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L'Innominato

Don Rodrigo chiede aiuto all'Innominato, potentissimo e sanguinario signore, che per da qualche
tempo riflette sulle proprie responsabilit, le vessazioni di cui si reso autore o complice per attestare la
propria autorit sui signorotti e al di l della legge, e il senso della propria vita. Costui fa rapire Lucia dal
Nibbio, con l'aiuto di Egidio e la complicit di Gertrude, e Lucia viene portata al castello dell'Innominato.
Lucia, terrorizzata, supplica l'Innominato di lasciarla libera e lo esorta a redimersi dicendo che "Dio
perdona molte cose per un atto di misericordia". La notte che segue per Lucia e per l'Innominato
molto intensa. La prima fa un voto di castit alla Madonna perch la salvi e quindi rinuncia al suo amore
per Renzo. Il secondo trascorre una notte orribile, piena di rimorsi, e sta per uccidersi quando scopre,
quasi per volere divino (le campane suonano a festa in tutta la vallata), che il cardinale Federigo
Borromeo in visita pastorale nel paese. Spinto dall'inquietudine che lo tormenta, la mattina si presenta
in canonica per parlare con il cardinale. Il colloquio, giungendo al culmine di una tormentata crisi di
coscienza che egli maturava da tempo, sconvolge l'Innominato, che si converte impegnandosi a
cambiare vita e per prima cosa libera Lucia, che viene ospitata presso la casa di don Ferrante e donna
Prassede, coppia di signori milanesi amici del Borromeo. Intanto il cardinale rimprovera duramente don
Abbondio per non aver celebrato il matrimonio. Poco dopo scendono in Italia i Lanzichenecchi,
mercenari tedeschi che combattono nella guerra di successione al Ducato di Mantova, i quali mettono a
sacco il paese di Renzo e Lucia e diffondono il morbo della peste. Molti, tra cui don Abbondio, Perpetua
e Agnese, trovano rifugio nel castello dell'Innominato, che si fatto fervido campione di carit.

La peste

Con i Lanzichenecchi entra nella penisola la peste: se ne ammalano Renzo, che guarisce, e don Rodrigo,
che viene tradito e derubato dal Griso, il capo dei suoi bravi (che, contagiato anch'egli dalla peste, non
godr dei frutti del suo tradimento). Don Rodrigo viene portato dai monatti al Lazzaretto in mezzo agli
altri appestati. Renzo, guarito, torna al paese per cercare Lucia, preoccupato dagli accenni fatti da lei per
lettera a un suo voto di castit fatto quando era dall'Innominato, ma non la trova, e viene indirizzato a
Milano, dove apprende che si trova nel Lazzaretto. Qui trova anche padre Cristoforo, indomito nel
servizio sebbene segnato dalla malattia, che scioglie il voto di Lucia e invita Renzo a perdonare don
Rodrigo, ormai morente.

La peste viene descritta in maniera scrupolosa e nei minimi particolari nelle sue prime manifestazioni,
nelle reazioni suscitate, negli interventi positivi e negativi degli uomini chiamati a occuparsene (dai
medici, ai politici, alla chiesa). Agli errori delle autorit, alla voluta disinformazione si somma l'ignoranza
superstiziosa della popolazione. Ne deriva uno sconvolgimento drammatico della citt intera,
attraversata da Renzo, ormai guarito, come un luogo infernale pieno di pericoli e di insidie mortali.

La parte pi drammatica di questa descrizione si trova nel capitolo 34, con una delle pi celebri frasi
della letteratura italiana:

"Come il fiore gi rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce
che pareggia tutte l'erbe del prato".

In tale capitolo si parla anche di Cecilia, "di forse nov'anni", che, ormai morta, posta sul carro dei
monatti dalla madre, che li implora di non toccare il piccolo corpo composto con tanto amore, e chiede
poi di tornare dopo a "prendere anche me e non me sola" (per questo episodio Manzoni trasse
ispirazione dal De pestilentia di Federigo Borromeo). La donna presentata piena di dignit umana e di
amore materno che riuscir a impietosire anche il "turpe monatto" che le voleva strappare la bambina. Il
personaggio descritto accostando coppie di termini in antitesi collegati da forme oppostive e negative
(cap. XXXIV): "una giovinezza avanzata ma non trascorsa"; una bellezza velata e offuscata, ma non
guasta, da una gran passione, e da un languor mortale"; "la sua andatura era affaticata, ma non
cascante". [27]

La descrizione della carestia, della fame, della calata dei Lanzichenecchi sono prove corali dell'immensa
rappresentazione della peste. La peste descritta nel romanzo ha il carattere della necessit: superflua
perci ogni nota storica. Il prologo del dramma nella descrizione di don Rodrigo preso dal contagio. La
peste appare nel suo vario orrore quando Renzo viene al suo paese e poi a Milano. Nella descrizione
della citt colpita dal morbo una spaventevole verosimiglianza: non pi la luce dell'alba cara al
Manzoni ma la spietata intensit del sole a picco. La descrizione dei carri dei monatti pagina potente e
sinistra. Un'immagine di follia nella corsa del cavallaccio spinto dal frenetico cavaliere. L'accordo dei
vari temi dell'episodio si rivela per nelle note soavi della scena della madre di Cecilia, nell'umoristico
contrasto tra l'angoscia dell'ambiente e il comico errore dei monatti su Renzo scambiato per untore,
nell'idillica visione dell'ospedale degli innocenti, dove i bimbi allattati da donne e da capre suggeriscono
il senso di una societ favolosa come l'et dell'oro. [28] Le principali fonti storiche utilizzate dal Manzoni
furono: De peste quae fuit anno 1630 ("La peste del 1630") di Giuseppe Ripamonti; Ragguaglio
dell'origine et giornali successi della gran peste di Alessandro Tadino. [29]

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