di guadagno.
Su queste nobili e lontane tradizioni Milano fonda la sua idea di design come innovazione tecnico-sociale,
diventando negli ultimi venti anni una distretto che produce cultura critica e progetto, che diventa una forma di
energia esportata (60%) in altri distretti e in altre nazioni.
Un distretto solo parzialmente costituito infatti da designer italiani, e sempre pi da progettisti e ricercatori
stranieri, attratti dalle favorevoli condizioni operative del contesto.