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Indice 2/2002
Studi

LA FEDELT A DIO NELLA SOFFERENZA


La fiducia di Giobbe e labbandono alla Divina Provvidenza di san Giovanni
Calabria
Massimiliano Parrella 5

LA FORMAZIONE FILOSOFICA DI DON CALABRIA


Giuseppe Perazzolo 33

LE RADICI IN ALTO
Stefano Salzani 55

LA PROFEZIA CALABRIANA
Comportamenti etici calabriani
Julio Gotardo Soster 97

DE PRECIBUS PRIVATIS IN USUM LAICORUM


C. S. Lewis: dal carteggio con don Calabria alle Letters to Malcom
Luciano Squizzato 120

Meditazioni

OMELIA PER LA FESTA DI SAN GIOVANNI CALABRIA


Mons. Arduino Bertoldo 132

2
OMELIA PER LELEZIONE DEL NUOVO CASANTE DELLOPERA DON
CALABRIA
Mons. Maffeo Ducoli 136

Recensioni

DON CALABRIA SCRISSE UN ARTICOLO PER DON PRIMO


MAZZOLARI
Giuseppe Perazzolo 142

3
Studi

4
La fedelt a Dio nella sofferenza
La fiducia di Giobbe e labbandono alla Divina
Provvi-denza di san Giovanni Calabria

Massimiliano Parrella1

Introduzione

Il vivere comporta unangoscia alla quale luomo non pu sot-


trarsi, giacch ogni scelta gli motivo dangoscia: o per non avere
incontrato Dio, o per averLo beatamente incontrato e cos non poter
pi ritirarsi dinanzi alla minaccia della possibilit di perderLo.
Il presente scritto, la sintesi di un lavoro pi ampio che non vuole
suggerire risposte bens formare gli atteggiamenti con cui affrontare le
varie prove della sofferenza che ci offre la vita. Una risposta semmai
si pu intravedere nel tema della fedelt a Dio che il vero problema
di fondo quando si affrontano le esperienze della sofferenza e
dellangoscia.
La sofferenza quanto di pi proprio, individuale e intrasferibile
possa darsi nella vita degli uomini, ma nello stesso tempo non
unesperienza cos immediata e diretta come a prima vista potrebbe
sembrare. Nessun uomo potrebbe vivere la sua sofferenza o soprav-
vivere ad essa, o comunque attraversarla, se non riuscisse in qualche
modo ad attribuire un senso a ci che patisce. Esistono quindi scenari
di senso gi calcati dallesperienza umana entro cui il dolore pu ve-

1
Studente di teologia presso lo Studio Teologico San Zeno di Verona.

5
nire assunto o giustificato. 2 Tra questi scenari compreso anche
quello dellangoscia.
Il termine angoscia, deriva dalla parola latina angustia, che si-
gnifica stringere materialmente, strozzatura. Non una nozione facile
da definire. Possiamo ad ogni modo descriverla come una minaccia
indeterminata che si abbatte sulluomo e colpisce la libert
delluomo.3 Teologicamente ha assunto anche la sfumatura di ricerca,
anelito, desiderio di una realt Infinita e Assoluta.4
Nella Bibbia, langoscia pu essere interpretata come quella spe-
cie di pressione che forze avverse esercitano sulluomo minando e
anche distruggendo la missione che gli stata affidata. Sono le co-
siddette5 angosce del ministero apostolico esposto alla persecuzione,
che trovano riscontro anche negli ultimi tempi come agli inizi della
Chiesa nelle tribolazioni dei missionari e dei credenti in Cristo.
Gli uomini di ogni tempo hanno fatto esperienza dellangoscia,. la
storia della letteratura e delle arti piena di testimonianze di santi,
mistici, credenti ed atei, illustri artisti e letterati, spesso ispirati proprio
nellattraversare i momenti pi bui della loro esistenza. Famosi poeti,
come Giacomo Leopardi,6 addirittura hanno fatto dellangoscia la loro
musa ispiratrice.

****

In questo lavoro, pi specificamente, tratteremo dunque


dellesperienza dellangoscia che hanno sperimentato il personaggio
biblico di Giobbe e il santo veronese Giovanni Calabria (1873-1954),

2
Cfr. S. NATOLI, Lesperienza del dolore, Le forme del patire nella cultura
occidentale, Feltrinelli, Milano.
3
Cfr. H. MOTTU, Geremia: Una protesta contro la sofferenza. Lettura delle
confessioni, Claudiana, Torino, 1990, pag. 60.
4
J. TREVISOL, Il mistico e langoscia, pag. 32.
5
Cfr. H. MOTTU, Geremia, pag. 60.
6
Cfr. Alla luna, in Canti-Operette-Morali-Pensieri, di GIACOMO LEOPARDI, Ed.
per il Club del Libro, Milano,1961, pag. 56. Idillio composto a Recanati nel
1819.

6
mettendo in relazione le due figure soprattutto nel modo di affrontare
langoscia e quindi il loro rapporto con Dio proprio nel momento pi
critico della loro esistenza.
Certo non presumiamo di esaurire il tema dellangoscia o la pro-
fondit della riflessione teologica di Giobbe, ma saranno questi gli
elementi su cui verter la nostra ricerca e la nostra riflessione.
Dapprima vedremo come si sviluppa la vicenda di Giobbe an-
dando non ad analizzare tutto il libro bens percorrendolo in quelle che
ci sembrano le tappe pi significative per lo scopo che ci siamo
prefissati, quindi presenteremo la vicenda di San Giovanni Calabria
evidenziando in particolare quel periodo buio della sua vita nel quale
fu colpito da una profonda sofferenza spirituale e fisica, facendo
esperienza dellangoscia: stata da molti definita la "notte oscura".
Fenomeno mistico?
Infine, mostreremo quella che sembra essere una via comune.
Infatti, se guardiamo la vicenda Giobbe notiamo come, dopo essere
passato dallangoscia Giobbe riscopra il suo Dio. Lo riscopra come il
Dio della fiducia, al quale aderir abbandonandosi e mettendosi in
ascolto di Lui.
E cos anche don Calabria far il suo atto di fedelt a Dio, la-
sciandosi cullare e guidare dalla Mano paterna e materna della
Divina Provvidenza.
Pertanto riteniamo che il titolo assegnato a questo lavoro, La fe-
delt a Dio nella sofferenza: la fiducia in Giobbe e labbandono alla
Divina provvidenza in san Giovanni Calabria, rappresenti la felice
sintesi di un percorso che riteniamo possa esserci daiuto
nellaffrontare il nostro cammino di uomini, non immuni da espe-
rienze analoghe.

Capitolo I

Giobbe: luomo del dolore

7
Che nel nostro tempo lesperienza del dolore si sia particolar-
mente acutizzata lo si evince dal contatto con autori a noi contempo-
ranei. Ma a differenza del personaggio biblico, luomo attuale si trova
a vivere il suo dolore confinato in una solitudine desolata.
Giobbe si presenta su un immondezzaio, luogo di rifiuti e
perci dellestrema abiezione, eppure nel suo avvilimento trova la
forza di sollevarsi per allacciare un colloquio con Dio.7
In questo capitolo, dopo aver visto pi da vicino la vicenda
delluomo biblico Giobbe, sottolineeremo laspetto dellangoscia
di cui ha fatto esperienza viva, di come labbia affrontata e
compresa fino ad arrivare a quello che abbiamo chiamato il suo
restauro, 8 cio il recupero del rapporto con il suo Dio, che
vedremo ritornare ad essere il Dio della vita e della fiducia.

La vicenda di Giobbe

Cera nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo


integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male (Gb 1, 1).
Cos si apre libro di Giobbe. Lautore, probabilmente un
intellettuale ebreo vissuto dopo la tragica esperienza dellesilio
babilonese, nella figura di Giobbe ha voluto rappresentare la
vicenda del popolo dIsraele. Una sfida! Il vero problema del libro
non la sofferenza o il discorso della retribuzione a fronte del
bene compiuto, bens il rapporto con Dio: come pu un uomo
essere giusto innanzi a Dio? (Gb 9, 2). Del resto non si possono
ridurre i maestri di proverbi ad una caricatura di saggi da
tavolino, astratti dalla vita, dogmatici ed insensibili alla realt.
Forse essi non sapevano che la vita spesso contraddice la fede, che
il giusto riceve il male e soffre mentre il malvagio riceve il bene?

7
M. BIZZOTTO, Il grido di Giobbe, luomo, la malattia, il dolore nella cultura
contemporanea, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano, 1995, pag. 5.
8
A. NICCACCI, La casa della sapienza, Voci e volti della sapienza biblica, San
Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 1994, pag. 186.

8
Un esempio classico della deformazione della sapienza rap-
presentato dagli amici di Giobbe che vanno da lui con lintenzione
di consolarlo mentre gli fanno torto e dalla protesta di Giobbe.9
Lintervento di Dio evidenzia invece la verit ma insieme
anche linsufficienza della protesta di Giobbe. Indubbiamente i
suoi amici non hanno capito che a Dio non si pu chiedere ragione
del suo operato e ridurlo entro schemi umani di pensiero. Questo
percorso porta Giobbe a comprendere come in Dio si possa
conciliare la tensione e luomo diventi capace della lode. Il libro
di Giobbe uno dei componimenti pi sublimi dellumanit e
probabilmente, la sua interpretazione una sfida troppo grande
per chiunque.
Si apre e si chiude con una cornice in prosa (Gb 1, 12, 13) e
(Gb 42, 717) in cui troviamo rispettivamente, un Giobbe provato
e un Giobbe restaurato e un corpus in poesia dove viene
presentata una serie di soliloqui da parte di Giobbe: il lamento di
Giobbe (cap. 3); i dialoghi con i tre amici (cap. 427); la
dichiarazione dinnocenza e sfida a Dio (cap. 2931); dialoghi con
Eliu e Dio (cap. 3242, 16).10 Dio non risponde subito alla sfida.
Terminato il primo discorso, Dio si arresta per invitare Giobbe a
rispondere, cosa che egli fa in forma laconica, e infine dopo il
secondo discorso Giobbe si arrende pienamente al Signore
dellUniverso.
stato detto che il libro di Giobbe un dramma, ma grazie al
suo lieto fine stato anche definito una commedia; e, come
nella dantesca Divina Commedia, anche nel libro di Giobbe si ha
una sapiente e calcolata mescolanza di comico realistico,11 di
elegiaco e di tragico sublime.
Alla fine, sorge unalba nuova e radiosa dove Giobbe riscopre
e fa esperienza di un Dio che il Dio dellamore.

9
Ivi, pag. 54.
10
Ivi, pag. 57.
11
A. BONORA, Giobbe: Il tormento di credere, Il problema e lo scandalo del
dolore, Gregoriana libreria editrice, Padova (PD), 1990, pag. 14.

9
Langoscia in Giobbe motivo di grande sofferenza
Il vero problema in Giobbe il rapporto uomoDio,
creaturaCreatore, finitoInfinito. La sofferenza di Giobbe il caso
che fa emergere il problema, non il problema stesso.12 Giobbe
uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male (Gb 1, 1).
ricco e potente, e perci agli occhi di tutti benedetto da Dio ma viene
colpito nei possedimenti, negli affetti pi cari e infine nella sua stessa
persona. Lo scopo finale dimostrare che la sua piet del tutto
disinteressata, e di fatto Giobbe supera la prova in modo esemplare:13
In tutto questo Giobbe non pecc e non attribu a Dio nulla di
ingiusto (Gb 1, 22) In tutto questo Giobbe non pecc con le sue
labbra (Gb 2, 10).
La venuta dei tre amici a consolarlo, che fanno lamento e restano
seduti a terra per sette giorni e sette notti senza dire parola, occasione
per Giobbe, che ha preso tutto dalla mano di Dio senza lamentarsi, per
aprire la sua bocca e maledire il suo giorno.14 Maledire il giorno
della propria nascita pu essere opera da insensato15 ma nel caso di
Giobbe, come in quello di Geremia,16 frutto di amarezza mortale, di
profonda angoscia ed il necessario inizio del dramma.
La sofferenza di Giobbe sofferenza di un uomo giusto che, tra
laltro, ha accettato tutto senza ribellarsi. Perch allora? Il lamento del
protagonista contestazione del Creatore e del suo modo di reggere il
mondo. Dire che il giorno diventi tenebra significa invocare il ritorno
al caos primordiale prima che Dio dividesse la tenebra dalla luce. E la
contestazione del governo di Dio avviene mediante due perch?17
che costituiscono il corpo del lamento di Giobbe: E perch non sono

12
A. NICCACCI, cit., pag. 60.
13
Ibidem.
14
Cfr. Gb 3, 1.
15
Cfr. Sir 23,14.
16
Cfr. Ger 20,14-18.
17
A. NICCACCI, cit., pag. 61.

10
morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal
grembo? [] Perch dare la luce a un infelice e la vita a chi ha
lamarezza nel cuore? (Gb 3, 11-20).
Giobbe da parte sua, a differenza degli amici vede le cose molto
diversamente. Cosciente della sua rettitudine, egli chiama Dio a
render ragione del suo comportamento e alla fine lo accusa aperta-
mente di castigare senza motivo. Il suo linguaggio diventa man mano
sempre pi duro: Dio agisce in modo dispotico; nel mondo regna il
caos; come se la terra fosse consegnata in mano ai prepotenti18 (Cfr.
Gb 22, 5-7.21).
Gli amici, dal canto loro, hanno ben compreso: in discussione il
rapporto delluomo con Dio. Elifaz, Bildad e Zofar sono piuttosto
preoccupati di farsi avvocati difensori19 di Dio e della dottrina co-
munemente tramandata tra il popolo, cio quella che chiamiamo la
teoria della retribuzione.20 La tesi sostenuta dai tre presunti amici
la possiamo riassumere in tre punti fondamentali:

1. i cattivi soffrono sventure a causa dei loro peccati;


2. la felicit compagna inseparabile dei buoni;
3. di fronte a Dio, luomo sempre impuro e colpevole, ma se si
converte pu anche gustare la felicit.

Giobbe avverte, dietro i discorsi dei suoi tre presunti amici, tutto il
disprezzo e il rifiuto dellintera comunit che lo emargina, lo de-
monizza, ne fa il suo capro espiatorio. Ad essi, quindi, risponder con
decisione, con argomentazioni ampie e appassionate per smascherare
le loro false accuse e la loro presunzione di parlare in nome di Dio e
della comunit credente. Egli dunque analizza e mette a nudo tutta la
sua vita, con una serie di ricordi struggenti e di dolorose confessioni: il
discorso di Giobbe un canto nostalgico alla ricerca del tempo

18
Ibidem.
19
A. BONORA, Giobbe, pag. 37.
20
Ibidem.

11
perduto, 21 cio del suo passato felice ormai tramontato come un
sogno infranto e svanito per sempre. Sembra che Giobbe racconti una
parabola,22 il romanzo della sua vita (Cfr. Gb Cap. 29), con il quale
prepara il suo appello a Dio perch questi risponda.
Abbandonato dagli uomini, Giobbe ha soltanto la compagnia degli
animali selvatici, anzi di quelli che pi degli altri sono nemici della
vita umana, gli sciacalli e gli struzzi. Ma ci che inquieta mag-
giormente Giobbe il silenzio ostinato di Dio. Perch Dio non inter-
viene? Perch, da amico che era, Dio si trasformato in nemico cru-
dele, impietoso e muto? A Lui Giobbe si rivolge protestando e sup-
plicando, senza nominarLo perch ora Egli gli appare come un ano-
nimo cieco, sordo e muto, una furia selvaggia.23

Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta.


Tu sei un duro avversario verso di me e con la forza delle tue mani
mi perseguiti; mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai
sballottare dalla bufera. So bene che mi conduci alla morte, alla casa
dove si riunisce ogni vivente (Gb 30, 2023).

Giobbe non vuole prescindere da Dio, non cerca il facile rifugio


dellateismo o della negazione di Dio. Egli non sa staccarsi dal suo
Dio nemmeno quando gli appare come un nemico crudele, eppure
anche la preghiera sembra inutile, perch Dio tace e sembra assente.
Non resta che affrontare Dio e chiamarlo in causa.
Tutto il discorso di Giobbe nel cap. 31 una specie di giuramento
di innocenza. Lesame di coscienza che Giobbe compie, non gli
consente di trovare colpe nella sua vita tali da giustificare il suo male
come un castigo. Sono innocente! (Cfr. Gb 9, 21). Alla fine sfiancato,
angosciato e oppresso, Giobbe lancia la sua ultima e definitiva sfida al
divino Rivale:

21
Ivi, pag. 41.
22
Ibidem.
23
Ivi, pag. 43.

12
Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma!
LOnnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversario
vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema!
Il numero dei miei passi gli manifesterei e mi presenterei a lui come
sovrano (Gb 31, 3537).

E quando finalmente Giobbe ha finito di parlare ecco un intruso


irrompere sulla scena. uno spettatore del dramma e, giovane qual ,
deve giustificare il suo intervento. Si tratta di un certo Eliu, che d
voce alla reazione degli ambienti giudaici pi conservatori, pii,
scandalizzati di fronte alla storia di Giobbe. Eliu, dunque, parla a
nome di tutti quei Giudei che ritenevano insufficienti gli argomenti dei
tre amici di Giobbe, ma anche giudicavano insopportabili i lamenti e
larroganza blasfema di Giobbe. Egli interverr per ben tre volte24
per non avr lultima parola, la quale spetta soltanto a Dio. Si aspetta
ora una risposta, la sola che potr ridonare la pace al cuore di Giobbe:
la risposta di Dio.

Giobbe restaurato25
Giobbe aveva mosso a Dio due rimproveri fondamentali:

a) il mondo un caos assurdo;


b) il mondo nelle mani di un essere malvagio.26

E dopo la lunga requisitoria di Giobbe e lintervento degli amici,


Dio risponde a Giobbe, (Capp. 38-41).
La prima parte del discorso di Dio (Gb 38, 4-38) tutta rivolta
a dimostrare che la creazione di Dio buona, ordinata,

24
Cfr. cap. 32 introduzione; cap. 33 primo discorso di Eliu; cap. 34 secondo
discorso di Eliu; cap. 35 terzo discorso di Eliu. Nei capitoli 36-37 poi ci sar
unaggiunta.
25
A. NICCACCI, cit., pag. 57.
26
A. BONORA, cit., pag. 53.

13
sapientemente regolata da leggi. Non dunque vero che il mondo
un caos mostruoso, disordinato e assurdo. La terra una
costruzione di cui Dio ha fissato le dimensioni e i confini precisi,
che Egli ha edificato come una casa sopra una pietra. La terra
dunque una casa ben ordinata e armoniosamente costruita.27
Lattenzione si sposta poi dalla terra al mare, simbolo della
potenza del male per eccellenza, che per Dio ha chiuso tra due
porte (Gb 38, 8).
La seconda parte della risposta di Dio invece descrive la cura
affettuosa e provvidente di Dio verso gli animali, in particolare
verso i pi selvaggi e indipendenti (Gb 38, 3939, 30). Ma
nonostante larroganza delle bestie selvatiche, Dio non le
distrugge, non le annienta, anzi le guida e le mantiene. Dio non
cancella la presenza del male nel mondo, non la abolisce, tuttavia
questa sotto il suo controllo, che la limita e la riduce. Allora il
disordine che c nel mondo non pu mettere in discussione il
dominio di Dio Creatore. Mai si dica che Dio approvi il male,28 ma
soltanto che si prende cura anche degli esseri malvagi. Lintero
discorso in mezzo alla tempesta (Gb 38,1 ss.) un poema
finemente costruito, con una progressione studiata di immagini, di
idee, di temi.
La voce della tempesta un canto poetico, la poesia di
Dio!,29 che invita Giobbe ad uscire dallo schema troppo ristretto
dei ragionamenti utilitaristi, chiusi dentro la domanda a che
serve? e vuole condurlo a cogliere il valore simbolico di ogni
realt.
Con il suo lungo discorso poetico, Dio ha condotto il suo servo
fedele, Giobbe, a contemplare il panorama della creazione con i
Suoi stessi occhi.
Luomo deve scoprire nel mondo la presenza di una volont
personale buona, di un Volto promettente e affidabile; deve

27
Ivi, pag. 54.
28
Ivi, pag. 57.
29
Ivi, pag. 58.

14
imparare a dialogare con Dio attraverso il mondo e che langoscia,
come una espressione della sofferenza, unesperienza umana
personale che mette in questione il senso stesso dellesistenza
umana. Il discorso di Dio a Giobbe intende condurre a vedere un
mondo di significati, dietro i quali appare il Volto promettente e
buono, rassicurante e affidabile di Dio.
Alla sfida di Giobbe viene data finalmente una risposta da
parte di Dio quasi come se Dio prendesse per mano Giobbe e gli
facesse percorrere tutto lUniverso, in tutti i suoi aspetti e in tutte
le sue parti, interrogandolo sui misteri della creazione.30 Egli fa
capire a Giobbe la sua ignoranza, i suoi limiti di creatura, mentre
insegna che la propria trascendenza non ha confini; da tutta
lopera della creazione viene una tagliente critica alla sufficienza
umana e allo sforzo titanico di impadronirsi della sapienza divina.
Giobbe in tal modo riscopre il vero volto di Dio, il volto di un
Dio promettente e amico. Un lieto fine questo, ma con un
significato molto pi profondo del lieto fine delle favole.
Dio alla fine fa trionfare il bene! Il male non ha dalla sua parte
n ragioni, n diritti, non mai, in nessun modo, giustificabile e
Dio non pu venire a patti con il male perch Egli vuole far vivere
e vivere felici con noi.31
Giobbe, non si arrende n al dolore, n ad una teoria bens sol-
tanto al faccia a faccia con Dio:

Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono (Gb


32
42, 5).

Capitolo II

30
Ivi, pag. 46.
31
Ivi, pagg. 4748.
32
Ivi, pag. 48.

15
Don Giovanni Calabria: la grande prova
Il nostro viaggio sulla ricerca della fedelt a Dio nella sofferenza ci ha
condotti, dopo aver delineato brevemente lesperienza della sofferenza, ad
analizzare alcuni dei contenuti della vicenda Giobbe soffermandoci su
quello che stato il problema che ha causato in questa figura biblica una
profonda angoscia: il rapporto con Dio.
Abbiamo visto come Dio abbia saputo recuperare un rapporto
interrotto facendosi cos riscoprire come il Dio della gioia, della fiducia: il
Vivente.
Ci soffermiamo ora su una esperienza pi attuale, vissuta da un uomo
dei nostri giorni: il santo veronese, il profeta della Provvidenza (definito
cos dal papa Giovanni Paolo II in occasione della Canonizzazione) don
Giovanni Calabria.
Daremo un contributo di carattere generale sulla sofferenza che don
Calabria ha vissuto lungo il corso della sua vita per arrivare infine a
soffermarci e penetrare in quella che stata definita la grande prova.
In parallelo a Giobbe, infatti, anche in don Calabria possibile leggere
nella sofferenza lappello al Padre Provvidente e Misericordioso, del Quale
si fida e al Quale si abbandona totalmente in attesa di un Suo sicuro
intervento, che, vedremo aver luogo, nella Pentecoste del 1951.

Langoscia in don Giovanni Calabria motivo di


grande sofferenza
Che san Giovanni Calabria sia stato un uomo provato
dallangoscia in particolare nei suoi ultimi cinque anni (dal
1949-1954), non davvero difficile da documentare grazie alle
persone che gli sono state vicine durante la sua vita e che ancora lo
possono testimoniare, ma anche e soprattutto dai suoi scritti.
Anche dai pochi elementi ricordati della sua vita si pu vedere
come langoscia labbia sempre accompagnato. Luomo don Calabria
grazie ad essa maturato nella santit perch con essa si confrontato,
ha dialogato, lha accettata e fatta compagna di viaggio verso Dio.
Ecco alcuni brani significativi del suo diario.

16
Il 4 giugno 1934 scriveva:

Sento nel mio cuore una stretta di angoscia. Non sono, cos mi pare,
ascoltato da alcuni dei miei. Satana lavora, e lOpera grande di Dio
ne soffre, e non pu sviluppare i divini disegni, che sono legati
nellascoltare docilmente e umilmente questo povero prete, che si
sente quasi abbandonato. O mio Ges, non guardate ai miei peccati,
concedete lunit a questa vostra Opera, nellascoltare in tutto questo
33
misero casante, che non vuole altro che la divina vostra volont.

Il 6 novembre 1931, scriveva cos:

Dio mio che angoscia, che pene ho sofferto in questi giorni. Mai
come in questi giorni ho sofferto e fisicamente e moralmente. Che il
Signore per sua gran misericordia volga tutto in bene della mia
povera anima e di questa grande Opera, anzi sento che il Signore sta
per consolidarla quale sua Opera e che Satana freme in un modo
34
tutto particolare.

Cos scrive anche al Card. Schuster arcivescovo di Milano, il 14


gennaio 1949:

Sento nella S. Messa il lamento di Ges: la mia Chiesa! e poi ho


delle sofferenze mai avute e nel medesimo tempo Ges mi fa vedere,
specie in certi momenti, il motivo per cui lora precipita e che solo
noi, con il ritorno pratico al S. Vangelo sine glossa, siamo ancora in
35
tempo ad arrestare.

33
Archivio storico, Congregazione Poveri Servi della Divina Provvidenza, Diario
personale di don Giovanni Calabria, pag. 73. Significato di alcuni termini: (1)
Opera: usato frequentemente nei suoi scritti per designare la Congregazione
dei Poveri Servi della Divina Provvidenza (PSDP) da lui fondata; (2) Casante:
parola coniata dal santo stesso che non si mai considerato fondatore della
Congregazione, Casa del Signore, ma solo colui che la custodisce e ha la
responsabilit di conservarne intatto lo spirito che il divino Fondatore vi ha
impresso.
34
Archivio storico, P.S.D.P. (Poveri Servi della Divina Provvidenza), Diario
personale di don Giovanni Calabria, n. 736, pagg. 142-143.
35
Cfr. Lettere al Card. Schuster.

17
Il professor Cherubino Trabucchi, specialista medico psichiatra
che ebbe in cura il santo dal 1950, descrivendo la sua malattia, al
processo di Beatificazione disse che langoscia unita alle ossessioni
comportavano una sofferenza allestremo di quanto si possa conce-
pire.36
Anche il carmelitano P. Graziano Pesenti, deponendo sulla per-
sonalit del Servo di Dio, fondandosi sul Diario e sulle lettere al di-
rettore spirituale, parla cos della sofferenza di don Calabria:

Sono abbattimenti interiori, pensieri di sconforto quasi di dispera-


zione, confessioni dimpotenza a condurre lOpera, di lamento per
labbandono in cui lasciato, affermazioni di notti insonni e di
37
giornate tristi.

Il sac. Luigi Pedrollo, Vicario del santo e suo primo successore,


cos ha deposto:

Durante la vita il Servo di Dio ebbe molte sofferenze sia fisiche, che
morali e spirituali, che si accentuarono specialmente nellultimo
periodo. Il servo di Dio aveva paura di avere rovinato tutto, di non
avere corrisposto alla grazia del Signore, di essere condannato
38
allinferno, di avere tradito la sua vocazione.

Ci basta levidenza di questi testimoni per accertare che langoscia


stata una componente decisamente presente nella vita di don
Calabria (dalla scomparsa del pap, alla difficolt nel sostenere gli
studi e della povert) e che occorre tenerla nella debita considerazione
se si vuole capire qualcosa di lui, come lasciano intendere le parole
dello stesso Dr Trabucchi:

36
J. TREVISOL, Il mistico, cit., pag. 64.
37
Ibidem.
38
Ibidem.

18
[] lossessione e langoscia toccavano il nucleo fondamentale di
ogni sua aspirazione e di quello che fu la mira costante della sua vita,
39
la santificazione della propria vita e della sua Opera.

Tuttavia non dobbiamo pensare ad un don Calabria musone! In


mezzo ai suoi religiosi, era di una gioia raggiante; molto sensibile
allumorismo e non mancava mai di sentimenti di gratitudine. Molte
testimonianze lo ricordano entusiasta ed euforico. Nel complesso, don
Calabria era di un dinamismo molto grande: una persona dai molti
rapporti, un uomo dalla volont ferrea, tenace nei propositi; di
unattivit costante ed impegnativa e sempre molto vigile per una
crescita vitale.
Don Calabria alimentava in s un grande anelito di santit: ricorre
spesso nelle sue esortazioni e particolarmente nel suo Diario, nelle
lettere, lespressione: O santo o morto;40 un aforisma nel quale
egli racchiude, per cos dire, tutti i suoi voti e le sue aspirazioni, il suo
programma di vita. Egli voleva fare sempre la volont di Dio e, una
volta scoperta, non si fermava mai davanti a nessuno ostacolo.41

Il culmine della sua malattia: fenomeno mistico?


Non facile comprendere certi fenomeni verificatisi nel periodo
della vita di don Calabria, che prendiamo in esame (1949-1954).

Sono giorni di tante nuove sofferenze, che solo Ges pu misurare.


Vivo nella oscurit pi profonda, nella aridit pi acuta. O Ges,
dove siete? Siate con me, perch la sofferenza, voi, mio Dio, lavete
42
provata. Ges aiutatemi (14 aprile 1950).

39
Ibidem.
40
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale
41
J. TREVISOL, Il mistico, cit., pag. 68.
42
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale, n. 1871, pag. 314.

19
Percorriamo, dunque i passi storici pi importanti di questa parti-
colare stagione di vita del nostro santo, portando alla luce, mediante
dei brani scelti, il suo stato danimo.
Dallinizio del 1949 al maggio 1951 si trovano in molti scritti, e
particolarmente nel Diario, forti espressioni di sofferenze fisiche,
morali e spirituali, la cui origine sempre pi chiara. Scriver il 1
gennaio 1949:

Ges, in questi primi giorni dellanno mi ha chiamato ancora una


43
volta a Lui, nellOrto del Getsemani.

In questo periodo don Calabria vive forti prove fisiche, psicolo-


giche e spirituali. Don Giovanni Calabria in quel periodo riporter nel
suo diario:

Io, povero ed ultimo servo, da alcuni mesi ho sofferto e soffro ci


che mente umana, cos mi pare, non possa capire. I miei [I medici
(?)], per troppa carit e amore, furono strumenti di portare nuovi
patimenti che umiliano in quanto generano in una persona, una sof-
ferenza tutta particolare. Ora mi sento in uno stato che far piet a
44
chi ha cuore (12 luglio del 1950).

E ancora il 7 maggio 1951:

Da giorni non posso celebrare la santa messa e neppure fare la santa


45
comunione. Sono giorni [di] tenebre, di prove inaudite.

Don Ottorino Foffano46 che stato il primo biografo ufficiale del


santo veronese scrive di don Calabria parlando della grande prova:

43
Ivi, n. 1787, pag. 300.
44
Ivi, n. 1880, pag. 316.
45
Ivi, n. 1883, pag. 316.
46
Ottorino Foffano, sacerdote, religioso, nella Congregazione dei P.S.D.P.
(1909-1994), primo biografo ufficiale del santo veronese.

20
come un povero Giobbe, abbandonato in balia di una forza mi-
steriosa da quella Sapienza Eterna, che sola sa far scaturire la luce
47
dalle tenebre.

E, come Giobbe, si sentiva abbandonato da Dio.


Ma finalmente, in modo inaspettato e misterioso, il 20 maggio
1951, nella sua cronaca, don Pedrollo potr esultare: don Giovanni
rinato.48 E infatti, quel giorno stesso comincia a scrivere dei biglietti
di ringraziamento ai medici e ad altre personalit.
Il periodo che va dal 20 maggio 1951 fino alla sua morte (4 di-
cembre 1954), pu essere considerato il periodo doro della vita di
don Giovanni: pi sereno, riprende molte delle sue attivit tra le
quali la guida della Congregazione, e questo fino al gennaio del
1954,49 quando si registrano che le condizioni di don Calabria sono
sempre pi gravi al punto che lo condurranno alla morte. Ora, nella
interpretazione della cosiddetta grande prova, non hanno dovuto
cimentarsi solo gli studiosi di medicina, in quanto fu evidente che il
fenomeno non interessava solo la sfera psichica, non era solo una
patologia ma evidenziava qualcosa di pi grande, di pi misterioso.
I suoi scritti ci mostrano la consapevolezza che egli aveva della
sua tensione e della sua angoscia. Don Giovanni stesso la riconosce
come una lotta in lui tra Dio e Satana; tra il bene e il male, lotta che
egli stava sperimentando in se stesso e diceva: Satana furibondo,
ma Ges vincer.50
Ma vogliamo fare unaltra piccola riflessione, un passo avanti per
comprendere la portata spirituale di questa esperienza di angoscia. Se
leggiamo approfonditamente i suoi scritti notiamo come si possa tro-
vare una sorta di ribellione a livello di rapporto con il Mistero di Dio.
Ribellione che, come nei grandi mistici san Giovanni della Croce o

47
OTTORINO FOFFANO, Don Giovanni Calabria, Congregazione Poveri Servi della
Divina Provvidenza, Verona, 1966, pag. 309.
48
Cfr. Archivio di postulazione.
49
J. TREVISOL, Il mistico, cit., pag. 71.
50
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale.

21
santa Teresa dAvila, lo ha portato a passare la famosa notte oscura.
Quello di don Calabria un fenomeno mistico?
Se andiamo a leggere i documenti della Positio51 scopriremo che
don Calabria stato ed tuttora considerato un mistico. Il fatto appa-
rentemente non sembrerebbe rilevante; diventa rilevante dal momento
in cui si considera questa notte oscura di don Calabria in relazione
alla crysis del suo rapporto con Dio.
Scrive nel diario il 14 aprile 1950:

Sono giorni di tante nuove sofferenze, che solo Ges pu misurare.


Umanamente parlando, mi sento venire meno. Vivo nella oscurit
52
pi profonda, nella aridit pi acuta. O Ges, dove siete?.

E in una lettera scrisse:

Mi pare di essere senza fede Pensa che ho sempre voluto bene al


Signore! che lho sempre amato! pensa che orribile prova be-
53
stemmiarlo.

Ed era talmente tentato che talvolta, gli sembrava veramente di


bestemmiare.
Scrivendo a don Pedrollo disse:

Don Luigi mio non ne posso pi! C un muro di divisione tra me


54
e Ges! Mi pare che mi rigetti.
molto chiaro che in tutta questa notte non erano le tenebre
a condurlo, bens era spinto dallangoscia di chi amava la luce e la
cercava. Perch, anche durante la crisi della notte oscura in cui
provava langoscia di sentire perfino la bestemmia nelle sue
labbra, don Calabria era accompagnato dalla consapevolezza di
fondo di non essere in peccato: o santo o morto!. Il suo cuore

51
Positio super virtutibus, Roma, 1984.
52
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale, n. 1871, pag. 314.
53
Cfr. Archivio della postulazione.
54
Ibidem.

22
ardeva damore per Dio nonostante lesperienza della sua miseria
e della oscurit, in cui si dibatteva Nelle espressioni della sua
angoscia c sempre e comunque un rivolgersi alla volont e
allamore di Dio:

Le giornate passano dolorose. Che Ges mi conceda il suo amore


che la grazia di compiere la sua divina volont. Ges, Ges, siatemi
55
Ges.

In questa prospettiva dunque, nostra convinzione che


lanalisi del tipo soluzione data da don Calabria alla sua
angoscia, non solo illumina il tenore della sua esperienza, ma
presenta la sua vita come proposta di un modo mistico di
affrontare la tensione vissuta dalluomo che cammina verso Dio. 56
Per san Giovanni Calabria, dunque, il senso della presenza del
Mistero di Dio e della grandezza delle sue opere, stato
fondamento e ragione di tutta la sua lotta.

Pentecoste 1951: la guarigione

Soffermarsi sul cosiddetto periodo doro di don Calabria


(maggio 1951 maggio 1954) fondamentale per mettere in luce
come, in parallelo alla riflessione su Giobbe, don Calabria abbia su-
perato la grande prova.
NellAppendice Extraprocessuale della Positio, troviamo scritto:

Il Servo di Dio riprende la sua vita come prima della crisi, anzi, ci
sembra di notare in molti particolari del suo comportamento qualche
cosa di indefinibile che rivela in lui una grande purificazione
57
interiore, una maggiore esperienza dellamore del Signore.

55
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale, n. 1875, pag. 315.
56
J. TREVISOL, Il mistico, cit., pag. 82.
57
Ivi, pag. 81.

23
Lo stesso giorno della sua inspiegabile guarigione, il 20 maggio
1951, riprese la stesura del suo diario. E il 31 maggio del 1951 annot:

Sia ringraziato e benedetto il Signore che dopo tanti mesi di soffe-


renza grande, mi ha concesso un po di tregua, e mi permette cos di
riprendere il mio diario. Deo gratias, Deo gratias. Sento quanto Ges
vuole dalla sua Opera, che la Congregazione dei Poveri Servi,
specie in questora. Oggi ho fatto la mia confessione e nella mia
miseria grande, sento quanto Ges mi ama. O s. o m. (o santo o
58
morto).

Egli riprese la sua vita normale quindi, ma dal suo modo di fare e
dalle sue parole si intuiva un cambiamento nelle sue sofferenze che lui
stesso defin nuove.
Segnaliamo l8 novembre 1951:
59
Ho sofferenze tutte, ma [tutte] nuove

e il 10 novembre 1951:

Da due o tre giorni ho prove spirituali nuove che, passate, mi


portano i segni della bont e misericordia che ha Ges per me tanto
povero, e questo certo per merito dellOpera dei Poveri Servi alla
quale ho la grazia di appartenere come casante del divino Pa-
60
drone.

Ancora il 27 novembre 1951:

Ho grandi e nuove sofferenze. Sento, cos mi pare, la luce e la forza


di Dio che, sebbene tanto misero, mi tiene qui nella sua Casa e si
vuol usare [servire] di me, come suo casante. In mezzo a tante prove
61
sento di tanto in tanto la mano di Dio che mi sostiene e aiuta.

58
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale, n. 1886, pag. 316.
59
Ivi, n. 1929, pag. 327.
60
Ivi, n. 1930, pag. 327.
61
Ivi, n. 1952, pag. 333

24
Ecco quel che rimane di don Calabria dopo il fuoco terribile della
purificazione: non un uomo distrutto o scompensato, anche se fisi-
camente sar stato debole, bens un uomo molto pi integrato, intui-
tivo, capace di una visione ampia e realistica, ben deciso a sostenere le
nuove sofferenze: una vera pepita doro.62

Capitolo III
Una via comune

Una possibile risposta: la fedelt


Giobbe e don Calabria, due figure paradigmatiche, di cui abbiamo
gi sottolineato la forte relazione esistente, e la tabella seguente vuole
dare uno sguardo sinottico per evidenziare le linee pi importanti della
riflessione fin qui condotta.
I due protagonisti, sembrano, aver percorso una via comune che
vedremo essere quella della fiducia.
La fedelt a Dio diventa allora conseguentemente una possibile
risposta che non toglie la sofferenza, ma aiuta ad affrontarla.

Quaestio Giobbe Don Calabria


La Giobbe provato negli af- Don Calabria, stato provato
prova fetti e nelle propriet ma il pro- nel fisico attraverso dolori lanci-
blema vero risultato essere, in nanti la malattia e nello spi-
realt, il rapporto con Dio. Il rito, attraverso il forte conflitto
silenzio di Dio stato
con Dio in quella definita come
massacrante per lui, ancora
pi grande di quello della per- notte oscura, durante la quale si
dita dei beni e degli affetti. sentiva come se fra lui e Dio ci
fosse un muro invalicabile.

62
J. TREVISOL, Il mistico, cit., pag. 82.

25
La ricerca Lanelito, il desiderio di Lo stesso anelito vale anche per
di Dio incontrarsi con Dio straordi- don Calabria. Dal suo diario leggiamo
nario e allo stesso tempo im- infatti il 14 aprile del 1950: O Ges,
pressionante: Oh, avessi uno dove siete? Siate con me, perch la
che mi ascoltasse! Ecco qui la sofferenza, voi, mio Dio, lavete
mia firma! LOnnipotente mi provata. Ges aiutatemi. Tutto, con la
risponda! Il documento scritto grazia vostra, per lOpera, per il
dal mio avversario vorrei certo mondo, che torni cristiano.
portarlo sulle mie spalle e cin-
gerlo come mio diadema! Il
numero dei miei passi gli ma-
nifesterei e mi presenterei a lui
come sovrano (Gb 31, 35-37).

La rispo- Il famoso lieto fine del nostro lavoro, non altro che il risultato
sta di finale della vicenda vissuta dai due personaggi. Il risultato finale ha un
Dio significato profondo molto interessante da sottolineare: Dio Padre ha
instaurato un nuovo rapporto sia con Giobbe che con don Calabria, i
quali, tornati nuovi ad essere ancora di pi infiammati dallamore del
Creatore, fanno della loro esperienza un invito personale che oggi
rivolgono a tutti i lettori: vivere la fiducia in un Dio che amore.

Alla sfida di Giobbe viene data finalmente una risposta da parte di


Dio.
Grazie alle parole di Dio, che in questo libro suonano come un
canto in poesia, Giobbe ha riscoperto il vero volto di Dio, il volto di un
Dio promettente e amico. Dio, alla fine, ha fatto trionfare il bene. Dio
sa, ma luomo non sa.63 Tuttavia, Dio non il silenzio impenetrabile o
lenigma indecifrabile: attraverso la creazione ogni uomo pu
intravedere la sapienza mediatrice e la Sua bont promettente.
Giobbe confida allora nella fedelt assoluta del Dio vivente e mi-
sterioso: alla fine egli potr vedere Dio come un amico e non come un
estraneo: Io lo vedr, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non
da straniero (Gb 19, 27). La speranza di Giobbe dunque
pazienza di fronte a Dio, perch egli aspetta Dio. Sperare quindi non

63
A. BONORA, cit., pag. 49.

26
significa conoscere gi tutto in anticipo, ma fidarsi e arrendersi al
mistero di Dio. Chi spera in Lui ha la pazienza di stare in attesa. La
protesta contro il male non impazienza, anzi la forma dellattesa
che Dio chiede a noi, cio di resistere nella lotta instancabile contro il
male. Ma la resistenza paziente e fiduciosa di Giobbe si esprime
soprattutto nella sua preghiera, nel continuare a parlare e a dialogare
con Dio:

Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma!


LOnnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversario
vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema!
Il numero dei miei passi gli manifesterei e mi presenterei a lui come
sovrano (Gb 31, 35-37).

Cos Giobbe ci insegna in ultima istanza che la risposta al dolore e


alla morte non un atteggiamento eroico o stoico,64 ma la risposta
assoluta, quella della fiducia e della speranza. Latteggiamento della
fiducia, mette luomo nella prospettiva del timore di Dio Ecco,
temere Dio, questo sapienza e schivare il male, questo intelli-
genza (Gb 28, 28) che d accesso alla vera sapienza, al luogo di-
vino dovessa si trovava, a quel sapere che permette di sperare e di
abbandonarsi anche nel dolore.
La vera sapienza che viene dalla fede o dal timore del Signore,
quella per cui io credo che la mia vita non senza senso, nemmeno
quando soffro o mi sento fallito,65 precisamente perch Dio non cessa
mai di volere il mio bene: questa la sapienza che soltanto Dio pu
dare alluomo.
Il cammino di Giobbe che lo ha portato a ritrovare la fiducia e la
sapienza del credente in fondo un ripercorrere la riflessione sapien-
ziale espressa dal salmista:

64
Ivi, pag. 81.
65
Ivi, pag. 70.

27
Il mio bene stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio
66 67
rifugio; Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene.

Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi


saranno date in aggiunta (Mt 6, 31-33).

Per don Calabria dobbiamo partire proprio da qui, in quanto egli


prese alla lettera questinvito evangelico che parla dellabbandono a
Dio Padre Provvidente, e lo fece diventare sistema di vita quotidiano.
Scommise su questa parola di Dio e visse liberamente e serenamente,
nonostante le prove, le difficolt, le lunghe attese.

Il Signore, per provare la nostra fede, pu permettere qualche pe-


riodo critico; allora pi che mai si deve avere fede, perch poi
68
maggiormente si manifester la Divina Provvidenza.

E le parole del Vangelo sono state sempre prese radicalmente da


don Calabria:
69
O si crede o non si crede, e allora si stracci il Vangelo.
Vi credette e coerentemente le mise in pratica.
Nel Vecchio testamento, abbiamo trovato la lotta per ritrovare
il Dio nascosto, il Dio buono e giusto, anche nelle atroci
sofferenze di Giobbe, che trova una certa quiete considerando la
sua limitata conoscenza e linfinita sapienza di Dio. Solo la
rivelazione di Ges Cristo porter una luce nuova.
Con Ges infatti la sofferenza acquista un valore redentivo, un
seme che racchiude risurrezione e vita.

66
Cfr. Sal 73, 28.
67
Cfr. Sal 16, 2.
68
Costituzioni e Direttorio, cit., pag. 43.
69
Cfr. Lettere del Padre ai suoi Religiosi, Lettera XXXIIs., Quaresima 1943, pag.
82.

28
Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla
70
gloria futura che dovr essere rivelata in noi. .

Don Calabria, al termine della sua vita, arriv a questa


comprensione: 71 la croce e la sofferenza del singolo o
dellumanit non trovano alcuna spiegazione umanamente
soddisfacente. Rimane un mistero, uno scandalo senza Cristo
Ges, il quale sent tutta langoscia del silenzio e dellabbandono
El, El, lem sabactni? (Mt 27, 46), ma poi la fiducia nel
Padre: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23, 46).
Cos anche don Calabria ha vissuto sulla stessa lunghezza donda
di Cristo: nonostante i momenti di grande prova, ha saputo
abbandonarsi: fede cieca e fiducia totale in Dio padre
Provvidente.

La divina Provvidenza ha permesso in me una lunga prova di


sofferenza che solo il Signore valuter. In questa prova, quanto ho
imparato! Per grazia particolare del Signore, ora sto bene e mi pre-
72
paro al grande rapporto che pu venire da un momento allaltro.

Il 26 dicembre del 1951 annota:


Le sofferenze sono vero patrimonio in mano di Dio, per compiere
divini disegni per le anime, ma bisogna che siano sopportate con
73
fede e amore per le anime.

E ancora, l11 gennaio 1952:

70
Cfr. Rm 8, 18.
71
M. GADILI, San Giovanni Calabria, pag. 254.
72
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale, n. 1887, pag. 320 del 17 agosto
1951.
73
Ivi, n. 1949, pag. 331.

29
Le mie prove e sofferenze nuove di questi giorni, mi dicono tanto
per me e per lOpera di Dio. Mi affido alla divina bont e miseri-
74
cordia. Lux in tenebris.

Questo piccolo florilegio despressioni di don Calabria riguardo


alla fedelt dellabbandono alla Divina Provvidenza, sono frasi dette
da un uomo che ha sperimentato e vissuto in prima persona la pagina
del Vangelo di Matteo 6, 25-34 e ci offre la fede/fiducia e abbandono
alla Divina Provvidenza, come una possibile risposta nel porsi davanti
ad una situazione di sofferenza che sia fisica o spirituale. Egli, si
lasciato cullare dalle braccia paterne e materne di Dio, ha vissuto
labbandono come il cardine di tutto il carisma dal quale nata e si
sviluppata lOpera, e ancora oggi ci invita a sperimentare la dolce
realt delle parole del salmo 131:

Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua


75
madre, come un bimbo svezzato lanima mia.

Conclusione

A conclusione del percorso tracciato, riteniamo di poter dire che le


figure del personaggio biblico Giobbe e quella di don Calabria siano
paradigmatiche nel loro atteggiamento di fronte a quel grande
problema che ogni uomo si trova ad affrontare nel corso della sua vita,
ma che rester sempre un mistero: la sofferenza.
Luomo di ogni tempo si pu riconoscere nellangoscia del sen-
tirsi abbandonato da Dio cos come ne hanno fatto esperienza il pro-
tagonista della vicenda biblica Giobbe:

74
Ivi, n. 1957, pag. 331.
75
Cfr. Sal 131, 2.

30
Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta.
Tu sei un duro avversario verso di me e con la forza delle tue mani
76
mi perseguiti;

e il santo veronese Giovanni Calabria:

Dio mio che angoscia, che pene ho sofferto in questi giorni. Mai
77
come in questi giorni ho sofferto e fisicamente e moralmente.

Ma ci che pi di tutto ha caratterizzato questi due personaggi


stato proprio il loro anelito, il desiderio di ricerca del Mistero Dio
proprio nel momento pi grande di tenebra della loro vita.
Per questo essi sono dei preziosi testimoni, e proprio cos vo-
gliamo chiamarli, testimoni di questa pervicace ricerca che non si
sono arresi di fronte alla sofferenza ma solo faccia a faccia con Dio:

ascoltami e io parler, io tinterrogher e tu istruiscimi. Io ti cono-


78
scevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono.

Il Signore, per provare la nostra fede, pu permettere qualche pe-


riodo critico; allora pi che mai si deve avere fede, perch poi
79
maggiormente si manifester la Divina Provvidenza.

****

Due figure diverse, di epoche e vicende diverse, che pur nella loro
diversit hanno percorso una via comune nel tracciato della
sofferenza: la via della fedelt, percorsa da Giobbe con la fiducia, e, da
don Giovanni Calabria con labbandono alla Divina Provvidenza.

76
Cfr. Gb 30, 20-21.
77
Archivio storico, P.S.D.P., Diario personale, n. 736, pagg. 142-143.
78
Cfr. Gb 42, 4-5.
79
Costituzioni e Direttorio, cit., pag. 43.

31
Abbandonati cos nelle mani del Dio Padre Creatore, hanno potuto
essere rigenerati in un amore tutto nuovo, riscoprendo il Dio della
vita, della fiducia e della gioia.

32
La formazione filosofica di don Calabria80
Giuseppe Perazzolo81

Premessa
Giovanni Paolo II nella recente Lettera Enciclica Fides et Ratio,
che ha avuto vasta eco anche se unaccoglienza piuttosto controversa,
scrive:

[...] A un altro livello si trovano le verit di carattere filosofico, a


cui luomo giunge mediante la capacit speculativa del suo intelletto.
Infine, vi sono le verit religiose, che in qualche misura affondano le
loro radici anche nella filosofia. Esse sono contenute nelle risposte
che le varie religioni nelle loro tradizioni offrono alle domande
ultime.
Quanto alle verit filosofiche, occorre precisare che esse non si li-
mitano alle sole dottrine, talora effimere, dei filosofi di professione.
Ogni uomo, come gi ho detto, in certo qual modo un filosofo e
possiede proprie concezioni filosofiche con le quali orienta la sua
vita.
In un modo o in un altro, egli si forma una visione globale e una ri-
sposta sul senso della propria esistenza: in tale luce egli interpreta la
82
propria vicenda personale e regola il suo comportamento [...].

Nessuno evidentemente si sogna di passare don Calabria come un


filosofo professionale.

80
Il testo tolto da uno studio pi ampio, inedito, intitolato Lesistenza come
compito teofanico. Elementi di carattere filosofico nella vita e pensiero di S.
Giovanni Calabria.
81
Storico, collaboratore del Centro di Cultura e Spiritualit Calabriana.
82
GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, in Acta Apostolicae Sedis, 1 (1999) 5-88; o
anche Lettera enciclica Fides et ratio ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa i
rapporti tra fede e ragione, in La Civilt Cattolica, Quaderno 3560, 1998,
137-213.

33
Pu risultare, tuttavia, di un qualche interesse conoscere le
concezioni filosofiche sulla base delle quali don Calabria ha
orientato la sua vita, e da chi eventualmente le abbia mutuate, anche se
don Calabria ci ha riservato anche in campo filosofico delle sorprese,
o meglio ha manifestato delle simpatie.
In una lettera del 13 dicembre 1948 a mons. Francesco Olgiati83
infatti scrive:

[...] Alle tante fatiche vengo forse per aggiungerne una, ma spero e
sono certo che sar di gloria di Dio e del gran servo di Dio, il Ro-
smini. Questo grande apostolo lo conosco un poco, ne avevo quelle
nozioni generali apprese a scuola, che mettevano in luce molto,
vorrei dire pi i difetti che le virt. Da qualche anno leggo le pub-
blicazioni dei Figli del grande apostolo. Credo che si avvicini il
tempo nel quale il Signore voglia esaltare il suo servo; prego ed ora
la Provvidenza mi d lopportunit di rivolgermi a Lei, e di pregare
84
di esaminare un lavoretto scaturito da questopera [...].

E il 4 marzo 1953 sempre allOlgiati scrive:

[...] Approfitto poi di questa bella occasione per manifestarLe an-


che un altro pensiero, che mi sta sommamente a cuore. Ho sentito
annunciare il Congresso dellUniversit Cattolica sulla Filosofia e

83
Francesco Olgiati nacque a Busto Arsizio (VA) il 1 gennaio del 1886, e mor a
Milano il 21 maggio 1962. Fu ordinato sacerdote nel 1908, e venne chiamato da
Agostino Gemelli a collaborare alla Rivista di filosofia neo-scolastica, da
questi fondata nel 1909, assieme al filosofo neoscolastico e pedagogista prof.
Giulio Canella, che ne dett la presentazione sul primo numero con lo scritto: Il
nostro programma, al Necchi, al Masnovo, al Tredici. Nel 1924 divenne libero
docente di Storia della Filosofia Moderna. Fu apprezzato Docente allUniversit
del S. Cuore di Milano, dove, dal 1930 al 1961, fu titolare di Storia della Filosofia
e poi di Filosofia. Ebbe la ventura di formare tutta una serie di prestigiosi alunni,
che seppero dire la loro in campo filosofico.
M. MANGIAGALLI, La Rivista di Filosofia neo-scolastica (1909-1959). Il
movimento neoscolastico e la fondazione della Rivista, vol. 1, Milano, 1991, pp.
21-89.
84
CALABRIA G., Lettera a Olgiati mons. Francesco [13/12/1948], ms. documento
8645/A, Archivio Poveri Servi della Divina Provvidenza, Verona.

34
Metafisica che si terr prossimamente a Milano, sotto legida della
cara Universit del S. Cuore; mi fu anche detto che dal programma
del Congresso sembra esclusa la Filosofia del Rosmini. Natural-
mente io non posso entrare in merito, essendo materia che io non
conosco, ma tuttavia da anni nutro una devozione particolarissima
verso questo grande Servo di Dio, colosso di dottrina e santit, e
nella mia povert prego sempre che questo astro di prima grandezza
sorga a brillare in tutta la sua luce nel cielo della Chiesa [...] Per
questo mi sono sentito di proporLe che non fosse dimenticato il
85
Rosmini e la sua filosofia nel programma del Congresso [...].

Penso comunque che le concezioni filosofiche del Calabria siano


sicuramente lesito di vari stimoli, incontri, letture, ma che anzitutto
debbano molto alla sua formazione scolastica degli anni del Liceo e
della Teologia; ed il mio proposito, in questo studio, pertanto quello
di indagare in questa direzione.

Ordinamento degli studi filosofici


Il Corso Liceale triennale stiamo parlando degli anni scolastici
dal 1892/93 al 1896/97 prevedeva degli insegnamenti di carattere
filosofico, distribuiti in due semestri annuali (con esami, per iscritto e
a voce, in marzo per il I semestre e a Luglio/Agosto per il II semestre).
Gli insegnamenti di carattere filosofico erano due: la Filosofia
Teoretica e la Filosofia Morale. Non era previsto un insegnamento
formale di Storia della Filosofia.
Nel Corso di Filosofia Teoretica venivano affrontati le seguenti
parti o trattati: Logica, Dinamologia (Trattato sulle facolt
dellanima), Ideologia (Trattato sullorigine delle idee), Criteriologia,
Cosmologia, Ontologia, Antrolopogia.
Nel Corso di Filosofia Morale invece insegnate Teologia naturale
(Teodicea ), e Filosofia Morale

85
ID., Lettera a Olgiati mons. Francesco [4/3/1953], ms. documento 8644,
Archivio Poveri Servi della Divina Provvidenza, Verona.

35
Gli insegnamenti filosofici venivano impartiti, per un totale orario
settimanale di cinque/sei ore (di 60 minuti cadauna), nelle modalit
sotto indicate:

Anno 1892-93:
n. 3 ore settimanali di Filosofia Teoretica
n. 2 ore settimanali di Filosofia Morale
Anno 1893-94:
n. 4 ore settimanali di Filosofia Teoretica
n. 2 ore settimanali di Filosofia Morale
Anni 1894-96:
la frequenza fu interrotta il 10 dic. 1894 per il servizio di leva
militare
Anno 1896-97:
n. 4 ore settimanali di Filosofia Teoretica
n. 1 ora settimanale di Filosofia Morale

Il rilievo che nellOrdinamento degli Studi avevano le discipline


filosofiche evidenziato dal numero di ore (5/6 ore settimanali) as-
segnato a queste materie contro un monte orario complessivo di ap-
pena 15 ore settimanali di lezione.86

Insegnamento della Filosofia Teoretica e


Filoso-fia Morale nel Corso Liceale: contenuti ed
indi-rizzi teoretici dei manuali adottati
I testi adottati per linsegnamento della Filosofia Teoretica e della
Filosofia Morale erano due:

86
ARCHIVIO CONGREGAZIONE POVERI SERVI DELLA DIVINA PROVVIDENZA, Fonti
per la storia della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza
attraverso i documenti e la vita del Servo di Dio Don Giovanni Calabria (Anno
1856-1901), a cura di E. DALLORA, vol. I, Verona, 1979, pp. 181-238.

36
Il manuale di Elementi di Filosofia Cristiana in due volumi
del Sanseverino87
Il manuale di Etica del Liberatore88

Il canonico Gaetano Sanseverino (Napoli 7 Agosto 1811 16


Novembre 1865), insegnante di Filosofia nel Seminario di Napoli, fu
considerato da qualche studioso, C. Fabro, come il principe della ri-
nascita tomista italiana.89
Fece i suoi studi nel Seminario di Nola, a Napoli e allUniversit
di Napoli.
Il Sanseverino si riallacci, attraverso linflusso dei gesuiti na-
poletani M. Liberatore e L. Taparelli, al movimento tomistico pia-
centino del Buzzetti, orientandosi comunque in modo personale verso
la Scolastica Medievale e S. Tommaso.

87
G. SANSEVERINO, Elementa philosophiae cristianae cum antiqua et nova
comparatae, voll. I-II, Napoli, 1864-65.
Il volume III fu completato e pubblicato (Napoli 1868-70), dallamico N.
Signoriello, in due parti.
G. SANSEVERINO, Compendio della Filosofia Cristiana comparata con le
dottrine di Filosofi Antichi e Moderni, voll. I-II, Napoli, 1872, p. 257 e p. 359.
Trattasi delledizione in italiano, curata dal Signoriello, del manuale del
Sanseverino.
88
M. LIBERATORE, Istituzioni di etica e di diritto naturale, Prato, 1883, pp.415.
89
AA.VV., Gaetano Sanseverino nel primo centenario della morte, Roma, 1966;
C. FABRO, Neoscolastica e neotomismo, in Divus Thomas, 62, 1959, 255-256;
A. MASNOVO, Il neotomismo in Italia: origini e prime vicende, Milano, 1923, pp.
118-125;
P. NADDEO, Le origini del neotomismo e la scuola napoletana di G. Sanseverino,
in Studi di Filosofia, vol. II, Salerno, 1940, pp. 354-362;
P. ORLANDO, Il tomismo a Napoli nel secolo XIX. La scuola del Sanseverino,
Roma, 1968;
G. C. PENATI, La neoscolastica, in Questioni di storiografia filosofica, vol. V,
Brescia, 1976, pp. 167-224;
G. SAITTA, Le origini del neotomismo nel secolo XIX, Bari, 1912.

37
Nella sua opera principale Philosophia cristiana cum antiqua et
nova comparata,90 progettata in quindici volumi, ma della quale egli
direttamente riusc a far pubblicare a Napoli, tra il 1962 e il 1967, solo
i primi cinque volumi, egli cerc di collegare il pensiero di Tommaso
dAquino a quello dei Padri della Chiesa, e di confrontarlo con i
grandi sistemi filosofici moderni.
Centrale nel suo pensiero il rifiuto di ogni forma di panteismo,
sia idealistico che realistico, considerata comunque ripugnante per la
ragione. La teologia naturale e la dimostrabilit dellesistenza di Dio
sono impostati su di uno studio sistematico ed una critica puntuale
delle concezioni filosofiche non tomiste.
Un suo moderno recensore, il Soleri,91 ebbe perci modo di af-
fermare:

[] Fornito di una conoscenza diretta, vasta e profonda della filo-


sofia moderna, concep e promosse il rinnovamento del tomismo non
quale ripetizione di un sistema storico, ma quale riscoperta del
valore perenne dei principi sostanziali del tomismo, riconquistato
attraverso la critica interna dei sistemi filosofici moderni [].

Un limite va comunque ravvisato nella sua tendenza ad identifi-


care il tomismo con la filosofia cristiana.
Nel 1840 fond la Rivista Scienza e Fede. Nel 1846 organizz
unAccademia di filosofia tomista. E, ancora nel 1846, inizi a dedi-
carsi allinsegnamento di Logica e Metafisica nel Liceo Arcivescovile
di Napoli. Dal 1851 al 1860 ebbe una cattedra di Filosofia Morale
presso lUniversit di Napoli.
Il gesuita P. Matteo Liberatore,92 nato a Salerno il 14/08/1810 e
morto a Roma il 18/10/1892, che pu essere considerato un altro va-

90
G. SANSEVERINO, Philosophia cristiana cum antiqua et nova comparata, voll.
I-V, Napoli, 1862-67. Il volume VI venne pubblicato a cura del Signoriello a
Napoli nel 1886, ed il VII nel 1878.
91
G. SOLERI, Sanseverino Gaetano, in Enciclopedia Filosofica, vol. V, Firenze,
1967, col. 996.
92
G. BERTOLASO, Liberatore Matteo, in Enciclopedia Filosofica, vol. III, Firenze,
1967, coll. 1531-1532. Con una discreta bibliografia delle opere del Liberatore.

38
lente e dotato restauratore della filosofia tomista, pare che alle tesi
filosofiche tomiste sia arrivato per gradi, anche se poi ne divenne uno
strenuo difensore.
Ebbe a Napoli una cattedra di filosofia dal 1837 al 1848.
Nel suo necrologio93 si dice:

[...] Le opere filosofiche che uscivano alla luce, anche da penne


cattoliche, erano non di rado infette di parecchi errori e fondate sopra
sistemi, che mettevano logicamente a capo dellidealismo, ovvero
allontologismo e quindi ancora al panteismo. Commiserando il
Liberatore codesta decadenza della pi sublime e importante tra le
scienze umane, si pose in cuore di rialzarla dal suo abbattimento,
richiamando in vita la filosofia dellAquinate, in cui egli stesso era
stato ammaestrato, e che da gran tempo giacevasi del tutto screditata
e negletta. Non poteva attenersi a miglior partito; poich la dottrina
dellAngelico fu sempre n passati secoli la grande scuola [...].

Il suo corso (Institutiones philosophicae, voll. I-II, Napoli,


1940-42), continuamente rivisto e corretto in occasione delle varie
stampe, ebbe dieci edizioni in poco pi di una quindicina danni. Nel
1857 venne pubblicata la decima edizione, di cui si ebbero una ventina
di ristampe.
Nel primo volume lautore trattava la Logica e la Metafisica ge-
nerale. Nel secondo la Metafisica speciale. Levoluzione del suo
pensiero nel segno di un progressivo avvicinamento ed acquisizione
delle dottrine aristotelicotomiste.
Nel Seminario di Verona, per le lezioni di Filosofia Morale, ci si
avvalse delle sue Institutiones Ethicae et Iuris naturae di imposta-
zione rigidamente scolastica.94
Alcuni testi chiave, tratti dalle opere del Sanseverino cos come
altri ricavati dalle opere del Liberatore, sono riportati, e leggibili nella
Grande Antologia Filosofica dellEditrice Marzorati.95

93
Il P. Matteo Liberatore della Compagnia di Ges, in La Civilt Cattolica, Serie
XV, vol. IV, 1892, 352-360.
94
M. LIBERATORE, cit.

39
Indirizzo neo-scolastico del titolare
dellinsegna-mento: prof. Andrea Casella
Dopo il periodo rivoluzionario, il periodo napoleonico e let della
Restaurazione si pose nella seconda met dellOttocento, in tutto il
suo peso, il problema delle modalit e degli strumenti per una
rinnovata ed adeguata formazione del clero:

Il rinnovamento tomista del secolo XIX si inserisce nel quadro pi


vasto del movimento scolastico, favorito allinizio dellOttocento
non solo da preoccupazioni dottrinali, ma da altri fattori extrafiloso-
fici, come la reazione antirivoluzionaria e la preoccupazione di dare
una solida base teorica allordine sociale fortemente minacciato, il
romanticismo con le sue vive simpatie per il Medio Evo, e soprat-
tutto la centralizzazione romana ed il movimento ultramontano
96
[...].

Il prof. mons. Andrea Casella (nato a Malcesine di Verona il 13


novembre 1840), che insegn Filosofia Teoretica nel corso liceale del
Seminario di Verona dal 1866 fino al 1900, e Filosofia Morale dal
1866 al 1923 rientra nel novero di coloro che, a livello locale di
singola Diocesi, si dedic in pieno accordo con il suo vescovo, alla
restaurazione del pensiero tomista.
Il Casella infatti, dopo gli studi ginnasiali e liceali, fu mandato a
Roma, dove fu alunno del Collegio Capranica, e frequent il Corso di
laurea in filosofia presso lUniversit Gregoriana, conseguendone il
relativo diploma di laurea.

95
G. Sanseverino, in Grande Antologia Filosofica, vol. XXVII, Milano, 1977,
pp.326-340;
M. Liberatore, in Grande Antologia Filosofica, vol. XXVII, Milano, 1977,
pp.341-357.
96
G. MARTINA, Formazione del clero e cultura cattolica verso la met
dellOttocento, in La Chiesa in Italia. Dallunit ai nostri giorni, Milano, 1996,
p. 171.

40
Ritornato a Verona ebbe linsegnamento di filosofia nel Liceo
del Seminario in sostituzione del prof. P. Scardocchi, che era stato
prestato al Vescovo di Verona dallarcivescovo di Perugia Gioac-
chino Pecci (futuro Leone XIII) per linsegnamento della filosofia
scolastica tomistica.
Fu un fautore convinto e tenace della filosofia neo-scolastica,
intesa come filosofia tomista [...] sulla restaurazione della quale
tenne anche una conferenza nel 1883; e fu avverso alle altre
correnti, anche alla filosofia di Rosmini e condivise la condanna
delle quaranta proposizioni, che si era diligentemente trascritte in
una tabella, che teneva bene in vista [...].97
Dal 1900 al 1924 fu anche Rettore del Seminario. Mor a
Verona il 22 febbraio 1932.
Le linee fondamentali della sua completa adesione al pensiero
tomista penso che possiamo ricavarle dalla sua Sopra la restaura-
zione della Scolastica dissertazione, letta nel Seminario vescovile
di Verona, il 7 marzo 1883, in occasione dellAccademia in onore
di S. Tommaso DAquino.98
Il Casella si dice convinto che Il pervertimento intellettuale,
adunque, la causa, rimota bens, ma vera dello sconvolgimento
sociale. Le idee non giacciono mai lungamente allo stato di pure
teoriche; giacch luomo opera come pensa [...].
Le conseguenze della Rivoluzione Francese del 1789, che de-
preca ed addebita allilluminismo (Rousseau, Voltaire, Diderot), la
situazione socio-politica del suo tempo, la Questione Romana che a
conclusione della sua dissertazione gli fa dire [...] sempre ed in
tutto, senza ambagi, senza equivoci, col Papa e per il Papa, lo spin-
gono a [...] secondare lefficacissimo impulso dato dal S. Padre
alla vera filosofia in quel sublime documento, che lEnciclica
Aeterni Patris.

97
A. ORLANDI, Rettori del Seminario vescovile di Verona, in Il Seminario, 95,
1998, 19-22.
98
A. CASELLA, Sopra la restaurazione della Scolastica dissertazione, Verona,
1883, p. 28.

41
Dalla pagina 9 della sua dissertazione il Casella evidenzia, in
forma sintetica, i vari passaggi che portarono dalla filosofia
classica, allopera dei Padri della Chiesa, e successivamente dei
dottori:

[...] Mancava quindi un principio unificatore che le sparte membra


componendo ed armonizzando, le disciplinasse ad unit di sistema;
al quale scopo appunto rivolsero i loro intendimenti quei Maestri,
che si succedettero nei secoli posteriori a continuare e perfezionare
lopera dei Padri. Boezio e Cassiodoro in Italia, Isidoro [...].

Egli attribuisce ai sommi pensatori del secolo XI il merito di


[...] perfezionarne i concepimenti razionali con uno studio pi largo e
profondo delle fonti Aristoteliche, e colla purificazione delle mede-
sime. Anselmo dAosta, Bernardo da Chiaravalle, Pier Lombardo di
Novara, Alessandro dAles, Alberto Magno [...].
Poi venne Tommaso dAquino, questa mente, quanto vasta al-
trettanto profonda e comprensiva, i tesori raccolti e fecondati dalla
maravigliosa attivit dei Padri e Dottori nei dodici secoli, che lo pre-
cedettero, tutti abbracci e riepilog in s sola.
[...] Tutto quanto si conobbe mai per laddietro e solidamente si
disput delluomo, del mondo, di Dio e delle loro attinenze nellordine
naturale e soprannaturale, tutto si aduna n suoi stupendi volumi.
Qualunque astrusa questione di ontologia, di psicologia, di ideologia,
di teologia naturale, di dogmatica, di morale, di politica, di logica l
entro vi trovi difinita e svolta con tanta evidenza di principi, con tanta
vastit e profondit di concetti, con tanta robustezza di ar-
gomentazione, con tanta lucidit di metodo e perspicuit di linguaggio
[...].
Nella sua dissertazione il Casella tende (cfr. p. 13) ad assegnare
alla solo filosofia tomista la denominazione di scolastica, e a con-
siderare quindi il solo filone di derivazione aristotelica; non nomina
Platone e S. Agostino, per non parlare di Duns Scoto ed altri della
Scuola Francescana.
Successivamente, alle pagine 17-21 del suo intervento, se la
prende con la filosofia rinascimentale, ma soprattutto con Cartesio il
banderaio di questa grande rivoluzione scientifica, il gran padre delle

42
sette filosofiche moderne, ritiratosi nella coscienza del suo pensiero,
dopo aver dato bando ad ogni certezza, giudic di poter cavare da
quella sola, sotto la luce della evidenza soggettiva, tutti gli elementi
richiesti alla ricostruzione di quelledifizio intellettuale, chegli avea
prima inconsultamente ed audacemente abbattuto [...].
Fa quindi una sbrigativa analisi dei sistemi di Locke, Hume, Ber-
keley, Spinosa, Kant, Fichte, Schelling ed Hegel.
Nella filosofia moderna, che egli definisce tre secoli di metafi-
siche aberrazioni, nei suoi principali esponenti non vede che sog-
gettivismo, idealismo, sensismo, scetticismo, materialismo, sincreti-
smo e panteismo.
Le conseguenze di tutto questo le descrive nei paragrafi succes-
sivi:

[...] Intanto i frutti di s empie esorbitanze sono per ogni ordine


sociale quello che in realt dovevano essere. Le menti stanche di
farneticare allimpazzata in questo guazzabuglio di contraddizioni, e
sdegnose di rifare il male abbandonato cammino, troppo misera-
mente ed universalmente sadagiano ad un desolante scetticismo, e,
conseguenza naturale ed immediata, al pi smaccato materialismo
[...].

Dalla pagina 25 alla 28 il Casella, sulla scorta e citando pi volte


lenciclica Aeterni Patris, esorta:

[...] si torni a Tommaso, al Tommaso prescritto dai Fondatori degli


Istituti Religiosi ai loro seguaci, al Tommaso il cui studio pri-
meggiava nelle Universit di Parigi, di Salamanca, di Tolosa, di
Lovanio, di Padova, di Bologna, di Napoli [], al Tommaso riverito
come principe degli Scolastici dai Dottori della Chiesa, dai
Pontefici, dai Concili, non a [] un Tommaso ammodernato, fitti-
zio, opportunista, sorto come per incanto di mezzo a noi, e per ci
stesso sconosciuto nei fasti di quella scienza cristiana [...] A S.
Tommaso adunque, ma al S. Tommaso del Papa [...].

La sua scelta di campo fu coerente, in tutto il lungo periodo del


suo insegnamento. E la stessa adozione dei testi come sussidio per
linsegnamento di essi abbiamo parlato nel paragrafo precedente a

43
questo punto risulta come una scelta conseguente, e quasi obbligata
per trasmettere ai suoi allievi le classiche dottrine tomiste, le uniche
che egli riteneva strumento strettamente necessario, indispensabile per
affrontare le problematiche ecclesiali, socio-culturali e politiche della
seconda parte del secolo XIX.

Principali acquisizioni filosofiche


Molti anni dopo don Calabria ricordava ai suoi amici un episodio,
legato ai suoi esami scolastici giovanili e di qualche importanza anche
per il nostro studio, che pu rivelarsi una specie di spia di quello che
il Calabria aveva capito o raccolto dalla filosofia tomista, insegnatagli:

[...] Agli esami finali di filosofia mons. Bacilieri che li presiedeva,


domanda al Calabria, se gli Angeli possono possedere.
s risponde perch sono esseri intelligenti, sono persone. La
99
pronta risposta piacque molto allinterrogante.

Un noto neotomista contemporaneo, Battista Mondin, scrive:

Il problema centrale dellantropologia filosofica quello che ri-


guarda la natura umana, lessenza delluomo. Dalle attivit che egli
svolge, alcune delle quali sono manifestamente legate alla materia
mentre altre sono squisitamente spirituali, pare si debba arguire che
la natura umana costituita di due elementi essenziali: uno mate-
riale, il corpo e laltro spirituale, lanima. E questa la conclusione a
cui giunge il sapere ordinario in tutte le culture di tutti i tempi.
Passata al vaglio della riflessione filosofica questa conclusione per
spesse volte subisce notevoli ritocchi e modifiche talvolta sostanziali
[...] Seguendo Aristotele, anche san Tommaso insegna che luomo
composto di due elementi essenziali, lanima e il corpo, che si
trovano tra di loro in rapporto di forma e di materia: lanima svolge
la funzione della forma e il corpo della materia [...] Per

99
ARCHIVIO CONGREGAZIONE POVERI SERVI DELLA DIVINA PROVVIDENZA, Fonti,
cit., p. 305.

44
lincommensurabile superiorit dellanima rispetto al corpo, supe-
riorit evidenziata da alcune attivit squisitamente spirituali, come il
riflettere, il giudicare, il ragionare, lo scegliere liberamente ecc.
lessere appartiene anzitutto allanima, propriet dellanima
100
[...].

Ora queste idee non occorre infatti ricorrere a congetture sono


negli scritti del Calabria: non in forma esplicita, ex professo, ma sono
alla base della sua visione delluomo, e, nella seconda parte di questo
studio, avr la possibilit di mostrare in particolare modo quello che in
concreto per lui significava persona.
Per quanto riguarda la Morale al Calabria furono proposte, nel
corso liceale di Filosofia Morale, le tesi etiche tomiste.
S. Tommaso il problema morale, nella maggior parte dei casi, lha
trattato da teologo; tuttavia lha fatto anche da filosofo nel celebre
commento allEtica a Nicomaco. arduo per sintetizzare in poche
parole la posizione di S. Tommaso, cogliendone la sostanza.
Mi sembra comunque che secondo lAquinate il primo compito
della filosofia morale sia quello di scoprire il fine ultimo, quello cio
che assicura alluomo la completa felicit intesa come piena realiz-
zazione delle proprie capacit. Ad esso le azioni delluomo sono or-
dinate.
Per S. Tommaso lunico bene che pu appagare pienamente
luomo, ed capace di procuragli la felicit il sommo bene: Dio.101
Perci la felicit consiste anzitutto nella contemplazione di Dio.
I principi primi della morale, che fanno parte della legge naturale
considerata come riflesso della legge eterna di Dio, si debbono ap-
punto stabilire tenendo come criterio supremo della moralit Dio. Le
azioni sono buone o cattive solo considerate nel loro rapporto con Dio:
se avvicinano od allontanano da lui.

100
B. MONDIN, Il sistema filosofico di Tommaso dAquino. Per una lettura attuale
della filosofia tomista, Milano, 1985, pp. 232 e 234;
S. VANNI ROVIGHI, Uomo e natura. Appunti per una antropologia filosofica,
Milano, 1980, pp. 210-232.
101
E. BERTI, Tommaso dAquino, in Il bene, Brescia, 1983, pp. 95-101.

45
Tralascio il concetto di virt, e la divisione di S. Tommaso in virt
dianoetiche ed etiche: questultime sono comunque quelle che
riguardano la facolt volitiva.
Differenziandosi dalla Scuola Francescana parigina del suo tempo
S. Tommaso, secondo laffermazione di A. Bausola, fu per la libert e
la responsabilit delluomo nelle sue scelte morali [...] nonostante la
sua insistenza nel sottolineare il contributo pratico dellintelletto, in
realt non aveva mai espresso il minimo dubbio sulla natura
essenzialmente attiva della volont, n, a maggior ragione, sulla nostra
libert di iniziativa: due punti che, in fondo, emergono con sufficiente
chiarezza dal testo della I-IIae [...].102
La visione dellagire morale e delle sue leggi in don Calabria,
come, del resto, in S. Tommaso, non si sa se sia maggiormente in-
fluenzata dalla matrice filosofica o da quella teologica. Certo che il
sacerdote veronese nella sua prassi, nella sua predicazione, nei suoi
scritti mostra di essere imbevuto di questi guadagni concettuali.
In una lettera ai carcerati, 25 aprile 1948, don Calabria scrisse:

Ecco perch noi siamo figli di Dio: perch Egli ci ha creati simili a
Lui, capaci di vivere in qualche modo la sua vita, come un figlio
vive la stessa vita di chi lo ha generato.
E poich alla vita di Dio appartiene anche la libert, Iddio non poteva
e non volle privarne i suoi figli, perch senza libert non vi vero
amore e senza amore non vi pu essere felicit. E infatti, che cosa
sarebbe un amore che ci fosse imposto dalla stessa natura? Un amore
obbligato, un amore di cui non potessimo fare a meno, che merito
avrebbe? Che merito ha la luna a girare attorno alla terra? Che merito
ha la terra a girare attorno al sole? amore questo? No, un puro
movimento meccanico, automatico, senza ombra di dedizione, di
calore, di felicit: E cos sarebbe stato lamore delluomo, senza il
dono della libert.
Luomo, dunque, fu libero: poteva amare Dio e poteva anche ribel-
larsi; poteva riconoscere il Lui il Padre buono e amoroso che lo

102
A. BAUSOLA, Tommaso dAquino, in La libert, Brescia, 1985, p. 106;
S. VANNI ROVIGHI, Uomo e natura. Appunti per una antropologia filosofica,
Milano, 1980, pp. 210-232.

46
aveva creato per pura bont del Suo Cuore divino, ma poteva anche
vedere il Lui un padrone crudele che lo volesse opprimere sotto un
103
giogo ingiusto [...].

Ordinamento degli studi teologici


La Scuola di Teologia del Seminario di Verona, alla fine del XIX
secolo, prevedeva un quadriennio di studi teologici.
Le lezioni scolastiche, nella misura di venti ore settimanali, ordinate
per semestre, iniziavano in novembre e si protraevano praticamente fino
allestate inoltrata. Il profitto degli alunni veniva attentamente controllato
sulla base di esami semestrali.
Le discipline insegnate, con una diversa presenza oraria ed importanza
nellambito dei vari Corsi Teologici, erano: Storia Ecclesiastica, Teologia
Dogmatica, Sacra Scrittura, Lingua Ebraica, Teologia Morale, Sacra
Eloquenza, Diritto Canonico, Liturgia, Canto Gregoriano.
Credo che, in funzione degli obiettivi di questo studio, ci si debba
occupare quasi esclusivamente della Teologia Dogmatica, in riferimento al
Trattato De Deo, e della Teologia Morale, che, divisa in vari trattati, si
interessava nel primo volume, e quindi nel I Corso, di Morale
fondamentale, in pratica di Etica Filosofica.
importante ricordare che, mentre alla Teologia Dogmatica venivano
riservate sette ore, alla Teologia Morale erano assegnate sei ore
settimanali, a partire dal II Corso Teologico.
Il chierico Giovanni Calabria ebbe modo di frequentare (con qualche
risultato modesto in Teologia Dogmatica il primo, secondo e terzo anno; e
in Teologia Morale il quarto anno) gli studi teologici, ed esattamente negli
anni scolastici 1897-98, 1898-1899, 1899-1900, 1900-1901.
Per valutare i risultati, al di l delle carenze dovute ad un curriculum di
studi medio-classici piuttosto problematico, e di gravi carenze relative a
cibo e riposo, onest vuole che ci si ricordi che spesso testi e lezioni erano
in latino, sia pur scolastico; e che il metodo adottato nellinsegnamento era

103
B. MAGGIONI G. C. MATTELLINI, Abb o Patr, don Calabria testimone
della paternit di Dio, in Studi Calabriani 2, Verona, 1998, pp. 98-99.

47
in genere basato sullo schema delle Questioni disputate, sostanzialmente
simile a quello utilizzato dalla Scolastica medievale.
A qualcuno risultava piuttosto farraginoso, per non dire ostico.

Il manuale di J. B. Franzelin di Teologia


Dogma-tica: Trattato De Deo uno, e
linsegnamento di L. Zenati
Un noto teologo degli anni cinquanta Michele Schmaus, profes-
sore allUniversit di Monaco di Baviera, scriveva nel volume I Dio
uno e trino del suo fortunatissimo manuale di Dogmatica Cattolica:
La teologia dogmatica non parla di Dio come la Scienza delle Re-
ligioni o la Metafisica, le quali si limitano a presentarci intorno a lui
quelle cognizioni che la ragione umana raggiunge con il proprio
sforzo. Come dice ottimamente Pascal, esse ci parlano del Dio dei
filosofi.
La dogmatica cerca, al contrario, desporre la rivelazione del Dio
vivente, quale rifulse sul volto di Cristo (2 Cor. 4, 6), il Verbo In-
carnato, e si ud nella sua predicazione. Supera, perci, le verit di-
vine raggiunte dalla ragione umana con semplice conoscenza natu-
104
rale e nello stesso tempo le illumina e le conferma.

E tuttavia basta gettare un occhio sul manuale di Teologia Dog-


matica di G. B. Franzelin,105 adottato nel Seminario di Verona alla
fine del secolo scorso, per capire limportanza ed il ruolo della filo-
sofia tomista nella presentazione del trattato De Deo.
Il Franzelin (1816-1886) gesuita, docente di dogmatica al Collegio
Romano (Universit Gregoriana) e poi cardinale, fu insegnante e direttore
della tesi di laurea di mons. Bartolomeo Bacilieri Rettore del Seminario di
Verona e poi cardinale Vescovo di Verona, ma fu anche insegnante del
successore del Bacilieri come docente di Dogmatica a Verona, cio del
prof. mons. L. Zenati.

104
M. SCHMAUS, Introduzione, Dio, creazione, ediz. ital., Torino, 1966, p. 133.
105
J. B. FRANZELIN, De Deo uno Tractatus, Torino, 1870, pp. 722.

48
I suoi testi di dogmatica erano, anche per questo, molto apprezzati a
Verona.
Prima di passare ad analizzare il Tractatus De Deo, conviene
senzaltro ricordare che fu appunto il Franzelin lestensore, assieme al
Padre Schrader, del primo Schema della Costituzione Dei Filius del
Vaticano I: un documento conciliare fondamentale che venne per rivisto
dai teologi incaricati dalla Deputazione della fede.
Nella prima stesura Franzelin opponeva al panteismo, al materialismo
e al razionalismo moderno una sua densa esposizione della dottrina
cattolica su Dio, la rivelazione e la fede.
Nella Costituzione Dei Filius del 1870, che diventer uno dei do-
cumenti base per la formazione filosofico-teologica del clero cattolico, ci
serviamo della presentazione che ne ha fatto R. Aubert:

[...] Il primo capitolo proclamava lesistenza di un Dio personale


libero, creatore di tutte le cose e assolutamente indipendente dal
mondo materiale e spirituale, da Lui creato. Il secondo capitolo in-
segnava che alcune verit religiose, particolarmente lesistenza di
Dio possono essere conosciute con certezza dalla ragione umana
con le sole sue forze; questa affermazione era diretta contro
lateismo, ma anche contro il fideismo e il tradizionalismo, e vi era
qualcosa di paradossale nel fatto che fosse proprio un concilio a
prendere le difese della ragione, in un secolo in cui la fede cristiana
era messa in stato daccusa dal razionalismo [...] Infine il quarto
capitolo delimitava il dominio rispettivamente della fede e della ra-
gione, ricordando che un disaccordo apparente tra la scienza e la
religione non pu venire che da un errore della dottrina predicata
dalla religione o da una idea falsa sulle conclusioni della scienza
106
[...].

Per tornare al De Deo uno secundum naturam del Franzelin, un


testo diviso in sezioni, a loro volta suddivise in tesi (numerate
progressivamente, indipendentemente dalle sezioni), desideriamo ri-
cordare, perch abbastanza espliciti per il nostro compito, alcuni titoli.

106
R. AUBERT, Il Pontificato di Pio IX (1846-1878), in Storia della Chiesa, a cura di
A. FLICHE V. MARTIN, ediz. ital., vol. XXI, Torino, 1964, p. 511.

49
Nella Sectio I: De cognitione existentiae Dei la prima tesi afferma
che la dottrina che verte sulla conoscenza razionale di Dio di
pertinenza anche della teologia.
La seconda afferma che le Scritture dichiarano che la manifesta-
zione di Dio attraverso le opere della creazione leggibile dalla ra-
gione delluomo.
La terza che la conoscenza razionale della legge naturale, asserita
da S. Paolo, include e dimostra la possibilit di una conoscenza ra-
zionale di Dio come supremo legislatore.
Nella Sectio II, per limitarci alla tesi XII, si parla della possibilit
della conoscenza umana di raggiungere quid Deus sit attraverso il
triplice modo dellaffermazione, della negazione e delleminenza.
Nella Sectio III: De attributis divinis si afferma, oltre alleternit,
immensit, semplicit, potenza di Dio, che Dio la stessa verit, la
stessa bont, la stessa bellezza.
Nella Sectio IV Dio presentato come spirito e Ipsa divina es-
sentia est infinita, substantialis intellectio et comprehensio
Nella Sectio V si parla della volont di Dio. Nella tesi XLVII De
voluntate Dei antecedente et conseguente, ecc.
Insomma il Dio presentato, e la capacit delluomo di raggiun-
gerlo attraverso la conoscenza sono in linea con quanto aveva gi
detto S. Tommaso nella Summa Teologica.
E L. Zenati,107 personaggio meticoloso, non ricco di grandi aper-
ture mentali e di interessi, sicuramente ripeteva ed inculcava negli
alunni concetti e tesi appresi dai gesuiti della Gregoriana: magna pars
del neotomismo romano.
G. B. Pighi, docente ed autore del manuale
adot-tato: Cursus Theologiae moralis: Liber
primus

107
Luigi Zenati, monsignore, nacque a Sommacampagna (VR) il 7 dicembre 1869.
Ordinato sacerdote il 21 dic. 1892, laureato in Teologia presso la Pontificia
Universit Gregoriana, fu insegnante di Dogmatica per 40 anni nel Seminario
Vescovile.

50
Il canonico Giovanni Battista Pighi, figura eminente del clero ve-
ronese (arcidiacono del Capitolo della Cattedrale di Verona; dal 1913
al 1923 Vicario Generale del card. Bartolomeo Bacilieri; Prelato
Domestico di Sua Santit) fu linsegnante, nel Seminario di Verona, di
Sacra Liturgia, di Storia Ecclesiastica e di Morale del giovane
Calabria durante i suoi studi teologici.
Giovanni Battista Pighi, che era nato a Quinzano di Verona il 14
gennaio 1847 e consacrato sacerdote a Trento il 3 settembre 1871, si
era formato a Roma, dove si era laureato in Sacra Teologia presso
lUniversit Gregoriana.
Nel 1902 pubblic a Verona, in tre volumi, le sue Institutiones
historiae ecclesiasticae108 che gli valsero linvito da parte del Papa Pio
X, declinato, ad occupare la cattedra di storia ecclesiastica presso il
Pontificio Ateneo Lateranense di Roma.
Tra il 1910 ed il 1911 vennero stampati, sempre a Verona, i
quattro volumi del Cursus theologiae moralis, che ebbe quattro edi-
zioni successive, ed una quinta riveduta nel 1938 da mons. A. Gra-
zioli.109
Sul Bollettino Ecclesiastico Veronese, a puntate mensili tra il 1914
e il 1926, pubblic una storia della Chiesa Veronese, che negli anni
Ottanta stata riunita in due volumi.110
Mor a Verona il 23 febbraio 1926.
Il pensiero filosofico del Pighi, che quanto qui ci interessa sa-
pere, perch ebbe sicuramente grande presa sul giovane chierico Ca-
labria, nettamente, oserei dire pacificamente, tomista.

G. B. Pighi: Cursus Theologiae moralis - Liber


primus

108
G. B. PIGHI, Institutiones historiae ecclesisticae, voll. I-III, Verona, 1902.
109
G. B. PIGHI, Cursus Theologiae Moralis, voll. I - IV, Verona, 1910-11.
110
G. B. PIGHI, Cenni storici sulla Chiesa veronese, vol. I, Verona, 1980, pp.349.
G. B. PIGHI, Cenni storici sulla Chiesa veronese, vol. II, Verona, 1985.

51
Il Corso, ad usum Scholarum Theologicarum, di Teologia Morale,
che nella Introductio definita scientia morum humanorum in
ordine ad ultimum finem hominis supernaturalem, fu pubblicato dal
Pighi nel 1910/11 in quattro volumi.
In antecedenza linsegnamento per molti anni fu consegnato a
semplici dispense.
Credo che, quanto fu in seguito edito, corrisponda esattamente a
quanto insegnato negli anni di formazione al beato Calabria, per cui
intendo riferirmi ai volumi delledizione 1910/11.
Il lavoro, in questa sede, naturalmente ci interessa esclusivamente
per gli elementi e per i presupposti filosofici che contiene.
E per la verit ad un lettore, che non sia del tutto distratto, il to-
mismo appare come inserito in filigrana in tutta lopera, cio in tutti i
quattro volumi. Tuttavia limiter il mio esame al primo volume, che
tratta della Teologia Morale fondamentale.
Lesposizione della Teologia Morale fondamentale affidata a
quattro trattati per un totale di 218 pagine:

- De actibus humanis
- De conscientia
- De legibus
- De peccatis

Nel primo capitolo del Tractatus primus vengono esposti, divisi


per articoli, gli elementi costitutivi degli atti umani che, data
limportanza per il nostro studio, desidero citare nelle loro espressioni
originali:

De cognitione;
De volitione;
De voluntarietate ipsius actus volitivi;
De voluntarietate volitionis ex parte obiecti;
De libertate.
Nel paragrafo notiones del I articolo, si parla di conoscenza sen-
sitiva che si ha attraverso i sensi o per mezzo della fantasia, ed intel-
lettuale che si ottiene attraverso lintelletto.

52
E il riferimento esplicito a contenuti della gnoseologia tomista mi
sembra incontestabile.
Alla psicologia tomista si riallaccia quanto affermato sullatto
della volont: Ad hoc, ut actus voluntatis sit humanus, necesse est
quod eum praeveniat cognitio ex parte intellectus. Ratio est, quia se-
cus voluntas non potest seipsam determinare ad volendum; cum nihil
volitum sit, quin sit praecognitum, e la definizione di volont
viene esposta nellarticolo II.
Ma nellarticolo III De libertate dove, se ce ne fosse ancora bi-
sogno, il riferimento alle dottrine tomiste ancora pi scoperto.
La trattazione parte infatti dalla definizione di libert, in quanto si
riferisce alle azioni, come immunitas a necessitate in agendo.
Poi passa ad una serie di distinzioni in ragione della stessa neces-
sit.
Libert pu essere violata da coazione esterna, cio da un agente
esterno che pu determinare fisicamente o psichicamente lindividuo;
ma la necessit pu anche provenire ab intrinseco. Per per luomo si
d, a differenza dellanimale, la possibilit di resistere al
condizionamento della facolt appetitiva: egli pu scegliere tra agire e
non agire, tra il fare una cosa o farne unaltra: ha insomma la libertas
indifferentiae vel electionis.
La libert di scelta propriamente, e per s, risiede nella volont,
scrive il Pighi, tuttavia la sua radice ratio est, e pertanto essa si ritrova
solo negli enti razionali, cio nelluomo.
Nel Trattato II (La coscienza) il Pighi, nel definire il termine,
inizia affermando scopertamente Iuxta Doctorem Angelicum, con-
scientia in genere est scientia circa factum subiectivum ipsius scien-
tis.
E chi avesse ancora qualche dubbio sul tomismo dellautore,
servito.

Conclusione
Sarebbero da esaminare attentamente gli scritti di don Calabria per
dar conto puntuale delle sue concezioni filosofiche, per altro un

53
compito non del tutto agevole perch spesso nella redazione degli
stessi si avvalso dellopera di don L. Adami, di mons. V. Bini e di
qualche altro.
Quello che si pu tuttavia affermare con una certa sicurezza, an-
che se con un giudizio piuttosto sommario, che egli molte delle sue
idee le mutu dalla filosofia scolastica ripristinata nel secolo XIX.111

111
Per un primo approccio alla filosofia neo-scolastica della Scuola Milanese
(Universit del S. Cuore) del XX secolo si consiglia:
M. MANGIAGALLI, La Rivista di Filosofia neo-scolastica (1909-1959). Il
movimento neoscolastico e la Fondazione della Rivista, vol. I, Milano, 1991, pp.
372;
M. MANGIAGALLI, La Rivista di Filosofia neo-scolastica (1909-1959). La
riflessione filosofica dalle pagine della Rivista, vol. II, Milano, 1991, pp. 598.

54
Le radici in alto
Stefano Salzani112

S. Giovanni Calabria e la tradizione spirituale


dellalbero rovesciato
I biografi di san Giovanni Calabria riportano come suo tratto
distintivo che egli quando parlava, era ricco di immagini.113
In questo studio prenderemo in esame una di queste immagini, una
tra le pi vivide e suggestive, non tanto per stabilirne la fonte
letteraria, quanto piuttosto per evidenziare la straordinaria ricchezza
del suo insegnamento spirituale.
Figure come san Giovanni Calabria, canonizzate come modelli per
una comunit, hanno la capacit di rivitalizzare immagini simboliche
fino a farle diventare punti di riferimento per il percorso spirituale dei
propri discepoli, fino a farle diventare cio parole del padre, parole
vive.114
Per definire meglio ci che intendiamo per immagini simboliche
possiamo utilizzare una definizione proposta in un documento
ufficiale della Chiesa Cattolica:
Il linguaggio simbolico permette di esprimere delle zone di
esperienza religiosa che non sono accessibili al ragionamento

112
Studioso, Ha pubblicato alcuni libri sul simbolismo cristiano, tema di cui
cultore; ha scritto articoli su varie riviste e curato numerose trasmissioni
radiofoniche e televisive. Saltuariamente traduttore di libri dall'inglese.
113
OTTORINO FOFFANO, Don Giovanni Calabria servo di Dio, Congr. Poveri Servi
della Divina Provvidenza, Milano, 1981, p. 334.
114
Il riferimento a due raccolte di detti di san Giovanni Calabria che citeremo in
seguito; c chi ha osservato che i mistici arrivano a ricapitolare i simboli
delluomo con una sorprendente economia di mezzi. Si direbbe che consumano o
perfezionano le simboliche [] nel fervore di una riduzione ai grandi simboli,
JACQUES VIDAL, Simboli e simboliche in JULIEN RIES a cura di, I simboli nelle
grandi religioni, Jaca Book, Milano, 1988, p. 12.

55
puramente concettuale, ma che, nondimeno, hanno un valore per il
115
problema della verit.

la sua irriducibilit allanalisi puramente concettuale che


complica ogni disamina di una rappresentazione simbolica, perch
questultima, quando veramente tale, come un organismo vivente,
e non si pu fare lautopsia a un cadavere per scoprire che cosa lo
animava. Ci non significa che il simbolo debba essere slegato da
qualsiasi apparato dottrinale, anzi, il linguaggio simbolico il veicolo
pi appropriato per trasmettere una tradizione spirituale.
Le linee di forza che rendono il simbolo adatto a questa
comunicazione sovraconcettuale, sono state riassunte in alcuni tratti:

il simbolo rivela una modalit del reale o una struttura del


mondo non evidenti sul piano dellesperienza immediata;
per lhomo religiosus, ovunque egli si trovi, i simboli mirano
sempre a qualcosa di reale, a una struttura del mondo (terrestre e
celeste), ci che ne determina la sacralit;
il simbolo religioso polivalente, esprime cio
simultaneamente significati multipli, con la complessit di un
organismo vivente;
il simbolismo pu rivelare una prospettiva per cui certe realt
eterogenee si lasciano articolare in un insieme, o perfino integrare
in un sistema: ci permette alluomo di percepire lunit del
mondo e il suo destino in esso;
il simbolismo religioso ha un valore esistenziale: la
penetrazione nel suo significato d accesso a realt spirituali in
grado di impegnare in profondit tutta lesistenza umana;

115
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Linterpretazione della Bibbia nella Chiesa,
Libreria ed. Vaticana, Citt del Vaticano, 1993, p. 55. Sulla riscoperta del
simbolismo nella Chiesa Cattolica ai tempi della formazione culturale di san
Giovanni Calabria cfr. STEFANO SALZANI PIERLUIGI ZOCCATELLI, Hermtisme
et emblmatique du Christ dans la vie et loeuvre de Louis Charbonneay-Lassay,
Arch, Milano-Parigi, 1996, pp. 40-44, a cui rimandiamo per la bibliografia.

56
in ultimo, ma questo un aspetto particolarmente rilevante per
il simbolo che ci apprestiamo ad analizzare, la rappresentazione
simbolica ha la capacit di esprimere alcune situazioni
paradossali e alcune strutture della realt ultima, altrimenti
impossibili da descrivere.116

Simboli dellanalogia inversa


LOpera il rovescio del mondo, ha i suoi fondamenti non in terra,
117
ma in cielo.

LOpera, come tante volte ho detto e ripetuto, ha i suoi fondamenti


in alto, ossia nella fede in Dio che Padre e nel pieno filiale
118
abbandono alla sua Divina Provvidenza.

Molte opere, buone e sante, tengono conto di queste cose [ricchezze


e protezioni umane] ma questa Casa il rovescio delle altre opere, le
119
sue fondamenta le ha nel cielo, capovolta.

120
Noi abbiamo le radici in su.

I detti di san Giovanni Calabria che precedono, mettono a fuoco


una serie di scene simboliche che possiamo far convergere
nellimmagine dellalbero rovesciato.
Esso uno dei complessi simbolici basati sul principio
dellanalogia inversa, cio di quel principio sostanzialmente intui-
tivo che, pur partendo dalla consapevolezza dellincommensurabilit

116
Cfr. MIRCEA ELIADE, Mefistofele e landrogino, Mediterranee, Roma, 1971,
(Osservazioni sul simbolismo religioso) pp. 189-195.
117
DON GIOVANNI CALABRIA, La parola del padre, Opera don Calabria, Ferrara,
s.d., p. 22.
118
ID., Parole vive, PSDP, Milano 1984, p. 26.
119
Ivi, p. 47.
120
O. FOFFANO, cit., p. 75.

57
che separa il mondo terrestre dal mondo celeste, riesce a cogliere
anche il legame che unisce i due mondi: si tratta di immaginare ci che
terrestre e umano come il riflesso speculare121 (e quindi invertito) di
ci che celeste e divino.
Una rappresentazione geometrica che pu esprimere con evidenza
questa relazione quella dellesagramma stellato, noto come sigillo
di Salomone o stella di Davide, costruito sovrapponendo
simmetricamente due triangoli equilateri, uno con lapice rivolto
verso lalto e laltro con lapice rivolto verso il basso: uno dei due
triangoli rappresenta laspetto celeste laltro laspetto terrestre della
relazione.122
Nelle immagini dellanalogia inversa sono contenuti i paradossi
che vanno al cuore di ogni approccio al sacro: questa la luminosa
verit che sconvolse san Giovanni Calabria la notte in cui, preso da
una profonda inquietudine spirituale, lesse tutto di seguito lintero
Vangelo; un testimone di questa esperienza, mons. Giuseppe Chiot,
cos ricordava:

egli aveva segnato i paradossi del Vangelo, detti paradossi perch


cos in antitesi con le massime del mondo da sembrare irrealizzabili,
123
ma i santi, per essi, hanno vinto il mondo.

Il cristianesimo nascente ci ha trasmesso unimmagine


particolarmente vivida di questa dottrina nel motivo della

121
Cfr. laffermazione paolina: Ora [sulla terra] vediamo come in uno specchio
(per speculum in aenigmate), 1 Cor. 13,12.
122
Cfr. REN GUNON, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 1984, (I
simboli dellanalogia) pp. 275-278. Gunon, elaborando questa figura, giunger
a costruire il simbolo di un albero rovesciato, che andr ad analizzare alle pp.
279-283 (Lalbero del Mondo). Si confronti questa immagine di san Giovanni
Calabria: Le opere degli uomini sono come una piramide che poggia in terra;
quelle di Dio vi appoggiano appena per la punta, O. FOFFANO, cit, p. 89, si tratta
della stessa figura geometrica della stella a sei punte, ma resa
tridimensionalmente.
123
O. FOFFANO, cit., p. 120. Forse il pi noto e il pi radicale di questi paradossi
evangelici gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi (Mt. 20,16).

58
crocifissione di Pietro a testa in gi,124 motivo extra-canonico, ma
unanimemente noto a livello dotto e popolare, grazie alla straordinaria
diffusione del suo racconto nella letteratura agiografica.
La Legenda aurea narra che, giunta lora del suo martirio, Pietro
esclamasse:

Poich il mio Signore discese dal cielo in terra e fu alzato su una


croce diritta, per me, che il Signore si degnato di chiamare al cielo,
voglio la mia croce mostrare il mio capo rivolto a terra e i piedi verso
125
il cielo.

La materia di queste legende deriva per tradizione indiretta da


documenti assai pi antichi, nella fattispecie da una serie di apocrifi
noti come Atti di Pietro. Si tratta di tradizioni di alta antichit
tramandate in un ambiente ortodosso, ma i cui scritti caddero in
discredito allepoca del manicheismo.126
Dalla sua croce rovesciata, con i toni di una vera e propria
rivelazione, Pietro incita i presenti a comprendere la dottrina insita
nella sua decisione di essere crocifisso a testa in gi. Questa

124
Questo tema stato associato a quello dellalbero rovesciato da ANANDA K.
COOMARASWAMY, Il grande brivido, Adelphi, Milano, 1987, (Lalbero
rovesciato) pp. 343-344, 348-349.
125
IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, a cura di A. E L. VITALE BROVARONE,
Einaudi, Torino, 1995, p. 475. La popolarit del motivo extra-canonico della
crocifissione di Pietro testimoniata e alimentata dalle sue innumerevoli
raffigurazioni pittoriche.
126
cfr. LUIGI MORALDI a cura di, Apocrifi del Nuovo Testamento, 3 voll., Piemme,
Casale Monferrato, 1994, (vol. II, Atti degli apostoli) p. 52. In questopera
sono contenute le traduzioni delle pi significative redazioni degli Atti di Pietro
(pp. 57-140); accanto alle citazioni che seguono indicheremo i riferimenti delle
edizioni tipiche e il numero di pagina della traduzione appena citata. Per
collegare ancora pi strettamente il motivo della crocifissione a testa in gi a
quello dellalbero rovesciato facciamo notare che in questo testo la croce viene
esplicitamente definita albero [39(10),1, p. 102]); sullequazione
croce = albero della vita nel cristianesimo nascente, cfr. EMANUELE TESTA, Il
simbolismo dei giudeo-cristiani, Franciscan Printing Press, Jerusalem, 1981, pp.
288-292 e sulla croce-albero di Pietro, p. 302.

59
rivelazione contenuta in un inno alla croce e al Cristo di straordinaria
intensit simbolica e lirica.
Ma quello che pi importa, nella prospettiva del nostro studio, la
rivelazione del rovesciamento del cosmo:

[38(9),1, p. 101] Comprendete il mistero della natura e quale stato


il principio di ogni cosa! Dunque, il primo uomo, dalla cui stirpe io,
precipitato con la testa in basso, porto limmagine, manifest una
natura diversa da quella che aveva una volta [...]. Egli aveva gettato a
terra il suo stato primitivo e, cos rovesciato, organizz tutto lordine
di questo mondo: sospeso secondo limmagine della sua vocazione,
fece vedere destra la sinistra e la sinistra destra; cambi tutti i segni
della sua natura tanto da considerare bello ci che non lo , e buono
ci che cattivo.
[38(9),2, p. 102] A questo proposito, il Signore dice in un mistero:
se della destra non fate la sinistra e della sinistra la destra, inferiore
ci che superiore, e anteriore ci che posteriore, non
comprenderete il Regno.

Il mistero del Signore di cui si parla si riferisce a uno di quei


lghia grapha (parole non scritte cio non riportate nei Vangeli
canonici) che erano conosciuti per tradizione orale dalle prime
comunit cristiane.127
Dalla croce, Pietro continua:

[38(9),3, p. 102] Voi dunque, diletti miei, tanto voi che udite adesso
quanto quelli che vi ascolteranno, dovete abbandonare questo
primitivo errore e rialzarvi. giusto infatti salire sulla croce di
Cristo che lunica e sola parola distesa [...].

127
cfr. JOACHIM JEREMIAS, Gli agrapha di Ges, Paideia, Brescia, 1965. Si tratta in
molti casi dello stesso contesto di tradizioni orali da cui presero forma anche i
vangeli canonici. Nella fattispecie, il loghion in questione, che ricorda assai da
vicino i paradossi evangelici che abbiamo ricordato in precedenza, conservato
anche negli scritti di alcuni padri della Chiesa: CLEMENTE ALESSANDRINO,
Stromati, III,13, 92.2-93.3 e CLEMENTE ROMANO, Lettera ai Corinzi II (Omelia
dello Ps. Clemente), XII, 2-6, oltre che in alcuni tra i pi antichi Vangeli apocrifi,
come il Vangelo copto di Tomaso, 37,20.

60
Sicch la parola [il Verbo divino] lasse diritto della croce, quello
al quale sono crocifisso; leco [della parola-Verbo] lasse
trasversale, cio la natura delluomo; il chiodo che unisce lasse
trasversale a quello dritto la conversione e la penitenza delluomo.

Insomma, linsegnamento di questa icona narrativa si potrebbe


cos sintetizzare: Pietro si rende pienamente consapevole
dellinversione delluomo e del mondo post peccatum e mediante la
croce della con-versione (cio del raddrizzamento) attua il ri-torno al
suo stato originario di integrit;128 questo il paradosso della santit
che si nasconde nel simbolo dellalbero rovesciato e che ritroveremo
nelle sue molteplici forme nelle pagine che seguono.

I riti e i miti dellalbero rovesciato


Se lalbero uno dei tipi pi comunemente riscontrabili nella
simbolica sacra di ogni popolo,129 lalbero rovesciato invece meno
appariscente sebbene, quando appaia, esso penetri nelle profondit
estreme del pensiero religioso.
Questo non significa, comunque, che la sua diffusione geografica
e cronologica sia limitata, tuttaltro. Le testimonianze folcloriche130 e

128
Una tradizione ebraica riporta un elemento simbolico illuminante a questo
riguardo: alcuni dicono che gli abitanti del paradiso stanno eretti sulla testa e
camminano con le mani, ma in realt, questa solo la percezione inversa dei
vivi, infatti quando Isacco torn dal suo viaggio in paradiso, camminava sulle
mani, come fanno i morti, cio era inverso rispetto a chi era rimasto sulla terra;
cfr. ROBERT GRAVES, RAPHAEL PATAI, I miti ebraici, TEA, Milano 1990, pp. 89,
227.
129
Sul simbolismo sacro dellalbero in generale, la bibliografia pressoch
sterminata; a livello riassuntivo cfr. M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni,
Boringhieri, Torino, 1976, pp. 272-341 (per lalbero rovesciato vedi pp.
283-285). Per liconografia si rimanda invece a ROGER COOK, Lalbero della
vita, RED, Como, 1987.
130
Utilizziamo il termine folclore nel senso di tradizioni popolari pi o meno
frammentarie da considerarsi come vestigia di pi antichi e complessi apparati
mitologici e rituali (il rito una rappresentazione del mito). In STITH THOMPSON,

61
mitologiche che seguono daranno unidea, per quanto incompleta,
della universalit di questa diffusione e ci permetteranno, pi avanti,
di comprendere meglio le speculazioni che importanti tradizioni
religiose hanno celato sotto il velame del nostro simbolo.
La recente scoperta nel Nothfolk, in Inghilterra, di un sito
archeologico battezzato Seahenge, ha offerto uno straordinario reperto
dellutilizzo cultuale del simbolo dellalbero rovesciato. Il sito, fatto
risalire con precisione allet del bronzo (4.000 anni fa), si compone di
una palizzata circolare al cui centro conficcata una quercia con le
radici verso lalto e i rami verso il basso, dellaltezza di circa 3 metri.
Con ogni probabilit la quercia rovesciata fungeva da altare nel corso
di rituali funerari.131
A questa struttura cultuale pu essere accostato il rito dellofferta
di un bue al dio della vegetazione in uso presso i lapponi della
Finlandia: anche in questo caso accanto allaltare era posto un albero
con le radici in aria e le fronde conficcate nella terra.132
In Australia, durante le cerimonie di iniziazione (bora) dei
Kamilaroi, venivano predisposti due recinti circolari che
rappresentavano il mondo primordiale; nel cerchio pi piccolo si
piantavano due alberelli con le radici verso il cielo.133 Presso lo stesso
popolo, gli stregoni si dotavano di un alberello magico che piantavano
rovesciato; dopo averlo spalmato di sangue umano lo bruciavano.134

Motif-Index of Folk Literature, 6 voll., Rosenkilde & Bagger, Copenhagen 1955,


il mitologhema dellalbero inverso catalogato sotto due codici: A2791.13
(Mithological Motifs) e F811.15 (Marvels).
131
Cfr. MATTHEW CHAMPTON, Seahenge, a Contemporary Chronicle, Barnwells
Timescape, Axsham (Northfolk), 2000.
132
Cfr. UNO HOLMBERG-HARVA, Der Baum des Lebens, in Annales academiae
scientiarum fennicae, ser. B, 16, 3, 1922-1923, p. 55. Una ballata finnica narra di
una quercia rovesciata che cresce in mezzo al mare (ivi); si noti che anche il sito
di Seahenge, prima di essere riportato alla luce dai moti delle maree, era
sommerso nelle acque di una baia.
133
Riportato in M. ELIADE, La creativit dello spirito. Una introduzione alle
religioni australiane, Mondadori, Cles (TN), 1990, p. 92.
134
Cfr. ID., Trattato..., cit., p. 285.

62
Anche lo sciamano delletnia degli Udeghei, nellestremit orientale
della Siberia, piantava davanti alla sua capanna un albero
rovesciato.135
In un luogo a noi pi prossimo, si conservavano tracce di simili
usanze: in certe zone dellAustria e della Germania, quello che in
seguito diventer lalbero di Natale, consisteva nella cima recisa di
un grosso abete decorata con strisce di carta rossa, mele e noci glassate
ed appesa al soffitto con la punta verso il basso.136
Rimanendo in area germanica, non si pu tralasciare il famoso
frassino Yggdrasill, unimmagine dellalbero-cosmo, che era detto
avere tre radici: la terza radice si protende nel cielo e sotto di essa si
trova la gente sommamente santa che si chiama Urdharbrunnr; l gli
dei tengono consiglio.137 Un indovinello islandese domanda: Hai
udito, Heidrik, dove cresce quellalbero la cui chioma sulla terra e le
cui radici salgono al cielo?.138 Alcune leggende tedesche narrano di
condannati innocenti, il cui giudizio di Dio consisteva nel piantare
un albero rovesciato: se i rami mettevano radici e la pianta cresceva,
ci era considerato segno di innocenza.139
Anche alcune formule magiche del folclore russo parlano della
prova che consiste nel piantare una quercia rovesciata; ma qui la
riuscita delloperazione apparentemente impossibile fornisce
straordinari poteri. Secondo alcuni autori, questi poteri deriverebbero
dal fatto che queste piante miracolose venivano associate con lalbero

135
Cfr. EUGEN G. KAGAROW, Der umgekehrte Schamanenbaum, in Arkiv fr
Religionswissenschaft, 27, 1929, pp. 183-185, (p. 183).
136
Cfr. PHILLIP V. SNYDER, The Christmas Tree Book, Viking Press, New York,
1976, p. 15-17.
137
Edda di Snorri (trad. it. di GIANNA CHIESA ISNARDI), Rusconi, Milano, 1988,
(Linganno di Gylfi [Gylfafinning], 15), p. 83.
138
U. HOLMBERG-HARVA, art. cit., p.55.
139
Cfr. ADOLF JACOBI, Der Baum mit den Wurzeln nach oben und den Zweigen
nach unten in Zeitschrift fr Missionskunde und Religionswissenschaft, 43,
1928, pp. 78-85, (pp. 83-85).

63
della croce di Cristo, dalle cui ferite le radici prendevano la forza per
crescere verso lalto.140
Il folclore islamico descriveva diversi tipi di meravigliosi alberi
del paradiso (tra cui lalbero Tb); secondo alcuni mitografi, essi, a
differenza degli alberi di questo mondo, hanno le radici in cielo e i
rami verso terra, idea che avrebbe avuto origine dallinterpretazione di
una sura del Corano (69, 23) i suoi frutti [del paradiso] sono
vicini.141
La sacralit dellalbero rovesciato nota anche in alcuni miti di
fondazione: nella religione Ifa, diffusa tra gli Yoruba della Nigeria, si
parla di una palma radicata in cielo e con i rami verso il basso che fu
utilizzata dal dio Olodumare come base della prima creazione e come
scala degli dei nel loro viaggio dal cielo alla terra per colonizzare il
mondo.142
Gli abitatori delle Isole Marchesi, conoscevano una trinit
primordiale formata da Atea, il padre, suo figlio e Ono, sua
emanazione. I tre erano definiti come un unico albero della vita,
saldamente radicato nei cieli.143
Presso gli indios Jivaro (Ecuador), un mito cosmogonico narrava
di una vite primordiale, che pendeva dal cielo e arrivava fino alla terra,
e che serv alleroe Auhu per arrampicarsi nei cieli e poter rincorrere la
sua amata Nantu (la luna). Questo mito sottintende anche lorigine
della vite terrestre: Nantu non vuole farsi raggiungere da Auhu e
taglia la vite alla radice (celeste); essa cadde e si attorcigli attorno a
tutti gli alberi della foresta, ove la si pu vedere.144 Un complesso di
leggende riguarda anche lorigine dellalbero africano noto come

140
Ivi, p. 83.
141
Cfr. ARENT J. WENSINCK, Tree and Bird As Cosmological Symbolism in Western
Asia, K. Akademie van Wetenschappen, Amsterdam, 1921, p. 33.
142
Cfr. OSAMARO C. IBIE, Ifism. The Complete Works of Orunmila, vol. I, Athelia
Henriette Press, New York, 1998.
143
Cfr. ROBERT W. WILLIAMSON, Religious and Cosmic Beliefs of Central
Polinesia, Cambridge University Press, Cambridge, 1933, vol. I, p. 20-22.
144
RAFFAELE PETTAZZONI, In principio. I miti delle origini, UTET, Torino 1990, p.
119.

64
baobab (Adansonia digitata), che per la sua forma singolare detto
albero rovesciato.145
La mitologia dellIndia conosce due alberi rovesciati: il nyagroha
e lashvattha. Lorigine del primo (baniano, Ficus indica), associata
a ciotole che gli dei rovesciarono verso il basso (nyubjan) e questo
fatto diede il nome ai capostipiti di questa specie (nyubia); in seguito il
loro nome divenne nyaghodha, cio, in sanscrito, che cresce verso il
basso. 146 Sul secondo albero, lashvattha, ci soffermeremo pi a
lungo, perch sar il punto di partenza del nostro approfondimento
sulle tradizioni spirituali dellalbero rovesciato.

LAshvattha imperituro
Se si considera la diffusione del suo veicolo letterario, la
Bhagavad Gt, si pu senzaltro ritenere che linduismo sia lambito
dottrinale in cui il simbolo dellalbero rovesciato ha assunto la sua
maggiore rilevanza.
La Bhagavad Gt (II sec. a. C.?), nota anche come il vangelo
dellIndia uno dei tre elementi fondamentali del canone induista
(prasthan-traya) e gode della pi ampia diffusione popolare.147

145
Cfr. GERALD E. WICKENS, The Baobab, African Upside-Down Tree in Kew
Bulletin 37(2), 1982.
146
Cfr. A. COOMARASWAMY, cit., p. 333.
147
La Gt una ridottissima sezione del Mahbhrata (VI, 25-42) che, con le sue
quasi 100.000 strofe , tra tutte le opere dellumanit, il poema epico pi esteso a
noi noto. Per unintroduzione storico-letteraria si veda STEFANO PIANO, Un
Canto di Dio nel Grande poema dei Bhrata in Bhagavad-Gt, il Canto
glorioso del Signore, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994, pp. 5-74.
Sulla popolarit della Gt, cfr. JAN GONDA, Le religioni dellIndia. Linduismo
recente, Jaca Book, Milano, 1981, p. 429; si consideri che nel 1979, a fronte di un
tentativo di unificare tutte le correnti hindu proponendo un codice minimo di
condotta, si dichiarato che la Bhagavad Gt il libro sacro degli induisti, a
prescindere dalla loro setta di appartenenza, JEAN-FRANOIS MAYER, I
fondamentalismi, Elledici, Neumann (TO), 2001, p.41. La Gt con ogni
probabilit il testo induista pi diffuso anche in Occidente; la sua prima

65
Allinizio della XV adhyya (lettura, capitolo), cos sentenzia il
dio Krishna:
148
[15,1] Parlano dellimperituro albero Ashvattha
come di quello che ha verso lalto le radici [rdhvamlam] e
verso il basso i rami [adhahshkham];
le sue foglie sono le sacre scritture: colui che
le conosce un conoscitore dei Veda.
[15,2] In basso e in alto sono estesi i suoi rami,
alimentati dai modi di esistenza [guna],
aventi come germogli gli oggetti dei sensi,
e in basso, nel mondo degli uomini
si sono prolungate le sue radici, legate alle loro opere.
[15,3] Qui non si percepisce la sua forma,
n la sua fine, n il suo principio, n il suo fondamento
[sampratishth, anche lesistenza che sta in mezzo]
Dopo avere troncato lAshvattha dalla radice ben salda
con la solida arma del non-attaccamento [asanga]
[15,4] allora, si dovr cercare quella meta, dalla quale pi
non ritorna chi arrivato.
Io cerco rifugio in Lui soltanto, nella
Persona originaria [purusham], da cui si sviluppato
149
lancestrale processo del mondo.

traduzione in una lingua europea (linglese, ad opera di C. Wilkins), risale al


1785.
148
Si tratta dellalbero denominato pippala (hindi ppal, Ficus religiosa). Le radici
di questa specie non sono aeree come quelle del baniano (Ficus indica) ma
tendono, ascendendo, a divenire simili a rami, per cui difficile distinguere tra
rami e radici. Lashvattha, sia nel tipo di albero rovesciato che di albero dritto,
lalbero sacro per eccellenza dellinduismo e del buddhismo (sotto uno di questi
alberi Buddha consegu il risveglio): Cfr. ODETTE VIENNOT, Le culte de larbre
dans lInde ancienne, Annales du Muse Guimet, Paris, 1954.
149
La citazione tratta dalla trad. it. di ICILIO VECCHIOTTI (con translitterazione del
sanscrito a fronte) in Bhagavad Gt, Ubaldini, Roma, 1964, pp. 390-391, che ci
sembrata la pi letterale rispetto alle altre che abbiamo consultato. Ci siamo
tuttavia permessi alcuni lievi aggiustamenti sintattici e abbiamo aggiunto tra
parentesi alcuni termini tecnici sanscriti che abbiamo ritenuto rilevanti.

66
Lashvattha in quanto albero rovesciato riassume qui un tema
noto alla letteratura vedica:150 possiamo seguirne le tracce in Rig-veda
I,24,7, Taittirya-ranyaka, X,10,3, Katha-upanishad VI,1,
Maitry-upanishad VI,4, 151 Chndogya-upanishad VI,11,
Shvetshvatara-upanishad III,9, 152 nonch in unaltra sezione del
Mahbhrata (shvamedhikaparivan, 47, 12-15) in cui la sua origine
detta essere lImmanifesto (avyakta).
Tutte le implicazioni suggerite da questo simbolo toccano un
punto particolarmente delicato e sostanziale del pensiero religioso in
generale, cio il rapporto tra il mondo e il divino e pi precisamente il

150
Cfr. A. COOMARASWAMY, cit., pp. 334-338. Comparando una quantit di fonti,
egli evidenzia la duplice funzione dellAlbero di Brahman (brahmavriksha)
come scala attraverso la quale lo Spirito discende nel cosmo (dallalto in basso,
albero rovesciato) o risale ai cieli (dal basso in alto, albero dritto). Un passaggio
particolarmente illuminante di questo duplice movimento quello fornito da
Aitareya-brhmana II, 1-2, cit. in ibidem, p. 351. Sullo stesso tema cfr. anche
RAIMON PANIKKAR, I Veda. Mantramanjari: testi fondamentali della rivelazione
vedica, Rizzoli, Milano, 2001, vol. I, pp. 498-500.
151
Il supremo Brahman, [...] ha le sue radici volte verso il cielo; i suoi rami sono
letere, laria, il fuoco, lacqua, la terra ed i suoi prodotti. Pertanto, il mondo un
solo ashvattha; esso Brahman. Il suo splendore il sole, che anche lo
splendore della sillaba Om (trad. it. di PIO FILIPPANI RONCONI in Upanishad
antiche e medie, Boringhieri, Torino, 1968, pp. 566-567): questo testo
particolarmente significativo perch mette in campo tutti gli elementi basilari del
simbolismo dellashvattha la cui natura, seppure cosmica nelle sue
manifestazioni (i rami), essenzialmente luminosa, ignea, solare, appunto,
come il logos divino (la sillaba Om) che lo abita e in cui radicato. Il
sole che per noi terrestri la pi luminosa delle creature dirige i suoi raggi in
basso, verso la terra, ma tiene le sue radici in alto, nel cielo.
152
Lalbero rovesciato qui identificato con Purusha, la Persona primordiale, che
riempie tutto il cosmo; esiste un parallelo cristiano di questa prospettiva. Si trova
in una breve composizione letteraria irlandese del XV sec., in cui Ges Cristo,
pienezza di tutta la creazione di Dio, presentato come un albero che riempie
tutto il cosmo, con le radici in cielo e i rami che arrivano sulla terra. La sua radice
principale nella divinit del Padre, altre radici secondarie giungono sulla terra:
la Vergine e gli apostoli. I rami rappresentano i gradi del cielo su cui nidificano
candidi uccelli, cio gli spiriti beati. Il testo riportato in RUDOLF THURNEYSEN,
Der Mystische Baum in Zeitschrift fr Celtische Philologie, 14, 1923, pp.
16-17.

67
legame tra limmanenza e la trascendenza di Dio. Questultimo
rappresentato contemporaneamente ma distintamente sia dallalbero
cosmico (laspetto immanente) che dalla sua radice imperscrutabile
(laspetto trascendente).
Allinterno di questa rapporto, la Bhagavad Gt 15,3 introduce
una visione dinamica, di natura tipicamente ascetica: Shankara, il
commentatore classico della Gt, cos sviluppa gli elementi della
strofa:

[non-attaccamento,] distacco dalle passioni: emancipazione


dallattaccamento ai figli, alla ricchezza e al mondo.
[larma,] forte: rinforzata dallinclinazione risoluta della mente
rivolta al S Supremo e affilata con la pietra molare della vera
discriminazione.
dopo aver abbattuto [troncato]: dopo aver sradicato lAlbero del
153
divenire.

Si introduce qui il concetto di Albero del divenire


(samsra-vriksha) in contrapposizione alla stabilit imperturbabile
della sua radice; il suo abbattimento gi implicito nel simbolo: il
divenire rappresentato come un albero perch pu essere abbattuto
come un albero.154
Uninterpretazione per certi versi meno radicale fornita dal
commentario di Abhinavagupta:

[dopo aver abbattuto, troncato] Recidilo!: il verbo riferito


grammaticalmente allalbero come tutto, si riferisce in realt solo a
una parte di esso [...]. Il senso dunque questo, che da recidere sono

153
Bhagavadgt con il commento di SRI SANKARACRYA, trad. it. di GIAMPIERO
MARANO, Luni, Milano, 1997, p. 263. Shankara o Shankarachrya (V-VII sec. d.
C.?), rifondatore del brahmanesimo, il maestro dellAdvaita (non dualismo). A
lui si deve, tra laltro, laver fissato il testo della Gt oggi pi diffuso (la c.d.
vulgata), composto di 700 strofe (shloka); su Shankara, cfr. MARIO PIANTELLI,
Sankara e la rinascita del brahmanesimo, ed. Esperienze, Fossano, 1974.
154
Ibidem, p. 263; la citazione tratta dal subcommentario agli stessi versetti in
questione di nandagiri uno dei continuatori di Shankara, forse uno dei suoi
diretti discepoli.

68
le radici inferiori [cfr. 15,2: cio, secondo il commentatore, le
azioni buone e cattive].
Il luogo da ricercare quello pacificato [perch la radice la forma
155
pacificata del brahman].

Senza pretendere di affrontare nel vivo la complessit


dellargomento, doveroso notare subito che il riferimento negativo
alle azioni, alle opere, non va inteso come linvito a una sorta di
quietismo, ma piuttosto come prescrizione al non-attaccamento
verso tutto ci che non la realt divina, cio anche nei confronti delle
opere sia cattive che buone; questo il tema centrale della Bhagavad
Gt che sostanzialmente un libro sul giusto operare, cio
sullagire nel mondo senza appartenere al mondo.
Questa linea ascetica, la linea della via remotionis pi o meno
radicale, la via apofatica, una delle linee che accomunano il pensiero
religioso in generale che vi coglie il contrasto stridente tra il mondo,
in incessante, illusorio divenire e la sua radice pacificata, lo Spirito
immutabile e beatificante a cui luomo deve fare ritorno.156
Commentando i primi due versetti di Bhagavad Gt 15,3,
Shankara evidenzia lillusoriet del cosmo, in perpetuo divenire pur
essendo radicato nello Spirito immutabile, usando la metafora del

155
Il Canto del Beato (Bhagavadgt), trad. it. di RANIERO GNOLI, UTET, Torino,
1976, p. 224. Abhinvagupta (X-XI sec.?) si basa su una versione della Gt
leggermente diversa da quella vulgata, nota come recensione Kashmiriana; per
quanto ci riguarda, le strofe qui in esame sono sostanzialmente identiche. Su
Abhinavagupta si veda MARIA ROSA FERNANDEZ GOMEZ, Abhinavagupta y la
filosofia del sivaismo de Cachemire, tesi di laurea presso lUniversit di Malaga,
1997.
156
Da questo punto di vista, ci permettiamo di dissentire con le conclusioni di
assoluta irriducibilit tra lesperienza religiosa orientale rappresentata dalla
dottrina dellAshvattha e quella cristiana, a cui giunge HENRI DE LUBAC, Aspetti
del buddismo, Jaka Book, Milano, 1980, (Due alberi cosmici) pp. 45-74. Come
egli giustamente osserva, comunque, lazione dellabbattimento dellalbero
suggerita in almeno due punti dellAntico Testamento, Ez 31,1-12 e Dn 4,7-14 e
17-23, in cui si presenta limmagine di un albero cosmico associato allillusoriet
e alla precariet del potere di questo mondo e che Dio ordina o minaccia di
abbattere.

69
sogno: Qui nessuno percepisce la Sua forma [dello Spirito,
brahman], poich esso [lAshvattha] molto simile a un sogno
[...].157
Rispetto a questo tema, c chi ha segnalato un testo del primo
gnosticismo cristiano che mette a sua volta in relazione un albero
rovesciato (per la verit appena accennato) e la visione del cosmo
come un sogno da cui risvegliarsi.158 Il testo a cui si fa riferimento il
Vangelo di verit:159

[28,24-30,6, pp. 36-37] Quanto non mai esistito non avr mai
esistenza.
Che cosa vuoi dunque che egli pensi di se stesso?
Questo: Sono come le ombre e i fantasmi della notte. Quando
risplende la luce, comprende che la paura da cui era preso, nulla.
Erano talmente ignoranti del Padre che non lo vedevano [...], proprio
come se fossero immersi nel sonno e pervasi da sogni inquietanti [...]
fino a quando si svegliano: non vedono nulla, quanti erano in tutta
questa confusione, poich tutto ci era nulla [...]. Essi stimano la
gnosi del Padre come la luce.
[41,14-30, p. 44] Tutte le emanazioni del Padre sono Pleromi, tutte le
sue emanazioni hanno la radice in colui che le ha fatte crescere da s
stesso [...]. Infatti il luogo al quale rivolgono il pensiero la loro
radice, che le innalza in tutte le altezze, fino al Padre; esse
raggiungono allora il suo capo che il loro riposo.
[42,38, ivi] Questo il luogo dei beati.

157
Bhagavadgt con il commento di SRI SANKARACRYA, cit., p. 263.
158
ELMER RINGGREEN, Der umgekehrte Baum und das Leben als Traum in
Hommages Georges Dumzil, Latomus, Bruxelles, 1960, pp. 172-176. Egli cita
altri riferimenti vedici e post-vedici sul tema del mondo come sogno.
159
La citazione che segue tratta da L. MORALDI (a cura di), I Vangeli gnostici,
Adelphi, Milano, 1984, pp. 27-45; accanto alle citazioni che seguono
indicheremo i riferimenti delledizione tipica e il numero di pagina della
traduzione appena citata. Il Vangelo di verit, rinvenuto tra i papiri di Nag
Hammadi, stato attribuito a Valentino o alla sua scuola; essendo datato attorno
allanno 150, unepoca tanto remota e una personalit tanto complessa
spiegherebbero la natura ancora indecisa tra ortodossia della Grande Chiesa ed
eterodossia presente in questa opera, ivi, p. 120.

70
Pur non potendo escludere la possibilit di uninfluenza diretta di
correnti indo-iraniche su queste concezioni, come proposto da
Ringgren, 160 altri elementi ci portano a seguire una strada diversa.
Valentino e la sua scuola, a cui questo testo attribuito, pretendevano
di essere depositari di autentiche tradizioni apostoliche, sulla base
delle quali avrebbero sviluppato le loro dottrine.161
Oggi sappiamo che queste tradizioni, a cui attinsero nel primo
periodo del loro sviluppo ambienti cristiani ortodossi ed eterodossi,
appartenevano ad un substrato di insegnamenti orali che erano
tramandati negli ambienti del misticismo giudaico.162
negli sviluppi successivi di queste tradizioni che troveremo
ulteriori riferimenti alla dottrina dellalbero rovesciato.

Lalbero delle sefirot


Gli studi pi recenti vedono nei primi testi del misticismo giudaico
noto come qabbalah (tradizione) un affioramento di pi antichi

160
E. RINGGREN, art. cit, p. 176. Le origini iraniche dello gnosticismo, dopo avere
goduto di grande successo nei decenni appena trascorsi, sono oggi messe in seria
discussione: cfr. SIMONE PETREMENT, Le Dieu spar: les origines di
gnosticisme, Cerf, Paris, 1984, pp. 3-11, con bibliografia.
161
Queste pretese sono riferite da CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromati, VII,
17,106.4; IRENEO DI LIONE, Adversus haereses, III, 2,1. IPPOLITO DI ANTIOCHIA,
Elenchos, VI,9,3 ss. riferisce di dottrine simili a quelle appena affrontate anche
allinterno delleresia simoniana.
162
Cfr. GUY G. STROUMSA, The Hidden Wisdom, Brill, Leiden, New York, Kln,
1996, pp. 27-45, con ampia bibliografia. Si veda anche JEAN DANIELOU, Les
traditions secrtes des aptres in Eranos Jahrbuch, XXXI, 1962, pp. 199-215.
Questo studio del card. Danielou pu rappresentare a tuttoggi un punto di
riferimento su questo punto cos delicato. Sulle profonde influenze di tradizioni
giudaiche nel Vangelo di verit e in specie sulla dottrina del Nome Divino ivi
contenuta (38,32-37,37), cfr. E. TESTA, cit., p. 15. Alla stessa dottrina si richiama
san Paolo in Fil. 2,11.

71
motivi conservati oralmente allinterno della tradizione ebraica che,
con esiti assai differenti, hanno costituito un substrato comune al
cristianesimo nascente e al primo gnosticismo.163
Da questi antichi motivi sar in seguito elaborato quello che si pu
ritenere uno degli elementi peculiari della teosofia cabbalista: la
dottrina delle dieci sefirot. Questo termine, dalletimologia assai
discussa, 164 compare per la prima volta in senso tecnico nel Sefer
Yesirah (Il libro della formazione, VI-VII sec. d. C.?) e identifica una
struttura estremamente complessa dei rapporti tra Dio e il mondo.
Fino alla sua sistematizzazione compiuta da Mosh Cordovero nel
XVI sec., la dottrina delle sefirot seguiva almeno tre linee speculative:

le sefirot intese come essenza dinamica e molteplice


dellunica natura divina (un concetto che per certi versi pu
ricordare quello della Trinit cristiana);
le sefirot come strumenti per la creazione e il governo del
mondo nonch come canali e recipienti dellinflusso divino da
trasmettere ai mondi inferiori;
le sefirot come elemento immanente della pura trascendenza
divina (lEn-Sof, lInfinito), una sorta di emanazione interna a
Dio, ma nel contempo a contatto con le creature e quindi medium
per la comunicazione tra Dio e il mondo.

163
Cfr. MOSHE IDEL, Cabbala. Nuove prospettive, Giuntina, Firenze, 1996, pp.
33-46, con esauriente bibliografia.
164
Sulletimologia e i molteplici significati che pu assumere il termine sefirah
(sing. di sefirot), cfr. GIULIO BUSI, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino,
1999, pp. 325-334. La denominazione pi diffusa delle dieci sefirot la seguente
(in ordine gerarchico, partendo dallalto): 1) keter (corona), 2) hokmah
(sapienza), 3) binah (intelligenza), 4) gedullah (grandezza o hesed
amore), 5) gevurah (potere o din giudizio, rigore), 6) tiferet (bellezza
o rahamim, compassione), 7) neshah (costanza), 8) hod (maest), 9) yesod
(fondamento o tzaddik, giusto, virtuoso), 10) malkut (regno o atarah,
diadema o shekinah, la presenza di Dio).

72
Oltre al lato speculativo, la dottrina delle sefirot prevedeva un lato
esperienziale che era inteso culminare con lunio mystica.165
A partire dal XIII sec. e soprattutto dal XV al XVII, i cabbalisti
usarono rappresentare in modo grafico queste strutture metafisiche,
per visualizzare pi chiaramente i livelli gerarchici di emanazione che
si sviluppavano a partire dal Dio inconoscibile e infinito (En-Sof); tali
diagrammi erano generalmente chiamati ilanot, cio alberi.166
Questi alberi di emanazione, essendo sostanzialmente una
visualizzazione di influenze, cio del passaggio della luce divina dalla
sefirah pi elevata a quella pi prossima alla terra, erano descritti
come alberi rovesciati.167
Limportanza della qabbalah nel pensiero teologico e filosofico
cristiano del Rinascimento, grazie allapporto decisivo di Pico della
Mirandola, stato oggetto di numerosi approfondimenti; proprio
dallambiente della qabbalah cristiana deriva uno tra i pi noti ed
icastici tra questi diagrammi, ad opera del medico teosofo Robert
Fludd (1574-1637)168.

165
Sullorigine remota e sulle linee speculative legate alle sefirot, cfr. M. IDEL, cit.,
pp. 134-148.
166
Cfr. GERSHOM SHOLEM, La Cabala, Mediterranee, Roma, 1992, pp. 124-125.
Laltra rappresentazione classica della struttura sefirotica quella del corpo
umano (lAdam qadmon).
167
Cfr. HAROLD BLOOM, La Kabbal e la tradizione critica, Feltrinelli, Milano,
1981, pp. 30-31. La struttura ad albero rovesciato a tuttoggi utilizzata nei pi
svariati campi della scienza (soprattutto nellinformatica e in linguistica
generativa) in cui sia necessario visualizzare o scomporre un processo dalla sua
origine logica al suo effetto ultimo. La fonte di questo sistema di
rappresentazione logica pu essere rintracciato nel c.d. albero di Porfirio,
basato sulla relazione genere-specie descritta in PORFIRIO, Isagoge, 5, 24 ss.
Sulla rappresentazione logica come albero rovesciato e le sue varianti cfr. JOHN
F. SOWA, Knowledge Representation: Logical, Philosophical and Computational
Foundations, Brooks Cole publ., Pacific Grove (CA), 2000, pp. 51-131.
168
Cfr. FRANOIS SECRET, I cabbalisti cristiani del Rinascimento, Arkeios, Roma,
2001, con introduzione e complemento bibliografico aggiornato a cura di
JEAN-PIERRE BRACH; su Robert Fludd cfr. JOSHELYN GODWIN, Robert Fludd,
Thames & Hudson, London, 1977, (a p. 38 si analizza il diagramma in
questione).

73
Ma la letteratura cabbalistica utilizza limmagine dellalbero
rovesciato ben prima di arrivare alla composizione di questi
diagrammi.
Nel Sefer ha-Bahir (Liber lucidus, Il libro fulgido), allinterno di
un commento a Is. 44,24, affiora inaspettata limmagine
straordinariamente intensa di un albero su cui si molto discusso:169

[22 (14g), p. 156] Il Signore dice: Io sono colui che ha piantato


questalbero, affinch tutto il mondo ne tragga diletto; ho fissato
tutto in esso e lho chiamato Tutto (kol), giacch da esso tutto
dipende e da esso tutto deriva. Tutti ne hanno bisogno, lo scrutano e
lo attendono: da esso si propagano le anime superiori in letizia [...].
Quando fissai la mia terra nella quale piantai e radicai questo
albero [...] chi era con me, cosicch io gli svelassi questo mio
170
segreto?

Il testo affronta qui le dinamiche divine antecedenti alla creazione


e che hanno avuto come esito la creazione stessa; queste dinamiche
sono spiegate con un paragone:

169
G. SCHOLEM, Le origini della Kabbala, Il Mulino, Bologna 1973, pp. 86-101,
faceva risalire queste immagini del Sefer ha-Bahir allinfluenza di elementi
estranei allambiente giudaico e specificamente a certe correnti dello gnosticismo
cristiano; come si gi accennato sopra, oggi queste tesi sono pressoch
abbandonate: nello specifico, cfr. ELLIOT R. WOLFSON, The Tree That Is All:
Jewish-Christian Roots of a Kabbalistic Symbol in Sefer ha-Bahir in Journal of
Jewish Thought and Philosophy, 3, 1993, pp. 31-76, che apporta numerose
testimonianze per dimostrare come lalbero cosmico facesse parte a pieno titolo
del corredo simbolico del giudeo-cristianesimo (e, conseguentemente, di un
ambiente rigorosamente interno alla tradizione ebraica), prima ancora che dello
gnosticismo.
170
Sefer ha-Bahir, trad. it. di GIULIO BUSI in G. BUSI ELENA LOEWENTHAL,
Mistica ebraica, testi della tradizione segreta del giudaismo dal 3 al 18 secolo,
Einaudi, Torino, 1995, pp. 147-212. Si tratta di uno dei testi pi importante della
tradizione cabbalistica, sotto forma di midrash, la cui redazione definitiva fatta
risalire al XII sec., pur contenendo sezioni di maggiore antichit. Accanto alle
citazioni del Bahir indichiamo i riferimenti delledizione tipica e il numero di
pagina della traduzione appena citata.

74
[23 (15), ivi] Un re, voleva piantare un albero nel proprio giardino.
Ispezion tutto il giardino per sapere se vi fosse una fonte dacqua
sorgiva, che potesse sostentarlo. Non la trov [...]; scav e fece
scaturire una fonte abbondante dacqua viva: piant quindi lalbero,
che attecch e fece frutto, giacch le sue radici lo ristorarono sempre
con lacqua della fonte.

Gli elementi simbolici messi in campo (albero, fonte dacqua,


radici, terra)171 saranno arricchiti da ulteriori dettagli.

[119 (85), p. 183] Ma che cos lalbero di cui parli? Gli rispose: Le
forze del Santo, sia Egli benedetto, sono poste una dentro laltra
172
[una sopra laltra, secondo la trad. di Scholem], e assomigliano
a un albero.

Si intravede in questo passo la struttura dellalbero delle


sefirot-forze di Dio (middot), corrispondenti allalbero del Tutto.
Lalbero d frutti grazie allacqua presso cui stanno le sue radici. Il
testo continua:

e che cos lacqua del Santo, sia Egli benedetto? la sapienza


(hokmah) e [i frutti] sono le anime superiori dei giusti, che sgorgano
dalla sorgente verso il grande canale, il quale sale e si unisce
allalbero.

Hokmah (sapienza), il nome della seconda sefirah: qui


dunque lacqua e la radice dellalbero; quanto alla terra del Santo da
cui scorre il grande canale, detto:

171
Si noti che questa terra la terra di Dio, che Egli ha creata prima dei cieli,
ivi, [24(16)].
172
G. SCHOLEM, Le origini, cit., p. 95.

75
[178 (121), p. 201] Sei la fontana dei giardini, sei sorgente dacque
vive che decorrono dal Libano (Ct. 4,15). Che cosa significa Libano?
173
D: la sapienza (hokmah).

Un testo successivo, il Seder Gan Eden (La descrizione del


giardino dellEden, XIII sec., attribuito a Mosh de Leon) chiarisce
indirettamente il senso di questo passo, attestando come la radice nel
Libano implichi un albero con le radici in alto: nella gerarchia dei vari
comparti del giardino dellEden, si giunge infine al paradiso supremo,
dove stabilita una colonna:

questa colonna si innalza dallalto verso il basso in mezzo al


giardino e da essa si spande tutta labbondanza del giardino e delle
sue delizie. Detta colonna, delimitata da dodici gradini, lalbero a
partire dal quale prendono il volo le anime perci ha dodici gradini.
Le radici di questalbero affondano nel Libano e formano il Trono di
Gloria sia Egli benedetto. Questo Libano in faccia al Libano
supremo; le sue radici, nel numero di settantadue, sono piantate nella
174
casa di YHVH (Sal. 92,14).

Yishaq il Cieco (XII-XIII sec.) nel suo Perush Sefer Yeshirah


(Commento al Libro della formazione), esplicita come le radici

173
Per la sostanza di questa interpretazione del Bahir, ci siamo appoggiati a quanto
scriveva G. SCHOLEM in ibidem, pp. 94-101; egli, in realt, considera che le fonti
dacqua siano in hokmah e quindi le radici dellalbero siano nella sefirah
inferiore, binah, noi proponiamo invece che acqua, terra e radici siano una sorta
di sineddoche e quindi siano tutte posizionate in hokmah, come crediamo
possano suggerire le altre fonti che citeremo infra. M. IDEL, cit., p. 171-172,
conferma che il processo emanazionistico abbia origine nel Libano, simbolo di
hokmah.
174
Seder Gan Eden, trad. fr. di CHARLES MOPSIK in Le Zohar, Grasset, Paris 1981,
vol. 1, pp. 487-498, (p. 497). Questa colonna-albero rovesciato da cui promanano
le anime dei giusti ricorda la singolare colonna rovesciata posta in opera al centro
della cripta altomedievale di san Ponziano in Spoleto, cripta in cui sono
conservate le sue reliquie di patrono della citt; il capitello corinzio con folto
fogliame dacanto ne accentua il carattere arboreo.

76
dellalbero siano da collocarsi nella sefirot della sapienza e coglie in
modo eccezionale i rapporti tra le realt evocate e lesperienza umana:

I sentieri meravigliosi sono le cavit situate entro il midollo


dellalbero, mentre la sapienza (hokmah) ne la radice: si tratta di
essenze interne e sottili, che nessuna creatura pu comprendere,
tranne chi assorbe da essa: la via della contemplazione infatti un
175
assorbire (yeniqah) e non un conoscere discorsivamente.

Ancora Mosh de Leon, nel Sefer ha-Rimmon (Il libro del


melograno) parla della sapienza come radice della Torah, 176 un
motivo che vedremo direttamente associato allalbero rovesciato:

La radice della Torah la sapienza (hokmah) suprema, celeste e


occulta, percepita solo attraverso i suoi mirabili sentieri. Come sono
meravigliose le sue propaggini! Ma poich la radice la sapienza,
177
chi mai potr raggiungerla?

Nello Zohar, testo (o meglio, raccolta di testi) centrale della


letteratura cabbalistica, si ricompone lunit del simbolo dellalbero
rovesciato e della Torah. Commentando Sal. 19(18),6, Rabbi Judah
sentenzia:

Felice la porzione di Israele in cui il Santo, sia Egli benedetto, si


compiace e a cui consegn la Torah di verit, lAlbero della Vita, da
cui tutti coloro che si accostano ottengono vita in questo mondo e nel

175
YSHAQ IL CIECO, Perush Sefer Yeshirah trad. it. G. BUSI in Mistica ebraica, cit.,
pp. 214-242, (p. 218). Il termine yeniqah, assorbire (ma anche succhiare,
poppare), cio latto della contemplazione delle realt divine, ha a che vedere con
il processo silenzioso, lento, del nutrirsi delle piante.
176
Nella tradizione ebraica, la Torah (cio il Pentateuco, la Legge, le Scritture)
svolge un ruolo diretto nellattivit creatrice di Dio (cfr. ad es. Bahir, 118[84]),
avvicinandosi di molto al concetto cristiano di Logos. In esteso, questo tema
stato trattato da G. SCHOLEM, La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino,
2001, pp. 43-110.
177
MOSH DE LEON, Sefer ha-Rimmon, trad. ingl. di E. WOLFSON, Scholar Press,
Atlanta, 1988, p. 108.

77
mondo a venire. Ora, lAlbero della Vita si estende dallalto verso il
basso, ed il Sole che illumina tutto. Il suo splendore inizia dal suo
punto pi elevato e si estende a tutto il tronco in linea diretta [...]. La
camera da cui esso si estende lorigine della luce a cui si riferisce
anche il versetto che segue, dallestremit dei cieli che pure
178
lorigine di tutto.

Abbiamo visto come lalbero rovesciato primordiale sia


considerato anche il luogo da cui vengono generate le anime e a cui
ritornano come spiriti beati (cfr. Bahir, 22[149]); questa idea era stata
esplicitata in un midrash altomedievale, il Midrash Konen, in cui
lalbero della vita viene paragonato a una scala sulla quale i beati
salgono e scendono dai cieli al paradiso e viceversa.179 Esprimendosi
con un linguaggio assai pi vicino a quello della filosofia profana,
Azriel di Gerona (XIII sec.), descrive un simile procedere con queste
parole:

Chi scende dalla radice delle radici alla forma delle forme deve
camminare con la molteplicit. Chi sale dalla forma delle forme alla
radice delle radici deve radunare la molteplicit, perch la forma pi
elevata le unisce tutte e la radice si estende attraverso ogni forma che
derivi da essa in qualunque momento. Quando le forme sono
180
distrutte, la radice non distrutta.

178
Zohar BehaAlotheka (Nm. 8,1-12, 16) 148b, trad. ingl. di MAURICE SIMON E
HARRY SPERLING in The Zohar, 5 voll., repr. The Soncino Press, London,
Jerusalem, New York, 1978, vol. 5, p. 203. Si noti la straordinaria somiglianza tra
questo testo e quanto detto sopra (nota 40) sullalbero di luce nelle fonti induiste,
soprattutto Maitry-upanishad VI,4. In riferimento a quanto detto in questultima
fonte, si ricordi che, nel giudaismo, la Torah svolge anche il ruolo di logos.
179
Cfr. MIDRASH KONEN (Il signore con la sapienza fond la terra) in Mistica
ebraica, cit., pp. 58-59; sullo stesso tema, cfr. LOUIS GINZBERG, Le leggende
degli Ebrei. 1.Dalla creazione al diluvio, Adelphi, Milano, 1995, pp. 79, 269; in
generale sul simbolo dellalbero nella tradizione ebraica, G. BUSI, Simboli, cit.,
pp. 50-59.
180
AZRIEL DI GERONA, Sod ha-Tefillah, cit. in DANIEL C. MATT, Lessenza della
Cabala, Newton & Compton, Roma, 1999, p. 102. Il termine radice delle radici
spesso utilizzato nei testi cabbalistici per definire lEn-Sof, il Dio inconoscibile,
la Deit (cfr. G. SCHOLEM, La Kabbalah e il suo simbolismo, cit., p. 131).

78
Il confronto tra la via filosofica, immersa nella natura e la via
profetica uno dei temi di unopera, Shaare sedeq (Le porte della
giustizia, fine del XIII sec.) 181 attribuita a un seguace del maestro
cabbalista Abulafia.
In essa menzionato un albero metaforico che dalle sefirot divine
(dette anche Uomo superiore o macrocosmo) si protrae alla materia.
Luomo, inteso come riassunto del mondo (microcosmo), detto a sua
volta albero rovesciato (ilan hafok).

[38b-39a, p. 384] La forza [dei vegetali] proviene dalla forza che


nella radice in basso e manifesta la sua attivit sotto forma dei rami e
dei frutti in alto. Invece, nelluomo accade il contrario: la testa eretta,
che la radice, si trova in alto, e la forza va dalla sua radice che la
sua testa, attraverso il suo punto centrale, che il suo cuore, fino ai
livelli inferiori, che sono il suo frutto.

Per questa sua conformazione luomo-microcosmo anche il


centro delluniverso: egli pu infatti passare dal particolare
(circonferenza) alluniversale (centro):

[40a, p. 386] Ecco perch la persona umana viene chiamata albero


rovesciato: in quanto questo [lalbero] si espande dal centro verso
ci che lo circonda, mentre quella [la persona umana] si espande da
ci che la circonda al suo centro.

Spogliandosi della sua materialit, luomo viene reintegrato


nella sua radice nel mondo della vita eterna [38a, p. 384]. Il testo

Forma delle forme definisce invece la forma concreta del mondo materiale. Si
noti infine lassonanza dellultima frase con labbattimento dellalbero del
divenire gi incontrato in Bhagavad Gt, 15,3.
181
NATAN BEN SAADYAH HARAR, Le porte della giustizia (Shaare sedeq), a cura
di M. IDEL, Adelphi, Milano, 2001; accanto alle citazioni che seguiranno
indicheremo i riferimenti delledizione tipica e il numero di pagina della
traduzione appena citata.

79
continua, sviscerando ulteriormente il segreto dellalbero
rovesciato, fornendo cio indicazioni cifrate su una pratica
cabbalistica basata sulla recitazione di un nome divino rovesciato che
provocherebbe lemergere di energie divine latenti sia a livello
microcosmico, sia a livello macrocosmico ed escatologico [46b-48a,
p. 394-397].
Con queste ultime citazioni, ci siamo addentrati nel complesso
simbolico dellhomo arbor inversa, luomo come albero rovesciato,
immagine metaforica di straordinaria persistenza e diffusione che
dovremo di seguito analizzare.

Homo arbor inversa

Limmagine metaforica delluomo come albero rovesciato


quella che pi direttamente si pu riferire ai detti di s. Giovanni
Calabria dai quali parte questo studio. Si tratta di un complesso
simbolico assai rilevante allinterno della cultura del mondo
occidentale, quantomeno per le autorit che lo hanno divulgato:
Platone ed Aristotele.
Quanto al primo filosofo, la fonte di questa immagine contenuta
in un discorso di Timeo, in cui il protagonista parla delle pi
importante fra le tre anime delluomo:

[VI, 90A] questa la forma di anima che noi diciamo che abita nella
parte superiore del corpo e che dalla terra ci innalza verso la realt
che ci congenere nel cielo, in quanto noi siamo piante non terrestri,
ma celesti. E questo che diciamo giustissimo. Infatti tenendo
sospesa con la testa la nostra radice, proprio l da dove lanima ha
tratto la sua prima origine, la divinit erige tutto quanto il nostro
corpo.
[VI, 90B] Pertanto, colui che si d da fare intorno ai piaceri e alle
contese e si affatica per queste cose in modo eccessivo,
necessariamente tutti i pensieri che nascono in lui sono mortali, e in

80
tutti i sensi non gli manca nulla per diventare mortale per quanto pi
182
possibile, perch ha fatto crescere appunto questa parte.

La straordinaria fecondit di questa metafora ha influenzato


profondamente lapproccio al sacro dellOccidente. Ma prima di
dedicarci ai suoi sviluppi, preferiamo esporre uno dei passi in cui
anche laltro padre della filosofia occidentale, Aristotele, assimila
luomo allinverso di una pianta, ma da un punto di vista del tutto
differente da quello del suo predecessore. Si tratta di una breve opera
in cui lo Stagirita prende in esame lanatomia delle creature viventi:

[468a] Le piante [...] hanno disposizione opposta agli animali. In


effetti principalmente alluomo, tra gli animali, a motivo della
stazione eretta, che spetta questo attributo, avere cio la parte
183
superiore nella direzione dellalto delluniverso, mentre gli altri
animali lhanno in posizione intermedia; le piante poi, che sono
immobili e prendono il loro nutrimento direttamente dal suolo,
hanno sempre questa parte necessariamente in basso. Le radici della
pianta sono infatti la parte analoga a ci che chiamato bocca negli
184
animali.

182
PLATONE, Timeo, a cura di GIOVANNI REALE, Rusconi, Milano, 1994, p. 269. Una
tradizione sabea riportata da Masd (Murg adh-Dhahab, 64, 6), traduce questo
passo evidenziando ulteriormente il simbolo dellalbero rovesciato: luomo
una pianta celeste, e questo perch egli simile a un albero rovesciato, le cui
radici si stendono in cielo e i rami sulla terra, cit. in A. JACOBI, art. cit., p. 78.
183
Il topos dello status erectus come segno della superiorit delluomo sulle altre
creature fu diffusissimo nella letteratura antropologica sia classica che cristiana,
ed gi esplicita nel passo di Platone precedentemente citato. Su questo tema cfr.
MICHELE PELLEGRINO, Il topos dello status erectus nel contesto filosofico
e biblico (a proposito di Ad Diognetum, 10,1-2) in Mullus (Festschrift T.
Klauser), Aschendorff, Mnster, 1964, pp. 273-280.
184
Aristotele, La respirazione in Opere biologiche a cura di DIEGO LANZA E MARIO
VEGETTI, UTET, Torino, 1971, p. 1203. Per altri passi, in opere pi note, ma
meno completi di quello che abbiamo scelto, cfr. W. K. KRAAK, Aristote est-il
toujours rest fidle sa conception que la plante se tient la tte en bas? in
Mnemosyne, 10, 1942, pp. 251-262. CARL-MARTIN EDSMAN, Arbor inversa.
Heiland, Welt, Mensch als Himmelpflanze in Festschrift Walter Baetke, H.
Bhlhaus, Weimar, 1966, pp. 85-109, (pp. 99-101), aggiunge che alcune fonti di

81
I rimandi e le elaborazioni di queste analogie si moltiplicano nella
filosofia successiva, fino a fecondare la patristica e la teologia
cristiana.185
Nel medioevo il motivo dellhomo arbor inversa gi un luogo
comune 186 e, in quanto tale, assume interessanti rielaborazioni in
senso cristiano, fondendosi con intuizioni tratte da passi biblici, come
Ef. 3,17:

scuola aristotelica identificavano il naso come la radice delluomo, riproponendo


idee presocratiche sullimportanza dellassorbimento dellaria (aer-pneuma)
anche da un punto di vista soprannaturale. La sacralit che il mondo antico
riconosceva alla re-spirazione ci conservata dalle parole che ne definivano il
campo semantico (lat. spiritus, greco pneuma, sansc. prana, ebraico ruah). Per
questo ci appare notevole che proprio lapparato bronchiale, cio lorgano che ci
permette questo assorbimento quasi inconsapevole ma determinante alla nostra
sopravvivenza, sia comunemente definito in medicina come un albero
rovesciato: attraverso la sua radice, simbolicamente, siamo in contatto con
questo elemento celeste (laria), cio respiriamo grazia (G. CALABRIA, Parole
vive, cit., p. 267).
185
Per i riferimenti bibliografici di questa diffusione, si rimanda a ALEXANDER B.
CHAMBERS, I Was But an Inverted Tree: Notes towards the History of an
Idea in Studies in the Renaissance, VIII, 1961, pp. 291-299. LA. cita passi di
Plutarco, Ermete Trismegisto, Filone Alessandrino, Nemesio, san Basilio
Magno, tra i commentatori del testo platonico; Simplicio, Temisto, Sofonia,
Michele di Efeso, Averro, san Tommaso dAquino, Bacone, Boezio e Leone
Ebreo tra i commentatori di Aristotele. D inoltre alcuni riferimenti a testi
posteriori al medioevo confermando la massiccia presenza del tema almeno fino
a tutto il 600. Alle sue fonti noi aggiungiamo lopera emblematica di GRARD DE
JODE, con versi di LAURENTIUS HAECHTANUS, Mikrokosmos, De Jode,
Antwerpen, 1579, emblema 35, in cui la sentenza homo arbor inversa attribuita
direttamente ad Aristotele ed associata a Mt. 3,10.
186
Il grammatico Boncompagno da Signa (XII-XIII sec.) colloca limmagine
retorica dellhomo arbor inversa nel suo Rhetorica novissima, 8.1.6: Homo
dicitur microcosmus, idest minor mundus, et dicitur arbor inversa, quoniam a
philosophis asseritur habere in superiori parte radices in AUGUSTO GAUDENZI
a cura di, Bibliotheca Iuridica Medii Aevi, Monti, Bologna, 1892-1901, vol. 2,
pp. 249-297.

82
che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e cos, radicati e fondati
nella carit, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia
lampiezza, la lunghezza, laltezza e la profondit e conoscere
lamore di Cristo che sorpassa ogni conoscere, perch siate colmi di
tutta la pienezza di Dio.

Ugo di S. Vittore (+1141), afferma che i fideles (cio i perfetti, in


contrasto con gli infideles e gli infirmi in fide) sono radicati e fondati
in Dio [...]. Dio la nostra patria, in Lui siamo piantati.187 Alano di
Lilla (1120-1202) dice che la Chiesa (intesa come comunit dei
santi) non ha radici che penetrano nella terra: esse si erigono ad
coelestia.188
Rabano Mauro (780-856) interpreta radice come anima
delluomo. Commentando Sal. 51(52), 7 ti sradicher dalla terra
dei viventi egli legge: toglier la tua anima dallabitazione celeste
(animam tuam de habitatione coelestium).189
Guerrico di S. Quintino (+ 1245) compendia questa
interpretazione esortando:

mettete le radici nellacqua della vita cio nellamore della terra dei
viventi, non dove tutto invecchia e marcisce. Lalbero non pu fare
frutto che permanga se non fissato in alto, alla radice celeste, e non
ricerca e conosce ci che in alto e non sulla terra. Per questo i fisici
dicono che luomo un albero rovesciato, perch ha al suo vertice la
radice e il principio medesimo del suo corpo. Questa radice
dellamore e del desiderio deve essere confitta in cielo, nel sommo
190
vertice delle cose, il nostro capo Ges Cristo.

187
UGO DI S. VITTORE, De arca Noe morali, III, 4, PL [MIGNE, Patrologia Latina]
CLXXVI, c. 650D.
188
ALANO DI LILLA, Sermones octo, V, 128, PL CCX, c. 211B-D, la Chiesa ha
radicem in angelis.
189
RABANO MAURO, Allegoriae in Sacram Scripturam, s.v. radix, PL CXII, cc.
1036C-1037A. La stessa linea interpretativa presente anche presso autori greci,
cfr. EUTHYMIO ZIGABENO (+1122), Commentarius in Psalmos Davidis, LI, 7, PG
[MIGNE, Patrologia Greca] CXXVIII, c. 564B-C.
190
GUERRICO ABATE, In festo s. Benedicti sermo, II, 974, PL CLXXXV, c. 107B-C.

83
Nella letteratura cristiana medievale troviamo anche attestazioni
di unetimologia che associa direttamente luomo allalbero
rovesciato. Alano di Lilla, in una sorta di lessico dei termini biblici,
sotto il lemma arbor, scrive:

albero (arbor), si dice delluomo (homo), che i greci chiamano


anthropos, cio albero rovesciato, poich come il corpo dellalbero
aderisce alla terra e le membra vanno verso lalto, al contrario,
191
luomo ha il capo in alto e le membra in basso.

Nel De bestiis et aliis rebus, attribuito a Ugo di S. Vittore, ma con ogni


probabilit opera di Ugo di Folieto (1100-1174), si reitera la derivazione di
anthropos da controversus.192
La natura intrinsecamente controversa delluomo ha dato origine
anche a uninterpretazione differente del nostro motivo, per cui
linversione viene considerata come una conseguenza della rottura
dellequilibrio primordiale. Possiamo citare come esempio lampante di
questa interpretazione un passo di quella sconvolgente mescolanza di
immagini sacre e profane che il Gargantua et Pantagruel di Rabelais.
Pantagruel, parlando dei figli mostruosamente controversi di Antiphysia
(cio, letteralmente, Contronatura) afferma sarcasticamente:
lavere poi la testa in basso e i piedi per aria, altro non era che
imitazione del Creatore dellUniverso, visto che i capelli sono
nelluomo le radici, le gambe come i rami, e che gli alberi sono pi
saldamente piantati a terra con le radici di quanto non lo sarebbero
con i rami; e con ci dava per dimostrato che i suoi figli, somigliando

191
ALANO DI LILLA, Liber in distinctionibus dictionum theologicalium, s.v. arbor,
PL CCX, c. 707B.
192
PS. UGO DI S. VITTORE, De bestiis et aliis rebus, PL CLXXVII, col.119B. C.-M.
EDSMAN, art. cit., pp. 92-97, che propone ulteriori fonti patristiche e medievali
oltre a quelle da noi citate in questa sezione, fa notare che questa derivazione di
anthropos da anatrepo (controverso), confermata da alcuni filologi moderni.

84
a un albero diritto, erano assai pi perfetti dei figli di Physis
193
(Natura) che somigliavano a un albero capovolto.

Si fa qui riferimento a uninversione delle cose che vissuta senza


consapevolezza, ma anzi come la norma della natura. In realt, come
abbiamo visto supra parlando della crocifissione di Pietro, necessario un
ulteriore rovesciamento per ristabilire lequilibrio primordiale interrotto.
Questo rovesciamento reso possibile da una con-versione che pu
prendere molteplici forme.
Nel linguaggio cifrato della letteratura alchemica, lalbero rovesciato
viene a rappresentare il processo purificatorio del ritorno alla prima
materia, punto di partenza per la trasmutazione delloro filosofale.194
Questo processo pu prendere le sembianze di una discesa iniziatica
(katabasis), al termine della quale avviene un rovesciamento
(con-versione) del candidato che ri-torna sulla terra rinnovato. il
contenuto di alcune tradizioni e pratiche cultuali che ci sono giunte
dallantichit195 e che il cristianesimo conserva nellarticolo di fede del
descensus ad inferos di Cristo, da cui ha origine la salvezza dei giusti.196

193
FRANOIS RABELAIS, Gargantua e Pantagruel, trad. it. di A. FRASSINETTI,
Rizzoli, Milano, 1995, vol. III, p. 1139.
194
Per le fonti alchemiche che utilizzano limmagine dellalbero rovesciato cfr.
LYNDY ABRAHAM, Marvell and Alchemy, Scolar Press, Aldershot, 1990, pp.
181-188: vengono citati Paracelso, Johannes Fabricius, Lorenzo Ventura, George
Ripley, Abul-qsim, Solomon Trismosin, il Tractatus aureus attribuito a Ermete
Trismegisto, testi anonimi come il Gloria mundi e lAurelia occulta e, non
ultimo, il poeta inglese Andrew Marvell (1621-1678), la cui appartenenza a
correnti alchimistiche la tesi stessa del libro.
195
Uno dei modelli pi interessanti di questo processo iniziatico nelle tradizioni
sacre del mondo classico, la terrificante katabasis nella grotta di Trofonio, da
cui il candidato risaliva a testa in gi (allinverso) attraversando uno stretto
passaggio: cfr. PAUSANIA, Greciae descriptio, XI, 39 e PLUTARCO, De genio
Socratis [Moralia VII], 589F-593A.
196
Cfr. JOSEPH KROLL, Gott und Hlle: der Mythos von Descensuskampfe, Teubner,
Leipzig, Berlin, 1932, che raccoglie unenorme mole di dati sulla katabasis nel
mondo antico e tende a dimostrare che ad ogni discesa corrisponde unascesa.
Cfr. inoltre JACQUES E. MNARD, Le descensus ad inferos in Ex Orbe
Religionum: Studia Geo Widengren, Brill, Leiden, 1972, pp. 296-306. Sul
descensus ad inferos in ambito cristiano, cfr. OLIVIER ROUSSEAU, La descente

85
Nellultima cantica dellInferno, Dante si appresta a concludere la sua
discesa (katabasis) nellabisso sotterraneo. Virgilio lo prende in spalla e,
aggrappandosi ai velli del fianco di Lucifero, comincia a discendere il
gigante. Arrivati alle sue anche, cio al centro della terra,
[Inf., XXXIV, 77-81] lo duca [Virgilio], con fatica e con angoscia,
volse la testa ovelli avea le zanche [cio si gira su s stesso],
e aggrappossi al pel comuom che sale,
s che n inferno i credea tornar anche [ancora].
Una volta compiuta questa inversione di marcia, i due possono
cominciare la loro risalita verso la superficie dellemisfero australe:197
[ivi, 136-139] salimmo su, el primo e io secondo,
tanto chi vidi delle cose belle
che porta l ciel, per un pertugio tondo;
e quindi uscimmo a riveder le stelle.

Gli alberi rovesciati della Divina Commedia (I)


luogo comune considerare la Divina Commedia come uno dei
vertici del pensiero cristiano medievale; ci vero anche dal punto di vista
del simbolismo religioso: Dante riuscito ad ordinare con maestria nella
sua opera le pi importanti direttrici del lussureggiante immaginario
medievale.198

aux Enfers, fondement sotriologique du baptme chrtien in Revue de


Sciences Religieuses, 40, 1952, pp. 273-297 e ANTONIO ORBE , El Descensus
ad inferos y san Ireneo in Gregorianum 68, 1987, pp. 485-522. Anche MILENA
ROMERO ALLU, Art is the Tree of Life. Poesia e immagine in Marvell e Blake,
Universit di Verona, Verona, 2000, pp. 102-104, da un punto di vista letterario,
connette il tema dellalbero rovesciato a quello delle discese iniziatiche.
197
Sul tema della con-versione in Dante, cfr. PHILLIP DAMON, Geryon, Cacciaguida and
the Y of Pythagoras in Dante studies, LXXXV, 1967, pp. 15-32.
198
Cfr. SHEILA RALPHS, Dantes Journey to the Centre: Some Patterns in His Allegory,
Barnes & Noble, New York, 1973, in cui la Comedia viene scomposta nei suoi elementi
simbolici.

86
quindi di estremo interesse rilevare come, non solo il tema
dellalbero rovesciato sia qui presente, ma che lo sia oltretutto in diverse
connotazioni.199
Iniziamo la nostra disamina con quello che stato definito uno degli
enigmi insoluti della Comedia.200 Giunti alla sesta balza del Purgatorio,
dove le anime devono mondare il peccato di gola, uno strana pianta sbarra
la strada ai pellegrini:
[Purg. XXII, 132-135] con pomi a odorar soavi e boni;
e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, cos quello in giuso,
credio, perch persona su non vada.
Letteralmente: questo albero ha la forma di un abete rovesciato.
Pi avanti, sulla stessa balza, Dante e suoi compagni vedono i rami
gravidi e vivaci / dun altro pomo [XXIV, 103-104]; una voce da dentro
lalbero li avverte:
[ivi, 115-117] Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno pi su che fu morso da Eva,
e questa pianta si lev da esso.
Dunque gli strani alberi di questa balza, i cui frutti e il cui profumo
stimolano nelle anime un desiderio inappagabile, sono polloni, sono
immagini, di un altro albero che il loro archetipo. Il Poeta vi si imbatter
sulla sommit del monte del Purgatorio, nel Paradiso Terrestre: lalbero
della scienza del bene e del male albero della vita (Gen. 2,9).
Questultimo cos descritto:
[ivi, XXXII,38-42] una pianta dispogliata
di foglie e daltra fronda in ciascun ramo.
La c[hi]oma sua, che tanto si dilata

199
Sul simbolo dellalbero nel medioevo cristiano cfr. GRARD DE CHAMPEAUX,
SBASTIEN STERCKX, I simboli del medioevo, Jaca Book, Milano, 1981, pp. 307-377. Se
le osservazioni che qui di seguito proponiamo sono corrette, lalbero rovesciato
chiamato a rivestire una posizione di estrema rilevanza nella strategia della Comedia.
200
Cfr. LUIGI GUERCIO, Gli enigmi insoluti della Divina Commedia, Ripostes, Salerno,
1990, (Il simbolo del I albero della VI cornice del Purgatorio) pp. 43-52.

87
pi quanto pi su, fora dallIndi,
ne boschi lor per altezza ammirata.
Letteralmente: una pianta secca di mirabile altezza con la chioma che
si allarga dal basso verso lalto (come un abete rovesciato).
Lalbero secco 201 per il peccato di Adamo, ma la venuta del
Cristo-Grifone lo rinverdisce e gli ridona i connotati dellalbero della vita:
esso sinnov [...] / che prima avea le ramora s sole [ivi, 59-60].
A custodia dellalbero Beatrice, [ivi, 86-94] sotto la fronda / nova
[a] sedere in sulla sua radice [...] sola sedeasi in sulla terra vera.202

Gli elementi identificativi che Dante ci fornisce non permettono di dire


con chiarezza se si tratti qui di alberi rovesciati, cio radicati in cielo, o di
alberi dritti ma dalla forma inconsueta.
I commentatori antichi e contemporanei del Poeta (lOttimo
commento, Jacopo della Lana, Pietro Alighieri, Benvenuto da Imola,
Francesco da Buti, fra Giovanni da Serravalle, fino a Cristoforo Landino e
Alessandro Vellutello)203 sono unanimi nel vedere in queste piante degli
alberi radicati in alto; lo stesso appare chiaramente nelle illustrazioni del
Botticelli204. Nel poema allegorico di evidente influenza dantesca noto
SANDRO BOTTICELLI: Berlino, Kupferstichkabinett, ms. Hamilton 201,
201
illustrazioni
Sul per Purg. dellalbero
mito medievale XXII e Purg. secco
XXIV (particolari).
e le corrispondenze tra albero
secco albero solo albero del sole croce, cfr. RUDOLF WITTLOWER, Allegoria
e migrazione dei simboli, Einaudi, Torino, 1987, pp. 173-177.
202
Dopo quello che stato riferito supra riguardo alle fonti patristiche medievali,
non difficile comprendere come la terra vera su cui seduta Beatrice
(immagine della Sophia divina) e in cui penetra la radice della pianta, possa
essere facilmente letta come terra celeste. Se interpretiamo correttamente, si
tratterebbe dunque anche qui di un modo implicito per indicare il radicamento
celeste della pianta.
203
Sui commentatori antichi della Comedia, cfr. ROSANNA ALHAIQUE PETTINELLI,
Commenti danteschi e petrarcheschi in GIORGIO BARONI a cura di, Storia
della critica letteraria in Italia, UTET, Torino, 1997, pp. 134-145.
204
Cfr. HEIN TH. SCHULZE ALTCAPPENBERG, Per essere persone sofistiche, il
ciclo botticelliano di illustrazioni per la Divina Commedia in SEBASTIANO
GENTILE a cura di, Sandro Botticelli pittore della Divina Commedia, Skira,
Milano, 2000, vol. 2, pp. 14-35. Il Botticelli, curiosamente, raffigura rovesciati
gli alberi purgatoriali e invece dritto lalbero del Paradiso Terrestre; questa
visione confermerebbe le ipotesi di A. K. COOMARASWAMY, op. cit., pp. 339-344.

88
come Quadriregio,205 il vescovo di Foligno Federico Frezzi (1346-1416)
esplicita a sua volta questa tradizione interpretativa: giunto allultimo dei
quattro regni, il regno delle Virt, egli entra nel Paradiso terrestre. Qui,
lalbero della scienza del bene e del male e lalbero della vita sono separati:
il primo descritto come un arbor senza fronde / [...] secco e destrutto
(IV, I, 112-121, p. 278). Subito dopo ecco descritto lalbero della vita:
[ivi, 139-150, p. 279] Su dentro al cielo avea la sua radice
e gi inverso terra i rami spande [...].
Fitto nel cielo sta il suo pedale [la sua radice];
indi vien la vert, che gli d Dio,
206
che possa luomo rendere immortale.

Per contro, Dante potrebbe avere utilizzato anche un altro com-


plesso simbolico corrente alla sua epoca: il tipo della palma, una cui
immaginaria specie orientale, la palma-abete elata, diffusa dalla
imprecisa interpretazione di un termine biblico, richiama altrettanto
bene la descrizione del Poeta. S. Gregorio magno, in un passo che
diventer un topos esegetico, parla della palma come di una pianta
che, al contrario delle altre di minore ampiezza nel punto pi basso
dove prende principio e si eleva con un tronco pi ampio allaltezza
dei rami e dei frutti.207 A questa, egli associa la vita del giusto, che a
differenza dei peccatori, assai sviluppati nelle cure terrene e poco in
quelle celesti, somiglia allo sviluppo della palma: la loro dedizione

205
FEDERICO FREZZI, Il Quadriregio, a cura di ENRICO FILIPPINI, Laterza, Bari, 1914.
Accanto alle citazioni che seguiranno indicheremo i riferimenti delledizione
tipica e il numero di pagina delledizione appena citata. Sul Quadriregio, cfr.
BARTOLO GILARDI, Studi e ricerche intorno al Quadriregio di Federico Frezzi,
Lattes, Torino, 1911.
206
Frezzi continua riportando la nota leggenda medievale che vuole la croce di
Cristo essere stata tratta dal legno di questa pianta (ivi, 151-166). Vedremo che
lidentificazione albero della croce albero del paradiso terrestre unaltra delle
linee possibili di interpretazione.
207
GREGORIO MAGNO, Moralia in Job, XIX,27,49, Corpus Christianorum Latinum,
143A, p. 995.

89
alle cose terrestri debole e quella per le cose eccelse invece di pi
lunga durata e vigore.208
Tutto sommato, questo complesso simbolico si avvicina, ed anzi
integra, le linee semantiche della metafora dellhomo arbor inversa, e
si potrebbe perci anche pensare che Dante abbia lasciato volonta-
riamente ambigua la sua descrizione.
Se fino a questo punto il significato simbolico di questi strani al-
beri poteva apparire piuttosto marginale, nellultimo canto del Pur-
gatorio siamo obbligati a considerarlo con la dovuta attenzione. Bea-
trice ne fa infatti la cifra di un insegnamento enigmatico (qual
Sfinge) che Dante avr lincarico di riferire ai viventi al termine del
suo pellegrinaggio ultramondano (cfr. Purg. XXXIII, 52-54). La mente
del Poeta, intorpidita,

[ivi, 64-66] non estima


per singular cagione essere eccelsa
lei [la pianta paradisiaca] tanto e s travolta nella cima.

Letteralmente: non comprende quale sia la grave ragione per cui la


pianta tanto eccelsa (cio, nel contesto, di mirabile elevazione e di
natura celeste) e con la cima rovesciata.
Lintelletto di Dante infatti incrostato da vani pensieri che
ne macchiano la limpidezza e gli impediscono di intuire il messaggio
del simbolo; ci accade

[ivi, 85-90] perch conoschi disse [Beatrice] quella scola


chai seguitata, e veggi sua dottrina
come pu seguitar la mia parola
e veggi vostra via dalla divina distar cotanto, quando si discorda
da terra il ciel che pi alto festina.

208
Cfr. LINO PERTILE, Lalbero che non esiste in MICHELANGELO
PICONE TATIANA CRIVELLI a cura di, Dante, mito e poesia. Atti del secondo
seminario dantesco internazionale (Monte Verit, 23-27 giugno 1997), Cesati,
Firenze, 1999, pp. 163-181. Come anche L. GUERCIO, op. cit., Pertile associa
lalbero parzialmente rovesciato allalbero della croce. Tale prospettiva
senzaltro legittima, ma muove da un punto di vista diverso da quello del presente
studio.

90
Letteralmente: affinch il Poeta sappia che la scuola (cio la filo-
sofia o la ragione umana) che egli ha seguito fino ad allora non pu
comprendere Beatrice (o la Divina Sapienza): le due sapienze sono
tanto distanti quanto la terra dal cielo che ruota pi velocemente
(lultimo cielo, Primum Mobile),209 la distanza che intercorre tra il
pensiero discorsivo e la contemplazione delle realt divine.210
Insomma: la forma travolta dellalbero potrebbe alludere alla
necessit di quel processo di inversione, con-versione, che abbiamo
gi visto essere la vera cifra dellalbero rovesciato; questultimo in-
dica che la vera radice delluomo (e, come vedremo, del cosmo stesso)
non terrestre ma eccelsa, radicata nellAmore della Divina
Sapienza, e proprio per questo inaccessibile alla sapienza di questo
mondo rovesciato.211

209
Cfr. Is. 55,9. Come vedremo infra, il riferimento al cielo del Primum Mobile
potrebbe essere considerato come un rimando esplicito a quanto contenuto in Par.
XXVIII, 118-119.
210
Il tema era gi stato preannunciato in Purg. XXVII, 94-108, ove, subito dopo il
suo accesso al Paradiso Terrestre, Dante sogna Lia e Rachele, le due spose di
Giacobbe che lesegesi medievale identificava rispettivamente come intelletto
attivo e intelletto contemplativo (cfr. Summa Theol. II, II, q. 179, a. 2: le due
vite, attiva e contemplativa, sono state prefigurate rispettivamente nelle due
spose di Giacobbe, Lia e Rachele trad it. di TITO CENTI in TOMMASO DAQUINO,
La Somma Teologica, Salani, Roma, 1969, vol. XXII, p. 186). Sullo stesso tema,
ma con ulteriori approfondimenti, cfr. LUIGI VALLI, Il linguaggio segreto di
Dante e dei Fedeli dAmore, (rist.) Luni, Milano, 1994, pp. 350-394 e
580-581.
211
Su questa inaccessibilit, cfr. il perch nessuno su non vada riferito alla forma
del primo albero che abbiamo incontrato; uno dei commentatori antichi cos
glossa Purg. XXXIII, 64-66.: Altitudo [...] arboris huius figurat quod scientia
Dei est altissima in infinitum; revolutio [il rovesciamento] autem figurat quod
nullus potest ascendere vel attingere ad illam altitudinem []. Ideo dicit e
lalber moralmente; haec enim arbor fingitur in tali forma et figura contra
modum aliarum arborum propter causam moralem jam assignatam, [] haec
arbor habet radices in coelo et ramos versus terram, et ita alimentum habet a
coelo ubi aliae arbores habent e contrario, BENVENUTO DE RAMBALDI DA
IMOLA, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam a cura di WILLIAM

91
In effetti, dopo questa rivelazione, Dante pronto per lultima
purificazione che la misteriosa Matelda,212 nel fulgido sole di mezzo-
giorno, gli impartir nelle acque del fiume Euno al fine di ravvivare
la tramortita sua virt. Finalmente il pellegrino pronto per
lascesa ai cieli; ora riporta infatti su di s limmagine rinverdita
dellalbero della vita:

[ivi, 142-144] Io ritornai dalla santissima onda


rifatto s come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire alle stelle.

Gli alberi rovesciati della Divina Commedia (II)


Giunto alla quinta sfera celeste, quella di Marte, a met del suo
viaggio ultraterreno, lantenato del Poeta, Cacciaguida descrive la
struttura celeste come albero che vive dalla cima / e frutta sempre e
mai non perde foglia [Par. XVIII, 29-30].
Come si evince dal contesto, si descrivono in tal modo i cieli in cui
risiedono i beati, descrizione in cui si scorta una delle tracce di una
possibile influenza di fonti islamiche sulla Divina Commedia.213

WARREN VERNON E GIACOMO FILIPPO LACAITA, Barbera, Firenze, 1887, vol. 4, p.


277.
212
Secondo alcuni commentatori il nome stesso di questa donna tanto misteriosa
quanto importante alleconomia della Comedia celerebbe in s uninversione che
non pu altro che rinforzare la nostra interpretazione basata sullinsegnamento
dellalbero inverso: Matelda = Ad letam, cio colei che porta alla
letizia-beatitudine-Beatrice (ma ci non si avvera fino a che non compiuta
linversione purificatoria), cfr. CONCETTO S. DEL POPOLO, Matelda in Letture
Classensi, 8, 1979, pp. 121-134 (pp. 131-133).
213
Cfr. MIGUEL ASN PALACIOS, Dante e lIslam, 2 voll., Pratiche, Parma, 1994, vol.
1, Lescatologia islamica nella Divina Commedia, pp. 227-231. Segnaliamo
che lA. per una svista, parla del cielo di Giove e non di Marte, e cos tutti gli altri
autori che lo citano (ad es. M. ELIADE, Trattato..., cit., p. 285). Tra le fonti
islamiche citate da Asn Palacios: Samarqand, Qurrat al-uyn wa mafrag

92
Ma nella sfera del Primum Mobile o cielo cristallino, che la
struttura ricompare con perfetta evidenza; Beatrice rivela la natura di
questo cielo, che il limite estremo, il confine tra il cosmo e il non
luogo divino, lEmpireo. Nel Primum Mobile la natura del mondo
[...] comincia come da sua meta [ivi, XXVII, 106-108] e

[ivi, 118-119] il tempo tegna in cotal testo [vaso, cio cielo]


le sue radici e ne li altri [cieli] le fronde.

Lalbero rovesciato del tempo (cio del moto celeste, cio la cifra
del cosmo), ha le sue radici in questa nona sfera.214 Un passo di Filone
Ebreo pu suggerire una relazione tra questa struttura cosmologica e
quella antropologica a noi gi nota:

[Lo spirito delluomo] immagine di Dio, mediante la quale noi


ragioniamo, e le cui radici Dio tese fino al cielo, attaccandole
allestremo cerchio delle cosiddette stelle fisse [che secondo questa
cosmologia lequivalente del Primum Mobile dantesco]. In verit,
Dio ha fatto luomo, solo tra i viventi sulla terra, come una pianta

al-qalb al-mahzn (Il piacere degli occhi e la gioia del cuore rattristato) e
Muhaddin Ibn Arabi, Kitb al-Futht al-Makkiyah (Il libro delle rivelazioni
meccane), che parla di tre alberi rovesciati: il loto del termine, lalbero della
familiarit divina e lalbero della felicit. Questultimo rappresenta la
struttura stessa dei cieli come dimora dei beati e la sua radice nel Primum
Mobile, esattamente come quello di cui si fa menzione nelle terzine di Dante in
esame. Sui rapporti tra Dante e Islam cfr. pure FRANCESCO GABRIELI, Dante e
lIslam in Letture Classensi, 3, 1970, pp. 37-56.
214
Ci sembra interessante mettere in parallelo i dieci cieli della Comedia e le dieci
sefirot, tenendo presente che lalbero cosmico, come nei passi cabbalistici
considerati supra, ha anche qui le sue radici nella nona sfera-sefirah. Sui rapporti
tra Dante e la cultura ebraica, cfr. BRUNO CHIESA, Dante e la cultura ebraica del
Trecento in Henoch, 2-3, dicembre, 2001, 325-342. Certe esperienze come la
combinazione di lettere angeliche a formare parole segrete (cfr. Par. XVIII
70-135) ricordano da vicino certe pratiche della qabbalah estatica. Sui rapporti
tra lopera di Dante e quella del maestro di questo tipo di qabbalah, Abraham
Abulafia, cfr. UMBERTO ECO, La ricerca della lingua perfetta nella cultura
europea, Laterza, Bari, 1996, pp. 54-59.

93
celeste [...] Perci egli ha piantato lintelletto collegato agli incor-
215
ruttibili movimenti circolari dellaria e del cielo.

Nella cosmologia dantesca, il movimento circolare delle sfere


celesti lespressione spazio-temporale dellamore cosmico, cio
dellaspirazione del creato al suo Creatore; una mobilit piena di
riposo, ritmo puro, che tanto pi tale quanto pi si avvicina
allEmpireo, raggiungendo nel Primum Mobile il massimo dellardore
amoroso.216
Due mistici brabantini di poco anteriori o posteriori a Dante hanno
a loro volta associato limmagine di un albero rovesciato ad un
itinerario spirituale verso il Divino Amore.
La Beata Hadewijch di Anversa (+1250 ca.),217 nella prima delle
sue 14 visionen, descrive una selva di alberi allegorici; al centro del
bosco ecco una pianta eccezionale: la sua chioma dalle molte fronde, i
cui rami pi bassi sono la fede e la speranza, va verso il basso, la sua
radice va invece verso lalto, nellinconoscibile abisso celeste della
divinit (godheit). Questo lalbero della conoscenza di Dio, su cui
laspirante alla perfezione deve arrampicarsi fino a giungere alla
profondit delle sue radici celestiali; questa arrampicata si inizia con
la fede e si conclude con la carit (minne).218

215
Il malvagio tende a sopraffare il buono, 84-85, trad. it. di CLAUDIO MAZZARELLI
in FILONE DI ALESSANDRIA, Le origini del male, Rusconi, Milano, 1984, pp.
246-257.
216
Cfr. ROMANO GUARDINI, Studi su Dante, Morcelliana, Brescia, 1967, p. 176.
217
Romana Guarnieri metteva a sua volta in relazione litinerario spirituale della
Comedia dantesca e le visioni di Hadewijch: cfr. HADEWIJCH, Poesie, visioni,
lettere, a cura di R. GUARNIERI, Marietti, Genova, 2000, p.41. Sulla beghina
Hadewijch nel contesto della sua epoca spirituale, cfr. KURT RUH, Storia della
mistica occidentale, Vita e pensiero, Milano, 2002, vol. II, pp. 165-234.
218
HADEWIJCH, The complete works, trad. ingl. e introduzione di COLUMBA HART,
prefazione di Paul Mommaers, Paulist Press, Mahwah, (NJ) 1981, (Vision 1,
185-198) p. 266. Cfr. Ef. 3,17: in charitate radicati.

94
possibile che il beato Jan van Ruusbroec (1293-1381)219 fosse a
conoscenza di questa visione, data la prossimit e laffinit dei milieu
spirituali di questi due mistici. Cos egli commenta lepisodio evan-
gelico dellalbero di Zaccheo (Lc. 19,5):

[Luomo spirituale] avverte il desiderio estremo di vedere il Cristo,


suo sposo, e di conoscerlo quale Egli in s stesso; anche se egli Lo
conosce nelle Sue opere, ci non gli sufficiente. Allora dovrebbe
fare come Zaccheo il pubblicano, che desiderava vedere Ges e cos
fece. Egli dovrebbe precedere tutta la folla, cio la molteplicit delle
creature; esse ci fanno piccoli e bassi cos che noi non possiamo
vedere Dio.
Dovrebbe poi arrampicarsi sullalbero della fede che cresce dallalto
in basso (die wast van boven nederweert) perch le sue radici sono
nella Deit (want sine wortele es inder godheit). Questo albero ha
XII rami, che sono i dodici articoli [di fede]. I pi bassi parlano
dellumanit di Dio e dei punti che riguardano la beatitudine della
nostra anima e del nostro corpo. La parte superiore dellalbero parla
della Deit, della trinit delle Persone e dellunit della natura
divina. a questa unit, come sulla parte superiore dellalbero, che
luomo deve stringersi, perch l che Cristo passa, con tutti i Suoi
doni.
Qui viene Ges, vede luomo e gli parla alla luce della fede dicen-
dogli che Egli, secondo la Sua divinit, incommensurabile, in-
comprensibile, inaccessibile, insondabile e trascende qualsiasi lume
creato e qualsiasi comprensione misurante. [...] In questa luce Cristo
parla al desiderio di quelluomo: Scendi gi in fretta, perch oggi
devo fermarmi in casa tua. Questa rapida discesa non altro che il
defluire con desiderio ed amore nellabisso della Deit (afgront der
godheit) ove non pu giungere il lume creato di alcun intelletto [I,
220
976-1022].

219
Sulla vita e le opere di questo maestro di spiritualit (doctor admirabilis) cfr.
PAUL VERDEYEN, Introduzione a Ruysbroeck, Nardini, Firenze,1991.
220
JAN VAN RUUSBROEC, Die Geestelike Brulocht [Lornamento delle nozze
spirituali], a cura di J. ALAERTS, Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis
CIII, Brepols, Turnhout, 1988, pp.274-278.

95
Insomma, per arrivare alla radice dellalbero rovesciato, la ragione
umana deve trasformarsi in intelletto damore, amore per
quellAmore che muove il sole e laltre stelle.

****

noto che san Giovanni Calabria fu precursore della necessit di


un dialogo tra le religioni e che a tal fine destin una delle case della
sua Opera.221
Per certi versi, il linguaggio simbolico, utilizzando le creature e i
loro atti come lemmi del suo dizionario, un linguaggio comune a
tutto il genere umano e ci ne fa uno strumento privilegiato di ogni
autentico dialogo inter-religioso.
Esso si spinge nel cuore palpitante delle tradizioni religiose e d
parola alla loro ricerca sulla radice ultima della Verit.
Se poi a parlare la lingua del simbolo chi ha piantato s stesso
con questa radice, allora ci che si parla per davvero un linguaggio
scientifico: la scienza che san Giovanni Calabria usava definire la
scienza delle scienze: la santit.222

221
Cfr. MARIO GADILI, San Giovannni Calabria, San Paolo, Alba (CN), 1999, pp.
230-232. Sulla predisposizione di don Calabria al confronto con forme religiose
non cattoliche, cfr. anche GIOVANNI PASINI, Don Giovanni Calabria e
lecumenismo in Rivista Studi Calabriani, 2, 2001, pp. 73-102.
222
DON G. CALABRIA, Parole vive, cit., p. 261.

96
La profezia calabriana223
Comportamenti etici calabriani

Julio Gotardo Soster224

Questo lavoro si propone di indagare nella sua grande pro-


fondit, per quanto concerne la promozione umana, il pensiero
etico-sociale di don Calabria.
A partire dallo studio del periodo storico in cui san Givanni
Calabria vissuto, prendendo in considerazione i fatti pi sa-
lienti della sua vita, dopo aver evidenziato, per mezzo dello
studio dei suoi scritti, il suo pensiero sul tema, ho elaborato al-
cuni principi teologici che giudico degni di una particolare at-
tenzione e ho formulato una riflessione teologica che teorica-
mente sostiene la promozione umana, in linea con il pensiero di
San Giovanni Calabria.
Questa ricerca ci pu aiutare a renderci conto dellattualit
del pensiero etico-sociale cristiano di don Calabria, per far luce
allattuale cammino della Chiesa.
Ci fa comprendere che la Chiesa deve camminare sempre pi
in cerca delle vere fonti evangeliche e mettere in pratica quello
che lei stessa insegna e difende.
Come lo stesso Ges Cristo, che ha lasciato la sua condi-
zione divina e ha assunto la condizione umana, facendosi uguale
a noi e camminando assieme al suo popolo in cerca della libert,
cos anche la Chiesa, assieme ai suoi membri, deve andare
incontro a tutti gli esseri umani, a partire da quelli che vivono in

223
Riassunto della dissertazione presentata da pe. Julio Gotardo Soster alla Facolt
Nostra Signora dellAssunzione, San Paolo Brasile, per ottenere il titolo di
Dottore in Teologia Morale.
224
Sacerdote Povero Servo della Divina Provvidenza.

97
condizioni disumane e, assieme a loro, cercare come esercitare
degnamente il suo ministero nella libert.
Loriginalit del pensiero di don Calabria consiste proprio in
questa capacit di intendere levangelizzazione e lazione della
Chiesa come pratica concreta del Vangelo, che coinvolge
lessere umano nella sua integrit e totalit; sviluppandolo fisi-
camente, psichicamente e spiritualmente, non soltanto in una
dimensione spiritualista o emozionale-intimista, cosa che don
Calabria considerava alienante e incoerente.
Don Calabria con le sue idee di libert, promozione integrale
della persona umana, dialogo ecumenico, dialogo con il mondo
e le scienze, ha preparato lambiente, la mente e il clima per
arrivare al Concilio Vaticano II.
Tra le varie personalit toccate dal suo pensiero, possiamo
ricordare il card. Schuster di Milano, il card. Montini, Segretario
di Stato del Vaticano durante il pontificato di Pio XII e futuro
papa Paolo VI, che conobbe bene alcuni scritti di don Calabria e
che aveva una grande stima della sua Opera. Queste e molte altre
personalit che hanno conosciuto e letto i suoi scritti, hanno fatti
s che il Concilio Vaticano II si realizzasse cos come stato.
Lopzione preferenziale per i poveri fatta dalla Chiesa
dellAmerica Latina, e in particolare dal Brasile, stata pro-
mossa da molti vescovi che avevano studiato a Roma e si erano
entusiasmati leggendo gli scritti di don Calabria. Tra questi sono
da ricordare don Ivo Lorscheiter e don Aloisio Loescheiter, che
riconobbero don Calabria come un profeta del secolo XX e che
ebbero molto peso nelle Conferenze Latino-Americane e
Brasiliane.
Leggendo i documenti di queste Conferenze percepiamo la
presenza di molte idee di don Calabria, scritte molti anni prima.
Io stesso, leggendo il documento di Puebla la prima volta, ho
avuto quasi limpressione di leggere le Costituzioni della Con-
gregazione da lui fondata.

98
La promozione umana la pratica del Vangelo di Ges
Cristo e, perci, ingrediente indispensabile nella vita di chi fa
sua la causa di Ges. Insistiamo sul fatto che la nostra fede ha
bisogno di opere che la giustifichino, perch gli uomini sono
stanchi di parole vuote. Le opere che facciamo devono
lasciarsi guidare dai segni dei tempi e dallepoca in cui
viviamo.
Dobbiamo essere audaci, per rendere attuale la nostra
azione cristiana e non rimanere prigionieri di costumi e
tradizioni, che hanno fatto diventare arcaico e fuori epoca il
nostro agire. Cos pure non dobbiamo agire per caso, ma
riflettere e pensare quale sia la maniera migliore di far
diventare efficienti tutte le nostre azioni, senza porre freni
allaudacia e al profetismo, che sempre accompagnano i doni
che Dio elargisce ai suoi figli e figlie. Le opere devono
accompagnare i passi dellumanit, illuminate dalla Parola di
Dio e dalla Dottrina Sociale della Chiesa e seguire un progetto
organico elaborato con la massima partecipazione di tutti
quelli che vogliano far propria questa causa e, per quanto
possibile, con la partecipazione anche dei destinatari della
stessa azione.
Promuovere la persona umana, sia battezzata come no,
perch possa esercitare integralmente la sua cittadinanza,
impegno di tutti quelli che hanno capito il comandamento di
Ges e vogliono seguire i suoi passi in questo mondo.
Far diventare la Chiesa profetica e solidale, cittadinanza,
inclusione sociale, giustizia, pace, ricerca del bene comune,
impegno sociale, convergenza universale, rispetto per le cul-
ture, profetismo impegnato, illuminazione delle lites,
valorizzazione della donna, valorizzazione della vita,
valorizzazione della persona, camminare insieme, unit,
presenza nellassenza, comunione e partecipazione,
accoglienza, sacrificio, esercitare un potere di servizio,

99
uguaglianza, nascondimento, umilt, coerenza, libert,
partecipazione creativa, perdono e riconciliazione, mistica
liberatrice, silenzio e dedicazione, umilt, disposti a tutto,
testimonianza di vita, educazione dinamica e tra-
sformatrice sono atteggiamenti etici che devono accompa-
gnare la vita del cristiano tanto individualmente quanto comu-
nitariamente, con piena fiducia nella paternit divina,
sullesempio di Ges Cristo vivo nellEucaristia che cele-
briamo, nella comunit e nella vita, sotto la luce e la grazia
dello Spirito Santo.

Atteggiamenti etici
Dopo la ricerca fatta tra gli scritti di don Calabria e dopo una ri-
flessione teologica sul suo pensiero etico-sociale cristiano, esporr
adesso quelli che, a mio parere, don Calabria giudica come atteggia-
menti conformi alletica nella nostra azione liberatrice al servizio
della promozione umana.
Penso che lelenco di questi atteggiamenti potrebbe essere molto
pi esteso e che si potrebbe scrivere di nuovo lintera vita di don
Calabria dal punto di vista delletica, ma mi limito a quelli che giudico
atteggiamenti fondamentali, secondo il suo pensiero, utili ad il-
luminare la nostra azione concreta, senza perdere mai di vista le fonti
ispiratrici della nostra opzione.
Per don Calabria regola fondamentale dellagire etico il Van-
gelo, la persona di Ges Cristo, che mand lo Spirito Santo a far luce
sul nostro cammino nella storia, e potere, con la nostra vita e i nostri
atteggiamenti, dar gloria a Dio Padre-Madre, vivendo la comunione
nella partecipazione solidale.
Ecco qui di seguito gli atteggiamenti che, alla luce del pensiero di
don Calabria, giudico fondamentali per lagire etico nellarea della
promozione umana.
Chiesa profetica e solidale

100
La Chiesa deve compromettersi e fondare la sua missione nella
ricerca di una societ fondata nei valori etici con atteggiamenti con-
creti e esigere apertamente:

1. la dignit della persona umana contro linvasione soffocante


del potere statale ed economico;
2. il diritto alla libert e allindipendenza di tutte le nazioni, an-
che le pi quando piccole;
3. la necessit di una equa distribuzione tra i popoli di tutti i beni
del Creatore;
4. la legittima aspirazione della classe dei lavoratori a un sistema
economico che assicuri qualche propriet per tutti;
5. lurgenza di un dialogo tra le nazioni, con fondamento nei di-
ritti e non nelluso della forza, per risolvere i dissidi;
6. la convenienza di forme di governo corrispondenti alle giuste
aspirazioni democratiche dei popoli.

La Chiesa prenda la difesa delle libert umane, economiche, so-


ciali, politiche, morali Dobbiamo unirci nella carit suprema di il-
luminare le menti, di aprire e rischiarare le coscienze e di essere ef-
fettivamente solidali con il mondo degli oppressi.

Cittadinanza
La promozione umana deve condurre la persona esclusa o dimi-
nuita nella sua condizione umana a vivere come cittadina in questo
mondo, con tutti i diritti sociali che gli sono dovuti. Sono inconcepibili
quegli atteggiamenti palliativi di distribuire elemosine umilianti, che
mantengono lessere umano in una situazione di dipendenza e di
miseria perenne.
Mentre provvediamo qualcosa per il sostegno immediato della
persona, dobbiamo provvedere anche i mezzi per renderla libera e
artefice della sua storia, in grado di esercitare tutti i suoi diritti di
cittadinanza cosciente delle sue responsabilit comunitarie e sociali.

101
Inclusione sociale
La persona ammalata, i bambini, i poveri, i vecchi, tutti quelli che
soffrono ed hanno necessit speciali, i carcerati, infine gli esclusi da
qualsiasi forma di promozione umana, devono essere i primi ad essere
accolti e protetti nella nostra societ, per mezzo di unazione che
promuova lessere umano nella sua integrit. Non possiamo incrociare
le braccia o fare i sordi davanti al clamore di tante persone private dei
loro diritti fondamentali di cittadini e di figli di Dio. Dobbiamo
piuttosto essere creativi e cercare forme che arrivino a tutti, con
uguaglianza di diritti, in questo mondo che stato creato da Dio per il
bene di tutti i suoi figli e figlie.

Giustizia
Ci sar unetica vissuta nella sua totalit soltanto quando si cer-
cher con sincerit la vera giustizia tra gli uomini. La giustizia c
quando rispettato il diritto di tutti a una vita degna, quando ri-
spettata la loro libert di figli, come fratelli che sanno vivere lunit
nella diversit, rispettando le differenze di ognuno. ovvio che, per
realizzare la giustizia, noi dobbiamo dare la prima attenzione, nel no-
stro operare, alle persone pi miserabili e schiacciate dallenorme
abisso sociale che separa le classi sociali privilegiate, ricche, dalla
grande maggioranza della popolazione esclusa. La ricerca del Regno
di Dio e della sua giustizia deve essere il sogno e lorizzonte di qual-
siasi cristiano che voglia concretizzare la sua fede nella pratica.

Pace
Qualsiasi forma di violenza, fisica o intellettuale, deve essere al-
lontanata dalla nostra vita posta a servizio dei meno favoriti. La vio-
lenza genera soltanto sentimenti di odio, di vendetta e nuova violenza.
Chi si dice cristiano non potr mai concordare con guerre o rivoluzioni
sanguinanti, che tanto male portano ai propri simili. Il perdono, la

102
riconciliazione, la pazienza, il dialogo e la tolleranza devono essere il
marchio registrato dellagire da cristiani che vogliono un mondo
giusto e fraterno. Daltra parte, la pace non si pu confondere con il
quieto vivere o con la passivit, ma deve essere accompagnata
dallimpegno per la verit, la giustizia e la ricerca di una convivenza
dove tutti abbiano uguali opportunit. Dobbiamo darci da fare perch
tutti possano vivere la pace.

Cercare il bene comune


I beni di questo mondo esistono per soddisfare i desideri di tutte le
persone e non solo quelli di alcune classi privilegiate. Perch si
realizzi una vera giustizia necessario che ci sia una distribuzione pi
equa dei beni di questo mondo. Non dobbiamo accumulare, ma
ripartire i beni, questo fa s che ci sia una forma di vita umana salutare.
Il bene comune la soddisfazione dei desideri fondamentali della
persona che permette a tutti di vivere con la dignit di figli e figlie del
Creatore. Promuovere lessere umano vuol dire dargli opportunit di
accesso ai beni di questo mondo con uguaglianza di condizioni
rispetto ai suoi simili.
La promozione dellessere umano presuppone il rispetto per la
natura, che il nido preparato da Dio per accogliere e riscaldare tutti i
suoi figli e figlie. Il progresso tecnologico deve saper convivere ar-
monicamente con il nido-fonte ecologico dellumanit, per far s che il
bene sia comune anche con tutta lopera della creazione, assieme a
minerali, vegetali e animali.

Impegno sociale
Tutti i problemi della societ devono essere i nostri problemi;
dobbiamo farli nostri e cercare, comunitariamente, le soluzioni pi
opportune per favorire un vivere fraterno. Dobbiamo cercare soluzioni
che siano cristiane per risolvere i problemi sociali che rovinano la
convivenza umana e diminuiscono la nostra dignit. Partecipare ad

103
associazioni, gruppi politici, ecologici, cooperative per la costruzione
di un societ degna e umana dovere etico di qualsiasi cristiano, che
viva con coscienza la sua fede. Quanto pi grande la sua capacit di
leadership cristiana, maggiore sar la sua responsabilit di coin-
volgersi e di partecipare alla ricerca della soluzione dei problemi so-
ciali.

Convivenza universale
inconcepibile qualsiasi forma di razzismo, che diminuisca la
nostra accettazione fraterna per motivi di colore, cultura, nazionalit o
caratteristiche fisiche. Con tristezza dobbiamo constatare che ancora
esiste un grande abisso tra le varie razze, prodotto dallesistenza di una
classificazione imposta dalle necessit dellapparenza. Tutti i colori e
le razze umane hanno la stessa dignit davanti agli occhi di Dio,
poich tutti abbiamo la stessa origine divina riscattata dalla vita e
dallopera di Ges Cristo, che venuto a invitarci a vivere come
fratelli con un solo cuore e una sola anima. Un giardino con tanti fiori
differenti diventa pi bello se ogni fiore ha il suo posto e riceve le
stesse attenzioni per poter mostrare, con uguali condizioni, la sua
bellezza.

Rispetto per le culture


Dobbiamo vivere un amore capace di oltrepassare le frontiere, di
vincere le barriere e di unire le nazioni; un amore che rispetti le cul-
ture, che promuova le creature e porti pace ai cuori.
Non si pu commettere mai pi lo sbaglio di distruggere le culture
dei popoli, imponendo la nostra cultura in nome
dellevangelizzazione, poich questo un peccato mortale che con-
traddice il mistero dellincarnazione di Ges Cristo. La cultura
lanima di un popolo e noi dobbiamo promuovere la vita e non la
morte dellanima, poich Dio vita. La globalizzazione di cui tanto si
parla non pu mai essere limposizione di una cultura, di una lingua o

104
di una moneta; dobbiamo ricercare la globalizzazione dellamore cos
come lo abbiamo esposto allinizio del paragrafo.

Profetismo impegnato
La corruzione genera disuguaglianze sociali, ecco quindi che ab-
biamo il dovere di denunciare con veemenza tutte le forme di corru-
zione e di delitti commessi da coloro che ci governano o hanno qual-
che incarico importante nelle imprese, nella societ, nella Chiesa o
nella famiglia. La mancanza di lavoro, di terra, di salario giusto, di
alimentazione, di salute, di abitazione, di educazione, di cittadinanza,
di partecipazione e solidariet sono un delitto gravissimo contro la
giustizia e la dignit, causato dalla corruzione di coloro che pensano
solo ad accumulare beni, che poi marciranno senza alcuna finalit
sociale. Liberare il povero vuol dire dargli una vita umana con giu-
stizia e dignit.

Coscientizzare le lites
Come cristiani dobbiamo penetrare, con il messaggio di Cristo, in
tutti i settori della societ. Per il bene dei poveri e degli esclusi
dobbiamo coscientizzare specialmente quelli che occupano incarichi
di responsabilit politica e sociale. Dobbiamo far s che governino con
giustizia ed equit senza discriminazioni e comportamenti che
provochino la mancanza di abitazioni, di salute, di educazione, di la-
voro, generando situazioni di miseria estrema nei nostri paesi. Anche i
mezzi di comunicazione sociale necessitano di una attenzione spe-
ciale. Dobbiamo evangelizzare le persone che in essi operano e che
tanta influenza hanno sullopinione pubblica. Dobbiamo unirci in tanti
capaci di ricercare politiche e formare opinioni capaci di promuovere
lessere umano nella sua integrit e capaci di diminuire o eliminare
quellabisso che c tra ricchi e poveri.

105
Valorizzazione della donna
Tutta la storia, raccontata sempre da uomini, non ha saputo dare
alla donna il posto che essa merita. Dio sempre stato chiamato Padre
ed giunta lora di accorgerci che Dio non vuole privilegiare un
generi specifico. Possiamo e dobbiamo chiamare Dio Madre e Padre e
prendere in considerazione la sua attuazione femminile nella storia.
Come Chiesa e societ giunta lora di dire basta alla situazione di
inferiorit della donna rispetto alluomo. giunta lora di fare passi
incisivi e concreti in questa direzione.

Valorizzazione della vita


La vita il pi grande dono di Dio e come tale deve essere valo-
rizzata nelle sue pi svariate forme. Lessere umano ha un valore in-
finito fin dal suo concepimento e qualsiasi forma di violenza che at-
tenti alla sua vita deve essere combattuta. Qualsiasi forma di vita
animale o vegetale deve meritare tutto il nostro rispetto, poich
emanazione della vita Divina e opera del suo amore creativo. Dove la
vita pi in pericolo o oppressa l noi dobbiamo dedicare la nostra
particolare attenzione e far s che la presenza di Dio non sia soffocata
dalla cupidigia egoista di pochi. Migliorando le condizioni di vita
collaboreremo ad aumentare le condizioni che permettono a Dio di
farsi presente tra noi, perch Dio Vita.

Valorizzazione della persona


Dobbiamo mettere la persona sempre sopra il capitale o qualsiasi
oggetto economico o lucro smisurato. Capitale e lucro devono essere
sempre al servizio delluomo, di tutti gli esseri umani, e non il con-
trario. I beni non esistono per essere accumulati, ma per essere con-
divisi; quello che Dio ha fatto lo ha fatto per tutti i suoi figli e figlie. La
condivisione una poesia divina che genera felicit, sogno dellessere
umano e di Dio. Non etica lidolatria del mercato e del capitale, che

106
concepisce lessere umano appena come consumatore necessario per
sostenere un sistema disumano, individualista, egoista e escludente.
Lessere umano, per quanto piccolo e povero, ha un valore infinito,
per il semplice fatto di essere a immagine e somiglianza di Dio.

Camminare insieme
Chi cerca la liberazione e la promozione delluomo deve farsi
simile e camminare insieme con le persone che vuole promuovere.
Non possiamo restare lontani dalle necessit e dalla vita delle persone
che vogliamo promuovere, non dobbiamo fare le cose per loro al loro
posto, ma dobbiamo farle assieme alle persone, coinvolgendole al
massimo nella costruzione della loro propria storia, senza mai
abbandonarle, ma accompagnando i loro passi con amicizia e frater-
nit. Dobbiamo essere presenti l dove la vita del popolo, per capire
meglio la situazione concreta, non solo con la nostra mente, ma anche
con i nostri sentimenti e il nostro spirito. La pratica della carit e della
giustizia sar pi vera, quando vivremo assieme con coloro che pi
hanno bisogno di una mano amica, che additi il cammino della vera
realizzazione personale, sociale e cristiana. I cristiani, soprattutto il
vescovo, il sacerdote e i laici impegnati, devono uscire dalle loro
comodit e convivere con gli operai, con i poveri e gli esclusi e
conoscere da vicino le necessit di questi e assieme a loro partecipare
della costruzione di un mondo fatto alla maniera di Dio. Solo cos
cammineremo in direzione di un nuovo cielo e di una nuova terra.

Unit
La ricerca dellunit, rispettando la diversit dei doni, deve essere
una costante nella nostra vita. Molte persone seguono religioni
differenti dalla nostra; dobbiamo rispettare la loro opinione e tentare
di avvicinarci a loro in cerca delle convergenze che abbiamo, per poter
arrivare allunit di mente e anima in modo da realizzare il bene, in
questo mondo, e cos testimoniare il sogno del nostro Maestro, che ha

107
voluto un mondo dove tutti siano un solo cuore e una sola anima.
Devono essere sostenuti tutti gli incontri che cercano, nel rispetto
mutuo e nel dialogo fraterno, di diminuire le differenze che ci sono tra
di noi per favorire una migliore convivenza fraterna e una migliore
testimonianza cristiana.

Presenza nellassenza
Per mezzo della nostra azione, Iddio vuole farsi presente nei luo-
ghi dove lassenza dei mezzi umani pi intensa. Dove umanamente
non c niente da sperare, si manifesta meglio lamore oblativo che
non cerca il proprio interesse, ma semplicemente la crescita dellaltro,
escluso dal nostro convitto fraterno. I luoghi pi difficili, le persone
pi lontane, i gruppi minoritari devono occupare il primo posto nella
nostra azione liberatrice e promotrice dei veri valori cristiani e
umanitari, perch l si manifesta meglio la bont di Dio Padre-Madre.

Comunione e partecipazione
arrivata lora in cui dobbiamo far brillare la nostra storia in
forma coinvolgente e partecipativa. Nessuna persona e nessun gruppo
possono considerarsi padroni della verit o avere da soli lo Spirito
Santo. Dobbiamo coinvolgere tutte le persone, tanto laiche come no,
nella ricerca del Regno di Dio e della sua giustizia. Ogni cittadino ha il
diritto e il dovere etico di partecipare alla costruzione di una societ
pi giusta e ugualitaria, per questo dobbiamo aprire canali che
coinvolgano il maggior numero di persone nella conduzione dei
destini e dei cammini della nostra societ. Anche la Chiesa deve
coinvolgere di pi i laici, dando loro spazi di partecipazione e
comunione che valorizzino la loro dignit e testimonino la nostra
predicazione daccordo con il Vangelo di Ges Cristo, che ha coin-
volto i suoi seguaci, comunitariamente, nellannuncio e nella testi-
monianza della Parola. La nostra solidariet deve essere sempre co-
involgente e partecipativa, per recuperare la sublime dignit di figli e

108
figlie di Dio, come laici e cittadini. I nostri sistemi democratici non
devono restringere la partecipazione dei cittadini soltanto ai giorni
delle elezioni, ma devono proporre canali di partecipazione continua,
durante tutta lamministrazione, per darci la possibilit di partecipare
alle decisioni che reggeranno i destini delle nostre citt, stati e nazioni.

Accoglienza solidale
La carit cristiana non pu fare eccezioni, ma deve saper acco-
gliere qualsiasi persona, di qualsiasi razza o religione, in qualsiasi
situazione si incontri. Cos come ha fatto Ges, la nostra azione cri-
stiana deve essere aperta e accogliente a tutti quelli che hanno biso-
gno, senza aspettare che le persone ci cerchino nei nostri uffici, ma
andando incontro a tutti, dando preferenza a quelli che pi hanno bi-
sogno di liberazione integrale. Santi e peccatori, poveri e ricchi, sani e
ammalati, buoni e cattivi: il nostro cuore non deve escludere nessuno,
perch tutti sono figli di Dio e fratelli nostri riscattati dal sangue
redentore di Ges Cristo.

Sacrificio e persistenza
La routine del nostro giorno per giorno e il lavoro ben fatto, con
responsabilit, sono il migliore sacrificio, meritorio sicuramente del
premio eterno. Non dobbiamo cercare penitenze speciali, n altre
sofferenze oltre a quelle che il nostro cammino ci impone; dobbiamo
per assumere e portare avanti la nostra vita, affrontando con fede le
sfide che si presentano lungo il cammino. Sarebbe facile essere eroi
per un giorno, il difficile essere umani tutta la vita, vivendo inten-
samente ogni momento e rialzandoci tutti i giorni dalle cadute imposte
dai nostri limiti. Dio Padre-Madre non beve il nostro sangue, non
vuole la sofferenza dei suoi figli. Chi beve il nostro sangue un idolo
maledetto, che vuole soltanto lucro, sempre di pi, e vantaggi egoi-
stici. Perci il sacrificio imposto o forzato non etico e neppure piace
a Dio.

109
Autorit come servizio
La leadership e lautorit devono essere esercitate come le eser-
cita una madre che ama ognuno dei suoi figli con tenerezza speciale;
deve essere come il sole del mattino con il suo calore gradevole e
soave, che fa s che tutti si sentano ben accolti dalla convivenza fra-
terna delle nostre comunit. Sullesempio del nostro Maestro noi non
dobbiamo mai opprimere o dominare, ma servire tutti, aiutando
ognuno a porre la sua vita e i suoi doni a servizio del bene comune.
Quanto maggiore sar la responsabilit o lautorit, maggiore dovr
essere la disponibilit a servire i nostri simili.

Uguaglianza
Nel nostro convivio fraterno non ci devono essere privilegi per gli
uni in detrimento degli altri. Davanti a Dio tutti siamo uguali ed cos
che dobbiamo vivere. Un sacerdote consacrando il pane e un laico
pulendo per terra hanno la stessa dignit davanti a Dio, poich fanno
un servizio di bene per i fratelli e le sorelle. Qualsiasi servizio, anche il
pi umile agli occhi degli uomini, ha un valore infinito, poich
realizzato da un essere umano che figlio di Dio e fratello di Ges
Cristo.

Nascondimento e umilt
Quando ci proponiamo di fare il bene, non dobbiamo mostrarci,
ma farlo con umilt e nascondimento, affinch la persona aiutata si
senta artefice della sua storia e si senta essa stessa promossa. Il bene
che facciamo e che rendiamo pubblico interessato. La nostra mano
sinistra non deve sapere quello che fa la destra; cos insegna Ges. La
promozione umana deve sempre proporsi il bene dellaltro senza voler
avere vantaggi individuali e egoistici.

110
Coerenza
C molta differenza tra il Vangelo che predichiamo e la fede che
pratichiamo. Abbiamo bisogno di mettere in pratica la nostra fede per
mezzo di opere che mostrino quello che crediamo.
Non possiamo predicare quello che Ges ha fatto e vissuto, se non
diamo lesempio, nella pratica, di quanto stiamo annunciando.
Lamore per il prossimo, prima di essere semplicemente predicato,
deve essere vissuto. Infatti senza la vita, la nostra predicazione sar
vuota e inefficace. La nostra fede deve essere trasformata in vita at-
traverso opere di bene in favore dei meno favorititi. La promozione
umana la pratica del comandamento di Ges e della nostra evange-
lizzazione.

Libert
Nella nostra azione evangelizzatrice e liberatrice dobbiamo saper
rispettare incondizionatamente la libert dellessere umano e saper
aspettare che succeda ogni cosa a tempo debito, senza volere forzare
lazione della grazia di Dio. La libert un dono di Dio, che invita ed
aspetta una risposta di amore e di servizio. Noi siamo invitati da Dio
ad agire in questo modo quando cerchiamo la promozione e la libe-
razione degli esseri umani: dobbiamo proporre il progetto di Ges
Cristo e aspettare con pazienza laccettazione dello stesso da parte
delle persone, senza coercizione o con lillusione di volere risultati
immediati o lucrativi in termini di evangelizzazione.
Lessere umano libero perch Dio lo ha fatto cos, ma la libert si
realizza quando c coscienza; per questo non dobbiamo mai stancarci
di rischiarare e illuminare la coscienza dei nostri simili, affinch tutti
possano esercitare i loro diritti e i loro doveri, nella libert. Cos pure
dobbiamo affrontare e lottare contro ogni forma di alienazione e
esplorazione che si avvalga della mancanza di coscienza delle persone
meno informate.

111
Partecipazione creativa
Siamo invitati a partecipare alla trasformazione del mondo in
maniera creativa per fare la nostra propria storia. Siamo capaci di fare
i miracoli al posto di Dio, specialmente i miracoli della condivisione,
della creativit dinamica, della liberazione dellessere umano, della
trasformazione del nostro mondo in un nuovo cielo e in una nuova
terra senza mali e dolori, della convivenza fraterna, della costruzione
comunitaria e partecipativa di quei servizi essenziali della salute,
delleducazione, dellabitazione, del lavoro, del trasporto,
dellalimentazione, del divertimento, ecc.

Perdono e riconciliazione
Ben sappiamo che tutti abbiamo limiti e che facciamo sbagli, per
questo di fondamentale importanza andare incontro a chi sbaglia,
con un atteggiamento di perdono e di riconciliazione. Dobbiamo es-
sere radicali nella lotta contro il male, ma capaci di accogliere, pieni di
compassione e di amore, quelli che sbagliano, infatti sono questi che
pi hanno bisogno dellamore di Dio e di poter far ritorno al convivio
sociale senza esserne esclusi o discriminati. Tutti hanno un lato buono
ed da questo lato che dobbiamo abbordarli e incentivarli a ritornare e
a praticare il bene a beneficio proprio e della societ.

Mistica liberatrice
Tutto il nostro agire deve essere illuminato e animato da una spi-
ritualit in stretto rapporto con il Vangelo e con la vita concreta della
gente. Non si pu vivere una spiritualit intimista che non si preoc-
cupa della giustizia sociale. Lunione con Dio la fonte di tutto il
bene, ne deriva la necessit di formare a una spiritualit e a una mi-

112
stica che ravvivi nelle persone lannuncio della speranza e la pratica
della giustizia e dellamore.
Lo spirito motiva e d vita ai nostri sentimenti e alle nostre azioni,
per questo importante che nella promozione umana non di-
mentichiamo di formare lo spirito delle persone in modo che cerchino
e facciano sempre il bene e sappiano alimentare le loro motivazioni
interiori con preghiere e con modi di vita spirituali, salutari e
impegnati nella realt in cui vivono.
Per raggiungere questa meta dobbiamo essere conche e canali
della grazia di Dio; conche per noi e canali per i nostri simili e per la
nostra societ, infatti mai raggiungeremo fini soprannaturali senza
fare uso di mezzi soprannaturali.

Silenzio e dedicazione
Maria, la madre di Ges, stata un esempio di educazione alla
libert. Senza promuovere se stessa, nel silenzio e nella dedicazione,
ha fatto crescere Ges, nella sua comunit, senza paura di affrontare le
difficolt, annunciando il bene e denunciando le ingiustizie con
coraggio. Come tutti i profeti anche Maria si trov in mezzo a soffe-
renze e persecuzioni, realt queste inevitabili per chi cerca la costru-
zione di un mondo solidale, denunciando la cupidigia e lavarizia.
Il silenzio cosciente, coraggioso e la dedicazione sono ingredienti
necessari per riuscire a camminare in direzione del porto definitivo
senza ansie e angustie, ma con fiducia nella vittoria del bene e della
giustizia.

Umilt e dedicazione
Siamo tutti responsabili per far scomparire le piaghe e le malattie
del nostro mondo, perci necessario che ognuno assuma il suo posto
con umilt e abnegazione, dando tutto se stesso senza scoraggiamento,
per compiere la sua missione, attento ai segni dei tempi e della Divina

113
Provvidenza, nella costruzione di un mondo dove la convivenza si
faccia in modo fraterno, tollerante e di uguaglianza.
Non possiamo ricercare onorificenze e elogi nella ricerca del Re-
gno di Dio. Dobbiamo fare tutti gli sforzi di cui siamo capaci, come se
tutto dipendesse da noi, ma pienamente convinti che tutto dipende
invece dalla mano amorosa di Dio Padre, Madre, Fratello, Sorella e
Amico. Rispettando la diversit dei doni tocca a noi mantenere lunit
nella nostra azione con umilt e dedicazione.

Disposti a tutto
Per realizzare opere di bene, che il nostro dovere etico, dob-
biamo essere pronti ad andare nei posti pi lontani e difficili, in qual-
siasi posto, poich tutto il mondo di Dio.
I lavori pi umili manifestano meglio la grazia di Dio e pertanto
qualsiasi lavoro o attivit per la costruzione di un mondo pi umano e
cristiano ha un valore infinito nellopera di Dio.
I nostri doni e qualit, che sono grazia di Dio, devono brillare e
illuminare la strada di qualsiasi persona, in qualsiasi posto ci tro-
viamo. La nostra azione non deve restringersi a un determinato posto o
regione, n a una classe di persone o lavoro specifico, ma deve essere
aperta per testimoniare la vita in qualsiasi posto o attivit in cui Iddio
ci avr chiamati a lavorare.
Tocca a noi scoprire, nel dialogo e nella partecipazione comuni-
taria, dove Dio vuole che investiamo i nostri doni a sevizio della co-
munione e della partecipazione.

Testimonianza di vita
Gli uomini sono stanchi di belle parole, di promesse e di illusioni
senza vita. Dobbiamo testimoniare, con la vita, quello che noi predi-
chiamo con le parole.
Sappiamo che le parole commuovono e che la commozione dura
appena alcuni istanti, gli esempi trascinano e rendono le persone ca-

114
paci di assumere atteggiamenti concreti in favore della vita e del bene
comune.
Molte persone parlano e insegnano senza aver provato quello che
annunciano; prima di insegnare, dobbiamo noi stessi sperimentare.
Solo cos il nostro insegnamento sar arricchito della testimonianza di
chi vive quello che predica e sar anche meglio assimilato, perch
trasmesso con lautorit della testimonianza di vita, come faceva
Ges.

Educazione dinamica e trasformatrice


La nostra educazione deve essere una educazione basata
sullamore e orientata verso lamore.
I bambini e gli adolescenti potranno dimenticarsi tutto, ma non
dimenticheranno mai i gesti di amore con cui li abbiamo circondati.
Dobbiamo far loro capire che la vita ha dei limiti, ma non lo possiamo
fare usando gesti di imposizione che umiliano; al contrario, anche
nelle nei castighi, far loro capire che per il loro bene che li stiamo
correggendo.
Leducazione deve saper formare e aprire orizzonti per la vita
presente e futura di ogni persona, per questo deve essere adattata alle
necessit individuali di ognuno e accompagnare levoluzione della
societ, nella situazione concreta in cui si vive, senza perdere di vista
il mondo nel suo complesso.

Sono del parere che leggendo gli scritti di don Calabria, potremmo
scoprire molte altre attitudini etiche da vivere nel nostro servizio di
promozione umana, in conformit alla maniera di vedere e di
percepire le cose e a viverle concretamente secondo lesperienza di
ognuno.
Quanto ho esposto, vuole illuminarci e darci nuove piste per il
nostro agire nella promozione umana e incoraggiarci a continuare
nella ricerca della Parola di Dio, nei documenti della Chiesa e in altri
autori che si dedicano a questa causa, nellevangelizzazione.

115
Questo scritto ha voluto esporci i principi teologici della promo-
zione umana daccordo con il pensiero etico-sociale di don Calabria e
suggerirci alcuni atteggiamenti etici illuminati da questo pensiero.
Sono del parere che abbiamo elementi sufficienti per porre fonda-
menta e agire in questo campo senza tentennamenti, poich un uomo
che si santificato in vita ed stato riconosciuto e canonizzato dalla
Chiesa, ha molto da dirci e pu sicuramente indicarci il cammino per
la promozione di tutti gli uomini.
Concludendo questo lavoro vogliamo far conoscere limpatto di
questo Santo nella societ e nella Chiesa e suggerire atteggiamenti
possibili e capaci di testimoniare la forza trasformatrice del Vangelo
vissuto nella pratica dei nostri giorni.

Conclusione
Questi atteggiamenti sono una sintesi di quelli che San Giovanni
Calabria ha vissuto negli anni che Dio gli ha concesso qui in terra.
Crediamo che la sua Opera debba continuare, vivendo e attuando
questo suo spirito, per ravvivare nel mondo la fede e la fiducia in Dio
Padre-Madre, che ama tutti i suoi figli e figlie senza fare eccezioni. La
presenza dellOpera di Dio deve realizzarsi in modo dinamico
sviluppandosi in tre dimensioni che si intrecciano e si completano a
vicenda:

1. nella dimensione vocazionale, per mezzo di unopera formativa e


di orientamento, che prepari i futuri lavoratori della messe con
solidit e con una continua attualizzazione di chi impegnato in
questa azione, come base per avere una continuit nelle altre opere
lungo i tempi;
2. nella dimensione pastorale, con unazione che sia al servizio
dellevangelizzazione e della formazione del popolo di Dio, gui-
dandolo verso la costruzione di un nuovo cielo e di una nuova
terra, cercando il Regno di Dio e la sua giustizia;
3. nella dimensione sociale, con opere capaci di dare testimonianza
della nostra fede e della nostra predicazione, per la promozione

116
integrale degli uomini in cerca di una vita degna di figli e figlie di
Dio.

Non dobbiamo avere la pretesa di risolvere tutti i problemi della


societ ma possiamo, con la nostra opera, essere luce e fari che illu-
minano e orientano i semplici cittadini e tutti coloro che esercitano
responsabilit nelle nostre nazioni, affinch assumano ognuno la
propria responsabilit nella costruzione di un mondo pi giusto e
fraterno. La presenza di una luce di questo tipo in ogni Paese deve
essere la meta da perseguire per illuminare la Chiesa e la societ che
vuole umanizzare il nostro universo.
Per essere pi concreti vorremmo citare alcune attivit che devono
essere prioritarie, in questi tempi, nelle realt in cui siamo presenti e
attivi:

case che accolgano bambini e adolescenti in situazione di ri-


schio;
asili nido per bambini abbandonati;
case di accoglienza per vecchi che vivono sulla strada;
attivit missionarie che si preoccupino degli impoveriti di
altre regioni del paese o del mondo;
case che accolgano e formino bambini o adulti con speciali
necessit fisiche o mentali;
centri di orientamento vocazionale per giovani a adulti che
vogliano servire Dio nella Chiesa o nella societ;
scuole di formazione scolastica e professionale per giovani
poveri, per metterli in condizione di affrontare la vita con di-
gnit;
attivit socio-educative per giovani e adulti con disturbi di
comportamento;
attivit musicali, sportive e ricreative per aiutare i bambini e
gli adolescenti a scoprire i loro doni e ad avere una sviluppo
libero e salutare;

117
centri di spiritualit che aiutino le persone a vivere una mistica
impegnata in unazione liberatrice;
ospedali e programmi preventivi di salute, per venire incontro
ai poveri e agli esclusi dai servizi pubblici a causa di interessi
politici e economici;
case di riposo per anziani e per persone con problemi depres-
sivi o di stanchezza;
case di riposo e di ricreazione per venire incontro a chi si de-
dica allarduo lavoro della promozione umana;
luoghi o momenti di incontri ecumenici, aperti a tutte le reli-
gioni che di buona volont ricerchino Dio;
attivit di prevenzione alluso di droghe e per accogliere chi
voglia abbandonare il vizio;
case di accoglienza per bambini con problemi familiari;
attivit in favore dei carcerati e di sostegno per ex carcerati;
attivit pastorali in luoghi dove umanamente non c niente da
sperare;
attivit extra classe per occupare in forma salutare il tempo
libero dei bambini e degli adolescenti;
attivit con bambini e bambine di strada;
attenzione ai malati di lebbra e impegno nella salute pubblica
locale;
assistenza ai mutilati di guerra e a tutte le forme di violenza
subita;
appoggio e assistenza ai portatori di HIV, ai loro figli e fa-
miliari;
case di accoglienza e di sostegno per le vittime di incidenti e
catastrofi;
accoglienza e sostegno a sacerdoti e religiosi con difficolt
personali.

Queste sono luci che brillano nel mondo, alimentate dalla Divina
Provvidenza, che chiam un umile sacerdote di Verona, in Italia, per
cominciare ad accenderle e che continua chiamando altre persone,
uomini e donne di buona volont, ad accendere altre luci che illumino

118
la societ doggi, portando avanti lazione di Ges Cristo sotto la
guida dello Spirito Santo.

119
De precibus privatis in usum laicorum
C. S. Lewis: dal carteggio con don Calabria alle Letters to
Malcom225

Luciano Squizzato226

Talvolta difficile credere che Clive Staples Lewis sia ununica


persona e non invece un gruppo di svariati scrittori di talento che
usavano lo pseudonimo C.S. Lewis, visti i diversi soggetti che ha
trattato e la quantit delle opere pubblicate. Lewis era un giovane in-
segnante a Oxford nel 1930 quando si convert dallateismo al cri-
stianesimo. Nei successivi 33 anni Lewis pose i suoi numerosi talenti
al servizio del cristianesimo, diventandone uno dei pi famosi espo-
nenti del secolo XX.227
Lewis e don Calabria probabilmente avranno sorriso dal cielo
quando un ampio stralcio di unopera dello scrittore irlandese forse
inavvertitamente stata citata in un catechismo cattolico. Quando i
Vescovi olandesi nel 1966 pubblicarono il Nuovo Catechismo Olan-
dese, hanno citato una delle pagine iniziali di A Grief Observed, che
Lewis pubblic nel 1961 con lo pseudonimo di N. W. Clerk.228 Forse

225
Relazione tenuta in occasione dellincontro Clive Staples Lewis: da Oxford a
Verona, tra Tolkien e S. Giovanni Calabria (San Zeno in Monte, Verona, 13
aprile 2002).
226
Sacerdote Povero Servo della Divina Provvidenza.
227
Lewis ha probabilmente compiuto tutto quanto poteva realizzare come scrittore
moderno per rendere Dio credibile, tanto nella sua narrativa quanto nei suoi
sermoni (W. HOOPER, Introduction, in C. S. LEWIS, The Weight of Glory and
Other Addresses, Edited and with an introduction by W. Hooper, Touchstone
(Simon & Schuster), New York, 1996, p. 19.) La traduzione di questo e altri testi
qui citati dellautore della presente Relazione (quando non diversamente
indicato).
228
Il Nuovo Catechismo Olandese. Annuncio della fede agli uomini doggi. Con la
Dichiarazione della Commissione Cardinalizia del 15 ottobre 1968 e il
Supplemento al Nuovo Catechismo, traduzione di A. MANZINO, L. VAN

120
fu un atto di ecumenismo involontario; in ogni caso il segno che don
Calabria aveva visto giusto quando aveva definito Lewis uomo colto
e retto, che prega e lavora per lunione di tutti i cristiani.229
Don Calabria scrisse che Lewis fu un uomo di preghiera. Basta
leggere il loro epistolario per accorgersi quanto questa affermazione
fosse vera.

In Sorpreso dalla gioia (XV) Lewis scrisse: Come divenni un


teista cominciai a frequentare la mia chiesa parrocchiale e la cappella

WASSENAER-CROCINI, A. PRONZATO, Elle Di Ci, Torino-Leumann, 1971. Ecco il


testo citato: Ad ogni modo, di una cosa sono debitore al matrimonio. Non posso
pi credere che la religione scaturisca dai nostri inconsci desideri insoddisfatti e
che sostituisca listinto sessuale. In quei pochi anni, H. ed io abbiamo goduto
lamore come una festa. In tutti i modi: solenne e gioioso, romantico e realistico,
drammatico, certe volte come un temporale. Quieto, altre volte, e silenzioso,
come un calzar pantofole. Nessun recesso del cuore e del corpo rimasto
insoddisfatto. Se Dio fosse un surrogato dellamore, noi avremmo perduto
qualsiasi interesse per Lui. Chi mai si preoccupa di cercare un surrogato quando
possiede il prodotto genuino? E proprio questo non avveniva. Eravamo entrambi
coscienti che oltre ad aver bisogno luno dellaltro avevamo bisogno anche di
qualcosaltro, totalmente diverso, unesigenza di tuttaltro genere. Sarebbe come
dire che fintanto che due persone si amano non hanno pi bisogno n di leggere,
n di mangiare, n di respirare.
Ed ecco il testo originale inglese: One thing, however, marriage has done for
me. I can never again believe that religion is manufactured out of our
unconscious, starved desires and is a substitute for sex. For those few years H.
and I feasted on love, every mode of it solemn and merry, romantic and
realistic, sometimes as dramatic as a thunderstorm, sometimes as comfortable
and unemphatic as putting on your soft slippers. No cranny of heart or body
remained unsatisfied. If God were a substitute for love we ought to have lost all
interest in Him. Whod bother about substitutes when he has the thing itself? But
that isnt what happens. We both knew we wanted something besides one
another quite a different kind of something, a quite different kind of want. You
might as well say that when lovers have one another they will never want to read,
or eat or breathe. (C. S. LEWIS, A Grief Observed, Afterword by C. Walsh,
Bantam Books, New York, 1976, pp. 6-7).
229
G. CALABRIA C. S. LEWIS, Una gioia insolita. Lettere tra un prete cattolico e un
laico anglicano, introduzione e note di L. SQUIZZATO, traduzione di P. MORELLI,
Jaka Book, Milano, 1995, nota 122, p. 180.

121
del mio College nei giorni feriali. Adam Fox, per diversi anni il
Dean del Magdalen College, scrisse in At the Breakfast Table di
come Lewis frequentasse regolarmente la cappella del College. E
Richard Ladborough scrive nel suo In Cambridge che la cappella
era il centro della sua vita al College. Egli partecipava
230
quotidianamente alla preghiera delle otto del mattino.

Berlicche definiva la preghiera the painful subject of prayer, il


doloroso argomento della preghiera (Letter IV).231 E continuava: La
cosa migliore, per quanto possibile, quella di tenere il paziente
lontano da qualsiasi seria intenzione di pregare. 232 Ma lultima,
splendida opera, che pu essere considerata alla pari delle Lettere di
Berlicche una delle pi significative di Lewis, proprio un libro sulla
preghiera: Letters to Malcom. Chiefly on Prayer. Fu lultimo libro
scritto da Lewis, terminato circa sei mesi prima della sua morte e
uscito postumo nel 1964.
Lepistolario latino tra don Calabria e C. S. Lewis una delle
maggiori fonti di informazione sulla genesi delle Letters to Malcom. Il
primo accenno di cui siamo in possesso su questo libro proprio una
lettera di Lewis a don Calabria del 6 gennaio 1953:

Chiedo le sue preghiere per il lavoro che ora ho per le mani, mentre
233
tento di comporre un libretto di preghiere individuali ad uso dei
laici, soprattutto di coloro che si sono convertiti da poco al Cristia-
nesimo e sono ancora privi perci di una lunga e consolidata abitu-
dine alla preghiera. Ho affrontato questa fatica perch vedevo che
sono stati scritti su questo argomento molti libri certo bellissimi per i
religiosi, ma pochi che istruiscono quelli che sono principianti e
ancora (per cos dire) bambini nella fede.

230
W. HOOPER, C. S. Lewis, Companion & Guide, Harper San Francisco, New York,
1996, pp. 357-358.
231
C. S. LEWIS, The Screwtape Letters with Screwtape proposes a Toast. Revised
Edition, Collins Macmillan, New York, 1982, p. 19.
232
ID., pp. 19-20.
233
Penso la traduzione migliore sia, visto il contesto: sulla preghiera personale,
invece che quanto proposto: di preghiere individuali.

122
Incontro molte difficolt e non so con certezza se il Signore voglia
che io porti a termine questopera o no. Preghi, padre mio, affinch
non persista, per troppa audacia, in una cosa che non mi permessa
o, per eccessiva pusillanimit, non desista da ci che devo fare; sono
puniti allo stesso modo, infatti, sia colui che ha toccato larca senza
incarico, sia colui che, una volta posta mano allaratro, si volge
234
indietro.

Scriveva Lewis in una lettera a Malcom:

Non ho mai trovato un libro sulla preghiera che fosse di una qual-
che utilit a gente come noi. [] Ci sono libri sulla preghiera, ma la
stragrande maggioranza hanno il convento come retroterra. [] Tu e
io siamo genti delle valli [] io non sono uno scalatore. [] Ma sa
se bene ci sia un estremo bisogno di un libro sulla preghiera, non ci
235
prover mai a scriverlo.

Il 14 gennaio 1953 Lewis scrive a don Calabria sottoponendogli


un problema riguardante la preghiera di Ges nel Gethsemani (Lettera
25). E il 17 marzo 1953 Lewis informa don Calabria:

Continuo a lavorare intorno al libro sulla preghiera. Riguardo al


problema che le ho sottoposto vado interrogando tutti i teologi: fi-
236
nora invano (Lettera 26).

Tuttavia, il 15 febbraio 1954 dobbiamo registrare una battuta


darresto. Lewis scrisse a Sister Penelope:

Devo abbandonare il libro sulla preghiera; chiaramente non la-


237
voro per me.

234
G. CALABRIA C. S. LEWIS, Una gioia insolita. Lettere tra un prete cattolico e un
laico anglicano, op. cit., Lettera 23, p. 177.
235
C. S. LEWIS, Prayer: Letters To Malcom, Collins Fontana, 1986, (Letter XII),
pp. 65-66. Il titolo originale: Letters To Malcom: Chiefly on Prayer, pubblicato
inizialmente da Geoffrey Bless (London 1964), stato modificato dalleditore in
questa edizione tascabile.
236
G. CALABRIA C. S. LEWIS, Una gioia, cit., p. 191.

123
Questa interruzione dur nove anni.
Non sappiamo cosa abbia bloccato Lewis, ma possiamo ipotizzare
che fossero alcuni problemi concernenti la preghiera che rimanevano
senza una adeguata risposta. Non a caso il problema che Lewis
sottopose a don Calabria nel gennaio del 1953 lo risottopose alla
Oxford Clerical Society nel dicembre dello stesso anno. Probabil-
mente, la mancanza di una soddisfacente risposta da parte di esperti
consultati a questo riguardo, pu averlo indotto a pensare di aver osato
troppo. La stesura laboriosa delle Letters to Malcom documentata
anche da qualche pagina manoscritta superstite. Generalmente Lewis
scriveva un libro di getto con pochissime correzioni, ma nel caso della
prima stesura delle Letters to Malcom Lewis scrisse, riscrisse e
corresse numerose volte.238
Le Letters to Malcom furono riprese e quasi scritte di getto nella
primavera del 1963, tra marzo e aprile. Ci che lo aveva sbloccato era
stata forse lidea di scrivere un libro sulla preghiera usando lo stile
epistolare che gi era stato un collaudato successo con le Lettere di
Berlicche.239 Lo stile epistolare permetteva a Lewis di evitare il tono

237
W. HOOPER, C. S. Lewis, cit., p. 378. Lamicizia tra Lewis e questa suora
anglicana un interessantissimo capitolo nella vita di Lewis. Egli la considerava
sorella maggiore nella fede. Tutto inizi con una lettera che suor Penelope
scrisse a Lewis in occasione di Out of the Silent Planet (1939). Nel 1941 Lewis le
consegn il manoscritto delle Screwtape Letters pregandola di custodirlo e in
seguito insistette perch suor Penelope lo vendesse per ricavare fondi per il
convento. Perelandra dedicato To some Ladies at Wantage, ossia le suore
della comunit di suor Penelope, risiedenti a Wantage.
238
Come al solito, io ho dozzine di progetti su libri da scrivere, ma non so quali
tra questi, se mai, saranno realizzati. Molto spesso un mio libro viene scritto
quando sto ripulendo un cassetto e mi imbatto in alcuni appunti per un progetto di
libro da me abbandonato anni addietro e che adesso repentinamente capisco che,
dopo tutto, lo posso scrivere. (C. S. LEWIS, Letters to Children, Edited by L. W.
DORSETT AND M. LAMP MEAD, Foreword by D. Gresham, Touchstone (Simon &
Schuster), New York, 1995, p. 95).
239
Sicuramente influirono fortemente su Lewis anche i due volumi di ROSE
MACAULAY, Letters to a Friend: 1950-1952, Collins, London, 1961 e Last
Letters to a Friend, idem, 1962; il primo pi volte citato nelle Letters to Malcom.

124
cattedratico e gli dava il modo di affrontare la tematica con la sua
proverbiale disinvoltura.240 Il 22 aprile 1963 Lewis poteva scrivere a
Mary Willis Shelburne:

Ho terminato un libro sulla preghiera. Non so se potr servire a


241
qualcosa di buono.

Le Letters to Malcom sono 22 epistole scritte a un immaginario


amico chiamato appunto Malcom, che ha una moglie chiamata Betty e
un figlio chiamato George. Le lettere sembrano cos genuinamente
autentiche che ci fu anche chi indag sullidentit di Malcom non
credendolo una creazione letteraria.
Attualmente le Letters to Malcom vengono considerate una tra le
migliori opere di Lewis. Tuttavia non mancarono le critiche. Quando
usc postumo, J. R. R. Tolkien disse che le lettere non erano sulla
preghiera, ma su come Lewis pregava.242 Indubbiamente Tolkien ha

Rose Macaulay (1881-1958) fu una figura di spicco della letteratura inglese nel
periodo tra le due guerre mondiali. La sua opera pi famosa il romanzo The
Towers of Trebizond (1956). Notevole anche il volume postumo Letters to a
Friend, che contiene la sua corrispondenza con il pastore anglicano Hamilton
Johnson, e che descrive il ritorno della scrittrice alla Chiesa Anglicana.
240
Nota bene Luigi Santucci che Lewis un teologo solenne e rigoroso, che salza
in volo anche se limpasto della scrittura rimane sempre spiritoso (L. SANTUCCI,
Introduzione, in: C. S. LEWIS, Le lettere di Berlicche, traduzione di A. CASTELLI,
introduzione di L. SANTUCCI, Mondatori, Milano, 1989, p. X).
241
W. HOOPER, C. S. Lewis, cit., p. 380.
242
A. N. WILSON C. S. LEWIS, A Biography, Fawcett Columbine, New York, 1991,
p. xvii. Questo quanto scrisse J. R. R. Tolkien sul risvolto di copertina della sua
copia delle Letters To Malcom: [Il libro] non sulla preghiera ma su come
Lewis prega. Ma lintero libro sempre interessante. Perch? Perch su Jack [il
nome con cui gli intimi chiamavano Lewis], fatto da Jack, e questo un
argomento che nessuno che lha conosciuto davvero bene non possa non trovare
interessante persino quando esasperante. Il libro infatti interamente
egocentrico, e con questo io non voglio dire che C. S. L. adorava se stesso o era
un uomo orgoglioso o vanitoso, che sovrastimava il suo valore o la sua saggezza.
Ci che voglio dire quando si entra nel campo dellautobiografia, di qualsiasi
tipo, non si pu non trovare C. S. L. un argomento affascinante.

125
ragione se consideriamo le Letters to Malcom un libro alla stregua
dellIntroduzione alla vita devota di S. Francesco di Sales o degli
Esercizi Spirituali di S. Ignazio da Loyola, autori dei quali Lewis di-
scute nelle Letters.243 Probabilmente ci che Tolkien trovava ecces-
sivo in Lewis era il fatto che un semplice laico salisse sulla cattedra ad
insegnare come si deve pregare. In ogni caso questo non era
lobiettivo di Lewis , che si era proposto di scrivere alcune lettere sulla
preghiera e alcune sue difficolt, basandosi sul presupposto che my
experience is the same as yours (Letter XII), la mia esperienza la
stessa della vostra. Il punto di partenza di Lewis quello di un
credente che convinto dellimportanza della preghiera nella sua vita
e nella vita di ogni cristiano. Lewis cerca di condividere alcuni suoi
punti di vista come anche alcune sue difficolt concernenti
lorazione.244
Lewis conscio delle difficolt che si possono incontrare nel
pretendere di voler scrivere sulla preghiera.

Nessun altra creatura identica a me; nessun altra situazione


identica alla mia. E per giunta io stesso e la mia situazione siamo in
245
continuo cambiamento (Letter II).

Le Letters to Malcom possono essere considerate una piccola


summa del pensiero liturgico-spirituale di Lewis. Cercher di con-
densarne brevemente alcuni tratti.

Sulla liturgia e sui suoi cambiamenti cos si esprime Lewis:

243
Cfr. Letter XV e XVI.
244
Lapproccio di Lewis alla preghiera personale di tipo molto pratico. radicato
nella sua personale esperienza di preghiera e di quanti lo consultavano a questo
riguardo. (C. S. Lewis, in C. J. HEALEY S. J., Modern Spiritual Writers. Their
Legacies of Prayer, St. Paul Publications, Makati Philippines, 1991, p. 82).
245
C. S. LEWIS, Prayer, cit., p. 13.

126
Ogni servizio liturgico una struttura di atti e parole attraverso i
quali noi riceviamo un sacramento, ci pentiamo, o supplichiamo, o
adoriamo. [] Il perfetto servizio liturgico avviene quando noi
siamo quasi inconsapevoli della liturgia; la nostra attenzione tutta
presa in Dio. Ma ogni novit contro questo. Essa fissa la nostra
attenzione sulla celebrazione in se stessa; e pensare alla celebrazione
ben differente cosa dalladorare. [] Se abbiamo una liturgia in
lingua locale, abbiamo necessariamente una liturgia che cambia []
Lidea dellinglese senza tempo solo un controsenso. Nessun
linguaggio parlato pu essere senza tempo. Sarebbe come pretendere
che lacqua di un fiume cessasse di scorrere. Penso che la cosa
migliore sarebbe, per quanto possibile, che i cambiamenti che sono
necessari avvengano gradualmente e (per la maggior parte della
gente) inavvertitamente; qualcosina qui, qualcosaltro l; una parola
246
antiquata sostituita nel corso di un secolo.

Sulla comunione Lewis ha idee molto chiare a riguardo della pre-


senza reale di Cristo:

Il comando, per dirsela chiara, stato Prendete, mangiate: e non:


Prendete, capite. In maniera particolare, io spero di non essere
tormentato dalla domanda Che cos questo? questo pezzo di
pane, questo sorso di vino. Ci ha in me un pauroso effetto. Questo
modo di pensare mi porta a prendere questo [pane e vino] fuori dal
loro santo contesto e di considerarli come oggetti tra altri oggetti,
247
come cose che appartengono al mondo della natura.
Le Letters To Malcom rivelano come Lewis sia molto vicino alle
posizioni della dottrina cattolica da un lato, mentre dallaltro scopra

246
Ivi, (Letter I), pp. 6-8, passim.
247
Ivi, (Letter XIX), pp. 106-107. Ci che disgustava Lewis a proposito di alcune
dottrine cristiane erano i condimenti troppo elaborati ed elegantemente serviti,
come ad esempio la transustanziazione o la consustanziazione a riguardo
dellEucaristia. [] Secondo lui leccesso di definizioni pu distogliere o
persino distruggere il contenuto fondante di una dottrina. Ed egli notava con
disgusto lo spargimento di sangue nella cucina dove teologi con ricette opposte si
erano contrapposti lun laltro per secoli (W. GRIFFIN, Foreword, in: C. S.
Lewis: The Joyful Christian. 127 Readings, Touchstone (Simon & Schuster),
New York, 1996, p. xiii).

127
anche tutti i suoi pregiudizi di protestante. Emblematiche, a questo
riguardo, sono le sue posizioni sul Purgatorio e sul culto dei santi. I
fratelli protestanti ritengono biblicamente infondata la fede cattolica
nel Purgatorio.. con piacevole sorpresa che il lettore cattolico tro-
ver nella Letter XX una appassionata difesa della dottrina del Pur-
gatorio. Daltro canto, nella Letter III, mentre Lewis non riprova il
culto dei santi anzi ne ammette la fondatezza teologica tuttavia
scrive:

Per quanto mi riguarda, io non penso di adottare la pratica [della


venerazione di santi]; e chi sono io per giudicare le pratiche religiose
degli altri? Spero solo che non ci sia alcun progetto dintrodurre la
248
pratica della canonizzazione nella Chiesa dInghilterra.

Poi, ecco spuntare la sua capacit di lavorare per lunione di tutti i


cristiani, come disse di lui don Calabria:

Ci che consola che mentre la Cristianit divisa sulla ragione-


volezza, e persino sulla liceit di pregare i santi, tutti noi concor-
249
diamo nel pregare con loro.

Il 14 gennaio 1953 Lewis sottopone a don Calabria un problema


riguardante la preghiera di petizione:

La ringrazio di tutto cuore per aver voluto con tanta carit pregare e
meditare per il libretto che mi sono proposto di scrivere. Considero il
suo parere come un segno. E ora, carissimo , ascolti una difficolt
sulla quale sono molto perplesso. Sembra che nel Nuovo Testamento
siano presentati due tipi di preghiera che non facile conciliare tra
loro. Luno la preghiera stessa del Signore nellorto del
Gethsemani (se possibile per non ci che io voglio ma la tua
volont). Laltro in Mc 11,24: tutto quello che domanderete
credendo che lo riceverete, lo otterrete. (E osservi che dove la ver-
sione latina ha accipietis ( riceverete), e la nostra lingua ha si-

248
Ivi, (Letter XX), p. 17.
249
Ibidem.

128
milmente il tempo futuro shall receive (riceverete), il testo greco
ha il tempo aoristo elbete, avete ricevuto, cosa che complica
enormemente la faccenda.
Ecco la questione: come pu un uomo al tempo stesso sia credere
fermamente esaudito, sia sottomettersi alla volont di Dio che forse
gli nega lesaudimento? Come pu dire nello stesso tempo: credo
fermamente che mi darai questo e se me lo negherai sia fatta la tua
volont? Come pu un solo atto della mente sia escludere sia
accettare il possibile rifiuto? Trovo che nessuno studioso si occu-
pato di questa cosa.
Noti bene: non mi fa nessuna difficolt il fatto che Dio talvolta non
voglia esaudire quello che gli chiedono i fedeli. logico, poich Egli
sapiente e noi stolti. Ma perch in Mc 11,24 promette di esaudire
tutto ci (quid quid) che con piena fede gli chiediamo? Ambedue
sono parola del Signore, ambedue tra le cose da credersi. Che debbo
250
fare?.

Lewis sottopose questo stesso problema ancora irrisolto a quasi un


anno di distanza alla Oxford Clerical Society:

Il mio problema viene da una constatazione e una soltanto; la con-


statazione che linsegnamento cristiano sembra a prima vista conte-
nere due differenti percorsi per la preghiera di petizione che sono
inconsistenti [] nel senso che nessuna persona, mi sembra, pu
251
seguirli entrambi nello stesso tempo.

Nelle Letters to Malcom Lewis rifocalizza il problema nella


promessa fatta nel Nuovo Testamento che qualunque cosa chiederemo
con fede la otterremo, come scritto in Mc 11,24. Lewis si chiede
come questa promessa possa conciliarsi con: a) levidenza che non
tutte le richieste sono esaudite; b) il fatto che si deve chiedere ogni
cosa con la riserva del se lo vuoi, seguendo lesempio di Ges nel
Gethsemani. Se una persona suppone possibile rifiuto, come pu
250
G. CALABRIA C. S. LEWIS, Una gioia, cit., (Lettera 25), pp. 184-187.
251
C. S. LEWIS, Petitionary Prayer: A Problem Without An Answer, in: Id.,
Christian Reflections, edited by W. HOOPER, HarperCollins, London, 1991, pp.
180-181.

129
avere contemporaneamente una perfetta confidenza che quanto chiede
non gli sar rifiutato?
Lewis propone alcune soluzioni a questo problema. In primo
luogo egli conclude che tali promesse sulla preghiera fatta con fede si
riferiscono ad un livello di fede che la maggior parte dei credenti non
raggiunge. Lewis spera che un ben pi inferiore livello di fede
accetto a Dio, persino quel livello di fede che dice aiuta la mia in-
credulit pu operare miracoli.
In secondo luogo Lewis fa la distinzione tra la preghiera del ri-
chiedente e quella del servo, chiedendosi anche perch mai la fede
presente nella preghiera dellamico o del servo sia saltuaria e non co-
stante. Secondo Lewis questo tipo di fede quella della preghiera
dellamico, presente solo quando colui che prega si trasforma, fa di
se stesso, il collaboratore di Dio, il compagno di lavoro, e chiede
quanto necessario per il lavoro da compiere assieme. Questa la pre-
ghiera dellapostolo, del profeta, del missionario, di chi cura le ma-
lattie.
Secondo Lewis la maggior parte di noi prega invece con il livello
di fede del richiedente:
la nostra battaglia non cos? raggiungere e mantenere la fede
a un livello pi basso. Credere che, sia che Lui ci esaudisca o no, Dio
ascolter le nostre preghiere le terr in considerazione. Persino
continuare a credere che c davvero un Ascoltatore. Perch quando
la situazione diventa pi disperata, si insinua la nebbia della paura.
Stiamo solo parlando a noi stessi in un vuoto universo? A volte il
silenzio cos rimarcato. E noi abbiamo gi pregato fin troppo
252
(Letter XI).

Non c dubbio che Lewis abbia dato il suo contributo alla rifles-
sione sulla preghiera applicandovi il grande dono della sua mente
brillante e logica. Poche persone possono sorpassare la chiarezza del
suo pensiero e la sua capacit di concentrare un gran numero di in-
formazioni in poche parole. Lewis non ha mai detto o scritto di aver
fatto qualcosa di originale e unico nel campo della preghiera e, tutta-

252
C. S. LEWIS, Prayer, cit., p. 64.

130
via, mai Lewis stato cos originale come in questopera postuma. La
sua originalit risiede nella semplicit e nella freschezza del suo
approccio al tema della preghiera e nel delinearne caratteristiche e
problemi.
Volendo sintetizzare il pensiero di Lewis sulla preghiera possiamo
dire che possiamo parlare con Dio, rivolgerci a Lui come ad una
persona. Come diceva il Curato dArs: il modo migliore di in-
trattenersi con Dio di parlargli come se fosse un uomo. In fondo, la
preghiera profondamente cristiana finisce sempre per riscoprire il
valore di questa verit: ci che in tutto il mondo ci viene incontro
come un formidabile presentimento, nella sua pi intima profondit
non qualcosa ma Qualcuno... E questo Qualcuno noi crediamo si
pu riconoscere solo nel cuore aperto di Ges di Nazareth, Figlio
Unigenito di Dio.
Vorrei concludere con due strofe di una poesia di Lewis sulla
preghiera, un perdersi nellUnico eterno:

Poi, vedendomi vuoto, Tu dimentichi


Il ruolo di ascoltatore e attraverso
Le mie labbra mute aliti e risvegli
Pensieri a me prima sconosciuti.

E allora tu non hai pi bisogno di risposta


N lo vuoi; allora, mentre sembriamo
Due interlocutori, tu sei lUnico eterno e io
253
Non il sognatore, ma il tuo sogno.

Meditazioni

253
Ivi, p. 70. Cerca Cristo e lo troverai e con Lui tutto il resto ti sar dato in
sovrappi (C. S. LEWIS, Mere Christianity. Comprising The Case for
Christianity, Christian Behaviour and Beyond Personality, Touchstone (Simon
& Schuster), New York, 1996, p. 191).

131
Omelia per la festa di San Giovanni Calabria
Mons. Arduino Bertoldo254

Saluto con grande affetto il Superiore Generale, don Waldemar


Jos Longo, e gli esprimo la mia riconoscenza per linvito a questa
solenne concelebrazione, in occasione della festa liturgica di S. Gio-
vanni Calabria.
Saluto cordialmente anche tutti i religiosi e le religiose delle
Congregazioni di don Calabria, verso i quali ho sempre un gran debito
di riconoscenza e un profondo senso dappartenenza. E saluto tutti voi,
alunni ed ex alunni dellOpera don Calabria, insieme a tutti i fedeli qui
presenti.
questo un gran momento di preghiera e di riconoscenza a Dio,
perch voglia con la sua grazia, mantenere e accrescere in noi i doni
del suo amore che, attraverso lopera prima e poi lintercessione di san
Giovanni Calabria, ci ha concesso.

Fede nella paternit di Dio


dovere di noi tutti approfondire sempre meglio la nostra ap-
partenenza alla fede in Dio, che si esprime, in modo peculiare per i
devoti di san Giovanni Calabria, nella fiducia nella paternit di Dio e
nella divina Provvidenza.
Il concetto di paternit di Dio e della divina Provvidenza ci porta
dritto dentro, per dire cos, il DNA della nostra esistenza di figli di don
Calabria.
La scoperta di don Calabria, il suo nuovo modo di annunciare il
Vangelo proprio questo: la scoperta di Dio come Padre, comegli
ebbe a dire nel 1949.

254
S. E. rev.ma vescovo di Foligno.

132
Voglio dirvi, miei cari fratelli, che la fede vera e genuina considera
Dio non solo come Creatore e Signore, ma soprattutto come Padre.
Fede quindi nella paternit di Dio e perci fiducia illimitata, filiale
abbandono alla divina Provvidenza, che caratteristica tutta propria
della nostra Opera....

Intuizione semplice e profonda che riempie il cuore di gioia,


come del resto semplicit e gioia tutto il Vangelo, questo
dono-carisma che fondamento speciale dellOpera.
Il Querite primum, sintesi breve dello spirito calabriano, che il
Padre ripeteva con tanta frequenza, la condizione necessaria per
una profonda esperienza di Dio ed la vera garanzia
dellobbedienza dellOpera al disegno di Dio su essa e la sicurezza
di rispondere alle vere esigenze degli uomini che incontra. Non c,
infatti, altra risposta efficace ai bisogni degli uomini del nostro
tempo, se non quella della scoperta della paternit di Dio.

Regola di vita
Per ognuno che voglia conoscere e amare Dio secondo lo spirito
del Padre necessario vivere il Vangelo, anzi, comegli spesso
ripeteva, lo Spirito puro del Vangelo. Non si fermer qui,
tuttavia, il metodo del Padre per condurre alla vita evangelica.
Dopo una notte insonne, passata tutta nella lettura senza interru-
zioni del Vangelo e degli Atti degli Apostoli, una di quelle notti di
straordinaria intimit con Dio, nella quale Dio si svela a tu per tu
con lanima del fedele discepolo e lo riempie di luce sfolgorante
rendendolo certo di una distinta chiamata a una missione grande, a
una scoperta evangelica, destinata a orientargli in modo diverso
la vita, san Giovanni Calabria affermer che non basta vivere il
Vangelo, ma che necessario essere Vangeli viventi.
Esser pagine di Vangelo, coordinate e coerenti, fedeli alla
Parola rivelata, somiglianti allimmagine del Volto del Padre, che
traspare dal Volto di Cristo, la missione affidata ai figli di don
Calabria. E questa la missione che salver il mondo.

133
Il concetto di paternit oggi ha perso mordente
Oggi pi che mai, tuttavia, il concetto di paternit usurato e ha
perso di molto il suo significato pedagogico. Pi che sentimenti di
consapevole paternit, il padre moderno cerca rapporti damicizia col
figlio, relazioni collaterali, pi che di vera responsabilit educativa.
Daltra parte il figlio guarda al padre come a persona indisponente e
limitante la propria libert. Figura vecchia il padre, termine di con-
fronto che per meritata inadeguatezza diventato inutile se non, per
certi versi, addirittura dannoso.
In tale sfavorevole deprezzamento della figura del padre naturale,
in quale modo si potr rinvigorire il concetto della paternit di Dio? Io
credo, con il nostro convinto ritorno allo Spirito del Vangelo.
Mi pare sia qui la novit dellintuizione del Padre don Calabria.
Illuminato dalla grazia del Signore, che lha introdotto con mano
forte a capire e condividere con profonda convinzione la cosa
grande, vale a dire i paradossi del Vangelo ricevuti come sistema di
vita, il Padre fa la sua scelta definitiva, con determinazione ed entu-
siasmo, fidandosi della presenza forte del Dio del Vangelo, che gli
si rivela come Padre e Provvidenza.

Nuovo Francesco dAssisi


Il Padre don Calabria aveva capito che per vincere le resistenze
sempre risorgenti delluomo, si doveva, egli per primo, abbandonare
fiducioso e lieto a questo Dio Padre, buttando dietro le spalle ogni
terrena preoccupazione e confidando fortiter et suaviter nella di-
vina Provvidenza.
Come san Francesco dAssisi, giullare di Dio, fu tanto innamorato del
Signore Iddio da sentirlo prepotentemente vivo dentro di s e non ci fu
sofferenza o croce o malattia o morte che potesse spegnergli dentro la gioia
fulgida e serena della inabitazione del suo Signore, cos da rivelare un
aspetto nuovo e bello del Vangelo, dando in questo modo anche radicalit
e gioia profonda al rinnovamento della Chiesa del suo tempo, allo stesso
modo don Calabria col suo totale abbandono fiducioso al Padre rinnova la

134
Chiesa del nostro tempo e segna la strada per un sincero ritorno delluomo
a Dio.
San Giovanni Calabria il nuovo san Francesco dAssisi, che col suo
abbandono amoroso e fiducioso a Dio rinnova profondamente la Chiesa
del nostro tempo e traccia una via nuova per la rievangelizzazione, tanto
invocata dallattuale Sommo Pontefice.
Tra san Francesco e san Giovanni Calabria mi pare che, senza
forzature indebite, si possa stabilire un paragone: la novit del primo sta
proprio nellaver ripreso, sia pure inconsciamente, lideale e il programma
del Papa san Gregorio Magno. Con questa differenza, pero, che secondo il
pensiero del Papa il primato della predicazione apostolica privilegio del
vescovo e dellabate, mentre secondo san Francesco, la predicazione del
Vangelo anche privilegio e dovere del nuovo monaco, vale a dire dogni
frate, che come fratello a tutti e che a tutti si rivolge indistintamente. Per
Gregorio Magno, inoltre, lefficacia della predicazione rafforzata dalla
vita santa del predicatore; per san Francesco lefficacia della predicazione
ha il suo segno nella rinuncia al potere, potere che di manifesta nel denaro e
nella ricchezza.
Per il Padre san Giovanni Calabria il privilegio della predicazione del
Vangelo di tutti i figli di Dio, i quali devono in modo particolare ripetere
in loro stessi, con la preghiera e le opere, la realt della paternit di Dio, che
nostro Signor Ges Cristo ci ha insegnato facendosi uomo.
La verit che ci salva, secondo il Padre don Calabria, la miseri-
cordiosa e provvidente paternit di Dio e il Vangelo della salvezza per gli
uomini doggi pi che mai la conoscenza della paternit di Dio a nostro
riguardo.

Affidamento a Maria
La Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa, di cui san Gio-
vanni Calabria fu figlio devoto e riconoscente, preceda sempre i Figli
e le Figlie della Famiglia Calabriana sulla via della quotidiana sco-
perta della Paternit di Dio e dellabbandono sereno e fiducioso alla
Divina Provvidenza. Amen.

135
Omelia per lelezione del nuovo Casante
dellOpera don Calabria255
Mons. Maffeo Ducoli256

Carissimi,
un cordiale, fraterno saluto a don Waldemar, rieletto Casante, ed a
tutti i membri del Consiglio Generalizio dei Poveri Servi della Divina
Provvidenza.
Anchio, come scrive Paolo ai Filippesi, ringrazio il Signore ogni
volta che mi ricordo di voi nella preghiera che offro, con gioia e animo
grato, per la vostra Comunit. Colui che ha iniziato lOpera,
tenacemente promossa da san Giovanni Calabria, la porter a com-
pimento fino al giorno di Ges Cristo (cfr. Fil 1, 3-6).
Come sei anni fa, avete accettato linvito di concludere i lavori del
Capitolo con la celebrazione eucaristica in questo Santuario dedicato
alla Madonna di Lourdes. momento di grazia e di benedizione.
Luca, nel brano evangelico proclamato poco fa, nel riferire la vi-
sita di Maria alla cugina Elisabetta, la presenta come Vergine in
ascolto, Vergine offerente, Vergine orante, modello e speranza nostra.
Ne faccio oggetto di riflessione in questa breve pausa meditativa.

Vergine in ascolto
Maria ha accolto con grande umilt il messaggio umanamente
incomprensibile dellArcangelo Gabriele: Concepirai un figlio senza
concorso umano e si completamente affidata a Dio. Cos voi,
Poveri Servi, che iniziate un nuovo periodo di servizio apostolico,

255
Prima Lettura: Rm 10,9-18; lez. Santi, p. 430; Vangelo: Lc 1, 39-47; lez. Santi, p.
545. Visitazione.
256
S. E. rev.ma vescovo emerito di Belluno.

136
siete impegnati nellascolto attento, umile, fiducioso di ci che il
Signore vuole dalla vostra Congregazione.
Questo ascolto si deve tradurre in opere nello spirito di san Gio-
vanni Calabria che ha come caratteristica ed orientamento fonda-
mentale labbandono agli adorabili disegni della Divina Provvidenza.
Pertanto lasciatevi condurre giorno per giorno da Dio, affidandovi a
Lui come piccoli fanciulli che il Padre celeste porta sulle ginocchia.

Cercate di essere saldi nella dottrina del Signore e degli Apostoli,


perch riesca tutto quello che fate per la vita del corpo e dello spirito,
nella fede e nella carit, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito Santo,
257
allinizio e alla fine.

Cosa vuole il Signore da voi?


Don Calabria chiede anzitutto ai Poveri Servi un appassionato e
totalitario amore a Ges Cristo. Paolo scrive ai Filippesi: Per me
vivere Cristo (1, 21). Ai Galati: Non sono pi io che vivo, ma
Cristo vive in me. (2, 20). Ai Romani: Se confesserai con la tua
bocca che Ges il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha
risuscitato dai morti, sarai salvo (10, 9, 11).
Don Calabria ha meditato lungamente questi passi e si lasciato
prendere dal mistero di Cristo, rendendolo sua esperienza senza mi-
sura. Ha ricordato con frequenza ai suoi che Ges esige, in modo
speciale dalle persone consacrate, di essere amato sopra ogni cosa.

Ama e tienti amico colui che, quando tutti se ne andranno, non ti


258
abbandoner, n permetter che, alla fine, tu abbia a perire.

Quando hai Cristo, sei ricco e ti basta, sar lui il tuo provveditore e
il tuo curatore in tutto, tanto che non occorrer pi sperare negli

257
S. Ignazio di Antiochia ai cristiani di Magnesia.
258
Im. di Cristo, Libro II cap. 7.

137
uomini. Poni tutta la tua fiducia in Dio e sia lui il tuo timore e il tuo
259
amore.

Dio vi conceda di essere potentemente rafforzati dal suo spirito;


Cristo, abiti per la fede nei vostri cuori e cos radicati e fondati nella
carit siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia
lampiezza, la lunghezza e la profondit e conoscere lamore di
Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perch siate ricolmi di tutta la
260
pienezza di Dio.

Don Calabria ha inoltre chiesto ai Poveri Servi un amore grande


alla Chiesa.

Sento ripercuotersi in fondo al mio cuore il lamento di


Ges: scrive al card. Schuster La mia Chiesa. Questa santa
nostra Chiesa sia conosciuta, ascoltata, amata, glorificata nel Santo
Padre, Vicario di Ges Cristo.

Si definisce vittima per la Chiesa, fatta anche di uomini di cui


conosce le debolezze, e lama perdutamente. Scrive:

Lavvenire buio e pericoloso, lorizzonte si fa sempre pi grigio e


il mondo non pu essere salvato che dalla Chiesa, di qui la necessit
di una riforma, particolarmente del clero e dei religiosi, fatta di
santit apostolica, tacita come il lievito, umile, povera.

Riconosce che necessario un aggiornamento nella vita della


comunit ecclesiale che per va fatto sulla base della vita interiore
nello spirito del Vangelo. Esso reso fecondo dalla grazia destinata a
vincere la debolezza della natura inclinata al male. Il santo non colui
che stato irreprensibile in tutte le sue azioni e in ogni sua scelta, ma
colui nel quale alla fine la grazia riuscita fermento unificante e
perseverante. di conforto sentirci dire che anche nella Chiesa non si
santi fin dal primo momento, ma lo si diventa gradualmente

259
Idem, Libro II, cap. 1.
260
Ef 3, 16-17.

138
superando i nostri molteplici limiti cercando sempre Dio solo in ogni
pensiero e in ogni azione.

La sostanza della riforma della Chiesa la santit. afferma don


Calabria Essa ci rende forti e infaticabili nellesercizio delle virt
evangeliche.

Sarebbe interessante fare una comparazione tra la riforma della


Chiesa come la concepiva il vostro Fondatore e quella del Vaticano II:
nella parte sostanziale certamente coincide perch consiste nella
ricerca della fedelt al pi puro e genuino spirito delle beatitudini.

Vergine offerente
Questo amore a Cristo e alla Chiesa, viene unito da san Giovanni
Calabria allofferta di tutta la vita. Proprio come Maria, la Vergine
offerente, che accompagna Ges ogni giorno fino ai piedi della croce
ove si realizza la profezia del vecchio Simeone: una spada ti trafig-
ger lanima (Lc 2,35).
Gli ultimi anni di don Calabria sono stati un crescendo di soffe-
renze fisiche e morali, di gravi umiliazioni che egli ha accettato per la
crescita del Regno di Dio. Chiede a Ges crocifisso che lo faccia tutto
suo per la salvezza della povera umanit. Ammiriamo in lui lausterit
della vita, la povert che diventa generosit e sollecitudine per le
necessit degli altri; quelle mani vuote che la Provvidenza colmava
ogni giorno, dalle quali passarono un cumulo incalcolabile di beni
senza che vi si attaccassero.
Don Calabria un Santo che ci insegna a soffrire e ad offrire la
nostra vita che non mai priva di difficolt. Infatti riscontriamo in noi,
e fuori di noi, tentazioni, timori, incomprensioni, conflitti, malattie
fisiche e morali, paure che ci impediscono di amare, di servire, di
agire. Tutto va affrontato con fede viva, con forza, con serenit perch
fa parte del cammino di ogni uomo e del servizio che ci stato
affidato.
Come Paolo, anche noi dobbiamo completare ci che manca alla
passione di Cristo.

139
Vergine orante
Le molteplici difficolt vanno messe a fuoco e risolte in un clima
di preghiera sullesempio di Maria, la Vergine orante, e di san Gio-
vanni Calabria. Preghiera che richiama il primato assoluto di Dio in un
mondo che rischia di essere distrutto dallazione che lo opprime. La
preghiera non permette di preoccuparsi delle piccole miserie della
terra, ma rende capaci di dire: Sia fatta la tua volont; Si compia
in me ci a cui sono chiamato. Preghiera fervida, fedele, quella ri-
chiesta ogni giorno dalla Chiesa, umile, senza pretese come lha of-
ferta il pubblicano della parabola evangelica; la preghiera in forza
della quale riescono sempre le opere di Dio.
Cos la vostra carit diventer amore adorante Cristo presente
nellEucarestia e ve lo far riconoscere nel volto dei poveri, dei fan-
ciulli, degli ammalati ed anziani, dei fratelli separati, degli infedeli.
Voi potete diventare grandi benefattori del nostro tempo e scrivere la
storia pi bella e pi vera della Chiesa.
Duc in altum, prendete il largo, ricreati dallo spirito di Dio, fi-
datevi unicamente di lui. Maria Santissima vi accompagni, anche nella
nuova missione in India e in Kenya e vi benedica.
Amen.

140
Recensioni

141
Don Calabria scrisse un articolo per don
Primo Mazzolari261
Giuseppe Perazzolo

Prossimamente dovrebbe vedere la luce il primo volume degli


scritti di don Giovanni Calabria [Fonti calabriane. Serie Prima - Sez.
A: Scritti editi] che avr come titolo: Articoli pubblicati su periodici
e giornali, opuscoli.
Si tratta di una riedizione di testi del santo veronese, gi a suo
tempo pubblicati, sotto forma di articolo, su periodici e giornali non
appartenenti o stampati dallOpera don Calabria, ed ora difficilmente
reperibili.
Nellintento di rendere disponibili, per consultazione e diffusione,
degli scritti oramai piuttosto rari, per non dire unici, nella trascrizione,
al fine di assicurare la riproduzione del dettato con la massima fedelt
e senza alterazioni, si sono seguiti criteri e modalit mutuati dalla
forma di riproduzione di documenti e manoscritti nota come edizione
diplomatica.
La ripresentazione, per la prima volta in una collezione, dei vari
articoli pubblicati su vari organi di stampa, aiuta ad individuare me-
glio le varie linee di pensiero del fondatore della Casa Buoni Fanciulli
e delle Congregazioni maschile e femminile dei Poveri Servi della
Divina Provvidenza.
Ancor pi d conto dellattivit di stimolo per una riforma nella
Chiesa e, in qualche misura, della Chiesa, svolta nei confronti del
mondo cattolico ed ecclesiastico del secondo dopoguerra.
Il periodo storico di cui si sta parlando se ci si riferisce unica-
mente del mondo religioso italiano sembra, al di l di una etichet-
tatura ingenerosa del nostro santo, ben descritto da Giancarlo Zizola:
Forse era una generazione in attesa, nella quale fermentavano le
letture dellAvventura cristiana di Emmanuel Mounier, dei Cimiteri

261
Nel I volume delle Fonti Calabriane in via di pubblicazione.

142
sotto la luna di Georges Bernanos, il sogno di unaltra forma cri-
stiana, duna riforma della Chiesa come postulato della riforma so-
ciale disegnata dal cinema di Delannoy, da Dio ha bisogno degli
uomini e dal Diario di un curato di campagna. Gente insospettabile,
gesuiti come padre Lombardi, vecchi preti tradizionali come don
Calabria, cardinali come Schuster e Lercaro discutevano in quegli
anni, a bassa voce, della necessit di dare uno scossone alla stasi
della Chiesa pacelliana, di varare una riforma del clero, di reagire al
connubio incipiente tra la Chiesa e il nuovo potere consumistico, alla
secolarizzazione sotto specie democristiana, convocando un nuovo
Concilio Ecumenico, aprendo una grande stagione di evan-
gelizzazione, abbandonando il falso delle sicurezze della
262
cristianit sociologica.

Non si desidera fare una presentazione dellopera, ma solamente


dire che in essa si potranno trovare delle sorprese piuttosto interes-
santi come, ad esempio, il fatto che don Calabria abbia elaborato e
pubblicato un articolo per il quindicinale Adesso di don Primo
Mazzolari, che in alcuni ambienti era considerato vitando.

Desideriamo anticipare qui, riportandole come un piccolo saggio,


proprio le sei pagine del libro, che ancora in bozze di stampa, che
trattano della faccenda.

262
G. C. ZIZOLA, Don Giovanni Rossi. Lutopia cristiana nellItalia del 900, Assisi,
1997, p. 255.

143
SCHEDA TECNICA DEL PERIODICO

Periodicit: Adesso quindicinale


Direttore responsabile: Giulio Vaggi

ARTICOLI PUBBLICATI SUL PERIODICO


Piccolo quaresimale: Vivere da cristiani

NOTE EDITORIALI (relative al periodo 1945-1955)


Editore: Direzione e Amministrazione Adesso, via G. Boni 19,
Milano.
Direttore del periodico: Giulio Vaggi (dal 1 dicembre 1950 al 15
agosto 1959).
Genere degli articoli: di informazione religiosa e socio-politica.
Periodicit: quindicinale.
Formato: cm 40 x 29,3.
Consistenza (numero medio di pagine): 8 (nel 1953).

INFORMAZIONI COMPLEMENTARI DI CARATTERE STORICO


Anno di fondazione: 15 gennaio 1949.
Fondatore: lispiratore e animatore del periodico fu don Primo
Mazzolari, parroco di Bozzolo (MN). La vittoria elettorale della D.C.
del 1948 probabilmente spinse don Mazzolari con alcuni amici a farsi
promotore di una corrente ecclesiale di avanguardia. Il periodico, che
nei primi due anni godette dellospitalit del Centro Studi Francescani
di Modena il primo direttore (15/1/1949 1/1/1950) fu il dott. Paolo
Piombini, nome civile del cappuccino padre Placido da
Pavullo sospese le pubblicazioni dal 15 marzo al 15 novembre 1951
a causa di una pesante censura del card. I. Schuster, arcivescovo di
Milano.
Finalit: Fin dai primi numeri manifest non tanto un programma
quanto un volto: guardare non tanto alle piccole invenzioni della

144
chiesa contemporanea. Azione Cattolica o Comitati civici, parrocchia
e liturgia, ma alle istanze di un pi vasto rinnovamento di rivoluzione
cristiana, sui temi della giustizia sociale, dellimpegno per i poveri,
della pace, del Vangelo incarnato nellazione [C. BELLO, Primo
Mazzolari. Biografia e documenti, Banca Antoniana, Vicenza, 1994,
p. 170 (ristampa del volume, edito dalla Queriniana, Brescia, 1978)].
Collaborazione da parte di don Calabria: don Calabria era in
contatto epistolare e ricevette pi di una volta don Primo Mazzolari a
S. Zeno in Monte. Seguiva lattivit e le pubblicazioni di don Maz-
zolari, che era in ottimi rapporti con il Fratello Esterno dr. Filippo
Parolari e i religiosi dellOpera fr. F. Sossai, fr. A. Simonetto e don
Luigi Pedrollo [Cfr. la foto in 1959-1979 Primo Mazzolari sacerdote,
a cura del Comitato per le onoranze a don Primo Mazzolari nel XX
anniversario della morte, Bozzolo (MN), 1979, p. 23].
A proposito dei rapporti tra il parroco di Bozzolo, il fondatore della
Casa Buoni Fanciulli ed alcuni religiosi dellOpera don Calabria, don
Luigi Pedrollo, il pi stretto collaboratore e primo successore di don
Calabria alla guida dellIstituto, ne scrisse brevemente nel 1975 [L.
PEDROLLO, Adesso, in LAmico dei Buoni Fanciulli, 4 (1975), 4-7].
Per quanto invece riguarda la pubblicazione nel 1953 da parte del
quindicinale Adesso dellarticolo di don Calabria, Vivere da cristiani,
un collaboratore della Fondazione P. Mazzolari scrive:
Potevamo pensare che la sintonia di ideali e di ansie spirituali fosse
viva tra i due, don Calabria e don Mazzolari. Ma non ci aspettavamo di
trovarla manifestata cos: nientemeno che un intervento dello stesso
don Giovanni sullAdesso (Anno V, n. 6 del 15 marzo 1953):
Piccolo Quaresimale Vivere da Cristiani.
Come avr fatto don Primo ad avere da don Calabria questo scritto,
che, pi o meno, un concentrato del libro Instaurare omnia in
Cristo?.
La risposta potrebbe essere trovata in una testimonianza di don L.
Pedrollo (Cronistoria dal 3 dic. 1929 al 4 marzo 1955: ms. inedito):
19-12-1952 Viene don Primo Mazzolari. Anima semplice, a parlare.
Non sembra il don Primo dei Suoi libri. Viene alla mattina con altri
amici. Non possibile vedere D. Giov. Vanno a Negrar e tornano nel

145
pomeriggio. Ed nno il piacere i vederlo tutti. Don Primo parla 2 volte,
le lacrime agli occhi. Tutti sono commossi.
Don Mazzolari fu dunque a S. Zeno in Monte tre mesi prima della
pubblicazione dellarticolo, e pu essere che abbia richiesto lui di-
rettamente un articolo a don Calabria, come potrebbe averlo fatto an-
che successivamente, tramite fratel Francesco Sossai, religioso
P.S.D.P. molto legato a don Primo, od altri.

146
Vivere da cristiani263
Piccolo quaresimale

Lora attuale unora terribilissima: non mi stancher mai di ri-


peterlo, cari fratelli: non esagero, sapete! unora che raramente si
riscontrata nella storia dellumanit. Le cose vanno male, molto male:
lo vedete anche voi; il domani si presenta sempre pi minaccioso.

Di chi la colpa?
Non dubito, o miei cari fratelli, di dirvi che la colpa tutta nostra,
di noi Cristiani.
Si ha un bel dire della nequizia dei tempi, della guerra alla Reli-
gione, delle persecuzioni, ecc. Ma alla fine dei conti, il male sta in noi;
non viviamo da Cristiani.
I mali nella Chiesa, o miei cari, sono sempre venuti dal di dentro,
dai Cristiani stessi; donde mai le Eresie e gli Scismi? Non certo dai
Pagani! Eresie e Scismi hanno rotto, nel corso dei secoli, quella unit
che Ges Cristo ha tanto raccomandato; hanno affievolito quella ca-
rit che Egli ha dato come contrassegno dei suoi diletti.
Oggi pi che mai sentito il bisogno di ritornare alla unit dei
Cristiani; ma come si pu ritornarvi? Solamente rifacendo la strada:

263
G. CALABRIA, Vivere da cristiani. Piccolo quaresimale, in Adesso, 6 (1953) 4-5.
Il card. I. Schuster con una lettera del 18 marzo 1953 a don Calabria dichiara di
condividere le sue idee: Nellodierno numero del Oggi[in una successiva
lettera del 23 marzo il card. Schuster corregge il titolo del periodico dicendo che
si trattava di Adesso] leggo un eccellente articolo di V. R., ma disapprova il
fatto che larticolo calabriano sia stato pubblicato vicino a scritti del socialista
Greppi e di un altro autore che nel periodico scriveva contro la talare degli
Ecclesiastici. Per dar maggior peso al suo disappunto per la collaborazione di don
Calabria al periodico Schuster scrive: lEpiscopato Italiano come mi consta
dalle adunanze a cui ho partecipato generalmente contrario alla rivista.
G. CALABRIA I. SCHUSTER, Le lettere (1945-1954), Milano, 2000, pp. 187-188.

147
lunit stata rotta perch si raffreddata la carit: amore di Dio,
amore dei fratelli. Il cammino inverso vuole che si ravvivi la carit nei
cuori degli uomini: la carit prepara lunit.
Compito arduo, che il Signore affida a noi Cristiani, specialmente
sacerdoti e religiosi di questi tempi.

Mano allopera
Si dir che il compito superiore alle nostre forze; limpresa
impossibile; i mali troppo gravi e radicati... Tutto vero; ma proprio per
questo non bisogna perdersi danimo, e anzi darsi le mani dattorno
per apprestare subito i rimedi. Lopera di risanamento dipende da due
fattori: Iddio e gli uomini.
Iddio potrebbe fare tutto Lui; ma nei disegni di sua Provvidenza si
serve degli uomini. un gesto di sovrana degnazione, che nobilita
luomo al grado di cooperatore di Dio!
Nostro servizio assegnatoci dal supremo Padrone, di vivere
praticamente il Vangelo, osservare la Legge di Dio, amare Iddio,
amare il prossimo.
Compiendo questo nostro servizio, noi procuriamo la prosperit
privata e pubblica degli individui e delle Nazioni; perch, se vero
che il peccato rende misere le genti, vero che la giustizia rende
felici.
Le difficolt immani dellimpresa, lungi dallo scoraggiarci, de-
vono stimolare i nostri sforzi.

Le nostre armi spirituali


Come pu dubitarsi dellesito felice, se Iddio con noi, e noi
siamo con Dio? Ho pregato e riflettuto lungamente: mi sento di dirvi il
mio pensiero su le armi da usare nella lotta spirituale che si sta
combattendo.

148
Conoscere i lontani
E anzitutto, mi sembra che noi non sempre conosciamo i nostri
avversari, o almeno non li conosciamo bene.
Sono nostri fratelli, figli anche loro del medesimo Padre che sta
nei Cieli, redenti dal medesimo Ges Cristo, e chiamati alla santa
Chiesa. Essi non seguono i dettami della Religione, negano Iddio, il
Redentore, la Chiesa, leternit: tutto insomma quel patrimonio che la
bont del Signore ci ha voluto affidare perch sia guida al nostro
cammino su questa terra verso la beata Patria del Cielo.
Ma, perch negano queste sacrosante verit?
Poveretti! Chi sa quante attenuanti meritano davanti al Signore!
Spesso non hanno avuto una istruzione adeguata, o forse nessuna
istruzione; non hanno sentito parlare di Religione, se non in senso
cattivo, da persone male intenzionate, veri ministri del demonio ne-
mico di Dio. Forse sono cresciuti in ambiente viziato, dove la miseria
materiale andava di pari passo con quella morale; o forse in mezzo alle
ricchezze idolatrate, che fanno perdere ogni senso di coscienza e di
Religione.
Non di rado, nelle scuole hanno avuto maestri increduli, sprez-
zatori della Fede, denigratori della morale umana e cristiana.
Pi spesso, poi, la corruzione del mondo li ha presi talmente da
renderli materiali, smaniosi soltanto di piaceri bassi e sensuali, che
attutiscono lo spirito rendendolo incapace di comprendere ci che ri-
guarda Iddio e lanima.
Forse ed con sommo dolore che dobbiamo fare questa con-
statazione forse sono lontani da Dio per colpa nostra personale: in
noi non hanno visto la Fede messa in pratica; anzi, troppo spesso
hanno visto nella vita dei Cristiani la pi aperta negazione della Fede
stessa. A che serve la nostra Fede se non si traduce nella pratica?
Fede morta, che non opera nulla, anzi peggio, ammorba, scandalizza...
Quanta colpa da parte nostra! Ci pensiamo noi?
Gli avversari, nostri fratelli, sono spesso lopera delle nostre mani;
eppure, sotto la scorza ruvida e spinosa, pungente e bruciante che
hanno contro di noi, si celano tesori di bene che non pensiamo
neppure; c spesso tanto buon cuore, c un vivo amore per il pros-

149
simo dolorante e bisognoso; c una dedizione generosa alla causa
abbracciata, al programma prefisso, che non arriviamo ad avere per il
santo Vangelo! Davvero sono anche per noi le parole di Ges: Im-
parate dai figli delle tenebre....
Tutto questo substrato di bont, che si trova sotto la ruvida scorza
(faccio eccezione soltanto per pochissimi intelligenti, veri strumenti di
Satana) un elemento che deve infondere in noi un grande amore per
loro, ed terreno dove la Provvidenza prepara il loro ravvedimento, la
loro riunione cordiale con noi, nellora di Dio. Molti di essi sono tesori
nascosti ai nostri sguardi; e noi con troppa semplicit li crediamo
cattivi...
Noi non li conosciamo bene, perch troppo superficialmente li
giudichiamo alle apparenze.
Dobbiamo cercare di conoscerli meglio, per amarli di pi, amarli
fino ad assorbire il loro odio per noi e cambiarlo in amore fraterno.
Con lerrore non dobbiamo mai venire a compromessi, certa-
mente! Ma con gli erranti dobbiamo usare tutte le delicatezze
dellamore e dellaffetto cordiale, passando sopra a molte cose per-
sonali per mirare allo scopo supremo che di salvarli per il Signore,
non importa se noi dovessimo subire umiliazioni, sacrifici, ingiurie...
Tutto bene speso, quando si tratta di salvare le anime! Ges Cristo
non ha risparmiato nemmeno una goccia del suo Sangue per esse!

Pregare per i lontani


Sono nostri fratelli, erranti lontano dalla casa paterna. Noi con le
nostre vedute, con le nostre forze, discussioni ecc. non concludiamo
nulla se non interviene la grazia del Signore.
Quando venne la giusta condanna del Santo Ufficio contro gli
aderenti al comunismo ateo, molti Cristiani dicevano: Ben ci sta! la
ci voleva!.... Quanti hanno sentito compassione per gli ingannati?
Eppure lamore genera di per se stesso la compassione; la compas-
sione muove lo zelo verso i fratelli. Perci dobbiamo pregare per
questi fratelli, mortificarci per loro, organizzare preghiere anche
pubbliche per la loro conversione: una grande disgrazia che si tro-

150
vino in queste condizioni! Al punto della morte, varr soltanto il bene
fatto.

Stimare il bene che c negli avversari


Ce n tanto, pi di quel che si crede. Non tutto in essi cattivo; ci
sono tante idee buone, che meritano stima. Sono residui di quel che il
Signore depone in ogni uomo che viene al mondo. Attacchiamoci a
questo bene: sar un bellappiglio per conciliarci la fiducia degli
avversari, avvicinarli a noi. In tal modo daremo ad essi lesempio della
vita totalmente cristiana, e il bene che in loro trover il suo giusto
completamento in noi e si nobiliter assurgendo allordine
soprannaturale, conforme alla santa Legge di Dio e le esigenze della
natura.

Lavorare con tutte le forze perch ritornino al


Signore
Spesso c nel campo nostro una smania di distruzione; si vor-
rebbe che il Signore annientasse con prodigi spettacolari il campo
avversario. Siamo anche noi un po come i due Apostoli che volevano
invocare il fuoco dal Cielo sui Samaritani che respingevano il
Maestro. Invece, il vero spirito di Cristo, che ci anima alla lotta, vuole
che salviamo i fratelli, che li riconduciamo sani e salvi alla casa
paterna. Come Davide, in guerra difensiva contro il figlio Assalonne
ribelle, raccomandava ai suoi soldati: Combattete, s, ma salvatemi il
figliolo!, cos mi sembra ci dica il celeste Padre: Combattete, s, da
forti, contro lesercito del male che si avanza formidabile; ma salvate
ognuno di quegli avversari, che mio figliolo adottivo e diletto,
redento dal Sangue del mio Unigenito.
Noi abbiamo la grazia di possedere la verit: un dono del Si-
gnore, e dobbiamo farne parte a tutti i fratelli. I nostri avversari sono
nellerrore, eppure credono molti di loro di essere nella verit. La
verit una sola: quella che il Signore ha dato alla santa Chiesa. Un

151
solo Dio, una sola vera Religione, una sola verit. Ma questa verit
non un privilegio, bens un patrimonio di tutti.
Carit grande, dunque, e sforzo di salvare i fratelli, per poterli
abbracciare generosamente, e fare festa con essi nella Casa del Padre.

Conclusione
Ecco le armi, che mi pare ci vengano offerte dal Signore degli
eserciti per combattere, per vincere la santa battaglia del bene contro il
male.
La nostra santa Religione consta di due elementi: lelemento di-
vino, che mai e poi mai verr meno; lelemento umano, che partecipa
di tutte le miserie delle cose terrene, e quindi ha bisogno di revisioni,
di riforme generose, di aggiornamenti nella luce di Dio, sulla base
insostituibile delle verit eterne, e sotto la guida dei legittimi Pastori.
Occorre mettere mano allopera! Correggere, riformare, aggior-
nare coraggiosamente questo elemento umano; soprattutto occorre
che viviamo francamente la nostra Fede, per essere davvero spettacolo
agli uomini che ci combattono, eppure devono essere presi dal fulgore
della luce divina che irradia dalla nostra vita cristiana.
Due mezzi fu scritto possono annientare il Comunismo ateo:
la guerra, e questo non per noi Cristiani, non varrebbe che a rovinare
tutto; la vita integralmente cristiana della maggioranza dei Cristiani, e
questo proprio per noi lunico mezzo possibile, suggerito dalla
ragione e dalla Religione.
Pensiamoci seriamente e provvediamo.

Sac. Giovanni Calabria

152
Opera don Calabria Verona febbraio 2003

Pubblicazione a cura del


Centro di Cultura e Spiritualit Calabriana
Via S. Zeno in Monte, 23
37129 Verona
e-mail: ccsc@doncalabria.it

153

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