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Abstract
1. Radici smarrite?
1
attorno ai quali la teoria radicale italiana si arrovellata negli ultimi
trentanni. In qualche modo, si tratta per anche di questioni
analoghe a quelle che si posero tra la fine degli anni Cinquanta e
linizio degli anni Sessanta i gruppi minoritari che iniziarono a
rileggere Marx in modo creativo e non dogmatico e che diedero vita
a riviste ormai classiche come Quaderni rossi e Classe operaia. Lidea di
fondo dei giovani operaisti era infatti che la crisi interna al
movimento operaio non fosse dovuta semplicemente o soltanto ad
errori teorici o a tradimenti compiuti dalla dirigenza dei partiti di
sinistra, ma piuttosto a trasformazioni intervenute nellassetto dei
processi produttivi e nella composizione della forza lavoro. Da
questa ipotesi generale derivava allora la centralit del metodo
dellinchiesta, che avrebbe dovuto rivelare non solo la realt della
nuova condizione operaia, ma soprattutto la realt di nuovi
soggetti conflittuali in grado di sostenere e trainare la ripresa delle
rivendicazioni dei lavoratori.
Per quanto siano state condotte ricostruzioni rilevanti e spesso
acute delle vicende legate a questo composito ed articolato filone di
pensiero, mancano ancora riflessioni complessive sulle innovazioni,
sugli strumenti e sui contributi che il cosiddetto operaismo italiano
continua ad offrire ancora oggi allanalisi della realt1. In questo
2
breve intervento non intendo ovviamente supplire a queste lacune,
ma mi propongo, molto pi modestamente, di compiere una rilettura
critica della nozione operaista di composizione di classe2. Lo scopo
principale della mia operazione non sta nel tentativo di stabilire
quale sia la definizione corretta di questa categoria analitica, n di
sviluppare una filologia maldestra finalizzata ad introdurre una
nuova ortodossia: il vero intento invece di mostrare come la lezione
operaista offra strumenti decisivi per analizzare i conflitti anche
nellera della cosiddetta sussunzione reale. Le basi teoriche delle
ricerche e delle intuizioni prodotte da intellettuali-militanti del tutto
eccezionali come Romano Alquati, Sergio Bologna, Antonio Negri,
Raniero Panzieri e Mario Tronti sono infatti tuttaltro che relitti del
passato o residui ideologici di una stagione politica remota: il punto,
per, che quanti nel corso degli ultimi due decenni hanno raccolto
il testimone delloperaismo degli anni Sessanta e Settanta, nel
tentativo spasmodico di rintracciare il bandolo di tutte le matasse3,
hanno sovente finito col cadere in una sorta di trappola
deterministica che ha privato la categoria analitica di composizione
di classe delle sue armi pi affilate.
Non senza motivo loperaismo italiano viene anche definito
scuola della composizione di classe (con riferimento soprattutto ai
suoi sviluppi storiografici) e, con un termine un pi fantasioso,
composizionismo4: a dispetto per della centralit teorica che viene
Bernocchi ed Enzo Modugno (Il bandolo della matassa allincrocio fra sapere e
vita, in Il manifesto, 27 febbraio 1990, ora riprodotto in Banlieus, n. 1, 1997, pp. 32-
33), i quali, prendendo le mosse dal movimento della Pantera, scrissero che
lintellettualit diffusa e di massa era il bandolo di tutte le matasse (ivi, p.
32).
4 stato Franco Berardi a ridefinire la teoria della composizione di classe in
3
riconosciuta alla nozione di composizione di classe, lattenzione con
cui si tentato di ricostruirne la genesi, le implicazioni ed i possibili
sviluppi non stata adeguata alle esigenze. Queste lacune teoriche
hanno condotto col trascorrere degli anni al graduale sfumarsi delle
radici materialistiche che stavano alla base di questa ipotesi e i
richiami ad essa sono pertanto divenuti puramente convenzionali e
privi di sostanziale continuit metodologica con limpostazione
originaria. Privata delle sue basi materialistiche - radicate nellidea
della composizione di classe come struttura soggettiva dei bisogni,
dei comportamenti e delle pratiche conflittuali - anche lidea
dellinchiesta ha finito col perdere il significato che aveva avuto nel
contesto del primo operaismo, rischiando cos di essere appiattita al
livello delle semplici indagini sociologiche sulla realt del lavoro nel
postfordismo5.
La distorsione di cui stata oggetto nellultimo decennio la
nozione di composizione di classe e le tentazioni deterministe che
hanno preso corpo su queste radici smarrite mi sembrano allora
motivi sufficienti per guardare indietro e tentare di compiere un
breve bilancio. In questo articolo mi propongo perci
sostanzialmente tre obiettivi: in primo luogo, una ricostruzione della
nozione di composizione di classe elaborata dagli operaisti degli anni
Sessanta, in secondo, la critica dei residui di determinismo che si
annidavano in quella nozione (ed in quella, connessa, di operaio
massa), e, infine, lesposizione di alcune idee che - riprendendo
alcune ipotesi gi enunciate alla fine degli anni Settanta - dovrebbero
consentire di uscire dal fabbrichismo esplicito o implicito in molte
interpretazioni del mutamento sociale.
utopia di Potere operaio. Lavoro tecnica movimento nel laboratorio politico del Sessantotto
italiano, Castelvecchi, Roma, 1998, p. 148).
5 La necessit dellinchiesta sulle nuove figure del lavoro stata riaffermata
4
2. Composizione di classe, inchiesta operaia e conricerca
6 Cfr. A. Negri, Ambiguit di Panzieri?, in Aut aut, nn. 149-150, 1975, pp.
141-155 (in particolare pp. 154-155), e Id., Pipe line. Lettere da Rebibbia, Einaudi,
Torino, 1983, p. 77-84.
5
come uno strumento conoscitivo della mutata realt operaia
finalizzato a fornire lo stimolo per un rinnovamento teorico e politico
delle istituzioni del movimento operaio ufficiale; dallaltro, stavano
invece Alquati e pochi altri (Soave e Gasparotto), che sulla scorta di
esperienze di fabbrica americane e francesi consideravano invece
linchiesta come il presupposto di un intervento politico mirante ad
organizzare la conflittualit operaia. Si trattava di una divergenza
notevole dal punto di vista degli obiettivi concreti, ma ancora
maggiore era la distanza che separava le due componenti sul piano
del metodo: mentre infatti i primi aggiornavano la teoria marxista
con temi e metodi elaborati dalla sociologia industriale nord-
americana, Alquati proponeva nello studio della fabbrica una sorta
di inversione strategica, paragonabile per importanza a quella
proposta qualche anno pi tardi da Tronti per la teoria del valore.
Proprio in questa intuizione di Alquati, incominciava a prendere
forma lidea della composizione di classe.
Il primo numero dei Qr, uscito nella primavera del 61, era
dedicato interamente alle Lotte operaie nello sviluppo capitalistico e,
nonostante la nascita delloperaismo italiano venga spesso fatta
risalire alla pubblicazione di quel fascicolo, solo i saggi di Panzieri e
di Alquati anticipavano temi e metodi che pi tardi avrebbero
effettivamente costituito la base teorica del filone. Lobiettivo centrale
del saggio di Panzieri sulluso capitalistico delle macchine, in cui
rileggeva la Quarta Sezione del Primo Libro del Capitale, era lattacco
alla tradizione marxista ortodossa che, confidando nella neutralit
delle forze produttive, era giunta a scindere la questione dei rapporti
di forza politici tra le classi dalla forma con cui le forze produttive
venivano plasmate nel corso dello sviluppo capitalistico7. Puntando
perci sullintuizione in base alla quale il dispotismo del piano di
fabbrica (connesso inestricabilmente alla forma capitalistica della
cooperazione produttiva) si trasferiva direttamente allassetto del
sistema automatico di macchine, Panzieri compiva il primo passo per
comprendere il rapporto sociale di fabbrica come rapporto di forza e
come risultato dello scontro quotidiano: su questa base la teoria del
valore poteva iniziare ad essere letta non pi come il portato di
in Quaderni rossi, n. 1, pp. 53-72, ora in Id., Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, a
cura di Sandro Mancini, Einaudi, Torino, 1976 pp. 3-23.
6
variabili esterne al rapporto di produzione, ma come esito variabile
dello scontro tra capitale e forza lavoro8.
Panzieri in realt, pur segnando un notevole passo in avanti
rispetto alla tradizione del marxismo italiano di matrice storicista,
non svilupp compiutamente le proprie intuizioni e soprattutto non
giunse ad una vera e propria enunciazione della teoria della
composizione di classe9 e nella sua riflessione manc sempre lidea
che i comportamenti conflittuali potessero conquistare una
autonomia rispetto alla cooperazione capitalistica. Lazione e
lantagonismo operai furono dunque concepiti da Panzieri soltanto
come fenomeni di resistenza al comando capitalistico, come risposte
allazione di dominio, e il suo discorso rimase privo di quellidea di
autonomia operaia che Alquati e in seguito Tronti e Negri
utilizzarono come chiave privilegiata per la rilettura soggettivista di
Marx10.
Il merito principale nel superare questa ambiguit di Panzieri,
stretto tra intuizioni proficue e soggezione alla teoria ortodossa (ed al
movimento operaio ufficiale), fu invece proprio di Alquati, un allievo
cremonese di Danilo Montaldi che si era trasferito nel 1960 a Torino e
che impresse con le proprie ipotesi un marchio indelebile alla
del suo sviluppo spontaneo resta resistenza del capitale variabile rispetto alla
tendenza immanente allo sviluppo capitalistico di ridurre la forza-lavoro a
semplice appendice del capitale costante. Sociologicamente intesa la lotta
spontanea, anche nel capitalismo sviluppato, non va oltre il conflitto, espressione
della resistenza operaia che da sempre accompagna lintroduzione in fabbrica di
nuove e pi efficaci forme di sfruttamento (F. Schenone, Fare linchiesta: i
Quaderni rossi, cit., pp. 182-183).
7
vicenda operaista. Spesso si sono rintracciate le matrici teoriche dei
Quaderni in Pollock, in Adorno e nella scuola di Francoforte e,
sullonda di questa forzata genealogia, stato talvolta ascritto ai
giovani operaisti un esasperato feticismo tecnocratico. Se questa
critica conserva una parziale validit per quanto concerne Panzieri,
essa invece del tutto fuorviante nel caso di Alquati: la sua
formazione avvenne infatti in gran parte sui testi della sinistra
trotzkista francese e statunitense e su quegli autori - come Daniel
Moth, Paul Romano e Martin Glabermann - le cui tematiche
operaiste Montaldi aveva faticosamente tentato di introdurre nel
dibattito italiano nel corso degli anni Cinquanta11. Si trattava di
autori che avevano gi maturato fin dagli anni Trenta lesperienza
della classe operaia dequalificata e radicale prodotta dal taylorismo,
e Alquati, grazie a tali mediazioni, risultava immune, almeno
parzialmente, dai pregiudizi ideologici della tradizione ortodossa e
pronto a cogliere le conseguenze del mutato assetto produttivo e
sociale. La Relazione sulle Forze nuove, apparsa sul primo numero
dei Qr, rappresentava la prima individuazione di quello che pi tardi
sarebbe stato definito come operaio massa: per la prima volta in
Italia la dequalificazione del lavoro prodotta dallautomazione,
invece di essere avversata in quanto dissolutrice delle competenze
operaie, veniva colta nei suoi risvolti conflittuali, come il terreno di
lotta in cui maturavano su nuove condizioni di organizzazione
tecnica della forza lavoro inedite pratiche di scontro e
rivendicazione, spesso lontane dal clamore delle grandi
manifestazioni politiche del Movimento Operaio ma ciononostante
molto pi radicali rispetto allassetto del comando capitalistico12.
Lintuizione metodologica pi importante del discorso di Alquati, al
di l del potenziale conflittuale che egli individuava nelle forze
Montaldi e le origini della nuova sinistra, Feltrinelli, Milano, 1974, e anche M.G.
Meriggi, Composizione di classe e teoria del partito, cit. Sulle matrici teoriche di
Alquati ha invece attirato lattenzione F. Schenone, Fare linchiesta: i Quaderni
rossi, cit., pp. 213-214. Notazioni autobiografiche molto importanti sono fornite
dallo stesso Alquati in Camminando per realizzare un sogno comune, Velleit
alternative, Torino, 1994 e Per una storia di classe operaia (Intervista a cura di
Giuseppe Trotta), in Bailamme, n. 24/2, 1999, pp. 173-205.
12 R. Alquati, Relazione sulle forze nuove. Convegno del Psi sulla Fiat,
gennaio 1962, in Quaderni rossi, n. 1, ora in Id., Sulla Fiat e altri scritti, cit., pp. 27-
53.
8
nuove, era la focalizzazione sul piano, per cos dire, micro-
conflittuale, sul livello della quotidianit dellattivit di lavoro.
A dispetto di una certa iconografia, la scelta della Fiat come
punto strategico di analisi e di organizzazione non era dettata dalla
forza della classe operaia torinese. Al contrario, per tutta la seconda
met degli anni Cinquanta gli stabilimenti della Fiat avevano
rappresentato la conferma pi incisiva delle tesi che sostenevano che
il neocapitalismo e le concessioni della societ opulenta avessero
definitivamente integrato la classe operaia nella sistema economico.
In realt, dietro la pace sociale stavano sia la sconfitta subita dal
sindacato allinizio del decennio sia la feroce repressione che aveva
condotto o allespulsione delle vecchie avanguardie politicizzate o al
loro confino in reparti marginali e dalle atroci condizioni di lavoro.
La ristrutturazione tecnologica aveva rappresentato ovviamente il
fulcro della controffensiva vallettiana e la progressiva automazione
degli impianti era stata accompagnata da una serie di nuove
assunzioni condotte con una accurata selezione. Alquati rivolgeva
lattenzione proprio a queste forze nuove, prive di qualsiasi
passato di militanza ed attratte dal miraggio del paradiso-Fiat: si
trattava in gran parte di privilegiati nel contesto della classe operaia
torinese e italiana, perch il livello salariale era relativamente pi
elevato e le forme di tutela anche allesterno della fabbrica piuttosto
significative. Mentre le teorie tecnocratiche vedevano in quella nuova
classe operaia semplicemente la testimonianza di uno strato sociale
ormai integrato ed imborghesito o la realt di une atroce
alienazione, Alquati ripercorreva il sentiero che conduceva gran
parte di quei giovani a rovesciare nel breve arco di qualche anno (o
persino di qualche mese) il loro originario entusiasmo e a rifiutare
non solo la realt del lavoro quotidiano ma anche il mito Fiat nella
sua globalit.
Se la relazione sulla Fiat segn senza dubbio una cesura
importante, la ricerca su Composizione organica di capitale e forza-
lavoro allOlivetti che apparve sui numeri 2 e 3 dei Qr pu essere
considerata come il vero punto di partenza della teoria della
composizione di classe13. Anche in questo caso Alquati considerava
9
uno stabilimento presentato dalla retorica tecnocratica come modello
di razionalizzazione del lavoro e paradiso delle relazioni industriali.
Pi che la gestione paternalistica e comunitaria di Adriano Olivetti,
era stato in realt lisolamento geografico e politico della fabbrica a
favorire la relativa docilit della classe operaia. Anche qui per, tra il
60 ed il 61, una serie di lotte spontanee aveva mostrato come sotto
la coltre di unapparente passivit si celasse un potenziale
conflittuale notevolmente radicale: Alquati tentava di penetrare
questa realt, di ricostruire il conflitto quotidiano e spesso invisibile
che contrapponeva il singolo allorganizzazione produttiva. E,
soprattutto, mostrava come le lotte che esplodevano
improvvisamente contrapponendo operai e direzione non nascessero
dal nulla ed avessero invece alle spalle una rete di comunicazione
materiale che i lavoratori costruivano per fronteggiare
quotidianamente la ferra organizzazione aziendale e per rifiutare il
lavoro. Al tempo stesso per, come le eruzioni di rivolta improvvise
e violente avevano radici solide affondate in una vera e propria
cooperazione antagonista, cos esse non lasciavano dietro di s il
vuoto: ogni lotta comune, pi o meno diffusa o radicale, depositava
infatti una sorta di residuo politico, che si consolidava nella
struttura soggettiva della classe operaia e costituiva il presupposto
delle lotte successive. Contemporaneamente, per, il capitale
registrava quel mutamento prodottosi nella composizione della
classe operaia e riplasmava la propria organizzazione tenendo conto
delle nuove forze che doveva controllare. Sviluppando
compiutamente le intuizioni panzieriane, Alquati vedeva cos nella
continua rivoluzione tecnologica e nella creazione di livelli gerarchici
puramente politici non solo la logica del dominio del capitale ma
soprattutto la lotta continua e spesso silenziosa condotta dagli operai
contro lorganizzazione del lavoro. Secondo le sue parole,
con il gruppo dei Quaderni capeggiato da Rieser, svolse nel 61 alla Olivetti di Ivrea:
il testo della ricerca, molto lungo, ebbe solo una parziale pubblicazione, perch
delle cinque parti soltanto le prime due trovarono ospitalit nelle pagine della
rivista (peraltro, secondo quanto scrive Alquati, anche con pesanti censure operate
sul testo da Panzieri): cfr. sul punto le note introduttive con cui Alquati ha
accompagnato larticolo in Sulla Fiat e altri scritti, cit., pp. 81-163, in particolare pp.
81-83. Per una ricostruzione dellinchiesta alla Olivetti cfr. invece M. Carrara,
Linchiesta alla Olivetti nel 1961, in Quaderni rossi, n. 5, 1965, pp. 256-269.
10
Il capitale sempre lavoro sociale accumulato, la
macchina sempre lavoro sociale incorporato. Ovvio. Ogni
nuova macchina, ogni innovazione esprime il livello generale
e la qualit dei rapporti di forza fra le classi in quel momento.
Quando diciamo che al montaggio c molto pi e molto meno
della funzione di montare, ci richiamiamo al modo specifico in
cui le funzioni sono state il prodotto storico delle lotte
rivoluzionarie determinate dallintrinseco carattere di
sfruttamento di classe che guida la divisione capitalistica del
lavoro14.
cit., p. 120.
11
aziendale come risposta alle lotte operaie e, soprattutto, lintuizione
che ogni ciclo di lotta lasciasse dei residui politici cristallizzati nella
struttura soggettiva della forza lavoro - erano gi tutti presenti.
Queste ipotesi non erano per ancora formalizzate allinterno di un
quadro teorico organico e molte delle implicazioni dovevano essere
tratte. Il fatto stesso che Alquati non utilizzasse lespressione
composizione di classe era daltronde la spia dellinfluenza che
continuava ad esercitare la tradizione teorica idealistica della
sinistra comunista degli anni Venti e Trenta: infatti, allidea della
composizione di classe (in cui erano cristallizzati comportamenti,
bisogni e tradizioni di lotta) Alquati preferiva ancora limmagine
della ricomposizione, intesa come il momento culminante del
processo attraverso cui il proletariato, uscendo dalla condizione di
atomizzazione e di reificazione cui era costretta dal capitale,
conquistava la propria unit politica ed una strategia di lotta
generale17.
Nonostante tale residuo idealistico, era chiaro per che gi in
questa fase Alquati poneva come presupposto decisivo di tutta la
propria riflessione lidea che la forza lavoro fosse potenzialmente
autonoma dal capitale. Questo implicava almeno due conseguenze.
In primo luogo i conflitti di classe, manifesti o silenziosi che fossero,
non erano semplicemente un fattore di resistenza che il singolo
capitalista doveva fronteggiare nel corso della trasformazione
tecnologica ma rappresentavano proprio il fattore propulsivo della
continua modificazione tecnica e politica della piramide aziendale. In
secondo luogo i tempi e i caratteri del processo di ricomposizione di
classe, bench influenzati, ostacolati o favoriti da un determinato
assetto organizzativo della cooperazione produttiva non potevano
12
per in alcun modo essere considerati come il portato necessario di
fattori tecnici: si trattava cio di un processo di comunicazione e di
cooperazione sostanzialmente autonomo rispetto alla logica della
cooperazione del capitale. Interpretarlo come prodotto necessario,
determinato dalla struttura tecnica del processo lavorativo, avrebbe
significato travisare il significato principale della dinamica di
consolidamento dei bisogni e delle pratiche conflittuali18.
La formulazione organica della nozione di composizione di
classe prese corpo solo qualche anno pi tardi, sulle pagine di Classe
operaia. Con il secondo anno di pubblicazione, infatti, il mensile, che
fino ad allora aveva seguito le lotte pi che altro secondo
unarticolazione locale, si dava una nuova organizzazione per grandi
tematiche e, accanto alla sezione dedicata allideologia, compariva
anche la sezione Composizione di classe, curata direttamente da
Alquati. Da questo momento in avanti lespressione entr nel
vocabolario operaista consolidandosi via via in modo pi netto. Il
breve articolo con cui Alquati illustrava il discorso che la rubrica
intendeva portare avanti rimane ancora oggi una lezione
metodologica di cui tenere conto. Il piano analitico era organizzato
su due livelli: il primo consisteva nellindagine sulla struttura della
forza lavoro italiana nel quadro del capitale mondiale, il secondo
intendeva invece considerare e descrivere la classe operaia italiana
come tale, cio la sua composizione consolidata materialmente
nelle lotte. Come scriveva Alquati, oggi partendo dalle lotte operaie
possibile anche studiare la struttura della classe operaia, il suo
tessuto, nella relativa autonomia dalla struttura oggettiva dei
movimenti del capitale contro il quale lotta, e quindi anche
dallarticolazione oggettiva della forza-lavoro19. Ci significava
dunque che accanto e prima del ciclo del capitale doveva essere
ricostruito un ciclo delle lotte operaie, da considerare sia sul piano
operaia, II, n. 1, ora in Id., Sulla Fiat e altri scritti, cit., pp. 219-228, p. 225.
13
della circolazione internazionale delle lotte, sia sul piano
dellarticolazione interna dei movimenti di lotta della classe operaia
italiana:
14
Secondo la sintesi di Tronti la storia interna della classe operaia,
la storia della sua composizione in classe imponeva dunque due
compiti paralleli ma parzialmente distinti: da un lato la storia delle
varie successive determinazioni che la forza-lavoro assume in
quanto forza produttiva del capitale, e dallaltro la ricostruzione
delle diverse, ricorrenti e sempre nuove esperienze di lotta che la
massa operaia sceglie. Si trattava di una distinzione analitica che nel
quadro teorico del giovane Tronti di Operai e capitale aveva per un
senso preciso: lespressione forza-lavoro stava cio ad indicare
lesigenza capitalistica di rappresentare gli operai come semplice e
passivo fattore di produzione; classe operaia, allopposto,
indicava la conquista di una forza politica collettiva da parte della
massa operaia ottenuta proprio al rifiuto di erogazione di lavoro, cio
al rifiuto di essere passivo fattore di produzione. Quella stessa
distinzione tra forza lavoro e classe operaia costituiva anche il
presupposto per la distinzione metologica tra composizione tecnica e
composizione politica, i cui esiti si sarebbero rivelati piuttosto
ambigui.
15
formulazione esplicita e completa di questa ipotesi storiografica e
politica venne quando lesperienza dei gruppi minoritari degli anni
Sessanta si era gi sostanzialmente conclusa e furono infatti Sergio
Bologna e Antonio Negri - in un seminario tenuto a Padova nel
dicembre del 1967 e dedicato a chiarire il rapporto tra composizione
di classe e trasformazione della struttura statale tra il 17 ed il New
Deal - ad offrire un primo quadro storico e teorico della figura
delloperaio massa23.
Nel suo saggio su Composizione di classe e teoria del partito
alle origini del movimento consiliare, Bologna sviluppava una serie
di intuizioni che erano gi state alla base del lavoro degli anni
precedenti, ma le inquadrava per in un nuovo contesto: in
particolare, lattenzione tendeva a spostarsi dalla dimensione della
fabbrica a quella delle relazioni sociali e, soprattutto, al ruolo dello
Stato nel processo di pianificazione e di regolazione del ciclo. La
stessa espressione operaio massa - peraltro assente nel testo di
Bologna - tradiva daltronde fin troppo esplicitamente questa nuova
sensibilit e, dietro quella nozione, si intravedeva proprio il tentativo
di cogliere i nessi tra organizzazione del lavoro e organizzazione
sociale che si venivano a stabilire nel processo di costruzione del
mercato di beni di consumo di massa e nella stessa edificazione della
societ di massa cui gli Stati Uniti avevano assistito gi prima della
Seconda Guerra Mondiale. Loperaio massa, in sostanza, non era
soltanto loperaio che si trovava inserito in un processo di lavoro
massificato, ma anche loperaio occupato in un processo produttivo
di beni standardizzati e di massa, beni di cui egli stesso - secondo la
seminario, pubblicati cinque anni dopo, nasce qui la caratterizzazione della figura
di operaio-massa che nei due anni successivi sar il vero protagonista sociale delle
lotte politiche contro il lavoro, per legalitarismo comunista. Figura completamente
estranea allideologia del lavoro, allimpostazione ferocemente antiegalitaria di
tutti gli epigoni del socialismo (Presentazione, in S. Bologna et al., Operai e stato.
Lotte operaie e riforma dello stato capitalistico tra rivoluzione dOttobre e New Deal,
Feltrinelli, Milano, 1972, pp. 7-11, p. 10). Sulla ricostruzione della storia della teoria
delloperaio massa per da vedere ora limportante lavoro di S. Bologna,
Theorie und Geschichte des Massenarbeiters in Italien, in 1999. Zeitschrift fr
Sozialgeschichte des 20. Und 21. Jahrhunderts, 1989, n. 2, 1990, n. 1, e 1990, n. 2.
16
famosa formula di Henry Ford - era destinato ad essere il primo
acquirente.
Lelemento chiave (e che pi avrebbe pesato sulla successiva
riflessione operaista) su cui si fondavano sia il lavoro di Bologna sia
gli altri saggi poi raccolti in Operai e Stato era per costituito dalla
ipotesi storiografica secondo cui ogni specifica struttura tecnica della
forza lavoro producesse necessariamente determinate forme di
azione conflittuale e ben precise impostazioni ideologiche ed
organizzative: molto in sintesi, ad ogni determinata composizione
tecnica della forza lavoro doveva corrispondere una altrettanto
determinata composizione politica della classe operaia. Questa
ipotesi conduceva allora a rappresentare lo sviluppo capitalistico
come un processo scandito da tappe definite, ognuna con al centro
una figura determinata della classe operaia. In particolare, Bologna
nel suo saggio cercava di esplicitare questa ipotesi con riferimento al
ciclo di lotte dei primi decenni del Novecento e soprattutto tentava di
mettere in luce il nesso tra il ruolo di avanguardia assunto in quei
movimenti dalle aristocrazie operaie e lideologia consiliarista che
emerse da quei conflitti. La struttura dellindustria tedesca nel
periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale era ancora piuttosto
arretrata, le industrie trainanti delleconomia nazionale - e dunque
lindustria meccanica (generica, fine e di precisione) e le industrie
elettromeccanica ed ottica - non avevano subito significativi processi
di razionalizzazione e la specializzazione dei compiti era ancora
piuttosto scarsa. Ci comportava che un ruolo importante
nellindustria tedesca fosse ancora giocato da quella figura di operaio
fortemente qualificato e specializzato che altrove, soprattutto negli
Usa, era stato gi soppiantato dalla ristrutturazione taylorista:
secondo Bologna era proprio quelloperaio altamente qualificato ad
aver costituito la spina dorsale del movimento consiliare e, non a
caso, proprio nelle regioni in cui era concentrata questa specifica
forza lavoro, la diffusione del conflitto fu pi massiccia. Pi
importante ancora, nel discorso di Bologna, era per laccento che
egli poneva sul legame tra struttura tecnica ed ideologia consiliare:
come scriveva nitidamente infatti,
17
e con lingegnere alla modificazione del processo lavorativo, era
la posizione materialmente pi suscettibile ad accogliere un
progetto organizzativo-politico come quello dei consigli operai,
cio di autogestione della produzione. [...] La concezione
gestionale del controllo coglieva proprio loperaio come
produttore autonomo e la forza-lavoro di fabbrica come entit
autosufficiente24.
movimento consiliare, in S. Bologna et al., Operai e Stato, cit., pp. 13-47, qui citato
alle pp. 15-16.
25 Come scriveva Bologna: Loperaio altamente qualificato del settore
18
forza lavoro occorrevano formule differenti, come quella proposta
dagli Iww e da Daniel De Leon negli Stati Uniti degli anni Venti.
Pi del risvolto organizzativo del discorso di Bologna sarebbe
stato per lo schema di ricostruzione dellevoluzione del movimento
operaio ad avere un effetto duraturo sulla successiva riflessione
operaista. Dalle pagine di Bologna prendeva corpo infatti quella
storia interna della classe operaia che Tronti aveva auspicato in
Operai e capitale, ma limmagine che emergeva era quella di una
successione storica di figure egemoni, ciascuna delle quali risultava
centrale in una determinata fase: ad ogni tappa di questa storia
corrispondeva una manovra di ristrutturazione del capitale e dunque
una nuova composizione tecnica della forza lavoro, e ogni struttura
tecnica della forza lavoro finiva col determinare una nuova
composizione politica della classe operaia, e cio nuove modalit di
lotta, nuove ideologie e nuove formule organizzative.
Lo stesso Negri pochi anni dopo, nel dizionario di Scienze
politiche che cur per lEnciclopedia Feltrinelli-Fischer, avrebbe
contribuito a formalizzare in termini ancora pi netti la scansione
delle diverse figure di classe operaia: dal giugno 48 fino alla
Comune di Parigi era stata protagonista la prima figura, sorta
dallurbanizzazione e dal passaggio alla grande industria; dopo il
1871 e la violenta repressione capitalistica avrebbe invece preso
corpo loperaio professionale, su cui i primi partiti socialdemocratici
avrebbero fondato il loro successo. Successivamente, dopo il 17 e la
stagione consiliare, la ristrutturazione fordista avrebbe fatto nascere
una nuova figura massificata della forza lavoro che avrebbe
raggiunto il culmine del proprio sviluppo politico negli anni
Sessanta. Lo schema di interpretazione storiografica era nitido, ma
ancor pi definito era il metodo danalisi della composizione di
classe che emergeva da quella ricostruzione: la definizione della
realt storica del movimento diventava possibile solo allinterno
della composizione tecnica della forza-lavoro, solo cio alla luce
dellanalisi delle interrelazioni dialettiche fra determinazione
capitalistica della forza-lavoro complessiva ed insorgenza della classe
19
operaia, fra composizione tecnica (tutta dentro il capitale) e
composizione politica (tutta fuori dal capitale) di classe operaia27.
Alcune delle tesi di Bologna sul movimento consiliare tedesco
vennero riprese - in modo in parte pi schematico e con una
differente accentuazione polemica - da Massimo Cacciari in un
saggio del 197228 e la diffusione in Germania di queste due ricerche
provoc una vivace polemica tra i teorici della nuova sinistra29. La
risposta forse pi organica e netta venne probabilmente da Karl
Heinz Roth ed Elizabeth Behrens e dal loro celebre studio sullaltro
movimento operaio: contestando soprattutto la tesi di Cacciari -
secondo cui il Partito socialdemocratico tedesco avrebbe saputo
comprendere gi allinizio degli anni Venti la centralit che la figura
delloperaio massificato stava conquistando nellindustria tedesca - i
due teorici mettevano in luce attraverso una puntuale e vivace
ricostruzione delle varie ondate di scioperi come loperaio massa
multinazionale fosse stato il protagonista di lotte assolutamente
Entwicklung der Kapitalistischen Repression von 1880 bis zur Gegenwart, Trikont
Verlag, Mnchen, 1974, trad. it. K.H. Roth, Laltro movimento operaio. Storia della
repressione capitalistica in Germania dal 1880 a oggi, Feltrinelli, Milano, 1976. La critica
di Roth si rivolgeva specificamente e dichiaratamente contro le tesi espresse in S.
Bologna e M. Cacciari, Zusammensetzung der Arbeiterklasse und Organisationsfrage,
Merve, Berlin, 1973. Sul contributo storiografico-politico di Roth, cfr. M.G. Meriggi
(a cura di), Il caso Karl Heinz Roth. Discussioni sullaltro movimento operaio, Area,
Milano, 1978, e in particolare, oltre allintroduzione di M.G. Meriggi, Roth e il
metodo di ricerca per una storia di classe, ivi, pp. 7-24, i saggi di S. Bologna, Sul
dibattito sullaltro movimento operaio in Germania, ivi, pp. 25-39, E. Lucas,
Osservazioni su un nuovo approccio di ricerca alla storia del movimento
operaio, ivi, pp. 91-104, E. Behrens, Th. Jansen e J. Klein, Alla fiera delle
presunzioni. Contro Erhard Lucas, ivi, pp. 105-120, e Th. Schmid, Storia del
lavoro e modello Germania, ivi, pp. 121-130.
20
radicali e anche loggetto privilegiato di feroci repressioni, condotte
tanto dai sindacati socialdemocratici quanto dalle squadre
nazionalsocialiste. Al di l delle precisazione e delle correzioni di tiro
suggerite da Roth, anche il suo lavoro non faceva per che
confermare limpostazione generale fornita dalloperaismo: in
sostanza, la distinzione netta tra composizione tecnica e
composizione politica, tra struttura della forza lavoro e composizione
di classe, rimaneva un pilastro dellindagine ed il criterio con cui
studiare lavvicendarsi delle figure storiche egemoni e centrali
nella storia della lotta di classe.
Il limite di questa impostazione non stava ovviamente nei
risultati immediati che essa consentiva di raggiungere: infatti,
lindividuazione delloperaio massa come soggetto conflittuale
radicale, effettivamente centrale nellarchitettura sociale produttiva
fordista, aveva trovato una conferma straordinaria nel ciclo di lotte
culminato nellautunno caldo. Il punto per era che, sulla base di
quella specifica figura, venne elaborata una ipotesi generale di
interpretazione storiografica che avrebbe finito per costringere la
ricerca successiva in una gabbia claustrofobica e tendenzialmente
determinista. Lassunzione del caso delloperaio massa come
paradigma da cui ricavare le leggi di movimento della classe
operaia e la stessa distinzione metodologica tra composizione
tecnica e composizione politica portavano in eredit al dibattito
successivo le forzature fabbrichiste da cui quei criteri storiografici
avevano in gran parte preso origine. In questo modo, le ipotesi sulla
nuova figura centrale che avrebbe dovuto raccogliere le bandiere
lasciate cadere dalloperaio massa finirono per essere filtrate proprio
da quella prospettiva fabbrichista ed indirizzate verso schemi
esplicativi semplicistici e distorti.
Dalla fine degli anni Sessanta e dalle prime sintesi di Bologna e
Negri, il criterio metodologico che raccomandava di considerare la
storia del conflitto di classe alla luce delle interrelazioni dialettiche
fra composizione tecnica e composizione politica si era affermato
come pilastro della ricerca operaista. Lapo Berti, ad esempio, proprio
compiendo una sintesi critica del dibattito condotto a met degli anni
Settanta sul nuovo operaio disseminato, rilevava come lanalisi
della composizione di classe avesse sempre individuato, come
momento privilegiato, quello del rapporto di interazione fra struttura
concreta del processo produttivo e comportamenti (antagonistici) della
21
forza-lavoro30. Ovviamente, lesemplificazione pi lineare di questa
ipotesi era proprio fornita dal ciclo delloperaio massa:
22
qualche modo dialettico: il cammino mediante il quale i lavoratori,
negando la loro funzione di semplici fattori di produzione (forza
lavoro), si affermavano come classe operaia, cio come soggetto
politico antagonista al capitale, poteva essere interpretato anche
come la progressiva conquista di una unit e una coscienza - bench
in realt nel discorso di Tronti laccento fosse posto nettamente sui
caratteri materiali (e per niente ideali o ideologici) della
composizione in classe. Ben pi pesante era invece la conclusione
suggerita dalla distinzione tra composizione tecnica e composizione
politica. Lespressione costituiva chiaramente un esplicito calco
dellidea marxiana della composizione organica di capitale: come
questultima risultava dal nesso tra composizione tecnica e
composizione di valore33, cos anche la composizione di classe
risultava dal nesso storicamente esistente tra la composizione
tecnica della forza lavoro e la sua composizione politica.
Lintuizione chiave stava perci nellinversione strategica che
conduceva a considerare la composizione di classe come il dato
storicamente consolidato con cui il capitale doveva confrontarsi in un
determinato momento storico ed in una determinata zona geografica.
Il riferimento ambiguo alla politica poteva per suggerire
implicazioni assolutamente pi drastiche sul terreno dellanalisi. Un
primo esito fu in effetti quello di intendere il rapporto tra luna e
laltra faccia della composizione di classe come i due poli di un
effettivo processo di trasformazione dialettica, in uno schema
secondo cui la struttura tecnica della forza lavoro avrebbe prima o
poi linearmente determinato lesplosione politica di quelle
condizioni strutturali: in questo caso si trattava ovviamente di una
nuova filosofia della storia che da un lato rinverdiva su basi
strutturaliste e deterministe la vecchia rappresentazione ortodossa
del passaggio dalla classe in s alla classe per s, mentre dallaltro
abbandonava completamente limpostazione materialistica con cui
33 Marx affronta la questione della composizione del capitale nel Primo Libro
(cfr. K. Marx, Il capitale. Per la critica delleconomia politica, Editori Riuniti, Roma,
1964, I, pp. 233-263), ma la distinzione tra composizione tecnica e composizione di
valore, come elementi che vengono a determinare la composizione organica,
veniva ripresa anche nel Terzo Libro: Si chiama composizione organica del
capitale la sua composizione di valore in quanto essa viene determinata dalla
composizione tecnica del capitale e costituisce un riflesso di questultima (ivi, III,
p. 185).
23
Alquati aveva fondato lidea della composizione di classe nei
comportamenti, nei bisogni e nelle pratiche di conflitto delle
soggettivit concrete.
Il secondo risultato cui conduceva lambiguo riferimento alla
politica era invece, se possibile, ancora pi distante dalle intenzioni
con cui la distinzione era stata formulata. Negri infatti, nella voce del
proprio dizionario, aveva inteso attribuire allespressione
composizione politica un significato sostanzialmente
materialistico: la composizione politica doveva cio andare ad
identificare tutti quei comportamenti, quelle tradizioni di lotta,
quelle pratiche concrete di rifiuto del lavoro che, in una determinata
fase storica ed in uno specifico contesto economico e sociale,
definivano la composizione della classe, cio la sua rigidit storica di
variabile indipendente nel processo di accumulazione capitalistica
e cos il livello del lavoro socialmente necessario. Negri usava
dunque il termine politica nella sua accezione meno forte,
riferendosi con quellaggettivo semplicemente ai rapporti di potere
che si determinavano allinterno della fabbrica: nella composizione
politica dovevano essere comprese in qualche modo anche le forme
di organizzazione comunemente definite come politiche, ma solo
nella misura in cui esse avessero un ruolo reale al livello della
composizione soggettiva della classe operaia. In ogni caso,
comunque, tali organizzazioni non offrivano, solo in virt del loro
carattere propriamente politico, vantaggi particolari al potenziale
antagonista della forza lavoro34.
24
Questa non era per lunica interpretazione possibile e in effetti
alcuni ricercatori incominciarono ad attribuire un significato ben pi
connotato allespressione composizione politica. Il gruppo raccolto
intorno a Tronti inizi dalle pagine di Contropiano un profondo
lavoro di revisione sulla teoria della composizione di classe: un
lavoro in cui si distinse soprattutto Massimo Cacciari e che mirava a
mostrare come nella stessa dimensione della lotta di fabbrica si
dovesse rintracciare il primo gradino di una lunga serie di
mediazioni politiche culminante nello Stato. In questo senso, la
composizione politica non coincideva pi con la realt dei
comportamenti operai e la politicit non discendeva dal fatto di
incidere materialmente sulle relazioni di potere in fabbrica: il
riferimento alla politica avveniva infatti sotto legida del significato
tradizionale, borghese, di questo termine. La politica era cio, in
senso propriamente weberiano, larea in cui partiti nazionali dotati
di strutture organizzative formali e diffuse sul territorio
competevano per giungere alla gestione del potere statale o per
influire su di esso: la composizione politica non era pi dunque il
prodotto della sedimentazione di comportamenti e tradizioni di lotta,
ma soltanto il prodotto della mediazione che il movimento operaio
ufficiale era in grado di esercitare sulla base della realt della forza
lavoro, sulla base della composizione tecnica35. Come notava
Giovanni Bossi, il percorso di Cacciari e di Contropiano giungeva a
considerare il momento politico come sovrastruttura nei confronti
della articolazione della mobilit e della qualit della forza lavoro e,
di conseguenza, la sua adeguatezza [era] determinata dalla
corrispondenza al grado di sviluppo della combinazione sociale della
forza lavoro36. Si giungeva per questa via ad una sorta di
vari contributi pubblicati su Contropiano, tra cui vanno ricordati A. Asor Rosa,
Composizione di classe e movimento operaio, in Contropiano, III (1970), n. 3, pp.
423-464, poi in Id., Intellettuali e classe operaia. Saggi sulle forme di uno storico conflitto
e di una possibile alleanza, La Nuova Italia, Firenza, 1973, pp. 429-469, ma soprattutto
di M. Cacciari, Introduzione a Ciclo capitalistico e lotte operaie. Montedison Pirelli
Fiat 1968, Marsilio, Padova, 1969, pp. 5-45, Id., Introduzione a Il 69-70. Classe
operaia e capitale di fronte ai contratti, Marsilio, Padova, 1969, e i saggi poi raccolti in
Id., Dopo lautunno caldo: ristrutturazione e analisi di classe, Padova, Marsilio, 1973 e
in Id., Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, Venezia, 1977.
36 G. Bossi, Classe e ricomposizione di classe. Per una riconsiderazione delle
ipotesi della nuova sinistra, in Aut aut, n. 149-150, 1975, pp. 256-289, p. 267.
25
istituzionalismo diverso nelle basi teoriche da quello della
tradizione riformista della socialdemocrazia ma sostanzialmente
analogo ad esso quanto a risultati: la nozione di composizione di
classe veniva in qualche modo pacificata, sussunta nello sviluppo
capitalistico, vista come motore lineare di questo sviluppo37, nel
senso che la composizione tecnica veniva da un lato a coincidere
con la base dello sviluppo capitalistico in un determinato momento,
mentre dallaltro la composizione politica indicava lazione di
mediazione che le organizzazioni del movimento operaio, a partire
dalla quella base materiale, dovevano esercitare.
Lapprodo di Contropiano in questo senso conduceva alla
sostanziale liquidazione della categoria di composizione di classe: se
la distinzione metodologica tra composizione tecnica e composizione
politica, tra struttura della forza lavoro e composizione di classe,
poteva indurre limpressione di un passaggio lineare, strutturale e
deterministico, la soluzione proposta da Cacciari consisteva
nellelevare quella distinzione metodologica ad una vera separazione
storica. Cos, laffermazione di Cacciari secondo cui il rapporto tra
struttura della forza lavoro, composizione e organizzazione non
poteva essere inteso in senso deterministico - affermazione in realt
coerente con loriginaria impostazione operaista - era semplicemente
funzionale allaffermazione secondo cui la composizione politica e
lorganizzazione erano dimensioni relativamente autonome dalla
struttura tecnica della forza lavoro. La composizione politica veniva
perci ad essere il primo anello della mediazione partitica, il primo
gradino in cui si sperimentava lautonomia del politico38.
26
La conclusione di Cacciari operava ovviamente una forzatura,
ma si trattava in ogni caso di un approdo implicito nella distinzione
tra struttura della forza lavoro e composizione politica: una volta
trasformata questa coppia da strumento analitico nella descrizione di
fasi storiche concrete, gli esiti possibili erano due, e lunica via di
fuga dal rischio di determinismo era rappresentata dal ricorso al
volontarismo politico. In sostanza, se da un lato si interpretava la
composizione tecnica come il presupposto che doveva determinare
linearmente forme e soggetti del conflitto, dallaltro si poteva invece
giungere alla completa separazione dei due momenti e
allaffermazione della loro reciproca autonomia. Questa opzione
teorica conduceva per da un lato alla riduzione della forza lavoro a
puro fattore economico e, dallaltro, allattribuzione di una
sostanziale identit tra il partito (e perci le ideologie e
lorganizzazione del movimento operaio) e la composizione
politica39: in breve, lautonomia del politico - intesa nella sua
accezione pi tradizionale e weberiana - finiva col privare del tutto la
pregnanza teorica della nozione.
Al di l delle implicazioni che Cacciari traeva dalla propria
riflessione, era chiaro per che la dissoluzione del concetto di
composizione di classe che egli operava aveva delle basi nella
distinzione tra dimensione tecnica e dimensione politica. In
sostanza, bench il recupero della dimensione statuale non potesse
in alcun modo risolvere i nodi della questione, la critica di Cacciari
era parzialmente fondata: lidea che la strutturazione tecnica della
forza lavoro e la sua articolazione del processo lavorativo potessero
Cacciari, Problemi teorici e politici delloperaismo nei nuovi gruppi dal 1960 ad
oggi, in F. Dagostini (a cura di), Operaismo e centralit operaia, Editori Riuniti, 1978,
pp. 45-79, pp. 51-52).
39 Questa operazione era sviluppata sia da Cacciari sia da Rita Di Leo in
27
determinare linearmente le forme della lotta ed i contorni del
soggetto conflittuale aveva avuto una conferma straordinaria nel
caso delloperaio massa. Quella stessa straordinaria conferma
rischiava per di bloccare la ricerca su quelle ipotesi di partenza: in
questo modo, una generalizzazione eccessivamente disinvolta dello
schema composizione tecnica-composizione politica trasformava
lanalisi di classe nellattesa apocalittica dellavvento di un nuovo
soggetto centrale, in grado di raccogliere il testimone abbandonato
dalloperaio massa.
28
Allorigine di quella impostazione stava la rigida dicotomia tra
fabbrica e societ su cui, a partire dai Quaderni rossi, loperaismo
italiano aveva sviluppato le proprie ipotesi principali. La
formulazione pi esplicita e dagli effetti pi duraturi di quella
dicotomia era stata fornita da Tronti sul secondo numero della
rivista, nel suo giustamente celebre saggio intitolato proprio La
fabbrica e la societ: secondo Tronti la distinzione tra quei due ambiti
dellorganizzazione capitalistica aveva il significato di una vera ed
irriducibile contrapposizione tra due modelli distinti di sintesi
sociale. Da un lato stava la relazione sociale produttiva - che si
realizzava quando gli operai, entrati in fabbrica, venivano
organizzati dal capitale allinterno di una ferrea cooperazione -,
dallaltro la relazione sociale borghese fondata sullo scambio
mercantile. Da un lato perci la fabbrica come produzione, dallaltro
la circolazione, lo scambio e il consumo. Lidea cardine di Tronti
consisteva nellindividuare proprio nella cooperazione produttiva
del capitale il cavallo di Troia che consentiva agli operai di
conquistare una forza collettiva e rivoluzionaria: se nellarea del
mercato i lavoratori erano ancora dispersi, frammentati, privi di una
forza politica organizzata, proprio lentrata in fabbrica e
lorganizzazione sotto la cooperazione del capitale consegnavano
loro la possibilit storica di diventare un soggetto collettivo dotato di
forza rivendicativa. Solo lo sviluppo della cooperazione capitalistica
allinterno della fabbrica, poteva trasformare perci la classe operaia
nella leva materiale di dissoluzione del sistema piantata nel punto
decisivo del suo sistema41. Secondo Tronti lo sviluppo capitalistico
avrebbe determinato una estensione sempre pi massiccia della
fabbrica verso la societ ed il circolo fra produzione, distribuzione,
scambio e consumo avrebbe cos finito con lo stringersi sempre pi
fortemente. Anche nel punto pi elevato di questo processo, anche
cio quando la fabbrica avrebbe finito per inglobare completamente
la societ, la contraddizione irriducibile tra quelle due sfere (tra quei
due opposti criteri della sintesi sociale) non avrebbe avuto soluzione
e, come sintetizzava la formula trontiana, il punto pi elevato della
donne (T. Rexroth, Laltro movimento operaio negli Usa, in Collegamenti per
lorganizzazione diretta di classe. Quaderno 1, 1980, pp. 11-42, p. 33).
41 M. Tronti, La fabbrica e la societ, in Quaderni rossi, n. 2, 1962, pp. 1-31,
29
lotta di classe sarebbe consistito proprio nello scontro frontale tra la
fabbrica come classe operaia e la societ come capitale42.
Lo schema teorico trontiano avrebbe avuto conseguenze su
molti aspetti della ricerca operaista43, ma uno dei principali esiti cui
diede origine fu quello di chiudere la fenomenologia delloperaio
massa allinterno delle mura della fabbrica. Dietro questa ipotesi
teorica e politica stava quella stessa immagine di Torino, della citt
della Fiat, su cui Gramsci aveva edificato la propria idea del
fordismo: Torino per era (e sarebbe rimasta) lunica citt fabbrica
dItalia, cio lunica realt in cui tutta lorganizzazione sociale era il
semplice prolungamento delle linee di Mirafiori. Cos mentre negli
anni Sessanta gli operaisti italiani interpretavano la citt fabbrica
torinese come la pi fedele anticipazione della fabbrichizzazione
totale della societ, le lotte dei ghetti americani, come scrisse
Bologna, venivano a scardinare gran parte della sociologia del
materialismo storico e soprattutto le nozioni di povero,
sottoproletario, donna - rispetto a quelle delloperaio della grande
fabbrica che, qualcuno, in vena di battute spiritose, aveva definito
operaio-massa44. Lottica fabbrichista non rappresentava per un
ostacolo solo per la comprensione dei contorni che assumeva negli
anni Settanta il nascente post-fordismo: il quadro teorico fondato
sulla irriducibile contrapposizione tra fabbrica e societ distorceva la
stessa immagine dellassetto fordista, nel senso che, considerando la
societ come ambito costituzionalmente privo di conflitto, travisava
30
completamente la logica su cui si fondava lo Stato sociale
keynesiano. Perci, come not Negri allinizio degli anni Ottanta, la
categoria delloperaio massa era nata ad un tempo ricca, in quanto
approssimazione dei livelli della soggettivit operaia, e povera,
perch incapace di cogliere le dimensioni conflittuali nella sfera
riproduttiva:
31
classe relativa alla situazione salariale e del posto di lavoro47 e si
apriva la strada per un ripensamento complessivo sulla figura
delloperaio massa. Se per la ridefinizione del concetto di
composizione di classe condusse anche ad una rilettura delle ipotesi
tradizionali sullimperialismo, delle dinamiche dellemigrazione,
della stratificazione del mercato del lavoro e del meccanismo delle
crisi economiche48, molte distorsioni non cessarono di esercitare una
influenza deleteria sul piano della ricerca e le conferme pi evidenti
vennero proprio dal dibattito che prese corpo a met degli anni
Settanta a proposito della nuova composizione di classe.
A fornire lipotesi teoricamente pi organica sul nuovo
soggetto fu senza dubbio lo stesso Negri. Infatti, bench lidea di un
operaio sociale fosse stata abbozzata da Alquati in una ricerca sulla
proletarizzazione del lavoro intellettuale, solo nelle pagine del
teorico padovano il passaggio dalloperaio massa alla nuova
composizione di classe veniva presentato compiutamente49. Il
discorso di Negri era complesso e si muoveva su diversi piani: il
punto di partenza era per costituito dalla realt della crisi
capitalistica, determinata dallondata conflittuale delle grandi
fabbriche, e dal realizzarsi della tendenza storica alla caduta del
stesso Tronti in Operai e capitale: cfr. sul punto D. Palano, Cercare un centro di gravit
permanente?, cit.
32
saggio di profitto; di fronte a questa situazione il capitale tentava la
consueta via della ristrutturazione produttiva, ristrutturazione che,
uscendo dalla cittadella della fabbrica, doveva investire il territorio,
socializzando il processo produttivo. Il punto decisivo
nellargomentazione di Negri era per che questa ristrutturazione,
pur portando avanti il processo di astrazione e socializzazione del
lavoro, non riusciva a produrre un ristabilimento dei margini di
profittabilit degli investimenti, perch lestensione della fabbrica
alla societ era preceduto da un processo di estensione delloperaio
massa, cio dei suoi comportamenti antagonisti, agli altri strati
proletarizzati:
33
riconoscere un processo di consolidamento sociale del sistema di
bisogni antagonista al modo di produzione capitalistico:
formul nella Prefazione alla seconda edizione del proprio opuscolo, nellottobre
76: Una seconda critica stata fatta allopuscolo [...]. Ora, la critica volta alla
mia affermazione che il mutamento strutturale della composizione comporti
necessariamente caratteristiche qualitative. Ha parlato di tendenziale configurarsi di
un nuovo soggetto, di nuova qualit dei bisogni, di emergenza di nuove lotte e di
volont operaia di autogestione della lotta - allora, dgli al metafisico di una nuova
epifania dellessere, dgli al venditore di ammennicoli nel gioved grasso della
classe operaia. Davvero questi fratellini o fratellastri del 68 non hanno capito
34
Una seconda critica rovesciava invece largomentazione della
precedente e, soprattutto, recuperava lindicazione metodologica che
proveniva dalla relazione fra composizione tecnica e composizione
politica. Alberto Battaggia, ad esempio, misurava lefficacia
dellipotesi delloperaio sociale sulla base delle analogie che questa
figura presentava con quella classica delloperaio massa. In questo
senso, il fattore determinante nella genesi del ciclo di lotte che aveva
condotto dalle rivendicazioni contrattuali radicali del 62 fino
allesplosione dellautunno caldo era individuato proprio in quella
composizione tecnica che aveva consentito agli operai di
conquistare una vera e propria omogeneit di comportamenti
politici, e cio nel fatto di essere una sezione di forza-lavoro resa
materialmente omogenea da un determinato rapporto con la
tecnologia del capitale (la catena di montaggio)54. Se questa ipotesi
era stata alla base del discorso operaista negli anni Sessanta, secondo
Battaggia era allora necessario verificare se anche la nuova
composizione di classe di cui parlava Negri fosse individuata dagli
stessi elementi, e perci da un certo rapporto oggettivo col modo di
produzione e da una conseguente omogeneit di comportamenti
ed obiettivi politici55. Partendo da queste premesse, che
riprendevano ed amplificavano limpostazione fabbrichista e per
molti versi determinista che aveva guidato la genesi della categoria
operaio massa, non si poteva che giungere ad una sostanziale
liquidazione delle ipotesi sulla nuova composizione di classe. Ci che
mancava era infatti proprio quel nesso determinato (e deterministico)
tra composizione tecnica e composizione politica, tra struttura della
forza lavoro e comportamenti antagonisti. Come concludeva lo stesso
Battaggia,
niente. La loro critica antiengelsiana stata tanto fuorviante da farli finire col
confondere ogni assunzione del nuovo e della soggettivit di classe con
lidealismo. [...] Dunque, per questi critici, ribadiamo fino in fondo la correlazione
fra nuova composizione di classe e nuovi comportamenti, qualitativamente
decisivi nel definire il progetto programmatico ed organizzativo (A. Negri,
Prefazione alla seconda edizione, in Id., Proletari e Stato. Per una discussione su
autonomia operaia e compromesso storico, Feltrinelli, Milano, 1976 2, pp. 5-9, qui citato
alle pp. 6-7). Per una ricostruzione del dibattito che sorse attorno alle ipotesi di
Negri, cfr. comunque S. Wright, The Limits of Negris Class Analysis, cit.
54 A. Battaggia, Operaio massa e operaio sociale: alcune considerazioni sulla
nuova composizione di classe, in Primo maggio, n. 14, 1981, pp. 71-77, p. 74.
55 Ivi, p. 72.
35
Non si vede [...] unomogeneit materiale che sorregga
internamente la nuova composizione di classe cos come
sembra essere formulata. Le sue componenti fisiche non
appaiono infatti legate n da condizioni materiali di
sfruttamento n da obiettivi politici immediati. Essa racchiude
una pluralit di spezzoni di classe spesso lontanissimi tra loro:
operai decentrati, proletariato giovanile disoccupato,
emarginati dei quartieri popolari, casalinghe, donne, studenti
senza casa, intellettuali sottoccupati... Insomma: dei soggetti
con motivazioni immediate completamente autonome 56.
56 Ivi, p. 74.
36
delle radici materiali alla nuova composizione di classe: radici
analoghe a quelle delle altre figure centrali ma che ovviamente non
potevano essere trovate perch lipotesi delloperaio sociale si
muoveva su un piano differente.
Lindividuazione delloperaio sociale come realt concreta
significava sicuramente porsi sul livello del capitale sociale, ma
finalmente al di fuori della prospettiva fabbrichista che gravava
sullanalisi della composizione di classe. La dimensione del capitale
sociale veniva infatti ad indicare non solo larea della produzione
immediata tendenzialmente socializzata ma, pi propriamente,
lambito complessivo della produzione e riproduzione capitalistica.
La tendenza del capitale sociale complessivo a diventare, da semplice
categoria analitica, una realt concreta e materiale era confermata,
ma essa veniva ripensata come processo di progressiva integrazione
tra le diverse sfere della produzione e della riproduzione. In questo
quadro la figura delloperaio sociale poteva trovare un significato
non puramente ipotetico: essa per non era lultimo anello della
catena dei soggetti centrali ma linvito a rovesciare e a ripensare la
stessa nozione di composizione di classe. Come scriveva Negri nel
1980, quasi nessuno, nel corso del dibattito sulloperaio sociale, era
riuscito a cogliere leffettiva portata ontologica, totalizzante della
definizione delloperaio sociale come asse portante della nuova
composizione di classe:
37
totale, lopposto militante della crisi del mercato: questo
loperaio sociale, il movimento del valore duso57.
38
incentrata invece sullidea di una intellettualit di massa e quella,
infine, focalizzata sullipotesi della centralit del lavoratore
autonomo di seconda generazione - condividevano
contemporaneamente il merito di incoraggiare lanalisi a spostarsi
sul terreno della ricerca concreta ed il limite di focalizzarsi quasi
esclusivamente sul livello delle trasformazioni tecniche59.
Molte delle nuove ipotesi venivano formulate sulla implicita
scorta metodologica dello schema storiografico delineato da Bologna
e Negri alla fine degli anni Sessanta ed imperniato sulla distinzione
tra composizione tecnica e politica. Quella distinzione analitica
veniva interpretata per come la descrizione di un vero e proprio
passaggio dialettico: in sostanza, la composizione tecnica veniva a
svolgere la funzione che nel contesto del marxismo ortodosso era
assolta dalla classe in s, mentre la composizione politica veniva a
coincidere necessariamente con la classe per s, coesa al proprio
interno grazie alla conquista della coscienza della propria forza.
Inoltre, come nel marxismo ortodosso il destino inevitabile
dellavvento della classe per s era scritto nella legge dello sviluppo
delle forze produttive, cos alcuni epigoni delloperaismo iniziarono
ad intravedere nella socializzazione estrema della cooperazione
produttiva la molla che avrebbe condotto meccanicamente alla
nascita di una nuova figura conflittuale egemone. In questo modo,
trasformando una categoria analitica nello strumento di una nuova
teoria determinista, la composizione politica venne interpretata non
pi come una componente (storicamente inscindibile) della
composizione di classe, ma come il portato necessario di una
determinata composizione tecnica della forza lavoro60.
riviste Luogo comune, Derive Approdi, Klinamen, Riff Raff, Altreragioni e Futur
Antrieur, sono costituite dai vari saggi di Sergio Bologna, Andrea Fumagalli,
Maurizio Lazzarato, Christian Marazzi ecc.
60 Un esempio del determinismo con cui viene utilizzata la nozione di
39
Limpoverimento della nozione di composizione di classe diveniva
quasi un luogo comune interpretativo che, paradossalmente, si
affermava come uno sviluppo delle originarie ipotesi operaiste. Ma,
se il metodo di indagine si riduceva ormai alla semplice
fenomenologia della logica del capitale postmoderno, il riferimento
rituale e retorico alla soggettivit antagonista nellera della
sussunzione reale non poteva in alcun modo sorreggere
materialisticamente una ricerca i cui risultati erano predeterminati
in partenza da un ambiguo richiamo allo sviluppo delle forze
produttive.
Se per molti epigoni del postoperaismo degli anni Settanta
assumevano in modo spesso (consapevolmente) semplificato il
metodo della composizione di classe, essi trovarono nella riflessione
dello stesso Negri un pilastro su cui poggiare le loro ipotesi. In
effetti, nella sua riflessione degli anni Novanta il teorico padovano
arriv a fornire una nuova definizione delloperaio sociale, una
definizione che, abbandonando in gran parte gli spunti abbozzati
negli anni Settanta, riformulava lidea della nuova composizione di
classe proprio nei termini che i critici avevano allora ravvisato nelle
sue ipotesi. La rilettura negriana si muoveva su due piani, nel senso
che da un lato riconduceva la trasformazione alla sola produzione
immediata, mentre dallaltro reintroduceva elementi di
determinismo nel proprio discorso. Dal primo punto di vista infatti
egli considerava la genesi delloperaio sociale come il prodotto della
ristrutturazione produttiva e, insieme a Micheal Hardt, cos
sintetizzava la genesi di quella figura dopo lesplosione conflittuale
del 1968:
della politica nella crisi della societ del lavoro, cit., e Cercare un centro di
gravit permanente? Fabbrica Societ Antagonismo, cit.
40
immateriali, collegate in reti sociali e produttive da una
cooperazione lavorativa altamente sviluppata 61.
41
Ovviamente in tutta largomentazione di Negri non veniva mai
persa del tutto la forte impostazione materialista che caratterizza
lintera riflessione del teorico padovano. Limpressione che per le
armi della sua critica allo Stato postmoderno apparissero in parte
spuntate trovava diversi punti appoggio. Sandro Mezzadra scrisse
che nel modello di Hardt e Negri tutto tornava, almeno
apparentemente, ma quel che in realt mancava era proprio la
politica, intesa come concreta individuazione di spazi di
contraddizione e mediazione progettuale realisticamente
praticabile . E se la critica di Mezzadra era forse troppo severa, la
64
42
studio della vera e propria composizione politica veniva rimandato
alleterno domani del processo di ricomposizione.
Loperazione, a dispetto della continuit rivendicata con
loperaismo degli anni Sessanta, si fondava invece su una nozione
fortemente impoverita della nozione di composizione di classe: da
categoria storica, concreta, essa veniva trasformata nella semplice
descrizione della struttura della forza lavoro oppure nellapprodo di
un processo dialettico. E cos (nel discorso dei suoi epigoni ben pi
che in quello di Negri) essa non era pi il presupposto
materialistico dellanalisi, ma il suo risultato sociologico o, peggio, la
sua appendice retorica.
Nonostante tutti i limiti del dibattito condotto negli anni Novanta sul
lavoro immateriale e sulla nuova composizione di classe, sarebbe
per ingenuo ed affrettato scartare le intuizioni che da esso sono
scaturite in virt del loro deficit materialistico. In questo senso, la
critica che ho condotto nelle pagine precedenti ovviamente
eccessivamente severa e consapevolmente colpevole di forzature
che non rendono giustizia ai meriti di quelle ricerche. Ritengo per
che la prima fase del dibattito si sia chiusa e che, per evitare che
lindagine si areni sulla semplice riconferma del punto di partenza, le
ipotesi di lavoro debbano essere sottoposte ad un vaglio molto serio.
Solo in questo modo i progetti di inchiesta potranno iniziare a
colmare quel vuoto di determinazione antagonista di cui le riflessioni
sulla societ postfordista hanno spesso sofferto.
Per iniziare ad articolare questa critica ho tentato di compiere
una rilettura della nozione operaista di composizione di classe e ho
cercato di dimostrare come questa nozione sia, prima ancora che il
prodotto, il presupposto della rilettura soggettivista di Marx e della
rivoluzione copernicana intrapresa negli anni Sessanta. A dispetto
dei meriti, lidea della composizione di classe porta per con s, per
cos dire, la pesante eredit delloperaio massa: il fatto cio di avere
elaborato quella categoria analitica sulla base di una figura
storicamente determinata della composizione di classe (e cio
loperaio semiqualificato, bianco, adulto, padre di famiglia a
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monoreddito ed impiegato della grande impresa taylorista e fordista)
ha prodotto, insieme a notevoli intuizioni, anche conseguenze
piuttosto deleterie, e cio in primo luogo una concezione
determinista del rapporto tra la struttura materiale della forza
lavoro e i comportamenti antagonisti e, in secondo luogo, la
focalizzazione pressoch esclusiva sul terreno della fabbrica come
arena del conflitto di classe. Entrambi questi limiti furono
riconosciuti ed ampiamente sottoposti a critica nella seconda met
degli anni Settanta: il dibattito degli anni Novanta ha per in gran
parte trascurato quelle intuizioni e ha cos finito col replicare, talvolta
amplificandole, le distorsioni della prima stagione operaista. Penso
perci che una buona base per riprendere il dibattito consista proprio
nel ripartire da quelle ipotesi cos rapidamente lasciate cadere.
Il punto forse pi importante da rivedere, anche al di l delle
tentazioni deterministe, penso sia costituito dallimpostazione
tardo-fabbrichista che molte analisi hanno ereditato: in molti
contributi il determinismo era infatti un portato diretto di una
paradossale restaurazione del fabbrichismo. Si trattava ovviamente
di un fabbrichismo dilatato e irriconoscibile, nel senso che i luoghi
verso i quali si dirigeva non erano affatto i vecchi stabilimenti
fordisti di Torino ma le fabbriche immateriali in cui lavorava
lintellettualit di massa: questa immensa e totale fabbrica
comunicativa connessa dalle reti informatiche che penetravano fin
nel profondo della vita privata veniva semplicemente considerata la
realizzazione della previsione formulata da Tronti nellestate del
1961: quando tutta la societ viene ridotta a fabbrica, la fabbrica - in
quanto tale sembra sparire66. In questo modo il programma di
ricerca sulla nuova composizione di classe enunciato da Negri alla
fine degli anni Settanta veniva di fatto abbandonato, perch il
recupero dellimmagine trontiana equivaleva anche alla ripresa di
una rappresentazione schematica dei rapporti tra fabbrica e societ,
una nozione che intendeva la produzione essenzialmente come
produzione immediata e che abbandonava invece il terreno della
riproduzione come sfera di conflitti.
Alla base di questa riduzione stava una ben precisa idea del
capitale sociale come portato dellestensione della produzione
immediata allintera societ. Il processo di astrazione e
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socializzazione del lavoro - tendenza che costituisce per molti versi il
filo rosso che accomuna tutta la riflessione operaista - veniva
interpretato semplicemente come progressiva estensione del lavoro
di fabbrica e salariato: in questo modo per non solo veniva ignorata
la specificit del lavoro (non salariato) di riproduzione, ma si
trascurava anche il fatto che il processo di astrazione del lavoro si
affermato storicamente nella forma della gerarchizzazione di strati
differenti di forza lavoro, una gerarchizzazione la cui linea principale
proprio quella tra salariati e non salariati. La realizzazione concreta
della figura del capitale sociale complessivo - sviluppata da Marx nel
Capitale come semplice somma teorica del movimento dei capitali
individuali - non deve perci essere intesa nel senso schematico della
estensione meccanica della produzione immediata, ma piuttosto
come esito di una progressiva e crescente integrazione di produzione
immediata e riproduzione (integrazione che peraltro non pu
giungere allassorbimento del secondo termine nel primo). In questo
senso il processo di astrazione del lavoro non deve essere inteso solo
nel suo aspetto di riduzione di ogni lavoro a lavoro semplice e non
qualificato: lastrazione del lavoro deve essere interpretata
soprattutto come continua creazione di lavoro astratto, cio di forza
lavoro. Lastrazione del lavoro non dunque un processo che si
riduce alla dimensione della fabbrica e che indica il contenuto del
lavoro effettivamente erogato: essa corrisponde invece al processo
con cui vengono continuamente creati i presupposti
dellaccumulazione capitalistica, con cui viene riprodotto
costantemente il lavoro astratto come lavoro imposto, alienato ed
illimitato, e come norma della vita sociale67.
Tentare di articolare lidea della composizione sociale al livello
della realizzazione storica della tendenza al capitale sociale (o al
livello della sussunzione reale della societ al capitale), non
significa semplicemente pensare ad un processo secondo cui la forza
lavoro dispersa in differenti rami lavorativi ed in diversi rami
merceologici si organizza attorno ad obiettivi comuni, rompendo la
67 Per una definizione del lavoro astratto come lavoro imposto, alienato ed
illimitato, mi rifaccio soprattutto alle analisi di H. Cleaver, Reading Capital
Politically, University of Texas Press, Austen, 1979, e M. De Angelis, Beyond the
Technological and Social Paradigms: A Political Reading of Abstract Labour as the
Substance of Value, in Capital & Class, n. 57, 1995, pp. 107-134.
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separazione in cui si trovano68. Significa invece considerare la
composizione di classe come il sedimento storico delle lotte
precedenti: un sedimento che appunto sociale, diffuso cio in un
determinato contesto capitalistico, e dunque tanto nellambito della
produzione immediata, quanto in quello delle attivit riproduttive di
forza lavoro e del lavoro non salariato. Limmagine della
composizione di classe in quanto prodotto delle trasformazioni
tecnologiche riceve allora un primo colpo, perch il suo ambiguo
fabbrichismo - cio la focalizzazione esclusiva sul terreno della
produzione immediata - ad essere abbandonato.
Un secondo colpo deriva invece dalla molteplicit delle figure
della composizione di classe: implicita nellipotesi delle serie storiche
della lotta di classe era infatti lidea che in ogni determinata fase
dello sviluppo capitalistico dovesse corrispondere una altrettanto
precisa figura centrale del conflitto, figura che assommava nella
propria struttura tecnica e politica il paradigma della stessa
composizione di classe in quel determinato periodo. Pertanto, se la
composizione di classe dei primi decenni del Novecento
corrispondeva a quella delloperaio professionale e se quella degli
anni Cinquanta e Sessanta coincideva invece con quella delloperaio
massa, allora si doveva ricercare per la fase successiva una nuova
figura egemone, che doveva coincidere la nuova composizione di
classe. In realt, per, se cessiamo di focalizzarci esclusivamente
sulla dimensione della produzione immediata, possiamo anche
sbarazzarci dellidea del soggetto centrale: in questo senso, la
composizione di classe pu essere compresa come lesito di un
processo portato avanti da pi soggetti dislocati in diversi ambiti e
diventa allora necessario parlare di differenti figure della
composizione di classe non pi solo in termini diacronici, ma anche
sul piano esplicitamente diacronico. In questo modo, figure della
composizione di classe possono essere, oltre ai lavoratori salariati (e
di fatto salariati), anche figure soggettive esterne allambito della
produzione, come gli studenti o i disoccupati: ci significa che le lotte
che si sviluppano in questi ambiti, consolidandosi a livello della
struttura soggettiva, contribuiscono allaffermazione della
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composizione di classe, cio alla rigidit del fattore forza lavoro in
determinati settori della riproduzione. Ovviamente gli elementi di
rigidit che questi strati della forza lavoro sviluppano non
coincidono con la composizione di classe, ma semmai con un
segmento di questultima. Quasi per definizione essa infatti una
categoria analitica sociale, nel senso che identifica il livello dei
bisogni, delle tradizioni di lotta e dei comportamenti antagonisti
consolidati sul piano dellintera societ: identifica cio, in termini
marxiani, la giornata lavorativa sociale69.
La teoria dellautovalorizzazione proletaria enunciata in alcuni
testi fondamentali da Negri tra la fine degli anni Settanta e linizio
degli Ottanta procedeva proprio in questa direzione. Lintuizione
secondo cui lantagonismo non si limitava alla sfera della produzione
ma investiva la stessa area della riproduzione equivaleva proprio a
concepire la possibilit che nella sfera della riproduzione, esterna alla
fabbrica, si potessero consolidare bisogni e pratiche di lotta tali da
incidere sulla stessa composizione e tali soprattutto da innalzarne il
valore. Come scriveva Negri, estendendo il significato della
concezione operaista del rifiuto del lavoro, questultimo non si
arrestava alle soglie della fabbrica ma si affermava anche al di fuori
della cooperazione immediatamente produttiva, come sviluppo di
pratiche antagoniste alle dinamiche di riproduzione della forza
lavoro e come affermazione di bisogni e comportamenti:
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necessario, la sua capacit di lotta, la sua forza di resistenza, la
sua forza-invenzione70.
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considerare la composizione di classe come il prodotto di molteplici
azioni e pratiche di antagonismo che conquistavano una loro
compattezza ed omogeneit nel fatto di essere socialmente radicate e
consolidate a livello di massa. Se perci lidea della ricomposizione,
con i suoi richiami allidea di una unit di classe, presentava ancora
residui idealistici, lautovalorizzazione veniva a descrivere invece -
del tutto coerentemente con limpostazione materialistica del filone
operaista - la composizione come il risultato di pratiche
esclusivamente materiali portate avanti da soggetti molteplici: in
questo senso la composizione in classe stava ad indicare il livello
raggiunto dallantagonismo a livello sociale, in tutti gli strati della
forza lavoro sussunta al capitale. Queste intuizioni, di fronte alle
nostalgie delle centralit ormai definitivamente perdute e alla
ricerca di nuove ambigue centralit nella dinamica delle
trasformazioni produttive, sono lantidoto probabilmente pi
efficace. Lidea della composizione di classe come prodotto
storicamente accumulato e sedimentato dalle lotte precedenti e, al
tempo stesso, come il risultato costantemente rinnovato dal processo
di autovalorizzazione radicato nella materialit di molteplici
soggetti, rappresenta la guida metodologica decisiva.
Da questa impostazione derivano infatti implicazioni decisive
sul terreno della metodologia dellinchiesta. A partire da Alquati,
svolgere unindagine sulla composizione di classe unoperazione
ben diversa dal condurre invece uninchiesta sulla trasformazione
del lavoro e sugli effetti di questa sulla forza lavoro. Si tratta di una
differenza principalmente di metodo, perch in questultimo caso -
che coincide in larga parte con quello di una normale inchiesta
sociologica - lassetto dei rapporti di produzione e la struttura
dellorganizzazione capitalistica del lavoro (e del non-lavoro)
vengono considerati come presupposti che definiscono la situazione
della classe lavoratrice: linchiesta in questo caso si limita a
considerare gli effetti che le trasformazioni produttive hanno sui
lavoratori, sulle loro condizioni fisiche e psicologiche, sulla loro
situazione finanziaria e su altri particolari aspetti della loro vita. I
risultati sono predeterminati fin dal principio, perch (soprattutto se
lindagine non viene svolta in una fase di mobilitazione) i lavoratori
appaiono sfruttati e privi di qualsiasi coscienza collettiva e politica.
Nel caso invece di una inchiesta che miri a sondare e a ricostruire la
composizione di classe, il metodo completamente diverso, nel
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senso che viene rovesciato lordine delle variabili: la realt della
classe non viene pi ad essere il portato della ristrutturazione
produttiva ma la sua principale determinante; ci non significa,
semplicemente, che ogni mossa del capitale viene ad essere
determinata dalla classe operaia - come sostengono molti critici del
filone operaista - ma comporta invece che il capitale (e cio ogni
singolo capitalista ed i gestori di quelle istituzioni politiche e
sociali che dipendono in modo pi o meno diretto dalla
prosecuzione del processo di accumulazione) deve assumere come
presupposto la realt storicamente consolidata della composizione di
classe, e cio la rigidit dei bisogni e della stessa giornata lavorativa
sociale. Per questo motivo, invece che affrontare la forza lavoro nei
punti in cui la sua composizione in classe pi elevata, tenter di
aggirare lostacolo, non solo agendo sui settori di classe pi
frammentati (nei settori in cui cio i comportamenti di lotta ed i
bisogni sono meno consolidati) ma creando gerarchie e barriere
affinch ogni potenziale ricomposizione sia ostacolata e la forza
lavoro risulti pi facilmente controllabile.
In questo secondo caso dunque il metodo della composizione di
classe impone di partire dal livello consolidato dellantagonismo (e
soprattutto dai punti in cui questo antagonismo pi forte e in cui
pi elevato il livello del lavoro necessario). Linchiesta sulla
composizione di classe non equivale per solo alla semplice
attestazione di un dato storico e consolidato, ma comporta anche la
necessit di seguire il continuo processo della composizione in
classe radicato nelle lotte sotterranee e spesso invisibili che si
sviluppano quotidianamente. Partire dalla composizione di classe
significa assumere, come sostenevano i vecchi operaisti degli anni
Sessanta, il punto di vista operaio: significa cio seguire il
processo secondo il quale ogni segmento della forza lavoro afferma
la propria rigidit ed i propri bisogni dapprima nel contesto in cui
esso inserito.
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consisteva ovviamente in una puntigliosa quanto per molti versi
pedantesca operazione di scavo filologico sulla teoria radicale
italiana: il mio proposito era invece di individuare quegli elementi di
metodo che penso possano essere ancora centrali per un lavoro di
inchiesta sui movimenti e sulle talpe nellera della globalizzazione.
In questo senso, ho cercato di mettere laccento su due punti critici
che, nella ridefinizione della categoria analitica, mi sembrano
decisivi, e cio sul fabbrichismo e sul determinismo che, dai primi
anni Sessanta, non hanno cessato di gravare in modo contraddittorio
sullidea della composizione di classe. In particolare, ad essere presa
di mira dalla mia rilettura stata la visione che rappresenta la storia
della composizione di classe come la successione nel tempo di
diverse figure centrali, la cui centralit deriverebbe dallassetto
della struttura produttiva. In questa prospettiva, linchiesta sulla
composizione di classe diventa una semplice ricognizione delle
trasformazioni produttive da cui dovrebbe emergere la realt di una
nuova composizione e lipotesi di un nuovo potenziale soggetto
conflittuale egemone. Se da questo punto di vista lattesa (talvolta
millenaristica) della nuova composizione centrale diventa il
bandolo di tutte le matasse, penso invece che il discorso vada
ricondotto sui binari materialisti da cui era partito e che ogni ipotesi
sui nuovi e potenziali movimenti conflittuali debba essere radicato
nella realt di quegli antagonismi che continuano a scavare
costantemente sotto il terreno dei rapporti di produzione. Come
scriveva Alquati negli anni Sessanta, non si deve accettare la
rappresentazione della societ postmoderna e della metamorfosi del
lavoro che viene fornita dalla sociologia postindustriale: anche in
questo caso bisogna rifiutarla per ricomporla con altre ipotesi, che
partano dallanalisi della lotta quotidiana e del rifiuto consolidato
nelle molteplici e convergenti figure della composizione di classe.
Lidea della composizione di classe continua perci a rimanere
un cardine fondamentale per ogni lavoro dinchiesta e resta cos il
bandolo della matassa per ogni analisi dellantagonismo sociale.
Questo significa per che i mille fili di quella matassa devono essere
dipanati e seguiti, perch solo seguendo quei percorsi spesso
silenziosi e sotterranei che i presupposti di futuri movimenti
antagonisti cessano di essere semplici profezie e cominciano a
diventare ipotesi materialisticamente fondate.
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